Lions Club Bari Svevo
a cura di
Pasquale Montemurro
Concept, progetto grafico ed editing:
Dott.ssa Mariangela Cassano - Bari
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Con il patrocinio di
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PRESENTAZIONE
Questa opera, curata dal nostro “Superlattivo” Presidente
incoming Prof. Pasquale Montemurro, vuole essere un concreto contributo del Lions Club Bari Svevo alla grande esposizione
universale di EXPO 2015. All’inizio del nostro percorso lionistico
del corrente anno, ci siamo dati alcuni obiettivi di ricerca, e diffusione, delle Eccellenze della nostra Puglia, al fine di sostenere
i bisogni delle nostre genti. A mio avviso è questo il senso della
nostra appartenenza al movimento internazionale dei Lions, che
è movimento d’azione, prima che di conferenze, dibattiti, e facezie conviviali.
L’iniziativa del nostro Club è stata favorita dalla assonanza
con lo stile ed il credo profondo del Governatore del Distretto
108AB, dr. Giovanni Ostuni, che ci ha incoraggiato e sostenuto,
anche con la calorosa partecipazione alle attività promosse.
Spero che questo modesto contributo possa costituire un segno da cui ripartire nella speranza di un rilancio e rinnovamento
della nostra attività Lionistica.
Grazie a tutti.
Avv. Nicola Putignano
Presidente Lions Club Bari Svevo 2014-2015
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PREFAZIONE
“SUPERLATTIVE ”
di Puglia
di Pasquale Montemurro*
“Terra di grano, di olio, di vino” sono definizioni storicamente attribuite alla Puglia, in sintonia con la storica Triade mediterranea “armonizzata” dai governanti dell’antica Grecia che
avevano ben compreso come appunto i cereali insieme all’ulivo
ed alla vite assicurassero la disponibilità di «pane, olio e vino»;
la scelta di coltivare cereali, ulivo e vite, era motivata dal fatto
che tali specie di piante necessitano di poca acqua e quindi risultavano idonee al clima dei paesi del bacino del mediterraneo.
Il Progetto “SUPERLATTIVE ”, promosso dal Lions Club Bari
Svevo, dal Governatore del Distretto 108 Ab - Puglia 2015-2016
dr. Alessandro Mastrorilli, ha inteso dare maggiore visibilità ad
alcune delle “eccellenze produttive agroalimentari pugliesi”, tutte selezionate tra quelle caratterizzate dal fatto di essere “SUPER”, in quanto condotte con un modello produttivo tecnologicamente molto avanzato e con un alto indice di “Sostenibilità”,
e contemporaneamente “ATTIVE”, perché attivamente impegnate nel coltivare, produrre e trasformare in Puglia.
Parallelamente, il Progetto vuole rappresentare uno stimolo
ad emulare il modello rappresentato da tali aziende, tutte “genuinamente” Made in Puglia, modello che concretamente può
portare benefici di carattere economico, sociale ed ambientale.
Le produzioni delle aziende agroalimentari coinvolte nella squadra denominata appunto “SUPERLATTIVE”, si dedicano alla
produzione di pasta, olio, vino, legumi mandorle, pomodoro,
da industria e da serbo, e di funghi “cardoncelli”.
* Presidente del Lions Club Bari Svevo 2015-2016, Professore Ordinario di Agronomia generale presso il Dipartimento di Scienze AgroAmbientali e Territoriali dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”;
è titolare dell’insegnamento di Agronomia generale oltre che di Malerbologia. È socio dell’Accademia dei Georgofili di Firenze, dell’Accademia
pugliese delle Scienze di Bari, della Società Italiana di Agronomia e Presidente dell'Associazione Culturale “Ciboacculturarsi” di Bari.
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La disponibilità di questo libretto nella sede del grande evento mondiale EXPO2015 a Milano, notoriamente dedicato alla
sensibilizzazione sull’importanza della produzione di cibo, intende mettere in vetrina il Progetto ed in particolare come le
Aziende che vi hanno aderito possano costituire un modello positivo per altre imprese pugliesi in termini di valorizzazione delle
produzioni locali, in sintonia con l’idea della produzione a “km
zero”. Il libretto comprende un collage delle notizie riguardanti
le Aziende “SUPERLATTIVE” ed i loro prodotti, preceduto da
una introduzione riguardante alcuni aspetti sia storici sia attuali
dell’Agricoltura Pugliese, seguita da una parte denominata Apulia nova, che focalizza certuni possibili sviluppi futuri delle varie
produzioni agroalimentari pugliesi.
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INTRODUZIONE
UN PO’ DI STORIA PASSATA
La Puglia è stata una delle prime culle dell’agricoltura italiana e molto probabilmente di quella europea; stando ai reperti
archeologici, infatti, l’agricoltura iniziò ad essere praticata durante il Neolitico, fase che gli storici hanno identificato come
la “Rivoluzione neolitica”, in cui, nel corso di alcune migliaia
di anni, gli uomini presero la decisione di diventare agricoltori.
Giustamente la fase storica fu etichettata come “Rivoluzione”, in
quanto tale decisione sovvertì completamente il modo di vivere
mantenuto fino a quei tempi, provocando appunto una vera e
propria rivoluzione. Fino a quel momento, infatti, la scelta del
cibo e gli adattamenti alimentari dipendevano essenzialmente
dalle risorse vegetali ed animali godibili nel territorio, a conferma di quanto scritto da Ovidio nelle Metamorfosi “… La terra,
non ancora ferita dall’aratro, produceva da sé e gli uomini si
accontentavano di cibi spontanei e di frutti selvatici”. All’incirca
10.000 anni fa, quindi, l’uomo decise pian piano di affrancarsi
dal nomadismo, cominciando ad addomesticare le piante che gli
servivano come sostentamento e quindi a diventare agricoltore,
cioè a coltivare buona parte di quelle piante che fino ad allora
aveva raccolto occasionalmente durante le sue peregrinazioni. È
intorno all’XI secolo a.C. che i “Pugliesi” del tempo, denominati
Japigi in quanto costituiti soprattutto dagli emigrati provenienti
dall’Illiria, la moderna Albania, iniziarono a praticare l’agricoltura, cioè, per dirla ancora con Ovidio, “... Gli uomini per la prima
volta seppellirono in lunghi solchi i semi di Cerere ed i giovenchi
gemettero sotto il peso del giogo”.
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LE PRODUZIONI
I cereali
Sicuramente ci sarà stato il grano
fra i cereali che gli Japigi seminarono in Puglia, considerato che in siti
acheologici scoperti nelle province di
Foggia, Bari, Brindisi, Lecce e Taranto
sono stati trovati appunto residui carbonizzati di paglia e cariossidi, databili attorno al 7300-6500 a.C. Anche nella
parte pugliese della Magna Grecia i cereali (sitos)
divennero molto importanti, in quanto necessari per preparare
il pane, le frittelle di farina da addolcire con il miele (tagheritai)
e le focacce cotte al forno con sesamo (itria). Nella Grecia salentina, delimitata nei territori degli attuali comuni di Sternatia,
Martignano, Calimera, Corigliano d'Otranto e Zollino, è ancora
in uso la preparazione delle lagane nere, di origine spartana,
un tipo di pasta ottenuta dal grano lessato prima e poi finito di
cuocere nel mosto d’uva.
Durante il periodo romano, il farro era considerato dai pugliesi il cereale principe dell’alimentazione; di fatto, veniva cotto in acqua marina fino ad addensarsi in una specie di polenta
chiamata appunto puls. Sempre i cereali erano la base per la
preparazione di dulcis, come i nasti panes, dei pani addolciti con
il miele, che venivano serviti insieme alla frutta nella secunda
mensae, una sorta di dessert dell’epoca. Ma anche il grano duro
(il nome botanico è Triticum durum) segnava in modo incisivo
la sua presenza nella civiltà contadina pugliese. Infatti, Marco
Terenzio Varrone, nel primo secolo a.C. scrisse “Quod triticum
conferam Apulo!” (Che grano viene dalla Puglia!), proprio a significare che tutta la regione, ribattezzata dai Romani da Japigia
in Apulia, produceva grano di qualità. A conferma, la provincia
di Foggia fu denominata Tavoliere, in quanto una parte dei suoi
territori fu distribuita ai veterani dell’imperatore Augusto, i quali
vedevano segnato il proprio nome nelle tabulae censuriae, una
vera e propria anagrafe tributaria. Una grande attenzione era
anche rivolta, come scriveva Licinio, alla conservazione dei cereali che avveniva nelle cosiddette “fosse granarie”, come quelle ancora esistenti a Cerignola nel foggiano. Tra l’altro, proprio
le coltivazioni cerealicole del foggiano contribuivano anch’esse
ad assicurare alla città di Roma il regolare approvvigionamento
dei cereali. La terra di Bari pure era intensamente coltivata con
il grano, come dimostrato indirettamente dalle spighe effigiate
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sugli stateri argentei di Polineanum, l’odierna Polignano a Mare
del VI secolo a.C. e sulle Pinakes, una sorta di quadretti votivi
in terracotta. Durante il periodo romano, i cereali diventarono
la base per la preparazione di diversi tipi pasta, la più nota delle
quali era la “lagana” termine che è ancora vivo nella nostra
regione, e che poi si sarebbe trasformato nella lingua italiana in
“lasagna”. Di “lagana” ne parla anche Orazio e se ne fa menzione pure nel De Re Coquinaria, il ricettario di Marco Gavio,
soprannominato Apicio, un grande chef ante litteram vissuto al
tempo dell’imperatore Tiberio. E sempre durante il periodo romano che pare siano stati progettati per la prima volta gli gnocchi, chiamati “pastilli”. Fonti d’epoca successiva hanno segnalato
che a Molfetta vi erano numerosi “laborerii de pasta”, in cui
venivano preparati “vermicelli et similia”.
Caduto l’impero romano, i cereali diventarono sempre più
preziosi per gli abitanti della Puglia, che dal VI al VII secolo fu
invasa dai barbari: i Longobardi in particolare, con le loro razzie
rubavano tutto ciò che potevano, compreso appunto i cereali.
In seguito e fino alla dominazione sveva i pugliesi soffrirono
ancora molto la penuria dei cereali; per questo si arrangiavano
preparando una ricetta bizantina di nome hajol zoùmin, chiamata scherzosamente “brodo santo”, in cui quel poco di pane,
quasi sempre secco, veniva inzuppato in un brodo fatto con cipolle e condito con un po’ di olio di oliva. Con l’avvento dei Saraceni arrivarono pure gli “ytria”, cioè i vermicelli fatti di pasta
di grano essiccata, termine arabo è ancora vivo nel leccese dove
si preparano i ciceri e ttria. Ma i tipi di pasta secca aumentarono
progressivamente differenziate da nomi dialettali, a tutt’oggi utilizzati come i cavatidde, gnocchetto barese o cavatello, strascenate o récchie o recchjetedde, le famosissime orecchiette.
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Queste ultime, poi, sembrano furono fatte per la prima volta
a Sannicandro di Bari, la cui popolazione manteneva nella religione cattolica, un rituale della tradizione ebraica, nel quale si
consumavano le “Orecchie di Aman”, una sorta di dolcetti molto deliziosi. Con la dominazione sveva, durata tra il 1190 ed il
1266, la Puglia con l’intero sud dell’Italia godette di un periodo
d’oro: alcuni racconti dell’epoca, poi, narrano dei banchetti in
cui Federico II insieme a dotti e poeti assaporavano le orecchiette con la ricotta. Con il susseguirsi delle diverse dominazioni, tra
le quali quella degli Aragonesi, degli Angioini, dei Francesi, che
invasero la Capitanata nacque il fallone, una focaccia ripiena
di cacio fresco, della quale si fa menzione negli “Statuti de lo
forno” di Molfetta e negli “Statuti” dell’Università di Bisceglie.
Tre erano le specie di pane più diffuse: il “nero e semoloso”,
di migliore nutrimento, ma difficile da digerire, il “borghese o
casalingo” e quello “morbido”, adatto ai banchetti, preparato
utilizzando il latte o il burro. Riguardo ai vermicelli, la loro preparazione è attestata nel 1440 negli “Statuti” di Bisceglie, … Item
chi facesse vermicelli, o vero di semola intro Visceglie … e nel
“Libro Rosso” di Molfetta, … Littera regia de Vermicellis et similibus … Durante il periodo del Viceregno (1503-1713), però, in
una Puglia sprofondata in una fase recessiva, le classi più ricche
si nutrivano di pane fatto con farina di frumento bianca o nera,
mentre il popolo utilizzava uno sfarinato d’orzo per preparare
il “pane del bisogno”. In quei tempi, su questo umile tozzo di
pane gravava una serie infinita di tasse, dalla “gabella” sulla farina a quella sulla molitura, fino al dazio sulla “cotta” nei forni,
tutti facenti parte del monopolio del barone del luogo. Allora,
poiché nessuno poteva cuocere il pane nel proprio focolare, allo
scopo appunto di eludere almeno la tassa sulla cottura, i contadini in modo particolare impiegavano la farina di grano o di
orzo per cuocere sotto la cenere i cicce o cuchele, una sorta di
focaccine azzime, così come è stato riportato negli “Statuti di
Bisceglie”. Più tardi, a metà del 1600, le cose migliorarono grandemente tanto che Puglia fu descritta come … copiosa di grano
da parte dell’abate Pacichelli, diplomatico del Papato; successivamente, con l’avvento dei Borboni, il commercio del grano e
di altri cereali era tanto attivo, che s’intensificarono i traffici dai
porti di Barletta, Trani e Molfetta a quelli di tutta l’Italia e di
molti Paesi del Mediterraneo.
Durante il regno borbonico nacquero le làneche a la nute,
che oggi chiameremmo fettuccine, un tipo di pasta per i giorni di
festa. Con l‘Unità d’Italia, grazie al risveglio dalla crisi agraria del
mondo agricolo messo in evidenza dal senatore Stefano Jacini,
cominciò un aumento delle superfici coltivate a cereali; negli
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anni tra il 1890 ed il 1895, in Puglia risultavano coltivati oltre
100.000 ettari a frumento e più di 1.000 ad orzo, con Altamura
al 1° posto con 46 mila ettari. All’epoca, pane e companatico
(cicorie, cipolle, ecc.) erano per il pranzo, mentre per la cena
esistevano i panecutte (tozzi di pane rinsecchito cotto con verdure e con l’aggiunta di olio di oliva), la frascàddue (polenta di
farina condita con un po’ d’olio) o il briscke e braske (una specie
di minestrone di ortaggi con pezzetti di pane). Ma agli inizi del
XX secolo si ebbe un notevole incremento produttivo di frumento, specie quello duro, grazie al grande agronomo e genetista
Nazareno Strampelli, i cui studi effettuati presso il Centro di Ricerca per la Cerealicoltura di Foggia permisero di selezionare la
varietà di grano duro Senatore Cappelli, recentemente ritornata
alla ribalta.
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L’olio
La presenza nella Puglia dell’olivo certamente
come oleastro, la forma selvatica,
è datata nel Neolitico, così come
dimostrano i reperti archeologici rinvenuti nella provincia
di Bari, in un’areale comprendente Castel del Monte, Bitonto, la Murgia dei
Trulli e delle Grotte. Nelle
province di Brindisi, Lecce
e Taranto, invece, la pianta sembra sia stata presente già da circa
ottomila anni fa. L’oleastro era utilizzato non per i frutti, perché
sono piccoli, amari e sgradevoli, e non idonei a ricavare l’olio, bensì soltanto per il legno. La coltivazione dell’olivo oggi
coltivato (Olea europaea sottospecie sativa) e quindi la produzione di olio avverrà in Puglia a partire dall’XI secolo a.C.,
quando degli emigrati dall’Illiria, la moderna Albania, diede vita
alla civiltà Japigia; gli emigrati Illirici, infatti, avevano appreso
dai contatti con i vicini Greci sia come trasformare gli olivastri
in alberi dai frutti commestibili sia come ricavarne l’olio; ed ai
Greci migrati in Italia nel VII sec. a.C., che diedero origine alla
Magna Grecia, ed al loro intenso impegno che si deve il merito
che nell’arco di due secoli la Puglia diventò il più grande oliveto
del Mediterraneo, nel quale fu poco alla volta selezionata la
varietà Ogliarola. Contemporaneamente cominciarono ad essere costruiti dei rudimentali frantoi scavati nella roccia in cui la
costanza della temperatura evitava la condensazione dell’olio.
Con l’occupazione romana, anche per gli Apuliani si verificò un
salto qualitativo nelle tecniche olearie, grazie alla disponibilità
del trapetum: formato da due o più mole cilindriche di pietra
poste in una vasca e attraversate da un asse di legno che, girando
sotto la spinta solitamente di un mulo riducono le olive in una
pasta oleosa, risulterà possibile estrarre molto meglio l’olio ed
in un maggior quantitativo. L‘importanza acquisita dall’olio in
epoca romana è validata pure dal fatto che per commemorare
la costruzione della via Appia-Traiana, l’imperatore Traiano fece
coniare una moneta che sul diritto riproduceva la sua effige e sul
rovescio una ruota a rappresentare la strada, con una ragazza
reggente un ramo di olivo ad indicare la Puglia. Sulle tavole degli Apuliani, ricchi e poveri, l’olio non mancava mai per condire
gli ortaggi crudi ed alcune salse e zuppe, com’è ricordato nel già
citato De Re Coquinaria di Apicio. Caduto l’Impero Romano, i
barbari ridussero notevolmente gli oliveti che venivano tagliati
e sostituti con le querce.
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Durante l’epoca medievale, perciò, la produzione di olio diminuì fortemente, diventando retaggio quasi esclusivo dei ceti
alti, nonché utilizzato in ambito liturgico e medico. In seguito,
l’olio fu nuovamente prodotto in discrete quantità specie nel Salento, grazie anche ai monaci Basiliani, eremiti di origine greca,
ivi rifugiatisi dopo la fuga dalle guerre iconoclastiche scoppiate
nell’Impero Romano d’Oriente. Nel IX secolo giunsero in Puglia
i Saraceni che guardavano benevolmente l’olivicoltura: secondo
il Bonaventura da Lama, i Saraceni fecero sorgere nel Salento
“… interi .. boschi di olivi ... parte innestarono agli oleastri e
parte piantarono …”; forse è proprio ai Saraceni che si deve
l’introduzione della varietà Cellina, nota anche come Saracena.
Una nuova espansione dell’olivo avvenne verso l’anno Mille: in
documenti datati circa la fine del Duecento si riferisce di viaggiatori che narrano come prima nella Terra di Bari ed in quella
d’Otranto e poi nella Capitanata primeggiavano alberi d’olivo,
soprattutto della varietà Cellina. Ma l’incentivazione a produrre
sempre più olio derivò anche dai governanti; in un documento
del 1327 a firma dal Re Roberto d’Angiò si legge di un dispositivo che concedeva alla città di Gallipoli l’esenzione di tutti i
tributi per coloro che macinavo le olive.
Ancora, nell’Archivio di Stato di Lecce sono conservate le
autorizzazioni reali del 1371 per l’attracco nei porti di Gallipoli e
di Brindisi di navi della Serenissima. Nel Quattrocento, poi, per
merito del sovrano spagnolo Alfonso d’Aragona fu introdotta
nel Basso Tavoliere una varietà da tavola che sarà battezzata
come Oliva di Spagna, più tardi denominata con il sinonimo
Bella di Cerignola.
Nel periodo Rinascimentale l’olivo rivisse un’epoca d'oro:
la Puglia si trasformò in un immenso oliveto, come documentato da Leandro Alberti che, nella sua Decrittione di tutta l’Italia
scrive come nella terra d’Otranto vi siano oliveti “ben coltivati ... grandi selve di olivi” che producono “tanto olio”. L'olio
ricominciò, perciò, ad essere presente abbondantemente nelle
case, sia sulla tavola sia per i vari usi quotidiani, diventando contemporaneamente trainante per l’economia agricola dell’intero
meridione d’Italia. E si deve proprio a queste grandi produzioni
salentine se l’olio iniziò a farsi conoscere pure al di fuori dell’area mediterranea, diventando ricercato sulle tavole dei nobili
in tutta Europa: si ricorda come Caterina, zar di tutte le Russie,
ricevesse in regalo dallo studioso Giovanni Presta un cofanetto
in legno d’olivo contenente un campionario dei migliori oli italiani. Grandi nazioni come l’Inghilterra, la Francia, la Russia e la
Germania, sprovviste del “dono degli dèi” scesero in Puglia a
cercarlo, perché ritenuto molto pregiato.
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Navi cariche di barili d’olio e carovane di animali da carico che
trasportavano olio contenuto in otri di pelle partivano soprattutto dal Salento per raggiungere il Nord Europa.
Il commercio dell’olio di oliva raggiunse una tale importanza
nell’economia meridionale, tanto che nel 1559 il Vicerè Paravan
de Rivera dispose la costruzione di una strada che collegasse Napoli alla Puglia. Anche nella prima metà del XVII secolo la Puglia
si presentava “copiosa di Olivi”, stando a quanto scritto dall’abate nonché storiografo Giovan Battista Pacichelli, secondo il
quale per la Peucetia o Terra di Bari, in particolare, l’olivo era la
coltura più importante e l’olio costituiva la merce di un attivo
commercio; non per niente, sempre l’abate “viaggiatore”, descrisse il territorio di Bonum totum, ribattezzato in seguito Bitonto, “una delle terre più fertili della Peucetia” per “l’abbondanza
di olio, di mandorle, …”. All’epoca, in ogni porto della Puglia si
venne a creare un andirivieni di navi. Ma con l’avvento del periodo napoleonico, la diminuzione del prezzo dell’olio provocò
una grande crisi: non essendo nemmeno conveniente raccoglierle, le olive venivano lasciate marcire per terra e moltissimi olivi
tagliati per ricavarne la legna. Una certa ripresa si ebbe dal 1806
con l’abolizione delle leggi feudali, tanto che vi fu un notevole
aumento delle superfici olivetate, che nel 1895 superavano 97
mila ettari, con una produzione di olio di oltre 208 mila ettolitri.
Tra l’Ottocento ed il Novecento, ebbe inizio l’industrializzazione
dell’olio di oliva, grazie alla nascita di importanti aziende che lo
confezionavano per i mercati sia interni che esteri. Con l’unificazione la Puglia divenne il “serbatoio” di olio dell’Italia. Grazie
anche all’interesse di grandi famiglie di imprenditori, negli anni
successivi il numero di ettari aumentò fino ai 106 mila stimati nel
1920, con un conseguente incremento della produzione di olio
a circa 300 mila ettolitri. L’esempio più significativo fu quello
dell’industriale Pietro Ravanas, che introdusse per la prima volta
in terra di Bari il frantoio a torchio idraulico ed a doppia macina,
rendendo anche famoso nel mondo l’olio di Bitonto. Ma verso
la fine del XIX secolo, per merito di un altro industriale di nome
Raffaele Perfetti, proprietario di uno dei maggiori frantoi di Barletta, si diffuse grandemente anche la varietà Coratina. Quest’ultima prese piede soprattutto nel nord Barese ed in parte della
Capitanata, grazie anche al suo grande profumo (fruttato) che
lo rendeva idoneo per “tagliare”, cioè per essere miscelato con
altri oli allo scopo di profumarli. Ma negli anni trenta, l’olio di
oliva cominciò a subire la competizione degli oli di semi; “complice” di tale competizione fu soprattutto Gerolamo Gaslini che,
dopo aver condiviso la gestione dell’Oleificio Ligure-Pugliese di
Bari, cioè della più grande raffineria italiana di olio di sansa e di
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oliva, si impegnò moltissimo per favorire la produzione di olio
di semi. Ritornato a Milano, infatti, sostenuto finanziariamente
dalla Banca Commerciale, dal Banco di Napoli e dal Credito
Italiano, il Gaslini cercò in tutti i modi di favorire le raffinerie
del Nord che usavano soltanto semi di altre piante; in questo fu
favorito dallo stesso Mussolini che nell’ottobre del 1929 trasmise
al Ministero dell’Agricoltura un documento di Gaslini sulla Questione dell’olio, in cui si dimostrava come la produzione di olio
di oliva fosse insufficiente al soddisfacimento del consumo italiano. Finita la 2a guerra mondiale, l’olivicoltura si riprese timidamente, ma soprattutto con la costituzione dell’Unione Europea
iniziarono una serie di problematiche per la Puglia, in verità per
l’Italia intera, a tutt’oggi non superate, quando nel settembre
del 1966 fu decisa per la prima volta la regolamentazione del
settore. Fino ad allora, infatti,
l‘Italia era l’unico
produttore di olio
di oliva dei sei Paesi, in quanto gli altri cinque erano più
interessati alle produzione di cereali e latte. Le prime misure furono indirizzate al sostegno del prezzo di mercato dell’olio di oliva mediante
aiuti ai produttori, senza nessuna attenzione
alla qualità. Furono addirittura erogati incentivi
per la commercializzazione dell’olio in lattina. Ma
le decisioni più negative da parte della UE furono
quelle di stabilire i limiti di produzione per le varie
zone, fissare prezzi minimi e protezioni doganali, ed
istituire ammassi per ritirare le eccedenze di mercato. La negatività di tali decisioni si “accompagnò” nel ventennio successivo
ad un’assenza sostanziale di modifica in meglio del sistema produttivo italiano, pugliese compreso; se da un lato i contributi
risolvevano in minima parte il problema economico del settore
olivicolo, dall’altro spingevano verso una produzione di quantità, ma non di qualità. La Puglia rimase comunque una regione
grande produttrice di olio.
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Il vino
Stando ai reperti fossili, la pianta della vite, originaria delle regioni Caucasiche, era presente dal Pleistocene
in Europa dove, dallo stato selvatico
(Vitis silvestris) era passata a quello addomesticato (Vitis vinifera subs. sativa),
tramite selezioni naturali ed umane. In
Puglia, la vite è attestata dal Neolitico in alcune
zone del Tavoliere. I Fenici, che conoscevano e praticavano la
viticoltura già nel 2000 a.C., colonizzando la regione introdussero nuove varietà di vite, al punto che il territorio pugliese è
ancor oggi identificabile da nord a sud anche con l’articolazione
dei vitigni Uva di Troia, Primitivo e Negroamaro, corrispondenti
all’epoca rispettivamente a Daunia, Peucezia e Messapia. In seguito, nel XV secolo a.C., iniziarono i primi scambi con la Grecia
ed infatti le navi micenee cominciarono ad attraccare sui lidi
pugliesi. Grazie alla colonizzazione greca, tra il VII ed il IV secolo
a.C. nel territorio pugliese fu introdotto il sistema di coltivazione
della vite ad “alberello”, metodo ancora molto diffuso; poco
alla volta, pertanto, il paesaggio agricolo della Puglia si arricchì
di vigneti, al punto da meritarsi l’appellativo di Enotria tellus,
terra del vino. In particolare, furono i Micenei, denominati dagli
italioti Enotri (in greco oinotron significa palo per la vite), a
diffondere nel meridione d’Italia il consumo del vino già nel
primo millennio. In ogni caso, durante la dominazione greca la
viticoltura e l’enologia godettero di un grande sviluppo, tant’è
vero che nella colonia greca di Arpi, che secondo l’epos omerico
era stata fondata da Diomede, fu battuta una moneta che sul
rovescio aveva in risalto un grappolo d’uva. Ai Greci, infatti,
notoriamente si riconosce il merito di avere trasformato il vino
da semplice prodotto alimentare a merce di scambio, legandolo
anche al culto di Dioniso, dio protettore della viticoltura che,
come afferma Euripide, “... in dono al misero, offre non meno
che al beato il gaudio del vino, ove ogni dolore annegasi”. Più
tardi, si sa che gli antichi romani ribattezzeranno il dio greco in
Liber e quindi in Baccus. Alla fine della II guerra punica i Romani “riprogettarono” una vasta parte dell’Apulia, facendo ridurre
fortemente le superfici vitate a beneficio della cerealicoltura. Ciò
non toglie che i vini Apuliani non fossero graditi ai Romani; lo
testimonia Orazio che afferma nelle sue Odi di preferire il merum Tarentinum (merum in latino significa vino puro o genuino,
nel dialetto barese vuol dire vino), vino citato anche da Plinio
il Vecchio nella “Naturalis Historia”, dove ricorda che in Puglia
erano presenti le Malvasie nere di Brindisi e Lecce, il Negroama• 18 •
ro e l'Uva di Troia; riferendosi ai vini dell’Apulia, il poeta Plinio
affermava Non carent gloria, cioè i vini “non erano carenti di
gloria”. I vini pugliesi sono stati lodati sia da Decimo Giunio
Marziale nell’Epigrammaton liber, il quale riferendosi a Taranto,
la definisce “madida dei suoi vini”, sia da Ateneo nei Sofisti a
banchetto. Altri vini noti ed apprezzati durante l’Impero Romano furono il Brundisium ed il Canusium, stando a quanto scritto
nel “De re rustica” da Varrone. L’importanza della vitivinicoltura
del Salento, poi, è dimostrata dalla coniazione di ben 35 tipi di
moneta che avevano sul retro Airone, l’inventore della musica
ditirambica tipica delle feste dionisiache in cui l’uva ed il vino
la facevano da protagonisti, che cavalcava un delfino reggendo
l’idria vinaria ed un grappolo d’uva. Nel VI sec d.C., con la dominazione bizantina si intrecciarono dei proficui rapporti tra le
proprietà monastiche e quelle private; in molte documentazioni
monastiche, ad esempio, sono citate delle vigne, i cui filari, detti “vineales”, indicavano i confini delle proprietà ecclesiastiche,
mentre il valore dei terreni veniva stabilito in funzione della
produzione e della qualità del vino in esso prodotti. L’arrivo dei
Longobardi, che defraudavano i vinti delle loro terre, provocò
lo spopolamento delle campagne e quindi dei vigneti che perciò
rimasero incolti. Seguirono i Saraceni (dall’827), poi di nuovo
i Bizantini, fino al 1041 quando i Normanni, dopo alterne vicende ricrearono delle condizioni tali da far riprendere l’economia, facilitando la costituzione delle corporazioni dei mercanti
e dei marinai e firmando nel 1175 un accordo ventennale con
Venezia. Con l’avvento dei Normanno-Svevi, quindi, iniziò un
periodo d’oro per tutta l‘Italia meridionale; lo stesso Federico II,
soprannominato Puer Apuliae, nonostante fosse astemio, fece
piantare migliaia di viti nella zona di Castel del Monte. Intorno
al 1080, i porti di Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto diventarono importanti perché da questi partiva dell’ottimo vino messo
in ottimi recipienti di ciliegio, così come risulta da documenti
dell’epoca.
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Ma un periodo ancora più florido per la vitivinicoltura pugliese fu quello delle Crociate (1100-1300): in virtù della posizione strategica nei confronti del Medio Oriente, quello di Brindisi diventò il porto più importante nel periodo delle Crociate,
tant’è vero che “Brindisi”, era appunto l’espressione di auguri
usata dai crociati prima della partenza per la Terra Santa: prima di salpare per la Terra Santa, tintinnavano i bicchieri di vino
al grido di “a Brindisi!”, volendo augurarsi appunto il ritorno
in tale porto. Nel Medioevo, in Puglia si producevano enormi quantità di vino, tanto che Dante Alighieri, nei suoi versi,
descrisse la Puglia come «terra sitibonda ove il sole si fa vino».
Sarà, però, solamente durante il Rinascimento che i vini della Puglia iniziarono ad essere apprezzati in altre zone d'Italia e della
Francia, prendendo posto sulle tavole delle corti nobili. Andrea
Bacci, filosofo, medico e scrittore tra i più conosciuti di quel
periodo, nella sua opera De naturali vinorum historia segnalò
come nelle zone di Lecce, Brindisi e Bari si producessero vini di
“ottima qualità”, mentre i rossi di Foggia e del Gargano li indicò
di “media forza, ma sinceri nella sostanza sicché durano fino al
terzo anno e anche di più”. La bontà del vino salentino, poi,
diventò così rinomata che addirittura Lorenzo il Magnifico se ne
faceva arrivare a Firenze delle grandi quantità, mediante un suo
agente commerciale. Sulla qualità dei vini leccesi Galateo, sinonimo di Antonio de Ferrariis, nativo di Galatone (Le), umanista
e medico, così scriveva nel 1510 nella sua opera De situ Japigiae:
“Lecce è sita su un colle talmente basso che, … il suolo è fertile e
porta frutti di ogni tipo. Gli orti della città sono celebri, l’odore
e la frutta hanno un sapore eccellente: il vigneto si estende fino
al quarto o quinto miglio del distico greco … Possiamo dire
che i vini sono di colore aureo e con i
vini di Creta possono competere”. Tempo dopo, anche la Santa Sede fu attratta
dai vini del Salento, verso i quali così si
espresse nel 1596 Andrea Bacci, medico
personale del papa Sisto V: “… che quei
fecondi vigneti generano molti vini di
ottima qualità dei quali … se ne sporta
una stragrande maggioranza, tanto nelle
terre transmarine che in ogni luogo della
Venezia”. A proposito dei nomi di alcuni
vini pugliesi prodotti all’epoca, Prospero Rendella, monopolitano di origine,
elenca il Liciense o Leccese, il Brundusium, il Santa Cesarium, il Gravina, il
Muscatellum tranense ed il Tarentinum.
• 20 •
Nel Seicento la coltivazione della vite da vino fu molto incentivata grazie ad un modello di contratto in base al quale i
proprietari terrieri concedevano ai coloni dei terreni incolti per
la durata di sette-dieci anni, purché fossero dissodati e piantate
le viti. Il terreno così trasformato veniva chiamato “pastino”,
dal latino “pastinum”, termine che significa terreno zappato per
coltivare la vite, e contemporaneamente fa soprannominare il
contratto “ad pastinandum”. Il secolo successivo vide una Puglia
ancora importante produttrice di vino; ne fa menzione l’abate
Pacichelli, a quel tempo diplomatico del Papato, il quale in un
suo manoscritto descrive la Puglia come terra in cui “Vi abonda
il Vino”; tra i tanti territori visitati, cita il brindisino dove viene
prodotto il “grato liquor delle vigne” e la cittadina di Gravina
che “Grana dat et vina”. Viaggiando più a Sud, sempre il Pacichelli descrive il territorio di Gallipoli come terra “fertile di grano
e di vino”. All’epoca, nel Salento venivano coltivate soprattutto
le varietà Negramaro, Malvasia nera, Susumaniello e Malvasia
bianca. Durante il Settecento, poi, la zona di Trani cominciò a
diventare rinomata per la presenza di “viti di moscatello”, progenitore dell’attuale Moscato di Trani, un vino dolce e liquoroso
prodotto appunto da uve della varietà Moscato. Ma è nell’Ottocento che la viticoltura pugliese prese una connotazione più
moderna, sia per l’influenza della Rivoluzione Francese sia per il
contributo della scienza agronomica. Infatti, la spinta rivoluzionaria fece in modo tale che i contadini diventassero in un certo
senso soci del padrone e migliorassero le tecniche di coltivazione. Ma anche l’arrivo della fillossera (un insetto molto dannoso)
diede una grande spinta alla viticoltura pugliese in quanto la
Francia, rimasta a corta di vino per colpa dell’insetto che aveva
falcidiato le sue vigne, nel 1863 stipulò
un importante trattato commerciale
per l’importazione del vino. Perciò,
specialmente nel leccese, furono piantate notevoli superfici a vigneto da
vino anche con altri vitigni, come il
Lagrima e lo Zagarese. Quasi un ventennio dopo, però, con la risoluzione
dei problemi determinati dalla fillossera, la Francia ridusse l’importazione
di vini da taglio pugliesi. All’epoca,
però, grazie all’opera di imprenditori
ed agricoltori d’avanguardia avvennero dei forti miglioramenti nei sistemi di
coltivazione e di vinificazione.
• 21 •
Nella Terra di Bari, le famiglie Jatta e Rogadeo fecero realizzare nuovi impianti, specialmente con le varietà Somarello,
Uva di Troia, Bombino nero e bianco, e Pampanuto. Cerignola
diventò un centro vitivinicolo molto importante grazie pure a
Giuseppe Pavoncelli, allora Ministro dei Lavori Pubblici del Regno d'Italia nel Governo di Rudinì IV, ed al Duca Sosthnes La
Rochefouculd; ambedue realizzarono una serie di stabilimenti
enologici all’avanguardia. Ma il progresso più importante fu
determinato dal cambio di mentalità, per cui fu ridotta la produzione di vini da taglio ed iniziata quella di vini speciali come
il rosè e lo schiller, graditissimi rispettivamente ai francesi ed ai
tedeschi, ambedue prodotti dalle cantine Pavoncelli. Altri diversi
vitigni importanti iniziarono ad espandersi in altri territori, tra i
quali il Primitivo, l’Aglianico, il Lagrima, l’Aleatico e la Malvasia
lunga. Le superfici vitate passarono dai 74 mila ettari del 1883
agli oltre 100 mila del 1913. Anche nel Salento, in breve tempo
sorse “un mare di vigne”, con le varietà Negramaro, Malvasia,
Verdeca e Bianco d’Alessano. Più tardi, a partire dagli anni ’70,
grazie soprattutto all’istituzione nel 1963 della DOC (Denominazione di Origine Controllata) e della DOCG (Denominazione
di Origine Controllata e Garantita), si verificò una forte spinta verso la produzione di vini di grande qualità e “contornati”
da una riconosciuta tipicità. Infatti, fu riconosciuto a 27 vini il
marchio DOC ed a 4 la DOCG. Agli inizi del 2000, poi, è iniziato un periodo di grande promozione nella produzione di vini
monovitigno, come ad esempio quelli esclusivamente a base di
Negramaro o di Uva di Troia.
L’uva da tavola
Insieme alla viticoltura da vino, gli antichi
greci svilupparono in Puglia anche quella da tavola, tant’è vero che nella colonia greca di Arpi,
che secondo l’epos omerico era stata fondata
da Diomede, fu battuta una moneta che sul rovescio aveva in
risalto un grappolo d’uva. In quel periodo, stando a quanto
scritto dai Georgici Latini è molto probabilmente approdata
una varietà da tavola simile alla Regina bianca, aventi i sinonimi
Mennavacca e Pizzutella. Ma bisogna arrivare molto più avanti
nel tempo, addirittura nel Cinquecento perché la vite da tavola
aumenti d‘importanza, periodo caratterizzato nella storia locale
da un forte incremento demografico, durante il quale assunse
una connotazione di carattere sociale; il consumo dei grappoli
di vite fu considerato essenziale per la sopravvivenza della popolazione, specialmente per quella che possedeva appezzamen• 22 •
ti di piccola superficie, in quanto notoriamente per diventare
produttiva la viticoltura da tavola richiede un numero di anni
inferiore rispetto a quella da vino. La brevità di tale destinazione
della vite spinse in effetti i governanti per tutto il XVI secolo ad
incoraggiare la coltivazione specialmente nei terreni abbandonati da tempo, mediante la stipula di contratti di concessione
denominati ad plantandas vites. Nello stesso secolo erano diffuse in tutto il territorio regionale tante varietà di uva come la
Mennavacca, la Panse precoce, la Sant’Anna, la Chasselas, il Moscato Nero, la Prunesta, presente nella zona di Ruvo di Puglia, e
le Corniole, tra le quali l’Uva longa coltivata nel Leccese, l’Uva
a corna, la Corniola bianca e la Pizzutella, selezione naturale
quest’ultima della Regina bianca.
In ogni caso, anche il comparto dell’uva da tavola risentì, anche se indirettamente, del momento favorevole della viticoltura
da vino. Dalla Puglia, da Bisceglie in particolare, già dal 1869
cominciarono le spedizioni di uva verso Milano, Torino, Bologna, e poco più tardi pure verso Germania, Svizzera ed Austria.
All’epoca, nello stesso vigneto si coltivavano differenti vitigni
senza alcuna diversificazione se da destinare alla trasformazione
in vino o come frutta. In quegli anni, il Ministero dell’Agricoltura si attivò con iniziative che spinsero i viticoltori verso una
maggiore specializzare ed in particolare verso la coltivazione
dell’uva da tavola sopratutto per ragioni sociali, in quanto questa tipologia di produzione richiedeva un maggior impiego di
manodopera e consentiva di ottenere ricavi più elevati. Per i
nuovi impianti furono perciò consigliate forme di allevamento
a pergolato, in sostituzione dell’alberello e della spalliera. Tra le
varietà si affermò moltissimo la Regina bianca, in minor misura
la Bicane. Nel 1954 la superficie utilizzata per la coltivazione
specializzata di uva da tavola era di 34.582 ettari con una produzione di 2 milioni di quintali, 400 mila dei quali esportati.
Nell’opera “La Terra di Bari” si fa riferimento all’esposizione di
Portici del 1890, realizzata dal “Reale Istituto di Incoraggiamento” di Napoli, nell’ambito della quale fu messo in luce l’ottimo
livello raggiunto dalla viticultura pugliese ed in particolare di
quella del territorio Barese; infatti, in tale opera si legge: “la
provincia di Bari ha riportato la palma, sia per la qualità che
per la quantità della produzione, sia per la lavorazione che per
l’imballaggio, e finalmente per la larga base del suo commercio.
Detta provincia dà alla patria un ottimo esempio di industria paziente e sagace delle uve mangerecce”. Fra i concorrenti esportatori che parteciparono alla mostra, il diploma d’onore di lire
500 spettò ad un certo Francesco de Villagomez di Bisceglie che
riuscì ad esportare da solo in quell’anno nel nord Italia quasi
• 23 •
10.000 quintali di uva “Baresana”; quest’ultima era la varietà
maggiormente prodotta in Puglia e costituiva, stando al Briganti
il 70 per cento del totale che nel 1914 oscillava tra i 50 ed 55
mila quintali, i cui 4/5 finivano all’estero. La viticoltura pugliese
appare anche modernizzata, in quanto aumentarono sempre di
più i vigneti, sia da vino sia da tavola, specializzati e coltivati in
filari allo scopo di poter eseguire più razionalmente i trattamenti
antiparassitari. Negli anni venti, Vito Dipierro, un imprenditore
e insegnante nativo di Noicattaro, allo scopo di far maturare
l’uva in condizioni di maggior aereazione, “progettò” il sistema
d’impianto denominato a “tendone” o a “pergolato”. Ma tale
sistema rimase in stand by per quasi un ventennio. Le superfici a
vite da tavola continuarono a concentrarsi sempre più nel barese, nei quali aumentarono la loro presenza sia la Mennavacca o
Regina bianca sia l’Uva di Almeria chiamata anche Ohanez, una
cultivar quest’ultima spagnola. Intanto, nel 1926 grazie agli studi
del professor Alberto Pirovano, presso l’Istituto Sperimentale per
la Frutticoltura di Roma, venne selezionata la varietà Italia, frutto dell’incrocio tra i vitigni Bicane e Moscato d’Amburgo. Ma
negli anni ’30, è la Baresana la cultivar maggiormente coltivata
nella provincia di Bari, con quasi tremila ettari, concentrati soprattutto in agro di Bisceglie, Adelfia e Ruvo di Puglia. Notevole
era perciò l’apporto economico determinato dalla coltivazione
della Baresana, stimato all’epoca in circa 20 milioni di lire in
valore, di cui 2,5 milioni retaggio delle Ferrovie dello Stato, ed
in oltre 500 mila giornate lavorative all’anno. Una situazione
economica e sociale vanto dell’epoca fascista, durante la quale
si scrisse: “… I carretti originali giungono dalle campagne vicine
e lontane s’avviano alla stazione, portando i superbi grappoli
della Baresana, i tesori più belli della pianta sacra e millenaria,
che vegeta rigogliosa sotto il sole sfolgorante e nei terreni tufacei freschi e fertilissimi”. Tra le altre varietà erano coltivate la
Menna-Vacca ed il Moscadellone nero, ambedue a bacca nera, il
Moscadellone, la Prunesta bianca e l’Uva lunga, tra le bianche,
e la Prunestra, nell’ambito delle rosse. Alla vigilia della secon• 24 •
da guerra mondiale, la vocazionalità del territorio pugliese, e
barese in particolare, contribuì a far incrementare le superfici
coltivate ad uva da tavola che nel 1945 produssero ben oltre
1,33 milioni di quintali. Aumentano anche i vigneti coltivati con
il sistema a tendone, come pure le aree in cui veniva impiantata
la varietà “Regina”. Finita la seconda guerra mondiale, con la
ripresa delle esportazioni ben il 30% era fornito dalla Puglia.
Negli anni a seguire, si espandono le superfici e specialmente
quelle con il metodo a tendone provocando la modifica del paesaggio che assume il tipico aspetto definito dai Francesi “paesaggio di mare”, per la sensazione che i turisti avvertivano nell’osservare la vegetazione dall’alto delle colline. Il crescente successo
delle esportazioni, indusse ulteriori aumenti nella coltivazione,
tali che la regione pugliese diventò leader, in quanto arrivò a
produrre oltre il 50% della produzione nazionale. Verso la metà
degli anni ’70 iniziò ad essere praticata la copertura dei vigneti
con teli di plastica per posticipare la produzione, condizione che
permise di aumentare il periodo dell’offerta produttiva fino a
novembre-dicembre; in seguito, alle soglie del 2000, la “forzatura” si aprirà in misura limitata anche alla copertura dei vigneti
per l’anticipo della produzione. A partire dalla metà degli anni
ottanta, invece, la viticoltura regionale, concentrata soprattutto
sulla Regina bianca, inizia a “sbilanciarsi” verso la cultivar Italia, molto richiesta dai mercati esteri, che in pochi anni arriva a
ricoprire oltre il 40% delle superfici vitate, mentre una minore quantità continua ad essere destinata alla Cardinal, a bacca
rossa. Quasi contemporaneamente, i viticoltori “accettando” le
richieste del mercato inglese, iniziano a produrre uva di tipo
apirena, soprattutto della varietà Ruby Seedless nera, sostituita
via via da altre, come la Sugraone, la Thompson e la Crimsom.
Nei primi del 2000, “approda” e prende piede in Puglia la Red
Globe, una varietà di origine cilena, a bacca rossa e grossa.
• 25 •
I legumi
I legumi, come le fave, le lenticchie, i ceci,
il fagiolino dall’occhio o dolico e le cicerchie
sono sicuramente entrati in Puglia già dal Neolitico, per diventare poi “di casa”. La “capriata” o “kaporidia”,
la leccorniosa vivanda diffusa in tutta la Puglia, cioè il purè di
fave accompagnato alle cicorie bollite, è conosciuta da oltre tre
millenni. Stando alle cronache dei Templari, nella seconda parte
del XII secolo i legumi pugliesi, insieme ai cereali, erano inviati
in Siria agli insediamenti dei Cavalieri. Nel Medioevo è spesso
attestato l’uso di sfarinare i legumi, soprattutto la fava ed i ceci,
e di combinarli con la farina di frumento, come pure nei mercati
cittadini si vendevano “cicera (ceci) e panicum (miglio)”, in particolare durante la Quaresima, cibi considerati simbolo cristiano
di continenza e umiltà. Nel Rinascimento i legumi erano considerati un cibo prettamente contadino, quasi mai presente alla
mensa dei signori, cultori e consumatori di carne d’ogni specie.
Ritenuti alimenti dei poveri, i legumi salirono alla ribalta della gastronomia durante la Rivoluzione Francese, periodo in cui
sovvertirono la graduatoria della cucina aristocratica. Tra il 1880
ed il 1895, in Puglia erano prodotti soprattutto fave e ceci (oltre
82 mila tonnellate ciascuno). La produzione regionale di legumi come la fava si è mantenuta abbastanza elevata e costante
fino alla metà del XX secolo, quando ha cominciato a decrescere
drasticamente, a causa di variazioni sia nel regime alimentare,
basato su un maggior uso di proteine animali, sia nei ritmi di vita
che hanno orientato i consumatori verso cibi di pronto consumo, che richiedono tempi più brevi di preparazione e cottura; in
particolare, la lenticchia si è ridotta a poche decine di quintali,
mentre la produzione della cicerchia si è azzerata a partire dal
1971.
Le mandorle
Il mandorlo è originario delle zone asiatiche,
tanto che le magnifiche qualità nutritive dei suoi
frutti sono decantate nei libri dei Veda (5000
a.C.). La pianta fu importata nel Mediterraneo dai Fenici e dai Greci, prima in Sicilia e poi di lì nella Magna Grecia e
quindi in Puglia. La mitologia greca aveva legato quest’albero al
mito di Fillide, la principessa tracia innamorata di Acamante, il
figlio di Teseo partito al seguito di Ulisse, morta di disperazione
pensandolo perduto nella guerra di Troia dopo dieci lunghi anni
di attesa. Ad avvalorare la storia della diffusione, c’è il fatto che
i Romani chiamavano le mandorle “noci greche”. Licinio Crasso, triumviro romano tra i II ed iI I secolo a.C., attestava per la
• 26 •
Puglia … l’olivo si presentava … spesso associato al seminativo
o ad altre piante legnose, con i mandorli. Tra altro, la nascita
di Specchia, nel leccese, viene attribuita da una leggenda alla
matrona Lucrezia Amendolara, nipote proprio di Licinio Crasso.
Altre notizie sulla mandorlicoltura sono della metà del 1600,
quando l’abate Pacichelli evidenzia la cittadina di Bitonto, in
provincia di Bari, per l’abbondanza di mandorle, … Dal settecento a tutto l’ottocento, diverse fonti storiche riferiscono di
grandi superfici a mandorlo, specialmente nelle provincie di Bari
e di Lecce. In particolare, nel Salento le mandorle sono a tutt’oggi necessarie per preparare il famoso “agnello di pasta di mandorle”, la cui origine pare sia da attribuire alle suore di clausura
del monastero benedettino di San Giovanni Evangelista a Lecce.
In seguito, la provincia di Bari, divenne la più ricca fra tutte
quelle del Regno, al primo posto con 375 mila quintali di media
nel triennio 1931-33. Intorno al 1950, la produzione pugliese
di varietà di mandorle di altissima qualità, come la Tuono, la
Gemini e la Filippo Ceo, permisero all’Italia di diventare leader
a livello mondiale nello sgusciato con 31 mila tonnellate. Ma già
a partire dalla metà degli anni ’60, questo primato era passato
nelle mani della California, che aveva puntato in maniera decisa
all’aumento delle superfici, alla selezione di varietà ad alta resa,
ad una intensiva meccanizzazione, con prezzi bassi e forti strategie di marketing, fino al punto scendere di diverse posizioni
nella scala produttiva.
Le ciliegie
Diffuse in Puglia grazie ai Romani che, secondo Plinio, a loro volta le avevano importate
dalla Turchia dopo la vittoria contro Mitridate,
le ciliegie sono ricordate più tardi nell’inventario
dell’Archivio Diocesano di Molfetta del 1572, come frutti di
“nere”, termine dialettale con cui sono chiamati gli alberi, e nel
libro del Procuratore Generale del Capitolo di San leone Magno
in Castellana (oggi Castellana Grotte), in cui compare la proposta di offrire ciliegie alla Badessa del Monastero di San Benedetto
di Conversano. Ma è tra il 1880 ed il 1900, che la coltivazione
risulta stabile, vedi gli Atti della Stazione Agraria Sperimentale
di Bari del 1930. Come cultivar, c’erano la Forlì, la Limone, la
Montagnola, la Ruvo, la Testa di Serpe e la Masciarola. Nel ’35,
fece la sua comparsa la Ferrovia, così chiamata pare perché il
primo albero nacque da un nòcciolo finito vicino ad un casello
ferroviario delle Ferrovie Sud-Est, diffusasi nei territori di Turi
e Conversano prima e di Bisceglie poi, mentre negli anni ’40,
entrò la Bigarreau Moreau, originaria della Romagna.
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Gli agrumi
Le prime notizie sulla coltivazione risalgono all’anno 1000: Melo, principe di
Bari, spedì in Normandia i “pomi citrini” del
Gargano. Nel Seicento, notevole era il traffico verso Venezia di agrumi dei comuni di Vico del Gargano e
di Rodi Garganico. Nel secolo successivo, l’Arancia del Gargano
ed il Limone Femminiello del Gargano coltivati nell’Oasi agrumaia di Rodi Garganico e di San Menaio divennero trainanti
l’economia della zona, tanto che nel 1943 furono prodotti circa
120 mila quintali. Finita la seconda guerra mondiale, nell’arco
Jonico, a Castellaneta, Palagiano, Ginosa e Massafra, vennero
impiantate oltre 7 mila ettari di coltivazioni di arance e mandarini, corrispondenti all’80% della produzione regionale. Le
varietà di arance più utilizzate furono la Washington, la Tarocco,
la Navelina, la Belladonna, l’Ovale e la Valencia Late, mentre
come mandarini la Clementina. Quasi contemporaneamente,
anche negli areali di Gallipoli e Lecce gli agrumi si espansero,
raggiungendo circa 2.600 ettari di superficie.
I fichi
Il fico, presente prima della dominazione
romana, nella metà del primo era coltivato
nel leccese. I Normanni ne aumentarono le
superfici, consociandole con altre colture. Nel settecento, pur in
modo non ordinato, i fichi erano coltivati in quasi tutti i territori
della Puglia e con una vegetazione lussureggiante, come testimonia Saint-Non, nel suo taccuino di viaggiatore: “Prima di giungere ad Otranto … i fichi erano così alti che li scambiammo per
alberi di noce”. Più tardi, nel 1776, Domenico Tauro, Sindaco di
Terlizzi, incrociando una varietà locale con una spagnola dette
origine ad una nuova cultivar, in grado di produrre fioroni molto squisiti e durevoli con la buccia viola scuro, battezzata Tauro,
chiamata volgarmente “menghtàur”. Nel secondo dopoguerra
e fino ai primi anni ‘60 la Puglia era al primo posto nella produzione di fichi secchi della varietà Dottato, forniti soprattutto
dalla provincia di Brindisi, oltre che di quelli freschi, compreso
i fioroni Petrelli, prodotti nei territori costieri tra Monopoli e
Polignano a mare. Ma nel quinquennio 1978/82, avvenne un
crollo determinato dalla sua sostituzione con altre colture più
redditizie.
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Gli ortaggi
I popoli del Mediterraneo cominciarono a consumare ortaggi selezionati da piante selvatiche, già a partire
da 5 mila anni fa; per gli antichi Greci
costituivano una parte importante della loro dieta, testimoniato anche da Quale Ippocrate, padre della dietetica classica, che
dimostrò gli effetti benefici di carote, sedani e di molte altre
verdure. I Romani pure gradivano diversi tipologie di ortaggi,
come le rape, le carote, le cipolle, i cavoli, le cicorie, i carciofi ed
altri, che spesso venivano mescolati alla carne; inoltre, tenevano
in gran conto quelli detti acetaria, perché conditi solo con aceto,
oltre che con olio. Erano comunque molto usati nella cucina
romana la lattuga (detta ancora oggi “romana”), i funghi di cui
i Romani erano ghiotti, i carciofi (molto costosi, perciò riservati
soprattutto ai ricchi) ed i cavoli. I cuochi romani erano bravissimi nell’utilizzare gli ortaggi: nel ricettario “De Re Coquinaria”
(Marco Gavio Apicio I secolo d.C.), un terzo dei libri è dedicato
appunto agli ortaggi. Sicuramente anche la Puglia è stata all’epoca terra di ortaggi. Tra documenti posteriori, si legge che Galateo, sinonimo di Antonio de Ferrariis, nativo di Galatone (Le),
umanista e medico, nella sua opera “De situ Japigiae”, scritta nel
1510, così scriveva: “Lecce è sita su un colle talmente basso che,
… Il suolo è fertile e porta frutti di ogni tipo. Gli orti della città
sono celebri …”.
I carciofi
Le prime notizie certe sulla presenza della pianta del carciofo in Puglia sono datate ad
aprile del 1736, quando è documentato che nel
seminario di Otranto furono servite pietanze a base di carciofo.
Successivamente, nel 1751 e nel 1763 è attestato il consumo di
carciofo rispettivamente in un monastero di Trani e di Gravina
in Puglia. Un’altra testimonianza è quella di Vincenzo Corrado,
nato ad Oria nel 1738, diventato cuoco alla corte di Ferdinando
IV di Borbone, il quale nel suo libro Del cibo pitagorico, ovvero
erbaceo, scritto nel 1738, descrive ben 16 ricette a base di carciofo. Ne narra l’esistenza delle piante presso Canneto, in provincia
di Bari, Carlo Ulisse De Salis Marschlins, un naturalista svizzero,
nel suo viaggio attraverso il Regno di Napoli compiuto durante
il 1793. La presenza tra gli ortaggi coltivati nella Capitanata nel
1811 è testimoniata da Serafino Gatti, un Padre Scolopio all’epoca incaricato al’epoca della redazione della Statistica per la
provincia di Foggia e Segretario della Società di Agricoltura. Il
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carciofo, rimase confinato, però, soltanto su piccolissimi appezzamenti o lungo i muretti a secco o intorno alle abitazioni rurali
o in consociazione con piante da frutto fino ai primi anni del
Novecento; infatti, da quegli anni nel territorio delle province
di Bari e Foggia cominciò ad essere coltivato delle sempre più
estese aree con quest’ortaggio. Tra il 1923 ed il 1943 le superfici
destinate alle carciofaie in Puglia crebbero notevolmente, passando da 210 a ben 958 ettari. Dopo la seconda guerra mondiale, la coltivazione si espanse ulteriormente grazie alla maggiore
disponibilità di acqua irrigua, interessando in modo particolare
l’agro di Mola di Bari, in cui era coltivata la varietà Locale di
Mola, ma anche quelli del brindisino ed del foggiano, rispettivamente con le cultivar Bianco brindisino ed Violetto di San
Ferdinando, raggiungendo il massimo di oltre 19 mila ettari nel
1991. Successivamente, a metà degli anni 2000, soprattutto nella
provincia di Foggia, è stata coltivata sempre più la varietà Violetto di Provenza, molto produttiva, che condotta con tecniche
di forzatura consentiva di anticipare la produzione di capolini
già a settembre; nello stesso periodo, sono state impiantate carciofaie di Romanesco e di nuove varietà ibride dai nomi Opal
e Concerto. Negli ultimi anni fino al 2010, le superfici si sono
attestate su circa 15 mila ettari, concentrate soprattutto nel foggiano, mentre le produzioni sono oscillate tra le 13 e le 14 mila
tonnellate all’anno.
I pomodori
Molto importante è per la Puglia la coltivazione del pomodoro destinato all’industria conserviera, meno quella da consumo fresco. La coltura da
industria viene praticata da oltre un cinquantennio (dagli anni ’60) soprattutto nella provincia di
Foggia ed in misura minore in quella di Brindisi. La spiccata vocazione produttiva del territorio foggiano verso le tipologie di
pomodoro a bacca allungata, tipo San Marzano, ha fatto sì che
quest’area si sia specializzata in breve tempo per la produzione
del pelato, al punto da interessare quasi il 60% dell’intera superficie; quest’ultima, poi, ha consentito alla provincia di Foggia
di arrivare a detenere il primo posto a livello mondiale per produttività e qualità del “pelato all’italiana”, diventando l’unico
bacino di produzione capace di approvvigionare le industrie di
trasformazione meridionali. La superficie investita a pomodoro
per l’industria negli anni ’90 si aggirava intorno ai 30 mila ettari,
ma si è però ridotta successivamente; infatti, nel 2004 assommava 26.000, mentre nel 2009 è scesa a poco più di 21 mila ettari;
ovviamente, anche la produzione di bacche è diminuita, passa• 30 •
no da circa 1,66 milioni di tonnellate del 2004, a poco meno di
1,38 milioni di tonnellate del 2009.
Le patate
Arrivata in Italia dalla Spagna nella prima
metà del cinquecento, la patata inizia quasi
subito ad essere coltivata in Puglia. Nel 1806
l’abate Giuseppe Maria Giovene di Molfetta (BA) suggeriva di
coltivarla in modo da raccoglierla in primavera, mentre nel
1873, la Camera di Commercio di Bari attestava un notevole
flusso di esportazione verso alcuni mercati europei. I primi dati
ufficiali risalgono al catasto agrario del 1929, con una superficie
oltre 13.000 ha, di cui circa 3500 in consociazione a colture
legnose, principalmente olivo o mandorlo. In provincia di Bari,
prevalentemente nei comuni di Monopoli, Polignano a Mare e
Bisceglie, erano diffuse la cultivar Amburgo, a pasta gialla, e la
Biancona, a pasta bianca. La diffusione della coltivazione precoce in provincia di Bari si estese lungo tutto il litorale adriatico,
da Monopoli a Barletta, e negli arenili di Margherita di Savoia,
Manfredonia e Zapponeta. Una discreta diffusione si ebbe nel
Brindisino, in particolar modo nel comune di Mesagne, e nel
Leccese, principalmente a Parabita e Matino, da dove la coltura
si allargò in tutta la pianura di Gallipoli. Dopo la parentesi bellica, c’è stato un costante incremento delle superfici coltivate con
cultivar come la Siglinde e la Spunta prima, l’Elvira e la Nicola
più tardi. Dopo il 1995, le estensioni si sono via via ridotte per
oltre due decenni di stasi.
Le insalate
Sicuramente rucola e cicoria sono stati due
specie del gruppo delle insalate presenti da
tempi immemorabili in Puglia; un tempo raccolta selvatica, da oltre un ventennio coltivata anche in serra e
commercializzata come ortaggio di IV gamma (raccolta, lavata
ed imbustata), la rucola viene utilizzata sia cruda e sia cotta in
alcuni piatti tipici per condire i cavatieddi o cecatelli. La cicoria,
anch’essa sia selvatica sia coltivata, unita a una purea di fave
secche ed olio extravergine di oliva, costituisce la “incapriata”,
un piatto molto saporito; durante la Seconda guerra mondiale,
inoltre, quando il caffè era introvabile, si usavano i fittoni della
radice di cicoria per preparare una bevanda amara “fac-simile”.
Durante gli ultimi decenni, soprattutto la lattuga ha raggiunto
superfici importanti, fino a detenere il 1° posto in Italia.
• 31 •
L’ATTUALITÀ
La “Puglia di Oggi”, stando anche alle più recenti statistiche
disponibili (2012-13), mostra di aver risentito, ovviamente ed in
modo forte, sia della globalizzazione sia dell’evoluzione della
Politica Agricola Comunitaria (PAC); infatti, la combinazione dei
due fattori, dei quali ha pesato in maniera non indifferente l’attuazione sia della riforma Fishler sia quella denominata Health
check, sono state la causa principale delle conseguenze che in
generale hanno provocato delle variazioni, in genere riduttive,
delle superfici investite, specie di alcune colture, ed ovviamente
anche delle produzioni realizzate. Ciò nonostante, in numerosi
settori produttivi, la Puglia è attualmente una regione “ricca di
primati”, in quanto ai primi posti in Italia o con posizioni di
prestigio per la produzione di molti frutti della terra. Di seguito
ne saranno evidenziati i più importanti.
I cereali
La Puglia continua attualmente a confermare il suo primato
a livello sia regionale sia nazionale per la produzione di grano
duro; la superficie investita a tale cereale, sempre la più estesa fra
tutte le altre colture praticate in regione, è stata nel 2013 di 326
mila ettari, mentre il raccolto è stato di 1.060.500 tonnellate.
Tra l‘altro, le ultime analisi relative al 2010 ed al 2011 dei dati sul
valore della produzione di frumento duro hanno messo in luce
come vi sia stata una consistente ripresa del valore di tale cereale, che è passato da 154 a quasi 257 milioni di euro (+67%), pari
al 7,2% del valore complessivo della produzione agricola della
regione. Un “addendum di valore” è senz’altro quello derivante
dall’ottenimento della DOP (Denominazione di Origine Protetta) per il pane di Altamura che, secondo il disciplinare deve essere preparato utilizzando grano duro proveniente esclusivamente
dai comuni di Altamura, Gravina di Puglia, Poggiorsini, Spinazzola e Minervino Murge, in provincia di Bari.
L’olio
Con i suoi odierni oltre 377 mila ettari (32% circa del totale nazionale), la Puglia è la regione più “olivetata d’Italia”; nel
2011 sono state raccolte 1.180.00 tonnellate di olive, la maggior
parte delle quali (più del 98%) hanno dato origine ad oltre 183
mila tonnellate di olio, il 34,4 % della produzione italiana. È
anche la regione che può vantare la produzione di ben cinque
oli extravergine di oliva DOP, Collina di Brindisi, Dauno, Terra
di Bari, Terra d’Otranto ed Terre Tarentine. Doveroso è pure un
• 32 •
accenno alla produzione di olive da mensa olivicola, nell’ambito delle quali l’Apulia può vantarsi della cultivar La Bella della
Daunia DOP.
Il vino
Nella produzione della “bevanda cara a Bacco”, la Puglia è
prima in Italia con quasi 6 milioni di ettolitri, ottenuti dalla spremitura di otre 960 mila tonnellate di grappoli. Attualmente, tra i
vini regionali ve sono ben 29 che possono fregiarsi della dicitura
DOC/DOP e 6 di quella IGT/IGP.
L’uva da tavola
Nella produzione di uva da tavola, la Puglia è una punta
di diamante dell’esportazione di frutta italiana nel Mondo; la
regione “giganteggia” sulle altre regioni, in quanto produttrice
di circa il 70%, con oltre 14 milioni di quintali di uva. Nel 2013
risultavano coltivati oltre 36 mila ettari che hanno fornito più
di 872 mila tonnellate di uva. Molto è dovuto al notevole panorama varietale disponibile, in cui prevale la varietà Italia, richiestissima dentro e soprattutto fuori regione e nazione; di un
certo riguardo è anche la risorsa delle uve apirene. Un ruolo determinante lo gioca certamente anche la tecnica della forzatura
dell’uva, sia per l’anticipo sia per il ritardo della raccolta, tecnica
che consente una prolungata offerta dell’uva.
I legumi
Sotto la spinta della “Dieta mediterranea”, la presenza dei
legumi nei campi pugliesi è attualmente in ripresa, soprattutto
per quanto riguarda ceci, lenticchie e cicerchie, posizionati come
quantitativi prodotti nel 2013 nel quintetto della classifiche nazionali. Sono da ricordare alcuni “scudetti” Slow Food attribuiti
alle varietà Fave di Carpino e Verdi di Altamura, nonché alle
Lenticchie di Altamura e di Soleto, ed al Cece nero della Murgia
Carsica.
Le mandorle
Con più di 19 mila ettari ed oltre 166 mila quintali, la Puglia è
situata al 2° posto dopo la Sicilia, contribuendo alla produzione
nazionale con quasi il 40% come superfici ed il 30% in quantità
raccolta. Tra le varietà, appare in forte ascesa la Filippo Ceo, per
la sua grande qualità, valorizzata con presidio Slow Food con il
nome Mandorla di Toritto.
• 33 •
I fichi
Preceduta dalla Campania e dalla Calabria, la Puglia coltiva quasi 340 ettari (dati 2012), che producono oltre 17 mila
quintali di fichi, appartenenti soprattutto alla cultivar Dottato.
Nell’ambito dei fioroni, è in crescendo la varietà Tauro, coltivata
in maggior misura nel Terlizzese.
Gli ortaggi
I carciofi
Con quasi 15 mila ettari e quasi 15 mila tonnellate prodotte
nel 2013, la Puglia detiene il posto più in alto nella classifica
italiana. Un panorama varietale molto ampio e le tecniche per
l’anticipo della produzione, consentono a quest’ortaggio di primeggiare anche come presenza nei mercati. Tra le cultivar più
affermate, spicca il Carciofo Brindisino IGP.
I pomodori
Di rilievo è per la Puglia il primo posto nella produzione
del pomodoro da industria (pelato, concentrato, ecc.) destinato
all’industria conserviera condiviso con l’Emilia-Romagna con più
di 22.400 ettari, ma con una produzione di oltre 16,5 milioni di quintali, maggiore di più di un milione rispetto a quella
dell’Emilia. La regione si può pregiare anche per due varietà da
serbo, cosiddette volgarmente “pomodori appesi”, conservabili
per moltissimi mesi, Pomodoro fiaschetto di Torre Guaceto e
Pomodoro regina di Torre Canne, ambedue presidi Slow Food.
• 34 •
Le patate
Nella coltivazione precoce o primaticcia, le regione è collocata al 3° gradino su scala nazionale, dopo Sicilia e Campania. Secondo l’ultimo dato disponibile (2013), i circa 1900 ettari
hanno fornito oltre 332 mila quintali di tuberi. Tra le cultivar di
pregio, la Siglinde, riconosciuta DOP col nome di Patata novella
di Galatina.
Le insalate
Nel 2013, coltivazioni e produzioni di lattuga e di indivia
(riccia e scarola) sono risultate “dominanti” in Italia grazie ai
4.500 ettari della prima ed agli oltre 3.000 della seconda, e con
quantitativi per ambedue vicini al 30% di quelli nazionali.
Funghi coltivati
Da poco più di un ventennio, in Puglia si sono sviluppate
aziende specializzate nel settore della funghicoltura con la coltivazione e distribuzione di composto incubato per la produzione del cardoncello (Pleurotus eringii ), selezionati direttamente
dall'habitat naturale della zona dell’Alta Murgia. Com’è noto,
il cardoncello è un prelibato fungo che cresce spontaneo nella
Murgia.
Impianti moderni, altamente tecnologici e funzionali, permettono la gestione di cicli produttivi molto brevi e attivi tutto
l'anno, utilizzando tecniche di coltivazione che, partendo dall'utilizzo di un sottoprodotto eccellente come la paglia, consentono la preparazione di substrati che permettono la produzione
scalare dei funghi. La maggior parte delle aziende produttrici
sono localizzate in comuni della Murgia barese (Gravina in Puglia e Ruvo di Puglia).
• 35 •
L’APULIA NOVA
Metafora della Puglia del futuro, l’Apulia Nova, può essere
una sorta di “mosaico”, costituito da “personaggi, figure e paesaggi”, corrispondenti a tutte le risorse alimentari, sia attualmente importanti sia futuribili. Tra i “personaggi”, le produzioni più
tradizionali, come il grano duro, l’olio, il vino, e l’uva da tavola;
entro le “figure” devono trovare posto le ciliegie, i carciofi, i
pomodori da industria e le insalate, mentre tra i “paesaggi” altre produzioni suscettibili di affermarsi maggiormente in futuro,
vedi le mandorle, i fichi, i pomodori da serbo (al filo) e magari i
fichi d’India e le melagrane. Naturalmente, per la composizione
di tale “mosaico” vi sono componenti dipendenti sia dal mondo
imprenditoriale sia da quello politico. In ogni caso, è basilare
“assemblare” delle linee guida di carattere generale nell’ottica
di permettere lo sviluppo di tutte le sinergie possibili, anche con
ambiti differenti da quello agro-alimentare. Tra le “linee guida”
di carattere generale, quelle atte innanzitutto a far esprimere al
singolo prodotto alimentare la maggiore valorizzazione possibile, contando primariamente sulle sue specificità. In pratica, si
tratta di ricercare tutte le strategie capaci di far esaltare la tipicità
dei prodotti individuando, ad esempio, le possibilità di far loro
attribuire la DOP, l’IGP o il marchio STG (Specialità Tradizionale
Garantita).
Guardando ai “personaggi”, sarebbe auspicabile, ad esempio, che i pastifici situati nel territorio regionale impiegassero il
più possibile grano duro coltivato in Puglia, arrivando ad emulare le poche (due o tre) che hanno cominciato a produrre linee
di pasta realizzata utilizzando “esclusivamente” con grano duro
pugliese; ancora meglio, le aziende potrebbero pensare alla realizzazione di “pasta IGP”, specialità ancora non presente nell’Apulia, già esistente, invece, in altre come la Campania. Per quanto concerne l’olio ed il vino, sta “scivolando” meglio il primo,
grazie all’inserimento obbligatorio in etichetta dell’origine delle
olive, deciso dalla Comunità Europea, mentre vanno abbastanza bene le cose per i vini di qualità che possono fregiarsi della
DOP, come DOCG o DOC, o dell’IGP. Ma entrambi i prodotti
potrebbero andare in maniera ancora più apprezzabile, nel caso
fossero ricercate e realizzate maggiori sinergie mediante la costituzione di consorzi di tutela, magari imitando quelli più coesi del
“mondo delle mele” (Melinda, Amélie, Marlene, ecc.). Stesso
discorso può essere utile anche per l’uva da tavola, la cui offerta
andrebbe maggiormente accorpata. Così facendo, per tutte e
tre questi “personaggi”, sussisterebbero migliori condizioni fa• 36 •
vorevoli per stringere accordi più efficienti e remunerativi con
la GDO (Grande Distribuzione Organizzata), da qualche tempo
più sensibile alle produzioni locali, ma che notoriamente richiede grandi disponibilità di prodotto, dilazionato in tempi adeguatamente opportuni.
Nel campo delle “figure”, cioè di altre produzioni in cui la
Puglia è ai primi posti in fatto di superfici e produttività, sarebbe
opportuno e molto più conveniente la costituzione di un consorzio unico di produttori ad esempio della ciliegia della varietà
Ferrovia. Per il pomodoro pelato della Capitanata, è auspicabile
riesca il tentativo in atto da parte dell’ANICAV (Associazione
Nazionale Industriali Conserve Alimentari Vegetali) di farlo riconoscere come IGP. Riguardo ai carciofi, probabilmente sarebbe
da “accarezzare” da parte dei produttori di San Ferdinando di
Puglia, l’idea di richiedere l’assegnazione del marchio IGP, considerata l’ultracinquantennale Fiera che si tiene in quella località.
Relativamente alle insalate, certamente ci sono margini per una
migliore valorizzazione, magari tentando anche in questo il riconoscimento IGP.
Tra i “paesaggi”, le mandorle
stanno riprendendo quota, grazie all’alta qualità delle varietà
tradizionali pugliesi; ma è necessario andar ben oltre il solo “scudetto” di Presidio Slow Food
assegnato ai frutti della cultivar
Toritto, mediante anche in questo caso la costituzione di un consorzio che accorpi e valorizzi anche altre varietà, ad esempio
come la Filippo Ceo. Per i fichi d’India, un futuro positivo abbastanza prossimo è probabilmente nel ricalcare l’esempio delle
coltivazioni specializzate già in atto da tempo in Sicilia, dove i
frutti sono riconosciuti come Fichi d’India dell’Etna DOP. La produzione di melagrane coltivate in modo specializzato, che si sta
affacciando molto lentamente in Puglia grazie ad alcuni vivaci
imprenditori, potrebbe aumentare in misura significativa, sotto
la spinta della conoscenza delle sue grandi proprietà salutistiche
da un lato e dalla disponibilità di macchine in grado di sgranare
i frutti dall’altro; la GDO è, infatti, già pronta ad accogliere i succhi oltre che i frutti sani, nell’attesa che le macchine sgranatrici
diventino meno costose: l’offerta dei frutti sgranati e confezionati in vaschette, infatti, è praticamente assente in Puglia, ma
potrebbero arrivare a “volare” in tempi brevissimi. Ancora, si
• 37 •
potrebbero creare spazi di un certo interesse sia per prodotti di
nicchia, come le carote di Tiggiano e di Polignano (già Presidio
Slow Food), la “patata” leccese, la cicoria brindisina, i barattieri
ed i caroselli, tra cui quello il Mezzo lungo di Polignano, ambedue considerati alla stregua dei cetrioli, ed i mùgnuli”, una specie
di mini boccoli coltivati negli orti Salentini.
Ma ad avvalorare e rendere sempre più efficiente il “mosaico”, senz’altro concorrono altre e numerose componenti extra
agricole collegate al mondo culturale, scientifico, imprenditoriale e politico, tutte in grado valorizzare in senso lato il “mosaico”, qualora messe in campo per sviluppare tutte le sinergie possibili. Tra i tanti pensabili contributi, quello del mondo culturale
che dovrebbe travasare nelle scuole e nel pubblico una maggiore
conoscenza dell’alimentazione, delle caratteristiche qualitative
dei prodotti pugliesi, grandi partner della famosa “Dieta Mediterranea”; ancora, attraverso studi storici atti all’individuazione
di nuove opportunità, allo scopo di aumentare il paniere dei
prodotti DOP ed IGP e tipici in genere. La ricerca scientifica potrebbe scoprire nuove virtù salutistiche e/o terapeutiche in grado
di esaltare taluni prodotti, permettendo al mondo imprenditoriale di ideare alimenti funzionali, ad esempio con un maggior
contenuto di vitamine, e nutraceutici, cioè capaci contemporaneamente di nutrire e dare una mano nella cura di alcune malattie; inoltre, sempre l’attività di ricerca potrebbe permettere
“salti” importanti in fatto di tecnologie alimentari. Un ulteriore
ambito di sviluppo per i prodotti locali può derivare imitando
• 38 •
il modello denominato “Agricatering”, un recentissimo esempio
di Progetto pilota avente l’obiettivo di valorizzare i prodotti
locali, consistente nel preparare ed offrire ai clienti rinfreschi e
buffet a “chilometro zero”; tale modello è stato realizzato per la
prima volta in Toscana dalle “Donne in Campo” di Lucca, l’associazione della Confederazione Italiana Agricoltori che raccoglie
le donne imprenditrici del mondo dell’agricoltura. L’originale
iniziativa prevedeva l’offerta di servizi di catering a filiera corta,
dove tutto nasceva direttamente dal lavoro nei campi, senza intermediazione. I buffet venivano preparati utilizzando “prodotti
tutti autenticamente lucchesi”. Tra i molteplici vantaggi, quello
di far capire ciò che si può realizzare con le produzioni locali e di
stagione, permettendo il riappropriarsi delle “tipicità del gusto
e dei sapori”, e di educare i consumatori, soprattutto i giovani, ai prodotti autoctoni. Per di più, risulta possibile supportare
la tipicità ed il mantenimento della biodiversità ed il rapporto
diretto fra chi produce e chi consuma; ancora, viene ad essere
valorizzata anche la significativa scelta fatta per la parte più prettamente operativa e, cioè, l’aver cucinato i piatti nell'agricatering che è allocato proprio nell’azienda agricola, proponendo e
promuovendo un’innovativa forma di integrazione al reddito e
contribuendo anche a combattere la crisi economica, in quanto
fonte pure di un nuovo sbocco professionale.
Per quanto concerne il mondo politico pugliese, l’ottima
idea della costituzione marchio “Prodotti di Qualità di Puglia”,
marchio di qualità con indicazione di origine per valorizzare i
prodotti agricoli ed alimentari, andrebbe “rivitalizzata” con più
vigore e diffusa in modo più capillare, specialmente nelle scuole,
accrescendo anche la sensibilità dei servizi di ristorazione ai prodotti pugliesi. Per quello che è possibile, andrebbero incoraggiati
gli accordi di filiera tra il mondo produttivo e quello della trasformazione e della commercializzazione; in tale maniera, i produttori avrebbero maggiori garanzie riguardo al collocamento
della loro produzione e del prezzo di vendita, mentre le aziende
trasformatrici potrebbero contare sulla disponibilità di una produzione rientrante in specifiche qualitative concordate a priori,
consone alle proprie esigenze, potendo contemporaneamente
risentire meno delle oscillazioni, talvolta negative, dei prezzi
delle materie prime da acquisire fuori regione, in Italia e/o nei
mercati internazionali. Ancora, attraverso interventi pubblici mirati, le risorse alimentari regionali in genere dovrebbero essere
spinte maggiormente nell’ambito turistico, coinvolgendo molto di più gli albergatori ed i
ristoratori, questi ultimi veri protagonisti della gastronomia.
• 39 •
È inconcepibile che nei ristoranti i “piatti tipici” siano preparati
con materie prime non prodotte in Puglia! Come pure, sulle tavole dei ristoranti devono essere poste bottigliette di olio pugliesi, e
proposti vini locali, favorendo accordi tra i produttori ed i ristoratori stessi. Il turismo enogastronomico, com’è noto, identifica il
cibo di una determinata regione come espressione della sua cultura e, quindi, come attrazione turistica. I consumi turistici possono
essere un’opportunità per i coltivatori della zona per aggiungere
valore aggiunto ai propri prodotti agricoli, contribuire a difendere dalle minacce di una crescente globalizzazione alimentare
alcune produzioni tipiche, sia agricole che dell’industria di trasformazione, e persino fare da volano per una loro distribuzione su
vasta scala. Naturalmente, sono necessari interventi come quello
di attivare network per valorizzare congiuntamente le tradizioni
enogastronomiche con quelle culturali che, di solito, non si fondono spontaneamente. Un ulteriore passo potrebbe essere quello
di migliorare il marketing offrendo ai clienti, dei ristoranti e degli
alberghi, mini depliant che illustrano le caratteristiche, la storia e
quant’altro dei prodotti locali e/regionali.
A livello politico europeo, poi, andrebbero “centuplicati” gli
sforzi per colmare un notevole “vuoto” legislativo concernente
l’etichettatura degli alimenti, affinché venga indicato in etichetta
il luogo di origine delle materi prime che hanno costituito il prodotto, informazione “nascosta” ai consumatori; in altri termini, le
norme attualmente vigenti consentono agli imprenditori italiani,
pugliesi compresi, di produrre alimenti utilizzando materie prime importate da qualsiasi parte del mondo, e di “spacciarle” per
Made in Italy. È pertanto “moralmente urgentissimo” che, come
è stato fatto per l’olio extra vergine di oliva, anche per tutti gli
altri alimenti venduti nell’Unione Europea sia almeno riportata in
etichetta la nazione di origine delle materie prime! Un etichetta
“veritiera”, consentirebbe un’informazione più corretta dei consumatori e darebbe certamente maggiore forza sui mercati nazionali
ed esteri ai produttori pugliesi ed italiani che ricorrono a materie
prime regionali o almeno italiane.
In definitiva, grano, olio, vino, legumi, e tanti altri prodotti
pugliesi, anche se di nicchia, possono consentire la creazione di
un’Apulia Nova, costituita da un “mosaico”, le cui tessere tradizionali, attuali e futuribili risultino in grado di dare nuovi slanci in
termini di iniziative imprenditoriali e politiche, capaci di influire
positivamente sull’economia regionale, e di riflesso sul suo settore
occupazionale. Molti dei prodotti regionali “sono dei veri e propri gioielli”, da vendere quindi a prezzi adeguati e nei mercati in
grado di accoglierli, mettendo in giusto risalto il lavoro di quelle
aziende pugliesi che, rispettando la “vocazionalità” dei territori,
• 40 •
si impegnano nel praticare un’agricoltura “sostenibile” e nel ricercare la “salubrità delle produzioni”, sottostando al controllo delle
filiere produttive.
Per quanto concerne l’economia, è abbastanza banale ricordare che incentivando i consumi dei prodotti fatti utilizzando esclusivamente materie prime di origine regionale, verrebbero ad essere
premiate le aziende che si impegnano in tale senso, e contemporaneamente si attiverebbe maggiormente un meccanismo virtuoso
di “circolazione interna di lavoro e di denaro”, evitando un altrettanto ovvio “dissanguamento” di euro a favore di produttori che
preferiscono utilizzare materie prime “esotiche”. Relativamente
all’ambiente, poi, e valido per tutti, è abbastanza palese come
più i consumatori acquisteranno alimenti preparati con materie
prime locali, minori saranno sia gli impieghi energetici sia le emissioni di CO2 emesse per fare arrivare sulle nostre tavole prodotti
extra-regionali, specialmente se esteri, addirittura da continenti
lontani come l’Australia: è anche così che si può “rinverdire” quel
bellissimo concetto degli “alimenti a km zero”, purtroppo messo
nel dimenticatoio.
Pasquale Montemurro
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• 45 •
di Maria Teresa, Candida
e Antonella Colucci
La Società agricola Apuliense prende nome da una rara, piccola moneta medievale d'argento, l’Apuliense, appunto, coniata
dal re normanno Guglielmo II.
È una azienda giovane, tutta al femminile, nata dalla volontà
delle sorelle Thea, Candida ed Antonella Colucci, per realizzare
in un appezzamento di circa 30 ha, completamente recintato,
appartenente da molte generazioni alla famiglia della madre
Laura dell’Erba, un’oasi di rispetto, di cura e di amore per la
natura, al fine di salvaguardarne la ricchezza in biodiversità ed il
rispetto per l'ambiente.
L’Azienda è sita sulla strada provinciale Castellana-Alberobello,
in una ampia contrada il cui antico nome Pisciamieru (= *****
vino) derivava dai grandi e vigorosi vigneti che interamente la
popolavano e dall’abbondanza della produzione di uva e di
vino della cultivar Primitivo di Gioia.
• 46 •
Nella terra
dell'imperatore Federico II (Puer Apuliae)
nel cuore
del territorio dei trulli e delle grotte...
Nell’azienda Apuliense è praticata esclusivamente un’agricoltura di tipo integrato, con utilizzo di concimi naturali al fine di
ottenere prodotti (frutta e verdure fresche, olio e vino) dalle
eccellenti caratteristiche.
Particolare attenzione è stata posta alla salvaguardia delle specie spontanee e delle coltivazioni tipiche locali. Per tale motivo
è stata ripristinata la coltivazione della vite, e contemporaneamente la produzione di vino, della varietà Primitivo di Gioia, e
sono state recuperate due cultivar di origine campana, l’Aglianico dei Borboni e l’Aglianicone, giunte e trapiantate in questi
terreni oltre 110 anni fa. Il DNA del nostro Aglianico è stato
oggetto di studio da parte dell’Università Federico II di Napoli,
in quanto specie pressoché estinta nella sua regione di origine.
• 47 •
Per le loro caratteristiche, i nostri due vini, unico prodotto
presentato ad Expo 2015, e limitatamente all’annata 2013, in
rappresentanza della nostra azienda, hanno incontrato notevole
e favorevole accoglienza di pubblico e di someliers.
Il Primitivo,
denominato "Re Tancredi",
è intenso - consistente - rosso
rubino - con sentore di frutti
rossi (quale la ciliegia sottospirito - la carruba) - speziato
(pepe nero) - sentori balsamici
- equilibrato - abbastanza tannico - abbastanza sapido - caldo - abbastanza morbido - un
vino di corpo, con retrogusto
prolungato e fruttato!
Ben si adatta a piatti di carne
alla brace e zuppe di legumi.
L'Aglianico,
denominato "Ladislao": rosso
rubino con riflessi violacei limpido - consistente intenso al naso presenta sentori floreali di viola e fruttati di prugna
- note balsamiche - sentori di
pellame e cuoio ovvero i terziari - cioccolato - caldo - tannico - sapido - morbido equilibrato - di corpo - giovane.
Si sposa con selvaggina e formaggi stagionati.
• 48 •
di Maria Teresa, Candida
e Antonella Colucci
SOCIETÀ AGRICOLA
APULIENSE
Via Alberobello, 140
70013 Castellana Grotte - (BA) Italia
+39 080 5484317
+39 328 7966767
[email protected]
www.apuliense.it
www.terredicaanthea.it
• 49 •
• 50 •
Fin dal 1959, anno della sua fondazione, la Società Cooperativa Cantine Lizzano rappresenta il punto
d’incontro tra l’antica cultura vignaiola della nostra terra,
fatta di rispetto dei ritmi della vigna, di un patrimonio di
pratiche contadine tramandate dai nostri avi e le moderne
tecniche di vinificazione. I frutti di questa unione sono i
nostri vini, vini dalla grande eleganza e con il carattere
della tipicità.
La cooperativa è composta da oltre 400 soci vignaioli e da oltre 500 ettari di vigneti, per lo più vitigni
autoctoni, primitivo, negroamaro, malvasia, moscato ma
anche tanti vitigni internazionali, come lo chardonnay, il
pinot e cabernet. In un bicchiere del nostro vino così si
concretizza l’immagine dell’incontro tra il consumatore e
il produttore, ovvero la cosiddetta “filiera corta”, che da
noi costituisce una realtà da oltre cinquant’anni. Questa
intuizione allora avuta da Luigi Ruggieri, il fondatore,
è ancora oggi perseguita e voluta dall’attuale presidente
della cooperativa Rita Macripò e dai soci.
I nostri vini ereditano la loro tipicità da questa antica terra, l’alto Salento, culla e crocevia di antiche civilità
come i messapi, i greci e bizantini, stretta tra il mar Ionio e
l’A driatico, baciata avidamente dal sole, agitata da venti
contrari che filtrano tra i muretti a secco, che liberano i
profumi della macchia mediterranea, degli ulivi secolari
e dei campi appena falciati: è qui che radicano le proprie
radici i nostri vigneti.
• 51 •
PRIMITIVO DI MANDURIA
D.O.P Mantemanco
Dolce naturale (Linea Ho.Re.Ca).
Tipologia vino:
Denominazione di Origine Protetta
Colore:
Vino rosso
Vitigni:
Primitivo
Tipo d’impianto:
Alberello
Età media dei vigneti:
60 anni
Altitudine:
40 mt slm
Zona di produzione:
Comuni di Lizzano e Faggiano
Suolo:
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Epoca di vendemmia:
Fine settembre
Resa media uva per ettaro: 40 quintali per ettaro
Vendemmia:
Appassimento delle uve sulla
pianta, raccolta a mano in cassette
di plastica
Vinificazione:
Diraspatura e pigiatura soffice
delle uve, macerazione in
serbatoi in acciao a temperatura
termocontrollata (23-25°C)
per 10-15 giorni, con lieviti
indigeni selezionati
Affinamento:
6-8 mesi in botte grande di rovere
francese, poi in acciaio
Gradazione alcolica:
14,00° + 3% vol.
Caratteristiche
organolettiche:
Colore rosso rubino intenso con
riflessi granati, profumo persistente
e complesso, con sentori di frutti
surmaturi che ricordano la confettura di ciliegie e i fichi secchi con
leggere note speziate il corpo di
tutto rispetto, avvolge piacevolmente il palato con sensazioni mielate
mitigate da una giusta acidità
Abbinamenti:
Vino da meditazione, trova un
ottimo equilibrio con formaggi dal
gusto deciso e stagionati, con pasticceria secca a base di mandorle,
crostate di frutta
Temperatura di servizio: 18-20°C
Natural sweet. (Ho.Re.Ca. Line)
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Average yield grapes:
Harvest:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
Denominazione di Origine Protetta
Red
Primitivo.
Alberello
About 60 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Land of Lizzano and Faggiano
End of september
40 quintals for hectars
After withering on the plant, hand
harvested in plastic crate
Destemming, soft grape crushing,
macation in tank stainless steel at
thermo-controlled temperature (2226°C). About 10 days, with selected
autochthonous yeasts
In big barrel of french oak for 6-8
months, than instainless steel tanks.
14,00° + 3% (residue of sugar)
Notes intense ruby red, with garnet
reflections; persistent and complex
to the nose, with notes of maturefruits which recall cherry jam and
dry figs; slightly spicy. The full body
gives the mouth some pleasant
honeyed sensations, supported by a
good acid structure
Meditation wine. Excellent with
savoury and matured cheeses
Dry almond cakes, fruit tarts
About 18-20°C
• 52 •
PRIMITIVO DI MANDURIA
D.O.P Manonera
Tipologia vino:
Colore:
Vitigni:
Tipo d’impianto:
Età media dei vigneti:
Altitudine:
Zona di produzione:
Suolo:
Epoca di vendemmia:
Vendemmia:
Vinificazione:
Affinamento:
Gradazione alcolica:
Caratteristiche
organolettiche:
Abbinamenti:
Temperatura di servizio:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
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Denominazione di Origine
Protetta
Vino rosso
Primitivo
Alberello
50 anni
40 mt slm
Comuni di Lizzano e Faggiano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Seconda metà di settembre
Lieve appassimento delle uve sulla
pianta, raccolta a mano in cassette
di plastica
Diraspatura e pigiatura soffice
delle uve, macerazione in serbatoi
in acciao a teperatura termocontrollata (23-25°C) per 10-15 giorni,
con lieviti indigeni selezionati
6 mesi in botte grande di rovere
francese e 6 mesi in tonneau
15,50° vol.
Colore rosso rubino intenso,
profumo ampio e complesso,
fruttato, con sentori di prugne,
confettura di ciliegia e chiodi di
garofano, leggermente speziato.
Vino di grande corpo, morbido
e ricco di tannini nobili, con un
finale che regala note di cacao
e vaniglia
Carni rosse, selvaggina, primi
piatti robusti
Vino da meditazione
16-18°C
Denominazione di Origine Protetta
Red
Primitivo
Alberello
About 50 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Land of Lizzano and Faggiano
Second half of september
Light drying of grapes still on the
plant, hand harvested in plastic
crate
Destemming, soft grape crushing,
maceration in tank stainless steel
at thermo-controlled temperature
(22-26°C)
About 10-15 days, with selected
autochthonous yeasts
About 6 months in oak french
burrels and 4-6 months in tonneau
15.50° vol.
Intense ruby red colour, wide and
complex to the nose, fruity, with a
prune and cherry jam aroma, with
notes of clove, slightly spicy
A full-bodied wine, soft and rich in
fine tannins, with notes of cocoa
and vanilla in the end
Red meat, game, savoury first
courses. Meditation wine
About 16-18°C
NEGROAMARO LIZZANO
D.O.P Manorossa
Tipologia vino:
Colore:
Vitigni:
Tipo d’impianto:
Età media dei vigneti:
Altitudine:
Zona di produzione:
Suolo:
Epoca di vendemmia:
Vendemmia:
Vinificazione:
Affinamento:
Gradazione alcolica:
Caratteristiche
organolettiche:
Abbinamenti:
Temperatura di servizio:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
Denominazione di Origine Protetta
Vino rosso
Negroamaro
Alberello
50 anni
40 mt slm
Comuni di Lizzano e Faggiano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Seconda settimana di ottobre
Lieve appassimento delle uve sulla
pianta, raccolta a mano in cassette
di plastica
Diraspatura e pigiatura soffice
delle uve, macerazione in serbatoi
in acciao a teperatura termocontrollata (23-25°C) per 14-18 giorni,
con lieviti indigeni selezionati
6 mesi in botte grande di rovere
francese e 6 mesi in tonneau
13,50° vol.
Colore rosso rubino intenso con
riflessi porpora, profumo ricco e
complesso, con note di frutti di
bosco di ciliegia matura e amarena
e note speziate. Vino di grande
corpo, morbido e armonico, ricco
di tannini nobili, con un finale
piacevolmente persistente
Primi piatti robusti, carni rosse,
selvaggina, formaggi pecorini
stagionati. Vino da meditazione
16-18°C
Denominazione di Origine Protetta
Red
Negroamaro
Alberello
About 50 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Land of Lizzano and Faggiano
Second week of october
Light drying of grapes still on the
plant, hand harvested in plastic
crate
Destemming, soft grape crushing,
maceration in tank stainless steel at
thermo-controlled temperature
(22°-26°C) about 14-18 days, with
selected autochthonous yeasts
About 6 months in oak french burrels and 4-6 months in tonneau.
13,50° vol.
Intense ruby red colour with purple
reflections, wide and complex to the
nose, fruity, with scent of black
cherry and soft fruit, with notes of
spicies a full-bodied wine, soft and
balanced, rich in fine tannins, with a
pleasantly long lasting finish
Savoury first courses, red meat,
game, pecorino cheese
Meditation wine
About 16-18°C
• 54 •
PASSITO DI MOSCATO
del Salento
Tipologia vino:
Colore:
Vitigni:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Altitudine:
Zona di produzione:
Suolo:
Epoca di vendemmia:
Vendemmia:
Vinificazione:
Affinamento:
Gradazione alcolica:
Caratteristiche
organolettiche:
Abbinamenti:
Temperatura di servizio:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served:
Serving temperature:
• 55 •
Indicazione Geografica Tipica
Bianco
Moscato
Spalliera, guyot
5.000 viti per ettaro
8 anni
30 mt slm
Comune di Lizzano, vigneti selezionati a ridosso del litorale jonico, in
Contrada Porvica, in una micro zona
contraddistinta da un clima caldoarido, particolarmente vocata per la
produzione di passiti
Misto franco sabbioso
Metà settembre
Appassimento delle uve sulla
pianta, raccolta a mano in cassette
di plastica
Ulteriore appassimento delle uve
su graticci, diraspatura e pigiatura
soffice delle uve, macerazione in
serbatoi in acciao a teperatura
controllata di 15-18°C
Resa uva-mosto del 30%
A fine fermentazione il vino
presenta un residuo degli zuccheri
determinato dall’elevato contenuto
degli stessi nelle uve utilizzate
Acciaio
13,50° + 12,5% vol. di zuccheri
Color oro con riflessi ambrati, dai
profumi intensi e complessi,
ritroviamo i fiori d’arancio, la rosa
e la frutta candita, albicocca, note
di miele e fichi secchi. In bocca è
avvolgente e delicato, equilibrato,
con una lunga persistenza ma con
una chiusura non sbilanciata sulla
dolcezza e che lascia una leggera
nota di mandorla
Formaggi di pecora e capre, dolci
della tradizione mediterranea,
pasticcini alle mandorle e crostata
alla frutta
12-15°C.
Indicazione Geografica Protetta
Salento
White
Moscato
Spalliera, guyot
5.000
8 years old
30 mt amsl
Medium texture sandy
Lizzano selected vineyards near
the ionian coast, in “Porvica” small
district and very hot area, ideal for
the production of sweet wines
Mid september
After withering on the plant, hand
harvested in plastic crate
Further drying of grapes on
“graticci”, destemming, soft
grape crushing, then fermented at
controlled temperature stainlesssteel tanks 15-18°C, the yield of the
grape-must is 30%
In stainless steel
13,50° + 12.5% vol. of sugar
Colour yellow gold with amber
reflections colour, intense and complex aroma, like oranges-flower,
rose, candied-citrus, aprcot.
Dried figs ant note of honey. In
the mouth is mellow and velvety,
enveloping but no sicklyeeend with
almond note
With excellent sheep’ss and goat’s
milk cheese; also with dessert or
drunk alone
12-14°C
CHARDONNAY
del Salento
Tipologia vino:
Colore:
Vitigno:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Zona di produzione:
Suolo:
Altitudine:
Epoca di vendemmia:
Metodo di vendemmia:
Vinificazione:
Gradazione alcolica:
Caratteristiche
organolettiche:
Abbinamenti:
Temperatura di servizio:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Wines per ha:
Growing systems:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
Indicazione Geografica Tipica
Bianco
Chardonnay
Spalliera, guyot
4.000 viti per ettaro
15 anni
Lizzano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
40 mt slm
Seconda settimana di agosto
Raccolta manuale
Premacerazione a freddo per 12 h
e successiva fermentazione alcolica
in acciaio a 15-16°C
Affinamento in acciaio
13,00° vol.
Colore giallo paglierino con riflessi
dorati. I profumi sono molto
intensi con delle piacevoli note
floreali la ginestra e il tiglio, frutta
a polpa bianca come la banana e
l’ananas. Gusto persistente e molto
fresco con un finale leggermente
erbaceo. Buona acidità e struttura
Ottimo con antipasti di pesce
crudo, crostacei, primi piatti
e arrosti di pesce. Formaggi giovani
a pasta tenera
8-10°C
Indicazione Geografica Protetta
Salento.
White.
Chardonnay.
4.000.
Spalliera, guyot.
15 years old.
40 mt amsl.
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”.
Lizzano.
Second week of august.
Hand harvested.
Skin contact for 12 h, then
destemming followed by alcoholic
fermentation in stainless-steel
tanks at 15-16°C.
In stainless steel.
13,00° vol.
Straw yellow colour with golden
reflections, floreal note as broom
and linden, white fruit like banana
and pineapple. It has a lingering
and very fresh taste with a slightly
herbaceous finish. Good acidity
and good structure.
Excellent with fish entrées,
flavoured raw fish, shellfish, all fish
dishes, fresh cheese.
8°-10°C.
• 56 •
BIANCO DEL SALENTO
IGP frizzante “Dioniso”
Tipologia vino:
Colore:
Vitigno:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Zona di produzione:
Suolo:
Altitudine:
Epoca di vendemmia:
Metodo di vendemmia:
Vinificazione:
Gradazione alcolica:
Caratteristiche
organolettiche:
Abbinamenti:
Temperatura di servizio:
Name wine:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Production area:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Temperature:
• 57 •
Indicazione Geografica Tipica
Bianco
Pinot Bianco 20%, Trebbiano 40%,
Chardonnay 40%
Spalliera, guyot
4.000 viti per ettaro
20 anni
Lizzano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
40 mt slm
Ultima settimana di agosto
Raccolta manuale
Premacerazione a freddo per 12 h
e successiva fermentazione
alcolica in acciaio a 15-16°C. Rifermentazione in autoclave (metodo
charmat)
11,00° vol.
Colore giallo paglierino, brillante,
con perlage abbastanza fine e
persistente. Aroma intenso con
sentori fruttati ed erbacei.
Molto fresco e di facile beva
Ottimo come aperitivo, primi piatti
e fritture di pesce
6-8°C
Sparkling White Wine
of salento Masseria Canulli
Indicazione Geografica Tipica
White
Pinot Blanc 20%, Trebbiano 40%,
Chardonnay 40%
Lizzano-Salento-Puglia
Spalliera, guyot
4.000
20 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Last week of august
Hand harvest
Skin contact for 12 h, then
destemming followed by alcoholic
fermentation in stainless-steel
tanks at 15-16°C, re-fermentation in
autoclave (charmat method)
11,00° vol.
Soft straw yellow colour, brilliant,
with quite fine and persistent
perlage. Intense aroma with fruit
and gassy scent. Very fresh and
easy drink
Excellent with aperitif, fried fish
and fish first courses
6-8°C
LIZZANO ROSATO
D.O.P Masseria Porvica
Tipologia vino:
Denominazione di Origine
Protetta (Linea ho.Re.Ca)
Rosato
Negromaro 70%,
Montepulciano 30%
Tipo d’impianto:
Spalliera, guyot
Densità d’impianto:
5.000 viti per ettaro
Età media dei vigneti:
30 anni
Zona di produzione:
Lizzano, Faggiano
Suolo:
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Altitudine:
40 mt slm
Epoca di vendemmia:
Terza settimana di settembre
Metodo di vendemmia: Raccolta manuale
Vinificazione:
Svinatura parziale del mosto,
dopo macerazione di qualche ora,
successiva fermentazione in bianco.
Affinamento in acciaio.
Gradazione alcolica:
12,50° vol.
Caratteristiche
organolettiche:
Colore rosa cerasuolo e cristallino,
profumo intenso e persistente con
note di ciliegia, rosa e melagrana.
Al palato fresco ed equilibrato
Abbinamenti:
Ottimo antipasti all’italiana, zuppa
di pesce, pesce al cartoccio o al forno, formaggi giovani o leggermente
stagionati
Temperatura di servizio: 12-14°C
Colore:
Vitigni:
Name wine:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Production area:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
Lizzano Rosè Dop
“Masseria Porvica” (Ho.Re.Ca. Line).
Denominazione di Origine Protetta.
Rosè.
Negroamaro 70%,
Montepulciano 30%.
Spalliera, guyot.
5.000.
30 years old.
40 mt amsl.
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”.
Lizzano.
Third week of september.
Hand harvested.
Lizzano-Salento-Puglia.
Hand harvest.
Skin contact for few hours, then
partial drawing off the must, and
finally the same fermentation as
white wine.
In stainless steel tanks.
12,50° vol.
Deep rosè and crystal clear, intense
and persistent bouquet, with cherry,
rose and pomegranate notes.
Fresh and balanced to the mouth.
Excellent with italian style starters,
fish soups, roasted or baked in foil
fish, fresh or slightly aged cheeses.
12-14°C.
• 58 •
PRIMITIVO DI MANDURIA
DOP Macchia
Tipologia vino:
Colore:
Vitigno:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Altitudine:
Zona di produzione:
Suolo:
Zona di produzione:
Epoca di vendemmia:
Metodo di vendemmia:
Vinificazione:
Affinamento:
Gradazione alcolica:
Caratteristiche
organolettiche:
Abbinamenti:
Temperatura di servizio:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served:
Serving temperature:
• 59 •
Denominazione di Origine
Protetta (Linea Ho.Re.Ca)
Vino rosso
Primitivo
Spalliera, guyot
5.000 viti per ettaro
30 anni
40 mt slm
Comuni di Lizzano e Faggiano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Lizzano, Faggiano
Seconda settimana di settembre
Raccolta manuale
Macerazione termocontrollata
di circa 7-10 giorni, fermentazione
alcolica
5-6 mesi in botte grande di rovere
francese, poi in acciaio
14,50° vol.
Colore rosso rubino, arricchito da
riflessi granati, profumo generoso
che rimanda a frutta matura che
ricordano la prugna e l’amarena,
frutta secca, con leggere note
vaniglia. Vino di struttura notevole,
ammorbidito dal suadente calore
del primitivo, che termina in note
di lunga dolcezza
Primi piatti robusti, carni d’agnello,
cacciagione con salse elaborate,
formaggi a pasta dura
16-18°C
Denominazione di Origine Protetta
(Ho.Re.Ca. Line)
Red
Primitivo
Spalliera, guyot
5.000
About 30 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Lizzano, Faggiano
Second week of september
Hand harvest
Thermo-controlled maceration for
about 7-10 days, alcoholic
fermentation
Maturation in big barrel of french
oak for 5-6 months, stainless
steel tanks
14,50° vol.
Ruby red colour, enriched with
garnet reflections, a generous
perfume, which recalls ripe plums
and black cherry, dried fruits, with
soft notes of vanilla. This wine has
a velvety texture, softened by the
warmth of the primitivo grape and
ends with notes of persistent
sweetness
Excellent with savoury first courses,
lamb and game with rich sauces,
hard cheese
16-18°C
PRIMITIVO ROSSO
del Salento I.G.P.
Tipologia vino:
Indicazione Geografica Protetta
(Linea Ho.Re.Ca)
Vino rosso
Primitivo
Spalliera, guyot
5.000 viti per ettaro
20 anni
40 mt slm
Comuni di Lizzano e Faggiano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Epoca di vendemmia:
Prima settimana di settembre
Metodo di vendemmia: Raccolta manuale
Vinificazione:
Macerazione termocontrollata
di circa 7-8 giorni, fermentazione
alcolica
Affinamento:
In acciaio
Gradazione alcolica:
13,50° vol.
Caratteristiche
organolettiche:
Colore rosso rubino con riflessi
violacei; profumo intenso floreale
e fruttato, vino di corpo, morbido e
ben equilibrato.
Abbinamenti:
Primi piatti robusti, carni rosse e
cacciagione, formaggi stagionati
Temperatura di servizio: 16-18°C
Colore:
Vitigno:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Altitudine:
Zona di produzione:
Suolo:
Primitivo red of Salento
(Ho.Re.Ca. Line)
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
Indicazione Geografica Protetta
Red
Primitivo
Spalliera, guyot
5.000
About 20 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Lizzano, Faggiano
First week of september
Hand-picked
Thermo-controlled maceration
for about 7-8 days, alcoholic
fermentation
In stainless steel tanks
13,50° vol.
Notes deep ruby red with violet reflections; intense aroma. With notes
of floral and fruity. A full-bodied
wine, soft and balanced
Excellent with savoury first courses,
red meat and game, mature cheese
16-18°C
• 60 •
NEGROAMARO
Rosso Salento I.G.P
Tipologia vino:
Indicazione Geografica
Protetta (Linea Ho.Re.Ca)
Vino rosso
Negroamaro
Spalliera, guyot
5.000 viti per ettaro
20 anni
40 mt slm
Comuni di Lizzano e Faggiano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Epoca di vendemmia:
Fine settembre
Metodo di vendemmia: Raccolta manuale
Vinificazione:
Macerazione termocontrollata di
circa 8-10 giorni, fermentazione
alcolica
Affinamento:
In acciaio
Gradazione alcolica:
13,00° vol.
Caratteristiche
organolettiche:
Colore rosso rubino con riflessi
porpora; profumo intenso e
persistente, fruttato, con sentori
di ciliegia, ribes nero e frutti di
bosco, vino di corpo, morbido e
abbastanza fresco
Abbinamenti:
Ottimo con primi piatti robusti, carni in genere e formaggi stagionati
Temperatura di servizio: 14-16°C
Colore:
Vitigno:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Altitudine:
Zona di produzione:
Suolo:
Negroamaro red of Salento
(Ho.Re.Ca line)
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
• 61 •
Indicazione Geografica Protetta
Red
Negroamaro
Spalliera, guyot
5.000
About 20 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Lizzano, Faggiano
End of september
Hand harvest
Thermo-controlled maceration
for about 8-10 days, alcoholic
fermentation
In stainless steel tanks
12,50° vol.
Tasting notes: ruby red with purlpe
reflections, intense and persistent
aroma, with cherry, black-currant
and wild fruit scent
A full-bodied wine, soft but and
quite fresh
Excellent with savoury first courses,
all types of meat dishes and mature
cheese
14-16°C
POSEYDON ROSSO
del Salento I.G.P.
Tipologia vino:
Colore:
Vitigno:
Indicazione Geografica Protetta
Vino rosso
Negroamaro 40%, Sangiovese 30%,
Primitivo 20%, Malvasia Nera 10%
Tipo d’impianto:
Spalliera, guyot
Densità d’impianto:
5.000 viti per ettaro
Età media dei vigneti:
30 anni
Altitudine:
40 mt slm
Zona di produzione:
Comuni di Lizzano e Faggiano
Suolo:
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Epoca di vendemmia:
Seconda di settembre
Metodo di vendemmia: Raccolta manuale
Vinificazione:
Macerazione termocontrollata
di circa 7 giorni, fermentazione
alcolica
Affinamento:
In acciaio
Gradazione alcolica:
13,00° vol.
Caratteristiche
organolettiche:
Colore rosso rubino intenso, profumo intenso e ampio, con note di
frutta rossa. Vino di buona struttura
ed equilibrato
Abbinamenti:
Ottimo con affettati, primi piatti
robusti, risotti, piatti di carne leggeri
Temperatura di servizio: 16-18°C
Poseydon red of Salento IGP
(Ho.Re.Ca.Line).
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
Indicazione Geografica Protetta.
Red.
Negroamaro 40%, Sangiovese 30%,
Primitivo 20%, Malvasia Nera 10%.
Spalliera, guyot.
5.000.
About 30 years old.
40 mt amsl.
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”.
Lizzano, Faggiano.
Second half of september.
Hand harvest.
Thermo-controlled maceration
for about 7 days, alcoholic
fermentation.
In stainless steel tanks.
12,00° vol.
Deep ruby red, intense and wide
to the nose, with red fruit scent.
Fullbodied and balanced.
Excellent with sliced meats and salami, savoury first courses, “risotti”
and light meat courses.
16-18°C.
• 62 •
LIZZANO ROSSO
D.O.P Malvasia
Tipologia vino:
Denominazione di Origine Protetta
(Linea ho.Re.Ca)
Vino rosso
Malvasia
Alberello, spalliera
5.000 viti per ettaro
40 anni
40 mt slm
Comune di Lizzano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
Epoca di vendemmia:
Fine settembre
Metodo di vendemmia: Raccolta manuale
Vinificazione:
Macerazione termocontrollata di
circa 8-10 giorni, fermentazione
alcolica
Affinamento:
4-6 mesi in botte grande, acciaio
Gradazione alcolica:
13,50° vol.
Caratteristiche
organolettiche:
Colore rosso rubino intenso con
riflessi granati profumo ricco di
frutta rossa matura, ciliegie, frutti di
bosco, qualche richiamo di cannella
e vaniglia. Vino di struttura notevole, arricchito da una trama tannica
vellutata, permane a lungo con un
gradevole retrogusto
Abbinamenti:
Primi piatti robusti, carni rossem e
cacciagione
Temperatura di servizio: 16-18°C
Colore:
Vitigno:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Altitudine:
Zona di produzione:
Suolo:
Wine category:
Colour:
Wine varieties:
Growing systems:
Wines per ha:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Maturation:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
• 63 •
Denominazione di Origine Protetta
(Linea Ho.R.E.Ca)
Red
Malvasia
Alberello, spalliera
5.000
About 40 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Lizzano
End of september
Hand harvest
Thermo-controlled maceration
for about 8-10 days, alcoholic
fermentation
In big barrel of french oak for 5-6
months, stainless steel tanks.
13,00° vol.
Deep ruby red, with garnet reflections. Mature to the nose, with
red fruit, cherry, berry and a slight
cinnamon and vanilla notes. A wine
of great structure enriched with
velvet tannins and a long pleasant
aftertaste
Rich first courses, red meat and
game
16-18°C
SPUMANTE PEGASUS
Chardonnay Salento I.G.P
Tipologia vino:
Colore:
Vitigno:
Tipo d’impianto:
Densità d’impianto:
Età media dei vigneti:
Zona di produzione:
Suolo:
Altitudine:
Epoca di vendemmia:
Metodo di vendemmia:
Vinificazione:
Gradazione alcolica:
Caratteristiche
organolettiche:
Vino Spumante Indicazione
Geografica Protetta
Bianco
Chardonnay
Spalliera, guyot
4.000 viti per ettaro
15 anni
Lizzano
Misto franco sabbioso e franco
argilloso “Raciddu”
40 mt slm
Seconda settimana di agosto
Raccolta manuale
Premacerazione a freddo per 12 h
e successiva fermentazione alcolica
in acciaio a 15-16°C. Rifermentazione con metodo charmat
12,00° vol.
Colore giallo paglierino con riflessi
dorati. Perlage fine e persistente.
Bouquet fine con note floreali di
tiglio e ginestra, profumi terziari
riconducibili alla crosta di pane, dal
gusto pieno e armonico
Abbinamenti:
Ottimo come aperitivo, con antipasti e primi piatti di mare
Temperatura di servizio: 6-8°C
Wine category:
Colour:
Wine varieties:.
Wines per ha:
Growing systems:
Average vineyard age:
Altitude:
Soil:
Production area:
Harvest period:
Harvest method:
Vinification:
Alcohol content:
Tasting notes:
Best served with:
Serving temperature:
Sparkling Wine Indicazione
Geografica Protetta Salento
White
Chardonnay
4.000
Spalliera, guyot
15 years old
40 mt amsl
Medium texture sandy and clay
“Raciddu”
Lizzano
Second week of august
Hand harvested.
Skin contact for 12 h, then
destemming followed by alcoholic
fermentation in stainless-steel
tanks at 15-16°C, refermentation by
method charmat
12,00° vol
Straw yellow colour with golden
reflections, fine and persistent
perlage. Elegant bouquet with
notes floreal as broom and linden
flower and tertiary aromas which
recall bread crust. Taste is full and
harmonious
Excellent as an aperitif, with
starters and seafood dishes
6-8°C
• 64 •
GRAPPA DI NEGROAMARO
1959
Vitigno:
Provenienza:
Periodo di
distillazione:
Sistema di
distillazione:
Affinamento:
Sensazioni visive:
Sensazioni olfattive:
Sensazioni gustative:
Capacità bottiglie:
Gradazione:
Wine varety:
Marcs origin derived:
Distillation period:
Distillation:
Maturation:
Visual sensations:
Olfactory sensations:
Tasting sensations:
Bottle capacity:
Alcoholic content:
• 65 •
Negroamaro
Vinacce ricavate dalla svinatura
del “Manorossa” Negroamaro di
Lizzano D.O.P
Prima metà di ottobre
Discontinuo con caldaiette in rame
a corrente di vapore
Carati di rovere da 225 litri per
10-12 mesi
Limpida, ambrata
Ampia, avvolgente, di grande
personalità. Splendido concerto
di sensazioni nelle quali spicca la
frutta matura (albicocca, marasca),
il cacao e la vaniglia
Morbida, elegante
50 cl
40° vol.
Negroamaro
From the racking of “Manorossa”
Negroamaro of Lizzano D.O.P.
First half of october
System discontinuous system with
small steam stream copper boilers.
In 220 l oak barrels for 10-12
months
Clear, with amber re’ections.
Wide and generous perfume, with
strong personality. A wonderful
combination of sensations among
which notes of ripe fruits (apricot,
marasco), cocoa and vanilla
stand out
Smooth, elegant
50 cl
40° vol.
• 66 •
CANTINA SOCIALE
DI LIZZANO
Corso Europa, 37/39
74020 Lizzano (TA) Italia
+39 099 552013
+39 099 558326
[email protected]
www.cantinelizzano.it
• 67 •
Azienda Agricola
Raffaele
• 68 •
Settant’anni fa nel cuore della Murgia barese, sulle colline
che si estendono fra Turi e Gioia del colle, Vito Donato Giuliani diede vita a questa realtà, guidata oggi da Raffaele Giuliani.
Esposizione geografica ottimale e clima favorevole permettono
ai grappoli di raggiungere il giusto grado di maturazione e di
trasferire ai vini le inconfondibili qualità specifiche del territorio,
apprezzabili nell’intenso colore rosso-violaceo che caratterizza
gli acini di PRIMITIVO e dell’ALEATICO, vitigni simbolo di questa zona viticola. L’azienda si estende su una superficie di 20 ha
nella contrada “detta sotto il canale” nei pressi dei ritrovamenti
archeologici di MONTE SANNACE. L’intero ciclo produttivo è
seguito con cura e passione per ottenere vini di qualità, dalla
raccolta effettuata ancora a mano, alla vinificazione ed infine
all’imbottigliamento dall’Enotecnico Petrelli Luca e dall’Agronomo Giuliani Vito Donato.
Seventy years ago, in the heart of murgia, on the hills from
Turi to Gioia del Colle, Vito Donato Giuliani gave birth to
this reality, today led by Raffaele Giuliani. The optimum conditions and the favourable climate allow the bunches of grapes
to reach the right level of ripening and to convey to wines the
unique qualities of territory, notable in the deep red-purple that
is characteristic of grapes of PRIMITIVO and ALEATICO, emblematic vines of thiszone. The firm extends for about 20 ha in the
region called “beneath the channel”, near the archeological region of MONTE SANNACE. The whole cycle of wine production
is controlled with care and great passion from the hand made
grape-harvesting to the wine-making in order to obtain wines of
quality. The cycle ends with the bottling, carefully made by the
oenologist Luca Petrelli and the agronomist Vito Donato Giuliani.
• 69 •
PRIMITIVO
RISERVA DOC
PRIMITIVO RISERVA DOC
Gioia del Colle
Gr 14,5% vol
Descrizione: Primitivo
Vitigno:
Primitivo 100%
Vinificazione: Macerazione prolungata a
temperatura controllata
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Rubino intenso con
riflessi aranciati
Profumo:
Ricco ed elegante con
sentori di frutta matura
Sapore:
Pieno, armonico, velluttato.
Temperatura
di servizio: 18-20°C
Abbinamenti: Ottimo con arrosti,
selvaggina, funghi e
formaggi stagionati
Description: Primitivo
Vine:
Primitivo 100%
Wine Making: Prolonged maceration at
controlled temperat
Organolettic characterist
Colur:
Intense ruby with orange
edges
Scent:
Rich and elegant with hints
of mature fruit
Taste:
Rich, harmonic, mellow
Service
Temperature: 18-20°C
Combination
with sishes: Excellent with roasts, wild
game, mushrooms and aged
cheese
• 70 •
PRIMITIVO RISERVA
“PRIMITIVO MAGNUM” DOC
PRIMITIVO RISERVA
“PRIMITIVO MAGNUM” DOC
Gioia del Colle
Gr 14,5% vol
Descrizione: Primitivo
Vitigno:
Primitivo 100%
Vinificazione: Macerazione prolungata a
temperatura controllata
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Rubino intenso con
riflessi aranciati
Profumo:
Ricco ed elegante con
sentori di frutta matura
Sapore:
Pieno, armonico, velluttato.
Temperatura
di servizio: 18-20°C
Abbinamenti: Ottimo con arrosti,
selvaggina, funghi e
formaggi stagionati
Description: Primitivo
Vine:
Primitivo 100%
Wine Making: Prolonged maceration at
controlled temperat
Organolettic characterist
Colur:
Intense ruby with orange
edges
Scent:
Rich and elegant with hints
of mature fruit
Taste:
rich, harmonic, mellow.
Service
temperature: 18-20°C
Combination
with sishes: Excellent with roasts, wild
game, mushrooms and aged
cheese
• 71 •
PRIMITIVO DOC
PRIMITIVO DOC
Gioia del Colle
Gr 14% vol
Descrizione: Primitivo
Vitigno:
Primitivo 100%
Vinificazione: Macerazione prolungata
sulle bucce
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Rubino intenso con orli
violacei
Profumo:
Aroma leggero caratteristico
con buona persistenza
Sapore:
Gradevole, pieno, armonico,
velluttato
Temperatura
di servizio: Temperatura ambiente
Abbinamenti: Indicato a tutti i primi piatti,
ottimo con arrosti,
selvaggina e funghi
Description: Primitivo
Vine:
Primitivo 100%
Wine Making: Prolonged maceration on
the peel
Organolettic characterist
Colur:
Intense ruby with violet
edges
Scent:
Subtle, characteristic with
good persistance
Taste:
Pleasant, rich, harmonic,
mellow
Service
temperature: Room temperature
Combination
with sishes: It goes well with all the first
courses. It is excellent with
roast meat, game and
mushrooms
• 72 •
PRIMITIVO DOC
PRIMITIVO DOC
Gioia del Colle “1922”
Gr 16% vol
Descrizione: Primitivo
Vitigno:
Primitivo 100%
Vinificazione: Macerazione prolungata
sulle bucce
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Rosso rubino intenso
Profumo:
Ricco ed elegante con
sentori di frutta matura:
Mora, ciliegia, frutti di
bosco
Sapore:
Pieno, armonico,
vellutato
Temperatura
di servizio: temperatura ambiente
Abbinamenti: Vino da meditazione
Description: Intense ruby
Vine:
Primitivo 100%
Wine Making: Prolonged maceration at
controlled temperat
Organolettic characterist
Colur:
Intense ruby red
Scent:
Rich and elegant with
hints of mature fruit:
Blackberry, cherry, soft fruits
Taste:
Rich, harmonic, mellow
Service
temperature: Room temperature
Combination: Meditation wine
• 73 •
Rosso
“GRAVIS” DOC
Rosso “GRAVIS” DOC
Gioia del Colle
Gr 13% vol
Descrizione: Rosso
Vitigno:
Uva di Troia 70%
Primitivo 30%
Vinificazione: Macerazione prolungata
sulle bucce
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Rosso rubino
Profumo:
Leggero caratteristico
con buona persistenza
Sapore:
Asciutto, robusto
giustamente tannico
Temperatura
di servizio: temperatura ambiente
Abbinamenti: Indicato con orecchiette
e rape e arrosti misti
Description: Red
Vine:
Uva di Troia 70%
Primitivo 30%
Wine Making: Prolonged maceration on
the peel
Organolettic characterist
Colur:
Intense ruby red
Scent:
Light characteristic
with good persistance
Taste:
Dry, strong, fair enough
tannic
Service
temperature: Room temperature
Combination
with sishes: It goes well with
orecchiette and turnips
and mixed roasts
• 74 •
Rosato
“TOPPARELLO” IGT
Rosato “TOPPARELLO” IGT
Puglia
Gr 13% vo
Descrizione: Rosato
Vitigno:
Negramaro 100%
Primitivo 30%
Vinificazione: in bianco con
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Rubino rosato
Profumo:
Aroma vinoso gradevole
persistente
Sapore:
Gradevole, asciutto,
armonico, fruttato
Temperatura
di servizio: 15 gradi
Abbinamenti: Indicato con tutti i primi
piatti, carni bianche e salumi Description: Rosè
Vine:
Negramaro 100%
Primitivo 30%
Wine Making: White, with temperature
Organolettic characterist
Colur:
Rose-coloured ruby
Scent:
Vineous, pleasant, persistent
Taste:
Pleasant, dry, harmonic,
fruity
Service
temperature: 15 C
Combination
with sishes: it goes well all the first
courses, white meat and
salami
• 75 •
Bianco
“VERZILLO” IGT
Bianco “VERZILLO” IGT
Puglia
Frizzante
Gr 11% vo
Descrizione: Bianco
Vitigno:
Malvasia 100%
Vinificazione: Pressatura soffice con fermentazione
a temperatura controllata e
presa di spuma in autoclave
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Giallo paglierino con leggeri
riflessi verdolini
Profumo:
Mela verde, fior d’arancio,
muschio e pesca
Sapore:
Asciutto, fruttato,
fresco e armonico
Temperatura
di servizio: 8-10°C
Abbinamenti: Vino che si beve giovane,
ottimo come antipasto, indicato
con crostacei e frutti di mare
Description: White
Vine:
Malvasia 100%
Wine Making: Soft pressing with
fermentation under
controlled temperature and
foam in the autoclave
Organolettic characterist
Colur:
Straw yellow with light
greenish glints
Scent:
green apple, orange
flowers, musk and peaches
Taste:
Dry, fruity, fresh
and armonic
Service
temperature: 8-10°C
Combination: Wine to be drunk young,
and excellent started,
indicated with crustaceans
and seafood
• 76 •
Bianco
“GRAVIS” DOC
Bianco “GRAVIS” DOC
Gioia del Colle
Gr 13% vol
Descrizione: Bianco
Vitigno:
Malvasia 80%
Trebbiano 20%
Vinificazione: in bianco con
temperatura controllata
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Profumo:
Giallo paglierino brillante
Sapore:
Rotondo, corposo e buona
persistenza
Delicato, caratteristico,
gradevole
Temperatura
di servizio: 12°C
Abbinamenti: Indicato con antipasti,
frutti di mare, primi piatti
e secondi di pesce
Description: White
Vine:
Malvasia 80%
Trebbiano 20%
Wine Making: White, with temperature
kept under control
Organolettic characterist
Colur:
Sparkling pale yellow
Scent:
Subtle, characteristic,
pleasant
Taste:
Round, dense and persistent
Service
temperature: 12°C
Combination: It goes well with hors
d’oeuvres, seafood,
fish courses
• 77 •
“ALEATICO” DOC
“ALEATICO” DOC
Gioia del Cole
Gr 13% + 4% vol
Descrizione: Aleatico
Vitigno:
Aleatico 100%
Vinificazione: Macerazione prolungata
Caratteristiche Organolettiche
Colore:
Rosso granato
più o meno intenso
Profumo:
Aroma leggero caratteristico
con buona persistenza
Sapore:
Dolce, pieno, vellutato
Temperatura
di servizio: Temperatura ambiente
Abbinamenti: Indicato con dessert
ed utilizzato con
pasticceria secca
Description: Aleatico
Vine:
Aleatico 100%
Wine Making: Prolonged maceration
On the peel
Organolettic characterist
Colur:
Garnet red, more
or less intense
Scent:
Subtle, light characteristic
with good persistance
Taste:
Sweet, rich, mellow
Service
temperature: Room temperature
Combination: It can be drunk as dessert it
goes well with dry pastries
• 78 •
MORETTINO
MORETTINO
Vino da tavola
Rosso, bianco, rosato
Gr 12% vol
1500 ml
• 79 •
MORETTINO
MORETTINO
Vino da tavola
Rosso, bianco, rosato
Gr 12% vol
750 ml
• 80 •
Azienda Agricola
Raffaele
AZIENDA AGRICOLA
GIULIANI RAFFAELE
Via Gioia Canale, 18
70010 Turi (BA) Italia
+39 080 8915335
[email protected]
www.vitivinicolagiuliani.com
• 81 •
• 82 •
• 83 •
• 84 •
Con le sue tante distese di oro giallo, la Puglia è da sempre
considerata il granaio d’Italia. È proprio qui che ha origine il
Senatore Cappelli, una delle varietà di grano più antiche e pregiate, che si distingue per le sue eccezionali caratteristiche organolettiche: è altamente digeribile e contiene percentuali molto
elevate di lipidi, amminoacidi, vitamine e minerali. A scoprirla
fu uno scienziato italiano che pochi ricordano, Nazareno Strampelli che, nel 1915 a Foggia, effettuò delle semine sperimentali
al fine di ottenere varietà più resistenti alle malattie. Il risultato
fu questa qualità di frumento, alta 1 metro e 80, a cui fu dato
il nome del senatore abruzzese Raffaele Cappelli, padre della
riforma agraria che ha portato, agli inizi del Novecento, alla
distinzione tra grani duri e teneri.
Molto diffusa in Puglia e in Basilicata negli anni Trenta e
Quaranta, la coltivazione di questo frumento venne progressivamente abbandonata a partire dagli anni Sessanta, in favore
di varietà non autoctone meno alte – quindi con minor rischio
di “allettamento”, ossia il piegamento del fusto a causa di vento
e pioggia – e più produttive. Un esempio è il Creso, creato nel
1974 da alcuni ricercatori che iniziarono a bombardare la più
antica varietà Cappelli con raggi Gamma, ottenendo un nuovo
tipo di grano geneticamente modificato, di dimensioni più ridotte, più adatto all’agricoltura moderna condotta con mezzi meccanici. Questa varietà, assieme alle sue discendenze, costituisce la
maggior parte della produzione di grano mondiale.
Di contro, il Senatore Cappelli non ha mai subìto le alterazioni provocate dalle tecniche di manipolazione genetica tipiche
delle attuali coltivazioni, che sacrificano gusto e proprietà nutrizionali per ottenere rese sempre più elevate.
• 85 •
Fortunatamente alcune imprese lungimiranti hanno deciso
di puntare sul recupero di questa materia prima di qualità, per
lungo tempo scomparsa dai campi. Una di queste è il Pastificio
Cardone di Fasano che ha creato in Puglia una apposita filiera
corta, biologica e certificata per la produzione di pasta dal grano
Senatore Cappelli. Questa azienda non ha una storia lunga da
raccontare, non ha una tradizione tramandata dal passato, visto
che è nata nel 2002 quando Enzo Cardone ha iniziato a produrre pasta fresca della tradizione pugliese per veicolarla nei suoi
due punti vendita; dopo pochi anni, il suo nuovo stabilimento è
diventato un riferimento nella Puglia a sud di Bari. A quel punto
il passaggio alla Grande Distribuzione sembrava quasi obbligatorio e le spire ammalianti dei grandi scaffali stavano per portare
la pasta Cardone sulla scia degli standard livellanti tanto richiesti
dai buyer. Enzo però ha deciso di seguire un percorso diverso,
investendo su un innalzamento di qualità del prodotto.
Con un finanziamento della Regione Puglia, ha portato
avanti un progetto per ricostruire l’identità originaria della pasca
fresca pugliese, arrivando alla conclusione che l’unica a potersi
definire davvero tale è quella fatta con il grano Cappelli. Così,
per questo imprenditore pioniere, è arrivata l’illuminazione: recuperare questa varietà – la vera materia prima della pasta tipica
regionale – e lanciare un nuovo prodotto per mercati di nicchia,
fuori dai canali commerciali convenzionali. Per far questo, però,
Enzo Cardone ha deciso di non limitarsi solo a produrre una
nuova pasta, ma di mettere in piedi un’intera filiera totalmente tracciabile, dal campo alla tavola. L’imprenditore pugliese ha
così coinvolto nel progetto 12 aziende agricole del territorio,
alcune situate nella Murgia, tra il canale di Pirro e la Selva di
Fasano, e altre ubicate all’interno del Parco delle Dune Costiere,
nella marina tra Fasano e Ostuni.
Una scelta non casuale, quest’ultima, se si considera che il
territorio dell’area protetta – ricco di colline con distese di campi
abbracciati da muretti a secco e caratterizzato da clima asciutto
e da una terra rossa argillosa – presenta le condizioni ideali per
l’attecchimento del cultivar Cappelli.
• 86 •
La filiera – sancita dalla sottoscrizione di un disciplinare di
produzione – è strutturata in questo modo. A monte c’è Il pastificio Cardone che ha investito in prima persona, comprando le
sementi certificate dal Centro Sperimentale della Cerealicoltura
di Foggia, seguendo le operazioni di semina e di coltivazione
ed impegnandosi ad acquistare il grano coltivato dalle aziende
agricole aderenti al patto ad un prezzo equo, fuori dalle logiche
speculative. La varietà Senatore Cappelli, ricordiamo, ha una
bassa resa – 20 quintali per ettaro – ed è difficile da coltivare,
perché la notevole altezza la espone al rischio di allettamento.
Per questa ragione, il progetto della filiera prevede un valore
economico aggiunto per i contadini, a cui viene riconosciuto un
prezzo maggiore, ossia 45 euro ogni 100 kg, contro i 30 solitamente pagati per le altre varietà. La molitura è effettuata da 3
mulini storici artigianali. Il passo successivo è stato il passaggio al
biologico: un nuovo e lungo cammino conclusosi nel 2013 con
la piena conversione.
La varietà Cappelli è molto adatta a questo tipo di agricoltura: la sua altezza (160-180 cm) e il suo apparato radicale molto
sviluppato fanno sì che soffochi e tolga luce alle malerbe, riducendo enormemente il bisogno di utilizzare antiparassitari.
Il risultato è una semola di grano duro d’altri tempi, che
nel pastificio viene trasformata nei formati tradizionali pugliesi:
oltre agli strascinati, anche orecchiette, cavatelli, laganari, frutto
di una tradizione tramandata dalla nonna e continuata da Enzo
Cardone e dai suoi fratelli. Ecco com’è nata la prima pasta fresca, in Italia e nel mondo, prodotta con il grano antico Senatore
Cappelli totalmente tracciato e certificato, secondo la norma internazionale di rintracciabilità di filiera ISO 22005.
Una garanzia di trasparenza per il consumatore che sull’etichetta può trovare tutte le informazioni utili a ricostruire la
storia della prodotto, dal campo fino alla tavola. Dettaglio non
trascurabile, se si considera che oggi la quasi totalità delle paste fresche confezionate presenti sul mercato sono prodotte da
semole di grano duro e farine di grano tenero di origine industriale, cioè macinate in mulini che miscelano varietà di origine
nazionale ma soprattutto estera.
• 87 •
Quasi tutte queste semole e farine derivano, a loro volta, da
grani selezionati ascrivibili a pochissime varietà, sinonimo di una
biodiversità smarrita.
Andando a ritroso nel tempo, il Pastificio Cardone ha riportato nei campi un’antica varietà, che si è preservata inalterata nel
tempo, a tutto vantaggio del sapore e del contenuto nutrizionale: anche per questo gli esperti attribuiscono al Senatore Cappelli
una elevata tollerabilità.
E anche l’ambiente ringrazia. Il recupero di questa varietà
con i metodi biologici, oltre ad arricchire la biodiversità del territorio del Parco delle Dune Costiere, contribuisce a rendere i
terreni più fertili, grazie al sistema di rotazione delle colture. La
coltivazione di grano Cappelli si alterna a quella dei ceci neri, un
legume tipico pugliese, da cui il pastificio ricava una farina che
aggiunge – in percentuali del 40% – alla produzione di pasta.
L’agricoltura biologica si conferma ancora una volta essenziale
per la tutela della natura e il mantenimento della biodiversità
dei paesaggi agrari.
Puntare su una filiera biologica e tracciabile non è stata una
scelta semplice – specie in un periodo di crisi come quello attuale
in cui tutti tendono a risparmiare – ma è stata vincente. Il legame
col territorio rappresenta un valore aggiunto per i consumatori
che sempre più, oggi, richiedono cibo sano e sicuro.
La nostra storia
Il Pastificio Artigianale Cardone nasce nel
1988 come piccolo laboratorio artigianale di
pasta fresca che utilizzava le ricette e i metodi della tradizione pugliese, tramandate dai
nostri antenati.
Grazie al successo ottenuto dalla pasta fresca nel 1997 inaugura un nuovo centro di
produzione di pasta fresca Cardone progettato per coniugare tradizione, qualità artigianale e innovazione.
La passione per la pasta si riflette in ogni
fase del processo produttivo, dalla selezione dei migliori grani alla molitura, dalla
scelta delle acque più pure alla realizzazione
dell’impasto.
• 88 •
Questo è vero soprattutto nei Paesi dell’Europa continentale,
dove l’abitudine a consumare prodotti biologici è più radicata.
Non a caso i mercati di riferimento del Pastificio Cardone sono
soprattutto esteri: Svezia, Austria, Svizzera. In Italia, si è deciso di puntare su un preciso segmento di consumatori, costituito
soprattutto da ristoranti di qualità. Cosi, oggi, questa piccola
azienda – 12 dipendenti, due punti vendita e un fatturato annuo
di 1 milione di euro – è diventata una delle realtà più importanti
in Italia quando si parla di pasta fresca, grazie ad un prodotto di
nicchia molto apprezzato dagli intenditori.
Nel frattempo sono arrivati i primi riconoscimenti: nel 2012
Slow Food Piana degli Ulivi ha scelto la pasta Cardone quale
eccellenza del territorio; nello stesso anno Sportweek ha annoverato l’azienda tra i 10 migliori pastifici artigianali d’Italia. Da
poco si è aggiunto anche il marchio Prodotti di Qualità Puglia,
un riconoscimento, valido a livello comunitario, conferito dalla Regione a quelle imprese che realizzano prodotti secondo
standard di filiera sostenibile e certificata. Alla base del successo
dell’azienda c’è anche la capacità di investire costantemente in
attività di ricerca e sviluppo per differenziarsi dai competitor e
sviluppare così un’offerta di prodotti innovativi che salvaguardino la freschezza e il legame con la tradizione. Il tutto a partire
dall’utilizzo di ingredienti locali.
La nostra visione
Tutte le nostre scelte si basano su 3 principi
che rappresentano i capisaldi della nostra
visione aziendale:
INNOVAZIONE NELLA TRADIZIONE: investire costantemente in attività di ricerca e sviluppo per differenziarsi dai competitor e sviluppare così un offerta
di prodotti innovativi che salvaguardino la freschezza originaria e il legame con
la tradizione;
QUALITÀ SENZA COMPROMESSI: offrire solo prodotti di qualità superiore,
per conquistare il rispetto e la fedeltà dei consumatori;
ASCOLTO DEL CONSUMATORE: ascoltare il mercato per intercettare prima di
tutti nuovi bisogni dei consumatori.
• 89 •
Ne sono un esempio i tagliolini con vincotto di primitivo,
di prossima commercializzazione, nati dall’accordo con un vitivinicoltore pugliese. O ancora la pasta realizzata con farina
di carruba – altro prodotto tipico del territorio del Parco delle
Dune Costiere – che viene aggiunta a quella ricavata dal grano
Senatore Cappelli.
Il progetto di filiera corta certificata del Pastificio Cardone
è in piena sintonia con la politica di recupero e valorizzazione
delle colture tipiche – dalla varietà di ulivo Ogliarola al pomodoro Regina – portata avanti dal Parco delle Dune Costiere. L’azienda ha infatti ricevuto il marchio del Parco: uno strumento di
marketing aziendale e territoriale, concesso a quelle imprese che
hanno fatto della tutela del paesaggio agrario, dell’agricoltura
biologica, della filiera corta un elemento fondante della propria
attività.
L’Ente Parco e il Pastificio partecipano insieme al progetto,
finanziato dall’Unione Europea, Bio-itinerario della Via Traiana,
che mette insieme soggetti pubblici e privati tra cui aree naturali
protette, beni di interesse storico-culturale, associazioni culturali, aziende agricole biologiche, punti vendita bio, aziende di
Cosa facciamo
Aziende
Agricole
Molini
Artigianali
Il Pastificio Artigianale Cardone
dedica la propria attenzione alla
produzione di formati di pasta
tipici regionali, utilizzando materie prime coltivate con metodiche agricole che non prevedono l’uso né di prodotti chimici
né di pesticidi e garantendo il
controllo di tutta la filiera, dalla
coltivazione nei campi fino al
controllo del processo produttivo presso il nostro pastificio.
Pastificio
Cardone
• 90 •
trasformazione, agriturismi della zona. Con questa iniziativa si
intende non solo promuovere l’antica via romana, ma mettere
a rete tutte queste buone pratiche, per farle conoscere ad una
platea più vasta di turisti. Il Pastificio Cardone è poi uno dei
protagonisti dei Laboratori didattici organizzati dal Parco per i
suoi visitatori.
Quando la produzione incontra la tradizione coinvolgendo
il pubblico, può nascere un potente strumento di marketing. Un
esempio è il laboratorio Mani in Pasta, un corso pratico di preparazione della pasta fresca con il grano biologico della varietà
Senatore Cappelli tenuto dal Pastificio. Durante questo evento,
che si tiene regolarmente, turisti da ogni parte d’Italia e del mondo si cimentano nel creare, rigorosamente a mano, la pasta tradizionale pugliese, con successiva degustazione, sperimentando
la netta differenza di sapori e profumi. Educazione alimentare,
artigianalità, turismo, tutti gli ingredienti per la valorizzazione
del territorio, dei suoi prodotti e delle aziende che sanno fare
sistema. Il prossimo passo, nella collaborazione fra Parco e Pastificio, sarà il lancio di un nuovo brand: la pasta del parco.
I Riconoscimenti
2010: Certificazione UNI EN ISO 22005/2008
2013: Certificazione Biologica ICEA
2014: Azienda a marchio Parco delle Dune Costiere
2015: Certificazione Prodotti di Qualità Puglia
• 91 •
Le nostre linee di prodotto
ETICHETTA ROSSA
Pasta tipica regionale
di semola di grano duro
da agricoltura biologica italiana
Catalogo Pasta fresca
di semola di grano duro
da agricoltura biologica italiana
• 92 •
Le nostre linee di prodotto
ETICHETTA NERA
Pasta tipica regionale
di farina semolata di grano duro
varietà “SENATORE CAPPELLI”
da agricoltura biologica italiana
Catalogo Pasta fresca
di semola di grano duro
da agricoltura biologica italiana
• 93 •
Catalogo Pasta fresca
di semola di grano duro
da agricoltura biologica italiana
• 94 •
Catalogo Pasta fresca
di farina semolata
varietà Senatore Cappelli
da agricoltura biologica italiana
• 95 •
Il progetto Senatore Cappelli
La linea di pasta «Senatore Cappelli» nasce come
progetto sperimentale nel 2009 con l’obiettivo di
recuperare il patrimonio cerealicolo locale e creare
una filiera produttiva controllata e garantita, a partire dal campo (inteso come controllo delle coltivazioni di grano) fino ad arrivare alla tavola (intesa come
produzione di pasta fresca).
Il progetto Senatore Cappelli oggi
Foto da archivio di “progettipercomunicare”edizioni
Biodiversità
Cavatelli varietà Senatore Cappelli
con Farina di Ceci Neri
• 96 •
La rivista settimanale Sportweek
(inserto della Gazzetta dello Sport)
annovera Cardone tra i 10 migliori
pastifici artigianali d’Italia.
Il settimanale Espresso
n° 11 del 14/03/2014
PASTIFICIO ARTIGIANALE
CARDONE
Via S. Oronzo, 195
72015 Fasano (BR) Italia
+39 080 4395635
+39 080 8490382
[email protected]
www.pastificiocardone.it
• 97 •
LA PASTA “NEATURA”
• 98 •
Micosidin ha sede in Gravina in Puglia ed ha come obiettivo
la tutela e la promozione dei prodotti di qualità, viste le peculiarità del comune di appartenenza il cui nome deriva dal latino
“Grana Dat Et Vina”, il cui territorio si presta all’agricoltura e
ancor più per vocazione alla cerealicoltura. Tra l’altro, c’è da
ricordare che la prima pasta ad approdare in America nel 1926
è stata la Pasta Diva, prodotta dai mulini e dal pastificio Divella
Salvatore di Gravina in Puglia. Pertanto, la nostra preoccupazione è creare una filiera che va dal cerealicoltore al pastificio
artigianale, individuando siti in loco con agricoltori motivati a
produrre grano di alta qualità, appartenenti a varietà di pregio,
come quella denominata “Senatore Cappelli”.
In aggiunta, la coltivazione del grano duro si avvale della
tecnica della “micorrizazione”, praticata utilizzando micorrize
della società “Micosidin”; tutto ciò consente l’ottenimento di
semole di altrettanto alta qualità da parte di molini di nostra
scelta; infine, grazie a pastifici artigianali opportunamente selezionati, risulta possibile la produzione della pasta Neatura, dotata di elevata peculiarità, in quanto fatta con tradizionali metodi
di lavorazione ed essiccazione; quest’ultima, ad esempio, è condotta a temperatura bassa, variabile tra 40 e 42°C, per la durata
di 16-20 ore, in modo da conservarne il più intatte possibile le
qualità organolettiche. Le trafile utilizzate, poi, sono in bronzo,
fatta eccezione per i formati artigianali.
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LA VARIETA’ “SENATORE CAPPELLI”
CITAZIONI STORICHE
La varietà di frumento duro “Senatore Cappelli” fu costituita
per selezione genealogica a Foggia, nel 1915, dal padre della
moderna cerealicoltura mondiale Nazareno Strampelli.
Per decenni è stato il frumento duro più coltivato al Sud e
nelle Isole. Un primato mantenuto fino agli anni ’50 e cioè fino
al diffondersi di varietà più produttive e di taglia più bassa, al
fine di ridurre il fenomeno dell’allettamento, cioè il piegamento
ed il coricamento delle piante dovuto all’azione del vento, particolarmente accentuato in tale varietà data la sua taglia elevata.
CARATTERISTICHE
QUALITATIVE E ORGANOLETTICHE
Le cariossidi (chicchi) di Senatore Cappelli, di colore giallo
ambra molto intenso, sono caratterizzate da: a) un notevole
peso (58 grammi per 1000 cariossidi); b) un elevato tenore proteico, che facilmente raggiunge il 17% della sostanza secca; c) un
contenuto di lipidi, aminoacidi, vitamine e minerali (potassio,
magnesio, selenio, etc.) percentualmente più elevato rispetto ad
altre varietà di frumento duro.
A livello organolettico, poi, il grano Senatore Cappelli, e
quindi la sua semola, permette la produzione di una pasta di
straordinaria “callosità”, tenuta alla cottura, nonché di pane e
pasta dal profumo intenso di grano, dal gusto avvolgente e tipico, di elevata digeribilità e conservabilità.
CARATTERISTICHE SALUTISTICHE
Al contrario di altre varietà di frumento duro, quella del Senatore Cappelli sembra non indurre nel consumatore problematiche patologie di tipo. A riguardo, il prof. dr. Luciano Pecchiai
(Libero Docente in Anatomia Patologica, Primario Patologo
Emerito dell’Ospedale dei Bambini “Vittore Buzzi” di Milano,
Direttore del Centro di Eubiotica Umana di Milano, nonché
esperto di Alimentazione e Medicina Naturale ha affermato che:
“Sembra fondata l’ipotesi, che la modifica genetica delle varietà di grani moderni, sia correlata ad una variazione della loro
proteina, ed in particolare di una sua frazione, la gliadina, che è
una proteina basica, dalla quale per digestione peptica-triptica, si
ottiene una sostanza chiamata frazione III di Frazer, alla quale è
dovuta l’enteropatia infiammatoria e quindi il malassorbimento
del gluine, vedi celiachia.
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COMPOSIZIONE NUTRIZIONALE DELLA SEMOLA DI GRANO DURO SENATORE CAPPELLI
(Valori medi per 100g di prodotto)
VALORE ENERGETICO
CARBOIDRATI
PROTEINE
GRASSI
FIBRA ALIMENTARE
341 Kcal - 1448 KJ
73,3 g
15,5 g
1,1 g
0,8 g
LA MICORRIZAZIONE
È una pratica colturale che si avvale delle micorrize, preziosissimi microrganismi costituiti da batteri e da funghi che, mescolati
ai semi delle colture agrarie, vivono successivamente nel terreno
in simbiosi con le radici delle piante. Questa tecnica migliora
la crescita delle piante stesse, perché ne favorisce l’approfondimento degli apparati radicali, conferendo loro contemporaneamente una maggiore capacità di assorbire l’acqua e le sostanze
nutritive in esse disciolte, fatto che consente perciò di limitare
gli apporti di concimi minerali al terreno. Questi microrganismi
fungono, inoltre, da filtro naturale, in quanto riducono fortemente l’assorbimento da parte delle radici di agenti inquinanti
presenti nel terreno, impedendone il trasferimento nella pianta
e quindi nei frutti; in particolare, grazie alla loro azione sostanze
come i nitrati ed anche i metalli pesanti, le micotossine (aflatossine, ocratossina, ecc.) sono trasformati in aminoacidi e sostanze
organiche non dannose per la salute umana, mentre vengono
altresì degradati più velocemente i residui di fitofarmaci eventualmente presenti nel terreno. Inoltre, dalle colture micorrizate si ricavavano dei prodotti che in genere contengono una
quantità di antiossidanti (Unità ORAC), cioè sostanze in grado
di contrastare l’invecchiamento e/o alcune malattie, maggiore
tra il 20 ed il 40% in confronto a quelli ottenibili in assenza di
micorrizzazione.
• 101 •
Orecchiette Pugliesi
Pasta di semola di grano duro
da agricoltura Micorizzata
Orecchiette Pugliesi
Senatore Cappelli
Pasta di semola di grano duro
da agricoltura Micorizzata
• 102 •
MICOSIDIN S.a.s.
Via Novella, 69
70024 Gravina in Puglia (BA) Italia
+39 080 3269022
+39 347 1226637
[email protected]
[email protected]
www.micosidin.com
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• 104 •
• 105 •
L'olio, la nostra arte
I fratelli Dellorusso esprimono l’amore per la propria terra
e per le proprie origini attraverso il nome del frantoio: “Feudo
dei Verità”. La scelta è stata ispirata dalla storia del territorio di
Mariotto, il paese natio dei fratelli Dellorusso, dove si trova il
frantoio oleario. Il Frantoio Feudo dei Verità ha ridato vita ad
un’antica costruzione in pietra, tipica del territorio pugliese, attraverso un restauro attento a preservarne l’autenticità. Questa
attenzione ha permesso di portare alla luce delle iscrizioni che
riprendono espressioni di carattere popolare, animate dalla saggezza della civiltà contadina. L’antica struttura è stata anche ammodernata grazie ai più attuali impianti di lavorazione e conservazione dell’olio, un connubio tra la tradizione e la modernità.
Il nostro olio assume i profumi e i colori della nostra esperienza,
ma anche della dedizione per la produzione, che ci ha portati
a migliorarla attraverso tecniche all’avanguardia che preservino
i valori nutrizionali dell’extravergine d’oliva. Tutto questo permette all’olio non solo di essere pregiato e di alta qualità, ma
anche di incontrare i palati più raffinati e moderni con il suo
sapore autentico.
• 106 •
The brothers Dellorusso express love for their land and its
origins through the name of the mill: “Feudo dei Verità”.
This choice was inspired by the history of the territory of Mariotto, the birthplace of the brothers Dellorusso, where is located
the oil press. The Feudo dei Verità Oil Press has revived an old
stone building, typical of Apulia, through a careful restoration
to preserve the authenticity of the structure. This attention has
allowed us to discover some inscriptions which include expressions of popular character, inspired by the wisdom of farmer
civilization. The old building has been restored to recover and
enhance the spaces and the architectural elements, but has also
been upgraded thanks to the current processing plants and oil
storage. It’s for this reason that our structure presents itself as
the union between tradition and modernity, on that path that
leads us from olives to the extra-virgin olive oil. Our oil takes
on the scents and the colors of our experience, but also of our
dedication to the production, which led us to improve it through advanced techniques that preserve the nutritional values of
the extra-virgin olive oil. All this makes to our product not only
to be valuable and of a high quality, but also to meet the most
refined and modern palates with its authentic flavor.
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Olio extravergine di oliva
Don Michele Blend
750 ml, 500 ml, 250 ml, 100 ml.
Coratina, Cima di Bitonto, Peranzana e cultivar minori
In lattine da 3 lt e 5 lt
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Olio extravergine di oliva
Il nobile Paolo
750 ml, 500 ml
Olio extravergine di oliva
Don Michele Selezione Oro
750 ml, 500 ml, 250 ml, 100 ml.
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FRANTOIO OLEARIO
FEUDO DEI VERITÀ snc
Via Le Matine s.n.
70032 Mariotto-Bitonto (BA) Italia
+39 080 3736051
+39 080 3736051
+39 331 3387394
http://www.feudodeiverita.it/it/contatti.html
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Aziende nell’agro di Canosa (BA), piantate ad olivo nel secolo scorso dagli avi dell’attuale proprietario, l’avvocato Giovanni
Sinesi, e da circa 20 anni gradatamente ristrutturate secondo un
programma frutto della felice collaborazione tra un professionista che ama la terra, ma che voleva fosse economicamente
redditizia, e un gruppo di esperti della Facoltà di Agraria di Bari:
Prof. Mario Bucci, Prof. Giulio Casella, Prof. Giuseppe Laccone,
Prof. Pasquale Montemurro.
Entrambe le aziende fanno capo ad un centro aziendale in
cui hanno sede l’amministrazione e una stazione di imbottigliamento dell’olio.
I terreni sono condotti direttamente dal proprietario, con il
quale collaborano il rag. Domenico Foggetti, la sig.a Rosa Monterisi e il capo d’opera Sabino Pellegrino.
La superficie piantata ad olivi è di 52 ettari. Il terreno è di
natura sabbioso-limosa e poggia su calcari teneri in profondità.
Il clima è tipicamente mediterraneo, caldo-asciutto con temperatura media di 16,1°C e con piovosità media annua di 562 mm.
La produzione globale oscilla tra 300.000 e 500.000 kg di
olive, che per la raccolta precoce, hanno una resa del 16-18%
di olio extra vergine, dolce, aromatico, profumato, con minima
acidità (0,3-0,4%), assenza di residui dannosi e resistente all’irrancidimento.
Le olive vengono frante entro 24-48 ore dalla raccolta con
formazione di pasta in tramoggia con pietre di granito e premitura a freddo.
• 113 •
La trasformazione
Dalle iniziali 70 piante per ettaro di varietà Coratina
che risalgono all’inizio del ‘900 (previa eliminazione del
mandorlo successivamente consociato e la fratturazione
degli strati profondi calcarei del terreno per aumentare la
capacità di assorbimento dell’acqua ed il relativo drenaggio) nel 1977-78 si è proceduto al rinfittimento, sempre
con varietà Coratina, con altre piante così che l’investimento oggi risulta di 210 piante per ettaro.
Contemporaneamente è stato realizzato un pozzo artesiano, con stazione di filtraggio, ed un impianto di “irrigazione a goccia” che assicura durante il periodo di siccità
l’acqua e gli elementi nutritivi necessari per lo sviluppo e
la produzione delle piante (fertirrigazione).
Nel 1986 è iniziata l’adozione della lotta guidata con
l’obiettivo di ridurre gli interventi per la protezione delle
piante.
• 114 •
Sempre nell’86 è stata modificata sostanzialmente l’architettura delle piante, che erano allevate a “vaso barese”,
adottando una tecnica di potatura diversa da quella tradizionalmente attuata nel territorio, limitando gli interventi cesori e, quindi, riducendo notevolmente l’impiego di
manodopera; tale tecnica ha permesso di arricchire notevolmente la vegetazione degli olivi, nei quali veniva contemporaneamente lasciata vuota la parte interna per favorire la penetrazione della luce e la circolazione dell’aria.
Questa complessa ed onerosa trasformazione ha consentito la riduzione del 30% dei costi e l’aumento di 3
volte della produzione di olive.
• 115 •
La Tradizione
Dovunque vi sia stata civiltà, nel bacino del Mediterrano,
sono presenti le tracce della coltivazione dell’olivo
e della produzione di olio.
Questo passato è la nostra storia, la nostra cultura...
il nostro futuro.
L’olivo è il simbolo della pace e del lavoro umile;
i nostri contadini vivono in simbiosi con piante di olivo
secolari e si sacrificano insieme ad esse, giorno per giorno,
sognando l’olio genuino che verrà.
La Qualità
Senza rinnegare la tradizione, ma con l’ausilio delle più
moderne tecniche agronomiche, le Aziende Agricole
“Santa Croce & Sant’Aloja” hanno esaltato le virtù della
varietà “Coratina” e sono riuscite a conferire al proprio
olio extra vergine impensati requisiti di qualità: eccezionali
profumi, meravigliosi aromi, dolcezza inimitabile, acidità
minima ed assenza di residui dannosi.
La Garanzia
Le Aziende Agricole “Santa Croce & Sant’Aloja” puntano
ora a far conoscere il proprio Olio a fasce sempre più
ampie di consumatori, ai quali garantiscono la costanza
dei requisiti appena indicati e, fattore non meno importante, prezzi orientati verrso la massima competitività.
Un’azione di penetrazione, questa, che va riscuotendo sui
mercati italiani e internazionali e che prosegue con perseveranza, coerenza e serietà.
• 116 •
Tradition
Wherever it had been civilization, in the Mediterranean
basin are present the signs of the olive-tree cultivation
and of the oil production.
This past is our history, our culture ... our future.
The olive-tree is the symbol of peace and of the humble
work; our farmers live in symbiosis with the secular olive
trees and they sacrifice themselves to tham, day by day,
dreaming the genuine oil to came.
Quality
Without denying tradition, but with the help of the most
modern agronomical techniques, the Aziende Agricole
“Santa Croce & Sant’Aloja” have exalted the virtues of the
“Coratina” variety and they succeed in giving to their own
extra olive oil unexpected qualifictions, exceptional fragrance, wonderful aromas, peerless sweetness, the lowest
acidity and the lack of noxious residual products.
Reliability
The Aziende Agricole “Santa Croce & Sant’Aloja” aim at
advertising their own oil to still wider layers of consumers, to whom they guarantee the faithfulness of the
qualifications just stated and, there is an element not less
important, the prices are directed towards the highest
competitiveness. That is an action of penetration, which
wins growing approvals on the Italian and international
markets and which goes on the whit persistence, coherence an wery seriously.
• 117 •
Tradizione
Qualità
Garanzia
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AZIENDE AGRICOLE
SANTA CROCE & SANT’ALOJA
Direzione Commerciale
Avv. Giovanni Sinesi
Corso Vittorio Emanuele, 10
70121 BARI (Italia)
+39 080 5216730
+39 080 5216900
[email protected]
http://www.italyexport.com/oilprodur/rl 6p6.htm
Stabilimento di Canosa di Puglia
Via Muzio Scevola, 7
76012 Canosa di Puglia (BA) Italia
+39 0883 664536
• 119 •
• 120 •
• 121 •
La qualità vince sui freddi numeri. L’amore per la natura, la
lavorazione della terra e la coltivazione degli ortaggi, secondo le
antiche tradizioni, batte la mentalità industriale, che ha l’assillo
di produrre, produrre tanto, produrre ad ogni costo. Romanticismo, penserete, al giorno d’oggi. No, realtà. Tutto questo avviene alla Pugliese & Co srl, azienda specializzata nella produzione
di sottolio, paté e sughi pronti, che per il mercato estero ha
lanciato il brand Mastrototaro Food.
Le apparecchiature modernissime e tecnologicamente avanzate consentirebbero alla società dei fratelli Mastrototaro di
produrre 100 mila vasetti al giorno ma, per una precisa scelta
aziendale, non si superano mai i 5 mila. Il motivo? Lavoro, energie e attenzioni sono concentrate soprattutto a monte, nella semina, coltivazione e raccolta delle bontà dei campi. Pomodori,
carciofi, melanzane, peperoni, zucchine, piantati nei terreni di
famiglia, tutti nel raggio di pochi chilometri, vengono allevati
con cura e sapienza fino alla raccolta, rigorosamente a mano.
• 122 •
Quality beats cold numbers. Love for nature, soil processing
and vegetable farming following ancient traditions beat the
industrial mentality, which concentrates above all on increasing
production. Maybe this is a romantic view in the modern world
but in this case it is true. Pugliese & Co srl, a company specializing
in foods preserved in oil, pâtés and ready-to-eat sauces, has just
launched the Mastrototaro Food brand for the foreign market.
Their very up-to-date and technologically advanced machinery would enable the Mastrototaro brothers’ company to produce
one hundred thousand jars a day but it is company policy never
to exceed five thousand jars. What is the reason? Work, energies
and care mainly focus on the preliminary seeding, cultivation and
the harvesting of field delicacies. Tomatoes, artichokes, aubergines, peppers and marrows are planted in the family fields for few
kilometres round and they are carefully and masterly cultivated
until they are harvested, which is strictly by hand.
• 123 •
Nel pieno rispetto dei processi biologici della natura, la lavorazione dei prodotti e l’invasettamento avvengono esclusivamente “dal fresco”, ovvero nel giro di pochissime ore dopo la
raccolta, senza far ricorso alla conservazione in fusti, per preservare tutte le qualità organolettiche degli ortaggi.
Raccogliendo meccanicamente si impiegherebbe meno
tempo e si risparmierebbero risorse da investire diversamente? Acquistando da terzi si potrebbe aumentare la produzione?
Certamente. Ma alla famiglia Mastrototaro non interessa. Il controllo totale della filiera, una filiera volutamente cortissima che
rispecchia il vero chilometro zero, è fondamentale per garantire
l’eccellenza della produzione. “Dal produttore al consumatore”,
formula ormai sempre più rara nel mercato attuale, da queste
parti non è un finto slogan ma un principio cardine della filosofia
aziendale da seguire scrupolosamente.
L’esplosione dei colori della natura, dopo il lavoro nei campi,
si fonde con la passione per il buon cibo e dà luogo alla produzione griffata Mastrototaro Food, che si divide in due settori
principali: da una parte una vasta gamma di deliziosi sottolio,
dall’altra gustosi paté e succulenti sughi pronti.
Fra le conserve sottolio spiccano i ricercati pomodori secchi,
preparati secondo le antiche ricette tradizionali pugliesi, e i carciofi in diverse e sfiziose varietà. Il viaggio fra i sottolio, autentica esaltazione del palato, prosegue con melanzane, peperoni
e zucchine, trionfo dei sapori tipici dell’assolata terra di Puglia.
Dagli stessi ortaggi si ricavano i profumatissimi paté, ideali sia
per impreziosire le tavole con gustosi e variopinti antipasti, sia
per consumare pasti frugali e delicati. Tradizione e valorizzazione dei prodotti tipici locali dominano anche nei sughi pronti,
che spaziano dalle classiche passate di pomodoro e basilico a
prodotti più rari e ricercati, come la salsa “Pric o Prac”, antica
ricetta molfettese a base di pomodori e peperoni, leggermente
piccante, che anticamente veniva usata al mattino per riscaldarsi.
• 124 •
The processing of products and the preparation of jars are
made only “from fresh food”, which means within a very
few hours of being harvested and without using cans for storage,
in order to preserve all the organoleptic qualities of vegetables,
while fully respecting the biological processes of nature.
Would it take less time with mechanical harvesting and save resources to be invested in a different way? Would buying from a
third party increase production? Of course but the Mastrototaro
family does not care about this. Full control of the chain of production, which is intentionally very short and shows that the food
produced really is local, is fundamental to guarantee production
excellence. “From the farm to the fork”, increasingly uncommon
in the current market, is not a mere slogan in this case but is the
cornerstone of the company philosophy.
The explosion of the colours of nature after working in the
fields blend with the passion for good food and give rise to the
production of Mastrototaro Food, which is divided into two
main areas. On the one hand, there is a wide range of delicious
products preserved in oil; on the other hand, there are tasty pâtés
and succulent ready-to-eat sauces.
The popular dried tomatoes, prepared following ancient
Apulian traditional recipes, and the artichokes in many varieties
stand out from in-oil preserves. Foods preserved in oil genuinely
exalt the taste of aubergines, peppers and marrows and celebrate
the typical flavours of sun-kissed Apulia.
The same vegetables are the ingredients of the wonderfully fragrant pâtés, which are ideal both to decorate tables with tasty
and colourful appetizers and to eat frugal and refined meals. Tradition and an appreciation of typical local products also stand
out from the ready-to-eat sauces, which range from classic tomato sauce with basil to more uncommon and sought-after products, such as the slightly spicy “Pric o Prac” sauce, a recipe using
tomatoes and peppers from the town of Molfetta, which was
used in ancient times to get warm in the morning.
• 125 •
Pomodorini Essiccati
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Pomodorini essiccati 63%,
olio extravergine di oliva 33%,
aceto di vino, basilico, prezzemolo,
aglio, peperoncino, origano, sale.
Antiossidante: acido ascorbico.
Passata di Pomodorino
Ingredienti:
Pomodorini di Puglia 97%,
basilico fresco, sale.
Polpa fine
di pomodoro al naturale
Ingredienti:
Pomodori di Puglia 97%,
sale.
Patè di Pomodori secchi
Ingredienti:
Pomodori essiccati al sole 60%,
olio extravergine di oliva,
aceto di vino, zucchero, basilico,
aglio, peperoncino, origano, sale.
Antiossidante: acido ascorbico.
Patè di Carciofi
Ingredienti:
Carciofi 58%, olio extravergine di oliva,
olio di semi di girasole,
prezzemolo, sale aglio.
Correttore di acidità: acido lattico,
antiossidante: acido ascorbico.
Patè di Olive Nere
Ingredienti: Olive 90%
olio extravergine di oliva, aglio,
origano, aceto di vino, sale.
Correttore di acidità: acido citrico
• 126 •
Patè di Funghi Champignon
Ingredienti: Funghi champignon
coltivati (agaricus bisporus) 63%, olio
di semi di girasole, olio extravergine
di oliva, prezzemolo, funghi porcini
(boletus edulis e relativo gruppo) 2%,
aglio, aceto di vino, sale. correttore di
acidita’: acido citrico, antiossidante:
acido ascorbico
Bruschetta
Salsa con funghi e pomodori secchi
Ingredienti: Funghi prataioli coltivati
(agaricus bisporus) 30%, pomodori
essiccati 30%, olio extra vergine di
oliva 26%, aceto di vino, prezzemolo,
peperoncino, aglio, sale. Correttore
di acidità: acido citrico, antiossidante: acido ascorbico.
Priccoprac
Condimento per insalate di riso e
bruschette
Ingredienti: Peperoni,olio extra
vergine di oliva,
olio di semi di girasole, sedano,
prezzemolo, peperoncino,
aglio, aceto di vino, sale
Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidate: acido ascorbico.
Contiene sedano.
Carciofi di Puglia
Ingredienti: Carciofi 62%, olio
extravergine di oliva, olio di semi di
girasole, prezzemolo, peperoncino,
aglio, aceto di vino, sale.
Correttore di acidita’:acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Funghi Champignon Grigliati
Ingredienti: Funghi champignon
coltivati (agaricus bisporus) 62%, olio
extravergine di oliva, olio di semi di
girasole, prezzemolo, peperoncino,
aglio, aceto di vino, sale. Correttore
di acidità :acido citrico, antiossidante:
acido ascorbico.
Carciofi Spaccatelli
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Carciofi 62%, olio
extravergine di oliva
35%, prezzemolo, peperoncino, aglio, aceto di vino, sale.
Correttore di acidita’:acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
• 127 •
Melanzane Julienne
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Melanzane 63%,
olio extravergine di oliva 27%, sedano,
peperoncino, prezzemolo, aglio,
origano, aceto di vino, sale.
Correttore di acidtà:acido citrico,
antiossidante : acido ascorbico.
Contiene sedano.
Funghi cardoncelli
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Funghi Cardoncelli
coltivati (Pleurotus Eryngii) 65%,
olio extra vergine di oliva 30%,
prezzemolo, aglio, peperoncino,
alloro, aceto di vino, sale.
Antiossidante: acido ascorbico.
Peperoni Grigliati
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Peperoni 65%,
olio extravergine di oliva 32%,
prezzemolo, aglio, aceto di vino, sale.
Antiossidante: acido ascorbico.
Carciofi Grigliati
Ingredienti: Carciofi 62%, olio
extravergine di oliva, olio di semi di
girasole, prezzemolo, peperoncino,
aglio, aceto di vino, sale.
Correttore di acidità:acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Pomodori Essiccati
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Pomodori essiccati 63%,
olio extravergine di oliva 33%, aceto di
vino, basilico, prezzemolo, aglio, peperoncino, origano, sale. Antiossidante :
acido ascorbico.
Zucchine Julienne
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Zucchine 65%, olio
extra vergine di oliva 32%,
peperoncino, prezzemolo, aglio,
aceto di vino, sale.
Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico
• 128 •
Pesto alla Genovese
Ingredienti: Basilico 50%, olio extravergine di oliva 24%, olio di semi di
girasole, mandorle, pecorino ( latte,
sale, caglio), parmigiano reggiano (
latte, sale, caglio), aglio, pinoli, sale.
Correttore di acidità: acido citrico.
Bruschetta Pomodorino
Ingredienti: Pomodorini 84%,
cipolla, olio extravergine di oliva,
peperoncino piccante 2%, basilico,
prezzemolo, zucchero, sale.
Correttore di acidità: acido citrico.
Spaghetti Fly
Ingredienti: Pomodorini 84%,
cipolla, olio extravergine di oliva,
peperoncino piccante 2%, basilico,
prezzemolo, zucchero, sale.
Correttore di acidità: acido citrico.
Olive Bella di Puglia
Ingredienti: Olive 60%, acqua, sale,
alloro, finocchietto selvatico.
Correttore di acidita’: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Carciofi Contadina
Ingredienti: Carciofi 62%, olio di semi di
girasole, olio extravergine di oliva, prezzemolo, peperoncino, aglio, origano,
aceto di vino, sale.
Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Antipasto Biscegliese
Ingredienti: Ortaggi e funghi in
proporzione variabile (carciofi, cipolle
borettane, funghi champignon cotivati
“agaricus bisporus”, peperoni) 70%,
olio extra vergine di oliva, olio di semi
di girasole, alloro aceto di vino, sale.
Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico
• 129 •
Melanzane Grigliate
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Melanzane 65%,
olio extrave gine di oliva 32%, peperoncino,
prezzemolo, aglio, aceto di vino, sale,
correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico
Cipolle Borettane
in Olio ExtraVergine di Oliva
Ingredienti: Cipolle borettane 65%,
olio extravergine di oliva 32%,
peperoncino, alloro, aceto di
vino, sale.
Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Lampascioni alla Barese
Ingredienti: Lampascioni (Muscari comosum) 65%, olio di semi di girasole 26%,
olio extra vergine di oliva 7%,
peperoncino, aceto di vino, sale.
Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante; acido ascorbico.
Olive verdi in salamoia
Ingredienti: Olive 56%, acqua,
sale, alloro, finocchietto selvatico.
Correttore di acidita’: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Carciofi con Gambo
Ingredienti: Carciofi 64%, olio
extravergine di oliva, olio di semi di
girasole, alloro, pepe, aceto di vino,
sale. Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Carciofi della Contessa
Ingredienti: Carciofi 62%, olio
extravergine di oliva, olio di semi
di girasole, alloro, pepe, aceto di
vino, sale. Correttore di acidità:
acido citrico, antiossidante: acido
ascorbico.
• 130 •
Bruschetta di carciofi
con carciofi e pomodori secchi
Ingredienti: Carciofi 57%, olio extra vergine
di oliva, pomodori essiccati, prezzemolo,
aglio, aceto di vino, sale. Correttore di
acidità: acido citrico, antiossidante: acido
ascorbico.
Salsa di cime di Rapa
Ingredienti: Cime di rapa 76%, olio
di semi di girasole, pomodori essiccati, olio extra vergine di oliva,
peperoncino, aglio sale.
Correttore di acidità: acido citrico,
antiossidante: acido ascorbico.
Pomodori secchi
Ingredienti: pomodori,
sale.
Patè 45 g
• 131 •
Tutto a km 0
• 132 •
AZIENDA AGRICOLA
MASTROTOTARO PUGLIESE & CO. srl
Via S. Andrea, 299
76011 Bisceglie (BT) Italia
+39 080 395 8604
+39 080 395 8628
[email protected]
• 133 •
• 134 •
• 135 •
La LENTICCHIA
di ALTAMURA
• 136 •
BREVE STORIA DELLA LENTICCHIA
Le lenticchie sono semi di una pianta erbacea, la “lens esulenta”, della famiglia delle leguminose, caratterizzata da uno stelo
rampicante, ramoso, che raggiunge un’altezza di circa 50 cm e
i cui baccelli contengono circa 2-3 semi tondi e schiacciati come
piccole monete. Pare che la lenticchia detenga il primato del più
antico legume coltivato. Infatti, in base allo studio alcuni reperti
fossili, è stato dimostrato che la lenticchia veniva coltivata già
nel 7000 a.C. nell’Asia Sud-occidentale, in aree corrispondenti
oggi alla Siria settentrionale, donde si diffuse presto in tutto il
bacino Mediterraneo, divenendo uno dei cibi di base delle plebi
della Grecia e di Roma. Secondo una teoria, il nome di una
delle più importanti famiglie romane, quella dei Lentuli, deriva
appunto dal nome latino della lenticchia, “lens”. Ancora in epoca romana Catone dettò alcune norme per cucinarle nel modo
migliore e Galeno, celebre medico di allora, ne sottolineò le
virtù terapeutiche. Certamente noto a tutti, inoltre, è l'episodio
della Bibbia (Genesi XXV) secondo cui Esaù vendette al fratello
Giacobbe il diritto di primogenitura in cambio di un fumante
piatto di lenticchie. Nei secoli successivi continuarono ad essere
apprezzate e consumate grazie al loro basso costo e alla facile
reperibilità, tanto da definirsi “carne dei poveri”.
Al giorno d’oggi viene considerato di buon auspicio consumare un piatto di lenticchie durante la cena dell’ultimo dell’anno: ciò è dovuto all’antica usanza di regalare, a fine anno, una
scarsella (la tipica borsa per conservare monete e dobloni) colma di lenticchie. L’augurio era che ciascun chicco si trasformasse
in un doblone, rendendo così ricco e fortunato il destinatario
del dono.
Le lenticchie erano preferite a tutti gli altri legumi per la loro
forma appiattita e tondeggiante che ricordava le monete e perché, essendo di piccole dimensioni, a parità di volume, erano in
numero maggiore.
• 137 •
STORIA DELL’AZIENDA AGRICOLA LUIGI LORUSSO
L'azienda agricola del Dott. Luigi Lorusso è situata in agro
di Spinazzola, nei pressi del Garagnone e da qualche tempo anche nel territorio di Matera. L’azienda nasce nei primi anni del
‘900 da nonno Luigi e successivamente è stata tramandata di
generazione in generazione, da padre in figlio fino ai giorni nostri. Nel secolo scorso, fino agli anni ’50, l’azienda produceva
la lenticchia tipica di Altamura per la sua forma gigante e il suo
colore verde. È un legume molto apprezzato per il suo elevato
contenuto di ferro e proteine e definito “la carne dei poveri”
assieme ad altri legumi. Purtroppo la produzione è stata interrotta a causa dei costi di mercato troppo bassi per tale prodotto;
infatti la raccolta veniva effettuata a mano a causa dell’assenza
di macchine adatte, e questo determinava un prezzo più alto
rispetto a quello dei mercati nazionali.
• 138 •
Tuttavia, nel 2006, il nipote del fondatore dell’azienda, il
dottor agronomo Luigi Lorusso, riprende la produzione del legume grazie alla presenza di macchinari idonei alla raccolta.
Alla ripresa della produzione corrisponde la ripresa di antichi
sapori ormai persi da tempo. Inoltre, la lenticchia è stata oggetto
di sperimentazione da parte della Facoltà di Agraria dell’Università di Bari e ha raggiunto eccellenti livelli di qualità. La partecipazione a fiere e manifestazioni ha contribuito a far conoscere la
Lenticchia di Altamura, una vera prelibatezza che oggi si vende
in tutta Italia anche grazie al fatto che fa parte della Comunità
del cibo di Terra Madre.
• 139 •
CONFEZIONI
I legumi vengono impacchettati in buste elettrosaldate e
in scatole da 500g.
La vendita è anche disponibile in sacchi da 25 Kg in base
alle esigenze del cliente.
Il prodotto viene confezionato
in scatole provviste di codice a
barre idonee alla vendita presso la GDO.
• 140 •
L’azienda oltre alla produzione di lenticchia, si occupa della produzione di altri legumi quali ceci e cicerchie.
• 141 •
• 142 •
AZIENDA AGRICOLA
DR. LUIGI LORUSSO
Via Rovigo, 23
70022 Altamura (BA) Italia
+39 080 3114120
+39 333 4224528
[email protected]
• 143 •
• 144 •
È nelle mani delle donne
che fila una piccola rivoluzione,
come racconta questa breve storia
del marchio Donna Francesca - Italian Flavours.
Siamo nel 1986, a Mariotto, una frazione di Bitonto a pochi
passi da Toritto. Ci troviamo a 240 metri sul livello del mare, in
Puglia. Il nonno di Francesca Dellorusso, marito di Francesca e
papà di Paolo (donne e uomini che faranno la storia di Donna
Francesca, come scopriremo più avanti) mette a dimora la prima
pianta di mandorle Filippo Cea. Tre anni dopo l’intero mandorleto avrebbe visto fiorire solo i fiori, grandi e bianchi, di questo
straordinario mandorlo originario di Toritto. È il 1989. La cura
del mandorleto assorbe la quotidianeità dell’intera famiglia Dellorusso, in una relazione quasi intima con la terra e i suoi tempi.
Quelli agricoli determinano quelli familiari e privati.
La produzione di mandorle – curata dalla fine degli anni novanta da Paolo – assicura il sostentamento e il benessere per tutta la famiglia. Il mandorleto oggi si estende per alcune decine di
ettari nella località Le Matine, Mariotto. Venticinque anni dopo
quel 1986 (siamo nel 2011) Francesca dà vita al marchio Donna
Francesca, dedicandolo a sua nonna. È nelle mani delle donne
che fila una piccola rivoluzione. Pur ereditando una tradizione,
un sapere, che va dal nonno al padre, si afferma oggi una linea
femminile che ha sempre accompagnato, consigliato e condiviso
le avventure degli uomini. Moglie dolce, e dal carattere forte e
indipendente, la prima Francesca ha dato prova di uno spirito
di iniziativa non comune, guadagnandosi il rispetto di un’intera
comunità. Oggi, Francesca Dellorusso, titolare unica dell’azienda
agricola che porta il suo nome, con il nuovo marchio Donna
Francesca produce mandorle Filippo Cea in guscio, sgusciate e
pelate, pralinate e tostate salate. Ma anche olio extravergine di
oliva e altri prodotti tipici pugliesi, come il cotto di fichi. “La conoscenza raffinata dei sapori è un tratto della condizione umana”, come scrive l’antropologo sensoriale David Le Breton in “Il
sapore del mondo”: sempre più apprezzati in Italia e all'estero, i
sapori di Donna Francesca, sono nuove occasioni di conoscenza;
sono sempre nuove raffinate sfide per ciascuno di noi.
• 145 •
DONNA FRANCESCA
IN THE HANDS OF APULIAN WOMEN
A small, gentle revolution spins from the hands of Apulian
women, as it is shown in this short history of the brand Donna
Francesca - Italian Flavours.
The story starts in 1986 in Mariotto, a small fraction of Bitonto,
near Toritto, Apulia. The setting is a land 240 metres above the
level of the sea. Francesca Dellorusso’s grandpa was married to
Francesca; they had a son, whose name was Paolo. They are the
main characters in Donna Francesca’s brand history. Grandpa
Filippo planted the first Flippo Cea’s almond tree. Three years
later, in the whole almond grove one could see only the large
white flowers of this extraordinary variety from Toritto. It is the
year 1989. The whole Dellorusso family is absorbed in the daily
care of the almond tree grove. Time is measured in close harmony with the development of the trees and the ground-nurturing
routines. The family schedule moulds around the growth of the
plants. At the end of the 90s Paolo took over the business from his
father. The production and sales of almonds ensured the survival
and well-being of the whole family.
Their almond grove now occupies several tens of acres in Le Matine, near Mariotto. The care for the almond is paired since old
times with the care for olive trees, another signature plant from
Apulia.
• 146 •
The family olive tree grove, which includes the varieties Peranzana, Coratina and Cima di Bitonto, still occupies an important part of the Dellorusso family’s history.
They own their own olive mill with large spectacular rose
granite millstones. The oil from either mixed cultivars or from a
single one (monocultivar) is a paramount ingredient of the Mediterranean cuisine.
25 years later, in 2011, Francesca Dellorussocreates the brand
Donna Francesca, in dear memory of her Grandma. A small revolution spins from the hands of women in Dellorusso’s family.
Despite the rich cultural heritage traded from her grandpa to her
father, Francesca brings a feminine touch to the business. As a
sweet, dedicated and yet strong and independent wife, Grandma
Francesca did always show unusual initiative, gaining the respect
of the entire community.
Francesca Dellorusso as the only owner of the eponymous
brand Donna Francesca produces almonds Filippo Cea, extravirgin olive oil and other typical products from Apulia. “A profound
knowledge of flavours is a trait of human condition”, writes the
anthropologist David Le Breton in “The Taste of the World”: An
Anthropology of the Sense. More and more appreciated in Italy
and abroad, Donna Francesca’s flavours are chances of knowledge, new elegant challenges for the palate.
• 147 •
MASSERIA DIDATTICA
La Masseria Didattica “Donna Francesca” si trova poco fuori il piccolo centro di Mariotto, sulla strada per Quasano, nel
territorio noto per la sua antica vocazione agricola. Il territorio
di Mariotto, e dei comuni vicini, è protetto a sud dal Parco Nazionale dell’Alta Murgia, depositario di una flora e di una fauna
uniche nel territorio italiano e mondiale.
Mandorli della cultivar Filippo Cea, ulivi, ciliegi e fichi rappresentano il paesaggio che si può godere affacciandosi dalle
finestre della Masseria, sede di un antico frantoio ancora in piena attività. Il frantoio prende il nome dalla più antica famiglia
di Mariotto, i Verità. Con questo nome e con la gelosa custodia
delle tradizioni, la Masseria Didattica si apre al pubblico per il
quale organizza percorsi sui cicli delle produzioni biologiche delle colture, di trasformazione dei prodotti della terra, ma anche
percorsi di degustazione e naturalistici, che rappresentano ciascuno un’avventura e una scoperta.
• 148 •
• 149 •
PRODOTTI
“DONNA FRANCESCA”
PRODUCTS
“DONNA FRANCESCA”
Mandorle Filippo Cea
Mandorle Filippo Cea
In guscio
1000 gr.
25 000 gr.
Raw unshelled
almonds
1000 gr.
25 000 gr.
Sgusciate
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
25 000 gr.
Raw shelled
almonds
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
25 000 gr.
Pelate
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
Blanched
almonds
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
Tostate salate
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
Roasted salted
almonds
20 pcs carboard display unit
(25 gr Litographed sachet)
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
Pralinate
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
Praline-coated
(sugar-coated) almonds
20 pcs carboard display unit
(25 gr Litographed sachet)
50 gr.
100 gr.
200 gr.
500 gr.
1000 gr.
130 gr.
330 gr.
Figs cotto
Bottle ("Fiorentina" model)
130 gr.
330 gr.
Cotto di fichi
Tomato
Pomodoro
420 gr.
690 gr.
Tomato Sauce
420 gr.
690 gr.
Ciliegino al naturale
500 gr.
(300 gr.)
Cherry natural
tomatoes
500 gr.
(300 gr.)
Ciliegino in salsa
500 gr.
(300gr.)
Cherry natural tomatoes
with tomato sauce
500 gr.
(300gr.)
Pomodori pelati
500 gr.
(450 gr.)
Peeled Tomatoes
500 gr.
(450 gr.)
Passata di pomodoro
• 150 •
AZIENDA AGRICOLA
DELLORUSSO FRANCESCA
Via Le Matine, s.n.
70032 Mariotto-Bitonto (BA) Italia
+39 080 3736051
[email protected]
www.donnafrancesca.it
• 151 •
• 152 •
• 153 •
• 154 •
L’Azienda Agricola Nicola Pero nasce raccogliendo l’eredità
dell’Azienda di famiglia da sempre specializzata nella produzione di prodotti coltivati in campo aperto. Nello specifico ci occupiamo di produrre verdura nei mesi invernali e Pomodori Regina di Torre Canne nei mesi estivi. Siamo molto attenti al rispetto
della stagionalità e ad utilizzare il meno possibile prodotti chimici, tutto questo ci permette di ottenere prodotti di alta qualità.
Tra questi Il Pomodoro Regina, varietà locale di pomodoro
da serbo che vede le sue origini nella terra di Egnazia, a pochi
metri dal mare. Oggi coltivata tra Fasano ed Ostuni, nelle aree
agricole litoranee in terreni salmastri.
Il pomodoro è ottenuto da semi selezionati dagli stessi produttori, tramite una selezione massale che prevede la scelta dei
semi delle piante migliori per poterne riprodurre le caratteristiche.
L’acqua salmastra utilizzata per irrigare le coltivazioni migliora le caratteristiche del pomodoro aumentandone la conservabilità e ne conferisce il sapore acidulo­salmastro.
Le caratteristiche del pomodoro Regina permettono di conservarlo per l’inverno. I contadini raccoglievano i pomodori e
poi legavano, un pomodoro per volta, il filo di cotone attorno
al peduncolo per ottenere piccoli grappoli che si univano in un
unico grappolo più grande per ottenere la “ramasola” che veniva appesa sotto le volte e conservata per l’inverno.
Oggi, oltre a mantenere viva la tradizione appendendo i pomodori in ramasole proprio come nelle sue origini, confezioniamo i pomodori in più pratiche vaschette per venire incontro alle
esigenze di trasporto e conservazione contemporanee.
Il Presidio nasce grazie al Parco Naturale Regionale delle
Dune Costiere da Torre Canne a Torre San Leonardo e l’Associazione Culturale Presepe Vivente di Pezze di Greco con l’obiettivo
di salvaguardare e perpetuare sia la coltivazione del pomodoro
Regina che quella del cotone.
• 155 •
IL POMODORO REGINA
Regina è il nome di una varietà locale di pomodoro da
serbo che vede le sue origini nella terra di Egnazia, a pochi
metri dal mare, lungo l’antica via Traiana e poi si diffonde nelle
zone limitrofe.
Oggi coltivata tra Fasano ed Ostuni, nelle aree agricole litoranee in terreni salmastri.
La memoria popolare racconta che il nome di questo
pomodoro si ispira alle caratteristiche del peduncolo, che
crescendo assume la forma di una coroncina.
LA STORIA
Le prime piante di pomodoro furono introdotte dall’America a scopo ornamentale, in seguito gli agricoltori si accorsero
che erano commestibili e nel XVIII secolo entrarono a far parte
della nostra dieta. Il pomodoro, insieme al grano, divenne una
delle principali coltivazioni sul territorio pugliese, in particolare
nella nostra zona.
In parallelo a queste coltivazioni erano presenti coltivazioni
di piante per la produzione di fibre tessili: lino, canapa e cotone,
utili per la realizzazione di abiti e biancheria per la casa.
• 156 •
Le caratteristiche del pomodoro regina permettevano di conservarlo per l’inverno così la storia del pomodoro si intreccia
con quella del cotone e della canapa: i contadini raccoglievano i pomodori stando attenti a non staccare il peduncolo,
poi legavano, un pomodoro per volta, il filo di cotone
attorno al peduncolo per ottenere le “catenelle”, piccoli
grappoli di pomodori.
• 157 •
Le “catenelle”ottenute con il filo di cotone si univano con lo
spago di canapa in un unico grappolo più grande per ottenere la
“ramasola” che veniva appesa sotto le bianche volte delle masserie e delle case contadine e conservata per l’inverno.
Una poetica interpretazione del nome “ramasola” lo
traduce come “il ramo di sole” durante il freddo invernale.
Questo lavoro veniva svolto d’estate: ci si riuniva dopo il
lavoro nei campi, spesso si riunivano diverse famiglie nel piazzale di un’unica abitazione e si passava il tempo intrecciando il
cotone attorno ai pomodori, le storie agli aneddoti, i momenti
di vita a quelli di svago.
Curiosità: Un tempo il possesso di molte ramasoleera un’espressione di prestigio sociale e di ricchezza familiare: le ragazze
in età da marito che ne possedevano molte erano ambite.
• 158 •
LE CARATTERISTICHE
Le bacche sono piccole e tondeggianti e la buccia piuttosto
spessa, il sapore acidulo­salmastro.
Il pomodoro è ottenuto da semi selezionati dagli stessi
produttori, tramite una selezione massale che prevede la
scelta dei semi delle piante migliori per poterne riprodurre le caratteristiche.
I semi vengono posti a germinare nel mese di febbraio, il trapianto, invece, viene effettuato da aprile a maggio. Alla fase del
trapianto segue la fase dell’ingrossamento del frutto che viene
eseguita con acqua salmastra.
L’acqua salmastra utilizzata per irrigare le coltivazioni
migliora le caratteristiche del pomodoro aumentandone
la conservabilità e la resistenza ai parassiti e rendendo il
peduncolo più resistente requisito importante per il metodo di conservazione tradizionale.
Il frutto è tra i più ricchi di vitamine A­B1­B2­C­E­PP­K. I pomodori Regina si raccolgono a partire da luglio: una parte viene
venduta fresca e consumata nel momento della loro reale maturazione e una parte viene riposta in cassette per essere immagazzinata ed appesa al filo di cotone per avere il piacere di
consumare un prodotto estivo anche d’inverno.
• 159 •
IL PRESIDIO SLOW FOOD
Con l’avvento delle serre, che rendono possibile coltivare
pomodori in ogni periodo dell’anno, la coltivazione di questa
varietà locale è andata via via calando. Il mercato ha visto l’affermazione, negli ultimi vent’anni, dei pomodori Ciliegini che,
data la grande offerta, sono commercializzati a prezzi di gran
lunga inferiori a quelli del pomodoro Regina. Ma, il seme originario del pomodoro Regina è stato conservato gelosamente e
riprodotto ogni anno dalle famiglie del posto, che hanno continuato a coltivare in modo tradizionale gli orti e i terreni sottostanti gli ulivi secolari, continuando ad associare i pomodori,
come vuole la storia locale, al cotone. Il Parco Naturale Regionale delle Dune Costiere da Torre Canne a Torre San Leonardo,
che promuove modelli di agricoltura sostenibile e il recupero
delle antiche varietà coltivate, e l’Associazione Culturale Presepe
Vivente di Pezze di Greco, che si adopera per la conservazione
della cultura contadina locale, hanno sostenuto la nascita di un
Presidio che si è posto l’obiettivo di salvaguardare e perpetuare
sia la coltivazione del pomodoro Regina che quella del cotone.
I pomodori sono coltivati pressoché in asciutta e una parte viene
intrecciata ancora al filo di cotone.
www.fondazioneslowfood.it
• 160 •
AZIENDA AGRICOLA
NICOLA PERO
Contrada Egnazia, 39
72015 Fasano (BR) Italia
+39 310 74093
[email protected]
www.aziendanicolapero.com
• 161 •
MICOTEC srl è un’azienda italiana produttrice di substrato
per funghi cardoncelli (Pleurotus eryngi) situata a circa 5 Km
da Gravina di Puglia, ai piedi dell’altopiano carsico delle Murge
che, grazie alle sue particolari caratteristiche orografiche e geologiche, è l’habitat del fungo cardoncello naturale.
Azienda
La Micotec, utilizza impianti moderni, altamente tecnologici
e funzionali, che permettono la gestione di cicli produttivi molto
brevi e attivi tutto l’anno.
• 162 •
La produzione
L’azienda è leader nella produzione dei ceppi di eryngii, i
quali vengono selezionati direttamente dall’habitat naturale
murgiano. A seconda del ceppo di origine il fungo cardoncello possiede determinate qualità visive e organolettiche, nonché
proprietà legate alla resistenza climatica nelle diverse stagioni.
La coltivazione
Le tecniche di coltivazione partono dall’utilizzo di un sottoprodotto eccellente come la paglia per realizzare substrati
mediante procedimenti esclusivamente biologici e naturali.
• 163 •
Prodotti
La possibilità di produrre substrati di diverso ceppo apre interessanti prospettive nella coltivazione del fungo cardoncello e
permette alla MICOTEC di soddisfare le esigenze di una clientela
vasta e professionale.
Ceppi prodotti
Tra i ceppi di fungo cardoncello prodotto dalla Micotec, vi sono:
• CARDONCELLO Pleurotus Eryngii - CEPPO 3061 (edulo)
• CARDONCELLO Pleurotus Eryngii - CEPPO 3060 (146)
• CARDONCELLO Pleurotus Eryngii - CEPPO 3065 (142)
• CARDONCELLO Pleurotus Eryngii - CEPPO 3064 (E+)
Il Fungo Cardoncello
Il fungo cardoncello della Murgia è un fungo dalla difficile
natura ma ricco di innumerevoli pregi. Molto ricercato in cucina
è noto e apprezzato per le sue importanti proprietà nutritive.
L’aroma e il sapore sono eccellenti e il valore di mercato del
fungo cardoncello è relativamente alto rispetto a quelle di altre
specie. Il fungo cardoncello contiene diverse vitamine soprattutto del gruppo B, proteine facilmente digeribili e ricche di tutti gli
amminoacidi necessari all’uomo, carboidrati, sali minerali essenziali e fibre. il suo valore nutrizionale è molto elevato se comparato a quello degli ortaggi comuni e per le sue considerevoli
virtù gastronomiche è definito a ragione la “carne della Murgia”.
In ambito gastronomico il fungo cardoncello gode di un’eccellente collocazione, dalla cucina paesana tradizionale a quella degli chef più prestigiosi, affermando tutta la sua versatilità e il gusto straordianrio di un prodotto che nasce nel meridione d'Italia.
• 164 •
MICOTEC srl
Str. prov. 230 per Spinazzola km 60,900
Gravina in Puglia (BA) Italia
+39 080 3269143
+39 080 3269143
[email protected]
• 165 •
• 166 •
INDICE
Presentazione
5
Prefazione
- Le “SUPERLATTIVE” di Puglia
7
Introduzione
La Puglia agricola
- Un po’ di storia passata
- Le produzioni
- L’attualità
- L’Apulia Nova
9
10
32
36
I Vini
- Società Agricola Apuliense
- Cantine Lizzano
- Azienda Agricola Giuliani Raffaele
La Pasta
- Pastificio Artigianale Cardone
- Micosidin
46
50
68
84
98
L’Olio
- Frantoio Oleario Feudo dei Verità
- Aziende Agricole Santa Croce & Sant’Aloja
106
112
I Sottoli
- Azienda Agricola Mastrototaro Pugliese
122
I Legumi
- Azienda Agricola Luigi Lorusso
“Legumi d’Alta Murgia”
- Azienda Agricola Dellorusso Francesca
“Donna Francesca”
144
Gli Ortaggi
- Azienda Agricola Nicola Pero
- Micotec
153
154
162
• 167 •
135
136
Finito di stampare nel mese di agosto 2015 da
Ecumenica Editrice - Bari
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Scarica

Progetto “SUPERLATTIVE