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INDAGINE
Chi paga
la casa?
DEFUNTI
Ricordare
i propri cari
ilnostro
tempo
€ 0,80
DOMENICA 31 OTTOBRE 2004 - ANNO 9 - NUMERO 39
o
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la
i
M
di
Il cliente tipo che acquista la sua
prima abitazione ha poco più di
30 anni e nel 40% dei casi si avvale dell’aiuto finanziario dei genitori: un contributo che copre il
32% circa del costo.
Nel mese di novembre la tradizione cristiana richiama la nostra
attenzione sui defunti: si fanno celebrare messe di suffragio, si moltiplicano le visite al cimitero, si
L’Editore si impegna a pagare le copie non recapitate
riordinano le tombe.
Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
ELEZIONI
SETTIMANALE
art. 1, comma 1, DCB Milano
Martedì 2 novembre gli americani votano per la Casa Bianca. La sfida fra Bush e
lo sfidante John F. Kerry è stata seguita con passione anche fuori dagli Stati Uniti
Il mondo in palio
sorte toccata due volte ad
Adlai Stevenson, coltissimo rappresentante dell’establishment democratico
rooseveltiano, due volte
sconfitto da Eisenhower, e
arrivato (la seconda volta)
a immettere volutamente
errori di grammatica nei
suoi discorsi per sembrare meno colto.
Il partito democratico
ha come emblema un asino (i repubblicani hanno
un elefante) per spiritosa
volontà di un “suo” presidente, Andrew Jackson,
eletto nel 1828, che du-
rispettate da oltre duecento anni, che si fonda la più
robusta delle democrazie,
la quale proprio nel rispetto delle regole arriva a proporre l’impeachment, cioè
la messa in stato d’accusa
di un presidente. Una democrazia che non teme né
gli scandali, né gli errori,
né l’uso distorto dell’autorità politica, né i veri e
propri fallimenti dei suoi
leader: il libro di della Porta Raffo è ricco di episodi
del genere a carico dei “signori della casa Bianca”,
parecchi dei quali non fu-
POLITICA
Un minitest elettorale significativo anche in città
Il 7 a 0 del centrosinistra
un allarme per Berlusconi
FUORI dai DENTI
ANTONIO AIRÒ
La Grande alleanza democratica ha fatto l’en
plein mandando a Montecitorio sette deputati quanti erano i seggi in palio nelle elezioni suppletive. Ma
politicamente ha consentito di misurare lo stato di
salute della maggioranza e
del governo all’indomani
della prova di forza che la
Casa delle Libertà aveva
imposto con l’approvazione solitaria della riforma
costituzionale e alla vigilia
della Legge finanziaria per
il 2005 con il taglio delle
tasse, ripetutamente assicurato dal presidente del
Consiglio. Di contro, il centrosinistra può esultare
per il successo ottenuto, a
pochi giorni dal ritorno a
pieno titolo nell’arena politica italiano di Romano
Prodi. Il risultato non è solo un brodino quanto mai
tonificante, ma pone le
premesse per un positivo
risultato nelle regionali del
E ora
attaccano
la giustizia
V
ALERIO Onida, presidente della Corte costituzionale, non ha
fatto politica: ha ricordato
con commozione l’eredità
della casa comune, dell’inestimabile patrimonio costituzionale «che vive ormai
arricchito da cinquant’anni
di giurisprudenza della
Corte» e ha altresì ammonito al rispetto delle regole,
quelle scritte dal metodo
costituzionale per le modifiprossimo anno e nelle poli- Lombardia, Liguria, Emi- che della Carta fondamentiche del 2006.
lia, Toscana, Campania e tale della Repubblica e
Il voto di domenica scor- Puglia. Sette i parlamenta- quelle non scritte, ma alsa riguardava poco meno
di un milione di elettori diSEGUE A PAG. 11
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stribuiti in sei Regioni:
VINCE L’ULIVO. PER IL POLO SONORA SCONFITTA
INTERVISTA
rante la campagna elettorale i suoi avversari avevano definito appunto «un
somaro». Per la verità,
Jackson fu un buon presidente. Come lo fu centovent’anni dopo Harry Truman, vicepresidente con
F.D.Roosevelt (che morì
pochi mesi dopo aver ricevuto il quarto mandato,
lasciandogli la poltrona
nella “stanza ovale” della
Casa Bianca).
Anche Truman non godeva di nessuna stima
“culturale” («aveva seguito
a fatica alcuni corsi serali della scuola di diritto di
Kansas City»), ma inventò
il Piano Marshall per la
salvezza dell’Europa, dopo aver messo fine alla
guerra nel Pacifico ordinando l’impiego delle due
bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, avviò
la Nato e, in politica interna, «pose fine drasticamente alla segregazione
razziale nell’esercito e nelle scuole e si guadagnò una magnifica rielezione»,
sebbene avesse contro
tutti i sondaggi.
Il confronto odierno fra
Bush e Kerry ricalca sotto
diversi aspetti quegli antichi clichés. Il presidente
viene descritto come rozzo
e poco perspicace, in confronto al raffinato senatore, sposo di una miliardaria, che lo sfida. Il primo è
conservatore, “guerrafondaio”, impegnato come un
cow boy contro il terrorismo; il secondo è un pacifista dopo essere stato un
“eroe di guerra” in Vietnam. Il primo sembra a
molti suoi concittadini
più affidabile in momenti
tempestosi come questo;
il secondo ha dalla sua il
favore di molti governi e
della maggioranza delle opinioni pubbliche in Europa. Nella loro battaglia
elettorale e nel voto del 2
novembre è tuttavia in
palio il destino del mondo, non solo quello degli
Stati Uniti. È augurabile
che essi e i loro elettori se
ne rendano conto.
I due candidati alla presidenza degli Stati Uniti: George W. Bush e John F. Kerry (Olympia)
REALTÀ
Una generazione senza più guide
Il sabotaggio del Parini
e una scuola “finita”
Parlamento come Falck.
E oggi?
Per il mondo cattolico si
pone il grande problema
del pre-politico, della formazione delle persone,
non solo nel sociale e nel
politico. Questo vuol dire
riportare all’elaborazione
di idee e di progetti. Con il
crollo dell’ideologia, abbiamo buttato via anche gli ideali. Per cui è quasi 15
anni che siamo in piena
sofferenza: da una parte è
stata rivelata la tragedia
del comunismo reale, però
le idee di libertà e di giustizia sociale non sono certo tramontate. E d’altra
parte i cattolici che avevano fatto da baluardo a quel
mondo, gli sono andati
del Campiello e il recentissimo pamphlet «La
scuola raccontata al mio
cane») si poteva anche
pensare che esagerasse.
Che si trattasse dello zelo
deluso e dell’amarezza di
una docente troppo innamorata della professione,
che si è ritrovata in una
scuola ridotta «a un’enorme e infinita petraia», dove sono scomparsi lo studio, i contenuti, la lettura,
l’impegno nell’apprendere
e nel conoscere. Adesso
sappiamo che tutto è vero. Sappiamo che i cinque
minorenni, usciti dalle loro case, che non sono
quelle delle periferie disagiate, dell’emarginazione
che alimenta la violenza,
ma sono i simboli di un rispettabile benessere, di
uno status sociale che fa
bella figura, non volevano
evitare un compito di greco, da cui rischiavano di
portare a casa una nuova, grave insufficienza.
Ce l’ha spiegato sempre
la Mastrocola nel suo sapido libretto che nasconde lacrime di dolore e di
rabbia dietro l’ironia:
«Succede sovente che un
allievo possa impunemente non studiare mai, dico
mai, una materia, per tutti i cinque anni di liceo». E
racconta che fra Recupero, Debiti «colmati e non
colmati», Percorsi, Obiettivi, la bocciatura è diventata quasi impossibile.
Anche per chi prende «uno meno meno» nei compiti in classe, come è accaduto a due studenti del
commando che ha sigillato gli scarichi, incollato le
porte e aperto i rubinetti
del liceo milanese con
scientifica precisione.
Non c’è allora bisogno
di scomodare Freud per
capire che la giustificazione addotta dai cinque
al proprio gesto vandalico
è un alibi. «Non siamo dei
teppisti, siamo normali.
Non ci siamo resi conto
delle conseguenze», ha
detto Anna. È proprio
questa “normalità” a fare
da spia a uno sfaldamento individuale e collettivo
che inizia nel contesto so-
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MARIAPIA BONANATE
F
INIRÀ che dovremo ringraziarli, i
cinque
ragazzi
che hanno allagato il Parini, il
“liceo bene” di Milano. Dovremo ringraziarli per averci fatto capire dalla
parte dei suoi principali
protagonisti, attraverso la
base, in che voragine è
sprofondata la scuola.
Perchè l’atto vandalico
che hanno compiuto,
mezzo milione di euro di
danni, materiale didattico
e banchi distrutti, soffitti
che crollano, va ben oltre
l’idiozia («Sono stata un’idiota, non una criminale»,
ha detto Anna, una dei
cinque) di un gesto rivolto
ad evitare un compito in
classe. Va diretto a dirci
che il Parini, microcosmo
insospettabile di un sistema scolastico allo sfacelo,
era già distrutto prima di
subire l’alluvione che ha
reso inagibili venti aule su
Il simbolo
di un sistema
scolastico
allo sfacelo
trentacinque. Distrutto
dall’indifferenza, ma sempre più spesso dal disprezzo e dal rifiuto con i
quali gli studenti praticano lo studio, distrutto da
un insegnamento che non
trasmette più nulla e tanto meno coinvolge, distrutto dall’abisso di incomunicabilità e di fine dialogo fra insegnati e allievi,
fra genitori e figli in età
scolare.
Fin che queste cose le
diceva una professoressa
come Paola Mastrocola
nei suoi belli, ma inquietanti libri (ultimi «La barca nel bosco», vincitore
Parla Marco Garzonio, confermato alla presidenza della Fondazione Ambrosianeum
Milano torni a volare alto
Basterà il voto
a salvare l’Iraq?
L MASSACRO di una cinquantina di reclute disarmate del ricostituendo esercito iracheno da parte del
terroristi del gruppo di Al Zarkawi ha offerto al mondo sbigottito un’altra prova della estrema crudeltà in cui
quella guerra ha fatto precipitare un Paese che fino a un
anno fa era immune, pur essendo governato da un tiranno che sapeva essere a sua volta spietato con i suoi
avversari, dall’estremismo religioso musulmano (una
delle componenti della feroce guerriglia in atto).
Ciò che colpisce è che l’offensiva dei terroristi è molto
meno rivolta alle forze militari straniere presenti sul territorio iracheno, e molto di più ai cittadini di quel Paese:
ogni giorno un’autobomba uccide dei civili, anche bambini davanti alla loro scuola.
Ciò significa essenzialmente che i terroristi non vogliono la ricostituzione di uno Stato, con la sua autorità,
le sue leggi, i suoi organismi di sicurezza e di tutela dei
diritti civili. Non vogliono, in particolare, che si svolgano
regolarmente le elezioni previste per il prossimo mese di
gennaio, attese con ansia soprattutto in Occidente, dove si spera che possano fornire la prova che l’Iraq si sta
avviando verso una accettabile normalità. È il nichilismo
allo stato puro, quello che i terroristi sembrano desiderare. Ma potrebbe anche uscirne infine uno Stato teocratico fondamentalista, che li spazzerebbe via in un amen, insieme alla libertà di tutti i cittadini.
LANALISIL
GIANFRANCO GARANCINI
PANE al PANE
I
rono certo dei “signori” inappuntabili.
Lo è l’attuale presidente
George W. Bush? A sentire i maggiori quotidiani americani e la maggioranza
delle star della canzone,
della letteratura, del cinema, si direbbe di no. Ma
questo tipo di musica è
antico, e non troppo affidabile: Troppe volte i favoriti da questo genere di vip
hanno perso le elezioni, a
vantaggio di personaggi
meno culturalmente qualificati, ma più vicini alla
mentalità popolare. È la
(a rotazione) tutti i 435
membri della Camera dei
rappresentanti, molti governatori di Stato, giudici,
sceriffi e così via? E tutto
questo per la metà appena dei cittadini statunitensi che mediamente si iscrivono alle liste elettorali per poter esprimere il
proprio voto?
A tutte queste domande
la risposta obbligata è
«no». No, non è troppo perché è su regole come queste, rigide e rigidamente
BEPPE DEL COLLE
Non saranno un po’
tanto lunghe, queste campagne elettorali degli Stati Uniti? Si comincia a
gennaio-febbraio, con le
primarie “storiche” del
New Hampshire, e si finisce «il primo martedì dopo
il primo lunedì di novembre». La ragione di questa
regola temporale fissata
una volta per tutte come
legge federale nel 1792
(presidente era allora, da
tre anni, George Washington, il primo di una serie
che comprende quarantadue nomi, fino all’attuale
inquilino della Casa Bianca, George Walker Bush)
la spiega Mauro della Porta Raffo nel libro appena
uscito per i tipi delle Edizioni Ares «I Signori della
Casa Bianca» (pp. 255,
euro 12): «Il secondo giorno della settimana è stato
prescelto (e si pensi alla
società fortemente rurale
dell’epoca) perché, essendo la domenica riservata
al Signore, il lunedì poteva essere utilizzato per il
trasferimento nelle località dove si trovavano i
seggi, aperti, quindi, appunto di martedì».
Dunque, tornando alla
domanda iniziale, non è
che le campagne elettorali statunitensi sono un po’
troppo lunghe, rispetto alla ben diversa scansione
dei tempi della vita moderna e alla molto più estesa diffusione dei mezzi
di comunicazione? Non finiscono per essere incomprensibili, agli occhi dei
nostri
contemporanei,
questi sempre più frenetici, interminabili e quasi
sempre tutti uguali confronti fra gli aspiranti
candidati, nelle elezioni
primarie o nei caucus indetti da ciascun partito
più o meno in tutti i cinquanta Stati dell’Unione
per decidere, appunto, le
candidature a tutte le cariche in lizza, cioè la presidenza, la vicepresidenza, un terzo dei senatori
PINO NARDI
I
N QUESTO momento la
città è distratta, il Paese è travolto da altre
sollecitazioni. Bisogna avere l’umiltà, la costanza, il
coraggio di non perdersi
d’animo, di non arrendersi
al pragmatismo o alla resa.
Ma costruire progetti sulle
questioni concrete come il
lavoro e la casa». Lo sostiene Marco Garzonio, appena riconfermato alla presidenza dell’Ambrosianeum.
Una Fondazione che si
propone un progetto ambizioso: tornare ad essere fucina di una nuova classe
dirigente. Per Milano e per
l’Italia. Come la sua storia
racconta, un laboratorio di
idee, di intelligenze, di quel
pre-politico a cui ridare
nuova linfa.
La strategia è puntare
su un laicato cattolico che
attinge alle radici, per
proiettarsi ad affrontare le
sfide che a Milano si propongono sempre prima rispetto al Paese. L’obiettivo:
una metropoli che riscopre
il valore vero della politica,
per tornare a volare alto.
Scaricando la zavorra delle macerie di Tangentopoli, che ancora oggi pesano
sulla città.
Garzonio, formare laici maturi che diventino classe dirigente nella città e nel Paese è
stato il contributo storico
dell’Ambrosianeum…
L’Ambrosianeum nasce
proprio con l’ambizione di
formare laici maturi, per-
Marco
Garzonio,
presidente della
Fondazione
Ambrosianeum
ché viene fondato nel periodo della ricostruzione
morale e civile del Paese e
di Milano in particolare.
All’indomani della Liberazione nasce per opera di
Enrico Falck, del cardinal
Schuster e di Giuseppe
Lazzati, tre persone che in
modo diverso hanno un
ruolo preciso in questa formazione. Lazzati è appena
tornato dai campi di concentramento in Germania
e ha già fondato tutto sul
laicato: proprio nel 1946
pubblicherà il famoso volumetto «I fondamenti di ogni ricostruzione». A casa
di Enrico Falck nel 1943,
ancora prima degli sviluppi che avrebbe avuto la
guerra, viene fondata la
Democrazia cristiana. E
Schuster è colui il quale
ha ottenuto che non fossero distrutti gli impianti e le
strade. In quegli anni
l’Ambrosianeum nasce,
insieme alla Caritas, con
l’ambizione di formare i
laici. E la classe dirigente
di allora si forma su questi
principi di partecipazione
dei cattolici. Non a caso
sono le stesse persone che
poi partecipano alla Costituente come Lazzati o in
7
GIORNI
IN BREVE
Milano. La
procura di Milano chiede la
condanna di quattro tunisini accusati di essere fiancheggiatori di una presunta cellula di militanti islamici attiva fra Milano e
Varese. I quattro tunisini sono imputati di
associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. Teheran.
«Dialogo e negoziati sono l’unica via per
risolvere il confronto tra Iran e Occidente
sul nucleare», lo dichiara ai giornalisti il
presidente iraniano Mohammad Khatami. I funzionari iraniani hanno ribadito
che sono aperti al dialogo ma che non abbandoneranno il processo di arricchimento dato dall’uranio.
MERCOLEDÌ
20
GIOVEDÌ
21
Roma. Il presidente della
Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi. (nella foto) esorta
a ridurre i prezzi per stimolare la ripresa dei consumi da parte delle famiglie e ha anche aggiunto
che «la prudenza nel consumo è dovuta all’incertezza sul futuro». Tokio. Il Giappone è colpito dal tifone più disastroso da
oltre dieci anni a questa parte. La calamità
naturale è all’origine delle inondazioni e
delle frane che hanno causato almeno 55
morti e 33 dispersi.
Roma. Un ispettore della
Squadra mobile uccide nella notte un presunto trafficante di droga albanese che stava fuggendo da una villa. Ai magistrati il poliziotto, che ora è indagato per omicidio
colposo, poichè l’albanese era disarmato, ha detto che dopo il primo colpo sparato in aria, l’uomo si sarebbe girato verso di lui, portando la mano alla cintola.
Mosca. La Duma, Camera bassa del parlamento russo, ratifica il Protocollo di Kyoto, aprendo la strada ad un’applicazione
a livello planetario dell’accordo che prevede azioni di intervento per limitare gli
effetti dell’inquinamento.
VENERDÌ
22
SABATO
23
Palermo. L’assemblea della Regione Sicilia decide di
sciogliere il vincolo paesaggistico nelle isole Eolie
per permettere la costruzione di alcuni alberghi. La
decisione della giunta del
presidente Cuffaro (nella foto) potrebbe
convincere l’Unesco a cancellare le isole
dalla lista dei siti patrimonio dell’Umanità.
Ojiya. Un terremoto di magnitudo 6,8
colpisce una zona del Giappone a 250 chilometri a nord di Tokio e provoca la morte
di una ventina di persone.
Milano.
Il
commissario
europeo
uscente alla Concorrenza, Mario Monti, sostiene che le nazioni della Ue che non vorranno ratificare la nuova Costituzione
europea, che verrà firmata venerdì prossimo a Roma, dovranno uscire dall’Unione
europea, per non condannarla alla paralisi. Baquba. I ribelli iracheni uccidono
49 reclute dell’esercito iracheno nel più
sanguinoso attacco contro le nascenti forze di sicurezza del Paese. La polizia dichiara che i guerriglieri travestiti da poliziotti hanno inscenato un posto di blocco
e fermato gli autobus: le reclute sono state
fatte scendere e uccise.
DOMENICA
24
LUNEDÌ
25
Milano. I giudici del processo Sme in cui è imputato per corruzione il presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi,
dichiarano
chiuso il dibattimento al termine dell’udienza di oggi,
e rinviano il processo al 12 novembre per
la requisitoria della pubblica accusa. Gerusalemme. L’esercito israeliano uccide
14 palestinesi in un raid a Gaza, mentre
Ariel Sharon (nella foto) si prepara per un
voto chiave del Parlamento sul suo piano di
ritiro dai territori occupati.
Gerusalemme. Il Parlamento israeliano ha approvotato ieri la fine della presenza israeliana nella Striscia di Gaza,
il territorio palestinese occupato 37 anni
fa. Il voto, fortemente voluto dal premier
Sharon che ha “licenziato” due ministri del
suo governo contrari al piano, ha spaccato Israele. Roma. Un emendamento per tagliare i tempi della prescrizione: l’ha
presentato alla Camera Enzo Fragalà (An).
L’opposizione l’ha chiamato “salva-Previti”, ma anche la maggioranza è divisa: sarebbero a rischio i processi di Mafia.
MARTEDÌ
26
Domenica 31 Ottobre 2004
n. 39
LE NOSTRE RUBRICHE
il nostro
tempo
LETTERE al DIRETTORE
SEGUE DALLA
PRIMA
Il 7 a 0
del centrosinistra...
ri da eleggere. Sei, tra i
quali Bossi e D’Alema, avevano optato per il Parlamento di Strasburgo, lasciando quindi il seggio di
Montecitorio. Il settimo, in
Liguria, sostituiva un deputato defunto. Alle politiche del 2001 l’Ulivo aveva
vinto in quattro collegi
(due in Toscana, uno in Emilia e uno, quello del leader diessino, a Gallipoli). Il
risultato elettorale ha confermato, senza troppa fatica, il consenso di tre anni
fa. Tre seggi, invece, erano
andati alla Casa delle Libertà. E tra questi figurava
il collegio di Milano, dove
si era imposto agevolmente il leader della Lega e dove, per il voto di domenica
scorsa, gli uomini del Carroccio avevano “imposto”,
in una sorta di continuità
politica, il medico curante
di Bossi.
Quella di Milano è stata
indubbiamente la sfida più
significativa del minitest.
L’Ulivo aveva contrapposto
al candidato del centrodestra il prof. Roberto Zaccaria, costituzionalista, già
presidente della Rai. La
partita non si presentava
facile per il centrosinistra.
A giugno le elezioni per la
Provincia avevano registrato nel collegio milanese una perdita di consensi per
la candidata della Casa
delle Libertà, Ombretta
Colli, ma quest’ultima aveva comunque ottenuto la
maggioranza dei voti espressi. Domenica scorsa,
nonostante il sostegno esplicito di Berlusconi e nonostante le critiche rivolte
a Zaccaria per il suo non
essere residente nel collegio, il centrosinistra si è
imposto. Per il leader di
Forza Italia e anche per la
stessa Lega, che ha perso
in una sua roccaforte, il risultato è un significativo
campanello d’allarme.
Il successo di Sergio
D’Antoni, candidato nel
centrosinistra nel collegio
di Napoli-Ischia, dove nel
2001 era stata eletta Alessandra Mussolini, non solo
porta in Parlamento un
sindacalista e più recentemente un politico di lunga
esperienza, ma conferma
un dato di fondo: la divisione dei partiti e la presentazione di candidati diversi,
anche se appartenenti alla
stessa coalizione, non pagano. Il centrosinistra lo ha
capito e i risultati non sono
mancati con l’en-plein in
tutti e sette i collegi. Il centrodestra, dopo la defezione
della Mussolini e la decisione del suo movimento di
presentare un proprio candidato, ha indubbiamente
penalizzato la Casa delle
Libertà.
Singolare infine il confronto nel collegio di Genova Nervi, vinto tre anni fa
dal centrodestra. A contendersi il seggio due imprenditori: Stefano Zara, già
presidente dell’Unione industriale con i colori dell’Ulivo e con il sostegno più o
meno convinto di Rifondazione, e Roberto Suriani,
imprenditori nel campo
della sanità, vicino all’Udc,
per la Casa delle Libertà.
Due candidati decisi a “pescare” soprattutto tra l’elettorato centrista e moderato. Il successo di Zara sembra indicare che gran parte del mondo economico e
produttivo di Genova non
si ritrova nel progetto e nelle idee di Berlusconi e preferisce affidarsi al riformismo dell’Ulivo.
Il successo pieno del centrosinistra, in un test che
comunque ha assunto significato politico, non deve
essere né enfatizzato, né
sottovalutato. La grande
maggioranza del centrodestra è stata indubbiamente
intaccata, ma resta solida.
Quasi certamente la Casa
delle Libertà addosserà alla minore affluenza degli elettori (complessivamente
poco più del 40 per cento)
la dura sconfitta subita.
Ma sarebbe sbagliato usare questo argomento. Chi
diserta le urne non è classificabile né a destra né a
sinistra.
Antonio Airò
Sull’”affare Buttiglione”
sono giunte in redazione
numerose lettere. In questa pagina ne pubblichiamo una, rimandando le
altre alla prossima settimana.
C
ARO direttore,
ho letto il giornale (domenica
24 ottobre) con
il suo commento
sull’ «affare Buttiglione» e
sulle critiche di Bondi al
vescovo Tettamanzi. Ebbene, da credente, io penso
sia un errore ritenere le
due questioni come facce
della stessa medaglia.
Da un lato, infatti, c’è la
(inevitabile) contestazione
non ad un cattolico qualunque ma ad un credente
vicino all’ala integralista
del cattolicesimo italiano,
un politico che ha spesso
fatto del confessionalismo
(invece che della laicità) la
sua stella polare e che ora
si presenta, e viene presentato, come una specie
Moralismo
cattolico
e Buttiglione
di novello martire della fede. Una cosa è stare nella
compagnia degli uomini
senza nascondere le proprie convinzioni, ed anzi
alla ricerca di possibili
convergenze strategiche,
un’altra è lavorare (come
lui ha sempre fatto) per
imporle (con tanto di obblighi e proibizioni legislative) a chi la pensa diversamente, senza curarsi
minimamente delle sue ragioni. Se anche Buttiglione
adesso promette di fare le
debite distinzioni, chi volete che gli creda? Io, no di
certo.
Dall’altro lato, invece, c’è
la feroce critica di un uomo di destra ad un cattolicesimo che tenta evangelicamente, sia pure con mil-
SEGUE DALLA
PRIMA
SEGUE DALLA PRIMA
Analisi:
e ora attaccano
la giustizia
trettanto obbliganti fra gentiluomini, del rispetto delle
convenzioni parlamentari
di fronte all’impegno così
solenne e storico di por mano a “riforme” che dovrebbero durare e non essere
merce deperibile e di
“scambio”.
Parole chiare e sobrie,
queste, come si addice all’altezza della carica e al
compito di garanzia della
Corte di palazzo della Consulta; parole che, in un momento cruciale in cui si sta
ponendo mano alla “riforma” di più parti della Costituzione in un clima di scontro “muro-a-muro”, dovrebbero far riflettere, sul merito e altresì sul metodo seguito e da seguire.
E invece le reazioni stizzite non si sono fatte attendere: da una parte quelle di
chi ha ammonito a lasciar
fare, senza invadere il campo del legislatore (ma in ballo ci sono anche i poteri e le
libertà del Parlamento); dall’altra il radicale Capezzone,
confondendo il ruolo di garanzia della Corte costituzionale con l’esercizio del
potere giudiziario, ha invocato la separazione, appunto, dei poteri dello Stato: a
volte il troppo zelo tradisce,
e, addirittura, svela le vere
radici dei comportamenti.
Infatti le parole di Valerio
Onida (pronunciate davanti al Capo dello Stato, altro
polo di garanzia in una costituzione moderna e democratica) hanno colto uno
dei nodi più importanti della “riforma” costituzionale
in corso: quello dello svuotamento progressivo delle istituzioni di garanzia nonché delle funzioni di richiamo e rispetto dell’unità dell’ordinamento: la Presidenza della repubblica, appunto, e la Corte costituzionale.
Il Presidente della Repubblica sembra essere destinato, nella “riforma” incombente a un ruolo di rappresentanza e di conferma
(niente più) delle decisioni
del governo e particolarmente del suo capo. La Corte costituzionale, in forza
alle modificazioni introdotte
nelle modalità della sua
composizione, rischia di diventare essa stessa un
campo di conflitti politici e
altresì, come lo stesso Onida ha paventato, «una terza
Camera» (con questo volendo dire che l’eccessiva politicizzazione della composizione e la sottrazione alla
Corte di prerogative anche
formali di autonomia e imparzialità la getterebbe inevitabilmente nella lizza dei
conflitti e nel campo delle
parti).
Ora la Corte è composta
di 15 giudici, 5 nominati dal
Capo dello Stato, 5 dal Parlamento in seduta comune
e 5 dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative. La proposta di
“riforma” prevedrebbe 7
giudici di nomina parla-
le contraddizioni, di fare una scelta preferenziale per
i poveri, e che si ritrova
(orrore!), in compagnia di
quella parte di società italiana che si propone anch’essa di stare dalla stessa parte della “barricata”.
In Italia cosa c’è di più
fastidioso, oggi come ieri,
di una Chiesa che parla e
lavora per la giustizia sociale, per l’accoglienza degli emigrati, per l’abbattimento del debito ai Paesi
del Sud del mondo, per la
pace e il disarmo, con il
pericolo che la sua azione
si saldi con le sacrosante
lotte portate avanti da altri
pezzi di società e di politica? Meglio un generico
pseudomoralismo cattolico a cui concedere tutt’al
più il piatto di lenticchie
del caso (matrimonio indissolubile, difesa dell’embrione, scuola cattolica e
ora di religione, ecc.) ma
che sia compatibile con le
supreme leggi del mercato
statale e mondiale.
Roberto Cerchio
None (To)
mentare (4 dal c.d. Senato
federale e tre dalla Camera),
4 di nomina del Capo dello
Stato e 4 di nomina delle
magistrature superiori. Se
si pensa che quei numeri e
quelle ponderazioni erano
state, per altro, pensate per
un sistema parlamentare
ad elezione proporzionale e
per un Capo dello Stato eletto necessariamente a larga maggioranza politica,
mentre ora in un parlamento eletto con il sistema maggioritario anche il Presidente della Repubblica sarà figlio della maggioranza (o di
un “colpo di maggioranza”),
si capisce bene che cosa sia
in gioco: la costituzione anche della Corte costituzionale con una composizione
necessariamente fedele al
governo e al suo capo, sottratta a quel ruolo fondamentale di garanzia, di
“guardiana” della Costituzione e dei suoi principi e
valori fondamentali, che le
spetta per ragioni storiche e
altresì per ormai consolidata tradizione democratica. E
non per niente, crediamo,
questi ammonimenti sono
stati espressi alla presenza
del Capo dello Stato, altra istituzione di garanzia in via
di ridimensionamento.
Insomma, l’obiettivo è di
aver sempre meno controlli
e contrappesi. Ed è indicativo l’accostamento operato
nel pieno della polemica tra
Corte costituzionale e Magistratura: accostamento indebito, naturalmente (basterebbe ricordare la composizione della Corte), ma
rivelatore di un’insofferenza di regole, che si è tornata a scatenare in questi
giorni con l’ennesima tornata della “riforma” dell’ordinamento
giudiziario.
“Riforma” che riguarda assai di più i magistrati che
l’ordinamento, che si esprime in attacchi pesanti anche sul piano personale e in
qualche misura intimidatori, quale la proposta di introdurre un esame psicoattitudinale per chi volesse
entrare in Magistratura,
dopo aver superato l’esame
previsto dalla Costituzione.
Esame psico-attitudinale
che, se va ad incidere su
questioni e dati cosiddetti
sensibili, è da più di
trent’anni vietato dallo Statuto dei lavoratori, e che comunque (ancora una volta)
metterebbe i giudici alla
mercé o quanto meno al vaglio dell’amministrazione,
del governo.
È questa devastante paura delle regole e dei controlli che impensierisce: la
“riforma” costituzionale in
atto, quella vera, che incide
sull’ordinamento e non solo sui nomi e sulle ripartizioni di parata, ha questa
cifra comune del rifiuto delle regole e altresì dello
svuotamento delle istituzioni di garanzia. Ed è quel
che fa pensare.
Gianfranco Garancini
Il sabotaggio
del Parini
e una...
ciale e familiare e finisce
nei bagni di una scuola
frequentata dai figli di imprenditori, professionisti
e dirigenti. Inizia nella
finzione in cui i bambini
divengono
adolescenti
nelle tante ore dell’insegnamento invasivo dei
falsi maestri che salgono
sulle cattedre televisive,
per cui diventa sempre
più difficile distinguere
ciò che è vero da ciò che è
falso, ciò che è bene da
ciò che è male. Capire
quali sono i costi della
realtà, quella di tutti i
giorni, fatta di sacrifici, di
progetti, di impegni. Inizia nel rapporto sempre
più rarefatto con genitori
occupati altrove, troppo
protettivi per far tacere i
propri sensi di colpa,
pronti a giustificare disimpegno e superficialità,
peccati veniali e mortali,
per non doversi impegnare in un progetto comune
di vita e mettersi in gioco
in prima persona. Inizia
nei modelli di comportamento e nei falsi miti di
una società dove soltanto
i furbi, i lestofanti, i prevaricatori, i raccomandati, hanno la possibilità di
emergere, di diventare
qualcuno con l’approvazione e il plauso generale.
«È stata una bravata
fatta in modo irresponsabile di cui siamo tutti
complici. Troppi reality
show in tv, dove se fai
porcherie non paghi
mai», ha commentato il
prof. Aldo Scarpis, l’insegnante di greco, quello
dell’«uno meno meno».
Troppe menzogne che
piovono da tutte le parti e
hanno finito con lo svuotare anche la scuola come luogo di trasmissione
di una cultura che arricchisce la mente, abilita in
umanità. Ne hanno fatto
un parcheggio di ragazzi
soli con sé stessi e con i
propri smarrimenti, che
cercano nel “gruppo” vestiti uguali, stesso linguaggio, medesime abitudini e telefonini, un’identificazione rassicurante, dove si può decidere un sabato sera di fare un sabotaggio alla propria scuola per evitare un
compito in classe.
«Siamo un gruppo molto unito. Quattro di noi
assieme dalle medie. Ci
vediamo al pomeriggio a
casa dell’uno o dell’altro,
andiamo a Brera, al cinema, facciamo dei giri», ha
spiegato sempre Anna fra
le lacrime. Adesso il
“gruppo” si è spezzato fra
l’indignazione e lo stupore
degli spettatori, a cominciare da quello di genitori
che forse per la prima volta hanno guardato negli
occhi i figli. Dalle sue macerie è uscita una verità
che toglie il sonno. E non
solo ai genitori.
Mariapia Bonanate
11
SEGUE DALLA PRIMA
Marco Garzonio:
Milano torni
a volare alto
dietro nel crollo. Ora devono ritornare alle radici:
non solo alla dottrina sociale intesa come etica e
morale, ma ancora più alla base, ai fondamenti evangelici. In questa sinergia entra il ruolo dell’Ambrosianeum, che sta svolgendo con impegno da
qualche anno. Ci stiamo
rendendo conto che questo è ciò che spetta ai laici
cattolici.
Quest’anno dedicherete una serie di iniziative su cattolici e Resistenza tornando alle
radici della democrazia italiana. È un segnale preciso di fronte
alla riforma massiccia
che stravolge la Costituzione?
Assolutamente sì. Perché
non dimentichiamoci che i
fondamenti della Costituzione sono nella lotta di Liberazione. Lì si è visto che
le riforme le si fa tutti insieme, guardando avanti,
agli ideali non solo agli interessi. Andiamo a celebrare questi 60 anni non con
atteggiamenti da reduci o
da rimpianto del passato,
ma traendo da lì la forza
morale per ribadire i valori
fondamentali. Nessuno nega la possibilità di aggiornamento. Ma ci sono valori che sono intoccabili. E
soprattutto è il metodo che
diventa qualificante. Lo diceva nei giorni scorsi il presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida:
stiamo attenti a non stravolgere la Carta, altrimenti
scassiamo tutto.
Da 15 anni l’Ambrosianeum pubblica il Rapporto sulla città. Come
vede Milano oggi e
quali possono essere le
vie di rilancio della
metropoli?
Lo vedo proprio alla maniera in cui lo vide nel
1945-46 il sindaco Greppi.
Milano ha una caratteristica fondamentale: anche
nei periodi peggiori riesce
sempre a venire fuori, a ricostruire nel senso pieno
del termine, che non è solo rifare i palazzi, le case e
le fabbriche. Significa ritrovare le fila del senso
dello stare assieme, del
trovare le occasioni per
partecipare, per divertirsi,
per aggregarsi. In questo
momento la città è distratta. Le macerie sono ancora per strada, sono quelle
di Tangentopoli.
Recentemente in un
fondo del «Corriere» sosteneva che è arrivato
il momento di sdoganare i partiti…
Infatti, basta con la storia
che i partiti sono una cosa sporca, perché hanno
preso le tangenti e quindi
dobbiamo rassegnarci a
una politica diretta con la
Tv. Ma fra il popolo, fra la
gente comune che si sente esclusa, che sente di
non contare nulla, e gli or-
L’Ambrosianeum punta a formare la nuova classe dirigente della città
gani decisionali comunali,
provinciali, regionali, nazionali, vanno ritrovate le
occasioni per compiere
queste mediazioni, perché
altrimenti trovano altre
strade. Come gli interessi
di categoria (tranvieri), rivendicazioni di quartiere,
di interessi particolari.
Mentre la politica è la sintesi di diversi interessi in
vista del bene comune.
Milano è distratta: dopo
Tangentopoli, le esperienze di amministrazione prima leghista e poi l’attuale
dove il sindaco Albertini
ha sostenuto di essere un
amministratore di condominio, con la mentalità di
chi deve gestire l’ordinario. Milano non può più limitarsi a questo, perché
se gestisce l’ordinario le
cose vanno avanti lo stesso, ma separatamente.
Per cui si costruisce la
nuova Fiera, Bicocca e Rogoredo vengono trasformate. Tutte iniziative che
in sé non hanno nulla di
disdicevole, però il problema è di avere un disegno,
un progetto, una rete che
assicuri che tutto ciò non
comporti lo snaturamento
della città.
Una metropoli in questi ultimi mesi in
profonda trasformazione…
Sì, basta vedere la casa,
diventata un bene di investimento, perché non va
più il mercato azionario.
Questo significa che dopo
un centro invaso da banche, uffici e negozi, ora
siamo all’espulsione delle
classi medie anche dall’immediata vicinanza del
centro. Chi può pagare
certi affitti, chi può comprare case con prezzi altissimi? Ci vuole allora un
governo della città che
sappia affrontare, prevenire, canalizzare le energie
e fare in modo che si trovino le sinergie tra le diverse forze.
Milano e il lavoro. Un
binomio da rilanciare…
Infatti all’Ambrosianeum
LPIMEL
4 novembre,
ricordando
Annalena
I
L CENTRO missionario Pime e le Edizioni
San Paolo organizzano per giovedì 4 novembre alle 21 in via Mosè
Bianchi 94 una serata in
ricordo di Annalena Tonelli a un anno dalla
morte. Sarà presentato
il libro a lei dedicato dal
titolo «Io sono nessuno»
di Miela Fagiolo D’Attilia
e Roberto I. Zanini (221
pagine, 14 euro).
Oltre agli autori parteciperanno all’iniziativa
monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e
amministratore apostolico di Mogadiscio (Somalia) e Anna Pozzi, redattrice di «Mondo e
missione», autrice di un
reportage su Annalena.
Modererà la serata Gerolamo Fazzini, condirettore di «Mondo e missione».
riprendiamo a parlare di
lavoro. Oggi se parla solo
come co.co.co, quindi come disperazione, incertezza e precarietà. Presi dall’affanno, non si parla più
del significato del lavoro
per l’uomo. Se si recupera
questo, si riesce a lanciare
battaglie culturali, sociali
e sindacali per riportare al
centro il lavoro.
Tra l’altro la Fondazione realizza il Rapporto
sul non-profit. Che
ruolo ha a Milano?
Quale contributo può
portare al rilancio della città?
Ormai è una forza enorme.
Tutti lo sappiamo. Anche
in questo ambito il problema è fare un salto in avanti. Non-profit non è più
solo il volontariato e la generosità. Ha bisogno di regole, perché sia a vantaggio di tutti. Ma deve essere professionale. Questo
ultimo aspetto è uno tra gli
obiettivi che intendiamo
portare avanti.
Attenzione all’Europa.
È un volare alto al di là
dei confini della città e
del Paese in una logica
più grande…
Si è visto con la mostra
«Ambrogio e Agostino», le
sorgenti dell’Europa. Ci
siamo un po’ incartati con
il dibattito sulle radici cristiane. Siamo ormai abituati a procedere per segmenti. Simbolicamente da
quella mostra emergeva
come il problema dell’Europa oggi è di idee. Certo
che i nazionalismi ci sono
ancora, che gli interessi
delle lobby non possiamo
non vederli. Ma la vicenda
delle guerre, dell’alimentazione, dell’ambiente dimostra che o c’è un’Europa
forte e coesa, che ha ideali e allora conta, in un
mondo che vede la presenza di potenze come Usa e
Cina. O diversamente amministra solo l’esistente.
Invece vanno rilanciati i
dibattiti, le idee, la cultura, il teatro, il cinema, i
giornali, i libri.
Pino Nardi
ilnostro
tempo
di no
la
Mi
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