ITALIA / ITALIE
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Lamberto Bertolé
Il miele e l’aceto
La sfida educativa
dell’adolescenza
Novecento Editore
A Francesca
che (ancora) non ha l’età
Indice
Prefazione
di don Gino Rigoldi
9
Introduzione
13
1. Conflitto
19
2. Maestri
49
3. Identità
75
4. Potere
97
5. Gruppo
123
6. Limite
163
7. Risarcimento
187
Ringraziamenti
211
Bibliografia
213
7
Prefazione
di don Gino Rigoldi
Quando l’autore di un libro dichiara che non vuole fornire ricette ma riflessioni affinché ognuno possa utilizzarle per approfondire un tema così importante come l’adolescenza, si comincia
bene. Ancor più se l’autore in questione, Lamberto Bertolé, con
gli adolescenti ci vive da moltissimi anni. Possiamo allora essere certi che affronteremo un testo ispirato all’esperienza, con il
pregio di essere riuscito a non diventare un libretto di istruzioni,
piuttosto una guida che ci lascia liberi di scegliere quale percorso
seguire.
Anche io mi occupo di adolescenti da cinquant’anni, e proprio per questo motivo credo che non debba mai esaurirsi il confronto tra educatori. Non parlo solo di chi si occupa dei giovani
per professione, ma di tutti gli adulti che con gli adolescenti devono o vogliono fare un pezzo di strada insieme, a cominciare
dai genitori.
Come leggerete nell’introduzione, il testo è organizzato secondo quei temi rappresentativi delle dinamiche relazionali tra
gli adolescenti e tra loro e il mondo adulto. Prospettive attraverso cui guardare nel complesso universo dell’adolescenza per
provare a essere più presenti e consapevoli di quel che accade a
noi e a loro quando stiamo insieme. Scorrendo i temi dei capitoli
ho trovato molti elementi che contribuiscono a formare una relazione: il conflitto, il rapporto con i maestri, l’identità, il potere,
il gruppo, il senso del limite e la questione del risarcimento. Temi
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sui quali l’autore racconta tutto quel che ha conosciuto e sperimentato in prima persona. Questo è un punto centrale, perché
il testo è proprio il risultato di un intreccio tra la sua storia personale, un ricco impianto teorico e l’esperienza concreta vissuta
come educatore e insegnante.
Ne risulta un discorso che non ha bisogno di essere verificato
o falsificato, piuttosto compreso e interrogato rispetto alla propria esperienza e alle proprie convinzioni. Con gli adolescenti,
ma direi con ogni persona, la pura teoria è di scarsa utilità se non
si fanno i conti con la propria storia e con quella di chi ci sta di
fronte.
C’è un invito sotteso in ogni pagina di questo libro, ancor
più significativo perché proviene da chi ha deciso di impegnarsi
anche nelle istituzioni, visto che Lamberto Bertolé è anche consigliere comunale a Milano: gli adulti devono riprendersi quel
senso di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni
che, a guardare la società italiana degli ultimi anni, è venuto a
mancare. Ebbene, la lettura di questo libro corrobora con forza
questa mia, e spero infine del lettore, convinzione: occuparsi dei
giovani è un dovere, è bello, è importante. Se oggi più che mai
sembrano senza futuro è perché gli adulti non sono più in grado di parlarne, di fare cultura della educazione, ricominciando a
riconoscere che la politica dei diritti dei bambini e dei giovani
diventa sempre di più un dovere morale e una impresa necessaria. Dobbiamo ricominciare a crederci, solo così potremo trasmettere il desiderio di progettualità che rende una vita ricca e
movimentata. Come dovrebbe essere quella di un adolescente e
quella di un adulto che non ha scordato di essere stato giovane,
un tempo.
9 aprile 2015
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“Si deve inferire quanto sieno importanti le benché minime
impressioni della fanciullezza, e quanto gran parte della vita
dipenda da quell’età; e quanto sia probabile che i caratteri
degli uomini, le loro inclinazioni, questa o quell’altra azione
derivino bene spesso da minutissime circostanze della loro
fanciullezza, e come i caratteri e le opinioni massimamente
(dalle quali poi dipendono le azioni, e quasi tutta la vita) si
diversifichino bene spesso per quelle minime circostanze, e
accidenti, e differenze appartenenti alla fanciullezza, mentre
se ne cercherà la cagione e l’origine in tutt’altro, anche dai
maggiori conoscitori dell’uomo”.
Giacomo Leopardi
Introduzione
Un giorno mi è capitato di leggere, con sgomento, in un trafiletto di giornale, che un ragazzo di quarta o quinta liceo si era
suicidato perché non poteva più attendere di vedere se vi fosse
un aldilà dopo la morte e, soprattutto, di sapere quale religione avesse detto la verità, quale fosse il vero Dio. “Se il destino
dell’uomo è segnato, che senso ha aspettare?”, deve aver pensato. Il desiderio di assoluto, il bisogno di verità non gli avevano
lasciato scampo. E il mio sgomento, nel leggere la notizia, ora
lo so per certo, misurava la mia distanza di adulto da quell’età
misteriosa, l’adolescenza, che era la sua età e non più la mia.
Credo si esca da quel periodo dell’esistenza come da un territorio ignoto lasciato alle spalle, in gran parte ancora inesplorato.
Per molti un territorio nemico. Quando se ne esce. Dico questo perché credo che quasi ogni adolescente abbia sentito, in un
qualche momento della sua esistenza, se non la tentazione di non
andare oltre, il desiderio di farsi da parte, di smettere di correre.
La prospettiva del mondo adulto per la gran parte dei ragazzi si
presenta come un salto abissale, una terra separata dal tempo infinito della giovinezza, una solida landa senza variazioni di tinte,
noiosissima, desolante, a confronto dell’universo multicolore in
cui si trovano immersi. Gli adulti, parimenti, in genere guardano
agli adolescenti come a esseri che non si possono comprendere
fino in fondo, enigmatici, inquietanti, pericolosi, come si guarda
a una parte di sé irrisolta. Dall’adolescenza spesso non si esce
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evolvendo ma con un balzo, quasi dal buio alla luce, o viceversa.
Quella parte della nostra vita non si conforma al resto, non è un
pezzo di puzzle da incastrare nella nostra storia, perché è debordante, slabbrata, eccessiva, e carica anche per noi stessi, tuttora,
di mistero. È ancora lì, per certi versi, viva e urgente.
In questo libro voglio parlare di adolescenti sapendo che sto
parlando anche di me, da adulto che rischia di fraintendere, perché la terra favolosa è troppo piccina o troppo grande per essere
esplorata appieno dal suo passo, ma che ce l’ha messa e ce la
metterà ancora tutta per capire e intervenire e fare il possibile
per guidare i ragazzi che, in quel territorio misterioso, rischiano
di perdersi.
Peter Pan è la metafora non solo del ragazzino che non vuole
crescere ma anche del ragazzino che non crescerà mai, perché
l’evoluzione non lo riguarda. Per certi versi quel ragazzino non
diventerà mai grande, lo sappiamo anche guardando a noi stessi,
per altri versi, e sarà l’oggetto di queste pagine, quello stesso ragazzino comunque crescerà e sta a noi adulti aiutarlo a vincere la
sfida, sbloccando il suo percorso quando si inceppa. Aiutandolo
a regalare al proprio destino dignità.
Oggi apparentemente le distanze tra adulti e giovani divengono sempre più brevi, i giovani percepiscono gli adulti meno
lontani e più comprensivi. Paradossalmente, in questa situazione
di vicinanza, è venuto meno il patto generazionale e con questo
anche la solidarietà tra adulti e giovani. Non a caso abbiamo percentuali elevatissime di disoccupazione giovanile.
Un tempo c’era un investimento vero, profondo sulla qualità
dell’offerta e delle occasioni di sviluppo e crescita dei ragazzi.
Nonostante esista una piramide rovesciata, con tanti adulti a
ruotare attorno a pochi bambini, a crescerli con mille attenzioni
e una forte vicinanza, non esiste un progetto complessivo sui
giovani. Siamo in presenza di una società fatta di adulti che si
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preoccupano anche della qualità del legno del lettino dei loro
bimbi, nella quale esiste una proliferazione di oggetti, di beni, di
attenzioni rivolti agli adolescenti, ma in cui non ci si pone con
altrettanta determinazione il problema della qualità delle scuole
e dei luoghi in cui i ragazzi crescono. Mi sembra una rimozione
globale, che pagheremo. Se guardiamo alle scuole di certi paesi
nordici, a cominciare dall’architettura e dalla disposizione degli
spazi, alla struttura dei banchi, vediamo un progetto, un pensiero
che cerca da prima un’idea di convivenza formativa e di interazione tra insegnante e allievi. C’è una considerazione dei tempi
morti, del livello del controllo e di quello della libertà, una riflessione su come si deve vivere in un contesto scolastico, dentro e
fuori dagli orari della lezione, su cosa deve accadere e su come
deve funzionare quel luogo dove i ragazzi stanno ore e ore ogni
giorno. Da noi questo non esiste o è lasciato a pochi volenterosi.
Di fronte all’enigma e all’alterità degli adolescenti, che sfuggono mentre cerchiamo di entrare in relazione con loro, contrapponendosi apparentemente a noi, avvolti dal mistero, davanti ai ragazzi di cui non conosciamo tante cose, gli adulti che
hanno una responsabilità educativa, sia come genitori sia come
insegnanti o educatori, credo abbiano bisogno di maggior consapevolezza e orgoglio, anche del proprio ruolo. Un maggior rigore nell’esercizio della loro funzione. Gli adolescenti ci pongono sfide molto alte e la capacità di noi adulti di essere all’altezza
di queste sfide, di saper ingaggiare il duello con loro, nel senso
buono del termine, sostenendo il confronto, è un’occasione unica che possiamo offrire loro per affrontare con successo la sfida
della crescita e dell’ingresso nel mondo adulto.
Nella mia esperienza di diciassette anni di lavoro, con gli adolescenti da una parte e con i colleghi dall’altra, nel mio confronto
con molte famiglie, con genitori e non solo con professionisti,
ho incontrato un profondo smarrimento, molta fatica, tante oc15
casioni perse: l’incapacità di cogliere fino in fondo e valorizzare
la sfida di essere presenti e protagonisti accanto a ragazzi che
crescono. L’obiettivo di queste pagine è di promuovere pensieri
e riflessioni, per dotarsi di strumenti più adeguati per affrontare
le difficoltà della relazione educativa in modo positivo.
L’adolescenza è la stagione delle grandi possibilità in cui molto, non tutto, ma molto è possibile. Ho grande fiducia e sono
molto attratto da questa dimensione potenziale, dalle molte strade ancora aperte, dei destini possibili, incrociati, che ancora non
sono definiti, e credo che il mondo degli adulti nel suo complesso, oggi spesso sia molto conservatore e si limiti a dirigere il traffico, rassegnato a un inerte passare del tempo. Vedo adolescenti
senza sbocchi, lasciati troppo da soli, perché tutto sommato se
la cavano o perché sono apparentemente senza strade. Credo
che occorra un nuovo, forte protagonismo degli adulti: attivando una conflittualità, quando serve, per vivere attivamente la stagione delle molte possibilità dei ragazzi loro affidati, incrociando
davvero i loro destini per attivarli.
Detto questo, penso che esista poi una responsabilità più
grande e complessiva che vada indagata, non quella dei singoli
adulti ma della società adulta nel suo complesso, della società
politica e della classe dirigente, nel senso più lato, del nostro
paese, la quale non s’interroga più, davvero, sui bisogni trascurati e sulle responsabilità nei confronti delle nuove generazioni.
C’è una grande rimozione del futuro, siamo tutti molto ancorati
al presente e nel dibattito pubblico gli adulti competenti, che
hanno responsabilità, stanno rimuovendo, al di là della retorica,
il tema del futuro dei giovani e quindi anche del nostro paese.
Credo sia la questione centrale nel quotidiano dei genitori e di
molte professionalità come insegnanti ed educatori. Soprattutto dovrebbe essere il tema centrale dell’agenda di un paese che
deve rimbalzare: rialzarsi dalla crisi con un profondo rinnova16
mento, entrando davvero nel ventunesimo secolo.
Se in queste pagine risuonerà spesso il pronome “io”, non
sarà per sottolineare traguardi raggiunti o verità; non accadrà
per indicare certezze da ammannire, quanto, al contrario, per
legare pensieri e osservazioni alla fallibilità e all’incompletezza
dell’esperienza individuale – di quanto ho visto, considerato,
imparato mettendomi in gioco in prima persona, con la precisa convinzione di dover ancora e sempre apprendere, in questo
campo di energie e dinamiche mai prevedibili o esplorabili una
volta per tutte. Vorrei fosse l’“io” del confronto, la testimonianza di chi fa un passo in attesa che qualcuno replichi e dica la
propria, in uno scambio vicendevole di esperienze.
Il discorso non è stato sviluppato secondo le macro categorie
usuali quando si parla di adolescenti. Non ci saranno capitoli
sulla scuola, sulla famiglia, sui genitori, sulla trasgressione e così
via. Sono stati messi a fuoco concetti che sono dinamiche, “campi di energia”, immagini e suggestioni, con i quali attraversare
trasversalmente questo territorio pieno di chiaroscuri, di zone
dimenticate e di altre inesplorabili. La suggestione di un titolo
di Georges Perec, che parlava di istruzioni per l’uso della vita,
viene oggi applicata a tutti i campi, con un abuso che alla fine ne
annulla l’impatto. Un titolo a mio modo di vedere assolutamente inadeguato quando si parla di adolescenza, eppure mi capita
di vedere libri che suggeriscono l’idea di strumenti e istruzioni
tecniche per la gestione delle difficoltà e delle incognite che derivano da questo momento della vita. Raccoglie, quel titolo, forse
il desiderio di genitori ed educatori di avere un argine sicuro da
cui muovere, esperienze replicabili, magari trucchi e incantesimi
da sciorinare. Niente di più illusorio, posso dire. Non è una tecnica o una scienza, non una fredda e distaccata manipolazione,
quello che ci può aiutare nell’affrontare la sfida educativa, ma la
consapevolezza che il nostro sapere e le nostre conquiste saran17
no ogni volta messe in gioco, a volte in scacco, a volte premiate,
e che il rapporto con ogni adolescente conterrà anche la sfida di
un’avventura mai vissuta prima. Senza mappe e senza rete.
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