Rivista di educazione, formazione e cultura
anno XV, n° 2
Aprile, Maggio, Giugno 2011
Pedagogika.it
Rivista di educazione, formazione e cultura
esperienze - sperimentazioni - informazione - provocazioni
Anno XV, n° 2 – Aprile/Maggio/Giugno 2011
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Redazione
Fabio Degani, Marco Taddei, Mario Conti, Dafne
Guida Conti, Nicoletta Re Cecconi, Carlo Ventrella,
Mariarosaria Monaco, Liliana Leotta, Cristiana La
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Melandri, Angelo Villa
Hanno collaborato
Franco Riva, Duccio Demetrio, Duccio Canestrini,
Frank Michel, Nives Meroi, Carmine Abate, Anita
Gramigna, Maria Teresa Moscato, Silvia Vegetti
Finzi, Marco Taddei, Massimo Michele Greco,
Emilia Canato, Cristiana La Capria, Serena
Bignamini, Emanuele Tramacere, Sara Gandini
Laura Colombo, Michela Brugali.
Fotografie: Denise Puglia - La via della seta 2010
Mario Senili
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in ogni caso non saranno restituiti agli autori
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Italiana
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s o m m a r i o
5 Editoriale
Alla stazione
Maria Piacente
../dossier/il viaggio
8 Introduzione
10 Viaggiare
Franco Riva
20 Dentro ogni viaggio
Duccio Demetrio
../temi ed esperienze
72 I bambini sono cambiati. Due generazioni a confronto
Silvia Vegetti Finzi
86 Quando la comunità è
comunità educante?
Marco Taddei
93 Genitori inconcepibili
Massimo Michele Greco
../cultura
30 Terapie di fuga
Duccio Canestrini
33 On the road. Vagabondi,
turisti, migranti...
Frank Michel
40 Dove va il vento
quando non soffia
Nives Meroi
43 Tra due mari
Carmine Abate
48 Between two seas
Carmine Abate
55 Viaggio e metafora
nel discorso educativo
Anita Gramigna
62 Le figure del viaggio
e il processo educativo
Maria Teresa Moscato
103 A due voci
Angelo Villa, Ambrogio Cozzi
107 Scelti per voi
Libri - Ambrogio Cozzi (a cura di)
Musica - Angelo Villa (a cura di)
Cinema - Cristiana La Capria (a cura di)
116 Arrivati in redazione
../In_vista
119Il CRIC al Salone
Internazionale Del Libro
di Torino.
../In_breve
120Maratona: la staffetta 24x1 ora.
intervista al pluricampione
Migidio Bourifa.
Corso di perfezionamento
“Studi di genere e professioni
socioeducative”
3
Piano editoriale 2011
(Il)legalità?
Il viaggio. Realtà e metafora
Fratelli d'Italia?
Educare alla creatività
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Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio
Alla stazione
Maria Piacente
In una mattinata di inoltrata primavera, con ancora qualche goccia di rugiada sulle
foglie, lungo la strada accompagnata dagli ulivi ormai secolari procedevo a piedi
verso la stazione di “San Vito Stazione”. Ero con mia madre, mia sorella, zie e
comari del paese. Avevo quattro anni e, abituata a correre su e giù in libertà, come
solo i bambini e le bambine piccole sanno fare, non mi ero accorta che camminavamo già da quasi un’ora sulla strada battuta e che le scarpe, da bianche che erano
- mia sorella mi aveva accuratamente passato il bianchetto, come usava allora negli
anni Cinquanta – erano diventate color terra. Era stata zia Maria ad accorgersene,
la zia più sapiente, più bella, più elegante ed aggraziata delle altre che pure erano
nel “corteo” che ci accompagnava per prendere il treno del lungo viaggio. Così, in
una sosta, giù tutte le valigie, cercava di ripulirmi le le scarpe, ma la terra, si sa,
non va via così facilmente... Le altre zie e “cummara” Peppina, dirimpettaia e sostenitrice delle mie acerbe esibizioni canore, a quel punto erano già un po’ sudate e
affaticate per la strada che avevamo fatto e per i pacchi e le valige che si portavano
appresso per noi.
Si sa che la primavera inoltrata al Sud è già una mezza estate, la giornata si prevedeva calda, il mare, poco distante, da quel punto non si vedeva ma se ne intuiva la
presenza ed io aspettavo di scorgerne, tra le ginestre, gli ampi scorci, nella bellezza
mozzafiato che ancora oggi lo domina.
Arrivati alla Stazione non “c’erano tutti..” come nella canzone di De André. C’era
un solo binario, il marciapiede del primo ed unico binario: destinazione Nord.
L’attesa della cosiddetta Littorina Calabro Lucana si faceva lunga: col solito anticipo ansioso di mia madre ci toccava aspettare ancora almeno un paio d’ore... a
quel punto le scarpe, le mie scarpe, non erano più un problema...
Tirate su tutte le valigie sul marciapiede del binario, restavamo tutte in attesa del
“tuuuuu” della Littorina in arrivo. Eccolo finalmente, arriva il treno, ma è così
corto? Mi faccio spazio tra le gonnelle delle zie e delle commari e, ora che ricordo bene, anche tra quella di nonna Rosa “Occhi da Normanna”, una gonnella,
lunga, nera, con innumerevoli piegoline, plissettata..che mi piaceva un mondo
quando ci giocavo per miei travestimenti. E che, ora che ricordo bene, si chiamava
“a gunneda”, e quella la mettevano solo le nonne.
Stropicciata di baci, mani mi sollevano e, oplà, eccomi sul treno – un dilatato gesto
di Ettore? - che mi porterà da papà, al Nord. Si fa finta di niente ma, alla separazione, l’emozione è tanta e, per me, anche l’eccitazione. Inizia il Grande Viaggio.
Dal finestrino i binari segnano la strada percorsa, io vedo sempre la stessa strada
ferrata che luccica, col sole che si fa sempre più alto. Sempre la stessa strada ferrata,
per non perdermi, sempre io, sempre quel luccichio....
Quel viaggio sta continuando, per me, ancora oggi, in ogni nuovo luogo che incontro, in ogni Altrove, in ogni Ritorno, insieme agli ulivi secolari, al mare mozzafiato della Punta di Stalettì, agli Occhi-di-Normanna di Nonna Rosa.
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Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio
Quanti viaggi! Quante Stazioni ! Alla ricerca di Itaca.
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere d’incontri
se il pensiero resta alto e il sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga
che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche aromi
penetranti d’ogni sorta, più aromi
inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca
- raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Itaca (Costantino Kavafis)
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Pedagogika.it
Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/Manhattan
Dossier 39
Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/
Dove va il vento
quando non soffia
Questi sono i momenti vuoti alla fine di una spedizione, quando il tempo non
tende più a niente: le salite sono appena trascorse e ancora lontani sono il
trambusto e la routine di casa. L’atmosfera è calma e astratta mentre il tempo
scorre senza fretta.
Nives Meroi*
Immagini imprigionate negli specchi della macchina fotografica; una molteplicità di scatti che si sovrappongono caotici l’uno all’altro. Un tuffo in un caleidoscopio dove tutto è lieve e fragile, vertigine di un viaggio che il tempo deve ancora
distillare1.
14 agosto 2003, passo Gondogoro.
Ancora una salita, l’ultima di questa spedizione.
Nevica. Da qui potremmo vedere, schierati, i quattro Ottomila della catena
del Karakorum. A cominciare dal K2, meta della nostra prossima avventura e poi
il Broad Peak, il Gasherbrum 2 e l’1, le tre montagne che quest’anno ci hanno
lasciato salire fino a raggiungerne la vetta.
Ma oggi le montagne si nascondono.
Immersi nella nebbia abbiamo raggiunto i 5400 metri del passo, di là dal quale
una discesa lunga due giorni ci porterà al villaggio di Hushe.
È strana la nebbia, ti avvolge in un bozzolo lattiginoso che ti separa da tutto
ciò che ti circonda.
A volte un bianco spiazzante che confonde ogni certezza. Un’esplosione di luce
che annulla le ombre e fa svanire i contorni e tu barcolli ubriaco, come in una
notte senza stelle.
Solo pochi giorni fa, quando salivamo alla cima del Broad Peak, imprigionati
nel suo denso alone ci muovevamo come ciechi. Soli, lontani dal mondo ma felici,
perché nella silenziosa indifferenza del mondo eravamo riusciti a sgattaiolare lassù.
I portatori camminano agili e svelti, nonostante la neve ed il ghiaccio, nonostante le scarpe da tennis ai piedi e i 25 chili sulla schiena.
Arrivati al passo, a gruppetti siedono a riposare un po’: due chiacchiere, un tiro
di sigaretta e un’occhiata in giù, lungo il brutto pendio pericoloso che ci separa
dalla vallata. I loro volti sono seri e gli occhi attenti, a noi sembrano fantasmi del
passato, quando il rapporto con la natura era duro e dominante; quando l’uomo
1 Questo articolo è tratto dalla prefazione del libro “Dove va il vento quando non soffia” di Dusan
Jelincic, Cda & Vivalda, Torino 2010.
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Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/dove_va_il_vento
viveva, consapevole, la sua fragilità davanti alla smisurata forza indifferente della
natura.
Ci lasciamo alle spalle il bagliore della neve ed il blu del freddo, mentre riappare davanti a noi il verde dell’erba, il viola ed il giallo morbido di questi piccoli fiori.
L’odore della terra è un’onda travolgente che ogni volta ti colpisce; un respiro caldo
che si sprigiona d’improvviso e ti punge le narici. Da adesso in poi il paesaggio, gli
odori, l’andatura di nuovo leggera ritorneranno ad essere un insieme di sensazioni
equilibrate.
Coi primi passi, due mesi fa, la spedizione era uscita dal limbo dei preparativi,
del viaggio, dell’autobus ed era diventata una cosa viva: una carovana, il cielo, la
neve.
Un passo dopo l’altro, con paziente curiosità camminavamo verso la nostra
meta.
Quello era il tempo per prepararsi all’incontro con la montagna; adesso è giunto il momento del commiato: l’inizio del ritorno, ogni volta diversi, nella nostra
vita.
A sera raggiungiamo il campo: la nostra penultima notte in tenda.
Questi sono i momenti vuoti alla fine di una spedizione, quando il tempo non
tende più a niente: le salite sono appena trascorse e ancora lontani sono il trambusto e la routine di casa.
L’atmosfera è calma e astratta mentre il tempo scorre senza fretta.
Centelliniamo i pensieri, parliamo di cosa faremo appena scesi in città, parliamo di stanchezza e di progetti, ma non dell’esperienza vissuta. Per quello non è
ancora il momento.
Le spedizioni sono viaggi rigorosamente a piedi, ma anche viaggi coi piedi
meno per terra che mai. Viaggi ricchi ed essenziali, possono farti vedere cose, gente e posti che forse non avresti mai visto, e, paradossale, possono astrarti dal tuo
mondo per trovargli un senso.
Da nessuna parte come qui, si può volare senz’ali.
15 agosto. Ultimo giorno di cammino.
Oggi una breve tappa di quattro ore ci porterà al villaggio di Hushe, dove ci
fermeremo per la notte. Il giorno successivo il nostro viaggio ripartirà in jeep, alla
volta di Skardu: il punto d’inizio di questa nostra avventura.
Da domani i piedi non saranno più gli unici mezzi di locomozione, da domani
basterà adagiarsi sui sedili e lasciarsi prendere dal piacere voluttuoso che la tecnologia può dare. È facile camminare adesso.
Arrivare a Hushe è come rientrare nella civiltà. L’oasi ti appare come un miraggio in mezzo alla grande valle desertica. Una piccola perla di verde coltivata a
orzo e frumento, irrigata da canali di fango e pietre e lavorata con aratri di legno.
L’attraversiamo piano e ci sembra di muoverci non solo nello spazio ma anche
nel tempo. Zappare, tirare, spingere e sudare. Oggi come cent’anni fa: gli stessi
Dossier 41
Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/dove_va_il_vento
strumenti e gli stessi gesti, quando il ritmo della vita era imposto dalla natura e
scandito dal passo degli uomini e dei loro animali.
Il villaggio è accoccolato in mezzo a campi di velluto. Seguiamo il vicolo tortuoso che si aggira fra le casupole di pietra fino al campeggio per la notte.
Montate le nostre tende andiamo a fare un giro. Alla scuola troviamo il maestro e gli consegniamo le penne per i bambini, poi al piccolo dispensario dove
lasciamo le medicine rimaste; per strada incrociamo le donne, riservate ma con il
viso scoperto.
Tornati al campo apriamo l’ambulatorio e fino a sera, davanti alla tenda mensa
si snoda una fila dolorosa di pazienti.
La mattina seguente arrivano le nostre jeep, ornate a festa come alberi di Natale. Anche noi veniamo addobbati con ghirlande colorate, che dovremo tenere al
collo fino a Skardu, quando scesi in albergo ci accoglieranno con una festa.
16 agosto 2003. Skardu.
La piccola cittadina che avevamo lasciato quasi due mesi fa: punto di partenza
e d’arrivo del nostro viaggio verticale circolare.
Qui il cerchio si chiude, con quest’ultimo passo a congiungere un cammino
fatto di migliaia di passi, uniti uno all’altro come gli anelli di una catena.
Gradino dopo gradino abbiamo attraversato questa terra e siamo arrivati ad
una cima, fisica nella sua materia e nella nostra fatica per raggiungerla. Ci sono
volute pazienza e umiltà, abbiamo dovuto imparare ad essere liberi nelle scelte
perché consapevoli del rischio e responsabili di vivere.
Soli sulla cima nuda, sospesi fra terra e cielo, con lo sguardo siamo riusciti ad
abbracciare l’orizzonte fino a percepire l’armonia sopra e sotto di noi e nel silenzio
indifferente della natura abbiamo ricominciato ad ascoltare.
Nel tempio della natura, la montagna si è rivelata allora strumento, cassa di
risonanza di un profondo dialogo verso noi stessi e verso ciò che ci circonda e di
cui siamo parte.
Così, rivelati a noi stessi senza retorica né attenuanti siamo scesi, per ritornare
al punto da cui eravamo partiti; finalmente consapevoli dei passi necessari al cammino che, se lo vogliamo, può fare della nostra vita una vita autentica.
“Viandante, non c’ è via,
si fa via con l’andare”
(Antonio Machado)
*Alpinista italiana, ha scalato undici delle quattordici cime più alte del mondo senza
l’utilizzo di ossigeno aggiuntivo e senza l’aiuto degli sherpa.
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Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/Denise_Puglia/la_via_della_seta_2010/forse_1-41-8
Pedagogika.it/2011/XV_2/saperi_ed_esperienze/genitori_inconcepibili
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Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/
Merito grandissimo della casa editrice Fel- Il rischio che ho sempre incontrato leggendo
trinelli è quello di avere, da sempre, prestato libri sul rock è quello di trovarsi immersi in
un’attenzione sensibile al rapporto tra let- un gossip di proporzioni enormi, dove non
teratura e canzone d’autore. Vedasi, in pri- si riesce più a distinguere tra Chi di berlumis, la cura apprestata alla traduzione degli sconiana edizione e un libro di storia. La
scritti di Dylan, oltre a una esemplare rac- difficoltà è dovuta anche alla confusione tra
colta sistematica dei testi delle sue canzoni, il parlare di personaggi del jet set e quindi
dal parajoyciano “Tarantula” sino al primo trovarci guidati dal desiderio di scoprirne
volume della sua stupenda biografia. Ma i segreti più spregevoli, e quello del fare i
l’impegno della casa editrice milanese non si conti con un’epoca, un periodo che bene o
è fermato alla produziomale ha segnato anche
ne del sublime vate di
la nostra storia, e maDuluth. Altri cantanti
gari con la sua musica
arricchiscono il suo caci ha accompagnato
talogo, da Capossela a
in periodi difficoltosi,
Ligabue a Nick Cave…
che in quella musica
Ultimamente, se nel
hanno trovato l’indifrattempo non mi sono
cazione di vie d’uscita,
perso qualche passaggio,
o meglio i suoni che
nella collana “Varia”
potessero dire quelle
con copertina nera la
difficoltà.
Feltrinelli ha pubblicaUn dire dove il suoto un toccante e coinno assumeva un ruolo
volgente “memoir” di
preponderante,
che
Patty Smith, nel quale
poi si trasmetteva in un
l’inquieta interprete di
modo di vita, in una
“Because the night” ripercezione di non esseevoca gli esordi della
re soli, di far parte di
sua carriera e l’amicizia
un insieme più vasto,
con il celebre fotografo
il cui segno distintivo
Robert Mapplethordiveniva l’inquietudine
pe. È seguito poi un
che ci attanagliava sindotto saggio di Marina
golarmente.
Keith Richards, James Fox
Petrillo sulla voce folk
Le prime pagine di
Life
del Boss, alias Bruce
questo testo ci mettoFeltrinelli, Milano 2010
Springsteen. Ora, nella
no purtroppo di fronte
pp. 524, € 24,00
stessa collana, compaallo stereotipo del solire “Life”, biografia di
to rocker maledetto: si
Keith Richards, mitico
fa palpare dalla polizia
Ambrogio Cozzi
Angelo Villa
A due Voci
Cultura 103
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/a_due_voci
“riffista” (nel senso dei riff…!) dei Rolling
Stones, autore con l’inossidabile Mick Jagger, dei brani più celebri del gruppo inglese:
la più grande rock and roll band del pianeta,
a detta di molti. Chi sia Keith Richards e chi
sono o cosa fossero i Rolling Stones lo sappiamo. L’uso del passato è solo un omaggio
alla memoria, nient’altro. Basti solo tenere
presente come la riedizione rimasterizzata di
“Exile on Main Street”, uscita l’anno scorso
( per chi ne voglia sapere di più su un disco
che ha fatto la storia del rock può dare un
occhio al gustoso libretto di Bill Janovitz,
edito dal Saggiatore), abbia portato la band
ai primi posti in classifica in mezzo mondo.
E’ infatti probabile che il patto che hanno
stabilito con il diavolo gli abbia garantito una sorta di eterna giovinezza, lontana
dalle meditabonde amarezze dell’Adrian
Leverkuhn del Doctor Faustus di Thomas
Mann, ispirato alla figura di Schonberg,
uno dei più innovati compositori del Novecento. Insomma, come ci si può aspettare
la biografia di Richards è per taluni aspetti
prevedibile, in quel senso, per altri, non delude. E’ un racconto di rock e devastazione,
genialità e incoscienza, personaggi famosi
e patetiche miserie. Il meglio e il peggio di
quell’ambiente, scieccherato e servito tutto
insieme. E’ così, inutile perdersi in sottili
distinguo. Lui è Keith Richards mica Gianni Morandi. Il resto viene di conseguenza.
Certo, lo sanno tutti, e lui non ne fa un segreto, Keith è uno che si fa e, Dio solo sa,
quanto si fa e, aggiungo, di cosa si fa. Pare
che si sia fumato persino le ceneri del padre
morto, alla faccia di Freud: la sua smentita
è un po’ fiacca e lascia comunque spazio a
qualsiasi interpretazione. Lui si fa e si strafà,
ma, come si dice dalle parti della capitale,
pure ci fa. Un sacco. Come quando si pavoneggia recitando la parte del ribelle, del
trasgressivo.
104
che ferma Richards lungo una strada dell’Arkansas durante il tour del ‘72, la “roba” nascosta nell’auto, i poliziotti con l’occhiale
a specchio, il nostro Keef che si atteggia a
bullo di periferia.
Occorre però superare questo inizio per accorgersi che nel libro c’è molto di più, che il
libro ci parla di un’epoca, con i suoi limiti e
difetti, ma soprattutto ci parla di musica, di
blues, del metodo di lavoro e di registrazione, della ricerca del suono, anzi dell’inseguimento del suono.
Certo, il rischio di avere tra le mani una “toxico story” è presente in tutto il testo, ma
la figura di Keith non ne esce tanto come
quella di un tossico, ma più come quella di
un delinquente, forse bullo di quartiere, forse frutto di esagerazioni ma, senza dubbio, la
realtà è quella di un personaggio per lo meno
non facile. Il rock è sempre stato anche una
questione di marketing, sin dagli esordi.
“La gente adora quell’immagine. Sono stati
loro a inventarmi, mi hanno creato ... Desiderano che io faccia le cose che loro non
possono fare ... E io ho fatto del mio meglio.
Non è esagerato dire che fondamentalmente
ho vissuto come un fuorilegge. E che mi è
piaciuto! Sapevo di essere sulla lista di tutti,
mi sarebbe bastato ritrattare e sarebbe andato tutto bene. Ma era una cosa che non ero
assolutamente in grado di fare”.
L’ambientazione è quella dell’Inghilterra dei
primi anni ‘60, con bande di giovani alla ricerca di una propria identità che si staccasse
dall’eredità dei genitori, segnati dalla guerra.
Una guerra dalla quale si era usciti sperando
in un mondo diverso, e trovandosi invece
davanti un mondo di macerie, materiali e
morali, da rimuovere, nel senso materiale del
lavoro, ma anche in quello psicoanalitico di
qualcosa che veniva sepolto ma continuava
ostinatamente a dar segno di sé. In fondo è
la stessa scena che si presenta in tanti paesi
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/a_due_voci
Ricordandoci che lui è così, proprio così,
“nature”. Senza che mai faccia capolino
l’ombra di un dubbio, di un perché… Ci
sarà, pure, una ragione! Ma questo è un
argomento che sembra non interessargli o,
magari, una simile domanda gli potrebbe
risultare incomprensibile come chiedere a
uno perché ha gli occhi neri o di piede ha
il quarantaquattro a pianta larga. E sì che
la morte e la follia sono compagne assidue
dell’entourage del “cazzutissimo” e, ahimè,
per la verità, fragilissimo eroe. E’ un aspetto, quest’ultimo, che in un testo che vuole
fare della sincerità, dell’autenticità la sua
caratteristica discriminante salta immediatamente all’occhio. Nessuno pretende
chissà quale indigesto moralismo, ma quel
senso di scontata ovvietà con cui Richards
pare frettolosamente scivolar via su accadimenti tragici che lo toccano da vicino pare
consegnare al lettore un’impressione di generalizzato cinismo, di grossolana indifferenza. Uno stato d’animo analogo a quello
che avevo provato avventurandomi nelle
veridiche pagine di “Sway”, un romanzo di
Lazar, pubblicato da Einaudi.
E’, in fondo, anche il motivo per cui mi
verrebbe da consigliare una lettura di “Life”
partendo direttamente dal secondo capitolo, saltando il primo, trash allo stato puro.
Robaccia pesante, direi, parafrasando lo
stesso Keith. Aggiungo io: in tutti i sensi.
Che la nausea possa assalire chi si accosta al
testo ci sembra di poterlo supporre e condividere. Ancora una volta, dunque, siamo
posti di fronte al muro della constatazione.
O, se volete, della tautologia.
Comunque sia, è da lì, da quell’incipit che
pare copiato a Proust che la sua biografia
prende il là. Per addormentarsi, Marcel
aspettava trepidante il bacio della mamma,
Keith non se ne cura, almeno così ostenta, per quanto insegua figure che più o
europei, con la comparsa di una nuova entità sociale e la lenta gestazione di una nuova
forma di cultura, all’interno della quale la
musica svolge un proprio ruolo.
Leggendo queste memorie si matura tra le
altre cose l’impressione di un’epoca irrimediabilmente tramontata, che costituiva sostrato necessario, conditio sine qua non affinché potessero sbocciare certe (formidabili) situazioni. Una su tutte: i Rolling Stones
non sarebbero esistiti così come sono esistiti
senza un periodo di gestazione ossessiva che
li vide, ancora imberbi e inguaribilmente
squattrinati, spendere giorni e notti metabolizzando dischi blues in un appartamento infame, tentando di catturarne e replicarne la
magia. Ed è proprio sulla musica che vorrei
fare delle citazioni, perché la musica è stato
il collante di quella generazione.
“Era davvero un lavoro di squadra in cui
ognuno aiutava gli altri e tutti si impegnavano per uno scopo comune, senza attriti
che guastassero ogni cosa, almeno per un
po’. Inoltre non c’era nessuno a dirigere; la
musica era nelle nostre mani. Non era altro
che jazz con un ritmo più accentuato, più
incalzante.”
“Com’è che ai tempi di Denmark Street riuscivo a ottenere un bel suono di batteria con
un solo microfono, e adesso con quindici
microfoni viene fuori un suono di batteria
che sembra qualcuno che caga su un tetto di
latta? (…) Poi il bassista veniva isolato, così
tutti si ritrovavano in questi cubicoli e piccionaie. Stai suonando in questa stanza enorme e non ne utilizzi neanche un po’. Questa
idea di separazione è la completa antitesi del
rock’n roll, che consiste in un gruppo di persone in una stanza che creano un suono e si
limitano a catturarlo. Si tratta del suono che
producono insieme, non separati.”
“Queste stronzate mistiche sulla stereofonia
e l’hi-tech e il Dolby vanno totalmente con-
Cultura 105
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/a_due_voci
meno si occupino di lui. Non solo pollastre, per dirla nel suo slang. “Meglio una
sega, piuttosto che farmi un po’ di figa e
basta”, è la massima che condensa la sua
severa filosofia: Kierkegaard non sarebbe
mai riuscito a sintetizzare con maggior
efficacia il suo pensiero. Per molti anni, il
chitarrista degli Stones assicura d’aver dormito, in media, due volte alla settimana.
Non può, d’altronde, non essere questo il
punto logico di inizio del libro, perché mi
sembra riassuma la cifra più intima della
sua esistenza: l’irrequietezza. La si avverte
quasi fisicamente nelle pagine del libro. E’
la stella instancabile che guida le azioni di
Keith alla ricerca di una sua vocazione. La
musica, le canzoni gliela forniranno: “Andrew (n.d.r: il manager degli Stones) portò
qualcosa di straordinario nella mia vita.
Non avevo mai pensato di scrivere canzoni.
Lui mi spronò ad apprendere quell’arte, e
io mi accorsi che sì, ci ero portato. A poco
a poco, un mondo nuovo mi si aprì davanti, perché non ero più solo un musicista,
né cercavo di suonare come altri. L’espressione di sentimenti altrui non era più il
punto focale. Anch’io potevo incominciare
a esprimermi, a comporre la mia musica.
Fu quasi come la scarica di un fulmine.”
Ecco la luce, dunque, che resiste al buio,
alla distruzione. Lui lo scrive chiaramente,
del resto. Sui palchi, all’aperto c’è un altro
tizio che si unisce alla band: Dio. Sarà…
Le vie del Signore, è noto, sono infinite. E
una canzone, fosse anche “Brown sugar”,
è sempre un inno alla vita, alla vita che si
cerca e che non vuole morire. “Life” è di
lettura piacevole, appassionante. I paradossi che lo abitano non ne diminuiscono il
valore, l’interesse. E’, anche, la biografia di
una generazione, di un’epoca che è parte
integrante della nostra storia. No, non è
solo rock and roll…
106
tro la sostanza di quello che la musica dovrebbe essere.”
“Quando fai un disco, di fatto, cerchi un
modo per distorcere le cose. E’ questa la libertà che ti offre la registrazione, la possibilità di manipolare il sound. Non è una questione di forza bruta; si tratta di sperimentare, di procedere per tentativi. Ehi, questo è
un bel microfono, ma perché non lo mettiamo un po’ più vicino all’ampli, e poi prendiamo un ampli più piccolo anziché quello
grande e glielo piazziamo davanti, con sopra
un asciugamano, e vediamo cosa salta fuori?
Quel che ti interessa è il punto esatto in cui
i suoni si fondono l’uno nell’altro, sostenuti
da un ritmo – con qualche aggiustamento, il
resto andrà a posto. Se i suoni restano scollati, il risultato è insipido. L’obiettivo è trovare
intensità e forza, ma senza volume – una forza che scaturisca dall’interno. Un modo per
saldare l’apporto di coloro che sono in studio, e farne un unico sound. Così, non avrai
più due chitarre, un piano, basso e batteria,
avrai una cosa sola, invece che cinque. Il tuo
compito è creare una cosa sola.”
Il suono, il suono di una generazione per potersi dire, il resto è forse solo gossip.
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/
Scelti per voi
a cura di Ambrogio Cozzi
libri
libri, cinema, musica
Clara Jourdan,
Manuela Vigorita,
Flaminia Cardini,
Lia Cigarini, Luisa
Muraro,
La politica
del desiderio
L’Altravista, Libreria delle donne, Milano 2010,
libro+dvd, € 15,00
Il docufilm La politica del desiderio mostra lo splendore di una parola che molti
hanno timore a usare, femminismo, e
mette in scena cosa è capitato grazie a
questo movimento, anche per chi non
ha saputo vederlo. Così spiega Clara Jourdan nell’ottimo librino che accompagna
questo bel film che fa vedere il femminismo italiano in tutta la sua originalità.
Il film inizia con la mossa di alcune che, negli Anni ‘60, decidono di
incontrarsi tra donne alla ricerca di
un’altra via rispetto all’emancipazionismo. È posto in primo piano il
taglio simbolico della politica della
separazione: gruppi di sole donne che
mettono al centro della riflessione l’esperienza di sé, la pratica di relazione,
il rapporto col proprio desiderio. Nei
luoghi “separati” le donne prendono
la parola a partire da sé, dalla propria vita e parlano del loro rapporto
con gli uomini, della sessualità, della
maternità e del lavoro. L’uguaglianza
di tutte le donne nell’oppressione,
che emerge nel gioco del reciproco
riconoscimento, può diventare una
gabbia perché non tiene conto delle
differenze fra donne, uccide il desiderio, mortifica la forza femminile. La
svolta politica è data dal famoso «Sottosopra» Più donne che uomini del
1983, che getta i semi di un principio
di libertà fondato sul senso che ciascuna dà al proprio essere donna nella relazione con un’altra e non sulla
rivendicazione contro gli uomini e la
società. Ecco che emerge l’importanza
di vedere la disparità tra donne e riconoscere autorità all’altra donna.
La politica del desiderio è la storia di
un movimento che ha cambiato la
Storia: racconta l’avvento della libertà
femminile e come questa abbia modificato radicalmente la vita di tanti uomini e donne. In un continuo rimando di vecchi filmati e foto delle stesse
donne intervistate quarant’anni dopo,
vediamo l’esplosione del femminismo:
scorrono immagini che danno visibilità
a visi, corpi, storie concrete. Emerge un
immaginario composto da relazioni fra
donne, in cui circola eros, passione, entusiasmo per una politica che entra nelle vite e le sconvolge, una politica che
sa mostrare cosa preme nelle vite delle
donne e le rende progettualità concreta.
La politica del desiderio, film di valore
storico, mostra la forza che il movimento
delle donne ha saputo dare alle pratiche
del nostro presente. I segni del cambiamento, lento ma indelebile, si trovano
ovunque. Si tratta di una rivoluzione
che ha trasformato il mondo del lavoro,
le relazioni tra donne e uomini, fino alla
concezione dell’economia e della società.
Uno degli aspetti più ambiziosi del film
è mostrare la capacità del femminismo
italiano di mobilitare desideri e passioni
vive nel presente. Sono messe sulla scena
Cultura 107
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi
alcune esperienze di gruppi a Cagliari,
Verona, Foggia, Catania, spesso composti da donne e uomini, che si rifanno al
pensiero della differenza e realizzano oggi
imprese artistiche, politiche, sociali...
La parte del leone, però, la fanno gli
Anni ’70: l’entusiasmo, la consapevolezza di vivere in un momento storico unico
in cui «Sta montando qualcosa di nuovo
e tu sei là, sulla cresta dell’onda» come
dice Luisa Muraro, non è confrontabile
con l’epoca attuale. Allora erano tempi
che le scelte radicali di alcune potevano scatenare una rivoluzione simbolica.
Oggi ne ereditiamo i frutti, ma non sono
quei tempi: il lavorio quotidiano delle
diverse associazioni, animato dalla passione della differenza, è frammentato, disperso, non abbracciato da un’onda che
porta cambiamento personale e sociale.
Il film risulta quasi spezzato in due. Due
epoche storiche con debiti reciproci ma
che si percepiscono sbilanciate quanto
a energia, fervore, fiducia nella capacità
di trasformazione delle proprie pratiche.
Sembrano due epoche differenti anche
rispetto alla capacità di mettere in campo
invenzioni, pensiero che sappia fare ordine, illuminare la realtà. Guardando il
film, pare che siano sempre solo le donne che hanno vissuto gli Anni ‘70 quelle
in grado di dire, di inventare, di spiegare. Ancora adesso. E viene da chiedersi:
dov’è il pensiero di quelle venute dopo?
In Generazione locked-in (Il Manifesto
- 7 novembre 2010) Marco Mancassola scrive “Le generazioni precedenti ci
hanno condotto in un vicolo cieco” e si
riferisce a “quella parte ingombrante di
quelle generazioni, soprattutto in questo
paese, sessanta e settantenni uncinati al
potere”. Per le donne è diverso. Le più
giovani hanno nominato il desiderio di
108
ereditare in vita la ricchezza del pensiero
femminista e l’importanza di un’autorità circolante che sappia rilanciare il desiderio di donne e uomini in relazione.
Però quel vicolo cieco è evidente a tutti
e abbiamo bisogno di fiducia per cambiare l’immaginario del cambiamento,
come dice Rebecca Solnit in Speranza
nel buio, Guida per cambiare il mondo
(Fandango libri, Roma 2005).
A noi che siamo nate a ridosso degli
Anni ‘70 e che prestiamo i nostri visi
come incipit di questa storia, piace il
ruolo simbolico in cui ci hanno messe,
ma le nostre riflessioni, come quelle di
tante altre venute dopo sembrano non
esserci, non trovando rappresentazione.
Ogni tanto ci chiediamo se, come dice
Fiorella Cagnoni nel docufilm, non ci
sia bisogno di un nuovo “atto di fiducia iniziale”, come quello che ha fatto
nascere il pensiero della differenza italiano. Se non ci sia bisogno di un nuovo
salto per far sì che chi è abbagliato dallo
splendore degli Anni ‘70 sappia vedere anche le perle che ci sono di questi
tempi. Sono tempi difficili: per esserci e
creare il mondo ci vuole tutta la nostra
intelligenza e passione.
Laura Colombo e Sara Gandini
Duccio Demetrio
L’interiorità
maschile.
Le solitudini degli
uomini
Raffaello Cortina,
Milano 2010,
pp. 280, € 14,50
“Lo sguardo è il mio”.
Con questa bella frase inizia l’ultimo libro di Duccio Deme-
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi
trio, L’interiorità maschile – le solitudini degli uomini. Lo sguardo è preoccupato e descrive in prima persona alcune
scene emblematiche: a partire dalla
sua esperienza di relatore a congressi,
dibattiti, di animatore di situazioni di
apprendimento riflessivo, Demetrio
racconta di come debba constatare la
scarsa presenza maschile a questo tipo
di proposte.
Dove sono gli uomini? Possibile che
degli uomini riflessivi, poetici, pensosi
dei secoli passati non sia rimasto alcun
sopravvissuto che partecipi in pubblico
della propria interiorità? Possibile che lo
spettacolo del maschile debba essere solo
istrionico? Che la malinconia e la ricerca della solitudine siano rappresentate
come perdenti? Che il maschio prenda
parola pubblica solo se forte, estroverso,
attore su un palcoscenico, maschera del
potere, compulsivo itifallico marziale?
Che non si realizzi un confronto pubblico di uomini sul maschile che non abbia
come obiettivo il primeggiare?
Domande che ci poniamo anche all’interno della rete Maschileplurale di cui
faccio parte, forse riflettendo sul maschile in termini più politici di quelli
di Demetrio. Consideriamo anche noi
necessaria una qualche trasformazione
dell’orizzonte del maschile, affinché
essere uomini oggi possa essere un’esperienza di confronto creativo e non
distruttivo o revanscista.
La prima persona singolare, nel giro di
poche pagine introduttive, si fa prima
rada, poi diviene plurale per scomparire,
infine, sostituita dalla voce impersonale del filosofo e del letterato. Una certa
attività di orientamento iniziale, di definizione dei termini della questione, di
inquadramento è presente e completa: le
considerazioni sulla violenza maschile, la
critica ai modelli egemoni, l’evidenziarsi
di una necessità di ripensamento, ormai
urgente. Mi trovo d’accordo e sono soddisfatto e rassicurato, sia della sua che
della mia preparazione in materia. Aderisco alla proposta di navigare a vista, approdare qui e là nell’arcipelago della sua
cultura, senza la preoccupazione di offrire una sistematizzazione teorica del maschile o di completarne l’enciclopedia.
Poi, il rimando ad una galleria di personaggi mitologici, letterari, di figure
fittizie, di ritratti dipinti raccontati a
voce, di invenzioni, compone una ricognizione ricca e problematica. Il
semplice accostare la filigrana delicata
di queste figure alle maschere tronfie e
patetiche della mascolinità esibita nella
comunicazione di massa, nella politica
del burlesque e del grottesco, è già di
per sé un esercizio di critica. Non c’è bisogno di diventare prolissi. La scrittura
sembra essere più frutto di associazioni
mentali di una mente nutrita e coltivata
di letture valide e forti, di riflessività, di
interrogativi, di dubbi.
Abituato come sono alla condivisione e
all’autocoscienza maschile, una parte di
me chiede al testo di tornare a nominare il soggetto che lo scrive, per dare
veramente validità alla ricerca. Sono
convinto che sia un errore proporsi di
generare conoscenza e sapere sul genere, allontanandosi dal proprio racconto
autobiografico e senza ribadire di essere
soggetti parziali. Ma Demetrio è un filosofo colto e, come altri filosofi e altre
filosofe hanno fatto, si permette di nascondersi, o di svelarsi appena appena.
E il libro mi sfugge. Non è facile per
me leggere le parole di un altro uomo
che parla del maschile. Su questo tema,
Cultura 109
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ovviamente, ciascun uomo si sente un
esperto. Possiamo affrontare da veri uomini tutte le avventure, qualsiasi luogo
ignoto, ma non la vergogna del guardarci
dentro, scoprirci miserelli e non accettarlo, né è facile ammettere che la maschera
che ci siamo costruiti sia la parziale risposta ai nostri specifici bisogni e non
un’esemplare realizzazione di un archetipo maschile, ovviamente la migliore.
Comincio a pensare che lo spaesamento
che provavo nella mia lettura derivi dalla molteplicità presentata nel libro, anche nel territorio di possibilità antagoniste alla mascolinità oggi egemone. La
pluralità spaventa, rattrista la consapevolezza di non trovare mai un approdo,
un ruolo da imparare a memoria tanto
da diventare un simulacro di identità
che riempia il silenzio del nostro corpo.
Demetrio sembra indicare un possibile
percorso che rivolga verso la propria interiorità gli interrogativi e le insoddisfazioni, costitutive della nostra vita di uomini sempre in difetto perché incapaci
di generare. Rivolgersi verso l’interno
vuol dire tornare sui propri passi, soprattutto autobiograficamente. Siamo
stati educati a trasformare questo vuoto
in una bulimia di conquiste, conferme e
compensazioni esteriori. Se dirigessimo
invece la nostra esplorazione all’interno di noi stessi, forse anche per noi ci
sarebbe modo di trovare un senso alla
nostra condizione maschile. E se questa
ricerca la rendessimo parola condivisa,
resoconto di viaggio da scambiare con
altri esploratori, senza indulgenze nei
confronti della tentazione di gareggiare
andrologicamente, si potrebbe creare il
terreno per una nuova convivenza tra
uomini e con le donne.
Massimo Michele Greco
110
Sarti Raffaella
(a cura di)
Lavoro domestico
e di cura: quali
diritti?
Ediesse, Roma 2011,
pp. 372, € 18,00
Lavoratrici e lavoratori domestici e
assistenti familiari
sono un esercito. Presidiano le case di
moltissime famiglie, garantendo che
siano pulite e accoglienti. Assicurano assistenza ad anziani e portatori di
handicap. Tappano i buchi di un sistema di welfare carente. Fanno da zeppa a equilibri di coppia messi in crisi
dalla difficoltà di ridefinire i ruoli di
donne e uomini nella sfera familiare al
crescere della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Ma di quali
diritti godono queste lavoratrici e questi lavoratori tanto importanti per il
funzionamento della vita quotidiana?
Frutto della collaborazione di studiosi
con competenze diverse, questo libro
ricostruisce il percorso che ha portato
le lavoratrici e i lavoratori domestici a
vedersi riconosciuti, seppur in ritardo
e in modo parziale, diritti come ferie,
tredicesima, contrattazione collettiva,
ecc.: conquiste comunque importanti,
alle quali pare però aver fatto spesso da
contraltare l’allargarsi del ‘lavoro nero’.
In questo scenario, gioca naturalmente
un ruolo di rilievo la crescente presenza di immigrati. Il tema dei diritti di
domestici e assistenti familiari sempre
più s’intreccia, infatti, con quello dei
diritti dei migranti. Ma si intreccia anche con il tema del welfare e dei diritti
di chi, per trovare risposta al proprio
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bisogno di cura e assistenza, si avvale
del loro lavoro. Il libro s’interroga, pertanto, su una possibile diversa organizzazione del lavoro domestico e di cura
che assicuri maggiori diritti a colf e assistenti familiari e migliori prestazioni
alle famiglie.
C.B.
Cristiana La Capria
The Waver
La salutatrice
L’Autore Libri Firenze, Firenze, 2010,
pp. 64, € 6,50
“...Io non vendo il mio
fascino erotico, neppure
offro sesso. Io aspetto e
saluto in un luogo che
è un «non luogo» come
l’aeroporto. Io offro cortesia e affettuosità
in un posto asettico e spersonalizzato come
la zona sbarco degli aeroporti. Ho preso in
prestino dall’inglese il verbo to wave, che sta
per ondeggiare, agitare le mani. Io sono the
waver, colei che agita le braccia e le mani in
segno di saluto . Ecco, questo è il mio lavoro.”
L’immaginario del precariato si tinge di
rosa, con un libro che ci presenta una
figura professionale che solo la penna di
una scrittrice dall’intelligenza visionaria
poteva creare.
The Waver - La salutatrice è un libro
che mostra come, attraverso la creatività, si affronti il cambiamento in un
mondo del lavoro in cui l’oggetto, i servizi, i beni venduti vanno ben oltre la
nostra fantasia.
L’attesa, l’incontro e l’intrigo si susseguono in una trama tra bizzarre coincidenze
e casualità inattese con un linguaggio tra
il cinematografico e il realismo, lascian-
do emergere, di questa giovane donna,
Marta, l’immagine sociale e, come in uno
specchio, la sua immagine più intima.
Partendo dall’atto, attraverso il gesto
e l’attimo del saluto, l’autrice descrive
con accuratezza le storie, le relazioni e
le debolezze di ogni essere umano che
Marta incontra, facendo emergere la
sua forza di volerci stare come un pezzo
del puzzle, alla ricerca non sempre facile
di voler migliorare se stessi “...ho dovuto cedere alla forza triste della realtà,
lasciare che i vuoti rimanessero trasparenti per vedere quello che fuggivo...”
Nel racconto, quasi come un innesto
agronomico, arriva la bellezza di una storia tragica e romantica, fatta di attese, di
sapori e profumi; ambientata in un contesto-funzione, il supermercato, quale
spazio d’incontro dove la paura, l’amore
e il desiderio, vivono nell’attesa di essere
e con l’intima consapevolezza della propria temporaneità, verso un finale, quasi
in un circuito vitale, che accompagnerà il
lettore verso la certezza che tutti potremo
dire un giorno: “Finalmente ora che piove
sole, raccolgo briciole nelle tasche”.
Michela Brugali
Eugenio Pelizzari,
Le immagini
dell’inconscio.
Il contributo di
Nise da Silveira
Moretti & Vitali,
Bergamo 2010, pp.
151, € 18,00
Attraverso questo libro l’autore ci fa conoscere l’interessante lavoro di di Nise
da Silveira nella cura della sofferenza
psichica. Nise da Silveira è stata una
Cultura111
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importante psichiatra brasiliana,quasi
sconosciuta, ancora oggi in Italia, ma,
come si comprende dalla biografia che
conclude il saggio, una persona con
molte capacità, interessi e potenzialità
anche per chi l’ha conosciuta. E’ stata
una figura importante per la psichiatria
del suo Paese, la fondatrice della Sezione di Terapia Occupazionale, presso
l’Antigo Centro Psiquiàtrico Nacional,
nel 1946, membro fondatore della “Société Internationale de Psychopathologie dell’Expression” con sede a Parigi,
ha diffuso il pensiero di C.G. Jung
dopo averlo conosciuto frequentando i suoi seminari in Svizzera a metà
degli anni cinquanta. Un incontro
importante quest’ultimo, una spinta
allo sviluppo della psicologia analitica
nell’America del Sud ed un approfondimento al significato delle immagini
che trovano spazio nel testo. Il libro si
compone di tre parti, con una prefazione di Paolo Ferliga,che rappresenta, a
mio avviso, una interessante e sintetica
riflessione sulla storia “accidentata” del
valore dell’immagine nel mondo occidentale. L’immagine, condannata da
Platone ad una storia minore ed esclusa dalla riflessione filosofica interessata
alle idee, si valorizza nell’immaginario
e nella fantasia con il Romanticismo,
seppure con un prevalere della dimensione estetica, ma con C.G. Jung, nel
novecento, si riappropria di forza ed
energia. All’immagine, viene restituita
la sua capacità di suscitare sentimenti
ed emozioni davvero reali. Quindi si
ripropone e si “riconosce il legame profondo che attraverso le immagini lega
psicologia e filosofia”. Questo aspetto ci
appare evidente nella terza parte del testo, attraverso i due scritti di Nise da
112
Silveira che raccontano con le parole,
ma soprattutto attraverso le immagini il processo di cura di due pazienti
all’interno della Sezione di terapeutica
Occupazionale (STOR). Nella introduzione a questi due scritti E. Pellizzari
sottolinea un aspetto a suo dire fondamentale di Nise da Silveira “trascurare
anche una sola immagine avrebbe voluto dire pregiudicare la comprensione di
quanto accadeva nelle profondità dell’inconscio di quelle persone che tanto amava. Allo stesso tempo proporre una sola
immagine, per quanto significativa, non
sarebbe servito a nulla se non a disquisire se quella fosse arte o meno” ho scelto
questo passaggio dell’autore perché a
mio avviso condensa l’importanza del
processo di trasformazione dell’energia
psichica che avviene attraverso il fluire delle immagini dall’inconscio, in un
contesto terapeutico. Quindi l’esperienza della STOR, condotta da Nise
da Silveira è il luogo dove si contiene
quella frammentazione dell’Io che si
manifesta nella malattia psichica; attraverso le immagini possiamo accompagnare e comprendere il percorso psicoterapeutico. La comprensione del testo
si completa con la prima parte dove si
analizza il mondo delle immagini in
un confronto con la ragione e al ruolo
delle immagini in Freud e Jung, un passaggio dalla dimensione personale individuale a quella simbolica archetipica,
che trova concretezza nei casi esposti.
In questa parte di analisi teorica del
tema è possibile trovare i riferimenti
che consentono di apprezzare e valorizzare le bellissime immagini colorate
allegate nell’ultima parte del testo.
Emilia Canato
Arcade Fire
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musica
The Suburbs
Mercury, 2010,
€ 18,90
a cura di Angelo Villa
Belle and Sebastian
Write about love
Rough Trade, 2010,
€ 19,40
Marlene Kuntz
Ricoveri virtuali e
sexy solitudini
Columbia, 2010,
€ 15,90
Paolo Conte
Nelson
Platinum, 2010,
€ 20,50
Ero indeciso sul cd da
segnalare nella rubrica. Pensavo a quel che
mi era capitato recentemente d’ascoltare
e che, nel contempo, era uscito da non
molto tempo. Faccio mente locale. In primis, direi gli Arcade Fire: canadesi, molto
bravi. Il loro ultimo cd “The Suburbs” ha
conquistato tutti. Ricco, vario, creativo,
non convenzionale… E’ stato premiato
da un ottimo successo di vendite. A turno, prestigiosi mensili come “Buscadero”,
“Rumori” hanno dedicato al gruppo
la copertina. “Rolling Stone”, edizione
americana (eh! eh!...), ha assegnato al
cd il quarto posto assoluto tra quelli usciti nell’intero 2010. I Nostradamus del
rock profetizzano che saranno loro i de-
gni successori di quelli che finora avevano
costituto la punta di diamante della scena
musicale pop pensante e cioè gli allora
magnifici Rahiohead, capitanati da Tom
Yorke. Poi, infatti, mi pare si siano un po’
smarriti in uno sperimentalismo alquanto
sofisticato o, a seconda, indigesto. Staremo a vedere. Nel frattempo, gli Arcade
Fire si fanno strada. E’ una buona occasione, per chi non li conosce per andare a
sentire i due cd precedenti: “Bible Neon”
e, soprattutto, “Funeral”, amatissimo da
David Bowie.
Dal Canada alla Scozia. Bene, bravi anche i Belle and Sebastian per i quali coltivo una particolare predilezione. E’ unico
il loro tocco leggero, sensibile, delicato.
In verità, il loro ultimo cd “Write about
love” non aggiunge forse nulla di nuovo
alla loro discografia. Per quanto sia alle
mie orecchie oltremodo piacevole da ascoltare. Più lo senti, più lo apprezzi, più
diventa difficile abbandonarlo. Sembra
la musica di cui abbiamo bisogno per
trovare conforto nella quotidianità che ci
assilla e che non ci dà tregua.
Dal Canada alla Scozia, al nostro amato e
malandato Paese: due cd. Il primo, in tutta
onestà, non mi è affatto piaciuto, e me ne
duole sinceramente, il secondo, l’ho trovato un po’ meglio, ma poco poco… Inizio
da quello che mi ha francamente deluso. Il
suo ascolto mi ha ricordato una cena volenterosamente preparata da un’amica grazie
all’utilizzo di non so quale aggeggio, Bimbi
o Bambi o come diavolo si chiama. L’esito
era francamente imbarazzante poiché tutti
i piatti dal primo al dolce parevano, al fondo, identici. Stesso gusto, stesso sapore…
Così mi è sembrato l’ultimo cd dei Marlene Kuntz: “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”. Di primo acchito li si direbbe un
improbabile sintesi tra gli ex CCCP, poi ex
Cultura113
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di Johar Karan
Il mio nome è
Khan
India 2010
Produzione Dharma
Productions, Fox
STAR Studios,
Red Chillies Entertainment
Viaggiare è bello?
Provate a mettervi nei panni di un musulmano e fatevi un giretto negli Stati
Uniti, nel post 11 settembre …
Questo è il piglio critico di questo
film che comincia con una sequenza a
molti turisti nota: aeroporto, sezione
partenze, fila stremante per attraversare il metal detector, perquisizione del
bagaglio, esplorazione del corpo, invasione dell’Io. Lui, l’assediato, è un viaggiatore di religione musulmana che,
richiesto di esplicitare le motivazioni
del viaggio dalla città statunitense di
a cura di Cristiana La Capria
114
non addirittura “incomprensibili”: non se
ne coglie il senso, la “logica”, di certo non
garantita dal ricorso a una lingua straniera. Anzi, a me sembra che il pasticcio
aumenti e con esso l’inconcludenza dei
singoli brani. L’insieme del cd è caratterizzato da quel gusto “retrò” che è il marchio
di fabbrica dell’avvocato artigiano, anche
se qui sembra più mestiere, abitudine
che altro. Sull’intero cd regna poi una
cupa cappa depressiva che sembra invitare l’ascoltatore a lasciar scivolare l’intera
musica in sotto fondo. Peccato. Soffrire,
si deve, perché ci tocca, perché è giusto e
ciascuno di noi, lo sa. Ma, così, è troppo.
Via, via da qui…
Angelo Villa
cinema
CSI, poi PGR, poi chissà e i Baustelle, ma
il gruppo di Cristiano Godano non possiede né il furore nervoso dei primi, talvolta in grado di portarli a vette sublimi,
né la sensibilità melodica dei secondi. Il
sound del cd sembra languire su un tappeto sonoro lagnoso, monotono, stantio
dal quale, come alunni recalcitranti allo
stare in fila che la maestra distrattamente
impone, si staccano parole pretenziose, ma
di cui mal si coglie la portata complessiva
nell’insieme della canzone. Per capire meglio occorre, infatti, andarsi a leggere i testi.
Operazione che, purtroppo, non ripaga
della fatica. Giocati come sono in uno stile
manierato, tardo adolescenziale “à la page”
tra proclami esistenziali, denunce sociali e
“trivial language”… Di peggio, da un po’
di tempo in qua, mi sono parsi solo i testi
di Carmen Consoli, il che è tutto dire…
Ho, invece, tiepidamente, molto tiepidamente apprezzato il cd di Paolo Conte,
“Nelson”, nome del suo cane. Immortalato in copertina in un disegno dello
stesso cantautore. Premetto che Conte
è un artista che stimo, senza stravedere
particolarmente per lui. Ho già avuto
in passato qualche accesa discussione in
merito con un mio parente, suo accanito
fan. Il cd precedente, del quale ho persino
rimosso il titolo, non era all’altezza delle
sue cose migliori. Probabilmente era un
momento di scarsa creatività, succede.
Con “Nelson”, invece, Conte pare risollevarsi, pare ... Un po’ meglio ... Ma, nulla,
proprio nulla di trascendentale o di particolarmente originale, nessuna canzone
che rimanga particolarmente impressa.
Prevale, se così si può dire, un certo
minimalismo (la traccia numero sette si
chiama, guarda caso: “Storia minima”),
le canzoni paiono quadri appena appena
abbozzati, anemici, olofrastici. Quando
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi
San Francisco alla città statunitense di
Washington, sostiene di volere incontrare il Presidente degli Stati Uniti per
dirgli che si chiama Khan e non è un
terrorista. Fa quasi ridere. Fa pensare
di avere davanti un tipo che non sta
molto bene. Invece come facciamo a
ridere di un tipo di cui non sappiamo
niente? Come ci permettiamo di giudicarlo da un paio di battute?
Bisogna conoscerne il retroscena.
E così ritorniamo al passato, nel nucleo
vitale del protagonista che è l’India e i
suoi suoni, la sofferente e colorata tessitura di abiti e tende, l’essenzialità degli
ambienti di casa. Dove Khan vive con la
mamma e il fratello minore che, stanco
di una vita di stenti, si trasferisce a San
Francisco, negli Stati Uniti, e fa fortuna.
Intanto i lunghi primi piani e l’insistente
colonna sonora che seduce ci presentano
di Khan un profilo lontano dal consueto
perché, a causa della sindrome di Asperger, usa codici emotivi inconsueti e
tende a difendere con forza la ripetitività
del circostante, dei gesti, dei volti.
Eppure raggiunge il fratello quasi all’altro
capo del mondo. Fa uno strappo madornale
ai suoi schemi. Ecco il suo primo viaggio.
Lascia il mondo indiano e si dirige verso
una meta, San Francisco, che non promette
ritorno e che lo accoglie con la generosità e la
tracotanza tipica dei suoi palazzi di cemento.
Cambia luogo, cambia vita. Il lavoro lo
porta a incontrare ed amare Mandira,
indiana pure lei, ma di religione indù.
Ma l’equilibrio raggiunto si rompe
quando la paura di altri attentati dopo
la caduta delle Torri Gemelle allarma la
popolazione americana e quindi spesso
i musulmani – considerati il pericolo
numero uno - rischiano di essere evitati, insultati, malmenati. Accade pure
a Samir, il figlio di Mandira che Khan
ha adottato. Il bambino viene pestato a
sangue, anzi a morte, da suoi coetanei
perché è musulmano. Cosa c’entra un
bambino con le orrende azioni compiute all’umanità, alla storia? Cosa
c’entra la grande storia con la piccola
storia? Cosa c’entrano gli attentati globali con un bambino che gioca a calcio?
Da questo interrogativo arrabbiato parte il secondo viaggio di Khan che coglie
la sfida dell’amata e parte di nuovo.
Stavolta lo spostamento è funzionale
ad uno scopo molto diverso dal solito
viaggio: inseguire per tutto il territorio
statunitense il Presidente Bush e comunicargli di non essere un terrorista.
Il secondo viaggio, questo viaggio è animato da una motivazione di tipo sentimentale, politico ed etico. Il viaggiatore
non è un turista o un profugo, è un cittadino che chiede di essere considerato
un cittadino e basta.
E’ importante che di questi tempi ci
siano dei film che ci facciano fare viaggi
di questo genere: senza isole Bahamas
all’orizzonte e nemmeno astratte ricerche di felicità o di svago.
Questo film ci presenta un viaggiatore
che fa due enormi viaggi. In entrambi
ha il bagaglio leggero, una certa dose
di forza. Il suo comportamento soffre
di alcuni disturbi psichici che rendono
impegnativo a noi spettatori seguire il
suo percorso. La curata colonna sonora
e un’altisonante fotografia concorrono
a rendere a tratti appesantito da grande
retorica il testo filmico. Ma va bene.
Ammettiamo la pomposità espressiva se
riesce a farci fare un’esperienza di viaggio che non avremmo altrimenti fatto.
E da cui si impara parecchio.
Cristiana La Capria
Cultura 115
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/
ARRIVATI_IN_REDAZIONE
Lolli Gabriele
Discorso sulla matematica.
Una rilettura delle Lezioni americane di Italo Calvino
Bollati Boringhieri, Torino 2011, pp. 226, € 18,00
Muovendo dalla dichiarazione di Calvino secondo la quale “l’atteggiamento
scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione”, Gabriele Lolli
scopre che le Lezioni americane possono essere lette come una parabola della
matematica e che gli argomenti in esse trattati (Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità) sono proprietà essenziali del pensiero matematico
creativo.
Landsberg Paul Ludwig
L’esperienza della morte
Il Margine, Trento 2011, pp. 124, € 14,00
Come il toro nell’arena è destinato a soccombere al matador, così l’uomo
vive la sua vita in un tempo circoscritto dalla morte. E tuttavia un fondo di
speranza permane, ineliminabile.
Partendo da questa speranza, connaturata alla persona umana, Landsberg
accompagna il lettore verso un ulteriore compimento, che ha la sua radice in
una relazione personale trascendente, a cui lo apre la fede.
Mattei Ugo
L’acqua e i beni comuni.
Manifestolibri, Roma 2011, pp. 64, € 12,00
Perché il governo italiano vuole privatizzare l’acqua? Perché se al ristorante
ordiniamo una caraffa d’acqua i camerieri ci guardano storto? Perché compriamo bottiglie d’acqua minerale anche quando l’acqua è buonissima? È
giusto che grandi società facciano profitti vendendo acqua a chi ha sete?
Queste sono solo alcune delle domande che Simone, tredici anni, deve affrontare quando si trova a tavola con l’Avvocato Artemio Banchetti, personificazione dell’uomo di successo.
Violani Emanuela
Diario segreto dei miei giorni feroci
Claudiana, Torino 2011, pp. 244, € 13,90
Il diario epistolare di Emanuela Violani - un nome fittizio per un urlo di dolore e un atto d’accusa - racconta l’esperienza di abuso subìto da una ragazza
con gravi disagi familiari da parte del sacerdote cui si era rivolta in cerca di
aiuto. Una drammatica e commovente storia di violenza, colpevolizzazione e
omertà che la porta dritta all’autolesionismo e al tentato suicidio, fino all’arduo cammino - mai davvero concluso - verso un nuovo inizio.
116
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/arrivati_in_redazione
Ritanna Armeni (a cura di)
Parola di donna
Ponte alle Grazie, Milano 2011, pp. 336, € 16,80
Cento grandi nomi della cultura, della politica e dello spettacolo italiano per
un “dizionario al femminile”, che fa il punto sul nostro passato e sul nostro
presente, per capire dove stiamo andando e per ricordare da dove siamo partite e quanta strada abbiamo percorso. In queste pagine troverete cento voci
del privato e del politico, le parole della quotidianità e quelle della filosofia, da
abito a zitella, passando per diritti, lavoro, pari opportunità, ma anche desiderio, mamma, sirena, verginità...
Coenraad van Houten
Lavorare con le forze del karma.
La seconda via dell’apprendimento
dell’adulto
Guerini e Associati, Milano 2010, pp. 303, € 24,50
Sempre più persone stanno iniziando a rendersi conto che l’educazione è un
percorso che continua per tutta la vita. Questo avviene oggi soprattutto in
relazione con il tumultuoso cambiamento che interessa la vita economica e il
mondo del lavoro. Come individui e collettivamente siamo di fronte alla scelta tra rimanere come siamo e impegnarci costantemente per sviluppare nuove
facoltà. L’apprendimento dal destino, sviluppato da Coenraad van Houten
nel corso di decenni di ricerca e di lavoro nella formazione, è un percorso di
sviluppo personale…
Pamela Pace
UN DOLORE INfame.
Genitori e anoressia, una lettura psicoanalitica
Mondadori, Milano 2010, pp. 192, € 13,00
Dare la parola ai vissuti contraddittori e alla sofferenza dei genitori: è questa
la prospettiva attraverso la quale Pamela Pace propone una lettura, orientata
dalla psicoanalisi, del dramma familiare e del lavoro clinico con i genitori di
figlie anoressiche. Frutto di un’esperienza ventennale di lavoro psicoterapeutico con le famiglie, il libro intende sovvertire la chiave di lettura dell’anoressia, provando a far parlare la disperazione di padre e madre rispetto alla legge
INfame che tale sintomo impone nella famiglia.
Luigi Zoja
Al di là delle intenzioni. Etica e analisi
Bollati Boringhieri, Torino 2011, pp. 155, € 12,00
Più che da una presenza di cattive intenzioni, il male psicologico nasce da
una assenza di consapevolezza. In analisi, paziente e terapeuta si trovano
necessariamente nella zona grigia tra bene e male. Non vi sfuggirono i fondatori della psicoanalisi, come ricordano i casi di Anna O. e Sabine Spielrein:
la sensazionale guarigione di quest’ultima sarebbe avvenuta senza le vistose
inosservanze di ciò che oggi si considera limite professionale?
Cultura 117
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/arrivati_in_redazione
Michela Marzano
Etica oggi.
Fecondazione eterologa, «guerra giusta»,
nuova morale sessuale e altre grandi questioni contemporanee
Centro Studi Erickson, Trento 2011, pp. 125, € 10,00
Che cosa si può pensare allorché ci si trova di fronte alla malattia o alla morte,
quando ci si interroga sul futuro del pianeta o si parla di “guerra giusta” o di
tortura? Come regolarsi rispetto alla fecondazione eterologa, all’eutanasia, ai
diritti degli animali e agli organismi geneticamente modificati? Che cosa resta
oggi della “liberazione sessuale” degli anni Sessanta e Settanta? Con Michela
Marzano l’etica non si interessa più solo di questioni astratte…
Antonio Bello
Ad Abramo e alla sua discendenza
La Meridiana, Molfetta (BA) 2011, pp. 136, € 10,00
L’espediente non è nuovo. Quello, cioè, di ricorrere alla finzione epistolare
per mettersi in contatto con i personaggi della storia. Forse, però, è la prima
volta che viene praticato il tentativo di scrivere ad alcuni protagonisti biblici,
e per giunta del Vecchio Testamento, allo scopo di leggere, attraverso vicende
lontane, il senso di certi avvenimenti vicini, e, conversando familiarmente
con loro, interpretare l’enigma delle scelte nodali della civiltà contemporanea.
Isabella Matropasqua, Roberta Rao (a cura di)
EducArte. Catalogo sull’archivio multimediale della giustizia minorile in Italia
Gangemi Editore, Roma 2011, pp.272, € 35,00
Catalogo curato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, Ufficio Studi,
Ricerche ed Attività Internazionali ed il Centro Europeo Studi di Nisida che
presenta la documentazione multimediale prodotta dai Servizi Minorili della
Giustizia. Il volume costituisce una prima raccolta significativa dei supporti
digitali tratti dall’Archivio Multimediale del Centro Europeo di Nisida sulle
attività e sulle esperienze educative, realizzate dai ragazzi e dalle ragazze che
hanno fatto ingresso nel circuito penale minorile sul territorio nazionale.
Lorenzo Luatti
Mediatori atleti dell’incontro.
Luoghi, modi e nodi della mediazione interculturale
Vannini Editrice, Gussago (Bs) 2011, pp. 198, € 21,00
Ripercorrere il cammino incerto e faticoso di un dispositivo coraggioso e creativo come la mediazione interculturale, porta inevitabilmente a riflettere sui
mutamenti avvenuti lungo due decenni nell’immigrazione, nei servizi e nelle
comunità, nelle politiche di integrazione, nella pratiche interculturali, nelle
professioni del sociale, nel dibattito sul multiculturalismo. Come essi hanno
cambiato e cambiano la mediazione?
118
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/in_breve
Dal 12 al 16 maggio scorso si è svolto il Salone Internazionale del Libro
di Torino. Tra i suoi ospiti anche il CRIC (Coordinamento delle Riviste
Italiane di Cultura) che, in collaborazione con la Regione Toscana e la Fondazione per il Libro la Musica e la Cultura, ha organizzato uno spazio espositivo collettivo dedicato ai periodici culturali, aprendolo sia alle riviste associate, tra le quali anche Pedagogika.it, sia ad altre pubblicazioni periodiche
non associate. Molti sono stati i visitatori dello stand e grande l’interesse
manifestato verso un organismo che dal 2003 si propone di rappresentare
e valorizzare il ruolo delle riviste culturali che animano il dibattito delle
idee, in ogni campo del pensiero e della creatività e al di fuori di ogni dipendenza accademica e che si qualificano per il taglio interdisciplinare dei
contenuti e per la dimensione
nazionale,
europea e internazionale del loro apporto
alla promozione della
cultura. Il Salone ha
acquisito nel 2011 un
particolare significato
- come ha sottolineato
il Presidente del CRIC
Valdo Spini - perché
posto all’insegna del
cento cinquantenario
dell’Unità d’Italia. E al
Coordinamento delle
Riviste Italiane di Cultura è stato molto significativamente assegnato, come riconoscimento del suo importante ruolo, uno stand
nel Padiglione Italia
all’interno dell’Oval,
dove si è tenuta la
mostra
“1861-2011.
L’Italia dei Libri”.
in_vista
Le riviste culturali italiane al Salone Internazionale
del libro per il 150° dell’Unità nazionale”
In breve 119
in_breve
Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/in_vista
Maratona: la staffetta 24x1 ora.
intervista al pluricampione Migidio Bourifa.
In occasione della 28° edizione della Staffetta 24x1, che si è svolta a Saronno
nelle giornate fra il 4 e 5 Giugno al Centro Sportivo Comunale, abbiamo realizzato
una breve intervista a Migidio Bourifa, pluricampione italiano di Maratona.
Il grande maratoneta ci ha spiegato come questa corsa lo appassioni molto perché il clima socievole, cordiale e di amicizia che si vive in pista e al di fuori è impareggiabile, con il gruppo dei 24 unito nella preparazione di ogni piccolo particolare (dalla tenda, alla pasta fatta sul campo, …) per la perfetta riuscita della corsa.
Migidio tuttavia non partecipa solo a manifestazioni regionali e nazionali e, da portacolori della bandiera italiana, ci ha raccontato di sensazioni incredibili vissute lungo
le strade di tutto il mondo. Ogni gara, ci ha raccontato, regala emozioni immense;
mentre si corre le urla dei tifosi che incitano e cantano caricano molto, ma, soprattutto,
rappresentano una piccola parte della propria nazione che crede e si immedesima nel
corridore. Le emozioni più belle, nei propri “viaggi”, Migidio le ha vissute correndo per
le strade di immense città come New York, Tokio, Boston e Parigi e, proprio la capitale
francese, ha colpito maggiormente il maratoneta per la particolarità del percorso, immerso in grandi piazze e parchi, ma, soprattutto studiato su enormi strade a più corsie
e lunghi viali alberati che offrivano ai corridori un panorama incredibile: un'ampia
finestra aperta verso il mondo, verso la propria interiorità.
Corso di perfezionamento “Studi di genere e
professioni socioeducative”
Il corso di perfezionamento, la cui direzione è stata affidata alla Prof.ssa Maria
Grazia Riva, si propone di formare operatori e operatrici esperte in interventi di
progettazione, formazione e ricerca in campo sociale ed educativo, con la finalità,
in particolare, di dotare tali figure professionali di risorse di consapevolezza personale, conoscitive e interpretative e di strumenti di intervento che facciano riferimento alle culture e pratiche di genere.
Poiché nel nostro Paese, a differenza della maggior parte dei paesi europei, la
diffusione e l’istituzionalizzazione di percorsi di studio legati alle culture di genere
sono, almeno per il momento, ancora poco consistenti, l’esigenza di proporre percorsi formativi che specializzino in contenuti, competenze e abilità professionali nel
campo delle problematiche di genere, appare particolarmente urgente. L’operatore
o l’operatrice che si formerà nel corso potrà agire le sue competenze nella quotidianità della propria professione, proporsi come consulenza esperta nelle realtà che
la richiedano, organizzare formazione, progettare interventi e ricerche rispetto a
situazioni che necessitino di analisi di genere e progetti specifici per prevedere e
migliorare l’offerta di servizi.
Il bando di ammissione, scadenza il 1 settembre 2011, e il programma e le date
del corso sono disponibili sul sito www.unimib.it nella sezione ‘Dopo la laurea
– Perfezionamento’. Per informazioni: [email protected] tel.: 02
64484801 (il martedì delle 14 alle 15)
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