Filosofia del linguaggio e della
comunicazione I (6CFU)
Prof. Francesco Ferretti
Università Roma Tre
Anno accademico 2010-11
Libri di testo
Chomsky N., Linguaggio e problemi della conoscenza,
Il Mulino, 2008.
Pinker S. e Bloom P., Linguaggio naturale e selezione
darwiniana, Armando, 2010.
Ferretti F., Alle origini del linguaggio umano, Laterza,
2010.
Linguaggio e natura umana
«Ci sono varie ragioni per le quali il linguaggio ha avuto e
continuerà ad avere un significato particolare per lo studio
della natura umana. Una ragione è che il linguaggio sembra
veramente essere una proprietà legata alla specie, una
proprietà unica della specie umana nella sua essenza e
comune alla nostra dotazione biologica, che presenta
variazioni minime tra gli esseri umani a parte alcune
patologie particolarmente gravi. Inoltre, il linguaggio entra
in modo cruciale nel pensiero, nelle azioni e nelle relazioni
sociali. Infine il linguaggio è relativamente accessibile allo
studio» (Chomsky, 1988, trad. it. p. 4).
Cartesio o Darwin?
Due domande sulla natura umana
1. Che cos’è la natura umana?
2. Come riconosciamo gli esseri umani?
«Descartes sosteneva che l’unica indicazione sicura che un altro
corpo possiede uno spirito umano, che non sia un semplice
automa, è la sua abilità di usare il linguaggio in maniera
normale. Egli sosteneva che questa abilità non può essere
rilevata in un animale o in un automa che, sotto altri aspetti,
presenta segni di apparente intelligenza superiori a quelli di un
uomo, anche se tale organismo o macchina potesse essere
provvisto completamente come un uomo degli organi fisiologici
necessari a produrre il discorso» (Chomsky, 1968, trad. it. p.
139).
La dissoluzione della natura umana (4)
La mente esteriorizzata
Relativismo culturale e determinismo linguistico
Chomsky: teoria degli universali
Comportamentismo (il ruolo dell’esperienza e la plasticità
degli organismi)
Chomsky: innatismo e modularità
Relativismo culturale e
determinismo linguistico
Cultura “A”
Cultura “B”
La massa amorfa del pensiero
Ipotesi Sapir-Whorf
determinismo linguistico (i pensieri delle persone sono determinati dalle
categorie della loro lingua);
relativismo linguistico (lingue diverse determinano pensieri diversi).
Da Scienza e linguistica (Whorf, 1956)
Il bersaglio polemico è la “logica naturale”: l’idea che esista
un pensiero puro (fondamento della razionalità)
indipendente dalle forme della sua espressione (la lingua è
un modo di esprimere qualcosa che viene prima e che è dato
autonomamente).
Ipotesi Sapir-Whorf
«Il sistema linguistico di sfondo (in altre parole la grammatica) di
ciascuna lingua non è soltanto uno strumento di riproduzione per
esprimere idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma
e la guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue
impressioni, della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa.
(…). Analizziamo la natura secondo linee tracciate dalle nostre
lingue. Le categorie e i tipi che isoliamo dal mondo dei fenomeni
non vengono scoperti perché colpiscono ogni osservatore; ma, al
contrario, il mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di
impressioni che deve essere organizzato dalle nostre menti, il che
vuol dire che deve essere organizzato in larga misura dal sistema
linguistico delle nostre menti.» (Whorf, 1956, trad. it. pp. 169-70).
La dissoluzione della natura umana (2)
«Se l’uomo è essenzialmente un produttore di cultura, ciò che
egli è finisce per dipendere dalla cultura che produce; se non
ci sono oggetti naturali ma solo oggetti culturali, anche
l’uomo è un oggetto culturale, nient’altro che la più brillante
delle sue invenzioni; e anzi non un oggetto culturale, ma una
miriade di oggetti culturali, tanti quanti sono i progetti di
umanità elaborati dalle singole culture e all’interno di
ciascuna di esse. Quindi la natura umana per un verso si
moltiplica nelle forme di vita umana caratteristiche delle
diverse culture, e per altro verso si svuota di contenuto,
diventando una tabula rasa su cui disegnare ipotesi di
umanità che hanno lo statuto di personaggi letterari»
(Marconi, 2000, p. 126).
La dissoluzione della natura umana (3)
«Conclusione (…): la varietà delle lingue
testimonia l’indipendenza del linguaggio dalla
biologia; ma una lingua è il cuore di una cultura e il
veicolo – se non l’essenza – di una forma di
pensiero; dunque ciò che nell’uomo è naturale (nel
senso biologico del termine) non determina ciò
che nell’uomo è propriamente umano, il suo
pensiero e la sua cultura. L’espressione “natura
umana” diventa quasi un ossimoro: ciò che è
propriamente umano non è naturale» (Marconi,
2000, p. 128).
Intermezzo
Impossibile v isualizzare l'immagine. La memoria del computer potrebbe essere insufficiente per aprire l'immagine oppure l'immagine potrebbe essere
danneggiata. Riav v iare il computer e aprire di nuov o il file. Se v iene v isualizzata di nuov o la x rossa, potrebbe essere necessario eliminare l'immagine e
inserirla di nuov o.
Intermezzo (2)
Distinzione tra vedere e pensare
Il Comportamentismo: la dissoluzione
della natura umana
La plasticità dell’essere umano
«Un passo frequentemente citato di Behaviorism (1925) serve a dare un’idea
dell’ambientalismo estremo di Watson:
«Datemi una dozzina di bambini di sana e robusta
costituzione, e un ambiente organizzato secondo i miei
specifici principi, e vi garantisco che, prendendo ciascuno di
loro a caso, sarò in grado di farne lo specialista che desidero,
sia esso un medico, un avvocato, un artista, un capoufficio
vendite, e, perché no, anche un mendicante o un ladro. Il
tutto senza tener conto dei suoi talenti, inclinazioni,
attitudini, abilità, preferenze e della razza dei suoi antenati»
(pp. 107-08).
Il comportamentismo: Il condizionamento
«Tutti i problemi psicologici e le loro soluzioni possono essere tradotti in
termini di stimolo e risposta» (Watson, 1930, p. 29).
La sostituzione di stimoli e il condizionamento di stimoli
Stimolo incondizionato
R
Scarica elettrica ………………………………. Ritiro della mano
Luce rossa + scarica elettrica................................ Ritiro della mano
Stimolo condizionato
Luce rossa..............................................................Ritiro della mano
CONDIZIONAMENO: il procedimento per mezzo del quale determinati stimoli,
che solitamente non provocano certe risposte, acquisiscano la proprietà di farlo (p.
20). (le 15.000 parole di cui dispone un individuo istruito possono essere
considerate altrettanti stimoli condizionati).
Il comportamentismo: Il pensiero
Che cos’è il pensiero?
«Il comportamentista ritiene che ciò che gli psicologi hanno finora chiamato
pensiero non è altro che un parlare con noi stessi. L’evidenza di ciò è quasi
esclusivamente teorica, ma si tratta dell’unica teoria finora avanzata che
spieghi il pensiero in termini conformi alle scienze naturali (...). La mia teoria
sostiene che le abitudini muscolari apprese per attuare il linguaggio manifesto
sono responsabili anche del linguaggio interiore o implicito (pensiero).
Sostiene anche che vi sono centinaia di combinazioni muscolari con cui uno
può pronunciare ad alta voce fra sé qualsiasi parola, tanto ricca e flessibile è
la nostra organizzazione verbale e tanto varie le nostre abitudini verbali. (...).
Inoltre, dopo che si sono formate le nostre abitudini verbali manifeste, noi
continuiamo costantemente a parlare con noi stessi (pensiero). Si formano
nuove combinazioni sempre più complesse, si verificano nuove sostituzioni,
come quando, ad esempio, alziamo le spalle o effettuiamo altri movimenti del
corpo in luogo delle parole. In breve, qualsiasi movimento del corpo può
diventare il sostituto di una parola» (p. 232)
Quanto è davvero importante lo stimolo
percettivo?
La percezione va sempre oltre lo stimolo dato: ruolo dei
processi di elaborazione interna (di interpretazione) dello
stimolo esterno.
Quanto è davvero importante lo stimolo
percettivo? (2)
Rettangoli
Rettangoli
La Questione di Molyneux (ipotesi sulla
natura umana)
Nella seconda edizione dell'Essay Concerning Human Understanding (1694), John
Locke aggiunse il quesito suggeritogli in una lettera del 2 marzo 1693 dall'amico
William Molyneux:
«Immaginiamo un uomo nato cieco, ora adulto, al quale si è
insegnato per mezzo del suo tatto a distinguere fra un cubo e una
sfera dello stesso metallo e pressappoco della stessa grandezza, in
modo che sia in grado, sentendo l'uno e l'altro, di dire qual è il cubo
e qual è la sfera. Supponiamo ora di mettere il cubo e la sfera su un
tavolo, e che al cieco sia data la vista: si domanda se, mediante la
vista e prima di toccarli, egli saprebbe ora distinguerli e dire qual è il
cubo e qual è la sfera?» (Locke 1964; tr. it. p. 181).
Gli empiristi (Tabula rasa) rispondono “No”,
i razionalisti (innatisti) rispondono “Sì”
La Questione di Molyneux: risposte
La risposta di Molyneux, fatta propria da Locke, è negativa: «No, perché,
sebbene egli abbia appreso dall'esperienza la maniera in cui un globo o
un cubo agiscono sul suo tatto, non ha tuttavia appreso dall'esperienza
che ciò che agisce sul suo tatto in una data maniera deve agire sulla sua
vista in una data maniera; non sa che l'angolo sporgente del cubo, che
premeva in modo disuguale sulla sua mano, apparirà al suo occhio così
com'è nel cubo» (ivi).
Leibniz può essere considerato come il sostenitore della risposta
positiva al problema: nei Nouveaux essais sur l'entendement
humain (1765) egli sostenne la sostanziale identità delle idee di
cubo e di sfera nel cieco e nel vedente. Per giustificare il fatto che i
ciechi nati possano apprendere la geometria, dobbiamo, secondo
Leibniz, fare riferimento ai principi della ragione comuni a tutti gli
uomini. Soltanto per loro mezzo, infatti, essi riescono a discernere
le figure: «nella sfera non vi sono punti che si differenziano, tutto
essendovi unito e senza angoli, mentre nel cubo vi sono otto punti
distinti da tutti gli altri. Se non vi fosse questo mezzo per
discernere le figure, un cieco non potrebbe apprendere i rudimenti
della geometria mediante il tatto» (Leibniz 1765; tr. it. p. 130)
Di nuovo: quanto è davvero importante lo
stimolo percettivo?
Quanto è davvero importante lo stimolo
percettivo?
Quanto è davvero importante lo
stimolo percettivo?
Quanto è davvero importante lo
stimolo percettivo?
Figura 5. Graphical representation of an oneiric scene of a blind subject. Tratto da Bértolo et al. (2003), p. 181
La grammatica della visione
Le leggi della forma: vicinanza, eguaglianza, “forma chiusa”, forma
buona, moto comune, esperienza
G. Kanizsa: La grammatica del vedere (1980), Vedere e Pensare (1991)
Il comportamentismo: L’apprendimento del linguaggio
Così come per i movimenti, anche per il linguaggio dobbiamo elementi
fondamentali non appresi: i suoni vocalici non appresi che il bambino
produce dal momento della nascita in poi. «a», «u», «uah».
L’apprendimento del linguaggio utilizzando il condizionamento tra la
presentazione di un biberon a un bambino di 5 mesi e lo stimolo sonoro
“da” proferito insieme alla presentazione visiva del biberon al bambino. La
procedura ripetuta più volte ha dato esito positivo: dopo un ciclo di
condizionamento, il bambino diceva “dada” alla vista del biberon senza che
la parola-stimolo veniva pronunciata dagli sperimentatori.
Il comportamentismo: L’apprendimento del linguaggio (2)
«E’ chiaro ora che le abitudini verbali vengono costruite nello stesso modo delle abitudini manuali. Ricorderete che quando
una serie di risposte (abitudini manuali) è organizzata attorno ad una serie di oggetti, possiamo attivare l’intera serie di
risposte senza che sia presente la serie originaria di oggetti (ESEMPIO DELLA MUSICA SUONATA CON LO SPARTITO
DAVANTI E POI SENZA SPARTITO). Ora sapete come spiegare questo fenomeno, sapete infatti che la prima
risposta muscolare che effettuerete, il primo tasto che pigerete per iniziare la melodia, diventa il sostituto dello
stimolo visivo della seconda nota. Gli stimoli muscolari (cinestetici) fungono ora da stimoli visivi e l’intero
processo si evolve con regolarità come prima» (p. 228).
ORDINE SERIALE DEL COMPORTAMENTO
«Ora, la stessa cosa si verifica nel comportamento linguistico. Supponete di
leggere dal vostro libretto (…) la frase «Ora-mi-metto-giù-a-dormire». La
vista di «ora» produce la risposta consistente nel dire «ora», la vista di «mi»
produce la risposta consistente nel dire «mi» (risposta 2), e così via per tutta
la serie. Presto la semplice risposta consistente nel dire «ora» diventa lo
stimolo motorio (cinestetico) per dire «mi». Ecco spiegato perché possiamo
estraniarci dal mondo degli stimoli e parlare di immagini e di suoni che
hanno luogo in posti distanti o di cose che si sono verificate anni fa. Una
parola detta casualmente da un passante, una domanda posta da un amico o
anche un’immagine o un suono attorno a voi possono attivare questa
vecchia organizzazione verbale» (p. 228)
Non esistono idee innate: Locke
Supponiamo dunque che lo spirito sia per così dire un foglio
bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo
verrà ad esserne fornito? Da dove proviene quel vasto
deposito che la fantasia industriosa e illimitata dell’uomo vi ha
tracciato con una varietà quasi infinità? Da dove si procura
tutto il materiale della ragione e della conoscenza? Rispondo
con una sola parola: dall’ESPERIENZA. Su di essa tutta la
nostra conoscenza si fonda e da essa in ultimo deriva. La
nostra osservazione adoperata sia per gli oggetti esterni
sensibili, sia per le operazioni interne del nostro spirito che
percepiamo e sulle quali riflettiamo, è ciò che fornisce al
nostro intelletto tutti i materiali del pensare. Queste sono le
due fonti della conoscenza, dalle quali scaturiscono tutte le
idee che abbiamo o possiamo avere naturalmente (Locke,
Saggio sull’intelletto umano, II, 2)
La critica alla tabula rasa: Leibniz
Questa tabula rasa di cui si parla tanto non è, a mio avviso, che
una finzione che la natura non tollera, fondata nelle nozioni
incomplete dei filosofi come il vuoto, gli atomi e la quiete (…),
o come la materia prima che si concepisce senza nessuna
forma. (…) Per non dire che coloro che parlano tanto di questa
tabula rasa, non saprebbero indicare ciò che le rimane dopo
averle tolto le idee (…). Mi si risponderà forse che questa
tabula rasa dei filosofi vuol dire che l’anima non ha
naturalmente e originariamente che delle facoltà nude. Ma le
facoltà senza qualche atto, in una parola le pure potenze degli
scolastici, non sono altro che finzioni che la natura non
conosce e che non si ottengono che facendo delle astrazioni.
Poiché dove si potrebbe mai trovare nel mondo una facoltà che
si fermi alla sola potenza senza esercitare alcun atto?
Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, II, 2
La critica di Chomsky al comportamentismo
La teoria della povertà dello stimolo
Il riferimento alla competenza grammaticale trova nella «povertà dello stimolo» il suo punto di forza. Nella
recensione a Verbal Behavior di Skinner, Chomsky (1959) sostiene che un’analisi in termini di «stimolo»,
«risposta» e «rinforzo» è insufficiente a dar conto di ciò che caratterizza il linguaggio in modo specifico.
Rifacendosi al noto articolo di Lashley (1951), The Problem of Serial Order in Behavior, egli sottolinea
l’impossibilità di apprendere la produzione fonetica di una parola a partire dalla sequenza dei suoni
effettivamente ascoltata: a causa dei diversi tempi di attivazione dei muscoli dell’apparato fonatorio è
impossibile infatti stabilire una relazione univoca tra suono e articolazione. Un caso più interessante ai nostri
fini è quello della struttura sintattica:
«La composizione e la produzione di un enunciato non si
risolve semplicemente nel mettere in fila una sequenza di
risposte sotto il controllo di una stimolazione esterna e di
un’associazione intraverbale [poiché] l’organizzazione
sintattica di un enunciato non è qualcosa che si trova
rappresentata in modo semplice e diretto nella struttura
fisica dell’enunciato stesso» (Chomsky, 1959, trad. it. p. 62).
La sintassi (il costituente centrale della competenza grammaticale) è un sistema troppo complesso per poter
essere derivato dall’esperienza. Non è dunque possibile parlare di apprendimento del linguaggio.
La critica all’ordine seriale del comportamento
Contro la concezione associazionista del comportamento, secondo cui ogni elemento della serie fornisce l’eccitamento
dell’elemento successivo, Lashley nel suo famoso articolo del 1951, prende ad esempio la struttura della frase per poi
estendere i risultati alle sequenze motorie in genere.
A dimostrazione dell’insufficienza esplicativa della teoria della catena associativa, Lashley prende in esame la
questione della produzione della parola. Il pronunciare la parola inglese “right”, ad esempio,
«consiste dapprima in una retroazione ed elevazione della lingua,
nell’espirazione di aria e nell’attivazione delle corde vocali; in un secondo
tempo nell’abbassamento della lingua e della mandibola; in un terzo
tempo elevazione della lingua fino a toccare la rima dentale, arresto della
vocalizzazione e forzata espirazione di aria con depressione della lingua e
della mandibola. Questi movimenti non hanno alcun ordine intrinseco di
associazione».
Di particolare interesse ai nostri fini è quanto Lashley aggiunge subito dopo a proposito delle parole: la stessa
mancanza di una valenza temporale intrinseca degli elementi si ritrova anche ai successivi livelli di combinazione
(quello delle parole in frasi, ad esempio) in cui appare evidente che
«In base a queste considerazioni, è certo che ogni teoria che attribuisce la forma grammaticale al diretto
legame associativo delle parole della frase trascura il carattere essenziale della parola. I singoli elementi della
serie temporale non hanno in sé una “valenza" temporale nelle loro connessioni associative con altri elementi.
L’ordine è imposto da qualche altro fattore. Questo vale non solo per il linguaggio, ma per tutti i movimenti fini
o successioni di movimenti fini». (Lashley, 1951, trad. it. p. 122)
La critica all’ordine seriale del comportamento
Lenneberg, I fondamenti biologici del linguaggio, 1967
«La complessità di questo meccanismo di regolazione può forse essere resa
più evidente se lo paragoniamo a una grossa centrale di controllo del
movimento di treni (treni di impulsi nervosi, possiamo ben dire!). I treni
vengono fatti partire secondo delle tabelle orarie, uno per ogni schema
motore. Ogni tabella oraria comporta centinaia di partenze simultanee, come
pure un programma di partenze scaglionate dove ogni treno deve partire una
frazione di secondo dopo il treno che lo precede» (Lenneberg, trad. it. p. 23).
«Secondo la teoria della catena associativa i movimenti dei singoli treni sono
i segnali per il movimento di altri treni. Secondo la teoria del meccanismo
centrale né i singoli treni né i loro movimenti hanno, di per sé, influenza sui
movimenti di altri treni che li seguono nel tempo; è la tabella oraria delle
partenze che regola l’insieme delle varie attività. I singoli treni e le loro corse
possono essere parte di più programmi indipendenti. Secondo la prima teoria
il macchinista di un treno B incomincia a muoversi dopo che ha visto arrivare
il treno A. Secondo l’altra teoria, invece, il macchinista B può non utilizzare
affatto l’informazione che gli viene da A dato che questa può essere parte di
un programma differente in cui B non segue A; egli deve necessariamente
ricevere i segnali dal regolatore centrale» (Lenneberg, trad. it. p. 24).
Il principio di dipendenza dalla struttura
F
SV
SN
SN
La
vecchia porta la sbarra
F
SN
La
SV
vecchia porta la sbarra
Principio di dipendenza dalla struttura
F
SN
SV
SN
Il principio della dipendenza dalla struttura (2)
Secondo tale principio la conoscenza del linguaggio si basa sulle relazioni strutturali che sussistono
all’interno della frase e non sulla sequenza degli elementi che la costituiscono. Pur non essendo
implicato da alcuna necessità logica, il principio di dipendenza dalla struttura si presenta come un vero e
proprio universale linguistico:
«tutte le operazioni formali conosciute della grammatica
inglese, o di qualunque altro linguaggio sono operazioni
dipendenti dalla struttura. Questo è un esempio molto
semplice di un principio invariante del linguaggio, ciò che
potrebbe essere chiamato principio linguistico formale
universale o principio della grammatica universale. Dati
questi fatti, è naturale postulare che l’idea delle operazioni
dipendenti dalla struttura faccia parte dell’innato
schematismo applicato dalla mente ai dati
dell’esperienza» (Chomsky, 1971, trad. it. p. 41).
Che il principio di dipendenza dalla struttura venga considerato come una condizione dell’esperienza
linguistica (come un presupposto di tale esperienza) depone in favore del suo innatismo.
Il principio di dipendenza dalla struttura (3)
Will
the letter arrive
tomorrow
(ausiliare)
la letteraarrivare domani
“La lettera arriva domani?”
The letter will arrive tomorrow
1
2
3
4
5
The letter will arrive tomorrow
1
This
Questo
2 3 4
5
6 7
is a dagger which I see
è un pugnale che io vedo
8
9
before me
di-fronte-a-me
* A this is dagger which I see before me
Le forme interrogative non dipendono dal fatto di muovere proprio la terza parola, la
quarta parola o qualsiasi altra parola in una posizione particolare della sequenza lineare;
(…) La forma delle frasi interrogative in inglese non dipende dall’ordine lineare delle
parole nella frase ma dalla categoria sintattica delle parole implicate (Cook, 1988, p. 22)
La grammatica universale
È una teoria degli universali innati (la «grammatica universale») ciò che Chomsky ci propone:
«Secondo la dottrina centrale della linguistica cartesiana, i caratteri
generali della struttura grammaticale sono comuni a tutte le lingue e
riflettono certe proprietà fondamentali dello spirito. (...) Ci sono, quindi,
certi universali linguistici che pongono limiti alla varietà del linguaggio
umano. Lo studio delle condizioni universali che prescrivono la forma di
qualsiasi lingua umana è la “grammatica generale”. Tali condizioni
universali non vengono imparate; esse forniscono piuttosto i principi
organizzativi che rendono possibile l’apprendimento del linguaggio e che
devono esistere se i dati devono condurre alla conoscenza. Attribuendo tali
principi allo spirito, quale proprietà innata, diventa possibile spiegare il fatto
del tutto ovvio che il parlante di una lingua conosce molte cose che non ha
imparato» (Chomsky, 1966, LC, trad. it. p. 97).
Poiché gli universali della grammatica non possono essere derivati dall’esperienza (e devono essere
presupposti), essi devono essere innati. Innatismo e universalità sono dunque alla base della tesi autonomista
del linguaggio.
Ciò che fa di un uomo un uomo
Vaucanson, Parigi 1738
Cosa rifare per rifare l’uomo?
Il ritorno della natura umana: la differenza qualitativa
«Per quanto ne sappiamo, il possesso del linguaggio umano è
connesso con un tipo specifico di organizzazione mentale e non
semplicemente con un grado superiore di intelligenza. Sembra
inconsistente la concezione che il linguaggio umano è semplicemente
un caso più complesso di qualcosa che deve essere reperito altrove
nel mondo animale. Ciò pone un problema per il biologo, poiché se le
cose stanno così, questo è un esempio di vera e propria “emergenza”
– cioè, l’apparizione di un fenomeno qualitativamente differente a uno
stadio specifico di complessità di organizzazione. Il riconoscimento di
questo fatto, sebbene formulato in termini completamente diversi, ha
motivato gran parte degli studi classici sul linguaggio condotti da
coloro il cui interesse primario era la natura dello spirito. E mi sembra
che oggi non ci sia un modo migliore o più promettente di esplorare le
proprietà essenziali distintive dell’intelligenza umana, se non
attraverso la ricerca particolareggiata sulla struttura di questo
processo tipicamente umano» (Chomsky, 1972, trad. it. p. 212).
Cartesio:
la differenza qualitativa tra umani e non umani
«Non si è ancora mai osservato che una bestia sia
giunta a tal grado di perfezione da utilizzare un vero
linguaggio, cioè da indicare con la voce o con segni
qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e
non all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico
segno certo del pensiero nascosto nel corpo e di essa si
servono tutti gli uomini, anche i più stupidi e i più
insensati, persino quelli che son privi della lingua e
dell’organo della voce, ma non le bestie: essa dunque
può essere assunta come la vera differenza tra gli
uomini e i bruti» (Lettera DXXXVII a Henry More, 5
febbraio 1649; trad. it. p. 183).
Pappagalli
«Così non è sufficiente che i corpi restituiscano suoni, formino
voci o anche articolino parole simili a quelle di cui mi servo per
dire ciò che penso, per persuadermi che essi pensano tutto
quello che sembrano dire. Per esempio, non devo credere con
leggerezza che un pappagallo abbia dei pensieri quando
pronuncia qualche parola. Infatti, osservo che dopo avergli
ripetuto moltissime volte delle parole in un certo ordine esso
non restituisce che le stesse nella stessa serie. (…). Ma infine,
come non posso affermare che le rocce parlano allorché ci
rinviano delle parole, così non oso essere sicuro che i
pappagalli parlino quando le ripetono. Poiché mi sembra che
parlare non sia ripetere le stesse parole da cui l’orecchio è stato
colpito, bensì consista nel dirne altre in relazione a quelle. E
come ho ragione di credere che tutti i corpi che producono l’eco
non pensano affatto, bensì li senta ripetere le mie parole, dato
che le restituiscono solamente nell’ordine in cui le ho proferite,
così dovrei ritenere, per la stessa ragione, che neanche i
pappagalli pensano» (Cordemoy, 1668, trad. it. pp. 60-1).
Linguistica Cartesiana
«Se vi fossero macchine di questa specie, con gli organi e la forma esteriore di una
scimmia o di qualche altro animale senza ragione, non avremmo alcun mezzo per
riconoscere che esse non fossero in tutto della stessa natura di quegli animali;
mentre al contrario, se ve ne fossero di rassomiglianti ai nostri corpi e capaci
d’imitare le nostre azioni il più che possibile, avremmo sempre due mezzi certissimi
per riconoscere che esse non sarebbero con ciò dei veri uomini. Il primo è che mai
potrebbero usar parole o altri segni che le compongono, come noi facciamo per
dichiarare agli altri i nostri pensieri. (...) Il secondo mezzo è che, anche se esse
facessero molte cose altrettanto bene o forse meglio di alcuno di noi, sbaglierebbero
infallibilmente in alcune altre, lasciando così scoprire che esse non agiscono per
conoscenza ma per disposizione dei loro organi. Infatti, mentre la ragione è uno
strumento universale che può servire in qualunque occasione, quegli organi invece
hanno bisogno di una particolare disposizione per ogni azione particolare. Ora, da
questi due stessi mezzi si può egualmente conoscere la differenza che passa tra gli
uomini e le bestie; infatti è una cosa assai notevole che non vi sono uomini, per
quanto ebeti e stupidi – che non siano capaci di comporre insieme diverse parole e di
formare un discorso col quale possono far comprendere i loro pensieri; e al contrario
non v’è altro animale, per quanto perfetto e felicemente dotato, che faccia lo stesso.»
(Descartes, Discorso, pp. 98-101).
Linguistica cartesiana (2)
CREATIVITA’
«In breve, dunque, l’uomo ha una capacità specifica della specie, un tipo
unico di organizzazione intellettiva, che non può essere né attribuita a organi
periferici né correlata con l’intelligenza in generale, e che si manifesta in
quello che può essere chiamato l’ “aspetto creativo” del comune uso
linguistico, la cui proprietà consiste nell’illimitatezza dell’ambito e
nell’indipendenza da stimoli. Così, Descartes sostiene che il linguaggio può
essere usato per la libera espressione del pensiero e per rispondere
adeguatamente in qualsiasi nuovo contesto e che non è determinato da
nessuna associazione fissa tra gli enunciati e gli stimoli esterni o gli stati
fisiologici» (LC, p. 47).
Cartesio:
la differenza qualitativa tra umani e
non umani
«Non si è ancora mai osservato che una bestia sia
giunta a tal grado di perfezione da utilizzare un vero
linguaggio, cioè da indicare con la voce o con segni
qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e
non all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico
segno certo del pensiero nascosto nel corpo e di essa si
servono tutti gli uomini, anche i più stupidi e i più
insensati, persino quelli che son privi della lingua e
dell’organo della voce, ma non le bestie: essa dunque
può essere assunta come la vera differenza tra gli
uomini e i bruti» (Lettera DXXXVII a Henry More, 5
febbraio 1649; trad. it. p. 183).
Il dualismo cartesiano di «Res cogitans» e «Res
extensa»
«Suppongo che il corpo non sia se
non una statua o macchina di terra
che Dio forma espressamente per
renderla a noi più somigliante:
dimodoché non solo le dà
esteriormente il colorito e la forma di
tutte le nostre membra, ma colloca
nel suo interno tutte le parti richieste
perché possa camminare, mangiare,
respirare, imitare, infine, tutte quelle
nostre funzioni che si può
immaginare procedano dalla materia
e dipendano soltanto dalla
disposizione di organi.» (Descartes,
L’uomo, pp. 205-6).
«In questo si può dire che gli
animali senza ragione ci
assomigliano: ma non perciò
io potevo trovare in essi
alcuna di quelle funzioni che,
dipendendo dal pensiero, son
le sole che ci appartengono in
quanto uomini» (Discorso, p.
88).
Differenza qualitativa
Una creatura o è umana o non lo è; non ci sono “gradi di
umanità”, non ci sono variazioni di sostanza tra gli esseri
umani a parte dagli aspetti fisici superficiali (Chomsky,
1988, trad. it. p. 124).
Si può insegnare il linguaggio
umano agli animali?
Due difficoltà:
1.
2.
L’apparato fonatorio
Il sistema nervoso (responsabile secondo
Lieberman del “controllo motorio volontario e
intenzionale” della produzione dei suoni
linguistici).
Una prima conclusione
Le difficoltà riscontrare nei tentativi di insegnare
il linguaggio agli animali non umani
testimoniano a favore dell’innatismo: o si
nasce con le strutture adeguate ad
apprendere un linguaggio o si è spacciati
(non lo si apprenderà mai)
Si può insegnare il linguaggio
agli animali?
Washoe (addestrata dai coniugi Gardner) e Nim Chimpsky
(addestrato da Terrace):
American Sign Language
Sherman, Austin e Matata addestrati da Sue Savage-Rumbaugh
all’uso di icone sulla tastiera di un computer
Kanzi ha appreso lo yerkish, un linguaggio fatto di simboli
iconici senza che gli sperimentatori lo coinvolgessero
intenzionalmente
Nim Chimpsky
Nim Chimpsky
Kanzi
Kanzi’s Keyboard
Una questione teorica
Le accuse di antropomorfismo sono frequenti, per
esempio, quando diciamo che un animale agisce
intenzionalmente, vale a dire che mira
deliberatamente a uno scopo. È vero,
l’intenzionalità è un concetto pieno di insidie, ma lo
è in pari misura per gli umani e per gli animali. La
sua presenza è altrettanto difficile da provare che
la sua assenza; per cui sarebbe del tutto
accettabile usarlo con cautela in relazione agli
animali se il comportamento umano fosse soggetto
allo stesso standard (De Waal, 2002, p. 54).
Una strada alternativa
Invece di discutere se gli scimpanzé
come Washoe abbiano manifestato
davvero comportamenti linguistici
intenzionali, può essere saggio
limitarsi alla domanda: che tipo di
manifestazioni linguistiche, più
precisamene, abbiamo osservato in
essi?
Il modello del codice
Codifica e decodifica
Codifica e decodifica
Shannon e Weaver
(1949)
Linguaggio e natura umana
Vale la pena di tenere a mente che la facoltà del linguaggio
si rivela essere una proprietà esclusiva della specie umana.
Altri organismi possono avere il loro sistema di
comunicazione ma questi hanno proprietà radicalmente
diverse dal linguaggio umano, e il linguaggio umano è
molto di più di un mero sistema di comunicazione: il
linguaggio si usa per esprimere il pensiero, per stabilire
relazioni interpersonali senza particolari preoccupazioni
per la comunicazione, per il gioco e per la varietà di scopi.
(p. 35).
Linguaggio e natura umana
La facoltà del linguaggio non è solo una caratteristica
essenzialmente unica della specie umana, per quanto ne
sappiamo, ma anche comune alle varie razze (p. 36).
La conclusione generale che questi studi sembrano sostenere è
quella che ho già enunciato: la facoltà del linguaggio sembra essere
una proprietà della specie, comune a tutti i membri della specie ed
essenzialmente unica rispetto alle altre specie, in grado di produrre
un linguaggio ricco e altamente articolato e complesso sulla base di
dati abbastanza rudimentali. Il linguaggio che si sviluppa in questo
modo, ampiamente determinato danna nostra comune natura
biologica, ha profonde relazioni con il pensiero e la comprensione e
costituisce una parte essenziale della nostra natura (p. 37).
Il “problema di Platone”
La seconda domanda è un caso speciale del “problema di
Platone”. Seguendo la formulazione di Bertrand Russell:
«Come mai gli esseri umani, il cui contatto con il mondo è così
breve, personale e limitato, sono in grado di avere una conoscenza
così ampia come di fatto hanno?» (p. 5)
«Una variante moderna sarebbe che certi aspetti della nostra
conoscenza e della nostra comprensione sono innati, cioè parte del
nostro patrimonio biologico, geneticamente determinato,
esattamente come quegli elementi della nostra natura comune che
fanno sì che ci crescano le braccia e le gambe e non le ali. Questa
versione della dottrina classica è, io credo, essenzialmente
corretta» (p. 6)
Creatività
La terza domanda ha due aspetti produzione e percezione
Il problema della produzione riguarda ciò che diciamo e perché
diciamo una certa cosa. Nel cuore di questa domanda giace il
problema di come giustificare ciò che potremmo chiamare
“l’aspetto creativo del linguaggio”. Cartesio e i suoi seguaci
osservarono che l’uso normale del linguaggio è costantemente
innovativo, non conosce limiti, è apparentemente libero dagli
stimoli esterni o dagli stati interiori, è coerente ed appropriato
alle situazioni; evoca nell’ascoltatore dei pensieri che
potrebbero essere stati espressi da lui in modo analogo nella
stessa situazione. Così, normalmente, in un discorso non si
ripete semplicemente ciò che si è udito ma si producono nuove
forme linguistiche (p. 7).
Il problema di Cartesio
Il problema consiste nel fatto che una “macchina”
viene costretta ad agire in una certa maniera entro
certe condizioni ambientali e con i suoi componenti
disposti in un certo modo, mentre un essere umano è
solo “incitato e disposto” a comportarsi in quel modo.
Gli esseri umani fanno spesso, o forse sempre, ciò che
vengono incitati o disposti a fare, ma ciascuno di noi sa,
sulla base dell’introspezione, dia vere un’ampia scelta
in ciò (…). La differenza tra essere costretti ed essere
semplicemente incitati e disposti è cruciale (p. 123).
Il problema di Cartesio
La differenza qualitativa della natura umana
Non esiste qualcosa come la “mente di un animale” perché gli
animali sono puramente delle macchine, soggetti a spiegazione
meccanica. Non è possibile in questa concezione che esista una
mente umana distinta da altri tipi di mente o menti umane
costituite in modo differente. Una creatura o è umana o non lo
è; non ci sono “gradi di umanità”, non ci sono variazioni di
sostanza tra gli esseri umani a parte dagli aspetti fisici
superficiali. Come il filosofo Harry Bracken ha messo in luce,
il razzismo o il sessismo è logicamente impossibile dal punto di
vista di questa concezione dualista (p. 124).
Il problema di Cartesio
Ritorniamo ancora al problema di Cartesio. Una
ragione possibile per la mancanza di successo nel
risolverlo o anche nel presentare delle idee sensate
in merito ad esso è che non si trova nei limiti delle
capacità intellettuali umane: il problema o è
“troppo difficile”, data la natura delle nostre
capacità, o sorpassa del tutto i loro limiti. C’è
ragione di sospettare che le cose stiano così anche
se non sappiamo abbastanza sull’intelligenza
umana o sulle proprietà del problema per essere
sicuri (p. 134).
Antidarwinismo
Si noti che è un mero frutto della fortuna se la capacità di
produrre scienza, un componente particolare della
dotazione biologica umana, si trova a produrre un
risultato che è conforme, più o meno alla realtà del
mondo (p. 140)
Charles Sanders Peirce: non si tratta di mera fortuna, ma del
prodotto della evoluzione darwiniana.
Il fatto fondamentale, secondo lui, era che attraverso processi
ordinari di selezione naturale le nostre capacità mentali si
sono evolute in modo tale da essere in grado di trattare con i
problemi che sorgono nel mondo dell’esperienza. Tuttavia
questo problema non è cogente (p. 140)
Antidarwinismo (2)
L’esperienza che ha dato forma al corso dell’evoluzione
non offre suggerimenti ai problemi che devono essere
affrontati nelle scienze ed è difficile che la capacità di
risolvere questi problemi abbia costituito un fattore di
evoluzione. Noi non possiamo aggrapparci a questo deus
ex machina per spiegare questa convergenza tra le nostre
idee e la verità riguardo al mondo. Al contrario si tratta di
un fortunato accidente il fatto che esista una tale (parziale)
coincidenza, così sembra (p. 140).
Antidarwinismo (3)
Evoluzione del linguaggio
Possiamo affrontare il problema oggi? Di fatto, si sa poco su
questi temi. La teoria dell’evoluzione spiega molte cose ma ha
poco da dire, per ora, su questioni di questa natura. (…) Nel
caso di sistemi come il linguaggio o le ali non è facile nemmeno
immaginare uno sviluppo della selezione che abbia dato loro
origine. Un’ala rudimentale, per esempio, non è “utile” per il
movimento, anzi è più un impedimento. Perché mai dunque
deve svilupparsi quest’organo negli stadi primitivi
dell’evoluzione? (p. 149)
Continuismo: Darwin
Non vi può essere ombra di dubbio che fra
l’intelligenza dell’uomo più primitivo e quella
dell’animale più perfetto vi sia una immensa
differenza. (…) Ciònondimeno, per quanto
grande sia la differenza che passa fra la mente
dell’uomo e quella degli animali più elevati, è
differenza solo di grado e non di qualità
(Darwin, 1872, trad. it. pp. 124-5).
Complessità ed evoluzione
«Gettate insieme parecchi pezzi di acciaio senza
forma e figura; non si disporranno mai in maniera da
comporre un orologio (...) Delle pietre, della calce e
del legno senza un architetto non eleveranno una
casa. Ma le idee in una mente umana, lo vediamo,
mediante un’economia sconosciuta e inesplicabile si
dispongono in modo da formare il piano di un
orologio o di una casa. L’esperienza prova dunque
che c’è un principio originario di ordine nella mente e
non nella materia». (Hume, Saggi sulla religione
naturale)
Complessità ed evoluzione (2)
«Lungi dall’essere una difficoltà insita nel
darwinismo, l’astronomica improbabilità degli
occhi e delle ginocchia, degli enzimi, delle
articolazioni del gomito e di altre meraviglie viventi
è precisamente il problema che qualsiasi teoria
biologica deve risolvere e che soltanto il
darwinismo risolve» (Dawkins, 1996, trad. it. pp.
71-2).
Complessità ed evoluzione (4)
«La totalità delle discussioni in questo libro hanno messo in evidenza
la complessità adattabile dell’istinto linguistico. Esso è composto di
molte parti (...). Queste parti sono realizzate fisicamente in circuiti
nervosi intricati, disegnati da una cascata di eventi genetici
coordinati precisamente nel tempo. Quello che tali circuiti rendono
possibile è un dono straordinario: la capacità di inviare da una testa
all’altra un numero infinito di pensieri precisamente strutturati,
modulando le espirazioni. Il dono è ovviamente utile per la
riproduzione (…). Armeggiate a caso con un circuito nervoso o
improvvisate un apparato vocale e non otterrete un sistema dotato di
queste capacità. L’istinto linguistico, come l’occhio, è un esempio di
ciò che Darwin chiamava «quella perfezione di struttura e coadattamento che giustamente suscita la nostra ammirazione» e che,
come tale, porta il timbro inconfondibile del progettista della natura:
la selezione naturale» (Pinker, 1994, trad. it. p. 354-55).
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Filosofia del linguaggio e della comunicazione I (6CFU)