DIARIO DI BORDO
Musica-relazione-integrazione: musicoterapia?
Workshop progettato per il convegno CONTACI
e realizzato il 29 marzo 2010 a Città Studi di Biella
Paolo Cerlati
Ouverture
“ All’inizio era il Verbo: il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo”
Vangelo di Giovanni
“ All’inizio era il Suono, e il Suono era presso la Madre, e la Madre era il Suono”
Franco Fornari
La mitologia, le religioni e la scienza, hanno dato ‘risposte’ simbolicamente analoghe per quel che riguarda il
suono in relazione all’inizio, al principio, così che in molte cosmogonie ritroviamo come momento aurorale
il suono: il ”Verbo” cattolico, “Le vie dei canti“ maori, il suono “Om” nella cultura vedica, il “Big bang”
scientifico ...
La fetologia, la neonatologia, la psicologia, la pedagogia e la musicoterapia hanno progressivamente dato
maggiore importanza all’influenza del suono sul bambino, sia per quel che riguarda la protorelazione madrefeto, sia per la successiva ‘multirelazione’ bambino-mondo, e queste interazioni di conoscenze hanno fatto
emergere nuove interpretazioni, per gli aspetti simbolici, affettivi, emozionali, comunicativi ed espressivi che
il suono e la musica implicano e quindi hanno aperto nuove potenzialità sia in ambito educativo che
terapeutico.
Da queste premesse è nato il workshop che ho coordinato per CONTACI, che aveva l’intento di promuovere
una maggiore consapevolezza della complessità del rapporto uomo-suono-mondo e per sensibilizzare i
partecipanti su questa area ho “esplorato” con loro alcuni aspetti “primari” sia della musicoterapia. che della
pedagogia musicale, discipline che nella loro diversità, si interrogano sulla relazione musicale.
Sul dondolare
…e il naufragar me dolce in questo mare. Giacomo Leopardi
Quando ero bambino mia madre mi sedeva sulle sue ginocchia e dondolandomi in avanti e indietro
ritmicamente mi cantilenava questa filastrocca che molti di voi sicuramente conoscono magari con qualche
variante:
“Cavallin gio gio gio giò
prendi il fieno che ti do
prendi la biada che ti metto
per andare a Caporetto
Caporetto casa mia
(breve tempo di sospensione)
via via via
(e allargando le ginocchia faceva finta di farmi cadere)”
Sicuramente questi erano i primi giochi, i più belli per me di quel periodo aurorale, e forse lei non lo sapeva,
ma con questa relazione musicale, che implicava aspetti affettivi, emotivi e simbolici, mi stava proponendo
un percorso pedagogico e didattico molto efficace: stava attivando, con la forza dell’affetto e della
tradizione orale, un modello di relazione sonora e gestuale. L’insieme di una serie di pratiche verbali e
musicali appartenenti a quest’area di “scambio affettivo e culturale” che mia madre ha attivato nella mia
infanzia sono state importantissime per la mia micro storia e sono parte fondamentale e costitutiva della mia
identità musicale. Il ritmo verbale e il ritmo motorio che si intrecciavano, la sua voce, il suo viso sorridente,
sono stati e rimangono per me delle sagome felici della nostra relazione e i primi momenti di educazione
ritmica che certamente hanno influenzato positivamente ed indelebilmente il mio interesse per la musica .e
in particolare per gli strumenti a percussione. Sono profondamente convinto che si dovrebbero istituire dei
corsi per le future madri e per i futuri padri per rimettere in gioco tutte quelle pratiche musicali relazionali
ed educative che la tradizione orale della nostra cultura – e non solo – aveva elaborato per i bambini.
Uno dei primi giocattoli che ricordo con piacere è un cavallo a dondolo che si muoveva in avanti attraverso
un sistema di ingranaggi che facevano girare le ruote mentre lo facevo dondolare.
Sul dondolamento si potrebbero analizzare parecchie condotte, ma ne citerò solo alcune tra le più evidenti:
nella protorelazione madre-bambino il feto galleggiando nel liquido amniotico, mentre la madre cammina e
si muove, dondola liberamente in uno spazio-tempo indeterminato. Le ninne nanne riprendono questo gesto
così come le vecchie culle di legno mimavano questo movimento; nelle fasi dell’amplesso gli amanti
dondolano sia dolcemente che con vigore sintonizzandosi ritmicamente in modo totale. Molti bambini si
rilassano autocullandosi; molte condotte motorie musicali, molti oggetti ci riportano a questi primi momenti
di piacere e di rilassamento. e molti musicisti mentre cantano o suonano si cullano dondolandosi.
Per me, ascoltare e guardare la risacca del mare è una specie di in-canto ondeggiante che respira al ritmo del
tutto e questo sentire mi rimanda a quel “sentimento oceanico “ che Freud riprende facendo sua l’espressione
felice del suo amico poeta Romain Rolland.
Tutti i feti della specie umana nel grembo materno dondolano e questa azione può essere considerata la
prima danza. Questa carezza ondulatoria genera sensazioni primarie indicibili, questo contatto delicato che si
confonde e si perde in un tutto fusionale che contiene il toccare e l’essere toccato, crea il “secondo stile
prenatale” (Guerra Lisi – Stefani) dove nascono le linee curve tracciate indelebilmente sulla nostra pelle e in
tutto il corpo. Ed è dalla “memoria” di questa fase che tutti abbiamo abitato nell’oceano primario di nostra
madre, ed è da questo imprinting profondo che scaturiscono i cavalli a dondolo, le culle, le altalene, le
amache, le ninne nanne che disegnano un ritmo spaziotemporale ondeggiante fatto di gesti dondolanti e di
canti. Questo oscillare lo possiamo ritrovare nel canto, in particolare nelle “blue notes” del blues e del jazz
sia a livello strumentale che vocale dove le note glissano e scivolano con attacchi ambigui e ambivalenti che
dondolano come i gesti di un coro gospel afroamericano, che con swing (il termine significa dondolare,
oscillare) canta la speranza. Cullare, dondolare, oscillare, fluttuare, ondeggiare, ciondolare, ninnare … gesti,
movimenti e relativi suoni che sono stati il leit motiv del percorso che ho progettato per CONTACI: :circa
cinquanta minuti di attività musicali per ciascuno dei tre workshop.
Sull’inizio in libertà
Driiiiiiiiiinnnn!
Apro gli occhi e ti penso…
C’era una volta
One, two, one, two, three, four
Pronti… via
Ciak si gira
Era una notte buia e tempestosa
Signore e signori buonasera...
Benvenuti sul volo 118 ...
Sarò breve
Antipasto
Anticamera
Archetipo
Alba
Attacco
Avviamento
Avvio
Big bang
Causa
Cominciamento
Debutto
Entrata
Esordio
Fase iniziale
Fonte
Genesi
Germogliare
Ouverture
Incipit
Infanzia
Inizio
Introduzione
Iniziatico
Iniziazione
Nascimento
Nascita
Natale
Natività
Origine
Preambolo
Prefazione
Preliminare
Preludio
Prima fase
Prologo
Proto
Protasi
Prototipo
Sorgente
…
Il mattino ha l’oro in bocca
Chi ben comincia è a metà
dell’opera
Partire con il piede giusto
Partire in quarta
Il prologo di un film come la prefazione di un libro possono creare delle aspettative nel fruitore dell’opera,
creare un sistema di attese, di previsioni, di pronostici che proiettano il lettore in un futuro fantastico. Questo
prefigurarsi quello che accadrà dipende da che cosa è stato scelto come ‘oggetto iniziale’ e dal sistema di
simboli che questo oggetto può mettere in moto nella nostra immaginazione, processo che probabilmente è
accaduto anche per le due citazioni che sono il proemio di questo scritto.
Nonostante le due frasi o frammenti iniziali, il problema in questo momento, non è quello delle origini, della
causa prima, del cominciamento, del principio, dell’uno, che è una delle domande più affascinanti
dell’esistenza, ma è un dilemma simile a quello di colui che si trova sulle soglie di varie porte, davanti a un
‘multivio’ ad una serie di strade tutte percorribili e ne deve scegliere una, tutte le altre forse verranno poi e
non avranno la valenza, il simbolo dell’inizio, della prima partenza, dell’esordio.
In quanti modi può essere vissuto il problema di come iniziare qualcosa, un rapporto, una lezione, l’attacco
di un suono, una sinfonia o come partire e principiare l’inizio di uno scritto o di un workshop.
L’inizio di qualcosa è una nascita, una genesi che può lasciare impressioni, tracce, memorie più o meno
profonde. Potremmo considerarlo come un rito o come una figura retorica importante e allora la domanda
potrebbe essere formulata così: come introdurre i partecipanti ad un workshop nel cosmo della relazione
musicale e della musicoterapia? Oppure vederlo come un avviamento, una specie di accensione, di scintilla,
di Big-Bang, da cui far scaturire una serie di eventi, processi, un insieme di narrazioni,di esperienze e di
vissuti. Per quel che riguarda la letteratura la stessa domanda se l’è posta Italo Calvino in Cominciare e
finire:
“Cominciare una conferenza, anzi un ciclo di conferenze è un momento cruciale, come cominciare a
scrivere un romanzo. E’ questo il momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi
possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in modo particolare.
Il punto di partenza delle mie conferenze sarà dunque questo momento decisivo per lo scrittore di distacco
dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa che ancora non esiste ma che potrà
esistere solo accettando dei limiti e delle regole. Fino al momento precedente a quello in cui cominciamo a
scrivere, abbiamo a nostra disposizione il mondo - quello che per ognuno di noi costituisce il mondo, una
somma di informazioni, di esperienze, di valori – il mondo dato in blocco, senza un prima né un poi, il
mondo come memoria individuale e come potenzialità implicita; e noi vogliamo estrarre da questo mondo
un racconto, un sentimento: o forse più esattamente vogliamo compiere un’operazione che ci permetta di
situarci in questo mondo. Abbiamo a disposizione tutti i linguaggi: quelli elaborati dalla letteratura, gli stili
in cui si sono espressi civiltà e individui nei vari secoli e paesi, e anche i linguaggi elaborati dalle discipline
più varie, finalizzati a raggiungere le più varie forme di conoscenza; e noi vogliamo estrarne il linguaggio
adatto a dire ciò che vogliamo dire.
Ogni volta l’inizio è questo momento di distacco dalla molteplicità dei possibili: per il narratore
l’allontanare da sé la molteplicità delle storie possibili, in modo da isolare e rendere raccontabile la singola
storia che ha deciso di raccontare questa sera; per il poeta l’allontanare da sé un sentimento del mondo
indifferenziato per isolare e connettere un accordo di parole in coincidenza con una sensazione o un
pensiero [...]” Tratto da: Italo Calvino, Saggi – I meridiani – Arnoldo Mondadori, Milano 1995
Ho deciso di iniziare il workshop con una danza circolare (Elm Tree) semplice e molto lenta, che prevede
quattro passi in varie direzioni, tutti per mano come in una specie di girotondo rallentato, dove ogni quattro
movimenti ci si dondola collettivamente e ritmicamente per quattro oscillazioni prima a destra e poi a
sinistra. Con questi gesti il cerchio si allarga e si restringe, respira, pulsa, così come i dondolamenti e i
contatti e quando la forma circolare è più larga e grande le oscillazioni sono più sciolte e più ampie, quando
si restringe fino al contatto spalla contro spalla, l’ondeggiamento collettivo diventa più intimo come una
ninna nanna dove il tutto dei partecipanti simbolicamente è una madre è contemporaneamente ciascuno è un
bambino.
Il cerchio è un simbolo che rimanda ad una costellazione di associazioni e significati che in questo contesto
non prenderò in considerazione, mentre può essere interessante interpretare o cercare il senso delle danze
circolari. Tutta la koinè si ritrova per comunicare ed esprimere con il corpo e la musica l’appartenenza ad una
comunità che in quel momento ha lo stesso intento espressivo nell’azzeramento di tutti i ruoli sociali
(equidistanza da un punto centrale). È una specie di rito pagano dove la singolarità di ogni persona si sposa e
si “perde” partecipando al tutto sociale per abitare il mondo e il cosmo. È un gesto collettivo che ha a che
fare con la democrazia, l’accoglienza, l’ospitalità e con il sentimento della compassione: essere tutti sulla
stessa barca per condividere un momento di “felicità”e di serenità sapendo del dolore. La ripetizione degli
stessi gesti da parte di tutti i partecipanti senza nessuna distinzione di genere, età, ruolo sociale, il ritmo
comune ed iterato “immobilizza” il fluire del tempo-spazio nella circolarità del tutto espressivo sia corporeo
che musicale.
Dopo una prima fase di apprendimento dei gesti di danza che per la loro semplicità implicano poco tempo,
tutti i partecipanti, generalmente, sono in grado di lasciarsi andare e di cullarsi collettivamente ad occhi
chiusi. L’effetto generale, nella successiva verbalizzazione è di rilassamento, di perdita delle tensioni
personali, di abbandono piacevole ad un ritmo corporeo collettivo, di distensione riposante, di leggerezza, di
galleggiamento ninnante.
Poema sinfonico dondolante
Introduzione al gioco di Foucault:il vecchio orologiaio:
“C’era una volta un vecchio orologiaio che nel corso della sua vita nel suo piccolo negozio di orologi e di
misura tempo di ogni sorta, aveva tenuto e custodito per sé quelli che considerava le più belle creature del
mondo: gli orologi a pendolo. Ne aveva di vari tipi e fogge, lunghi e slanciati che parevano delle ballerine,
altri che sembravano delle altalene, alcuni dentro a campane di vetro erano come gioielli preziosi, altri
ancora come eleganti metronomi scandivano per lui la più bella delle musiche: i ritmi della vita. Li
considerava come delle persone uniche ed irripetibili ed aveva per loro molta cura. Ogni mattina li metteva
in moto e ciascuno con il suo ritmo e il suo suono iniziava il suo nuovo giorno. Quando tutti suonavano il
loro ticchettio, ciascuno diverso sia per timbro che per intonazione, con intensità tutte differenti modellate
dalle diverse casse armoniche e dai materiali, si sedeva comodamente su una vecchia sedia di legno e si
appoggiava alla sua scrivania e ascoltando quello che lui considerava un Poema sinfonico dondolante si
ispirava per scrivere nuove musiche. Aveva scoperto che ciascuno trasformava il proprio suono e ritmo ogni
giorno. All’inizio aveva pensato che questo dipendesse dalla vecchiaia o dalla temperatura oppure
dall’umidità. Sicuramente un po’ dipendeva anche da questo, ma la cosa sorprendente che aveva scoperto
una notte, era che i suoi orologi a pendolo sognavano! Dal sogno che ogni notte facevano dipendeva il loro
scandire il tempo del giorno successivo. Tra loro c’era quella che ormai non era più considerata
un’eccezione ossia una vecchia clessidra ad acqua che segnava un tempo diverso da tutti gli altri. Era un
tempo liscio che fluiva morbido senza scansioni, senza pulsazioni e ticchettii che scorreva come un fiume o
meglio come un piccolo ruscello, che accarezzando il vetro faceva scaturire un suono simile a quello che si
riesce ad ottenere strofinando con le dita umide i bordi dei bicchieri di cristallo. L’avevano chiamata
Agostina perché si diceva appartenesse a Santo Agostino, il quale le aveva insegnato uno dei suoi segreti
sul tempo. Quel filosofo le aveva dimostrato che il tempo non era fatto di passato, di presente e di futuro,
ma di presente passato, di presente presente, di presente futuro e per questa sua storia tutti gli altri orologi a
pendolo la stimavano moltissimo. Un’altra cosa davvero un po’ misteriosa era dovuta al fatto che ciascuno
di loro aveva indicato al vecchio orologiaio quale doveva essere il posto che ognuno voleva occupare
all’interno del negozio. Come direte voi questo non è possibile. Eppure era accaduto che uno alla volta
iniziasse a comunicare il proprio disagio ad abitare uno spazio non adeguato alla propria vita con modalità
diverse. Kairos, così si chiamava uno dei più vecchi pendoli, aveva iniziato a sbagliare a segnalare tutte le
ore, fino a quando l’orologiaio non l’aveva spostato vicino ad una statua di marmo che riproduceva
Afrodite, mentre Kronos si era fermato di botto fino a quando Foucault, così si chiamava il vecchio, non
l’aveva posizionato vicino ad un’antica mappa che riproduceva una delle Isole dei Beati, e così via via era
successo per tutti gli altri”.
Ora siamo pronti a giocare al gioco di Foucault il vecchio orologiaio:
ciascuno scelga uno strumento leggero (maracas, triangolo, tamburello, piattini …), poi vada nel punto dello
spazio che sente come il suo luogo per rilassarsi, scelga la posizione che vuole per ascoltare il proprio corpo
ed il proprio respiro per il tempo opportuno. Il vecchio orologiaio a questo punto tocca uno dopo l’altro,
lasciando un giusto intervallo di tempo, tutti gli “orologi a pendolo” che incominciano ad oscillare e poi a
suonare il ritmo di dondolamento sullo strumento che hanno scelto. Il vecchio si siede ad ascoltare il Poema
sinfonico dondolante…
Si e fatta sera ed è arrivato il tempo di far riposare gli orologi a pendolo e Foucault tocca uno dopo l’altro i
partecipanti che dolcemente e gradatamente si fermano.
Con questo “gioco” si passa da un dondolamento collettivo uguale per tutti “deciso” dal ritmo e dalla della
danza, alla ricerca di un ritmo dondolante “spontaneo” personale. Molte volte accade che per “omeostasi” i
vari ritmi individuali si stabilizzino e si trasformino in un incastro poliritmico collettivo, proprio come delle
improvvisazioni libere che via via nel farsi e disfarsi dei momenti musicali trovano la loro sintonizzazione ed
armonizzazione.
Ascoltiamo e visioniamo due video, il primo che documenta una “performance” musicale composta da
György Sándor Ligeti (compositore ungherese naturalizzato austriaco), intitolata Poema Sinfonico per 100
metronomi, del 1962, dove cento metronomi uguali, predisposti a cento velocità diverse, come degli orologi
a pendolo scandiscono il brano con un’organizzazione temporale e ritmica che prende il nome di tempi
paralleli. Il secondo, Zeerust brano etnico del Sudafrica, è un canto danzato dove il dondolamento collettivo
ritma tutto il brano (tratto da Rhythms of the world a cura degli Stomp).
DONDOLANDO
Paolo Cerlati
Struttura esecutiva: introduzione strumentale di 10 misure e poi le parti vocali A – B – A1 – B1 –
A2 - B2.- coda strumentale.
Impariamo a cantare questa canzone e poi ascoltandola e cantandola in coro giochiamo,
contemporaneamente al gesto vocale, a dondolarci liberamente, facilitati da nastri colorati (oggetti
facilitatori), che hanno la funzione di far sentire il bambino e anche l’adulto meno spiazzato, meno
impacciato nei suoi gesti improvvisativi; lasciamoci andare dolcemente seguendo la musica e il testo che
evoca immagini serene e oscillanti:
Stimolo il gruppo ad ascoltare gli andamenti ondulatori della steel guitar (conosciuta popolarmente come
chitarra hawaiana , tipica della musica country statunitense e del blues) e di seguirli con tutto il corpo o solo
con le braccia e le mani, disegnando con i gesti linee curve, tonde e carezzevoli.
Solitamente l’effetto che si ottiene, verbalizzando successivamente i vissuti dei partecipanti, è un
rilassamento generale e sappiamo quanto sia utile nelle relazioni di gruppo ottenere questo stato emotivo.
L’analisi del testo, che ha anche influenzato l’arrangiamento strumentale, può essere il punto di partenza per
ulteriori composizioni letterarie su questo tema.
Il testo della canzone
SONO UN’AMACA
ALL’OMBRA DI UNA SIESTA
UN CAVALLO A DONDOLO
UNA GIOSTRA È FESTA
(ritornello)
E MI FACCIO CULLARE
DALLE ONDE DEL MARE
COME UNA VELA
CHE SI LASCIA ANDARE
E MI FACCIO CULLARE
DALLE ONDE DEL MARE
SONO ACQUA CHE SCORRE
SONO TEMPO CHE NON CORRE
SOPRA UN’ALTALENA
VOLO SORRIDENTE
SONO TERRA E CIELO
ED IL RESTO È NIENTE
E MI FACCIO CULLARE
DALLE ONDE DEL MARE
COME UNA VELA
CHE SI LASCIA ANDARE
E MI FACCIO CULLARE
DALLE ONDE DEL MARE
SONO ACQUA CHE SCORRE
SONO TEMPO CHE NON CORRE
SUONA UNA CAMPANA
AL RITMO DELLE STELLE
E SCIVOLO IN UN SOGNO
TRA LE COSE BELLE
E MI FACCIO CULLARE
DALLE ONDE DEL MARE
COME UNA VELA
CHE SI LASCIA ANDARE
E MI FACCIO CULLARE
DALLE ONDE DEL MARE
SONO ACQUA CHE SCORRE
SONO TEMPO CHE NON CORRE
La canzone è Stata Pubblicata in M. Amoia, P. Cerlati,– Mondostorie - MusicArte 4 - 5, De Agostini ,
Novara 2009 ed è cantata da Stefania Poppa, l’arrangiamento è di Emilio Cimma
Ascolto e visione di alcuni documenti video: il primo di Ray Charles che canta Georgia in my mind dove il
cantante dondola sia vocalmente che gestualmente, il secondo riguarda un’altra cantante afroamericana:
Billie Holiday (pseudonimo di Eleanor Fagan Gough, nota anche come Lady Day), favolosa voce del Jazz
che interpreta God bless the child accompagnata dall’orchestra di Count Basie. Nella diversità degli stili
vocali sono evidenti le “blue notes” di questi due grandi cantanti che glissano e scivolano sulle note dei due
brani con attacchi ambigui e ambivalenti.
Il terzo documento visivo e musicale riguarda Elvis Presley soprannominato anche Elvis the pelvis per il suo
stile di danza caratterizzato da bruschi sensuali ondeggiamenti del bacino (in lingua inglese, appunto, pelvis).
Finire
Avrei voluto ultimare il workshop con una ninna nanna africana per concludere dolcemente il nostro
incontro, ma il tempo è scivolato velocemente. In ogni caso ecco lo spartito e il testo:
Accompagnamento ritmico:
AAYOO AAYOO NENNE NENNE TUUTI
YOBBUL MA KO SAALUM SAALUM NIETTI NÈEG LA
AAYOO NENNE NENNE NENNE TUUTI
YOBBUL MA KO SAALUM SAALUM NIETTI NÈEG LA
AAYOO NENNE AAYOO NENNE
NENNE NENNE TUUTI TUUTI TUUTI TUUTI
YOBBUL MA KO SAALUM SAALUM NIETTI NÈEG LA
AAYOO NENNE AAYOO NENNE
Struttura esecutiva: la prima volta monodica, al ritornello entra la seconda voce
Aayoo Nenne è un brano tratto da “Gattinando”, CD con libretto pubblicato dal Comune di Gattinara che
documenta un progetto promosso dall’Assessorato alla Cultura e all’Istruzione, percorso ideato e realizzato
all’Atelier di Musica di Biella nell’ambito di un corso di formazione rivolto alle operatrici dell’asilo nido,
che hanno partecipato con i genitori e i parenti dei bambini ad una ricerca che aveva come tema “Il materiale
musicale e verbale di tradizione orale rivolto all’infanzia”. L’accompagnamento ritmico, la seconda voce e
la struttura esecutiva sono delle contaminazioni del trascrittore.
Sulla fine in libertà
Amen
Cessazione
Chiusa
Chiusura
Compimento
Conclusione
Coronamento
Decesso
Epilogo
Esito
Espletamento
Finale
Last minute
Morte
Senex
Sprint
Stop
Termine
The end
Tocco finale
Tramonto
Ultimo
Volata finale
Chi co cù è finito non ce ne
più
Dulci in fundae
I primi saranno gli ultimi
La speranza è l’ultima a
morire
L’ultima volta che…
L’ultimo dei Moikani
Buonanotte al secchio
Ride bene chi ride l’ultimo
...e vissero felici e contenti
D.C. a fine
Desidererei non concludere, lasciare questo scritto aperto a degli interventi che potranno arrivare qui, nel sito
di CONTACI, e questa non fine, questa cadenza sospesa, la intono con due citazioni:
“ Finito” significa “ fatto e rifatto “, concluso, chiuso, la corsa è arrivata al traguardo.
Significa anche “ rifinito “ , finemente lavorato,
raffinato, lucidato come un legno antico ripassato con una buona mano di cera.”
James Hillman
“Il pensiero complesso è animato da una tensione permanente tra l’aspirazione a un sapere non frazionato,
non diviso, non riduzionista,
e il riconoscimento del carattere incompiuto e incompleto di ogni conoscenza.
Potremmo dire che il cammino della conoscenza
è per il pensiero complesso ciò che per Paul Valery era l’elaborazione di un poema,
qualcosa che non si porta a conclusione”
E. Morin
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