Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XIII n° 4/2009 Accogliere la diversità 1 SOMMARIO 3 6 Primapagina I nuovi Magi 4 Le ragioni dell'altro 8 Il dono della diversità 10 La sana follia di Alda Il cammino inarrestabile dei migranti 12 14 Così come sei Maurizio Maggiani e la profezia della vita 18 20 Il giovane poeta che è in noi La Madonna del latte 22 Nuova veglia 26 Graffiti 29 24 Nuove pubblicazioni 28 Avvisi trimestrale Anno XIII - Numero 4 - Dicembre 2009 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel. 0575/582060 - fax 0575/453699 www.romena.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Simone Pieri, Alessandro Bartolini Massimo Schiavo, Luca Buccheri FOTO: Massimo Schiavo, Checcaglini Piero, Eliseo Pieri Copertina: Massimo Schiavo Hanno collaborato: Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Maria Teresa Marra Abignente, Gianni Marmorini, Luca Buccheri. Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 PRIMAPAGINA Avete mai sentito parlare di Charles Fourier? Il suo nome è appena citato nei libri di storia. Poche righe per raccontare il suo sogno. Era uno dei cosiddetti socialisti utopisti. A inizio Ottocento aveva pensato a un modello di società nella quale l’uomo si sarebbe realizzato valorizzando le sue inclinazioni, in cui ciascuno avrebbe potuto contribuire secondo il suo talento, offrendo come ricchezza la sua diversità. Mi hanno sempre incuriosito i pensatori come Fourier, e ora capisco meglio perché: avevano fiducia nell’uomo, pensavano che non bastava il progresso a rendere migliore la vita, che per il passo decisivo sarebbero stati necessari migliori rapporti umani. Le comunità ispirate al suo pensiero fallirono. Ma non è questo che circoscrive la bontà della sua aspirazione. Oggi la nostra società occidentale che, da Fourier in poi ha pure compiuto tanta strada verso l’emancipazione dell’uomo, si è chiusa in se stessa: le sue conquiste sono diventate il misurino su cui si giudica il valore delle altre culture, il suo benessere è diventato una cortina di superbia che punta a escludere chi si ritiene non vi abbia contribuito direttamente. Cresce una paura, una paura irrazionale, alimentata ad arte, per ogni contaminazione con chi ci porta esperienze che non si inquadrino nell’ambito di una presunta normalità. Questa chiusura sempre più ermetica, indirizzata soprattutto verso le migrazioni che caratterizzano questa fase della nostra storia, non è un segno di forza, ma di un progressivo impoverimento. Lo diceva bene Fabrizio De André quando spiegava perché si appassionasse tanto a minoranze come gli indiani d’America e i rom: “Se non arricchiamo il nostro mondo con esperienze come queste, noi rischiamo di pensare che il mondo sia finito, che non ci sia più futuro”. Ci sono mille e più ragioni umane e religiose per accogliere chiunque bussi alla nostra porta. Ma siccome evidentemente gli imperativi etici non bastano, proviamo almeno a renderci consapevoli che questi popoli, in cambio di un pezzo di pane e di un sorso di speranza, ci consegnano a domicilio una freschezza nuova, potenzialità che non abbiamo mai conosciuto. È un travaso prezioso anche per la nostra anima: “In Italia e in Europa – scrive Antonietta Potente – non arrivano solo degli emigranti che cercano uno spazio per vivere, arriva anche una sapienza differente e un’immagine di Dio differente. Quando si sposta una persona non si muove solo una cultura, quando i popoli emigrano non si spostano solo i loro modi di vivere, cambia anche Dio. E il Dio più bello è un Dio itinerante, un Dio che cammina”. Accogliere, allora. Perché accogliere vuol dire ascoltare la vita, qualunque linguaggio essa parli. Accogliere, anche perché non è vero che la nostra coscienza personale e di gruppo si afferma proteggendola da ogni innesto. Al contrario scopriamo chi siamo solo grazie al confronto con chi è diverso da noi, perché lì sperimentiamo la nostra identità, la liberiamo, la ritroviamo rafforzata da una consapevolezza nuova. Nessuno nega la fatica. Le differenze culturali e sociali sono spesso rilevanti, le incomprensioni inevitabili. Però quello che conta è ritrovare la spinta, è riprendere la direzione verso il sogno. Il sogno che il mondo diventi una casa per tutti. Abitata da una meravigliosa, straripante varietà. Massimo Orlandi I nuovi Magi “È la casa di mio Padre, ma freddi stanno gli oggetti l’uno accanto all’altro, come se ciascuno badasse ai fatti suoi che in parte ho dimenticati, in parte mai conosciuti. Quanto più si indugia fuori dalla porta, tanto più si diventa estranei” . Queste parole di Kafka mi ricordano quello che anch’io provavo tornando a casa dopo il primo anno passato in seminario; per la prima volta compresi che la nostalgia non nasce solo come rimpianto di una terra perduta, ma anche quando sperimentiamo in noi una diversità. Il minimo di felicità per ogni persona nasce dal sentirsi a casa da qualche parte, quando trova un luogo dove gli oggetti sono caldi, la porta è aperta e il focolare acceso. Oggi sono ormai successe troppe cose che non dovevano succedere e quel che doveva arrivare non è arrivato. In tutti noi, i segni della debolezza umana, la vigliaccheria, la diffidenza e la paura dettata dal “buon senso”. Ci lamentiamo di tutto quello che cambia e abbiamo paura di capire quello di cui il vento parla. Lo straniero viene presentato come un “nemico” che invade i nostri paesi del benessere, come qualcuno che disturba l’ordine sociale, che crea dei problemi senza soluzioni. Un clima di paura, di insicurezza si diffonde nelle nostre città e purtroppo non solo nei paesi sviluppati, ma anche in quelli poveri. L’altro vale tanto quanto serve. Infatti si rifiuta la sua presenza quando costituisce un rischio o un impedimento alla propria. Non si uccide solo con la spada, ma anche affermando che il senso del vivere altrui è funzionale al proprio vivere. Accogliere l’altro a livello funzionale non vuol dire necessariamente che in tutti i momenti si cerchi di usarlo in vista dei propri scopi. Vuol dire però che lo si accoglie o lo si rifiuta a determinate condizioni, cioè in base al suo piegarsi o non piegarsi ad esse. Un’amica, Nelya, per altri “straniera”, per me “in cammino” verso l’unico monte della vita, mi dice: “Sì, sono straniera e non sono povera, come pensano tante persone. Sì, sono venuta in Italia per denaro però ho trovato di più e mi sento come 4 di Luigi Verdi una ricchissima persona del mondo… Questo periodo di prova mette in gioco in me pazienza e coraggio”. Sì, sono proprio la pazienza e il coraggio che noi non abbiamo più, il regalo che Nelya e gli altri portano come nuovi Magi al nostro pezzo di mondo. Abramo accoglie tre ospiti nella sua tenda, lava loro i piedi, offre cibo e ristoro, e ci indica le due condizioni che muovono in noi l’accogliere la diversità. La prima condizione è che uno accoglie l’altro senza neppure conoscere il suo nome e la sua storia; per questo accogliere è un rischio, puoi trovare un bandito o un angelo. L’accoglienza ci chiede di aprire gli occhi a modi di essere che non sono i nostri, fioriti sotto altri soli, bagnati da acque diverse, ma che sono altrettanto rifrazioni dell’unico Essere in cui affondano le radici di ogni uomo. La seconda condizione è che Abramo vive in una tenda e per questo anche lui si sente forestiero in questa terra. Rotta l’armonia con Dio e tra le persone, il rapporto con la terra sarà un rapporto di dominio, un rapporto guidato dalla logica del possesso e della difesa l’uno dall’altro. L’immigrato è ansioso di non essere più considerato come uno straniero, sa che questo bisogno cessa quando diventa se stesso e non più un modello sospetto. Lo straniero paga il prezzo alla sua e alla nostra estraneità cercando di essere se stesso in qualunque luogo, diventando così portavoce della solidarietà umana. Ogni tempo di crisi e quindi di passaggio esprime il peggio di sé, di razzismo e di egoismo, di violenza e di paure. Ma anche se le cose sembrano non cambiare, anche se tutto sembra continuare come prima, dobbiamo scrutare l’orizzonte, fiutare l’aria e gettare il seme. Il sogno di futuro è tutto dentro la realtà, occasione non prevista dai programmi. Torniamo al sogno di Dio e ai sogni profondi del cuore umano, tornino le campane delle Chiese a lanciare colombe, ogni schiavitù sia liberata e ognuno sia sciolto dal vento in cenacoli di carezze delicate. Foto di Massimo Schiavo Mi sento come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi del nostro tempo. L'unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi. Etty Hillesum Il dono della diversità di Gianni Marmorini Nella Bibbia come nella natura, nell'arte come nel nostro cammino quotidiano non è difficile accorgersi di come la diversità sia l’alimento della vita. Nell’ultima lezione che ho seguito sulla il Libro dell’Esodo con il Libro del QoTeologia del Vangelo di Marco il profes- hèlet? Uno pieno di speranza e l’altro di sore si è comportato in un modo molto cinismo. Mi chiedo spesso anche come strano. Come per tutti gli insegnanti an- avranno fatto a decidere che i Vangeli sache lui credo che abbia dei problemi con cri erano “quattro non uno di più e non il tempo e la mole immensa del program- uno di meno”; chissà quante discussioni! ma da svolgere, eppure ha dedicato qua- Sono così diversi che sembrano parlare di si un’ora intera a spiegare le posizioni di Gesù diversi. Gesù aveva una doppia naalcuni studiosi che lui non condivideva, tura, non una quadruplice personalità! Se posizioni oggi decisamente superate dalla avessimo dovuto decidere oggi certamente ne avremmo scelto uno solo. maggioranza degli studiosi. Le ha spiegate accuratamente, senza fret- La stessa dinamica succede nella musica: ta, direi con delicatezza, scrivendo i loro come è bello, ad esempio, quando nella Bohème di Puccini Rodolfo e Mimì si nomi e le date alla lavagna. parlano d’amore e di morOgnuna di queste posite piangendo mentre Marzioni era superata dalla La diversità cello e Musetta litigano successiva, ma qualcosa non ci chiede di cambiare, per gelosia, la contempodella precedente rimaneva raneità delle voci è straornella nuova. Mi è piaciuto ma di essere noi stessi. dinaria. molto questo parlare e lo E la natura intorno a noi? confronto con il mio modo di cercare sempre una sola parola, quella I boschi con la varietà dei colori dell’autunno? Quasi che la natura volesse darci vera e definitiva. Penso anche a quel libro, patrimonio una scorta di bellezza per sopportare la dell’umanità, ma aperto solo da alcuni, il nudità. Talmud. Nel mezzo della pagina ci sono Tutto della vita intorno a noi ci parla della alcune parole e tutt’intorno le spiegazio- diversità, della varietà. Non c’è vita senza ni di tanti maestri che mai concordano fra diversità, senza contrasto. Anche quando loro. Ognuna però è conservata accan- lo spermatozoo è entrato nell’ovulo per dito all’altra. Come se oggi intorno ad un ventare uomo deve cominciare a dividersi evento si conservassero con cura e affetto e a dividersi ancora tante volte. i pensieri di Bossi, Berlusconi, Bertinotti, Ovunque ci si giri la vita ha bisogno di diDalai Lama, Bush… ammettendo che sia- versità. Fu così anche secondo la Bibbia no tutti maestri. Un libro veramente stra- quando Dio per creare la vita separò le acno, un sogno. que di sopra da quelle di sotto, la terra dal Ma forse anche la Bibbia è questo tipo mare… Fino a che tutto era Uno non c’era di sogno. Ci sono così tante diversità da posto per la vita, non c’era posto per l’uofar paura: come si fa a mettere insieme mo. A noi uomini Dio ha affidato il compi- 6 to di portare avanti l’opera della creazione, ma invece di salvaguardare la diversità abbiamo la tendenza di riportare tutto a uno. Ci fu un momento in cui “Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole”, fermarono il cammino e costruirono una Torre, simbolo di forza e di potenza. Una prigione e un’immobilità da cui Dio ci liberò con il dono della diversità delle lingue. Il problema delle diversità è che assomigliano molto ai contrasti più che all’armonia. E i contrasti noi cerchiamo sempre di superarli, è inevitabile. Ma c’è stato il giorno della Pentecoste: gli apostoli per le strade di Gerusalemme non parlavano un’unica lingua che tutti potevano comprendere, parlavano la propria lingua, ma i rappresentanti dei popoli di tutta la terra li comprendevano “ognuno nella propria lingua”. C’è quindi un’alternativa all’uniformità o ai contrasti, se si parla la propria lingua gli altri possono capirci nella loro. Parlare la propria lingua: essere se stessi, non la bella o brutta copia di altri, essere se stessi. La diversità, potremmo dire, non ci chiede di essere migliori, di cambiare, ma di essere se stessi. Per questo Dio alla Torre di Babele ci ha fatto il dono delle lingue diverse, della diversità, per imparare ad essere noi stessi, per tornare ad esserlo. Siamo così sicuri che meriti diventare se stessi e non qualcosa di meglio? Un problema antico, anche Adamo ed Eva ci pensarono e decisero di non essere se stessi, ma di diventare qualcosa di meglio. Da allora non abbiamo mai smesso di mangiare il frutto proibito, di prendere strade sbagliate. Ma non ce la faremo, Dio ci vuole troppo bene, manterrà le diversità e queste diversità continueranno a farci del male fino a che non impareremo ad essere noi stessi, a riconoscere i nostri bisogni, i nostri desideri e gli altri intorno a noi. Le ragioni dell'altro di Pierluigi Ricci Siamo sempre così attenti alla difesa delle nostre convinzioni, sempre pronti a portare anche gli altri dalla nostra parte. Ma è sana, ci fa bene, e soprattutto ci fa crescere questa difesa a oltranza dei nostri punti di vista? Dovunque vai nel mondo trovi gente che per farlo. Però se insisterà su quelle litiga, anzi, magari litigasse… aumenteranno le tensioni. Il più delle volte le persone passano giorni e C’è una chiave diversa che potrebbe aiutarci, giorni a rimuginare rancori e a creare fazioni. ne esiste una soltanto, utile a risolvere i Così vai in un ufficio e scopri che quelli nostri litigi o le nostre piccole o grandi del piano di sotto ce l’hanno con quelli del guerre. Si chiama “le ragioni dell’altro”. piano di sopra e… si fanno la guerra. È così È una chiave difficile, complicata perché nei posti di lavoro e pure in tante famiglie. non è sovrapponibile ai nostri valori. È tutta Così è nei gruppi, nelle associazioni, nei un’altra cosa che ti impone un cambiamento luoghi del tempo libero. di ottica e di valutazione. È come se non si riuscisse mai a trovarsi A volte si accoglie l’altro, partendo dai d’accordo e a smetterla di pensare all’altro nostri valori, perché si vuol essere buoni, per come ad un antagonista. E esempio, o si vuole essere tutto questo porta a buttar giusti, ma questo si chiama Il mondo via un sacco di risorse e a sopportare, non accogliere. cresce sulle differenze, coltivarsi dei mal di stomaco A volte ci facciamo in che ci rovinano le giornate. quattro per cercare di non sulle somiglianze, Chi si occupa di queste convincere qualcuno delle sennò gonfia, non cresce. problematiche, penso alle nostre verità, ma questo organizzazioni, al mondo si chiama pretesa, non educativo, alle famiglie, alle chiese di tutte accoglienza. È la pretesa di cambiare gli le latitudini, in genere imposta il discorso altri, di portarli ad assomigliarci. intorno ai valori. Si richiama la gente alla La pace nasce da un rovesciamento di buona volontà e a tutta quella serie di grandi fronte. L’altro, ogni altro, nella sua diversità principi in cui ognuno crede, i valori appunto. ha le sue ragioni e cercare di scoprirle e Ma questo non funziona più o forse non ha di accoglierle potrebbe essere la nostra mai funzionato. Per un motivo semplice: fortuna. anche il terrorista, paradossalmente, agisce Il mondo cresce sulle differenze, non sulle e ammazza in nome dei valori, i suoi somiglianze, sennò gonfia, non cresce. certamente. Ma anche chi lo contrasta in Non ci si sposa forse con persone diverse da realtà fa lo stesso gioco, agisce in nome dei noi perché ci possano completare e ci siano propri. Non sto dicendo che bisogna lasciar utili? Se uno è uguale a te, cosa potrebbe stare i terroristi, dico che bisogna cambiare darti in più di quello che tu già hai? strategia, perché più si insiste su questo Non ha senso quindi passare il tempo a tasto, sul difendere i propri valori, più si spararci addosso, magari sbandierando l’idea che stiamo facendo chiarezza, che è giusto creano barricate e distanze. Hai mai parlato, per esempio, con una dire quello che pensiamo. C’è un solo gesto coppia in crisi? Ti sarai accorto che ognuno che porta luce alla vita, si chiama accogliere: dei due pensa e difende le proprie posizioni in tutto ciò che è diverso da noi potrebbe e in quello spazio magari ha tutte le ragioni esserci un’opportunità, anche per noi. 8 Foto di Massimo Schiavo La gloria di Dio è la gloria di chi entra nella casa dell'altro, di chi sbenda gli occhi, di chi apre tombe ammuffite dicendoti "Vieni fuori". Angelo Casati 9 La sana follia di Alda di Milly Mammoliti La scomparsa di Alda Merini è occasione di un ricordo commosso di tutta la poesia che ci ha lasciato. Ma anche occasione per pensare a quanta bellezza ci sia nella diversità, e quanto siano limitanti e grigi i recinti di chi vuol salvaguardare la normalità propria e giudicare quella degli altri. L’anno scorso avevo scritto una poesia dedicata ad Alda Merini, e gliel’avevo mandata. C’erano possibilità – seguendo le sue modalità e i suoi tempi – che io potessi anche incontrarla. Purtroppo ora non è più possibile. Mi sono chiesta cosa mi avesse spinto a scrivere di getto quella poesia: in fondo io la Merini non l’ho mai conosciuta personalmente, l’ho solo molto amata attraverso i sui scritti e la sua storia. La risposta è che sono rimasta attratta, colpita e anche affascinata dalla sua diversità. Una diversità che per certi versi, racchiude tutte le diversità di cui solitamente parliamo. Una personalità complessa, come ce ne sono tante, fuori dagli schemi di normalità che ci siamo dati. Ma tant’è. Lei è le sue poesie e le sue poesie sono lei. Amarla ed accoglierla nel cuore come una cara, vecchia amica è stato perciò un volo spontaneo della mia anima. Alda è passata attraverso i suoi 78 anni con eccezionale lievità, in punta di piedi, con apparente fragilità, ma con forza straordinaria. I tanti anni passati dentro e fuori il manicomio non sono riusciti a scalfire la sua anima. O forse l’hanno scalfita, non so. Certamente lei ha avuto la straordinaria capacità di trasformare la propria sofferenza sia fisica che spirituale in un groviglio di fili d’oro che poi ha tessuto e ricomposto attraverso la sua poesia. Lei, rispetto ad altri “diversi”, è stata senz’altro privilegiata. Ha sofferto nelle proprie viscere l’abbandono e la resa alla malattia mentale, i tanti tremendi elettroshock, l’allontanamento delle sue figlie, la negazione di poterle vedere, mentre una madre – diversamente malata – avrebbe potuto vederle; i suoi amori al di fuori e al di sopra di tutte le regole dove la differenza di età non ha costituito né scandalo né vergogna perché l’amato, l’oggetto dell’amore, è al di là di convenzioni morali 10 o sociali, dove la passione, la carnalità e il gioco hanno fatto gridare la sua anima. Ha vissuto l’amore per l’amore, punto e basta. Forse solo le creature pure, incontaminate, quelle definite “folli” riescono a provare questo tipo di sentimenti perché sono al di sopra delle parti e possono provarli e viverli nel cuore e nel grembo, senza colpa. È stata discriminata e additata per il suo passato da malata mentale, ha vissuto molti anni in condizioni economiche precarie. Si è sentita straniera nella sua città. Quando finalmente si sono accorti di lei, il più della vita era ormai passato e anche la sua salute fisica cominciava a venir meno. Invece, da parte sua, né risentimenti, né rimpianti, ma il ricordo di quegli anni passati in manicomio dove lei era “felice” con i suoi amici malati e dove il sostegno reciproco e la solidarietà erano le uniche cose per cui andare avanti. Lei “diversa” accoglieva i suoi compagni di malattia “diversi” anch’essi, senza dare giudizi. Con loro riusciva anche a ridere e a divertirsi per qualcosa che solo lei e loro sapevano. Quello che li univa era il comune linguaggio della cosiddetta follia. Quella follia che, secondo Mario Tobino, sta dalla parte dei giusti, delle anime candide. Quella follia che fa piazza pulita di tutte le ipocrisie, le convenienze, i formalismi e che noi, pervicacemente, vorremmo che non esistesse. Così come vorremmo che ogni diversità non esistesse, perché limita i nostri spazi, i nostri pensieri, ci obbliga a guardarci nello specchio e ci crea imbarazzo e timore perché ci fa sentire inadeguati e allora diventiamo distratti, a volte aggressivi e spesso anche cattivi. Persone come Alda Merini nel mondo ce ne sono tante e tantissime di loro – paradossalmente meno “fortunate” di lei – rimarranno per sempre nell’ombra, ostaggio della nostra normalità. Foto di Massimo Schiavo La bellezza non è che che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori. Alda Merini 11 Il cammino inarrestabile dei migranti di Erri de Luca «Nascesse oggi sarebbe in una barca di immigrati insieme a Maria, gettato a mare in vista della costa di Puglia o Calabria”. Gesù, secondo Erri de Luca, nasce ogni giorno al largo dei nostri mari. È tra gli ultimi del mondo, che cercano un riparo. È tra gli invincibili, cioè tra coloro che, pur costantemente vinti, sono sempre pronti a rialzarsi. Erri, in che modo la Bibbia, libro che frequenti assiduamente, si occupa di chi bussa alla nostra porta e ci chiede accoglienza? “Che dà allo straniero pane e vestito” questo dice di sé la divinità nella Scrittura sacra. E alla creatura umana dice “e amerai lo straniero perché stranieri foste in terra d’Egitto”. Circa cento volte la Bibbia scrive la tutela dello straniero. Insiste la divinità col verbo amare, con il più forte sentimento e la più potente energia del corpo umano. Amare, che fa del bene prima di tutto a chi ama prima di far del bene all’altro, allo straniero. Non è certo così che oggi vengono accolti i tanti stranieri che bussano alla nostra porta. Vorrei che tu mi dicessi qualcosa di una parola che rispecchia bene i nostri tempi. La parola “clandestino”. “Clandestino” è una parola che non rimanda a un reato penale, ma solo a un disagio amministrativo. Indica non un criminale, ma una persona che deve mettersi in regola con alcune pratiche. Il problema è che con questa parola si vuole bollare tutta l’umanità che si sposta a piedi per il mondo in cerca di una vita migliore. Per me è una parola neutra dal punto di vista legale, nobile dal punto di vista umano. Hai dedicato un tuo recente spettacolo agli “invincibili”, cioè a quei vinti come Don Chisciotte che per il fatto stesso di essere costantemente vinti sono, in fondo, imbattibili. Anche i migranti di oggi sono invincibili? Questa nozione di invincibile me l’ha suggerita un poeta turco, Nazim Hikmet che chiama Chisciotte “il cavaliere invincibile degli assetati”. Lì per lì mi sono detto: “Ma come gli viene in mente? Che razza di invincibile potrebbe essere mai Chisciotte se è un vinto a oltranza?”. Invece è così, ha ragione Hikmet, gli invincibili sono quelli che, continuamente battuti, senza potersi arrendere mai, si rialzano in piedi e sono pronti a battersi di nuovo. Oggi gli invincibili sono i migranti, perchè nessuno può fermare chi viaggia a piedi. I migranti partono su qualsiasi imbarcazione, da qualsiasi sponda e compiono un viaggio di sola andata, senza biglietto, tantomeno quello di ritorno. Sono questi gli invincibili, quelli che non possono essere sbaragliati. Nessuna polizia, niente e nessuno può essere peggio di quello che già gli è stato fatto e per il quale si sono decisi a togliersi di casa, abbandonare tutto e percorrere il mondo a piedi. Che cosa unisce, secondo te, questi milioni di migranti? Il coraggio sfegatato. Ci vuole uno straordinario coraggio a strapparsi dal proprio posto e cercarne un altro, qualunque sia. Il problema è che oggi non avvertiamo questo coraggio, non lo riconosciamo. Oggi avvertiamo piuttosto la paura. Di cosa è fatta questa paura? La paura è un sentimento politico, che si può cavalcare e che produce maggioranze. La paura però acceca, fa dimenticare tutto, nasconde provenienza e appartenenza, ci fa sentire dei nati ieri senza passato. La paura, poi, spinge a misure che non sono utili, perché né sbarramenti, né espulsioni, né naufragi fermeranno un’ondata migratoria che arriverà comunque e che ci cambierà i connotati. Secondo te questo atteggiamento di paura contiene del razzismo? Il razzismo da noi è come la mafia, non esiste. Nessuno lo ammette. Invece c’è un anticipo di razzismo, non quello catastrofico che si è manifestato nella prima metà del Novecento, ma uno strisciante, secondo, imbarazzato, ma efficace lo stesso. Cosa si può fare, Erri? Occorre programmare sistematicamente il sentimento della fraternità. Non quello della tolleranza che è insufficiente. La tolleranza è qualcosa che qualcuno si deve sforzare di suscitare dentro di sé. No, la fraternità, questo è l’argomento all’ordine del giorno. *La conversazione è tratta dall’incontro di Massimo Orlandi con Erri de Luca in occasione del meeting di San Rossore, Pisa, del 2008. 12 Invincibile non è chi sempre vince, ma chi mai si fa sbaragliare dalle sconfitte, chi mai rinuncia a battersi di nuovo. Erri De Luca 13 Così come sei di Christine Reimann Fabio è un ragazzo “speciale”. È nato con una malattia genetica rarissima, la IDIC 15. Mamma Cristina, in occasione dei suoi 16 anni, gli ha scritto una lettera che ci permette di condividere. È un documento bellissimo, intenso, profondo. Che testimonia di quanto sia difficile e doloroso staccarsi dalle proprie aspettative. Ma anche di quanta forza abbia l’amore, quando ci permette di accogliere l’altro così come è. Oggi è il tuo sedicesimo compleanno. Vorrei farti i migliori auguri possibili. Cerco di abbracciarti, ma come al solito non ti piacciono gli abbracci delle persone, solo quelli che fai tu. Mi stringi di dietro, afferri i miei capelli con i tuoi denti e tiri. Un attimo ti lascio fare, non ti voglio respingere. Poi sento il bagnato sul collo, mi giro e cerco di liberarmi. La tua festa oggi sarà diversa dai compleanni di altri ragazzi della tua età. Non mi dici cosa vorresti come regalo. Non hai amici che possiamo invitare. Quando stasera mangeremo la pizza insieme con le persone che si prendono cura di te, forse sarai già a letto. Per te sarà un giorno come qualsiasi altro. Avevo delle idee diverse sul percorso della tua vita. Certo, non ne ero cosciente, ma avevo un piano ben preciso per te: dovevi avere due mani e saperle usare, due piedi che ti portavano ad esplorare le vie vicine e lontane, due occhi per vedere il mondo e una testa per capirlo e trovare la tua strada. 16 anni fa ti hanno messo sulla mia pancia appena nato, e tu hai preso il mio latte. (…) In genere, quando i figli crescono, i genitori hanno il tempo per staccarsi lentamente dalle loro aspettative. Volevano uno che facesse il dottore, invece ha smesso la scuola superiore e ora lavora come giardiniere. Volevano una ragazza sportiva, invece è diventata sovrappeso e non c’è verso di farla mangiare meno. Volevano uno che fa carriera, invece ha avuto un bambino a 17 14 anni e ora deve lavorare per tirare avanti. Qualunque fosse stato il mio progetto per te, quando avevi 6 mesi l’ho messo da parte per sempre e ho cercato di camminare verso nuove mete. Mete molto più piccole, ma nello stesso tempo grandi come le montagne. Farti sedere senza aiuto. Farti girare la testa quando sentivi chiamare il tuo nome. Farti guardare nei miei occhi. Staccarsi dal mio progetto sulla tua vita è stato molto doloroso. Ma lo dovevo fare per vederti come sei. Non avrei potuto aiutarti nel tuo cammino senza accettarti per quello che sei. Se rimanevo attaccata alla mia immagine del bambino perfetto non avrei potuto accompagnarti su questa tua strada. (…) Il dolore però era il mio, ed è rimasto mio. Tu eri e sei tranquillo e felice come sei. Non ti sei mai chiesto come sarebbe se fossi diverso. Non ti misuri con gli altri. Ti sei accettato fin dall’inizio per quello che sei. In questo sei molto più bravo di me. Infatti, mi chiedo, se non sono io quella che soffre di più in tutto questo. Che vedo quello in cui non riesci. Che ho paura pensando a cosa ne sarà di te quando non ci saremo più noi. Ti devo confessare che nei momenti più neri mi sono immaginata che la mattina quando apro la tua porta te ne sei andato per sempre. Mi ricordo che una volta dormivi così profondo che per un attimo la mia immaginazione sembrava essere diventata vera. Che spavento ho provato, e che senso di colpa! So bene che non volevo assolutamente perderti. Volevo solo avere un po’ più respiro, una vita quotidiana meno “pesa”. Ma se ti dovesse succedere qualcosa, sicuramente mi sentirei responsabile a causa di queste fantasie. Tante volte mi hanno accompagnata sensi di colpa. Faccio abbastanza per te? Faccio le cose giuste? Nel momento giusto? Tu invece sei senza colpe. Sei una persona vicina a Dio, come dicono in Irlanda. Tu vivi in un’altra dimensione. La tua piccola anima è pura come quella di un bambino appena nato. Nessuno ti darebbe mai colpe, anche se delle volte qualcuno alza la voce con te per un momento, quando lecchi il muro o tiri capelli o butti il piatto in terra. Tu non conosci il male. In tutti questi anni ho cercato di proteggerti dal mondo, da un mondo dove contano solo le persone che rendono. E le persone potenti, che definiscono cosa rende. In quella scala di valori non esiste quello che puoi dare tu. Quello che ho imparato da te e che mi ha fatto così tanto più ricca: capire cosa è veramente importante nella vita, vivere momento per momento, senza prendere per scontato quello che abbiamo. Ma ho dovuto anche proteggere il mondo da te, che sei diventato così veloce e forte, con le mani dappertutto, con i tuoi urli insopportabili, con la tua forza che non reggo più. Per alleggerire la fatica ti abbiamo dato tanti soprannomi: tempesta, Fabio il terribile, terremoto. Non prendertela con noi per questo. L’abbiamo fatto con un occhio che piange e uno che ride. Poi ho dovuto anche imparare a difendermi da te, dalle tue carezze così violente da aggiungere al dolore nel mio cuore anche quello fisico, e dalle tue aspettative infinite verso di me, che sono la mamma infinita per te. Non sono infinita. Per dire la verità, dopo questi 16 anni sono abbastanza finita… Ora succede che qualche mattina mi giro ancora nel letto, e anche se ti ho già sentito trafficare nella tua stanza, invece di correre da te, vado prima a prendere un sorso di caffè che il tuo babbo nel suo infinito amore mi prepara tutte le mattine. Sto per tagliare il secondo cordone ombelicale, quello invisibile, che crea quel legame particolare fra le mamme e i figli come te. Questo non vuol dire che non ti voglio più bene. Per te, ci sarà sempre un posto speciale nel mio cuore, e questo tu lo sai. Ma sento ora, dopo 16 anni, che non sei più una parte di me. Fai le tue esperienze, a modo tuo. Certo, ti ci vorrà sempre una mano che ti guidi e ti aiuti, ma non sempre sarà la mia. Devi essere protetto, perché non ti puoi proteggere da solo, ma non sarà solo mio il compito di farlo. Avrai la tua vita con le tue gioie e i tuoi dolori, come tutte le persone di questo mondo, e io non li potrò dividere tutti con te. 16 Foto di Checcaglini Piero Vieni di nuovo ad aprirci la porta del futuro quando davanti c'è così poco da vedere. Vieni di nuovo oggi che s'innalzano nuovi muri io ti saluterò sulla porta con la lanterna oscillante. Luigi Verdi 17 Maurizio Maggiani e la profezia della vita di Luca Buccheri Quali sono i semi di speranza che possiamo leggere nel presente? Cosa ci chiama dal futuro? Sono le domande degli incontri che abbiamo organizzato quest’anno. Le stesse che apriamo a Maurizio Maggiani, scrittore. E per parlare di futuro lui parte da un libro antico. La Bibbia. Con una premessa. “Non sono un cattolico romano, forse un cristiano”. E uno svolgimento. Tutto da ascoltare. È voluto partire da un passo della “Bibbia dei giudei e dei cristiani”, quasi per annunciare delicatamente la prospettiva da cui fiorisce la sua riflessione e testimonianza. Maurizio Maggiani – autore tra i tanti del romanzo “Il coraggio del pettirosso” – ha inteso così affermare il primato del Dio della vita: «Non rincorrete la morte, abbandonando la strada che porta alla vita. Non distruggetevi con le vostre mani. Ricordate: Dio non ha creato la morte e non vuole la morte degli uomini. Ha creato le cose perché esistano; le forze presenti nel mondo sono per la vita, e non hanno in sé nessun germe di distruzione. Sulla terra non sarà della morte l’ultima parola. Chi fa quel che piace a Dio vive per sempre, i cattivi invece aprono alla morte la porta di casa, la chiamano e la invitano a venire, la credono amica e spasimano per lei, arrivano a fare un patto con lei e meritano così di riceverla in sorte» (cf. libro della Sapienza 1,13-16). «Questo passo – ha spiegato lo scrittore ligure – nega che Dio abbia compreso la morte nel 18 suo piano, nel suo disegno di universo». Sono gli uomini che si alleano con la morte; le camicie nere avevano come emblema la morte, Francisco Franco ha combattuto la sua guerra civile spagnola al grido di “Viva la muerte”. Lì c’è alleanza con la morte. Ma «la morte non può appartenere al pensiero di un vivente, alla fecondità di un vivente, perché un vivente è solo futuro». Nato nel 1951 in una famiglia contadina e poverissima (i suoi genitori dal macellaio ci sono andati la prima volta per il loro primogenito), Maurizio Maggiani non ha però alcun ricordo negativo di quegli anni. Come è possibile che non abbia conservato il ricordo angosciante della fatica di quel vivere miserabile, e che anzi abbia sentito di appartenere ad una “famiglia di signori”? «Perché sono vissuto in nome di ciò che sarebbe potuto accadere, di ciò per cui io sono nato e avrei potuto far accadere. Se avessi chiesto a mio padre “dov’è il futuro?”, mio padre mi avrebbe detto “vieni qui, guarda”, e mi avrebbe mostrato le mani. Sì, io ho vissuto in una famiglia che ha vissuto per il futuro, nella certezza che nelle proprie mani risiedeva il futuro, una vita promettente; sono stato cresciuto a pensare che le cose non avrebbero potuto che andare meglio, e che io ero lì proprio per quello, per far andare le cose meglio». «Sono inciampato diverse volte e sono caduto, anche fisicamente – ha continuato nel suo racconto carico di toccanti riferimenti autobiografici –. Sono pieno di ferite e di cicatrici, ho fatto incidenti di ogni genere e natura. Alla base delle mie ferite ho sempre trovato una distrazione, non una distrazione dal codice della strada, ma una distrazione dalla vita. Sì, sono andato da un’altra parte. E la ruvidità, gli spigoli in cui si è trasformato il mio corpo, è la mia anima quando ho rinunciato al mandato di vivere. La rinuncia alla vita è un’infermità. Rinunciare alla vita è rinunciare al futuro, perché la vita è solo fecondità. Non c’è altra possibilità di vivere se non in modo prolifico e fecondo». E che significa generare – si è chiesto Maggiani – se non costruire futuro, costruire vita, vita che verrà? La vita è in sé una profezia, una visione ulteriore delle cose. C’è profezia nella bellezza, quella bellezza che i nostri nonni neanche sapevano pronunciare, tant’era lontana dalle loro categorie mentali; per loro era importante fare un lavoro “ben fatto”. Ma quanta bellezza c’era in un lavoro “ben fatto”! «Anche se loro non lo sapevano, costruivano bellezza; lì, in un lavoro ben fatto, c’è profezia, c’è gratuità e futuro, c’è un vedere oltre…». Gettando poi uno sguardo attuale sulla nostra “mortifera” epoca, il nostro amico scrittore si è chiesto come e se sia possibile arrendersi ad un’epoca. «Io credo di no. Arrendersi ad uno spirito di morte non è umano». Non è naturale che l’operaio si arrenda al suo salario, come non era naturale per un partigiano arrendersi allo spirito di morte. «Non è ragionevole vivere una vita che rinuncia alla sua fecondità», neanche nei posti più orribili della terra; «neanche nel campo profughi di Kigali ( R w a n d a , n d r. ) , o n e l q u a r t i e re b o m b a rd a t o d i Tuzla in Bosnia, o nella favela di Rio de Janeiro ho visto uomini e donne arresi alla morte. Anche nel posto più fetido e rivoltante c’era qualcuno che si dava da fare per renderlo più umano, più vivibile. Una baracca ben fatta contiene in sé un grano di profezia e quindi di bellezza. Ci sono delle belle baracche nelle favelas… sembra una follia e invece no, è quello che ho visto. Se non si arrende alla morte l’uomo costruisce futuro, è prolifico, fecondo, profetico. Vivere umanamente necessita di avere in sé una bellezza e quindi di avere in sé un poco di profezia e dunque un grado di futuro». «Non possiamo vivere una vita senza profezia, senza un racconto più grande di ciò che vediamo». E ha concluso: «Il futuro è cammino, è andare», come quei 17 passi che Maggiani, reduce da un incidente in motocicletta, ha impiegato 3 anni a percorrere dal suo letto al bagno. È facile arrendersi al primo degli orizzonti. Ecco il futuro: «Se sono riuscito a farlo è perché ho visto oltre, il passo successivo». 19 Il giovane poeta che è in noi di Maria Teresa Marra Abignente Maria Teresa ci invita questa volta non a scoprire, ma a ritrovare un grande autore, Rainer Maria Rilke. L'obiettivo? Rileggere le “Lettere a un giovane poeta” in veste di destinatari. In comune abbiamo il giorno della nascita. “Lettere ad un giovane poeta”, questo il Mi piacerebbe però avere di lui la capacità suo titolo. E non pensate che il fatto che siadi raggiungere i segreti delle cose e dar loro no destinate ad un poeta significhi che non voce, e possedere quel meraviglioso talento siano indirizzate anche a noi, perché Rilke che riesce a plasmare le parole, trasforman- in queste pagine non parla solo di poesia o dole in emozioni. dello scrivere in generale, ma piuttosto del“Abituerò il mio cuore al suo orizzonte più la poesia che è nella vita, in ogni vita, per lontano” e cos’altro è, in ultima analisi, la quanto banale o monotona possa sembrarci. poesia se non questo impa“Se la vostra vita quotidiarare ad andare oltre le apEd ogni cosa a cui mi dono na vi sembra povera, non parenze fugaci della vita, ed l’accusate; accusate voi diventa ricca avvicinarsi, in un dialogare stesso che non siete assai e mi spende. incessante, alle sue sorgenti poeta da evocarne la ricpiù indistinte e nascoste? Rainer Maria Rilke chezza”. Ma oggi, più che delle poeÈ uno di quei libri da tenere sie di Rilke, voglio parlarvi di un suo piccolo sempre sul comodino, per aprirlo la sera e e prezioso libricino, poche pagine intrise di leggerne qualche riga, o da tenere in borsa una saggezza tutta speciale, tanto profonda per cercare, magari durante un viaggio in e urgente. E sono certa che, se frugassimo treno o in fila alla posta, un’eco alla propria ben bene nella parte più intima del nostro inquietudine. E ti sorprende sempre, perché cuore, di certo scopriremmo un frammento sempre riesce a raggiungere quell’ansia sfodi quello stesso desiderio, perchè in ognu- cata e spesso oscura di un infinito che reclano c’è, più o meno nascosto, il sogno di un ma in noi e che altro non è che un semplice “orizzonte più lontano”. ed umile bisogno di vita. “Quanto ci credo 20 nella vita! Non a quella vita che si esaurisce nel tempo; ma a quell’altra vita, la vita delle cose piccole, degli animali e delle grandi pianure. Questa vita che dura nei millenni, apparentemente senza partecipazione e tuttavia piena di movimento, di crescita e di calore nell’equilibrio delle sue forze… Per questo voglio deporre ogni superbia, non levarmi più al di sopra del più piccolo fra gli animali e non considerarmi più splendido di una pietra”. Sarà forse perchè la vita è infinita e sottile e non si lascia rinchiudere dalle parole che vogliono descriverla ed esaurirla e sarà perchè tutti noi proviamo questa fatica del dire l’indicibile, che questo libretto ci diventa così caro? Sarà perché ci richiama assiduamente e dolcemente ad imparare l’arte difficile e paziente dell’ascolto della vita, a partire dalla nostra vita, che nel leggerlo ci sentiamo incoraggiati, compresi, sostenuti? “Voi avete avuto molte e grandi tristezze, che se ne sono andate… Ma vi prego, riflettete se quelle grandi tristezze non siano piuttosto passate attraverso di voi. Se molto in voi non si sia trasformato… Ci fosse dato di veder più oltre che non giunga il nostro sapere, forse allora sopporteremmo in noi le nostre tristezze con maggior fiducia che le nostre gioie. Ché sono in esse i momenti in cui qualcosa di nuovo è entrato in noi, qualcosa di sconosciuto; i nostri sentimenti ammutoliscono in casta timidezza, tutto in noi indietreggia, sorge una calma, e il nuovo, che nessuno conosce, vi sta nel mezzo e tace”. No, non è solo destinato ai poeti questo libro, perché la poesia è nella vita e per questo tutti ne siamo partecipi; tutti possiamo cercarne il sorriso, anche se insicuri, anche se impazienti, anche se tremanti. E con l’arroganza tipica dei giovani a volte la calpesteremo o fingeremo di poterne fare a meno, ma ci saranno attimi in cui ci verrà incontro e non potremo sfuggirla. E ne saremo come trafitti. E saranno attimi di eterno. “Voglio restare in questa tempesta e sentire tutti i brividi di questa grande commozione. Voglio avere autunno. Voglio coprirmi d’inverno e con nessun colore voglio tradire la mia presenza. Voglio essere sepolto dalla neve per amore di una primavera futura, affinchè ciò che germoglia in me non si levi troppo presto dai solchi…”. Che questo amore per “una primavera futura” possa aiutare tutti noi, giovani poeti della vita, a sopportare le aride stagioni, i giorni sbiaditi o violenti; e nel silenzio, tutto teso all’ascolto, prepararci al nostro orizzonte più lontano e puro. Lettere a un giovane poeta Rainer Maria Rilke Nel 1903, Franz Kappus, giovane aspirante poeta scrive una lettera con alcuni suoi versi a Rainer Maria Rilke, celebre poeta e scrittore ceco (era nato a Praga nel 1876), chiedendogli consigli. Inizia così un breve carteggio fatto di umili consigli e insegnamenti preziosi sul “mestiere” del poeta che diventano pagina dopo pagina, un invito all'ascolto interiore. Con toni accorati, Rilke espone i temi principali della sua poetica: esorta Kappus a indagare se veramente lo scrivere sia per lui una necessità, gli indica il peso e la grandezza dell'essere artista, lo esorta alla solitudine come unico mezzo per giungere alla maturazione di sé. Dal poeta maturo scaturisce una sorta di lezione fatta di consigli stilistici e, soprattutto, di insegnamenti spirituali. Le dieci lettere diventano così un profondo e accorato richiamo ad ascoltarsi e ascoltare la voce del silenzio, troppo spesso dimenticata. 21 Verso il Natale La Madonna del latte di Angelo Casati Don Angelo ci regala quest’immagine inconsueta nelle immagini della natività: l’immagine reale di una mamma che nutre suo figlio. Di Maria che allatta Gesù. Eppure, è questo l’invito, è in quest’immagine concreta, viva, reale, che si esprime il senso vero e profondo del Natale. Arrivo ogni anno a Natale con il fiato corto. Ma anche, e forse ancor più, con il fiato sospeso. Il fiato corto è fiato di fatica. Fatica a reggere. Il fiato sospeso è fiato di contemplazione. Di occhi sgranati. Il fiato lo sospendi o lo trattieni perché neppure il più esile fruscio possa violare l’incantamento. Penso al fiato sospeso nella grotta della nascita. Penso al fiato sospeso di Maria, fiato delle mani che toccano e non toccano il bambino. Era suo o non era suo? Baciava, ma solo sfiorando. Penso al fiato sospeso di Giuseppe… Quel bambino era da proteggere, quella moglie, ragazza madre, era da custodire. E teneva il fiato. Capiva e non capiva. Fiato sospeso, fiato caldo di una grotta che ogni anno veniamo a visitare. Ma perché dura questo nostro fiato ancora oggi sospeso, ancora oggi caldo? Perché dopo il migrare di generazioni e generazioni nella storia? Perché Dio ha visitato la nostra terra, ha cancellato la distanza. Facendosi carne: “il Verbo si è fatto carne”. E si gridò allo scandalo e non poteva non succedere. Scandalo e buona notizia, evangelo. Ma se non patisci lo scandalo, se l’evento non ti lascia con il fiato sospeso, non è vero Natale. Sarai come tanti cristiani che, a protezione di scandalo, pensano che Gesù fosse un po’ uomo e un po’ no, che toccasse la terra e non la toccasse. E invece no. La toccava, era fatto di terra. Come noi. E il bambino si attaccava al seno, come i nostri bambini. Un Dio che ha bisogno di latte. Ti dirò che per me Natale fu anche un pomeriggio di fine novembre quando entrai in una casa di piazza Bernini, una delle tante case ospitali di questo avvento. Notai un attimo di esitazione sul volto della mamma. “Nicoletta” mi disse “sta allattando il bambino”, ma subito la vidi affacciarsi nella sala con il suo bimbo che le succhiava il seno. Gli occhi erano bellissimi e felici. Come gli occhi di una Madonna. La mente mi corse quella mattina alle raffigurazioni della Madonna del latte. “Una Madonna da nascondere” così il titolo di un libro di uno scrittore lecchese, Natale Perego, che parla di questa iconografia della Madonna che ebbe la sua massima fioritura a cavallo tra il quattrocento e il cinquecento, registrando poi una progressiva costante emarginazione * L'intervento è tratto da “Fiato sospeso fiato caldo”, in Sussulti di speranza, edizioni Ancora, 2009 22 quasi fosse un soggetto religioso sconveniente, imbarazzante, da accantonare. Si preferì dare a Maria gesti e movenze che forse mai le appartennero e velare invece un gesto che di certo fu suo. Ma ritenuto troppo umano, troppo terrestre, quasi un eccesso di incarnazione. Il bambino che succhiava il seno di Nicoletta mi riportò al cuore la Madonna del latte, ora in esilio nell’iconografia religiosa. Ma non solo. In esilio, mi sembra di capire, anche nella spiritualità, legata per lo più alle mani giunte e molto meno, quasi mai, a un seno che allatta. Quasi un processo di disincarnazione, di disumanizzazione. Di Dio e della spiritualità. E di conseguenza un attentato alla buona notizia. Di un Dio che tocca la terra ed è nutrito dalla terra. Più volte, andando per case in questa lunga vigilia di Natale, entrando, osservando, ascoltando, mi è passato e ripassato nel cuore il sospetto che al Dio dell’incarnazione, al Dio che prende casa, si stia rispondendo con una religione fuori dalle case, fuori da ciò che accade nella casa e nel cuore. Con documenti e interventi nati nei palazzi freddi e lontani e non nell’inquieta vita delle donne e degli uomini del nostro tempo, fuori da una vera appassionata frequentazione della loro vita. E si ripropone la distanza. Proprio là dove buona notizia era che la distanza era stata cancellata. Forse è per questo che mi sembra di cogliere sempre più nell’aria che respiriamo un invito urgente e forte: ritornate a fare come faceva lui, Gesù, lui non era l’uomo delle piazze, le piazze odorano di esibizione. Era l’uomo delle strade, dove ci si fa compagni di viaggio, compagni delle domande della vita, scrutatore di volti, delle tristezze e delle gioie dei volti. Lui uomo delle case: “Oggi voglio fermarmi in casa tua”. E a tavola lo trovi con i pubblicani e i peccatori. Entrando nelle case, osservando ascoltando, avverto e misuro con sgomento tutta la distanza che per colpa nostra si è ricreata tra il Verbo e la carne dell’umanità. Penso sia venuta l’ora, e sia questa, in cui si debba riprendere con serietà e coraggio la via che il Verbo facendosi carne ci ha lasciato. Meno esternazioni e più condivisione delle speranze e delle gioie, dei drammi e delle sofferenze delle donne e degli uomini del nostro tempo. La Madonna del latte. 23 IL NUOVO LIBRO DI "PAROLE E IMMAGINI" Giovanni Vannucci fede - speranza - amore N Parole e ImmagInI GIOVANNI VANNUCCI fede - speranza - amore con un testo di David maria Turoldo ato a Pistoia nel 1913, Giovanni Vannucci ha percorso i 71 anni della sua esistenza da viandante dell’infinito, cercando continuamente di aprire domande e di ribaltarle, come fa la vanga nella zolla, per rendere la sua terra, e la nostra, più fertile. Uomo di poche parole, come quelle raccolte in questo libro, distillato genuino della sua sapienza, accompagnate da immagini che evocano il suo orizzonte di Fede, Speranza e Amore. Il libro apre con un ricordo inedito di David Maria Turoldo scritto venticinque anni fa alla morte di Giovanni Vannucci. GIOVANNI VANNUCCI Frate dell’ordine dei Servi di Maria, è stato studioso e insegnante di materie bibliche e di storia delle religioni. Protagonista negli anni Cinquanta e Sessanta del rinascimento spirituale fiorentino con David Turoldo, Lorenzo Milani, Ernesto Balducci, ha vissuto, come loro, le dure resistenze di una Chiesa che non sapeva accettare uno sguardo così aperto sul futuro. Nel 1967, in un angolo nascosto del Chianti, ha trovato il suo frutto maturo: un eremo dove vivere e accogliere ogni persona in uno stile armonioso e libero, con un’apertura sincera e profonda verso tutte le religioni. Il 18 giugno 1984 è entrato in contatto diretto con quel Dio cui si è rivolto per tutta la vita. Ma non ha interrotto il suo cammino sulla terra: dal seme delle sue idee continuano a nascere frutti preziosi. 669-35-8 9358 Romena Prezzo € 11,00 O Signo re, per le no stre fro nti seg per i no nate, stri occ hi che per i no sepper stri cuo o piange ri che sep e rimane re, pero spe re vivi, zzarsi per qu anto in noi di sac per qu ro sangui anto in noi di pu nò nella per qu vita, ro si sen anto in tì contam noi di no ad un con inato, bile nel tatto ign la vita fre obile, per qu mé anto in noi è seg di spiritu no ale aris tocrazia, aiutaci a compre ndere e benedi Fa’ che re il do siamo lore. degni di perché accoglier è attrave lo, rso il do che riu lore sciamo a realizz are la cos cienza di noi ste ssi. ha dato non ci ro, Cristo di pensie sistema sa. nessun e religio a vision nessun la vita unicato com ha Ci i ato in no grande. e ha cre la vita più o verso l’anelit amore za n a r e p s fede ISBN 978-88-89669-35-8 a iti della donn Uno dei comp nella Chiesa nel mondo e l’umanità è di richiamare a della vita. alla concretezz Dove acquistare i libri di Romena • Puoi trovarli o ordinarli in tutte le librerie (distributore: Messaggero Distribuzione) • Acquistarli on-line sul nostro sito www.romena.it o scrivendo a [email protected] 24 NUOVA AGENDA 2010 AGENDA OGNI GIORNO 2010 Ricordati di amare Ci accompagnerà, in questi mesi del nuovo anno, la parabola del buon samaritano. Ogni mese sarà aperto da una riflessione su un gesto: gesti semplici e umili, ma gesti che ridanno vita e dignità. Perché è questo che fa l’amore: ridona la vita. ISBN 978-88-89669-33-4 Prezzo € 14,00 Un regalo di Natale per il nostro Giornalino Pota re 2, DCB /43/20 04 Arezzo 1, com ma art. -D.L . 353 /2003 (Conv. in L. 27/02/ 200 4 n° 46) Sen za Fin i di Luc ro: Pos te Ital iane S.P.A - In A.P Ass oc. Una regola minima Tariffa n° 3 / 2009 - Anno XIII 004 - Arezzo 2, DCB/43/2 art. 1, comma 2004 n° 46) in L. 27/02/ 353/2003 (Conv. - In A.P -D.L. Italiane S.P.A di Lucro: Poste Senza Fini Tariffa Assoc. Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2 003 (Con v. in L. 27/02 / 2004 n° 46) art. 1, comm a 2, DCB/ 43/20 04 - Arez zo - Anno XIII n° 1/200 9 - Ann o XIII n° 2/2 009 Da tredici anni il giornalino di Romena arriva gratuitamente nelle case di tutti coloro che hanno partecipato alle nostre attività, dei loro amici, di chi semplicemente ce lo richiede. Abbiamo superato quota 10.000 copie. Per poter continuare su questa strada di condivisione, senza alcun impegno o abbonamento, è prezioso un vostro piccolo aiuto: se volete potete contribuire utilizzando il bollettino di conto corrente che sempre trovate allegato al giornalino. 1 To r n a re ad in na m o ra rs i 25 NUOVA VEGLIA Con altri occhi “L’unico vero viaggio, non è andare verso nuovi paesaggi, ma avere altri occhi.” Marcel Proust Continua il viaggio. Di porto in porto, di città in città, anche quest’anno la Fraternità Fraternità di Romena Veglia 2009-2010 viene a trovarvi per trascorrere una serata di incontro, di riflessione, di silenzio, di preghiera. “Con altri occhi” è il titolo della veglia di quest’anno. “Con altri occhi” per guardare alla nostra vita in trasparenza, con lo sguardo ripulito dal superfluo, concentrato sull’essenziale, aperto al dono dell’esistere. ALBA (CN) Parrocchia Cristo Re - Piazza Cristo Re ore 21,00 SIENA Parrocchia di Sovicille - Piazza Marconi 11 ore 21,00 AREZZO Chiesa dell'Orciolaia 26 ore 21,00 17 Dicembre 27 Gennaio 3 Febbraio DATE E LUOGHI GROSSETO Centro Giovanile Salesiani - via degli Apostoli, 1 ore 21,00 LIVORNO Parrocchia di San Matteo - via Prov. Pisana ore 21,00 LE PIAGGE Comunità delle Piagge ore 21,00 BOLOGNA Chiesa S.M. della Misericordia - Piazza di Porta Castiglione ore 21,00 IMOLA Convento dei Cappuccini - via Villa Clelia 10 ore 21,00 PESARO Parr. S. Stefano in Candelara - Strada della Pieve 4 ore 21,00 NOCI (BA) Parrocchia Nostra S. Natività ore 20,30 GALLIPOLI Parrocchia Sant’Antonio di Padova ore 20,30 ALTAMURA Chiesa San Sabino - Loc. Fornello ore 20,30 BARI Chiesa di San Marcello ore 20,30 SAN SEVERO (FG) Casa Ecumenica "Eirene" ore 20,30 NAPOLI Istituto Maria Ausiliatrice - via Cimarosa - Vomero ore 21,00 FONDI (LT) Monastero San Magno ore 21,00 ROMA Parrocchia San Frumenzio - via Prati Fiscali ore 21,00 PERUGIA Chiesa di Santo Spirito - via Parione, 17 ore 21,00 9 Febbraio 10 Febbraio 17 Febbraio 23 Febbraio 24 Febbraio 25 Febbraio 8 Marzo 9 Marzo 10 Marzo 11 Marzo 12 Marzo 23 Marzo 24 Marzo 25 Marzo 20 Maggio 27 AVVISI NATALE CAMMINATE BIBLICHE IN CASENTINO con Luca Buccheri 20 Dicembre MERCATINO DI NATALE Messa ore 16,30 24 Dicembre Messa di Natale ore 22,30 25 Dicembre Messa di Natale ore 16,30 1 Gennaio Messa ore 16,30 Immersi nella natura e nella bellezza dei paesaggi del Casentino, vogliamo ripercorrere alcune bellissime pagine della Bibbia in spirito di fraternità e semplicità. Le camminate non sono particolarmente impegnative (2-3 ore) ed è previsto il rientro in tempo utile per partecipare alla Messa a Romena. • 17 gennaio 2010: “Adamo, Eva e il giardino” (Genesi 2-3), con partenza da San Martino Sopr’Arno (Capolona – AR) alle ore 9,30 per raggiungere la Pieve a Sietina e Ponte a Buriano (Km 8; dislivello m. 250). Portare Bibbia e pranzo al sacco. • 18 aprile 2010: “La fraternità spezzata” (Genesi 4), con partenza da Ponte a Poppi alle ore 10 (Piazza principale), per raggiungere Strumi e l’eremo di S. Torello (Km 5; dislivello m. 300). Portare Bibbia e pranzo al sacco. • 26 giugno 2010: “La lotta notturna di Giacobbe con Dio” (Genesi 32), con partenza da Quorle alle ore 21 (camminata notturna in compagnia di Wolfgang Fasser). Durata: ca. 3 h. Portare Bibbia, lampadina tascabile, telo per sedersi. Possibilità di cena e pernotto a Quorle, previa prenotazione. N.B. Per chi volesse arrivare la sera prima è possibile fermarsi a dormire a Papiano previa prenotazione. Info e prenotazioni: 335.6505904 (Luca) 28 GRAFFITI i dice che siamo fatti a somiglianza di Dio, e credo che questa somiglianza sia l’unica di cui valga la pena andar fieri. Gesù a trent’anni abbandonò la sua famiglia, la falegnameria, i suoi amici, il suo paese, per vivere a pieno il suo progetto, senza più nascondersi dietro un’appartenenza a un branco o un nascondiglio sicuro. Andava dicendo: “Il Figlio dell’Uomo non ha dove poggiare il capo”. Il Figlio di Dio è stato un diverso per eccellenza. Ha ribaltato tavoli, sovvertito regole. E finì su una croce, additato come estraneo, eretico, pazzo, pericoloso per la società. Forse, come il tao, in cui si mischiano il bianco ed il nero, il nostro DNA divino è mischiato con altri pezzi scuri, fatti da tutto ciò che Amore invece non è. Ma non credo ce ne dobbiamo vergognare. Il tao è un disegno bellissimo. Accogliere il male che c’è nel nostro corpo e nel nostro cuore, individuarlo pezzo per pezzo al microscopio, cercarlo e ascoltarlo con pazienza, abbracciarlo, come il bianco del tao abbraccia il puntino nero, viverlo fino in fondo, per poi scoprire quando meno ce l’aspettiamo che, pur essendo ancora lì dentro di noi, non ci dà più fastidio, ce ne siamo liberati per sempre. Il progetto del Cristo sulla croce finisce proprio così, con l’accoglienza drammatica di tutto ciò che è tanto diverso da Dio, l’accettazione di tutto ciò che non è Amore, dell’odio, della sofferenza, del male. La storia del Cristo finisce come il puntino bianco di un tao in mezzo al nero, un puntino di Amore che, accogliendo la diversità, ci ha dato una dritta per diventare lentamente delle persone migliori. S Elisabetta Persiani o sempre saputo e pensato di “essere diversa”. Era un’idea chiara, in mezzo a un mare di idee confuse. Oggi, in questo tempo che io trovo pesante e poco pensante, si crede e ci si concentra sull’accogliere la diversità fuori da noi. Questo è bello e onorevole. Ma mi chiedo: non sarà forse più urgente e necessario accogliere e quindi ripartire dalla diversità dentro di noi? Dalla diversità che noi siamo e incarniamo. Per abbracciare il diverso fuori dobbiamo essere capaci di abbracciare il diverso dentro. In un mondo appiattito, omologato, schiacciato su modelli uguali per tutti, non ha più senso il lavorare sull’accoglienza del nostro divergente? Credo di sì. Nella mia esperienza, solo quando ho capito che il mio percorso di “quasi adatta” aveva la stessa dignità dei percorsi apparentemente perfetti di altri, ho potuto davvero riconoscermi e accettarmi e poi, solo in un secondo momento, vedere e apprezzare la diversità degli altri attorno. Qui inizia uno sguardo autentico e vero su noi e sugli altri; qui inizia l’accoglienza. H Cristina n un mondo che ormai è diventato un “villaggio planetario” – secondo la felice e profetica intuizione di padre Ernesto Balducci proposta alla fine degli anni 80 – noi stiamo sempre più chiudendoci in gruppi di simili dove riaffiorano fenomeni razzisti e di crescente intolleranza verso l’altro, verso chi è diverso da noi. Il diverso da me mi inquieta, inquieta il mio quieto vivere, mi disorienta e mi mette in discussione. Significative, a questo proposito, sono le violenze del tutto gratuite contro gli zingari, ma anche contro i barboni o i I 29 gay, violenze sempre più frequenti e sempre di gruppo: la paura diventa odio e si organizza e non ha nemmeno più pudore di mostrarsi. La scoperta dell’alterità, la scoperta dell’altro come diverso da me è impegnativa, difficile ma è l’unica strada perché il mondo abbia un futuro o, se vogliamo rimanere in una dimensione solo personale, perché io possa conoscermi meglio e crescere. Dove, se non nel volto dell’altro, io posso scoprire il mio volto, i miei limiti e le mie potenzialità? Penso che questo sia il progetto di Dio all’origine della creazione, la costruzione di una grande famiglia umana nella bellezza delle differenze, la costruzione di un mondo nuovo dove si ricrei una nuova armonia nell’umanità e fra questa e il creato, premessa indispensabile per una nuova unità con il Creatore. d. Carlo Prezzolino gni tipo di diversità, ha sempre suscitato reazioni, paure e un tempo di “elaborazione” che non necessariamente corrisponde all’urgenza dell’accoglienza! Niente può essere dato per scontato e la diversità può sorprendere sempre. Non si annunzia, arriva. Può essere chiamata in mille modi questa diversità: malattia, morte, dolore, cambiamento di stato sociale… Penso che tutti nella nostra vita abbiamo dovuto farne i conti: accogliere il diverso da noi che come arriva grida e pretende un posto, diventa, a volte, una dura battaglia! Chi eravamo noi, prima di questo arrivo? Chi siamo noi in questa lotta, in questa resa? O Paola Fabbri ari amici, ricevo il giornalino con grande gioia perché porta sprazzi di luce in questa “bruma lombarda” e mi fa sentire ancora “a casa” come quando ho fatto il primo corso a Romena. Sentirmi diversa è una delle prime sensazioni che ricordo nitidamente nella mia infanzia, pur essendo sana e intelligente, la mia sensibilità e l’esser stata precocemente responsabilizzata per problemi in famiglia, mi facevano sentire inadeguata tra i miei coetanei. Per buona parte della vita ho lottato contro questa insidiosa sensazione, cercando di capire cos’era che non andava in me. Solo in un luogo sentivo di poter C 30 essere veramente me stessa, era nel mio lavoro con i miei ragazzi. Sono un’insegnante di sostegno, anche se questa definizione non mi piace, perché penso che nei momenti più bui della mia vita siano stati loro ad accogliere e sostenere me. Sono una maestra “diversamente abile” perché da loro ho imparato la tenacia e la pazienza nel seguire un obiettivo, la capacità di accettare il limite e la frustrazione, ma soprattutto la semplicità del volersi bene. La mia esperienza mi ha insegnato a cercare di accostarmi agli altri con empatia, di andare oltre le parole, di non chiudermi quando mi sento non compresa, di ascoltare quel sano disagio che mi prende quando mi adagio in umane certezze e che mi dice di rimettermi in viaggio. Maria Grazia De Angeli ono ormai 13 anni che non vivo più nella città in cui sono nata e, sebbene siano solo 600 i chilometri che mi distanziano da essa, mi sono sempre sentita diversa, o più precisamente mi hanno fatto sentire tale! Anche se parliamo tutti italiano ci sono alcune cose che qui hanno un significato diverso! Io sono sempre quella della “bassa”, ci si ricorda solo della delinquenza e mai del cuore immensamente grande che hanno i napoletani! Quanti Natali da sola… Al mio paese non si va a tavola sapendo che il tuo vicino cena solo la notte di Natale. Qui i miei vicini ignorano anche il mio nome, alcuni non rispondono neanche al saluto! Ma io sono diversa e al mattino mi sveglio col sorriso e anche se ho la morte nel cuore saluto tutti. La mia mamma mi ha insegnato che il “buongiorno” è dell’Angelo! Per cui mi domando: “Se sono diversa io nella mia stessa Italia, quale sarà il trattamento per coloro che effettivamente non sono italiani?”. Vi lascio con S questa domanda e vi ringrazio per aver dato voce al mio pensiero. Susy Mar tone o fatto fatica ad accogliere la diversità. Si può lottare contro chi alberga nelle nostre città, per le nostre strade, nei nostri quartieri. Ma è tutto un altro discorso se l’ospite non si vede. E non si vede, infatti, per un motivo molto semplice: è dentro di noi. Così il caro nemico abitava dentro di me. Passeggiava scomodamente nelle stanze del mio io, con tutta la sua artiglieria. Dispone di un carico pesante di insicurezze, paure, fragilità, sensibilità, orgoglio ferito. Non potevo fargli nulla perché… ero io. Il diverso. E non mi piacevo. Sì stavo per schiacciarlo il diverso che ero, fatto di insicurezze, scrupoli, attenzioni fuori posto, partecipazione. Ma quando il diverso è invece l’altro, quando quel che brucia sulla sua pelle non brucia la mia, tutto cambia, vero? Ecco perché masse di umanità soffrono sotto il fardello delle loro differenze di colore, razza, idee, ceto o religione. Ho vissuto sulla mia pelle – pur bianca – la durezza della guerra per debellare il diverso. E infine ho accettato l’emarginazione. Sì, mi sono arreso e ho aperto le braccia al diverso; ho aperto il mio cuore al suo essere altro, al suo essere fuori dalle righe, al suo volere essere cose che gli altri non cercano, al mio cercare cose che altri non vogliono. Un diverso posso dire di averlo salvato; e oggi questo diverso ama i diversi. H Mario Meola i trovo a volte davanti a persone che mi raccontano la vita, la loro stessa vita nei più svariati aspetti. Normalmente nel discorso, quando sfocia in ambito religioso, si sprecano le espressioni del tipo “io penso, io credo, io dico, a me sembra…”. E mentre ascolto mi nasce naturale la domanda: Ma questa non è forse una religiosità fatta di monologhi dove tutto ha inizio dall’io e in esso termina? Mentre mi lascio penetrare dal racconto del mio interlocutore attendo il momento propizio per donargli questa domanda, a bruciapelo: «Ma scusa un po’: l’Altro cosa ne pensa?». L’Altro da accogliere nella sua diversità è Dio, ben sapendo che lui vuole solo il nostro M bene. Solo così riceviamo la forza e la capacità di accogliere disinteressatamente i fratelli, le sorelle, perché in loro vediamo Lui. Terminato il colloquio col mio interlocutore vedo nel suo sguardo una luce nuova… è pensoso, serenamente pensoso. Ora ho la gioia di portare nel cuore un amico in più, un amico con cui camminare, un amico che spero di rincontrare presto! Cesare ggi sento nel cuore un vago tremolio di stelle, però il mio sentiero si perde nell’anima della nebbia. La luce che tronca le ali e il colore della mia tristezza bagna i ricordi nelle sorgenti del pensiero. Tutte le rose sono bianche, tanto bianche, come la mia sofferenza, e non sono bianche loro, ma la neve che le copre… anche nell’anima nevica… La neve cade dalle rose, però quella dell’anima resta… Stefan Cristian Ionut O PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Marzo approfondirà il tema: “La responsabilità”. Inviateci lettere, idee, articoli, foto (termine ultimo: 28 febbraio 2010), preferibilmente alla nostra e-mail: [email protected] UN CONTRIBUTO: se volete darci una mano a realizzare il giornalino e a sostenere le spese potete inoltrare il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettuare un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo): postale IBAN: IT 58 O 07601 14100 000038366340 bancario IBAN: IT 25 G 05390 71590 000000003260 PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra persona, informaci. SEGRETERIA: l’orario per le iscrizioni ai corsi è preferibilmente dal mercoledì al venerdì dalle 17,30 alle 19,30, sabato e domenica quando vuoi. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso. 31 Foto di Massimo Schiavo Più che dissipare l'ombra di Caino, dobbiamo accoglierla. Perché ci talloni in termini critici. Perché censuri le violenze quotidiane di cui siamo protagonisti. L'ombra di Caino non dobbiamo scrollarcela di dosso, ma dobbiamo accoglierla. Tonino Bello 32