Filosofia del linguaggio e della comunicazione I (6CFU) Prof. Francesco Ferretti Università Roma Tre Anno accademico 2010-11 Libri di testo Chomsky N., Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino, 2008. Pinker S. e Bloom P., Linguaggio naturale e selezione darwiniana, Armando, 2010. Ferretti F., Alle origini del linguaggio umano, Laterza, 2010. Linguaggio e natura umana «Ci sono varie ragioni per le quali il linguaggio ha avuto e continuerà ad avere un significato particolare per lo studio della natura umana. Una ragione è che il linguaggio sembra veramente essere una proprietà legata alla specie, una proprietà unica della specie umana nella sua essenza e comune alla nostra dotazione biologica, che presenta variazioni minime tra gli esseri umani a parte alcune patologie particolarmente gravi. Inoltre, il linguaggio entra in modo cruciale nel pensiero, nelle azioni e nelle relazioni sociali. Infine il linguaggio è relativamente accessibile allo studio» (Chomsky, 1988, trad. it. p. 4). Cartesio o Darwin? Due domande sulla natura umana 1. Che cos’è la natura umana? 2. Come riconosciamo gli esseri umani? «Descartes sosteneva che l’unica indicazione sicura che un altro corpo possiede uno spirito umano, che non sia un semplice automa, è la sua abilità di usare il linguaggio in maniera normale. Egli sosteneva che questa abilità non può essere rilevata in un animale o in un automa che, sotto altri aspetti, presenta segni di apparente intelligenza superiori a quelli di un uomo, anche se tale organismo o macchina potesse essere provvisto completamente come un uomo degli organi fisiologici necessari a produrre il discorso» (Chomsky, 1968, trad. it. p. 139). La dissoluzione della natura umana (4) La mente esteriorizzata Relativismo culturale e determinismo linguistico Chomsky: teoria degli universali Comportamentismo (il ruolo dell’esperienza e la plasticità degli organismi) Chomsky: innatismo e modularità Relativismo culturale e determinismo linguistico Cultura “A” Cultura “B” La massa amorfa del pensiero Ipotesi Sapir-Whorf determinismo linguistico (i pensieri delle persone sono determinati dalle categorie della loro lingua); relativismo linguistico (lingue diverse determinano pensieri diversi). Da Scienza e linguistica (Whorf, 1956) Il bersaglio polemico è la “logica naturale”: l’idea che esista un pensiero puro (fondamento della razionalità) indipendente dalle forme della sua espressione (la lingua è un modo di esprimere qualcosa che viene prima e che è dato autonomamente). Ipotesi Sapir-Whorf «Il sistema linguistico di sfondo (in altre parole la grammatica) di ciascuna lingua non è soltanto uno strumento di riproduzione per esprimere idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma e la guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue impressioni, della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa. (…). Analizziamo la natura secondo linee tracciate dalle nostre lingue. Le categorie e i tipi che isoliamo dal mondo dei fenomeni non vengono scoperti perché colpiscono ogni osservatore; ma, al contrario, il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che deve essere organizzato dalle nostre menti, il che vuol dire che deve essere organizzato in larga misura dal sistema linguistico delle nostre menti.» (Whorf, 1956, trad. it. pp. 169-70). La dissoluzione della natura umana (2) «Se l’uomo è essenzialmente un produttore di cultura, ciò che egli è finisce per dipendere dalla cultura che produce; se non ci sono oggetti naturali ma solo oggetti culturali, anche l’uomo è un oggetto culturale, nient’altro che la più brillante delle sue invenzioni; e anzi non un oggetto culturale, ma una miriade di oggetti culturali, tanti quanti sono i progetti di umanità elaborati dalle singole culture e all’interno di ciascuna di esse. Quindi la natura umana per un verso si moltiplica nelle forme di vita umana caratteristiche delle diverse culture, e per altro verso si svuota di contenuto, diventando una tabula rasa su cui disegnare ipotesi di umanità che hanno lo statuto di personaggi letterari» (Marconi, 2000, p. 126). La dissoluzione della natura umana (3) «Conclusione (…): la varietà delle lingue testimonia l’indipendenza del linguaggio dalla biologia; ma una lingua è il cuore di una cultura e il veicolo – se non l’essenza – di una forma di pensiero; dunque ciò che nell’uomo è naturale (nel senso biologico del termine) non determina ciò che nell’uomo è propriamente umano, il suo pensiero e la sua cultura. L’espressione “natura umana” diventa quasi un ossimoro: ciò che è propriamente umano non è naturale» (Marconi, 2000, p. 128). Intermezzo Impossibile v isualizzare l'immagine. La memoria del computer potrebbe essere insufficiente per aprire l'immagine oppure l'immagine potrebbe essere danneggiata. Riav v iare il computer e aprire di nuov o il file. Se v iene v isualizzata di nuov o la x rossa, potrebbe essere necessario eliminare l'immagine e inserirla di nuov o. Intermezzo (2) Distinzione tra vedere e pensare Il Comportamentismo: la dissoluzione della natura umana La plasticità dell’essere umano «Un passo frequentemente citato di Behaviorism (1925) serve a dare un’idea dell’ambientalismo estremo di Watson: «Datemi una dozzina di bambini di sana e robusta costituzione, e un ambiente organizzato secondo i miei specifici principi, e vi garantisco che, prendendo ciascuno di loro a caso, sarò in grado di farne lo specialista che desidero, sia esso un medico, un avvocato, un artista, un capoufficio vendite, e, perché no, anche un mendicante o un ladro. Il tutto senza tener conto dei suoi talenti, inclinazioni, attitudini, abilità, preferenze e della razza dei suoi antenati» (pp. 107-08). Il comportamentismo: Il condizionamento «Tutti i problemi psicologici e le loro soluzioni possono essere tradotti in termini di stimolo e risposta» (Watson, 1930, p. 29). La sostituzione di stimoli e il condizionamento di stimoli Stimolo incondizionato R Scarica elettrica ………………………………. Ritiro della mano Luce rossa + scarica elettrica................................ Ritiro della mano Stimolo condizionato Luce rossa..............................................................Ritiro della mano CONDIZIONAMENO: il procedimento per mezzo del quale determinati stimoli, che solitamente non provocano certe risposte, acquisiscano la proprietà di farlo (p. 20). (le 15.000 parole di cui dispone un individuo istruito possono essere considerate altrettanti stimoli condizionati). Il comportamentismo: Il pensiero Che cos’è il pensiero? «Il comportamentista ritiene che ciò che gli psicologi hanno finora chiamato pensiero non è altro che un parlare con noi stessi. L’evidenza di ciò è quasi esclusivamente teorica, ma si tratta dell’unica teoria finora avanzata che spieghi il pensiero in termini conformi alle scienze naturali (...). La mia teoria sostiene che le abitudini muscolari apprese per attuare il linguaggio manifesto sono responsabili anche del linguaggio interiore o implicito (pensiero). Sostiene anche che vi sono centinaia di combinazioni muscolari con cui uno può pronunciare ad alta voce fra sé qualsiasi parola, tanto ricca e flessibile è la nostra organizzazione verbale e tanto varie le nostre abitudini verbali. (...). Inoltre, dopo che si sono formate le nostre abitudini verbali manifeste, noi continuiamo costantemente a parlare con noi stessi (pensiero). Si formano nuove combinazioni sempre più complesse, si verificano nuove sostituzioni, come quando, ad esempio, alziamo le spalle o effettuiamo altri movimenti del corpo in luogo delle parole. In breve, qualsiasi movimento del corpo può diventare il sostituto di una parola» (p. 232) Quanto è davvero importante lo stimolo percettivo? La percezione va sempre oltre lo stimolo dato: ruolo dei processi di elaborazione interna (di interpretazione) dello stimolo esterno. Quanto è davvero importante lo stimolo percettivo? (2) Rettangoli Rettangoli La Questione di Molyneux (ipotesi sulla natura umana) Nella seconda edizione dell'Essay Concerning Human Understanding (1694), John Locke aggiunse il quesito suggeritogli in una lettera del 2 marzo 1693 dall'amico William Molyneux: «Immaginiamo un uomo nato cieco, ora adulto, al quale si è insegnato per mezzo del suo tatto a distinguere fra un cubo e una sfera dello stesso metallo e pressappoco della stessa grandezza, in modo che sia in grado, sentendo l'uno e l'altro, di dire qual è il cubo e qual è la sfera. Supponiamo ora di mettere il cubo e la sfera su un tavolo, e che al cieco sia data la vista: si domanda se, mediante la vista e prima di toccarli, egli saprebbe ora distinguerli e dire qual è il cubo e qual è la sfera?» (Locke 1964; tr. it. p. 181). Gli empiristi (Tabula rasa) rispondono “No”, i razionalisti (innatisti) rispondono “Sì” La Questione di Molyneux: risposte La risposta di Molyneux, fatta propria da Locke, è negativa: «No, perché, sebbene egli abbia appreso dall'esperienza la maniera in cui un globo o un cubo agiscono sul suo tatto, non ha tuttavia appreso dall'esperienza che ciò che agisce sul suo tatto in una data maniera deve agire sulla sua vista in una data maniera; non sa che l'angolo sporgente del cubo, che premeva in modo disuguale sulla sua mano, apparirà al suo occhio così com'è nel cubo» (ivi). Leibniz può essere considerato come il sostenitore della risposta positiva al problema: nei Nouveaux essais sur l'entendement humain (1765) egli sostenne la sostanziale identità delle idee di cubo e di sfera nel cieco e nel vedente. Per giustificare il fatto che i ciechi nati possano apprendere la geometria, dobbiamo, secondo Leibniz, fare riferimento ai principi della ragione comuni a tutti gli uomini. Soltanto per loro mezzo, infatti, essi riescono a discernere le figure: «nella sfera non vi sono punti che si differenziano, tutto essendovi unito e senza angoli, mentre nel cubo vi sono otto punti distinti da tutti gli altri. Se non vi fosse questo mezzo per discernere le figure, un cieco non potrebbe apprendere i rudimenti della geometria mediante il tatto» (Leibniz 1765; tr. it. p. 130) Di nuovo: quanto è davvero importante lo stimolo percettivo? Quanto è davvero importante lo stimolo percettivo? Quanto è davvero importante lo stimolo percettivo? Quanto è davvero importante lo stimolo percettivo? Figura 5. Graphical representation of an oneiric scene of a blind subject. Tratto da Bértolo et al. (2003), p. 181 La grammatica della visione Le leggi della forma: vicinanza, eguaglianza, “forma chiusa”, forma buona, moto comune, esperienza G. Kanizsa: La grammatica del vedere (1980), Vedere e Pensare (1991) Il comportamentismo: L’apprendimento del linguaggio Così come per i movimenti, anche per il linguaggio dobbiamo elementi fondamentali non appresi: i suoni vocalici non appresi che il bambino produce dal momento della nascita in poi. «a», «u», «uah». L’apprendimento del linguaggio utilizzando il condizionamento tra la presentazione di un biberon a un bambino di 5 mesi e lo stimolo sonoro “da” proferito insieme alla presentazione visiva del biberon al bambino. La procedura ripetuta più volte ha dato esito positivo: dopo un ciclo di condizionamento, il bambino diceva “dada” alla vista del biberon senza che la parola-stimolo veniva pronunciata dagli sperimentatori. Il comportamentismo: L’apprendimento del linguaggio (2) «E’ chiaro ora che le abitudini verbali vengono costruite nello stesso modo delle abitudini manuali. Ricorderete che quando una serie di risposte (abitudini manuali) è organizzata attorno ad una serie di oggetti, possiamo attivare l’intera serie di risposte senza che sia presente la serie originaria di oggetti (ESEMPIO DELLA MUSICA SUONATA CON LO SPARTITO DAVANTI E POI SENZA SPARTITO). Ora sapete come spiegare questo fenomeno, sapete infatti che la prima risposta muscolare che effettuerete, il primo tasto che pigerete per iniziare la melodia, diventa il sostituto dello stimolo visivo della seconda nota. Gli stimoli muscolari (cinestetici) fungono ora da stimoli visivi e l’intero processo si evolve con regolarità come prima» (p. 228). ORDINE SERIALE DEL COMPORTAMENTO «Ora, la stessa cosa si verifica nel comportamento linguistico. Supponete di leggere dal vostro libretto (…) la frase «Ora-mi-metto-giù-a-dormire». La vista di «ora» produce la risposta consistente nel dire «ora», la vista di «mi» produce la risposta consistente nel dire «mi» (risposta 2), e così via per tutta la serie. Presto la semplice risposta consistente nel dire «ora» diventa lo stimolo motorio (cinestetico) per dire «mi». Ecco spiegato perché possiamo estraniarci dal mondo degli stimoli e parlare di immagini e di suoni che hanno luogo in posti distanti o di cose che si sono verificate anni fa. Una parola detta casualmente da un passante, una domanda posta da un amico o anche un’immagine o un suono attorno a voi possono attivare questa vecchia organizzazione verbale» (p. 228) Non esistono idee innate: Locke Supponiamo dunque che lo spirito sia per così dire un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo verrà ad esserne fornito? Da dove proviene quel vasto deposito che la fantasia industriosa e illimitata dell’uomo vi ha tracciato con una varietà quasi infinità? Da dove si procura tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dall’ESPERIENZA. Su di essa tutta la nostra conoscenza si fonda e da essa in ultimo deriva. La nostra osservazione adoperata sia per gli oggetti esterni sensibili, sia per le operazioni interne del nostro spirito che percepiamo e sulle quali riflettiamo, è ciò che fornisce al nostro intelletto tutti i materiali del pensare. Queste sono le due fonti della conoscenza, dalle quali scaturiscono tutte le idee che abbiamo o possiamo avere naturalmente (Locke, Saggio sull’intelletto umano, II, 2) La critica alla tabula rasa: Leibniz Questa tabula rasa di cui si parla tanto non è, a mio avviso, che una finzione che la natura non tollera, fondata nelle nozioni incomplete dei filosofi come il vuoto, gli atomi e la quiete (…), o come la materia prima che si concepisce senza nessuna forma. (…) Per non dire che coloro che parlano tanto di questa tabula rasa, non saprebbero indicare ciò che le rimane dopo averle tolto le idee (…). Mi si risponderà forse che questa tabula rasa dei filosofi vuol dire che l’anima non ha naturalmente e originariamente che delle facoltà nude. Ma le facoltà senza qualche atto, in una parola le pure potenze degli scolastici, non sono altro che finzioni che la natura non conosce e che non si ottengono che facendo delle astrazioni. Poiché dove si potrebbe mai trovare nel mondo una facoltà che si fermi alla sola potenza senza esercitare alcun atto? Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, II, 2 La critica di Chomsky al comportamentismo La teoria della povertà dello stimolo Il riferimento alla competenza grammaticale trova nella «povertà dello stimolo» il suo punto di forza. Nella recensione a Verbal Behavior di Skinner, Chomsky (1959) sostiene che un’analisi in termini di «stimolo», «risposta» e «rinforzo» è insufficiente a dar conto di ciò che caratterizza il linguaggio in modo specifico. Rifacendosi al noto articolo di Lashley (1951), The Problem of Serial Order in Behavior, egli sottolinea l’impossibilità di apprendere la produzione fonetica di una parola a partire dalla sequenza dei suoni effettivamente ascoltata: a causa dei diversi tempi di attivazione dei muscoli dell’apparato fonatorio è impossibile infatti stabilire una relazione univoca tra suono e articolazione. Un caso più interessante ai nostri fini è quello della struttura sintattica: «La composizione e la produzione di un enunciato non si risolve semplicemente nel mettere in fila una sequenza di risposte sotto il controllo di una stimolazione esterna e di un’associazione intraverbale [poiché] l’organizzazione sintattica di un enunciato non è qualcosa che si trova rappresentata in modo semplice e diretto nella struttura fisica dell’enunciato stesso» (Chomsky, 1959, trad. it. p. 62). La sintassi (il costituente centrale della competenza grammaticale) è un sistema troppo complesso per poter essere derivato dall’esperienza. Non è dunque possibile parlare di apprendimento del linguaggio. La critica all’ordine seriale del comportamento Contro la concezione associazionista del comportamento, secondo cui ogni elemento della serie fornisce l’eccitamento dell’elemento successivo, Lashley nel suo famoso articolo del 1951, prende ad esempio la struttura della frase per poi estendere i risultati alle sequenze motorie in genere. A dimostrazione dell’insufficienza esplicativa della teoria della catena associativa, Lashley prende in esame la questione della produzione della parola. Il pronunciare la parola inglese “right”, ad esempio, «consiste dapprima in una retroazione ed elevazione della lingua, nell’espirazione di aria e nell’attivazione delle corde vocali; in un secondo tempo nell’abbassamento della lingua e della mandibola; in un terzo tempo elevazione della lingua fino a toccare la rima dentale, arresto della vocalizzazione e forzata espirazione di aria con depressione della lingua e della mandibola. Questi movimenti non hanno alcun ordine intrinseco di associazione». Di particolare interesse ai nostri fini è quanto Lashley aggiunge subito dopo a proposito delle parole: la stessa mancanza di una valenza temporale intrinseca degli elementi si ritrova anche ai successivi livelli di combinazione (quello delle parole in frasi, ad esempio) in cui appare evidente che «In base a queste considerazioni, è certo che ogni teoria che attribuisce la forma grammaticale al diretto legame associativo delle parole della frase trascura il carattere essenziale della parola. I singoli elementi della serie temporale non hanno in sé una “valenza" temporale nelle loro connessioni associative con altri elementi. L’ordine è imposto da qualche altro fattore. Questo vale non solo per il linguaggio, ma per tutti i movimenti fini o successioni di movimenti fini». (Lashley, 1951, trad. it. p. 122) La critica all’ordine seriale del comportamento Lenneberg, I fondamenti biologici del linguaggio, 1967 «La complessità di questo meccanismo di regolazione può forse essere resa più evidente se lo paragoniamo a una grossa centrale di controllo del movimento di treni (treni di impulsi nervosi, possiamo ben dire!). I treni vengono fatti partire secondo delle tabelle orarie, uno per ogni schema motore. Ogni tabella oraria comporta centinaia di partenze simultanee, come pure un programma di partenze scaglionate dove ogni treno deve partire una frazione di secondo dopo il treno che lo precede» (Lenneberg, trad. it. p. 23). «Secondo la teoria della catena associativa i movimenti dei singoli treni sono i segnali per il movimento di altri treni. Secondo la teoria del meccanismo centrale né i singoli treni né i loro movimenti hanno, di per sé, influenza sui movimenti di altri treni che li seguono nel tempo; è la tabella oraria delle partenze che regola l’insieme delle varie attività. I singoli treni e le loro corse possono essere parte di più programmi indipendenti. Secondo la prima teoria il macchinista di un treno B incomincia a muoversi dopo che ha visto arrivare il treno A. Secondo l’altra teoria, invece, il macchinista B può non utilizzare affatto l’informazione che gli viene da A dato che questa può essere parte di un programma differente in cui B non segue A; egli deve necessariamente ricevere i segnali dal regolatore centrale» (Lenneberg, trad. it. p. 24). Il principio di dipendenza dalla struttura F SV SN SN La vecchia porta la sbarra F SN La SV vecchia porta la sbarra Principio di dipendenza dalla struttura F SN SV SN Il principio della dipendenza dalla struttura (2) Secondo tale principio la conoscenza del linguaggio si basa sulle relazioni strutturali che sussistono all’interno della frase e non sulla sequenza degli elementi che la costituiscono. Pur non essendo implicato da alcuna necessità logica, il principio di dipendenza dalla struttura si presenta come un vero e proprio universale linguistico: «tutte le operazioni formali conosciute della grammatica inglese, o di qualunque altro linguaggio sono operazioni dipendenti dalla struttura. Questo è un esempio molto semplice di un principio invariante del linguaggio, ciò che potrebbe essere chiamato principio linguistico formale universale o principio della grammatica universale. Dati questi fatti, è naturale postulare che l’idea delle operazioni dipendenti dalla struttura faccia parte dell’innato schematismo applicato dalla mente ai dati dell’esperienza» (Chomsky, 1971, trad. it. p. 41). Che il principio di dipendenza dalla struttura venga considerato come una condizione dell’esperienza linguistica (come un presupposto di tale esperienza) depone in favore del suo innatismo. Il principio di dipendenza dalla struttura (3) Will the letter arrive tomorrow (ausiliare) la letteraarrivare domani “La lettera arriva domani?” The letter will arrive tomorrow 1 2 3 4 5 The letter will arrive tomorrow 1 This Questo 2 3 4 5 6 7 is a dagger which I see è un pugnale che io vedo 8 9 before me di-fronte-a-me * A this is dagger which I see before me Le forme interrogative non dipendono dal fatto di muovere proprio la terza parola, la quarta parola o qualsiasi altra parola in una posizione particolare della sequenza lineare; (…) La forma delle frasi interrogative in inglese non dipende dall’ordine lineare delle parole nella frase ma dalla categoria sintattica delle parole implicate (Cook, 1988, p. 22) La grammatica universale È una teoria degli universali innati (la «grammatica universale») ciò che Chomsky ci propone: «Secondo la dottrina centrale della linguistica cartesiana, i caratteri generali della struttura grammaticale sono comuni a tutte le lingue e riflettono certe proprietà fondamentali dello spirito. (...) Ci sono, quindi, certi universali linguistici che pongono limiti alla varietà del linguaggio umano. Lo studio delle condizioni universali che prescrivono la forma di qualsiasi lingua umana è la “grammatica generale”. Tali condizioni universali non vengono imparate; esse forniscono piuttosto i principi organizzativi che rendono possibile l’apprendimento del linguaggio e che devono esistere se i dati devono condurre alla conoscenza. Attribuendo tali principi allo spirito, quale proprietà innata, diventa possibile spiegare il fatto del tutto ovvio che il parlante di una lingua conosce molte cose che non ha imparato» (Chomsky, 1966, LC, trad. it. p. 97). Poiché gli universali della grammatica non possono essere derivati dall’esperienza (e devono essere presupposti), essi devono essere innati. Innatismo e universalità sono dunque alla base della tesi autonomista del linguaggio. Ciò che fa di un uomo un uomo Vaucanson, Parigi 1738 Cosa rifare per rifare l’uomo? Il ritorno della natura umana: la differenza qualitativa «Per quanto ne sappiamo, il possesso del linguaggio umano è connesso con un tipo specifico di organizzazione mentale e non semplicemente con un grado superiore di intelligenza. Sembra inconsistente la concezione che il linguaggio umano è semplicemente un caso più complesso di qualcosa che deve essere reperito altrove nel mondo animale. Ciò pone un problema per il biologo, poiché se le cose stanno così, questo è un esempio di vera e propria “emergenza” – cioè, l’apparizione di un fenomeno qualitativamente differente a uno stadio specifico di complessità di organizzazione. Il riconoscimento di questo fatto, sebbene formulato in termini completamente diversi, ha motivato gran parte degli studi classici sul linguaggio condotti da coloro il cui interesse primario era la natura dello spirito. E mi sembra che oggi non ci sia un modo migliore o più promettente di esplorare le proprietà essenziali distintive dell’intelligenza umana, se non attraverso la ricerca particolareggiata sulla struttura di questo processo tipicamente umano» (Chomsky, 1972, trad. it. p. 212). Cartesio: la differenza qualitativa tra umani e non umani «Non si è ancora mai osservato che una bestia sia giunta a tal grado di perfezione da utilizzare un vero linguaggio, cioè da indicare con la voce o con segni qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e non all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico segno certo del pensiero nascosto nel corpo e di essa si servono tutti gli uomini, anche i più stupidi e i più insensati, persino quelli che son privi della lingua e dell’organo della voce, ma non le bestie: essa dunque può essere assunta come la vera differenza tra gli uomini e i bruti» (Lettera DXXXVII a Henry More, 5 febbraio 1649; trad. it. p. 183). Pappagalli «Così non è sufficiente che i corpi restituiscano suoni, formino voci o anche articolino parole simili a quelle di cui mi servo per dire ciò che penso, per persuadermi che essi pensano tutto quello che sembrano dire. Per esempio, non devo credere con leggerezza che un pappagallo abbia dei pensieri quando pronuncia qualche parola. Infatti, osservo che dopo avergli ripetuto moltissime volte delle parole in un certo ordine esso non restituisce che le stesse nella stessa serie. (…). Ma infine, come non posso affermare che le rocce parlano allorché ci rinviano delle parole, così non oso essere sicuro che i pappagalli parlino quando le ripetono. Poiché mi sembra che parlare non sia ripetere le stesse parole da cui l’orecchio è stato colpito, bensì consista nel dirne altre in relazione a quelle. E come ho ragione di credere che tutti i corpi che producono l’eco non pensano affatto, bensì li senta ripetere le mie parole, dato che le restituiscono solamente nell’ordine in cui le ho proferite, così dovrei ritenere, per la stessa ragione, che neanche i pappagalli pensano» (Cordemoy, 1668, trad. it. pp. 60-1). Linguistica Cartesiana «Se vi fossero macchine di questa specie, con gli organi e la forma esteriore di una scimmia o di qualche altro animale senza ragione, non avremmo alcun mezzo per riconoscere che esse non fossero in tutto della stessa natura di quegli animali; mentre al contrario, se ve ne fossero di rassomiglianti ai nostri corpi e capaci d’imitare le nostre azioni il più che possibile, avremmo sempre due mezzi certissimi per riconoscere che esse non sarebbero con ciò dei veri uomini. Il primo è che mai potrebbero usar parole o altri segni che le compongono, come noi facciamo per dichiarare agli altri i nostri pensieri. (...) Il secondo mezzo è che, anche se esse facessero molte cose altrettanto bene o forse meglio di alcuno di noi, sbaglierebbero infallibilmente in alcune altre, lasciando così scoprire che esse non agiscono per conoscenza ma per disposizione dei loro organi. Infatti, mentre la ragione è uno strumento universale che può servire in qualunque occasione, quegli organi invece hanno bisogno di una particolare disposizione per ogni azione particolare. Ora, da questi due stessi mezzi si può egualmente conoscere la differenza che passa tra gli uomini e le bestie; infatti è una cosa assai notevole che non vi sono uomini, per quanto ebeti e stupidi – che non siano capaci di comporre insieme diverse parole e di formare un discorso col quale possono far comprendere i loro pensieri; e al contrario non v’è altro animale, per quanto perfetto e felicemente dotato, che faccia lo stesso.» (Descartes, Discorso, pp. 98-101). Linguistica cartesiana (2) CREATIVITA’ «In breve, dunque, l’uomo ha una capacità specifica della specie, un tipo unico di organizzazione intellettiva, che non può essere né attribuita a organi periferici né correlata con l’intelligenza in generale, e che si manifesta in quello che può essere chiamato l’ “aspetto creativo” del comune uso linguistico, la cui proprietà consiste nell’illimitatezza dell’ambito e nell’indipendenza da stimoli. Così, Descartes sostiene che il linguaggio può essere usato per la libera espressione del pensiero e per rispondere adeguatamente in qualsiasi nuovo contesto e che non è determinato da nessuna associazione fissa tra gli enunciati e gli stimoli esterni o gli stati fisiologici» (LC, p. 47). Cartesio: la differenza qualitativa tra umani e non umani «Non si è ancora mai osservato che una bestia sia giunta a tal grado di perfezione da utilizzare un vero linguaggio, cioè da indicare con la voce o con segni qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e non all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico segno certo del pensiero nascosto nel corpo e di essa si servono tutti gli uomini, anche i più stupidi e i più insensati, persino quelli che son privi della lingua e dell’organo della voce, ma non le bestie: essa dunque può essere assunta come la vera differenza tra gli uomini e i bruti» (Lettera DXXXVII a Henry More, 5 febbraio 1649; trad. it. p. 183). Il dualismo cartesiano di «Res cogitans» e «Res extensa» «Suppongo che il corpo non sia se non una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente per renderla a noi più somigliante: dimodoché non solo le dà esteriormente il colorito e la forma di tutte le nostre membra, ma colloca nel suo interno tutte le parti richieste perché possa camminare, mangiare, respirare, imitare, infine, tutte quelle nostre funzioni che si può immaginare procedano dalla materia e dipendano soltanto dalla disposizione di organi.» (Descartes, L’uomo, pp. 205-6). «In questo si può dire che gli animali senza ragione ci assomigliano: ma non perciò io potevo trovare in essi alcuna di quelle funzioni che, dipendendo dal pensiero, son le sole che ci appartengono in quanto uomini» (Discorso, p. 88). Differenza qualitativa Una creatura o è umana o non lo è; non ci sono “gradi di umanità”, non ci sono variazioni di sostanza tra gli esseri umani a parte dagli aspetti fisici superficiali (Chomsky, 1988, trad. it. p. 124). Si può insegnare il linguaggio umano agli animali? Due difficoltà: 1. 2. L’apparato fonatorio Il sistema nervoso (responsabile secondo Lieberman del “controllo motorio volontario e intenzionale” della produzione dei suoni linguistici). Una prima conclusione Le difficoltà riscontrare nei tentativi di insegnare il linguaggio agli animali non umani testimoniano a favore dell’innatismo: o si nasce con le strutture adeguate ad apprendere un linguaggio o si è spacciati (non lo si apprenderà mai) Si può insegnare il linguaggio agli animali? Washoe (addestrata dai coniugi Gardner) e Nim Chimpsky (addestrato da Terrace): American Sign Language Sherman, Austin e Matata addestrati da Sue Savage-Rumbaugh all’uso di icone sulla tastiera di un computer Kanzi ha appreso lo yerkish, un linguaggio fatto di simboli iconici senza che gli sperimentatori lo coinvolgessero intenzionalmente Nim Chimpsky Nim Chimpsky Kanzi Kanzi’s Keyboard Una questione teorica Le accuse di antropomorfismo sono frequenti, per esempio, quando diciamo che un animale agisce intenzionalmente, vale a dire che mira deliberatamente a uno scopo. È vero, l’intenzionalità è un concetto pieno di insidie, ma lo è in pari misura per gli umani e per gli animali. La sua presenza è altrettanto difficile da provare che la sua assenza; per cui sarebbe del tutto accettabile usarlo con cautela in relazione agli animali se il comportamento umano fosse soggetto allo stesso standard (De Waal, 2002, p. 54). Una strada alternativa Invece di discutere se gli scimpanzé come Washoe abbiano manifestato davvero comportamenti linguistici intenzionali, può essere saggio limitarsi alla domanda: che tipo di manifestazioni linguistiche, più precisamene, abbiamo osservato in essi? Il modello del codice Codifica e decodifica Codifica e decodifica Shannon e Weaver (1949) Linguaggio e natura umana Vale la pena di tenere a mente che la facoltà del linguaggio si rivela essere una proprietà esclusiva della specie umana. Altri organismi possono avere il loro sistema di comunicazione ma questi hanno proprietà radicalmente diverse dal linguaggio umano, e il linguaggio umano è molto di più di un mero sistema di comunicazione: il linguaggio si usa per esprimere il pensiero, per stabilire relazioni interpersonali senza particolari preoccupazioni per la comunicazione, per il gioco e per la varietà di scopi. (p. 35). Linguaggio e natura umana La facoltà del linguaggio non è solo una caratteristica essenzialmente unica della specie umana, per quanto ne sappiamo, ma anche comune alle varie razze (p. 36). La conclusione generale che questi studi sembrano sostenere è quella che ho già enunciato: la facoltà del linguaggio sembra essere una proprietà della specie, comune a tutti i membri della specie ed essenzialmente unica rispetto alle altre specie, in grado di produrre un linguaggio ricco e altamente articolato e complesso sulla base di dati abbastanza rudimentali. Il linguaggio che si sviluppa in questo modo, ampiamente determinato danna nostra comune natura biologica, ha profonde relazioni con il pensiero e la comprensione e costituisce una parte essenziale della nostra natura (p. 37). Il “problema di Platone” La seconda domanda è un caso speciale del “problema di Platone”. Seguendo la formulazione di Bertrand Russell: «Come mai gli esseri umani, il cui contatto con il mondo è così breve, personale e limitato, sono in grado di avere una conoscenza così ampia come di fatto hanno?» (p. 5) «Una variante moderna sarebbe che certi aspetti della nostra conoscenza e della nostra comprensione sono innati, cioè parte del nostro patrimonio biologico, geneticamente determinato, esattamente come quegli elementi della nostra natura comune che fanno sì che ci crescano le braccia e le gambe e non le ali. Questa versione della dottrina classica è, io credo, essenzialmente corretta» (p. 6) Creatività La terza domanda ha due aspetti produzione e percezione Il problema della produzione riguarda ciò che diciamo e perché diciamo una certa cosa. Nel cuore di questa domanda giace il problema di come giustificare ciò che potremmo chiamare “l’aspetto creativo del linguaggio”. Cartesio e i suoi seguaci osservarono che l’uso normale del linguaggio è costantemente innovativo, non conosce limiti, è apparentemente libero dagli stimoli esterni o dagli stati interiori, è coerente ed appropriato alle situazioni; evoca nell’ascoltatore dei pensieri che potrebbero essere stati espressi da lui in modo analogo nella stessa situazione. Così, normalmente, in un discorso non si ripete semplicemente ciò che si è udito ma si producono nuove forme linguistiche (p. 7). Il problema di Cartesio Il problema consiste nel fatto che una “macchina” viene costretta ad agire in una certa maniera entro certe condizioni ambientali e con i suoi componenti disposti in un certo modo, mentre un essere umano è solo “incitato e disposto” a comportarsi in quel modo. Gli esseri umani fanno spesso, o forse sempre, ciò che vengono incitati o disposti a fare, ma ciascuno di noi sa, sulla base dell’introspezione, dia vere un’ampia scelta in ciò (…). La differenza tra essere costretti ed essere semplicemente incitati e disposti è cruciale (p. 123). Il problema di Cartesio La differenza qualitativa della natura umana Non esiste qualcosa come la “mente di un animale” perché gli animali sono puramente delle macchine, soggetti a spiegazione meccanica. Non è possibile in questa concezione che esista una mente umana distinta da altri tipi di mente o menti umane costituite in modo differente. Una creatura o è umana o non lo è; non ci sono “gradi di umanità”, non ci sono variazioni di sostanza tra gli esseri umani a parte dagli aspetti fisici superficiali. Come il filosofo Harry Bracken ha messo in luce, il razzismo o il sessismo è logicamente impossibile dal punto di vista di questa concezione dualista (p. 124). Il problema di Cartesio Ritorniamo ancora al problema di Cartesio. Una ragione possibile per la mancanza di successo nel risolverlo o anche nel presentare delle idee sensate in merito ad esso è che non si trova nei limiti delle capacità intellettuali umane: il problema o è “troppo difficile”, data la natura delle nostre capacità, o sorpassa del tutto i loro limiti. C’è ragione di sospettare che le cose stiano così anche se non sappiamo abbastanza sull’intelligenza umana o sulle proprietà del problema per essere sicuri (p. 134). Antidarwinismo Si noti che è un mero frutto della fortuna se la capacità di produrre scienza, un componente particolare della dotazione biologica umana, si trova a produrre un risultato che è conforme, più o meno alla realtà del mondo (p. 140) Charles Sanders Peirce: non si tratta di mera fortuna, ma del prodotto della evoluzione darwiniana. Il fatto fondamentale, secondo lui, era che attraverso processi ordinari di selezione naturale le nostre capacità mentali si sono evolute in modo tale da essere in grado di trattare con i problemi che sorgono nel mondo dell’esperienza. Tuttavia questo problema non è cogente (p. 140) Antidarwinismo (2) L’esperienza che ha dato forma al corso dell’evoluzione non offre suggerimenti ai problemi che devono essere affrontati nelle scienze ed è difficile che la capacità di risolvere questi problemi abbia costituito un fattore di evoluzione. Noi non possiamo aggrapparci a questo deus ex machina per spiegare questa convergenza tra le nostre idee e la verità riguardo al mondo. Al contrario si tratta di un fortunato accidente il fatto che esista una tale (parziale) coincidenza, così sembra (p. 140). Antidarwinismo (3) Evoluzione del linguaggio Possiamo affrontare il problema oggi? Di fatto, si sa poco su questi temi. La teoria dell’evoluzione spiega molte cose ma ha poco da dire, per ora, su questioni di questa natura. (…) Nel caso di sistemi come il linguaggio o le ali non è facile nemmeno immaginare uno sviluppo della selezione che abbia dato loro origine. Un’ala rudimentale, per esempio, non è “utile” per il movimento, anzi è più un impedimento. Perché mai dunque deve svilupparsi quest’organo negli stadi primitivi dell’evoluzione? (p. 149) Continuismo: Darwin Non vi può essere ombra di dubbio che fra l’intelligenza dell’uomo più primitivo e quella dell’animale più perfetto vi sia una immensa differenza. (…) Ciònondimeno, per quanto grande sia la differenza che passa fra la mente dell’uomo e quella degli animali più elevati, è differenza solo di grado e non di qualità (Darwin, 1872, trad. it. pp. 124-5). Complessità ed evoluzione «Gettate insieme parecchi pezzi di acciaio senza forma e figura; non si disporranno mai in maniera da comporre un orologio (...) Delle pietre, della calce e del legno senza un architetto non eleveranno una casa. Ma le idee in una mente umana, lo vediamo, mediante un’economia sconosciuta e inesplicabile si dispongono in modo da formare il piano di un orologio o di una casa. L’esperienza prova dunque che c’è un principio originario di ordine nella mente e non nella materia». (Hume, Saggi sulla religione naturale) Complessità ed evoluzione (2) «Lungi dall’essere una difficoltà insita nel darwinismo, l’astronomica improbabilità degli occhi e delle ginocchia, degli enzimi, delle articolazioni del gomito e di altre meraviglie viventi è precisamente il problema che qualsiasi teoria biologica deve risolvere e che soltanto il darwinismo risolve» (Dawkins, 1996, trad. it. pp. 71-2). Complessità ed evoluzione (4) «La totalità delle discussioni in questo libro hanno messo in evidenza la complessità adattabile dell’istinto linguistico. Esso è composto di molte parti (...). Queste parti sono realizzate fisicamente in circuiti nervosi intricati, disegnati da una cascata di eventi genetici coordinati precisamente nel tempo. Quello che tali circuiti rendono possibile è un dono straordinario: la capacità di inviare da una testa all’altra un numero infinito di pensieri precisamente strutturati, modulando le espirazioni. Il dono è ovviamente utile per la riproduzione (…). Armeggiate a caso con un circuito nervoso o improvvisate un apparato vocale e non otterrete un sistema dotato di queste capacità. L’istinto linguistico, come l’occhio, è un esempio di ciò che Darwin chiamava «quella perfezione di struttura e coadattamento che giustamente suscita la nostra ammirazione» e che, come tale, porta il timbro inconfondibile del progettista della natura: la selezione naturale» (Pinker, 1994, trad. it. p. 354-55).