E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 Tre approcci alla riforma liturgica nella Chiesa greco-cattolica ucraina nel XXo secolo: C. Korolevskij, A. Šeptytskyj, P. Galadza ThDr. Marcel Mojzeš, PhD. University of Prešov in Prešov, Faculty of Greek-Catholic Theology Introduzione Per capire le tendenze per una riforma liturgica nella Chiesa grecocattolica ucraina all’inizio del XXº secolo non si può prescindere dalla cosiddetta “latinizzazione”1 del rito bizantino che si sviluppava nella Chiesa greco-cattolica ucraina man mano dopo l’unione di Brest (1596)2. Peter Galadza, professore di liturgia orientale all’Istituto A. Šeptytskyj di Ottawa in Canada, spiega la nozione di latinizzazione nel modo seguente: “I understand it to be the importing or imposition onto Byzantine Rite worship of the spirit, practices and priorities of Latin liturgy and theology. For such an imposition or importation to constitute inappropriate latinization, it must be inorganic to the Byzantine system. By inorganic I mean that the structural, theological or spiritual genius of the Byzantine tradition is violated by these borrowings”3. La latinizzazione della Chiesa greco-cattolica ucraina è stato un processo graduale. Come nota M. Solovey, nei libri liturgici della prima 1 Cf. S. Senyk, “The Ukrainian Church and Latinization,” Orientalia Christiana Periodica 56 (1990) 165-187; P. Galadza, “Liturgical Latinization and Kievan Ecumenism: Losing the Koinê of Koinonia,” Logos: A Journal of Eastern Christian Studies 35 (1994), № 1-4, 173-194; C. Korolevskij, “L’Uniatisme. Définition. — Causes. — Effets. — Étendue. — Dangers. — Remèdes,” Irénikon 2 (1927), [1] — 64. 2 Acta di quest’Unione (in polacco e in latino) si trovano in A. G. Welykyj (ed.), Documenta Unionis Berestensis eiusque auctorum 1590-1600 (Analecta OSBM II/3) Roma 1970, 61-75. Tra i recenti studi sull’argomento cf. S. Senyk, “Vicissitudes de l’Union de Brest au XVIIe siècle,“ Irénikon 69 (1994) 462-487; B. Gudziak, Crisis and Reform. The Kievan Metropolitanate, the Patriarchate of Constantinople and the Genesis of the Union of Brest, Cambridge 1998. 3 Galadza, “Latinization”, 176. 205 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 metà del XVII° secolo non si trova nessuna traccia di latinizzazione della divina liturgia4. Secondo S. Senyk l’introduzione di alcune pratiche latine iniziò a partire da forme di devozione privata, senza un’autorizzazione da parte della gerarchia5. Anzi, nei primi decenni dopo l’Unione di Brest i vescovi greco-cattolici ucraini difesero fermamente i riti e le usanze della propria Chiesa: “The hierarchy that accepted the Union of Brest, then and in the following decades, firmly defended the customs of their Church. The articles of union prepared by hierarchy demonstrate its concern that all the rites and the discipline of their Church be preserved in their integrity.”6 Anche più tardi la maggioranza di gerarchia greco-cattolica non accettò unanimemente la latinizzazione. M. Solovey così descrive la situazione verso la fine del XVIII° secolo: “There were those who favoured Latin innovations and those who opposed them. It would be wrong to think that all Uniate Catholic clergy of that time, as the Muscovites and Russophiles have written and would have us believe, favoured the latinization of their native Rite. On the contrary, history emphatically confirms that the majority of the higher and lesser clergy of the Ukrainian Catholic Church did non subscribe to these Latin innovations…”7 Comunque, già dalla seconda metà del XVII° secolo la tendenza alla latinizzazione del rito ruteno8 crebbe sempre più9. Chi fu responsabile di questo processo? P. Galadza ricorda che nel passato la latinizzazione fu considerata spesso problema o responsabilità di una sola delle tre “chiese sorelle”: la Chiesa greco-cattolica ucraina. Ma c’è qualche responsabilità anche da parte della Chiesa ortodossa russa e della Chiesa latina. Il ruolo della Chiesa ortodossa russa emerse soprattutto nel fatto che la latinizzazione si manifestò in modo sempre più massiccio, nel momento in cui essa tentò di liquidare violentemente la Chiesa greco-cattolica ucraina10. 4 Cf. M. Solovey, “Latinization in the Byzantine Ukrainian Liturgy”, in J. Vellian (ed.), The Romanization Tendency (Syrian Churches Series 8) Kottayam 1975, 19. Cf. anche l’analisi di T. Pott in Pott, Réforme, 201-208. Piů dettagliatamente sullo sviluppo della divina liturgia cf. L. D. Huculak, The Divine Liturgy of St. John Chrysostom in the Kievan Metropolitan Province during the period of the Union with Rome (1596-1839) Roma 1990. Sullo sviluppo dell’eucologio cf. A. Raes, “Le Rituel Ruthène depuis l’Union de Brest”, Orientalia Christiana Periodica 1 (1935) 361-392. 5 Cf. Senyk, “Latinization,” 172. 6 Ibid., 170. 7 Solovey, “Latinization”, 31. 8 Tradizionalmente il termine rito ruteno si riferisce alle pratiche rituali di tutti i greco-cattolici che sono entrati in unione con Roma a Brest (1595-1596) e a Užhorod (1646). Si tratta, cioè, non solo di ucraini ma anche di bielorussi, slovacchi, ungheresi e carpato-ruteni. Cf. Simon, Russicum, 83, n. 80. 9 Cf. Senyk, “Latinization,”, 174-183; cf. anche Solovey, “Latinization”, 21-25. 10 Cf. Galadza, “Latinization”, 179, 192-193. 206 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 D’altra parte la Chiesa latina favorì la latinizzazione in altri modi, attraverso gli atteggiamenti dei suoi rappresentanti. Galadza menziona alcuni esempi. Il primo e forse più sorprendente è legato alla receptio ruthenorum a Roma nel 1595, subito dopo l’Unione di Brest. Secondo il diario del cerimoniere del Papa, due giorni dopo il ricevimento dei rappresentanti della Metropolia di Kiev, questi furono interrogati da un cardinale sul motivo per cui indossassero ancora vestiti orientali. Il cerimoniere del Papa li voleva difendere: secondo lui essi non avevano ancora la possibilità di acquistare vestiti latini, e perciò erano costretti a portare gli abiti con i quali erano arrivati a Roma11. Ovviamente, oltre alla “responsabilità” della Chiesa latina e della Chiesa ortodossa russa, esistevano varie ragioni all’interno della stessa Chiesa greco-cattolica ucraina che favorirono la latinizzazione. Secondo Tyt Miškovskyj12, uno dei migliori liturgisti ucraini dell’inizio del XX° secolo e collaboratore del metropolita Šeptytskyj, c’erano nove ragioni alla base del successo della latinizzazione13: 1. I seminaristi ruteni erano educati da professori di rito latino14. 2. L’educazione occidentale considerava le tradizioni liturgiche orientali come pure formalità. 3. Una ricerca delle “novità” faceva crescere l’interesse per tutte le cose occidentali. Miškovskyj nota che i latini avevano ragioni legittime per uno sviluppo di nuove pratiche devozionali, queste ragioni, però, non erano sempre valide anche per i greco-cattolici. Egli pone l’interrogativo: “Gli occidentali non ci imitano, dunque perché noi dobbiamo imitare loro?”15 4. I cattolici orientali deridevano pubblicamente la loro eredità. 5. Il mito di un “progresso” era per alcuni causa di rigetto di tutto ciò che era considerato “antico”. Miškovskyj nota che la liturgia ha certamente bisogno di svilupparsi, ma tale processo dovrebbe essere organico16. 6. Era più facile imitare le pratiche latine. 7. I greco-cattolici avevano paura di essere identificati con gli 11 Cf. O. Halecki, From Florence to Brest (1439-1596) (Sacrum Poloniae Millenium 5) Roma 1958, 333. Cf. Galadza, “Latinization”, 181. 12 Per la biografia e la bibliografia di Miškovskyj cf. P. Galadza, “Tyt Myshkovsky: The Esteemed Russophile of the Greco-Catholic Theological Academy,” Journal of Ukrainian Studies 18 (1993) 93-122. 13 Cf. T. Miškovskyj, “Na' obr]d y oblatynqenie eho> ;. 2 - Pry;yn… usp˜xov na'eho oblatynqeni]” Cerkovn…j Vostok 2 (1912) 121-144. 14 Su questo problema cf. anche Solovey, “Latinization”, 30-31. 15 Cf. Miškovskyj, “Na' obr]d”, 128. 16 Cf. Miškovskyj, “Na' obr]d”, 130. In questo punto Miškovskyj preannunzia la nozione dello sviluppo organico del Concilio Vaticano IIº in riguardo alle liturgie orientali. Cf. OE 6, cf. anche Istruzione 12. 207 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 ortodossi, soprattutto se questo impediva un avanzamento nelle carriere ecclesiastiche. 8. Una confusione tra fede e rito causava che i greco-cattolici pensavano che i pronunciamenti romani su qualsiasi materia fossero obbligatori anche per loro. 9. I greco-cattolici erano convinti che le pratiche latine fossero fonte di benefici spirituali. Secondo Miškovskyj, però, bisogna distinguere tra “beneficio” e “necessità”17. Con Miškovskyj siamo arrivati fino al XX° secolo, periodo di cui ci occupiamo nel nostro studio. Notiamo che già all’inizio di questo secolo nella Chiesa greco-cattolica ucraina si discuteva molto della latinizzazione18. Crescendo la coscienza di essere latinizzati cresceva anche l’entusiasmo per la “orientalizzazione”, cioè per riscoprire le proprie radici orientali e per rimuovere ciò che organicamente non appartenga ad esse19. Il più illustre rappresentante della corrente dell’orientalizzazione fu il metropolita A. Šeptytskyj (1865-1944), capo della Chiesa greco-cattolica ucraina20 e che seguiva la linea disegnata già dal papa Leone XIII° 21. Il processo dell’orientalizzazione non si è limitato soltanto alla Chiesa 17 Cf. T. Miškovskyj, “Na' obr]d y oblatynqenie eho> ;. 2 - Pry;yn… usp˜xov na'eho oblatynqeni]” Cerkovn…j Vostok 2 (1912) 140. 18 Cf. la serie di articoli pubblicati nelle riviste Nyva e Cerkovn…j Vostok: M. Halušinskyj, „BohosluwennÈ] cerkovne, potreba du'i l[dsko\, rozv\j (Kil/ka zamitok pid uvahu na'im liturhistam),” Nyva 8 (1911) 33-41, 69-72; id., “Probudims] zi snu!” Nyva 9 (1912) 33-45; id., “Orhanizm na'oho obr]du,” Nyva 11 (1914) 329-343; J. Kobiľanskyj, “Moe mn˜nie vzhl]dom ^latynyzacij& v na'im obr]d˜,” Cerkovn…j Vostok 1 (1911) 55-67; id., “Moy zam˜;ani] na stati[ Avtora ”ss” pod zahl. ^Na' obr]d y oblatynqenie eho& v I v…pusku C. V. 1912, str. 6-11,“ Cerkovn…j Vostok 2 (1912) 99-102; id., ”V sprav˜ ^latynyzacij& v na'im obr]d˜,“ Cerkovn…j Vostok 2 (1912) 302-326; id., „Duwe vawny zam˜;ani] na stati[ o latynyzaci]x ^:to-we d˜lat/*& (I. 5)“ Cerkovn…j Vostok 3 (1913) 79-83; id., „Eqe slovo o latynyzaci]x,“ Cerkovn…j Vostok 3 (1913) 189-191; id., “Prym˜;anie moe na prym˜;anie Avtora ss. v II v…pusku st. 191,” Cerkovn…j Vostok 3 (1913) 232-233; T. Miškovskyj, “Na' obr]d y oblatynqenie eho,” Cerkovn…j Vostok 2 (1912) 6-11, 121-144, 197-211; 3 (1913) 5-32; id., “Walka] zaqyta oblatyneni],” Cerkovn…j Vostok 3 (1913) 93-119. Cf. anche H. Khomyšyn, “Pastyrskyj lyst pro vyzantijstvo,” Nova Zor] 1931, № 29, 3-9. L’ultimo articolo è una lettera pastorale del vescovo Khomy yn di Stanislaviv in cui il processo di „orientalizzazione" viene fortemente criticato. Questa lettera è statta tradotta anche in italiano e stampata a Roma con l‘intenzione di distribuirla a tutta la Curia. Però, secondo la testimonianza di C. Korolevskij, la lettera fu proibita e furono confiscate tutte le copie. Cf. Korolevskij, Voto, 111, n. 95. 19 P. Galadza usa il termine “liturgical easternization”. Cf. Galadza, “Latinization,” 187-188. Nel 1937 C. Korolevskij nel suo Voto sul rito ruteno parlava di presenza di due “partiti” dei ruteni greco-cattolici: il partito “latinizzante” ed il partito “orientalizzante”. Cf. Korolevskij, Voto, 3. 20 Per una breve biografia del metropolita eptyckyj cf. il sito http://web.ustpaul.uottawa.ca /sheptytsky/Bio.html. Cf. anche Korolevskij, Szeptyckyj; Galadza, “Liturhijna di]l/nist/”. 21 Cf. Galadza, “Latinization,” 187. 208 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 ucraina greco-cattolica. Negli anni 1930-1935 esisteva a Leopoli la Commissione inter-eparchiale, che studiava criticamente tutti i libri liturgici.22 Tra i membri di questa Commissione c’erano anche i rappresentanti dell’Eparchia di Mukačevo e dell’Eparchia di Prešov23. I lavori di questa Commissione inter-eparchiale di Leopoli furono culminati a Roma. Nell’udienza del 15 gennaio 1938 il papa Pio XI° approvò la formazione di una Commissione per la revisione dei testi liturgici ruteni costituita da P. Cirillo Korolevskij, da P. Alfonso Raes e da P. Giuseppe Zajačkivskij dei Basiliani di San Giosafat. Questa Comissione iniziò i lavori il 15 marzo 1938 sotto la presidenza dell’Em.mo Card. Eugenio Tisserant24. Così è stata creata la base per cosiddetta recensio rutena dei libri liturgici bizantino-slavi25. C. Korolevskij, consultore della Congregazione per le Chiese Orientali e uno dei membri di questa Commissione romana per la revisione dei libri liturgici ruteni, attribuisce a questo processo il termine di “riforma liturgica”26. Dal nostro punto di vista è importante capire, quali erano le caratteristiche e le motivazioni principali di questa riforma. Recentemente due liturgisti ucraini hanno studiato alcuni aspetti dell’attività liturgica del metropolita A. Šeptytskyj. Il vescovo Glib Lončyna ha studiato il Trebnik pubblicato a Leopoli negli anni 1925-2627, e il già citato P. Galadza ha analizzato le motivazioni teologiche dell’opera liturgica del Metropolita28. P. Galadza arriva ad una conclusione molto interessante: “liturgical 22 I protocolli delle adunanze di questa Commissione (tradotti in italiano) si trovano nell’Archivio della Congregazione per le Chiese orientali, Prot. N. 1219/28. 23 Cf. B. Lon yna, Il “Trebnyk” del metropolita Andrea Szeptytskyj (Lviv, 1925-26). Tentativo di rinnovo liturgico (tesi di laurea al PIO) Roma 2001, 18. 24 Cf. “La Commissione Liturgica”, in Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, Oriente Cattolico. Cenni storici e statistiche, Città del Vaticano 1962, 64. Oltre l’edizione rutena a Roma si preparava anche la “edizione volgata” che era destinata ai cattolici di rito bizantino-russo. Cf. A. Iscak, “De edizione librorum liturgicorum in ritu bizantino slavico”, Acta VII. Conventus Velehradensis Anno MCMXXXVI, Olomouc 1937, 91-113; J. Schweigl, “Revisio librorum liturgicorum bizantino-slavicorum,” Periodica de re morali, canonica, liturgica 27 (1937) 361-386. 25 Cf. C. Korolevskij, “The Liturgical Editions of the Sacred Congregation for the Eastern Church,” Eastern Churches Quarterly 6 (1945-1946) 87-95, 388-399; A. Raes, “Libri liturgici in lingua slavica a Sancta Sede editi,” Acta Accademie Velehradensis 18 (1947) 85-88; id., “L’attività liturgica svolta dalla Congregazione Orientale,” in La Sacra Congregazione per le Chiese Orientali nel cinquantesimo della fondazione, 1917-1967, Roma 1969, 161-169; id., “Libri liturgici pubblicati dalla S. C. Orientale,” ibid., 171-176; “La Commissione Liturgica”, in Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, Oriente Cattolico. Cenni storici e statistiche, Città del Vaticano 1962, 63-75. 26 Cf. “La réforme liturgique chez les Ruthènes,” in Korolevskij, Szeptyckyj, 323-348. 27 B. Lončyna, Il “Trebnyk” del metropolita Andrea Szeptytskyj (Lviv, 1925-26). Tentativo di rinnovo liturgico (tesi di laurea al PIO) Roma 2001. 28 P. Galadza, The Theology and Liturgical Work of Andrei Sheptytsky (1865-1944). Roma: Pontificio Istituto Orientale, 2004. 209 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 easternization at this time was essentially a function of Catholic proselytism among the Orthodox”29. Tale affermazione ci conduce a considerare gli aspetti ecumenici (si tratta dell’ecumenismo ancora prima del Vaticano II°) come le motivazioni guida per iniziare la “riforma liturgica” svoltasi nella Chiesa greco-cattolica ucraina durante il XX° secolo. Però, questa visione della riforma liturgica ha anche i suoi pericoli. Secondo lo stesso P. Galadza il sottolineare l’aspetto ecumenico può diventare ostacolo per la “orientalizzazione” finchè i grecocattolici rimangono disinteressati in ravvicinamento agli ortodossi: “Easternization as a function of unionistic work helps explain why to the present day some Greco-Catholics are not interested in easternization. If the latter is primarily intended to «attract the Orthodox» into communion with Rome, this «ecumenical liturgical programme» will remain a dead letter as long as many Greco-Catholics remain uninterested in rapprochement”30. La dominanza delle motivazioni non propriamente liturgiche si può vedere anche nella formulazione dei principi del rinnovamento liturgico, espressi nel decreto Ecclesiarum Orientalium del Concilio Vaticano II°. Come afferma T. Pott, questo decreto sembra di essere ispirato piuttosto da una preoccupazione storico-ecclesiologica che quella pastorale e liturgica31. Però, secondo Galadza “easternization will only be successful and bear fruits among Greco-Catholics when these come to understand what a truly powerful and unique medium of salvation is the authentic Byzantine liturgical tradition”32. Allora vediamo che nel pensiero di Galadza si trova un’altra motivazione per la riforma liturgica: capire l’autentica tradizione bizantina come un mezzo efficace della salvezza. In questo modo Galadza si avvicina alla formulazione di T. Pott, secondo cui nel processo della riforma liturgica il primo livello di responsabilità dell’uomo è l’iniziazione nel mistero celebrato, cioè nel mistero della salvezza di Cristo, celebrata ed attualizzata nella liturgia.33 Dunque Peter Galadza rappresenta nella Chiesa greco-cattolica ucraina una visione della riforma liturgica un po’ differente da quella dell’inizio del XX° secolo. Nelle righe seguenti vogliamo mettere in rilievo proprio la differenza delle motivazioni per la riforma liturgica presenti da una parte nel pensiero di C. Korolevskij e del metropolita A. Šeptytskyj e d’altra parte nel pensiero di P. Galadza. 29 30 31 32 33 Galadza, “Latinization”, 187. Galadza, “Latinization”, 188. Cf. Pott, Réforme, 40. Galadza, “Latinization,” 188. Pott, Réforme, 75-82. 210 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 1 La riforma liturgica nel pensiero di C. Korolevskij Anche se Cirillo Korolevskij (1878-1959), nato Jean-François Charon34, era di origine francese, il suo nome e il suo lavoro scientifico rimane fortemente legato al metropolita A. Šeptytskyj e alle tendenze per la riforma liturgica nella Chiesa greco-cattolica ucraina. Negli anni 1900-1909 Korolevskij (ancora con il nome Charon) faceva parte del clero melchita in Siria. Ma già nel 1904, durante in suo breve soggiorno a Gerusalemme, il giovane sacerdote fu affascinato dalle melodie slave di una celebrazione nella cattedrale russa e si ripromise di consacrare la propria esistenza al ministero tra i russi ortodossi35. La „missione russa“ diventò più facile dopo che il 17 aprile 1905 in Russia fu pubblicato l’Editto di tolleranza36. Già nel 1906 J. F. Charon entrò in contatto con il metropolita A. Šeptytskyj, che lo accolse benevolmente e si dichiarò disposto ad arruolarlo per una futura „penetrazione cattolica“ nel mondo russo37. Nel 1909 Charon veniva ufficialmente incardinato nell’Eparchia di Leopoli e nello stesso anno cambiò il cognome in Korolevskij38. Il metropolita Šeptytskyj pensava che avrebbe potuto essere utile collaborare con i russofili nella penetrazione cattolica nella Russia, similmente come il regime tsarista usava i russofili per l’espansione dell’ ortodossia sul territorio dell’Impero Austro-Ungarico39. Oltre Korolevskij40 Šeptytskyj collaborava con un altro liturgista russofilo: T. Miškovskij41, il quale è già stato menzionato. Lo stesso Korolevskij non nascondeva il suo russofilismo. Nel 1927, due anni prima di fondazione del Pontificio Collegio Russicum a Roma, egli pubblicò nella rivista Irénikon un articolo intitolato L’Uniatisme42, in cui fortemente criticava il rito ruteno, che alcuni volevano introdurre nel nuovo Russicum. Lui stesso scrisse: „En fait, lorsqu’en 1929 fut ouvert à Rome le Russicum, il y eut un moment d’hésitation. Les premiers directeurs s’étaient formés chez les Uniates et avaient pas mal de leurs idées. Quel rite suivrait-on, le rite pur, dit 34 Per la biografia di Korolevskij cf. G. M. Croce, “Korolevskij”, in Farrugia, Dizionario, 418-420. Ibid., 419. 36 Cf. Simon, „L’Église russe”, 746. 37 Croce, “Korolevskij”, 419. 38 Cf. ibid. 39 Cf. Galadza, “Liturhijna di]l/nist/,” 80. 40 Per le tendenze russofile di Korolevskij cf. anche Galadza, P., The Theology and Liturgical Work of Andrei Sheptytsky (1865-1944). Roma: Pontificio Istituto Orientale, 2004. 41 Cf. P. Galadza, “Tyt Myshkovsky: The Esteemed Russophile of the Greco-Catholic Theological Academy,” Journal of Ukrainian Studies 18 (1993) 93-122. 42 C. Korolevskij, “L’Uniatisme. Définition. — Causes. — Effets. — Étendue. — Dangers. — Remèdes,” Irénikon 2 (1927), [1] — 64. Cf. anche “Réflections sur l’Uniatisme,” Irénikon 6 (1929) 233-260. 35 211 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 «synodal» ou celui des Uniates, qui était celui déclaré voulu par le Saint Siège? J’ai entendu formuler cette objection, et c’est pourquoi mon opuscule intitulé L’Uniatisme fit tant de bruit. La décision fut celle qu’avait dejà donnée Pie X: le rite pur, nec plus, nec minus, nec aliter...“43. Però, è interessante che la costituzione apostolica Quam cura con cui si istituiva il Collegio, non contiene le parole nec plus, nec minus, nec aliter44. C. Simon precisa che la discussione sulla purità del rito riguardava la Chiesa di Sant’Antonio Abate, affiancata al Collegio45. Comunque l’articolo di Korolevskij sull’uniatismo suscitò veramente tant de bruit. Lo stesso metropolita Šeptytskyj gli disse un giorno che a questo libretto manca la carità.46 Il metropolita si riferiva alla sezione in cui Korolevskij parla dell’uniatismo rituale e gli ricordava che i greco-cattolici della regione di Kholm e della Russia Bianca andarono fino al martirio per questioni come l’uso dei campanelli durante la liturgia Eucaristica, la ricezione della comunione essendo inginocchiati e non in piedi, e le questioni simili47. Dalla proporzionalità dell’articolo stesso è chiaro che per Korolevskij il cosiddetto “uniatismo liturgico” fu in problema numero uno. Quando egli scrive sugli effetti dell’uniatismo, ne enumera cinque: a) La cultura teologica, dogmatica, polemica e morale, b) La legislazione canonica, c) L’abbandono del costume ecclesiastico orientale, d) L’uniatiasmo liturgico: lo stile di sistemazione delle chiese, paramenti liturgici, testi eucologici. Esempi concreti. e) L’uniatismo ascetico. Tutta la parte sugli effetti dell’uniatismo comprende 16 pagine48 di cui tre quarti, cioè 12 pagine sono consacrate all’uniatismo liturgico49, considerato da Korolevskij la difficoltà principale50. Korolevskij menziona vari esempi della latinizzazione nei diversi campi come lo stile delle chiese, la disposizione interna delle chiese, i vestiti liturgici, i testi liturgici, etc.: “L’uniatisme…a massacré le rite, altéré les cérémonies, raccourci les ornements, méconnu le symbolisme si riche de l’Orient, introduit des innovations dont la crudité jure sur l’ensemble”51. Dall’altra parte Korolevskij non dimentica di lodare il cosiddetto “rito puro”. Korolevskij usa i termini come “gestes amples et majestueux du rite 43 44 45 46 47 48 49 50 51 Korolevskij, Szeptyckyj, 338. Cf. Acta Apostolicae Sedis 21 (1929) 577-581. Cf. Simon, Russicum 1, 83. Cf. Korolevskij, Szeptyckyj, 323. Cf. ibid. Korolevskij, “Uniatisme,” 27-42. Ibid., 30-41. Ibid., 45. Korolevskij, “Uniatisme,”, 41. 212 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 pure”, “il est difficile à un prêtre de rite pur de se servir du Trebnik des Ruthènes”, etc. Nel suo voto sul rito ruteno Korolevskij sottolinea “che un rito puro è preferibile ad un rito alterato, che la Santa Sede ha sempre promosso la purità dei riti orientali, che è aliena alla latinizzazione, che il rito alterato è un vero scandalo e rende inatto l’apostolato presso i dissidenti”52. Similmente pensava anche il metropolita A. Šeptytskyj53. Allora vediamo che per Korolevskij uno dei motivi principali della riforma liturgica del rito ruteno era l’aspetto “ecumenico”: migliorare l’apostolato tra gli ortodossi tornando al rito puro. Tale logica è abbastanza chiara: gli ortodossi potrebbero essere incoraggiati maggiormente ad unirsi a Roma, quando vedranno i greco-cattolici praticare il rito puro pur rimanendo in unione con Roma. Però, come mostra lo studio di G. Eldarov, alcuni ortodossi rifiutavano questo metodo come molto pericoloso54. Bisogna dire, però, che oltre all’aspetto “ecumenico” della riforma liturgica rutena, Korolevskij stesso riconosceva anche l’importanza dell’aspetto “liturgico” di questa riforma. Secondo lui bisognava conservare puri i riti orientali: “non soltanto in vista dei dissidenti da convertire, ma perché questi venerandi riti hanno il diritto di essere conservati integri e sani, ed allora bisogna senza esitazione eliminare tutto ciò che è ibrido…”55 La parabola sulla zizzania seminata fra il grano (Mt 13,24-30) in un certo senso vale per ogni sforzo umano di “eliminare l’ibridismo”. Perciò è necessario sia formulare buoni criteri, sia cercare di riconoscere la zizzania, per non sradicare insieme ad essa anche il grano. Korolevskij lo fa nel suo Voto sul rito ruteno, pubblicato nel 1937, dove menziona nove criteri da seguire56 per realizzare la riforma liturgica: 1. “Sono da preferirsi quei riti che maggiormente corrispondono alla tradizione antica, e nel caso quei riti che esistevano prima dell’Unione di Brest del 1595, oppure le tradizioni ancora più antiche della Chiesa di Kiev, o le migliori tradizioni dell’antico rito bizantino. 2. Sono da preferirsi quei riti che vengono osservati uniformemente nelle altre Chiese di rito bizantino. 3. Nei riti e cerimonie secondarie deve essere rispettata una certa differenza e varietà tra i diversi elementi etnici del medesimo rito. 4. Sono essenzialmente da preferire quei riti che hanno la loro origine nel proprio rito e non sono stati presi da un altro rito, quindi sono da eliminarsi tutte le aggiunte e traduzioni dal latino. 52 Korolevskij, Voto, 109. Cf. ibid.; cf. anche L. Husar, “Ecumenical Mission of the Eastern Catholic Churches in the Vision of Metropolitan Sheptycky (+ 1944)”, Euntes Docete 28 (1975) 125-159. 54 Cf. G. Eldarov, Il Rito Orientale. Rilievi unionistici (Estratto dalla dissertazione di laurea), Roma 1958. 55 Korolevskij, Voto, 127. 56 Alcuni di questi criteri sono quasi identici a quelli formulati da E. Herman, preside del PIO di allora. Cf. ibid., 129. 53 213 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 5. Quando si tratta di una formula presa dal latino e viene giudicato utile conservarla, la sua forma e il suo stile devono essere modificati e conformati allo stile del rito orientale. In caso di necessità la sostituzione di una formula con un’altra deve essere operata gradatamente e con prudenza. 6. Non si deve mai eliminare una formula latina di qualche importanza o una devozione alla quale il popolo è attaccato, senza sostituirla immediatamente con una formula orientale appropriata, proveniente dalla devozione orientale corrispondente o almeno da una forma più orientale della devozione latina57. 7. In nessun caso la Santa Sede deve approvare formalmente una pratica latina nel rito orientale. 8. La riforma non deve essere introdotta tutto d’un tratto ed in tutte le sue parti, ma pian piano e preparando gli spiriti. L’obbligo potrebbe venire inculcato gradatamente nelle edizioni successive di certi libri, come il Liturgicon ed il Rituale. 9. A parte i casi in cui è direttamente interpellata, la Santa Sede non deve dare norme particolareggiate, ma limitarsi alla formulazione di principi generali che dimostrino bene la sua mente, lasciando agli interessati la cura di farne l’applicazione ai casi particolari”58. 2 La riforma liturgica nel pensiero del metropolita A. Šeptytskyj Il lavoro liturgico del metropolita Šeptytskyj è stato ampiamente studiato da P. Galadza59. Come abbiamo già menzionato, Galadza voleva analizzare le motivazioni teologiche di questo lavoro. Lui stesso, però, esprime una certa sorpresa riguardo ai risultati emersi da questa analisi: “I began researching the theological foundations of Sheptytsky’s liturgical work for my PhD dissertation presuming that his renowned Easternizing efforts in the area of liturgy had a concomitant theological base…I shall never forget the day I realized that Sheptytsky’s pro-Eastern approach to the revision of liturgical books was not buttressed by an analogous theology”60. Galadza spiega questa sorprendente affermazione con il fatto che prima del Vaticano II° non era possibile parlare di una vera e propria teologia cattolica orientale diversa dalla teologia cattolica latina61. Allora possiamo chiederci: se il lavoro liturgico del metropolita Šeptyt57 In questo punto Korolevskij in un certo senso preannunzia ciò che è stato formulato recentemente nella Istruzione 38. 58 Korolevskij, Voto, 141-147. 59 Galadza, “Liturhijna di]l/nist/”. 60 P. Galadza,, The Theology and Liturgical Work of Andrei Sheptytsky (1865-1944). Roma: Pontificio Istituto Orientale, 2004, LXIII-LXIV. 61 Cf. ibid., LXII, 199-205. Sulla teologia cattolica orientale cf. anche Logos 39 (1998) dove sono pubblicati gli articoli di R. Taft, P. Galadza, A Chirovsky e M. Tataryn su questo prezioso tema, presentato al Convegno di Catholic Theological Society of America ad Ottawa nel giugno 1998. 214 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 skyj non aveva un’analoga base teologica, quali erano le motivazioni che lo spingevano a lavorare per la riforma liturgica? Come abbiamo già accenato, il metropolita Šeptytskyj nel suo sforzo di „orientalizzazione“ seguiva la linea disegnata dal papa Leone XIII° riguardo all’Oriente cristiano62, continuata dai suoi successori. Secondo P. Galadza, “…it was Sheptytsky’s devotion to Roman decrees that fanned his love for the Christian East…note that Sheptytsky’s insistence on knowing Eastern Church history and life; his respect for the integrity of Byzantine worship; his appeals for the study of Greek patristic; and his desire to find Eastern witnesses to buttress recent Roman Catholic dogmas — all of these were largely stimulated by Leonine pronouncements”63. Allora possiamo affermare che la prima motivazione di Šeptytskyj per il suo lavoro liturgico (che è culminato nella riforma liturgica) era l‘obbedienza al papa di Roma e ai suoi pronunziamenti. L’interesse dei Papi di Roma per l’Oriente cristiano era senz’altro spinto anche da un desiderio di unità della Chiesa. Lo stesso metropolita Šeptytskyj era pieno di zelo apostolico per il lavoro ecumenico64 e considerava la latinizzazione come un ostacolo a questo lavoro. P. Galadza riporta una lettera confidenziale scritta al papa Pio XI il 18 novembre 1928, in cui Šeptytskyj descrive la situazione della Chiesa greco-cattolica ucraina così: “Mentre nella fede siamo uniti con la Chiesa cattolica, abbiamo lo stesso rito della Chiesa dissidente; e questo rito non può essere soppresso. Portiamo in noi gli elementi contraddittori che non sono ancora riconciliati nel corpo della Chiesa universale anche dopo secoli di unione... Nonostante la nostra professione di fede cattolica e l’obbedienza ai decreti romani, per gli occidentali non siamo mai abbastanza cattolici; ma nello stesso tempo, in quanto troppo latinizzati, siamo incapaci di lavorare per il ritorno degli orientali”65. In un‘altra occasione Šeptytskyj si esprime in modo simile: „Ci rendiamo conto ora che per poter servire la Chiesa in Oriente, per renderci conto del compito che abbiamo nei confronti dei fratelli separati, dobbiamo conservare più fedelmente ed esattamente il nostro rito, la nostra tradizione e i nostri costumi — e soltanto così agiamo in accordo con l’intenzione dei gerarchi universali (i Papi) della Chiesa universale“66. Dunque possiamo dire che la motivazione principale del lavoro 62 Cf. R. F. Esposito, Leone XIII e l’Oriente Cristiano, Roma 1961, soprattutto pp. 157-179 dove si tratta specialmente dei ruteni. Cf. anche V. Poggi, “Leone XIII,” in Farrugia, Dizionario, 428-429. 63 Galadza, Sheptytsk, 46. 64 Cf. L. Husar, “Ecumenical Mission” (n. 53 sopra). 65 Cf. A. Sheptytsky, Epistolae et relations ad Sanctam Sedem lingua gallica exaratae. Romana seu Leopolien. Beatificationis et Canonisationis Servi Dei Andreae Szeptyckyj Archiepiscopi Leopoliensis Ucrainorum Metropolitae Haliciensis, vol. 1, ff. 233-235; citato in Galadza, Sheptytsky, 206-207. 66 Cf. A. Šeptytskyj, Tvory (moral/no-pastoral/ni), S. Havranko (ed.), Roma 1983, 97. 215 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 liturgico del metropolita Šeptytskyj era quella ecumenica: rimuovendo la latinizzazione e purificando così il rito ruteno voleva mostrarsi agli ortodossi come buon esempio di chiesa orientale che, pur essendo unita a Roma, conserva tutta la sua tradizione. 3 La riforma liturgica nel pensiero di P. Galadza 3.1 Il problema della latinizzazione P. Galadza è uno dei pochi teologi ucraini greco-cattolici che dopo il Concilio Vaticano II° ritornano alla tematica della riforma liturgica. Riguardo al problema della latinizzazione del rito ruteno, che per il metropolita A. Šeptytskyj e per C. Korolevskij era il problema numero uno da risolvere nella riforma liturgica, Galadza ricorda che oggi non possiamo valorizzare questo problema senza tener conto di un cambiamento del paradigma nell’ecclesiologia. La sua affermazione sembra coraggiosa: “…latinization will cease to be a problem only once national and political animosities are healed, and once Christians accept the ecclesiological paradigm of Sister Churches. Once this happens, latinization will be on its way to becoming value neutral, in the same way that computerization or urbanization, for example, are essentially descriptive terms. Individual Latin importations will then be evaluated according to their inherent theological, spiritual, liturgical merits, or lack thereof, and not a priori on the basis of their provenance in Western practice”67. Dunque secondo Galadza la latinizzazione potrebbe diventare soltanto un termine descrittivo, senza dover essere subito rimossa come il problema più urgente. Una certa legittimità della latinizzazione può essere giustificata come una conseguenza dell’incarnazione del cristianesimo nell’ambiente occidentale: “…any theology (and liturgy) in Europe which would have attempted to isolate themselves from their intellectual, cultural and social environment could not have remained true to the incarnational foundation of Christianity. Whenever Eastern Christians find themselves in a Western environment some form of occidentalizzation is mandated by the Gospel itself”68. Naturalmente, Galadza può spostare il problema della latinizzazione sul secondo livello anche perché oggi non è così urgente e così profondo come all’inizio del XX° secolo. Oggi è più difficile trovare in Ucraina alcuni esempi concreti della latinizzazione, di cui C. Korolevskij era così scandalizzato69. Allora che cos’è il compito principale della riforma liturgica del rito ruteno se non il rimuovere della latinizzazione? 67 68 69 Galadza, “Latinization,” 178. Ibid., 189. Cf. Korolevskij, “Uniatisme, ” 30-41. 216 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 3.2 La riforma liturgica bizantina come il restauro dell’icona Galadza risponde in un altro articolo, intitolato “Restoring the Icon: Reflection on the Reform of Byzantine Worship”70. In quest’articolo, Galadza supera l’ambito del rito ruteno e riflette sulla possibile riforma del rito bizantino. Prima di formulare alcuni principi di tale riforma, l’autore analizza alcune ragioni, perché i bizantini erano sempre così lenti nel riformare la loro liturgia. Tra queste ragioni Galadza ricorda più volte un fatto molto importante secondo il nostro giudizio: La percezione della liturgia bizantina è influenzata dalla visione platonica del mondo71. Sappiamo che in questa visione il mondo visibile è in legame molto stretto con il mondo invisibile, il mondo delle idee. Platone usa l’immagine del fuoco in una grotta. Gli uomini che sono in questa grotta, non possono osservare direttamente il fuoco stesso, lo hanno dietro le spalle e non possono girare la testa. Possono osservare soltanto le ombre delle persone e delle cose che queste persone portano davanti al fuoco. Per Platone tutto il mondo visibile è l’ombra del mondo invisibile, mondo delle idee72. Galadza mostra alcuni esempi concreti dello stretto legame tra il visibile e l’invisibile, espressi nella terminologia liturgica bizantina. Per esempio sia nel greco che nel slavo-ecclesiatico esiste soltanto una parola per esprimere il “mistero” invisibile della salvezza in Gesù Cristo e il segno/rito visibile con cui questo “mistero” viene concesso agli uomini73. Perciò, quando uno partecipa ai sacramenti, partecipa al mistero stesso74. Un altro esempio è ancora più lucido: “One of the words in Greek for a bow, used most frequently in rubrics incidentally, is metanoia. Thus when one inclines one’s head before God, one is not only expressing repentance, one apparently is actually engaging in repentance”75 . Galadza menziona anche alcune conseguenze di tale percezione della liturgia come una attuazione reale dell’invisibile mistero della salvezza attraverso i visibili riti liturgici: “The positive side of this approach is that Eastern Christians have always had a profound sense of the salvific efficacy of the total worship event. One is divinized precisely as one bows, sings, embraces, eats, listens and touches. And because the entire liturgy is a hierophany, one distrusts the distinction between «essential» and «non essential»”76. 70 P. Galadza, “Restoring the Icon: Reflection on the Reform of Byzantine Worship,” Worship 65 (1991) 238-255. 71 Cf. ibid,. 240-241, 253-255. 72 Cf. Platone, PoliteÀa VII, 1-3, 514A-517D; per un riassunto della visione platonica del mondo cf. “Platónstvo,” in AA. VV., Slovník. Filozofia a prírodné vedy, Bratislava 1987 (titolo originale: AA. VV., Philosophie und Naturwissenschaften — Wörterbuch, Berlin 1983), 533-534. 73 In greco: must©rion, in slavo-ecclesiastico: tajna. 74 Cf. Galadza, “Reflections,” 240. 75 Ibid. 76 Ibid., 241. 217 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 La distinzione tra “esenziale” e “non essenziale”, tra “sostanza” e “accidenti” è tipica per la filosofia aristoteliana e non quella platonica. I bizantini mai hanno sviluppato nella loro “teologia sacramentaria” la distinzione tra la “sostanza” ed “accidenti”77. Nella teologia della liturgia bizantina esistono due livelli principali dell’interpretazione liturgica: l’interpretazione cosmica e l’interpretazione storica. Ambedue interpretazioni sono descritte da R. Taft: “La tipologia per cui la Chiesa terrena è vista come una raffigurazione del santuario celeste, dove dimora il Dio del cielo, e la liturgia terrena è una «concelebrazione» nel culto che l’Agnello di Dio ed i cori angelici offrono davanti al trono di Dio — fu il primo livello dell’interpretazione liturgica bizantina, riflessa nelle aggiunte liturgiche dei secoli V-VI come…preghiera dell’Introito e il Cherubikon (573-574 d. C.). Questa interpretazione liturgica fu sistemata nella Mistagogia di Massimo il Confessore del 630 circa…Con il secolo VIII, poco prima della crisi iconoclastica, la tradizionale interpretazione «cosmica» della liturgia di Massimo, cominciò a perdere terreno per dare spazio a una visione narrativa più letterale e rappresentativa della historia liturgica…che consisteva nell’interpretazione dell’Eucaristia non solo come anamnesi ma anche come figura attuale della storia della salvezza in Gesù”78. Vediamo che in ambedue interpretazioni la liturgia è vista come una raffigurazione attuale delle realtà eterne. Sia la liturgia celeste che la storia della salvezza in Cristo sono le realtà, i prototipi che rimangono immutabili per sempre. Nella sua riflessione Galadza va avanti e pone la domanda: “How does this relate to the question of liturgical reform?” E risponde subito dicendo: “If the rite as such — and not only certains parts of the rite — incarnate the reality of salvation itself, then it will be very difficult consciously and programmatically to change the rite. How can one «change the mystery of salvation?»…how can one «remodel» the heavenly city?”79 Secondo Galadza un classico esempio dalla storia che dimostra questa difficoltà di cambiare il rito, è il caso dello scisma dei vecchio-credenti in Russia nel XVII° secolo. Loro preferivano morire che cambiare il modo di fare il segno della croce80. Galadza conclude questo punto formulando un importante principio della riforma liturgica bizantina: “If a reform of Byzantines worship is ever to take place it will have to be preceded by tempering of the identification between seen and unseen, the signified and its sign”81. Però, rimane la domanda in che modo si potrebbe moderare quest’identificazione tra il visibile e l’invisibile. In un’altra parte del suo 77 78 79 80 81 Cf. ibid., 240. Taft, Storia, 45, 52-53. Galadza, “Reflections,” 241-242. Cf. ibid., 241. Galadza, “Reflections,” 241. 218 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 articolo, Galadza scrive: “I believe that a reform of Byzantine worship will never be accepted by Orthodox and Eastern Catholic faithful…if it involves a destruction of its «Platonic»…ethos”82. Sembra che stiamo davanti a due principi della riforma liturgica bizantina che siano contrari: 1. Da una parte bisognerebbe moderare l’identificazione tra il visibile e l’invisibile. 2. Dall’atra parte, non si può distruggere l’ethos platonico della liturgia bizantina. Per riconciliare questi due principi Galadza propone un’idea straordinaria: immaginare la riforma liturgica bizantina come il restauro dell’icona, perché la liturgia stessa è “l’icona della realtà cristiana”83. Quest’immagine corrisponde al titolo dell’articolo stesso84 ed è usata nove anni dopo Galadza anche da T. Pott sul frontespizio del suo libro85. L’immagine del restauro dell’icona come tale non è per niente estranea alla teologia e alla spiritualità bizantina. Dall’atra parte in questa visione è lasciato lo spazio sia per ciò che è immutabile (il prototipo dell’icona), sia per comprendere il bisogno dei cambiamenti. Secondo Galadza “There is a difference between «mystery» and «mystification». An icon that is overladen with centuries of soot will certainly be mystifying. But if we are to get at the salvific mystery which this image was originally intended to present, we will have to wipe away the dirt. Liturgical history demonstrates that originally Byzantine services did display patterns with an inner logic, a structure that was anthropologically and theologically sound. Byzantine worship still retains a great deal of this coherence. Nevertheless, the «soot» creates problems”86. Dunque possiamo dire che nel pensiero di Galadza la base per moderare l’identificazione tra il visibile e l’invisibile, cioè anche per cominciare una riforma liturgica bizantina, è proprio il giusto discernimento tra il “mistero” e la “mistificazione”, tra ciò che indica il mistero e ciò che ostacola quest’indicazione: “If the icon is «sullied,» the «revelation» is obscured. In reforming worship we should ask ourselves, «Is this or that practice a manifestation of what Christianity is about?» If it is not, than why do we retain it? Also, what are the elements of Christian reality which should be revealed in worship and yet are not?”87 Dopo tale discernimento si può passare alla riforma liturgica stessa: “People learn non only by thinking but also by doing…I would posit that once the leadership of a given church has perceived distortions in its liturgical practice, it is up to that leadership slowly but consistently to edu82 83 84 85 86 87 Ibid., 255. “Liturgy is the icon of Christian reality,” Galadza, “Reflections,” 250. “Restoring the Icon: Reflection on the Reform of Byzantine Worship”. Cf. Pott, Réforme, [2]. Galadza, “Reflections,” 251. Ibid., 250. 219 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 cate the faithful about a more proper form of worship, and as is expediently possible, to effect the necessary changes”88. Galadza conclude il suo articolo sottolineando il legame tra la vita liturgica e lo stato di una Chiesa: “All agree that worship is symptomatic of the general condition of a church. In the past, any time the Eastern churches have been healthy, they have been willing to adapt their liturgy, that the incarnation might “continue”. Thus, one witnesses the constant creation of new services and structures (akathists, canons, Paschal matins, etc.) before the Ottoman takeover; a renewed vitality in Ukraine and Byelorussia during the Mohyla (Moghila) period; and the liturgical revival…during the former Russian Empire’s theological renaissance. Since liturgy is symptomatic, it is necessary for a church to repent and reform its total life. It is my belief, however, that part of this “repentance” — and not just an epiphenomenon — is the revision of obfuscating worship. Changing liturgical structures should itself be a means of ecclesiastical renewal”89. Conclusione In questo articolo abbiamo potuto vedere tre approcci alla riforma liturgica bizantina: quello di C. Korolevskij, di A. Šeptytskyj e quello di P. Galadza. Il primo ed il secondo approccio, realizzato dalle edizioni romane della recensione rutena dei libri liturgici slavi, si limitava soltanto al rito ruteno. Il motivo principale di questa riforma era rimuovere la latinizzazione per avvicinarsi meglio alle Chiese ortodosse, e per aiutare così l’unione delle Chiese dissidenti alla Chiesa di Roma. Ricordiamo che questo approccio si basava sulla visione ecumenica pre-conciliare, prima del Vaticano II°. Invece P. Galadza invita a rivallorizzare il problema della latinizzazione alla luce di un cambiamento del paradigma nell’ecclesiologia. Dall’altra parte il suo approccio alla riforma liturgica non è limitato soltanto al rito ruteno, ma si allarga a tutto il rito bizantino. Secondo il nostro giudizio, la sua visione della riforma liturgica è motivata più profondamente di quella di Korolevskij e di A. Šeptytskyj. Per Galadza il processo della riforma liturgica è simile a quello del restauro di un’icona. Similmente, come l’icona non si restaura soltanto per ritrovare l’armonia dell’immagine restaurata, ma per poter riconoscere meglio il prototipo di cui l’icona è l’immagine, così anche lo scopo della riforma liturgica è di ritrovare le forme più adatte per rivelare la realtà cristiana che è la salvezza in Gesù Cristo. Dunque Galadza non si ferma al livello di qualche “rito puro” (che di per sé potrebbe essere un termine astratto), ma va avanti per arrivare al Prototipo della liturgia che è Gesù Cristo stesso, che dopo esser morto e risorto, si presenta “ora davanti alla faccia di Dio per noi” (Ebr 9,24b). Così 88 89 Ibid., 252-253. Galadza, “Reflections,”, 255. 220 Unauthenticated Download Date | 4/22/16 7:31 AM E-Theologos, Vol. 1, No. 2 DOI 10.2478/v10154-010-0018-2 la motivazione per la riforma liturgica tocca veramente “il cuore” della vita cristiana, di cui la liturgia è il sintomo. Però, bisogna dire anche che la visione di Galadza non nega quella di Korolevskij e di Šeptytskyj, ma soltanto l’approfondisce. Più o meno così come in fisica “la teoria della relatività” di Albert Einstein approfondisce le leggi di Isaac Newton. Secondo Galadza lo scopo del “restauro della liturgia” (cioè dell’icona della realtà cristiana) non è solo il rimuovere la latinizzazione ma soprattutto il capire l’autentica tradizione bizantina come un mezzo efficace della salvezza. Ci sembra che questo modo di comprendere il senso della riforma liturgica possa aiutare meglio anche il dialogo ecumenico. Perché le chiese non si uniranno sulla base di qualche “rito puro”, proprio a tutti, ma solo sulla base di Cristo stesso, che già è “proprio a tutti”, solo che ancora non tutti lo sanno. Perciò bisogna restaurare non solo la vita liturgica, ma come dice P. Galadza: “Since liturgy is symptomatic, it is necessary for a church to repent and reform its total life”90. Bibliografia Galadza, “Reflections,” = P. Galadya, “Restoring of Icon: Reflections on the Reform of Byzantine Worship,” Worship 65 (1991) 238-255. Galadza, Sheptytsky = id, The Theology and Liturgical Work of Andrei Sheptytsky (1865-1944). Roma: Pontificio Istituto Orientale, 2004. Galadza, “Latinization” = id., “Liturgical Latinization and Kievan Ecumenism: Losing the Koinę of Koinonia,” Logos: A Journal of Eastern Christian Studies 35 (1994) 173-194. 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