AEQVVM
TVTICVM
EDITO A CURA DELLA
ASSOCIAZIONE AMICI DEL MUSEO
DI ARIANO IRPINO
CON IL CONTRIBUTO DELL’ASSESSORATO ALLA CULTURA
DEL COMUNE DI ARIANO IRPINO
In copertina: Veduta della città di Ariano - disegno D. Henrico
Poliorama Pittoresco - Napoli - prima metà del sec. XIX
Redazione
LUIGI ALBANESE
ANTONIO ALTERIO
DOMENICO CAMBRIA
MARIO D’ANTUONO
OTTAVIANO D’ANTUONO
EVA DELL’INFANTE
GERARDO DONNARUMMA
GABRIELLA GRAZIANO
EMERICO MARIA MAZZA
D. DONATO MINELLI
GIOVANNI ORSOGNA
GRAZIA VALLONE
AEQVVM TVTICVM
4
Sommario
EDITORIALE
di Antonio Alterio (Presidente dell’Associazione Amici del Museo). . . . . . . . pag. 7
IL CAMPO SPORTIVO DI ARIANO
di Antonio Alterio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
9
LA VITA, LA VIVEVI SCHERZANDO
di Gerardo Donnarumma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
15
LE FORNACI DELL’ARTE
di Mario D’Antuono. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
17
IL MAESTRO DELLA “ADORMITA”
di Grazia Vallone. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
21
L’OSPEDALE DEI PELLEGRINI “SANTO IACONO” DI ARIANO
di Ottaviano D’Antuono (Responsabile del Museo Civico). . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
23
ELZEARIO E DELFINA STORIA D’AMORE E DI VITA
di D. Donato Minelli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
41
GIOVANNI MAZZA ABATE DI S. CLEMENTE IN CASAURIA
di Emerico Maria Mazza. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
45
IL NUOVO REGOLAMENTO PEL CORPO MUSICALE
DI ARIANO IRPINO
di Luigi Albanese. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
47
INDAGINE STORICO - BOTANICA SULLA VILLA COMUNALE
DI ARIANO IRPINO
di Eva Dell’Infante. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
57
P. P. PARZANESE. I 150 ANNI DALLA MORTE
di Gabriella Graziano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
63
DIOMEDE CARAFA E LA DIAVOLESSA DI MERGELLINA
di Giovanni Orsogna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
65
AEQUUM TUTICUM È ANCHE TOUXION?
di Domenico Cambria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .”
67
Stampato nel luglio 2002
presso la
Litografia “IMPARA”
Via Umberto I, 153 - Tel. e Fax 0825871710
Ariano Irpino (Av)
Aequum Tuticum
Editoriale
S
iamo giunti al nono anno dalla costìtuzione e la nostra Associazione
è ormai pienamente radicata sul
territorio.
Non è stato facile fare accettare idee, principi, obiettivi ritenuti da alcuni puramente
frivoli e marginali rispetto a “problemi”, da
risolvere, ritenuti più importanti; il motto
dell’Associazione “conoscere per amare,
amare per conservare, conservare per lavorare” ha avuto il suo riscontro sul campo
e molti hanno condiviso con noi l’idea di
fondo. Finalmente la città di Ariano ha un
museo civico degno di questo nome, di cui
tutti possono godere e del quale ci si può
anche vantare.
Siamo orgogliosi di potere mostrare ai
turisti, che sempre più frequentemente visitano la nostra città, le maioliche dai solari
colori e dalle variegate forme. Abbiamo
scoperto di quale prezioso tesoro potevamo
vantarci, e non è difficile sentire parlare di
fiasche a segreto, di spase, di candele, di
boccali, di riggiole e di tutti gli altri oggetti
mirabilmente lavorati dai nostri bravi e
geniali artigiani.
I nostri concittadini, oggi, sono disposti
ad affidare al museo gli oggetti rinvenuti
incrementando il numero di esemplari
ceramici conosciuti e conservati, contribuendo alla realizzazione degli obiettivi
dell’Associazione.
È dato inconfutabile la presenza di Ariano nel mondo ristretto e nobile delle città
di antica tradizione ceramica; di recente il
Touring Club ha pubblicato una monografia
dedicata alle 28 città italiane della maiolica(1),
in cui Ariano, per la prima volta a pieno
diritto, figura a fianco di Deruta, Faenza,
Vietri e tutte le altre città famose per la
produzione di ceramica.
Probabilmente l’essere entrati nel circuito nazionale, ha aperto agli operatori del
settore nuove vie di sviluppo e altri mercati,
cosicché le indagini storiche e la scoperta
del nostro passato e delle nostre origini
possano trasformarsi anche in una nuova
risorsa economica per l’intera città.
Ecco perché l’Associazione si è battuta
e si batte per far capire che liberare un
monumento come la croce (ahimè ancora
imprigionata!) o conservare un quartiere
come Santo Stefano, la Guardia, l’Annunziata, o preservare un paesaggio diventa
l’occasione di lavoro, una rendita sicura dei
propri beni.
Spesso diventa difficile trasmettere queste idee a chi deve prendere le decisioni
politiche, ma l’Associazione continuerà ad
operare anche in coerenza con quanto scritto
agli Amministratori sui temi appena indicati. Ariano ha subito troppi scempi, troppe
distruzioni giustificate dalla mancanza di
conoscenza o di sensibilità, ma oggi non
si giustificano più.
Vorremmo che fossero interpellate tutte
le associazioni cittadine per le scelte riguardanti le ricostruzioni, la conservazione del
centro storico e dell’ambiente, così come
è proclamato nello Statuto della Città di
Ariano.
Il 2001 è stato l’anno del ritorno al
passato remoto per la nostra maiolica; con
fatica, ma con tanta soddisfazione, abbiamo setacciato i cumuli di terreno rimosso
dalle pale meccaniche lungo la costruenda
1) Guida Touring, Le Città della Ceramica, Milano, 2001.
AEQVVM TVTICVM
7
Aequum Tuticum
strada a Sud delle antiche mura di Ariano.
Ebbene le sorprese non sono mancate e
ad esse si uniscono le conferme che tanto
si aspettavano, riguardo i manufatti creati
dalle nostre maestranze operanti in epoca
medievale e nei secoli successivi.
Finalmente i documenti ufficiali quali il
Catasto Angioino, l’Inventario Capitolare, il
Catasto Onciario hanno avuto il riscontro: i
pezzi rinvenuti sono vivaci nei colori, originali
nelle forme e nelle rappresentazioni. L’abilità,
la creatività, il gusto dei nostri artigiani non
avevano nulla da invidiare ai più noti maestri
arabi, brindisini, lucerini, siciliani, genovesi,
spagnoli loro contemporanei.
Nel mese di agosto ricorre il 150° anniversario della morte di P. P. Parzanese,
che sarà ricordato con varie manifestazioni
culturali nel prossimo autunno.
AEQVVM TVTICVM
Purtroppo i mesi trascorsi ci hanno
portato anche dei lutti; ci hanno lasciato
due soci, il preside Fedele Gizzi e il generale Gabriele Formato. Entrambi hanno
contribuito o si sono fatti promotori delle
nostre iniziative: Gizzi ha progettato e
realizzato le “Lecturae Dantis”, Formato
ha più volte messo a disposizione la sua
memoria storica per individuare su foto
antiche personaggi di Ariano, per raccontare
avvenimenti e fatti della nostra città. Il loro
entusiasmo e l’amore verso la nostra terra
ci saranno sempre da esempio e aiuteranno
a conservare, amare, ricordare.
Antonio Alterio
(Presidente dell’“Associazione Amici del Museo”)
8
Campo Sportivo
Il campo sportivo
di Ariano
di Antonio Alterio
S
iamo nel 1931: ad Ariano non esisteva un campo sportivo che potesse
consentire ad una squadra
di partecipare ad un regolare campionato
di calcio.
Così, il 9 agosto di
quell’anno, fu costituito un apposito Ente
Autonomo per la costruzione e gestione
del Campo sportivo.
L’atto, repertoriato al
N. 6423, fu ricevuto
dal Notaio Gerardo
D’ALESSANDRO nella
sede del fascio in
Piazza Plebiscito. Si
costituirono il Notaio
Enrico AUCELLETTI, in
rappresentanza del
fascio di combattimento di Ariano, il
Dr. Umberto BETTARINI, rappresentante
dell’Amministrazione
Comunale di Ariano,
il Cavaliere Mario
PRATOLA, nella qualità di rappresentante
del dopo lavoro comunale “Giulio LUSI”,
il Maggiore Nicola LUPARELLA, rappresentante della locale sezione di tiro a segno
nazionale, il prof. Filippo LOTITO, Preside del
RegioGinnasio “P.P. Parzanese”, nella qualità
di rappresentante dell’Opera Nazionale
Balilla, l’Avv. Enea FRANZA, rappresentante
del locale fascio giovanile, il Dr. Francesco
Paolo FRANZA, rappresentante della federazione Italiana di Atletica Leggera (FIDAL), il
Prof. Giuseppe CEFALI, rappresentante delle
AEQVVM TVTICVM
Scuole Elementari, l’Avv. Ettore DEL CONTE,
rappresentante del Gruppo Universitario
Fascista (GUF), l’Ing. Francesco MELITO,
rappresentante e Capomanipolo della Milizia Volontaria per la
Sicurezza Nazionale
(M.V.S.N.), il Prof. Raimondo CONSOLANTE
Capomanipolo, rappresentante del Corso
Premilitare e il Cav.
Raffaele DE PAOLA,
Tesoriere Comunale.
Costoro espressero
la volontà di costituire l’Ente Autonomo
per la costruzione e
gestione di un campo
sportivo che sorgesse
a valle del Viale Tigli
su un terreno di proprietà del Comune.
L’Ente si impegnava a
reperire e raccogliere
i fondi con sottoscrizioni ed offerte in
denaro da Enti e da
privati e a promuovere tutte quelle attività
che consentissero di
acquisire ulteriori entrate. Una volta costruito il campo le risorse
economiche eccedenti sarebbero dovute
servire a pagare le spese di esercizio e ciò
che rimaneva sarebbe stato devoluto alle
opere assistenziali del Partito Nazionale
Fascista di Ariano. Le cariche sociali furono
così distribuite: Presidente AUCELLETTI,
Segretario LUPARELLA, Tesoriere DE PAOLA. Tutti potevano svolgere le operazioni
di ordinaria amministrazione, mentre al
9
Campo Sportivo
Presidente spettava il compito di accettare,
in nome e per conto dell’Ente, donazioni
mobiliari, immobiliari e pecuniarie, nonché
l’amministrazione dell’intero patrimonio. La
sede sociale era fissata nei locali del fascio
e il Comitato era costituito da personaggi
di spicco e di riconosciuta capacità che non
delusero le attese.
Il Presidente, il 12 agosto del 1931, con
istanza rivolta al Comune, chiese la concessione di un terreno per la costruzione di
un campo sportivo, nonché l’erogazione di
un congruo contributo. L’Amministrazione
Comunale accolse la richiesta e già il 1°
settembre dello stesso anno provvide con
la determinazione nr.° 100 del Commissario
Prefettizio dr. BETTARINI. Interessante era la
motivazione che suffragava la concessione in proprietà dell’intero appezzamento
di terreno all’Ente e la concessione di un
contributo iniziale di lire 20 mila da far
gravare su un apposito capitolo istituito in
bilancio. Si disse, infatti, che era impossibile,
a nove anni dalla costituzione del regime
fascista, che un Comune come Ariano di 25
mila abitanti non avesse un luogo idoneo
a “fare impartire l’educazione fisica alla sua
AEQVVM TVTICVM
gioventù”. La spesa, perciò, non poteva
considerarsi facoltativa essendo un obbligo della istituzione comunale provvedere
alla educazione fisica degli alunni delle
scuole prive di palestra; ne avrebbero così
beneficiato gli alunni delle elementari e del
ginnasio e tutti i soci delle varie istituzioni
giovanili fasciste. Di qui scaturiva la necessità di partecipare alle spese che, secondo
la stima progettuale, ammontavano a ben
94.500 lire.
L’entusiasmo non mancava, né difettava la
collaborazione: numerosi ed attivi furono
i volontari che lavorarono gratuitamente
e con tutti i mezzi a disposizione. Ai cospicui contributi economici del Comune,
si aggiunsero quelli dei cittadini ed in
particolare quelli del Presidente dell’Ente,
il Notaio AUCELLETTI. Con atto n. 126 del
25.06.1932, il Commissario Prefettizio deliberò l’assegnazione di un ulteriore contributo
di lire 10 mila, previo storno di bilancio. Si
giustificava l’intervento anche in funzione
del fatto che il Comitato aveva sostenuto
ingenti spese “in occasione della venuta
del Carro di Tespi”, un teatro ambulante di
grande successo all’epoca. Il campo fu realiz10
Campo Sportivo
zato completamente, attrezzato e recintato
per tutto il perimetro, lo spogliatoio era in
legno, mentre le tribune erano di cemento.
Nel 1935 il Podestà, ing. Giuseppe Forte, con
provvedimento n. 47 del 1° giugno, erogò
un ulteriore sussidio di lire 500 per i lavori
di sistemazione dello steccato del campo
sportivo che era andato “completamente
distrutto nella decorsa stagione invernale” a
causa del vento impetuoso ed altre intemperie. Anche le somme per pagare gli onorari
all’ing. Gaetano FRASCADORE, chiamato a
redigere il progetto di sistemazione del
campo, furono liquidate dal Comune. Infatti,
con atto n.° 66 del 27.08.1943, il Podestà
dispose il pagamento di lire 4.000 a favore
del predetto professionista, prelevando le
somme dall’apposito capitolo di bilancio
avente la denominazione “Manutenzione
campo sportivo”. La motivazione, posta a
base di detto atto, si fondava sulla necessità di sistemare definitivamente il campo
“in modo che rispondesse alle esigenze di
questo centro di oltre 27.000 abitanti, con
popolazione scolastica molto numerosa e
diversi ordini di scuole” (elementari, medie,
ginnasio e scuola avviamento).
Il progetto approntato dal tecnico prevedeva
una spesa di circa L. 600.000.
Il campo fu abbandonato sia per gli eventi
bellici che per
le precarie condizioni economiche dell’Ente;
furono divelti ed
asportati i recinti
e gli spogliatoi in
legno mentre le
tribune furono
rovinate dalle
intemperie e dai
bombardamenti
. Così nel 1945, a
seguito di una richiesta avanzata
dall’Associazione
Sportiva Arianese “S. Renzulli”,
fu stipulato un
atto di cessione
il 6 novembre,
N. 11989 di reAEQVVM TVTICVM
pertorio, dal Notaio Leonardo CAPOZZI di
Castelfranco. Per l’Ente si costituirono AUCELLETTI, PRATOLA, Enea e Francesco Paolo
FRANZA, CEFALI, DEL CONTE, MELITO e per
l’Associazione Sportiva Arianese, il Presidente
DOTOLI Giuseppe. Questi accettò la cessione
del campo sportivo nello stato di diritto e
di fatto in cui si trovava e si assumeva l’impegno di restaurarlo e di renderlo “sempre
e più adatto all’educazione sportiva della
gioventù”. La cessione era gratuita e fatta
all’unico scopo “di creare una palestra per la
gioventù” e senza possibilità di sottrarlo alla
sua destinazione o di variarla in mancanza
di assenso del Comune. Successivamente
l’Associazione Sportiva Arianese (ASA),
non avendo le disponibilità economiche
sufficienti a riparare i gravi danni inferti
dai bombardamenti, cedette in gestione il
campo ad altra società privata, anch’essa
presieduta da Dotoli, con l’obbligo di provvedere al restauro ed al completamento
delle attrezzature. Quest’ultima società,
infatti, provvide alla realizzazione di opere
di consolidamento del terreno sottostante
il Viale Tigli ed a procurare le attrezzature
più idonee spendendo una cifra considerevole per l’epoca. Con nota 7 luglio 1946,
il Sig. DOTOLI invitava l’Amministrazione
Comunale a chiedere “allo Stato, che vi era
11
Campo Sportivo
tenuto, il rimborso della spesa ammontante
ad oltre 4 milioni di lire” per il ripristino
ed il consolidamento della Via Comunale
Tigli danneggiata dai bombardamenti nel
settembre 1943. L’Amministrazione Comunale con atto di Giunta Esecutiva n. 50
del 25.08.1946 provvide ad approvare la
perizia ed il computo metrico relativi ai
predetti lavori di restauro e consolidamento ed inviava gli atti al genio Civile, per il
tramite della Prefettura, al fine di ottenere
il rimborso. Intanto l’Associazione sportiva
(ASA), con deliberazione societaria del 12
ottobre 1946, aveva stabilito di retrocedere il
Campo Sportivo al Comune, fissando alcune
condizioni. Chiedeva il riconoscimento ed
il rispetto dei patti stipulati con la Società
di costruzione del Campo, così come erano
riportati nell’atto stipulato il 6.11.1945; il
disbrigo delle pratiche amministrative per
l’ottenimento dallo Stato delle predette
somme spese per il consolidamento del
AEQVVM TVTICVM
Viale Tigli ed il conseguente rimborso alla
Società; il riconoscimento del diritto a svolgere tutte le manifestazioni, competizioni
ed allenamenti senza alcuna limitazione,
nel rispetto della destinazione del campo
e della sua efficienza. Infine all’Associazione doveva essere riconosciuto il diritto di
trattenere il 70% dell’incasso, al netto delle
spese, per tutte le competizioni che si sarebbero svolte. Veniva fatto salvo il diritto
d’ingresso nel campo agli associati muniti
di regolare autorizzazione.
Al Consigliere Comunale, Avv. ZERELLA, nella
seduta consiliare del 28/10/1946, non era
sfuggito l’aspetto giuridico della questione
tanto che, a suo dire, era improprio parlare
di retrocessione per un bene di proprietà
comunale. A suo parere, tuttavia, la proposta
fatta era utile e conveniente per il Comune
ma non bisognava assumere alcun obbligo
di rimborso per le spese di costruzione del
Campo, a meno che lo Stato non avesse
12
Campo Sportivo
provveduto a stanziare i fondi a seguito di
riconoscimento dei danni bellici. Solo in tal
caso, per evitare un indebito arricchimento ai
danni della Società, l’Avv. ZERELLA riteneva
che il Comune avesse l’obbligo del rimborso, traendo “il vantaggio rilevantissimo di
conseguire il possesso del Campo Sportivo
che costituiva davvero un’opera imponente”.
Il Consigliere Avv. Luigi ALBANI suggerì di
acquisire il consenso alla retrocessione da
tutti i soci della Società di costruzione del
Campo, unitamente alla rinunzia degli stessi
ad “ogni ragione ed azione per il recupero
del credito relativo alle opere” realizzate,
salvo che non avesse il Comune ricevuto le
somme di rimborso dallo Stato. Solo in tal
caso sarebbe stato corrisposto alla Società
quanto dovuto fino a concorrenza del credito vantato. La proposta di retrocessione
nella detta seduta consiliare raccolse il
consenso unanime dei Consiglieri presenti
con l’astensione del Sindaco (Enea FRANZA).
Venne così adottata una deliberazione che
accoglieva le richieste fatte dall’Associazione
Sportiva Arianese e autorizzava il Sindaco a
stipulare gli atti relativi alla retrocessione con
l’osservanza di alcune condizioni. Anzitutto
si stabilì l’acquisizione dell’espressa volontà
AEQVVM TVTICVM
degli azionisti della Società di costruzione
del campo Sportivo di rinunzia a far valere,
nei confronti della Civica Amministrazione,
ogni “diritto, ragione e pretesa relativa al
recupero delle somme, singolarmente e
collettivamente devolute ed al restauro del
campo e per le attrezzature”. Il rimborso
del credito personale e particolare vantato
sarebbe stato effettuato qualora lo Stato
avesse provveduto e comunque nei limiti
delle somme erogate fino a concorrenza
del credito vantato. Il Comune riconosceva
all’A.S.A. il diritto di svolgere tutte le manifestazioni, competizioni e allenamenti senza
limitazioni, “con l’impegno a non mutare
la destinazione del Campo”, ed a tenerlo
efficiente allo scopo. La Civica Amministrazione si riservava di dare in fitto il Campo
a terzi, per la normale gestione, alle condizioni appena indicate e con la ripartizione
degli utili “in ragione del 70%, al netto, alla
Società Sportiva”. La deliberazione predetta
non passò indenne in quanto la Giunta
Provinciale Amministrativa, Organo di Controllo, la osservò chiedendo chiarimenti in
merito ad un presunto abusivo possesso di
un bene di proprietà pubblica. Con atto n°
33 del 22.03.1947, la Giunta Esecutiva con-
13
Campo Sportivo
trodeduceva, sostenendo che la mancanza
di un atto pubblico di cessione del terreno
da parte del Comune all’Ente Autonomo
Campo Sportivo prima e all’Associazione
Sportiva Arianese dopo, escludeva ogni
abuso essendovi il consenso indiretto della
Civica Amministrazione che aveva contribuito anche alle spese. I contributi erano stati
cospicui e rapportati ai lavori necessari data
la natura del terreno in forte pendenza. Erano
stati rimossi dal pendio circa 30 mila mc. di
terreno ed erano state realizzate imponenti
opere di consolidamento. La Giunta Esecutiva tentò di dimostrare quanto imponente
fosse stata l’opera, che aveva subito ritardi
nella sua realizzazione, tanto che a due anni
dall’inizio non era ancora completa ed era
di “minime dimensioni” con “una tribuna in
muratura di mt. 30” e quanto gravi erano
stati i danni causati dagli eventi bellici.
L’esecutivo riteneva che l’intervanto della
Società privata, presieduta da Dotoli, aveva
avuto il merito di avere portato a termine
l’opera con la spesa di somme rilevantissime che andavano rimborsate. Sicché, per
evitare un contenzioso, perdente per la
civica Amministrazione, si era dell’avviso di
accogliere la proposta fatta e di confermare
quanto deliberato.
Le argomentazioni prodotte furono ratificate anche dal Consiglio Comunale con la
deliberazione n. 67 del 20 maggio 1947.
Non mancarono le reazioni dell’opposizione
che in un giornale, pubblicato il 7.11.1946,
dal titolo “Risposta ai Sei mesi di Amministrazione”, replicò polemicamente su tale
argomento, precisò che il Campo Sportivo
era stato costruito su un suolo di proprietà del Comune, che aveva contribuito
cospicuamente, e manifestava meraviglia
nell’apprendere quanto si stava facendo
per la retrocessione, con cui venivano accettate la condizioni dettate da privati. Si
contestava la veridicità dei fatti sul danno
arrecato dai bombardamenti del 1943 sul
Viale Tigli e quindi delle presunte spese
sostenute dalla detta Società per la sola
sistemazione. Si ammetteva che tali spese,
ove sostenute, non potevano superare 2
milioni di lire contrariamente a quanto voluto dal Sindaco. Non tardò la risposta della
maggioranza consiliare che, in una “lettera
aperta alla cittadinanza” del 21.11.1946
replicò alle accuse mosse e respinse “le
basse insinuazioni dirette contro la persona
del Sindaco” ed evidenziava la necessità di
operare la retrocessione, come unico mezzo
giuridico per risolvere il problema che, in
ogni caso, non poteva essere disgiunto da
un rimborso a chi aveva sostenuto delle
cospicue spese.
Comunque sia si apriva un glorioso capitolo per il calcio arianese che ebbe i suoi
momenti più esaltanti con la venuta della
squadra di calcio milanese l’Internazionale
nel 1947 e con i magnifici campionati
di promozione negli anni 1948 - 1949 e
1949 - 1950, ma questa è un’altra storia.
Le notizie ed il contenuto di atti e deliberazioni sono state attinte, con fatica, da carte sparse nei vari e
disordinati depositi del Comune di Ariano Irpino. Da queste pagine lanciamo un invito pressante agli Amministratori perché venga costituito e sistemato definitivamente un archivio degno di questo nome.
Ringrazio l’Avvocato Vittorio D’ALESSANDRO ed il Sig. Antonio GIANUARIO che mi hanno messo a disposizione le foto pubblicate.
Un ricordo ed un ringraziamento a Don Ciccio FRANZA che mi ha consentito di pubblicare la foto dell’inizio
lavori, 1932.
AEQVVM TVTICVM
14
Fedele Gizzi
La vita,
la vivevi scherzando
di Gerardo Donnarumma
I
n piedi su un rialzo del terreno
ai bordi della strada, in contrada
Manna di Ariano, l’oratore ha
appena iniziato il discorso e finito di dire:
“noi politici costretti a portare questa
croce” (della politica), quando dalla gente
che gli sta sotto
ad ascoltare si
leva improvvisa
una voce: “prufisso’
nisciuno v’e ditto
ch’ata purtà ’sta
croce”. L’oratore
si interrompe e,
vedendo che il
suo interlocutore
politico è Massimillo, un omone
assai noto alla
gente del posto e
anche a lui, dopo
averci scherzato a
modo suo, scoppia
a ridere di fronte a
tanta spontaneità
e naturalezza. Ridono tutti, compreso Massimillo
il guastafeste.
E come si fa a non ridere solo pensando
al Nostro che racconta dell’amico ingegnere, scapolo piuttosto stagionato, il quale
si è messo la segreteria telefonica e lui,
quando l’amico non è in casa, lo tempesta
AEQVVM TVTICVM
di telefonate, deliziandolo con serenate di
belle parole. Ma da curva Sud. O quando,
nel bel mezzo di una riunione politica
dove corrono parole di fuoco, il Nostro, per
calmare i bollenti spiriti, zacchete, inizia a
raccontare una delle tante storie e barzellette
del suo repertorio,
una vera miniera,
facendo ridere tutti
e tornare così la
calma e la serenità.
Caro Preside
Gizzi, quanto ci
manchi! Soprattutto oggi sentiamo il
bisogno che tu ci
regali una risata,
in questo clima di
paura strisciante,
per non finire nel
tunnel del terrore
e perché possiamo
continuare a vivere
la nostra vita con
fiducia nel futuro.
E sì, tu la vita la
vivevi scherzando.
Il che è vero,
purché si attribuisca a quello scherzare il
suo significato più vero e più intimo e non
lo si riduca a un moto di scherno, o peggio
di canzonatura; e si veda in quella ironia
quello che essa è in effetto, e cioè la straordinaria capacità di velatura e smorzatura
delle situazioni meno belle o tragiche della
15
Fedele Gizzi
vita che, quando stanno per travolgerti, si
stemperano nel sorriso.
Un esempio il tuo di conquistato equilibrio, di sorridente saggezza e sereno
distacco di fronte alle mutevoli vicende
dell’esistenza. Ma senza che tutto questo
significhi rinuncia a coltivare e soddisfare
le ambizioni, a lottare per l’affermazione
degli ideali di libertà e di giustizia.
Fedele Gizzi era invero un uomo ben
lungi dal ridursi all’intellettuale un po’ ozioso,
che si astrae dalla vita. Anzi è l’intellettuale
che produce cultura, scende tra gli uomini
e vive intensamente fra loro, intercettando
gli interrogativi, le esigenze, i problemi del
proprio tempo.
Per Fedele Gizzi l’operosità culturale ha
fatto sempre indissolubilmente il paio con
l’impegno politico e civile.
Ariano è nel giusto, amandolo. Per questa
città è stato Docente, prima, Preside, poi,
educando e preparando alla vita tantissimi
suoi figli, sapendo ognuno quanto fosse
importante per lui il rapporto con i suoi
allievi; per questa città ha fatto il Sindaco,
avendo soprattutto a cuore le sorti della
povera gente, che ha avuto nel Preside
Gizzi il suo punto di riferimento.
La persona bisognosa che si rivolgeva
a lui non tornava a casa mai con le mani
vuote, a ognuno offriva la sua umana tangibile solidarietà.
Questo amore per la povera gente era
un sentimento naturale in un uomo animato
da un sincero spirito democratico, che non
tradì mai, rimanendo fedele (di nome, ma
anche di fatto) sempre. Virtù rara questa
in un paese di conformisti qual è il nostro.
Oggi il Preside Gizzi non è più. Se n’è
andato lasciando in eredità a tutti noi suoi
concittadini, e non solo, un preziosissimo
tesoro: la sua grande umanità, che nella vita
di quest’uomo, che l’ha vissuta da protagonista, ma con grande senso dell’umiltà, ha
avuto modo di straripare come un fiume
quando è in piena. Nella FAMIGLIA, nella
SCUOLA, nella POLITICA come servizio.
KL
AEQVVM TVTICVM
16
Ceramica Arianese
Le fornaci dell’arte
Il manufatto artigianale come testimonianza
storico-socio-culturale.
di Mario D’Antuono
Piatto raffigurante un Amorino (?).
Fabbriche di Ariano; sec.XVII.
P
iù che una analisi iconologica
dell’opera in esame, ci interessa evidenziare il sostrato culturale (in
senso stretto) che sta alla base elaborativa
del “piatto raffigurante un Amorino”.
Non che l’iconologia non rientri nella
“cultura”che ruota intorno ad una produzione
artistica, ma essa, spesso, inerisce agli aspetti più figurativi (iconografici) dell’operare
AEQVVM TVTICVM
artigiano, nei continui rimandi a memorie
artistiche cosiddette auliche.
Diciamo, dunque, che ci preme più una
valutazione antropologica dell’ ”artefatto”
che la sua genesi tecnico-artistica.
Premettendo che non poniamo alcuna
differenza tra arte ed “arti minori”, tenteremo
in questa breve nota di mettere in chiaro
quale immenso patrimonio culturale si agiti
17
Ceramica Arianese
nelle pennellate che danno vita al lavoro
in esame, e quanto questo patrimonio sia
dinamizzato nella visione quotidiana dell’arte.
Molta critica d’arte, tutt’oggi stimata,
continua a considerare l’artigianato artistico
(sia esso ceramico, in legno, o altro) solo uno
sbiadito riflesso di un’arte canonica, anche
detta ”classica”.
Ma cos’è l’arte se non il prodotto di una
determinata cultura?
E cos’è la cultura se non l’insieme delle
conoscenze, delle credenze, delle speranze,
delle sofferenze e del lavoro di una determinata comunità?
Ancora la “cultura popolare” viene intesa
come “sottoprodotto culturale”, senza intuire
che essa, oggi, stranamente, nonostante la
comunanza di alcuni modelli, si sviluppa e
diviene “altro” a causa di “altre” condizioni
sociali, storiche, ambientali. Ecco in quale
chiave va esaminata tale produzione.
Lo stesso dibattito si è svolto in passato per
la produzione artistica tardo-antica, giudicata
di livello inferiore perché messa in costante
dipendenza con il prodotto della cultura “di
regime”; solo quando si è compreso che a
produrla non era un artigianato di pessimo
livello, ma un “altro” artigianato, riflesso di
un’ “altra vita”, abbiamo apprezzato, nella
pienezza del suo splendore, i rilievi dell’Arco
di Costantino, in cui la mancanza delle proporzioni classiche, non è data dall’imperizia
tecnica, bensì dall’elaborazione di un nuovo
linguaggio, che a differenza di quello classico,
ormai superato, risponde a nuove esigenze
comunicative.
Certo sarebbe errato rinnegare qualsiasi
dipendenza da modelli artistici precedenti,
essi ci sono, ma stravolti da un fremito vitale
che abbatte ogni freno espressivo.
È molto difficile concepire questo enorme
fermento culturale se si pensa alla povertà e
alle precarie condizioni di vita e di lavoro di
questi Maestri, i quali lavoravano in buie e
AEQVVM TVTICVM
gelide grotte ed in assenza di luce e senza
aver mai studiato “arte”; ma, costoro, avevano
alle spalle una grande e antica tradizione
ceramica e davanti a sé la più grande fonte
di ispirazione artistica: la vita.
Una vita dura, fatta di stenti e di privazioni……ma, ecco che l’arte vince la contingenza
e produce il “nostro piatto”.
L’autore, con rapidi e sapienti tocchi,
esprime quanto di più recondito possa essere
nei desideri dell’uomo: una dea bendata
(la fortuna), un amorino, un cupido, in una
spregiudicata rielaborazione dall’esplicito
sensualismo. Una prosperosa donna alata, in
punta di piedi, con uno sguardo falsamente
coperto da una benda che le lascia scoperti
i due occhietti, si aggira tra la natura alla
ricerca del fortunato destinatario dei suoi
strali amorosi: una immagine poliedrica,
fusione di tanti sbiaditi rimandi mitologicofavolistici.
Ecco dipinto un “comune” sogno erotico.
Ecco i precedenti di tanta Arte moderna,
che per astrarsi dal grigiore, frutto del presente totalitarismo capitalistico, è costretta
a rifugiarsi nel sogno.
Questa è la grandezza della produzione
ceramica di Ariano Irpino; essa proviene
artisticamente da lontano, ma anticipa temi,
poetiche e tecniche (dall’improvvisazione,
alla pittura segnica e all’arte espressionista)
che verranno riprese, con più fortuna, solo
agli inizi del XX secolo.
Siamo di fronte a pure Creazioni, perché
in esse è più il seme di ciò che verrà rispetto
al ricordo di ciò che è stato.
Questo precoce concepimento nasce da
una strana coincidenza: la scarsa considerazione attribuita alla maiolica arianese.
Il “pezzo”, nella concezione del tempo,
non viene commissionato o apprezzato e
dunque pagato come oggetto artistico, ma
concepito come oggetto di uso quotidianodomestico, nel quale non si ravvisano diret18
Ceramica Arianese
tive di committenza tendenti ad arginare e
limitare l’estro artistico. Cosa che viceversa
succederà, nel medesimo periodo, per le
ceramiche di Faenza, considerate già da
allora “come prodotto artistico”.
Di conseguenza, la libera ed immediata
(non c’è alcun uso di spolvero) realizzazione di questi manufatti, esalta totalmente
l’espressione e la fantasia degli artefici;
tutto questo si ripeterà, solamente, con
l’avvento dell’arte moderna, all’inizio
dell’era capitalistico-borghese, allorquando
verranno a decadere i vecchi committenti:
governanti e clero.
In finis vogliamo ricordare, che lo stesso
Donatone, al quale va il grande merito di
essere stato il primo studioso che si è accostato alle problematiche della ceramica
arianese, cita nel suo lavoro “La maiolica di
Ariano Irpino”, il manufatto N. 27 (piatto a
decorazione compendiaria con “aura velans”.
Fabbriche di Ariano (?) sec. XVII. Napoli,
AEQVVM TVTICVM
Coll. Selvaggi), attribuendolo con riserva
ad Ariano per la mancanza, all’epoca, di
testimonianze certe da permetterne una
precisa collocazione geografica.
Oggi, allo stato delle odierne ricerche,
condotte dal locale Museo Civico, grazie ai
rinvenimenti “in situ” di numerosi frammenti
ricchi della stessa decorazione, è possibile
non solo attribuire queste squisite “fajenze”
alla produzione arianese del XVII Secolo,
ma anche riconoscerle come opera dello
stesso maestro.
19
AEQVVM TVTICVM
20
Ceramica Arianese
Il Maestro
della “adormita”
di Grazia Vallone
G
uido Donatone, nel suo
primo studio
sulla ceramica di
Ariano del 1980: La
maiolica di Ariano
Irpino, individuava
un maestro, che accostava nello stile al
pittore più geniale
e dissacrante del
Novecento: Picasso. I1 maiolicaro in
questione, detto dal
Donatone, “il maestro
della addormentata”,
è l’autore di una figura muliebre nuda
riversa sulla pancia di
una brocca a segreto,
una delle creazioni
più suggestive delle
fabbriche di Ariano.
È facile che nel
primo tentativo di
lettura della figura si
colga una contiguità
con le modalità dei
cubisti nella costruzione del soggetto,
infatti il corpo della
donna “adormita” è composto da una serie
di volumi sovrapposti, che occupano lo
spazio inglobando la superficie del vaso
con dei contorni definiti da un tratto nero e
da uno giallo - bruno steso con il pennello
piatto. È interessante notare come Picasso,
nell’instancabile ricerca dell’essenza della
realtà, si fosse imbattuto nell’arte primitiva,
e ne avesse tratto ispirazione, così come per
l’esigenza di sperimentare materiali nuovi,
AEQVVM TVTICVM
superando il limite
della tela e dei pennelli, si fosse prestato
all’arte ceramica. Tali
elementi, attraverso
strade improbabili ad
una critica avveduta,
avvicinano il nostro
umile maestro al
genio distruttore e
creatore del secolo
appena trascorso.
Indubbio il valore
dell’opera di Donatone che ha guadagnato un’ampia notorietà
alla produzione ceramica di Ariano del
Diciottesimo secolo;
sorge però il sospetto
che le “sconcertanti
concordanze stilistiche con opere di
Picasso”, attribuite
al Nostro, non siano
altro che il tentativo
di nobilitare o rendere almeno appetibile
un ambito di ricerca
poco frequentato
dalla critica. La genialità dell’umile stovigliaro è nella freschezza
della trama narrativa che anima i suoi
soggetti, essa è apparentemente semplice,
immediata, ma densissima di suggestioni,
di messaggi, di storia, quella non codificata,
collocabile a ridosso dell’antropologia e del
folklore.
I1 boccale a segreto, appartenente ad
una collezione privata napoletana, pubblicato da Donatone nell’opera succitata, ha
21
Ceramica Arianese
consacrato l’esistenza del nostro maestro,
si tratta di un oggetto dono, legato al
momento della festa, celebrata solitamente
con dovizia di cibo e soprattutto di mescite
di vino. L’apparato ornamentale ridondante
e festoso insieme al meccanismo “a segreto”, che impedisce allo sprovveduto ospite
di bere dall’orlo o dal beccuccio senza
versarsi addosso il contenuto a meno che
avvertito dell’inganno non tappi il foro
nascosto nell’ansa, denuncia il carattere
goliardico/carnascialesco della brocca. Un
vorticoso alternarsi di rami di acacia e putti
a rilievo sul collo del vaso e la donna, che
dicevamo sopra, abbondante nelle sue impudiche nudità, circondata dalla didascalia:
E sono adormita, in un italiano primitivo, ma
eloquente nella sua carica liberatoria, sono
l’esplicita dichiarazione di un messaggio
complesso e primitivo allo stesso tempo.
I significati si legano alla celebrazione
della festa, sentita come momento di
sospensione dalle fatiche quotidiane e
dal senso di precarietà, alleviati da una
serie di pratiche e rituali posti sul labile
confine del paganesimo.
La corpulenta donna, ritratta nell’abbandono del riposo sotto la pergola, è un
probabile richiamo alla madre - natura nei
suoi slanci benigni verso l’uomo quando
lo gratifica per le sue bibliche fatiche con
i frutti, premio talvolta negato per l’altra
faccia quella malevola e matrigna della
natura - madre.
Lo stile del maestro è inconfondibile
non solo per la costruzione della forma,
in questo caso forse la più riuscita, ma
soprattutto per l’uso della pennellata piatta
in giallo - ocra che contorna le sue figure
nel tentativo di suggerirne la consistenza
volumetrica. I particolari sono ridotti a
favore di una facile drammatizzazione,
garantita dalla sintesi del disegno e dalla
carica espressiva dei volti, inconfondibili
per i contorni, sempre gli stessi, per gli
occhi ravvicinati dall’arcata continua delle
sopracciglia, adatta a suggerire lo stato di
concentrazione del personaggio, i movimenti sono rapidi come le emozioni che
attraversano i suoi soggetti. La mano del
Nostro è rintracciabile su due piatti, pubblicati da Donatone, uno con il cavaliere
e l’altro con San Michele Arcangelo che
AEQVVM TVTICVM
sopprime un diavolo sotto le spoglie di
un leone e in mano la bilancia del giudizio
finale. La tesa dei due piatti presenta lo
stesso motivo decorativo: il nastro srotolato
alternato ai rametti di acacia, una vera e
propria firma della bottega, lo stesso motivo
ricompare nel piatto con l’ostensorio del
Museo Civico e in un’altra serie pubblicata dallo stesso Donatone. E’ interessante
la somiglianza forte tra un piatto con la
Madonna del Rosario, San Domenico, una
santa, il cane con la torcia, e una targa
votiva dallo stesso soggetto, ancora in situ,
datata 1875. E’ un dato molto interessante
perché il repertorio, i motivi decorativi, la
verve narrativa collocano “il maestro della
adormita” nel Diciottesimo secolo, le opere
datate che si possono attribuire allo stesso, lo
inseriscono tra il secondo e il terzo decennio
del Diciannovesimo, infatti il pendant delle
targhe con le anime purganti e la Madonna del Carmine, di recente acquisito dal
Museo Civico, porta la data del 1823 e un
Sant’Antonio da Padova della coll. A. Bilotta
la data del 1834. La targa succitata del ’75
è probabilmente troppo al di là dell’epoca
di attività del maestro in oggetto, si tratta
probabilmente del revival di un epigono
della generazione successiva, testimone
della fortuna dello stile del maiolicaro
dell’adormita. L’Ottocento segna una fase
di evoluzione della produzione ceramica,
infatti si rileva una tendenza all’abbandono della decorazione figurata e alla
specializzazione di tipo pittorico di alcuni
“dipintori di faenze” che probabilmente
erano itineranti.
Attraverso una opportuna indagine
documentaria si potrebbe risalire al nostro
maestro; è interessante l’ipotesi che si tratti
di un esponente della famiglia Bilotta, citata
nella preziosa fonte del Catasto Onciario
del 1753, in quanto il sant’Antonio di Padova del 1834 appartiene a tale famiglia
da generazioni.
22
Storia di Ariano
L’ Ospedale dei Pellegrini
“Santo Iacono” di Ariano
di Ottaviano D’Antuono
(responsabile del Museo Civico)
artivano, i pellegrini.
E negli occhi c’era tutto lo smarrimento del lungo viaggio, faticoso ed insicuro…
Partivano. E nelle poche cose che portavano con sé - la scarsella, il bordone, il
sarrocchino - c’erano i ricordi di una vita, di
tutta la propria vita messa in dubbio dalla
grave decisione.
Partivano i pellegrini, accompagnati
dalla benedizione del parroco, in gruppo
P
“
AEQVVM TVTICVM
ogni volta che era possibile…E poi sapevano
che lungo la strada avrebbero trovato anche
brava gente che li avrebbe aiutati caritatevolmente e che avrebbero ricevuto buona
accoglienza negli ospedali che sorgevano
nei pressi della cerchia muraria dei paesi,
spesso appena dentro.
Chi aveva con sé un animale poteva ricoverarlo nel porticato annesso all’ospizio;
quelli che andavano a piedi avrebbero trovato un saccone o della paglia nei dormitori
23
Storia di Ariano
comuni, ben separati da quelli femminili.
Partivano i pellegrini, perché il pellegrinaggio non era solamente il cammino verso
il luogo in cui si veneravano le spoglie di
un santo o l’immagine di una Madonna o
dove si andava a richiedere una grazia, ma
era il cammino eterno dell’uomo verso Dio.
I pellegrini percorrevano nei loro viaggi
alcune strade seguendo, per quanto possibile, degli itinerari consueti e consolidati nel
tempo. Questi erano nati in rapporto alla
facilità di transito di alcune strade, alla loro
manutenzione, alla presenza di ponti stabili
o di passerelle o di guadi non pericolosi, ma
soprattutto all’esistenza, lungo il cammino,
di strutture ricettive gestite da confraternite
religiose, i ben noti ospedali”.(1)
Seguivano i pellegrini, come i mercanti
ed i crociati, antiche vie e tratturi, e fra le
tante, le “vie romane”, le “vie francisce”, le “vie
lauretane”, le “vie della lana”, le “vie sacre”, le
“vie dell’angelo”.
E sulla “via sacra dei Longobardi”, la
“via Francigena del sud”, detta anche “via
dell’angelo”, che menava a due tra i più
famosi Santuari del Medioevo, S. Nicola di
Bari e San Michele sul Monte Gargano ed
ai porti pugliesi dai quali si imbarcavano
per la Terra Santa sia pellegrini che crociati,
sorgeva l’“Ospedale dei Pellegrini” di Ariano,
tenuto dalla Confraternita di S. Giacomo,
eretta nell’omonima chiesa, chiamato dal
volgo locale, di “Santo Iacono”.
L’Ospedale arianese, perfettamente in
linea con la soprascritta descrizione del
Semmoloni, era ubicato appena dentro la
cerchia muraria cittadina, vicino la porta
della Strada, “bellissima porta”, dove “appena
fora” era situato “il borgo” che comprendeva
“molte hosterie et boteche de diversi artisti” (2), le ben note fornaci e botteghe dei
maestri “cretari”.
Questa antica arteria, poco più che un budello, denominata ancora oggi “dai naturali”
la “Strata”, era l’unica via che, attraversando
l’intera Città, proseguendo per Piazza “Ferrara” e per la “Guardia di sotto” e uscendone
dalla porta di S. Maria di Costantinopoli,
situata al termine del quartiere “Guardia”,
al limite dei “Pasteni”, collegava Napoli con
la Puglia.
Tale percorso fu deviato solo dopo la
ristrutturazione voluta da Filippo II nella
seconda metà del 1500. La via, da allora, non
1) Giorgio Semmoloni - Pellegrini e Santuari sui monti azzurri - Biemmegraf, Macerata.
2) Orazio Conca - Grande Archivio di Napoli, 1631 - da Ariano Turistica - Tip. Impara, Ariano 1992.
AEQVVM TVTICVM
24
Storia di Ariano
attraversò più la Città, ma le girò intorno,
salendo dalla Croce di S. Rocco, non più per
il “Rifugio”, ma per il Carmine e S. Domenico
fino a S. Giovanni alla Valle, per degradare
poi per le Pagliare e S. Antonio. Si realizzò
così la “strada nova reale de tutta la Puglia”(2),
appellata ancora oggi dai locali “la via nova”.
“L’hospitale” di S. Giacomo di Ariano,
concepito diversamente dagli odierni nosocomi, “ospitava”, “ricoverava” ed accoglieva
solo pellegrini, viandanti ed infermi che
faticosamente si inerpicavano lungo l’antica
“Via della Strata”.
“Nel 1222, San Francesco d’Assisi, andando da Benevento nelle Puglie, per visitare
il sacro monte Gargano e il sepolcro di S.
Nicola in Bari, passò per Ariano, e vi si fermò
alcuni giorni,
dimorando
nell’antico
ospedale
degl’infermi
e pellegrini”.
(3)
Lo storico
e studioso
Mons. Emerico Pisapia,
in Ricordi
Francescani
in Ariano di
Puglia del
1928, riprendendo
una notizia
del concittadino, storico e geografo,
Gabriele Grasso, ci informa che il “vecchio
edificio” dell’Ospedale, già all’inizio del 1200,
sorgeva “proprio là dove sorge il Conservatorio di S. Francesco Saverio”.
Ma, per quel che riguarda la data di
fondazione, ha un’opinione diversa lo studioso per antonomasia della storia cittadina,
Tommaso Vitale.
Infatti, nella sua “Storia”, parlando del
“Conservatorio chiamato del Rifugio, o sia
di S. Francesco Saverio”, asserisce che l’Ospedale fu eretto nel 1410 e che nel 1731 per
“l’erezione del Conservatorio fu rovinato
l’ospedale per gl’Infermi, e per i Pellegrini”
che “fu poi situato poco lontano, cioè fuori
la Porta della Strada, in una piccola, e meschina casa”.
Il Vitale, da storico autentico, riporta il
documento che gli fornisce la data, una visita
vescovile del 1724, nella quale con dovizia di
particolari viene descritto anche l’ospedale.
Lo scritto, tradotto, così recita:
“Illustrissimo Signore, visitando la casa
ad uso di Hospitale per Pellegrini e Infermi
eretta nell’anno 1410 ho trovato in essa una
grande Sala, dalla quale si apre un ingresso
distinto verso le camere di riposo dell’Ospedale, la cucina, un reparto per le donne, la
dimora per i sacerdoti ed il reparto per i
pellegrini benestanti, il reparto delle suppellettili di detto
Ospedale, ed
un altro stanzone molto grande con letti destinati ad altri
pellegrini di
condizione popolare, sotto
le quali stanze ed intorno
ad esse sono
contigue altre stanze e
magazzini, ai
quali si accede attraverso l’atrio di
detto Ospedale, accanto al quale c’è anche
un giardino”.
Mons. Pisapia e Gabriele Grasso, studiosi
attenti e credibili, in questo caso, però, non
riportano la fonte della loro importante, ma
diversa, asserzione.
Esisteva, dunque, l’Ospedale di S. Giacomo nel 1200? Si fermò S. Francesco
nell’Ospedale intitolato al Santo Pellegrino
o sostò in altro ricovero situato in un luogo
diverso, anche se ubicato sempre nel territorio arianese?
Scorrendo un inventario della “Mensa
vescovale della Città d’Ariano, fatto nell’anno
2) Orazio Conca - Grande Archivio di Napoli, 1631 - da Ariano Turistica - Tip. Impara, Ariano 1992.
3) Mario D’Antuono - Aequum Tuticum, n° 0 - Tip. Impara, Ariano 2000.
AEQVVM TVTICVM
25
Storia di Ariano
del Sig. 1564” (Arch. Vescovile), scopriamo
che nel territorio della Città esisteva altro
Ospedale, anch’esso ubicato su una “Via
dell’Angelo” ed esattamente sull’antica Via
Traiana (109 d.C.) che passava per Aequum
Tuticum (S. Eleuterio), territorio di proprietà
del vescovo di Ariano.
Questo il documento:
Item lo fiego Sancto Eleuterio sancto
Donato, la sperigina, et tre lupuli e confinato:
cominciando da quella strata che và à Troia
seu al monte di Sancto Angelo et lassa dicta
strata, et cala per mezzo quillo valliciello che
cala per aspritella al punto ditte le portelle
et descende allo vallone che vene dalla
fontana de Sancta Maria delle Cammarelle
dove hora l’hospitale et tira per quillo vallone finche gionge à mischano…..et salle
ad un’altra via publica che vene dalla Città
d’ Ariano et và in puglia….quale feudo se
mostra per privilegio et concessione fatta
per lo serenissimo Imperador Federico per
la serenissima Imperatrice Costantia Romana
et per lo Christianissimo Re Carlo secondo
et per una declaratione fatta per lo Ill. mo
Signor Gran siniscalco de Ariano….per lo che
se dimostra dicto feudo esser della mensa
vescovale della Città d’Ariano….”.
Il Catasto Onciario del 1753-54 (Arch.
Museo Civico), anche se ripete in linea di
massima il documento sopra riportato, contribuisce a chiarire meglio il tutto:
“L’Ill.mo e Rev.mo Monsignor D. Isidoro
Sanchez de Luna Patrizio Napolitano Vescovo
di questa Regia Città d’Ariano…. Possiede
la sua Mensa Vescovile il diruto, e distrutto
Feudo di S. Eleuterio inclusovi li territorii
di S. Donato della Sprinia di Trelupoli della
Starza di Pesco Fracito, delle Macchiarelle,
delle Ficocelle dello Scannaturo, Costa delle
Rose, Serra delle Torse, del Valloncello del
Greco, delle Falceta, dello Gesso, di Gonnella e Macchiacupa, confinato colli seguenti
confini, cominciando dà quella strada, che
và à Troia, seù al Monte S. Angelo, e lascia
detta strada, e cala per mezzo il varricello,
che cala per l’Aspretella detta le Portelle, e
discende al Vallone, che viene dalla Fontana
di S. Maria detta delle Cammarelle, dove era
anticamente lo Spitale, e tira per quel Vallone
per finche giunge à Miscano…. e và nella
via publica, che viene dalla Città d’Ariano, e
AEQVVM TVTICVM
và in Puglia….ed altri fini di capacità Tumoli
dico sei mila ottocento trenta nove….”.
Le strade che andavano in Puglia, quindi,
erano due, entrambe venivano da Benevento
e portavano agli antichi e famosi santuari
innanzi ricordati; una attraversava la Città
di Ariano, l’altra il territorio dove una volta
sorgeva la Città di Aequum Tuticum, entrambe erano servite da un Ospedale.
L’Ospedale sulla Via Appia, crediamo dovesse sorgere nelle vicinanze del Vallone che
da S. Eleuterio scende al Miscano, solcando i
terreni della Masseria di Macchiacupa, dove
attualmente sorge un’omonima azienda
agrituristica.
Il termine “Cammarelle” ci riporta al periodo romano e si riferisce alle “Cammare”,
cioè ai locali che venivano realizzati per
contenere l’acqua che alimentava le fontane.
Si fermò S. Francesco, venendo da
Benevento, nell’Ospedale di S. Giacomo,
all’ingresso della Città di Ariano, oppure
nell’Ospedale nei pressi della “Fontana di
S. Maria delle Cammarelle” nel territorio di
S. Eleuterio?
Forse, questo non lo sapremo mai.
Resta un’unica certezza: l’Ospedale ad
Aequum Tuticum era situato in un posto
di una notevole importanza, derivata certamente dalla presenza di una ristoratrice
e preziosa “fonte”.
Non potrebbe essere la “Fontana di S.
Maria delle Cammarelle”, la famosa “Camera” di S. Eleuterio che delimita il nuovo
territorio assegnato alla Città di Troia, nel
Diploma dell’anno 1024 degli Imperatori
di Oriente Besilio e Costantino, inviato ai
Conti di Ariano?
“Scilipet incipit a Camera Sancti Eleuterii,
et vadit ad locum, qui vocatur bitruscellum,
et inde iuxta fluvium descendendo vadit….”.
Renato Stopani, nel suo lavoro, “ La via
Francigena del Sud – L’Appia Traiana nel
Medioevo”, nella “Camera” di S. Eleuterio,
intravede una dogana.
Una qualche conferma, invece, a quanto
da noi asserito, la ricaviamo da altro documento del 1039 dei Principi di Benevento
Pandolfo II e Landolfo IV, ove si concede al
Conte Potone di riedificare Greci, descrivendo il limite del territorio:
“Idest ab Arcu qui dicitur Sancti Lauteri,
26
Storia di Ariano
et quomodo vadit
per ipsa Strada ad
Sancta Maria de
Ospitale….”
In ogni caso,
risulta evidente
che l’Ospedale a
S. Eleuterio sorgeva nei pressi
della Fontana di
S. Maria e che lo
stesso esisteva
già all’inizio del
secondo millennio.
Non sempre
la ricerca, anche
se appassionata
e coinvolgente,
riesce a diradare dubbi e incertezze; questo
quando si tenta
di ipotizzare basandosi su una
documentazione
scarna e frammentaria.
È bene, quindi,
che nel prosieguo del lavoro
si lascino parlare
i documenti, i
quali, solamente,
chiariranno le nostre richieste.
Ariano aveva nel suo vasto territorio più
Ospedali e questo conferma l’importante
ruolo svolto da una Città considerevole,
ritenuta “Capo giornata de tutti li viandanti,
et negotianti… che vanno et vieneno da
Puglia à Napoli, et altri luochi”.(4)
Sappiamo con certezza della presenza
dell’ “Ospedale di quelli, che soffrivano l’infermità del fuoco sacro” annesso alla Chiesa
della Commenda dell’Ordine di S. Antonio
Abate, situato all’uscita della Guardia, fuori
la porta di S. Maria di Costantinopoli.
È documentata la presenza dell’Ospe-
dale detto di
“S. Lazaro”, ove
“si ricevevano gl’infermi
Leprosi”, che
sorgeva fuori
della cinta muraria cittadina,
sempre sulla
Strada Regia,
annesso alla
Chiesa di S.
Maria Maddalena, che regalò il nome
alla Fontana
e al prossimo
ponte.
Di questi
ricoveri possediamo solo
poche notizie,
mentre un copioso carteggio riguardante l’ Ospedale
di S. Giacomo
è in nostro
possesso.
I documenti consultati
sono:
a) “Li conti della Confraternita di S. Giacomo, et suo Hospidale dall’anno 1641 intrante
’42 al settembre 1681”.
- Archivio di famiglia b) “Defonti nel Ospidale di S. Giacomo dal
1692 al 1700”.
- Archivio Museo Civico - donazione Ass.
Amici del Museo c) Innumerevoli testamenti di “Lasciti al
Sacro Ospedale, Chiesa e Confraternita di S.
Giacomo di Ariano” datati dal 1641 a tutto
il 1700. - Archivio di famiglia Per ciò che riguarda i lasciti testamentari
alla “Confraternita di S. Giacomo” ci piace
riportare in parte, per la sua singolarità,
4) Causa tra il Venerabile Monastero di Santa Croce dell’Ordine dei Predicatori (S. Domenico) e Camillo
Sanfelice - manoscritto, pag. 29 - A.D. 1591 - Archivio Museo Civico.
AEQVVM TVTICVM
27
Storia di Ariano
quello di Terminio Ferduto, Teologo, Legale,
Scienziato, Professore di Matematica, Canonico e Arciprete della Cattedrale di Ariano,
datato 2 Ottobre 1641, rogato dal notaio
Simone Berardi di Ariano.
Il documento venne visionato anche da
Tommaso Vitale che lo riportò nella sua
storia a pag. 236.
Il nostro maggiore, stranamente, lo data al
“primo febraro 1641” e mette il “Rione della
Strada” al posto di S. Angelo e S. Nicola.
Lo riportiamo in copia, in alto, e trascriviamo l’ordine imposto dal Ferduto:
“…..Mandare ogni sera in perpetuo, due
persone per la Città predetta, con Il Campanello, ed annunciare à tutti, che si ricordino
di quelle benedette anime, che sono in
Purgatorio, con dirli un Pater Noster, et una
Ave Maria, ò farle altre Orationi, et dette due
Persone, Una ne debia andare dalla Piazza
verso Santo Angelo, et Santo Nicola, et l’altro
AEQVVM TVTICVM
dalla Piazza verso Santo Pietro, di modo, che
si circondi tutta la città…”.
Grazie alle numerose donazioni l’Ospedale di S. Giacomo, godeva di buoni capitali e numerose proprietà; il tutto veniva
amministrato dai Priori e “cascieri”, i quali
annualmente rendevano conto del proprio
operato ad un “Rationale” eletto “dall’ Ill.mo
et Rev.mo Mons. mio Vescovo della Città” il
quale doveva “videre significare, calculare, et
determinare li conti della Ven.le Confraternita della S.ma Trinita contratta dentro la Ven.
le Chiesa di San Giacomo, et suo Hospidale”.
“Li conti” venivano visionati in modo
scrupoloso e niente sfuggiva all’accurato
controllo del “Rationale”.
Nell’anno “1676 et 1677” presenta il “R.do
Don Giovanni Mercorello Priore, e Casciero
al Rationale Don Domenico Bruno, eletto
à vedere li conti, uno libretto d’Introito ed
Esito della detta Chiesa”.
28
Storia di Ariano
Don Domenico procede al controllo e
accerta che mancano all’appello 48 ducati,
3 tarì e 2 grana.
Si compila quindi il presente verbale:
“Resta debitore detto Don Giovanni 48.3.2.
Et perche detto Don Giovanni Mercorello delli detti docati quarant’otto, tarì tre, e
grana due, che resta debitore à detta chiesa
di S. Giacomo, se ni trova havervi imprestati
docati trent’otto, et tarì dui al Sig. Gioseppe
Perellis suo Compagno Priore, et non havendosi ritrovato detto Sig. Gioseppe denari
pronti, hà riposto alla Cascia de depositi
che si conserva nel monasterio delle R.de
Monache di questa Città in luogo di detti
docati trent’otto e tarì dui, uno pegno, cioè
uno…di Rubini, incastrati in oro di trenta
nove maglie à tre, et una nova similmente di
rubini in oro di peso ambe due onze tre et
una quarta, in due veste di velluto cremesino,
questo pegno è stato riposto di consenso di
me Ill.mo, et del Sig. Vicario, questi hanno
ordinato, che ogni volta non fusse sufficiente
per il detto prezzo, sia obligato, et tenuto al
di più che vi mancasse il detto Don Giovanni
Mercorello. Ordinando che l’altri docati dieci
AEQVVM TVTICVM
et un tarì, e grana due, à complimento di
detta significatoria li consegni all’ hodierno
Priore di detta Confraternita frà duoi mesi,
havendo mira, che deve esigere alcune partite aggregateli, come dal presente conto e
così dicemo, condendamo, et significamo.
Ariani die 22 mensis 7 bris 1678
D. Domenicus Brunus Cancell”.
Successivamente, senza data, a margine
del verbale troviamo così riportato:
“Li detti docati trent’otto, et tarì dui che
doveva il detto Don Sig. Gioseppe de Perellis
sono stati pagati dal detto Sig. de Perellis et
hà repigliato il detto pegno in suo potere,
che haveva posto alla Cascia, et resta discaricato detto Rev. Don Giovanni Mercorello,
questi docati trent’otto, et tarì dui sono
stati depositati in detta Cascia, dove stava
detto pegno”.
Non passano i due mesi concessi al
vecchio priore Don Giovanni per mettere
ordine nei conteggi; infatti in data 30 8bre
1678 viene così registrato:
“Se declara per me Don Vicenzo Goccia
olim Priore et Casciero della Venerabile
29
Storia di Ariano
Chiesa di Santo Giacomo della Città d’Ariano havere ricevuto dal R.do Don Giovanni
Mercorello Antecessore Priore di detta Chiesa
docati dieci tarì due, e grana due quanti
sono per la sua significatoria questo è stata
aggregata nelli miei conti, che in fede”.
In modo puntiglioso, quindi il “Casciere”
era tenuto ad annotare annualmente gli
“Introiti” e gli “Esiti”.
Le entrate provenivano dagli “introiti di
grano” e dai denari dei fitti di terreni, vigne,
case, “poteche”, “magazzeni”, forni e grotte.
Queste alcune entrate dalle proprietà:
“Antonio di preta pulcina per la grotta
diruta teneva in affitto”
“Herede di Boetio Barbangelo per la casa
à S. Giovanni de guisi”
“Lonardo Giorgione Herede di Camilla
maraffina per la Vigna à Viaggiano”
“Herede di Camilla goccia per la casa à
S. Nicola diruta”
“Francesco Mercoriello per la Vigna allo
pisciariello e terreno vacuo”
“Per la Vigna, fù del quondam Detio
Maraffino à S. Pietro de reclusis”
“Iacovo balestra per la casa alla parrocchia
AEQVVM TVTICVM
della piazza”
“Lonardo Mortillo per lo censo alla potecha alli cretari”
“Heredi di Francesco impara per la Casa
a Santo Nicola”
“Herede D’Attinio Cera per la Vigna à
Santa Maria à Valle”
“Herede d’Isabella scapperotta per la
Vigna à Tranzano”
“Herede della M.ca Isabella Corso per la
Casa à S. Giovanni de Guisi”
“Lorenzo di Stefano per la Vigna à viggiano”
“Bartolomeo Falcone per le terre alla
petrara”
“Herede di Gioseppe Scapperrotta per la
Vigna alle Carpinara”
“Herede di Catharina di Tansa per la Vigna
a ponnola”
“Otho, et Ottavio Iannicoli per la Vigna
alla festola”.
Ecc.
Alle entrate normali si sommavano le
entrate “straordinarie”.
Erano i denari “fatti con il tocco del campanello, che va in giro per la Città la sera
30
Storia di Ariano
per l’anime del Purgatorio”,
“Per lo tocco del Campanello in poche
volte, per non essersi ritrovato chi vi andasse
di continuo”.
A questi si sommavano i proventi “della
Carità fatta nella Cascetta della Chiesa e fuora” e quelli ricavati dalla vendita delle cose
appartenute ai pellegrini morti nell’ospedale:
“per spoglie vecchie delli pellegrini morti in
detto Hospitale, vendute”.
Altra entrata veniva dal grano che si
introitava andando per “ la cerca nel mese
di Agosto per l’aire” e successivamente
venduto.
Tutto quello che si riusciva ad incamerare
veniva speso, in parte, per gestire l’ospedale,
manutenere lo stesso e “pagare l’ hospidaliero”, per la Chiesa, il “Sachristano”, per la
manutenzione dei beni immobili e dato in
elemosina:
“Per lavatura de camise, e tovaglie,
cenere legna e sapone” - “per due some
di carboni” - “per due lampe e lamparuli” “Dato quattro pignate d’oglio all’Ospidaliero”
- “Per un quarto di sale” - “Per cinquanta
cinque…di lana per li matarazzi all’Hospitale
à…22 lo cantaro” - “Per otto canne di tela
per fare li matarazzi e per cositura” - “Per
quattro seggie Bagnolese per le camere
de sacerdoti”- “Per repezzare matarazzi,
empirli, et pontiarli, et spao , et filo” - “Per
fattura, tavole, et chiodi per due seggiette
per comodità delli malati à Mastro Lonardo
Giorgione” - “ A di 12 Settembre comparato
quattro tavoli di Castagni per la porta della
Sala”- “et più per chiodi, vertecchie grosse, et
piccole che sono servite per le fenestre” - “
et più per tre antifittoli di castagno” - “ et
più per due canne di tavole di chiuppo per
le fenestre” - “A Mastro Lonardo Giorgione
per il portone Nuovo fatto nell’ Hospidale
con sue tavole, antefittoli e mastria” – “ Per
compra di mezza canna di tavole per far la
finestra Nuova nella Cammarona de poveri”
- “Per accomodare lo maschio allo Spedale
alla porta della Sala, camere, stipi, e cascie,
ferro, e fattura” - “Per compra di 120 imbreci
posti nel tetto della Chiesa, per rivoltatura di
quello, carriatura d’arena, et acqua, compra
d’uno sacco di calce, e salario di Mastro
Giuseppe fabricatore e per compra di vino
dato a detti Mri” - “Spese fatte nella fabrica
AEQVVM TVTICVM
del muro della strada sotto la Chiesa di S.
Giacomo fatte per ordine e consenso della
R.da Corte D’Ariano” - “Per pagamento di mastria alli fabricatori d’Atripalda per la fabrica
del muro della via sotto la Chiesa dove si
dice li Petanari” - “ Per due giornate di Gianuario Pagliaro à pianare lo fosso avanti la
Chiesa” - “Per due giornate à cavare rena per
finire lo muro avanti la Chiesa ” - “Per due
giornate a cavare pietre” - “Per una giornata
a cavare bricci” - “Per lavature di bianchiaria
della Chiesa” - “Per accomodare la porta
dello reliquiario” - “Per sovenire un povero
in detto Hospidale, comprato una coperta
usata” - “Per robbe di spetiaria, e magnare
per uno Infermo per otto giorni” - “Speso per
l’Eremita di S. Antonio per due galline et altre
robbe comprate” - “Per potatura della vigna
alla Carpenara teneva Giuditta Ippolito” - “Per
rivoltatura delli tetti delli Magazzeni tiene
Cesare Castagnuozzo” - “Dato elemosinaliter ad una povera inferma” - “Dato ad una
ciecha” - “Dato ad uno stroppiato” - “Ad una
povera vedova” - “Dato ad uno sacerdote
convalescente” - “Dato ad una stroppiata” “Per maritaggio d’una povera” - “Per uno
paro di scarpe, et di calzette fatte per ordine di Mons. Ill.mo ad uno povero” - “Ad una
povera donna vergognosa” - “Portato uno
povero pezzente a Savignano” - “Per una
gallina per uno soldato ferito, per zuccaro,
conserva, panelle,et ova per il detto” - “Dato
alli Canonici di S. Angelo per li funerali di
Frà Giovanni Battista Romito di S. Antonio
morto in detto Hospidale”.
Mentre si davano elemosine anche agli
ebrei convertiti (“dato di carità à diversi
ebrei fatti Christiani”), il resto dei proventi
veniva speso per curare i pellegrini ammalati,
seppellirli in caso di morte, oppure accompagnarli a Grottaminarda o a Savignano a
cavallo, quindi fuori il territorio della Città,
dopo la loro guarigione.
Per dare un’ idea più precisa di come
annualmente si tenevano i vari conteggi,
riportiamo, quale campione le spese generali dell’anno 1677 e le spese per gli Infermi
dell’anno 1659 e 60.
Spese dell’anno 1677 (ducati - tarì - grana):
- Per la cerca per vettura di bestie 2
- Per spese per detta cerca 0. 2. 10
31
Storia di Ariano
- Per vettura di due sacchi di grano dall’Aire
0. 1. 0
- Per carità ad un povero 0. 1. 10
- Per rivoltare l’hospidale (per riparare il
tetto) 1
- Per affitto di cavalcatura per mandare un
povero alla grotta 0. 1. 0
- Per li funerali del quondam Cesare Spadolatore 0. 2. 5
- Dato à Don Giacchino Perillo per venti messe celebrate per l’obblighi di detta chiesa 2
- Per li funerali di Giovan Battista della Cava
alli Canonici di S. Angelo 0. 2. 5
- Per dieci libre di Cera per la Chiesa 3
- Per un secchione consegnato dal Dr. Giuseppe di Leone, che servì per la fabbrica
0. 4. 0
- Per li funerali di Giovan Battista Greco 0. 2. 5
- Per un quarto di sale all’hospidalera 0. 3. 0
- Mandato uno povero à Cavallo sino alla
Grotta 0. 1. 0
- Per una libra di cera a Monsignor, e mezza
libra al Signor Vicario per il candelabro 0. 2. 5
- Per quattro pignate d’oglio all’hospidalera
0. 4. 0
- Per tre libre di cera al Sachristano maggiore
per la settuagesima 0. 4. 10
- Per li funerali di Giovanni Catanzaro di
Grignano 0. 2. 5
- Pagato à Margarita per accomodare le
lenzola vecchie dell’hospidale 0. 1. 0
- Speso per canne 30 di panno bianco per
fare lenzola, e saccone per il passaggio
dell’Anno Santo 8. 1. 10
- Per cusire detti sacconi, e filo 0. 3. 5
- Per li funerali del quondam Desiderio
Peregrino 0. 2. 5
- Per li funerali d’Agostino di Castellaneta
0. 2. 5
- Mandato à Savignano il Francesco Cappelletto stroppiato 0. 1. 10
- Speso per il detto all’hospidale nella sua
Infermità 0. 0. 12
- Al Commissario della fabrica per la visita
delle messe 0. 2. 10
- Mandato un povero sino alla grotta 0. 1. 0
- Per li funerali di Dianora Petrosina 0. 2. 5
- Mandato alla grotte Francesco di Quintilio
0. 1. 0
- Mandato alla grotte Antonio di Gravina
0. 1. 0
- Mandato à Savignano Perna di Intio 0. 1. 10
AEQVVM TVTICVM
- Mandato alle grotte minarda Domenico
Bosco stroppiato 0. 1. 0
- Per otto libre di cera per l’anniversarii e
messe 2. 2. 0
- Pagato per Carità dell’oblighi di detta Chiesa
et Anniversarii docati 20. 20
- Per le litanie di tutti li Sabati dell’Anno 4
- Per servizio dello Sachristano 8
- Speso alla festa della S.S.ma Trinità tre libre
di sei Torcie di mezza libra l’una 0. 4. 10
- Per la recreazione fatta alli musici 0. 1. 10
- Pagato à Carlo Bilotta per lucerne, et Arciola
per la processione della Confraternita di S.
Pietro in Galatia, che andò a Roma 0. 1. 15
- Pagato ad Aurelia di Furia per pane per li
detti 0. 2. 0
- Speso per ova 0. 1. 0
- Speso per dui palii di pelluzza venuti da
Napoli 3. 3. 0
- Per due coppole, e due ozzane di strenghe
per la corsa à maestro Geronimo Bevere per
la corsa de peccerilli 0. 2. 0
- Per tre libre di Cera di mezza libra l’una
per detta festa 0. 4. 10
- Per recreazione alli preti, e musici 0. 2. 15
- Per il cenzo al Capitolo 1. 2. 10
- Alli canonici di S. Angelo per il solito cenzo
0. 3. 0
- Alli detti canonici per cinque libre di cera
solite 1. 2. 10
- Pagato alla lavannara tutto l’anno 3
- Speso alla festa di S. Lorenzo tre libre di
cera di mezza libra l’una 0. 4. 10
- Per incenzo per tutto l’anno 0. 1. 10
- Pagato al R. D. Vincenzo Randolfo per le
musiche delle feste della Chiesa et esposizione del S.S.mo 6
- Per 500 imbrici per l’hospidale per coprire
lo magazzeno nuovo 5
- Per le pietre di D. Francesco Ferrato 1
- Per carriatura di dette pietre 0. 4. 15
- Per carriare arena 0. 3. 10
- Per carriare la calce dal magazzeno 0. 0. 10
- Per chiodi 0. 0. 3
- Per una canna, e 5 palmi di pietre comprate
da Dezio Feriero pagate à Chiuchiolo 1. 2. 10
- Per carriatura di dette pietre 0. 3. 15
- Per tre canne di tavole comprate da Lucrezia
Bilotta 2. 3. 10
- Per un’altra canna, e mezza 1. 1. 15
- Dato a mastro Lonardo Giorgione per
coprire il tetto del magazzeno nuovo, e
32
Storia di Ariano
travicelli suoi 5
- Per saglire li travi grossi al detto tetto 0. 1. 0
- Dato a mastro Fulvio, e mastro Giacomo
d’Agostino fabricatori per mastria dell’hospidale 2. 1. 5
- Per un’altra canna di tavole dal S. Ciardi
0. 4. 10
- Per saglire l’imbrici al tetto 0. 1. 0
- Per 58 chiodi 0. 0. 12
- Per visura del presente conto 1. 2. 10
Spese fatte per l’Infermi, che sono venuti
all’hospidale dell’anno 1659, et 60:
- Speso per Antonio d’aquaviva ammalato
per sei giorni chi sti all’hospidale 0. 1. 15
- et per mandarlo alla grotte à cavallo 0. 1. 0
- Speso per Fabio di Bitonta ammalato 0. 2. 0
- et per mandarlo à Savignano à cavallo 0. 1. 0
- Speso per una monaca spagnola ammalata 0. 1. 5
- Per Antonio glorioso di Caserta ammalato speso in quindeci giorni carlini sette,
et duoi carlini per mandarlo à cavallo alla
grotte 0. 4. 10
- Speso per Caterina Albanese di Foggia
ammalata quindeci giorni 0. 4. 0
- Pagato alli RR. di Canonici di S. Angelo per
l’officio et Messa cantata per detta Caterina,
che passò à meglior vita, et si sepelì alla
Chiesa di S. Giacomo à 14 d’ottobre 0. 2. 0
- Speso per Antonio Flamingo ammalato 10
giorni 0. 2. 15
- A di 3 d’Aprile passato à meglior vita,
et sepolto in S. Giacomo, dato alli RR. di
Canonici di S. Angelo per l’officio, et Messa
Cantata 0. 2. 0
- Dato ad uno povero per Carità 0. 1. 0
- Per Lonardo di Betonta ammalato 10 giorni
0. 2. 10
- A 7 d’Aprile passato à meglior vita, per
l’officio,e Messa Cantata alli Canonici di S.
Angelo 0. 2. 0
- Per Giuseppe di Betonta ammalato speso 0. 0. 15
- A di 13 detto partito à Cavallo per la grotte
0. 1. 0
- Speso per Isabella Cassano ammalata
0. 1. 10
- Per la cavalcatura sino alla grotte 0. 1. 0
- Per Ludovico di Bisceglie per una sera speso
et mandarlo à Cavallo alla grotte
0. 1. 5
AEQVVM TVTICVM
- Per Andrea di Taranto per mandarlo à cavallo alla grotte,et per la sera 0. 1. 5
- Per Antonio della Cidogna ammalato speso
per la sera, et per mandarlo alla grotte à
cavallo 0. 1. 5
- Per Sabatino d’Acqua viva Ammalato, per
la sera et mandarlo à cavallo per Savignano
0. 1. 5
- Per Margarita Sagnano ammalata speso 0. 0. 5
- Per la detta per mandarla à cavallo alla
grotte 0. 1. 0
- Per Desiata di Bamanico ammalata speso
per giorni quattro, et per mandarla alla grotte
à cavallo 0. 2. 0
- Per Antonio di Luia ammalato speso per
giorni 10 0. 3. 0
- et mandarlo à cavallo alla grotte 0. 1. 0
- Per Ludovico di Ruo ammalato speso 0. 1. 5
- et per mandarlo alle grotte à cavallo 0. 1. 0
- Per Antonio di Betonta ammalato speso
0. 1. 10
- Dato alli Canonici di S. Angelo per l’officio
et Messa Cantata per sepelire detto Antonio
passato a meglior vita à 23 maggio 0. 2. 0
- Per Lonardo di Ruo ammalato per la sagnia
per giorni sette stato in detto hospidale,
speso 0. 2. 0
- Per mandarlo à Cavallo alla grotte 0. 1. 0
- Per Antonia Spagnola ammalata speso in
giorni undici 0. 3. 5
- Per mandarla alla grotte à cavallo 0. 1. 0
- Per Vicenzo Cardinale speso per giorni
dieci, et per una gallina, et Insagnia 0. 4. 10
- Per mandarlo à cavallo alla grotte 0. 1. 0
- Datoli elemosinaliter 0. 1. 0
- Per Gioseppe Cassano ammalato per spese
giorni dodici et per una Insania, et gallina
1. 0. 0
- Per mandarlo à cavallo à Savignano 0. 1. 0
- Per Gioseppe Rusciello ammalato speso in
giorni sette 0. 2. 0
- Per mandarlo à Cavallo à Savignano 0. 1. 0
- Per Andrea della Torella Ammalato giorni
sei 0. 1. 15
- Per mandarlo à Cavallo alla grotte minarda
0. 1. 0
- Per Antonio Agnelillo di Serino per giorni
sei ammalato speso 0. 1. 10
- Per mandarlo à Cavallo alla grotte 0. 1. 0
- Speso per Il reliquiario d’ Argento fatto
in Napoli, ed La portatura del Procaccia 25
33
Storia di Ariano
- Per il parato paonazzo con le strene, et
…..et fattura 7. 2. 10
- Per sette giornate che il R. Don Carlo Manieri
andò in Napoli per fare detto reliquiario, et
parato per cavalcatura, e spese per esso 4. 0. 0
- Dato alli corritori perché non si fece la
corsa, per le loro giornate 0. 4. 0
- Per carriatura di tre sacchi di grano, et
carlini tre per complimento della cerca
0. 3. 0
- Per cagnatura di docati trenta per il reliquiario 1. 1. 0
- Per il porto di docati sei mandati in Napoli
per il detto reliquiario ed la Letra 0. 1. 0
- Per la visura, et letta lata del presente
conto 1. 2. 10
Dalla lettura del voluminoso registro
dei conti, composto di 231 pagine, (le pag.
effettive sono 462, perché la numerazione
riporta solo una pagina, mentre la successiva
si individua con la sigla 1at-2at-3at, cioè a
tergo) risulta evidente che gli ospiti del “S.
Giacomo di Ariano”, sono tutti forestieri. La
conferma la ricaviamo anche dal registro
dei “Defonti nell’ Ospidale di S. Giacomo”
dal 1692.
Riportiamo, in parte, qualche registrazione, soffermandoci principalmente sulla
patria dei vari “non più”.
“Anno Domini 1692 die vero 20 Mensis
Iulij Leonardus Antonius de Chiana Civitatis
Trani etatis sue annorum. 17 ut ipse dissit
In Ospidali S.ti Iacobi Civitatis Ariani in
Communione S.te Matris Ecc. Anima sua
Deo redidit e à me Don Domenico Severino
Vicario Curato….fuit confessus et SS.mo
Eucaristie Sacramento refettus….in pred.ta
Ecc. a S.ti Iacobi.
- Lonardo Antonio di Chiana anni 17 - Trani
- Rocco Mia Paglia - anni 18 - Napoli
- Maria Vardara, vedova di Giovan Battista
Cioffo - anni 71 - Bisceglia
- Antonia Pannicella, vedova di Antonio
Russo - anni 53 - Napoli
- Giovanni Antonio di Lagnione - anni 17 Mole di Bari
- Pietro Antonio di Graziano - anni 20 - Napoli
- Giovanni di Creo - anni 27 - Gravine
- Francesco Narcise - anni 28 - Campo bascio
- Vittoria Papa Antonia - anni 56 - Quarate
- Tommaso Moscia - anni 80 - Lucia Lumarda - anni 43 - Foggia
AEQVVM TVTICVM
- Catarina Diacinto Ciciliano - anni 62 Montuone
- Ursola Strigliano - anni 45 - Rapole (Matera)
- Pietro Russo - anni 50 - Piemonte di Savoia
A questo punto l’elenco porta la seguente, sconcertante, dicitura:
- Die decimo mensis Januarij 1697 obijt
mulier muta a nativitate etatis sue annorum
duodecim circiter, cuius nome cognome, et
patria nescit, sepulta fuit in Eclesia S. Iacobbi.
(Il giorno dieci di Gennaio 1697 morì una
ragazza muta di età di circa 12 anni, il suo
nome, cognome e patria non si conosce, fu
sepolta nella Chiesa di S. Giacomo).
- Francesco Scapato - anni 60 - Castellaneta
- Pietro Morel “ex Silla ex Provincia Flandrie
etatis sue annorum sexaginta circiter anima
Deo redidit confessus per signa, stante impedimento lingua” (di circa sessanta anni, rese
l’anima a Dio, dopo essersi confessato per
segni, visto che non poteva parlare)
- Francesca - anni 60 - S. Feli
- Antonio Settecoppa - anni 60 - S. Severino
- Michele Forsimo - anni 65 - Bononiense
- Pasquale - anni 25 - Chiusano
- Matteo Antonuccio - 25 anni - Ginestra
- Giovanni de Bernardo - 60 anni - Brindisi
- Francesco Parenteri - anni 75 - Catanzaro
civitate calabrie
- Giovanni Battista Bagnastro - anni 14
- Genovese di Oppido Zuccarani
- Sebastiano Fiorentino - anni 50 - Barletta
- Urbano Barbiero - anni 40 - d’Ammien
Apicardi Sally
Ma non rendevano l’anima a Dio solo gli
adulti, anche i “Piccerilli Defonti” dal “Santo
Iacono” ritornavano nella gloria del Paradiso:
“Anno Dni 1692 die vero 3 Mensis Martij
Francesca Tortorella filia qm. Santi et Elisabetta Piatrore terre Fogia etatis sue annorum 4
circiter anima deo redidit cum paradisi gloria
….eius Corpus sepultus est in Ecclesia S.ti
Iacobi… in ospitali”
Tanti erano i pellegrini che lasciavano le
proprie spoglie nelle sepolture della Chiesa
di S. Giacomo di Ariano, ma non era facile
procurarsi le necessarie autorizzazioni per
acquisire l’ultima dimora.
Si doveva, infatti, dimostrare che il defunto si era confessato, comunicato e, ancora
prima, in tempo debito doveva aver fatto il
precetto Pasquale.
34
Storia di Ariano
AEQVVM TVTICVM
35
Storia di Ariano
Il pellegrino, quindi, prima di incamminarsi doveva avere cura di ottenere alcune
certificazioni dal parroco, perché il viaggio
poteva sempre serbare brutte sorprese: la
mancanza della “patente”, da appiedato, non
gli avrebbe permesso di essere sepolto in
luogo sacro.
Evidenziano, quanto sopra detto, i due
documenti che seguono:
- “Catarina di Vitto humilissima serva di
V.S. Rev.ma ed suppliche ed espone, come
Baldassaro Miano suo marito è passato dà
questa à meglior vita senza sacramenti, e
per che il detto suo qm. marito supplica VS.
Rev.ma degnarsi ordinare al Vicario Curato
che li diano Ecclesiastica sepoltura”.
14 novembre 1699
“Anno domini 1699 die vero p.ma novembris Ariani Franciscus Parenteri ex Catanzaro Civitate Calabrie etatis sue annorum
septuaginta quinque anima Deo reddidit
in Hospitali huius Civitatis non confessus,
quia subito obijt, sed habita licentia à Rev.
ma Curia...de sepeliendo eius cadavere, cui
constitit de precepto Paschali....alijs confessionibus, ut eius cartule plenà faciebant
fidè, cuius corpus sepultù fuit in Ecclesia S.ti
Iacobi huius civitatis”
- “Anno del Signore 1699 il giorno 1°
novembre in Ariano Francesco Parenteri di
Catanzaro Città di Calabria di anni 75 ha reso
l’anima a Dio nell’ospedale di questa Città
senza confessioni perché morto improvvisamente, ma ottenuto la licenza dalla Rev.
ma Curia di seppellire il suo cadavere; dello
stesso consta l’avvenuto precetto Pasquale
e di altre confessioni, come faceva fede il
suo documento personale; è stato sepolto
nella Chiesa di S. Giacomo di questa Città”.
Il monotono lavorio dell’Ospedale, puntualizzato nei vari momenti della giornata,
dalle esatte registrazioni dei tanti Priori,
veniva interrotto solo una volta all’anno, il
giorno quando “fà S. Giacomo”, cioè il 25 del
mese di luglio.
In questa data si organizzava il Palio “della
corsa et della lotta”, gara che vedeva competere nella corsa i “peccerilli” con “coppole
e strenghe” e nella lotta gli adulti.
Dopo aver bandito la festa in Città e nei
paesi vicini, si allietava la stessa con moAEQVVM TVTICVM
staccioli, vino, “copeta”, “sosamelli”, musica
e fuochi “artificiati et fulgori”.
I due “Palij”, stendardi in “pelluzza” o
in “saia imperiale” venivano consegnati ai
vincitori, oltre ai premi in denaro.
Come si svolgevano le gare non viene
fuori dai conteggi e dalle annotazioni, ma
gli appunti, nei vari anni, riportati in sintesi,
fanno emergere quanto sopra appena detto.
Spese per il Palio:
“Per li palij della Corsa, et della lotta”
“Et più per trè coppole, et sei dozzane di
strengne per far correre li figliuoli”
“et più per li Palij di correre , et lottare”
“et più per una recreazione alli Cappellani”
“et più per messe dodici Celebrate nella
festa di S. Iacovo”
“Speso alli Palij della lotta con licenza del
Sig. Vicario”
“Per la Corsa delli figliuoli, due coppole, et
due ozzane di strenghe”
“Per accomodare il Piano della Lotta”
“Per tredice messe celebrate nel dì della
festa di S. Giacomo, et incenso”
“Per spao, spingole, chiodi, et fonicella per
parare La Chiesa”
“Per due dozane di strenghe e Segalle”
“Dato à Fabio Franco per tre coppole , et
cingi d’ozzane di streghe per correre quando
fà S. Giacomo”
“Per tre Coppole, et tre dozzane di strenghe
nella festa di S. Giacomo”
“Per mostacciuoli, et vino alli Preti, che hanno
cantato il Vespro”
“Pagati alli musici per la festa di S. Iacono”
“Pagato à Giovanni di Cenza per bannitura
del pallio”
“Per una libra di Cera quanto fù la festa di
S. Giacomo”
“Per una libra di mostacciuoli, e vino per la
recreazione”
“Per fare lo piano”
“Per portare lo Cimbalo per la musica”
“Per una canna di pelluzza per lo pallio”
“Per due coppole, et quattro d’ozzane di
strenghe in detta festa”
“Per fare fare il piano per la lotta”
“Vino per la lotta”
“Anche il pallio è remasto à beneficio della
Chiesa s’è pagata la giornata ad uno lottatore
di carlini cinque”
“Per le strenghe, e due coppole per la corsa
36
Storia di Ariano
Conservatorio e Chiesa di S. Francesco Saverio
Nicola Flammia nella “Storia della Città di Ariano” - 1893 - (pag. 151) afferma: “... il portone del parlatorio è l’antica porta
della Città (della Strada) diroccata nel 1825 ... La Chiesa è piccolissima, ma ben tenuta; bella la porta identica a quella di
S. Francesco, ambedue del secolo passato”.
In effetti, tale Chiesa, era la cappella dell’Ospedale dei Pellegrini.
La conferma la ricaviamo dalla lettura degli “esiti” dello stesso: “Per uno maschio nuovo, et chiave alla Cappella sotto
l’Hospitale”.
La porta “identica a quella di S. Francesco” non è “del secolo passato” (del 1700), ma del 1500. Essa è sovrapposta ad altro
portale in arenaria gialla, locale, sempre del secolo XVI, il quale risulta essere l’antica porta della Cappella.
Mario D’Antuono, parlando del “Portale della Chiesa di S. Francesco”, in Aequum Tuticum - n° 0 - marzo 2000, dice che
“probabilmente” la porta sovrapposta è “proveniente dalla prossima Chiesa di S. Giacomo”.
AEQVVM TVTICVM
37
Storia di Ariano
delli piccerilli”
“Per dui palij nella festa di S. Giacomo per
la lotta, e corsa di palmi per X l’uno di saia
imperiale”
“Per li soni alla festa di S. Giacomo”
“Speso di soni, et fulgori sparati in detta festa”
“Per la polve delli soni sparati in detta festa”
“Speso per dui palij nella festa di S. Giacomo
uno di saia imperiale, et l’altro di pelluzza”
“Per tuoni de polvere sparata nella festa”
“Speso per fare la festa di S. Giacomo per
dieci palmi di pelluzza per il pallio della
lotta”
“Per tanti sosamelli comprati et per vino”
“Per bandire li palij in Gesualdo”
“Per due coppole, e tre d’ozzane di strenghe
per la corsa delli peccerilli”
“Dato al giurato per bandire il pallio per
la Città”
“Per 15 mostacciuoli comprati dalle Monache
per la colazione alli preti”
“Per due libre di Copeta”
“Al maestro di Capp.a D. Gregorio Cioffo per
la Musica in detta festa”
“Per compra di vino in detta recreazione,
et per la lotta”
“Per sue fatiche in parare la Chiesa in detta
festa di S. Giacomo”
“A 24 Luglio per compra de palij per la lotta,
e corsa nella festa di S. Giacomo secondo
il solito”
“Al cursore Luca Piccerillo per bandire li palij”
“Per li pallij della lotta, e corsa nella festa
di S. Giacomo”
“Per la recreatione alli musici, e preti”
“Per una rosella di fuoco artificiato”
“Per uno rotolo, e mezzo di polvere”
“Speso per due palij di pelluzza venuti da
Napoli”
Finita la festa, l’ “Hospidale” riprendeva la
sua incessante, febbrile, caritatevole attività,
mentre i pellegrini continuavano a partire.
“Partivano per espiare una colpa, per
sciogliere un voto, per impetrare una grazia”.
L’ Ospedale “Santo Iacono” di Ariano, era
sempre lì ad attenderli, a soccorrerli, a dare
loro aiuto, pronto a provvedere anche per
l’eventuale ultima dimora.
“Antonio quaglietta di Poli di Rima povero Infermo…come se ritrova trasportato
per andare a visitare il glorioso S. Nicola di
Bari, e come che se li e agravato il male il
pone ad suppliche ad può partire, percio con
AEQVVM TVTICVM
supplica farli carità farli soministrare qualche
poco di vino d’aiuto affinché si muora della
fama e freddo…”
Il povero Antonio poteva essere tranquillo, avrebbe visto “il glorioso S. Nicola di Bari”,
il “Santo Iacono” di Ariano non avrebbe ricusato la sua ripetuta, bisognevole, supplica.
Nel 1731 terminava la caritatevole e
meritoria opera del “Santo Iacono”di Ariano.
In questa data, come già altrove dicemmo, con il vescovo Filippo Tipaldi, si pensò
di “aprire un Rifugio o Ricovero di donne
pentite, le quali trovassero nel lavoro e nel
ritiro l’espiazione e la riabilitazione della
passata condotta. Si prese possesso di tutto
il locale dell’Ospedale dei Pellegrini, confinando questo in una casuccia dirimpetto,…
e tutto il fabbricato colle rendite ceduto alle
Monache” (Flammia - pag.70).
Nella nuova, poco adatta sede, l’Ospedale “restò dal principio del 1700 quasi
abbandonato”.
Il secolo successivo non migliorerà certo la situazione e tutto il glorioso passato
dell’Ospedale dei Pellegrini di Ariano finirà
nel dimenticatoio. Quanto asserito da Nicola
Flammia trova piena conferma nelle poche
delibere rintracciate e che riportiamo per il
paziente lettore.
“Anno 1866, il giorno 17 Marzo in Ariano
Presidente Sindaco Franza Domenico
Il presidente à invitato il Consiglio ad esaminare l’andamento dell’ Amministrazione
di questo Spedale Circondariale e vederne
i conti, giacchè sono per decorrere sette
anni che stà chiuso, e non si sà l’uso fatto
dell’annua rendita in circa £ 400.
Il Consiglio intesa la proposta del Sindaco,
all’unanimità di voti nomina una commissione…la quale rivedrà i conti, verificherà
l’andamento dell’Amministrazione e solleciterà l’apertura dello Stabilimento”.
“Anno 1871, il giorno 21 Settembre in
Ariano Presidente l’assessore ff.da Sindaco
de Miranda Francesco.
Il Presidende, dopo aver dato lettura
all’ Assemblea Consigliare della nota Sotto
Prefettizia del 7 corrente mese di Settembre,
n° 6401, che à per oggetto lo stabilimento
di un assegno perpetuo a favore di questo
38
Storia di Ariano
Ospedale Civile in consorzio tra la Provincia,
l’Ospedale, ed il Comune, nella quantità
necessaria a pareggiare coi fondi antichi
dell’Opera in concorso della Provincia, l’à
invitata per la sua deliberazione.
Il Consiglio udita la proposta del Sindaco,
e la lettura della nota anzidetta.
Visto che lo stato finanziario del Comune
versa in deplorevolissime condizioni, oltre
un deficit di circa £.55.000; pur nondimeno
informato da principi di carità Cittadina, e nel
fine di vedere una volta attuato questo Pio
Stabilimento, all’unanimità di voti delibera
stanziarsi sul bilancio del venturo esercizio
1872 il sussidio di £.400, sperando poterlo
aumentare negli anni avvenire. Farsi voti
alla Deputazione Provinciale di liberare gli
assegni Provinciali del 1870 e 1871, oltre
quelli degli anni precedenti per farsi fronte
alle spese delle suppellettili e mobilia dello
Stabilimento.
“L’anno 1871 il giorno sei Agosto, in
Ariano, alle ore 11 a.m.
Riunita la Giunta Municipale sotto Municipale sotto la presidenza del Sindaco f. fe.
Sig. Francesco de Miranda.
Il f.fe. da Sindaco riferisce agli adunati
che al Sindaco fu riferito che vari guasti di
qualche importanza si sono verificati in un
muro del fabbricato che serve ad uso di
Ospedale in questa Città.
La Giunta intesa la relazione del Sindaco delibera all’unanimità d’incaricare
l’Assessore delegato alla Polizia urbana Sig.
Felice Mazza,onde insieme ad un muratore
di sua fiducia si rechi sopra luogo, osservi
ed esamini l’esamini l’entità dè restauri che
dovranno farsi; la spesa che vi potra occorrere, e quindi su tutto riferisca”.
“Dal 1888”, dice ancora il nostro benemerito concittadino Flammia, tanto da noi
stimato per il suo carattere energico e battagliero, “si cominciò a pensare di ridurlo in
forma conveniente, perché era una vergogna
per la 2a città della Provincia non avere un
nosocomio. Così, con un poco di buona
volontà, si riuscì a racimolare le rendite di
alcune cappellanie che erano soppresse,
quelle di S. Oto, del Corpo di Cristo, di S.
Maria del Carmine (14 aprile 1890). La ProAEQVVM TVTICVM
vincia assegnò £. 2000 annue, il Comune
£. 800. Le rendite patrimoniali oggi sono
arrivate a £. 584, cosicché la Congrega di
Carità dispone di £ 3.384.
Sono assegnati 10 letti. Il locale è stato
quasi rifatto con salette pulite, arieggiate,
cucina interna, un armadio farmaceutico,
uno chirurgico, mobilio, biancheria, archivio,
sala Dermofilopatica, ufficio di Presidenza.
Vitto, razione ordinaria del mattino, vaccina
- lessa grammi 150, pastina grammi 100,
pane grammi 400, vino decilitri 3, arrosto
grammi 100”.
Questo, ciò che riferisce il Flammia nel
1893. Ma appena dopo pochi anni, siamo nel
1902, il consigliere comunale Risi osserva a
proposito di un contributo che il Consiglio
vuole elargire all’Ospedale: “A che questo
sussidio se l’ospedale è chiuso?
Il Presidente Maresca fa notare che è
aperto e che contiene ora tre ammalati.
Risi osserva che, stante l’esiguo numero
degli ammalati, può conchiudersi che l’Ospedale sia mantenuto dal Comune.
Il Presidente risponde che è bene aiutare
un’istituzione tanto necessaria ed utile al
paese”.
I commenti risultano superflui, l’Ospedale
funziona male e poco, tanto che qualcuno
pensa di farlo divenire comunale.
Per quasi due secoli le buone intenzioni
si mescoleranno con l’incuria e l’abbandono;
la città di Ariano dovrà attendere la seconda
metà del sec. XX per avere un “pubblico
istituto” degno e conveniente, nel quale
“accogliere” e curare gli ammalati.
Ma, altra cosa era il “Santo Iacono”.
L’ ”Ospitale” di Ariano, “riceveva lo straniero”, l’accoglieva con amore, con cortesia
e cordialità. In modo gratuito curava le sue
eventuali alterazioni fisiche e lo accompagnava fuori dai confini cittadini appena
ritornata la salute.
All’“ospite”, in caso di gravissimo pericolo,
si chiedeva solo “una buona morte”, il suo
nome, la sua età e la sua patria per poter
predisporre l’ultima accoglienza nelle buie
sepolture della Chiesa di S. Giacomo.
Ora, anche questo edificio consacrato
al culto divino non è più; la solita politica
locale, inetta e sciatta, buona solo per tessere
meschine ed insignificanti faccende, decre39
Storia di Ariano
tandone la scomparsa nell’ultimo quarto
del secolo appena passato, confondendo
reliquie, memorie e polvere nella locale
discarica del Cappellone, ha reso solamente
più miserevole una comunità, costretta a
reinventarsi il tempo trascorso per costruire
un fruttuoso e dignitoso tempo che sarà.
AEQVVM TVTICVM
40
Santi Patroni
Elzeario e Delfina
storia d’amore e di vita
di D. Donato Minelli
G
iovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte ricorda
la commemorazione del 7
maggio 2000 “nello scenario suggestivo
del Colosseo” dei “testimoni della fede nel
sec. XX”: “È un’eredità da non disperdere,
da consegnare ad un perenne dovere di
gratitudine e a un rinnovato proposito di
imitazione”.
L’esortazione del papa è stata quasi
una suggestiva provocazione per il nostro
vescovo Gennaro Pascarella e per me, a
rivolgere un’attenzione particolare alla vita
di due santi coniugi, vissuti in un’epoca più
remota, fine sec. XIII - inizio XIV, ma sempre
vivi nella devozione dei fedeli: S. Elzeario e
la B. Delfina.
La prima gradita sorpresa per me è stata
la visita alla cattedrale di Apt, in Provenza,
quando non senza commozione ho sostato
in preghiera nella cappella di S. Anna, dove
si custodiscono le reliquie insigni dei due
santi, oggetto di culto e di venerazione.
L’altra, l’incontro con il conte Géraud de
Sabran, nel castello d’Ansouis, non molto
distante da Apt, dove vissero Elzeario e
Delfina dopo la celebrazione del matrimonio.
Il conte, che è sindaco del paese, fu
molto cortese nell’accompagnarmi durante
la visita al castello e nel favorirmi tante
notizie storiche sulla famiglia, illustrandomi vari dipinti, tele e busti dei due santi,
felicissimo d’incontrarsi la prima volta con
una persona di Ariano.
Interessanti gli incontri personali, o per
telefono o per corrispondenza con l’arciAEQVVM TVTICVM
vescovo di Avignone-Apt Mons. Raymond
Buchez, al quale presentai la richiesta del
nostro vescovo, perché ci concedesse alcune
reliquie; con il vicario generale Mons. André
Mestre, che mi consentì la consultazione
degli archivi diocesani presso gli archivi
dipartimentali; con il parroco della cattedrale di Apt, Eugène Carrara; con il decano
del Capitolo metropolitano di Avignone,
Mons. A. Reyne, che facilitò la consegna
delle reliquie; con d. Daniel Brehier, parroco
della collegiata di S. Agricola e S. Desiderio,
dove il 5 gennaio 1371 fu letto il decreto
di papa Gregorio Xl, che promulgava la
bolla del predecessore Urbano V, che aveva
proclamato Elzeario santo il 15 aprile 1369.
Altrettanto interessanti gli incontri con
il prof. André Vauchez, direttore dell’Ecole
Francais di Roma, noto studioso di storia
medioevale; con Mons. Michele Di Ruberto
e P. Cristoforo Bove, OFMC., della S. Congregazione per le Cause dei Santi.
Ho letto ed esaminato con la dovuta
attenzione vari testi e studi critici pubblicati
dal compianto P. Jacques Cambell, OFM,
relativi ai santi coniugi. La sua opera “Vies
occitanes de S. Auzias et de S. Dauphine”,
edita dal Pontificio Ateneo Antoniano, Roma,
1963, ha suscitato in me grande interesse,
e, nella speranza di fare cosa gradita agli
arianesi, ed arricchire il patrimonio storico -culturale - religioso della diocesi, ne ho
curato la traduzione in italiano.
Il presidente dell’Associazione “Amici del
Museo” dr. Tonino Alterio, mi ha chiesto di
essere presente in questa pubblicazione Ae41
Santi Patroni
quum Tuticum, dopo
la giornata di studio
e di celebrazioni dei
due santi. Non vorrei
deludere le aspettative, se a quanto sto
scrivendo aggiungo
solo alcuni dati biografici, rimandando
alla biografia dei due
santi di recente pubblicata e corredata da
note esplicative, da
appropriata iconografia, fotografie scattate
in questi ultimi mesi,
ed un’accurata e vasta
bibliografia.
Cenni biografici.
Dati cronologici documentati:
ELZEARIO: nascita:
castello di Robians,
vicino Ansouis 1286;
morte: Parigi, 27 settembre 1323;
DELFINA: nascita: Puimichel, 1284; morte:
Apt, 26 novembre
1360;
fidanzamento: Marsiglia, 22 novembre
1296; matrimonio:
1300;
soggiorno a Napoli
e ad Ariano: tra gli anni 1314 - 1316 e
1317 - 1323.
Elzeario e Delfina, nati da famiglie dell’aristocrazia provenzale, all’età rispettivamente
di 13 e 15 anni, furono uniti in matrimonio
per motivi di ordine politico e di tutela del
patrimonio, per volontà di Carlo II, conte di
Provenza e re di Napoli.
Sollecitato da Delfina, Elzeario accettò di
astenersi da ogni rapporto carnale con lei,
AEQVVM TVTICVM
e fece anch’egli voto di castità, conservando la purezza verginale nella lunga vita in
comune con la moglie: 23 anni e 8 mesi.
Se vogliamo prestare fede al suo biografo, egli, dopo pochi anni, raggiunse
tale grado di misticismo che “la sua casa
sembrava più un monastero che quella di
un conte” e che “la sua vita era più simile
a quella di un monaco che a quella di un
uomo mondano”, e già nel sec. XVIII, il
42
Santi Patroni
bollandista Suyskens, nel tratteggiarne la
vita negli Acta Sanstorum, parlava di un
esempio “mirando potius quam imitando”
(ammirevole più che imitabile).
Tutti i biografi ed i testimoni al processo
di canonizazione mettono in risalto questo
aspetto tipico di vita coniugale verginale,
ma non trascurano gli altri. Elzeario è anima
profondamente mistica, alla quale Dio accorda il dono della “vita unitiva”. Egli è sempre
raccolto in Dio, anche fra le attività le più
impegnative. Si ammira in lui la prudenza,
l’equità, l’amore verso i poveri, la sua carità
faccia a faccia con gli ammalati e i lebbrosi.
Delfina è animata da profonda pietà, da
una volontà che niente la fa piegare e che
utilizza per perseguire il suo ideale; un’umiltà
che la porta ad elemosinare, dopo la morte
del marito, per le strade e, soprattutto il suo
zelo per le anime: consiglia, cerca di portare
sollievo a tutti, di consolare, di convertire.
Un esempio concreto di come vivere
le “beatitudini evangeliche”: “poveri in spirito” “puri di cuore”. Purificati e sublimati
dal “distacco” e dalla “rinunzia” dai beni e
dai piaceri terreni, nello spirito di Cristo;
alimentati dalla Comunione frequente,
dalla preghiera assidua e dall’esercizio della
fede-speranza - carità; trasfigurati da una vita
innocente e tutta dedita all’esercizio delle
“opere di misericordia” sono realmente in
intima affinità con Dio Spirito e con il suo
Figlio incarnato.
Si è attuato in loro quanto dice S. Basilio:
“Lo spirito santo, quando risplende nelle
anime purificate da ogni macchia, le rende
spirituali con il proprio contatto. E, come i
corpi diafani, quando li colpisce un raggio
di luce, diventano essi stessi risplendenti
e propagatori di luce, così le anime illuminate dallo Spirito Santo, divenute spirituali,
rimandano luce ad altre anime” (Trattato
sullo Spirito Santo).
Segni prodigiosi attirarono l’attenzione
della gente durante la loro vita (guarigioni,
AEQVVM TVTICVM
conversioni...) e dopo la morte, così in Italia
come in Provenza, tali che non si tardò a
considerarli e a venerarli come Santi, così
come è esplicitamente testimoniato anche
nei processi di canonizzazione.
La “rinunzia” il “distacco” che sembrano
causa di morte, sono, al contrario, segni di
“vita e di risurrezione”: generare le anime
con la propria morte secondo le leggi classiche della trasmissione della vita previste
da Gesù nella “parabola del buon pastore”
(Gv. 10,1-22) e del “chicco di frumento, che
marcisce sotterra” (Gv. 12,24).
E, questa legge di “vita-risurrezione” dura
sempre. Le canonizzazioni compiute da
Giovanni Paolo II dicono qualcosa...
“Pare incredibile, scrisse Piero Bargellini,
ma la santità attrae e affascina ancora in
maniera sorprendente. Si ha un bel dire che
l’umanità ha perduto il sentimento religioso; che la materia soffoca lo spirito; che la
cronaca nera sopravanza quella bianca; che
il male soverchia il bene, e che i nostri non
sono tempi di santi e neppure da semplici
galantuomini.
Non è vero, o per lo meno non è completamente vero. La santità è ancora un
ideale sentito, o per lo meno è una pungente
nostalgia. Con tutte le nostre debolezze,
con tutti i nostri egoismi, con tutti i nostri
peccati, siamo ancora capaci di percepire la
luce e di valutare la grazia”.
43
AEQVVM TVTICVM
44
Giovanni Mazza
Giovanni Mazza
Abate di S. Clemente
in Casauria
di Emerico Maria Mazza
G
Abate di S. Clemente in
Casauria, Barone di Alanno
e Bononiano, succedendo
al defunto zio Monsignor
Tommaso Mazza (2).
Tale carica, ritenuta
incompatibile con il possesso del canonicato da
Mons. Lorenzo Potenza
(1722-1811), Vescovo di
Ariano da 1778 al 1792, fu
all’origine di contrasti tra i
due prelati, sfociati in un
lungo giudizio presso la
Real Camera di S. Chiara in
Napoli, che infine si espresse in favore dell’Abate:
interessante testimonianza ne è l’opuscolo a
stampa dal titolo “Ristretto delle ragioni nel
iovanni Domenico Mazza
nacque in
Ariano il 17 aprile 1757, da
Felice ed Ippolita Capano
di Taurasi, e vi morì il 24
dicembre 1840.
Suoi fratelli furono
Giuseppe (1) (1760-1808),
dottore in legge, Nicoletta
(1753-1822), moglie del
Patrizio Arianese Tommaso Vitale, illustre scrittore
e giureconsulto e Cecilia
(1755-1785), moglie di
Giuseppe Clemente Iambrenghi di Candela.
Canonico della Cattedrale di Ariano, fu con reale decreto dato a
Napoli il 24 maggio 1787 nominato Regio
1) Giuseppe Mazza che, con il suo risoluto contegno, salvò la città di Ariano dalle minacciate rovine del
Generale francese Sarazin (21 aprile 1799) – Cfr. N. Flammia “Storia della Città di Ariano dalla sua origine
fino all’anno 1893” pp. 241-2, Ariano, Tip. Economico-sociale G. Marino, 1893; F. Mazza “Nuovo Diario
Aranese” pp.186 - 8, Avellino, Ed. La Ginestra, 1995; Angelo Michele Iannacchini “Topografia Storica Irpina”,
vol.IV, pag.162 e 163; V. Frano “La campana del Mezzodì”, n. 13, anno XVI, Scafati 27 marzo 1892.
2) Monsignor Tommaso Mazza nacque a Montemiletto il 25 novembre 1702 da Felice ed Anna Longo.
Canonico ed Avvocato Fiscale della Curia di Ariano fu poi Vescovo di Ugento e di Castellamare, Abate
di S. Maria di Mito e di S. Clemente in Casauria, Presidente del Tribunale Misto, Ministro Elemosiniere
della Suprema Giunta degli Abusi e Prefetto dei Regi Studi.
Morì in Napoli il 5 aprile 1787 ricoprendo il prestigioso incarico di Regio Cappellano Maggiore – Cfr.
Catalogo dei Cappellani Maggiori del Regno di Napoli, Napoli, presso Angelo Coda, 1819 e Archivio di
famiglia-. Era fratello minore di Giuseppe (1690-1759), illustre giureconsulto e Governatore di diverse città
sotto il Regno di Carlo III di Borbone, che nel 1712 trapiantò la famiglia da Montemiletto in Ariano, e
di Niccolò (1693-1745), che fu tra i Canonici firmatari degli Statuti Capitolari della Cattedrale di Ariano
(1734) – Cfr. A. M. Iannacchini, op. cit., vol. II, pag.84 e Archivio di famiglia.
AEQVVM TVTICVM
45
Giovanni Mazza
motivo di diritto pel Regio Abate di Casuria
contro al Vescovo di Ariano” (3), datato in
Napoli 24 febbraio 1794 e curato da Mons.
Vito Moccia, Vicario Generale Casauriense.
Visse ed operò nella comunità locale in
un periodo storico particolarmente travagliato da eventi bellici e politici, rispetto ai quali
seppe mantenere sempre un atteggiamento
equilibrato e mai fazioso, tutt’altro che
passivo, distinguendosi anzi in più di una
occasione per le indubbie qualità diplomatiche, delle quali beneficiò la cittadinanza
arianese: con grande dignità e fermezza,
peraltro, affrontò le noiose persecuzioni
frutto della invidia e del pregiudizio che
inevitabilmente conseguirono.
Da “Nuovo Diario Arianese” di F. Mazza:
“L’essere poi riuscito, mercè la sua valevole
influenza, a salvare nel 1799 i complicati
politici di Ariano dai rigori della milizia
del Cardinal Fabrizio Ruffo (4) e la promozione avutasi con decreto di Gioacchino
Napoleone a Primicerio della Cattedrale, gli
cagionarono, in seguito agli avvenimenti
del 1815, per intrighi di nemici di libertà, la
perdita, in vita, della prebenda canonicale, in
morte, la privazione degli onori funebri nel
Duomo, dovuti ai Canonici. Ciononpertanto
godè, per i suoi modi, per ascendenza, per
dottrina ed attaccamento alla famiglia, la
stima dei buoni ed ai suoi funerali, celebrati a cura della famiglia nella Chiesa di
S. Domenico, si ebbero solennità più che
ufficiale, affettuosa, per parte di tutto un
popolo che ne pianse la perdita. Fu sepolto
nella Cappella dei Marchesi Figlioli posta
in detta chiesa e ne disse l’elogio funebre
il Giudice Istruttore Sig. Giovan Vincenzo
Guglielmucci” dalla cui orazione si riporta
un passaggio significativo.
“…Cittadino ed amico, egli preferì i moti
santi del cuore ad una morale utile al solo
Egoismo. La costanza de’ suoi principj, come
la nobiltà di essi, non fu smentita giammai.
Non la vertigine de’ partiti, non il torrente
de’ poteri fermarono i di lui sentimenti, né
per queste cagioni furono essi alterati. Una
filosofia depurata, ma disgiunta dal fanatismo,
avea fissate le di lui regole. Il 1799 fu per
esso il 1815, ed il 1815 il 1820, ed a vicenda.
Chi, in tale avvicendar di deliri politici,
conobbe meglio che esso, vivo e sensibile,
qual egli era, tutti i doveri dell’amico, e
del cittadino? Chi più di lui li rispettò? Al
pericolo della patria, e della pubblica pace,
egli il vecchio illustre fu tutt’i momenti presente, ed in mezzo alla gioventù. All’arrivo
delle amarezze, quali che fossero, del proprio amico, il sole nol precede’, le tenebre
nol nascosero. L’ambizione, quella Erinni
dell’Erebo, che lacera fino il cuore de’ buoni,
fu vinta dal saggio di quella sapienza, che
nell’introdurmi al di lui elogio vi ho dato; ed
egli, l’uomo incomparabile diviso da noi, che
non aveva brigato il suo posto di Abate di
Casauria, ed altri nella Cattedrale di questa
Città, non apprese a brigarne ancora altri;
ricusò sempre anzi, quelli a’ quali Monsignor
Vescovo Domenico Russo, di felice ricordanza,
lo forzava…”.
Della speciale considerazione e soprattutto della cordiale familiarità di cui godette
l’Abate Mazza anche presso la Casa Reale,
sono testimonianza due pregevoli dipinti
ad olio conservati in famiglia, donatigli
uno dal Re Ferdinando I con la effigie della
“Mater Gratiarum”, l’altro dal Re Francesco I,
ritraente il Principe D. Leopoldo Borbone,
Conte di Siracusa, in tenera età (5).
3) Biblioteca del Museo Civico di Ariano a cui è stato donato.
4) F. Mazza, op. cit .e Archivio di famiglia – R.. Purcaro “Lo Spirito Arianese”, I disp., 21 luglio 1895, Tip. G.
Mariano.
5) Leopoldo di Borbone-Sicilia (1813-1860), Conte di Siracusa, figlio di Francesco I e di Isabella di Spagna,
dissentì sempre dalla politica del Re Ferdinando II, suo fratello, e del suo successore il Re Francesco II,
suo nipote, al quale inutilmente cercò di suggerire una politica nazionale italiana – Cfr. F. Mazza, op.
cit., p.168, e “Una Pagina di Storia Patria”, Napoli, R. Stabilimento Tipografico Francesco Giannini e Figli,
1927.
AEQVVM TVTICVM
46
Banda Musicale
Il Nuovo regolamento
pel Corpo musicale
di Ariano Irpino
di Luigi Albanese
L
a Banda musicale di Ariano Irpino(1)
fu sottoposta, nel corso della sua
lunga attività di organo muni-
cipale, ad almeno due regolamenti: il
primo fu redatto nel 1883 (2), e non se ne
conosce il contenuto, ed un altro nel 1895
1) Per ulteriori notizie sull’argomento v. L. Albanese, La Banda musicale di Ariano Irpino, in “Vicum”, fasc.
XXXI, dic. 1999, pp. 145-147 e N. Flammia, Storia della Città di Ariano, 1893, p. 84.
2) Delibera Giunta del 1 giugno 1894, Felice Mazza, Nuovo Diario Arianese, note di Stanislao Scapati, 1995,
pp. 91 e 589 e N. Flammia, op. cit. Tutte le delibere sono state consultate nell’Archivio Storico del Museo
Civico di Ariano.
AEQVVM TVTICVM
47
Banda Musicale
che, successivamente, il 30 giugno 1897 fu
modificato in alcuni capitoli.
All’inizio annoverava elementi della Guardia Nazionale e fu ufficialmente istituita il
4 dicembre del 1863 (3), anche se nel marzo
successivo si stava ancora “organizzando
a comune soddisfazione”. Per dotarla dei
necessari strumenti e per il mantenimento,
il Maggiore della Guardia Nazionale, D. Raffaele Mainieri, anticipò la somma di ducati
seicento (4).
Il 31 gennaio 1895, il Consiglio Comunale,
“riunitosi nella Sala delle adunanze municipali”, discusse sull’approvazione del nuovo
regolamento, che fu illustrato dall’assessore
cav. De Furia.
Il nome ufficiale della Banda era “Concerto
comunale di Ariano”. L’organico comprendeva un Maestro Direttore, un Capo Banda
scelto fra i suonatori solisti, vari suonatori
solisti, concertisti (di prima e seconda classe)
ed allievi.
In seguito, nel 1897, l’organico era
composto da un Maestro Direttore, da un
Capo Banda (o Vice Direttore), da musicanti
effettivi e da allievi.
Nella lettura dello statuto si affermò
che “il numero dei solisti e dei concertisti
non è prestabilito, esso varierà a seconda
delle esigenze del Bilancio comunale ed a
seconda della maggiore o minore possibilità
di promuovere a concertisti gli allievi ed
a solisti i concertisti”. Soltanto il numero
dei concertisti di seconda classe era stato
fissato a venti elementi, mentre quelli di
prima classe non dovevano superare il limite
delle dieci unità.
Il Comune controllava i musicisti tramite
un’apposita Commissione di vigilanza, “la
quale ne cura l’amministrazione, la direzione
concertistica e disciplinare”. La Commissione,
formata da quattro membri e presieduta dal
Sindaco, restava in carica per un biennio ed
era rinnovata nella sessione autunnale con
possibilità, per ciascun membro, di essere
riconfermato. Le riunioni della Commissione,
indette ordinariamente una volta al mese,
avevano lo scopo di stimolare e facilitare
il progressivo miglioramento del corpo
musicale, “tenendosi in continuo rapporto
col Maestro Direttore del quale accoglierà
ed attuerà i consigli che crederà”; inoltre,
i quattro eletti si prefiggevano di vegliare
“al regolare andamento ed alla disciplina
dell’intiero Concerto comunale” ed a tal
scopo “infligge le punizioni ed assegna le
gratificazioni eventuali”.
Due membri ricoprivano, inoltre, la carica
uno di Segretario e l’altro di Economo. Il
Segretario custodiva il Registro dei verbali
di adunanza, i registri delle presenze delle
scuole dei concerti. Invece l’Economo aveva
“la diretta sorveglianza degli attrezzi, delle
carte, degli istrumenti, redigendo di tutto
regolare inventario”.
Il Maestro Direttore era nominato tramite pubblico concorso e tra i suoi obblighi
ricordiamo, oltre quello di “concertare il
Corpo musicale”, l’impegno di “insegnare…
la teoria musicale e di fornire…non meno
di ventiquattro pezzi di musica nuova
all’anno tra marce, ballabili e riduzioni di
opere musicali, sia di propria che di altrui
composizione”. Altro impegno era dato
dallo stilare un rapporto bimestrale, in cui
si illustravano “i risultati non solo riferenti
allo studio, ma anche alla condotta di ogni
singolo” (5).
In una delle modifiche del 1897, fu imposto, sempre al Maestro, che di “tutte le
partiture sei pezzi composti tradotti e ridotti
restano di esclusiva proprietà del Comune” e
di “dare eziandio lezioni di violino a quattro
prescelti dalla Commissione, ad un altro di
violoncello e ad un altro di contrabbasso”.
Il Capo Banda, reclutato tra i suonatori
3) La data di fondazione della banda è riportata da F. Mazza, Nuovo Diario…p. 590. Invece, in una seduta
consiliare del 29 marzo 1908 si affermò che la banda fu fondata nel 1862; più tardi, in una delibera del
Consiglio Comunale del 16 marzo 1916, è menzionato addirittura il 1860 come anno di nascita.
4) Delibera Giunta del 7 marzo 1864.
5) Per valutare i titoli dei concorrenti al posto di Maestro Direttore, erano incaricate persone qualificate
come il commendatore Pietro Platania, direttore del Conservatorio di Musica di Napoli, che fu convocato
allo scopo nel 1892 (delibera Giunta del 3 gennaio 1892).
AEQVVM TVTICVM
48
Banda Musicale
solisti, poteva dirigere, al posto del Maestro
Direttore, in occasione di processioni, di
funerali e di giri per la città. Lo stesso si
incaricava che “le carte musicali non siano
sciupate o perdute, veglierà anche alla pulizia degli istrumenti e dei locali nei quali
ha sede il Corpo musicale”.
I locali in cui la Banda si esercitava variavano nel tempo: infatti, nel 1879, i concerti
erano eseguiti in “una grande stanza” nella
abitazione del sig. Annibale Guarini, “senza
verun pagamento di pigione, e con l’obbligo
da parte del Municipio di fare la volta, ed
altri accomodi in detta stanza” (6); alla fine
del sec. XIX, la scuola di musica dapprima
risiedeva nella “sala ch’era addetta a refettorio nel soppresso seminario” (7), successivamente passò provvisoriamente in una
scuola elementare femminile, poi si spostò
in alcune “case nel vecchio carcere” (nelle
adiacenze di Via del Riscatto) (8); più tardi
ancora, era impiantata nella casa Sicuranza, occupata dal maestro Nardelli, il quale
teneva “buona parte di detta abitazione a
completa disposizione ed uso della scuola
di musica” (9).
Il 19 dicembre del 1895, il perito O.
d’Alessandro fu incaricato dalla Giunta municipale di valutare le “condizioni
statiche” del vecchio Teatro “S. Giovanni
Evangelista” (sito nel Rione La Strada) al
fine di “adibirlo a Sala di concerto per la
musica”. Dalla verifica, risultò che il “muro a
sud” presentava le fondazioni scoperte per
mancanza di manutenzione “annua tanto
del fabbricato che della strada e fa mestieri
una sottomurazione”, bisognava rafforzare
le altre mura perimetrali, “la piccola porta
del detto Teatro” era in “cattivissimo stato”
e ne occorreva una nuova, “l’accessibilità
d’inverno” era “assolutamente impossibile”,
mancava un locale per collocarvi l’archivio
musicale. “In ultimo la scuola per gli allievi
musicanti non può stare nella medesima
Sala del concerto musicale e né può stare
molto lontana dalla medesima”. Pertanto, il
Teatro non fu ritenuto idoneo per ospitare
la “Sala di concerto della nostra musica” (10).
Alcuni mesi dopo la compilazione del
regolamento (11), fu costituito un Archivio
musicale ove riporre “in appositi scaffali ed
armadi chiusi a chiave le opere ed i libri
musicali, le partiture, gli strumenti fuori uso
e quelli filarmonici ed altri oggetti inerenti
al servizio del Corpo musicale”.
I suonatori solisti, scelti tramite esami fra
i concertisti, dovevano “impartire agli allievi
aspiranti a divenire concertisti…una completa istruzione musicale, sia per la teoria
generale della musica, sia per la speciale
teoria e pratica del proprio istrumento e
congeneri…”
I concertisti dovevano essere di “sana
costituzione, di buona condotta, avere
l’età dai 16 ai 50 anni e di possedere una
sufficiente istruzione nell’arte musicale”;
il contratto da loro firmato era valido per
dieci anni.
Gli allievi osservavano gli stessi obblighi
dei concertisti, ma l’età oscillava dai dieci
ai diciotto anni compiuti, e se dopo dodici
mesi di studio non ottenevano alcun profitto,
l’allontanamento dal corpo era inevitabile. I
concertisti erano suddivisi in due categorie:
di prima e di seconda classe, cui corrispondeva un diverso trattamento pecuniario.
Al Capitolo 9° del regolamento è descritta
l’uniforme ufficiale della Banda: “calzone
nero con filettatura d’oro; soprabito nero
ad un petto abbottonato fino al collo, con
bottoni dorati, ai due lati del colletto una
lira dorata; alle maniche un filetto d’oro
per l’alta tenuta. Controspalline in trench
nero. I solisti porteranno alle maniche, sul
filetto, un galloncino d’oro con occhio; il
Capo-banda porterà lo stesso galloncino
sui due filetti”. Era “assolutamente proibito
indossare la uniforme o parte di essa fuori
dal servizio”(12).
Gli strumenti appartenevano al Comune
6) Delibera Giunta del 16 gennaio 1879.
7) Delibera Giunta del 21 dicembre 1895.
8) Delibera Giunta del 18 gennaio 1897.
9) Delibera Giunta del 12 novembre 1908.
10)Archivio Storico del Museo Civico di Ariano. Faldone 14, fasc.12, fogli 124-125.
11)Delibera Consiglio del 30 gennaio 1897.
AEQVVM TVTICVM
49
Banda Musicale
e “ciascun suonatore è tenuto alla manutenzione e riparazione eventuale”.
“Nel gennaio di ogni anno avranno luogo
gli esami innanzi al Maestro Direttore ed alla
Commissione di vigilanza per la promozione
degli allievi a concertisti di seconda classe;
per la promozione ai concertisti della seconda alla prima classe; per la promozione dei
concertisti di prima classe a solisti”.
Ogni componente era moralmente impegnato a seguire un modello di “uomo
probo, educato, rispettoso di sé e degli
altri, curante del proprio decoro e della
onorabilità del Corpo cui appartiene”.
L’inosservanza del regolamento comportava delle inevitabili punizioni: tra quelle
contemplate si passava dalla “riprenzione
privata” alla sospensione dello stipendio
(per non più di sei mesi), fino all’esclusione
definitiva dall’organico. La Banda suonava,
oltre che nelle ricorrenze religiose (da rammentare la processione votiva di S. Ottone
alla Chiesa di S. Pietro de Reclusis) (13), a
Capodanno, nei “genetliaci” (compleanni)
del Re, della Regina e dei principi ereditari,
nella ricorrenza dello Statuto (5 giugno),
nelle feste nazionali ed il 20 settembre (per
celebrare “l’anniversario della liberazione di
Roma” nel 1870) (14).
Vi furono altre circostanze che richiesero
la presenza del Corpo musicale: da ricordare
la “venuta in questa città dell’onorevole
deputato al Parlamento Nazionale Sig.
Commendatore Pasquale Stanislao Mancini,
(quando) questa Fanfara cittadina prestò per
detto avvenimento il suo servizio suonando
tanto all’arrivo che alla partenza del lodato
commendatore, come pure in diverse altre
volte che l’illustre uomo fece in mezzo ai
suoi più cari amici ed intera popolazione
Arianese” (15).
Altra disposizione, contemplata dal regolamento, era che i solisti capaci di suonare
“istrumenti ad arco sono tenuto a prestare
l’opera loro alla Società del Quartetto…senza
aver diritto ad alcun compenso”.
I bandisti ricevevano i compensi trimestralmente ed in occasione di inviti fuori
di Ariano o di funerali erano contemplati
degli extra in base alla distanza, ma con la
proibizione più assoluta per “le cosiddette
regalie al Maestro ed al Capo Banda”.
Al tempo del sindaco N. de Angelis, le
“regalie” erano elargite “ai ragazzi nella Festa
di Natale” (16).
Sin dalla fondazione, i membri del consiglio cittadino ebbero una cura particolare per
la Banda, e verso i suoi effettivi: nel 1873, il
sindaco E. Figlioli sollecitò la Commissione
Amministratrice dell’Ospizio Capezzuti “di
dare il lavoro degli abiti, scarpe ed altro ai
bandisti di Ariano di condizione sarti, calzolai ecc. ed alle famiglie di essi, e ciò nel
fine di vienmeglio incoraggiare allo studio
della musica” (17).
Talvolta, i consiglieri comunali promuovevano “una inchiesta sull’andamento della
banda”, specialmente se si levavano delle
“pubbliche doglianze sul ritardo del progresso della medesima”: nel 1869, invitarono
il sig. Luigi Trapani, “maestro della banda
musicale della 3a Legione della Guardia
Nazionale di Napoli”, a stilare una apposita
relazione(18).
Fra le figure legate alla storia della Banda,
non si può dimenticare il maestro Crisanto
12)Tale divieto era in vigore da anni: in occasione dell’acquisto di 15 pantaloni di panno per gli “alunni della
banda”, si ribadì che “indossando detto abito fuori servizio ciascun alunno contravventore sarà multato
di lire due” (delibera Giunta del 9 agosto 1881).
13)Ibidem.
14)Delibera Giunta del 15 settembre 1895. Nel 1879, il compleanno di Umberto I, il Re Buono, fu festeggiato ad Ariano con luminarie ed addobbi alla Casa Municipale e ad altri uffici del Comune, con fuochi
di bengala e d’artificio, gli amministratori ebbero l’incarico di “complimentarsi con gli Alunni dell’Asilo
Infantile” recatisi nella “casa Municipale a cantare delle canzoni in onore di S.M.”, gli alunni della Banda
gustarono nell’occasione vino e biscotti e la stessa Banda girò per la città non solo di giorno, ma anche
per due sere “accompagnata da persone con torce a vento” (delibere Giunta del 13 e 24 marzo 1879).
15)Delibera Giunta del 16 febbraio 1870.
16)Delibera Consiglio del 3 gennaio 1871.
17)Delibera Consiglio del 12 maggio 1873.
AEQVVM TVTICVM
50
Banda Musicale
del Cioppo, che ebbe l’incarico di dirigerla
nel quinquennio 1875-1880. Egli musicò
numerose poesie del poeta P. P. Parzanese e
”fatte ristampare dalla Casa Ricordi” e propose al Comune la vendita “di detta musica”, i
cui proventi sarebbero serviti per erigere un
monumento “all’esimio Poeta”.(19) Un episodio
curioso accadde nel 1877: il suonatore di
tromba Raffaele Volpe, di Grottaminarda, fu
denunciato al Procuratore del Re per aver
abbandonato repentinamente Ariano, dopo
essersi appropriato indebitamente di lire 45,
e “sottraendo dalla casa del Municipio destinatagli per abitazione un letto completo,
e l’intera uniforme di bandista” (20).
Al fine di arricchire il repertorio del Concerto di nuovi pezzi musicali, si sottoscrisse
l’abbonamento al giornale La Banda, che
era pubblicato a Roma (21).
Dopo del Cioppo, vi fu un periodo turbolento per le continue rinunce dei maestri direttori; si suggerì, nel 1882, che per
“evitare che il Sig. Gagliardi possa, pria che
spiri la ferma, abbandonare il posto”, fosse
trattenuta una piccola parte dello stipendio
e restituita alla risoluzione del contratto. Il
proposito fu respinto, perché non decoroso
per lo stesso Consiglio, “né per colui che
deve accettarla”, specialmente per il motivo
che lo stipendio non era “molto lauto” (22).
In fine anno 1902, si promosse il riordinamento del Concerto per sopperire alle
continue mancanze: “i concertisti sono più di
40, ma una trentina suonano effettivamente,
il resto è l’elemento turbolento”, si denunciò che gli scritturati erano disubbidienti
“essendo scappati alla vigilia delle feste”.
Nella stessa riunione, si istituì una borsa
di studio per sostenere gli studi musicali
nel Conservatorio di Napoli agli elementi
dimostratisi più meritevoli (23).
Nonostante i continui sacrifici, il declino
della Banda cittadina si protrasse per anni,
con notevoli difficoltà finanziarie e continue modifiche all’organico, scioglimenti
provvisori e ricostituzioni contrastate, sino
al licenziamento definitivo dei musicisti
(1909); talvolta, per risparmiare sugli stanziamenti alla Banda, si ridusse il periodo delle
esibizioni: “dalla 1a domenica di giugno a
tutto Settembre” e non più fino alla terza
domenica di ottobre (24).
Il consigliere Risi propose che “il Municipio debba limitarsi…(a) sussidiare adeguatamente una Banda privata, concedendo ad
essa una sufficiente rinumerazione contro
l’obbligo di prezzare il servizio di piazza
nella stagione estiva e nelle solennità” (25).
Tra i fautori del mantenimento del Concerto vi fu il consigliere O. Franza, il quale
nonostante “la storia dolorosa del progrediente sfacelo della Banda cittadina”, sottolineò che “per la morte o l’allontanamento da
Ariano di parecchi dei migliori, le condizioni
odierne sono assai peggiorate dal tempo
dell’esame fatto dal maestro Carravagliof”
ed era “necessario studiare seriamente la
questione tenendo presente che la Banda
18)Delibera Consiglio del 31 maggio 1869, pp. 55 a tergo e 56 a tergo.
19)Delibere Consiglio del 5 maggio 1875 e 24 aprile 1882. G. Grasso in “Ariano dall’Unità d’Italia alla Liberazione”, libro primo, 1993, pp.102-103, ritiene che le musiche contenute in un disco pubblicato nel 1986
dal maestro Aldo Bellipanni, “ I Viggianesi - Storie di canti e cantastorie”, siano da attribuire a Crisanto
del Cioppo. Il del Cioppo ottenne il prolungamento del contratto fino al 1884, ma “allontanandosi da
questa Città con la scusa di finire della licenza annuale…ha fatto poi tenere le sue dimissioni…” (delibera Consiglio del 1 dicembre 1881); lo stesso fu preceduto dal maestro Giovanni Zoboli, che rimase in
carica dall’aprile del 1868 al dicembre del 1875 (delibera Consiglio del 30 ottobre 1871). Il monumento
a Parzanese fu eretto molti anni più tardi ed inaugurato il 29 agosto 1910: in quell’occasione, i soci del
Circolo Parzanese cantarono la poesia del “Vecchio sergente” musicata proprio dal maestro del Cioppo
(G. Grasso, op. cit., libro secondo, 1994, pp.72 - 76).
20)Delibera Giunta del 31 gennaio 1879.
21)Delibera Giunta del 23 febbraio 1877.
22)Delibera Consiglio del 6 febbraio 1882. Il maestro E. Gagliardi dirigeva la banda di Ugento (Lecce).
23)Delibere Giunta del 7 ottobre e 7 novembre 1902.
24)Delibera Consiglio del 23 maggio 1903.
25)Delibera Consiglio del 15 dicembre 1903.
AEQVVM TVTICVM
51
Banda Musicale
è l’unico sollievo della cittadinanza” (26).
I musicanti, che erano costretti a riporre
i propri strumenti nelle custodie, non trovavano facilmente altri impieghi e, perciò
auspicavano un aiuto dal Comune per
risollevare le “tristissime condizioni” in cui
versavano: ai bandisti non più in attività
come Massimino Valery, Raffaele Bolognese,
Vito Nazzola, Emanuele Valletta e Vincenzo
Sabino fu concesso un sussidio (27). Nel 1918,
Massimino Valery fu assunto, per sette mesi,
come istruttore degli allievi della scuola di
musica, mentre aveva già trovato impiego
come bidello delle scuole elementari (28).
Altri disagi si aggiunsero a quelli già illustrati che contribuirono al tramonto della
Banda arianese: nel 1904, il Comune, per
l’ennesima volta, rifondò il gruppo di suonatori e ne affidò la conduzione al signor
Pompegnani. “Tutto lasciava (ben) sperare,
specie il Maestro pieno di buona volontà,
quando incominciarono le ostilità da parte
degli affezionati al vecchio Maestro, individui
indisciplinati che hanno fatto lotta di ogni
genere contro il Maestro presente, fino ad
entrare nei suoi particolari, fino a fare atti
scorretti ed inqualificabili nel concerto. Gli
allievi dal n° di 75, per minacce ed insinuazioni, sono ridotti a 21. Questo malumore latente ebbe occasione di scoppiare
apertamente con la festa di Monteleone,
dove la Banda andò a suonare, ed alcuni
concertisti dissero antecedentemente che
a Monteleone sarebbero stati fischiati. Ivi
diverbi fra bandisti, ribellione al capo banda,
per la ripartizione per classi, del ricavato
della festa, malcontento espresso con modi
insolenti “ (29).
Per questi fatti incresciosi, ci si augurò
che per la mancanza di disciplina era giusto
che “si reprima, si punisca chi ha mancato,
ma non si distrugga una vecchia istituzione,
poiché molto si è distrutto”, invece, si preferì
distruggere il rimanente (30).
Nonostante tutte le vicissitudini, si
rinnovò sempre l’organico e si tentò di
mantenerlo in efficienza: si acquistarono,
nel 1907, diciannove strumenti musicali
dalla Ditta Alfonso Abate e Figlio di Napoli; la spesa totale fu di 2127,50 lire ed il
pagamento fu dilazionato in quattro anni
e senza interessi (31).
A vanificare gli sforzi degli amministratori
sopravvennero altri episodi di indisciplina
da parte di alcuni “concertisti paesani”: nel
settembre del 1907, un funzionario di P.S.
fu oltraggiato da un certo Vinciguerra Oto,
accorsi altri Carabinieri lo arrestarono ed il
musicante Abramo Michele “aizzava la folla…
per far liberare il detto Vinciguerra arrestato
dall’Arma”. Per tale “mancanza”, dapprima si
pensò di espellere l’Abramo dal corpo, ma
poi lo si condannò a pagare una multa di
dieci lire (32).
26)Ibidem. Già nel 1895, si ribadì che “col sopprimere la Banda si toglierebbe l’unico svago che di tratto in
tratto toglie la popolazione intera per qualche momento dalla triste realtà della vita gravata da continuati
guai”; con tale atto si sarebbe ridotto Ariano “al di sotto del più piccolo paese della Provincia” (delibera
Consiglio del 18 ottobre 1895).
27) Delibere Consiglio del 29 maggio 1904 e del 20 gennaio 1905. Raffale Bolognese, di Oto, era nato nel
1856 e militò per molti anni nella Banda, come testimonia una gratificazione ricevuta dal Comune per
il “suo ben servire” già nel 1876 (delibera Giunta del 9 ottobre 1876). Probabilmente rientrò nei ranghi
della Banda a pieno servizio, se è la stessa persona iscritta in un elenco del 1916.
28)Delibera Giunta del 21 maggio 1918.
29)Delibera Consiglio del 26 luglio 1904.
30)Ibidem.
31)Delibera Giunta del 20 settembre 1907. Altri strumenti furono acquisiti da Luigi Fasanaro, fabbricante di
Napoli, che fu pagato anche per il “riatto generale portato a 29 istrumenti di ottone” (delibera Consiglio
del 4 agosto 1869). I Fratelli Ruggiero, sempre di Napoli, rimisero in perfette condizioni gli strumenti
consegnategli dal maestro del Cioppo nel 1879 (delibera Giunta del 7 marzo 1879). Un altro commerciante rintracciato è il sig. Canelli di Caserta cui si rivolse direttamente il maestro Ianni (delibera Giunta
del 14 marzo 1890). In altre circostanze, gli strumenti non erano sempre procurati con il denaro: ad
esempio, per dotare l’alunno Cipollone di una tromba nuova, furono dati “in cambio al fabbricante tutti
gli strumenti inservibili” (delibera Giunta del 19 maggio 1881).
AEQVVM TVTICVM
52
Banda Musicale
Lo stesso musicante fu protagonista,
insieme ad altri quattro colleghi (Puzio
Antonio, Lizzo Guarini Giovanni, Abbatangelo Vincenzo e Ciasullo Raimondo) di un
clamoroso atto di indisciplina: disobbedendo al Maestro Direttore, “rifiutarono
di prestare servizio di piazza la sera del
20 ottobre corrente, deducendo…essere
finito il loro obbligo di servizio e il quinto
(Ciasullo Raimondo) perché affetto da mal
di gola”. Il Ciasullo non esibì un certificato
medico comprovante la sua indisposizione
e perciò la malattia fu reputata un “mero
pretesto”. Furono comminate altre multe,
la più salata (dieci lire) ad Abramo perché
recidivo, e furono “dai suddetti musicanti
ritirati i relativi strumenti e depositati nella
Sala del Concerto” (33).
Gli atti di insofferenza e di insubordinazione da parte dei bandisti, contro l’autorità
amministrativa, si perpetrarono in modo
sempre più frequente, come conseguenza
di un contagio diffuso tra l’equipaggio di
una nave alla deriva, finché si giunse alla
inevitabile conclusione.
Nell’estate del 1909, il Sindaco avv.
S. Nicoletti riferì che ad “onta dei sacrifici
enormi finanziari e suoi personali”, “lo
spirito dissolvitore della indisciplinatezza”
era ormai “penetrato” in tutto il corpo musicale cittadino e che esso non rispondeva
“più ai fini per cui fu costituito essendo
venuto meno…ogni principio di arte e
tanto sia per la non buona esecuzione, sia
per l’indolenza nella direzione”. Nessuno
era escluso dal discorso accusatorio del
Sindaco: ad esempio il Maestro Direttore
non voleva più dirigere la Banda durante le
esibizioni di piazza “per la mancanza di un
semplice clarinetto”. L’ultimo atto di vera e
propria rivolta era stato consumato la sera
precedente quando, per la forzata assenza
del Concerto musicale di Alessano (Lecce),
il Sindaco e l’assessore Anziano Mosca
proposero all’omologo arianese di sostituire il gruppo pugliese nelle esecuzioni e
promisero la retribuzione secondo la tariffa
stabilita dai commissari della festa. Invece,
32)Delibera Giunta del 9 ottobre 1907.
34)Delibera Giunta del 23 agosto 1909.
36)Delibera Giunta del 10 aprile 1912.
AEQVVM TVTICVM
tutti i suonatori si rifiutarono “abbandonando la sala del concerto con urli e con
parole di ribellione”; pertanto, considerando
anche “l’esasperazione forte negli animi dei
cittadini ad opera della pessima condotta
addimostrata dai concertisti”, fu deliberato
lo scioglimento del Concerto musicale e si
ingiunse l’immediato ritiro degli “strumenti,
note, atti ed altri oggetti di pertinenza del
Comune sotto la responsabilità di ciascun
musicante per qualunque guasto potrà
arrecarsi per loro colpa agli strumenti musicali” (34).
La Giunta, comunque, dovette ricorrere ai
servigi dei musicisti già poco tempo dopo
in occasione della festa dello Statuto e compensare le esecuzioni dell’ormai “Concerto
musicale autonomo di Ariano” (35).
Forse, la disubbidienza cronica dei bandisti era causata dalle continue riduzioni
delle paghe e, pertanto, adottarono una
condotta talmente insofferente da spingere
gli amministratori a licenziarli, così da potersi gestire nelle retribuzioni e nella scelta
delle esibizioni.
Negli anni susseguenti, però, la tutela del
Comune nei riguardi della Banda non cessò
mai del tutto: nel 1912, lo stesso esaudì
appieno la richiesta del Prof. Pompegnani
sull’ “acquisto degli strumenti nuovi…e
far riparare quelli usati, nonché per la
confezione delle uniformi dei bandisti…”
(36)
; l’anno successivo fu acquisito tutto il
materiale della disciolta Banda di Chieti,
“strumentale…assolutamente nuovo ed
usato per soli 9 mesi” (37); mise di nuovo a
disposizione il locale dell’ex Seminario “per
uso del Concerto musicale”, fino a poco
tempo prima “concesso gratuitamente alla
Cassa Cattolica” (38).
Episodi deprecabili da parte degli elementi della Banda cittadina si ripeterono,
ma in modo del tutto occasionale rispetto
al passato: si rintraccia soltanto l’abbandono
del servizio da parte del musicante Ciccarini
Vito, autore anche di “gravissime mancanze
alla disciplina” e che fu decurtato del salario
mensile affinché si saldassero i “diversi debiti
contratti in piazza prima di lasciare Ariano
33)Delibera Giunta del 24 ottobre 1907.
35)Delibera Giunta del 4 giugno 1910.
37)Delibera Giunta del 28 febbraio1913.
53
Banda Musicale
con la garanzia del maestro Direttore” (39).
Con il trascorrere degli anni le somme
destinate alla Banda, da parte del Comune,
si ridussero sempre più, sino a mettere in
discussione finanche il servizio di piazza
nella stagione estiva.
Per ovviare alle difficoltà finanziarie, si
riponeva fiducia e speranza nei vari Maestri
Direttori che si avvicendavano per mantenere
decorosamente in vita la Banda: ad esempio,
si sperò nella “buona volontà del Maestro Sig.
Napoletano e nel suo spirito di sacrificio” per
reclutare “dall’elemento paesano la massa per
poter con la fissata somma avere un servizio
non inferiore a quello dei due ultimi anni…”.
Si preferì, per il futuro, avere una istituzione
musicale “ristretta in termini modesti, pur
rispondenti alle sue finalità ed alle limitate
esigenze della Cittadinanza” (40). Infatti, durante la prima guerra mondiale, nel ricordare il
compenso ai musicisti si nominano in modo
preponderante i “bandisti paesani”, classificati “secondo le loro capacità”; interessante
un elenco che ci permette di desumere la
consistenza degli arianesi nella Banda, pur
derivante dai continui assottigliamenti (41):
7. Lo Conte Ciriaco
8. Ciccarelli Luigi
Prima Classe B:
1. Saracino Nicola
2. Guardabascio Gaetano
3. Aliberti Giovanni
4. Comanzo Ottone
Seconda Classe:
1. Ciccarelli Gaetano
2. De Donato Domenico
3. Gallotta Mario
4. D’Alessandro Gaetano
5. Zerella Pasquale
6. Liguori Luciano
Terza Classe:
1. Grifone Arturo
2. Santolillo Lodovico
3. Clericuzio Nicola
4. Clericuzio Gerardo
Prima Classe A:
1. Carpiniello Floriano
2. Perillo Ottavio
3. Aliberti Giuseppe
4. Bilotta Nicola
5. Bilotta Giuseppe
6. Sciarrillo Antonio
Menzione particolare ricevette Bolognese Raffaele, perché “degno di speciale
considerazione”, mentre agli appartenenti
della terza classe fu elargita una paga di
“incoraggiamento”.
All’epoca del maestro Napoletano, il
numero totale dei musicisti assommava a
65 persone, di cui 15 non arianesi, inoltre
si annoveravano 40 alunni iscritti alla scuola di musica, che avrebbero formato “una
seconda bandicina” denominata “Scuola
Allievi”. Fu procurato, ad un prezzo definito
vantaggioso (3000 lire), dal Barone Cav. Casamarte, proprietario del Concerto di Loreto
Aprutino (Pescara), “l’importante strumentale
costruito dalla rinomata casa F. Rofh di Milano”, “conservato in apposite casse feltrate
tenute in massimo ordine” e rispondente “ai
criteri moderni”. Poco tempo dopo, queste
spese furono giudicate “poco opportune”
ed il Concerto si trovò in una “posizione
curiosa: le feste che avrebbero potuto dare
un ricavato relativamente esiguo non si son
potute accettare perché, dato il numero dei
musicisti e lo strumentale, occorreva enorme
38)Delibera Giunta del 25 giugno 1913.
40)Delibera Giunta del 18 ottobre 1914.
39)Delibera Giunta del 14 giugno 1912.
41)Delibera Giunta del 27 giugno 1916.
Fuoriclasse:
1. Clericuzio Pasquale
2. Guarino Giovanni
3. Pratola Luigi
4. Formato Luigi
5. Ciasullo Raimondo
6. Bolognese Raffaele
7. Novario Giovanni
8. Sabino Gerardo
9. Riccio Giuseppe
10. Ferrara Giuseppe
11. Clericuzio Antonio
12. Bevere Nicola
AEQVVM TVTICVM
54
Banda Musicale
spesa pel trasporto; le feste di maggiore
importanza e più proficue nemmeno si son
potute accettare, non trovandosi il concerto nelle condizioni tecniche volute, sia per
mancanza di preparazione, che di qualche
elemento indispensabile” (42).
Nonostante i frequenti scioglimenti della
Banda, negli amministratori e nei cittadini
arianesi era sempre forte la volontà di rifondarla: nel 1923, ben accolta fu la domanda
del maestro di musica De Filippis Luigi volta
ad “ottenere la consegna degli strumenti
musicali…, con l’intendimento ed obbligo
di impiantare una scuola di musica e di
riorganizzare la banda musicale cittadina”.
Il De Filippis aveva già iniziato “l’insegnamento ad una moltitudine di alunni, di cui
alcuni a pagamento”, per dirigerli non solo
nelle esecuzioni di piazza, ma anche per
organizzare la “filarmonica ed orchestrina
pel teatro comunale” (inaugurato il 20 aprile
del 1922 e da non confondere con il Teatro
“S. Giovanni Evangelista”) (43).
Alcuni amministratori espressero delle
severe critiche per un assegno mensile di lire
trecento e per la consegna degli strumenti al
maestro De Filippis, ma il Consiglio di Ariano
lo ritenne “persona solvibile” e, lo stesso, aveva
agito correttamente quando aveva affidato
gli “istrumenti” ai genitori degli alunni “dietro
ricevuta ed obbligo di garanzia” (44).
Durante il periodo fascista, il maestro
Pompegnani insegnò il canto orale agli
alunni delle scuole elementari ed al Corso
di Avviamento al Lavoro dal 1926 al 1933.
Per il “lodevole espletamento delle mansioni
affidategli”, il podestà G. Forte determinò
che gli fosse corrisposto “a semplice titolo
di gratificazione, lire seicento una tantum”,
in modo da “porlo in grado di procurarsi
un’altra occupazione” (45).
Sempre nel 1933, lo stesso podestà decise un ennesimo contributo al Concerto
Musicale, “formato da elementi locali, già
appartenuti a precedenti Concerti e sotto
gli auspici e l’incoraggiamento del Comitato
pro Opere di Assistenza e del Dopolavoro
Comunale”, in tale occupazione si sostenevano “trenta cittadini, per lo più artigiani”,
le cui dimostrazioni musicali erano utili per
la “elevazione morale del popolo” (46).
La riparazione degli strumenti musicali
fu sempre assunta dal Comune, perché di
“grande valore” e lo stesso aveva “l’obbligo di conservare tali elementi mobili…e
di mantenerli nello stato rispondente alla
loro natura e scopo”: l’incarico fu effettuato
dalla Ditta Riuniti A. Rampone – B. Cazzani
e Comp. di Napoli (47).
Pertanto, dopo lo scioglimento ufficiale,
le note della Banda accompagnarono ancora per anni gli arianesi, che le ascoltarono
sempre negli appuntamenti più significativi
della comunità, come l’arrivo di un onorevole, una ricorrenza civile o religiosa o
l’inaugurazione di un monumento.
Le melodie seppero nascondere il tramonto della vecchia istituzione, che fu al tempo
stesso malinconico, irrequieto, struggente,
ricco di storie di genti comuni, di persone
umili come lo furono tutti i bandisti.
42)Delibere Consiglio del 17 gennaio e 18 settembre 1914.
43)Delibera Giunta del 12 maggio 1923.
44)Delibera Consiglio del 8 luglio 1923.
45)Delibera Podestà del 21 gennaio 1933.
46)Delibera Podestà del 18 luglio 1933.
47)Delibera Podestà del 5 marzo 1934. Invece, nel 1897 gli strumenti “da accomodarsi” furono spediti a
Milano (delibera Giunta del 31 marzo 1897).
AEQVVM TVTICVM
55
AEQVVM TVTICVM
56
Villa Comunale
Indagine storico - botanica
sulla villa comunale
di Ariano Irpino
di Eva Dell’Infante
I
l presente lavoro è stato realizzato
dalla Prof.ssa Dell’Infante Eva nella
classe terza sez. C della
Scuola Media “G. Lusi” nel corso degli anni
scolastici 1998/1999 - 1999/2000 nell’ambito
di un progetto di flessibilità curriculare sullo
studio storico - botanico all’interno della Villa
Comunale attraverso interventi diretti. Oltre
all’aspetto immediato di carattere didattico
e scientifico lo scopo fondamentale di tale
iniziativa è stato quello di valorizzare e far
conoscere soprattutto ai giovanissimi il ricchissimo e talora raro patrimonio botanico
quasi totalmente sconosciuto alla maggior
parte degli Arianesi. Si coglie, altresì, l’occasione per rivolgere un sentito ringraziamento
al prof. Scapati per la sua cortese consulenza
storico - scientifica e l’umana disponibilità.
Eva Dell’Infante
Presentazione
Siamo i ragazzi della terza C della Scuola
Media “G. Lusi”. Quest’anno abbiamo pensato
di realizzare insieme alla nostra insegnante di scienze la prof. Dell’Infante Eva un
lavoro riguardante la realizzazione di una
videocassetta sulla Villa Comunale. Questa
iniziativa è stata resa possibile non solo
per la disponibilità e sensibilità mostrata
dal preside, prof. Salvatore Rotundo, ma
anche grazie all’attuazione, della flessibilità
dell’orario curriculare che ci ha permesso di
dedicare un certo numero di ore di studio
e di intervento diretto con la natura del
parco. La nostra villa comunale è inserita in
un contesto panoramico di ineguagliabile
bellezza che ha rappresentato, anche nei
AEQVVM TVTICVM
tempi passati, l’input per componimenti
poetici e pittorici.
INDAGINE STORICA
Ariano, nel 1585, da città feudale sotto il
duca principe Gesualdo di Venosa, divenne
demanio comunale.
Il castello vero e proprio si ergeva sulle
attuali torri che rappresentavano un sostegno e nel tempo stesso mura di protezione;
esso era posto sul colle orientale della città
in una zona alquanto periferica.
Intorno al castello il terreno formava
una vera e propria scarpata che il comune
dava in fitto come orto e come pascolo a
privati. Tale situazione è rimasta invariata
fino all’Unità d’Italia. Con l’editto di SaintCloud (1804) durante il periodo Napoleonico fu proibita la sepoltura nei sotteranei
delle chiese per cui ad Ariano si decise di
seppellire i morti nella zona circostante il
castello (1838), spianando la zona nord-est
(l’attuale cedraia con campo da tennis). Tale
spazio adibito a cimitero venne poi spostato
nell’attuale rione San Pietro ed infine nel
1870 nella sede dell’attuale cimitero.
Un ulteriore intervento fu messo in
atto da un gruppo di privati, con lo scopo
di istituire un “tiro a segno” ad imitazione
di quelli che sorgevano un pò ovunque
nell’Italia postunitaria; quindi ci fu un primo
spianamento a terrazza all’altezza dell’attuale peschiera e del viale attiguo ad esso, qui
venne rilevata una sorgente di buona acqua
che permise l’installazione di alcune sezioni
di tiro a segno, proprio nella zona in cui
oggi c’è il chioschetto. Questo fu il primo
pretesto per utilizzare questo luogo come
57
Villa Comunale
punto di ritrovo. Quando, successivamente,
il poligono fu trasferito alla contrada Mogna,
sulla strada per Montecalvo, si rese disponibile un’ulteriore superficie. Tra il 1864 ed
il 1865 venivano spianate varie zone della
preesistente collina e vista l’ottima posizione
panoramica iniziò a balenare l’idea di creare
un vero e prorio giardino pubblico dove
il castello rimaneva il centro di attrazione
storica e la vegetazione un’attrazione naturalistica e un motivo per trascorrere momenti
di rilassante riposo. Quindi la cosidetta villa
comunale venne inaugurata nel 1875.
Dopo opportuni terrazzamenti venne
rimboschita, recintata all’ingresso con pilastri
di pietra e inferriate. Nel tempo sono stati
piantati alberi lungo i viali e piante a volte
anche molto rare.
INDAGINE BOTANICA
La villa comunale si estende su tre gradoni, quello più alto si trova intorno alle torri
e gli alberi qui piantati sono stati interrati di
circa un metro per motivi di spianamento.
Intorno alle torri già nel 1876 sono stati
piantati filari di alberi di leccio (appartenenti alla famiglia delle cupolifere) essi in
un secondo momento sono stati potati in
un modo particolare a scopo ornamentale.
Ai fianchi dei cancelli d’ingresso delle
due entrate principali notiamo dei bei
cipressi (appartenenti alla famiglia delle
cupressacee) potati in forma piramidale
(essi si distinguono
dalle tuie in quanto
hanno le foglie tondeggianti anziché
schiacciate).
Lungo il lato sud
oltre ai filari di lecci
troviamo una folta
siepe di lauroceraso che costeggia la
scarpata ricoperta
da una folta vegetazione di iperico
del Giappone.
Par tendo
dall’entrata centrale ed andando
verso il settore
nord, notiamo di
fianco al viale che
AEQVVM TVTICVM
circonda le torri, un terrapieno (dove c’è
la casetta della terza età) in cui vivono
numerosi esemplari di cedro dell’Atlante,
caratterizzati da rami che si dirigono verso
l’alto con le punte rivolte verso il basso. Essi
vengono affiancati da giovani pini marittimi
e da abeti rossi. Nelle aiuole troviamo dei
grandi cespugli di viburno a fiore bianco e
frutti a piccole bacche di colore blu metallico:
questa è una pianta sempreverde, molto
resistente ed ornamentale. In altre aiuole
troviamo ancora piante di lauroceraso non
più sottoforma di cespugli ma di veri e propri
alberi, tali aiuole in questo caso vengono
contornate da siepi di ligustro: questo tipo
di ligustro o olivella ha le foglie alquanto
grandi rispetto al ligustro che troviamo
comunemente in campagna.
Dirigendoci verso il campo da tennis
troviamo alcuni pini d’Aleppo con il caratteristico tronco tortuoso.
Di fronte al campo da tennis sono stati
piantati numerosi cedri dell’Atlante dell’Himalaia e del Libano. Sempre in questa
zona ai fianchi delle torri c’è un bell’albero
sempreverde di alloro molto profumato ed
un ippocastano.
Girando ancora intorno alle torri troviamo nella zona est un piccolo piazzale
dove vi sono diverse aiuole contornate da
bosso nelle quali sono stati piantati grossi
cespugli tondeggianti di lauroceraso e
58
Villa Comunale
numerosi pini d’Aleppo. La siepe che ad
est contorna questo piazzale e dalla quale
scende la scarpata che porta al viale degli
ippocastani è costituita da cipressi potati a
circa un metro d’altezza. Notiamo ancora
in questa zona cipressi molto alti ed altri
nelle aiuole, bossi potati a forma di sfera
(tale potatura veniva fatta già dagli antichi
e denominata arte topiaria, ossia arte attraverso la quale le piante che si prestavano
venivano trasformate in figure particolari.)
In questa zona sempre ad est delle torri
troviamo un viburno particolare e alquanto
raro, quello a foglie ruvide (Viburnum Rigido
Fillum), esso pur essendo molto diverso dal
viburno comune è dello stesso genere in
quanto i fiori si presentano uguali. Camminando sempre lungo il viale est delle torri
troviamo un’unica aiuola dove si intervallano vari cespi di viburno e tra questi ne
troviamo uno a foglie caduche il cosidetto
viburno con fiori a palle di neve. Inoltre
sempre nella medesima aiuola troviamo
un agrifoglio e due alberelli di pittosforo
a fiori piccoli e profumatissimi proveniente
dalla Cina, a fianco c’è un evomino detto
volgarmente fusaggine; esso come il ligustro
e l’iperico proviene dal Giappone. Di fronte,
AEQVVM TVTICVM
lungo la scarpata delle mura del castello, vi
sono tutte piante di iperico del Giappone,
ai piedi di esse nasce una folta piantagione
di edere sovrastata da una siepe di lauroceraso; lungo tale scarpata ci sono alberi
di leccio, salici ed aceri.
Proseguendo passiamo attraverso il viale
degli ippocastani a fiori bianchi ad eccezione dei primi due che presentano fiori rossi.
Questo viale è stato piantato nel 1912.
Scendendo, a destra, c’è il piano dedicato
a P. P. Parzanese; qui troviamo, ai limiti della
scarpata, un filare di pini marittimi, sotto i
quali è stata piantata una siepe di berberis
o cedrino a bacche rosse. In questo piano
troviamo vari cespugli di tasso potati a sfera,
agrifogli ed una palma nana.
Scendendo, attraverso il viale secondario
parallelo al viale degli ippocastani, notiamo
una lunga aiuola contornata da una siepe
di bosso nella quale vive un albero molto
particolare e bello il Gledicia Triacantus o
Spina di Giuda: Gledicia dal nome del botanico tedesco Gladis. Questo esemplare è
stato ottenuto da varie ibridazioni in quanto
è una varietà inerme per il fatto che non
ha sul tronco e sui rami le spine accoppiate a gruppi di tre (triacantus); esso non
59
Villa Comunale
nasce spontaneamente nelle nostre zone
perché è originario delle Americhe. I fiori
sono bianchi e piccolissimi mentre i frutti
sono rappresentati da baccelli lunghi anche
venti centimetri. In questa aiuola troviamo
anche un altro esemplare unico: la Fotinia
Serrulata essa appartiene alle rosacee, i
suoi fiori sono piccoli e bianchi e le foglie
lunghe e lucide che riflettono i raggi solari.
Al di sotto della fotinia troviamo i cespugli
di fiori d’Angelo: i cui fiori sono bianchi e
molto profumati impropriamente tale pianta
viene detta gelsomino.
Continuando verso il piazzale della peschiera troviamo a destra un’aiuola nella
quale c’è un bell’albero: la cedonia o melo
cotogno, anch’esso
una rosacea, poi un
cespuglio di bambù
ed un esemplare di
pittosforo. In queste
aiuole ci sono anche
diverse conifere che
contornano il suddetto
piazzale. Scendendo
troviamo due abeti: a
sinistra l’abete bianco
e a destra nell’aiuola
uno rosso. Gli abeti
bianchi con i coni rivolti verso l’alto sono
caratteristici dell’Appennino, mentre quelli
rossi con i coni rivolti
verso il basso, delle
Alpi. A destra della
peschiera troviamo dei
pini silvestri con tronco
dritto e compatto dalla
corteccia striata con
fessurazioni in senso
verticale. Altri pini a
sinistra della peschiera
sono pini neri dalla
corteccia più compatta
e dalla chioma piramidale. Un esemplare
unico e importantissimo nell’aiuola a destra
della peschiera è il pino
radiato o insigne ha gli
aghi raggruppati a tre
AEQVVM TVTICVM
(foglie ternate) mentre negli altri pini le
foglie sono a coppie. Queste foglie si raggruppano a ciuffotti alle estremità sia dei
rami primari che secondari. Esso proviene
dall’America.
Nell’aiuola a sinistra della peschiera troviamo un palma eccelsa, dietro di essa c’è
un tasso e poi un bell’albero di alloro molto
profumato. Tra i due viali che scendono
verso la pista c’è un piccolo albero che è
una vera e propria rarità: esso è chiamato
Lagher Strenia Lagher dal nome del botanico
svedese scopritore. La sua corteccia è liscia
e levigata dal colore beige ed i suoi fiori
sono di un colore rosso vermiglio.
Al di sotto di tale piazzetta c’è la pista
60
Villa Comunale
contornata da alberi di leccio. A destra
troviamo un pruno del Portogallo (Prunus
Lusitanie).
Lungo il viale secondario, a destra della
pista, scendendo, troviamo al di fuori della
siepe di berberis lungo la scarpata un filare
di alberi chiamati ornelli a foglie caduche:
sono delle vere e proprie piante ornamentali.
Nel piazzale al di sotto della pista troviamo un cedro argentato dalle foglie molto
chiare, al di sotto del quale sono stati piantati
alcuni esemplari di tasso potati secondo
l’arte topiaria e il lauro del Portogallo. Quasi
al centro del piazzale troviamo l’emblema
della villa che è un bellissimo cedro del
Libano Composito perché forma, da un
unico tronco, un’intera foresta di alberi. Esso
è stato piantato più di cento anni fa, ve ne
erano altri due di eguale bellezza ai lati della
peschiera ma sono stati abbattuti da fulmini.
A sinistra troviamo un altro albero secolare:
il cedro dell’Himalaia dal tronco compatto
e dritto. Sotto la scarpata che porta alla
cedraia troviamo un filare di alberi di Giuda con fiori sessili di colore fucsia intenso.
Lungo la scarpata la cui vista dà ai Pasteni
sono stati piantati
numerosi pini neri,
aceri e gelsi.
Procedendo
verso i1 viale secondario troviamo
un filare di platani
tale viale è limitato
da una siepe di
berberis. Nelle aiuole che seguono
ci sono cespugli
di viburno. Proseguendo troviamo
due alberi di Giuda
uno a destra e
l’altro a sinistra,
quello a sinistra
non è stato potato
e quindi possiede
una chioma più
sviluppata ed ampia mentre quello
a destra è stato
privato dei suoi
numerosi rami ed
AEQVVM TVTICVM
ha un tronco bitorzoluto molto caratteristico.
Più avanti troviamo un maestoso tasso o albero della morte. Proseguendo lungo il viale
a destra e a sinistra vi sono giovani alberi
di ligustro ed un ciliegio (Prunus Pissardi).
La nostra passeggiata termina presso
l’uscita secondaria nel cui portale è impressa
la data di inaugurazione della villa.
61
AEQVVM TVTICVM
62
P. P. Parzanese
P. P. Parzanese.
I 150 anni dalla morte
di Gabriella Graziano
I
l 29 agosto 1852 moriva in un albergo di Napoli un nostro insigne
concittadino e letterato, il canonico P. P. Parzanese.
Autore di una vasta produzione poetica: Armonie popolari (1841), le Canzoni
popolari (1841), i Canti
del Viggianese (1846), i
Canti del povero (1851),
le Poesie edite ed inedite (1856-’57) nonché
di prose: Panegirici,
Sermoni, Memorie,
Lettere, e di interventi
critici sulle pagine di
“Il Lucifero” di Napoli,
il Parzanese si inserisce
nel filone della letteratura Romantico - Risorgimentale della prima
metà dell’ ottocento.
Spesso citato tra i
minori o talvolta e a
torto addirittura dimenticato, in realtà il
Poeta arianese, che già
annoverava come estimatore il De Sanctis,
ha trovato conferme
anche in studiosi più o
meno recenti tra i quali
il Lo Parco, Lo Scalvini,
Michele Tondo, che
hanno contribuito a
sollevare da questo
nostro grande irpino
il velo che il tempo
ed il pregiudizio aveAEQVVM TVTICVM
vano fatto calare su di lui, riproponendolo
all’attenzione nella sua attualità. Tempo è
passato da allora, ma P.P. Parzanese ha ancora oggi molto da dire con la sua lezione
di poeta allo stesso tempo provinciale e
cittadino.
63
P. P. Parzanese
Vissuto in un ambiente lontano geograficamente e culturalmente dai centri
più all’avanguardia, (la “selvatichezza” del
borgo arianese e l’incomprensione dei suoi
confratelli e concittadini lo fecero molto
soffrire), vinse l’isolamento attraverso il
tirocinio poetico e la pratica costante della
letteratura, che non fu per lui un “esercizio”
da Arcade, ma uno strumento allo stesso
tempo di apertura al sociale, di ricerca di
senso e quindi di libertà intellettuale.
Visse ad Ariano, dove nacque nel 1809,
ed entrò nel 1819 nel Seminario cittadino,
dove si formò agli studi classici. Stimato e
protetto da D. Russo, Vescovo del tempo,
uscì dal Seminario nel ‘25, soggiornò a
Napoli ed al suo ritorno ad Ariano, nel ‘30
o ‘31 fu nominato canonico. Alla morte
del Russo nel 1837 ricoprì per tredici mesi
la carica di Vicario Capitolare, dedicandosi
nel frattempo anche all’oratoria sacra ed
all’insegnamento letterario che in seguito
abbandonerà per dedicarsi alla poesia.
Coltivò l’iniziale passione per essa con
uno studio e una disciplina severi, passando
dalle prime prove poetiche, in cui era vivo
l’eco dei classici latini, specie di Virgilio, ed
italiani, Dante, Petrarca, Metastasio, Parini,
Monti, ad esiti in cui altri erano gli stimoli e
le influenze: il Manzoni, il Leopardi, nonché
il Burger e vari poeti inglesi e tedeschi, cui
si accostò grazie al contatto con gli intellettuali napoletani.
La frequentazione dei salotti letterari più
noti di Napoli, infatti, oltre alla la cultura
romantica lombarda gli fece conoscere anche quella straniera a cui si accosterà, forse
già nel ’30, con la traduzione di alcune odi
del Fauriel.
E così, provinciale per nascita, non lo fu
invece per cultura, dimostrandosi aperto
alla coeva letteratura romantica e ricettivo
verso quella francese, inglese e tedesca
col suo lavoro di traduttore, avviato nel
’37 e continuato con costanza dal’ ‘40 sino
alla morte. Predilesse da buon Romantico
soprattutto la letteratura tedesca; tradurrà
il Faust di Goethe, si accosterà ad Heine e
sarà un estimatore dello Uhland, che farà
AEQVVM TVTICVM
conoscere per primo in Italia.
Parallela all’attività di traduttore fu nell’Irpino la riflessione critica sul “fare” poetico
che lo inserì appieno nel coevo dibattito
culturale che le tematiche del Romanticismo
sollevavano. Emblematiche in tal senso si
rivelano allora le Lettere-Prefazioni, le Prefazioni alle sue raccolte poetiche nonché le
numerose Lettere ai vari amici e gli articoli
su “Il Lucifero” dai quali emerge la modernità,
lo spessore intellettuale e la consapevolezza
critica del Nostro.
È da queste pagine che si ricava il senso vero di quella “rinuncia” di una poesia
“alta” in nome di una letteratura “utile”
nel sociale e perciò educativa e popolare
alla quale egli pervenne, dopo aver abbandonato l’iniziale esperienza di una poesia
classica e civile. Tale scelta se trova la sua
spiegazione nella adesione del Parzanese
al “credo poetico” romantico, ha la sua
giustificazione prima ed intima anche o
piuttosto nella sua scelta di vita.
Personalità complessa dunque, quella del
Parzanese, prolifica e diversificata quanto a
produzione letteraria, tanto da giustificare e
sollecitare la richiesta di una rivalutazione
della sua figura di intellettuale e di uomo di
Dio, attraverso un lavoro di riscoperta della
sua opera puntuale ma soprattutto scevra
da pregiudizi ideologici e non.
Il Parzanese merita di essere annoverato tra i grandi della nostra letteratura
meridionalista risorgimentale, ed ha tutte
le carte in regola per esserlo, pertanto non
si possono far passare sotto silenzio i 150
anni dalla sua morte, senza richiamarlo alla
memoria pubblica con iniziative adeguate,
innanzitutto a livello locale, che vadano in
questo senso.
64
Diomede Carafa
Diomede Carafa e la
Diavolessa di Mergellina
di Giovanni Orsogna
U
n vescovo Diomede Carafa, Ariano
Irpino, suo luogo di nascita, la
bellissima chiesa di Santa Maria
del Parto di Mergellina costituirono per
il passato sec. XVI i luoghi della memoria
popolare (1) che
hanno affascinato celebri
viaggiatori e
persone popolari, tanto da
far diffondere
in Napoli la famosa leggenda
della diavolessa
di Mergellina.
Il mistero
viene svelato
da Matilde Serao nel suo celebre romanzo
“Libro di immaginazioni e
di sogni nelle
sue Leggende
Napoletane” del
1911, ripreso
anche da Benedetto Croce.
La vicenda secondo la Serao
è trasferita alla
stregua di un
romanzo di fin
de siècle, in
uno scenario
altoborghese.
Secondo un’antica tradizione, confermata dalla scritta della cappella Carafa di
Mergellina:
FECIT VICTORIAM ALLEUJA 1542 CARAAEQVVM TVTICVM
FA
si tratterebbe di un ex voto voluto dal
vescovo di Ariano Diomede Carafa(2), liberatosi dalla passione per una nobildonna
napoletana probabilmente la Davalos.
La nobildonna inviò lettere
di amore, struggenti per messer Diomede, a
volte scoppiava
dall’impeto della disperazione
perché il giovane Carafa “amava madonna
Isabella (?) che
aveva fama di
donna crudele
e disamorata...”
ma la Serao,
vo l u t a m e n te
omette il pentimento del
vescovo ecco
come scrive:
“Diomede Carafa fu vescovo
di Ariano, prelato esemplare e
amatore dell’arte. Leonardo da
Pistoia, pittore,
fu suo amico.
Per sua ordinazione e per la
chiesa di Piedigrotta dove giace il Sannazzaro, il Leonardo
fece il quadro bellissimo di S. Michele che
atterra Lucifero. Lucifero vinto e bello ha il
volto di Madonna Isabella. Ed è una donna
65
Diomede Carafa
il diavolo di Mergellina...”(3)
Fin qui la leggenda, ma ci sono ancora
dei dubbi che possono sedurre il lettore,
due donne si contendono il giovane Carafa, che il popolo e la leggenda ne ha fatto
un avventuriero, ma secondo la storia si
tratterebbe di una prova di amore mistico:
quello carnale e quello spirituale. Alla fine
chi vince è quello cristiano, come attesta
l’iscrizione dell’ex - voto. Basterebbe visitare
la chiesa del Sannazzaro e il volto mistico
dell’Angelo che alcuni studiosi vogliono
quello del Carafa spiritualizzato, mentre
quello della diavolessa, il simbolo della
tentazione umana.(4)
Questa provocazione letteraria vuole inserirsi in una sorta di parco letterario minore
della Campania, dove Ariano, celebre città
della ceramica, luogo di nascita del Vescovo
Diomede Carafa, e Napoli vengono unite in
una sorte di filo d’oro, per essere visitate.
Bibliografia:
Carrella Attilio M., La Chiesa di S.Maria del
Parto a Mergellina, Napoli, 2000, Pentagono Ed,
Di Fronzo P., Il clero altirpino nell ‘arco del
secondo millennio, Lioni, 1994, Irpina Poligrafica, 24 p.
1) La leggenda della “Diavolessa di Mergellina”, forse di Vittoria D’Avalos, potente nobildonna che tentò di
sedurre il vescovo di Ariano Diomede Carafa è effigiata nel celebre dipinto, olio su tavola: “San Michele
che calpesta il demonio” ad opera di Leonardo da Pistoia, intorno al 1540, nell’omonima Cappella Carafa
nella chiesa di S. Maria del Parto.
2) Diomede Carafa (1487 - 1560) figlio del duca arianese Giovanfrancesco e di Francesca Orsino dei duchi
di Gravina, ebbe i natali ad Ariano Irpino, ma vissuto nella opulenta Napoli, frequentava le prestigiose
famiglie partenopee. Quando fu eletto vescovo nel 1511, da Napoli inviava al Capitolo di Ariano la
prima missiva paterna. Prelato giovanissimo, di grande spiritualità e carità resse la diocesi di Ariano con
un grande amore verso il popolo e stretta vigilanza del clero. Vescovo illuminato promosse in città ed
in diocesi un’opera meritoria di riscotruzione: la cattedrale con la celebre facciata romanica, l’episcopio,
dopo appena un anno nel 1512, l’atrio della cattedrale ed il campanile. Seguì l’esempio dell’episcopato di
San Carlo Borromeo, apportando rinnovamento nei costumi, iniziò la celebre villa nei pressi dell’attuale
cimitero che rimase incompiuta. Nipote di Paolo IV, Carafa, fu austero e benefattore. Lo stesso pontefice
nel 1555 lo elevò alla sede cardinalizia col titolo dei santi Silvestro e Martino nei Monti in Roma.
Aveva sempre nel cuore la morte intesa come passaggio alla vita futura, evitò gli intrighi negli affari
della corte romana e la politica non lo interessava, estremo difensore dei valori cristiani e della fede.
Volle costruirsi diversi sepolcri: nella cattedrale di Ariano, in San Domenico Maggiore, Napoli, in S. Maria
del Parto di Margellina ed infine l’ultimo nella chiesa dei SS. Silvestro e Martino in Roma dove venne
sepolto nel 1560.
3) Napoli: mito e scienza e superstizione. Da piazza Vittoria al largo Sermoneta, Il Mattino, Ed. Maggio
Monumenti, Napoli, 2001, 23-25 pp.
Isabella Colonna dama amata dal Carafa.
4) Il Carella, in o.c. così ricostruisce la storia: La leggenda vuole che una nobildonna napoletana Vittoria
Davalos si fosse perdutamente innamorata del Carafa e sottoponesse a dura prova la sua virtù. Il prelato,
allora fece dipingere il quadro e chiese alla dama di volerlo accompagnare a vedere il capolavoro nel
quale il San Michele aveva il volto del Carafa e il diavolo le sembianze della tentatrice, che rinunziò al
suo amore. Il Vescovo per celebrare la vittoria fece apporre al dipinto la citata iscrizione: FECIT VICTORIAM
ALLELUJA 1542 CARAFA....
AEQVVM TVTICVM
66
Aequum Tuticum
Aequum Tuticum
è anche Touxion?
da “Hirpi - Storia dei sanniti Hirpini”
di Domenico Cambria
C
ome ebbi modo di dire nella introduzione al mio ultimo lavoro,
Hirpi, la storia, spesso la fa chi la
scrive, non certamente cambiandone i
contenuti, ma presentandola con la fierezza, l’eroismo e l’esaltazione dei sentimenti
di chi la racconta. Ecco perché, magari,
la stessa pagina può essere presentata in
maniera diversa da più autori, esaltandola
o avvilendola, rendendola credibile o meno
a secondo del momento che lo stesso vive,
o dei suoi sentimenti. E’ il caso di “Aequum
Tuticum” la nobile città di stirpe Sannita che
la si vuole fare risalire a Diomede, quando
intorno al 1200 a.C. approdò sulle coste
della Puglia inoltrandosi verso Benevento.
Dimenticata per ben due millenni, solamente
verso il 700, poi il 900, nonché con l’opera di
chi scrive, questa nobile ed antica città del
Sannio Hirpino, oggi torna, o può tornare
al ruolo che le compete, scrostandola dalla
polvere del tempo che per vari secoli ne ha
offuscato la memoria. Posta all’incrocio di
quelle che dovevano essere la via Traiana
e la Herculia, presso il tratturo PescasseroliCandela che tagliava l’intero Sannio, a partire
da quello Pentro, in maniera longitudinale
e giungeva in Apulia, nonché snodo viario
per Aeclanum a Sud ed Aecae (Troia) a
Nord, la città di Aequum Tuticum, l’antico
insediamento degli arianesi che oggi popolano il Tricolle, assieme a Compsa, la valle
d’Ansanto con il suo tempio dedicato alla
dea Mefite, Abellinum ed una Bovianum
Hirpina, probabilmente localizzata tra Nusco
e Bagnoli Irpino, ha sempre svolto un ruolo
politico e sociale di primissimo piano tra
tutte le città di quell’Hirpinia sannita. Sede
di “Touto”, vale a dire di Magistero, ad AeAEQVVM TVTICVM
quum Tuticum si amministrava la giustizia.
Là si conveniva per le scelte politiche, per
gli indirizzi sociali, nonché per le riunioni
di carattere militare. Solo nel 1774 il geografo francese D’Anville ne localizzò con
certezza il sito, posto a Nord di Ariano, a
confine con l’agro di Benevento, nella zona
detta di S. Eleuterio. Cinquant’anni dopo, lo
storico locale Vitale, in virtù dei numerosi
reperti venuti alla luce, confermò quanto
già il D’Anville aveva asserito, localizzandola
come “Touto”: posto di Magistero. Ma, se il
termine “Aequum Tuticum” non è che una
latinizzazione del vero termine, qual era
il nome di questa città in epoca sannitica
o precedente? Per molti, nonché per chi
scrive, “Aequum Tuticum” è anche Touxion,
il grande centro politico, religioso e commerciale dei Sanniti, dove si riunivano gli
eserciti per i loro riti propiziatori: una delle
tante città fantasma di quel periodo, solo
perché Tito Livio, obbedendo agli ordini di
Roma, scrive la storia a suo uso e costume,
tra l’altro non citando mai, o non mettendo
mai in evidenza, le città del Sannio Hirpino,
perché il Senato romano ne aveva decretato
la “dannacte memorie!”
Chi si sofferma in maniera significativa
su questo argomento, ponendo nel 1850
una prima, importante “pietra” verso la ricerca della verità, è lo storico beneventano
Domenico Petroccia, il quale ha scritto un
intero trattato dimostrandone la veridicità.
Lo storico Nisses non ebbe dubbi a riguardo.
Preller avanzò addirittura l’ipotesi che l’Afrodite Nicefora di Aequum Tuticum, avesse
qualche rapporto con la statua della Venus
Vetrix esistente a Roma in Campidoglio.
Ma, se il Petroccia appartiene ai nostri
67
Aequum Tuticum
tempi, nell’antichità, chi parla per la prima
volta di Aequum Tuticum e di Touxion, è
Cicerone, mentre lo Pseudo-Plutarco, dell’età
di Traiano (100 d.C.), menziona Aequum
Tuticum chiamandola proprio Touxion, la
metropoli dei Sanniti. Lo Pseudo-Plutarco
aggiungeva tra l’altro una notizia che era
sfuggita a molti studiosi, vale a dire che, la
città fu espugnata durante le guerre Sannitiche da Fabio Fabriciano, il quale inviò
a Roma, come trofeo di guerra, una statua
di Afrodite Nicefora venerata dai Sanniti !!!
Chi torna su Touxion è il prof. Tagliamonte nel suo testo “I Sanniti”, il quale
riporta che, Quinto Fabio Maximum Gurgens,
console nell’anno 292 a.C. e proconsole del
Sannio nel 291, avrebbe saccheggiato una
ignota città Sannita dal nome Touxion da
cui avrebbe asportato una statua di culto
apportatrice di vittoria. Ma, mentre il Petroccia fa risalire, senza ombra di dubbi, la
città Sannita all’attuale “Aequum Tuticum”, il
Tagliamonte, precauzionalmente, la definisce
una città ignota.
A questo punto sono da farsi delle ovvie
considerazioni, in quanto sarebbe davvero
riduttivo se chi scrive si limitasse a riportare
la solita storiografia senza aggiungere nulla
di proprio o per lo meno senza tentare di
dissipare certi dubbi. Se il ragionamento
“spinto” non è consentito a coloro che
rappresentano l’Autorità, i ricercatori locali
possono farlo sino a giungere a quelle logiche conclusioni che per dignitosa serietà
professionale non sono consentite ai primi,
che, però, rischiano di ripetere
vecchi errori, pur di seguire
un’apparente logica accreditata.
È il caso questo di Aequum
Tuticum.
Le considerazioni che si
possono fare sono di due tipi,
una di carattere spaziale e l’altra
fisico: di quale Sannio parlano i
testi Romani in quell’occasione?
E’ presumibile del Sannio
Hirpino.
Ed ancora, poiché il Sannio
Pentro era già stato conquistato
per la maggior parte nel 311
a.C. e nel 305, perché proprio
nel 292, alla fine della III guerra
AEQVVM TVTICVM
sannitica, doveva venire fuori questa statua?
Quel pro-console, era stato assegnato
al Sannio Hirpino, perché lì, Roma, in quel
momento stava consolidando la propria
posizione al termine del suddetto conflitto.
La coincidenza, oltre a tutta una serie di
considerazioni, è evidente e serve a lasciare
quanto meno dubbiosi anche i più scettici. Accertato questo, altre Regioni hanno
duplicato termini, date e località, pur di
impossessarsi di questa pagina di storia
che è nostra, dapprincipio alla fine. Invece
Touxion è ancora coperta da una coltre di
polvere che cresce ogni giorno di più, come
a volere nascondere colpe non certo nostre.
Touxion, così, resta ancora sepolta là,
dove gli Hirpini Sanniti la abbandonarono
circa 2000 anni fa, lontana dalla nostra
memoria storica e culturale, e con essa
l’orgoglio di quei progenitori che con il loro
ardore ed il senso della libertà, pagarono il
prezzo di quei valori con la vita, senza mai
essere schiavi di Roma.
Noi, oggi, invece, con il nostro assenteismo e la nostra negligenza, ad offuscarne
la memoria.
68
Donazioni
Museo Civico
Elenco Donatori al 30/6/2002
- Adriatica Costruzioni
- Alterio Antonio
- Associazione Amici del Museo di Ariano
- Associazione Amici del Museo di Foggia
- Associazione Circoli Culturali di Ariano
- Aucelletti (eredi)
- Autocardito di Gino Giorgione
- Banca Popolare Ariano Valle Ufita
- Blasi Antonio
- Capozzi Ada
- Cardinale Antonio
- Caro Donato
- Chianca Emilio
- Ciccarelli Erminio
- Ciccone Antonio
- Ciccone Pasquale
- Circolo Culturale Nuova Dimensione di Ariano
- Cocca Domenico
- Corsano Angelo
- Cozzo Francesco
- Cozzo Giovanni
- Credito Italiano
- D’Alessandro Emma
- D’Angelo Ugo Costruzioni
- D’Antuono Antonio
- D’Antuono D’Alessandro Luigia
- D’Antuono Mario
- D’Antuono Nicola fu Mario
- D’Antuono Nicola fu Silvio
- D’Antuono Ottaviano
- D’Agostino Maurizio
- De Donato Antonio
- De Furia Aldo
- De Majo Ettorino
- Del Conte Claudio
- Di Chiara Giuseppe
- Di Furia Franco
AEQVVM TVTICVM
- Di Furia Mazza Rosa Maria
- Dotoli Emilia
- Esposito Andrea
- Ferragamo Nicola
- Flammia Gennaro
- Formato Augusto
- Formato Gabriele
- Forte Graziella e Carla
- Gambacorta Raffaele
- Gianuario Antonio
- Giorgione Natale
- Grasso Antonio fu Luigi
- Grasso Gaetano
- Grasso Lorenzo
- Guardabascio Raffaele
- Guardabascio Vincenzo
- Iacobacci Candido
- Iorio Celeste
- Iuorio Carmine, Marinunzia, Myriam e
Simona
- Liscio Nicola
- Manganiello Antonio
- Mastrangelo Ciriaco Vito
- Mazza Emerico Maria
- Mazza Renato
- Melito Nicola
- Moscatelli Antonietta
- Moscatelli Pasquale
- Orsogna Giovanni
- Ortu Mario (eredi)
- Pignatelli Della Leonessa Melina
- Pirelli Serra Teresa
- Pisapia Enzo
- Piscitelli Antonio
- Pollastrone Luigi
- Pratola Nicolantonio
- Pro Ariano
69
Donazioni
Museo Civico
Elenco Donatori al 30/6/2002
- Purcaro Giuseppe
- Riccio Loreta e Rosa
- Rogazzo Vincenzo
- Salvatore Salvatore (direttore Vicum)
- Sampietro Pino
- Santosuosso Domenico
- Scapati Guglielmo
- Schiavo Luigi
- Scrima Stefano
- Serluca Pia
- Spagnuolo Lorenzo
- Speranza Francesco Paolo e Gerardo
- Speranza Gabriele
- Titomanlio Guido
- TLT Engineering
- Tullio Tiso
- Vara Liberato
- Villamarino Carmela
- Zecchino Ortensio
Ci piace segnalare la squisita sensibilità dimostrata dai professori Lucio Liguori e
Francesco Raimondi, entrambi maestri ceramisti di Vietri, i quali hanno donato proprie
realizzazioni al Museo Civico di Ariano.
AEQVVM TVTICVM
70
Costumi di Ariano
Poliorama Pittoresco - Napoli - prima metà del sec. XIX
AEQVVM TVTICVM
71
Fototeca Museo Civico
AEQVVM TVTICVM
72
Fototeca Museo Civico
AEQVVM TVTICVM
73
Fototeca Museo Civico
AEQVVM TVTICVM
74
Fototeca Museo Civico
AEQVVM TVTICVM
75
Fototeca Museo Civico
AEQVVM TVTICVM
76
Il Consiglio Nazionale Ceramico, nella seduta del 30 novembre 2000, deliberò di
riconoscere Ariano Irpino quale zona di affermata produzione di Ceramica Artistica e
Tradizionale. Il disciplinare, tra l’altro, prevede la descrizione del marchio con le caratteristiche sopra riportate.
AEQVVM TVTICVM
77
gelateria
Buontalenti
Se vuoi mangiare gelato a due palmenti
vieni alla gelateria Buontalenti.
Troverai qualità, novità e sapori
per palati raffinati, da intenditori.
Via Castello, 5 - Ariano Irpino
AEQVVM TVTICVM
78
Bomboniere - Oggettistica
Articoli da Regalo personalizzati
Liste Nozze
di Elisabetta Scrima
e Sonia Tiso
Rione San Pietro, 54 - Ariano Irpino
Tel. e Fax 0825 825632
Produzione Propria
Decorazione a mano
delle Maioliche di Ariano Irpino
AEQVVM TVTICVM
79
SUPERMERCATI ASSOCIATI ITALIANI
Via Martiri Perazzo, 15 upim
Via Variante, loc. Ponnola
Viale dei Tigli
Via Cardito, loc. Torana
Centro Commerciale
0825827153
0825827735
0825871916
0825892222
ARIANO IRPINO
Ambiente
Climatizzato
AEQVVM TVTICVM
Parcheggio
Disabili
Parcheggio
gratuito
Carte di credito
Autoriz. Assegni
80
Scarica

- Amici del Museo