Rivista di educazione, formazione e cultura anno XV, n° 2 Aprile, Maggio, Giugno 2011 Pedagogika.it Rivista di educazione, formazione e cultura esperienze - sperimentazioni - informazione - provocazioni Anno XV, n° 2 – Aprile/Maggio/Giugno 2011 Direttrice responsabile Maria Piacente [email protected] Redazione Fabio Degani, Marco Taddei, Mario Conti, Dafne Guida Conti, Nicoletta Re Cecconi, Carlo Ventrella, Mariarosaria Monaco, Liliana Leotta, Cristiana La Capria, Coordinamento pedagogico Coop. Stripes. Comitato scientifico Silvia Vegetti Finzi, Fulvio Scaparro, Duccio Demetrio, Don Gino Rigoldi, Eugenio Rossi, Alfio Lucchini, Pino Centomani, Ambrogio Cozzi, Salvatore Guida, Pietro Modini, Angela Nava Mambretti, Anna Rezzara, Lea Melandri, Angelo Villa Hanno collaborato Franco Riva, Duccio Demetrio, Duccio Canestrini, Frank Michel, Nives Meroi, Carmine Abate, Anita Gramigna, Maria Teresa Moscato, Silvia Vegetti Finzi, Marco Taddei, Massimo Michele Greco, Emilia Canato, Cristiana La Capria, Serena Bignamini, Emanuele Tramacere, Sara Gandini Laura Colombo, Michela Brugali. Fotografie: Denise Puglia - La via della seta 2010 Mario Senili Edito da Stripes Coop. Sociale Onlus - www.stripes.it Direzione e Redazione Via Papa Giovanni XXIII n.2 - 20017 Rho (MI) Tel. 02/9316667 - Fax 02/93507057 e-mail: [email protected] Sito web: www.pedagogia.it FaceBook: Pedagogika Rivista 2 Responsabile testata on-line Igor Guida - [email protected] Progetto grafico/Art direction Raul Jannone - [email protected] Promozione e diffusione Fabio Degani, Federica Rivolta Pubblicità Clara Bonfante, Daniela Colombo Registrazione Tribunale di Milano n.187 del 29/3/1997 - Sped. in abb. post. 45% ART. 2, COMMA 20B LEGGE 662/96 FILIALE DI MILANO - issn 1593-2559 Stampa: Logo Press Borgoricco (Pd) Distribuzione in libreria: Joo Distribuzione - Via F. Argelati, 35 - Milano è possibile proporre propri contributi inviandoli all’indirizzo e-mail [email protected] I testi pervenuti sono soggetti all’insindacabile giudizio della Direzione e del Comitato di redazione e in ogni caso non saranno restituiti agli autori Questo periodico è iscritto all’Unione Stampa Periodica Italiana Pedagogika.it s o m m a r i o 5 Editoriale Alla stazione Maria Piacente ../dossier/il viaggio 8 Introduzione 10 Viaggiare Franco Riva 20 Dentro ogni viaggio Duccio Demetrio ../temi ed esperienze 72 I bambini sono cambiati. Due generazioni a confronto Silvia Vegetti Finzi 86 Quando la comunità è comunità educante? Marco Taddei 93 Genitori inconcepibili Massimo Michele Greco ../cultura 30 Terapie di fuga Duccio Canestrini 33 On the road. Vagabondi, turisti, migranti... Frank Michel 40 Dove va il vento quando non soffia Nives Meroi 43 Tra due mari Carmine Abate 48 Between two seas Carmine Abate 55 Viaggio e metafora nel discorso educativo Anita Gramigna 62 Le figure del viaggio e il processo educativo Maria Teresa Moscato 103 A due voci Angelo Villa, Ambrogio Cozzi 107 Scelti per voi Libri - Ambrogio Cozzi (a cura di) Musica - Angelo Villa (a cura di) Cinema - Cristiana La Capria (a cura di) 116 Arrivati in redazione ../In_vista 119Il CRIC al Salone Internazionale Del Libro di Torino. ../In_breve 120Maratona: la staffetta 24x1 ora. intervista al pluricampione Migidio Bourifa. Corso di perfezionamento “Studi di genere e professioni socioeducative” 3 Piano editoriale 2011 (Il)legalità? Il viaggio. Realtà e metafora Fratelli d'Italia? Educare alla creatività Rivista di educazione, formazione e cultura Numero di c/c postale 36094233 intestato a Stripes Coop. Sociale ONLUS via Papa Giovanni XXIII, 2 - 20017 Rho (Mi) L’abbonamento annuale per 4 numeri è: € 30 privati € 60 Enti e Associazioni € 90 Sostenitori Insieme alla ricevuta di avvenuto pagamento inviare il coupon presente all’interno della rivista, una volta compilatolo, al n° di fax 02-93507057 o per posta ordinaria al seguente indirizzo: Redazione Pedagogika.it, via Papa Giovanni XXIII, 2 - 20017 Rho (Mi) Pedagogika.it è disponibile presso tutte le librerie Feltrinelli d’Italia e in altre librerie il cui elenco è consultabile sul sito www.pedagogia.it Per ordini e abbonamenti on line: www.pedagogia.it Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio Alla stazione Maria Piacente In una mattinata di inoltrata primavera, con ancora qualche goccia di rugiada sulle foglie, lungo la strada accompagnata dagli ulivi ormai secolari procedevo a piedi verso la stazione di “San Vito Stazione”. Ero con mia madre, mia sorella, zie e comari del paese. Avevo quattro anni e, abituata a correre su e giù in libertà, come solo i bambini e le bambine piccole sanno fare, non mi ero accorta che camminavamo già da quasi un’ora sulla strada battuta e che le scarpe, da bianche che erano - mia sorella mi aveva accuratamente passato il bianchetto, come usava allora negli anni Cinquanta – erano diventate color terra. Era stata zia Maria ad accorgersene, la zia più sapiente, più bella, più elegante ed aggraziata delle altre che pure erano nel “corteo” che ci accompagnava per prendere il treno del lungo viaggio. Così, in una sosta, giù tutte le valigie, cercava di ripulirmi le le scarpe, ma la terra, si sa, non va via così facilmente... Le altre zie e “cummara” Peppina, dirimpettaia e sostenitrice delle mie acerbe esibizioni canore, a quel punto erano già un po’ sudate e affaticate per la strada che avevamo fatto e per i pacchi e le valige che si portavano appresso per noi. Si sa che la primavera inoltrata al Sud è già una mezza estate, la giornata si prevedeva calda, il mare, poco distante, da quel punto non si vedeva ma se ne intuiva la presenza ed io aspettavo di scorgerne, tra le ginestre, gli ampi scorci, nella bellezza mozzafiato che ancora oggi lo domina. Arrivati alla Stazione non “c’erano tutti..” come nella canzone di De André. C’era un solo binario, il marciapiede del primo ed unico binario: destinazione Nord. L’attesa della cosiddetta Littorina Calabro Lucana si faceva lunga: col solito anticipo ansioso di mia madre ci toccava aspettare ancora almeno un paio d’ore... a quel punto le scarpe, le mie scarpe, non erano più un problema... Tirate su tutte le valigie sul marciapiede del binario, restavamo tutte in attesa del “tuuuuu” della Littorina in arrivo. Eccolo finalmente, arriva il treno, ma è così corto? Mi faccio spazio tra le gonnelle delle zie e delle commari e, ora che ricordo bene, anche tra quella di nonna Rosa “Occhi da Normanna”, una gonnella, lunga, nera, con innumerevoli piegoline, plissettata..che mi piaceva un mondo quando ci giocavo per miei travestimenti. E che, ora che ricordo bene, si chiamava “a gunneda”, e quella la mettevano solo le nonne. Stropicciata di baci, mani mi sollevano e, oplà, eccomi sul treno – un dilatato gesto di Ettore? - che mi porterà da papà, al Nord. Si fa finta di niente ma, alla separazione, l’emozione è tanta e, per me, anche l’eccitazione. Inizia il Grande Viaggio. Dal finestrino i binari segnano la strada percorsa, io vedo sempre la stessa strada ferrata che luccica, col sole che si fa sempre più alto. Sempre la stessa strada ferrata, per non perdermi, sempre io, sempre quel luccichio.... Quel viaggio sta continuando, per me, ancora oggi, in ogni nuovo luogo che incontro, in ogni Altrove, in ogni Ritorno, insieme agli ulivi secolari, al mare mozzafiato della Punta di Stalettì, agli Occhi-di-Normanna di Nonna Rosa. 5 Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio Quanti viaggi! Quante Stazioni ! Alla ricerca di Itaca. Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere d’incontri se il pensiero resta alto e il sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo né nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti - finalmente e con che gioia toccherai terra tu per la prima volta: negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche aromi penetranti d’ogni sorta, più aromi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca - raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo,per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Itaca (Costantino Kavafis) 6 Pedagogika.it Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/Manhattan Dossier 39 Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/ Dove va il vento quando non soffia Questi sono i momenti vuoti alla fine di una spedizione, quando il tempo non tende più a niente: le salite sono appena trascorse e ancora lontani sono il trambusto e la routine di casa. L’atmosfera è calma e astratta mentre il tempo scorre senza fretta. Nives Meroi* Immagini imprigionate negli specchi della macchina fotografica; una molteplicità di scatti che si sovrappongono caotici l’uno all’altro. Un tuffo in un caleidoscopio dove tutto è lieve e fragile, vertigine di un viaggio che il tempo deve ancora distillare1. 14 agosto 2003, passo Gondogoro. Ancora una salita, l’ultima di questa spedizione. Nevica. Da qui potremmo vedere, schierati, i quattro Ottomila della catena del Karakorum. A cominciare dal K2, meta della nostra prossima avventura e poi il Broad Peak, il Gasherbrum 2 e l’1, le tre montagne che quest’anno ci hanno lasciato salire fino a raggiungerne la vetta. Ma oggi le montagne si nascondono. Immersi nella nebbia abbiamo raggiunto i 5400 metri del passo, di là dal quale una discesa lunga due giorni ci porterà al villaggio di Hushe. È strana la nebbia, ti avvolge in un bozzolo lattiginoso che ti separa da tutto ciò che ti circonda. A volte un bianco spiazzante che confonde ogni certezza. Un’esplosione di luce che annulla le ombre e fa svanire i contorni e tu barcolli ubriaco, come in una notte senza stelle. Solo pochi giorni fa, quando salivamo alla cima del Broad Peak, imprigionati nel suo denso alone ci muovevamo come ciechi. Soli, lontani dal mondo ma felici, perché nella silenziosa indifferenza del mondo eravamo riusciti a sgattaiolare lassù. I portatori camminano agili e svelti, nonostante la neve ed il ghiaccio, nonostante le scarpe da tennis ai piedi e i 25 chili sulla schiena. Arrivati al passo, a gruppetti siedono a riposare un po’: due chiacchiere, un tiro di sigaretta e un’occhiata in giù, lungo il brutto pendio pericoloso che ci separa dalla vallata. I loro volti sono seri e gli occhi attenti, a noi sembrano fantasmi del passato, quando il rapporto con la natura era duro e dominante; quando l’uomo 1 Questo articolo è tratto dalla prefazione del libro “Dove va il vento quando non soffia” di Dusan Jelincic, Cda & Vivalda, Torino 2010. 40 Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/dove_va_il_vento viveva, consapevole, la sua fragilità davanti alla smisurata forza indifferente della natura. Ci lasciamo alle spalle il bagliore della neve ed il blu del freddo, mentre riappare davanti a noi il verde dell’erba, il viola ed il giallo morbido di questi piccoli fiori. L’odore della terra è un’onda travolgente che ogni volta ti colpisce; un respiro caldo che si sprigiona d’improvviso e ti punge le narici. Da adesso in poi il paesaggio, gli odori, l’andatura di nuovo leggera ritorneranno ad essere un insieme di sensazioni equilibrate. Coi primi passi, due mesi fa, la spedizione era uscita dal limbo dei preparativi, del viaggio, dell’autobus ed era diventata una cosa viva: una carovana, il cielo, la neve. Un passo dopo l’altro, con paziente curiosità camminavamo verso la nostra meta. Quello era il tempo per prepararsi all’incontro con la montagna; adesso è giunto il momento del commiato: l’inizio del ritorno, ogni volta diversi, nella nostra vita. A sera raggiungiamo il campo: la nostra penultima notte in tenda. Questi sono i momenti vuoti alla fine di una spedizione, quando il tempo non tende più a niente: le salite sono appena trascorse e ancora lontani sono il trambusto e la routine di casa. L’atmosfera è calma e astratta mentre il tempo scorre senza fretta. Centelliniamo i pensieri, parliamo di cosa faremo appena scesi in città, parliamo di stanchezza e di progetti, ma non dell’esperienza vissuta. Per quello non è ancora il momento. Le spedizioni sono viaggi rigorosamente a piedi, ma anche viaggi coi piedi meno per terra che mai. Viaggi ricchi ed essenziali, possono farti vedere cose, gente e posti che forse non avresti mai visto, e, paradossale, possono astrarti dal tuo mondo per trovargli un senso. Da nessuna parte come qui, si può volare senz’ali. 15 agosto. Ultimo giorno di cammino. Oggi una breve tappa di quattro ore ci porterà al villaggio di Hushe, dove ci fermeremo per la notte. Il giorno successivo il nostro viaggio ripartirà in jeep, alla volta di Skardu: il punto d’inizio di questa nostra avventura. Da domani i piedi non saranno più gli unici mezzi di locomozione, da domani basterà adagiarsi sui sedili e lasciarsi prendere dal piacere voluttuoso che la tecnologia può dare. È facile camminare adesso. Arrivare a Hushe è come rientrare nella civiltà. L’oasi ti appare come un miraggio in mezzo alla grande valle desertica. Una piccola perla di verde coltivata a orzo e frumento, irrigata da canali di fango e pietre e lavorata con aratri di legno. L’attraversiamo piano e ci sembra di muoverci non solo nello spazio ma anche nel tempo. Zappare, tirare, spingere e sudare. Oggi come cent’anni fa: gli stessi Dossier 41 Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/dove_va_il_vento strumenti e gli stessi gesti, quando il ritmo della vita era imposto dalla natura e scandito dal passo degli uomini e dei loro animali. Il villaggio è accoccolato in mezzo a campi di velluto. Seguiamo il vicolo tortuoso che si aggira fra le casupole di pietra fino al campeggio per la notte. Montate le nostre tende andiamo a fare un giro. Alla scuola troviamo il maestro e gli consegniamo le penne per i bambini, poi al piccolo dispensario dove lasciamo le medicine rimaste; per strada incrociamo le donne, riservate ma con il viso scoperto. Tornati al campo apriamo l’ambulatorio e fino a sera, davanti alla tenda mensa si snoda una fila dolorosa di pazienti. La mattina seguente arrivano le nostre jeep, ornate a festa come alberi di Natale. Anche noi veniamo addobbati con ghirlande colorate, che dovremo tenere al collo fino a Skardu, quando scesi in albergo ci accoglieranno con una festa. 16 agosto 2003. Skardu. La piccola cittadina che avevamo lasciato quasi due mesi fa: punto di partenza e d’arrivo del nostro viaggio verticale circolare. Qui il cerchio si chiude, con quest’ultimo passo a congiungere un cammino fatto di migliaia di passi, uniti uno all’altro come gli anelli di una catena. Gradino dopo gradino abbiamo attraversato questa terra e siamo arrivati ad una cima, fisica nella sua materia e nella nostra fatica per raggiungerla. Ci sono volute pazienza e umiltà, abbiamo dovuto imparare ad essere liberi nelle scelte perché consapevoli del rischio e responsabili di vivere. Soli sulla cima nuda, sospesi fra terra e cielo, con lo sguardo siamo riusciti ad abbracciare l’orizzonte fino a percepire l’armonia sopra e sotto di noi e nel silenzio indifferente della natura abbiamo ricominciato ad ascoltare. Nel tempio della natura, la montagna si è rivelata allora strumento, cassa di risonanza di un profondo dialogo verso noi stessi e verso ciò che ci circonda e di cui siamo parte. Così, rivelati a noi stessi senza retorica né attenuanti siamo scesi, per ritornare al punto da cui eravamo partiti; finalmente consapevoli dei passi necessari al cammino che, se lo vogliamo, può fare della nostra vita una vita autentica. “Viandante, non c’ è via, si fa via con l’andare” (Antonio Machado) *Alpinista italiana, ha scalato undici delle quattordici cime più alte del mondo senza l’utilizzo di ossigeno aggiuntivo e senza l’aiuto degli sherpa. 42 Pedagogika.it/2011/XV_2/Il_viaggio/Denise_Puglia/la_via_della_seta_2010/forse_1-41-8 Pedagogika.it/2011/XV_2/saperi_ed_esperienze/genitori_inconcepibili 102 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/ Merito grandissimo della casa editrice Fel- Il rischio che ho sempre incontrato leggendo trinelli è quello di avere, da sempre, prestato libri sul rock è quello di trovarsi immersi in un’attenzione sensibile al rapporto tra let- un gossip di proporzioni enormi, dove non teratura e canzone d’autore. Vedasi, in pri- si riesce più a distinguere tra Chi di berlumis, la cura apprestata alla traduzione degli sconiana edizione e un libro di storia. La scritti di Dylan, oltre a una esemplare rac- difficoltà è dovuta anche alla confusione tra colta sistematica dei testi delle sue canzoni, il parlare di personaggi del jet set e quindi dal parajoyciano “Tarantula” sino al primo trovarci guidati dal desiderio di scoprirne volume della sua stupenda biografia. Ma i segreti più spregevoli, e quello del fare i l’impegno della casa editrice milanese non si conti con un’epoca, un periodo che bene o è fermato alla produziomale ha segnato anche ne del sublime vate di la nostra storia, e maDuluth. Altri cantanti gari con la sua musica arricchiscono il suo caci ha accompagnato talogo, da Capossela a in periodi difficoltosi, Ligabue a Nick Cave… che in quella musica Ultimamente, se nel hanno trovato l’indifrattempo non mi sono cazione di vie d’uscita, perso qualche passaggio, o meglio i suoni che nella collana “Varia” potessero dire quelle con copertina nera la difficoltà. Feltrinelli ha pubblicaUn dire dove il suoto un toccante e coinno assumeva un ruolo volgente “memoir” di preponderante, che Patty Smith, nel quale poi si trasmetteva in un l’inquieta interprete di modo di vita, in una “Because the night” ripercezione di non esseevoca gli esordi della re soli, di far parte di sua carriera e l’amicizia un insieme più vasto, con il celebre fotografo il cui segno distintivo Robert Mapplethordiveniva l’inquietudine pe. È seguito poi un che ci attanagliava sindotto saggio di Marina golarmente. Keith Richards, James Fox Petrillo sulla voce folk Le prime pagine di Life del Boss, alias Bruce questo testo ci mettoFeltrinelli, Milano 2010 Springsteen. Ora, nella no purtroppo di fronte pp. 524, € 24,00 stessa collana, compaallo stereotipo del solire “Life”, biografia di to rocker maledetto: si Keith Richards, mitico fa palpare dalla polizia Ambrogio Cozzi Angelo Villa A due Voci Cultura 103 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/a_due_voci “riffista” (nel senso dei riff…!) dei Rolling Stones, autore con l’inossidabile Mick Jagger, dei brani più celebri del gruppo inglese: la più grande rock and roll band del pianeta, a detta di molti. Chi sia Keith Richards e chi sono o cosa fossero i Rolling Stones lo sappiamo. L’uso del passato è solo un omaggio alla memoria, nient’altro. Basti solo tenere presente come la riedizione rimasterizzata di “Exile on Main Street”, uscita l’anno scorso ( per chi ne voglia sapere di più su un disco che ha fatto la storia del rock può dare un occhio al gustoso libretto di Bill Janovitz, edito dal Saggiatore), abbia portato la band ai primi posti in classifica in mezzo mondo. E’ infatti probabile che il patto che hanno stabilito con il diavolo gli abbia garantito una sorta di eterna giovinezza, lontana dalle meditabonde amarezze dell’Adrian Leverkuhn del Doctor Faustus di Thomas Mann, ispirato alla figura di Schonberg, uno dei più innovati compositori del Novecento. Insomma, come ci si può aspettare la biografia di Richards è per taluni aspetti prevedibile, in quel senso, per altri, non delude. E’ un racconto di rock e devastazione, genialità e incoscienza, personaggi famosi e patetiche miserie. Il meglio e il peggio di quell’ambiente, scieccherato e servito tutto insieme. E’ così, inutile perdersi in sottili distinguo. Lui è Keith Richards mica Gianni Morandi. Il resto viene di conseguenza. Certo, lo sanno tutti, e lui non ne fa un segreto, Keith è uno che si fa e, Dio solo sa, quanto si fa e, aggiungo, di cosa si fa. Pare che si sia fumato persino le ceneri del padre morto, alla faccia di Freud: la sua smentita è un po’ fiacca e lascia comunque spazio a qualsiasi interpretazione. Lui si fa e si strafà, ma, come si dice dalle parti della capitale, pure ci fa. Un sacco. Come quando si pavoneggia recitando la parte del ribelle, del trasgressivo. 104 che ferma Richards lungo una strada dell’Arkansas durante il tour del ‘72, la “roba” nascosta nell’auto, i poliziotti con l’occhiale a specchio, il nostro Keef che si atteggia a bullo di periferia. Occorre però superare questo inizio per accorgersi che nel libro c’è molto di più, che il libro ci parla di un’epoca, con i suoi limiti e difetti, ma soprattutto ci parla di musica, di blues, del metodo di lavoro e di registrazione, della ricerca del suono, anzi dell’inseguimento del suono. Certo, il rischio di avere tra le mani una “toxico story” è presente in tutto il testo, ma la figura di Keith non ne esce tanto come quella di un tossico, ma più come quella di un delinquente, forse bullo di quartiere, forse frutto di esagerazioni ma, senza dubbio, la realtà è quella di un personaggio per lo meno non facile. Il rock è sempre stato anche una questione di marketing, sin dagli esordi. “La gente adora quell’immagine. Sono stati loro a inventarmi, mi hanno creato ... Desiderano che io faccia le cose che loro non possono fare ... E io ho fatto del mio meglio. Non è esagerato dire che fondamentalmente ho vissuto come un fuorilegge. E che mi è piaciuto! Sapevo di essere sulla lista di tutti, mi sarebbe bastato ritrattare e sarebbe andato tutto bene. Ma era una cosa che non ero assolutamente in grado di fare”. L’ambientazione è quella dell’Inghilterra dei primi anni ‘60, con bande di giovani alla ricerca di una propria identità che si staccasse dall’eredità dei genitori, segnati dalla guerra. Una guerra dalla quale si era usciti sperando in un mondo diverso, e trovandosi invece davanti un mondo di macerie, materiali e morali, da rimuovere, nel senso materiale del lavoro, ma anche in quello psicoanalitico di qualcosa che veniva sepolto ma continuava ostinatamente a dar segno di sé. In fondo è la stessa scena che si presenta in tanti paesi Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/a_due_voci Ricordandoci che lui è così, proprio così, “nature”. Senza che mai faccia capolino l’ombra di un dubbio, di un perché… Ci sarà, pure, una ragione! Ma questo è un argomento che sembra non interessargli o, magari, una simile domanda gli potrebbe risultare incomprensibile come chiedere a uno perché ha gli occhi neri o di piede ha il quarantaquattro a pianta larga. E sì che la morte e la follia sono compagne assidue dell’entourage del “cazzutissimo” e, ahimè, per la verità, fragilissimo eroe. E’ un aspetto, quest’ultimo, che in un testo che vuole fare della sincerità, dell’autenticità la sua caratteristica discriminante salta immediatamente all’occhio. Nessuno pretende chissà quale indigesto moralismo, ma quel senso di scontata ovvietà con cui Richards pare frettolosamente scivolar via su accadimenti tragici che lo toccano da vicino pare consegnare al lettore un’impressione di generalizzato cinismo, di grossolana indifferenza. Uno stato d’animo analogo a quello che avevo provato avventurandomi nelle veridiche pagine di “Sway”, un romanzo di Lazar, pubblicato da Einaudi. E’, in fondo, anche il motivo per cui mi verrebbe da consigliare una lettura di “Life” partendo direttamente dal secondo capitolo, saltando il primo, trash allo stato puro. Robaccia pesante, direi, parafrasando lo stesso Keith. Aggiungo io: in tutti i sensi. Che la nausea possa assalire chi si accosta al testo ci sembra di poterlo supporre e condividere. Ancora una volta, dunque, siamo posti di fronte al muro della constatazione. O, se volete, della tautologia. Comunque sia, è da lì, da quell’incipit che pare copiato a Proust che la sua biografia prende il là. Per addormentarsi, Marcel aspettava trepidante il bacio della mamma, Keith non se ne cura, almeno così ostenta, per quanto insegua figure che più o europei, con la comparsa di una nuova entità sociale e la lenta gestazione di una nuova forma di cultura, all’interno della quale la musica svolge un proprio ruolo. Leggendo queste memorie si matura tra le altre cose l’impressione di un’epoca irrimediabilmente tramontata, che costituiva sostrato necessario, conditio sine qua non affinché potessero sbocciare certe (formidabili) situazioni. Una su tutte: i Rolling Stones non sarebbero esistiti così come sono esistiti senza un periodo di gestazione ossessiva che li vide, ancora imberbi e inguaribilmente squattrinati, spendere giorni e notti metabolizzando dischi blues in un appartamento infame, tentando di catturarne e replicarne la magia. Ed è proprio sulla musica che vorrei fare delle citazioni, perché la musica è stato il collante di quella generazione. “Era davvero un lavoro di squadra in cui ognuno aiutava gli altri e tutti si impegnavano per uno scopo comune, senza attriti che guastassero ogni cosa, almeno per un po’. Inoltre non c’era nessuno a dirigere; la musica era nelle nostre mani. Non era altro che jazz con un ritmo più accentuato, più incalzante.” “Com’è che ai tempi di Denmark Street riuscivo a ottenere un bel suono di batteria con un solo microfono, e adesso con quindici microfoni viene fuori un suono di batteria che sembra qualcuno che caga su un tetto di latta? (…) Poi il bassista veniva isolato, così tutti si ritrovavano in questi cubicoli e piccionaie. Stai suonando in questa stanza enorme e non ne utilizzi neanche un po’. Questa idea di separazione è la completa antitesi del rock’n roll, che consiste in un gruppo di persone in una stanza che creano un suono e si limitano a catturarlo. Si tratta del suono che producono insieme, non separati.” “Queste stronzate mistiche sulla stereofonia e l’hi-tech e il Dolby vanno totalmente con- Cultura 105 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/a_due_voci meno si occupino di lui. Non solo pollastre, per dirla nel suo slang. “Meglio una sega, piuttosto che farmi un po’ di figa e basta”, è la massima che condensa la sua severa filosofia: Kierkegaard non sarebbe mai riuscito a sintetizzare con maggior efficacia il suo pensiero. Per molti anni, il chitarrista degli Stones assicura d’aver dormito, in media, due volte alla settimana. Non può, d’altronde, non essere questo il punto logico di inizio del libro, perché mi sembra riassuma la cifra più intima della sua esistenza: l’irrequietezza. La si avverte quasi fisicamente nelle pagine del libro. E’ la stella instancabile che guida le azioni di Keith alla ricerca di una sua vocazione. La musica, le canzoni gliela forniranno: “Andrew (n.d.r: il manager degli Stones) portò qualcosa di straordinario nella mia vita. Non avevo mai pensato di scrivere canzoni. Lui mi spronò ad apprendere quell’arte, e io mi accorsi che sì, ci ero portato. A poco a poco, un mondo nuovo mi si aprì davanti, perché non ero più solo un musicista, né cercavo di suonare come altri. L’espressione di sentimenti altrui non era più il punto focale. Anch’io potevo incominciare a esprimermi, a comporre la mia musica. Fu quasi come la scarica di un fulmine.” Ecco la luce, dunque, che resiste al buio, alla distruzione. Lui lo scrive chiaramente, del resto. Sui palchi, all’aperto c’è un altro tizio che si unisce alla band: Dio. Sarà… Le vie del Signore, è noto, sono infinite. E una canzone, fosse anche “Brown sugar”, è sempre un inno alla vita, alla vita che si cerca e che non vuole morire. “Life” è di lettura piacevole, appassionante. I paradossi che lo abitano non ne diminuiscono il valore, l’interesse. E’, anche, la biografia di una generazione, di un’epoca che è parte integrante della nostra storia. No, non è solo rock and roll… 106 tro la sostanza di quello che la musica dovrebbe essere.” “Quando fai un disco, di fatto, cerchi un modo per distorcere le cose. E’ questa la libertà che ti offre la registrazione, la possibilità di manipolare il sound. Non è una questione di forza bruta; si tratta di sperimentare, di procedere per tentativi. Ehi, questo è un bel microfono, ma perché non lo mettiamo un po’ più vicino all’ampli, e poi prendiamo un ampli più piccolo anziché quello grande e glielo piazziamo davanti, con sopra un asciugamano, e vediamo cosa salta fuori? Quel che ti interessa è il punto esatto in cui i suoni si fondono l’uno nell’altro, sostenuti da un ritmo – con qualche aggiustamento, il resto andrà a posto. Se i suoni restano scollati, il risultato è insipido. L’obiettivo è trovare intensità e forza, ma senza volume – una forza che scaturisca dall’interno. Un modo per saldare l’apporto di coloro che sono in studio, e farne un unico sound. Così, non avrai più due chitarre, un piano, basso e batteria, avrai una cosa sola, invece che cinque. Il tuo compito è creare una cosa sola.” Il suono, il suono di una generazione per potersi dire, il resto è forse solo gossip. Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/ Scelti per voi a cura di Ambrogio Cozzi libri libri, cinema, musica Clara Jourdan, Manuela Vigorita, Flaminia Cardini, Lia Cigarini, Luisa Muraro, La politica del desiderio L’Altravista, Libreria delle donne, Milano 2010, libro+dvd, € 15,00 Il docufilm La politica del desiderio mostra lo splendore di una parola che molti hanno timore a usare, femminismo, e mette in scena cosa è capitato grazie a questo movimento, anche per chi non ha saputo vederlo. Così spiega Clara Jourdan nell’ottimo librino che accompagna questo bel film che fa vedere il femminismo italiano in tutta la sua originalità. Il film inizia con la mossa di alcune che, negli Anni ‘60, decidono di incontrarsi tra donne alla ricerca di un’altra via rispetto all’emancipazionismo. È posto in primo piano il taglio simbolico della politica della separazione: gruppi di sole donne che mettono al centro della riflessione l’esperienza di sé, la pratica di relazione, il rapporto col proprio desiderio. Nei luoghi “separati” le donne prendono la parola a partire da sé, dalla propria vita e parlano del loro rapporto con gli uomini, della sessualità, della maternità e del lavoro. L’uguaglianza di tutte le donne nell’oppressione, che emerge nel gioco del reciproco riconoscimento, può diventare una gabbia perché non tiene conto delle differenze fra donne, uccide il desiderio, mortifica la forza femminile. La svolta politica è data dal famoso «Sottosopra» Più donne che uomini del 1983, che getta i semi di un principio di libertà fondato sul senso che ciascuna dà al proprio essere donna nella relazione con un’altra e non sulla rivendicazione contro gli uomini e la società. Ecco che emerge l’importanza di vedere la disparità tra donne e riconoscere autorità all’altra donna. La politica del desiderio è la storia di un movimento che ha cambiato la Storia: racconta l’avvento della libertà femminile e come questa abbia modificato radicalmente la vita di tanti uomini e donne. In un continuo rimando di vecchi filmati e foto delle stesse donne intervistate quarant’anni dopo, vediamo l’esplosione del femminismo: scorrono immagini che danno visibilità a visi, corpi, storie concrete. Emerge un immaginario composto da relazioni fra donne, in cui circola eros, passione, entusiasmo per una politica che entra nelle vite e le sconvolge, una politica che sa mostrare cosa preme nelle vite delle donne e le rende progettualità concreta. La politica del desiderio, film di valore storico, mostra la forza che il movimento delle donne ha saputo dare alle pratiche del nostro presente. I segni del cambiamento, lento ma indelebile, si trovano ovunque. Si tratta di una rivoluzione che ha trasformato il mondo del lavoro, le relazioni tra donne e uomini, fino alla concezione dell’economia e della società. Uno degli aspetti più ambiziosi del film è mostrare la capacità del femminismo italiano di mobilitare desideri e passioni vive nel presente. Sono messe sulla scena Cultura 107 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi alcune esperienze di gruppi a Cagliari, Verona, Foggia, Catania, spesso composti da donne e uomini, che si rifanno al pensiero della differenza e realizzano oggi imprese artistiche, politiche, sociali... La parte del leone, però, la fanno gli Anni ’70: l’entusiasmo, la consapevolezza di vivere in un momento storico unico in cui «Sta montando qualcosa di nuovo e tu sei là, sulla cresta dell’onda» come dice Luisa Muraro, non è confrontabile con l’epoca attuale. Allora erano tempi che le scelte radicali di alcune potevano scatenare una rivoluzione simbolica. Oggi ne ereditiamo i frutti, ma non sono quei tempi: il lavorio quotidiano delle diverse associazioni, animato dalla passione della differenza, è frammentato, disperso, non abbracciato da un’onda che porta cambiamento personale e sociale. Il film risulta quasi spezzato in due. Due epoche storiche con debiti reciproci ma che si percepiscono sbilanciate quanto a energia, fervore, fiducia nella capacità di trasformazione delle proprie pratiche. Sembrano due epoche differenti anche rispetto alla capacità di mettere in campo invenzioni, pensiero che sappia fare ordine, illuminare la realtà. Guardando il film, pare che siano sempre solo le donne che hanno vissuto gli Anni ‘70 quelle in grado di dire, di inventare, di spiegare. Ancora adesso. E viene da chiedersi: dov’è il pensiero di quelle venute dopo? In Generazione locked-in (Il Manifesto - 7 novembre 2010) Marco Mancassola scrive “Le generazioni precedenti ci hanno condotto in un vicolo cieco” e si riferisce a “quella parte ingombrante di quelle generazioni, soprattutto in questo paese, sessanta e settantenni uncinati al potere”. Per le donne è diverso. Le più giovani hanno nominato il desiderio di 108 ereditare in vita la ricchezza del pensiero femminista e l’importanza di un’autorità circolante che sappia rilanciare il desiderio di donne e uomini in relazione. Però quel vicolo cieco è evidente a tutti e abbiamo bisogno di fiducia per cambiare l’immaginario del cambiamento, come dice Rebecca Solnit in Speranza nel buio, Guida per cambiare il mondo (Fandango libri, Roma 2005). A noi che siamo nate a ridosso degli Anni ‘70 e che prestiamo i nostri visi come incipit di questa storia, piace il ruolo simbolico in cui ci hanno messe, ma le nostre riflessioni, come quelle di tante altre venute dopo sembrano non esserci, non trovando rappresentazione. Ogni tanto ci chiediamo se, come dice Fiorella Cagnoni nel docufilm, non ci sia bisogno di un nuovo “atto di fiducia iniziale”, come quello che ha fatto nascere il pensiero della differenza italiano. Se non ci sia bisogno di un nuovo salto per far sì che chi è abbagliato dallo splendore degli Anni ‘70 sappia vedere anche le perle che ci sono di questi tempi. Sono tempi difficili: per esserci e creare il mondo ci vuole tutta la nostra intelligenza e passione. Laura Colombo e Sara Gandini Duccio Demetrio L’interiorità maschile. Le solitudini degli uomini Raffaello Cortina, Milano 2010, pp. 280, € 14,50 “Lo sguardo è il mio”. Con questa bella frase inizia l’ultimo libro di Duccio Deme- Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi trio, L’interiorità maschile – le solitudini degli uomini. Lo sguardo è preoccupato e descrive in prima persona alcune scene emblematiche: a partire dalla sua esperienza di relatore a congressi, dibattiti, di animatore di situazioni di apprendimento riflessivo, Demetrio racconta di come debba constatare la scarsa presenza maschile a questo tipo di proposte. Dove sono gli uomini? Possibile che degli uomini riflessivi, poetici, pensosi dei secoli passati non sia rimasto alcun sopravvissuto che partecipi in pubblico della propria interiorità? Possibile che lo spettacolo del maschile debba essere solo istrionico? Che la malinconia e la ricerca della solitudine siano rappresentate come perdenti? Che il maschio prenda parola pubblica solo se forte, estroverso, attore su un palcoscenico, maschera del potere, compulsivo itifallico marziale? Che non si realizzi un confronto pubblico di uomini sul maschile che non abbia come obiettivo il primeggiare? Domande che ci poniamo anche all’interno della rete Maschileplurale di cui faccio parte, forse riflettendo sul maschile in termini più politici di quelli di Demetrio. Consideriamo anche noi necessaria una qualche trasformazione dell’orizzonte del maschile, affinché essere uomini oggi possa essere un’esperienza di confronto creativo e non distruttivo o revanscista. La prima persona singolare, nel giro di poche pagine introduttive, si fa prima rada, poi diviene plurale per scomparire, infine, sostituita dalla voce impersonale del filosofo e del letterato. Una certa attività di orientamento iniziale, di definizione dei termini della questione, di inquadramento è presente e completa: le considerazioni sulla violenza maschile, la critica ai modelli egemoni, l’evidenziarsi di una necessità di ripensamento, ormai urgente. Mi trovo d’accordo e sono soddisfatto e rassicurato, sia della sua che della mia preparazione in materia. Aderisco alla proposta di navigare a vista, approdare qui e là nell’arcipelago della sua cultura, senza la preoccupazione di offrire una sistematizzazione teorica del maschile o di completarne l’enciclopedia. Poi, il rimando ad una galleria di personaggi mitologici, letterari, di figure fittizie, di ritratti dipinti raccontati a voce, di invenzioni, compone una ricognizione ricca e problematica. Il semplice accostare la filigrana delicata di queste figure alle maschere tronfie e patetiche della mascolinità esibita nella comunicazione di massa, nella politica del burlesque e del grottesco, è già di per sé un esercizio di critica. Non c’è bisogno di diventare prolissi. La scrittura sembra essere più frutto di associazioni mentali di una mente nutrita e coltivata di letture valide e forti, di riflessività, di interrogativi, di dubbi. Abituato come sono alla condivisione e all’autocoscienza maschile, una parte di me chiede al testo di tornare a nominare il soggetto che lo scrive, per dare veramente validità alla ricerca. Sono convinto che sia un errore proporsi di generare conoscenza e sapere sul genere, allontanandosi dal proprio racconto autobiografico e senza ribadire di essere soggetti parziali. Ma Demetrio è un filosofo colto e, come altri filosofi e altre filosofe hanno fatto, si permette di nascondersi, o di svelarsi appena appena. E il libro mi sfugge. Non è facile per me leggere le parole di un altro uomo che parla del maschile. Su questo tema, Cultura 109 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi ovviamente, ciascun uomo si sente un esperto. Possiamo affrontare da veri uomini tutte le avventure, qualsiasi luogo ignoto, ma non la vergogna del guardarci dentro, scoprirci miserelli e non accettarlo, né è facile ammettere che la maschera che ci siamo costruiti sia la parziale risposta ai nostri specifici bisogni e non un’esemplare realizzazione di un archetipo maschile, ovviamente la migliore. Comincio a pensare che lo spaesamento che provavo nella mia lettura derivi dalla molteplicità presentata nel libro, anche nel territorio di possibilità antagoniste alla mascolinità oggi egemone. La pluralità spaventa, rattrista la consapevolezza di non trovare mai un approdo, un ruolo da imparare a memoria tanto da diventare un simulacro di identità che riempia il silenzio del nostro corpo. Demetrio sembra indicare un possibile percorso che rivolga verso la propria interiorità gli interrogativi e le insoddisfazioni, costitutive della nostra vita di uomini sempre in difetto perché incapaci di generare. Rivolgersi verso l’interno vuol dire tornare sui propri passi, soprattutto autobiograficamente. Siamo stati educati a trasformare questo vuoto in una bulimia di conquiste, conferme e compensazioni esteriori. Se dirigessimo invece la nostra esplorazione all’interno di noi stessi, forse anche per noi ci sarebbe modo di trovare un senso alla nostra condizione maschile. E se questa ricerca la rendessimo parola condivisa, resoconto di viaggio da scambiare con altri esploratori, senza indulgenze nei confronti della tentazione di gareggiare andrologicamente, si potrebbe creare il terreno per una nuova convivenza tra uomini e con le donne. Massimo Michele Greco 110 Sarti Raffaella (a cura di) Lavoro domestico e di cura: quali diritti? Ediesse, Roma 2011, pp. 372, € 18,00 Lavoratrici e lavoratori domestici e assistenti familiari sono un esercito. Presidiano le case di moltissime famiglie, garantendo che siano pulite e accoglienti. Assicurano assistenza ad anziani e portatori di handicap. Tappano i buchi di un sistema di welfare carente. Fanno da zeppa a equilibri di coppia messi in crisi dalla difficoltà di ridefinire i ruoli di donne e uomini nella sfera familiare al crescere della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Ma di quali diritti godono queste lavoratrici e questi lavoratori tanto importanti per il funzionamento della vita quotidiana? Frutto della collaborazione di studiosi con competenze diverse, questo libro ricostruisce il percorso che ha portato le lavoratrici e i lavoratori domestici a vedersi riconosciuti, seppur in ritardo e in modo parziale, diritti come ferie, tredicesima, contrattazione collettiva, ecc.: conquiste comunque importanti, alle quali pare però aver fatto spesso da contraltare l’allargarsi del ‘lavoro nero’. In questo scenario, gioca naturalmente un ruolo di rilievo la crescente presenza di immigrati. Il tema dei diritti di domestici e assistenti familiari sempre più s’intreccia, infatti, con quello dei diritti dei migranti. Ma si intreccia anche con il tema del welfare e dei diritti di chi, per trovare risposta al proprio Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi bisogno di cura e assistenza, si avvale del loro lavoro. Il libro s’interroga, pertanto, su una possibile diversa organizzazione del lavoro domestico e di cura che assicuri maggiori diritti a colf e assistenti familiari e migliori prestazioni alle famiglie. C.B. Cristiana La Capria The Waver La salutatrice L’Autore Libri Firenze, Firenze, 2010, pp. 64, € 6,50 “...Io non vendo il mio fascino erotico, neppure offro sesso. Io aspetto e saluto in un luogo che è un «non luogo» come l’aeroporto. Io offro cortesia e affettuosità in un posto asettico e spersonalizzato come la zona sbarco degli aeroporti. Ho preso in prestino dall’inglese il verbo to wave, che sta per ondeggiare, agitare le mani. Io sono the waver, colei che agita le braccia e le mani in segno di saluto . Ecco, questo è il mio lavoro.” L’immaginario del precariato si tinge di rosa, con un libro che ci presenta una figura professionale che solo la penna di una scrittrice dall’intelligenza visionaria poteva creare. The Waver - La salutatrice è un libro che mostra come, attraverso la creatività, si affronti il cambiamento in un mondo del lavoro in cui l’oggetto, i servizi, i beni venduti vanno ben oltre la nostra fantasia. L’attesa, l’incontro e l’intrigo si susseguono in una trama tra bizzarre coincidenze e casualità inattese con un linguaggio tra il cinematografico e il realismo, lascian- do emergere, di questa giovane donna, Marta, l’immagine sociale e, come in uno specchio, la sua immagine più intima. Partendo dall’atto, attraverso il gesto e l’attimo del saluto, l’autrice descrive con accuratezza le storie, le relazioni e le debolezze di ogni essere umano che Marta incontra, facendo emergere la sua forza di volerci stare come un pezzo del puzzle, alla ricerca non sempre facile di voler migliorare se stessi “...ho dovuto cedere alla forza triste della realtà, lasciare che i vuoti rimanessero trasparenti per vedere quello che fuggivo...” Nel racconto, quasi come un innesto agronomico, arriva la bellezza di una storia tragica e romantica, fatta di attese, di sapori e profumi; ambientata in un contesto-funzione, il supermercato, quale spazio d’incontro dove la paura, l’amore e il desiderio, vivono nell’attesa di essere e con l’intima consapevolezza della propria temporaneità, verso un finale, quasi in un circuito vitale, che accompagnerà il lettore verso la certezza che tutti potremo dire un giorno: “Finalmente ora che piove sole, raccolgo briciole nelle tasche”. Michela Brugali Eugenio Pelizzari, Le immagini dell’inconscio. Il contributo di Nise da Silveira Moretti & Vitali, Bergamo 2010, pp. 151, € 18,00 Attraverso questo libro l’autore ci fa conoscere l’interessante lavoro di di Nise da Silveira nella cura della sofferenza psichica. Nise da Silveira è stata una Cultura111 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi importante psichiatra brasiliana,quasi sconosciuta, ancora oggi in Italia, ma, come si comprende dalla biografia che conclude il saggio, una persona con molte capacità, interessi e potenzialità anche per chi l’ha conosciuta. E’ stata una figura importante per la psichiatria del suo Paese, la fondatrice della Sezione di Terapia Occupazionale, presso l’Antigo Centro Psiquiàtrico Nacional, nel 1946, membro fondatore della “Société Internationale de Psychopathologie dell’Expression” con sede a Parigi, ha diffuso il pensiero di C.G. Jung dopo averlo conosciuto frequentando i suoi seminari in Svizzera a metà degli anni cinquanta. Un incontro importante quest’ultimo, una spinta allo sviluppo della psicologia analitica nell’America del Sud ed un approfondimento al significato delle immagini che trovano spazio nel testo. Il libro si compone di tre parti, con una prefazione di Paolo Ferliga,che rappresenta, a mio avviso, una interessante e sintetica riflessione sulla storia “accidentata” del valore dell’immagine nel mondo occidentale. L’immagine, condannata da Platone ad una storia minore ed esclusa dalla riflessione filosofica interessata alle idee, si valorizza nell’immaginario e nella fantasia con il Romanticismo, seppure con un prevalere della dimensione estetica, ma con C.G. Jung, nel novecento, si riappropria di forza ed energia. All’immagine, viene restituita la sua capacità di suscitare sentimenti ed emozioni davvero reali. Quindi si ripropone e si “riconosce il legame profondo che attraverso le immagini lega psicologia e filosofia”. Questo aspetto ci appare evidente nella terza parte del testo, attraverso i due scritti di Nise da 112 Silveira che raccontano con le parole, ma soprattutto attraverso le immagini il processo di cura di due pazienti all’interno della Sezione di terapeutica Occupazionale (STOR). Nella introduzione a questi due scritti E. Pellizzari sottolinea un aspetto a suo dire fondamentale di Nise da Silveira “trascurare anche una sola immagine avrebbe voluto dire pregiudicare la comprensione di quanto accadeva nelle profondità dell’inconscio di quelle persone che tanto amava. Allo stesso tempo proporre una sola immagine, per quanto significativa, non sarebbe servito a nulla se non a disquisire se quella fosse arte o meno” ho scelto questo passaggio dell’autore perché a mio avviso condensa l’importanza del processo di trasformazione dell’energia psichica che avviene attraverso il fluire delle immagini dall’inconscio, in un contesto terapeutico. Quindi l’esperienza della STOR, condotta da Nise da Silveira è il luogo dove si contiene quella frammentazione dell’Io che si manifesta nella malattia psichica; attraverso le immagini possiamo accompagnare e comprendere il percorso psicoterapeutico. La comprensione del testo si completa con la prima parte dove si analizza il mondo delle immagini in un confronto con la ragione e al ruolo delle immagini in Freud e Jung, un passaggio dalla dimensione personale individuale a quella simbolica archetipica, che trova concretezza nei casi esposti. In questa parte di analisi teorica del tema è possibile trovare i riferimenti che consentono di apprezzare e valorizzare le bellissime immagini colorate allegate nell’ultima parte del testo. Emilia Canato Arcade Fire Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi musica The Suburbs Mercury, 2010, € 18,90 a cura di Angelo Villa Belle and Sebastian Write about love Rough Trade, 2010, € 19,40 Marlene Kuntz Ricoveri virtuali e sexy solitudini Columbia, 2010, € 15,90 Paolo Conte Nelson Platinum, 2010, € 20,50 Ero indeciso sul cd da segnalare nella rubrica. Pensavo a quel che mi era capitato recentemente d’ascoltare e che, nel contempo, era uscito da non molto tempo. Faccio mente locale. In primis, direi gli Arcade Fire: canadesi, molto bravi. Il loro ultimo cd “The Suburbs” ha conquistato tutti. Ricco, vario, creativo, non convenzionale… E’ stato premiato da un ottimo successo di vendite. A turno, prestigiosi mensili come “Buscadero”, “Rumori” hanno dedicato al gruppo la copertina. “Rolling Stone”, edizione americana (eh! eh!...), ha assegnato al cd il quarto posto assoluto tra quelli usciti nell’intero 2010. I Nostradamus del rock profetizzano che saranno loro i de- gni successori di quelli che finora avevano costituto la punta di diamante della scena musicale pop pensante e cioè gli allora magnifici Rahiohead, capitanati da Tom Yorke. Poi, infatti, mi pare si siano un po’ smarriti in uno sperimentalismo alquanto sofisticato o, a seconda, indigesto. Staremo a vedere. Nel frattempo, gli Arcade Fire si fanno strada. E’ una buona occasione, per chi non li conosce per andare a sentire i due cd precedenti: “Bible Neon” e, soprattutto, “Funeral”, amatissimo da David Bowie. Dal Canada alla Scozia. Bene, bravi anche i Belle and Sebastian per i quali coltivo una particolare predilezione. E’ unico il loro tocco leggero, sensibile, delicato. In verità, il loro ultimo cd “Write about love” non aggiunge forse nulla di nuovo alla loro discografia. Per quanto sia alle mie orecchie oltremodo piacevole da ascoltare. Più lo senti, più lo apprezzi, più diventa difficile abbandonarlo. Sembra la musica di cui abbiamo bisogno per trovare conforto nella quotidianità che ci assilla e che non ci dà tregua. Dal Canada alla Scozia, al nostro amato e malandato Paese: due cd. Il primo, in tutta onestà, non mi è affatto piaciuto, e me ne duole sinceramente, il secondo, l’ho trovato un po’ meglio, ma poco poco… Inizio da quello che mi ha francamente deluso. Il suo ascolto mi ha ricordato una cena volenterosamente preparata da un’amica grazie all’utilizzo di non so quale aggeggio, Bimbi o Bambi o come diavolo si chiama. L’esito era francamente imbarazzante poiché tutti i piatti dal primo al dolce parevano, al fondo, identici. Stesso gusto, stesso sapore… Così mi è sembrato l’ultimo cd dei Marlene Kuntz: “Ricoveri virtuali e sexy solitudini”. Di primo acchito li si direbbe un improbabile sintesi tra gli ex CCCP, poi ex Cultura113 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi di Johar Karan Il mio nome è Khan India 2010 Produzione Dharma Productions, Fox STAR Studios, Red Chillies Entertainment Viaggiare è bello? Provate a mettervi nei panni di un musulmano e fatevi un giretto negli Stati Uniti, nel post 11 settembre … Questo è il piglio critico di questo film che comincia con una sequenza a molti turisti nota: aeroporto, sezione partenze, fila stremante per attraversare il metal detector, perquisizione del bagaglio, esplorazione del corpo, invasione dell’Io. Lui, l’assediato, è un viaggiatore di religione musulmana che, richiesto di esplicitare le motivazioni del viaggio dalla città statunitense di a cura di Cristiana La Capria 114 non addirittura “incomprensibili”: non se ne coglie il senso, la “logica”, di certo non garantita dal ricorso a una lingua straniera. Anzi, a me sembra che il pasticcio aumenti e con esso l’inconcludenza dei singoli brani. L’insieme del cd è caratterizzato da quel gusto “retrò” che è il marchio di fabbrica dell’avvocato artigiano, anche se qui sembra più mestiere, abitudine che altro. Sull’intero cd regna poi una cupa cappa depressiva che sembra invitare l’ascoltatore a lasciar scivolare l’intera musica in sotto fondo. Peccato. Soffrire, si deve, perché ci tocca, perché è giusto e ciascuno di noi, lo sa. Ma, così, è troppo. Via, via da qui… Angelo Villa cinema CSI, poi PGR, poi chissà e i Baustelle, ma il gruppo di Cristiano Godano non possiede né il furore nervoso dei primi, talvolta in grado di portarli a vette sublimi, né la sensibilità melodica dei secondi. Il sound del cd sembra languire su un tappeto sonoro lagnoso, monotono, stantio dal quale, come alunni recalcitranti allo stare in fila che la maestra distrattamente impone, si staccano parole pretenziose, ma di cui mal si coglie la portata complessiva nell’insieme della canzone. Per capire meglio occorre, infatti, andarsi a leggere i testi. Operazione che, purtroppo, non ripaga della fatica. Giocati come sono in uno stile manierato, tardo adolescenziale “à la page” tra proclami esistenziali, denunce sociali e “trivial language”… Di peggio, da un po’ di tempo in qua, mi sono parsi solo i testi di Carmen Consoli, il che è tutto dire… Ho, invece, tiepidamente, molto tiepidamente apprezzato il cd di Paolo Conte, “Nelson”, nome del suo cane. Immortalato in copertina in un disegno dello stesso cantautore. Premetto che Conte è un artista che stimo, senza stravedere particolarmente per lui. Ho già avuto in passato qualche accesa discussione in merito con un mio parente, suo accanito fan. Il cd precedente, del quale ho persino rimosso il titolo, non era all’altezza delle sue cose migliori. Probabilmente era un momento di scarsa creatività, succede. Con “Nelson”, invece, Conte pare risollevarsi, pare ... Un po’ meglio ... Ma, nulla, proprio nulla di trascendentale o di particolarmente originale, nessuna canzone che rimanga particolarmente impressa. Prevale, se così si può dire, un certo minimalismo (la traccia numero sette si chiama, guarda caso: “Storia minima”), le canzoni paiono quadri appena appena abbozzati, anemici, olofrastici. Quando Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/scelti_per_voi San Francisco alla città statunitense di Washington, sostiene di volere incontrare il Presidente degli Stati Uniti per dirgli che si chiama Khan e non è un terrorista. Fa quasi ridere. Fa pensare di avere davanti un tipo che non sta molto bene. Invece come facciamo a ridere di un tipo di cui non sappiamo niente? Come ci permettiamo di giudicarlo da un paio di battute? Bisogna conoscerne il retroscena. E così ritorniamo al passato, nel nucleo vitale del protagonista che è l’India e i suoi suoni, la sofferente e colorata tessitura di abiti e tende, l’essenzialità degli ambienti di casa. Dove Khan vive con la mamma e il fratello minore che, stanco di una vita di stenti, si trasferisce a San Francisco, negli Stati Uniti, e fa fortuna. Intanto i lunghi primi piani e l’insistente colonna sonora che seduce ci presentano di Khan un profilo lontano dal consueto perché, a causa della sindrome di Asperger, usa codici emotivi inconsueti e tende a difendere con forza la ripetitività del circostante, dei gesti, dei volti. Eppure raggiunge il fratello quasi all’altro capo del mondo. Fa uno strappo madornale ai suoi schemi. Ecco il suo primo viaggio. Lascia il mondo indiano e si dirige verso una meta, San Francisco, che non promette ritorno e che lo accoglie con la generosità e la tracotanza tipica dei suoi palazzi di cemento. Cambia luogo, cambia vita. Il lavoro lo porta a incontrare ed amare Mandira, indiana pure lei, ma di religione indù. Ma l’equilibrio raggiunto si rompe quando la paura di altri attentati dopo la caduta delle Torri Gemelle allarma la popolazione americana e quindi spesso i musulmani – considerati il pericolo numero uno - rischiano di essere evitati, insultati, malmenati. Accade pure a Samir, il figlio di Mandira che Khan ha adottato. Il bambino viene pestato a sangue, anzi a morte, da suoi coetanei perché è musulmano. Cosa c’entra un bambino con le orrende azioni compiute all’umanità, alla storia? Cosa c’entra la grande storia con la piccola storia? Cosa c’entrano gli attentati globali con un bambino che gioca a calcio? Da questo interrogativo arrabbiato parte il secondo viaggio di Khan che coglie la sfida dell’amata e parte di nuovo. Stavolta lo spostamento è funzionale ad uno scopo molto diverso dal solito viaggio: inseguire per tutto il territorio statunitense il Presidente Bush e comunicargli di non essere un terrorista. Il secondo viaggio, questo viaggio è animato da una motivazione di tipo sentimentale, politico ed etico. Il viaggiatore non è un turista o un profugo, è un cittadino che chiede di essere considerato un cittadino e basta. E’ importante che di questi tempi ci siano dei film che ci facciano fare viaggi di questo genere: senza isole Bahamas all’orizzonte e nemmeno astratte ricerche di felicità o di svago. Questo film ci presenta un viaggiatore che fa due enormi viaggi. In entrambi ha il bagaglio leggero, una certa dose di forza. Il suo comportamento soffre di alcuni disturbi psichici che rendono impegnativo a noi spettatori seguire il suo percorso. La curata colonna sonora e un’altisonante fotografia concorrono a rendere a tratti appesantito da grande retorica il testo filmico. Ma va bene. Ammettiamo la pomposità espressiva se riesce a farci fare un’esperienza di viaggio che non avremmo altrimenti fatto. E da cui si impara parecchio. Cristiana La Capria Cultura 115 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/ ARRIVATI_IN_REDAZIONE Lolli Gabriele Discorso sulla matematica. Una rilettura delle Lezioni americane di Italo Calvino Bollati Boringhieri, Torino 2011, pp. 226, € 18,00 Muovendo dalla dichiarazione di Calvino secondo la quale “l’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione”, Gabriele Lolli scopre che le Lezioni americane possono essere lette come una parabola della matematica e che gli argomenti in esse trattati (Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità) sono proprietà essenziali del pensiero matematico creativo. Landsberg Paul Ludwig L’esperienza della morte Il Margine, Trento 2011, pp. 124, € 14,00 Come il toro nell’arena è destinato a soccombere al matador, così l’uomo vive la sua vita in un tempo circoscritto dalla morte. E tuttavia un fondo di speranza permane, ineliminabile. Partendo da questa speranza, connaturata alla persona umana, Landsberg accompagna il lettore verso un ulteriore compimento, che ha la sua radice in una relazione personale trascendente, a cui lo apre la fede. Mattei Ugo L’acqua e i beni comuni. Manifestolibri, Roma 2011, pp. 64, € 12,00 Perché il governo italiano vuole privatizzare l’acqua? Perché se al ristorante ordiniamo una caraffa d’acqua i camerieri ci guardano storto? Perché compriamo bottiglie d’acqua minerale anche quando l’acqua è buonissima? È giusto che grandi società facciano profitti vendendo acqua a chi ha sete? Queste sono solo alcune delle domande che Simone, tredici anni, deve affrontare quando si trova a tavola con l’Avvocato Artemio Banchetti, personificazione dell’uomo di successo. Violani Emanuela Diario segreto dei miei giorni feroci Claudiana, Torino 2011, pp. 244, € 13,90 Il diario epistolare di Emanuela Violani - un nome fittizio per un urlo di dolore e un atto d’accusa - racconta l’esperienza di abuso subìto da una ragazza con gravi disagi familiari da parte del sacerdote cui si era rivolta in cerca di aiuto. Una drammatica e commovente storia di violenza, colpevolizzazione e omertà che la porta dritta all’autolesionismo e al tentato suicidio, fino all’arduo cammino - mai davvero concluso - verso un nuovo inizio. 116 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/arrivati_in_redazione Ritanna Armeni (a cura di) Parola di donna Ponte alle Grazie, Milano 2011, pp. 336, € 16,80 Cento grandi nomi della cultura, della politica e dello spettacolo italiano per un “dizionario al femminile”, che fa il punto sul nostro passato e sul nostro presente, per capire dove stiamo andando e per ricordare da dove siamo partite e quanta strada abbiamo percorso. In queste pagine troverete cento voci del privato e del politico, le parole della quotidianità e quelle della filosofia, da abito a zitella, passando per diritti, lavoro, pari opportunità, ma anche desiderio, mamma, sirena, verginità... Coenraad van Houten Lavorare con le forze del karma. La seconda via dell’apprendimento dell’adulto Guerini e Associati, Milano 2010, pp. 303, € 24,50 Sempre più persone stanno iniziando a rendersi conto che l’educazione è un percorso che continua per tutta la vita. Questo avviene oggi soprattutto in relazione con il tumultuoso cambiamento che interessa la vita economica e il mondo del lavoro. Come individui e collettivamente siamo di fronte alla scelta tra rimanere come siamo e impegnarci costantemente per sviluppare nuove facoltà. L’apprendimento dal destino, sviluppato da Coenraad van Houten nel corso di decenni di ricerca e di lavoro nella formazione, è un percorso di sviluppo personale… Pamela Pace UN DOLORE INfame. Genitori e anoressia, una lettura psicoanalitica Mondadori, Milano 2010, pp. 192, € 13,00 Dare la parola ai vissuti contraddittori e alla sofferenza dei genitori: è questa la prospettiva attraverso la quale Pamela Pace propone una lettura, orientata dalla psicoanalisi, del dramma familiare e del lavoro clinico con i genitori di figlie anoressiche. Frutto di un’esperienza ventennale di lavoro psicoterapeutico con le famiglie, il libro intende sovvertire la chiave di lettura dell’anoressia, provando a far parlare la disperazione di padre e madre rispetto alla legge INfame che tale sintomo impone nella famiglia. Luigi Zoja Al di là delle intenzioni. Etica e analisi Bollati Boringhieri, Torino 2011, pp. 155, € 12,00 Più che da una presenza di cattive intenzioni, il male psicologico nasce da una assenza di consapevolezza. In analisi, paziente e terapeuta si trovano necessariamente nella zona grigia tra bene e male. Non vi sfuggirono i fondatori della psicoanalisi, come ricordano i casi di Anna O. e Sabine Spielrein: la sensazionale guarigione di quest’ultima sarebbe avvenuta senza le vistose inosservanze di ciò che oggi si considera limite professionale? Cultura 117 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/arrivati_in_redazione Michela Marzano Etica oggi. Fecondazione eterologa, «guerra giusta», nuova morale sessuale e altre grandi questioni contemporanee Centro Studi Erickson, Trento 2011, pp. 125, € 10,00 Che cosa si può pensare allorché ci si trova di fronte alla malattia o alla morte, quando ci si interroga sul futuro del pianeta o si parla di “guerra giusta” o di tortura? Come regolarsi rispetto alla fecondazione eterologa, all’eutanasia, ai diritti degli animali e agli organismi geneticamente modificati? Che cosa resta oggi della “liberazione sessuale” degli anni Sessanta e Settanta? Con Michela Marzano l’etica non si interessa più solo di questioni astratte… Antonio Bello Ad Abramo e alla sua discendenza La Meridiana, Molfetta (BA) 2011, pp. 136, € 10,00 L’espediente non è nuovo. Quello, cioè, di ricorrere alla finzione epistolare per mettersi in contatto con i personaggi della storia. Forse, però, è la prima volta che viene praticato il tentativo di scrivere ad alcuni protagonisti biblici, e per giunta del Vecchio Testamento, allo scopo di leggere, attraverso vicende lontane, il senso di certi avvenimenti vicini, e, conversando familiarmente con loro, interpretare l’enigma delle scelte nodali della civiltà contemporanea. Isabella Matropasqua, Roberta Rao (a cura di) EducArte. Catalogo sull’archivio multimediale della giustizia minorile in Italia Gangemi Editore, Roma 2011, pp.272, € 35,00 Catalogo curato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, Ufficio Studi, Ricerche ed Attività Internazionali ed il Centro Europeo Studi di Nisida che presenta la documentazione multimediale prodotta dai Servizi Minorili della Giustizia. Il volume costituisce una prima raccolta significativa dei supporti digitali tratti dall’Archivio Multimediale del Centro Europeo di Nisida sulle attività e sulle esperienze educative, realizzate dai ragazzi e dalle ragazze che hanno fatto ingresso nel circuito penale minorile sul territorio nazionale. Lorenzo Luatti Mediatori atleti dell’incontro. Luoghi, modi e nodi della mediazione interculturale Vannini Editrice, Gussago (Bs) 2011, pp. 198, € 21,00 Ripercorrere il cammino incerto e faticoso di un dispositivo coraggioso e creativo come la mediazione interculturale, porta inevitabilmente a riflettere sui mutamenti avvenuti lungo due decenni nell’immigrazione, nei servizi e nelle comunità, nelle politiche di integrazione, nella pratiche interculturali, nelle professioni del sociale, nel dibattito sul multiculturalismo. Come essi hanno cambiato e cambiano la mediazione? 118 Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/in_breve Dal 12 al 16 maggio scorso si è svolto il Salone Internazionale del Libro di Torino. Tra i suoi ospiti anche il CRIC (Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura) che, in collaborazione con la Regione Toscana e la Fondazione per il Libro la Musica e la Cultura, ha organizzato uno spazio espositivo collettivo dedicato ai periodici culturali, aprendolo sia alle riviste associate, tra le quali anche Pedagogika.it, sia ad altre pubblicazioni periodiche non associate. Molti sono stati i visitatori dello stand e grande l’interesse manifestato verso un organismo che dal 2003 si propone di rappresentare e valorizzare il ruolo delle riviste culturali che animano il dibattito delle idee, in ogni campo del pensiero e della creatività e al di fuori di ogni dipendenza accademica e che si qualificano per il taglio interdisciplinare dei contenuti e per la dimensione nazionale, europea e internazionale del loro apporto alla promozione della cultura. Il Salone ha acquisito nel 2011 un particolare significato - come ha sottolineato il Presidente del CRIC Valdo Spini - perché posto all’insegna del cento cinquantenario dell’Unità d’Italia. E al Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura è stato molto significativamente assegnato, come riconoscimento del suo importante ruolo, uno stand nel Padiglione Italia all’interno dell’Oval, dove si è tenuta la mostra “1861-2011. L’Italia dei Libri”. in_vista Le riviste culturali italiane al Salone Internazionale del libro per il 150° dell’Unità nazionale” In breve 119 in_breve Pedagogika.it/2011/XV_2/cultura/in_vista Maratona: la staffetta 24x1 ora. intervista al pluricampione Migidio Bourifa. In occasione della 28° edizione della Staffetta 24x1, che si è svolta a Saronno nelle giornate fra il 4 e 5 Giugno al Centro Sportivo Comunale, abbiamo realizzato una breve intervista a Migidio Bourifa, pluricampione italiano di Maratona. Il grande maratoneta ci ha spiegato come questa corsa lo appassioni molto perché il clima socievole, cordiale e di amicizia che si vive in pista e al di fuori è impareggiabile, con il gruppo dei 24 unito nella preparazione di ogni piccolo particolare (dalla tenda, alla pasta fatta sul campo, …) per la perfetta riuscita della corsa. Migidio tuttavia non partecipa solo a manifestazioni regionali e nazionali e, da portacolori della bandiera italiana, ci ha raccontato di sensazioni incredibili vissute lungo le strade di tutto il mondo. Ogni gara, ci ha raccontato, regala emozioni immense; mentre si corre le urla dei tifosi che incitano e cantano caricano molto, ma, soprattutto, rappresentano una piccola parte della propria nazione che crede e si immedesima nel corridore. Le emozioni più belle, nei propri “viaggi”, Migidio le ha vissute correndo per le strade di immense città come New York, Tokio, Boston e Parigi e, proprio la capitale francese, ha colpito maggiormente il maratoneta per la particolarità del percorso, immerso in grandi piazze e parchi, ma, soprattutto studiato su enormi strade a più corsie e lunghi viali alberati che offrivano ai corridori un panorama incredibile: un'ampia finestra aperta verso il mondo, verso la propria interiorità. Corso di perfezionamento “Studi di genere e professioni socioeducative” Il corso di perfezionamento, la cui direzione è stata affidata alla Prof.ssa Maria Grazia Riva, si propone di formare operatori e operatrici esperte in interventi di progettazione, formazione e ricerca in campo sociale ed educativo, con la finalità, in particolare, di dotare tali figure professionali di risorse di consapevolezza personale, conoscitive e interpretative e di strumenti di intervento che facciano riferimento alle culture e pratiche di genere. Poiché nel nostro Paese, a differenza della maggior parte dei paesi europei, la diffusione e l’istituzionalizzazione di percorsi di studio legati alle culture di genere sono, almeno per il momento, ancora poco consistenti, l’esigenza di proporre percorsi formativi che specializzino in contenuti, competenze e abilità professionali nel campo delle problematiche di genere, appare particolarmente urgente. L’operatore o l’operatrice che si formerà nel corso potrà agire le sue competenze nella quotidianità della propria professione, proporsi come consulenza esperta nelle realtà che la richiedano, organizzare formazione, progettare interventi e ricerche rispetto a situazioni che necessitino di analisi di genere e progetti specifici per prevedere e migliorare l’offerta di servizi. Il bando di ammissione, scadenza il 1 settembre 2011, e il programma e le date del corso sono disponibili sul sito www.unimib.it nella sezione ‘Dopo la laurea – Perfezionamento’. Per informazioni: [email protected] tel.: 02 64484801 (il martedì delle 14 alle 15) 120