La gravidanza: un’esperienza da ascoltare
Alessandra Bortolotti (*)
Ho scritto questo articolo di getto, una mattina all’alba di una bellissima giornata
romana in cui avrei fatto da madrina al figlio di una cara amica, mi trovavo al quarto
mese della mia prima gravidanza.
Oggi dopo due anni, lo riprendo in mano con un chiaro ricordo della sensazione che
ebbi al momento in cui trovai la penna in una casa non mia e un foglio che nasceva
come una delle tante pubblicità che troviamo nelle nostre cassette della posta.
Perché tanta fretta e voglia di scrivere? La risposta mi è chiara adesso più di allora.
Di lì a poco, avrei affrontato una giornata molto intensa, in cui avrei dovuto presentare a
tutti la mia pancia ed essere pronta a racconti di ogni tipo su gravidanze e parti delle
donne presenti, su domande e risposte fatte da altri sulla mia gravidanza. Avrei
sicuramente dovuto riflettere, senza entrare in confusione, sui consigli che spesso capita
di sentirsi dare, quando magari, non si ha nessuna voglia di averli.
Sono una psicologa e mi occupo da anni della relazione madre/bambino, di sostegno
alla genitorialità e di psicoprofilassi ostetrica. Conduco incontri di sostegno per genitori
con neonati molto piccoli, dove insegno anche il massaggio neonatale.
Quando ero incinta, cosa facessi io di professione non se lo ricordava quasi nessuno. In
realtà, mi sentivo molto fortunata. La mia lunga e sentita esperienza con le future
mamme, coi loro bambini e con i colleghi tutti, mi aveva equipaggiato di un
preziosissimo bagaglio che finalmente si intrecciava con ciò che stavo vivendo
personalmente, sia a livello fisico che psicologico, dandomi la possibilità di cogliere in
maniera completa e integrata una nuova occasione di crescita, anche e soprattutto negli
inevitabili momenti di difficoltà.
A livello personale con gravidanza e parto si è chiuso il cerchio composto da ciò che
avevo studiato, ciò che avevo imparato sul campo e ciò che ho, in seguito, vissuto.
Mi sento quindi di volere condividere la mia esperienza di donna, ma anche di esperta
del settore, con tutte quelle donne incinte e quegli operatori che vivono e proteggono la
gravidanza come un’esperienza unica, irripetibile e personale, di conoscenza di sé, un
periodo per molti versi magico, ma non certo privo di difficoltà ed indecisione.
Ce ne sono tanti di momenti complicati: stanchezza, incertezza, senso di responsabilità,
aspettative proprie e altrui, rendono spesso la donna incinta molto fragile. La scoperta
che per qualcuno potrebbe sembrare paradossale è che questa fragilità può risultare
preziosa e può anche diventare un notevole punto di forza, un trampolino di lancio verso
l’evolversi di una nuova parte di sé, quella del genitore che sta crescendo e nascendo
insieme al proprio bambino.
Da queste premesse nasce la mia riflessione per capire come trasformare un’apparente
debolezza in una forza e come “gli altri” possano contribuire a questa evoluzione.
Il dato di fatto, molto trattato dalla letteratura largamente presente sull’argomento, è che
la gravidanza, soprattutto la prima, è un momento unico e irripetibile per la donna e per
tutta la sua famiglia, il cui valore sta nell’acquisire fiducia in sé e autonomia, passo
dopo passo, ascoltando se stessa, il proprio corpo che cambia e le proprie sensazioni,
accogliendo tutto quello che viene da dentro: senso di potere, ma anche paure, riso e
pianto, felicità, tristezza e tutto ciò che si presenti nel corso dei giorni.
Ma ascoltare se stesse non è così facile e scontato ed ancora più difficile è essere
ascoltate dagli altri quando se ne senta la necessità, familiari o esperti che siano.
Ci troviamo in una realtà culturale dove la globalizzazione fa da padrona e dove le
individualità emergono con difficoltà. Spesso, è molto più diffusa la cultura della delega
all’esperto che promuove tecniche e/o teorie valide per tutti, piuttosto che l’interpellare
un professionista col preciso intento di capire cosa sta succedendo dentro noi, dando
fiducia alle proprie sensazioni, belle o brutte che siano. Il rischio è che lo spostare il
problema fuori di sé pensando che un direttivo intervento esterno risolva tutto, ci renda
dipendenti e non autonome, né in armonia con la nostra particolare personalità ed
esperienza di vita, fino a quel momento vissuta. Di conseguenza, il farmaco, il latte
artificiale, le regole e le soluzioni imposte da altri, percepiti come più competenti, sono
più importanti delle nostre sensazioni, delle nostre risorse e di ciò che la natura ci
suggerisce.
Questo è il problema che riscontro più spesso, nel mio lavoro con donne in gravidanza e
neo-mamme. Sono letteralmente, disorientate dalla miriade di esempi, pareri,
pubblicazioni, oggetti commerciali ed esperti del settore che si sentono in dovere ed in
diritto di dare indicazioni, spesso discordanti tra loro ma rigorose, prima ancora di avere
ascoltato e osservato quella esperienza.
La normalità non è che la donna in gravidanza senta la necessità di fare domande, a chi
vuole, quando si sente e nella maniera che le risulta più vantaggiosa per la sua
esperienza, bensì che la donna si senta dipendente dall’esame stabilito dal libretto di
gravidanza, dall’appuntamento col ginecologo ed in seguito, dall’ostetrica e dal
pediatra. In questo modo si può instaurare un pericoloso circolo vizioso che unisce la
mancanza di tempo spesso riscontrata dalle donne quando si rivolgono agli operatori dei
servizi pubblici, l’alto costo dei professionisti del settore privato e il bisogno di
personalizzazione dell’assistenza alla donna incinta.
Gli esperti di comunicazione sanno che perché un atto comunicativo sia corretto ed
efficace risulta necessario, in percentuale più elevata, saper ascoltare il proprio
interlocutore, piuttosto che parlare con lui.
La realtà quotidiana è che, invece, la donna in stato interessante diventa interessante
davvero, per esempio, per altre donne già diventate mamme; diventa il fulcro di un
sacco di parole spesso inutili e ridondanti, di esperienze altrui riportate come
fondamentali e di cui tenere assolutamente conto, di pubblicazioni, che invece che
chiarire dubbi li fanno venire.
In definitiva, spesso gli altri si sentono padroni dell’esperienza unica e irripetibile della
donna che hanno davanti, senza il più delle volte, averle dato quello spazio di ascolto e
di confronto che sarebbe il punto di partenza fondamentale, per un’elaborazione comune
di ciò che effettivamente sta succedendo dentro quella donna in quel preciso momento
della sua gravidanza!
La donna incinta ha, di frequente, sensazioni di solitudine e di paura, sa di dover prima
o poi affrontare il parto mettendo ancora di più in gioco il proprio corpo e le proprie
risorse interiori. Nessuno sa prima, cosa affronterà quella donna, che parto avrà e che
tipo di vita la aspetterà col bambino, una volta tornata a casa. Non è da trascurare il dato
dell’Istituto Superiore di Sanità che rileva al 10-15% il tasso nazionale di depressione
post-parto, peraltro segnalandone un aumento. A mio parere, noi operatori dovremmo
leggere questa percentuale come una necessità delle donne di una maggiore
personalizzazione del nostro intervento. Dovremmo aiutarle a vedere ed accettare la
gravidanza, come momento importante per affermare e rafforzare la loro autonomia e la
fiducia in sé. Dovremmo dare fiducia alle sensazioni che ci riferiscono, cercando di
delineare il giusto equilibrio tra la natura di tali sensazioni e l’interpretazione che la
cultura medica ne deve dare.
Per ciò che riguarda tutti gli altri, purché richiesti, ben vengano consigli e racconti di
persone con cui scambiare impressioni e parole alla pari, nella massima fiducia della
propria esperienza anche se ancora non è culminata nel parto. La donna in gravidanza
ha, a mio parere, bisogno di vivere la propria esperienza in pieno, avendo fiducia nelle
proprie sensazioni ed emozioni, ha bisogno di essere stimolata e incoraggiata
nell’espressione di tutto ciò che dentro di lei sta cambiando e di rafforzare attraverso il
confronto con altre donne o con gli esperti, il proprio senso di autonomia e di
individuazione, necessario per il ruolo genitoriale che dovrà ricoprire di lì a breve.
Troppo spesso, a mio parere, donne incinte non ascoltate, a loro volta, colgono
l’occasione di un’altra donna in gravidanza per rielaborare la loro esperienza non
sufficientemente raccontata e confrontata, anche se ormai, i figli sono già cresciuti,
creando un’occasione che non soddisfa nessuno.
Il valore dell’ascolto della donna in gravidanza deve essere ben tenuto presente sia dagli
operatori del settore che da chiunque ruoti intorno al suo mondo in divenire. Più di tanti
racconti, libri o giornali largamente in commercio da leggere passivamente, creiamo
spazi di ascolto e di confronto che aiutino le donne ad esprimersi e integrare dentro di sé
tutti i veloci cambiamenti che la gravidanza propone e impone. Di questo gioveranno
tutti, le donne, i loro bambini, le famiglie e anche gli operatori che si troveranno davanti
donne più autonome e padrone della propria magica esperienza.
(*) Psicologa, libera professionista, perfezionata in psicoprofilassi ostetrica.
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