http://www.webalice.it/ilquintomoro Michelangelo Pira Sardegna tra due lingue 16. Tra nuovo folklore e cultura di massa Nei primi quattro capitoli avevamo analizzato l'ambiente fisico naturale (la terra e l'acqua, il sole e le stagioni, il giorno e la notte) e quello fisico creato dall'uomo (la casa); nei successivi avevamo seguito l'uomo sardo dall'infanzia rustica all'adolescenza e di qui al matrimonio, cioè alla maturità; avevamo poi cercato le ragioni e la morfologia della chiusura dei villaggi sardi, dei loro conflitti interni e delle loro armonie interne, delle loro feste e della loro «letteratura». Poiché la realtà arcaica sarda è un pozzo senza fondo avremmo potuto continuare nella scomposizione dei suoi elementi costitutivi tipici. Un'indagine di questo genere può anche durare tutta una vita. Ma proprio perché la realtà arcaica è un pozzo senza fondo, era più opportuno venirne fuori che proseguire nella discesa. Perciò con il tredicesimo capitolo si è preferito affrontare il tema dell'incontro della realtà arcaica col progresso tecnico e nei due successivi i temi dell'integrazione. Con gli appunti che seguono, gli ultimi della serie, dovremmo trarre qualche conclusione, sia pure provvisoria, da un discorso che tuttavia resta aperto. La ricerca linguistica sul campo, in Sardegna, conferma una verità che abbiamo sempre tenuto presente e che per altra via quella urbanistica - era stata già scoperta da Lewis Mumford. Siamo partiti da un villaggio che era un universo per approdare ad un universo che è o sta per essere un villaggio. Infatti mentre i fenomeni linguistici arcaici ci avevano rivelato una differenziazione estrema, una straordinaria attitudine alla conservazione e alla chiusura dei paesi sardi, i fenomeni linguistici moderni ci hanno invece mostrato come quelle tendenze siano oggi in conflitto con le tendenze opposte, emergenti nella storia contemporanea. I confini della solidarietà, della comunicazione e della libertà, che prima erano quelli della famiglia, del gruppo o tutt'al più del villaggio, tendono oggi [email protected] http://www.webalice.it/ilquintomoro anche in Sardegna alla massima dilatazione. Ma al di là della differenziazione fondamentale che ancora si registra tra contenuti espressi nei dialetti sardi e contenuti espressi nella lingua nazionale accorrerebbero ulteriori distinzioni all'interno degli uni e degli altri. Per esempio non esistono soltanto un folclore e un provincialismo propri del mondo dialettale: esistono anche un provincialismo e un folclore che si collocano e prosperano all'interno della lingua e della cultura nazionale. Già Antonio Gramsci mise in chiara luce la differenza tra folcloristico e popolare autentico, precisando che folcloristico è quel che «si avvicina al provinciale in tutti i sensi, cioè sia nel senso di "particolaristico", sia nel senso di anacronistico, sia nel senso proprio di una classe priva di caratteri universali (almeno europei). C'è un folcloristico nella cultura, a cui non si suole badare; per esempio è folcloristico il linguaggio melodrammatico, cosi com'è tale il complesso di sentimenti e “pose” snobistiche ispirate ai romanzi d'appendice». A queste fonti indicate da Gramsci noi oggi potremmo aggiungere non solo tutta la stampa a fumetti fin troppo facile da catalogare, ma anche gran parte della produzione cinematografica e televisiva, nonché le problematiche evasive di tanta narrativa, di tanta saggistica e direi anche di tanta politica. L'ampiezza nazionale e talvolta mondiale di certi fenomeni non basta a sottrarli alla sfera del folcloristico, che ormai va da «Via col vento» ai Beatles, da Gigliola Cinquetti all'edizione cinematografica del «Gattopardo» (non per nulla i costumi sono poi serviti per la («Traviata»), dalle ricostruzioni pseudo-storiche come Ben Hur e Cleopatra agli esotismi de «L'amore è una cosa meravigliosa» e di «Sayonara». Ma anche all'interno di questi sentimenti e «pose» è ancora necessario distinguere, per esempio, tra il valore che hanno al momento di partenza e quello che hanno al momento di arrivo. Per il ragazzo sardo cresciuto nell'ambito della cultura rustica delimitante i rapporti leciti tra maschi e femmine con una rigidità estrema, il contatto con i cascami di una cultura diversa che consente alle sedicenni di cantare canzoni in cui quei rapporti vengono descritti ormai con pochi veli, può rivelarsi sconvolgente e psicologicamente rivoluzionario. Quel che nella cultura moderna di massa che lo produce è già catalogato come [email protected] http://www.webalice.it/ilquintomoro elemento marginale e folcloristico, rispondente alle perenni finalità addormentatrici dei circenses, può invece configurarsi come elemento progressivo e innovatone quando si propone in contesti socio-culturali del tutto diversi da quello originario. Il personaggio cinematografico presentato in partenza come un maleducato da non imitare, può apparire in certi ambienti un modello positivo. Insomma in tanti casi può essere vero quel che ha scritto un sociologo francese (27), cioè che andare verso il popolo significa oggi andare verso Dalidà. Le canzoni che tutta l'Italia canta sono folcloristiche rispetto alla stessa cultura media nazionale, ma in chi ad esse arriva dal ballo tondo e dalla serenata dialettale possono anche generare l'illusione di compiere il salto nella cultura universale. (Quel che Gramsci chiamava «folcloristico» oggi è kitsch.) Quando ha imparato a ripetere le parole di quelle canzoni e a dire «miga» un certo tipo di sardo si considera integrato. E non è colpa sua se il progresso tecnologico, più rapido di quello politico-culturale, gli ha portato in casa la televisione prima dell'alfabeto e delle dispense universitarie. Non si può pretendere che il personaggio prodotto in periferia dal folclore nazionale abbia coscienza di essere passato solo da un folclore più ristretto ad uno più vasto. Per quest'ultimo, nel passato la donna era «mobile qual piuma al vento», altrimenti «pura siccome un angelo»; d'amore si ardeva e per chi non aveva letto il libretto - l'amore poteva anche essere «un dardo»; le Luise sospiravano «ricordati di me che son la Pia»; c'era, anche in chi aveva visto Parigi solo sulle cartoline illustrate, il sogno di lasciare quella città e di tornare ai propri monti; un uomo che si rispettasse aveva l'obbligo di confessare come «solo desio» della sua anima «vendetta tremenda vendetta»; quanto alla «storia» era sempre quella «solita» del pastore. Non solo chi aveva fatto appena qualche anno di ginnasio, ma anche gli avvocati nelle loro orazioni galoppavano a briglia sciolta il cavallo delle citazioni morte prese dal «divino poeta», dal Petrarca e dall'Alfieri, generalmente conosciuti a memoria meglio del codice penale. Per tutta la borghesia italiana il tramonto era «l'ora che volge al desio»; mamma ce n'era naturalmente una sola anche allora, e le nonne erano tutte carduccianamente «alte, solenni, vestite di nero» e coi loro «sette lunghi anni di lacrime amare»; una sola lacrima allora [email protected] http://www.webalice.it/ilquintomoro aveva il dovere di essere «furtiva» come oggi ha quello di starsene bene in mostra «sul viso». Opera lirica, romanzi d'appendice e primi anni di ginnasio oggi hanno ceduto il passo alle parole d'ordine del cinema, della radio, della televisione e dei giradischi. Il nuovo personaggio folcloristico a Cagliari come a Trieste al bar chiede un certo brandy e crede che davvero il cameriere pensi di lui «il signore si che se ne intende»; si rade con una certa lama e si sente «uomo di successo»; usa un certo dentifricio e sorride col nome di quel prodotto; allo specchio si dà del lei: «Lei è un fenomeno, lei non sbaglia mai». Si aggiorna continuamente, ma non fa un passo avanti quando alle battute di Totò sostituisce quelle di Alberto Sordi e di Vittorio Gassman. Crede di essere l'uomo per Mina; si vede con le Kessler che gli arrivano in casa e la «notte è piccola, tenera»; al volante della sua 500 la domenica verso Platamona o verso Santa Margherita si sente james Bond. Maschi e femmine hanno i loro modelli da imitare, forniti dal cinema, dai giornali, dalla televisione, insomma dall'industria culturale. Ma questa oggi non fornisce solo i circenses, né solo il folcloristico, né solo il provinciale, né soltanto il kitsch. Il sistema delle comunicazioni del nostro tempo ha una capacità di sincretismo che non aveva mai avuto nel passato. I sardi raggiunti dalla cultura di massa si sentono cittadini di una nuova patria che non è neppure il nostro Paese, ma quella universale creata dai mass-media di tutto il mondo. La cultura di massa non conosce periferie irraggiungibili, ma per ora non ha sufficienti canali di ritorno. Eppure un giorno o l'altro il fenomeno della comunicazione a senso unico che crea il nuovo provincialismo dovrà cessare. Nella politica, per quanto riguarda la Sardegna, per esempio, avrebbe dovuto venire meno con la creazione della Regione, che dovrebbe costituire un canale di ritorno dalla periferia al centro del potere nazionale. Ma occorrono altri canali di ritorno che consentano ai sardi e alle periferie in genere di dare una loro risposta ai messaggi della capitale. Dopo tutto, il nostro Paese non è soltanto quello che vive a Roma e a Milano; è anche quello che vive nell'ultimo angolo di un'isola lontana come la Sardegna. Almeno per una dozzina di giorni all'anno i sardi potrebbero avere cose da dire a tutti gli altri italiani, più interessanti e più originali di quelle che devono ascoltare per 365 giorni all'anno. [email protected] http://www.webalice.it/ilquintomoro Ma c'è il rischio che tra qualche anno essi non abbiano più cose loro da dire, ma abbiano solo da ripetere quelle apprese dalla cultura di massa. e il rischio cioè che l'integrazione si realizzi non per arricchire la comunità dei valori di tutti i gruppi che la compongono, bensì per creare l'uniformità, per imporre a tutti i meschini valori degli angusti gruppi egemoni. Che cosa avrebbero da dire oggi i sardi al resto del Paese se il canale di ritorno funzionasse? Certo non dobbiamo cercare questi contenuti nella ripetizione delle parole d'ordine del folclore nazionale e neppure di quello originario isolano. La Sardegna ha non solo un suo folclore e suoi dialetti, ma anche una sua vita politica, le sue manifestazioni culturali e i suoi drammi sociali. È in queste direzioni che si deve individuare il discorso autentico o tipico dei sardi. Persino i banditi si sono aggiornati, tanto che in una clamorosa rapina (quella della «Siesta») solo la pronuncia e un certo odore tradivano le loro origini pastorali (o mascheravano quelle urbane?). Anche la tecnica del colpo era quella americana dei gangsters visti in azione al cinema. Appartiene ad un tempo ormai remoto la frase pronunciata in dialetto dal brigadiere Sini un attimo prima di essere freddato da non ricordo più quale bandito del Nuotese: « Sini non b'a' datu mai orta e de sos corfor de balla si nd'importat» («Sini non ha mai fatto marcia indietro e delle fucilate non ha paura»). Non solo la scuola, la radio, la televisione e il cinema, ma anche la stampa, la politica, la letteratura, la chiesa, la pubblica amministrazione, le grandi manifestazioni sportive, la tecnica, il commercio e l'emigrazione parlano anche per la Sardegna la lingua italiana e quella della cultura di massa. Il dialetto è ancora portato, ma sempre più spesso abbandonato dagli alunni nelle scuole elementari; riaffiora ancora timidamente nei processi o, più sicuro di sé, nel commercio al minuto, magari anche nelle sezioni dei partiti, ma non arriva alle istanze provinciali. I suoi confini sono sempre più ristretti alla famiglia e ai villaggi dell'interno. Nessuno scrive in sardo tranne che in versi, per la terza pagina della Nuova Sardegna e per il Premio di poesia «Città di Ozieri». La lingua italiana prevale sempre più nettamente anche nel parlato. Sono scritti in italiano i due quotidiani sardi, i [email protected] http://www.webalice.it/ilquintomoro periodici isolani e le pagine regionali dei quotidiani romani. È scritta in italiano la corrispondenza degli emigrati a torto trascurata dalla stampa quotidiana e periodica che vi potrebbe trovare almeno i documenti di una condizione umana straordinaria e forse anche i documenti di una nuova letteratura autentica, perché bisogna farla finita con la favola classista della letteratura fatta di proposito solo dai letterati per altri letterati. È anche a queste fonti che deve rivolgersi chi voglia conoscere quel che i sardi hanno da dire oggi, non in quanto prodotti di un antico o di un moderno folclore ma in quanto uomini collocati in un tempo e in uno spazio dove per la prima volta si profila una condizione di una loro non estraneità alla cultura nazionale, europea e universale, cioè di una loro non estraneità agli «altri» e di non estraneità degli «altri» a loro. [email protected] http://www.webalice.it/ilquintomoro NOTE (27) Edgard Morin: «L'industria culturale», pubblicato in Italia da «Il Mulino», 1967. [email protected]