AEQVVM TVTICVM EDITO A CURA DELLA ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO DI ARIANO IRPINO CON IL CONTRIBUTO DELL’ASSESSORATO ALLA CULTURA DEL COMUNE DI ARIANO IRPINO In copertina: Veduta della città di Ariano - disegno D. Henrico Poliorama Pittoresco - Napoli - prima metà del sec. XIX Redazione LUIGI ALBANESE ANTONIO ALTERIO DOMENICO CAMBRIA MARIO D’ANTUONO OTTAVIANO D’ANTUONO EVA DELL’INFANTE GERARDO DONNARUMMA GABRIELLA GRAZIANO EMERICO MARIA MAZZA D. DONATO MINELLI GIOVANNI ORSOGNA GRAZIA VALLONE AEQVVM TVTICVM 4 Sommario EDITORIALE di Antonio Alterio (Presidente dell’Associazione Amici del Museo). . . . . . . . pag. 7 IL CAMPO SPORTIVO DI ARIANO di Antonio Alterio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 9 LA VITA, LA VIVEVI SCHERZANDO di Gerardo Donnarumma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 15 LE FORNACI DELL’ARTE di Mario D’Antuono. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 17 IL MAESTRO DELLA “ADORMITA” di Grazia Vallone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 21 L’OSPEDALE DEI PELLEGRINI “SANTO IACONO” DI ARIANO di Ottaviano D’Antuono (Responsabile del Museo Civico). . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 23 ELZEARIO E DELFINA STORIA D’AMORE E DI VITA di D. Donato Minelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 41 GIOVANNI MAZZA ABATE DI S. CLEMENTE IN CASAURIA di Emerico Maria Mazza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 45 IL NUOVO REGOLAMENTO PEL CORPO MUSICALE DI ARIANO IRPINO di Luigi Albanese. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 47 INDAGINE STORICO - BOTANICA SULLA VILLA COMUNALE DI ARIANO IRPINO di Eva Dell’Infante. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 57 P. P. PARZANESE. I 150 ANNI DALLA MORTE di Gabriella Graziano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 63 DIOMEDE CARAFA E LA DIAVOLESSA DI MERGELLINA di Giovanni Orsogna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 65 AEQUUM TUTICUM È ANCHE TOUXION? di Domenico Cambria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .” 67 Stampato nel luglio 2002 presso la Litografia “IMPARA” Via Umberto I, 153 - Tel. e Fax 0825871710 Ariano Irpino (Av) Aequum Tuticum Editoriale S iamo giunti al nono anno dalla costìtuzione e la nostra Associazione è ormai pienamente radicata sul territorio. Non è stato facile fare accettare idee, principi, obiettivi ritenuti da alcuni puramente frivoli e marginali rispetto a “problemi”, da risolvere, ritenuti più importanti; il motto dell’Associazione “conoscere per amare, amare per conservare, conservare per lavorare” ha avuto il suo riscontro sul campo e molti hanno condiviso con noi l’idea di fondo. Finalmente la città di Ariano ha un museo civico degno di questo nome, di cui tutti possono godere e del quale ci si può anche vantare. Siamo orgogliosi di potere mostrare ai turisti, che sempre più frequentemente visitano la nostra città, le maioliche dai solari colori e dalle variegate forme. Abbiamo scoperto di quale prezioso tesoro potevamo vantarci, e non è difficile sentire parlare di fiasche a segreto, di spase, di candele, di boccali, di riggiole e di tutti gli altri oggetti mirabilmente lavorati dai nostri bravi e geniali artigiani. I nostri concittadini, oggi, sono disposti ad affidare al museo gli oggetti rinvenuti incrementando il numero di esemplari ceramici conosciuti e conservati, contribuendo alla realizzazione degli obiettivi dell’Associazione. È dato inconfutabile la presenza di Ariano nel mondo ristretto e nobile delle città di antica tradizione ceramica; di recente il Touring Club ha pubblicato una monografia dedicata alle 28 città italiane della maiolica(1), in cui Ariano, per la prima volta a pieno diritto, figura a fianco di Deruta, Faenza, Vietri e tutte le altre città famose per la produzione di ceramica. Probabilmente l’essere entrati nel circuito nazionale, ha aperto agli operatori del settore nuove vie di sviluppo e altri mercati, cosicché le indagini storiche e la scoperta del nostro passato e delle nostre origini possano trasformarsi anche in una nuova risorsa economica per l’intera città. Ecco perché l’Associazione si è battuta e si batte per far capire che liberare un monumento come la croce (ahimè ancora imprigionata!) o conservare un quartiere come Santo Stefano, la Guardia, l’Annunziata, o preservare un paesaggio diventa l’occasione di lavoro, una rendita sicura dei propri beni. Spesso diventa difficile trasmettere queste idee a chi deve prendere le decisioni politiche, ma l’Associazione continuerà ad operare anche in coerenza con quanto scritto agli Amministratori sui temi appena indicati. Ariano ha subito troppi scempi, troppe distruzioni giustificate dalla mancanza di conoscenza o di sensibilità, ma oggi non si giustificano più. Vorremmo che fossero interpellate tutte le associazioni cittadine per le scelte riguardanti le ricostruzioni, la conservazione del centro storico e dell’ambiente, così come è proclamato nello Statuto della Città di Ariano. Il 2001 è stato l’anno del ritorno al passato remoto per la nostra maiolica; con fatica, ma con tanta soddisfazione, abbiamo setacciato i cumuli di terreno rimosso dalle pale meccaniche lungo la costruenda 1) Guida Touring, Le Città della Ceramica, Milano, 2001. AEQVVM TVTICVM 7 Aequum Tuticum strada a Sud delle antiche mura di Ariano. Ebbene le sorprese non sono mancate e ad esse si uniscono le conferme che tanto si aspettavano, riguardo i manufatti creati dalle nostre maestranze operanti in epoca medievale e nei secoli successivi. Finalmente i documenti ufficiali quali il Catasto Angioino, l’Inventario Capitolare, il Catasto Onciario hanno avuto il riscontro: i pezzi rinvenuti sono vivaci nei colori, originali nelle forme e nelle rappresentazioni. L’abilità, la creatività, il gusto dei nostri artigiani non avevano nulla da invidiare ai più noti maestri arabi, brindisini, lucerini, siciliani, genovesi, spagnoli loro contemporanei. Nel mese di agosto ricorre il 150° anniversario della morte di P. P. Parzanese, che sarà ricordato con varie manifestazioni culturali nel prossimo autunno. AEQVVM TVTICVM Purtroppo i mesi trascorsi ci hanno portato anche dei lutti; ci hanno lasciato due soci, il preside Fedele Gizzi e il generale Gabriele Formato. Entrambi hanno contribuito o si sono fatti promotori delle nostre iniziative: Gizzi ha progettato e realizzato le “Lecturae Dantis”, Formato ha più volte messo a disposizione la sua memoria storica per individuare su foto antiche personaggi di Ariano, per raccontare avvenimenti e fatti della nostra città. Il loro entusiasmo e l’amore verso la nostra terra ci saranno sempre da esempio e aiuteranno a conservare, amare, ricordare. Antonio Alterio (Presidente dell’“Associazione Amici del Museo”) 8 Campo Sportivo Il campo sportivo di Ariano di Antonio Alterio S iamo nel 1931: ad Ariano non esisteva un campo sportivo che potesse consentire ad una squadra di partecipare ad un regolare campionato di calcio. Così, il 9 agosto di quell’anno, fu costituito un apposito Ente Autonomo per la costruzione e gestione del Campo sportivo. L’atto, repertoriato al N. 6423, fu ricevuto dal Notaio Gerardo D’ALESSANDRO nella sede del fascio in Piazza Plebiscito. Si costituirono il Notaio Enrico AUCELLETTI, in rappresentanza del fascio di combattimento di Ariano, il Dr. Umberto BETTARINI, rappresentante dell’Amministrazione Comunale di Ariano, il Cavaliere Mario PRATOLA, nella qualità di rappresentante del dopo lavoro comunale “Giulio LUSI”, il Maggiore Nicola LUPARELLA, rappresentante della locale sezione di tiro a segno nazionale, il prof. Filippo LOTITO, Preside del RegioGinnasio “P.P. Parzanese”, nella qualità di rappresentante dell’Opera Nazionale Balilla, l’Avv. Enea FRANZA, rappresentante del locale fascio giovanile, il Dr. Francesco Paolo FRANZA, rappresentante della federazione Italiana di Atletica Leggera (FIDAL), il Prof. Giuseppe CEFALI, rappresentante delle AEQVVM TVTICVM Scuole Elementari, l’Avv. Ettore DEL CONTE, rappresentante del Gruppo Universitario Fascista (GUF), l’Ing. Francesco MELITO, rappresentante e Capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.), il Prof. Raimondo CONSOLANTE Capomanipolo, rappresentante del Corso Premilitare e il Cav. Raffaele DE PAOLA, Tesoriere Comunale. Costoro espressero la volontà di costituire l’Ente Autonomo per la costruzione e gestione di un campo sportivo che sorgesse a valle del Viale Tigli su un terreno di proprietà del Comune. L’Ente si impegnava a reperire e raccogliere i fondi con sottoscrizioni ed offerte in denaro da Enti e da privati e a promuovere tutte quelle attività che consentissero di acquisire ulteriori entrate. Una volta costruito il campo le risorse economiche eccedenti sarebbero dovute servire a pagare le spese di esercizio e ciò che rimaneva sarebbe stato devoluto alle opere assistenziali del Partito Nazionale Fascista di Ariano. Le cariche sociali furono così distribuite: Presidente AUCELLETTI, Segretario LUPARELLA, Tesoriere DE PAOLA. Tutti potevano svolgere le operazioni di ordinaria amministrazione, mentre al 9 Campo Sportivo Presidente spettava il compito di accettare, in nome e per conto dell’Ente, donazioni mobiliari, immobiliari e pecuniarie, nonché l’amministrazione dell’intero patrimonio. La sede sociale era fissata nei locali del fascio e il Comitato era costituito da personaggi di spicco e di riconosciuta capacità che non delusero le attese. Il Presidente, il 12 agosto del 1931, con istanza rivolta al Comune, chiese la concessione di un terreno per la costruzione di un campo sportivo, nonché l’erogazione di un congruo contributo. L’Amministrazione Comunale accolse la richiesta e già il 1° settembre dello stesso anno provvide con la determinazione nr.° 100 del Commissario Prefettizio dr. BETTARINI. Interessante era la motivazione che suffragava la concessione in proprietà dell’intero appezzamento di terreno all’Ente e la concessione di un contributo iniziale di lire 20 mila da far gravare su un apposito capitolo istituito in bilancio. Si disse, infatti, che era impossibile, a nove anni dalla costituzione del regime fascista, che un Comune come Ariano di 25 mila abitanti non avesse un luogo idoneo a “fare impartire l’educazione fisica alla sua AEQVVM TVTICVM gioventù”. La spesa, perciò, non poteva considerarsi facoltativa essendo un obbligo della istituzione comunale provvedere alla educazione fisica degli alunni delle scuole prive di palestra; ne avrebbero così beneficiato gli alunni delle elementari e del ginnasio e tutti i soci delle varie istituzioni giovanili fasciste. Di qui scaturiva la necessità di partecipare alle spese che, secondo la stima progettuale, ammontavano a ben 94.500 lire. L’entusiasmo non mancava, né difettava la collaborazione: numerosi ed attivi furono i volontari che lavorarono gratuitamente e con tutti i mezzi a disposizione. Ai cospicui contributi economici del Comune, si aggiunsero quelli dei cittadini ed in particolare quelli del Presidente dell’Ente, il Notaio AUCELLETTI. Con atto n. 126 del 25.06.1932, il Commissario Prefettizio deliberò l’assegnazione di un ulteriore contributo di lire 10 mila, previo storno di bilancio. Si giustificava l’intervento anche in funzione del fatto che il Comitato aveva sostenuto ingenti spese “in occasione della venuta del Carro di Tespi”, un teatro ambulante di grande successo all’epoca. Il campo fu realiz10 Campo Sportivo zato completamente, attrezzato e recintato per tutto il perimetro, lo spogliatoio era in legno, mentre le tribune erano di cemento. Nel 1935 il Podestà, ing. Giuseppe Forte, con provvedimento n. 47 del 1° giugno, erogò un ulteriore sussidio di lire 500 per i lavori di sistemazione dello steccato del campo sportivo che era andato “completamente distrutto nella decorsa stagione invernale” a causa del vento impetuoso ed altre intemperie. Anche le somme per pagare gli onorari all’ing. Gaetano FRASCADORE, chiamato a redigere il progetto di sistemazione del campo, furono liquidate dal Comune. Infatti, con atto n.° 66 del 27.08.1943, il Podestà dispose il pagamento di lire 4.000 a favore del predetto professionista, prelevando le somme dall’apposito capitolo di bilancio avente la denominazione “Manutenzione campo sportivo”. La motivazione, posta a base di detto atto, si fondava sulla necessità di sistemare definitivamente il campo “in modo che rispondesse alle esigenze di questo centro di oltre 27.000 abitanti, con popolazione scolastica molto numerosa e diversi ordini di scuole” (elementari, medie, ginnasio e scuola avviamento). Il progetto approntato dal tecnico prevedeva una spesa di circa L. 600.000. Il campo fu abbandonato sia per gli eventi bellici che per le precarie condizioni economiche dell’Ente; furono divelti ed asportati i recinti e gli spogliatoi in legno mentre le tribune furono rovinate dalle intemperie e dai bombardamenti . Così nel 1945, a seguito di una richiesta avanzata dall’Associazione Sportiva Arianese “S. Renzulli”, fu stipulato un atto di cessione il 6 novembre, N. 11989 di reAEQVVM TVTICVM pertorio, dal Notaio Leonardo CAPOZZI di Castelfranco. Per l’Ente si costituirono AUCELLETTI, PRATOLA, Enea e Francesco Paolo FRANZA, CEFALI, DEL CONTE, MELITO e per l’Associazione Sportiva Arianese, il Presidente DOTOLI Giuseppe. Questi accettò la cessione del campo sportivo nello stato di diritto e di fatto in cui si trovava e si assumeva l’impegno di restaurarlo e di renderlo “sempre e più adatto all’educazione sportiva della gioventù”. La cessione era gratuita e fatta all’unico scopo “di creare una palestra per la gioventù” e senza possibilità di sottrarlo alla sua destinazione o di variarla in mancanza di assenso del Comune. Successivamente l’Associazione Sportiva Arianese (ASA), non avendo le disponibilità economiche sufficienti a riparare i gravi danni inferti dai bombardamenti, cedette in gestione il campo ad altra società privata, anch’essa presieduta da Dotoli, con l’obbligo di provvedere al restauro ed al completamento delle attrezzature. Quest’ultima società, infatti, provvide alla realizzazione di opere di consolidamento del terreno sottostante il Viale Tigli ed a procurare le attrezzature più idonee spendendo una cifra considerevole per l’epoca. Con nota 7 luglio 1946, il Sig. DOTOLI invitava l’Amministrazione Comunale a chiedere “allo Stato, che vi era 11 Campo Sportivo tenuto, il rimborso della spesa ammontante ad oltre 4 milioni di lire” per il ripristino ed il consolidamento della Via Comunale Tigli danneggiata dai bombardamenti nel settembre 1943. L’Amministrazione Comunale con atto di Giunta Esecutiva n. 50 del 25.08.1946 provvide ad approvare la perizia ed il computo metrico relativi ai predetti lavori di restauro e consolidamento ed inviava gli atti al genio Civile, per il tramite della Prefettura, al fine di ottenere il rimborso. Intanto l’Associazione sportiva (ASA), con deliberazione societaria del 12 ottobre 1946, aveva stabilito di retrocedere il Campo Sportivo al Comune, fissando alcune condizioni. Chiedeva il riconoscimento ed il rispetto dei patti stipulati con la Società di costruzione del Campo, così come erano riportati nell’atto stipulato il 6.11.1945; il disbrigo delle pratiche amministrative per l’ottenimento dallo Stato delle predette somme spese per il consolidamento del AEQVVM TVTICVM Viale Tigli ed il conseguente rimborso alla Società; il riconoscimento del diritto a svolgere tutte le manifestazioni, competizioni ed allenamenti senza alcuna limitazione, nel rispetto della destinazione del campo e della sua efficienza. Infine all’Associazione doveva essere riconosciuto il diritto di trattenere il 70% dell’incasso, al netto delle spese, per tutte le competizioni che si sarebbero svolte. Veniva fatto salvo il diritto d’ingresso nel campo agli associati muniti di regolare autorizzazione. Al Consigliere Comunale, Avv. ZERELLA, nella seduta consiliare del 28/10/1946, non era sfuggito l’aspetto giuridico della questione tanto che, a suo dire, era improprio parlare di retrocessione per un bene di proprietà comunale. A suo parere, tuttavia, la proposta fatta era utile e conveniente per il Comune ma non bisognava assumere alcun obbligo di rimborso per le spese di costruzione del Campo, a meno che lo Stato non avesse 12 Campo Sportivo provveduto a stanziare i fondi a seguito di riconoscimento dei danni bellici. Solo in tal caso, per evitare un indebito arricchimento ai danni della Società, l’Avv. ZERELLA riteneva che il Comune avesse l’obbligo del rimborso, traendo “il vantaggio rilevantissimo di conseguire il possesso del Campo Sportivo che costituiva davvero un’opera imponente”. Il Consigliere Avv. Luigi ALBANI suggerì di acquisire il consenso alla retrocessione da tutti i soci della Società di costruzione del Campo, unitamente alla rinunzia degli stessi ad “ogni ragione ed azione per il recupero del credito relativo alle opere” realizzate, salvo che non avesse il Comune ricevuto le somme di rimborso dallo Stato. Solo in tal caso sarebbe stato corrisposto alla Società quanto dovuto fino a concorrenza del credito vantato. La proposta di retrocessione nella detta seduta consiliare raccolse il consenso unanime dei Consiglieri presenti con l’astensione del Sindaco (Enea FRANZA). Venne così adottata una deliberazione che accoglieva le richieste fatte dall’Associazione Sportiva Arianese e autorizzava il Sindaco a stipulare gli atti relativi alla retrocessione con l’osservanza di alcune condizioni. Anzitutto si stabilì l’acquisizione dell’espressa volontà AEQVVM TVTICVM degli azionisti della Società di costruzione del campo Sportivo di rinunzia a far valere, nei confronti della Civica Amministrazione, ogni “diritto, ragione e pretesa relativa al recupero delle somme, singolarmente e collettivamente devolute ed al restauro del campo e per le attrezzature”. Il rimborso del credito personale e particolare vantato sarebbe stato effettuato qualora lo Stato avesse provveduto e comunque nei limiti delle somme erogate fino a concorrenza del credito vantato. Il Comune riconosceva all’A.S.A. il diritto di svolgere tutte le manifestazioni, competizioni e allenamenti senza limitazioni, “con l’impegno a non mutare la destinazione del Campo”, ed a tenerlo efficiente allo scopo. La Civica Amministrazione si riservava di dare in fitto il Campo a terzi, per la normale gestione, alle condizioni appena indicate e con la ripartizione degli utili “in ragione del 70%, al netto, alla Società Sportiva”. La deliberazione predetta non passò indenne in quanto la Giunta Provinciale Amministrativa, Organo di Controllo, la osservò chiedendo chiarimenti in merito ad un presunto abusivo possesso di un bene di proprietà pubblica. Con atto n° 33 del 22.03.1947, la Giunta Esecutiva con- 13 Campo Sportivo trodeduceva, sostenendo che la mancanza di un atto pubblico di cessione del terreno da parte del Comune all’Ente Autonomo Campo Sportivo prima e all’Associazione Sportiva Arianese dopo, escludeva ogni abuso essendovi il consenso indiretto della Civica Amministrazione che aveva contribuito anche alle spese. I contributi erano stati cospicui e rapportati ai lavori necessari data la natura del terreno in forte pendenza. Erano stati rimossi dal pendio circa 30 mila mc. di terreno ed erano state realizzate imponenti opere di consolidamento. La Giunta Esecutiva tentò di dimostrare quanto imponente fosse stata l’opera, che aveva subito ritardi nella sua realizzazione, tanto che a due anni dall’inizio non era ancora completa ed era di “minime dimensioni” con “una tribuna in muratura di mt. 30” e quanto gravi erano stati i danni causati dagli eventi bellici. L’esecutivo riteneva che l’intervanto della Società privata, presieduta da Dotoli, aveva avuto il merito di avere portato a termine l’opera con la spesa di somme rilevantissime che andavano rimborsate. Sicché, per evitare un contenzioso, perdente per la civica Amministrazione, si era dell’avviso di accogliere la proposta fatta e di confermare quanto deliberato. Le argomentazioni prodotte furono ratificate anche dal Consiglio Comunale con la deliberazione n. 67 del 20 maggio 1947. Non mancarono le reazioni dell’opposizione che in un giornale, pubblicato il 7.11.1946, dal titolo “Risposta ai Sei mesi di Amministrazione”, replicò polemicamente su tale argomento, precisò che il Campo Sportivo era stato costruito su un suolo di proprietà del Comune, che aveva contribuito cospicuamente, e manifestava meraviglia nell’apprendere quanto si stava facendo per la retrocessione, con cui venivano accettate la condizioni dettate da privati. Si contestava la veridicità dei fatti sul danno arrecato dai bombardamenti del 1943 sul Viale Tigli e quindi delle presunte spese sostenute dalla detta Società per la sola sistemazione. Si ammetteva che tali spese, ove sostenute, non potevano superare 2 milioni di lire contrariamente a quanto voluto dal Sindaco. Non tardò la risposta della maggioranza consiliare che, in una “lettera aperta alla cittadinanza” del 21.11.1946 replicò alle accuse mosse e respinse “le basse insinuazioni dirette contro la persona del Sindaco” ed evidenziava la necessità di operare la retrocessione, come unico mezzo giuridico per risolvere il problema che, in ogni caso, non poteva essere disgiunto da un rimborso a chi aveva sostenuto delle cospicue spese. Comunque sia si apriva un glorioso capitolo per il calcio arianese che ebbe i suoi momenti più esaltanti con la venuta della squadra di calcio milanese l’Internazionale nel 1947 e con i magnifici campionati di promozione negli anni 1948 - 1949 e 1949 - 1950, ma questa è un’altra storia. Le notizie ed il contenuto di atti e deliberazioni sono state attinte, con fatica, da carte sparse nei vari e disordinati depositi del Comune di Ariano Irpino. Da queste pagine lanciamo un invito pressante agli Amministratori perché venga costituito e sistemato definitivamente un archivio degno di questo nome. Ringrazio l’Avvocato Vittorio D’ALESSANDRO ed il Sig. Antonio GIANUARIO che mi hanno messo a disposizione le foto pubblicate. Un ricordo ed un ringraziamento a Don Ciccio FRANZA che mi ha consentito di pubblicare la foto dell’inizio lavori, 1932. AEQVVM TVTICVM 14 Fedele Gizzi La vita, la vivevi scherzando di Gerardo Donnarumma I n piedi su un rialzo del terreno ai bordi della strada, in contrada Manna di Ariano, l’oratore ha appena iniziato il discorso e finito di dire: “noi politici costretti a portare questa croce” (della politica), quando dalla gente che gli sta sotto ad ascoltare si leva improvvisa una voce: “prufisso’ nisciuno v’e ditto ch’ata purtà ’sta croce”. L’oratore si interrompe e, vedendo che il suo interlocutore politico è Massimillo, un omone assai noto alla gente del posto e anche a lui, dopo averci scherzato a modo suo, scoppia a ridere di fronte a tanta spontaneità e naturalezza. Ridono tutti, compreso Massimillo il guastafeste. E come si fa a non ridere solo pensando al Nostro che racconta dell’amico ingegnere, scapolo piuttosto stagionato, il quale si è messo la segreteria telefonica e lui, quando l’amico non è in casa, lo tempesta AEQVVM TVTICVM di telefonate, deliziandolo con serenate di belle parole. Ma da curva Sud. O quando, nel bel mezzo di una riunione politica dove corrono parole di fuoco, il Nostro, per calmare i bollenti spiriti, zacchete, inizia a raccontare una delle tante storie e barzellette del suo repertorio, una vera miniera, facendo ridere tutti e tornare così la calma e la serenità. Caro Preside Gizzi, quanto ci manchi! Soprattutto oggi sentiamo il bisogno che tu ci regali una risata, in questo clima di paura strisciante, per non finire nel tunnel del terrore e perché possiamo continuare a vivere la nostra vita con fiducia nel futuro. E sì, tu la vita la vivevi scherzando. Il che è vero, purché si attribuisca a quello scherzare il suo significato più vero e più intimo e non lo si riduca a un moto di scherno, o peggio di canzonatura; e si veda in quella ironia quello che essa è in effetto, e cioè la straordinaria capacità di velatura e smorzatura delle situazioni meno belle o tragiche della 15 Fedele Gizzi vita che, quando stanno per travolgerti, si stemperano nel sorriso. Un esempio il tuo di conquistato equilibrio, di sorridente saggezza e sereno distacco di fronte alle mutevoli vicende dell’esistenza. Ma senza che tutto questo significhi rinuncia a coltivare e soddisfare le ambizioni, a lottare per l’affermazione degli ideali di libertà e di giustizia. Fedele Gizzi era invero un uomo ben lungi dal ridursi all’intellettuale un po’ ozioso, che si astrae dalla vita. Anzi è l’intellettuale che produce cultura, scende tra gli uomini e vive intensamente fra loro, intercettando gli interrogativi, le esigenze, i problemi del proprio tempo. Per Fedele Gizzi l’operosità culturale ha fatto sempre indissolubilmente il paio con l’impegno politico e civile. Ariano è nel giusto, amandolo. Per questa città è stato Docente, prima, Preside, poi, educando e preparando alla vita tantissimi suoi figli, sapendo ognuno quanto fosse importante per lui il rapporto con i suoi allievi; per questa città ha fatto il Sindaco, avendo soprattutto a cuore le sorti della povera gente, che ha avuto nel Preside Gizzi il suo punto di riferimento. La persona bisognosa che si rivolgeva a lui non tornava a casa mai con le mani vuote, a ognuno offriva la sua umana tangibile solidarietà. Questo amore per la povera gente era un sentimento naturale in un uomo animato da un sincero spirito democratico, che non tradì mai, rimanendo fedele (di nome, ma anche di fatto) sempre. Virtù rara questa in un paese di conformisti qual è il nostro. Oggi il Preside Gizzi non è più. Se n’è andato lasciando in eredità a tutti noi suoi concittadini, e non solo, un preziosissimo tesoro: la sua grande umanità, che nella vita di quest’uomo, che l’ha vissuta da protagonista, ma con grande senso dell’umiltà, ha avuto modo di straripare come un fiume quando è in piena. Nella FAMIGLIA, nella SCUOLA, nella POLITICA come servizio. KL AEQVVM TVTICVM 16 Ceramica Arianese Le fornaci dell’arte Il manufatto artigianale come testimonianza storico-socio-culturale. di Mario D’Antuono Piatto raffigurante un Amorino (?). Fabbriche di Ariano; sec.XVII. P iù che una analisi iconologica dell’opera in esame, ci interessa evidenziare il sostrato culturale (in senso stretto) che sta alla base elaborativa del “piatto raffigurante un Amorino”. Non che l’iconologia non rientri nella “cultura”che ruota intorno ad una produzione artistica, ma essa, spesso, inerisce agli aspetti più figurativi (iconografici) dell’operare AEQVVM TVTICVM artigiano, nei continui rimandi a memorie artistiche cosiddette auliche. Diciamo, dunque, che ci preme più una valutazione antropologica dell’ ”artefatto” che la sua genesi tecnico-artistica. Premettendo che non poniamo alcuna differenza tra arte ed “arti minori”, tenteremo in questa breve nota di mettere in chiaro quale immenso patrimonio culturale si agiti 17 Ceramica Arianese nelle pennellate che danno vita al lavoro in esame, e quanto questo patrimonio sia dinamizzato nella visione quotidiana dell’arte. Molta critica d’arte, tutt’oggi stimata, continua a considerare l’artigianato artistico (sia esso ceramico, in legno, o altro) solo uno sbiadito riflesso di un’arte canonica, anche detta ”classica”. Ma cos’è l’arte se non il prodotto di una determinata cultura? E cos’è la cultura se non l’insieme delle conoscenze, delle credenze, delle speranze, delle sofferenze e del lavoro di una determinata comunità? Ancora la “cultura popolare” viene intesa come “sottoprodotto culturale”, senza intuire che essa, oggi, stranamente, nonostante la comunanza di alcuni modelli, si sviluppa e diviene “altro” a causa di “altre” condizioni sociali, storiche, ambientali. Ecco in quale chiave va esaminata tale produzione. Lo stesso dibattito si è svolto in passato per la produzione artistica tardo-antica, giudicata di livello inferiore perché messa in costante dipendenza con il prodotto della cultura “di regime”; solo quando si è compreso che a produrla non era un artigianato di pessimo livello, ma un “altro” artigianato, riflesso di un’ “altra vita”, abbiamo apprezzato, nella pienezza del suo splendore, i rilievi dell’Arco di Costantino, in cui la mancanza delle proporzioni classiche, non è data dall’imperizia tecnica, bensì dall’elaborazione di un nuovo linguaggio, che a differenza di quello classico, ormai superato, risponde a nuove esigenze comunicative. Certo sarebbe errato rinnegare qualsiasi dipendenza da modelli artistici precedenti, essi ci sono, ma stravolti da un fremito vitale che abbatte ogni freno espressivo. È molto difficile concepire questo enorme fermento culturale se si pensa alla povertà e alle precarie condizioni di vita e di lavoro di questi Maestri, i quali lavoravano in buie e AEQVVM TVTICVM gelide grotte ed in assenza di luce e senza aver mai studiato “arte”; ma, costoro, avevano alle spalle una grande e antica tradizione ceramica e davanti a sé la più grande fonte di ispirazione artistica: la vita. Una vita dura, fatta di stenti e di privazioni……ma, ecco che l’arte vince la contingenza e produce il “nostro piatto”. L’autore, con rapidi e sapienti tocchi, esprime quanto di più recondito possa essere nei desideri dell’uomo: una dea bendata (la fortuna), un amorino, un cupido, in una spregiudicata rielaborazione dall’esplicito sensualismo. Una prosperosa donna alata, in punta di piedi, con uno sguardo falsamente coperto da una benda che le lascia scoperti i due occhietti, si aggira tra la natura alla ricerca del fortunato destinatario dei suoi strali amorosi: una immagine poliedrica, fusione di tanti sbiaditi rimandi mitologicofavolistici. Ecco dipinto un “comune” sogno erotico. Ecco i precedenti di tanta Arte moderna, che per astrarsi dal grigiore, frutto del presente totalitarismo capitalistico, è costretta a rifugiarsi nel sogno. Questa è la grandezza della produzione ceramica di Ariano Irpino; essa proviene artisticamente da lontano, ma anticipa temi, poetiche e tecniche (dall’improvvisazione, alla pittura segnica e all’arte espressionista) che verranno riprese, con più fortuna, solo agli inizi del XX secolo. Siamo di fronte a pure Creazioni, perché in esse è più il seme di ciò che verrà rispetto al ricordo di ciò che è stato. Questo precoce concepimento nasce da una strana coincidenza: la scarsa considerazione attribuita alla maiolica arianese. Il “pezzo”, nella concezione del tempo, non viene commissionato o apprezzato e dunque pagato come oggetto artistico, ma concepito come oggetto di uso quotidianodomestico, nel quale non si ravvisano diret18 Ceramica Arianese tive di committenza tendenti ad arginare e limitare l’estro artistico. Cosa che viceversa succederà, nel medesimo periodo, per le ceramiche di Faenza, considerate già da allora “come prodotto artistico”. Di conseguenza, la libera ed immediata (non c’è alcun uso di spolvero) realizzazione di questi manufatti, esalta totalmente l’espressione e la fantasia degli artefici; tutto questo si ripeterà, solamente, con l’avvento dell’arte moderna, all’inizio dell’era capitalistico-borghese, allorquando verranno a decadere i vecchi committenti: governanti e clero. In finis vogliamo ricordare, che lo stesso Donatone, al quale va il grande merito di essere stato il primo studioso che si è accostato alle problematiche della ceramica arianese, cita nel suo lavoro “La maiolica di Ariano Irpino”, il manufatto N. 27 (piatto a decorazione compendiaria con “aura velans”. Fabbriche di Ariano (?) sec. XVII. Napoli, AEQVVM TVTICVM Coll. Selvaggi), attribuendolo con riserva ad Ariano per la mancanza, all’epoca, di testimonianze certe da permetterne una precisa collocazione geografica. Oggi, allo stato delle odierne ricerche, condotte dal locale Museo Civico, grazie ai rinvenimenti “in situ” di numerosi frammenti ricchi della stessa decorazione, è possibile non solo attribuire queste squisite “fajenze” alla produzione arianese del XVII Secolo, ma anche riconoscerle come opera dello stesso maestro. 19 AEQVVM TVTICVM 20 Ceramica Arianese Il Maestro della “adormita” di Grazia Vallone G uido Donatone, nel suo primo studio sulla ceramica di Ariano del 1980: La maiolica di Ariano Irpino, individuava un maestro, che accostava nello stile al pittore più geniale e dissacrante del Novecento: Picasso. I1 maiolicaro in questione, detto dal Donatone, “il maestro della addormentata”, è l’autore di una figura muliebre nuda riversa sulla pancia di una brocca a segreto, una delle creazioni più suggestive delle fabbriche di Ariano. È facile che nel primo tentativo di lettura della figura si colga una contiguità con le modalità dei cubisti nella costruzione del soggetto, infatti il corpo della donna “adormita” è composto da una serie di volumi sovrapposti, che occupano lo spazio inglobando la superficie del vaso con dei contorni definiti da un tratto nero e da uno giallo - bruno steso con il pennello piatto. È interessante notare come Picasso, nell’instancabile ricerca dell’essenza della realtà, si fosse imbattuto nell’arte primitiva, e ne avesse tratto ispirazione, così come per l’esigenza di sperimentare materiali nuovi, AEQVVM TVTICVM superando il limite della tela e dei pennelli, si fosse prestato all’arte ceramica. Tali elementi, attraverso strade improbabili ad una critica avveduta, avvicinano il nostro umile maestro al genio distruttore e creatore del secolo appena trascorso. Indubbio il valore dell’opera di Donatone che ha guadagnato un’ampia notorietà alla produzione ceramica di Ariano del Diciottesimo secolo; sorge però il sospetto che le “sconcertanti concordanze stilistiche con opere di Picasso”, attribuite al Nostro, non siano altro che il tentativo di nobilitare o rendere almeno appetibile un ambito di ricerca poco frequentato dalla critica. La genialità dell’umile stovigliaro è nella freschezza della trama narrativa che anima i suoi soggetti, essa è apparentemente semplice, immediata, ma densissima di suggestioni, di messaggi, di storia, quella non codificata, collocabile a ridosso dell’antropologia e del folklore. I1 boccale a segreto, appartenente ad una collezione privata napoletana, pubblicato da Donatone nell’opera succitata, ha 21 Ceramica Arianese consacrato l’esistenza del nostro maestro, si tratta di un oggetto dono, legato al momento della festa, celebrata solitamente con dovizia di cibo e soprattutto di mescite di vino. L’apparato ornamentale ridondante e festoso insieme al meccanismo “a segreto”, che impedisce allo sprovveduto ospite di bere dall’orlo o dal beccuccio senza versarsi addosso il contenuto a meno che avvertito dell’inganno non tappi il foro nascosto nell’ansa, denuncia il carattere goliardico/carnascialesco della brocca. Un vorticoso alternarsi di rami di acacia e putti a rilievo sul collo del vaso e la donna, che dicevamo sopra, abbondante nelle sue impudiche nudità, circondata dalla didascalia: E sono adormita, in un italiano primitivo, ma eloquente nella sua carica liberatoria, sono l’esplicita dichiarazione di un messaggio complesso e primitivo allo stesso tempo. I significati si legano alla celebrazione della festa, sentita come momento di sospensione dalle fatiche quotidiane e dal senso di precarietà, alleviati da una serie di pratiche e rituali posti sul labile confine del paganesimo. La corpulenta donna, ritratta nell’abbandono del riposo sotto la pergola, è un probabile richiamo alla madre - natura nei suoi slanci benigni verso l’uomo quando lo gratifica per le sue bibliche fatiche con i frutti, premio talvolta negato per l’altra faccia quella malevola e matrigna della natura - madre. Lo stile del maestro è inconfondibile non solo per la costruzione della forma, in questo caso forse la più riuscita, ma soprattutto per l’uso della pennellata piatta in giallo - ocra che contorna le sue figure nel tentativo di suggerirne la consistenza volumetrica. I particolari sono ridotti a favore di una facile drammatizzazione, garantita dalla sintesi del disegno e dalla carica espressiva dei volti, inconfondibili per i contorni, sempre gli stessi, per gli occhi ravvicinati dall’arcata continua delle sopracciglia, adatta a suggerire lo stato di concentrazione del personaggio, i movimenti sono rapidi come le emozioni che attraversano i suoi soggetti. La mano del Nostro è rintracciabile su due piatti, pubblicati da Donatone, uno con il cavaliere e l’altro con San Michele Arcangelo che AEQVVM TVTICVM sopprime un diavolo sotto le spoglie di un leone e in mano la bilancia del giudizio finale. La tesa dei due piatti presenta lo stesso motivo decorativo: il nastro srotolato alternato ai rametti di acacia, una vera e propria firma della bottega, lo stesso motivo ricompare nel piatto con l’ostensorio del Museo Civico e in un’altra serie pubblicata dallo stesso Donatone. E’ interessante la somiglianza forte tra un piatto con la Madonna del Rosario, San Domenico, una santa, il cane con la torcia, e una targa votiva dallo stesso soggetto, ancora in situ, datata 1875. E’ un dato molto interessante perché il repertorio, i motivi decorativi, la verve narrativa collocano “il maestro della adormita” nel Diciottesimo secolo, le opere datate che si possono attribuire allo stesso, lo inseriscono tra il secondo e il terzo decennio del Diciannovesimo, infatti il pendant delle targhe con le anime purganti e la Madonna del Carmine, di recente acquisito dal Museo Civico, porta la data del 1823 e un Sant’Antonio da Padova della coll. A. Bilotta la data del 1834. La targa succitata del ’75 è probabilmente troppo al di là dell’epoca di attività del maestro in oggetto, si tratta probabilmente del revival di un epigono della generazione successiva, testimone della fortuna dello stile del maiolicaro dell’adormita. L’Ottocento segna una fase di evoluzione della produzione ceramica, infatti si rileva una tendenza all’abbandono della decorazione figurata e alla specializzazione di tipo pittorico di alcuni “dipintori di faenze” che probabilmente erano itineranti. Attraverso una opportuna indagine documentaria si potrebbe risalire al nostro maestro; è interessante l’ipotesi che si tratti di un esponente della famiglia Bilotta, citata nella preziosa fonte del Catasto Onciario del 1753, in quanto il sant’Antonio di Padova del 1834 appartiene a tale famiglia da generazioni. 22 Storia di Ariano L’ Ospedale dei Pellegrini “Santo Iacono” di Ariano di Ottaviano D’Antuono (responsabile del Museo Civico) artivano, i pellegrini. E negli occhi c’era tutto lo smarrimento del lungo viaggio, faticoso ed insicuro… Partivano. E nelle poche cose che portavano con sé - la scarsella, il bordone, il sarrocchino - c’erano i ricordi di una vita, di tutta la propria vita messa in dubbio dalla grave decisione. Partivano i pellegrini, accompagnati dalla benedizione del parroco, in gruppo P “ AEQVVM TVTICVM ogni volta che era possibile…E poi sapevano che lungo la strada avrebbero trovato anche brava gente che li avrebbe aiutati caritatevolmente e che avrebbero ricevuto buona accoglienza negli ospedali che sorgevano nei pressi della cerchia muraria dei paesi, spesso appena dentro. Chi aveva con sé un animale poteva ricoverarlo nel porticato annesso all’ospizio; quelli che andavano a piedi avrebbero trovato un saccone o della paglia nei dormitori 23 Storia di Ariano comuni, ben separati da quelli femminili. Partivano i pellegrini, perché il pellegrinaggio non era solamente il cammino verso il luogo in cui si veneravano le spoglie di un santo o l’immagine di una Madonna o dove si andava a richiedere una grazia, ma era il cammino eterno dell’uomo verso Dio. I pellegrini percorrevano nei loro viaggi alcune strade seguendo, per quanto possibile, degli itinerari consueti e consolidati nel tempo. Questi erano nati in rapporto alla facilità di transito di alcune strade, alla loro manutenzione, alla presenza di ponti stabili o di passerelle o di guadi non pericolosi, ma soprattutto all’esistenza, lungo il cammino, di strutture ricettive gestite da confraternite religiose, i ben noti ospedali”.(1) Seguivano i pellegrini, come i mercanti ed i crociati, antiche vie e tratturi, e fra le tante, le “vie romane”, le “vie francisce”, le “vie lauretane”, le “vie della lana”, le “vie sacre”, le “vie dell’angelo”. E sulla “via sacra dei Longobardi”, la “via Francigena del sud”, detta anche “via dell’angelo”, che menava a due tra i più famosi Santuari del Medioevo, S. Nicola di Bari e San Michele sul Monte Gargano ed ai porti pugliesi dai quali si imbarcavano per la Terra Santa sia pellegrini che crociati, sorgeva l’“Ospedale dei Pellegrini” di Ariano, tenuto dalla Confraternita di S. Giacomo, eretta nell’omonima chiesa, chiamato dal volgo locale, di “Santo Iacono”. L’Ospedale arianese, perfettamente in linea con la soprascritta descrizione del Semmoloni, era ubicato appena dentro la cerchia muraria cittadina, vicino la porta della Strada, “bellissima porta”, dove “appena fora” era situato “il borgo” che comprendeva “molte hosterie et boteche de diversi artisti” (2), le ben note fornaci e botteghe dei maestri “cretari”. Questa antica arteria, poco più che un budello, denominata ancora oggi “dai naturali” la “Strata”, era l’unica via che, attraversando l’intera Città, proseguendo per Piazza “Ferrara” e per la “Guardia di sotto” e uscendone dalla porta di S. Maria di Costantinopoli, situata al termine del quartiere “Guardia”, al limite dei “Pasteni”, collegava Napoli con la Puglia. Tale percorso fu deviato solo dopo la ristrutturazione voluta da Filippo II nella seconda metà del 1500. La via, da allora, non 1) Giorgio Semmoloni - Pellegrini e Santuari sui monti azzurri - Biemmegraf, Macerata. 2) Orazio Conca - Grande Archivio di Napoli, 1631 - da Ariano Turistica - Tip. Impara, Ariano 1992. AEQVVM TVTICVM 24 Storia di Ariano attraversò più la Città, ma le girò intorno, salendo dalla Croce di S. Rocco, non più per il “Rifugio”, ma per il Carmine e S. Domenico fino a S. Giovanni alla Valle, per degradare poi per le Pagliare e S. Antonio. Si realizzò così la “strada nova reale de tutta la Puglia”(2), appellata ancora oggi dai locali “la via nova”. “L’hospitale” di S. Giacomo di Ariano, concepito diversamente dagli odierni nosocomi, “ospitava”, “ricoverava” ed accoglieva solo pellegrini, viandanti ed infermi che faticosamente si inerpicavano lungo l’antica “Via della Strata”. “Nel 1222, San Francesco d’Assisi, andando da Benevento nelle Puglie, per visitare il sacro monte Gargano e il sepolcro di S. Nicola in Bari, passò per Ariano, e vi si fermò alcuni giorni, dimorando nell’antico ospedale degl’infermi e pellegrini”. (3) Lo storico e studioso Mons. Emerico Pisapia, in Ricordi Francescani in Ariano di Puglia del 1928, riprendendo una notizia del concittadino, storico e geografo, Gabriele Grasso, ci informa che il “vecchio edificio” dell’Ospedale, già all’inizio del 1200, sorgeva “proprio là dove sorge il Conservatorio di S. Francesco Saverio”. Ma, per quel che riguarda la data di fondazione, ha un’opinione diversa lo studioso per antonomasia della storia cittadina, Tommaso Vitale. Infatti, nella sua “Storia”, parlando del “Conservatorio chiamato del Rifugio, o sia di S. Francesco Saverio”, asserisce che l’Ospedale fu eretto nel 1410 e che nel 1731 per “l’erezione del Conservatorio fu rovinato l’ospedale per gl’Infermi, e per i Pellegrini” che “fu poi situato poco lontano, cioè fuori la Porta della Strada, in una piccola, e meschina casa”. Il Vitale, da storico autentico, riporta il documento che gli fornisce la data, una visita vescovile del 1724, nella quale con dovizia di particolari viene descritto anche l’ospedale. Lo scritto, tradotto, così recita: “Illustrissimo Signore, visitando la casa ad uso di Hospitale per Pellegrini e Infermi eretta nell’anno 1410 ho trovato in essa una grande Sala, dalla quale si apre un ingresso distinto verso le camere di riposo dell’Ospedale, la cucina, un reparto per le donne, la dimora per i sacerdoti ed il reparto per i pellegrini benestanti, il reparto delle suppellettili di detto Ospedale, ed un altro stanzone molto grande con letti destinati ad altri pellegrini di condizione popolare, sotto le quali stanze ed intorno ad esse sono contigue altre stanze e magazzini, ai quali si accede attraverso l’atrio di detto Ospedale, accanto al quale c’è anche un giardino”. Mons. Pisapia e Gabriele Grasso, studiosi attenti e credibili, in questo caso, però, non riportano la fonte della loro importante, ma diversa, asserzione. Esisteva, dunque, l’Ospedale di S. Giacomo nel 1200? Si fermò S. Francesco nell’Ospedale intitolato al Santo Pellegrino o sostò in altro ricovero situato in un luogo diverso, anche se ubicato sempre nel territorio arianese? Scorrendo un inventario della “Mensa vescovale della Città d’Ariano, fatto nell’anno 2) Orazio Conca - Grande Archivio di Napoli, 1631 - da Ariano Turistica - Tip. Impara, Ariano 1992. 3) Mario D’Antuono - Aequum Tuticum, n° 0 - Tip. Impara, Ariano 2000. AEQVVM TVTICVM 25 Storia di Ariano del Sig. 1564” (Arch. Vescovile), scopriamo che nel territorio della Città esisteva altro Ospedale, anch’esso ubicato su una “Via dell’Angelo” ed esattamente sull’antica Via Traiana (109 d.C.) che passava per Aequum Tuticum (S. Eleuterio), territorio di proprietà del vescovo di Ariano. Questo il documento: Item lo fiego Sancto Eleuterio sancto Donato, la sperigina, et tre lupuli e confinato: cominciando da quella strata che và à Troia seu al monte di Sancto Angelo et lassa dicta strata, et cala per mezzo quillo valliciello che cala per aspritella al punto ditte le portelle et descende allo vallone che vene dalla fontana de Sancta Maria delle Cammarelle dove hora l’hospitale et tira per quillo vallone finche gionge à mischano…..et salle ad un’altra via publica che vene dalla Città d’ Ariano et và in puglia….quale feudo se mostra per privilegio et concessione fatta per lo serenissimo Imperador Federico per la serenissima Imperatrice Costantia Romana et per lo Christianissimo Re Carlo secondo et per una declaratione fatta per lo Ill. mo Signor Gran siniscalco de Ariano….per lo che se dimostra dicto feudo esser della mensa vescovale della Città d’Ariano….”. Il Catasto Onciario del 1753-54 (Arch. Museo Civico), anche se ripete in linea di massima il documento sopra riportato, contribuisce a chiarire meglio il tutto: “L’Ill.mo e Rev.mo Monsignor D. Isidoro Sanchez de Luna Patrizio Napolitano Vescovo di questa Regia Città d’Ariano…. Possiede la sua Mensa Vescovile il diruto, e distrutto Feudo di S. Eleuterio inclusovi li territorii di S. Donato della Sprinia di Trelupoli della Starza di Pesco Fracito, delle Macchiarelle, delle Ficocelle dello Scannaturo, Costa delle Rose, Serra delle Torse, del Valloncello del Greco, delle Falceta, dello Gesso, di Gonnella e Macchiacupa, confinato colli seguenti confini, cominciando dà quella strada, che và à Troia, seù al Monte S. Angelo, e lascia detta strada, e cala per mezzo il varricello, che cala per l’Aspretella detta le Portelle, e discende al Vallone, che viene dalla Fontana di S. Maria detta delle Cammarelle, dove era anticamente lo Spitale, e tira per quel Vallone per finche giunge à Miscano…. e và nella via publica, che viene dalla Città d’Ariano, e AEQVVM TVTICVM và in Puglia….ed altri fini di capacità Tumoli dico sei mila ottocento trenta nove….”. Le strade che andavano in Puglia, quindi, erano due, entrambe venivano da Benevento e portavano agli antichi e famosi santuari innanzi ricordati; una attraversava la Città di Ariano, l’altra il territorio dove una volta sorgeva la Città di Aequum Tuticum, entrambe erano servite da un Ospedale. L’Ospedale sulla Via Appia, crediamo dovesse sorgere nelle vicinanze del Vallone che da S. Eleuterio scende al Miscano, solcando i terreni della Masseria di Macchiacupa, dove attualmente sorge un’omonima azienda agrituristica. Il termine “Cammarelle” ci riporta al periodo romano e si riferisce alle “Cammare”, cioè ai locali che venivano realizzati per contenere l’acqua che alimentava le fontane. Si fermò S. Francesco, venendo da Benevento, nell’Ospedale di S. Giacomo, all’ingresso della Città di Ariano, oppure nell’Ospedale nei pressi della “Fontana di S. Maria delle Cammarelle” nel territorio di S. Eleuterio? Forse, questo non lo sapremo mai. Resta un’unica certezza: l’Ospedale ad Aequum Tuticum era situato in un posto di una notevole importanza, derivata certamente dalla presenza di una ristoratrice e preziosa “fonte”. Non potrebbe essere la “Fontana di S. Maria delle Cammarelle”, la famosa “Camera” di S. Eleuterio che delimita il nuovo territorio assegnato alla Città di Troia, nel Diploma dell’anno 1024 degli Imperatori di Oriente Besilio e Costantino, inviato ai Conti di Ariano? “Scilipet incipit a Camera Sancti Eleuterii, et vadit ad locum, qui vocatur bitruscellum, et inde iuxta fluvium descendendo vadit….”. Renato Stopani, nel suo lavoro, “ La via Francigena del Sud – L’Appia Traiana nel Medioevo”, nella “Camera” di S. Eleuterio, intravede una dogana. Una qualche conferma, invece, a quanto da noi asserito, la ricaviamo da altro documento del 1039 dei Principi di Benevento Pandolfo II e Landolfo IV, ove si concede al Conte Potone di riedificare Greci, descrivendo il limite del territorio: “Idest ab Arcu qui dicitur Sancti Lauteri, 26 Storia di Ariano et quomodo vadit per ipsa Strada ad Sancta Maria de Ospitale….” In ogni caso, risulta evidente che l’Ospedale a S. Eleuterio sorgeva nei pressi della Fontana di S. Maria e che lo stesso esisteva già all’inizio del secondo millennio. Non sempre la ricerca, anche se appassionata e coinvolgente, riesce a diradare dubbi e incertezze; questo quando si tenta di ipotizzare basandosi su una documentazione scarna e frammentaria. È bene, quindi, che nel prosieguo del lavoro si lascino parlare i documenti, i quali, solamente, chiariranno le nostre richieste. Ariano aveva nel suo vasto territorio più Ospedali e questo conferma l’importante ruolo svolto da una Città considerevole, ritenuta “Capo giornata de tutti li viandanti, et negotianti… che vanno et vieneno da Puglia à Napoli, et altri luochi”.(4) Sappiamo con certezza della presenza dell’ “Ospedale di quelli, che soffrivano l’infermità del fuoco sacro” annesso alla Chiesa della Commenda dell’Ordine di S. Antonio Abate, situato all’uscita della Guardia, fuori la porta di S. Maria di Costantinopoli. È documentata la presenza dell’Ospe- dale detto di “S. Lazaro”, ove “si ricevevano gl’infermi Leprosi”, che sorgeva fuori della cinta muraria cittadina, sempre sulla Strada Regia, annesso alla Chiesa di S. Maria Maddalena, che regalò il nome alla Fontana e al prossimo ponte. Di questi ricoveri possediamo solo poche notizie, mentre un copioso carteggio riguardante l’ Ospedale di S. Giacomo è in nostro possesso. I documenti consultati sono: a) “Li conti della Confraternita di S. Giacomo, et suo Hospidale dall’anno 1641 intrante ’42 al settembre 1681”. - Archivio di famiglia b) “Defonti nel Ospidale di S. Giacomo dal 1692 al 1700”. - Archivio Museo Civico - donazione Ass. Amici del Museo c) Innumerevoli testamenti di “Lasciti al Sacro Ospedale, Chiesa e Confraternita di S. Giacomo di Ariano” datati dal 1641 a tutto il 1700. - Archivio di famiglia Per ciò che riguarda i lasciti testamentari alla “Confraternita di S. Giacomo” ci piace riportare in parte, per la sua singolarità, 4) Causa tra il Venerabile Monastero di Santa Croce dell’Ordine dei Predicatori (S. Domenico) e Camillo Sanfelice - manoscritto, pag. 29 - A.D. 1591 - Archivio Museo Civico. AEQVVM TVTICVM 27 Storia di Ariano quello di Terminio Ferduto, Teologo, Legale, Scienziato, Professore di Matematica, Canonico e Arciprete della Cattedrale di Ariano, datato 2 Ottobre 1641, rogato dal notaio Simone Berardi di Ariano. Il documento venne visionato anche da Tommaso Vitale che lo riportò nella sua storia a pag. 236. Il nostro maggiore, stranamente, lo data al “primo febraro 1641” e mette il “Rione della Strada” al posto di S. Angelo e S. Nicola. Lo riportiamo in copia, in alto, e trascriviamo l’ordine imposto dal Ferduto: “…..Mandare ogni sera in perpetuo, due persone per la Città predetta, con Il Campanello, ed annunciare à tutti, che si ricordino di quelle benedette anime, che sono in Purgatorio, con dirli un Pater Noster, et una Ave Maria, ò farle altre Orationi, et dette due Persone, Una ne debia andare dalla Piazza verso Santo Angelo, et Santo Nicola, et l’altro AEQVVM TVTICVM dalla Piazza verso Santo Pietro, di modo, che si circondi tutta la città…”. Grazie alle numerose donazioni l’Ospedale di S. Giacomo, godeva di buoni capitali e numerose proprietà; il tutto veniva amministrato dai Priori e “cascieri”, i quali annualmente rendevano conto del proprio operato ad un “Rationale” eletto “dall’ Ill.mo et Rev.mo Mons. mio Vescovo della Città” il quale doveva “videre significare, calculare, et determinare li conti della Ven.le Confraternita della S.ma Trinita contratta dentro la Ven. le Chiesa di San Giacomo, et suo Hospidale”. “Li conti” venivano visionati in modo scrupoloso e niente sfuggiva all’accurato controllo del “Rationale”. Nell’anno “1676 et 1677” presenta il “R.do Don Giovanni Mercorello Priore, e Casciero al Rationale Don Domenico Bruno, eletto à vedere li conti, uno libretto d’Introito ed Esito della detta Chiesa”. 28 Storia di Ariano Don Domenico procede al controllo e accerta che mancano all’appello 48 ducati, 3 tarì e 2 grana. Si compila quindi il presente verbale: “Resta debitore detto Don Giovanni 48.3.2. Et perche detto Don Giovanni Mercorello delli detti docati quarant’otto, tarì tre, e grana due, che resta debitore à detta chiesa di S. Giacomo, se ni trova havervi imprestati docati trent’otto, et tarì dui al Sig. Gioseppe Perellis suo Compagno Priore, et non havendosi ritrovato detto Sig. Gioseppe denari pronti, hà riposto alla Cascia de depositi che si conserva nel monasterio delle R.de Monache di questa Città in luogo di detti docati trent’otto e tarì dui, uno pegno, cioè uno…di Rubini, incastrati in oro di trenta nove maglie à tre, et una nova similmente di rubini in oro di peso ambe due onze tre et una quarta, in due veste di velluto cremesino, questo pegno è stato riposto di consenso di me Ill.mo, et del Sig. Vicario, questi hanno ordinato, che ogni volta non fusse sufficiente per il detto prezzo, sia obligato, et tenuto al di più che vi mancasse il detto Don Giovanni Mercorello. Ordinando che l’altri docati dieci AEQVVM TVTICVM et un tarì, e grana due, à complimento di detta significatoria li consegni all’ hodierno Priore di detta Confraternita frà duoi mesi, havendo mira, che deve esigere alcune partite aggregateli, come dal presente conto e così dicemo, condendamo, et significamo. Ariani die 22 mensis 7 bris 1678 D. Domenicus Brunus Cancell”. Successivamente, senza data, a margine del verbale troviamo così riportato: “Li detti docati trent’otto, et tarì dui che doveva il detto Don Sig. Gioseppe de Perellis sono stati pagati dal detto Sig. de Perellis et hà repigliato il detto pegno in suo potere, che haveva posto alla Cascia, et resta discaricato detto Rev. Don Giovanni Mercorello, questi docati trent’otto, et tarì dui sono stati depositati in detta Cascia, dove stava detto pegno”. Non passano i due mesi concessi al vecchio priore Don Giovanni per mettere ordine nei conteggi; infatti in data 30 8bre 1678 viene così registrato: “Se declara per me Don Vicenzo Goccia olim Priore et Casciero della Venerabile 29 Storia di Ariano Chiesa di Santo Giacomo della Città d’Ariano havere ricevuto dal R.do Don Giovanni Mercorello Antecessore Priore di detta Chiesa docati dieci tarì due, e grana due quanti sono per la sua significatoria questo è stata aggregata nelli miei conti, che in fede”. In modo puntiglioso, quindi il “Casciere” era tenuto ad annotare annualmente gli “Introiti” e gli “Esiti”. Le entrate provenivano dagli “introiti di grano” e dai denari dei fitti di terreni, vigne, case, “poteche”, “magazzeni”, forni e grotte. Queste alcune entrate dalle proprietà: “Antonio di preta pulcina per la grotta diruta teneva in affitto” “Herede di Boetio Barbangelo per la casa à S. Giovanni de guisi” “Lonardo Giorgione Herede di Camilla maraffina per la Vigna à Viaggiano” “Herede di Camilla goccia per la casa à S. Nicola diruta” “Francesco Mercoriello per la Vigna allo pisciariello e terreno vacuo” “Per la Vigna, fù del quondam Detio Maraffino à S. Pietro de reclusis” “Iacovo balestra per la casa alla parrocchia AEQVVM TVTICVM della piazza” “Lonardo Mortillo per lo censo alla potecha alli cretari” “Heredi di Francesco impara per la Casa a Santo Nicola” “Herede D’Attinio Cera per la Vigna à Santa Maria à Valle” “Herede d’Isabella scapperotta per la Vigna à Tranzano” “Herede della M.ca Isabella Corso per la Casa à S. Giovanni de Guisi” “Lorenzo di Stefano per la Vigna à viggiano” “Bartolomeo Falcone per le terre alla petrara” “Herede di Gioseppe Scapperrotta per la Vigna alle Carpinara” “Herede di Catharina di Tansa per la Vigna a ponnola” “Otho, et Ottavio Iannicoli per la Vigna alla festola”. Ecc. Alle entrate normali si sommavano le entrate “straordinarie”. Erano i denari “fatti con il tocco del campanello, che va in giro per la Città la sera 30 Storia di Ariano per l’anime del Purgatorio”, “Per lo tocco del Campanello in poche volte, per non essersi ritrovato chi vi andasse di continuo”. A questi si sommavano i proventi “della Carità fatta nella Cascetta della Chiesa e fuora” e quelli ricavati dalla vendita delle cose appartenute ai pellegrini morti nell’ospedale: “per spoglie vecchie delli pellegrini morti in detto Hospitale, vendute”. Altra entrata veniva dal grano che si introitava andando per “ la cerca nel mese di Agosto per l’aire” e successivamente venduto. Tutto quello che si riusciva ad incamerare veniva speso, in parte, per gestire l’ospedale, manutenere lo stesso e “pagare l’ hospidaliero”, per la Chiesa, il “Sachristano”, per la manutenzione dei beni immobili e dato in elemosina: “Per lavatura de camise, e tovaglie, cenere legna e sapone” - “per due some di carboni” - “per due lampe e lamparuli” “Dato quattro pignate d’oglio all’Ospidaliero” - “Per un quarto di sale” - “Per cinquanta cinque…di lana per li matarazzi all’Hospitale à…22 lo cantaro” - “Per otto canne di tela per fare li matarazzi e per cositura” - “Per quattro seggie Bagnolese per le camere de sacerdoti”- “Per repezzare matarazzi, empirli, et pontiarli, et spao , et filo” - “Per fattura, tavole, et chiodi per due seggiette per comodità delli malati à Mastro Lonardo Giorgione” - “ A di 12 Settembre comparato quattro tavoli di Castagni per la porta della Sala”- “et più per chiodi, vertecchie grosse, et piccole che sono servite per le fenestre” - “ et più per tre antifittoli di castagno” - “ et più per due canne di tavole di chiuppo per le fenestre” - “A Mastro Lonardo Giorgione per il portone Nuovo fatto nell’ Hospidale con sue tavole, antefittoli e mastria” – “ Per compra di mezza canna di tavole per far la finestra Nuova nella Cammarona de poveri” - “Per accomodare lo maschio allo Spedale alla porta della Sala, camere, stipi, e cascie, ferro, e fattura” - “Per compra di 120 imbreci posti nel tetto della Chiesa, per rivoltatura di quello, carriatura d’arena, et acqua, compra d’uno sacco di calce, e salario di Mastro Giuseppe fabricatore e per compra di vino dato a detti Mri” - “Spese fatte nella fabrica AEQVVM TVTICVM del muro della strada sotto la Chiesa di S. Giacomo fatte per ordine e consenso della R.da Corte D’Ariano” - “Per pagamento di mastria alli fabricatori d’Atripalda per la fabrica del muro della via sotto la Chiesa dove si dice li Petanari” - “ Per due giornate di Gianuario Pagliaro à pianare lo fosso avanti la Chiesa” - “Per due giornate à cavare rena per finire lo muro avanti la Chiesa ” - “Per due giornate a cavare pietre” - “Per una giornata a cavare bricci” - “Per lavature di bianchiaria della Chiesa” - “Per accomodare la porta dello reliquiario” - “Per sovenire un povero in detto Hospidale, comprato una coperta usata” - “Per robbe di spetiaria, e magnare per uno Infermo per otto giorni” - “Speso per l’Eremita di S. Antonio per due galline et altre robbe comprate” - “Per potatura della vigna alla Carpenara teneva Giuditta Ippolito” - “Per rivoltatura delli tetti delli Magazzeni tiene Cesare Castagnuozzo” - “Dato elemosinaliter ad una povera inferma” - “Dato ad una ciecha” - “Dato ad uno stroppiato” - “Ad una povera vedova” - “Dato ad uno sacerdote convalescente” - “Dato ad una stroppiata” “Per maritaggio d’una povera” - “Per uno paro di scarpe, et di calzette fatte per ordine di Mons. Ill.mo ad uno povero” - “Ad una povera donna vergognosa” - “Portato uno povero pezzente a Savignano” - “Per una gallina per uno soldato ferito, per zuccaro, conserva, panelle,et ova per il detto” - “Dato alli Canonici di S. Angelo per li funerali di Frà Giovanni Battista Romito di S. Antonio morto in detto Hospidale”. Mentre si davano elemosine anche agli ebrei convertiti (“dato di carità à diversi ebrei fatti Christiani”), il resto dei proventi veniva speso per curare i pellegrini ammalati, seppellirli in caso di morte, oppure accompagnarli a Grottaminarda o a Savignano a cavallo, quindi fuori il territorio della Città, dopo la loro guarigione. Per dare un’ idea più precisa di come annualmente si tenevano i vari conteggi, riportiamo, quale campione le spese generali dell’anno 1677 e le spese per gli Infermi dell’anno 1659 e 60. Spese dell’anno 1677 (ducati - tarì - grana): - Per la cerca per vettura di bestie 2 - Per spese per detta cerca 0. 2. 10 31 Storia di Ariano - Per vettura di due sacchi di grano dall’Aire 0. 1. 0 - Per carità ad un povero 0. 1. 10 - Per rivoltare l’hospidale (per riparare il tetto) 1 - Per affitto di cavalcatura per mandare un povero alla grotta 0. 1. 0 - Per li funerali del quondam Cesare Spadolatore 0. 2. 5 - Dato à Don Giacchino Perillo per venti messe celebrate per l’obblighi di detta chiesa 2 - Per li funerali di Giovan Battista della Cava alli Canonici di S. Angelo 0. 2. 5 - Per dieci libre di Cera per la Chiesa 3 - Per un secchione consegnato dal Dr. Giuseppe di Leone, che servì per la fabbrica 0. 4. 0 - Per li funerali di Giovan Battista Greco 0. 2. 5 - Per un quarto di sale all’hospidalera 0. 3. 0 - Mandato uno povero à Cavallo sino alla Grotta 0. 1. 0 - Per una libra di cera a Monsignor, e mezza libra al Signor Vicario per il candelabro 0. 2. 5 - Per quattro pignate d’oglio all’hospidalera 0. 4. 0 - Per tre libre di cera al Sachristano maggiore per la settuagesima 0. 4. 10 - Per li funerali di Giovanni Catanzaro di Grignano 0. 2. 5 - Pagato à Margarita per accomodare le lenzola vecchie dell’hospidale 0. 1. 0 - Speso per canne 30 di panno bianco per fare lenzola, e saccone per il passaggio dell’Anno Santo 8. 1. 10 - Per cusire detti sacconi, e filo 0. 3. 5 - Per li funerali del quondam Desiderio Peregrino 0. 2. 5 - Per li funerali d’Agostino di Castellaneta 0. 2. 5 - Mandato à Savignano il Francesco Cappelletto stroppiato 0. 1. 10 - Speso per il detto all’hospidale nella sua Infermità 0. 0. 12 - Al Commissario della fabrica per la visita delle messe 0. 2. 10 - Mandato un povero sino alla grotta 0. 1. 0 - Per li funerali di Dianora Petrosina 0. 2. 5 - Mandato alla grotte Francesco di Quintilio 0. 1. 0 - Mandato alla grotte Antonio di Gravina 0. 1. 0 - Mandato à Savignano Perna di Intio 0. 1. 10 AEQVVM TVTICVM - Mandato alle grotte minarda Domenico Bosco stroppiato 0. 1. 0 - Per otto libre di cera per l’anniversarii e messe 2. 2. 0 - Pagato per Carità dell’oblighi di detta Chiesa et Anniversarii docati 20. 20 - Per le litanie di tutti li Sabati dell’Anno 4 - Per servizio dello Sachristano 8 - Speso alla festa della S.S.ma Trinità tre libre di sei Torcie di mezza libra l’una 0. 4. 10 - Per la recreazione fatta alli musici 0. 1. 10 - Pagato à Carlo Bilotta per lucerne, et Arciola per la processione della Confraternita di S. Pietro in Galatia, che andò a Roma 0. 1. 15 - Pagato ad Aurelia di Furia per pane per li detti 0. 2. 0 - Speso per ova 0. 1. 0 - Speso per dui palii di pelluzza venuti da Napoli 3. 3. 0 - Per due coppole, e due ozzane di strenghe per la corsa à maestro Geronimo Bevere per la corsa de peccerilli 0. 2. 0 - Per tre libre di Cera di mezza libra l’una per detta festa 0. 4. 10 - Per recreazione alli preti, e musici 0. 2. 15 - Per il cenzo al Capitolo 1. 2. 10 - Alli canonici di S. Angelo per il solito cenzo 0. 3. 0 - Alli detti canonici per cinque libre di cera solite 1. 2. 10 - Pagato alla lavannara tutto l’anno 3 - Speso alla festa di S. Lorenzo tre libre di cera di mezza libra l’una 0. 4. 10 - Per incenzo per tutto l’anno 0. 1. 10 - Pagato al R. D. Vincenzo Randolfo per le musiche delle feste della Chiesa et esposizione del S.S.mo 6 - Per 500 imbrici per l’hospidale per coprire lo magazzeno nuovo 5 - Per le pietre di D. Francesco Ferrato 1 - Per carriatura di dette pietre 0. 4. 15 - Per carriare arena 0. 3. 10 - Per carriare la calce dal magazzeno 0. 0. 10 - Per chiodi 0. 0. 3 - Per una canna, e 5 palmi di pietre comprate da Dezio Feriero pagate à Chiuchiolo 1. 2. 10 - Per carriatura di dette pietre 0. 3. 15 - Per tre canne di tavole comprate da Lucrezia Bilotta 2. 3. 10 - Per un’altra canna, e mezza 1. 1. 15 - Dato a mastro Lonardo Giorgione per coprire il tetto del magazzeno nuovo, e 32 Storia di Ariano travicelli suoi 5 - Per saglire li travi grossi al detto tetto 0. 1. 0 - Dato a mastro Fulvio, e mastro Giacomo d’Agostino fabricatori per mastria dell’hospidale 2. 1. 5 - Per un’altra canna di tavole dal S. Ciardi 0. 4. 10 - Per saglire l’imbrici al tetto 0. 1. 0 - Per 58 chiodi 0. 0. 12 - Per visura del presente conto 1. 2. 10 Spese fatte per l’Infermi, che sono venuti all’hospidale dell’anno 1659, et 60: - Speso per Antonio d’aquaviva ammalato per sei giorni chi sti all’hospidale 0. 1. 15 - et per mandarlo alla grotte à cavallo 0. 1. 0 - Speso per Fabio di Bitonta ammalato 0. 2. 0 - et per mandarlo à Savignano à cavallo 0. 1. 0 - Speso per una monaca spagnola ammalata 0. 1. 5 - Per Antonio glorioso di Caserta ammalato speso in quindeci giorni carlini sette, et duoi carlini per mandarlo à cavallo alla grotte 0. 4. 10 - Speso per Caterina Albanese di Foggia ammalata quindeci giorni 0. 4. 0 - Pagato alli RR. di Canonici di S. Angelo per l’officio et Messa cantata per detta Caterina, che passò à meglior vita, et si sepelì alla Chiesa di S. Giacomo à 14 d’ottobre 0. 2. 0 - Speso per Antonio Flamingo ammalato 10 giorni 0. 2. 15 - A di 3 d’Aprile passato à meglior vita, et sepolto in S. Giacomo, dato alli RR. di Canonici di S. Angelo per l’officio, et Messa Cantata 0. 2. 0 - Dato ad uno povero per Carità 0. 1. 0 - Per Lonardo di Betonta ammalato 10 giorni 0. 2. 10 - A 7 d’Aprile passato à meglior vita, per l’officio,e Messa Cantata alli Canonici di S. Angelo 0. 2. 0 - Per Giuseppe di Betonta ammalato speso 0. 0. 15 - A di 13 detto partito à Cavallo per la grotte 0. 1. 0 - Speso per Isabella Cassano ammalata 0. 1. 10 - Per la cavalcatura sino alla grotte 0. 1. 0 - Per Ludovico di Bisceglie per una sera speso et mandarlo à Cavallo alla grotte 0. 1. 5 AEQVVM TVTICVM - Per Andrea di Taranto per mandarlo à cavallo alla grotte,et per la sera 0. 1. 5 - Per Antonio della Cidogna ammalato speso per la sera, et per mandarlo alla grotte à cavallo 0. 1. 5 - Per Sabatino d’Acqua viva Ammalato, per la sera et mandarlo à cavallo per Savignano 0. 1. 5 - Per Margarita Sagnano ammalata speso 0. 0. 5 - Per la detta per mandarla à cavallo alla grotte 0. 1. 0 - Per Desiata di Bamanico ammalata speso per giorni quattro, et per mandarla alla grotte à cavallo 0. 2. 0 - Per Antonio di Luia ammalato speso per giorni 10 0. 3. 0 - et mandarlo à cavallo alla grotte 0. 1. 0 - Per Ludovico di Ruo ammalato speso 0. 1. 5 - et per mandarlo alle grotte à cavallo 0. 1. 0 - Per Antonio di Betonta ammalato speso 0. 1. 10 - Dato alli Canonici di S. Angelo per l’officio et Messa Cantata per sepelire detto Antonio passato a meglior vita à 23 maggio 0. 2. 0 - Per Lonardo di Ruo ammalato per la sagnia per giorni sette stato in detto hospidale, speso 0. 2. 0 - Per mandarlo à Cavallo alla grotte 0. 1. 0 - Per Antonia Spagnola ammalata speso in giorni undici 0. 3. 5 - Per mandarla alla grotte à cavallo 0. 1. 0 - Per Vicenzo Cardinale speso per giorni dieci, et per una gallina, et Insagnia 0. 4. 10 - Per mandarlo à cavallo alla grotte 0. 1. 0 - Datoli elemosinaliter 0. 1. 0 - Per Gioseppe Cassano ammalato per spese giorni dodici et per una Insania, et gallina 1. 0. 0 - Per mandarlo à cavallo à Savignano 0. 1. 0 - Per Gioseppe Rusciello ammalato speso in giorni sette 0. 2. 0 - Per mandarlo à Cavallo à Savignano 0. 1. 0 - Per Andrea della Torella Ammalato giorni sei 0. 1. 15 - Per mandarlo à Cavallo alla grotte minarda 0. 1. 0 - Per Antonio Agnelillo di Serino per giorni sei ammalato speso 0. 1. 10 - Per mandarlo à Cavallo alla grotte 0. 1. 0 - Speso per Il reliquiario d’ Argento fatto in Napoli, ed La portatura del Procaccia 25 33 Storia di Ariano - Per il parato paonazzo con le strene, et …..et fattura 7. 2. 10 - Per sette giornate che il R. Don Carlo Manieri andò in Napoli per fare detto reliquiario, et parato per cavalcatura, e spese per esso 4. 0. 0 - Dato alli corritori perché non si fece la corsa, per le loro giornate 0. 4. 0 - Per carriatura di tre sacchi di grano, et carlini tre per complimento della cerca 0. 3. 0 - Per cagnatura di docati trenta per il reliquiario 1. 1. 0 - Per il porto di docati sei mandati in Napoli per il detto reliquiario ed la Letra 0. 1. 0 - Per la visura, et letta lata del presente conto 1. 2. 10 Dalla lettura del voluminoso registro dei conti, composto di 231 pagine, (le pag. effettive sono 462, perché la numerazione riporta solo una pagina, mentre la successiva si individua con la sigla 1at-2at-3at, cioè a tergo) risulta evidente che gli ospiti del “S. Giacomo di Ariano”, sono tutti forestieri. La conferma la ricaviamo anche dal registro dei “Defonti nell’ Ospidale di S. Giacomo” dal 1692. Riportiamo, in parte, qualche registrazione, soffermandoci principalmente sulla patria dei vari “non più”. “Anno Domini 1692 die vero 20 Mensis Iulij Leonardus Antonius de Chiana Civitatis Trani etatis sue annorum. 17 ut ipse dissit In Ospidali S.ti Iacobi Civitatis Ariani in Communione S.te Matris Ecc. Anima sua Deo redidit e à me Don Domenico Severino Vicario Curato….fuit confessus et SS.mo Eucaristie Sacramento refettus….in pred.ta Ecc. a S.ti Iacobi. - Lonardo Antonio di Chiana anni 17 - Trani - Rocco Mia Paglia - anni 18 - Napoli - Maria Vardara, vedova di Giovan Battista Cioffo - anni 71 - Bisceglia - Antonia Pannicella, vedova di Antonio Russo - anni 53 - Napoli - Giovanni Antonio di Lagnione - anni 17 Mole di Bari - Pietro Antonio di Graziano - anni 20 - Napoli - Giovanni di Creo - anni 27 - Gravine - Francesco Narcise - anni 28 - Campo bascio - Vittoria Papa Antonia - anni 56 - Quarate - Tommaso Moscia - anni 80 - Lucia Lumarda - anni 43 - Foggia AEQVVM TVTICVM - Catarina Diacinto Ciciliano - anni 62 Montuone - Ursola Strigliano - anni 45 - Rapole (Matera) - Pietro Russo - anni 50 - Piemonte di Savoia A questo punto l’elenco porta la seguente, sconcertante, dicitura: - Die decimo mensis Januarij 1697 obijt mulier muta a nativitate etatis sue annorum duodecim circiter, cuius nome cognome, et patria nescit, sepulta fuit in Eclesia S. Iacobbi. (Il giorno dieci di Gennaio 1697 morì una ragazza muta di età di circa 12 anni, il suo nome, cognome e patria non si conosce, fu sepolta nella Chiesa di S. Giacomo). - Francesco Scapato - anni 60 - Castellaneta - Pietro Morel “ex Silla ex Provincia Flandrie etatis sue annorum sexaginta circiter anima Deo redidit confessus per signa, stante impedimento lingua” (di circa sessanta anni, rese l’anima a Dio, dopo essersi confessato per segni, visto che non poteva parlare) - Francesca - anni 60 - S. Feli - Antonio Settecoppa - anni 60 - S. Severino - Michele Forsimo - anni 65 - Bononiense - Pasquale - anni 25 - Chiusano - Matteo Antonuccio - 25 anni - Ginestra - Giovanni de Bernardo - 60 anni - Brindisi - Francesco Parenteri - anni 75 - Catanzaro civitate calabrie - Giovanni Battista Bagnastro - anni 14 - Genovese di Oppido Zuccarani - Sebastiano Fiorentino - anni 50 - Barletta - Urbano Barbiero - anni 40 - d’Ammien Apicardi Sally Ma non rendevano l’anima a Dio solo gli adulti, anche i “Piccerilli Defonti” dal “Santo Iacono” ritornavano nella gloria del Paradiso: “Anno Dni 1692 die vero 3 Mensis Martij Francesca Tortorella filia qm. Santi et Elisabetta Piatrore terre Fogia etatis sue annorum 4 circiter anima deo redidit cum paradisi gloria ….eius Corpus sepultus est in Ecclesia S.ti Iacobi… in ospitali” Tanti erano i pellegrini che lasciavano le proprie spoglie nelle sepolture della Chiesa di S. Giacomo di Ariano, ma non era facile procurarsi le necessarie autorizzazioni per acquisire l’ultima dimora. Si doveva, infatti, dimostrare che il defunto si era confessato, comunicato e, ancora prima, in tempo debito doveva aver fatto il precetto Pasquale. 34 Storia di Ariano AEQVVM TVTICVM 35 Storia di Ariano Il pellegrino, quindi, prima di incamminarsi doveva avere cura di ottenere alcune certificazioni dal parroco, perché il viaggio poteva sempre serbare brutte sorprese: la mancanza della “patente”, da appiedato, non gli avrebbe permesso di essere sepolto in luogo sacro. Evidenziano, quanto sopra detto, i due documenti che seguono: - “Catarina di Vitto humilissima serva di V.S. Rev.ma ed suppliche ed espone, come Baldassaro Miano suo marito è passato dà questa à meglior vita senza sacramenti, e per che il detto suo qm. marito supplica VS. Rev.ma degnarsi ordinare al Vicario Curato che li diano Ecclesiastica sepoltura”. 14 novembre 1699 “Anno domini 1699 die vero p.ma novembris Ariani Franciscus Parenteri ex Catanzaro Civitate Calabrie etatis sue annorum septuaginta quinque anima Deo reddidit in Hospitali huius Civitatis non confessus, quia subito obijt, sed habita licentia à Rev. ma Curia...de sepeliendo eius cadavere, cui constitit de precepto Paschali....alijs confessionibus, ut eius cartule plenà faciebant fidè, cuius corpus sepultù fuit in Ecclesia S.ti Iacobi huius civitatis” - “Anno del Signore 1699 il giorno 1° novembre in Ariano Francesco Parenteri di Catanzaro Città di Calabria di anni 75 ha reso l’anima a Dio nell’ospedale di questa Città senza confessioni perché morto improvvisamente, ma ottenuto la licenza dalla Rev. ma Curia di seppellire il suo cadavere; dello stesso consta l’avvenuto precetto Pasquale e di altre confessioni, come faceva fede il suo documento personale; è stato sepolto nella Chiesa di S. Giacomo di questa Città”. Il monotono lavorio dell’Ospedale, puntualizzato nei vari momenti della giornata, dalle esatte registrazioni dei tanti Priori, veniva interrotto solo una volta all’anno, il giorno quando “fà S. Giacomo”, cioè il 25 del mese di luglio. In questa data si organizzava il Palio “della corsa et della lotta”, gara che vedeva competere nella corsa i “peccerilli” con “coppole e strenghe” e nella lotta gli adulti. Dopo aver bandito la festa in Città e nei paesi vicini, si allietava la stessa con moAEQVVM TVTICVM staccioli, vino, “copeta”, “sosamelli”, musica e fuochi “artificiati et fulgori”. I due “Palij”, stendardi in “pelluzza” o in “saia imperiale” venivano consegnati ai vincitori, oltre ai premi in denaro. Come si svolgevano le gare non viene fuori dai conteggi e dalle annotazioni, ma gli appunti, nei vari anni, riportati in sintesi, fanno emergere quanto sopra appena detto. Spese per il Palio: “Per li palij della Corsa, et della lotta” “Et più per trè coppole, et sei dozzane di strengne per far correre li figliuoli” “et più per li Palij di correre , et lottare” “et più per una recreazione alli Cappellani” “et più per messe dodici Celebrate nella festa di S. Iacovo” “Speso alli Palij della lotta con licenza del Sig. Vicario” “Per la Corsa delli figliuoli, due coppole, et due ozzane di strenghe” “Per accomodare il Piano della Lotta” “Per tredice messe celebrate nel dì della festa di S. Giacomo, et incenso” “Per spao, spingole, chiodi, et fonicella per parare La Chiesa” “Per due dozane di strenghe e Segalle” “Dato à Fabio Franco per tre coppole , et cingi d’ozzane di streghe per correre quando fà S. Giacomo” “Per tre Coppole, et tre dozzane di strenghe nella festa di S. Giacomo” “Per mostacciuoli, et vino alli Preti, che hanno cantato il Vespro” “Pagati alli musici per la festa di S. Iacono” “Pagato à Giovanni di Cenza per bannitura del pallio” “Per una libra di Cera quanto fù la festa di S. Giacomo” “Per una libra di mostacciuoli, e vino per la recreazione” “Per fare lo piano” “Per portare lo Cimbalo per la musica” “Per una canna di pelluzza per lo pallio” “Per due coppole, et quattro d’ozzane di strenghe in detta festa” “Per fare fare il piano per la lotta” “Vino per la lotta” “Anche il pallio è remasto à beneficio della Chiesa s’è pagata la giornata ad uno lottatore di carlini cinque” “Per le strenghe, e due coppole per la corsa 36 Storia di Ariano Conservatorio e Chiesa di S. Francesco Saverio Nicola Flammia nella “Storia della Città di Ariano” - 1893 - (pag. 151) afferma: “... il portone del parlatorio è l’antica porta della Città (della Strada) diroccata nel 1825 ... La Chiesa è piccolissima, ma ben tenuta; bella la porta identica a quella di S. Francesco, ambedue del secolo passato”. In effetti, tale Chiesa, era la cappella dell’Ospedale dei Pellegrini. La conferma la ricaviamo dalla lettura degli “esiti” dello stesso: “Per uno maschio nuovo, et chiave alla Cappella sotto l’Hospitale”. La porta “identica a quella di S. Francesco” non è “del secolo passato” (del 1700), ma del 1500. Essa è sovrapposta ad altro portale in arenaria gialla, locale, sempre del secolo XVI, il quale risulta essere l’antica porta della Cappella. Mario D’Antuono, parlando del “Portale della Chiesa di S. Francesco”, in Aequum Tuticum - n° 0 - marzo 2000, dice che “probabilmente” la porta sovrapposta è “proveniente dalla prossima Chiesa di S. Giacomo”. AEQVVM TVTICVM 37 Storia di Ariano delli piccerilli” “Per dui palij nella festa di S. Giacomo per la lotta, e corsa di palmi per X l’uno di saia imperiale” “Per li soni alla festa di S. Giacomo” “Speso di soni, et fulgori sparati in detta festa” “Per la polve delli soni sparati in detta festa” “Speso per dui palij nella festa di S. Giacomo uno di saia imperiale, et l’altro di pelluzza” “Per tuoni de polvere sparata nella festa” “Speso per fare la festa di S. Giacomo per dieci palmi di pelluzza per il pallio della lotta” “Per tanti sosamelli comprati et per vino” “Per bandire li palij in Gesualdo” “Per due coppole, e tre d’ozzane di strenghe per la corsa delli peccerilli” “Dato al giurato per bandire il pallio per la Città” “Per 15 mostacciuoli comprati dalle Monache per la colazione alli preti” “Per due libre di Copeta” “Al maestro di Capp.a D. Gregorio Cioffo per la Musica in detta festa” “Per compra di vino in detta recreazione, et per la lotta” “Per sue fatiche in parare la Chiesa in detta festa di S. Giacomo” “A 24 Luglio per compra de palij per la lotta, e corsa nella festa di S. Giacomo secondo il solito” “Al cursore Luca Piccerillo per bandire li palij” “Per li pallij della lotta, e corsa nella festa di S. Giacomo” “Per la recreatione alli musici, e preti” “Per una rosella di fuoco artificiato” “Per uno rotolo, e mezzo di polvere” “Speso per due palij di pelluzza venuti da Napoli” Finita la festa, l’ “Hospidale” riprendeva la sua incessante, febbrile, caritatevole attività, mentre i pellegrini continuavano a partire. “Partivano per espiare una colpa, per sciogliere un voto, per impetrare una grazia”. L’ Ospedale “Santo Iacono” di Ariano, era sempre lì ad attenderli, a soccorrerli, a dare loro aiuto, pronto a provvedere anche per l’eventuale ultima dimora. “Antonio quaglietta di Poli di Rima povero Infermo…come se ritrova trasportato per andare a visitare il glorioso S. Nicola di Bari, e come che se li e agravato il male il pone ad suppliche ad può partire, percio con AEQVVM TVTICVM supplica farli carità farli soministrare qualche poco di vino d’aiuto affinché si muora della fama e freddo…” Il povero Antonio poteva essere tranquillo, avrebbe visto “il glorioso S. Nicola di Bari”, il “Santo Iacono” di Ariano non avrebbe ricusato la sua ripetuta, bisognevole, supplica. Nel 1731 terminava la caritatevole e meritoria opera del “Santo Iacono”di Ariano. In questa data, come già altrove dicemmo, con il vescovo Filippo Tipaldi, si pensò di “aprire un Rifugio o Ricovero di donne pentite, le quali trovassero nel lavoro e nel ritiro l’espiazione e la riabilitazione della passata condotta. Si prese possesso di tutto il locale dell’Ospedale dei Pellegrini, confinando questo in una casuccia dirimpetto,… e tutto il fabbricato colle rendite ceduto alle Monache” (Flammia - pag.70). Nella nuova, poco adatta sede, l’Ospedale “restò dal principio del 1700 quasi abbandonato”. Il secolo successivo non migliorerà certo la situazione e tutto il glorioso passato dell’Ospedale dei Pellegrini di Ariano finirà nel dimenticatoio. Quanto asserito da Nicola Flammia trova piena conferma nelle poche delibere rintracciate e che riportiamo per il paziente lettore. “Anno 1866, il giorno 17 Marzo in Ariano Presidente Sindaco Franza Domenico Il presidente à invitato il Consiglio ad esaminare l’andamento dell’ Amministrazione di questo Spedale Circondariale e vederne i conti, giacchè sono per decorrere sette anni che stà chiuso, e non si sà l’uso fatto dell’annua rendita in circa £ 400. Il Consiglio intesa la proposta del Sindaco, all’unanimità di voti nomina una commissione…la quale rivedrà i conti, verificherà l’andamento dell’Amministrazione e solleciterà l’apertura dello Stabilimento”. “Anno 1871, il giorno 21 Settembre in Ariano Presidente l’assessore ff.da Sindaco de Miranda Francesco. Il Presidende, dopo aver dato lettura all’ Assemblea Consigliare della nota Sotto Prefettizia del 7 corrente mese di Settembre, n° 6401, che à per oggetto lo stabilimento di un assegno perpetuo a favore di questo 38 Storia di Ariano Ospedale Civile in consorzio tra la Provincia, l’Ospedale, ed il Comune, nella quantità necessaria a pareggiare coi fondi antichi dell’Opera in concorso della Provincia, l’à invitata per la sua deliberazione. Il Consiglio udita la proposta del Sindaco, e la lettura della nota anzidetta. Visto che lo stato finanziario del Comune versa in deplorevolissime condizioni, oltre un deficit di circa £.55.000; pur nondimeno informato da principi di carità Cittadina, e nel fine di vedere una volta attuato questo Pio Stabilimento, all’unanimità di voti delibera stanziarsi sul bilancio del venturo esercizio 1872 il sussidio di £.400, sperando poterlo aumentare negli anni avvenire. Farsi voti alla Deputazione Provinciale di liberare gli assegni Provinciali del 1870 e 1871, oltre quelli degli anni precedenti per farsi fronte alle spese delle suppellettili e mobilia dello Stabilimento. “L’anno 1871 il giorno sei Agosto, in Ariano, alle ore 11 a.m. Riunita la Giunta Municipale sotto Municipale sotto la presidenza del Sindaco f. fe. Sig. Francesco de Miranda. Il f.fe. da Sindaco riferisce agli adunati che al Sindaco fu riferito che vari guasti di qualche importanza si sono verificati in un muro del fabbricato che serve ad uso di Ospedale in questa Città. La Giunta intesa la relazione del Sindaco delibera all’unanimità d’incaricare l’Assessore delegato alla Polizia urbana Sig. Felice Mazza,onde insieme ad un muratore di sua fiducia si rechi sopra luogo, osservi ed esamini l’esamini l’entità dè restauri che dovranno farsi; la spesa che vi potra occorrere, e quindi su tutto riferisca”. “Dal 1888”, dice ancora il nostro benemerito concittadino Flammia, tanto da noi stimato per il suo carattere energico e battagliero, “si cominciò a pensare di ridurlo in forma conveniente, perché era una vergogna per la 2a città della Provincia non avere un nosocomio. Così, con un poco di buona volontà, si riuscì a racimolare le rendite di alcune cappellanie che erano soppresse, quelle di S. Oto, del Corpo di Cristo, di S. Maria del Carmine (14 aprile 1890). La ProAEQVVM TVTICVM vincia assegnò £. 2000 annue, il Comune £. 800. Le rendite patrimoniali oggi sono arrivate a £. 584, cosicché la Congrega di Carità dispone di £ 3.384. Sono assegnati 10 letti. Il locale è stato quasi rifatto con salette pulite, arieggiate, cucina interna, un armadio farmaceutico, uno chirurgico, mobilio, biancheria, archivio, sala Dermofilopatica, ufficio di Presidenza. Vitto, razione ordinaria del mattino, vaccina - lessa grammi 150, pastina grammi 100, pane grammi 400, vino decilitri 3, arrosto grammi 100”. Questo, ciò che riferisce il Flammia nel 1893. Ma appena dopo pochi anni, siamo nel 1902, il consigliere comunale Risi osserva a proposito di un contributo che il Consiglio vuole elargire all’Ospedale: “A che questo sussidio se l’ospedale è chiuso? Il Presidente Maresca fa notare che è aperto e che contiene ora tre ammalati. Risi osserva che, stante l’esiguo numero degli ammalati, può conchiudersi che l’Ospedale sia mantenuto dal Comune. Il Presidente risponde che è bene aiutare un’istituzione tanto necessaria ed utile al paese”. I commenti risultano superflui, l’Ospedale funziona male e poco, tanto che qualcuno pensa di farlo divenire comunale. Per quasi due secoli le buone intenzioni si mescoleranno con l’incuria e l’abbandono; la città di Ariano dovrà attendere la seconda metà del sec. XX per avere un “pubblico istituto” degno e conveniente, nel quale “accogliere” e curare gli ammalati. Ma, altra cosa era il “Santo Iacono”. L’ ”Ospitale” di Ariano, “riceveva lo straniero”, l’accoglieva con amore, con cortesia e cordialità. In modo gratuito curava le sue eventuali alterazioni fisiche e lo accompagnava fuori dai confini cittadini appena ritornata la salute. All’“ospite”, in caso di gravissimo pericolo, si chiedeva solo “una buona morte”, il suo nome, la sua età e la sua patria per poter predisporre l’ultima accoglienza nelle buie sepolture della Chiesa di S. Giacomo. Ora, anche questo edificio consacrato al culto divino non è più; la solita politica locale, inetta e sciatta, buona solo per tessere meschine ed insignificanti faccende, decre39 Storia di Ariano tandone la scomparsa nell’ultimo quarto del secolo appena passato, confondendo reliquie, memorie e polvere nella locale discarica del Cappellone, ha reso solamente più miserevole una comunità, costretta a reinventarsi il tempo trascorso per costruire un fruttuoso e dignitoso tempo che sarà. AEQVVM TVTICVM 40 Santi Patroni Elzeario e Delfina storia d’amore e di vita di D. Donato Minelli G iovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte ricorda la commemorazione del 7 maggio 2000 “nello scenario suggestivo del Colosseo” dei “testimoni della fede nel sec. XX”: “È un’eredità da non disperdere, da consegnare ad un perenne dovere di gratitudine e a un rinnovato proposito di imitazione”. L’esortazione del papa è stata quasi una suggestiva provocazione per il nostro vescovo Gennaro Pascarella e per me, a rivolgere un’attenzione particolare alla vita di due santi coniugi, vissuti in un’epoca più remota, fine sec. XIII - inizio XIV, ma sempre vivi nella devozione dei fedeli: S. Elzeario e la B. Delfina. La prima gradita sorpresa per me è stata la visita alla cattedrale di Apt, in Provenza, quando non senza commozione ho sostato in preghiera nella cappella di S. Anna, dove si custodiscono le reliquie insigni dei due santi, oggetto di culto e di venerazione. L’altra, l’incontro con il conte Géraud de Sabran, nel castello d’Ansouis, non molto distante da Apt, dove vissero Elzeario e Delfina dopo la celebrazione del matrimonio. Il conte, che è sindaco del paese, fu molto cortese nell’accompagnarmi durante la visita al castello e nel favorirmi tante notizie storiche sulla famiglia, illustrandomi vari dipinti, tele e busti dei due santi, felicissimo d’incontrarsi la prima volta con una persona di Ariano. Interessanti gli incontri personali, o per telefono o per corrispondenza con l’arciAEQVVM TVTICVM vescovo di Avignone-Apt Mons. Raymond Buchez, al quale presentai la richiesta del nostro vescovo, perché ci concedesse alcune reliquie; con il vicario generale Mons. André Mestre, che mi consentì la consultazione degli archivi diocesani presso gli archivi dipartimentali; con il parroco della cattedrale di Apt, Eugène Carrara; con il decano del Capitolo metropolitano di Avignone, Mons. A. Reyne, che facilitò la consegna delle reliquie; con d. Daniel Brehier, parroco della collegiata di S. Agricola e S. Desiderio, dove il 5 gennaio 1371 fu letto il decreto di papa Gregorio Xl, che promulgava la bolla del predecessore Urbano V, che aveva proclamato Elzeario santo il 15 aprile 1369. Altrettanto interessanti gli incontri con il prof. André Vauchez, direttore dell’Ecole Francais di Roma, noto studioso di storia medioevale; con Mons. Michele Di Ruberto e P. Cristoforo Bove, OFMC., della S. Congregazione per le Cause dei Santi. Ho letto ed esaminato con la dovuta attenzione vari testi e studi critici pubblicati dal compianto P. Jacques Cambell, OFM, relativi ai santi coniugi. La sua opera “Vies occitanes de S. Auzias et de S. Dauphine”, edita dal Pontificio Ateneo Antoniano, Roma, 1963, ha suscitato in me grande interesse, e, nella speranza di fare cosa gradita agli arianesi, ed arricchire il patrimonio storico -culturale - religioso della diocesi, ne ho curato la traduzione in italiano. Il presidente dell’Associazione “Amici del Museo” dr. Tonino Alterio, mi ha chiesto di essere presente in questa pubblicazione Ae41 Santi Patroni quum Tuticum, dopo la giornata di studio e di celebrazioni dei due santi. Non vorrei deludere le aspettative, se a quanto sto scrivendo aggiungo solo alcuni dati biografici, rimandando alla biografia dei due santi di recente pubblicata e corredata da note esplicative, da appropriata iconografia, fotografie scattate in questi ultimi mesi, ed un’accurata e vasta bibliografia. Cenni biografici. Dati cronologici documentati: ELZEARIO: nascita: castello di Robians, vicino Ansouis 1286; morte: Parigi, 27 settembre 1323; DELFINA: nascita: Puimichel, 1284; morte: Apt, 26 novembre 1360; fidanzamento: Marsiglia, 22 novembre 1296; matrimonio: 1300; soggiorno a Napoli e ad Ariano: tra gli anni 1314 - 1316 e 1317 - 1323. Elzeario e Delfina, nati da famiglie dell’aristocrazia provenzale, all’età rispettivamente di 13 e 15 anni, furono uniti in matrimonio per motivi di ordine politico e di tutela del patrimonio, per volontà di Carlo II, conte di Provenza e re di Napoli. Sollecitato da Delfina, Elzeario accettò di astenersi da ogni rapporto carnale con lei, AEQVVM TVTICVM e fece anch’egli voto di castità, conservando la purezza verginale nella lunga vita in comune con la moglie: 23 anni e 8 mesi. Se vogliamo prestare fede al suo biografo, egli, dopo pochi anni, raggiunse tale grado di misticismo che “la sua casa sembrava più un monastero che quella di un conte” e che “la sua vita era più simile a quella di un monaco che a quella di un uomo mondano”, e già nel sec. XVIII, il 42 Santi Patroni bollandista Suyskens, nel tratteggiarne la vita negli Acta Sanstorum, parlava di un esempio “mirando potius quam imitando” (ammirevole più che imitabile). Tutti i biografi ed i testimoni al processo di canonizazione mettono in risalto questo aspetto tipico di vita coniugale verginale, ma non trascurano gli altri. Elzeario è anima profondamente mistica, alla quale Dio accorda il dono della “vita unitiva”. Egli è sempre raccolto in Dio, anche fra le attività le più impegnative. Si ammira in lui la prudenza, l’equità, l’amore verso i poveri, la sua carità faccia a faccia con gli ammalati e i lebbrosi. Delfina è animata da profonda pietà, da una volontà che niente la fa piegare e che utilizza per perseguire il suo ideale; un’umiltà che la porta ad elemosinare, dopo la morte del marito, per le strade e, soprattutto il suo zelo per le anime: consiglia, cerca di portare sollievo a tutti, di consolare, di convertire. Un esempio concreto di come vivere le “beatitudini evangeliche”: “poveri in spirito” “puri di cuore”. Purificati e sublimati dal “distacco” e dalla “rinunzia” dai beni e dai piaceri terreni, nello spirito di Cristo; alimentati dalla Comunione frequente, dalla preghiera assidua e dall’esercizio della fede-speranza - carità; trasfigurati da una vita innocente e tutta dedita all’esercizio delle “opere di misericordia” sono realmente in intima affinità con Dio Spirito e con il suo Figlio incarnato. Si è attuato in loro quanto dice S. Basilio: “Lo spirito santo, quando risplende nelle anime purificate da ogni macchia, le rende spirituali con il proprio contatto. E, come i corpi diafani, quando li colpisce un raggio di luce, diventano essi stessi risplendenti e propagatori di luce, così le anime illuminate dallo Spirito Santo, divenute spirituali, rimandano luce ad altre anime” (Trattato sullo Spirito Santo). Segni prodigiosi attirarono l’attenzione della gente durante la loro vita (guarigioni, AEQVVM TVTICVM conversioni...) e dopo la morte, così in Italia come in Provenza, tali che non si tardò a considerarli e a venerarli come Santi, così come è esplicitamente testimoniato anche nei processi di canonizzazione. La “rinunzia” il “distacco” che sembrano causa di morte, sono, al contrario, segni di “vita e di risurrezione”: generare le anime con la propria morte secondo le leggi classiche della trasmissione della vita previste da Gesù nella “parabola del buon pastore” (Gv. 10,1-22) e del “chicco di frumento, che marcisce sotterra” (Gv. 12,24). E, questa legge di “vita-risurrezione” dura sempre. Le canonizzazioni compiute da Giovanni Paolo II dicono qualcosa... “Pare incredibile, scrisse Piero Bargellini, ma la santità attrae e affascina ancora in maniera sorprendente. Si ha un bel dire che l’umanità ha perduto il sentimento religioso; che la materia soffoca lo spirito; che la cronaca nera sopravanza quella bianca; che il male soverchia il bene, e che i nostri non sono tempi di santi e neppure da semplici galantuomini. Non è vero, o per lo meno non è completamente vero. La santità è ancora un ideale sentito, o per lo meno è una pungente nostalgia. Con tutte le nostre debolezze, con tutti i nostri egoismi, con tutti i nostri peccati, siamo ancora capaci di percepire la luce e di valutare la grazia”. 43 AEQVVM TVTICVM 44 Giovanni Mazza Giovanni Mazza Abate di S. Clemente in Casauria di Emerico Maria Mazza G Abate di S. Clemente in Casauria, Barone di Alanno e Bononiano, succedendo al defunto zio Monsignor Tommaso Mazza (2). Tale carica, ritenuta incompatibile con il possesso del canonicato da Mons. Lorenzo Potenza (1722-1811), Vescovo di Ariano da 1778 al 1792, fu all’origine di contrasti tra i due prelati, sfociati in un lungo giudizio presso la Real Camera di S. Chiara in Napoli, che infine si espresse in favore dell’Abate: interessante testimonianza ne è l’opuscolo a stampa dal titolo “Ristretto delle ragioni nel iovanni Domenico Mazza nacque in Ariano il 17 aprile 1757, da Felice ed Ippolita Capano di Taurasi, e vi morì il 24 dicembre 1840. Suoi fratelli furono Giuseppe (1) (1760-1808), dottore in legge, Nicoletta (1753-1822), moglie del Patrizio Arianese Tommaso Vitale, illustre scrittore e giureconsulto e Cecilia (1755-1785), moglie di Giuseppe Clemente Iambrenghi di Candela. Canonico della Cattedrale di Ariano, fu con reale decreto dato a Napoli il 24 maggio 1787 nominato Regio 1) Giuseppe Mazza che, con il suo risoluto contegno, salvò la città di Ariano dalle minacciate rovine del Generale francese Sarazin (21 aprile 1799) – Cfr. N. Flammia “Storia della Città di Ariano dalla sua origine fino all’anno 1893” pp. 241-2, Ariano, Tip. Economico-sociale G. Marino, 1893; F. Mazza “Nuovo Diario Aranese” pp.186 - 8, Avellino, Ed. La Ginestra, 1995; Angelo Michele Iannacchini “Topografia Storica Irpina”, vol.IV, pag.162 e 163; V. Frano “La campana del Mezzodì”, n. 13, anno XVI, Scafati 27 marzo 1892. 2) Monsignor Tommaso Mazza nacque a Montemiletto il 25 novembre 1702 da Felice ed Anna Longo. Canonico ed Avvocato Fiscale della Curia di Ariano fu poi Vescovo di Ugento e di Castellamare, Abate di S. Maria di Mito e di S. Clemente in Casauria, Presidente del Tribunale Misto, Ministro Elemosiniere della Suprema Giunta degli Abusi e Prefetto dei Regi Studi. Morì in Napoli il 5 aprile 1787 ricoprendo il prestigioso incarico di Regio Cappellano Maggiore – Cfr. Catalogo dei Cappellani Maggiori del Regno di Napoli, Napoli, presso Angelo Coda, 1819 e Archivio di famiglia-. Era fratello minore di Giuseppe (1690-1759), illustre giureconsulto e Governatore di diverse città sotto il Regno di Carlo III di Borbone, che nel 1712 trapiantò la famiglia da Montemiletto in Ariano, e di Niccolò (1693-1745), che fu tra i Canonici firmatari degli Statuti Capitolari della Cattedrale di Ariano (1734) – Cfr. A. M. Iannacchini, op. cit., vol. II, pag.84 e Archivio di famiglia. AEQVVM TVTICVM 45 Giovanni Mazza motivo di diritto pel Regio Abate di Casuria contro al Vescovo di Ariano” (3), datato in Napoli 24 febbraio 1794 e curato da Mons. Vito Moccia, Vicario Generale Casauriense. Visse ed operò nella comunità locale in un periodo storico particolarmente travagliato da eventi bellici e politici, rispetto ai quali seppe mantenere sempre un atteggiamento equilibrato e mai fazioso, tutt’altro che passivo, distinguendosi anzi in più di una occasione per le indubbie qualità diplomatiche, delle quali beneficiò la cittadinanza arianese: con grande dignità e fermezza, peraltro, affrontò le noiose persecuzioni frutto della invidia e del pregiudizio che inevitabilmente conseguirono. Da “Nuovo Diario Arianese” di F. Mazza: “L’essere poi riuscito, mercè la sua valevole influenza, a salvare nel 1799 i complicati politici di Ariano dai rigori della milizia del Cardinal Fabrizio Ruffo (4) e la promozione avutasi con decreto di Gioacchino Napoleone a Primicerio della Cattedrale, gli cagionarono, in seguito agli avvenimenti del 1815, per intrighi di nemici di libertà, la perdita, in vita, della prebenda canonicale, in morte, la privazione degli onori funebri nel Duomo, dovuti ai Canonici. Ciononpertanto godè, per i suoi modi, per ascendenza, per dottrina ed attaccamento alla famiglia, la stima dei buoni ed ai suoi funerali, celebrati a cura della famiglia nella Chiesa di S. Domenico, si ebbero solennità più che ufficiale, affettuosa, per parte di tutto un popolo che ne pianse la perdita. Fu sepolto nella Cappella dei Marchesi Figlioli posta in detta chiesa e ne disse l’elogio funebre il Giudice Istruttore Sig. Giovan Vincenzo Guglielmucci” dalla cui orazione si riporta un passaggio significativo. “…Cittadino ed amico, egli preferì i moti santi del cuore ad una morale utile al solo Egoismo. La costanza de’ suoi principj, come la nobiltà di essi, non fu smentita giammai. Non la vertigine de’ partiti, non il torrente de’ poteri fermarono i di lui sentimenti, né per queste cagioni furono essi alterati. Una filosofia depurata, ma disgiunta dal fanatismo, avea fissate le di lui regole. Il 1799 fu per esso il 1815, ed il 1815 il 1820, ed a vicenda. Chi, in tale avvicendar di deliri politici, conobbe meglio che esso, vivo e sensibile, qual egli era, tutti i doveri dell’amico, e del cittadino? Chi più di lui li rispettò? Al pericolo della patria, e della pubblica pace, egli il vecchio illustre fu tutt’i momenti presente, ed in mezzo alla gioventù. All’arrivo delle amarezze, quali che fossero, del proprio amico, il sole nol precede’, le tenebre nol nascosero. L’ambizione, quella Erinni dell’Erebo, che lacera fino il cuore de’ buoni, fu vinta dal saggio di quella sapienza, che nell’introdurmi al di lui elogio vi ho dato; ed egli, l’uomo incomparabile diviso da noi, che non aveva brigato il suo posto di Abate di Casauria, ed altri nella Cattedrale di questa Città, non apprese a brigarne ancora altri; ricusò sempre anzi, quelli a’ quali Monsignor Vescovo Domenico Russo, di felice ricordanza, lo forzava…”. Della speciale considerazione e soprattutto della cordiale familiarità di cui godette l’Abate Mazza anche presso la Casa Reale, sono testimonianza due pregevoli dipinti ad olio conservati in famiglia, donatigli uno dal Re Ferdinando I con la effigie della “Mater Gratiarum”, l’altro dal Re Francesco I, ritraente il Principe D. Leopoldo Borbone, Conte di Siracusa, in tenera età (5). 3) Biblioteca del Museo Civico di Ariano a cui è stato donato. 4) F. Mazza, op. cit .e Archivio di famiglia – R.. Purcaro “Lo Spirito Arianese”, I disp., 21 luglio 1895, Tip. G. Mariano. 5) Leopoldo di Borbone-Sicilia (1813-1860), Conte di Siracusa, figlio di Francesco I e di Isabella di Spagna, dissentì sempre dalla politica del Re Ferdinando II, suo fratello, e del suo successore il Re Francesco II, suo nipote, al quale inutilmente cercò di suggerire una politica nazionale italiana – Cfr. F. Mazza, op. cit., p.168, e “Una Pagina di Storia Patria”, Napoli, R. Stabilimento Tipografico Francesco Giannini e Figli, 1927. AEQVVM TVTICVM 46 Banda Musicale Il Nuovo regolamento pel Corpo musicale di Ariano Irpino di Luigi Albanese L a Banda musicale di Ariano Irpino(1) fu sottoposta, nel corso della sua lunga attività di organo muni- cipale, ad almeno due regolamenti: il primo fu redatto nel 1883 (2), e non se ne conosce il contenuto, ed un altro nel 1895 1) Per ulteriori notizie sull’argomento v. L. Albanese, La Banda musicale di Ariano Irpino, in “Vicum”, fasc. XXXI, dic. 1999, pp. 145-147 e N. Flammia, Storia della Città di Ariano, 1893, p. 84. 2) Delibera Giunta del 1 giugno 1894, Felice Mazza, Nuovo Diario Arianese, note di Stanislao Scapati, 1995, pp. 91 e 589 e N. Flammia, op. cit. Tutte le delibere sono state consultate nell’Archivio Storico del Museo Civico di Ariano. AEQVVM TVTICVM 47 Banda Musicale che, successivamente, il 30 giugno 1897 fu modificato in alcuni capitoli. All’inizio annoverava elementi della Guardia Nazionale e fu ufficialmente istituita il 4 dicembre del 1863 (3), anche se nel marzo successivo si stava ancora “organizzando a comune soddisfazione”. Per dotarla dei necessari strumenti e per il mantenimento, il Maggiore della Guardia Nazionale, D. Raffaele Mainieri, anticipò la somma di ducati seicento (4). Il 31 gennaio 1895, il Consiglio Comunale, “riunitosi nella Sala delle adunanze municipali”, discusse sull’approvazione del nuovo regolamento, che fu illustrato dall’assessore cav. De Furia. Il nome ufficiale della Banda era “Concerto comunale di Ariano”. L’organico comprendeva un Maestro Direttore, un Capo Banda scelto fra i suonatori solisti, vari suonatori solisti, concertisti (di prima e seconda classe) ed allievi. In seguito, nel 1897, l’organico era composto da un Maestro Direttore, da un Capo Banda (o Vice Direttore), da musicanti effettivi e da allievi. Nella lettura dello statuto si affermò che “il numero dei solisti e dei concertisti non è prestabilito, esso varierà a seconda delle esigenze del Bilancio comunale ed a seconda della maggiore o minore possibilità di promuovere a concertisti gli allievi ed a solisti i concertisti”. Soltanto il numero dei concertisti di seconda classe era stato fissato a venti elementi, mentre quelli di prima classe non dovevano superare il limite delle dieci unità. Il Comune controllava i musicisti tramite un’apposita Commissione di vigilanza, “la quale ne cura l’amministrazione, la direzione concertistica e disciplinare”. La Commissione, formata da quattro membri e presieduta dal Sindaco, restava in carica per un biennio ed era rinnovata nella sessione autunnale con possibilità, per ciascun membro, di essere riconfermato. Le riunioni della Commissione, indette ordinariamente una volta al mese, avevano lo scopo di stimolare e facilitare il progressivo miglioramento del corpo musicale, “tenendosi in continuo rapporto col Maestro Direttore del quale accoglierà ed attuerà i consigli che crederà”; inoltre, i quattro eletti si prefiggevano di vegliare “al regolare andamento ed alla disciplina dell’intiero Concerto comunale” ed a tal scopo “infligge le punizioni ed assegna le gratificazioni eventuali”. Due membri ricoprivano, inoltre, la carica uno di Segretario e l’altro di Economo. Il Segretario custodiva il Registro dei verbali di adunanza, i registri delle presenze delle scuole dei concerti. Invece l’Economo aveva “la diretta sorveglianza degli attrezzi, delle carte, degli istrumenti, redigendo di tutto regolare inventario”. Il Maestro Direttore era nominato tramite pubblico concorso e tra i suoi obblighi ricordiamo, oltre quello di “concertare il Corpo musicale”, l’impegno di “insegnare… la teoria musicale e di fornire…non meno di ventiquattro pezzi di musica nuova all’anno tra marce, ballabili e riduzioni di opere musicali, sia di propria che di altrui composizione”. Altro impegno era dato dallo stilare un rapporto bimestrale, in cui si illustravano “i risultati non solo riferenti allo studio, ma anche alla condotta di ogni singolo” (5). In una delle modifiche del 1897, fu imposto, sempre al Maestro, che di “tutte le partiture sei pezzi composti tradotti e ridotti restano di esclusiva proprietà del Comune” e di “dare eziandio lezioni di violino a quattro prescelti dalla Commissione, ad un altro di violoncello e ad un altro di contrabbasso”. Il Capo Banda, reclutato tra i suonatori 3) La data di fondazione della banda è riportata da F. Mazza, Nuovo Diario…p. 590. Invece, in una seduta consiliare del 29 marzo 1908 si affermò che la banda fu fondata nel 1862; più tardi, in una delibera del Consiglio Comunale del 16 marzo 1916, è menzionato addirittura il 1860 come anno di nascita. 4) Delibera Giunta del 7 marzo 1864. 5) Per valutare i titoli dei concorrenti al posto di Maestro Direttore, erano incaricate persone qualificate come il commendatore Pietro Platania, direttore del Conservatorio di Musica di Napoli, che fu convocato allo scopo nel 1892 (delibera Giunta del 3 gennaio 1892). AEQVVM TVTICVM 48 Banda Musicale solisti, poteva dirigere, al posto del Maestro Direttore, in occasione di processioni, di funerali e di giri per la città. Lo stesso si incaricava che “le carte musicali non siano sciupate o perdute, veglierà anche alla pulizia degli istrumenti e dei locali nei quali ha sede il Corpo musicale”. I locali in cui la Banda si esercitava variavano nel tempo: infatti, nel 1879, i concerti erano eseguiti in “una grande stanza” nella abitazione del sig. Annibale Guarini, “senza verun pagamento di pigione, e con l’obbligo da parte del Municipio di fare la volta, ed altri accomodi in detta stanza” (6); alla fine del sec. XIX, la scuola di musica dapprima risiedeva nella “sala ch’era addetta a refettorio nel soppresso seminario” (7), successivamente passò provvisoriamente in una scuola elementare femminile, poi si spostò in alcune “case nel vecchio carcere” (nelle adiacenze di Via del Riscatto) (8); più tardi ancora, era impiantata nella casa Sicuranza, occupata dal maestro Nardelli, il quale teneva “buona parte di detta abitazione a completa disposizione ed uso della scuola di musica” (9). Il 19 dicembre del 1895, il perito O. d’Alessandro fu incaricato dalla Giunta municipale di valutare le “condizioni statiche” del vecchio Teatro “S. Giovanni Evangelista” (sito nel Rione La Strada) al fine di “adibirlo a Sala di concerto per la musica”. Dalla verifica, risultò che il “muro a sud” presentava le fondazioni scoperte per mancanza di manutenzione “annua tanto del fabbricato che della strada e fa mestieri una sottomurazione”, bisognava rafforzare le altre mura perimetrali, “la piccola porta del detto Teatro” era in “cattivissimo stato” e ne occorreva una nuova, “l’accessibilità d’inverno” era “assolutamente impossibile”, mancava un locale per collocarvi l’archivio musicale. “In ultimo la scuola per gli allievi musicanti non può stare nella medesima Sala del concerto musicale e né può stare molto lontana dalla medesima”. Pertanto, il Teatro non fu ritenuto idoneo per ospitare la “Sala di concerto della nostra musica” (10). Alcuni mesi dopo la compilazione del regolamento (11), fu costituito un Archivio musicale ove riporre “in appositi scaffali ed armadi chiusi a chiave le opere ed i libri musicali, le partiture, gli strumenti fuori uso e quelli filarmonici ed altri oggetti inerenti al servizio del Corpo musicale”. I suonatori solisti, scelti tramite esami fra i concertisti, dovevano “impartire agli allievi aspiranti a divenire concertisti…una completa istruzione musicale, sia per la teoria generale della musica, sia per la speciale teoria e pratica del proprio istrumento e congeneri…” I concertisti dovevano essere di “sana costituzione, di buona condotta, avere l’età dai 16 ai 50 anni e di possedere una sufficiente istruzione nell’arte musicale”; il contratto da loro firmato era valido per dieci anni. Gli allievi osservavano gli stessi obblighi dei concertisti, ma l’età oscillava dai dieci ai diciotto anni compiuti, e se dopo dodici mesi di studio non ottenevano alcun profitto, l’allontanamento dal corpo era inevitabile. I concertisti erano suddivisi in due categorie: di prima e di seconda classe, cui corrispondeva un diverso trattamento pecuniario. Al Capitolo 9° del regolamento è descritta l’uniforme ufficiale della Banda: “calzone nero con filettatura d’oro; soprabito nero ad un petto abbottonato fino al collo, con bottoni dorati, ai due lati del colletto una lira dorata; alle maniche un filetto d’oro per l’alta tenuta. Controspalline in trench nero. I solisti porteranno alle maniche, sul filetto, un galloncino d’oro con occhio; il Capo-banda porterà lo stesso galloncino sui due filetti”. Era “assolutamente proibito indossare la uniforme o parte di essa fuori dal servizio”(12). Gli strumenti appartenevano al Comune 6) Delibera Giunta del 16 gennaio 1879. 7) Delibera Giunta del 21 dicembre 1895. 8) Delibera Giunta del 18 gennaio 1897. 9) Delibera Giunta del 12 novembre 1908. 10)Archivio Storico del Museo Civico di Ariano. Faldone 14, fasc.12, fogli 124-125. 11)Delibera Consiglio del 30 gennaio 1897. AEQVVM TVTICVM 49 Banda Musicale e “ciascun suonatore è tenuto alla manutenzione e riparazione eventuale”. “Nel gennaio di ogni anno avranno luogo gli esami innanzi al Maestro Direttore ed alla Commissione di vigilanza per la promozione degli allievi a concertisti di seconda classe; per la promozione ai concertisti della seconda alla prima classe; per la promozione dei concertisti di prima classe a solisti”. Ogni componente era moralmente impegnato a seguire un modello di “uomo probo, educato, rispettoso di sé e degli altri, curante del proprio decoro e della onorabilità del Corpo cui appartiene”. L’inosservanza del regolamento comportava delle inevitabili punizioni: tra quelle contemplate si passava dalla “riprenzione privata” alla sospensione dello stipendio (per non più di sei mesi), fino all’esclusione definitiva dall’organico. La Banda suonava, oltre che nelle ricorrenze religiose (da rammentare la processione votiva di S. Ottone alla Chiesa di S. Pietro de Reclusis) (13), a Capodanno, nei “genetliaci” (compleanni) del Re, della Regina e dei principi ereditari, nella ricorrenza dello Statuto (5 giugno), nelle feste nazionali ed il 20 settembre (per celebrare “l’anniversario della liberazione di Roma” nel 1870) (14). Vi furono altre circostanze che richiesero la presenza del Corpo musicale: da ricordare la “venuta in questa città dell’onorevole deputato al Parlamento Nazionale Sig. Commendatore Pasquale Stanislao Mancini, (quando) questa Fanfara cittadina prestò per detto avvenimento il suo servizio suonando tanto all’arrivo che alla partenza del lodato commendatore, come pure in diverse altre volte che l’illustre uomo fece in mezzo ai suoi più cari amici ed intera popolazione Arianese” (15). Altra disposizione, contemplata dal regolamento, era che i solisti capaci di suonare “istrumenti ad arco sono tenuto a prestare l’opera loro alla Società del Quartetto…senza aver diritto ad alcun compenso”. I bandisti ricevevano i compensi trimestralmente ed in occasione di inviti fuori di Ariano o di funerali erano contemplati degli extra in base alla distanza, ma con la proibizione più assoluta per “le cosiddette regalie al Maestro ed al Capo Banda”. Al tempo del sindaco N. de Angelis, le “regalie” erano elargite “ai ragazzi nella Festa di Natale” (16). Sin dalla fondazione, i membri del consiglio cittadino ebbero una cura particolare per la Banda, e verso i suoi effettivi: nel 1873, il sindaco E. Figlioli sollecitò la Commissione Amministratrice dell’Ospizio Capezzuti “di dare il lavoro degli abiti, scarpe ed altro ai bandisti di Ariano di condizione sarti, calzolai ecc. ed alle famiglie di essi, e ciò nel fine di vienmeglio incoraggiare allo studio della musica” (17). Talvolta, i consiglieri comunali promuovevano “una inchiesta sull’andamento della banda”, specialmente se si levavano delle “pubbliche doglianze sul ritardo del progresso della medesima”: nel 1869, invitarono il sig. Luigi Trapani, “maestro della banda musicale della 3a Legione della Guardia Nazionale di Napoli”, a stilare una apposita relazione(18). Fra le figure legate alla storia della Banda, non si può dimenticare il maestro Crisanto 12)Tale divieto era in vigore da anni: in occasione dell’acquisto di 15 pantaloni di panno per gli “alunni della banda”, si ribadì che “indossando detto abito fuori servizio ciascun alunno contravventore sarà multato di lire due” (delibera Giunta del 9 agosto 1881). 13)Ibidem. 14)Delibera Giunta del 15 settembre 1895. Nel 1879, il compleanno di Umberto I, il Re Buono, fu festeggiato ad Ariano con luminarie ed addobbi alla Casa Municipale e ad altri uffici del Comune, con fuochi di bengala e d’artificio, gli amministratori ebbero l’incarico di “complimentarsi con gli Alunni dell’Asilo Infantile” recatisi nella “casa Municipale a cantare delle canzoni in onore di S.M.”, gli alunni della Banda gustarono nell’occasione vino e biscotti e la stessa Banda girò per la città non solo di giorno, ma anche per due sere “accompagnata da persone con torce a vento” (delibere Giunta del 13 e 24 marzo 1879). 15)Delibera Giunta del 16 febbraio 1870. 16)Delibera Consiglio del 3 gennaio 1871. 17)Delibera Consiglio del 12 maggio 1873. AEQVVM TVTICVM 50 Banda Musicale del Cioppo, che ebbe l’incarico di dirigerla nel quinquennio 1875-1880. Egli musicò numerose poesie del poeta P. P. Parzanese e ”fatte ristampare dalla Casa Ricordi” e propose al Comune la vendita “di detta musica”, i cui proventi sarebbero serviti per erigere un monumento “all’esimio Poeta”.(19) Un episodio curioso accadde nel 1877: il suonatore di tromba Raffaele Volpe, di Grottaminarda, fu denunciato al Procuratore del Re per aver abbandonato repentinamente Ariano, dopo essersi appropriato indebitamente di lire 45, e “sottraendo dalla casa del Municipio destinatagli per abitazione un letto completo, e l’intera uniforme di bandista” (20). Al fine di arricchire il repertorio del Concerto di nuovi pezzi musicali, si sottoscrisse l’abbonamento al giornale La Banda, che era pubblicato a Roma (21). Dopo del Cioppo, vi fu un periodo turbolento per le continue rinunce dei maestri direttori; si suggerì, nel 1882, che per “evitare che il Sig. Gagliardi possa, pria che spiri la ferma, abbandonare il posto”, fosse trattenuta una piccola parte dello stipendio e restituita alla risoluzione del contratto. Il proposito fu respinto, perché non decoroso per lo stesso Consiglio, “né per colui che deve accettarla”, specialmente per il motivo che lo stipendio non era “molto lauto” (22). In fine anno 1902, si promosse il riordinamento del Concerto per sopperire alle continue mancanze: “i concertisti sono più di 40, ma una trentina suonano effettivamente, il resto è l’elemento turbolento”, si denunciò che gli scritturati erano disubbidienti “essendo scappati alla vigilia delle feste”. Nella stessa riunione, si istituì una borsa di studio per sostenere gli studi musicali nel Conservatorio di Napoli agli elementi dimostratisi più meritevoli (23). Nonostante i continui sacrifici, il declino della Banda cittadina si protrasse per anni, con notevoli difficoltà finanziarie e continue modifiche all’organico, scioglimenti provvisori e ricostituzioni contrastate, sino al licenziamento definitivo dei musicisti (1909); talvolta, per risparmiare sugli stanziamenti alla Banda, si ridusse il periodo delle esibizioni: “dalla 1a domenica di giugno a tutto Settembre” e non più fino alla terza domenica di ottobre (24). Il consigliere Risi propose che “il Municipio debba limitarsi…(a) sussidiare adeguatamente una Banda privata, concedendo ad essa una sufficiente rinumerazione contro l’obbligo di prezzare il servizio di piazza nella stagione estiva e nelle solennità” (25). Tra i fautori del mantenimento del Concerto vi fu il consigliere O. Franza, il quale nonostante “la storia dolorosa del progrediente sfacelo della Banda cittadina”, sottolineò che “per la morte o l’allontanamento da Ariano di parecchi dei migliori, le condizioni odierne sono assai peggiorate dal tempo dell’esame fatto dal maestro Carravagliof” ed era “necessario studiare seriamente la questione tenendo presente che la Banda 18)Delibera Consiglio del 31 maggio 1869, pp. 55 a tergo e 56 a tergo. 19)Delibere Consiglio del 5 maggio 1875 e 24 aprile 1882. G. Grasso in “Ariano dall’Unità d’Italia alla Liberazione”, libro primo, 1993, pp.102-103, ritiene che le musiche contenute in un disco pubblicato nel 1986 dal maestro Aldo Bellipanni, “ I Viggianesi - Storie di canti e cantastorie”, siano da attribuire a Crisanto del Cioppo. Il del Cioppo ottenne il prolungamento del contratto fino al 1884, ma “allontanandosi da questa Città con la scusa di finire della licenza annuale…ha fatto poi tenere le sue dimissioni…” (delibera Consiglio del 1 dicembre 1881); lo stesso fu preceduto dal maestro Giovanni Zoboli, che rimase in carica dall’aprile del 1868 al dicembre del 1875 (delibera Consiglio del 30 ottobre 1871). Il monumento a Parzanese fu eretto molti anni più tardi ed inaugurato il 29 agosto 1910: in quell’occasione, i soci del Circolo Parzanese cantarono la poesia del “Vecchio sergente” musicata proprio dal maestro del Cioppo (G. Grasso, op. cit., libro secondo, 1994, pp.72 - 76). 20)Delibera Giunta del 31 gennaio 1879. 21)Delibera Giunta del 23 febbraio 1877. 22)Delibera Consiglio del 6 febbraio 1882. Il maestro E. Gagliardi dirigeva la banda di Ugento (Lecce). 23)Delibere Giunta del 7 ottobre e 7 novembre 1902. 24)Delibera Consiglio del 23 maggio 1903. 25)Delibera Consiglio del 15 dicembre 1903. AEQVVM TVTICVM 51 Banda Musicale è l’unico sollievo della cittadinanza” (26). I musicanti, che erano costretti a riporre i propri strumenti nelle custodie, non trovavano facilmente altri impieghi e, perciò auspicavano un aiuto dal Comune per risollevare le “tristissime condizioni” in cui versavano: ai bandisti non più in attività come Massimino Valery, Raffaele Bolognese, Vito Nazzola, Emanuele Valletta e Vincenzo Sabino fu concesso un sussidio (27). Nel 1918, Massimino Valery fu assunto, per sette mesi, come istruttore degli allievi della scuola di musica, mentre aveva già trovato impiego come bidello delle scuole elementari (28). Altri disagi si aggiunsero a quelli già illustrati che contribuirono al tramonto della Banda arianese: nel 1904, il Comune, per l’ennesima volta, rifondò il gruppo di suonatori e ne affidò la conduzione al signor Pompegnani. “Tutto lasciava (ben) sperare, specie il Maestro pieno di buona volontà, quando incominciarono le ostilità da parte degli affezionati al vecchio Maestro, individui indisciplinati che hanno fatto lotta di ogni genere contro il Maestro presente, fino ad entrare nei suoi particolari, fino a fare atti scorretti ed inqualificabili nel concerto. Gli allievi dal n° di 75, per minacce ed insinuazioni, sono ridotti a 21. Questo malumore latente ebbe occasione di scoppiare apertamente con la festa di Monteleone, dove la Banda andò a suonare, ed alcuni concertisti dissero antecedentemente che a Monteleone sarebbero stati fischiati. Ivi diverbi fra bandisti, ribellione al capo banda, per la ripartizione per classi, del ricavato della festa, malcontento espresso con modi insolenti “ (29). Per questi fatti incresciosi, ci si augurò che per la mancanza di disciplina era giusto che “si reprima, si punisca chi ha mancato, ma non si distrugga una vecchia istituzione, poiché molto si è distrutto”, invece, si preferì distruggere il rimanente (30). Nonostante tutte le vicissitudini, si rinnovò sempre l’organico e si tentò di mantenerlo in efficienza: si acquistarono, nel 1907, diciannove strumenti musicali dalla Ditta Alfonso Abate e Figlio di Napoli; la spesa totale fu di 2127,50 lire ed il pagamento fu dilazionato in quattro anni e senza interessi (31). A vanificare gli sforzi degli amministratori sopravvennero altri episodi di indisciplina da parte di alcuni “concertisti paesani”: nel settembre del 1907, un funzionario di P.S. fu oltraggiato da un certo Vinciguerra Oto, accorsi altri Carabinieri lo arrestarono ed il musicante Abramo Michele “aizzava la folla… per far liberare il detto Vinciguerra arrestato dall’Arma”. Per tale “mancanza”, dapprima si pensò di espellere l’Abramo dal corpo, ma poi lo si condannò a pagare una multa di dieci lire (32). 26)Ibidem. Già nel 1895, si ribadì che “col sopprimere la Banda si toglierebbe l’unico svago che di tratto in tratto toglie la popolazione intera per qualche momento dalla triste realtà della vita gravata da continuati guai”; con tale atto si sarebbe ridotto Ariano “al di sotto del più piccolo paese della Provincia” (delibera Consiglio del 18 ottobre 1895). 27) Delibere Consiglio del 29 maggio 1904 e del 20 gennaio 1905. Raffale Bolognese, di Oto, era nato nel 1856 e militò per molti anni nella Banda, come testimonia una gratificazione ricevuta dal Comune per il “suo ben servire” già nel 1876 (delibera Giunta del 9 ottobre 1876). Probabilmente rientrò nei ranghi della Banda a pieno servizio, se è la stessa persona iscritta in un elenco del 1916. 28)Delibera Giunta del 21 maggio 1918. 29)Delibera Consiglio del 26 luglio 1904. 30)Ibidem. 31)Delibera Giunta del 20 settembre 1907. Altri strumenti furono acquisiti da Luigi Fasanaro, fabbricante di Napoli, che fu pagato anche per il “riatto generale portato a 29 istrumenti di ottone” (delibera Consiglio del 4 agosto 1869). I Fratelli Ruggiero, sempre di Napoli, rimisero in perfette condizioni gli strumenti consegnategli dal maestro del Cioppo nel 1879 (delibera Giunta del 7 marzo 1879). Un altro commerciante rintracciato è il sig. Canelli di Caserta cui si rivolse direttamente il maestro Ianni (delibera Giunta del 14 marzo 1890). In altre circostanze, gli strumenti non erano sempre procurati con il denaro: ad esempio, per dotare l’alunno Cipollone di una tromba nuova, furono dati “in cambio al fabbricante tutti gli strumenti inservibili” (delibera Giunta del 19 maggio 1881). AEQVVM TVTICVM 52 Banda Musicale Lo stesso musicante fu protagonista, insieme ad altri quattro colleghi (Puzio Antonio, Lizzo Guarini Giovanni, Abbatangelo Vincenzo e Ciasullo Raimondo) di un clamoroso atto di indisciplina: disobbedendo al Maestro Direttore, “rifiutarono di prestare servizio di piazza la sera del 20 ottobre corrente, deducendo…essere finito il loro obbligo di servizio e il quinto (Ciasullo Raimondo) perché affetto da mal di gola”. Il Ciasullo non esibì un certificato medico comprovante la sua indisposizione e perciò la malattia fu reputata un “mero pretesto”. Furono comminate altre multe, la più salata (dieci lire) ad Abramo perché recidivo, e furono “dai suddetti musicanti ritirati i relativi strumenti e depositati nella Sala del Concerto” (33). Gli atti di insofferenza e di insubordinazione da parte dei bandisti, contro l’autorità amministrativa, si perpetrarono in modo sempre più frequente, come conseguenza di un contagio diffuso tra l’equipaggio di una nave alla deriva, finché si giunse alla inevitabile conclusione. Nell’estate del 1909, il Sindaco avv. S. Nicoletti riferì che ad “onta dei sacrifici enormi finanziari e suoi personali”, “lo spirito dissolvitore della indisciplinatezza” era ormai “penetrato” in tutto il corpo musicale cittadino e che esso non rispondeva “più ai fini per cui fu costituito essendo venuto meno…ogni principio di arte e tanto sia per la non buona esecuzione, sia per l’indolenza nella direzione”. Nessuno era escluso dal discorso accusatorio del Sindaco: ad esempio il Maestro Direttore non voleva più dirigere la Banda durante le esibizioni di piazza “per la mancanza di un semplice clarinetto”. L’ultimo atto di vera e propria rivolta era stato consumato la sera precedente quando, per la forzata assenza del Concerto musicale di Alessano (Lecce), il Sindaco e l’assessore Anziano Mosca proposero all’omologo arianese di sostituire il gruppo pugliese nelle esecuzioni e promisero la retribuzione secondo la tariffa stabilita dai commissari della festa. Invece, 32)Delibera Giunta del 9 ottobre 1907. 34)Delibera Giunta del 23 agosto 1909. 36)Delibera Giunta del 10 aprile 1912. AEQVVM TVTICVM tutti i suonatori si rifiutarono “abbandonando la sala del concerto con urli e con parole di ribellione”; pertanto, considerando anche “l’esasperazione forte negli animi dei cittadini ad opera della pessima condotta addimostrata dai concertisti”, fu deliberato lo scioglimento del Concerto musicale e si ingiunse l’immediato ritiro degli “strumenti, note, atti ed altri oggetti di pertinenza del Comune sotto la responsabilità di ciascun musicante per qualunque guasto potrà arrecarsi per loro colpa agli strumenti musicali” (34). La Giunta, comunque, dovette ricorrere ai servigi dei musicisti già poco tempo dopo in occasione della festa dello Statuto e compensare le esecuzioni dell’ormai “Concerto musicale autonomo di Ariano” (35). Forse, la disubbidienza cronica dei bandisti era causata dalle continue riduzioni delle paghe e, pertanto, adottarono una condotta talmente insofferente da spingere gli amministratori a licenziarli, così da potersi gestire nelle retribuzioni e nella scelta delle esibizioni. Negli anni susseguenti, però, la tutela del Comune nei riguardi della Banda non cessò mai del tutto: nel 1912, lo stesso esaudì appieno la richiesta del Prof. Pompegnani sull’ “acquisto degli strumenti nuovi…e far riparare quelli usati, nonché per la confezione delle uniformi dei bandisti…” (36) ; l’anno successivo fu acquisito tutto il materiale della disciolta Banda di Chieti, “strumentale…assolutamente nuovo ed usato per soli 9 mesi” (37); mise di nuovo a disposizione il locale dell’ex Seminario “per uso del Concerto musicale”, fino a poco tempo prima “concesso gratuitamente alla Cassa Cattolica” (38). Episodi deprecabili da parte degli elementi della Banda cittadina si ripeterono, ma in modo del tutto occasionale rispetto al passato: si rintraccia soltanto l’abbandono del servizio da parte del musicante Ciccarini Vito, autore anche di “gravissime mancanze alla disciplina” e che fu decurtato del salario mensile affinché si saldassero i “diversi debiti contratti in piazza prima di lasciare Ariano 33)Delibera Giunta del 24 ottobre 1907. 35)Delibera Giunta del 4 giugno 1910. 37)Delibera Giunta del 28 febbraio1913. 53 Banda Musicale con la garanzia del maestro Direttore” (39). Con il trascorrere degli anni le somme destinate alla Banda, da parte del Comune, si ridussero sempre più, sino a mettere in discussione finanche il servizio di piazza nella stagione estiva. Per ovviare alle difficoltà finanziarie, si riponeva fiducia e speranza nei vari Maestri Direttori che si avvicendavano per mantenere decorosamente in vita la Banda: ad esempio, si sperò nella “buona volontà del Maestro Sig. Napoletano e nel suo spirito di sacrificio” per reclutare “dall’elemento paesano la massa per poter con la fissata somma avere un servizio non inferiore a quello dei due ultimi anni…”. Si preferì, per il futuro, avere una istituzione musicale “ristretta in termini modesti, pur rispondenti alle sue finalità ed alle limitate esigenze della Cittadinanza” (40). Infatti, durante la prima guerra mondiale, nel ricordare il compenso ai musicisti si nominano in modo preponderante i “bandisti paesani”, classificati “secondo le loro capacità”; interessante un elenco che ci permette di desumere la consistenza degli arianesi nella Banda, pur derivante dai continui assottigliamenti (41): 7. Lo Conte Ciriaco 8. Ciccarelli Luigi Prima Classe B: 1. Saracino Nicola 2. Guardabascio Gaetano 3. Aliberti Giovanni 4. Comanzo Ottone Seconda Classe: 1. Ciccarelli Gaetano 2. De Donato Domenico 3. Gallotta Mario 4. D’Alessandro Gaetano 5. Zerella Pasquale 6. Liguori Luciano Terza Classe: 1. Grifone Arturo 2. Santolillo Lodovico 3. Clericuzio Nicola 4. Clericuzio Gerardo Prima Classe A: 1. Carpiniello Floriano 2. Perillo Ottavio 3. Aliberti Giuseppe 4. Bilotta Nicola 5. Bilotta Giuseppe 6. Sciarrillo Antonio Menzione particolare ricevette Bolognese Raffaele, perché “degno di speciale considerazione”, mentre agli appartenenti della terza classe fu elargita una paga di “incoraggiamento”. All’epoca del maestro Napoletano, il numero totale dei musicisti assommava a 65 persone, di cui 15 non arianesi, inoltre si annoveravano 40 alunni iscritti alla scuola di musica, che avrebbero formato “una seconda bandicina” denominata “Scuola Allievi”. Fu procurato, ad un prezzo definito vantaggioso (3000 lire), dal Barone Cav. Casamarte, proprietario del Concerto di Loreto Aprutino (Pescara), “l’importante strumentale costruito dalla rinomata casa F. Rofh di Milano”, “conservato in apposite casse feltrate tenute in massimo ordine” e rispondente “ai criteri moderni”. Poco tempo dopo, queste spese furono giudicate “poco opportune” ed il Concerto si trovò in una “posizione curiosa: le feste che avrebbero potuto dare un ricavato relativamente esiguo non si son potute accettare perché, dato il numero dei musicisti e lo strumentale, occorreva enorme 38)Delibera Giunta del 25 giugno 1913. 40)Delibera Giunta del 18 ottobre 1914. 39)Delibera Giunta del 14 giugno 1912. 41)Delibera Giunta del 27 giugno 1916. Fuoriclasse: 1. Clericuzio Pasquale 2. Guarino Giovanni 3. Pratola Luigi 4. Formato Luigi 5. Ciasullo Raimondo 6. Bolognese Raffaele 7. Novario Giovanni 8. Sabino Gerardo 9. Riccio Giuseppe 10. Ferrara Giuseppe 11. Clericuzio Antonio 12. Bevere Nicola AEQVVM TVTICVM 54 Banda Musicale spesa pel trasporto; le feste di maggiore importanza e più proficue nemmeno si son potute accettare, non trovandosi il concerto nelle condizioni tecniche volute, sia per mancanza di preparazione, che di qualche elemento indispensabile” (42). Nonostante i frequenti scioglimenti della Banda, negli amministratori e nei cittadini arianesi era sempre forte la volontà di rifondarla: nel 1923, ben accolta fu la domanda del maestro di musica De Filippis Luigi volta ad “ottenere la consegna degli strumenti musicali…, con l’intendimento ed obbligo di impiantare una scuola di musica e di riorganizzare la banda musicale cittadina”. Il De Filippis aveva già iniziato “l’insegnamento ad una moltitudine di alunni, di cui alcuni a pagamento”, per dirigerli non solo nelle esecuzioni di piazza, ma anche per organizzare la “filarmonica ed orchestrina pel teatro comunale” (inaugurato il 20 aprile del 1922 e da non confondere con il Teatro “S. Giovanni Evangelista”) (43). Alcuni amministratori espressero delle severe critiche per un assegno mensile di lire trecento e per la consegna degli strumenti al maestro De Filippis, ma il Consiglio di Ariano lo ritenne “persona solvibile” e, lo stesso, aveva agito correttamente quando aveva affidato gli “istrumenti” ai genitori degli alunni “dietro ricevuta ed obbligo di garanzia” (44). Durante il periodo fascista, il maestro Pompegnani insegnò il canto orale agli alunni delle scuole elementari ed al Corso di Avviamento al Lavoro dal 1926 al 1933. Per il “lodevole espletamento delle mansioni affidategli”, il podestà G. Forte determinò che gli fosse corrisposto “a semplice titolo di gratificazione, lire seicento una tantum”, in modo da “porlo in grado di procurarsi un’altra occupazione” (45). Sempre nel 1933, lo stesso podestà decise un ennesimo contributo al Concerto Musicale, “formato da elementi locali, già appartenuti a precedenti Concerti e sotto gli auspici e l’incoraggiamento del Comitato pro Opere di Assistenza e del Dopolavoro Comunale”, in tale occupazione si sostenevano “trenta cittadini, per lo più artigiani”, le cui dimostrazioni musicali erano utili per la “elevazione morale del popolo” (46). La riparazione degli strumenti musicali fu sempre assunta dal Comune, perché di “grande valore” e lo stesso aveva “l’obbligo di conservare tali elementi mobili…e di mantenerli nello stato rispondente alla loro natura e scopo”: l’incarico fu effettuato dalla Ditta Riuniti A. Rampone – B. Cazzani e Comp. di Napoli (47). Pertanto, dopo lo scioglimento ufficiale, le note della Banda accompagnarono ancora per anni gli arianesi, che le ascoltarono sempre negli appuntamenti più significativi della comunità, come l’arrivo di un onorevole, una ricorrenza civile o religiosa o l’inaugurazione di un monumento. Le melodie seppero nascondere il tramonto della vecchia istituzione, che fu al tempo stesso malinconico, irrequieto, struggente, ricco di storie di genti comuni, di persone umili come lo furono tutti i bandisti. 42)Delibere Consiglio del 17 gennaio e 18 settembre 1914. 43)Delibera Giunta del 12 maggio 1923. 44)Delibera Consiglio del 8 luglio 1923. 45)Delibera Podestà del 21 gennaio 1933. 46)Delibera Podestà del 18 luglio 1933. 47)Delibera Podestà del 5 marzo 1934. Invece, nel 1897 gli strumenti “da accomodarsi” furono spediti a Milano (delibera Giunta del 31 marzo 1897). AEQVVM TVTICVM 55 AEQVVM TVTICVM 56 Villa Comunale Indagine storico - botanica sulla villa comunale di Ariano Irpino di Eva Dell’Infante I l presente lavoro è stato realizzato dalla Prof.ssa Dell’Infante Eva nella classe terza sez. C della Scuola Media “G. Lusi” nel corso degli anni scolastici 1998/1999 - 1999/2000 nell’ambito di un progetto di flessibilità curriculare sullo studio storico - botanico all’interno della Villa Comunale attraverso interventi diretti. Oltre all’aspetto immediato di carattere didattico e scientifico lo scopo fondamentale di tale iniziativa è stato quello di valorizzare e far conoscere soprattutto ai giovanissimi il ricchissimo e talora raro patrimonio botanico quasi totalmente sconosciuto alla maggior parte degli Arianesi. Si coglie, altresì, l’occasione per rivolgere un sentito ringraziamento al prof. Scapati per la sua cortese consulenza storico - scientifica e l’umana disponibilità. Eva Dell’Infante Presentazione Siamo i ragazzi della terza C della Scuola Media “G. Lusi”. Quest’anno abbiamo pensato di realizzare insieme alla nostra insegnante di scienze la prof. Dell’Infante Eva un lavoro riguardante la realizzazione di una videocassetta sulla Villa Comunale. Questa iniziativa è stata resa possibile non solo per la disponibilità e sensibilità mostrata dal preside, prof. Salvatore Rotundo, ma anche grazie all’attuazione, della flessibilità dell’orario curriculare che ci ha permesso di dedicare un certo numero di ore di studio e di intervento diretto con la natura del parco. La nostra villa comunale è inserita in un contesto panoramico di ineguagliabile bellezza che ha rappresentato, anche nei AEQVVM TVTICVM tempi passati, l’input per componimenti poetici e pittorici. INDAGINE STORICA Ariano, nel 1585, da città feudale sotto il duca principe Gesualdo di Venosa, divenne demanio comunale. Il castello vero e proprio si ergeva sulle attuali torri che rappresentavano un sostegno e nel tempo stesso mura di protezione; esso era posto sul colle orientale della città in una zona alquanto periferica. Intorno al castello il terreno formava una vera e propria scarpata che il comune dava in fitto come orto e come pascolo a privati. Tale situazione è rimasta invariata fino all’Unità d’Italia. Con l’editto di SaintCloud (1804) durante il periodo Napoleonico fu proibita la sepoltura nei sotteranei delle chiese per cui ad Ariano si decise di seppellire i morti nella zona circostante il castello (1838), spianando la zona nord-est (l’attuale cedraia con campo da tennis). Tale spazio adibito a cimitero venne poi spostato nell’attuale rione San Pietro ed infine nel 1870 nella sede dell’attuale cimitero. Un ulteriore intervento fu messo in atto da un gruppo di privati, con lo scopo di istituire un “tiro a segno” ad imitazione di quelli che sorgevano un pò ovunque nell’Italia postunitaria; quindi ci fu un primo spianamento a terrazza all’altezza dell’attuale peschiera e del viale attiguo ad esso, qui venne rilevata una sorgente di buona acqua che permise l’installazione di alcune sezioni di tiro a segno, proprio nella zona in cui oggi c’è il chioschetto. Questo fu il primo pretesto per utilizzare questo luogo come 57 Villa Comunale punto di ritrovo. Quando, successivamente, il poligono fu trasferito alla contrada Mogna, sulla strada per Montecalvo, si rese disponibile un’ulteriore superficie. Tra il 1864 ed il 1865 venivano spianate varie zone della preesistente collina e vista l’ottima posizione panoramica iniziò a balenare l’idea di creare un vero e prorio giardino pubblico dove il castello rimaneva il centro di attrazione storica e la vegetazione un’attrazione naturalistica e un motivo per trascorrere momenti di rilassante riposo. Quindi la cosidetta villa comunale venne inaugurata nel 1875. Dopo opportuni terrazzamenti venne rimboschita, recintata all’ingresso con pilastri di pietra e inferriate. Nel tempo sono stati piantati alberi lungo i viali e piante a volte anche molto rare. INDAGINE BOTANICA La villa comunale si estende su tre gradoni, quello più alto si trova intorno alle torri e gli alberi qui piantati sono stati interrati di circa un metro per motivi di spianamento. Intorno alle torri già nel 1876 sono stati piantati filari di alberi di leccio (appartenenti alla famiglia delle cupolifere) essi in un secondo momento sono stati potati in un modo particolare a scopo ornamentale. Ai fianchi dei cancelli d’ingresso delle due entrate principali notiamo dei bei cipressi (appartenenti alla famiglia delle cupressacee) potati in forma piramidale (essi si distinguono dalle tuie in quanto hanno le foglie tondeggianti anziché schiacciate). Lungo il lato sud oltre ai filari di lecci troviamo una folta siepe di lauroceraso che costeggia la scarpata ricoperta da una folta vegetazione di iperico del Giappone. Par tendo dall’entrata centrale ed andando verso il settore nord, notiamo di fianco al viale che AEQVVM TVTICVM circonda le torri, un terrapieno (dove c’è la casetta della terza età) in cui vivono numerosi esemplari di cedro dell’Atlante, caratterizzati da rami che si dirigono verso l’alto con le punte rivolte verso il basso. Essi vengono affiancati da giovani pini marittimi e da abeti rossi. Nelle aiuole troviamo dei grandi cespugli di viburno a fiore bianco e frutti a piccole bacche di colore blu metallico: questa è una pianta sempreverde, molto resistente ed ornamentale. In altre aiuole troviamo ancora piante di lauroceraso non più sottoforma di cespugli ma di veri e propri alberi, tali aiuole in questo caso vengono contornate da siepi di ligustro: questo tipo di ligustro o olivella ha le foglie alquanto grandi rispetto al ligustro che troviamo comunemente in campagna. Dirigendoci verso il campo da tennis troviamo alcuni pini d’Aleppo con il caratteristico tronco tortuoso. Di fronte al campo da tennis sono stati piantati numerosi cedri dell’Atlante dell’Himalaia e del Libano. Sempre in questa zona ai fianchi delle torri c’è un bell’albero sempreverde di alloro molto profumato ed un ippocastano. Girando ancora intorno alle torri troviamo nella zona est un piccolo piazzale dove vi sono diverse aiuole contornate da bosso nelle quali sono stati piantati grossi cespugli tondeggianti di lauroceraso e 58 Villa Comunale numerosi pini d’Aleppo. La siepe che ad est contorna questo piazzale e dalla quale scende la scarpata che porta al viale degli ippocastani è costituita da cipressi potati a circa un metro d’altezza. Notiamo ancora in questa zona cipressi molto alti ed altri nelle aiuole, bossi potati a forma di sfera (tale potatura veniva fatta già dagli antichi e denominata arte topiaria, ossia arte attraverso la quale le piante che si prestavano venivano trasformate in figure particolari.) In questa zona sempre ad est delle torri troviamo un viburno particolare e alquanto raro, quello a foglie ruvide (Viburnum Rigido Fillum), esso pur essendo molto diverso dal viburno comune è dello stesso genere in quanto i fiori si presentano uguali. Camminando sempre lungo il viale est delle torri troviamo un’unica aiuola dove si intervallano vari cespi di viburno e tra questi ne troviamo uno a foglie caduche il cosidetto viburno con fiori a palle di neve. Inoltre sempre nella medesima aiuola troviamo un agrifoglio e due alberelli di pittosforo a fiori piccoli e profumatissimi proveniente dalla Cina, a fianco c’è un evomino detto volgarmente fusaggine; esso come il ligustro e l’iperico proviene dal Giappone. Di fronte, AEQVVM TVTICVM lungo la scarpata delle mura del castello, vi sono tutte piante di iperico del Giappone, ai piedi di esse nasce una folta piantagione di edere sovrastata da una siepe di lauroceraso; lungo tale scarpata ci sono alberi di leccio, salici ed aceri. Proseguendo passiamo attraverso il viale degli ippocastani a fiori bianchi ad eccezione dei primi due che presentano fiori rossi. Questo viale è stato piantato nel 1912. Scendendo, a destra, c’è il piano dedicato a P. P. Parzanese; qui troviamo, ai limiti della scarpata, un filare di pini marittimi, sotto i quali è stata piantata una siepe di berberis o cedrino a bacche rosse. In questo piano troviamo vari cespugli di tasso potati a sfera, agrifogli ed una palma nana. Scendendo, attraverso il viale secondario parallelo al viale degli ippocastani, notiamo una lunga aiuola contornata da una siepe di bosso nella quale vive un albero molto particolare e bello il Gledicia Triacantus o Spina di Giuda: Gledicia dal nome del botanico tedesco Gladis. Questo esemplare è stato ottenuto da varie ibridazioni in quanto è una varietà inerme per il fatto che non ha sul tronco e sui rami le spine accoppiate a gruppi di tre (triacantus); esso non 59 Villa Comunale nasce spontaneamente nelle nostre zone perché è originario delle Americhe. I fiori sono bianchi e piccolissimi mentre i frutti sono rappresentati da baccelli lunghi anche venti centimetri. In questa aiuola troviamo anche un altro esemplare unico: la Fotinia Serrulata essa appartiene alle rosacee, i suoi fiori sono piccoli e bianchi e le foglie lunghe e lucide che riflettono i raggi solari. Al di sotto della fotinia troviamo i cespugli di fiori d’Angelo: i cui fiori sono bianchi e molto profumati impropriamente tale pianta viene detta gelsomino. Continuando verso il piazzale della peschiera troviamo a destra un’aiuola nella quale c’è un bell’albero: la cedonia o melo cotogno, anch’esso una rosacea, poi un cespuglio di bambù ed un esemplare di pittosforo. In queste aiuole ci sono anche diverse conifere che contornano il suddetto piazzale. Scendendo troviamo due abeti: a sinistra l’abete bianco e a destra nell’aiuola uno rosso. Gli abeti bianchi con i coni rivolti verso l’alto sono caratteristici dell’Appennino, mentre quelli rossi con i coni rivolti verso il basso, delle Alpi. A destra della peschiera troviamo dei pini silvestri con tronco dritto e compatto dalla corteccia striata con fessurazioni in senso verticale. Altri pini a sinistra della peschiera sono pini neri dalla corteccia più compatta e dalla chioma piramidale. Un esemplare unico e importantissimo nell’aiuola a destra della peschiera è il pino radiato o insigne ha gli aghi raggruppati a tre AEQVVM TVTICVM (foglie ternate) mentre negli altri pini le foglie sono a coppie. Queste foglie si raggruppano a ciuffotti alle estremità sia dei rami primari che secondari. Esso proviene dall’America. Nell’aiuola a sinistra della peschiera troviamo un palma eccelsa, dietro di essa c’è un tasso e poi un bell’albero di alloro molto profumato. Tra i due viali che scendono verso la pista c’è un piccolo albero che è una vera e propria rarità: esso è chiamato Lagher Strenia Lagher dal nome del botanico svedese scopritore. La sua corteccia è liscia e levigata dal colore beige ed i suoi fiori sono di un colore rosso vermiglio. Al di sotto di tale piazzetta c’è la pista 60 Villa Comunale contornata da alberi di leccio. A destra troviamo un pruno del Portogallo (Prunus Lusitanie). Lungo il viale secondario, a destra della pista, scendendo, troviamo al di fuori della siepe di berberis lungo la scarpata un filare di alberi chiamati ornelli a foglie caduche: sono delle vere e proprie piante ornamentali. Nel piazzale al di sotto della pista troviamo un cedro argentato dalle foglie molto chiare, al di sotto del quale sono stati piantati alcuni esemplari di tasso potati secondo l’arte topiaria e il lauro del Portogallo. Quasi al centro del piazzale troviamo l’emblema della villa che è un bellissimo cedro del Libano Composito perché forma, da un unico tronco, un’intera foresta di alberi. Esso è stato piantato più di cento anni fa, ve ne erano altri due di eguale bellezza ai lati della peschiera ma sono stati abbattuti da fulmini. A sinistra troviamo un altro albero secolare: il cedro dell’Himalaia dal tronco compatto e dritto. Sotto la scarpata che porta alla cedraia troviamo un filare di alberi di Giuda con fiori sessili di colore fucsia intenso. Lungo la scarpata la cui vista dà ai Pasteni sono stati piantati numerosi pini neri, aceri e gelsi. Procedendo verso i1 viale secondario troviamo un filare di platani tale viale è limitato da una siepe di berberis. Nelle aiuole che seguono ci sono cespugli di viburno. Proseguendo troviamo due alberi di Giuda uno a destra e l’altro a sinistra, quello a sinistra non è stato potato e quindi possiede una chioma più sviluppata ed ampia mentre quello a destra è stato privato dei suoi numerosi rami ed AEQVVM TVTICVM ha un tronco bitorzoluto molto caratteristico. Più avanti troviamo un maestoso tasso o albero della morte. Proseguendo lungo il viale a destra e a sinistra vi sono giovani alberi di ligustro ed un ciliegio (Prunus Pissardi). La nostra passeggiata termina presso l’uscita secondaria nel cui portale è impressa la data di inaugurazione della villa. 61 AEQVVM TVTICVM 62 P. P. Parzanese P. P. Parzanese. I 150 anni dalla morte di Gabriella Graziano I l 29 agosto 1852 moriva in un albergo di Napoli un nostro insigne concittadino e letterato, il canonico P. P. Parzanese. Autore di una vasta produzione poetica: Armonie popolari (1841), le Canzoni popolari (1841), i Canti del Viggianese (1846), i Canti del povero (1851), le Poesie edite ed inedite (1856-’57) nonché di prose: Panegirici, Sermoni, Memorie, Lettere, e di interventi critici sulle pagine di “Il Lucifero” di Napoli, il Parzanese si inserisce nel filone della letteratura Romantico - Risorgimentale della prima metà dell’ ottocento. Spesso citato tra i minori o talvolta e a torto addirittura dimenticato, in realtà il Poeta arianese, che già annoverava come estimatore il De Sanctis, ha trovato conferme anche in studiosi più o meno recenti tra i quali il Lo Parco, Lo Scalvini, Michele Tondo, che hanno contribuito a sollevare da questo nostro grande irpino il velo che il tempo ed il pregiudizio aveAEQVVM TVTICVM vano fatto calare su di lui, riproponendolo all’attenzione nella sua attualità. Tempo è passato da allora, ma P.P. Parzanese ha ancora oggi molto da dire con la sua lezione di poeta allo stesso tempo provinciale e cittadino. 63 P. P. Parzanese Vissuto in un ambiente lontano geograficamente e culturalmente dai centri più all’avanguardia, (la “selvatichezza” del borgo arianese e l’incomprensione dei suoi confratelli e concittadini lo fecero molto soffrire), vinse l’isolamento attraverso il tirocinio poetico e la pratica costante della letteratura, che non fu per lui un “esercizio” da Arcade, ma uno strumento allo stesso tempo di apertura al sociale, di ricerca di senso e quindi di libertà intellettuale. Visse ad Ariano, dove nacque nel 1809, ed entrò nel 1819 nel Seminario cittadino, dove si formò agli studi classici. Stimato e protetto da D. Russo, Vescovo del tempo, uscì dal Seminario nel ‘25, soggiornò a Napoli ed al suo ritorno ad Ariano, nel ‘30 o ‘31 fu nominato canonico. Alla morte del Russo nel 1837 ricoprì per tredici mesi la carica di Vicario Capitolare, dedicandosi nel frattempo anche all’oratoria sacra ed all’insegnamento letterario che in seguito abbandonerà per dedicarsi alla poesia. Coltivò l’iniziale passione per essa con uno studio e una disciplina severi, passando dalle prime prove poetiche, in cui era vivo l’eco dei classici latini, specie di Virgilio, ed italiani, Dante, Petrarca, Metastasio, Parini, Monti, ad esiti in cui altri erano gli stimoli e le influenze: il Manzoni, il Leopardi, nonché il Burger e vari poeti inglesi e tedeschi, cui si accostò grazie al contatto con gli intellettuali napoletani. La frequentazione dei salotti letterari più noti di Napoli, infatti, oltre alla la cultura romantica lombarda gli fece conoscere anche quella straniera a cui si accosterà, forse già nel ’30, con la traduzione di alcune odi del Fauriel. E così, provinciale per nascita, non lo fu invece per cultura, dimostrandosi aperto alla coeva letteratura romantica e ricettivo verso quella francese, inglese e tedesca col suo lavoro di traduttore, avviato nel ’37 e continuato con costanza dal’ ‘40 sino alla morte. Predilesse da buon Romantico soprattutto la letteratura tedesca; tradurrà il Faust di Goethe, si accosterà ad Heine e sarà un estimatore dello Uhland, che farà AEQVVM TVTICVM conoscere per primo in Italia. Parallela all’attività di traduttore fu nell’Irpino la riflessione critica sul “fare” poetico che lo inserì appieno nel coevo dibattito culturale che le tematiche del Romanticismo sollevavano. Emblematiche in tal senso si rivelano allora le Lettere-Prefazioni, le Prefazioni alle sue raccolte poetiche nonché le numerose Lettere ai vari amici e gli articoli su “Il Lucifero” dai quali emerge la modernità, lo spessore intellettuale e la consapevolezza critica del Nostro. È da queste pagine che si ricava il senso vero di quella “rinuncia” di una poesia “alta” in nome di una letteratura “utile” nel sociale e perciò educativa e popolare alla quale egli pervenne, dopo aver abbandonato l’iniziale esperienza di una poesia classica e civile. Tale scelta se trova la sua spiegazione nella adesione del Parzanese al “credo poetico” romantico, ha la sua giustificazione prima ed intima anche o piuttosto nella sua scelta di vita. Personalità complessa dunque, quella del Parzanese, prolifica e diversificata quanto a produzione letteraria, tanto da giustificare e sollecitare la richiesta di una rivalutazione della sua figura di intellettuale e di uomo di Dio, attraverso un lavoro di riscoperta della sua opera puntuale ma soprattutto scevra da pregiudizi ideologici e non. Il Parzanese merita di essere annoverato tra i grandi della nostra letteratura meridionalista risorgimentale, ed ha tutte le carte in regola per esserlo, pertanto non si possono far passare sotto silenzio i 150 anni dalla sua morte, senza richiamarlo alla memoria pubblica con iniziative adeguate, innanzitutto a livello locale, che vadano in questo senso. 64 Diomede Carafa Diomede Carafa e la Diavolessa di Mergellina di Giovanni Orsogna U n vescovo Diomede Carafa, Ariano Irpino, suo luogo di nascita, la bellissima chiesa di Santa Maria del Parto di Mergellina costituirono per il passato sec. XVI i luoghi della memoria popolare (1) che hanno affascinato celebri viaggiatori e persone popolari, tanto da far diffondere in Napoli la famosa leggenda della diavolessa di Mergellina. Il mistero viene svelato da Matilde Serao nel suo celebre romanzo “Libro di immaginazioni e di sogni nelle sue Leggende Napoletane” del 1911, ripreso anche da Benedetto Croce. La vicenda secondo la Serao è trasferita alla stregua di un romanzo di fin de siècle, in uno scenario altoborghese. Secondo un’antica tradizione, confermata dalla scritta della cappella Carafa di Mergellina: FECIT VICTORIAM ALLEUJA 1542 CARAAEQVVM TVTICVM FA si tratterebbe di un ex voto voluto dal vescovo di Ariano Diomede Carafa(2), liberatosi dalla passione per una nobildonna napoletana probabilmente la Davalos. La nobildonna inviò lettere di amore, struggenti per messer Diomede, a volte scoppiava dall’impeto della disperazione perché il giovane Carafa “amava madonna Isabella (?) che aveva fama di donna crudele e disamorata...” ma la Serao, vo l u t a m e n te omette il pentimento del vescovo ecco come scrive: “Diomede Carafa fu vescovo di Ariano, prelato esemplare e amatore dell’arte. Leonardo da Pistoia, pittore, fu suo amico. Per sua ordinazione e per la chiesa di Piedigrotta dove giace il Sannazzaro, il Leonardo fece il quadro bellissimo di S. Michele che atterra Lucifero. Lucifero vinto e bello ha il volto di Madonna Isabella. Ed è una donna 65 Diomede Carafa il diavolo di Mergellina...”(3) Fin qui la leggenda, ma ci sono ancora dei dubbi che possono sedurre il lettore, due donne si contendono il giovane Carafa, che il popolo e la leggenda ne ha fatto un avventuriero, ma secondo la storia si tratterebbe di una prova di amore mistico: quello carnale e quello spirituale. Alla fine chi vince è quello cristiano, come attesta l’iscrizione dell’ex - voto. Basterebbe visitare la chiesa del Sannazzaro e il volto mistico dell’Angelo che alcuni studiosi vogliono quello del Carafa spiritualizzato, mentre quello della diavolessa, il simbolo della tentazione umana.(4) Questa provocazione letteraria vuole inserirsi in una sorta di parco letterario minore della Campania, dove Ariano, celebre città della ceramica, luogo di nascita del Vescovo Diomede Carafa, e Napoli vengono unite in una sorte di filo d’oro, per essere visitate. Bibliografia: Carrella Attilio M., La Chiesa di S.Maria del Parto a Mergellina, Napoli, 2000, Pentagono Ed, Di Fronzo P., Il clero altirpino nell ‘arco del secondo millennio, Lioni, 1994, Irpina Poligrafica, 24 p. 1) La leggenda della “Diavolessa di Mergellina”, forse di Vittoria D’Avalos, potente nobildonna che tentò di sedurre il vescovo di Ariano Diomede Carafa è effigiata nel celebre dipinto, olio su tavola: “San Michele che calpesta il demonio” ad opera di Leonardo da Pistoia, intorno al 1540, nell’omonima Cappella Carafa nella chiesa di S. Maria del Parto. 2) Diomede Carafa (1487 - 1560) figlio del duca arianese Giovanfrancesco e di Francesca Orsino dei duchi di Gravina, ebbe i natali ad Ariano Irpino, ma vissuto nella opulenta Napoli, frequentava le prestigiose famiglie partenopee. Quando fu eletto vescovo nel 1511, da Napoli inviava al Capitolo di Ariano la prima missiva paterna. Prelato giovanissimo, di grande spiritualità e carità resse la diocesi di Ariano con un grande amore verso il popolo e stretta vigilanza del clero. Vescovo illuminato promosse in città ed in diocesi un’opera meritoria di riscotruzione: la cattedrale con la celebre facciata romanica, l’episcopio, dopo appena un anno nel 1512, l’atrio della cattedrale ed il campanile. Seguì l’esempio dell’episcopato di San Carlo Borromeo, apportando rinnovamento nei costumi, iniziò la celebre villa nei pressi dell’attuale cimitero che rimase incompiuta. Nipote di Paolo IV, Carafa, fu austero e benefattore. Lo stesso pontefice nel 1555 lo elevò alla sede cardinalizia col titolo dei santi Silvestro e Martino nei Monti in Roma. Aveva sempre nel cuore la morte intesa come passaggio alla vita futura, evitò gli intrighi negli affari della corte romana e la politica non lo interessava, estremo difensore dei valori cristiani e della fede. Volle costruirsi diversi sepolcri: nella cattedrale di Ariano, in San Domenico Maggiore, Napoli, in S. Maria del Parto di Margellina ed infine l’ultimo nella chiesa dei SS. Silvestro e Martino in Roma dove venne sepolto nel 1560. 3) Napoli: mito e scienza e superstizione. Da piazza Vittoria al largo Sermoneta, Il Mattino, Ed. Maggio Monumenti, Napoli, 2001, 23-25 pp. Isabella Colonna dama amata dal Carafa. 4) Il Carella, in o.c. così ricostruisce la storia: La leggenda vuole che una nobildonna napoletana Vittoria Davalos si fosse perdutamente innamorata del Carafa e sottoponesse a dura prova la sua virtù. Il prelato, allora fece dipingere il quadro e chiese alla dama di volerlo accompagnare a vedere il capolavoro nel quale il San Michele aveva il volto del Carafa e il diavolo le sembianze della tentatrice, che rinunziò al suo amore. Il Vescovo per celebrare la vittoria fece apporre al dipinto la citata iscrizione: FECIT VICTORIAM ALLELUJA 1542 CARAFA.... AEQVVM TVTICVM 66 Aequum Tuticum Aequum Tuticum è anche Touxion? da “Hirpi - Storia dei sanniti Hirpini” di Domenico Cambria C ome ebbi modo di dire nella introduzione al mio ultimo lavoro, Hirpi, la storia, spesso la fa chi la scrive, non certamente cambiandone i contenuti, ma presentandola con la fierezza, l’eroismo e l’esaltazione dei sentimenti di chi la racconta. Ecco perché, magari, la stessa pagina può essere presentata in maniera diversa da più autori, esaltandola o avvilendola, rendendola credibile o meno a secondo del momento che lo stesso vive, o dei suoi sentimenti. E’ il caso di “Aequum Tuticum” la nobile città di stirpe Sannita che la si vuole fare risalire a Diomede, quando intorno al 1200 a.C. approdò sulle coste della Puglia inoltrandosi verso Benevento. Dimenticata per ben due millenni, solamente verso il 700, poi il 900, nonché con l’opera di chi scrive, questa nobile ed antica città del Sannio Hirpino, oggi torna, o può tornare al ruolo che le compete, scrostandola dalla polvere del tempo che per vari secoli ne ha offuscato la memoria. Posta all’incrocio di quelle che dovevano essere la via Traiana e la Herculia, presso il tratturo PescasseroliCandela che tagliava l’intero Sannio, a partire da quello Pentro, in maniera longitudinale e giungeva in Apulia, nonché snodo viario per Aeclanum a Sud ed Aecae (Troia) a Nord, la città di Aequum Tuticum, l’antico insediamento degli arianesi che oggi popolano il Tricolle, assieme a Compsa, la valle d’Ansanto con il suo tempio dedicato alla dea Mefite, Abellinum ed una Bovianum Hirpina, probabilmente localizzata tra Nusco e Bagnoli Irpino, ha sempre svolto un ruolo politico e sociale di primissimo piano tra tutte le città di quell’Hirpinia sannita. Sede di “Touto”, vale a dire di Magistero, ad AeAEQVVM TVTICVM quum Tuticum si amministrava la giustizia. Là si conveniva per le scelte politiche, per gli indirizzi sociali, nonché per le riunioni di carattere militare. Solo nel 1774 il geografo francese D’Anville ne localizzò con certezza il sito, posto a Nord di Ariano, a confine con l’agro di Benevento, nella zona detta di S. Eleuterio. Cinquant’anni dopo, lo storico locale Vitale, in virtù dei numerosi reperti venuti alla luce, confermò quanto già il D’Anville aveva asserito, localizzandola come “Touto”: posto di Magistero. Ma, se il termine “Aequum Tuticum” non è che una latinizzazione del vero termine, qual era il nome di questa città in epoca sannitica o precedente? Per molti, nonché per chi scrive, “Aequum Tuticum” è anche Touxion, il grande centro politico, religioso e commerciale dei Sanniti, dove si riunivano gli eserciti per i loro riti propiziatori: una delle tante città fantasma di quel periodo, solo perché Tito Livio, obbedendo agli ordini di Roma, scrive la storia a suo uso e costume, tra l’altro non citando mai, o non mettendo mai in evidenza, le città del Sannio Hirpino, perché il Senato romano ne aveva decretato la “dannacte memorie!” Chi si sofferma in maniera significativa su questo argomento, ponendo nel 1850 una prima, importante “pietra” verso la ricerca della verità, è lo storico beneventano Domenico Petroccia, il quale ha scritto un intero trattato dimostrandone la veridicità. Lo storico Nisses non ebbe dubbi a riguardo. Preller avanzò addirittura l’ipotesi che l’Afrodite Nicefora di Aequum Tuticum, avesse qualche rapporto con la statua della Venus Vetrix esistente a Roma in Campidoglio. Ma, se il Petroccia appartiene ai nostri 67 Aequum Tuticum tempi, nell’antichità, chi parla per la prima volta di Aequum Tuticum e di Touxion, è Cicerone, mentre lo Pseudo-Plutarco, dell’età di Traiano (100 d.C.), menziona Aequum Tuticum chiamandola proprio Touxion, la metropoli dei Sanniti. Lo Pseudo-Plutarco aggiungeva tra l’altro una notizia che era sfuggita a molti studiosi, vale a dire che, la città fu espugnata durante le guerre Sannitiche da Fabio Fabriciano, il quale inviò a Roma, come trofeo di guerra, una statua di Afrodite Nicefora venerata dai Sanniti !!! Chi torna su Touxion è il prof. Tagliamonte nel suo testo “I Sanniti”, il quale riporta che, Quinto Fabio Maximum Gurgens, console nell’anno 292 a.C. e proconsole del Sannio nel 291, avrebbe saccheggiato una ignota città Sannita dal nome Touxion da cui avrebbe asportato una statua di culto apportatrice di vittoria. Ma, mentre il Petroccia fa risalire, senza ombra di dubbi, la città Sannita all’attuale “Aequum Tuticum”, il Tagliamonte, precauzionalmente, la definisce una città ignota. A questo punto sono da farsi delle ovvie considerazioni, in quanto sarebbe davvero riduttivo se chi scrive si limitasse a riportare la solita storiografia senza aggiungere nulla di proprio o per lo meno senza tentare di dissipare certi dubbi. Se il ragionamento “spinto” non è consentito a coloro che rappresentano l’Autorità, i ricercatori locali possono farlo sino a giungere a quelle logiche conclusioni che per dignitosa serietà professionale non sono consentite ai primi, che, però, rischiano di ripetere vecchi errori, pur di seguire un’apparente logica accreditata. È il caso questo di Aequum Tuticum. Le considerazioni che si possono fare sono di due tipi, una di carattere spaziale e l’altra fisico: di quale Sannio parlano i testi Romani in quell’occasione? E’ presumibile del Sannio Hirpino. Ed ancora, poiché il Sannio Pentro era già stato conquistato per la maggior parte nel 311 a.C. e nel 305, perché proprio nel 292, alla fine della III guerra AEQVVM TVTICVM sannitica, doveva venire fuori questa statua? Quel pro-console, era stato assegnato al Sannio Hirpino, perché lì, Roma, in quel momento stava consolidando la propria posizione al termine del suddetto conflitto. La coincidenza, oltre a tutta una serie di considerazioni, è evidente e serve a lasciare quanto meno dubbiosi anche i più scettici. Accertato questo, altre Regioni hanno duplicato termini, date e località, pur di impossessarsi di questa pagina di storia che è nostra, dapprincipio alla fine. Invece Touxion è ancora coperta da una coltre di polvere che cresce ogni giorno di più, come a volere nascondere colpe non certo nostre. Touxion, così, resta ancora sepolta là, dove gli Hirpini Sanniti la abbandonarono circa 2000 anni fa, lontana dalla nostra memoria storica e culturale, e con essa l’orgoglio di quei progenitori che con il loro ardore ed il senso della libertà, pagarono il prezzo di quei valori con la vita, senza mai essere schiavi di Roma. Noi, oggi, invece, con il nostro assenteismo e la nostra negligenza, ad offuscarne la memoria. 68 Donazioni Museo Civico Elenco Donatori al 30/6/2002 - Adriatica Costruzioni - Alterio Antonio - Associazione Amici del Museo di Ariano - Associazione Amici del Museo di Foggia - Associazione Circoli Culturali di Ariano - Aucelletti (eredi) - Autocardito di Gino Giorgione - Banca Popolare Ariano Valle Ufita - Blasi Antonio - Capozzi Ada - Cardinale Antonio - Caro Donato - Chianca Emilio - Ciccarelli Erminio - Ciccone Antonio - Ciccone Pasquale - Circolo Culturale Nuova Dimensione di Ariano - Cocca Domenico - Corsano Angelo - Cozzo Francesco - Cozzo Giovanni - Credito Italiano - D’Alessandro Emma - D’Angelo Ugo Costruzioni - D’Antuono Antonio - D’Antuono D’Alessandro Luigia - D’Antuono Mario - D’Antuono Nicola fu Mario - D’Antuono Nicola fu Silvio - D’Antuono Ottaviano - D’Agostino Maurizio - De Donato Antonio - De Furia Aldo - De Majo Ettorino - Del Conte Claudio - Di Chiara Giuseppe - Di Furia Franco AEQVVM TVTICVM - Di Furia Mazza Rosa Maria - Dotoli Emilia - Esposito Andrea - Ferragamo Nicola - Flammia Gennaro - Formato Augusto - Formato Gabriele - Forte Graziella e Carla - Gambacorta Raffaele - Gianuario Antonio - Giorgione Natale - Grasso Antonio fu Luigi - Grasso Gaetano - Grasso Lorenzo - Guardabascio Raffaele - Guardabascio Vincenzo - Iacobacci Candido - Iorio Celeste - Iuorio Carmine, Marinunzia, Myriam e Simona - Liscio Nicola - Manganiello Antonio - Mastrangelo Ciriaco Vito - Mazza Emerico Maria - Mazza Renato - Melito Nicola - Moscatelli Antonietta - Moscatelli Pasquale - Orsogna Giovanni - Ortu Mario (eredi) - Pignatelli Della Leonessa Melina - Pirelli Serra Teresa - Pisapia Enzo - Piscitelli Antonio - Pollastrone Luigi - Pratola Nicolantonio - Pro Ariano 69 Donazioni Museo Civico Elenco Donatori al 30/6/2002 - Purcaro Giuseppe - Riccio Loreta e Rosa - Rogazzo Vincenzo - Salvatore Salvatore (direttore Vicum) - Sampietro Pino - Santosuosso Domenico - Scapati Guglielmo - Schiavo Luigi - Scrima Stefano - Serluca Pia - Spagnuolo Lorenzo - Speranza Francesco Paolo e Gerardo - Speranza Gabriele - Titomanlio Guido - TLT Engineering - Tullio Tiso - Vara Liberato - Villamarino Carmela - Zecchino Ortensio Ci piace segnalare la squisita sensibilità dimostrata dai professori Lucio Liguori e Francesco Raimondi, entrambi maestri ceramisti di Vietri, i quali hanno donato proprie realizzazioni al Museo Civico di Ariano. AEQVVM TVTICVM 70 Costumi di Ariano Poliorama Pittoresco - Napoli - prima metà del sec. XIX AEQVVM TVTICVM 71 Fototeca Museo Civico AEQVVM TVTICVM 72 Fototeca Museo Civico AEQVVM TVTICVM 73 Fototeca Museo Civico AEQVVM TVTICVM 74 Fototeca Museo Civico AEQVVM TVTICVM 75 Fototeca Museo Civico AEQVVM TVTICVM 76 Il Consiglio Nazionale Ceramico, nella seduta del 30 novembre 2000, deliberò di riconoscere Ariano Irpino quale zona di affermata produzione di Ceramica Artistica e Tradizionale. Il disciplinare, tra l’altro, prevede la descrizione del marchio con le caratteristiche sopra riportate. AEQVVM TVTICVM 77 gelateria Buontalenti Se vuoi mangiare gelato a due palmenti vieni alla gelateria Buontalenti. Troverai qualità, novità e sapori per palati raffinati, da intenditori. Via Castello, 5 - Ariano Irpino AEQVVM TVTICVM 78 Bomboniere - Oggettistica Articoli da Regalo personalizzati Liste Nozze di Elisabetta Scrima e Sonia Tiso Rione San Pietro, 54 - Ariano Irpino Tel. e Fax 0825 825632 Produzione Propria Decorazione a mano delle Maioliche di Ariano Irpino AEQVVM TVTICVM 79 SUPERMERCATI ASSOCIATI ITALIANI Via Martiri Perazzo, 15 upim Via Variante, loc. Ponnola Viale dei Tigli Via Cardito, loc. Torana Centro Commerciale 0825827153 0825827735 0825871916 0825892222 ARIANO IRPINO Ambiente Climatizzato AEQVVM TVTICVM Parcheggio Disabili Parcheggio gratuito Carte di credito Autoriz. Assegni 80