® CSAM - 25121 BRESCIA, VIA PIAMARTA 9 • Poste Italiane S.p.A - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Brescia - contiene I.P. Esperienze di dialogo interreligioso Intrecci formativi e spirituali www.saveriani.bs.it/missioneoggi Sommario n. 7/2009 Mensile dei Missionari Saveriani dal 1903 al 1978 Fede e Civiltà Direttore Mario Menin [email protected] Redattori Mauro Castagnaro, Franco Ferrari, Federico Tagliaferri Segreteria Salvatore Leardi [email protected] Gruppo redazionale Michele Agosti, Giusy Baioni, Michela Bono, Maria Teresa Cobelli, Domenico Cortese, Roberto Cucchini, Flavio Dalla Vecchia, Lydia Keklikian, Piero Lanzi, Fausto Piazza, Marino Ruzzenenti, Anna Scalori, Gabriele Smussi, Franco Valenti, Annachiara Valle Hanno collaborato a questo numero Maria A. De Giorgi, Michael L. Fitzgerald, Giampiero Alberti, Federico Tagliaferri, Ruggero Cavani, Guliano Zatti, Mauro Castagnaro, Lidia Maggi, Giacomo Canobbio, Franco Ferrari. Direzione Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia Tel. 0303772780 - Fax. 0303772781 www.saveriani.bs.it/missioneoggi [email protected] Amministrazione e abbonamenti Centro Saveriano Animazione Missionaria (C.S.A.M.) Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia Tel. 0303772780 - Fax. 0303772781 [email protected] Abbonamenti Italia Europa Extra Europa Un numero separato € 26,00 € 36,00 € 44,00 € 3,00 3 Editoriale Abbattere il muro di separazione pratiche di dialogo 4 Buone Shinmeizan: il tempio per dialogare (Maria A. De Giorgi) pratiche di dialogo 9 Buone Shinmeizan: casa di preghiera cristiana (Maria A. De Giorgi) al dialogo 15 Formazione Per una formazione al dialogo interreligioso (Michael L. Fitzgerald) di discussione 19 Forum Ho due sogni (Giampiero Alberti) pratiche di dialogo 24 Buone Camminare insieme (Ruggero Cavani) del dialogo 28 Spiritualità Vita religiosa e missione (Michael L. Fitzgerald) di discussione 33 Forum La fatica di mettersi in discussione (Giuliano Zatti) 38 Conclusioni Il presupposto del dialogo (Lidia Maggi) 41 Conclusioni La complessità del dialogo (Giacomo Canobbio) delle redazioni 44 Forum Il dialogo interreligioso è irrinunciabile (a cura di Mauro Castagnaro) Missione Oggi è stampata interamente su carta riciclata. C.C.P. 11820255 intestato a Missione Oggi Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia Grafica: Enzo Chisacchi / Paolo Mabellini Realizzazione: D.G.M. / Brescia Stampa: Squassina / Brescia ISNN 0392-6389 Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria CSAM - Soc. Coop. a R.L., Via Piamarta 9, 25121 Brescia, n. 50127 in data 19-2-1993. Direttore Responsabile: Marcello Storgato. Registrato al Tribunale di Parma n. 399 del 7-3-1967 Foto di copertina: “La grande rete” - 1995 (acquerello di Carlo Tarantini). La calda cromia de “La grande rete”, di Carlo Tarantini, sintetizza il pensiero del Convegno 2009: fili di dialogo che si intrecciano e che disegnano una trama spirituale intensa; in essa occhieggiano i pesci - persone in dialogo -, che assumono i colori svariati delle religioni; la rete possiede delle linee rette e curve - le religioni -, che rimandano alla totalità del mondo. La curva comprensiva, abbracciante utero di luce, allude alla Chiesa segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano. Foto interne (senza crediti): Fiorenzo Raffaini. editoriale Abbattere il muro di separazione Q uesto numero “speciale” di “Missione Oggi” raccoglie gli atti del Convegno annuale della rivista, dedicato in questa sessione al dialogo interreligioso. Nella pubblicazione abbiamo seguito pari pari lo schema della giornata (9 maggio 2009), con l’unica novità della sistemazione del Forum delle redazioni alla fine di tutto, pur essendo stato realizzato il pomeriggio precedente. Anche attraverso le pagine di questo numero auguriamo a tutti gli abbonati, amici e lettori della rivista una buona estate. Chissà che l’autorevolezza e la semplicità delle esperienze qui raccolte non collaborino ad abbattere dentro e fuori di noi i tanti muri di separazione costruiti dalla paura e dall’ignoranza del “diversamente religioso” anche nel nostro Paese. L’atteggiamento che i cristiani devono adottare verso le altre fedi è una questione antica, ma per molti secoli non fu praticamente considerata. Il Concilio Vaticano II (1962-1965) ne ha parlato in maniera esplicita e positiva. L’incontro voluto e realizzato ad Assisi il 27 ottobre 1986 da Giovanni Paolo II aveva facilitato i rapporti, non solo interreligiosi ma interculturali, tra i popoli. Il drammatico attentato alle Torri gemelle di New York, l’11 settembre 2001, da parte di alcune cellule dell’estremismo islamico, ha raffreddato e inquinato queste ancor timide relazioni, anche da un punto di vista sociale e politico. Oggi il tema ha acquisito una tale rilevanza che non può che rendere ardua la riflessione di chiunque si avventuri in questo campo. La rivista “Missione Oggi” ci prova, non a partire dalla teoria ma da due esperienze concrete: una “locale”, di base, italiana, nata per necessità contingenti, dai problemi di convivenza tra cristiani e musulmani nella ricca provincia di Modena, legata al Gruppo “Camminare insieme” di Fiorano/Sassuolo; l’altra più “globale”, nata dal carisma missionario dei Saveriani, in Giappone, ma con addentellati in varie parti del mondo, soprattutto in Cina, e legata al Centro di preghiera e dialogo interreligioso “Shinmeizan” di Tamana-gun/Kumamoto. Seppure in maniera diversa, “Shinmeizan” e “Camminare insieme” ci indicano gli itinerari essenziali per maturare “buone pratiche” di dialogo: non esiste vero dialogo interreligioso senza un’esigente formazione e un’adeguata spiritualità. Per questo ai due “racconti” fanno da pendant altrettante riflessioni di taglio teologico e spirituale, affidate alla sapienza e acribia di Mons. Michael L. Fitzgerald, rispettivamente sulla necessità della formazione al dialogo e sui presupposti spirituali del medesimo. È stato davvero un grande dono per i partecipanti al Convegno la presenza di un relatore come Mons. Fitzgerald, universalmente noto e apprezzato per la sua esperienza, prima come docente al PISAI (Pontificio Istituto Studi Arabi e Islamistica), poi come segretario e quindi presidente del PCDI (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso). Se Gesù ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, così che per-con-in lui “giudei” e “pagani” potessero presentarsi, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2), perché non continuare oggi quest’opera divina, camminando insieme, anche se a tentoni, verso l’unità del genere umano, a dispetto e a partire dalle nostre differenze? I Siham e Anna del gruppo “Camminare insieme” al Convegno. buone pratiche di dialogo Maria A. De Giorgi è missionaria saveriana, laureata in psicopedagogia, teologa e studiosa del pensiero spirituale giapponese. È giunta in Giappone nel 1985. Dal 1987 al 1994 ha prestato il suo servizio presso il centro di spiritualità e dialogo interreligioso Shinmeizan. Dopo aver conseguito il dottorato in teologia all’Università Gregoriana di Roma, ha ripreso il suo servizio in Giappone sempre al Shinmeizan. Tra le sue numerose pubblicazioni, citiamo: Seimeizan. Frammento di un dialogo tra cristiani e buddhisti, EMI, Bologna 1989; Va’ e di’ ai miei fratelli. Celestina Bottego, Fondatrice delle Missionarie di Maria, EMI, Bologna 1994; Salvati per grazia attraverso la fede. La salvezza per grazia nel Buddhismo della Terra Pura e nel Cristianesimo, EMI, Bologna 1999; La via del tè nella spiritualità giapponese, Morcelliana, Brescia 2007; Padre Giacomo M. Spagnolo, Fondatore delle Missionarie di MariaSaveriane, EMI, Bologna 2009. Shinmeizan il tempio P per dialogare er quanto riguarda Shinmeizan come Centro di dialogo, primo spazio privilegiato di contatti sono per noi il villaggio di Heboura e la cittadina di Nagomi a cui apparteniamo territorialmente e in cui non c’è nessuna presenza cristiana. Solo a Tamana (50.000 abitanti), il centro del distretto, vi è una Chiesa cattolica e una Comunità luterana. Ciononostante, gli abitanti del luogo, tutti appartenenti al cosiddetto Buddhismo della Terra Pura, ci hanno accolto molto cordialmente. Con gli anni hanno cominciato a considerarci un po’ il “loro” tempio. Vengono spesso a fare 4 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 omairi, la visita al tempio. A Capodanno salgono per fare hatsumode, la prima visita al tempio dell’anno nuovo; è divenuta ormai tradizione che ogni anno, a maggio, il gruppo degli anziani si riunisca a Shinmeizan per un’intera giornata. In occasione del Natale, su esplicita richiesta dei bambini del villaggio, organizziamo una veglia natalizia alla quale partecipano attivamente. Diverse coppie non cristiane della zona hanno chiesto di celebrare il matrimonio a Shinmeizan perché desiderosi di vivere quel momento in un contesto religioso. Da parte nostra, siamo invitati a partecipare ai più importanti momenti di vi- buone pratiche di dialogo MO con movimenti religiosi più recenti. Nella zona è molto popolare la Scuola Jodo Shinshu o della Terra Pura, una corrente del Buddhismo Mahayana che pur avendo le sue radici in India si è sviluppata soprattutto in Cina e in Giappone. Questa Scuola presenta la fede nel Buddha Amida come via alla liberazione. Nelle vicinanze si trovano anche templi del Buddhismo Tendai e del Buddhismo Zen con i quali intratteniamo da anni buoni rapporti di amicizia e Diverse coppie non di collaborazione che cristiane della zona ci permettono di conohanno chiesto di scere più da vicino, e celebrare il dall’interno, il Buddhismo giapponese matrimonio a nella sua grande varieShinmeizan perché tà di Scuole e correnti. desiderosi di vivere Vi sono poi rapporti di quel momento in un collaborazione con alcontesto religioso tre istituzioni religiose come la Risshokoseikai, un’importante e vivace organizzazione di laici buddhisti molto attivi sul fronte del dialogo e dell’impegno per la pace; dell’Omoto e del Tenrikyo, movimenti di matrice shintoista, altrettanto aperti all’incontro e alla collaborazione interreligiosa. Questa rete di contatti, di amicizia e di collaborazione, ha trovato una sua felice espressione nell’incontro biennale di preghiera per la pace che da oltre 14 anni celebriamo a Shinmeizan. La partecipazione è molto sentita e, negli anni, ha avuto una positiva ricaduta anche sulle rispettive comunità religiose. Sopra: P. Silvano Da Roit, saveriano, e Maria A. De Giorgi, saveriana, apprendono la “cerimonia del tè”. Sotto: P. Franco Sottocornola, saveriano, e il ven. Furukawa al “Shinmeizan”. PER SAPERNE DI PIU’ CONTATTI CON L’ESTERO ta civile e religiosa della comunità locale: l’incontro annuale dei capifamiglia in cui si programma la vita del villaggio, la presenza alla kagura di settembre, una danza religiosa che si tiene nel locale tempio shintoista in occasione del raccolto del riso, la partecipazione a funerali e anniversari presso il tempio buddhista. TEMPLI E ORGANIZZAZIONI RELIGIOSE A questi rapporti quotidiani, di buon vicinato, se ne affiancano altri, più specifici, con persone, templi e istituzioni buddhiste e shintoiste, Un accenno a parte merita la complessità di rapporti con persone e gruppi che vengono da altri Paesi, sia asiatici che occidentali. In questi anni abbiamo avuto visitatori provenienti da ben 40 Paesi diversi. Un vero mosaico di persone che ci ha sorpreso, ma che ci ha anche reso più coscienti del bisogno di spiritualità, incontro e dialogo, che abita la nostra generazione. Le vie che conducono questi visitatori su questa sperduta collina giapponese sono le più diverse: giovani e non più giovani europei, americani, australiani e asiatici desiderosi di conoscere la tradizione religiosa giapponese; studenti universitari che trascorrono periodi di stage in Università o in centri di ricerca giapponesi; cristiani interessati al dialogo con il Buddhismo, Maria A. De Giorgi, Salvati per grazia attraverso la fede. La salvezza per grazia nel Buddhismo della Terra Pura e nel Cristianesimo, EMI, Bologna 1999 presso: [email protected] Missione Oggi | agosto-settembre 2009 5 buone pratiche di dialogo MARIA A. DE GIORGI Il Centro di spiritualità e di dialogo interreligioso Shinmeizan è sorto in Giappone per iniziativa di P. Franco Sottocornola, saveriano, con la collaborazione del Ven. Tairyu Furukawa, capo del Tempio buddhista Seimeizan Schweitzer, dedicato alla memoria del premio Nobel per la pace, dott. Albert Schweitzer Quando P. Sottocornola giunse al Tempio Schweitzer nel 1987, già da alcuni anni il Ven. Furukawa intratteneva rapporti con il mondo cinese 6 MO Shinmeizan, un po’ di storia L’INCONTRO PROVVIDENZIALE E DECISIVO CON FURUKAWA L’ incontro di P. Sottocornola con il Ven. Furukawa fu decisivo per la realizzazione di un progetto che veniva da lontano. Risale, infatti, agli anni 1964-65 la prima intuizione che P. Sottocornola ebbe circa l’opportunità, anzi, l’urgenza, che ogni Chiesa locale avesse Centri di spiritualità e Case di preghiera aperti a tutti, quali componenti essenziali del- persone alla ricerca di un’identità religiosa smarrita, pellegrini di pace, ecc. All’interno di questa vasta rete di rapporti, vorrei ricordare, per la sua esemplarità, il cammino che ci ha condotto in Cina. Quando P. Sottocornola giunse al Tempio Schweitzer nel 1987, già da alcuni anni il Ven. Furukawa intratteneva rapporti con il mondo cinese. Varie circostanze gli avevano permesso di verificare la reale entità dei massacri perpetrati dalle truppe giapponesi durante l’occupazione del Continente, il più tristo dei quali fu certamente il massacro di Nankino del 1937, durante il quale in pochi giorni furono trucidate più di 300 mila persone. Uomo di pace, il Ven. Furukawa raccolse documenti inediti e testimonianze di prima mano che fece tradurre in giapponese; fondò un’associazione per portare a conoscenza del- Missione Oggi | agosto-settembre 2009 l’opera di evangelizzazione. In quegli anni, segnati dai fermenti conciliari, P. Sottocornola, che allora insegnava teologia all’Istituto Teologico Saveriano di Parma e curava il processo di aggiornamento voluto dal Concilio, soprattutto in campo liturgico, ebbe la possibilità di visitare varie missioni nei diversi Continenti e di confermarsi in questa sua intuizione. Quando poi, nel 1978, fu inviato in Giappone come missionario, l’idea si arricchì di nuovi elementi. Proprio quell’anno, a Barrackpore (Calcutta), la Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (FABC) aveva tenuto la sua Seconda Assemblea Generale sul tema della preghiera e aveva messo in evidenza l’importanza che la preghiera e la contemplazione devono avere nell’evangelizzazione del Continente asiatico così sensibile alla dimensione contemplativa. Per quanto riguarda il dialogo interreligioso, l’Assemblea di Barrackpore specifica: “Il dialogo con le altre tradizioni religiose asiatiche ha già avuto una speciale testimonianza nella Prima Assemblea Plenaria, sia nelle discussioni che nelle affermazioni finali. Riaffermiamo in maniera anche più esplicita quanto fu inculcato nei riguardi del dialogo interreligioso”. E precisa: “Incoraggiamo ulteriormente questo dialogo. Esso va affrontato con tutta serietà, accompagnato costantemente dal discernimento dello Spirito, promosso e salvaguardato da quegli atteggiamenti che ci conducono ad approfondirlo e a farlo crescere nel- l’opinione pubblica questi fatti e promosse pellegrinaggi di pace e di riconciliazione soprattutto a Nankino e a Pechino. Da parte cinese trovò una valida collaborazione nella Croce Rossa. Quando poi nacque Shinmeizan, il Ven. Furukawa chiese anche a noi di prendere parte a questi pellegrinaggi. Per vari anni, in un’atmosfera di autentica e sincera collaborazione, buddhisti e cristiani, giapponesi ed europei, ci recammo insieme in Cina pellegrini di pace e di riconciliazione. Grazie alla mediazione della Croce Rossa Cinese ci fu concesso di celebrare in pubblico riti religiosi, sia buddhisti che cristiani, sui luoghi dei massacri. Durante il pellegrinaggio del 1989, nacque l’idea di avviare un Centro per bambini disabili nei pressi di Pechino per esprimere una solidarietà fattiva con il popolo cinese. L’attuazione di cui operava come missionario. Mons. Yasuda non solo approvò il progetto, ma mise a disposizione anche il terreno per la costruzione del Centro. Tutto era ormai avviato quando l’incontro imprevisto e provvidenziale con il Ven. Furukawa cambiò il corso degli eventi. Era il 24 agosto 1985 ed ebbi la ventura di essere presente a quello storico incontro. Ero giunta in Giappone da alcuni mesi soltanto. In agosto, con altri missionari/e saveriani MO 154, p. 80; n. 174, p. 84). L’Assemblea aveva dato anche orientamenti precisi auspicando: a) la creazione di comunità contemplative e di centri di spiritualità “confacenti” al contesto asiatico; b) la promozione del dialogo interreligioso come contesto di inculturazione della preghiera cristiana in Asia. Sentendosi confermato nel suo progetto da questi orientamenti, P. Sottocornola prese contatti con mons. Paolo Yasuda, allora arcivescovo di Osaka, la diocesi in questo progetto richiese dieci anni e numerose difficoltà, ma alla fine, grazie alla collaborazione di vari organismi, nel 1998 a Fangshan, nei pressi di Pechino, venne inaugurato il Centro per bambini disabili tuttora attivo e in espansione. L’IMPEGNO NELLA CHIESA LOCALE Vi è infine un altro aspetto dell’attività di Shinmeizan cui sento il dovere di accennare ed è il rapporto con la Chiesa locale. Territorialmente, Shinmeizan appartiene alla diocesi di Fukuoka che fin dall’inizio ci ha accolti con grande benevolenza nella persona dei suoi vescovi, mons. Pietro Hirata prima, mons. Giuseppe Matsunaga e mons. Domenico Miyahara poi. Nel 1991, presso la parrocchia di Tettori, una delle più importanti della città di Kumamo- buone pratiche di dialogo la pazienza e nell’amore. Questi sono: apertura e sensibilità, onestà e umiltà di spirito, sincero disinteresse e amore fraterno che accoglie con rispetto i sentimenti degli altri e cerca di penetrare nel loro cuore” (D. COLOMBO, a cura, La preghiera: vita della Chiesa in Asia. Seconda Assemblea Plenaria, Dichiarazione, in Documenti della Chiesa in Asia. Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche 1970-1995, EMI, Bologna, nn. 119-178, pp. 72-85; nn. 152. guidati da P. Sottocornola, che in quegli anni aveva il compito di introdurre i neo missionari nell’ambiente culturale e religioso giapponese, visitai le missioni del Kyushu, l’isola più meridionale dell’arcipelago. In quell’occasione, su invito e presentazione di un amico comune, P. Sottocornola si recò per la prima volta al Tempio Seimeizan Schweitzer per incontrare il Ven. Furukawa e la sua famiglia. L’incontro fu sorprendentemente decisivo per entrambi. Il Ven. Furukawa, monaco del Buddhismo Shingon, era noto in Giappone per la sua opera in difesa della vita e degli ultimi. Dagli anni Cinquanta, per quindici anni, aveva condotto una difficile campagna in tutto il Paese per ottenere la revisione del processo di due carcerati condannati a morte, di cui aveva potuto verificare l’innocenza, e l’abolizione della pena di morte ancora vigente in Giappone. Il suo impegno per la vita, per la giustizia e per la pace lo avevano reso sensibile anche al dialogo con le altre tradizioni religiose nelle quali riconosceva validi partner nella lotta contro l’ingiustizia, la guerra e ogni forma di violenza. Fu così che dopo tale incontro P. Sottocornola restituì il terreno all’Arcivescovo di Osaka e, ai primi di settembre del 1986, si trasferì in Kyushu dove visse per un anno con il Ven. Furukawa e la sua famiglia per conoscere, studiare, capire il Buddhismo dal suo interno. Nel frattempo diede il via alla costruzione del Centro che sorse sulle colline di Heboura, a to, P. Sottocornola e il Ven. Furukawa guidarono un seminario di studio sul dialogo interreligioso da cui prese poi il via un gruppo di laici cristiani interessati al dialogo e desiderosi di impegnarsi in questo campo così nevralgico per la vita di tante famiglie giapponesi. Per due anni, in incontri bimestrali, studiammo il documento Dialogo e Annuncio del Pontificio Consiglio per il dialogo che era uscito da pochi mesi. Poi cominciammo a prendere contatti con rappresentanti di altre religioni visitando templi o sedi di movimenti religiosi allargando progressivamente la sfera di conoscenze e di collaboratori. Questo gruppo, interparrocchiale, ha avuto e ha una funzione importante nella sensibilizzazione e nella formazione di base. Un’altra iniziativa di rilievo nazionale avviata da Shinmeizan è stata la fondazione nel Shinmeizan: preghiera delle Lodi all’alba. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 7 buone pratiche di dialogo circa quindici chilometri dalla città di Tamana (provincia di Kumamoto), dove si trova il Tempio del Ven. Furukawa. Il Centro prese allora il nome di Seimeizan Katorikku Betsu In, ossia Ramo Cattolico del tempio Seimeizan. Con altre due sorelle saveriane mi trasferii a Seimeizan il 13 agosto 1987. I lavori di costruzione non erano ancora terminati ma il 15 agosto, giorno anniversario dello sbarco di S. Francesco Saverio in Giappone, potemmo celebrare la prima S. Messa. L’ 8 dicembre successivo, l’allora vescovo di Fukuoka, mons. Pietro Hirata, inaugurò ufficialmente il Centro alla presenza di numerosi fedeli cattolici e buddhisti. LE PRIME ATTIVITÀ L’anno che P. Sottocornola trascorse presso il Tempio Seimeizan Schweitzer fu, per sua esplicita dichiarazione, un secondo noviziato che lo introdusse progressivamente nel mondo buddhista. Tra le varie iniziative dei primissimi anni vorrei ricordare in modo particolare due seminari di studio su Buddhismo e Cristianesimo che P. Sottocornola organizzò, rispettivamente a Kyoto e a Miyazaki, nel maggio 1987 quando ancora viveva al Tempio Seimeizan, i cui protagonisti principali furono Mons. Piero Rossano e il Ven. Furukawa. Mons. Rossano, che aveva accompagnato il cammino di Seimeizan con la sua guida e la sua fraterna amicizia fin dall’inizio, aveva accettato volentieri di guidare questi semina- Shinmeizan appartiene alla diocesi di Fukuoka che fin dall’inizio ci ha accolti con grande benevolenza nella persona dei suoi vescovi, mons. Pietro Hirata prima, mons. Giuseppe Matsunaga e mons. Domenico Miyahara poi 8 ri che risultarono determinanti, sia per mettere a fuoco punti chiave del dialogo cristiano-buddhista, sia per presentare e far conoscere la vera natura del rapporto tra il Tempio Seimeizan Schweitzer e il suo ramo cattolico che fin dall’inizio intesero privilegiare il dialogo della vita e dell’esperienza religiosa. Quando nel 1989 accompagnammo per la prima volta in Italia il Ven. Furukawa per una serie di conferenze e di incontri, fu ancora Mons. Rossano che ci accolse all’Università Lateranense dandoci la possibilità di presentare il nostro cammino di dialogo. In quell’occasione furono pubblicati anche due volumetti: una breve storia delle origini del Seimeizan (M. DE GIORGI – C. MOLARI, Seimeizan. Frammento di un dialogo tra cristiani e buddhisti, EMI, Bologna, 1989) che mi era stato chiesto di stendere, e la prima traduzione italiana, curata da P. Sottocornola e dalla sottoscritta, del Tannisho (F. SOTTOCORNOLA, a cura, Tannisho. Incontro con il buddhismo della Terra Pura, EMI, Bologna, 1989), uno degli scritti più importanti del Buddhismo della Terra Pura, importante Scuola del Buddhismo giapponese, con il commento del Ven. Furukawa. Mons. Rossano fu anche il tramite che ci mise in contatto con alcuni membri della Comunità di S. Egidio. Fu così che dal 1989 in poi cominciammo a partecipare regolarmente agli incontri interreligiosi di preghiera per la pace organizzati da S. Egidio in ideale continuità con lo storico incontro di Assisi del 1986 voluto da Giovanni Paolo II. Questi incontri ebbero 2003 del gruppo Kakehashi (Il Ponte) che riunisce i Superiori provinciali e/o i loro delegati di 12 Congregazioni e Ordini religiosi impegnati a promuovere il dialogo interreligioso in Giappone in sintonia con le direttive della Chiesa. Un altro importante servizio alla Chiesa locale è quello della Commissione per il Dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale giapponese tra i cui membri, accanto a P. Sottocornola, vi sono P. Pietro Yoshiaki Sonoda, francescano conventuale, collaboratore di Shinmeizan e la sottoscritta. P. Sottocornola e P. Sonoda sono anche consultori del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Accanto a questi compiti più istituzionali, vi è poi un’animazione al dialogo fatta attraverso conferenze e seminari, articoli su riviste giapponesi e straniere, studi scientifici e traduzioni, organizzazione Missione Oggi | agosto-settembre 2009 un profondo impatto sul Ven. Furukawa e sul nostro cammino di dialogo. Attraverso di essi, infatti, il Ven. Furukawa scoprì più da vicino il volto della Chiesa cattolica, prese coscienza della sua universalità e acquistò familiarità con i suoi insegnamenti. Tutto ciò favorì una migliore comprensione reciproca e una più stretta collaborazione. In quei primi anni numerosi furono gli incontri, le conferenze, i ritiri mensili, le tre giorni di studio durante i quali il Ven. Furukawa presentava il pensiero buddhista dando a P. Sottocornola, a me a ad altri la possibilità di presentare l’insegnamento cristiano sullo stesso tema. E questo nella massima trasparenza, in piena fedeltà alla propria identità cristiana e buddhista. Nei primi mesi del 2000 il Ven. Furukawa si ammalò gravemente e morì nell’agosto dello stesso anno proprio quando si stava maturando un passo importante. Negli ormai tredici anni di cammino e di attività il Centro Seimeizan aveva raggiunto una sua maturità che non poteva più essere contenuta nell’identità di “ramo cattolico” del Tempio Seimeizan Schweitzer, soprattutto nel contatto con altre realtà religiose. L’improvvisa malattia e la morte del Ven. Furukawa rallentarono il processo che, in pieno accordo con la famiglia Furukawa, trovò la sua realizzazione nel 2003 quando il Centro Seimeizan venne assunto come opera propria dai Missionari Saveriani con il nome di Centro di spiritualità e dialogo interreligioso Shinmeizan. di convegni. Di questi ultimi, i più impegnativi sono stati i quattro convegni di teologi cattolici sul tema “Il dialogo interreligioso e la teologia delle religioni ad esso sottesa”, che abbiamo organizzato in Giappone nel 2003, in Indonesia nel 2004, in India nel 2005, nelle Filippine nel 2007, e che hanno visto la partecipazione di noti teologi capiscuola come Paul Knitter e Gavin D’Costa, per rispondere a problemi molto concreti. Non si può, infatti, negare che nella teologia cattolica delle religioni vi siano tendenze teologiche contrastanti che hanno un’inevitabile ricaduta sulla missione e sul dialogo stesso. Per questo abbiamo sentito il bisogno di incontrarci e far incontrare teologi cattolici di diverse tendenze per un confronto franco ma amichevole su temi e problemi che toccano da vicino MARIA A. DE GIORGI la Chiesa e la missione. buone pratiche di dialogo MO “Shinmeizan” ha una duplice identità, ossia quella di Centro di spiritualità e quella di Centro di dialogo interreligioso. L’una, infatti, è condizione dell’altra. Oserei dire che Shinmeizan è spazio di incontro e di dialogo in tanto in quanto è Casa di preghiera e Centro di spiritualità. È, infatti, dall’essere “Casa di preghiera cristiana” che esso attinge la sua identità e la sua peculiarità come luogo di incontro e di dialogo interculturale e interreligioso. Per questo, in quanto Centro di spiritualità, ha scelto di veicolare il proprio messaggio ponendosi in sintonia con quei valori classici della cultura giapponese che sembrano fornire spazi privilegiati di incontro e di arricchimento reciproco. Tra questi, tre elementi sono risultati decisivi: la natura come luogo di preghiera, il silenzio, la spiritualità estetica della «via de tè». Shinmeizan casa di preghiera cristiana MARIA A. DE GIORGI LA NATURA COME LUOGO DI PREGHIERA N ella sensibilità e nella cultura giapponese, la natura ha sempre avuto un importante ruolo religioso. In ogni sua manifestazione, il giapponese di ogni tempo ha saputo cogliere un senso religioso che ha alimentato in lui la percezione della sacralità e dell’origine divina di tutto ciò che esiste. Lo Shintoismo, la religione autoctona, conosce un mito della creazione che riconduce tutto ciò che esiste all’iniziativa di una coppia divina. Nella sua bellezza ed esuberanza, ma an- che nelle sue manifestazioni più violente (frequenti terremoti, eruzioni vulcaniche, tifoni annuali), il cosmo appare al giapponese come un locus religiosus abitato dalla presenza del numinoso, del divino, del mistero. Per questo, templi e santuari (Jinja, Omiya) sorgono in luoghi particolarmente belli, nei pressi del mare, nella profondità dei boschi o sui monti. L’accesso ai templi, inoltre, è sempre mediato dal sando, che può essere un piccolo sentiero o un grande viale che si snoda nel bosco. Per il giapponese, infatti, è importante accedere alla “dimora della divinità” Shinmeizan: incontro interreligioso di preghiera per la pace con rappresentanti di varie religioni. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 9 buone pratiche di dialogo MO Ascesi e kenosi del dialogo D 10 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 pareva di poter pur cogliere importanti convergenze e divergenze. È ciò che mi piace chiamare l’ascesi e la kenosi del dialogo, ossia quel processo di progressivo spogliamento cui va incontro chiunque accetti di uscire da sé per incontrare in tutta onestà l’altro diverso da sé. So che questo processo è in me ancora all’inizio. Non presumo di aver compreso il Buddhismo nella sua estrema complessità, ma alcune sue intuizioni fondamentali come il principio della I due movimenti sono intimamente correlati: più approfondisco il Buddhismo, più mi sembra di comprendere meglio alcuni aspetti della teologia cristiana e viceversa MO a un punto di vista personale, questi anni e questo cammino hanno rappresentato per me un grande arricchimento e un’autentica sfida, sia umanamente che culturalmente e religiosamente. Il contatto con il mondo giapponese, e buddhista in particolare, non mi ha lasciato come mi ha trovato. Numerose sono state le sollecitazioni a ripensare e rivisitare la mia fede da prospettive diverse e inedite. Ciò che per tanto tempo avevo dato per scontato, chiedeva di essere interpretato in modo nuovo. Ho preso più viva coscienza della relatività di ogni esperienza umana e, nello stesso tempo, della sua unicità. Cercare di comprendere il Buddhismo dall’interno, senza cedere a giudizi e interpretazioni già fatte, ha richiesto una rigorosa e difficile ascesi. Ricordo la fatica mentale degli anni in cui alla Gregoriana preparavo la mia tesi di dottorato sul Buddhismo della Terra Pura e il Cristianesimo. Una fatica dovuta non solo alla difficoltà della lingua e alla frequentazione di testi giapponesi antichi, ma soprattutto al fatto di sentirmi in un mondo concettualmente estraneo, diverso, “straniero”. Dover misurare l’inadeguatezza del linguaggio, della parola, del concetto mi ha costretto ad una rigorosità di espressione senza sconti e mi ha abituato a rifuggire quasi istintivamente dai luoghi comuni, acuendo la pena di non riuscire a mediare adeguatamente quei due mondi di cui mi generazione dipendente, l’idea di “vacuità”, la logica del soku, o coincidenza degli opposti, hanno arricchito la mia visione del reale. Nello stesso tempo, questo cammino ha stimolato in me una presa di coscienza riflessa del Cristianesimo e della sua irriducibile novità. I due movimenti sono intimamente correlati: più approfondisco il Buddhismo, più mi sembra di comprendere meglio alcuni aspetti della teologia cristiana e viceversa. Di fronte ad intuizioni e dottrine come l’idea mahayana della compassione/misericordia che tutto permea; la figura del bodhisattva come esempio di un altruismo che giunge addirittura alla sostituzione vicaria; il concetto di “voto” come espressione della ferma e irreversibile volontà di salvezza del Buddha eterno rivolta a tutti gli esseri senzienti; l’enfasi che il Buddhismo della Terra Pura pone su una salvezza “data” che abbraccia tutti, soprattutto gli ultimi e i peccatori; l’importanza attribuita alla fede-fiducia nel Buddha Amida come condizione indispensabile per la salvezza, non si può fare a meno di porsi in umile e doveroso ascolto dello Spirito per discernere e assecondare la sua opera. Da un punto di vista cristiano questo discernimento, umile e attento, è di fondamentale importanza per il dialogo. Del resto, ho potuto cogliere un analogo processo interiore in buddhisti che sono venuti in contatto con il Cristianesimo e che si sono sentiti sollecitati a ripensare la propria fede, a discernere e a confrontarsi. Personalmente, non ho mai sentito contraddizione tra il mio impegno missionario e il mio impegno di dialogo. Anzi, l’uno è condizione indispensabile per l’altro. È nella mia identità cristiana più profonda che ho trovato e trovo le ragioni per dialogare con l’altro diverso da me. Sono le esigenze della sequela Christi che mi spingono ad oltrepassare i confini culturali e religiosi per mettermi in ascolto, per accogliere l’altro – chiunque esso sia – ma anche per offrire il bene più grande che ho ricevuto: Gesù Cristo e il suo Vangelo. Nell’esperienza di questi anni, posso dire che, mai, il mio essere cristiana e missionaria mi è stato di ostacolo all’incontro e al dialogo con l’altro. Direi piuttosto che ne è stata la premessa e la condizione. MARIA A. DE GIORGI Shinmeizan: due momenti di preghiera. buone pratiche di dialogo gradualmente, dopo essersi purificati attraverso il contatto vivo con la natura. È in sintonia con questa diffusa sensibilità che Shinmeizan è sorto in un ambiente naturale che – per la psicologia giapponese – risulta particolarmente “confacente” ad un luogo religioso. Sorge in cima ad una collina di 300 metri da cui si gode una bellissima vista sul mare Ariake e da cui è possibile IL SILENZIO Il secondo elemento che caratterizza la spiritualità di Shinmeizan è il silenzio nelle sue dimensioni di ascolto, di ascesi e di kenosi. In un mondo che sempre più soffre di un diffuso inquinamento acustico che inaridisce le radici stesse dello spirito, il silenzio può operare una vera puMO Lo Zen, sia nella tradizione Rinzai che in quella Soto, valorizza il silenzio non tanto e non solo come mancanza di parole, ma come superamento delle stesse e dei concetti che esse veicolano; come epochè del pensiero logico discriminante contemplare il sorgere e il tramontare del sole. Nel rispetto di questa sensibilità giapponese e in continuità con la tradizione biblica di Gen 1-2 che presenta il cosmo come “giardino”, spazio di incontro tra Dio e l’uomo, celebriamo la preghiera di Lodi e del Vespro all’aperto al sorgere e al tramontare del sole. Il contatto con la natura è diventato così un primo e privilegiato luogo di incontro, comunione e dialogo. Shinmeizan: celebrazione dell’eucarestia. rificazione della mente e del cuore. Il Giappone ha nella sua cultura un’antica tradizione, ereditata soprattutto dal Buddhismo Zen, che riconosce al silenzio un’importante valenza religiosa. Lo Zen, sia nella tradizione Rinzai che in quella Soto, valorizza il silenzio non tanto e non solo come mancanza di parole, ma come superamento delle stesse e dei concetti che esse veicolano; come epochè del pensiero logico discriminante. Per lo Zen, infatti, il pensiero logico discriminante limiterebbe la percezione della realtà dividendola in categorie soggettive, e contrapponendo il soggetto all’oggetto. Il suo superamento, invece, e il “silenzio” della facoltà intellettiva sarebbero la via a quella vera conoscenza (satori, illuminazione) che, trascendendo il mondo fenomenico, conduce alla percezione mistico-intuitiva della profonda unità del reale. Pratica fondamentale dello Zen è la meditazione silenziosa detta zazen. Essa consiste nello stare seduti in silenzio nella posizione del loto che, mantenuta a lungo, aiuta la concentrazione e il processo di svuotamento e annichilimento PER SAPERNE DI PIU’ Maria A. De Giorgi, La via del tè nella spiritualità giapponese, Morcelliana, Brescia 2007 presso: [email protected] Missione Oggi | agosto-settembre 2009 11 buone pratiche di dialogo MO La scelta del silenzio come atteggiamento abituale di ascolto, di disponibilità alla Parola di Dio, di servizio e di dialogo verso tutti coloro che chiedono di condividere la nostra vita non si limita, però, a questa pratica La “cerimonia del tè”. Nella pagina accanto: il Ven. Furukawa con p. Franco Sottocornola in uno dei tanti pellegrinaggi di pace e riconciliazione in Cina. 12 dell’io illusorio fino all’emergere, dalla profondità dell’essere, del vero io. É ciò che i Maestri Zen chiamano taishi, la “grande morte”. Ai cristiani che praticano lo zazen, quest’esperienza richiama quella descritta da Paolo nella lettera ai Galati: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (2,20). In Giappone un pioniere di questo cammino spirituale fu Missione Oggi | agosto-settembre 2009 P. Hugo Enomiya-Lassalle (1898-1990), missionario gesuita, che nel 1968 diede vita, nei pressi di Tokyo, al Shinmeikutsu (Grotta dell’oscurità divina), primo Centro cristiano di meditazione zen. P. Lassalle intuì che l’esperienza della “grande morte” – ossia del distacco radicale dall’io – a cui condurrebbe la pratica dello zazen, può essere il punto fecondo d’incontro con la “via” di Cristo, l’uomo-Dio, che per amore svuota se stesso fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,6-11). Con questo intento, a Shinmeizan, ogni mattina prima della preghiera di Lodi e prima della celebrazione eucaristica pratichiamo lo za-zen. Questa consuetudine ci ha permesso di condividere con gli ospiti buddhisti che visitano il Centro un importante momento della loro esperienza spirituale, e ci ha aiutato a scoprire nuove dimensioni di questa meditazione silenziosa, come le possibili accordanze con la pratica dell’adorazione eucaristica. La scelta del silenzio come atteggiamento abituale di ascolto, di disponibilità alla Parola di Dio, di servizio e di dialogo verso tutti coloro che chiedono di condividere la nostra vita non si limita, però, a questa pratica. Attraversa tutta la giornata concretizzandosi in momenti forti come il “grande silenzio”, che inizia subito dopo la preghiera di compieta e continua fino al mattino successivo durante la colazione e il samu, il lavoro comunitario di manutenzione degli ambienti e del giardino. SPIRITUALITÀ ESTETICA DELLA «VIA DEL TÈ» Se è vero che la dimensione estetica è intimamente congiunta con quella religiosa, nella cultura giapponese, la cui raffinatezza estetica ha raggiunto una singolare perfezione, questo dato è particolarmente evidente. Per il giapponese è bello ciò che è semplice, naturale, vero. Non a caso, il termine subarashii, che significa “meraviglioso, magnifico, splendido”, viene scritto con due ideogrammi che significano rispettivamente: “naturale, semplice, sobrio” e “chiaro, luminoso, senza ombre”. Di questa estetica, che ha nel principio del wabi sabi (sobria raffinatezza, bellezza antica) il suo fondamento, la “cerimonia del tè” rappresenta un vertice insuperato. Di per sé, è improprio parlare di “cerimonia del tè”. L’espressione esatta è “via del tè” in cui “via” mantiene il suo pre- V orrei ora fare un breve accenno alla visione teologica che ha sotteso e sottende le scelte di Shinmeizan. Personalmente rifuggo istintivamente da definizioni di scuola che rischiano, a volte, di essere riduttive di realtà complesse e articolate. Dirò semplicemente che i punti di riferimento costanti – senza peraltro passare sotto silenzio i numerosi stimoli ricevuti dalla teologia delle religioni di questi ultimi decenni – sono stati gli insegnamenti del Concilio Vaticano II; le grandi intuizioni di Paolo VI sul “dialogo della salvezza” espresse nell’Ecclesiam suam, il magistero di Giovanni Paolo II e i suoi gesti altamente simbolici come l’incontro interreligioso di Assisi del 1986. Per quanto riguarda gli insegnamenti del Vaticano II, vorrei sottolineare soprattutto due aspetti a cui non sembra venir sempre data la dovuta importanza: la preminenza dell’approccio a posteriori, molto concreto, al fenomeno religioso umano nella sua pluralità e specificità e la menzione dei “limiti, errori e parte di tenebra presenti nelle tradizioni religiose dell’umanità”. Per quanto riguarda il primo punto, mi sembra importante ricordare che il Concilio non parla di religioni in modo generico e aprioristico, ma si rivolge ad esse chiamandole per nome: Giudaismo, Islam, Induismo, Buddhismo e sollecitando un rapporto individualizzato con ciascuna di esse. Ora, mi sembra che una teologia delle religioni che voglia tener conto di quest’orientamento dovrebbe partire più esplicitamente dalla singolarità di ogni tradizione religiosa, come già auspicava Mons. Rossano nel 1975 (cfr. P. ROSSANO, Il problema teologico delle Religioni, Paoline, Catania 1975, p. 5). Del resto il cammino di questi ultimi decenni ha rivelato come, ai fini di un vero dialogo, siano più importanti le divergenze che le convergenze. Far partire la riflessione teologica da un concetto generale di “religione” che tende ad omologare fenomeni analoghi ma non uguali, lungi dal favorire il dialogo rischia di ridurlo a ideologia. In Giappone ho potuto constatare quanto sia importante questo “approccio a posteriori”, non solo in rapporto alle evidenti differenze tra Shintoismo e Buddhismo, ma addirittura in rapporto alle profonde diversità che esistono tra le Scuole buddhiste. Per quanto riguarda il secondo punto, ossia il richiamo che il Concilio fa ai possibili limiti, errori e parte di tenebra che sono presenti nelle varie tradizioni, esso non solo trova conferma nel contatto reale, concreto, storico con queste realtà, ma provoca la riflessione teologica ad un processo di discernimento e di confronto che ha ancora molta strada da fare. Quanto alle intuizioni di Paolo VI sulla natura e le caratteristiche del “dialogo della salvezza”, vorrei richiamare soprattutto l’affermazione secondo cui “l’origine trascendente” di tale dialogo si trova “nell’intenzione stessa di Dio” e quella secondo cui il “dialogo della salvezza” obbedisce a “esigenze sperimentali, deve scegliere i mezzi propizi, non deve legarsi a vani apriorismi, non deve fissarsi in espressioni immobili” (ES 88). Con tali affermazioni, Paolo VI non so- buone pratiche di dialogo La visione teologica lo pone il dialogo al riparo da ogni riduzione puramente antropologica ma gli fissa dei criteri e delle condizioni davvero qualificanti. Oserei dire che proprio queste indicazioni ci hanno aiutato a concepire il dialogo come “diaconia alla verità”, per usare la bella espressione di Fides et ratio; di un servizio sincero e disinteressato a quella Verità che è pur sempre il cuore di ogni autentica ricerca religiosa. E servire la Verità implica la disponibilità a riconoscere il bene là dove esso è presente; la capacità di godere dell’opera dello Spirito ovunque si manifesti; l’umiltà di riconoscersi parte di un disegno che ci supera e ci trascende e che, a volte ci confonde, ma anche la capacità di discernere e di prendere le distanze da tutto ciò che è “ombra” o “tenebra”. È ancora questa “diaconia” che rende il dialogo molto concreto e molto personalizzato; che lo sottrae all’apriorismo e ad ogni tentazione ideologica, che permette di stabilire rapporti di stima, amicizia, collaborazione, sulla base di un’identità religiosa esplicita e dichiarata, che rifugge da ogni tipo di dissimulazione o reticenza. Particolarmente preziosi per noi sono stati anche l’enciclica Redem- ptoris missio di Giovanni Paolo II e il documento Dialogo e Annuncio del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso che pongono in esplicito e dinamico rapporto il dialogo e l’annuncio riconoscendoli come parte essenziale dell’unica missione della Chiesa. Come Dialogo e Annuncio attesta (n. 41) e come anche la nostra esperienza ci ha insegnato, l’ascolto e il reciproco arricchimento non escludono l’esplicita testimonianza della propria fede né la possibilità di una rinnovata conversione alla verità conosciuta. Per un cristiano, ciò implica la possibilità concreta di parlare di Cristo e annunziare il suo Vangelo all’altro come atto supremo di dialogo e di comunicazione. Con questi cenni non ho certo inteso passare sotto silenzio le problematiche che attraversano la teologia delle religioni e del dialogo. Ho solo inteso dar ragione di alcune scelte concrete maturate in questi vent’anni di attività interreligiosa in Giappone. L’insegnamento ufficiale della Chiesa si è dimostrato capace di darci importanti elementi ispiratori e potenti stimoli per una prassi del dialogo interreligioso coerente con l’identità cristiana e rispettosa delle singolarità dei nostri partner. Nel cammino di ascesa a questa alta montagna siamo ancora nel fondovalle. Occorre l’umiltà e la pazienza di fare un passo alla volta tenendo fissi gli occhi alla meta. MARIA A. DE GIORGI Missione Oggi | agosto-settembre 2009 13 buone pratiche di dialogo Vi sono numerosi indizi che rivelano la stretta relazione che nel XVI-XVII secolo ci fu tra il Cristianesimo in Giappone e il mondo del tè Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1946). Gli studiosi mettono in evidenza anche l’influsso che la liturgia cristiana esercitò su Sen no Rikyu (1522-1591), il grande maestro del XVI secolo che codificò la cerimonia del tè portandola alla sua massima raffinatezza. Per la sua intrinseca “religiosità”, inoltre, tale “via” è tenuta in grande considerazione sia nella tradizione buddhista che in quella shintoista e cristiana, come pure in ambienti non specificamente religiosi. gnante significato religioso di “cammino interiore”, di ascesi, di superamento di sé, di orientamento verso una meta. Valori tipici della “via del tè” sono wa, kei, sei, jaku. Elemento unificante: ichigo ichie, l’acuta consapevolezza dell’attimo fuggente, irripetibile, unico. Sono questi gli atteggiamenti interiori che deve perseguire colui che percorre la “via del tè”. È stato questo ricco patrimonio spirituale ad ispirare un processo di inculturazione della celebrazione eucaristica. Seguendo le indicazioni dell’episcopato locale per la celebrazione eucaristica in ambienti giapponesi tradizionali, P. Sottocornola che è anche membro della Commissione Liturgica Nazionale, ha avviato uno stile di celebrazione che attinge alla spiritualità della “via del tè” che, per la sua connaturalità evangelica, parla un linguaggio simbolico immediatamente comprensibile al giapponese. Numerose sono, infatti, le affinità rituali e le potenzialità di dialogo interculturale e interreligioso tra la “via del tè” e la celebrazione eucaristica. Vi sono numerosi indizi che rivelano la stretta relazione che nel XVI-XVII secolo ci fu tra il Cristianesimo in Giappone e il mondo del tè. Lo provano varie lettere di missionari gesuiti del XVI-XVII secolo, ma soprattutto il Cerimoniale per i missionari del Giappone, scritto da Alessandro Valignano (cfr. A. VALIGNANO, Il Cerimoniale per i missionari del Giappone, ACCOGLIENZA È questo ambiente naturale e questo stile di vita che la piccola comunità di Shinmeizan (in tutti questi anni sono stati abitualmente cinque i membri della comunità formata da religiosi e religiose di diverse congregazioni e, temporaneamente, anche da alcuni laici) condivide con i numerosi ospiti. La media annuale è di circa un migliaio di visitatori, di cui oltre un centinaio si fermano per alcuni giorni, settimane o anche mesi.Oltre all’accoglienza degli ospiti – cattolici, protestanti, buddhisti o membri di altre organizzazioni religiose – che vengono occasionalmente, vi sono momenti organizzati: ritiri mensili, giornate di preghiera o di studio (“Il mistero della croce e lo Zen”; “la via del tè e la celebrazione eucaristica”); corsi e MARIA A. DE GIORGI seminari. CSAM Soc. coop a r.l. - BILANCIO D'ESERCIZIO AL 31.12.2008 in forma abbreviata ex art. 2435 bis C.C. STATO PATRI MONIALE ATTIVO 31.12.2008 A) CREDITI V/SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI: I. non richiamati II. richiamati TOTALE A) B) IMMOBILIZZAZIONI: I. immobilizzazioni immateriali 33.167 meno fondi di ammortamento 27.647 immobilizzazioni immateriali nette 5.520 II. immobilizzazioni materiali 656.706 meno fondi di ammortamento 609.949 immobilizzazioni materiali nette 46.756 III. immobilizzazioni finanziarie 5.165 TOTALE B) 57.441 C) ATTIVO CIRCOLANTE: I. rimanenze 554.878 II. crediti 440.339 di cui esigibili oltre l'esercizio successivo III. attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni IV. disponibilità liquide 96.935 TOTALE C) 1.092.152 D) RATEI E RISCONTI ATTIVI 1.063 TOTALE PATRIMONIALE ATTIVO 1.150.656 PA SSIVO A) PATRIMONIO NETTO: I. capitale sociale II. riserve da sovrapprezzo azioni III. riserve da rivalutazione IV. riserva legale V. riserva per azioni proprie in portafoglio VI. riserve statutarie VII. altre riserve VIII. utili (perdite) portate a nuovo IX: utile (perdita) dell'esercizio TOTALE A) B) FONDI PER RISCHI ED ONERI 14 31.12.2008 300 467.026 16.286 483.612 80.319 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 31.12.200 7 - 33.167 24.887 8.280 777.843 715.788 62.054 5.165 75.499 431.696 464.447 174.313 1.070.456 1.275 1.147.231 31.12.2007 300 482.730 -15.704 467.325 80.275 C) TRATT. DI FINE RAPPORTO LAVORO SUBORDINATO D) DEBITI di cui esigibili oltre l'esercizio successivo E) RATEI E RISCONTI PASSIVI TOTALE PATRIMONIALE PASSIVO CONTI D'ORDINE: conto garanzie ricevute conto garanzie prestate conto contributi decretati Enti ns. favore merci nostre presso terzi TOTALE CONTI D’ORDINE 111.562 467.114 157.595 8.049 1.150.656 - 31.12.2008 CONTO ECONOM ICO A) VALORE DELLA PRODUZIONE: 1. RICAVI DELLE VENDITE E DELLE PRESTAZIONI 1.215.022 2. VARIAZ. RIM. PRODOTTI IN CORSO DI LAV., SEMILAVORATI, FINITI 3. VARIAZIONE DEI LAVORI IN CORSO SU ORDINAZIONE 4. INCREMENTI DI IMMOBILIZZAZIONI PER LAVORI INTERNI 5. ALTRI RICAVI E PROVENTI 181.456 di cui contributi in c/esercizio TOTALE A) 1.396.478 B) COSTI DELLA PRODUZIONE: 6. PER MATERIE PRIME, SUSS., CONSUMO, MERCI 487.216 7. PER SERVIZI 589.703 8. PER GODIMENTO BENI DI TERZI 9. PER IL PERSONALE 315.086 9a) stipendi 247.548 9b) oneri sociali 53.202 9c) trattamento di fine rapporto 14.336 9d) trattamento di quiescenza 9e) altri costi 10. AMMORTAMENTI E SVALUTAZIONI 23.941 10a) ammortamento immobilizz. immateriali 2.760 10b) ammortamento immobilizz. materiali 21.181 10c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni 10d) svalutaz. crediti compresi nell'attivo circ. e disp. liquide - 108.563 479.640 47.595 11.428 1.147.231 - 31.12.2007 1.259.014 - - 198.430 1.457.444 449.498 643.764 318.813 247.201 51.545 18.002 2.064 29.437 6.393 23.044 - 11. VARIAZ. RIMAN. MAT. PRIME, SUSS., CONSUMO E MERCI -123.182 12. ACCANTONAMENTI PER RISCHI 12.473 13. ALTRI ACCANTONAMENTI 14. ONERI DIVERSI DI GESTIONE 54.698 TOTALE B) 1.359.935 DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZ. (A-B) 36.543 -58.398 45.713 1.428.827 28.618 1.624 1.624 2.099 -475 2.756 2.756 2.472 283 - - 9.240 520 8.720 19.498 23.396 -3.898 28.502 16.286 16.286 40.707 -15.704 -15.704 C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI: 15. PROVENTI DA PARTECIPAZIONI 16. ALTRI PROVENTI FINANZIARI 16a) da crediti immobilizzati 16b) da titoli immobilizzati 16c) da titoli iscritti nell'attivo circolante 16d) proventi finanziari diversi dai precedenti 17. INTERESSI PASSIVI E ALTRI ONERI FINANZIARI TOTALE C) (15+16-17) D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA’ FINANZIARIE: 18. RIVALUTAZIONI 18a) di partecipazioni 18b) di immobilizzazioni finanziarie 18c) di titoli iscritti nell'attivo circolante 19. SVALUTAZIONI 19a) di partecipazioni 19b) di immobilizzazioni finanziarie 19c) di titoli iscritti nell'attivo circolante TOTALE D) (18-19) E) PROVENTI ED ONERI STRAORDINARI: 20. PROVENTI 21. ONERI TOTALE E) (20-21) RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE (A-B+/-C+/-D+/-E) 22. IMPOSTE SUL REDDITO DELL'ESERCIZIO 23. RISULTATO DELL'ESERCIZIO 23. UTILE (PERDITA) DELL'ESERCIZIO 44.788 25.003 al dialogo interreligioso Per una formazione MI PERMETTO DI SUGGERIRVI ALCUNI ELEMENTI PER UNA FORMAZIONE AL DIALOGO INTERRELI- GIOSO, NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE LA FORMAZIONE AL DIALOGO È UN PROCESSO SENZA FINE. ATTEGGIAMENTI DI MENTE E DI CUORE A nzitutto è bene ricordare la definizione di “dialogo” che troviamo nei documenti della Chiesa, a partire dall’enciclica di Paolo VI, Ecclesiam suam (1964). Il documento del Segreta- formazione al dialogo Michael Louis Fitzgerald, dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi), è nato nel 1937 vicino a Birmingham (Gran Bretagna) da genitori irlandesi. Dal 1987 al 2002 è stato Segretario generale del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Nel 2002 è stato nominato suo Presidente e arcivescovo. Ha ricoperto l’incarico fino al 2006, quando è stato nominato Nunzio apostolico nella Repubblica Araba d’Egitto e Delegato della Santa Sede presso l’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi. La sua area di specializzazione sono le relazioni cristiano-musulmane. Ha insegnato in Uganda e in Sudan, e al PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica), di cui è stato anche direttore. I suoi due ultimi libri in italiano: Dio sogna l’unità. I cattolici e le religioni, Città Nuova, Roma 2007; Dialogo interreligioso. Il punto di vista cattolico, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007. riato per i non cristiani (ora Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso), L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni: riflessioni e orientamenti su dialogo e missione (1984) recita: “[Il vocabolo dialogo indica] non solo il colloquio, ma anche l’insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento” (DM 3). Un ulteriore documento, Dialogo e annuncio (1991), aggiunge due altri elementi: “nell’obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà” (DA 9). Da questa definizione Missione Oggi | agosto-settembre 2009 15 formazione al dialogo Se un Istituto missionario è di carattere internazionale, la formazione insieme di candidati di diverse nazionalità e culture costituisce di per se stessa una preparazione al dialogo. Mons. Fitzgerald in una pausa dei lavori del convegno, nella Chiesa di S. Cristo (Bs). 16 possiamo trarre la conclusione che il dialogo non richiede solo una capacità intellettuale ma anche doti di cuore. Il primo atteggiamento richiesto è una sana curiosità. Aristotele diceva che la curiosità è il principio della scienza. Se attorno a noi vivono persone che seguono un’altra religione, è normale (anche se non sempre capita così) voler sapere qualche cosa di loro e della loro religione. Certo, possiamo leggere libri sulla religione in questione, porre delle domande a questi nostri vicini diversi: come praticate la vostra religione, quali sono i momenti importanti, le feste, come pregate? Le domande sono quasi infinite. È importante che non siano aggressive, dei pretesti per criticare, ma genuine, ossia provenienti da un serio desiderio di sapere e capire. In buona sostanza, per iniziare un dialogo ci vuole un atteggiamento aperto ai valori dell’altra religione, capace di cogliere un’altra logica. Man mano che si approfondisce la conoscenza dell’altro e del suo background, sarà più facile Missione Oggi | agosto-settembre 2009 comprendere il suo modo di agire e la simpatia crescerà. Sì, anche la simpatia è un ingrediente essenziale per un dialogo proficuo. Anzi, si potrebbe parlare di empatia, la capacità cioè di vedere le cose dal punto di visto dell’altro. È interessante constatare come, dopo un tentativo di questo genere, le nostre posizioni si modificano. Vorrei citare di nuovo Dialogo e annuncio: “Il dialogo richiede un atteggiamento equilibrato sia da parte dei cristiani sia da parte dei seguaci delle altre tradizioni. Essi non dovrebbero essere né troppo ingenui, né ipercritici, bensì aperti e accoglienti. Si è già fatta menzione del disinteresse e dell’imparzialità, così come l’accettazione delle differenze, nonché delle possibili contraddizioni. Le altre disposizioni richieste sono la volontà d’impegnarsi insieme a servizio della verità e la prontezza a lasciarsi trasformare dall’incontro” (DA 47). Come sviluppare questi atteggiamenti? Quale formazione offrire a quelli che vogliono impegnarsi nel dialogo interreligioso? Mi sembra che noi missionari abbiamo qui un vantaggio. Normalmente siamo inviati in una parte del mondo dove la cultura è diversa dalla nostra. Cominciamo con l’apprendimento della lingua, chiave di comprensione della cultura. Sappiamo che anche qui la curiosità ci aiuta, la volontà d’imparare non solo parole che sarebbero più o meno equivalenti alle parole della nostra lingua, ma anche la struttura della lingua, la sua logica interna, che può aprirci ad un’altra visione del mondo. Sappiamo inoltre quanta umiltà ci vuole nella pratica di un’altra lingua, facendo lo sforzo di balbettare qualche frase, lasciandosi correggere dagli altri. Mi hanno parlato recentemente di due religiosi che imparavano una nuova lingua: uno di loro rimaneva tutta la giornata davanti al suo computer, l’altro usciva per strada cercando di parlare con tutti. Quale dei due, a vostro parere, sarà più dotato per il dialogo? Lascio a voi indovinare. Se un Istituto missionario è di carattere internazionale, la formazione insieme di candidati di diverse nazionalità e culture costituisce di per se stessa una preparazione al dialogo. Nel mio Istituto, dopo la prima fase degli studi (filosofici), che quando è possibile avviene nel paese d’origine, e dopo l’anno cosiddetto “spirituale” (noviziato) a livello internazionale in Africa, i candidati hanno due anni di stage (esperienza apostolica), per cominciare ad imparare un’altra lingua, studiare un’altra società, LA CONOSCENZA DELLE ALTRE RELIGIONI Sono convinto che per sviluppare un vero dialogo con persone di altre religioni, le doti di cuore sono le più importanti: curiosità, simpatia, capacità di costruire rapporti di vera amicizia. Un chiaro esempio di questo atteggiamento è S. Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, che pur non essendo intellettualmente un genio, aveva un grande cuore pastorale ossia il dono di condurre le persone a Dio. In ogni modo, lo studio delle religioni rimane importante. Ci dà una certa sicurezza. Ci aiuta ad evitare errori grossolani nella conversazione e nel comportamento con gli altri. Lo studio delle religioni può farsi tramite corsi appropriati, specializzati. È importante adattare il contenuto dei corsi alle diverse fasi della formazione missionaria, perché talvolta ciò che viene offerto ai candidati sono le solite introduzioni di base, che stancano gli studenti e non li interessano. Quelli che hanno già un’esperienza d’incontro con persone di altre religioni hanno bisogno di studi più approfonditi. Un libretto, a cura del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso indica una possibile progressione dei corsi sul dialogo in generale, sull’Islam e sulle Religioni Tradizionali Africane. Se un candidato ha già cominciato ad imparare una lingua legata ad una religione particolare, arabo per l’Islam, hindi o sanscrito per l’Induismo, mandarino per il Confucianesimo, sarebbe bene dargli la possibilità di continuare lo studio di questa lingua per non essere obbligato più tardi a ricominciare da capo. È evidente che lo studio personale deve essere incoraggiato. Può prendere la forma di letture di libri e di articoli, ma molto utile è anche l’osservazione personale. Durante la formazione pastorale dei candidati è possibile chiedere loro un’inchiesta sulla società in cui vivono, compreso l’aspetto religioso. Lo studio teorico e l’osservazione pratica dovrebbero andare di pari passo. “A little knowledge is a dangerous thing” (Una scarsa conoscenza è una cosa pericolosa). È bene ricordare che possiamo sapere molto di una religione, ma se non aderiamo a quella religione ci manca sempre qualche aspetto. Dobbiamo sapere di non sapere. Infatti, quando ci sentiamo “esperti” di una religione, corriamo il pericolo di giudicarne i seguaci secondo la loro conformità o meno all’ideale che noi abbiamo studiato. È necessario distinguere tra i principi di una religione (la teoria) e l’applicazione (la prassi). Non tocca a noi giudicare le persone, ma di accoglierle come sono. Lo studio ha comunque il vantaggio di farci capire meglio l’aspetto religioso della società in questione. Ci insegna a distinguere i diversi gruppi (le scuole del Buddhismo o i movimenti sufi, per esempio); ci rende più avvertiti sugli influssi esterni, perché siamo capaci de leggerne i segni. formazione al dialogo entrare in contatto con la popolazione, spesso con i giovani, e così iniziarsi in modo pratico al dialogo interreligioso. È necessario distinguere tra i principi di una religione (la teoria) e l’applicazione (la prassi). Non tocca a noi giudicare le persone, ma di accoglierle come sono Da sinistra: Don Piero Lanzi, Lydia Keklikian e don Flavio Dalla Vecchia, del Gruppo Redazionale di MO, in una pausa del convegno, nel chiostro di S. Cristo (Bs). RIFLESSIONE CRISTIANA È necessario accompagnare lo studio delle religioni e l’incontro con i rispettivi seguaci con una riflessione sulla nostra fede. Ci aiutano in questa riflessione, in primo luogo i documenti della Chiesa, quelli del Concilio Vaticano II (Lumen gentium, Gaudium et spes, Ad gentes, Nostra aetate, Dignitatis humanae), le ultime encicliche dei Papi, ma anche l’insegnamento occasionale di questi ultimi. Il discorso di Giovanni Paolo II ai giovani musulmani di Casablanca, nel 1985, è un modello di dialogo della fede cristiana con i musulmani. I discorsi di Giovanni Paolo II del 27 ottobre 1986 ad Assisi, Giornata di preghiera per la pace nel mondo, e la riflessione fatta dallo stesso Papa sull’evento, davanti alla Curia Romana, il 22 dicembre 1986, propongono altrettanti elementi importanti della teologia che sostiene l’incontro interreligioso. Molti altri testi meriterebbero la nostra attenzione. Perfino le ripeti- PER SAPERNE DI PIU’ Michael L. Fitzgerald, Dialogo interreligioso. Il punto di vista cattolico, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007 presso: [email protected] Missione Oggi | agosto-settembre 2009 17 formazione al dialogo zioni di un testo in un altro dimostrano ciò che è considerato importante. Vanno considerati anche i documenti dei diversi dicasteri romani e quelli della Commissione Teologica Internazionale. Il libro a cura di Mons. Francesco Gioia, Dialogo Interreligioso nell’insegnamento ufficiale della Chiesa Cattolica dal Concilio Vaticano II a Giovanni Paolo II, è di grande utilità come fonte per la maggior parte dei testi. L’incontro interreligioso, sia esso teorico o personale, presenta delle sfide per la fede cristiana. Possiamo pensare al Buddhismo, che generalmente non dà alcun posto a Dio e alla Credo che la riflessione ci aiuterà a purificare la nostra fede e ad apprezzare il dono meraviglioso che Dio fa di se stesso, specialmente nel mistero dell’incarnazione. Mons. Fitzgerald e il prof. Brunetto Salvarani (direttore di CEM Mondialità), moderatore della prima parte del Convegno. 18 creazione; all’Induismo, che rifiuta il carattere unico dell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo; all’Islam, che assolutamente rifiuta la possibilità dell’incarnazione. Credo che la riflessione ci aiuterà a purificare la nostra fede e ad apprezzare il dono meraviglioso che Dio fa di se stesso, specialmente nel mistero dell’incarnazione. Come dare una formazione in questo campo così complesso delle diverse identità religiose? Si possono evidentemente proporre dei corsi sull’insegnamento del magistero ecclesiale. Credo però che il modo migliore di proseguire la riflessione teologica sia la ricerca personale. Gli studenti di teologia potrebbero scegliere dei Missione Oggi | agosto-settembre 2009 temi che interessano il dialogo interreligioso per i loro elaborati scritti. In questo caso ci vorrebbero professori in grado di valutare il lavoro fatto e gli studenti dovrebbero disporre di biblioteche adeguate. IL SENSO DELLA CHIESA Mi pare importante insistere sul fatto che il dialogo interreligioso fa parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr. DM 13). Perciò abbiamo bisogno di esperti di dialogo interreligioso, anche se ciò comporta il rischio di delegare ad essi da parte della Chiesa locale la responsabilità del dialogo. Sarebbe bene disporre a livello diocesano o almeno a livello regionale/nazionale di una persona qualificata per guidare gli sforzi nel campo del dialogo. Meglio ancora avere un’equipe, specialmente nel caso di una società multireligiosa. La persona designata dovrebbe aver fatto degli studi appropriati e avere un’esperienza diretta di dialogo. I missionari possono essere chiamati ad un tale ruolo sia in missione, quando le Chiese locali non dispongono di persone disponibili del luogo, sia nei loro paesi d’origine, dove la Chiesa locale li chiama a sfruttare la propria esperienza. Va comunque evitato il rischio di lasciare tutto all’esperto, senza un vero impegno da parte della Chiesa locale. La presenza di una persona, o meglio di un’equipe, che possa occuparsi dei seguaci d’altre religioni, può diventare un alibi. È quindi importante che l’esperto mantenga vivo il legame con la sua comunità di fede, per non agire da solo, anche quando la comunità sembra muoversi lentamente. Ci vuole molta pazienza per trascinare una comunità sulla via del dialogo. L’incaricato diocesano può essere richiesto di rappresentare il vescovo in diverse occasioni, ma dovrebbe sempre informarlo sulle sue attività. UN PROCESSO SENZA FINE La formazione per l’incontro interreligioso non è mai sufficiente. Una buona formazione iniziale permette ai missionari, per esempio, di lanciarsi nell’incontro con una certa dose di sicurezza, ma essi dovranno poi integrare la teoria con una conoscenza precisa della situazione concreta, perché le situazioni non sono mai né identiche né statiche. Si può dire che la formazione al dialogo è un processo senza fine. MICHAEL L. FITZGERALD sogni Ho due LE MIE REAZIONI ALLE RELAZIONI S ono varie le mie reazioni e sollecitazioni circa la formazione al dialogo interreligioso, dopo l’ascolto della sistematica relazione di Mons. Fitzgerald e il racconto di Maria A. De Giorgi. Ve ne propongo alcune, semplici e immediate, nella speranza che sappiate andare oltre, grazie alla vostra esperienza. La prima: Il dialogo interreligioso ha oggi valenza universale e occupa uno spazio internazionale per missionari/e, ma tocca anche lo spazio nazionale e diocesano per preti e laici, qui in Italia, oggi. Mi domando se questa pastorale interreligiosa ha dei denominatori comuni di cui possiamo far tesoro sia in terra di missione che qui. Mi chiedo quali sono le caratteristiche che si evidenziano in terra di missione e quali qui da noi. I paesi da sempre multireligiosi che cosa hanno da offrirci o stiamo forse partendo insieme sulla realtà del dialogo e quindi le esperienze sono da condividere? La seconda: Mi pare che qui in Europa e nel mondo intero (l’ho scoperto nello stesso mondo a maggioranza islamica) stiamo facendo oggi i primi passi verso l’incontro e il dialogo interreligioso. Oserei dire che, prima della Nostra aetate (1964), ci sono stati solo dei pionieri del dialogo. Mi domando, per evitare scoramenti o ingenuità, quali tempi ci vorranno per una fattiva presa di coscienza dell’esigenza dell’incontro-dialogo? Per quali vie lo Spirito ci condurrà, forum di discussione Giampiero Alberti è sacerdote della Diocesi di Milano. Ha studiato al PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica) a Roma, dove ha conseguito il dottorato. Da molti anni è attivo nella promozione e organizzazione di campi di lavoro per volontari in Medio Oriente tramite l’associazione IMO (Impegno Medio Oriente), con la quale contribuisce al sostegno di varie realtà locali. Da oltre due decenni è impegnato a servizio della Diocesi di Milano nel dialogo con i musulmani, con i quali ha costruito un solido rapporto di amicizia e di rispetto reciproco. Attualmente è vice-presidente del CADR (Centro Ambrosiano di Documentazione sulle Religioni), l’organismo della Diocesi di Milano nato su iniziativa del Card. Martini. Nel 2006 è stato tra i fondatori del Forum delle Religioni di Milano, che si propone di tener vivo e allargare un percorso di dialogo e amicizia tra tutte le componenti religiose della città. E’ membro del Comitato scientifico della rivista “Ad Gentes” dell’EMI di Bologna. Ha al suo attivo molti articoli sul tema del dialogo con i musulmani. Il dialogo interreligioso ha oggi valenza universale e occupa uno spazio internazionale per missionari/e, ma tocca anche lo spazio nazionale e diocesano per preti e laici, qui in Italia, oggi Missione Oggi | agosto-settembre 2009 19 forum di discussione Al di là dei sogni, stando con i piedi per terra circa la preparazione e rifacendomi alla mia esperienza sia a livello CCEE-KEK che a livello CEIDiocesi di Milano, ritengo indispensabile la formazione che oserei chiamare “vocazionale” al dialogo interreligioso. I relatori della prima parte del Convegno in dialogo con i partecipanti durante il primo Forum di discussione. 20 dopo tanti studi, riflessioni, esperienze, confronti e scambi di ricchezze? Quando questi confronti e conoscenze avranno davvero il carattere della reciprocità? La terza: C’è grande difficoltà nella comprensione del significato delle parole nelle diverse lingue, specie per termini religiosi, teologici, giuridici. Non è forse necessario che dei veri esperti ci offrano le loro competenze in questo campo? Qualcosa già esiste e si fa, ma non è Ho due sogni. Il primo: creare nelle Facoltà teologiche regionali una sezione interreligiosa, che comprenda i già esistenti studi della storia e spiritualità delle religioni, ma dia anche importanza all’incontro-dialogo tra cristiani e non cristiani. sufficiente. A questi primi interrogativi, che sottendono tante provocazioni, mi permetto di dare una prima semplice risposta. Il primo passo da fare credo sia l’incontro-frequentazione tra persone, tra fratelli, tra fedeli (di fede diversa). Già ci sono molte esperienze anche nelle nostre Diocesi, ma il cammino è ancora lungo. La quarta: “Come realizzare questi incontri?”, mi chiedono spesso i cristiani a cui parlo del dialogo interreligioso. Ci sono già state segnalate alcune modalità: dare la precedenza al cuore, non essere aggressivi, né ingenui né ipercritici. Viste le tante paure che ci bloccano, il problema è come arrivare all’incontro. È meglio incontrarsi con i responsabili delle religioni o con la gente semplice? Il documento Dialogo e annuncio ci offre alcune risposte a livello generale. A livello locale, molto si è fatto con i “centri di ascolto”, le “feste dei popoli”, gli incontri in occasione della rottura del digiuno di Ramadan, i doposcuola per ragazzi, i tè insieme, i tornei di calcio, le visite natalizie alle famiglie, le visite in ospedale, in carcere, la partecipazione a funerali, il ricordo annuale dell’Incontro di Assisi (1986), il Forum delle Religioni in varie città, la diffusione della Lettera dei 138 saggi, gli Il secondo: formare in Italia una “task force” permanente – 10 persone circa – coordinata dalla Cei e le Diocesi, con l’aiuto delle Università e degli Istituti Missionari, per riflettere, proporre e guidare iniziative sul campo islamo-cristiano (lettura continua dell’islam, preparazione “quasi vocazionale” di animatori pastorali, creare sezioni e studi universitari per cristiani e musulmani, portare alla base le cose egregie fatte dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso). Tale gruppo si dovrebbe riunire due volte l’anno per: a) animare due equipe, una per il Centro-nord ed una per il Centro-sud anch’esse invitate a trovarsi almeno una volta l’anno singolarmente; b) organizzare le Giornate ecumeniche del dialogo cristiano-islamico a livello nazionale. Al di là dei sogni, stando con i piedi per terra circa la preparazione e rifacendomi alla mia esperienza sia a livello CCEEKEK che a livello CEI-Diocesi di Milano, ritengo indispensabile la formazione che oserei chiamare “vocazionale” al dialogo interreligioso. In tal senso a Milano opera anche il CADR (Centro di Documentazione per le Religioni), e al suo interno un Consultorio interetnico; sono state istituite anche le SDOP (Scuole Diocesane per Operatori Pastorali), per preparare operatori per GIAMPIERO ALBERTI questo incontro-dialogo. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 incontri tra imam e preti. Bisogna continuare con passione! HO DUE SOGNI Forum FORMAZIONE NEI SEMINARI Domanda > Aldo Giannasi (missionario d’Africa): Nelle mie visite ai seminari della Campania, Puglia e Basilicata, per conto della PUM (Pontificia Unione Missionaria), ho incontrato circa 80-90 seminaristi, ai quali ho chiesto se avevano incontrato o no degli immigrati e, più specificamente, dei musulmani. Risposta: quasi nessuno. Tuttavia ho notato che tutti sentivano l’incontro come un’esigenza profonda del loro ministero. Chiedo perciò a don Giampiero se non si potrebbe fare di più nei seminari a livello formativo, pastorale. Domanda > Stefano Berton (missionario saveriano): Anch’io giro i seminari per conto della PUM. Ho sentito don Giampiero proporre varie soluzioni. Ho constatato che il corso di missiologia è presente in pochi seminari e che i seminaristi non ricevono una “dimensione missionaria” dalle varie discipline. Come si potrebbe allargare la formazione missionaria nei seminari? Risposta > Giampiero Alberti: In Lombardia abbiamo tentato qualcosa, ma non siamo ancora riusciti a coordinarci efficacemente. Già dieci anni fa il rettore del seminario di Milano mi obbiettava che la missiologia era inserita in altri modi nei programmi di studio. Oggi constato che si sono aperti spazi più vasti nei seminari: ogni due anni mi chiamano per un corso di tre-quattro giorni, non tanto sull’islam, che i seminaristi già conoscono, quanto sulla pastorale e sui documenti della Chiesa in merito. Sono questi aspetti pastorali ad accendere il cuore dei seminaristi e dei giovani sacerdoti. Per ora non c’è granché, ma qualcosa si muove. Risposta > Mons. Fitzgerald: Don Giampiero ha parlato di “sogni”. Io ho sempre sognato la formazione permanente dei professori dei seminari. I biblisti potrebbero fare qualcosa sul rapporto tra Bibbia e altre religioni, ad esempio sul tema della rivelazione. È importante aiutare i professori ad avere questa dimensione nel loro insegnamento ordinario. I canonisti italiani l’hanno fatto, dedicando una sessione di studio al diritto islamico. IMPEGNO DELLA CHIESA ITALIANA CON I MUSULMANI Domanda > Giuliano Vallotto (sacerdote di Treviso): Mi occupo di rapporti tra cristiani e musulmani nella diocesi (di Treviso). Devo notare che spesso il mondo missionario ha un atteggiamento negativo e contrario. Mi riferisco in particolare ai missionari reduci dall’Africa subsahariana. Al massimo si parla delle altre religioni all’interno della teoria del “compimento”, cioè come preparazione al cristianesimo. Per quanto riguarda la “task force”, sono contrario; piuttosto valorizzerei e metterei in rete tutte le iniziative già esistenti. Sono, infatti, convinto che esistano molte più iniziative, tra la gente, di quante se ne conoscano. Risposta > Giampiero Alberti: Per “task force” non intendo un gruppo di soli esperti, immagino piuttosto un coinvolgimento di tutti coloro che sono impegnati nel dialogo interreligioso. Naturalmente qualcuno di competente e capace deve esserci, altrimenti rischiamo di condannarci a tante buone intenzioni, senza arrivare al dunque nell’azione. Ecco perché ho parlato di “task force” iniziale. Stiamo lavorando perché le nostre Facoltà teologiche prendano coscienza del problema e inseriscano questi corsi, senza aspettare troppo. A Milano ho proposto un corso per la formazione di imam, cosa che avviene già in altri paesi europei, come la Francia. Quindi, corsi teologici aperti ai muMissione Oggi | agosto-settembre 2009 21 FORUM DI DISCUSSIONE sulmani nelle nostre Facoltà, con la possibilità di rilasciare dei diplomi. A Milano sono proprio i giovani musulmani a chiederlo. Dico questo anche perché esiste il rischio concreto che tra i musulmani qualcuno si autoproclami imam senza aver frequentato un corso che dia garanzie di serietà, facendo crescere la confusione e autolegittimandosi come rappresentante dell’islam, mentre in realtà non rappresenta nessuno. Si verificherebbe così una situazione molto pericolosa. Commento > Sr. Gianlivia (già missionaria in Africa): Sono stata missionaria per 33 anni tra Burundi, Congo RD e Camerun. Ciò che Don Giuliano Vallotto ha detto mi ha stupito un po’. Ci possono, sì, essere dei missionari che, una volta rientrati, fanno molta fatica a riadattarsi e a comprendere il fenomeno dell’immigrazione in tutti i suoi aspetti, l’appartenenza religiosa compresa. Anch’io, rientrata dalla missione, ho fatto fatica ad inquadrare il fenomeno dell’immigrazione, in particolare le persone provenienti da paesi musulmani, ciononostante ho deciso di dedicarmi a questo. Ora mi occupo esclusivamente di migranti in una parrocchia della periferia di Brescia. Penso che ci sia una grande confusione e impreparazione davanti a questo fenomeno. SIGNIFICATO DI “DIALOGO INTERRELIGIOSO” Domanda > Teresa Benedini: Con soddisfazione ho sentito affermare che l’essere cristiani è inscindibile dal dialogo e che l’esigenza del dialogo nasce proprio dalla consapevolezza del nostro essere cristiani. Secondo me, l’attuale situazione della Chiesa italiana, e di quella bresciana in particolare, è di chiusura nei confronti del dialogo. Credo che si tratti anzitutto di una questione di buona volontà pastorale, ma questo non dipende forse dal fatto che non siamo cristiani nel profondo? Risposta > Maria A. De Giorgi: Rispondo “trasversalmente” ad alcune domande sul significato della parola “dialogo”. Che senso ha? Che cosa significa? C’è una grande ambiguità intorno a questo termine, che non vuol dire “compromesso”. Per me il dialogo nasce da una sovrabbondanza d’amore e dal suo radicamento nel comandamento massimo del cristianesimo, “ama il prossimo tuo come te stesso”. Gesù non fa discriminazioni, ma ci dice “ama l’altro così com’è e dov’è”, cercando di conoscerlo e di offrirgli la testimonianza d’amore che viene dalla tua fede in Gesù Cristo, fino a dare la tua vita per lui. Dal punto di vista cristiano il dialogo sta tutto qui. 22 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE A SCUOLA Domanda > Liliana (insegnante di Religione Cattolica): Dando per scontato che a scuola non si fa catechesi, ma cultura religiosa, è possibile conciliare l’insegnamento della religione cattolica a bambini e ragazzi rispettando le altre tradizioni religiose, cui molti di loro ormai appartengono? Risposta > Giampiero Alberti: Per quanto riguarda la scuola, c’è un’esperienza che sto portando avanti, andando nelle elementari e nelle medie a parlare delle altre religioni, coinvolgendo proprio i ragazzi appartenenti ad altre tradizioni religiose. Invito spesso i genitori musulmani a parlare nelle scuole insieme a me. In questo modo nasce quell’amicizia di cui si è parlato, per arrivare a fare un secondo passo, quello dell’approfondimento della conoscenza dell’altro. Risposta – Mons. Fitzgerald: Per quanto riguarda l’insegnamento della religione a scuola, vorrei citare la mia esperienza personale. Prima di entrare in seminario, ho frequentato una scuola protestante ed ero dunque escluso da ogni corso di religione, così avevo un catechista che veniva a casa mia per la catechesi cattolica. Sono dell’idea che la catechesi non sia compito della scuola, ma della famiglia e della parrocchia. Capisco però che le famiglie, quando scelgono una scuola cattolica per i loro figli (mi riferisco alla Gran Bretagna), si aspettino che essi abbiano una formazione alla fede, sicché scaricano sulla scuola cattolica questo compito. Ma ta- le responsabilità resta dei genitori e della parrocchia. Vedo la scuola più come un luogo di cultura, in cui s’insegnano le religioni, compreso il cristianesimo. Spesso, infatti, la tentazione dei nostri insegnanti è di parlare di tutte le religioni, meno del cristianesimo. Si deve invece parlare anche del cristianesimo, dal punto di vista culturale ovvero del suo influsso sulla realtà di un Paese (come l’Italia, per esempio). LA TEORIA DEL “COMPIMENTO” Risposta > Maria A. De Giorgi: Rispondo al don Giuliano Vallotto che ha sollevato la questione della teoria del “compimento”. Rispetto a quanto ha affermato, devo ricordare che il punto di riferimento non sono io, cristiano/a, e nemmeno un certo tipo di cristianesimo storico, né la Chiesa istituzionale, il compimento è Cristo. Cristo è di Dio, non è nostro. In questo senso, un conto è il mistero di Cristo nella sua pienezza, che è dono di Dio per tutti, un altro la comprensione che ne abbiamo. A volte l’identificazione indebita che facciamo tra il mistero che ci supera e trascende e la comprensione che ne abbiamo crea problema. Di fronte al mistero di Cristo tutti siamo interpellati, anche noi che ci diciamo cristiani. Quindi, dire che Cristo è il compimento di tutto, dal punto di vista cristiano non è ridurre l’altro a me o alla comprensione che ho di questo mistero, ma rimandarlo al mistero di Cristo, che poi è il mistero di Dio, perché Cristo è di Dio. Risposta > Mons. Fitzgerald: Per quanto riguarda il “compimento”, sono d’accordo con quanto ha detto Maria A. De Giorgi. Il nostro compito di teologi è di discernere nello Spirito i valori delle altre religioni, valori che aiutano le persone ad entrare nel mistero di Cristo. Non dico agli appartenenti ad altre tradizioni religiose di convertirsi al cristianesimo, ma di partecipare al mistero di Cristo, al mistero pasquale. Mi riferisco alla Gaudium et spes (n. 22), dove è detto che lo Spirito dà la possibilità a tutti, in modi che solo Dio conosce, di partecipare al mistero pasquale. Ma che cosa significa “mistero pasquale”? È la morte di se stessi per vivere per gli altri. Questo non si può fare senza la grazia di Dio, e la grazia viene da Cristo. Questo è quello che ci dice la nostra fede. Ci sono elementi nelle altre religioni (ad esempio, la preghiera, il digiuno, ecc.) che aiutano le persone a vivere questo mistero pasquale anche senza riferimento a Cristo. Mi sembra che sia questo che noi dobbiamo saper vedere. Non dobbiamo aspettare che gli altri accettino la nostra fede e nemmeno sacrificare la nostra fede (e teologia) per essere accettati dagli altri: questo comportamento non appartiene alla teologia cattolica. Possiamo vedere le altre religioni in maniera positiva, non come vie di salvezza indipendenti da Cristo e nemmeno come una semplice “preparazione” a Cristo, ma come un modo vivo e creativo per giungere a Cristo, anche senza conoscerlo. A CURA DI FEDERICO TAGLIAFERRI P. Mario Menin, direttore di Missione Oggi, introduce i lavori del Convegno. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 23 buone pratiche di dialogo Ruggero Cavani, sposato con Luisa, ha quattro figlie. Impiegato ai Servizi Sociali del Comune di Fiorano (Mo), dal 1978 al 1984 ha svolto, insieme ad un gruppo denominato “Il Senape”, un lavoro di educazione di strada in un quartiere nel quale vivevano nuclei famigliari con problemi sociali. È impegnato, insieme alla moglie, sia all’interno della comunità parrocchiale di Fiorano, dove svolge un’azione di formazione nei confronti di un gruppo di sposi, sia nell’associazione “Piccola Famiglia delle Figlie e dei Figli di Maria”, legata alla comunità di Don Giuseppe Dossetti di Monteveglio, che svolge attività di accoglienza di ragazze madri che hanno subito violenza. Collabora con l’associazione “Terra, Pace e Libertà” ad un progetto nello Swaziland a favore di bambini e ragazzi orfani. Insieme alla moglie porta avanti progetti nel campo degli affidi e delle adozioni. È co-fondatore dell’esperienza di dialogo interreligioso “Camminare Insieme”. Ha contribuito alla nascita del Forum Giovani-Korova, movimento che nel “distretto della ceramica” modenese elabora progetti culturali, educativi e di carattere sociale. Dal 2005 è presente al “Tavolo diocesano cattolico-islamico” di Modena. Camminare insieme Cristiani e musulmani P a Fiorano e Sassuolo er preparare questo intervento abbiamo ripercorso il cammino fatto insieme, come gruppo “Camminare insieme”, ripensando le ragioni del nostro incontrarci e i motivi che ci fanno continuare insieme. Dobbiamo ringraziare il Signore per i tanti doni che ci ha fatto. In questi quasi dieci anni di vita possiamo dire che il Signore ci ha tenuti per mano e ci ha fatto fare cose che nel 2000 sembravano impensabili. Già nell’aprile del 1997 Papa Giovanni Paolo II diceva: “La Chiesa guarda con stima ai musulmani che, lo ricorda anche il Concilio Vaticano II, adorano l’unico Dio, vivente e sussi24 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 stente, misericordioso ed onnipotente, creatore del cielo e della terra che ha parlato agli uomini”. E continuava: “A questo si deve aggiungere il rispetto che la tradizione islamica ha per Gesù, che considera un grande profeta, e per Maria, sua Madre Vergine. Possa tale vicinanza consentire sempre più una reciproca intesa a livello umano e spirituale… Dio è unico, e nella sua giustizia ci chiede di vivere in maniera conforme alla sua volontà santa, di sentirci fratelli gli uni gli altri, di impegnarci ad operare affinché la pace sia garantita nei rapporti umani, ad ogni livello”. Abbiamo sperimentato nel nostro Dalla fine del 1999 un gruppo di famiglie cristiane si riunisce ogni giovedì alle ore 19.00 nella casa dell’una o dell’altra famiglia per la preghiera dei vespri e per consumare insieme una cena frugale. Questa esperienza, sicuramente resa possibile dallo Spirito, ha fatto crescere nel tempo un clima di grande confidenza tra i presenti. Siamo persone che vivono e/o lavorano a Fiorano e a Sassuolo, in provincia di Modena, zone conosciute per la produzione della ceramica. Nel nostro distretto, per ragioni di lavoro, in questi ultimi 15 anni, sono arrivate persone da ogni parte del mondo. La stragrande maggioranza, quasi il 70%, proviene dal Maghreb ed è di fede musulmana. Per questo motivo nei primi mesi del 2001 siamo stati spinti a dar vita a un progetto complesso, ma affascinante: incontrarci con alcune famiglie di fede musulmana. La mia attività lavorativa nel servizio sociale del Comune di Fiorano e l’impegno amministrativo a Sassuolo ha favorito l’incontro, la Dalla fine del 1999 un gruppo di famiglie cristiane si riunisce conoscenza e il confronogni giovedì alle ore 19.00 to con molti stranieri e nella casa dell’una o dell’altra in modo particolare con famiglia per la preghiera dei un mediatore culturale, vespri e per consumare avente un ruolo di reinsieme una cena frugale sponsabilità all’interno della comunità islamica. L’amicizia con Ouakili Abdelatif è da considerarsi il punto di partenza di tutta questa esperienza. Attraverso di lui è stato possibile proporre al “gruppo del giovedì” l’incontro con alcune famiglie di fede musulmana. Una volta al mese le famiglie di Abdelatif, Zahi e Mohammed hanno cominciato a consumare con noi la cena, durante la quale ci scambiavamo informazioni, curiosità e aspetti della rispettiva esperienza culturale e religiosa. Volevamo passare dalle notizie, dalla diffidenza, dalla paura reciproca, alla conoscenza, all’incontro, all’ascolto, alla condivisione, affinché col passare del tempo potessimo essere capaci di capirci ed apprezzarci. Mantenendo sempre vivo questo aspetto, della conoscenza reciproca, siamo passati dal piano della convivialità e della fraternità a quello della ricerca di “parole comuni”, per esprimere la lode al Dio Unico, e all’organizzazione di momenti di incontro e di conoscenza e reciproca per le famiglie del gruppo e per le rispettive comunità di appartenenza religiosa, quella cattolica e quella islamica. Questo, in estrema sintesi, è il gruppo “Camminare Insieme”. buone pratiche di dialogo Il gruppo “Camminare insieme” cammino di gruppo il sentirsi fratelli e sorelle. Abbiamo cercato di raccogliere in un dvd i momenti “forti” vissuti insieme. Le strette di mano, gli abbracci, i sorrisi, gli sguardi sereni, la convivialità dell’incontro intorno ad una tavola nel mangiare e gustare un piatto di cous-cous o di altra specialità, l’ascoltare dalla voce di bambini e ragazzi, di fedi differenti, la stessa lode a Dio, parlano sicuramente più di ogni articolata descrizione o racconto. LA CRISI DELL’11 SETTEMBRE Molto importante per il gruppo fu il periodo successivo all’11 settembre 2001. Abbiamo cercato di condividere quel momento tremendo. Abbiamo mostrato e testimoniato all’esterno come fosse possibile la comunicazione e il dialogo tra cristiani e musulmani anche in quel frangente. Abbiamo provato, a volte con successo, a convincere altri amici a non lasciarsi prendere dalla spirale di odio e di contrapposizione. Questa attività in forme diverse e più articolate continua ad esistere, nei confronti degli stranieri e in particolare verso coloro che vivono la fede musulmana. Lo abbiamo fatto proponendo momenti di incontro, di preghiera, di digiuno e azioni di solidarietà. In questi anni abbiamo aderito all’iniziativa della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico ormai arrivata alla sua VIII edizione (27 ottobre 2009). Le Giornate sono state l’occasione per far incontrare tra loro più persone e per riflettere sul valore della convivenza. Nel 2008 vi ha aderito un centinaio di persone. L’esperienza di tutti questi anni ha fatto cresce- Volevamo passare dalle notizie, dalla diffidenza, dalla paura reciproca, alla conoscenza, all’incontro, all’ascolto, alla condivisione, affinché col passare del tempo potessimo essere capaci di capirci ed apprezzarci Siham, del Gruppo “Camminare Insieme”, con alcune amiche di fede musulmana della città di Brescia risponde alle domande di una giornalista durante il Convegno. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 25 buone pratiche di dialogo re il gruppo sia quantitativamente che qualitativamente. Siamo stati fautori, nel nostro territorio, dell’iniziativa “Moschee aperte”, abbiamo promosso la visita di famiglie e di singoli fedeli musulmani ai nostri luoghi di culto cristiani: chiese, santuari, conventi. Abbiamo prestato attenzione ai cosiddetti “momenti forti” delle due religioni, sempre con il dovuto rispetto della reciprocità. Per esempio, ci siamo incontrati per riflettere sul Ramadan, ma anche sul Mercoledì delle Ceneri e sulla Quaresima. Abbiamo orga- Il Gruppo “Camminare Insieme” di Fiorano-Sassuolo (Mo). 26 I GIOVANI, VERO FUTURO DI QUESTA ESPERIENZA Ogni esperienza ha le sue peculiarità. La nostra ha messo alla base il valore dell’amicizia, della convivialità. Inoltre, abbiamo voluto mettere al centro del “camminare insieme”, ovvero della nostra esperienza, il valore della fede in R. CAVANI Siamo convinti che un incontro/ esperienza come quello che stiamo conducendo sia possibile soltanto tra cristiani e musulmani che vivono una fede adulta, matura, e che, proprio per questo, non hanno paura del confronto qualcosa sta cambiando anche all’interno delle comunità islamiche. nizzato incontri tra alcune donne musulmane e le monache del Carmelo di Sassuolo. Il momento più alto è stato l’incontro e la preghiera dopo l’intervento del Papa a Ratisbona. Abbiamo portato l’esperienza fuori delle mura domestiche, facendola diventare nel tempo un’esperienza anche per le nostre comunità di riferimento: i nostri sacerdoti e l’imam hanno condiviso questo percorso e continuano a farlo. Abbiamo contribuito alla nascita nelle Diocesi di Reggio Emilia e di Modena dei gruppi per il Dialogo ecumenico e interreligioso, organizzando incontri sui testi sacri, sulla preghiera e sul digiuno. Siamo stati davvero aiutati dal Signore in questo relativamente lungo – quasi 10 anni – e affascinante cammino. Naturalmente non è stato un cammino tutto in discesa, né, come si suol dire, “tutto rose e viole”. Siamo stati considerati per molto tempo come delle “mosche bianche”, sia nella nostra comunità cristiana sia in quella musulmana. Oggi non è molto diverso, ma sicuramente qualcosa è cambiato nella Chiesa, nei suoi vari livelli, e Missione Oggi | agosto-settembre 2009 Abbiamo portato l’esperienza fuori delle mura domestiche, facendola diventare nel tempo un’esperienza anche per le nostre comunità di riferimento: i nostri sacerdoti e l’imam hanno condiviso questo percorso e continuano a farlo Dio, secondo noi cristiani e secondo i nostri amici musulmani. Siamo convinti che un incontro/esperienza come quello che stiamo conducendo sia possibile soltanto tra cristiani e musulmani che vivono una fede adulta, matura, e che, proprio per questo, non hanno paura del confronto. L’obiettivo del nostro gruppo non è mai GRAZIE, SIGNORE “O Dio grazie di averci fatti incontrare e di non aver avuto paura delle differenze che esistono tra di noi. O Dio siamo uomini e donne che pur venendo da esperienze, popoli, culture e religioni diverse abbiamo immensa fiducia in Te. O Dio fa’ in modo che le nostre comunità che vivono ed operano in questa territorio riescano a rispettarsi e ad apprezzarsi. O Dio che sei grande nella misericordia regala a noi e al mondo intero il dono della Pace e della Concordia. O Dio non vogliamo stancarci di essere segni e strumenti di riconciliazione. O Dio vogliamo essere a servizio della Verità e dell’Amore. O Dio noi crediamo tantissimo nella forza e nella potenza della Preghiera e ci impegniamo da oggi a ricordarci reciprocamente in essa”. stato il proselitismo o la conversione reciproca, ma un vero dialogo alla ricerca di “parole comuni”, di ciò che unisce, senza dimenticare ciò che ci fa differenti. Abbiamo potuto sperimentare un’idea diversa di missionarietà, di evangelizzazione. Non siamo stati (e non stiamo) con “loro”, né “loro” con noi perché ci vogliamo convertire a vicenda, ma perché viviamo nello stesso territorio, condividiamo la stessa fede nel padre Abramo e vogliamo che i nostri figli crescano nella pace e nel rispetto reciproco. I figli, i giovani, sono un altro capitolo molto importante di questa esperienza. Il vero futuro del dialogo sono loro. Giovani, ragazzi e ragazze meglio inseriti in questa società, nella scuola, possono costruire un tessuto sociale e interreligioso diverso. “Sono loro la nostra speranza, perché hanno meno pregiudizi, sono disponibili al dialogo, hanno potuto sperimentare che l’incontro tra diversi è possibile, utile, indi- buone pratiche di dialogo Preghiera del gruppo CAMMINARE INSIEME per la settima giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico (ottobre 2008) spensabile”, ha detto Khawula, una donna palestinese, durante un momento conviviale. PRESE DI POSIZIONE E UNA PREGHIERA Vorrei concludere con alcune frasi, alcune prese di posizione e una preghiera che penso ci possano aiutare a cogliere, più di ogni altra parola, come sono state segnate le persone che hanno dato vita e che continuano a portare avanti il gruppo “Camminare Insieme”. La prima è tratta da alcune considerazioni fatte da Oaukili durante un incontro pubblico: “Il dvd che abbiamo visto questa sera è stato preparato mentre io ero con la famiglia in Marocco. Quando sono tornato Ruggero me lo ha mostrato… Mi sono commosso, mi sono messo a piangere, perché questo mio fratello cristiano, aveva fatto ciò che io volevo fare, nel modo in cui lo avrei fatto io”. E continuava: “Questo tipo di dialogo può avvenire solo tra persone speciali, molto avanti nel cammino di fede e soprattutto capaci di aprire il cuore in un modo straordinario, cosa non comune né tra i cristiani né tra i musulmani”. E ha precisato: “Penso che alla base di tutto ci debba essere umiltà; io non sono tanto migliore di tanti miei fratelli e sorelle: siamo tutti peccatori e abbiamo tutti bisogno della misericordia di Dio”. La seconda è un’affermazione che fece un paio di anni fa una giovane musulmana, Siham, dopo essere stata, per la prima volta, al Carmelo di Sassuolo: “È stato un incontro molto particolare con sensazioni contrastanti. Alla veduta della grata che ci divideva e sentendo che le monache non escono mai, se non per problemi di salute, mi sono domandata il perché di tutto ciò. Perché tante ragazze della mia età fanno una scelta così difficile, in un certo senso incomprensibile? Poi, durante il colloquio, vedendole serene, libere, scherzose, capaci di battute e anche informate su quello che avveniva nel mondo, ho pensato che un’esperienza come quella potesse avere un senso. Io, se passo alcuni giorni in casa perché sono malata o perché devo preparare un esame, sto male o vado un po’ in ansia. Lì sono mesi, anni che non escono. Probabilmente la fede in Dio e tanto coraggio le sta aiutando a sperimentare una vita che agli occhi della società non avrebbe alcun senso. Questo momento mi ha offerto la possibilità di avvicinare dei cristiani anche in un modo che non pensavo esistesse”. RUGGERO CAVANI Non siamo stati (e non stiamo) con “loro”, né “loro” con noi perché ci vogliamo convertire a vicenda, ma perché viviamo nello stesso territorio, condividiamo la stessa fede nel padre Abramo e vogliamo che i nostri figli crescano nella pace e nel rispetto reciproco Missione Oggi | agosto-settembre 2009 27 spiritualità del dialogo spiritualità del dialogo Per una interreligioso MICHAEL L. FITZGERALD I l Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (PCDI), dopo aver pubblicato due documenti sul dialogo, L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni: riflessioni e orientamenti su Dialogo e Missione (1984) e Dialogo e annuncio: riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (1991), avrebbe voluto pubblicarne un terzo, appunto sulla spiritualità del dialogo. L’assemblea plenaria del PCDI, nel 1995, aveva messo in agenda un tema duplice: il dialogo della spiritualità e la spiritualità del dialogo. Il programma comportava in primo luogo la presentazione del concetto di santità, secondo 28 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 diverse tradizioni religiose: la Religione Tradizionale Africana, l’Induismo, il Buddhismo, l’Islam e il Cristianesimo. In secondo luogo due interventi sul dialogo dell’esperienza religiosa, uno riguardante il dialogo interreligioso monastico, e l’altro, di Jean Vanier, basato sull’esperienza dell’Arche e del movimento Fede e Luce (per i testi, cfr. la rivista Pro Dialogo 92, 1996). Tre anni dopo, un’altra assemblea plenaria, in vista del Grande Giubileo dell’Anno 2000, considerava il tema Chiamati alla conversione di cuore (“metanoia”, cfr. Pro Dialogo 101, 1999). Nel corso dell’assemblea i vescovi membri hanno chiesto la redazione di un documento specifico sulla spiritualità del dialogo e A lcuni paragrafi di DA sono dedicati alle disposizioni necessarie perché il dialogo con altri credenti sia proficuo: “Il dialogo richiede un atteggiamento equilibrato”; le persone che vogliono entrare in dialogo “non dovrebbero essere né troppo ingenue né ipercritiche, bensì aperte e accoglienti”; si parla di “disinteresse”, “imparzialità”, che non significa indifferenza, ma piuttosto espressione d’amore che non cerca il proprio interesse. Si attira l’attenzione sulla necessità di “accettazione delle differenze, nonché delle possibili contraddizioni”. Il documento termina menzionando “la volontà di impegnarsi insieme a servizio della verità e la prontezza a lasciarsi trasformare dell’incontro” (DA 47). Si tratta di disposizioni assai impegnative. Un’altra condizione per un vero dialogo è una salda convinzione religiosa. En- spiritualità del dialogo Disposizioni per il dialogo trando in dialogo, non c’è nessun bisogno di mettere da parte le proprie convinzioni religiose. “È vero il contrario: la sincerità del dialogo interreligioso esige che vi si entri con l’integrità della propria fede”. Allo stesso tempo ci vuole considerazione per le convinzioni altrui e apertura ai valori delle tradizioni religiose altre (DA 48). Ci vuole soprattutto una grande apertura alla verità. Il dialogo è stato descritto come un incontro con persone di altre tradizioni religiose “per camminare verso la verità” (DM 13). Si potrebbe obiettare che noi conosciamo già la verità, perché Cristo è via, verità e vita. Dobbiamo ricordare che “la pienezza della verità ricevuta in Gesù Cristo non dà ai singoli cristiani la garanzia di aver assimilato pienamente tale verità. In ultima analisi, la verità non è qualcosa che possediamo, ma una persona da cui dobbiamo lasciarci possedere. Si tratta quindi di un processo senza fine” (DA 49). In questo processo, tramite l’incontro interreligioso, si può dare e ricevere, vincere i pregiudizi, rivedere le idee preconcette, e così arrivare ad una comprensione purificata della fede. hanno suggerito al Card. Arinze di inviare alle Conferenze episcopali di tutto il mondo una lettera chiedendo un parere sul progetto. La lettera toccava i seguenti punti: Dio è amore e comunione; Dio si comunica all’umanità; la necessità della conversione continua a Dio; l’identità cristiana nel dialogo; il necessario equilibrio tra annuncio e dialogo; la necessità di capire la posizione di altri credenti; l’importanza della preghiera e del sacrificio (cfr. Pro Dialogo 101, 1999, pp.266-270). In seguito fu redatto un documento, esaminato dai vescovi membri dell’assemblea plenaria, nel 2001, ma mai pubblicato, perché privo della necessaria approvazione previa della Congregazione per la Dottrina della Fede. Probabilmente non fu approvato per paura del relativismo. Il testo non voleva semplicemente ripetere gli insegnamenti dei due primi documenti del PCDI, dove il dialogo è presentato come una parte integrante della missione della Chiesa. Senza questa preci- sazione, si temeva forse che il nuovo documento potesse essere inteso come una legittimazione alla pari di tutte le religioni. È stato un errore pensare che i due primi documenti, Dialogo e missione (DM) e Dialogo e annuncio (DA), fossero abbastanza conosciuti, al punto da dispensare la pubblicazione di un terzo. In ogni modo, nella mia presentazione partirò da questi primi due documenti. IL FONDAMENTO TEOLOGICO-TRINITARIO Le disposizioni descritte sono atteggiamenti umani e spirituali, ma nella loro presentazione non è indicata la fonte teologica che può servire da base per una spiritualità del dialogo. Troviamo una bella presentazione del fondamento teologico per il dialogo nel documento DM che ci propone una spiritualità squisitamente trinitaria. Può sembrare paradossale basare la spiritualità del dialogo su di un elemento della noMissione Oggi | agosto-settembre 2009 29 spiritualità del dialogo Non tutto è perfetto nelle religioni, come non tutto è necessariamen te perfetto nel modo di praticare la fede cristiana. L’onestà ci induce ad ammetterlo PER SAPERNE DI PIU’ Michael L. Fitzgerald, Dio sogna l’unità. I cattolici e le religioni, Città Nuova, Roma 2007 presso: [email protected] 30 stra fede cristiana che può incontrare opposizione in persone di altre religioni. Va detto però che non siamo alla ricerca di ragioni comuni per impegnarsi nel dialogo, ma di motivazioni cristiane per tale impegno. DM ci dice che “nel mistero trinitario la rivelazione ci fa intravedere una vita di comunione e di interscambio” (DM 22). Notiamo il termine “intravedere”. Siamo lungi dall’avere una conoscenza piena della SS. Trinità; nondimeno possiamo capire che l’unità non equivale ad assorbimento, ma è compatibile con differenze fondamentali. Se nella Trinità esiste la comunione tra le Tre Persone, nel rispetto delle caratteristiche di ognuna, la ricerca di comunione tra persone di diverse religioni deve rispettare le differenze. Il fatto che siamo ancora “in via” ci permette di godere una comunione ancora imperfetta. Se questo è vero per il dialogo ecumenico, cioè tra cristiani, lo è a fortiori per il dialogo interreligioso. Dopo questa considerazione generale passiamo ora ad esaminare il ruolo attribuito dalla Tradizione ad ogni singola Persona della SS. Trinità. “In Dio Padre noi contempliamo un amore preveniente senza confini di spazio e di tempo”. Tutto comincia con l’amore di Dio e finisce in Lui. Lui è all’origine di ogni creatura, ed è il loro destino. È l’insegnamento del primo paragrafo della Nostra aetate basato sulle Scritture. Di conseguenza, l’amore di Dio non si trova solo dove esiste la fede in Cristo, dove è impiantata la Chiesa, ma in ogni parte del mondo. Ciò vale anche per il fattore tempo: l’amore di Dio si rivela dall’inizio della creazione fino alla fine dei tempi. “L’universo e la storia sono ricolmi dei suoi doni. Ogni realtà e ogni evento sono avvolti dal suo amore”. Possiamo capire la pertinenza di questa considerazione per le sociètà che danno una grande importanza agli antenati. L’amore di Dio li abbraccia anche se non sono mai diventati cristiani. Ricordando la necessità di un atteggiamento equilibrato, dobbiamo riconoscere l’esistenza del male. Non tutto è perfetto nelle religioni, come non tutto è necessariamente perfetto nel modo di praticare la fede cristiana. L’onestà ci induce ad ammetterlo. Ma la fede ci fa constatare che “nonostante il manifestarsi talora violento del male, nella vicenda di ogni uomo e di ogni popolo è presente la forza della grazia che eleva e redime”. Di conseguenza, il compito della Chiesa è di “scoprire, portare al- Missione Oggi | agosto-settembre 2009 la luce, far maturare tutte le ricchezze che il Padre ha nascosto nella creazione e nella storia”. Essa fa questo per “celebrare la gloria di Dio nella liturgia” – portiamo gli altri credenti nelle nostre preghiere, personali e liturgiche; dimostriamo una vicinanza spirituale, specialmente nell’occorrenza delle feste. Essa promuove “la circolazione tra tutti gli uomini dei doni del Padre” (DM 22). Troviamo qui un incoraggiamento a praticare lo scambio dei doni, come nell’ecumenismo. Passando alla Seconda Persona della SS. Trinità, al Dio Figlio, DM fa riferimento alla prima enciclica di Giovanni Paolo II, Redemptor hominis: “Ogni uomo senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo, e con l’uomo, con ciascun uomo senza eccezione, Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole” (RH 14). Nel Vangelo di Matteo, al capitolo 25, Gesù s’identifica con quelli che soffrono, e ciò dovrebbe avere un’incidenza sul nostro modo di comportarci. L’incontro con un’altra persona è sempre un incontro con Cristo. È un principio cristiano che si applica ai rapporti interreligiosi, perché l’unione di Cristo con l’umanità non conosce frontiere. “In Dio Spirito Santo, la fede ci fa spiritualità del dialogo scorgere quella forza di vita, di movimento e di rigenerazione perenne (cfr. LG 4) che agisce nella profondità delle coscienze, e accompagna il cammino segreto dei cuori verso la Verità (cfr. GS 22)”. Il testo ben conosciuto di Gaudium et spes 22 ci insegna che lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale. Per ciò l’azione dello Spirito è universale, e non è ristretto ai confini del corpo mistico di Cristo. Papa Giovanni Paolo II ha sviluppato la dottrina sullo Spirito Santo nell’enciclica Dominum et vivificantem e poi nell’enciclica missionaria Redemptoris missio. Basandosi sull’insegnamento di Lumen gentium e Ad gentes, sottolinea che l’azione dello Spirito non si restringe agli individui ma influisce sulle tradizioni, sui riti e sulle culture dei popoli. Quale sarà il compito della Chiesa di fronte all’azione universale dello Spirito? In primo luogo viene il discernimento, per cercare di vedere i segni della presenza dello Spirito. Poi, la Chiesa deve essere attenta ai suggerimenti dello Spirito, pronta a “seguirlo dovunque Egli la conduca”. Infine, “servirlo come collaboratrice umile e discreta” (DM 24). Gli aggettivi qualificativi sono importanti. Noi non siamo i maestri del dialogo, ma i servitori della verità; dobbiamo perciò evitare ogni dominio, cosciente o incosciente, cercando d’imporre le nostre vedute, ma invece esporre le nostre idee con semplicità e sincerità, lasciando il risultato a Dio. “Tutti, i cristiani e i seguaci delle altre tradizioni religiose, sono invitati da Dio stesso a entrare nel mistero della sua pazienza, come esseri umani che cercano la sua luce e la sua verità. Dio solo conosce i tempi e le tappe del compimento di questa lunga ricerca umana” (DA 84). Nei documenti della Chiesa troviamo davvero i fondamenti di una spiritualità del dialogo interreligioso, che è di natura contemplativa ma che sfocia nell’azione. LE SACRE SCRITTURE Non voglio intrattenermi qui sulla spiritualità biblica del dialogo, ma solo accennare brevemente ad alcuni testi suggestivi. Mi limito ad elencarli: Gv 1,1-14 (il prologo: il Verbo in mezzo all’umanità); Lc 1, 39-56 (la visitazione: incontro nello Spirito; l’azione di Dio nella vita); Mt 2, 1-12 (i Magi cercano il Signore, offrono doni, tornano al loro paese); Mt 3, 13-17 (battesimo di Gesù, in mezzo ai peccatori); Mt 9, 10-13 (Gesù a tavola con i peccatori); Gv 4, 1-39 (Gesù e la Samaritana); Mc 5, 1-20 (Gesù guarisce un uomo posseduto e gli dice di tornare a casa); Mc 7, 24-30 (Gesù e la donna di origine siro-fenicia); Gv 13, 1-17 (Gesù lava i piedi dei discepoli, compreso Giuda); Fil 2, 1-11 (l’umiltà secondo l’esempio di Gesù); Fil 4, 8 (riconoscimento di tutto ciò che è vero, nobile, ecc.); 1 Pt 3, 15-17 (rispondere indicando la ragione della speranza che è in noi). TESTIMONI DI DIALOGO DM 17 propone due modelli per il dialogo interreligioso: Francesco d’Assisi, che invia i suoi frati “in mezzo” ai musulmani, per testimoniare più che per predicare; Charles de Foucauld, che diviene il fratello universale. “Tutti, i cristiani e i seguaci delle altre tradizioni religiose, sono invitati da Dio stesso a entrare nel mistero della sua pazienza, come esseri umani che cercano la sua luce e la sua verità. Dio solo conosce i tempi e le tappe del compimento di questa lunga ricerca umana” NOTE CONCLUSIVE Le relazioni ecumeniche ed interreligiose hanno finalità radicalmente differenti, da una “In Dio Padre noi contempliamo un amore preveniente senza confini di spazio e di tempo”. Tutto comincia con l’amore di Dio e finisce in Lui. Lui è all’origine di ogni creatura, ed è il loro destino. È l’insegnamento del primo paragrafo della Nostra aetate basato sulle Scritture. Di conseguenza, l’amore di Dio non si trova solo dove esiste la fede in Cristo, dove è impiantata la Chiesa, ma in ogni parte del mondo. Ciò vale anche per il fattore tempo: l’amore di Dio si rivela dall’inizio della creazione fino alla fine dei tempi Missione Oggi | agosto-settembre 2009 31 spiritualità del dialogo Il rispetto deriva dalla convinzione che Dio non opera solo nel cuore degli individui, ma anche nei riti e nelle tradizioni delle loro comunità. Sappiamo che questo rispetto non sempre è stato manifestato 32 parte l’unità di tutti i cristiani, dall’altra la pace e l’armonia tra persone di diverse religioni. Mostrano però una similarità di spirito e spesso usano metodi simili. Senza entrare in dettaglio, è possibile segnalare il rispetto, l’amore e l’umiltà come elementi essenziali dello spirito, sia nelle relazioni ecumeniche che interreligiose (cfr. M.L. FITZGERALD, Dialogo interreligioso. Il punto di vista cattolico, San Paolo, Milano 2007, pp.195-197). Il rispetto deriva dalla convinzione che Dio non opera solo nel cuore degli individui, ma anche nei riti e nelle tradizioni delle loro comunità. Sappiamo che questo rispetto non sempre è stato manifestato. Quando il Concilio ha dichiarato nella Nostra aetate che “la Chiesa ha anche un grande rispetto per i musulmani” (NA 3), tale affermazione ha stupito molti cattolici. Le tradizioni religiose richiedono il nostro rispetto, perché testimoniano gli sforzi di cercare risposte “a quei profondi misteri della condizione umana” (NA 1) che hanno tormentato le menti ed i cuori umani fin dall’inizio dei tempi. Vanno anche trattate con rispetto a motivo dei valori spirituali e umani che racchiudono. In termini ecumenici possiamo pensare alle tradizioni liturgiche e spirituali delle Chiese d’Oriente, all’attenzione data alla Parola di Dio dalle varie comunità protestanti, alla vitalità della preghiera fra i pentecostali, mentre riguardo alle altre religioni si può ricordare l’attenzione speciale alla famiglia durante la celebrazione dello Shabbat, la ricca tradizione Sufi nell’Islam e lo spirito di servizio fra i Sikh. Questo rispetto ha delle conseguenze pratiche. Significa fare attenzione al modo in cui si parla delle altre persone. Il decreto conciliare sull’ecumenismo stabilisce che si deve fare ogni sforzo “per eliminare parole, giudizi ed opere che non rispecchiano con equità e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi” (UR 4). Ciò si può certamente applicare alle nostre relazioni con persone di altre religioni e, sarebbe auspicabile, alle loro relazioni con noi. Un’applicazione forse si trova nel non parlare più di “fratelli separati”, come cerchiamo di evitare l’espressione “non-cristiani”. Tuttavia, rispetto non significa indifferenza o lasciar fare. Quando è unito all’amore vede gli altri cristiani e le persone di altre religioni, come fratelli e sorelle, membri dell’unica famiglia umana. Giovanni Paolo II nell’enciclica Missione Oggi | agosto-settembre 2009 sull’ecumenismo, Ut unum sint, ha sottolineato alcune applicazioni di questa “fraternità universale”. Ha parlato di comunità che una volta erano rivali e che ora si aiutano reciprocamente nell’affrontare questioni come i luoghi di culto, l’assegnazione di borse di studio per favorire studi e ricerche, la pressione sulle autorità civili a nome di coloro che sono perseguitati, il ristabilimento del buon nome di coloro che sono stati diffamati (cfr. UUS 42). Tutto ciò si può applicare, mutatis mutandis, alle relazioni interreligiose. Il documento DA sottolinea che lo spirito di fraternità porta ad agire in maniera altruista: “È necessario lottare a favore dei diritti dell’uomo, proclamare le esigenze della giustizia, e denunciare le ingiustizie non solo quando ne sono vittima i propri membri, ma indipendentemente dall’appartenenza religiosa delle vittime. È necessario anche che tutti si associno per cercare di risolvere i grandi problemi che la società e il mondo devono affrontare, e per promuovere l’educazione a favore della giustizia e della pace” (DA 44). L’appello si rivolge prima di tutto ai cristiani, alle Chiese locali, ma si spera che abbia un’applicazione più ampia. Infine, si può indicare l’umiltà come un requisito essenziale per giuste relazioni ecumeniche ed interreligiose. Per quanto possiamo essere convinti che la nostra tradizione religiosa ci insegni la verità – e noi come cristiani professiamo che Gesù Cristo è la via, la verità e la vita –, sappiamo che non abbiamo pienamente compreso quella verità. Siamo pellegrini, cercatori di Dio durante tutto il nostro soggiorno terreno. Siamo consapevoli dei nostri limiti: non siamo perfetti. Questo è un bene per noi in quanto individui, ma anche per le nostre comunità, che hanno sempre la necessità di rinnovarsi e riformarsi. Soprattutto, siamo consapevoli che è Dio che governa l’universo e che il nostro compito è seguire i suggerimenti dello Spirito. La certezza che lo Spirito ci guida è fonte di coraggio e perseveranza. Quando affrontiamo ostacoli, incomprensioni, possiamo trarre conforto dal fatto di essere sotto la protezione di Dio. Possiamo renderci conto che siamo “invitati da Dio stesso ad entrare nel mistero della sua pazienza, come esseri umani che cercano la sua luce e la sua verità”, poiché “soltanto Dio conosce i tempi e le tappe di questa lunga ricerca umana” (DA 84). MICHAEL L. FITZGERALD diin discussione mettersi La fatica MI RICONOSCO UN SEMPLICE “MANOVALE DEL DIALOGO” E MI SENTO PIENO DI PUDORE QUAN- DO PENSO E PARLO DI ARGOMENTI SIMILI: LA “RETORICA DEL DIALOGO” E LE PAROLE IN PIÙ SONO SEMPRE A PORTATA DI MANO. MUNQUE A DIRE ALCUNE COSE. LO SGUARDO DELLA PASTORALE Q PROVO CO- uando la diocesi di Padova si è esposta in modo preciso sulla questione dei luoghi di culto per i musulmani, nel maggio 2008, al sito del Servizio diocesano per le relazioni cristiano-islamiche sono giunte diverse mail di tenore forum di discussione Giuliano Zatti è sacerdote della Diocesi di Padova. Ha studiato teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e al PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica). È impegnato nella pastorale e nell’insegnamento nella Facoltà Teologica del Triveneto a Padova. Attualmente è responsabile del Servizio diocesano per le relazioni cristianoislamiche. Ha curato il volume Il Corano. Traduzioni, traduttori e lettori in Italia, IPL, Milano 2000; un suo recente studio è apparso sulla rivista “Islamochristiana”, L’islam d’Italia: racconto di un percorso (33/2007, pp. 163-197). diverso. Una riportava queste parole: “Mi rammarica molto vedere che la curia intraprende questo tipo di iniziative di sottomissione e sconfitta nei confronti di una cultura (ho i miei dubbi a definirla “cultura”) arrogante e prepotente. Ricordo una volta i preti che aiutavano le famiglie, ora l’obiettivo dei vostri aiuti sembra essere cambiato... e poi ci domandiamo come mai le persone non vanno più a messa! Con rispetto”. E altre ancora: “i musulmani sono gentaglia falsa e assassina”; “tutto è relativo”; “la Chiesa tradisce gli italiani e dovrebbe vergognarsi”; alcuni non hanno disdegnato lezioni di catechismo e Bibbia, citando, con 1 Gv, il seduttore e l’anticristo e hanno anche ipotizzato che la Chiesa Missione Oggi | agosto-settembre 2009 33 forum di discussione Ragionare di Islam è anche ragionare di me, di quel “faccia a faccia” che caratterizza tutte le relazioni, portando spesso reciproci luoghi comuni, fraintendimenti di parole, cambiamento di prospettiva e ferite I relatori della seconda parte del Convegno durante il Forum pomeridiano di discussione, moderato dal p. Marcello Storgato (direttore di Missionari Saveriani). 34 stia “svendendo Gesù per trenta denari”. È abbastanza evidente che i nostri tempi sono caratterizzati anche da un nuovo integralismo di marca cristiana del tutto inedito: una sorta di cristianesimo senza Dio, “galateo pratico di precetti senza anima” (Ezio Mauro), che non trae le dovute conseguenze dalle premesse che lo fondano. Nella “letteratura” di cui vi ho dato qualche esempio ritrovo il fervore di quelli che Rémi Brague (in Europe. La voie romaine, 1992) definisce i “cristianisti”, ovvero non tanto coloro che credono in Cristo, ma quelli che esaltano e difendono la civiltà cristiana in quanto tale a prescindere da Cristo e senza averlo mai incontrato nella propria vita. Lo stile correttamente evangelico ha poco a che spartire con la pretesa di arruolare Dio per fini ideologici: il seguace di Gesù dovrebbe essere un discepolo, non un militante (cfr. E. BIANCHI, Avvenire, 10.12.2004). Perché dico questo? Perché mi sono accorto – per me stesso, prima di tutto e poi per gli altri prendere tutto il disagio che vi può essere nel cristiano davanti all’urgenza “senza ritorno” del dialogo: porto con me la fatica dei singoli e delle comunità che su questi temi faticano molto, il non-detto e le parole implicite di molti. Il mistero della salvezza, cioè l’avventura che vede coinvolti Dio e noi, può essere detto in poche parole: Dio è “per noi”, Dio è “per me”: ecco la novità inaudita dell’annuncio cristiano ed ecco la novità inaudita di quel “essere per l’altro” che caratterizza ogni pensiero e ogni gesto della Chiesa. Ma rimane anche l’impressione, pastoralmente dirompente, che se un parlare generico su Dio mette tutti d’accordo (penso alle nostre eucaristie festive e inoffensive), il parlare sulle persone concrete crea invece notevoli problemi, soprattutto qualora la fede non fosse più un buon criterio di giudizio, perché sostituita, magari, dall’abitudine. Parlare, quindi, di dialogo interreligioso, dal punto di vista pastorale, significa inevitabilmen- – che affacciarsi sugli argomenti di questa nostra giornata può risultare devastante. Per quanto mi riguarda, mi sono accorto che ragionare di Islam è anche ragionare di me, di quel “faccia a faccia” che caratterizza tutte le relazioni, portando spesso reciproci luoghi comuni, fraintendimenti di parole, cambiamento di prospettiva e ferite. Siccome avverto la fatica di dialogare con me stesso e con la mia fede, provo a fare mia la fatica di tanti che stentano a dialogare con il “nuovo” che la vita riserva. E come assumo tutta la contraddizione del mio vissuto, da pastore devo anche assumere tutta la contraddizione del vissuto altrui. Non giustifico, ovviamente, una fede timorosa, ma sento di com- te mettere in gioco la qualità di una comunità credente: la comunità credente è oggi chiamata ad un’inedita e imprevista cura pastorale nei confronti di credenti di altra fede. Una cura che non mettevamo in conto e di cui, magari, avremmo anche fatto a meno! Missione Oggi | agosto-settembre 2009 LA FORZA CARICA DI SUGGESTIONE DELLA SPIRITUALITÀ Provo a giustapporre due suggestioni. La prima ci viene dalla storia: nel 1095 Pietro l’Eremita avviò la prima crociata “non ufficiale” della storia, curiosamente denominata dai cronisti del tempo “degli 80.000 straccioni”, in È già stato ricordato che il dialogo interreligioso non si riduce ad una scelta stagionale: è una necessità vitale, una scelta senza ritorno, da cui dipende in gran parte il nostro futuro. Tra tutti i volti della carità, il dialogo è forse oggi il più importante, come spazio di fiducia che si oppone al male. Anche dal punto di vista teologico, però, si avverte la fatica di un parere omogeneo e sereno riguardo alle religioni e ai credenti di altra fede: i modelli interpretativi si discostano l’uno dall’altro, il campo in cui si muove la riflessione critica della fede viene piano piano dissodato e si avverte pure il disagio e il pudore di pronunciare parole impegnative. Parole impegnative, ad esempio, sono quelle che riguardano Gesù, lo spessore della sua figura, la “pretesa” di una salvezza che vede in lui il riferimento unico ed ultimo; parole impegnative sono quelle della Chiesa che avverte la provvisorietà di tanti modi di dire e di essere, ma che è tuttavia chiamata a proporsi come comunità salvifica che vede in Gesù il “pane buono della festa”, pane che appartiene a tutti, anche a coloro che non sanno o non vogliono dire il suo nome. Le parole impegnative possono apparire senza uscita e ci accompagnano a quel posto di confine che – proprio perché faticoso – non va delegato a nessuno. riferimento alla composizione rocambolesca di quel contingente. Non poche persone, oggi, come si diceva, vorrebbero emulare lo spirito e il fervore del tempo (magari senza l’intelligenza di Pietro l’Eremita che la crociata la avviò ed era sicuramente aspro e infelice nei toni, ma almeno sapeva cosa fosse l’Islam e ne pose il problema teologico per la prima volta nel medioevo, se di lui e della sua scuola rimane un notevole e studiato Corpus cluniacense. “Crociate degli straccioni”, reazioni scomposte, cadute di stile, linguaggio non adeguato: quanto abbiamo ancora bisogno di prendere le misure! La seconda suggestione, invece, mi viene dalla liturgia: nella sequenza di Pasqua abbia- forum di discussione Lo sguardo della teologia: parole impegnative Mi verrebbe spontaneo applicare a queste osservazioni il richiamo al discernimento fatto dalla Conferenza Episcopale di Sicilia, nel 2004, con il documento Per un discernimento cristiano dell’islam (Paoline, Milano – “La voce delle Chiese locali” 41): il testo voleva rendere evidente la necessità della teologia per operare in un dialogo con le religioni che non venga ridotto alla pura praticità, ma sia invece guidato dalla rivelazione biblico-cristiana, legittimata ad esprimersi sulla loro significanza per il fatto cristiano. Il documento sostiene l’integrazione e il discernimento: integrazione, perché o viviamo in un mondo in perenne stato d’assedio, oppure incominciamo a capire che gli altri sono parte della nostra vita (se non abbiamo avuto lo stesso passato, abbiamo però rigorosamente lo stesso avvenire). Discernimento, in secondo luogo, perché le situazioni e le persone non vanno banalizzate e la “paralisi del discernimento” sarebbe propria di chi smette di considerare i suoi giorni come tempo in cui Dio opera per educare i credenti. E Dio opera per educare i credenti, anche se i credenti non sono sempre all’altezza della loro vocazione: ci fa bene, quindi, con umiltà e testardaggine metterci in ascolto di quanto Dio va facendo nella vita di tutti. Ci serviranno, certo, il discernimento e la pazienza per trovare strade e linguaggi adeguati: David Maria Turoldo, in altro contesto e con tono poetico, avrebbe detto: “Io non sono ancora e mai il Cristo, ma io sono questa infinita possibilità” e tutto – aggiungo – converge a manifestare per il cristiano “l’altezza, la profondità, la lunghezza e la larghezza” di Cristo (cfr. Ef 3,18). La pastorale e la teologia si muoveranno secondo le loro possibilità e nei percorsi che sono loro propri. Il compito è ingrato. mo proclamato del Risorto che “praecedet suos in Galileam”. Mi fermo sulle parole Praecedet suos: cosa potrebbero significare, oltre il senso immediato? Gesù “sta avanti”, “precede” e apre la quotidianità a nuove possibilità. Lo stesso agire di Cristo poteva apparire motivo di frattura insanabile, poiché portato a distruggere apparentemente ogni discorso già acquisito ed ogni certezza definita. Gesù sta oltre, precede i suoi, ha altro da dire, altro da far intendere e altro da compiere. La Chiesa lo riconosce come suo Signore e cerca di stargli dietro, anche nel confronto con le religioni. Ecco le due suggestioni: noi siamo come sospesi tra lo zelo inutile e fuorviante degli “stracMissione Oggi | agosto-settembre 2009 35 forum di discussione “La debolezza non è in sé una virtù, ma espressione di una realtà fondamentale del nostro essere (...) per lasciarci conformare alla debolezza di Cristo, all’umanità di Cristo. La debolezza come scelta diventa uno dei modi migliori per dire la discreta caritas di Dio verso gli uomini” P. Marcello Storgato, moderatore del secondo Forum di discussione del Convegno. 36 cioni” e l’aria buona che Gesù ci fa respirare. La sintesi – forse troppo facile – che mi verrebbe da sponsorizzare è quella del provare a custodire dentro di noi tutte le parole, le inquietudini e gli spunti che anche da questa giornata ci portiamo a casa. Non sarà nemmeno importante, forse, giungere ad una buona sintesi: potrebbe essere sufficiente lasciare che le cose insolute rimangano tali dentro di noi. Abbiamo però il compito di custodire la ricchezza delle domande che ci poniamo: in questo vedo una grande disposizione alla spiritualità, perché la spiritualità del dialogo sta soprattutto nella conformazione esigente alla vita di Cristo e nell’ascolto disarmato del suo Spirito. La Novo millennio ineunte ricorda che soltanto in questo modo la Chiesa può diventare “casa e scuola del dialogo” (43). Anche la Redemptoris missio (56) ricorda che “Il dialogo tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguita con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa”. Padre Christian Chessel, dei Missionari d’Africa, ucciso a Tizi Ouzou il 27.12.1994, scriveva: “La debolezza non è in sé una virtù, ma espressione di una realtà fondamentale del nostro essere (...) per lasciarci conformare alla debolezza di Cristo, all’umanità di Cristo. La debolezza come scelta diventa uno dei modi migliori per dire la discreta caritas di Dio verso gli uomini (...) Essa diventa una spiritualità delle mani vuote, in cui si comprende che tutto, persino le nostre debolezze, può diventare dono e grazia di Dio, manifestazione della potenza del suo amore che solo può convertire la debolezza umana in forza spirituale” (M.E.G., «Debolezza come missione», Il Regno-attualità, 8/96, pp. 216-217). Don Andrea Santoro chiamò ad un certo momento il suo stare in Turchia la “liturgia della porta”, ovvero una presenza silenziosa, improduttiva, ma accogliente, dove il semplice gesto di aprire la porta di casa o della Chiesa fosse “un gesto di amore limpido”. La forza della debolezza, della resa a Dio! La forza della gratuità! Custodire le parole di questa giornata è in fondo custodire le intenzioni di Dio: se questa non è spiritualità, non saprei come altro definirla. Un religioso sardo-tunisino, Marius Garau, ha scritto in proposito che “Non ci viene chiesto di precedere l’ora dello Spirito, ma di prepararla in noi e in tutti gli uomini” (La rosa dell’imam. L’incontro spirituale fra un cristiano e un musulmano, EMI, Bologna 1997, pp. 81. 93). GIULIANO ZATTI Missione Oggi | agosto-settembre 2009 CONSIGLI PASTORALI APERTI Domanda > Aldo Giannasi (missionario d’Africa): Le belle esperienze di base sono importanti, ma se manca un’azione del vertice della Chiesa italiana come prepareremo le condizioni per una convivenza con la comunità islamica nel nostro paese? Risposta > Giuliano Zatti: La Chiesa italiana, almeno nel nord-est, su questi temi lavora molto, ma in silenzio, in forma pacata, che potrebbe apparire insufficiente. Ha compiuto una scelta precisa sul piano delle idee, ma è molto discreta nell’intervenire nel dibattito pubblico. I tempi odierni richiedono un di più di educazione. È importante continuare a dire parole buone, costruttive, utili, e forse siamo un po’ latitanti. Inoltre nei nostri consigli pastorali non sono rappresentati cristiani provenienti dall’est europeo o dall’Africa, e se non ci mettiamo in ascolto di questi immigrati, figuriamoci di quelli musulmani! Forum PREGARE PER I MUSULMANI? Domanda > Un parroco: Quando in parrocchia propongo una preghiera per i musulmani, per esempio in occasione delle loro feste, c’è una reazione di ripulsa. Non siamo abituati a pregare per gli altri credenti. Quando in parrocchia muore un musulmano, non lo si ricorda. Quando c’è stato il terremoto in Abruzzo, ho citato nella preghiera i deceduti in quella regione insieme agli immigrati morti nel Mediterraneo, e questo abbinamento ha suscitato forte irritazione. In una realtà ormai interreligiosa non bisognerà far entrare nella concretezza della fede l’ospitalità sacra? Risposta > Ruggero Cavani: L’arrivo di fratelli e sorelle di altri fedi impone anche ai cristiani di riflettere sulla propria fede e allora ne esce una risposta debole, cioè violenta, oppure una risposta umile che mi aiuta a essere più fedele al Vangelo. Risposta > Mons. Fitzgerald: Forse se le esperienze di base che esistono fossero raccontate alla comunità parrocchiale in modo che possa farle proprie si potrebbe introdurre una preghiera per chi professa un’altra religione. COSA PENSANO I MUSULMANI DEI MARTIRI CRISTIANI? Domanda > Maria A. De Giorgi: Come sono vissuti e c’è una riflessione nel mondo islamico su fatti come la strage dei monaci di Tibhirine o l’uccisione di don Santoro? Risposta > Giuliano Zatti: Tra i singoli musulmani non è raro ascoltare commenti positivi sui martiri cristiani, mentre la comunità islamica in Italia, che pur non è unitaria, non si espone come tale, credo soprattutto per le tipiche dinamiche migratorie, cui si aggiunge il fatto che i musulmani non han- no quella capacità di intervento pubblico che ci si potrebbe attendere. È quindi poco pensabile che ci siano prese di posizione pubbliche, anche se a volte la Chiesa e lo Stato vorrebbero interventi più puntuali da parte dei leader delle comunità, i quali peraltro non sempre sono adeguati al loro ruolo. D’altro canto mi dicevano di recente che in Turchia don Andrea Santoro non viene considerato un martire e come tale non lo si può nominare, anche perché ci sono molte Chiese libere e pentecostali che realizzano un proselitismo dannoso, di cui poi sono i cattolici a pagare il prezzo. Risposta > Mons. Fitzgerald: Ogni anno l’agenzia Fides pubblica una lista dei cristiani martiri. Credo che la maggioranza non sia nel mondo islamico, ma si tratti di persone che lottano per la giustizia e sono eliminate perché scomode. In Algeria la strage dei trappisti ha sconvolto anche chi mai aveva sentito parlare dei questi monaci e lo stesso è avvenuto per l’omicidio de mons. Claverie, vescovo di Orano, tanto che ai suoi funerali i musulmani erano più numerosi dei cristiani. Era un modo di dire: “Uccidere i cristiani fa torto alla nostra società, noi abbiamo bisogno della loro presenza”. Certo non tutti la pensano così, ma alcuni sono convinti che i cristiani siano, come diceva mons. Claverie, “aria fresca” per una società in difficoltà. In Francia il responsabile dei musulmani nella zona di Lione, che è di origine algerina, ha sentito parlare dei trappisti e ha proposto al card. Barbarin di fare un viaggio insieme in Algeria; hanno formato una delegazione di cattolici e musulmani che ha visitato il monastero di Tibhirine e ciò, oltre ad avere un valore simbolico, ha creato un legame tra le persone che continua a dare frutti. Alcune parrocchie del nord dell’Inghilterra, in cui c’erano conflitti tra i nativi e gli immigrati pakistani o bengalesi, hanno organizzato viaggi nei loro villaggi di provenienza, in Pakistan e Bangladesh. Questo andare e vivere insieme crea legami che durano nel tempo, anche se non fanno A CURA DI MAURO CASTAGNARO notizia sui mass media. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 37 Conclusioni Lidia Maggi è pastora della Chiesa Evangelica Battista in servizio a Lodi e Milano. Si occupa di ecumenismo e pastorale delle persone recluse. È responsabile del settore Diritti umani delle Chiese Battiste Italiane e della rivista La scuola domenicale. È specialista in ecumenismo e catechesi. È tra gli autori del Dizionario Biblico per ragazzi Navigare nella Bibbia, Claudiana-Elledici, Torino 2001. Tra le sue più recenti pubblicazioni, Preghiera, EMI, Bologna 2006; Quando Dio si diverte. La Bibbia sotto le lenti dell’ironia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2008; Contemplando Emmaus. In ascolto del racconto di Luca guidati dai mosaici di Monreale (con Dario Vivian), ElleDiCi, Torino 2008; Le donne di Dio. Pagine bibliche al femminile, Claudiana, Torino 2009. Il presupposto L del dialogo a grammatica del dialogo ecumenico domanda che ogni confessione cristiana si autodefinisca, che cioè si dia voce all’altro, superando la tentazione di mettersi al suo posto. Tale grammatica trova oggi una felice applicazione nel chiedere ad una pastora battista di tirare le conclusioni di un Convegno svoltosi in ambito cattolico. La sfida che oggi siamo chiamati ad affrontare è quella del dialogo interreligioso. Non lo facciamo mettendoci su un piedistallo, sentendoci portatori di una verità che vogliamo testimoniare agli altri; lo facciamo a partire dall’esperienza interna al cristianesimo, lacerato da lotte intestine, da scomuniche reciproche. Ora, noi che eravamo separati, che non sapevamo dialogare, che ci scomunicavamo a vicenda, ab38 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 biamo imparato il linguaggio dell’accoglienza, della cura, dell’amore, del rispetto, della fiducia. MISSIONE E DIALOGO Ci sono molti modi di intendere il dialogo interreligioso. Alcuni sono entrati in contatto con un’altra realtà religiosa attraverso l’esperienza della missione. Del resto, anche il dialogo ecumenico è iniziato in ambito missionario, dove emergeva con forza l’esigenza di sollecitare le Chiese ad interrogarsi sulla credibilità di una testimonianza evangelica lacerata e divisa. Ad un secolo di distanza, la missione pone di nuovo l’esigenza della necessità di metterci in relazione con chi appartiene ad un’altra religio- LA PAURA DELLE CONTAMINAZIONI Tuttavia, la parzialità non impedisce di sentirmi accomunata a quella “nube” di testimoni che abitano la Scrittura. Anzi: se voi leggete la Scrittura, trovate che tutti coloro che hanno dato testimonianza della propria fede l’hanno fatto mettendosi in secondo piano, senza identificare se stessi con la verità, tenendosi lontani dai toni autocelebrativi. Mi domando che cosa è Il dialogo: una sfida da trasformare in opportunità conclusioni ne. Un altro modo, forse più dirompente, per cogliere l’urgenza del dialogo, nasce col fare i conti con l’emergenza migratoria. In pochissimi decenni ci siamo resi conto che è cambiato il panorama delle nostre città; e questo cambiamento richiede pure una riflessione sul tema della differenza religiosa, dal momento che gli immigrati, insieme alle loro valigie, portano anche il loro bagaglio religioso. Si tratta di un dialogo dispari, perché, almeno in Italia, il cristianesimo continua ad essere di gran lunga la religione maggioritaria. Tuttavia, la constatazione del diverso peso delle religioni in campo, non deve giocare contro l’urgenza del dialogo. Anche perché, laddove non si coltiva l’evangelo dell’accoglienza e del dialogo, il terreno civile ed ecclesiale fa posto a valori mondani, estranei alla Parola delle Scritture. E così, anche nelle nostre Chiese risuona un linguaggio gridato, confessionale e contrappositivo, sorto da un uso ideologico della religione. L’urgenza di entrare in dialogo con le altre religioni nasce anche dalla consapevolezza che si sta tradendo l’Evangelo, che si sta emendando il cuore della nostra fede. Per questo c’è bisogno del coraggio della conversione e della sapienza del discernimento. Entrambi ci invitano a maturare un atteggiamento dialogico, in grado di arginare questa deriva che ha installato nelle nostre chiese l’idolo della paura. Il dialogo interreligioso muove i suoi primi passi. Le nostre confessioni cristiane, dopo secoli di apologia, sono giunte ad una modalità di comunicazione che è meno preoccupata di rivendicare le proprie ragioni e più attenta di porsi in ascolto. E’ l’esperienza che abbiamo fatto in ambito ecumenico. Il dialogo è come una lingua straniera, che a fatica iniziamo a parlare. Sappiamo però che più noi pratichiamo il dialogo più acquisiamo la capacità di parlare in modo fluido, sognando il giorno in cui saremo in grado anche di pensare in questa lingua. Ora, questo nostro presente può diventare tempo dello Spirito. E’ come se lo Spirito stesse sussurrando alle chiese, alla Chiesa tutta (perché è un problema trasversale che riguarda le diverse confessioni): “Ecco io faccio una cosa nuova: non ve ne accorgete?”. E’ decisivo provare a cogliere quanto lo Spirito ci sta suggerendo; una sfida da trasformare in opportunità. Il dialogo interreligioso ci permette di uscire dall’apatia, da un certo modo di vivere la fede, abituato a ripetere la Parola di Dio, a compire gesti religiosi quasi per forza d’inerzia, senza la fatica di ripensare la fede per questa epoca storica. Il percorso ecumenico, che ha portato la Chiesa a riconoscersi plurale, a vedere nell’altro il fratello ritrovato, offre preziose indicazioni anche per il dialogo interreligioso. Il fatto stesso di trovarmi di fronte all’altro mi obbliga a rendere ragione della mia fede. Non posso più vivere di rendita, ripetendo le formule del catechismo; non posso più permettermi di parlare un linguaggio interno. La lingua del dialogo mi sollecita a fare la fatica di ridire la fede. Nel momento in cui dialogo con l’altro mi chiarifico sulle grandi parole della mia fede. Nel fare questo lavoro di recupero, dove l’altro mi chiede ragione della mia speranza, sono chiamata a non nascondermi dietro le parole della tradizione ricevuta, spesso congelata in modo tradizionalista. Nel momento in cui entro in relazione con l’altro - di una diversa confessione o religione - riscopro la mia parzialità. successo di questa Parola di Dio - a questo modo di narrare la fede -, dove i discepoli si raccontano sempre a partire dalle proprie debolezze. Israele si racconta a partire dai propri fallimenti; Gesù è presentato come colui che non può mai essere raggiunto, che sfugge, che devi continuamente seguire in un percorso che ti riporta sempre al luogo di partenza per ricominciare da capo (esemplare, in questo senso, l’evangelo secondo Marco). Certo, ci sono le domande che pongono coloro che hanno paura di entrare in dialogo. Il timore delle contaminazioni, del sincretismo. Tuttavia, se leggo le pagine bibliche, mi stupisco di quante storie abbiano elementi di contaminazio- La pastora Lidia Maggi con don Giacomo Canobbio (a sinistra) e p. Mario Menin. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 39 conclusioni Non siamo chiamati all’omologazione. L’esperienza cristiana è un’esperienza plurale nel suo stesso DNA. Abbiamo ricevuto il Cristo attraverso quattro sguardi (i Vangeli) sul medesimo Gesù ne non solo culturale ma anche religiosa, senza che questo significhi cadere nell’idolatria. Pensate ai Patriarchi: alla vicenda di Giuseppe in Egitto, che sposa una donna egiziana; a Giacobbe, che quando muore viene sepolto imbalsamato. I riti funebri per l’ultimo patriarca sono secondo la tradizione egiziana (Gen 50). Potrei citarvi tantissime pagine dove quel popolo, che ha sempre tenuto a separarsi dagli altri popoli in quanto santo, non ha paura a contaminare anche i linguaggi religiosi, reinterpretandoli. Forse su questo tema della contaminazione biblica dovremmo trovare le parole per ridire in chiave positiva la bellezza del meticciato. menti in cui la strada sembra interrotta, l’abbiamo imparato dall’ecumenismo; quegli incidenti di percorso, quelle chiusure, spesso nascondono delle domande implicite molto profonde che, se si sciolgono, aprono orizzonti. Pensate a Gesù con la cananea. Questa donna è stata capace di andare oltre la durezza delle parole di Gesù, domandandosi probabilmente: perché quest’uomo mi sta dicendo: “Io sono venuto per dare il pane ai figli d’Israele, non è bene prendere il pane dei figli e darlo ai cagnolini”? Perché quest’uomo mi sta dicendo di no? Questa donna è stata in grado di entrare nel linguaggio dell’altro, di ascoltare la domanda implicita. L’altra paura, per certi versi opposta a quella della contaminazione, è quella di chi teme le differenze ritenute insuperabili. Ma noi non siamo chiamati all’omologazione. L’esperienza cristiana è un’esperienza plurale nel suo stesso dna: abbiamo ricevuto il Cristo attraverso quattro sguardi (i Vangeli) sul medesimo Gesù. E ancora, paura del relativismo? Questa è la grande domanda che sembra creare sospetti nei confronti del dialogo. Su questo timore non ho una risposta netta. E come sentiamo la responsabilità spirituale, morale di metterci in ascolto dell’altro appartenente ad un’altra religione, abbiamo anche la responsabilità di metterci in ascolto dell’altro che è vicino a noi e che si chiude per paura del relativismo. Occorre ascoltare le domande profonde che giacciono dietro la paura, perché anch’esse possono innescare percorsi di dialogo. Probabilmente, Gesù sentiva una diversa urgenza rispetto alla sua chiamata che sembrava in contrasto con le esigenze della donna. Quest’ultima, tuttavia, non ha mollato il colpo, proprio perché ha saputo ascoltarlo. Gesù si è sentito accolto e i due si sono ritrovati. Nell’esperienza di dialogo che stiamo iniziando con molta precarietà, è decisivo convertirsi. Il dialogo interreligioso, come del resto quello ecumenico, è un’esperienza di conversione, un cambiamento di paradigma. E’ rendersi conto che non si può più dire la fede con un linguaggio autoreferenziale. Che l’incontro con l’altro, come quello con Gesù, non permette di continuare come prima. Nell’incontro, lo Spirito soffia. Questo ci permette di cogliere la significatività della nostra vita nei suoi molteplici ambiti: nella pastorale, nel lavoro sociale, e nella scelta di persone che decidono di andare in qualche parte del mondo facendo la fatica di entrare in relazione con la comunità che trovano. Lo Spirito soffia in tante modalità diverse: a volte siamo più sordi, qualche volta siamo più aperti. Quel soffio può innescare un autentico processo di conversione. Credo che questa esperienza spirituale sia il presupposto del dialogo. LIDIA MAGGI LE DOMANDE IMPLICITE Relatori, moderatori e discussant del Convegno nella Chiesa di S. Cristo (Bs). 40 Il dialogo interreligioso oltre all’empatia, all’amicizia, all’amore, richiede la capacità di ascoltare il non-detto, di percepire le domande implicite, quelle che, una volta esplicitate, rischiano di far fallire il confronto. Ci sono mo- Missione Oggi | agosto-settembre 2009 conclusioni Giacomo Canobbio è docente di teologia sistematica nella Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, sede di Milano, e nello Studio Teologico Paolo VI del Seminario di Brescia. Dal 1995 al 2003 è stato presidente dell’Associazione Teologica Italiana (ATI). Tra le sue ultime pubblicazioni: Laici o cristiani. Elementi storico-sistematici per una descrizione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia 1997; Dio può soffrire?, Morcelliana, Brescia 2006; Chiesa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua recezione, Morcelliana, Brescia 2007; Il destino dell’anima, Morcelliana, Brescia 2009; Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso di un controverso principio teologico, Queriniana, Brescia 2009. Con Piero Coda ha diretto La teologia del XX secolo. Un bilancio, Roma 2003. E’ membro del Comitato scientifico della rivista “Ad Gentes” dell’EMI di Bologna. Ladelcomplessità dialogo I l titolo di questa sessione del Convegno è “Esperienze di dialogo interreligioso”. A me è stato chiesto di offrire, a conclusione, una riflessione su quanto ascoltato. Il rapporto tra esperienza e riflessione non è così scontato. La riflessione svolge una funzione critica nei confronti delle esperienze. Dire funzione critica vuol dire aiutare a far emergere le ragioni, considerare le condizioni di quelle esperienze, evidenziare gli aspetti problematici, fare opera di discernimento. Il discernimento comporta anche, in alcune circostanze, contribuire ad estirpare degli slogan che circolano, in questo caso a proposito del dialogo interreligioso. Allora, la riflessione serve soltanto a portar lontano dal- l’immediatezza dell’esperienza stessa? Serve solo a complicare le cose? Quando si pensasse così si evidenzierebbe, a mio parere, una certa paura. La riflessione critica intende mettere in evidenza la serietà di ciò che è in gioco. Dopo questa premessa, il mio intervento si limiterà quasi ad un indice ed è costituito da sei punti. Sei, perché se fossero sette avrebbe la pretesa della compiutezza. SUL SIGNIFICATO DI DIALOGO Gli aggettivi qualificativi hanno una funzione in ogni lingua, anche nella lingua italiana. Quando si tratta di dialogo interreligioso, il terMissione Oggi | agosto-settembre 2009 41 conclusioni La base di avvio del dialogo Si è insistito molto sulla spiritualità, mi è sembrato tendenzialmente identificata con la preghiera. Nulla da eccepire, ma la spiritualità, oso dire, è qualche cosa di più ampio della preghiera: è la vita secondo lo Spirito; sebbene, per vivere secondo lo Spirito, la preghiera occupi un posto rilevante. È chiaro che se si prende come base del dialogo la preghiera si è ad un livello diverso rispetto a quando si prende come base per esempio la ragione. La ragione come base del dialogo è il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI. Di quale ragione si tratta? Per noi occidentali la ragione ha un significato che per gli orienta- li non trova corrispondenza. Noi supponiamo che il nostro concetto di ragione sia universalizzabile immediatamente. Oppure, l’umano, come base del dialogo interreligioso. Quando pensiamo all’umano che cosa intendiamo? Faccio degli esempi: quando Paul Knitter e John Hick pensano all’umano, lo pensano in forma trascendentale rispetto a come lo pensavano e lo pensano, per esempio, i teologi latinoamericani che si ispirano alla Teologia della liberazione; rispetto a quello che Schillebeecx intendeva. Ancora, la base sulla quale costruire il dialogo è l’amicizia. Non possiamo dimenticare, visto che l’anno prossimo ricorre il centenario, Matteo Ricci (1552-1610), il quale fonda il suo dialogo con gli intellettuali confuciani precisamente sull’amicizia e scrive un trattato sull’amicizia, che gli serve come base per interloquire. È chiaro che a seconda di quale concetto di verità si utilizzi, il camminare insieme verso la verità non è più la stessa cosa. Si potrebbe anche dire, camminare insieme verso la salvezza. Quale salvezza? Ovviamente non quella escatologica, che è fuori causa, ma la salvezza storica che secondo la descrizione neotestamentaria è la riconciliazione, il ricondurre la realtà a unità, che coincide con la pace mine dialogo non lo si può intendere allo steso modo di quando si parla di dialogo in generale. Mi pare di avere individuato nei linguaggi utilizzati, qui oggi, almeno quattro significati diversi di dialogo. Il primo, in riferimento a Ecclesiam suam, è colloquium salutis, ove “dialogo” ha un sugnificato abbastanza preciso. Il secondo: “dialogo” come aspetto fondamentale della missione, in questo caso c’è una colorazione abbastanza particolare. Il terzo: “dialogo” come ricerca delle parole comuni sulle quali convenire. Infine, “dialogo” come comunicazione delle particolarità religiose di coloro che interloquiscono. Questa comunicazione implicherebbe: a) apprendere reciprocamente i linguaggi, non solo la lingua, che comportano simboli, pratiche, visioni; b) riscoprire e conservare la propria particolarità. 42 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 LE DIFFICOLTÀ DEL DIALOGO Mentre ascoltavo gli interventi mi sono venute in mente quattro difficoltà. La prima è il peso della storia. Non siamo vergini, ci portiamo secoli di sedimentazioni, di atteggiamenti che non possono essere dimenticati immediatamente. Gli atteggiamenti dei popoli e delle persone non si cambiano perché si è intravisto qualche altra possibilità. Occorrono passaggi generazionali. La seconda difficoltà è la paura del diverso, che nel nostro ambiente viene montata artatamente. Questo aspetto è già stato rimarcato molto bene. La terza difficoltà è l’immagine mediatica dell’altro che comporta sempre semplificazioni. Ancora un riferimento a Matteo Ricci. Quando entra in Cina si veste da monaco buddhista, pensando in questo modo di suscitare la simpatia dei cinesi; si accorge invece che è un fallimento, perché per i cinesi il buddhismo era una religione che veniva dall’esterno. Aveva saputo che in Cina c’era di buddhismo, quindi pensava di usare questa via... Ma “a little knowledge is a dangerous thing” (una scarsa conoscenza è molto pericolosa), anche per i grandi come Ricci. La paura del diverso mediato dai media provoca disastri ancora maggiori, poiché crea i presupposti perché il dialogo non scatti. GLI ATTEGGIAMENTI CHE IL DIALOGO IMPLICA Sono già stati citati il rispetto, su cui ha insistito molto Mons. Fitzgerald, e l’umiltà. Io vorrei sottolineare altri due atteggiamenti. Il primo è la fiducia. Questa mattina P. Menin introducendo faceva riferimento a Ef 2. Se Gesù Cristo ha abbattuto il muro di separazione perché noi non potremmo continuare quest’opera, con la fiducia che è possibile? Vorrei richiamare due parabole del racconto sia di Matteo che di Marco. Quella del granello di senapa: la sproporzione che c’è tra quell’inizio insignificante, il seme, e l’albero sul quale tutti gli uccelli vengono a fare il loro nido; la seconda è quella del seminatore: normalmente noi la leggiamo a partire dalla spiegazione; il significato di quella parabola da parte di Gesù è rispondere alla sfiducia che i suoi interlocutori mostrano nel suo ministero, considerato fallimentare. Gesù vuol far capire che in una maniera inaspettata quel ministero produrrà un frutto strepitoso; non verificabile in altri campi, perché non c’è nessuna spiga che porti trenta o sessanta o cento chicchi. È la fiducia che gli avvii piccoli, insignificanti, produrranno un frutto grande. Connessa con la fiducia c’è la pazienza. C’è un proverbio che dice: “La gatta frettolosa ha fatto i gattini ciechi”. Non è un caso che nel Nuovo Testamento il termine hypomonē, che vuol dire resistenza, pazienza, sia strettamente collegato con la speranza. L’OBIETTIVO DEL DIALOGO È stato detto: camminare insieme verso la verità. Quale verità? Ci sono almeno tre modi, nella riflessione sul dialogo interreligioso, di intendere la verità. La verità come risultato, mettendo insieme le diverse prospettive si costruirebbe una verità più grande. Un secondo significato, la verità come distillato: lasciamo perdere tutte le differenze, andiamo al nocciolo e vedremo che in fondo siamo tutti uguali; questo avviene, per esempio, quando si parla di Dio, in fondo tutti riconosco- conclusioni La quarta difficoltà, richiamata anche dalla Pastora Maggi, è il timore del rischio del relativismo, che poi viene interpretato come indifferentismo, che fa scattare nella media della nostra popolazione una difesa della cristianità a scapito del Vangelo. no lo stesso Dio. La linea tendenziale di alcune teologie delle religioni è questa. C’è un noumeno, al di là delle differenze, che ci unifica. Un terzo significato: verità come svelamento, come apparire di una realtà che coincide con rivelazione, che è da accogliere. Il cristianesimo ha un’originalità, usa un ossimoro perché parla della trascendenza nella storia. L’evento Gesù Cristo resta perennemente il trascendente nella storia. Ciò sta a dire che proprio quell’evento non perde mai la sua dimensione di trascendenza, ha bisogno di storicizzarsi, ma nessuna storicizzazione può pretendere di esaurirlo, c’è uno svelamento continuo man mano che si procede nel tempo. È chiaro che a seconda di quale con- cetto di verità si utilizzi il camminare insieme verso la verità non è più la stessa cosa. Si potrebbe anche dire, camminare insieme verso la salvezza. Quale salvezza? Ovviamente non quella escatologica, che è fuori causa, ma la salvezza storica che secondo la descrizione neotestamentaria è la riconciliazione, il ricondurre la realtà a unità, che coincide con la pace. L’OBIEZIONE FONDAMENTALE A PROPOSITO DEL DIALOGO Il dialogo sarebbe possibile se ci fosse reciprocità. Qualche volta ci si dimentica che il Vangelo è qualche cosa di nuovo e di originale. Chi ha avuto la grazia di accogliere il Vangelo sa di aver ricevuto un di più. Questo di più si evidenzia nel comportamento: “Sapete che fu detto agli antichi, ma io vi dico se salutate soltanto coloro che vi salutano che cosa fate di diverso dai pagani?”. Aspettare la reciprocità per avviare il dialogo vorrebbe dire, contraddire quello che si vorrebbe difendere e cioè l’originalità del Vangelo, la sua bellezza. GIACOMO CANOBBIO Particolare del chiostro di S. Cristo (Bs), dove si è svolto il Convegno. Missione Oggi | agosto-settembre 2009 43 Forum delle redazioni Il dialogo interreligioso è irrinunciabile MICHAEL L. FITZGERALD E MARIA A. DE GIORGI RISPONDONO ALLE DOMANDE DELLE REDAZIONI DI “MISSIONE OGGI”, “CEM MONDIALITÀ”, “MISSIONARI SAVERIANI” e “MISSIONE GIOVANI” A CURA DI MAURO CASTAGNARO Federico Tagliaferri (redazione di “Missione Oggi”): Sono ormai quattro decenni che la Chiesa è impegnata nel dialogo interreligioso. Lei ha notato un’evoluzione, in particolare nei rapporti con l’Islam? E la “Lettera dei 138 saggi musulmani” può essere considerata un momento di svolta? Mons. Fitzgerald: Anche se prima c’erano stati alcuni pionieri, indubbiamente è dal Vaticano II che il dialogo interreligioso è divenuto un fatto di Chiesa. Si dice spesso che l’iniziativa del dialogo viene sempre dai cattolici, ma non è questa la mia esperienza: nel Segretariato per i non cristiani, poi Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, gli inviti al dialogo venivano dai musulmani, il che è curioso perché a livello della base non c’era molto dialogo, o almeno c’era solo in alcuni luoghi, dove cristiani e musulmani convivevano positivamente. Forse a stimolarlo era il prestigio della Santa Sede. Il principe Hassan di Giordania aveva fondato l’Istituto per lo studio delle religioni e il dialogo e cominciato un’interlocuzione con gli anglicani, cercando e trovando un pari ran44 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 go nel principe di Windsor, poi l’aveva allargata gli ortodossi, ma voleva un dialogo anche coi cattolici. Il Card. Arinze rispose positivamente, ma a condizione di coinvolgere la Chiesa locale. Credo che questo sia molto importante perché dava ai cristiani giordani la possibilità di esprimersi, cosa non sempre facile per loro e a volte neppure cercata. Lo stesso è avvenuto con la Libia, che nel 1976 promosse un convegno conclusosi con una dichiarazione di condanna del sionismo come forma di razzismo. Cosa che suscitò forte opposizione al dialogo, perché molti accusarono la Santa Sede di essersi lasciata manipolare da Tripoli, cosa non vera. Ci vollero quasi dieci anni per ricominciare il dialogo tra Roma e Tripoli, cosa che avvenne attraverso l’“Appello all’Islam”, a partire da un gruppo internazionale con sede in Libia. Abbiamo risposto pure agli iraniani, che sono i più preparati al dialogo, anche perché hanno tradotto molti testi cattolici, dal Catechismo della Chiesa cattolica - la piccola comunità cattolica locale non avrebbe avuto le condizioni economiche di tradurlo, mentre l’hanno fatto gli studiosi musulmani iraniani, consultando il vescovo locale, il che è molto bello - a libri di teologia moderna. Anche da parte dei Sikh o di movimenti buddhisti, come il Rissho Kosei-kai, sono venute iniziative di dialogo verso di noi. Perciò l’idea che il dialogo sia un moto unidirezionale dalla Chiesa cattolica verso le altre religioni non è vera. L’iniziativa dei 138 saggi musulmani è cominciata quando 38 intellettuali hanno scritto a Benedetto XVI, dopo il discorso di Ratisbona, una lettera molto garbata in cui dicevano che il Papa sbagliava la propria valutazione dell’Islam; un anno dopo il numero dei firmatari era salito a 138 e hanno scritto una nuova lettera invitando al dialogo teologico e pratico (amore di Dio e amore del prossimo) non solo la Chiesa cattolica, ma tutti i cristiani. Questo non esaurisce il dialogo tra cristiani e musulmani, che avviene in misura considerevole anche a livello locale, ma il Forum cattolico-musulmano svoltosi a Roma in novembre ha dimostrato che uno scambio su temi teologici è possibile, mentre a volte questo è negato. Naturalmente noi ci incontriamo per conoscerci più profondamente, non per arrivare a una religione comune. Franco Ferrari (redazione di “Missione Oggi”): Nel dialogo con l’Islam, specie di fronte alle posizioni fondamentaliste, molti sostengono l’opportunità di stabilire rapporti con le correnti più moderate o propense all’incontro. Lei crede sia possibile scegliere gli interlocutori nel dialogo interreligioso o questo tocca più alla politica? Mons. Fitzgerald: La scelta del partner è difficile, dipende dalle circostanze. In Vaticano dialogavamo con organismi ufficiali dei paesi islamici, quasi mai abbiamo invitato singole persone, ma abbiamo dovuto affidarci alle scelte del partner musulmano, con sorprese a volte anche sgradevoli, come quando ci trovammo nella delegazione libica diversi cristiani convertiti all’Islam, il che ci mise a disagio. Ma in generale nel dialogo ufficiale si accetta il partner e si cerca di dialogare con esso. D’altro canto se i nostri partner scegliessero di dialogare con Hans Küng, che io rispetto e di cui sono amico, il Vaticano non sarebbe contento, perché non si sentirebbe da lui rappresentato. Sono liberi di invitarlo, ma non nelle stesse circo- stanze. Un dialogo invece più informale, come quello del Gruppo di ricerche cristianoislamico, formato da individui, è più libero di scegliere i propri interlocutori. Nel dialogo dobbiamo rispettare le diverse istanze. C’è pure il pericolo di scegliere persone con cui ci sentiamo in sintonia per la loro capacità critica, ma che a volte non hanno grande influenza nella loro comunità. Quindi bisogna dare loro la possibilità di esprimersi, ma è importante cercare il dialogo anche coi settori fondamentalisti. Credo sia difficile che possa farlo il Vaticano, ma ci sono altri soggetti, per esempio giornalisti cattolici, che hanno interloquito coi Fratelli musulmani. Brunetto Salvarani (direttore di “CEM Mondialità”): Vorrei centrare il discorso sul rapporto tra dialogo e annuncio, partendo dall’omonimo documento del 1991. Oggi sembra prevalere il paradigma dello “scontro di civiltà” e ciò colpisce anche il dialogo interreligioso. Se fosse riscritto oggi “Dialogo e annuncio” dovrebbe essere modificato? Condivide l’impressione che rispetto ad allora il clima anche nella Chiesa cattolica sia meno propizio al dialogo e molto più centrato sull’identità? Mons. Fitzgerald: Credo che “Dialogo e annuncio” vada letto insieme al documento del 1984 “L’atteggiamento della Chiesa verso persone di altre religioni. Una riflessione su dialogo e missione”. Questo testo è molto importante perché colloca il dialogo all’interno della missione della Chiesa; non è esterno né facoltativo, ma parte della missione. Inoltre esso ha un afflato spirituale che manca in quello del 1991, frutto di molti compromessi e assai cauto perché nel frattempo ci si era cominciati a chiedere che ruolo avesse l’annuncio se il dialogo faceva parte della missione della Chiesa. Credo che la dottrina di “Dialogo e annuncio” sia valida ancora oggi, con la sua interpretazione dell’insegnamento del Concilio Vaticano II e dei Papi, che sottolinea la possibilità di salvezza al di fuori della Chiesa, ma non la fine della missione di Gesù Cristo. Oggi il sospetto di relativismo forse rende difficile il compito dei teologi che vogliono dare un fondamento al dialogo interreligioso e talvolta vanno troppo oltre sacrificando l’essenziale Missione Oggi | agosto-settembre 2009 45 FORUM DELLE REDAZIONI del cristianesimo. Anche i miei confratelli che sono favorevoli al dialogo, oggi preferiscono parlare di incontro, perché l’uno dà l’idea di discutere qualcosa per arrivare ad affermazioni comuni, mentre l’altro dà più l’idea del rispetto delle diverse posizioni. La mia critica a “Dialogo e annuncio” è che dà l’impressione che il dialogo sia solo bilaterale, mentre ce n’è anche uno multilaterale: il primo consente un maggiore approfondimento, mentre l’altro, per esempio negli incontri promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, permette di lavorare insieme per contrastare lo scontro delle civiltà. Incontro e annuncio concettualmente sono diversi, ma nella realtà stanno insieme, perché quando io incontro una persona, se sono cosciente della mia identità, dico il mio cristianesimo. Maria A. De Giorgi: Alcune situazioni attuali derivano da un certo realismo frutto del cammino di questi anni. Dopo il Concilio, quando si è cominciata l’avventura del dialogo, era inevitabile porre l’accento su ciò che unisce, ciò che è bello dell’altro; poi il cammino ha condotto a prendere coscienza dei limiti e dell’abuso del dialogo, capendo che esso ha senso più a partire dalla divergenze, perché se siamo d’accordo non serve incontrarci. Ciò ha spinto alcuni ad un rallentamento, altri a un ripensamento e altri ancora a una frenata perché in alcune situazioni si era andati troppo oltre. Penso che una pausa di riflessione non faccia male. Io riscriverei allo stesso modo “Dialogo e annuncio”, ma approfondirei molto di più alcune grandi intuizioni di Paolo VI, come l’idea del dialogo della salvezza. “Dialogo” e “annuncio” sono in feconda tensione, non in contraddizione. Giusy Baioni (direttrice di “Missione Giovani”): Qual è la situazione dei cristiani in Egitto? Mons. Fitzgerald: L’Egitto è il paese arabo col maggior numero di cristiani, circa il 10% della popolazione, cioè 8 milioni di persone, nella stragrande maggioranza copti ortodossi. La decisione del governo di abbattere i maiali, che sono in gran parte allevati dai cristiani, ha suscitato alcune proteste, ma il governo ha promesso risarcimenti e programmi per spostare gli allevamenti all’esterno delle città e non nei pressi delle discariche. Certo essere cristiano egiziano 46 Missione Oggi | agosto-settembre 2009 non è facile. I cattolici sono circa 250.000, ma l’influenza della Chiesa cattolica è ben più grande, soprattutto tramite le scuole cattoliche, in cui ci sono molti studenti ortodossi e musulmani, e l’azione sociale della Caritas, attiva in tutto il paese al servizio non solo dei cristiani. Negli ultimi 20 anni è cresciuta la tensione tra cristiani e musulmani: gli anziani dicono che quando erano giovani non era difficile frequentare le scuole cattoliche, mentre ora vengono più spesso richiamati. Inoltre la società diventa, almeno nei segni esteriori, più islamica, per cui le ragazze musulmane portano il velo all’Università e quelle cristiane possono essere oggetto di insulti o di pressioni. Il vero dialogo si fa non sul piano religioso, ma nel lavoro comune di cristiani e musulmani all’interno di associazioni non governative che difendono i diritti umani di tutti i cittadini, cercando di conciliare quanto è scritto nella Costituzione egiziana e il richiamo alla sharia, alla legge islamica. P. Marcello Storgato (direttore di “Missionari Saveriani”): Nei 21 anni trascorsi in Bangladesh ho scoperto, per esempio nell’Islam sufi, una profondità spirituale che favorisce dialogo, annuncio, incontro. Questo è confermato dalla vostra esperienza? Al contempo abbiamo verificato che quando inizia una guerra, il dialogo viene azzerato. Terzo aspetto: in Italia, incontriamo giovani, soprattutto ragazze, musulmane che faticano a trovare interlocutori cristiani della loro età, da cui conoscere l’esperienza di fede. Maria A. De Giorgi: Anche in Giappone ho scoperto con gioia esperienze bellissime in cui opera lo Spirito, per cui un atteggiamento di dialogo diventa pure azione di ringraziamento. Per fortuna il Giappone non vive una guerra, ma capisco che quando ciò succede non è facile mantenere un atteggiamento di dialogo, anche se qui entra in gioco, per il cristiano, l’amore verso il nemico. La latitanza del mondo giovanile non mi stupisce, perché il dialogo presuppone una matura identità di fede che spesso i giovani non hanno, soprattutto oggi, esposti al pluralismo della società. Ciò dovrebbe spingere noi a un maggiore impegno nella formazione alla fede e al dialogo. In Giappone, dopo venti anni di lavoro, è nata l’esigenza di avere corsi di formazione al dialogo, quasi stessimo passando da una fase carismatica a quella in cui bisogna preparare le persone. Mons. Fitzgerald: Quando ero in Sudan ogni tanto andavo ad ascoltare uno sheikh musulmano che dava lezione vicino alla chiesa. Era una persona molto austera e visitava la gente come un parroco. Quando ho dovuto rientrare a Roma, sono andato a salutarlo e lui ha pregato per me, affinché diventassi musulmano, ma questo era per lui l’augurio più bello perché la sua fede era per lui la cosa più preziosa. Il sufismo, nel quale gli occidentali si trovano più a proprio agio, tanto che ci sono conversioni all’Islam tramite esso, è guardato con sospetto nel mondo arabo; in Egitto, però, un comboniano italiano, p. Giuseppe Scattolin, che ha pubblicato un libro di testi sufi in arabo, è stato invitato a tenere conferenze anche ad Al-azar, il che mostra una possibilità. Io stesso, pur non essendo esperto di sufismo, sono stato invitato a tener una conferenza in una Università statunitense e ho scelto di parlare dei “bei nomi di Dio” e del loro senso per un cristiano; quindi partivo dal Corano per cercare nella Bibbia l’equivalente di questi nomi e approfondivo come si può ricevere un incitamento alla preghiera da questa tradizione islamica. Il pubblico era composto da cristiani e musulmani e qualcuno ha chiesto come, essendo cristiano, potessi commentare il Corano; ho risposto che il Corano per i musulmani è un libro sacro, ma è un testo importante per tutti; e siccome era presente l’ambasciatore dell’India, ho detto che avrei potuto prendere anche l’Upanishad e scoprirvi le verità che contiene, senza per questo essere indù. Anche un musulmano può scoprire nella Bibbia o negli scritti della nostra tradizione valori importanti. Perciò dobbiamo avere la possibilità di questo dialogo sui valori, che scopriamo negli altri. Per la guerra, è vero. Per esempio, in Medio Oriente il conflitto israelo-palestinese è una controtestimonianza e rende difficili il dialogo e i rapporti tra i popoli. Quando Paolo VI lanciò la proposta di una giornata mondiale per la pace, Maodhoudi, leader musulmano del Pakistan, si disse favorevole, affermando però che finché ci fosse stato guerra tra Israele e Palestina non ci sarebbe stata pace nel mondo. Credo avesse abbastanza ragione. Mi rallegra vedere soprat- tutto giovani musulmani che vengono a Roma a studiare il cristianesimo; sono convinti della loro fede, ma sperimentano il vivere coi cristiani. Questo mi fa sperare nel futuro, perché ci saranno musulmani capaci di fare da mediatori nel dialogo. Ruggero Cavani: Evidenzierei due aspetti: lo sforzo culturale e teologico che chi è credente in modo consapevole compie in questa relazione con uomini di fedi diverse, perché l’incontro implica un cambiamento di mentalità circa l’annuncio e la missione; e l’umiltà, che è indispensabile se si vuole stare insieme tra diversi, perché il vestire, mangiare, ecc. in modo differente può portare a confliggere. Maria A. De Giorgi: Di recente la Conferenza episcopale giapponese mi ha chiesto di organizzare corsi di formazione al dialogo interreligioso per preti e religiose. Essi prevedono momenti di studio e visite ad ambienti di diverse religioni. Siamo andati a visitare anche la Rissho Kosei-kai. Ci hanno mostrato un video, in cui la prima affermazione era che “una religione che non è missionaria non è una religione”. Eppure è uno dei movimenti più impegnati nel dialogo, il che mostra che tra dialogo e annuncio non c’è contraddizione. E nella loro sede centrale a Tokio c’è una targa in cui si dice “andate in tutto il mondo ad annunciare Buddha”. Una religione che non desidera comunicare quello che ha di più importante non è una religione. Mons. Fitzgerald: Mi sembra importante il riferimento all’umiltà; non possiamo imporre la nostra religione all’altro, deve essere una testimonianza, che è più forte della predicazione, pur necessaria, ma successiva. Nell’Islam c’è l’invito a convertirsi e quindi i musulmani fanno la missione, ma noi non possiamo rinunciare alla nostra fede. Qui c’è la questione dell’identità, ma essere radicati nella propria fede non significa mettersi sulla difensiva. Dell’umiltà del dialogo fa parte l’accettare situazioni che non controlliamo e un po’ di rischio c’è. Michela Bono (redazione di “Missione Oggi”): Scoprire che Dio ha 99 nomi e non solo quello che conoscevo io mi ha aiutato a parlare coi giovani, perché eli- mina le rigidità de “il mio Dio” e “il tuo Dio”, che crea contrapposizione. Mons. Fitzgerald: In effetti il parlare dei “99 nomi di Dio” da parte della tradizione islamica ci aiuta a ricordare che non abbiamo mai finito di conoscere Dio e anche se noi cristiani diciamo di avere la verità in Cristo, dobbiamo chiederci se abbiamo capito tutto di questa verità. In realtà c’è sempre da scoprire e alla nostra conoscenza di Dio possono contribuire le altre religioni. Non dobbiamo fare solo una traduzione letterale di una parola, ma vedere in che modo questo termine è compreso nell’altra tradizione. Per esempio, “rivelazione” non vuol dire la stessa cosa nel cristianesimo e nell’islam. Maria A. De Giorgi: In effetti questo è un problema enorme, tanto che in Giappone dai tempi di San Francesco Saverio non si è ancora trovato un termine adatto per il concetto cristiano di Dio e anche quello attualmente usato è assai ambivalente. Forse con l’islam è più facile, perché esso si muove all’interno di categorie semitiche, ma il mondo buddhista prescinde dal concetto di Dio. Il problema di fondo è il rapporto tra l’esperienza di Dio e la sua verbalizzazione, il cercare di comunicarla e anche questo è un compito del dialogo: cercare di capirci sull’essenziale, andando al di là delle parole, ma servendoci di parole e questo è un cammino mai terminato. Coordinatrice dell’ufficio per il dialogo interreligioso della diocesi di Brescia: Il dialogo interreligioso, almeno a Brescia, è ancora esperienza elitaria, ma la gente che vive nelle parrocchie, a contatto con persone di altre religioni, è indifferente. Come aiutare a far crescere questa sensibilità? Mons. Fitzgerald: Dobbiamo cercare diversi modi di incontrare le persone, magari a partire dai loro bisogni: per esempio io conosco parrocchie che hanno concesso l’uso di sale parrocchiali per matrimoni indù. Così comincia il rapporto di amicizia. A Chicago un iraniano è diventato l’amministratore della moschea e l’ha aperta per un giorno a tutti affinché i vicini la conoscessero. È venuto anche il rabbino, il quale ha chiesto se sarebbe stato possibile per gli ebrei venire a pregare in una sala della moschea visto che la sinagoga doveva essere ristrutturata. La richiesta è stata accettata, per cui per sei mesi gli ebrei l’hanno usata e questo ha creato un’amicizia che continua. Maria A. De Giorgi: Linee pastorali ci sono, ma bisogna metterle in atto. “Dialogo e annuncio” parla di quattro livelli di dialogo: della vita, delle opere, delle esperienza spirituali e degli scambi teologici. Nel 1991 per due anni abbiamo studiato il documento chiedendoci che cosa la Chiesa ci domandasse di fare, quindi è nato un gruppo interparrocchiale che ha cercato di incontrare i vicini di altre religioni, a livello di base; così sono nate conoscenze che hanno favorito una crescente collaborazione sul territorio. Si tratta di verificare che cosa si può fare nella situazione concreta dove si vive. Brunetto Salvarani: A Novellara, nella campagna reggiana, dove c’è il più grande tempio sikh d’Italia, l’amministrazione comunale, siccome ritiene il dialogo interreligioso importante anche per la costruzione della cittadinanza, dedica alla fine del Ramadan, alla Pasqua e al Natale, al Capodanno cinese e al Baisakhi sikh un momento gestito dal Comune, in cui le comunità sono invitate a presentarsi, a scambiarsi doni e a mangiare insieme. È un’esperienza in controtendenza, ma crea relazioni importanti in una cittadina di 16mila abitanti con 3mila stranieri. Mons. Fitzgerald: A Londra da 25 anni l’arcidiocesi di Westminster organizza una marcia per la pace da un luogo sacro a un altro, che cambia ogni anno, quindi da una chiesa battista alla sinagoga o dalla moschea al tempio buddhista e ogni volta un membro di ogni comunità la presenta agli altri. I partecipanti sono in aumento e camminando si parla. Si tratta di fare qualcosa insieme. Maria De Giorgi: Mi aveva molto ferito leggere che in nome del dialogo in Italia si smetteva di allestire i presepi, perché i bambini buddhisti del nostro villaggio, vedendo il presepe, ci hanno chiesto di spiegare loro che cosa fosse il Natale. Non si tratta di sopprimere le tradizione, ma invitare e presentarle. Giusy Baioni: A Desio da qualche anno si tiene una marcia della pace, cui partecipano cristiani e musulmani. C’è un signore che non manca mai, ma si lamenta sempre che nessuno pensi a lui, ateo! Missione Oggi | agosto-settembre 2009 47 Incontro nazionale bilanci di giustizia Giovedì 27 agosto Venerdì 28 agosto Sabato 29 agosto Domenica 30 agosto GRAZIA HONEGGER FRESCO Sviluppare la bellezza e la speranza nei bambini, per far crescere adulti consapevoli e capaci di stare nel mondo con senso critico, per cambiarlo Presentazione Rapporto Annuale 2008 CARLO MOLARI Al servizio del mondo, verso la giustizia. Speranza e cambiamento Noi e la crisi: quanto ci tocca e quanto ci interpella. Valutazione dell’AltraCard ORE 18.00 ORE 9.30 LUCA GAGGIOLI I bilanci ieri, oggi e domani FRANCESCO GESUALDI Verso una nuova società del Benvivere ORE 9.30 ORE 9.30 Progettare la speranza come bilancisti... proposte di futuro Oropa (Bg) | 27-30 agosto 2009 Seminario Pesaro 21-24 settembre 2009 Quale formazione per quale missione Missionari Comboniani Villa Baratoff - Via Angelo Custode, 20 - Pesaro info: [email protected]