Recensioni > Cinema > Cultura - Martedì 17 Aprile 2012, 08:10
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‘Alice’ nel Paese di Svankmajer
I filologi di RaroVideo riscoprono 'Alice', primo lungometraggio di Jan Svankmajer nonché
summa delle sue ossessioni formali di autore surrealista."
Claudio Bartolini
Cassetti. Marionette. Farfalle, conchiglie e blatte. Chiodi e buchi (nei muri, nel pavimento).
Collezioni su mobili animati come arredamenti di paesaggi mentali in continua circon(e)
voluzione. È il 1988 quando il ceco(slovacco) Jan Svankmajer, dopo più di vent’anni di
cortometraggi, riversa le sue ricorrenze artistiche nel lungometraggio ’Alice’, adattamento
del romanzo di Lewis Carroll talmente libero da meritarsi il titolo originale ’Neco z Alenky’,
letteralmente ’Qualcosa da Alice’. Il Paese delle Meraviglie in cui l’autore di Praga catapulta la
sua fanciulla è un (non)luogo in perenne equilibrio tra universo sensoriale e materiale onirico,
visionario, orrorifico. L’armonia del reale viene infranta fin dal principio della favola, quando la
prevedibile quiete di un corso d’acqua è rotta dal sasso lanciato dalla protagonista e seguito da
una dichiarazione poetica: “Alice disse fra sé… ora vedrete un film… a misura di bambino… forse…
ma ho quasi dimenticato… dovete… chiudere gli occhi… altrimenti… non vedrete nulla”.
’Alice’, pellicola da vedere (comprendere) a occhi chiusi, trova forza espressiva in un continuo
movimento di andata/ritorno dall’inconscio attraverso soglie, rappresentate da quelle
porte/cassetto così frequenti nell’universo del cineasta (il primo cassetto nel quale la piccola
segue il Coniglio Bianco proviene direttamente dal corto del 1982 ’Possibilità di dialogo’). Nella
geografia cinematografica di Svankmajer la coscienza è luogo aperto e continuamente
espandibile. Il film, dunque, è assimilabile a una seduta di ipnosi – non è certo casuale la
presenza di un metronomo tra le ’collezioni’ messe in scena – che porta alla luce le sue
ossessioni in chiave allegorica e attraverso una totale libertà narrativa ed estetica. I continui
scambi di consegne tra codici grammaticali segnano i passaggi di soglia, come grimaldelli
grafici che consentono di scardinare i referenti abituali (reali) per proiettare significanti e
significati sempre in un altrove. L’animazione e gli espedienti surreali si susseguono
incessantemente, in un rito di passaggio dimensionale consumato anche letteralmente grazie
all’inchiostro e ai biscotti, che permettono ad Alice di modificare i propri rapporti spaziali con il
mondo (minuscolo, gigantesco, di nuovo minuscolo) e varcare quelle porte ora microscopiche,
ora insormontabili. Questi espedienti – unitamente ai personaggi ’rielaborati in chiave animata’
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link https://www.lindro.it/cultura/2012-04-17/8230-alice-nel-paese-di-svankmajer
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del Coniglio Bianco, del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina – sono tra i pochi effettivi
prelievi grazie ai quali il regista accede al testo Carroliano per poi vampirizzarlo con un filtro
poetico del tutto personale. Alice è Svankmajer stesso, artista in dialogo con la sua arte
alla ricerca di un sé(nso) altro. La narrazione è un flusso di pensiero in soggettiva dal punto di
vista della piccola protagonista. È lei l’unica voce narrante delle proprie e altrui opinioni,
restituite (rispettivamente in prima e terza persona) sempre dalle sue labbra in primo piano.
Tutto ciò che è in scena è il frutto del parto onirico della bimba, quindi del parto onirico
dell’autore. ’Alice’ è la cartografia del suo cinema inconscio in virtù degli oggetti che lo
compongono e che apparivano costantemente nei cortometraggi precedenti: fori come quelli di
’J.S. Bach: Fantasia in sol minore’ (1965); marionette, burattini e animali antropomorfi ricorrenti
in ’La fabbrica di bare’ (1966); campionari di lepidotteri, insetti e mammiferi mostrati in forma
reale e scheletrica come era stato in ’Historia Naturae’ (1967); oggetti inanimati in animata
rivolta che ricordano quelli in scena in ’L’appartamento’ (1968); il giardino di Alice come il luogo
opprimente e angosciante di ’Il giardino’ (1968). Il loop circolare di azioni e simbologie, comune
al film e al racconto da cui è tratto, diviene a sua volta simbolo archetipico di continuo,
(in)sensato ritorno dell’anima alle proprie fissazioni più autentiche. È come un rituale che,
rinnovandosi continuamente, perde di senso e riacquista un senso (altro) a ogni suo
compimento. Un processo analogo a quello delle fiabe, raccontate sempre uguali ogni
sera a bambini che le caricano di significati sempre diversi e sovrascrivibili. Tra debiti
pesanti nei confronti dei surrealisti di Praga e della videoarte, omaggi a Luis Buñuel (occhi cuciti
contrapposti a quello tagliato di ’Un chien Andalou’: per il cecoslovacco il film è spettacolo per
palpebre calate, mentre lo spagnolo voleva costringerci ad aprirle) e un impianto scenico
frontale che ricorda il teatro, i baracconi di marionette itineranti e gli spettacoli di ombre cinesi,
Svankmajer crea un capolavoro di liberazione formale e narrativa. Un’opera che i filologi di
RaroVideo non potevano farsi sfuggire. Certamente non dopo aver pubblicato, nel 2009, il
cofanetto a doppio disco ’Il mondo di Jan Svankmajer’, oggetto da collezione contenente 14
cortometraggi dell’autore realizzati tra il 1964 (’L’ultimo numero del signor Schwarzewald e del
signor Edgar’) e il 1989 (’Oscurità-luce-oscurità’) e corredati da un libretto critico a cura di Bruno
Di Marino con saggi, schede dei film e una conversazione con il regista. L’edizione a singolo
supporto di ’Alice (Neco z Alenky)’ non ha nulla da invidiare a quella precedente, offrendo nel
comparto extra il corto ’Alice in Wonderland’ di Percy Stow e Cecil M. Hepworth,
’Possibilità di dialogo’ di Svankmajer e la videointroduzione di Massimo Fusillo. Il booklet
contiene un illuminato intervento del curatore (sempre Di Marino), un’intervista al cineasta e
l’antologia critica. Inutile (ma sempre doveroso) sottolineare la cura del prodotto, punto di forza
della label più attenta ai dettagli nel panorama distributivo nostrano. Il formato in 4/3 è stato
filologicamente mantenuto e unito a una impeccabile pulizia del quadro. L’audio inglese
affianca quello originale cecoslovacco (dolby digital 2.0) e per entrambi sono disponibili
sottotitoli in italiano e inglese. Un dvd da guardare in loop, alla ricerca di nuovi stati di
(in)coscienza cinematografica e spettatoriale. Chiudete gli occhi… altrimenti… non vedrete nulla.
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