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CSAM - 25121 BRESCIA, VIA PIAMARTA 9 • Poste Italiane S.p.A - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Brescia - contiene I.P.
Esperienze
di dialogo
interreligioso
Intrecci formativi
e spirituali
www.saveriani.bs.it/missioneoggi
Sommario n. 7/2009
Mensile dei Missionari Saveriani
dal 1903 al 1978 Fede e Civiltà
Direttore
Mario Menin
[email protected]
Redattori
Mauro Castagnaro, Franco Ferrari,
Federico Tagliaferri
Segreteria
Salvatore Leardi
[email protected]
Gruppo redazionale
Michele Agosti, Giusy Baioni, Michela Bono, Maria Teresa Cobelli, Domenico Cortese, Roberto
Cucchini, Flavio Dalla Vecchia, Lydia Keklikian,
Piero Lanzi, Fausto Piazza, Marino Ruzzenenti,
Anna Scalori, Gabriele Smussi, Franco Valenti,
Annachiara Valle
Hanno collaborato a questo numero
Maria A. De Giorgi, Michael L. Fitzgerald, Giampiero Alberti, Federico Tagliaferri, Ruggero Cavani, Guliano Zatti, Mauro Castagnaro, Lidia Maggi, Giacomo Canobbio, Franco Ferrari.
Direzione
Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia
Tel. 0303772780 - Fax. 0303772781
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Amministrazione e abbonamenti
Centro Saveriano Animazione Missionaria
(C.S.A.M.)
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Abbonamenti
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Un numero separato
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3 Editoriale
Abbattere il muro di separazione
pratiche di dialogo
4 Buone
Shinmeizan: il tempio per dialogare (Maria A. De Giorgi)
pratiche di dialogo
9 Buone
Shinmeizan: casa di preghiera cristiana (Maria A. De Giorgi)
al dialogo
15 Formazione
Per una formazione al dialogo interreligioso (Michael L. Fitzgerald)
di discussione
19 Forum
Ho due sogni (Giampiero Alberti)
pratiche di dialogo
24 Buone
Camminare insieme (Ruggero Cavani)
del dialogo
28 Spiritualità
Vita religiosa e missione (Michael L. Fitzgerald)
di discussione
33 Forum
La fatica di mettersi in discussione (Giuliano Zatti)
38 Conclusioni
Il presupposto del dialogo (Lidia Maggi)
41 Conclusioni
La complessità del dialogo (Giacomo Canobbio)
delle redazioni
44 Forum
Il dialogo interreligioso è irrinunciabile (a cura di Mauro Castagnaro)
Missione Oggi è stampata interamente
su carta riciclata.
C.C.P. 11820255
intestato a Missione Oggi
Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia
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Stampa: Squassina / Brescia
ISNN 0392-6389
Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria CSAM - Soc. Coop. a R.L., Via Piamarta 9, 25121 Brescia, n. 50127 in data 19-2-1993. Direttore Responsabile: Marcello Storgato. Registrato al Tribunale di Parma
n. 399 del 7-3-1967
Foto di copertina: “La grande rete” - 1995 (acquerello di Carlo Tarantini). La calda cromia de “La grande rete”, di
Carlo Tarantini, sintetizza il pensiero del Convegno 2009: fili di dialogo che si intrecciano e che disegnano una trama spirituale intensa; in essa occhieggiano i pesci - persone in dialogo -, che assumono i colori svariati delle religioni; la rete possiede delle linee rette e curve - le religioni -, che rimandano alla totalità del mondo. La curva
comprensiva, abbracciante utero di luce, allude alla Chiesa segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano.
Foto interne (senza crediti): Fiorenzo Raffaini.
editoriale
Abbattere
il muro
di separazione
Q
uesto numero “speciale” di “Missione Oggi” raccoglie gli atti del Convegno annuale della rivista, dedicato in questa sessione al dialogo interreligioso. Nella pubblicazione abbiamo seguito pari pari lo schema della giornata (9 maggio 2009), con l’unica novità della sistemazione del Forum delle redazioni alla fine
di tutto, pur essendo stato realizzato il pomeriggio precedente. Anche attraverso le pagine di questo numero
auguriamo a tutti gli abbonati, amici e lettori della rivista una buona estate. Chissà che l’autorevolezza e la
semplicità delle esperienze qui raccolte non collaborino ad abbattere dentro e fuori di noi i tanti muri di separazione costruiti dalla paura e dall’ignoranza del “diversamente religioso” anche nel nostro Paese.
L’atteggiamento che i cristiani devono adottare verso le altre fedi è una questione antica, ma per molti secoli non fu praticamente considerata. Il Concilio Vaticano II (1962-1965) ne ha parlato in maniera esplicita
e positiva. L’incontro voluto e realizzato ad Assisi il 27 ottobre 1986 da Giovanni Paolo II aveva facilitato i
rapporti, non solo interreligiosi ma interculturali, tra i popoli. Il drammatico attentato alle Torri gemelle di
New York, l’11 settembre 2001, da parte di alcune cellule dell’estremismo islamico, ha raffreddato e inquinato queste ancor timide relazioni, anche da un punto di vista sociale e politico. Oggi il tema ha acquisito una
tale rilevanza che non può che rendere ardua la riflessione di chiunque si avventuri in questo campo.
La rivista “Missione Oggi” ci prova, non a partire dalla teoria ma da due esperienze concrete: una “locale”,
di base, italiana, nata per necessità contingenti, dai problemi di convivenza tra cristiani e musulmani nella ricca provincia di Modena, legata al Gruppo “Camminare insieme” di Fiorano/Sassuolo; l’altra più “globale”, nata dal carisma missionario dei Saveriani, in Giappone, ma con addentellati in varie parti del mondo, soprattutto
in Cina, e legata al Centro di preghiera e dialogo interreligioso “Shinmeizan” di Tamana-gun/Kumamoto.
Seppure in maniera diversa, “Shinmeizan” e “Camminare insieme” ci indicano gli itinerari essenziali per
maturare “buone pratiche” di dialogo: non esiste vero dialogo interreligioso senza un’esigente formazione e
un’adeguata spiritualità. Per questo ai due “racconti” fanno da pendant altrettante riflessioni di taglio teologico e spirituale, affidate alla sapienza e acribia di Mons. Michael L. Fitzgerald, rispettivamente sulla necessità della formazione al dialogo e sui presupposti spirituali del
medesimo. È stato davvero un grande dono per i partecipanti al Convegno la presenza di un relatore come Mons. Fitzgerald, universalmente
noto e apprezzato per la sua esperienza, prima come docente al PISAI (Pontificio Istituto Studi Arabi e Islamistica), poi come segretario e quindi presidente del PCDI
(Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso).
Se Gesù ha abbattuto il muro di separazione che era
frammezzo, così che per-con-in lui “giudei” e “pagani”
potessero presentarsi, gli uni e gli altri, al Padre in un solo
Spirito (cfr. Ef 2), perché non continuare oggi quest’opera divina, camminando insieme, anche se a
tentoni, verso l’unità del genere umano, a dispetto e a partire dalle nostre differenze? I
Siham e Anna
del gruppo
“Camminare
insieme”
al Convegno.
buone pratiche di dialogo
Maria A. De Giorgi è missionaria saveriana, laureata in psicopedagogia, teologa e studiosa del pensiero spirituale giapponese. È
giunta in Giappone nel 1985. Dal 1987 al 1994 ha prestato il suo
servizio presso il centro di spiritualità e dialogo interreligioso Shinmeizan. Dopo aver conseguito il dottorato in teologia all’Università
Gregoriana di Roma, ha ripreso il suo servizio in Giappone sempre al
Shinmeizan. Tra le sue numerose pubblicazioni, citiamo: Seimeizan.
Frammento di un dialogo tra cristiani e buddhisti, EMI, Bologna
1989; Va’ e di’ ai miei fratelli. Celestina Bottego, Fondatrice delle Missionarie di Maria, EMI, Bologna 1994; Salvati per grazia
attraverso la fede. La salvezza per grazia nel Buddhismo della
Terra Pura e nel Cristianesimo, EMI, Bologna 1999; La via del tè
nella spiritualità giapponese, Morcelliana, Brescia 2007; Padre
Giacomo M. Spagnolo, Fondatore delle Missionarie di MariaSaveriane, EMI, Bologna 2009.
Shinmeizan
il tempio
P
per dialogare
er quanto riguarda Shinmeizan come Centro
di dialogo, primo spazio privilegiato di contatti sono per noi il villaggio di Heboura e la cittadina di Nagomi a cui apparteniamo territorialmente e in cui non c’è nessuna presenza cristiana. Solo a Tamana (50.000 abitanti), il centro
del distretto, vi è una Chiesa cattolica e una Comunità luterana.
Ciononostante, gli abitanti del luogo, tutti
appartenenti al cosiddetto Buddhismo della Terra Pura, ci hanno accolto molto cordialmente.
Con gli anni hanno cominciato a considerarci un
po’ il “loro” tempio. Vengono spesso a fare
4
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
omairi, la visita al tempio. A Capodanno salgono per fare hatsumode, la prima visita al tempio
dell’anno nuovo; è divenuta ormai tradizione
che ogni anno, a maggio, il gruppo degli anziani
si riunisca a Shinmeizan per un’intera giornata.
In occasione del Natale, su esplicita richiesta dei
bambini del villaggio, organizziamo una veglia
natalizia alla quale partecipano attivamente. Diverse coppie non cristiane della zona hanno
chiesto di celebrare il matrimonio a Shinmeizan
perché desiderosi di vivere quel momento in un
contesto religioso. Da parte nostra, siamo invitati a partecipare ai più importanti momenti di vi-
buone pratiche di dialogo
MO
con movimenti religiosi più recenti. Nella zona
è molto popolare la Scuola Jodo Shinshu o della Terra Pura, una corrente del Buddhismo Mahayana che pur avendo le sue radici in India si è
sviluppata soprattutto in Cina e in Giappone.
Questa Scuola presenta la fede nel Buddha
Amida come via alla liberazione. Nelle vicinanze si trovano anche templi del Buddhismo
Tendai e del Buddhismo Zen con i quali intratteniamo da anni buoni
rapporti di amicizia e
Diverse coppie non
di collaborazione che
cristiane della zona
ci permettono di conohanno chiesto di
scere più da vicino, e
celebrare il
dall’interno, il Buddhismo giapponese
matrimonio a
nella sua grande varieShinmeizan perché
tà di Scuole e correnti.
desiderosi di vivere
Vi
sono poi rapporti di
quel momento in un
collaborazione
con alcontesto religioso
tre istituzioni religiose
come la Risshokoseikai, un’importante e
vivace organizzazione di laici buddhisti molto
attivi sul fronte del dialogo e dell’impegno per
la pace; dell’Omoto e del Tenrikyo, movimenti
di matrice shintoista, altrettanto aperti all’incontro e alla collaborazione interreligiosa.
Questa rete di contatti, di amicizia e di collaborazione, ha trovato una sua felice espressione nell’incontro biennale di preghiera per la pace che da oltre 14 anni celebriamo a Shinmeizan. La partecipazione è molto sentita e, negli
anni, ha avuto una positiva ricaduta anche sulle
rispettive comunità religiose.
Sopra: P. Silvano Da Roit,
saveriano,
e Maria A. De Giorgi,
saveriana, apprendono
la “cerimonia del tè”.
Sotto: P. Franco
Sottocornola, saveriano,
e il ven. Furukawa
al “Shinmeizan”.
PER SAPERNE DI PIU’
CONTATTI CON L’ESTERO
ta civile e religiosa della comunità locale: l’incontro annuale dei capifamiglia in cui si programma la vita del villaggio, la presenza alla kagura di settembre, una danza religiosa che si tiene nel locale tempio shintoista in occasione del
raccolto del riso, la partecipazione a funerali e
anniversari presso il tempio buddhista.
TEMPLI E ORGANIZZAZIONI RELIGIOSE
A questi rapporti quotidiani, di buon vicinato, se ne affiancano altri, più specifici, con persone, templi e istituzioni buddhiste e shintoiste,
Un accenno a parte merita la complessità di
rapporti con persone e gruppi che vengono da
altri Paesi, sia asiatici che occidentali. In questi
anni abbiamo avuto visitatori provenienti da
ben 40 Paesi diversi. Un vero mosaico di persone che ci ha sorpreso, ma che ci ha anche reso
più coscienti del bisogno di spiritualità, incontro e dialogo, che abita la nostra generazione.
Le vie che conducono questi visitatori su questa
sperduta collina giapponese sono le più diverse:
giovani e non più giovani europei, americani,
australiani e asiatici desiderosi di conoscere la
tradizione religiosa giapponese; studenti universitari che trascorrono periodi di stage in
Università o in centri di ricerca giapponesi; cristiani interessati al dialogo con il Buddhismo,
Maria A. De Giorgi,
Salvati per grazia
attraverso la fede. La
salvezza
per grazia nel Buddhismo
della Terra Pura
e nel Cristianesimo,
EMI, Bologna 1999
presso:
[email protected]
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
5
buone pratiche di dialogo
MARIA A. DE GIORGI
Il Centro di spiritualità e di
dialogo interreligioso
Shinmeizan è sorto in
Giappone per iniziativa
di P. Franco Sottocornola,
saveriano, con la
collaborazione del Ven. Tairyu
Furukawa, capo del Tempio
buddhista Seimeizan
Schweitzer, dedicato alla
memoria del premio Nobel
per la pace, dott. Albert
Schweitzer
Quando
P. Sottocornola
giunse al
Tempio
Schweitzer nel
1987, già da
alcuni anni il
Ven. Furukawa
intratteneva
rapporti con
il mondo cinese
6
MO
Shinmeizan,
un po’
di storia
L’INCONTRO PROVVIDENZIALE E DECISIVO
CON FURUKAWA
L’
incontro di P. Sottocornola con il Ven. Furukawa fu decisivo per la realizzazione di
un progetto che veniva da lontano. Risale, infatti, agli anni 1964-65 la prima intuizione
che P. Sottocornola ebbe circa l’opportunità,
anzi, l’urgenza, che ogni Chiesa locale avesse
Centri di spiritualità e Case di preghiera aperti a tutti, quali componenti essenziali del-
persone alla ricerca di un’identità religiosa
smarrita, pellegrini di pace, ecc. All’interno di
questa vasta rete di rapporti, vorrei ricordare,
per la sua esemplarità, il cammino che ci ha
condotto in Cina. Quando P. Sottocornola giunse al Tempio Schweitzer nel 1987, già da alcuni
anni il Ven. Furukawa intratteneva rapporti con
il mondo cinese. Varie circostanze gli avevano
permesso di verificare la reale entità dei massacri perpetrati dalle truppe giapponesi durante
l’occupazione del Continente, il più tristo dei
quali fu certamente il massacro di Nankino del
1937, durante il quale in pochi giorni furono
trucidate più di 300 mila persone.
Uomo di pace, il Ven. Furukawa raccolse
documenti inediti e testimonianze di prima mano che fece tradurre in giapponese; fondò
un’associazione per portare a conoscenza del-
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
l’opera di evangelizzazione. In quegli anni,
segnati dai fermenti conciliari, P. Sottocornola, che allora insegnava teologia all’Istituto
Teologico Saveriano di Parma e curava il processo di aggiornamento voluto dal Concilio,
soprattutto in campo liturgico, ebbe la possibilità di visitare varie missioni nei diversi
Continenti e di confermarsi in questa sua intuizione. Quando poi, nel 1978, fu inviato in
Giappone come missionario, l’idea si arricchì
di nuovi elementi. Proprio quell’anno, a Barrackpore (Calcutta), la Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche (FABC) aveva tenuto la sua Seconda Assemblea Generale sul
tema della preghiera e aveva messo in evidenza l’importanza che la preghiera e la contemplazione devono avere nell’evangelizzazione del Continente asiatico così sensibile alla dimensione contemplativa.
Per quanto riguarda il dialogo interreligioso,
l’Assemblea di Barrackpore specifica: “Il dialogo con le altre tradizioni religiose asiatiche ha
già avuto una speciale testimonianza nella
Prima Assemblea Plenaria, sia nelle discussioni che nelle affermazioni finali. Riaffermiamo
in maniera anche più esplicita quanto fu inculcato nei riguardi del dialogo interreligioso”. E precisa: “Incoraggiamo ulteriormente
questo dialogo. Esso va affrontato con tutta
serietà, accompagnato costantemente dal discernimento dello Spirito, promosso e salvaguardato da quegli atteggiamenti che ci conducono ad approfondirlo e a farlo crescere nel-
l’opinione pubblica questi fatti e promosse pellegrinaggi di pace e di riconciliazione soprattutto a Nankino e a Pechino. Da parte cinese trovò
una valida collaborazione nella Croce Rossa.
Quando poi nacque Shinmeizan, il Ven. Furukawa chiese anche a noi di prendere parte a questi
pellegrinaggi. Per vari anni, in un’atmosfera di
autentica e sincera collaborazione, buddhisti e
cristiani, giapponesi ed europei, ci recammo insieme in Cina pellegrini di pace e di riconciliazione. Grazie alla mediazione della Croce Rossa Cinese ci fu concesso di celebrare in pubblico riti religiosi, sia buddhisti che cristiani, sui
luoghi dei massacri.
Durante il pellegrinaggio del 1989, nacque
l’idea di avviare un Centro per bambini disabili
nei pressi di Pechino per esprimere una solidarietà fattiva con il popolo cinese. L’attuazione di
cui operava come missionario. Mons. Yasuda
non solo approvò il progetto, ma mise a disposizione anche il terreno per la costruzione del
Centro. Tutto era ormai avviato quando l’incontro imprevisto e provvidenziale con il Ven.
Furukawa cambiò il corso degli eventi. Era il
24 agosto 1985 ed ebbi la ventura di essere presente a quello storico incontro.
Ero giunta in Giappone da alcuni mesi soltanto. In agosto, con altri missionari/e saveriani
MO
154, p. 80; n. 174, p. 84). L’Assemblea aveva dato anche orientamenti precisi auspicando: a) la
creazione di comunità contemplative e di centri di spiritualità “confacenti” al contesto asiatico; b) la promozione del dialogo interreligioso
come contesto di inculturazione della preghiera cristiana in Asia. Sentendosi confermato nel
suo progetto da questi orientamenti, P. Sottocornola prese contatti con mons. Paolo Yasuda, allora arcivescovo di Osaka, la diocesi in
questo progetto richiese dieci anni e numerose
difficoltà, ma alla fine, grazie alla collaborazione
di vari organismi, nel 1998 a Fangshan, nei pressi di Pechino, venne inaugurato il Centro per
bambini disabili tuttora attivo e in espansione.
L’IMPEGNO NELLA CHIESA LOCALE
Vi è infine un altro aspetto dell’attività di
Shinmeizan cui sento il dovere di accennare ed è
il rapporto con la Chiesa locale. Territorialmente, Shinmeizan appartiene alla diocesi di Fukuoka che fin dall’inizio ci ha accolti con grande benevolenza nella persona dei suoi vescovi, mons.
Pietro Hirata prima, mons. Giuseppe Matsunaga
e mons. Domenico Miyahara poi.
Nel 1991, presso la parrocchia di Tettori,
una delle più importanti della città di Kumamo-
buone pratiche di dialogo
la pazienza e nell’amore. Questi sono: apertura e sensibilità, onestà e umiltà di spirito, sincero disinteresse e amore fraterno che accoglie
con rispetto i sentimenti degli altri e cerca di
penetrare nel loro cuore” (D. COLOMBO, a cura,
La preghiera: vita della Chiesa in Asia. Seconda Assemblea Plenaria, Dichiarazione, in Documenti della Chiesa in Asia. Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche 1970-1995,
EMI, Bologna, nn. 119-178, pp. 72-85; nn. 152.
guidati da P. Sottocornola, che in quegli anni
aveva il compito di introdurre i neo missionari nell’ambiente culturale e religioso giapponese, visitai le missioni del Kyushu, l’isola più
meridionale dell’arcipelago. In quell’occasione, su invito e presentazione di un amico comune, P. Sottocornola si recò per la prima volta al Tempio Seimeizan Schweitzer per incontrare il Ven. Furukawa e la sua famiglia.
L’incontro fu sorprendentemente decisivo per
entrambi. Il Ven. Furukawa, monaco del Buddhismo Shingon, era noto in Giappone per la
sua opera in difesa della vita e degli ultimi.
Dagli anni Cinquanta, per quindici anni, aveva condotto una difficile campagna in tutto il
Paese per ottenere la revisione del processo di
due carcerati condannati a morte, di cui aveva potuto verificare l’innocenza, e l’abolizione della pena di morte ancora vigente in
Giappone. Il suo impegno per la vita, per la
giustizia e per la pace lo avevano reso sensibile anche al dialogo con le altre tradizioni religiose nelle quali riconosceva validi partner
nella lotta contro l’ingiustizia, la guerra e
ogni forma di violenza.
Fu così che dopo tale incontro P. Sottocornola
restituì il terreno all’Arcivescovo di Osaka e,
ai primi di settembre del 1986, si trasferì in
Kyushu dove visse per un anno con il Ven. Furukawa e la sua famiglia per conoscere, studiare, capire il Buddhismo dal suo interno. Nel
frattempo diede il via alla costruzione del
Centro che sorse sulle colline di Heboura, a
to, P. Sottocornola e il Ven. Furukawa guidarono un seminario di studio sul dialogo interreligioso da cui prese poi il via un gruppo di laici
cristiani interessati al dialogo e desiderosi di
impegnarsi in questo campo così nevralgico per
la vita di tante famiglie giapponesi.
Per due anni, in incontri bimestrali, studiammo il documento Dialogo e Annuncio del Pontificio Consiglio per il dialogo che era uscito da
pochi mesi. Poi cominciammo a prendere contatti con rappresentanti di altre religioni visitando templi o sedi di movimenti religiosi allargando progressivamente la sfera di conoscenze e di
collaboratori. Questo gruppo, interparrocchiale,
ha avuto e ha una funzione importante nella sensibilizzazione e nella formazione di base.
Un’altra iniziativa di rilievo nazionale avviata da Shinmeizan è stata la fondazione nel
Shinmeizan: preghiera
delle Lodi all’alba.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
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buone pratiche di dialogo
circa quindici chilometri dalla città di Tamana (provincia di Kumamoto), dove si trova il
Tempio del Ven. Furukawa. Il Centro prese allora il nome di Seimeizan Katorikku Betsu In,
ossia Ramo Cattolico del tempio Seimeizan.
Con altre due sorelle saveriane mi trasferii a
Seimeizan il 13 agosto 1987. I lavori di costruzione non erano ancora terminati ma il 15 agosto, giorno anniversario dello sbarco di S. Francesco Saverio in Giappone, potemmo celebrare
la prima S. Messa. L’ 8 dicembre successivo, l’allora vescovo di Fukuoka, mons. Pietro Hirata,
inaugurò ufficialmente il Centro alla presenza
di numerosi fedeli cattolici e buddhisti.
LE PRIME ATTIVITÀ
L’anno che P. Sottocornola trascorse presso il
Tempio Seimeizan Schweitzer fu, per sua
esplicita dichiarazione, un secondo noviziato
che lo introdusse progressivamente nel mondo buddhista. Tra le varie iniziative dei primissimi anni vorrei ricordare in modo particolare due seminari di studio su Buddhismo e
Cristianesimo che P. Sottocornola organizzò,
rispettivamente a Kyoto e a Miyazaki, nel
maggio 1987 quando ancora viveva al Tempio
Seimeizan, i cui protagonisti principali furono
Mons. Piero Rossano e il Ven. Furukawa.
Mons. Rossano, che aveva accompagnato il
cammino di Seimeizan con la sua guida e la
sua fraterna amicizia fin dall’inizio, aveva
accettato volentieri di guidare questi semina-
Shinmeizan
appartiene alla
diocesi di
Fukuoka che fin
dall’inizio ci ha
accolti con
grande
benevolenza
nella persona
dei suoi vescovi,
mons. Pietro
Hirata prima,
mons. Giuseppe
Matsunaga e
mons. Domenico
Miyahara poi
8
ri che risultarono determinanti, sia per mettere a fuoco punti chiave del dialogo cristiano-buddhista, sia per presentare e far conoscere la vera natura del rapporto tra il Tempio Seimeizan Schweitzer e il suo ramo cattolico che fin dall’inizio intesero privilegiare il
dialogo della vita e dell’esperienza religiosa.
Quando nel 1989 accompagnammo per la prima volta in Italia il Ven. Furukawa per una serie
di conferenze e di incontri, fu ancora Mons. Rossano che ci accolse all’Università Lateranense
dandoci la possibilità di presentare il nostro
cammino di dialogo. In quell’occasione furono
pubblicati anche due volumetti: una breve storia delle origini del Seimeizan (M. DE GIORGI – C.
MOLARI, Seimeizan. Frammento di un dialogo tra
cristiani e buddhisti, EMI, Bologna, 1989) che mi
era stato chiesto di stendere, e la prima traduzione italiana, curata da P. Sottocornola e dalla
sottoscritta, del Tannisho (F. SOTTOCORNOLA, a cura, Tannisho. Incontro con il buddhismo della
Terra Pura, EMI, Bologna, 1989), uno degli scritti
più importanti del Buddhismo della Terra Pura,
importante Scuola del Buddhismo giapponese,
con il commento del Ven. Furukawa.
Mons. Rossano fu anche il tramite che ci mise
in contatto con alcuni membri della Comunità di S. Egidio. Fu così che dal 1989 in poi cominciammo a partecipare regolarmente agli
incontri interreligiosi di preghiera per la pace
organizzati da S. Egidio in ideale continuità
con lo storico incontro di Assisi del 1986 voluto da Giovanni Paolo II. Questi incontri ebbero
2003 del gruppo Kakehashi (Il Ponte) che riunisce i Superiori provinciali e/o i loro delegati di
12 Congregazioni e Ordini religiosi impegnati a
promuovere il dialogo interreligioso in Giappone in sintonia con le direttive della Chiesa.
Un altro importante servizio alla Chiesa locale è quello della Commissione per il Dialogo
interreligioso della Conferenza Episcopale
giapponese tra i cui membri, accanto a P. Sottocornola, vi sono P. Pietro Yoshiaki Sonoda,
francescano conventuale, collaboratore di Shinmeizan e la sottoscritta. P. Sottocornola e P. Sonoda sono anche consultori del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Accanto a
questi compiti più istituzionali, vi è poi un’animazione al dialogo fatta attraverso conferenze e
seminari, articoli su riviste giapponesi e straniere, studi scientifici e traduzioni, organizzazione
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
un profondo impatto sul Ven. Furukawa e sul
nostro cammino di dialogo. Attraverso di essi,
infatti, il Ven. Furukawa scoprì più da vicino
il volto della Chiesa cattolica, prese coscienza
della sua universalità e acquistò familiarità
con i suoi insegnamenti. Tutto ciò favorì una
migliore comprensione reciproca e una più
stretta collaborazione. In quei primi anni numerosi furono gli incontri, le conferenze, i ritiri mensili, le tre giorni di studio durante i
quali il Ven. Furukawa presentava il pensiero
buddhista dando a P. Sottocornola, a me a ad
altri la possibilità di presentare l’insegnamento cristiano sullo stesso tema. E questo
nella massima trasparenza, in piena fedeltà
alla propria identità cristiana e buddhista.
Nei primi mesi del 2000 il Ven. Furukawa si
ammalò gravemente e morì nell’agosto dello
stesso anno proprio quando si stava maturando un passo importante. Negli ormai tredici anni di cammino e di attività il Centro
Seimeizan aveva raggiunto una sua maturità che non poteva più essere contenuta nell’identità di “ramo cattolico” del Tempio Seimeizan Schweitzer, soprattutto nel contatto
con altre realtà religiose. L’improvvisa malattia e la morte del Ven. Furukawa rallentarono
il processo che, in pieno accordo con la famiglia Furukawa, trovò la sua realizzazione nel
2003 quando il Centro Seimeizan venne assunto come opera propria dai Missionari Saveriani con il nome di Centro di spiritualità e
dialogo interreligioso Shinmeizan.
di convegni. Di questi ultimi, i più impegnativi
sono stati i quattro convegni di teologi cattolici
sul tema “Il dialogo interreligioso e la teologia
delle religioni ad esso sottesa”, che abbiamo organizzato in Giappone nel 2003, in Indonesia
nel 2004, in India nel 2005, nelle Filippine nel
2007, e che hanno visto la partecipazione di noti teologi capiscuola come Paul Knitter e Gavin
D’Costa, per rispondere a problemi molto concreti. Non si può, infatti, negare che nella teologia cattolica delle religioni vi siano tendenze
teologiche contrastanti che hanno un’inevitabile ricaduta sulla missione e sul dialogo stesso.
Per questo abbiamo sentito il bisogno di incontrarci e far incontrare teologi cattolici di diverse
tendenze per un confronto franco ma amichevole su temi e problemi che toccano da vicino
MARIA A. DE GIORGI
la Chiesa e la missione.
buone pratiche di dialogo
MO
“Shinmeizan” ha una duplice identità,
ossia quella di Centro di spiritualità e
quella di Centro di dialogo
interreligioso. L’una, infatti, è
condizione dell’altra. Oserei dire che
Shinmeizan è spazio di incontro e di
dialogo in tanto in quanto è Casa di
preghiera e Centro di spiritualità. È,
infatti, dall’essere “Casa di preghiera
cristiana” che esso attinge la sua
identità e la sua peculiarità come luogo
di incontro e di dialogo interculturale e
interreligioso. Per questo, in quanto
Centro di spiritualità, ha scelto di
veicolare il proprio messaggio
ponendosi in sintonia con quei valori
classici della cultura giapponese che
sembrano fornire spazi privilegiati di
incontro e di arricchimento reciproco.
Tra questi, tre elementi sono risultati
decisivi: la natura come luogo di
preghiera, il silenzio, la spiritualità
estetica della «via de tè».
Shinmeizan
casa di preghiera
cristiana
MARIA A. DE GIORGI
LA NATURA COME LUOGO DI PREGHIERA
N
ella sensibilità e nella cultura giapponese, la
natura ha sempre avuto un importante ruolo
religioso. In ogni sua manifestazione, il giapponese di ogni tempo ha saputo cogliere un senso
religioso che ha alimentato in lui la percezione
della sacralità e dell’origine divina di tutto ciò
che esiste. Lo Shintoismo, la religione autoctona, conosce un mito della creazione che riconduce tutto ciò che esiste all’iniziativa di una coppia
divina. Nella sua bellezza ed esuberanza, ma an-
che nelle sue manifestazioni più violente (frequenti terremoti, eruzioni vulcaniche, tifoni annuali), il cosmo appare al giapponese come un
locus religiosus abitato dalla presenza del numinoso, del divino, del mistero. Per questo, templi
e santuari (Jinja, Omiya) sorgono in luoghi particolarmente belli, nei pressi del mare, nella profondità dei boschi o sui monti. L’accesso ai templi, inoltre, è sempre mediato dal sando, che può
essere un piccolo sentiero o un grande viale che
si snoda nel bosco. Per il giapponese, infatti, è
importante accedere alla “dimora della divinità”
Shinmeizan:
incontro interreligioso
di preghiera per la pace
con rappresentanti
di varie religioni.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
9
buone pratiche di dialogo
MO
Ascesi e kenosi
del dialogo
D
10
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
pareva di poter pur cogliere importanti
convergenze e divergenze. È ciò che mi piace chiamare l’ascesi e la kenosi del dialogo,
ossia quel processo di progressivo spogliamento cui va incontro chiunque accetti di
uscire da sé per incontrare in tutta onestà
l’altro diverso da sé. So che questo processo
è in me ancora all’inizio. Non presumo di
aver compreso il Buddhismo nella sua
estrema complessità, ma alcune sue intuizioni fondamentali come il principio della
I due movimenti sono
intimamente correlati: più
approfondisco il Buddhismo,
più mi sembra di
comprendere meglio alcuni
aspetti della teologia
cristiana e viceversa
MO
a un punto di vista personale, questi
anni e questo cammino hanno rappresentato per me un grande arricchimento e
un’autentica sfida, sia umanamente che
culturalmente e religiosamente. Il contatto
con il mondo giapponese, e buddhista in
particolare, non mi ha lasciato come mi ha
trovato. Numerose sono state le sollecitazioni a ripensare e rivisitare la mia fede da
prospettive diverse e inedite. Ciò che per
tanto tempo avevo dato per scontato, chiedeva di essere interpretato in modo nuovo.
Ho preso più viva coscienza della relatività
di ogni esperienza umana e, nello stesso
tempo, della sua unicità. Cercare di comprendere il Buddhismo dall’interno, senza
cedere a giudizi e interpretazioni già fatte,
ha richiesto una rigorosa e difficile ascesi.
Ricordo la fatica mentale degli anni in cui
alla Gregoriana preparavo la mia tesi di
dottorato sul Buddhismo della Terra Pura e
il Cristianesimo. Una fatica dovuta non solo alla difficoltà della lingua e alla frequentazione di testi giapponesi antichi, ma soprattutto al fatto di sentirmi in un mondo
concettualmente estraneo, diverso, “straniero”. Dover misurare l’inadeguatezza del
linguaggio, della parola, del concetto mi ha
costretto ad una rigorosità di espressione
senza sconti e mi ha abituato a rifuggire
quasi istintivamente dai luoghi comuni,
acuendo la pena di non riuscire a mediare
adeguatamente quei due mondi di cui mi
generazione dipendente, l’idea di “vacuità”, la logica del soku, o coincidenza degli
opposti, hanno arricchito la mia visione
del reale. Nello stesso tempo, questo cammino ha stimolato in me una presa di coscienza riflessa del Cristianesimo e della
sua irriducibile novità. I due movimenti
sono intimamente correlati: più approfondisco il Buddhismo, più mi sembra di comprendere meglio alcuni aspetti della teologia cristiana e viceversa. Di fronte ad intuizioni e dottrine come l’idea mahayana
della compassione/misericordia che tutto
permea; la figura del bodhisattva come
esempio di un altruismo che giunge addirittura alla sostituzione vicaria; il concetto
di “voto” come espressione della ferma e irreversibile volontà di salvezza del Buddha
eterno rivolta a tutti gli esseri senzienti;
l’enfasi che il Buddhismo della Terra Pura
pone su una salvezza “data” che abbraccia
tutti, soprattutto gli ultimi e i peccatori;
l’importanza attribuita alla fede-fiducia
nel Buddha Amida come condizione indispensabile per la salvezza, non si può fare
a meno di porsi in umile e doveroso ascolto
dello Spirito per discernere e assecondare la
sua opera. Da un punto di vista cristiano
questo discernimento, umile e attento, è di
fondamentale importanza per il dialogo.
Del resto, ho potuto cogliere un analogo
processo interiore in buddhisti che sono venuti in contatto con il Cristianesimo e che
si sono sentiti sollecitati a ripensare la propria fede, a discernere e a confrontarsi.
Personalmente, non ho mai sentito contraddizione tra il mio impegno missionario
e il mio impegno di dialogo. Anzi, l’uno è
condizione indispensabile per l’altro. È nella
mia identità cristiana più profonda che ho
trovato e trovo le ragioni per dialogare con
l’altro diverso da me. Sono le esigenze della
sequela Christi che mi spingono ad oltrepassare i confini culturali e religiosi per
mettermi in ascolto, per accogliere l’altro –
chiunque esso sia – ma anche per offrire il
bene più grande che ho ricevuto: Gesù Cristo e il suo Vangelo. Nell’esperienza di questi anni, posso dire che, mai, il mio essere
cristiana e missionaria mi è stato di ostacolo all’incontro e al dialogo con l’altro. Direi
piuttosto che ne è stata la premessa e la
condizione.
MARIA A. DE GIORGI
Shinmeizan: due momenti
di preghiera.
buone pratiche di dialogo
gradualmente, dopo essersi purificati attraverso
il contatto vivo con la natura. È in sintonia con
questa diffusa sensibilità che Shinmeizan è sorto
in un ambiente naturale che – per la psicologia
giapponese – risulta particolarmente “confacente” ad un luogo religioso. Sorge in cima ad una
collina di 300 metri da cui si gode una bellissima vista sul mare Ariake e da cui è possibile
IL SILENZIO
Il secondo elemento che caratterizza la spiritualità di Shinmeizan è il silenzio nelle sue dimensioni di ascolto, di ascesi e di kenosi. In un
mondo che sempre più soffre di un diffuso inquinamento acustico che inaridisce le radici stesse
dello spirito, il silenzio può operare una vera puMO
Lo Zen, sia nella tradizione
Rinzai che in quella Soto,
valorizza il silenzio non
tanto e non solo come
mancanza di parole, ma
come superamento delle
stesse e dei concetti che
esse veicolano; come
epochè del pensiero logico
discriminante
contemplare il sorgere e il tramontare del sole.
Nel rispetto di questa sensibilità giapponese e in
continuità con la tradizione biblica di Gen 1-2
che presenta il cosmo come “giardino”, spazio
di incontro tra Dio e l’uomo, celebriamo la preghiera di Lodi e del Vespro all’aperto al sorgere
e al tramontare del sole. Il contatto con la natura
è diventato così un primo e privilegiato luogo di
incontro, comunione e dialogo.
Shinmeizan: celebrazione
dell’eucarestia.
rificazione della mente e del cuore. Il Giappone
ha nella sua cultura un’antica tradizione, ereditata soprattutto dal Buddhismo Zen, che riconosce
al silenzio un’importante valenza religiosa. Lo
Zen, sia nella tradizione Rinzai che in quella Soto, valorizza il silenzio non tanto e non solo come mancanza di parole, ma come superamento
delle stesse e dei concetti che esse veicolano; come epochè del pensiero logico discriminante.
Per lo Zen, infatti, il pensiero logico discriminante limiterebbe la percezione della realtà dividendola in categorie soggettive, e contrapponendo il soggetto all’oggetto. Il suo superamento, invece, e il “silenzio” della facoltà intellettiva sarebbero la via a quella vera conoscenza (satori,
illuminazione) che, trascendendo il mondo fenomenico, conduce alla percezione mistico-intuitiva della profonda unità del reale.
Pratica fondamentale dello Zen è la meditazione silenziosa detta zazen. Essa consiste nello
stare seduti in silenzio nella posizione del loto
che, mantenuta a lungo, aiuta la concentrazione
e il processo di svuotamento e annichilimento
PER SAPERNE DI PIU’
Maria A. De Giorgi,
La via del tè nella
spiritualità giapponese,
Morcelliana, Brescia 2007
presso:
[email protected]
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
11
buone pratiche di dialogo
MO
La scelta del silenzio come atteggiamento abituale
di ascolto, di disponibilità alla Parola di Dio,
di servizio e di dialogo verso tutti coloro
che chiedono di condividere la nostra vita non
si limita, però, a questa pratica
La “cerimonia del tè”.
Nella pagina accanto:
il Ven. Furukawa
con p. Franco Sottocornola
in uno dei tanti
pellegrinaggi di pace
e riconciliazione in Cina.
12
dell’io illusorio fino all’emergere, dalla profondità dell’essere, del vero io. É ciò che i Maestri
Zen chiamano taishi, la “grande morte”.
Ai cristiani che praticano lo zazen, quest’esperienza richiama quella descritta da Paolo nella lettera ai Galati: “Non sono più io che
vivo, ma Cristo vive in me” (2,20). In Giappone un pioniere di questo cammino spirituale fu
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
P. Hugo Enomiya-Lassalle (1898-1990), missionario gesuita, che nel 1968 diede vita, nei
pressi di Tokyo, al Shinmeikutsu (Grotta dell’oscurità divina), primo Centro cristiano di
meditazione zen. P. Lassalle intuì che l’esperienza della “grande morte” – ossia del distacco
radicale dall’io – a cui condurrebbe la pratica
dello zazen, può essere il punto fecondo d’incontro con la “via” di Cristo, l’uomo-Dio, che
per amore svuota se stesso fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,6-11).
Con questo intento, a Shinmeizan, ogni mattina prima della preghiera di Lodi e prima della
celebrazione eucaristica pratichiamo lo za-zen.
Questa consuetudine ci ha permesso di condividere con gli ospiti buddhisti che visitano il Centro un importante momento della loro esperienza spirituale, e ci ha aiutato a scoprire nuove dimensioni di questa meditazione silenziosa, come le possibili accordanze con la pratica dell’adorazione eucaristica.
La scelta del silenzio come atteggiamento
abituale di ascolto, di disponibilità alla Parola
di Dio, di servizio e di dialogo verso tutti coloro che chiedono di condividere la nostra vita
non si limita, però, a questa pratica. Attraversa
tutta la giornata concretizzandosi in momenti
forti come il “grande silenzio”, che inizia subito dopo la preghiera di compieta e continua fino
al mattino successivo durante la colazione e il
samu, il lavoro comunitario di manutenzione
degli ambienti e del giardino.
SPIRITUALITÀ ESTETICA DELLA
«VIA DEL TÈ»
Se è vero che la dimensione estetica è intimamente congiunta con quella religiosa, nella
cultura giapponese, la cui raffinatezza estetica
ha raggiunto una singolare perfezione, questo
dato è particolarmente evidente. Per il giapponese è bello ciò che è semplice, naturale, vero.
Non a caso, il termine subarashii, che significa
“meraviglioso, magnifico, splendido”, viene
scritto con due ideogrammi che significano rispettivamente: “naturale, semplice, sobrio” e
“chiaro, luminoso, senza ombre”. Di questa
estetica, che ha nel principio del wabi sabi (sobria raffinatezza, bellezza antica) il suo fondamento, la “cerimonia del tè” rappresenta un
vertice insuperato. Di per sé, è improprio parlare di “cerimonia del tè”. L’espressione esatta è
“via del tè” in cui “via” mantiene il suo pre-
V
orrei ora fare un breve accenno alla visione teologica che ha
sotteso e sottende le scelte di Shinmeizan. Personalmente rifuggo istintivamente da definizioni di scuola che rischiano, a volte, di essere riduttive di realtà complesse e articolate. Dirò semplicemente che i punti di riferimento costanti – senza peraltro passare sotto silenzio i numerosi stimoli ricevuti dalla teologia delle
religioni di questi ultimi decenni – sono stati gli insegnamenti del
Concilio Vaticano II; le grandi intuizioni di Paolo VI sul “dialogo
della salvezza” espresse nell’Ecclesiam suam, il magistero di Giovanni Paolo II e i suoi gesti altamente simbolici come l’incontro interreligioso di Assisi del 1986.
Per quanto riguarda gli insegnamenti del Vaticano II, vorrei sottolineare soprattutto due aspetti a cui non sembra venir sempre data la dovuta importanza: la preminenza dell’approccio a posteriori, molto concreto, al fenomeno religioso umano nella sua pluralità e specificità e la menzione dei “limiti, errori e parte di tenebra
presenti nelle tradizioni religiose dell’umanità”.
Per quanto riguarda il primo punto, mi sembra importante ricordare che il Concilio non parla di religioni in modo generico e aprioristico, ma si rivolge ad esse chiamandole per nome: Giudaismo,
Islam, Induismo, Buddhismo e sollecitando un rapporto individualizzato con ciascuna di esse. Ora, mi sembra che una teologia delle
religioni che voglia tener conto di quest’orientamento dovrebbe
partire più esplicitamente dalla singolarità di ogni tradizione religiosa, come già auspicava Mons. Rossano nel 1975 (cfr. P. ROSSANO, Il
problema teologico delle Religioni, Paoline, Catania 1975, p. 5). Del
resto il cammino di questi ultimi decenni ha rivelato come, ai fini
di un vero dialogo, siano più importanti le divergenze che le convergenze. Far partire la riflessione teologica da un concetto generale di “religione” che tende ad omologare fenomeni analoghi ma non
uguali, lungi dal favorire il dialogo rischia di ridurlo a ideologia. In
Giappone ho potuto constatare quanto sia importante questo “approccio a posteriori”, non solo in rapporto alle evidenti differenze
tra Shintoismo e Buddhismo, ma addirittura in rapporto alle profonde diversità che esistono tra le Scuole buddhiste.
Per quanto riguarda il secondo punto, ossia il richiamo che il Concilio fa ai possibili limiti, errori e parte di tenebra che sono presenti nelle varie tradizioni, esso non solo trova conferma nel contatto
reale, concreto, storico con queste realtà, ma provoca la riflessione
teologica ad un processo di discernimento e di confronto che ha
ancora molta strada da fare.
Quanto alle intuizioni di Paolo VI sulla natura e le caratteristiche del
“dialogo della salvezza”, vorrei richiamare soprattutto l’affermazione secondo cui “l’origine trascendente” di tale dialogo si trova “nell’intenzione stessa di Dio” e quella secondo cui il “dialogo della salvezza” obbedisce a “esigenze sperimentali, deve scegliere i mezzi
propizi, non deve legarsi a vani apriorismi, non deve fissarsi in
espressioni immobili” (ES 88). Con tali affermazioni, Paolo VI non so-
buone pratiche di dialogo
La visione
teologica
lo pone il dialogo al riparo da ogni riduzione puramente antropologica ma gli fissa dei criteri e delle condizioni davvero qualificanti.
Oserei dire che proprio queste indicazioni ci hanno aiutato a concepire il dialogo come “diaconia alla verità”, per usare la bella
espressione di Fides et ratio; di un servizio sincero e disinteressato
a quella Verità che è pur sempre il cuore di ogni autentica ricerca
religiosa. E servire la Verità implica la disponibilità a riconoscere il
bene là dove esso è presente; la capacità di godere dell’opera dello
Spirito ovunque si manifesti; l’umiltà di riconoscersi parte di un
disegno che ci supera e ci trascende e che, a volte ci confonde, ma
anche la capacità di discernere e di prendere le distanze da tutto
ciò che è “ombra” o “tenebra”.
È ancora questa “diaconia” che rende il dialogo molto concreto e
molto personalizzato; che lo sottrae all’apriorismo e ad ogni tentazione ideologica, che permette di stabilire rapporti di stima, amicizia, collaborazione, sulla base di un’identità religiosa esplicita e dichiarata, che rifugge da ogni tipo di dissimulazione o reticenza.
Particolarmente preziosi per noi sono stati anche l’enciclica Redem-
ptoris missio di Giovanni Paolo II e il documento Dialogo e Annuncio
del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso che pongono in
esplicito e dinamico rapporto il dialogo e l’annuncio riconoscendoli
come parte essenziale dell’unica missione della Chiesa. Come Dialogo e Annuncio attesta (n. 41) e come anche la nostra esperienza ci ha
insegnato, l’ascolto e il reciproco arricchimento non escludono
l’esplicita testimonianza della propria fede né la possibilità di una
rinnovata conversione alla verità conosciuta. Per un cristiano, ciò
implica la possibilità concreta di parlare di Cristo e annunziare il suo
Vangelo all’altro come atto supremo di dialogo e di comunicazione.
Con questi cenni non ho certo inteso passare sotto silenzio le problematiche che attraversano la teologia delle religioni e del dialogo. Ho
solo inteso dar ragione di alcune scelte concrete maturate in questi
vent’anni di attività interreligiosa in Giappone. L’insegnamento ufficiale della Chiesa si è dimostrato capace di darci importanti elementi ispiratori e potenti stimoli per una prassi del dialogo interreligioso
coerente con l’identità cristiana e rispettosa delle singolarità dei nostri partner. Nel cammino di ascesa a questa alta montagna siamo
ancora nel fondovalle. Occorre l’umiltà e la pazienza di fare un passo
alla volta tenendo fissi gli occhi alla meta.
MARIA A. DE GIORGI
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
13
buone pratiche di dialogo
Vi sono
numerosi
indizi che
rivelano la
stretta
relazione che
nel XVI-XVII
secolo ci fu
tra il
Cristianesimo
in Giappone
e il mondo
del tè
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1946).
Gli studiosi mettono in evidenza anche l’influsso che la liturgia cristiana esercitò su Sen no Rikyu (1522-1591), il grande maestro del XVI secolo che codificò la cerimonia del tè portandola
alla sua massima raffinatezza. Per la sua intrinseca “religiosità”, inoltre, tale “via” è tenuta in
grande considerazione sia nella tradizione buddhista che in quella shintoista e cristiana, come
pure in ambienti non specificamente religiosi.
gnante significato religioso di “cammino interiore”, di ascesi, di superamento di sé, di orientamento verso una meta. Valori tipici della “via
del tè” sono wa, kei, sei, jaku. Elemento unificante: ichigo ichie, l’acuta consapevolezza dell’attimo fuggente, irripetibile, unico. Sono questi gli atteggiamenti interiori che deve perseguire colui che percorre la “via del tè”.
È stato questo ricco patrimonio spirituale ad
ispirare un processo di inculturazione della celebrazione eucaristica. Seguendo le indicazioni
dell’episcopato locale per la celebrazione eucaristica in ambienti giapponesi tradizionali, P.
Sottocornola che è anche membro della Commissione Liturgica Nazionale, ha avviato uno
stile di celebrazione che attinge alla spiritualità
della “via del tè” che, per la sua connaturalità
evangelica, parla un linguaggio simbolico immediatamente comprensibile al giapponese.
Numerose sono, infatti, le affinità rituali e le
potenzialità di dialogo interculturale e interreligioso tra la “via del tè” e la celebrazione eucaristica. Vi sono numerosi indizi che rivelano la
stretta relazione che nel XVI-XVII secolo ci fu
tra il Cristianesimo in Giappone e il mondo del
tè. Lo provano varie lettere di missionari gesuiti del XVI-XVII secolo, ma soprattutto il Cerimoniale per i missionari del Giappone, scritto
da Alessandro Valignano (cfr. A. VALIGNANO, Il
Cerimoniale per i missionari del Giappone,
ACCOGLIENZA
È questo ambiente naturale e questo stile di
vita che la piccola comunità di Shinmeizan (in
tutti questi anni sono stati abitualmente cinque
i membri della comunità formata da religiosi e
religiose di diverse congregazioni e, temporaneamente, anche da alcuni laici) condivide con
i numerosi ospiti. La media annuale è di circa
un migliaio di visitatori, di cui oltre un centinaio si fermano per alcuni giorni, settimane
o anche mesi.Oltre all’accoglienza degli ospiti
– cattolici, protestanti, buddhisti o membri di
altre organizzazioni religiose – che vengono
occasionalmente, vi sono momenti organizzati: ritiri mensili, giornate di preghiera o di studio (“Il mistero della croce e lo Zen”; “la via
del tè e la celebrazione eucaristica”); corsi e
MARIA A. DE GIORGI
seminari.
CSAM Soc. coop a r.l. - BILANCIO D'ESERCIZIO AL 31.12.2008
in forma abbreviata ex art. 2435 bis C.C.
STATO PATRI MONIALE
ATTIVO
31.12.2008
A) CREDITI V/SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI:
I. non richiamati
II. richiamati
TOTALE A)
B) IMMOBILIZZAZIONI:
I. immobilizzazioni immateriali
33.167
meno fondi di ammortamento
27.647
immobilizzazioni immateriali nette
5.520
II. immobilizzazioni materiali
656.706
meno fondi di ammortamento
609.949
immobilizzazioni materiali nette
46.756
III. immobilizzazioni finanziarie
5.165
TOTALE B)
57.441
C) ATTIVO CIRCOLANTE:
I. rimanenze
554.878
II. crediti
440.339
di cui esigibili oltre l'esercizio successivo
III. attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni
IV. disponibilità liquide
96.935
TOTALE C)
1.092.152
D) RATEI E RISCONTI ATTIVI
1.063
TOTALE PATRIMONIALE ATTIVO
1.150.656
PA SSIVO
A) PATRIMONIO NETTO:
I. capitale sociale
II. riserve da sovrapprezzo azioni
III. riserve da rivalutazione
IV. riserva legale
V. riserva per azioni proprie in portafoglio
VI. riserve statutarie
VII. altre riserve
VIII. utili (perdite) portate a nuovo
IX: utile (perdita) dell'esercizio
TOTALE A)
B) FONDI PER RISCHI ED ONERI
14
31.12.2008
300
467.026
16.286
483.612
80.319
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
31.12.200 7
-
33.167
24.887
8.280
777.843
715.788
62.054
5.165
75.499
431.696
464.447
174.313
1.070.456
1.275
1.147.231
31.12.2007
300
482.730
-15.704
467.325
80.275
C) TRATT. DI FINE RAPPORTO LAVORO SUBORDINATO
D) DEBITI
di cui esigibili oltre l'esercizio successivo
E) RATEI E RISCONTI PASSIVI
TOTALE PATRIMONIALE PASSIVO
CONTI D'ORDINE:
conto garanzie ricevute
conto garanzie prestate
conto contributi decretati Enti ns. favore
merci nostre presso terzi
TOTALE CONTI D’ORDINE
111.562
467.114
157.595
8.049
1.150.656
-
31.12.2008
CONTO ECONOM ICO
A) VALORE DELLA PRODUZIONE:
1. RICAVI DELLE VENDITE E DELLE PRESTAZIONI
1.215.022
2. VARIAZ. RIM. PRODOTTI IN CORSO DI LAV.,
SEMILAVORATI, FINITI
3. VARIAZIONE DEI LAVORI IN CORSO SU
ORDINAZIONE
4. INCREMENTI DI IMMOBILIZZAZIONI PER LAVORI
INTERNI
5. ALTRI RICAVI E PROVENTI
181.456
di cui contributi in c/esercizio
TOTALE A)
1.396.478
B) COSTI DELLA PRODUZIONE:
6. PER MATERIE PRIME, SUSS., CONSUMO, MERCI
487.216
7. PER SERVIZI
589.703
8. PER GODIMENTO BENI DI TERZI
9. PER IL PERSONALE
315.086
9a) stipendi
247.548
9b) oneri sociali
53.202
9c) trattamento di fine rapporto
14.336
9d) trattamento di quiescenza
9e) altri costi
10. AMMORTAMENTI E SVALUTAZIONI
23.941
10a) ammortamento immobilizz. immateriali
2.760
10b) ammortamento immobilizz. materiali
21.181
10c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni
10d) svalutaz. crediti compresi nell'attivo circ. e disp. liquide -
108.563
479.640
47.595
11.428
1.147.231
-
31.12.2007
1.259.014
-
-
198.430
1.457.444
449.498
643.764
318.813
247.201
51.545
18.002
2.064
29.437
6.393
23.044
-
11. VARIAZ. RIMAN. MAT. PRIME, SUSS.,
CONSUMO E MERCI
-123.182
12. ACCANTONAMENTI PER RISCHI
12.473
13. ALTRI ACCANTONAMENTI
14. ONERI DIVERSI DI GESTIONE
54.698
TOTALE B)
1.359.935
DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZ. (A-B)
36.543
-58.398
45.713
1.428.827
28.618
1.624
1.624
2.099
-475
2.756
2.756
2.472
283
-
-
9.240
520
8.720
19.498
23.396
-3.898
28.502
16.286
16.286
40.707
-15.704
-15.704
C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI:
15. PROVENTI DA PARTECIPAZIONI
16. ALTRI PROVENTI FINANZIARI
16a) da crediti immobilizzati
16b) da titoli immobilizzati
16c) da titoli iscritti nell'attivo circolante
16d) proventi finanziari diversi dai precedenti
17. INTERESSI PASSIVI E ALTRI ONERI FINANZIARI
TOTALE C) (15+16-17)
D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA’ FINANZIARIE:
18. RIVALUTAZIONI
18a) di partecipazioni
18b) di immobilizzazioni finanziarie
18c) di titoli iscritti nell'attivo circolante
19. SVALUTAZIONI
19a) di partecipazioni
19b) di immobilizzazioni finanziarie
19c) di titoli iscritti nell'attivo circolante
TOTALE D) (18-19)
E) PROVENTI ED ONERI STRAORDINARI:
20. PROVENTI
21. ONERI
TOTALE E) (20-21)
RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE (A-B+/-C+/-D+/-E)
22. IMPOSTE SUL REDDITO DELL'ESERCIZIO
23. RISULTATO DELL'ESERCIZIO
23. UTILE (PERDITA) DELL'ESERCIZIO
44.788
25.003
al
dialogo
interreligioso
Per una formazione
MI PERMETTO DI SUGGERIRVI ALCUNI ELEMENTI
PER UNA FORMAZIONE AL DIALOGO INTERRELI-
GIOSO, NELLA CONSAPEVOLEZZA CHE LA FORMAZIONE AL DIALOGO È UN PROCESSO SENZA FINE.
ATTEGGIAMENTI DI MENTE E DI CUORE
A
nzitutto è bene ricordare la definizione di
“dialogo” che troviamo nei documenti della
Chiesa, a partire dall’enciclica di Paolo VI, Ecclesiam suam (1964). Il documento del Segreta-
formazione al dialogo
Michael Louis Fitzgerald, dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi),
è nato nel 1937 vicino a Birmingham (Gran Bretagna) da
genitori irlandesi. Dal 1987 al 2002 è stato Segretario generale
del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Nel 2002
è stato nominato suo Presidente e arcivescovo.
Ha ricoperto l’incarico fino al 2006, quando è stato
nominato Nunzio apostolico nella Repubblica Araba
d’Egitto e Delegato della Santa Sede presso
l’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi.
La sua area di specializzazione sono le relazioni
cristiano-musulmane. Ha insegnato in Uganda e in
Sudan, e al PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e
Islamistica), di cui è stato anche direttore. I suoi due
ultimi libri in italiano: Dio sogna l’unità. I cattolici e
le religioni, Città Nuova, Roma 2007; Dialogo
interreligioso. Il punto di vista cattolico, San Paolo,
Cinisello Balsamo 2007.
riato per i non cristiani (ora Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso), L’atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre
religioni: riflessioni e orientamenti su dialogo e
missione (1984) recita: “[Il vocabolo dialogo
indica] non solo il colloquio, ma anche l’insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per
una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento” (DM 3). Un ulteriore documento, Dialogo e annuncio (1991), aggiunge due altri elementi: “nell’obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà” (DA 9). Da questa definizione
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
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formazione al dialogo
Se un Istituto
missionario è di
carattere
internazionale,
la formazione
insieme di
candidati di
diverse
nazionalità e
culture
costituisce di per
se stessa una
preparazione al
dialogo.
Mons. Fitzgerald in una
pausa dei lavori del
convegno, nella Chiesa
di S. Cristo (Bs).
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possiamo trarre la conclusione che il dialogo
non richiede solo una capacità intellettuale ma
anche doti di cuore.
Il primo atteggiamento richiesto è una sana
curiosità. Aristotele diceva che la curiosità è il
principio della scienza. Se attorno a noi vivono
persone che seguono un’altra religione, è normale (anche se non sempre capita così) voler
sapere qualche cosa di loro e della loro religione. Certo, possiamo leggere libri sulla religione
in questione, porre delle domande a questi nostri vicini diversi: come praticate la vostra religione, quali sono i momenti importanti, le feste,
come pregate? Le domande sono quasi infinite.
È importante che non siano aggressive, dei pretesti per criticare, ma genuine, ossia provenienti da un serio desiderio di sapere e capire.
In buona sostanza, per iniziare un dialogo ci
vuole un atteggiamento aperto ai valori dell’altra religione, capace di cogliere un’altra logica.
Man mano che si approfondisce la conoscenza
dell’altro e del suo background, sarà più facile
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
comprendere il suo modo di agire e la simpatia
crescerà. Sì, anche la simpatia è un ingrediente
essenziale per un dialogo proficuo. Anzi, si potrebbe parlare di empatia, la capacità cioè di vedere le cose dal punto di visto dell’altro. È interessante constatare come, dopo un tentativo di
questo genere, le nostre posizioni si modificano.
Vorrei citare di nuovo Dialogo e annuncio:
“Il dialogo richiede un atteggiamento equilibrato sia da parte dei cristiani sia da parte dei
seguaci delle altre tradizioni. Essi non dovrebbero essere né troppo ingenui, né ipercritici,
bensì aperti e accoglienti. Si è già fatta menzione del disinteresse e dell’imparzialità, così come l’accettazione delle differenze, nonché delle
possibili contraddizioni. Le altre disposizioni
richieste sono la volontà d’impegnarsi insieme
a servizio della verità e la prontezza a lasciarsi
trasformare dall’incontro” (DA 47).
Come sviluppare questi atteggiamenti?
Quale formazione offrire a quelli che vogliono
impegnarsi nel dialogo interreligioso? Mi sembra che noi missionari abbiamo qui un vantaggio. Normalmente siamo inviati in una parte del
mondo dove la cultura è diversa dalla nostra.
Cominciamo con l’apprendimento della lingua,
chiave di comprensione della cultura. Sappiamo che anche qui la curiosità ci aiuta, la volontà d’imparare non solo parole che sarebbero più
o meno equivalenti alle parole della nostra lingua, ma anche la struttura della lingua, la sua
logica interna, che può aprirci ad un’altra visione del mondo. Sappiamo inoltre quanta umiltà
ci vuole nella pratica di un’altra lingua, facendo
lo sforzo di balbettare qualche frase, lasciandosi correggere dagli altri. Mi hanno parlato recentemente di due religiosi che imparavano una
nuova lingua: uno di loro rimaneva tutta la giornata davanti al suo computer, l’altro usciva per
strada cercando di parlare con tutti. Quale dei
due, a vostro parere, sarà più dotato per il dialogo? Lascio a voi indovinare.
Se un Istituto missionario è di carattere internazionale, la formazione insieme di candidati di diverse nazionalità e culture costituisce di
per se stessa una preparazione al dialogo. Nel
mio Istituto, dopo la prima fase degli studi (filosofici), che quando è possibile avviene nel
paese d’origine, e dopo l’anno cosiddetto “spirituale” (noviziato) a livello internazionale in
Africa, i candidati hanno due anni di stage
(esperienza apostolica), per cominciare ad imparare un’altra lingua, studiare un’altra società,
LA CONOSCENZA DELLE ALTRE RELIGIONI
Sono convinto che per sviluppare un vero
dialogo con persone di altre religioni, le doti di
cuore sono le più importanti: curiosità, simpatia, capacità di costruire rapporti di vera amicizia. Un chiaro esempio di questo atteggiamento
è S. Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars,
che pur non essendo intellettualmente un genio,
aveva un grande cuore pastorale ossia il dono di
condurre le persone a Dio. In ogni modo, lo
studio delle religioni rimane importante. Ci dà
una certa sicurezza. Ci aiuta ad evitare errori
grossolani nella conversazione e nel comportamento con gli altri.
Lo studio delle religioni può farsi tramite
corsi appropriati, specializzati. È importante
adattare il contenuto dei corsi alle diverse fasi
della formazione missionaria, perché talvolta
ciò che viene offerto ai candidati sono le solite
introduzioni di base, che stancano gli studenti e
non li interessano. Quelli che hanno già
un’esperienza d’incontro con persone di altre
religioni hanno bisogno di studi più approfonditi. Un libretto, a cura del Pontificio Consiglio
per il Dialogo Interreligioso indica una possibile progressione dei corsi sul dialogo in generale, sull’Islam e sulle Religioni Tradizionali
Africane. Se un candidato ha già cominciato ad
imparare una lingua legata ad una religione particolare, arabo per l’Islam, hindi o sanscrito per
l’Induismo, mandarino per il Confucianesimo,
sarebbe bene dargli la possibilità di continuare
lo studio di questa lingua per non essere obbligato più tardi a ricominciare da capo.
È evidente che lo studio personale deve essere incoraggiato. Può prendere la forma di letture
di libri e di articoli, ma molto utile è anche l’osservazione personale. Durante la formazione pastorale dei candidati è possibile chiedere loro
un’inchiesta sulla società in cui vivono, compreso l’aspetto religioso. Lo studio teorico e l’osservazione pratica dovrebbero andare di pari passo.
“A little knowledge is a dangerous thing”
(Una scarsa conoscenza è una cosa pericolosa).
È bene ricordare che possiamo sapere molto di
una religione, ma se non aderiamo a quella religione ci manca sempre qualche aspetto. Dobbiamo sapere di non sapere. Infatti, quando ci
sentiamo “esperti” di una religione, corriamo il
pericolo di giudicarne i seguaci secondo la loro
conformità o meno all’ideale che noi abbiamo
studiato. È necessario distinguere tra i principi
di una religione (la teoria) e l’applicazione (la
prassi). Non tocca a noi giudicare le persone,
ma di accoglierle come sono. Lo studio ha comunque il vantaggio di farci capire meglio
l’aspetto religioso della società in questione. Ci
insegna a distinguere i diversi gruppi (le scuole
del Buddhismo o i movimenti sufi, per esempio); ci rende più avvertiti sugli influssi esterni,
perché siamo capaci de leggerne i segni.
formazione al dialogo
entrare in contatto con la popolazione, spesso
con i giovani, e così iniziarsi in modo pratico al
dialogo interreligioso.
È necessario
distinguere tra
i principi di
una religione
(la teoria) e
l’applicazione
(la prassi).
Non tocca a
noi giudicare
le persone, ma
di accoglierle
come sono
Da sinistra: Don Piero Lanzi,
Lydia Keklikian
e don Flavio Dalla Vecchia,
del Gruppo Redazionale
di MO, in una pausa
del convegno,
nel chiostro di S. Cristo (Bs).
RIFLESSIONE CRISTIANA
È necessario accompagnare lo studio delle
religioni e l’incontro con i rispettivi seguaci con
una riflessione sulla nostra fede.
Ci aiutano in questa riflessione, in primo
luogo i documenti della Chiesa, quelli del Concilio Vaticano II (Lumen gentium, Gaudium et
spes, Ad gentes, Nostra aetate, Dignitatis humanae), le ultime encicliche dei Papi, ma anche
l’insegnamento occasionale di questi ultimi. Il
discorso di Giovanni Paolo II ai giovani musulmani di Casablanca, nel 1985, è un modello di
dialogo della fede cristiana con i musulmani. I
discorsi di Giovanni Paolo II del 27 ottobre
1986 ad Assisi, Giornata di preghiera per la pace nel mondo, e la riflessione fatta dallo stesso
Papa sull’evento, davanti alla Curia Romana, il
22 dicembre 1986, propongono altrettanti elementi importanti della teologia che sostiene
l’incontro interreligioso. Molti altri testi meriterebbero la nostra attenzione. Perfino le ripeti-
PER SAPERNE DI PIU’
Michael L. Fitzgerald,
Dialogo interreligioso.
Il punto di vista cattolico,
San Paolo,
Cinisello Balsamo 2007
presso:
[email protected]
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
17
formazione al dialogo
zioni di un testo in un altro dimostrano ciò che
è considerato importante. Vanno considerati anche i documenti dei diversi dicasteri romani e
quelli della Commissione Teologica Internazionale. Il libro a cura di Mons. Francesco Gioia,
Dialogo Interreligioso nell’insegnamento ufficiale della Chiesa Cattolica dal Concilio Vaticano II a Giovanni Paolo II, è di grande utilità
come fonte per la maggior parte dei testi.
L’incontro interreligioso, sia esso teorico o
personale, presenta delle sfide per la fede cristiana. Possiamo pensare al Buddhismo, che
generalmente non dà alcun posto a Dio e alla
Credo che la riflessione ci aiuterà a
purificare la nostra fede e ad
apprezzare il dono meraviglioso che
Dio fa di se stesso, specialmente nel
mistero dell’incarnazione.
Mons. Fitzgerald
e il prof. Brunetto Salvarani
(direttore di CEM Mondialità),
moderatore
della prima parte
del Convegno.
18
creazione; all’Induismo, che rifiuta il carattere
unico dell’incarnazione di Dio in Gesù Cristo;
all’Islam, che assolutamente rifiuta la possibilità dell’incarnazione. Credo che la riflessione ci
aiuterà a purificare la nostra fede e ad apprezzare il dono meraviglioso che Dio fa di se stesso,
specialmente nel mistero dell’incarnazione.
Come dare una formazione in questo campo
così complesso delle diverse identità religiose?
Si possono evidentemente proporre dei corsi
sull’insegnamento del magistero ecclesiale.
Credo però che il modo migliore di proseguire
la riflessione teologica sia la ricerca personale.
Gli studenti di teologia potrebbero scegliere dei
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
temi che interessano il dialogo interreligioso
per i loro elaborati scritti. In questo caso ci vorrebbero professori in grado di valutare il lavoro
fatto e gli studenti dovrebbero disporre di biblioteche adeguate.
IL SENSO DELLA CHIESA
Mi pare importante insistere sul fatto che il
dialogo interreligioso fa parte integrante della
missione evangelizzatrice della Chiesa (cfr.
DM 13). Perciò abbiamo bisogno di esperti di
dialogo interreligioso, anche se ciò comporta il
rischio di delegare ad essi da parte della Chiesa
locale la responsabilità del dialogo. Sarebbe bene disporre a livello diocesano o almeno a livello regionale/nazionale di una persona qualificata per guidare gli sforzi nel campo del dialogo.
Meglio ancora avere un’equipe, specialmente
nel caso di una società multireligiosa. La persona designata dovrebbe aver fatto degli studi appropriati e avere un’esperienza diretta di dialogo. I missionari possono essere chiamati ad un
tale ruolo sia in missione, quando le Chiese locali non dispongono di persone disponibili del
luogo, sia nei loro paesi d’origine, dove la
Chiesa locale li chiama a sfruttare la propria
esperienza. Va comunque evitato il rischio di
lasciare tutto all’esperto, senza un vero impegno da parte della Chiesa locale. La presenza di
una persona, o meglio di un’equipe, che possa
occuparsi dei seguaci d’altre religioni, può diventare un alibi. È quindi importante che
l’esperto mantenga vivo il legame con la sua
comunità di fede, per non agire da solo, anche
quando la comunità sembra muoversi lentamente. Ci vuole molta pazienza per trascinare
una comunità sulla via del dialogo. L’incaricato
diocesano può essere richiesto di rappresentare
il vescovo in diverse occasioni, ma dovrebbe
sempre informarlo sulle sue attività.
UN PROCESSO SENZA FINE
La formazione per l’incontro interreligioso
non è mai sufficiente. Una buona formazione iniziale permette ai missionari, per esempio, di lanciarsi nell’incontro con una certa dose di sicurezza, ma essi dovranno poi integrare la teoria con
una conoscenza precisa della situazione concreta,
perché le situazioni non sono mai né identiche né
statiche. Si può dire che la formazione al dialogo
è un processo senza fine. MICHAEL L. FITZGERALD
sogni
Ho due
LE MIE REAZIONI ALLE RELAZIONI
S
ono varie le mie reazioni e sollecitazioni circa la formazione al dialogo interreligioso,
dopo l’ascolto della sistematica relazione di
Mons. Fitzgerald e il racconto di Maria A. De
Giorgi. Ve ne propongo alcune, semplici e immediate, nella speranza che sappiate andare oltre, grazie alla vostra esperienza.
La prima: Il dialogo interreligioso ha oggi
valenza universale e occupa uno spazio internazionale per missionari/e, ma tocca anche lo spazio nazionale e diocesano per preti e laici, qui in
Italia, oggi. Mi domando se questa pastorale interreligiosa ha dei denominatori comuni di cui
possiamo far tesoro sia in terra di missione che
qui. Mi chiedo quali sono le caratteristiche che
si evidenziano in terra di missione e quali qui
da noi. I paesi da sempre multireligiosi che cosa hanno da offrirci o stiamo forse partendo insieme sulla realtà del dialogo e quindi le esperienze sono da condividere?
La seconda: Mi pare che qui in Europa e nel
mondo intero (l’ho scoperto nello stesso mondo
a maggioranza islamica) stiamo facendo oggi i
primi passi verso l’incontro e il dialogo interreligioso. Oserei dire che, prima della Nostra aetate (1964), ci sono stati solo dei pionieri del
dialogo. Mi domando, per evitare scoramenti o
ingenuità, quali tempi ci vorranno per una fattiva presa di coscienza dell’esigenza dell’incontro-dialogo? Per quali vie lo Spirito ci condurrà,
forum di discussione
Giampiero Alberti è sacerdote della Diocesi di Milano. Ha studiato al PISAI
(Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica) a Roma, dove ha conseguito
il dottorato. Da molti anni è attivo nella promozione e organizzazione di campi
di lavoro per volontari in Medio Oriente tramite l’associazione IMO (Impegno
Medio Oriente), con la quale contribuisce al sostegno di varie realtà locali.
Da oltre due decenni è impegnato a servizio della Diocesi di Milano nel
dialogo con i musulmani, con i quali ha costruito un solido rapporto di
amicizia e di rispetto reciproco. Attualmente è vice-presidente del CADR
(Centro Ambrosiano di Documentazione sulle Religioni),
l’organismo della Diocesi di Milano nato su iniziativa del
Card. Martini. Nel 2006 è stato tra i fondatori del Forum
delle Religioni di Milano, che si propone di tener vivo e
allargare un percorso di dialogo e amicizia tra tutte le
componenti religiose della città. E’ membro del
Comitato scientifico della rivista “Ad Gentes” dell’EMI
di Bologna. Ha al suo attivo molti articoli sul
tema del dialogo con i musulmani.
Il dialogo
interreligioso ha
oggi valenza
universale e
occupa uno
spazio
internazionale
per missionari/e,
ma tocca anche
lo spazio
nazionale e
diocesano per
preti e laici, qui
in Italia, oggi
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
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forum di discussione
Al di là dei
sogni, stando
con i piedi per
terra circa la
preparazione e
rifacendomi alla
mia esperienza
sia a livello
CCEE-KEK che a
livello CEIDiocesi di
Milano, ritengo
indispensabile la
formazione che
oserei chiamare
“vocazionale” al
dialogo
interreligioso.
I relatori della prima parte
del Convegno in dialogo
con i partecipanti durante
il primo Forum
di discussione.
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dopo tanti studi, riflessioni, esperienze, confronti e scambi di ricchezze? Quando questi
confronti e conoscenze avranno davvero il carattere della reciprocità?
La terza: C’è grande difficoltà nella comprensione del significato delle parole nelle diverse lingue, specie per termini religiosi, teologici, giuridici. Non è forse necessario che dei
veri esperti ci offrano le loro competenze in questo campo? Qualcosa già esiste e si fa, ma non è
Ho due sogni. Il primo: creare nelle Facoltà
teologiche regionali una sezione interreligiosa,
che comprenda i già esistenti studi della storia e
spiritualità delle religioni, ma dia anche importanza all’incontro-dialogo tra cristiani e non cristiani.
sufficiente. A questi primi interrogativi, che sottendono tante provocazioni, mi permetto di dare
una prima semplice risposta. Il primo passo da
fare credo sia l’incontro-frequentazione tra persone, tra fratelli, tra fedeli (di fede diversa). Già
ci sono molte esperienze anche nelle nostre Diocesi, ma il cammino è ancora lungo.
La quarta: “Come realizzare questi incontri?”, mi chiedono spesso i cristiani a cui parlo del dialogo interreligioso. Ci sono già state
segnalate alcune modalità: dare la precedenza
al cuore, non essere aggressivi, né ingenui né
ipercritici. Viste le tante paure che ci bloccano, il problema è come arrivare all’incontro.
È meglio incontrarsi con i responsabili delle
religioni o con la gente semplice? Il documento Dialogo e annuncio ci offre alcune risposte a livello generale. A livello locale,
molto si è fatto con i “centri di ascolto”, le
“feste dei popoli”, gli incontri in occasione
della rottura del digiuno di Ramadan, i doposcuola per ragazzi, i tè insieme, i tornei di calcio, le visite natalizie alle famiglie, le visite in
ospedale, in carcere, la partecipazione a funerali, il ricordo annuale dell’Incontro di Assisi
(1986), il Forum delle Religioni in varie città,
la diffusione della Lettera dei 138 saggi, gli
Il secondo: formare in Italia una “task force” permanente – 10 persone circa – coordinata dalla Cei
e le Diocesi, con l’aiuto delle Università e degli
Istituti Missionari, per riflettere, proporre e guidare iniziative sul campo islamo-cristiano (lettura
continua dell’islam, preparazione “quasi vocazionale” di animatori pastorali, creare sezioni e studi
universitari per cristiani e musulmani, portare alla
base le cose egregie fatte dal Pontificio Consiglio
per il Dialogo Interreligioso). Tale gruppo si dovrebbe riunire due volte l’anno per: a) animare
due equipe, una per il Centro-nord ed una per il
Centro-sud anch’esse invitate a trovarsi almeno
una volta l’anno singolarmente; b) organizzare le
Giornate ecumeniche del dialogo cristiano-islamico a livello nazionale. Al di là dei sogni, stando
con i piedi per terra circa la preparazione e rifacendomi alla mia esperienza sia a livello CCEEKEK che a livello CEI-Diocesi di Milano, ritengo indispensabile la formazione che oserei chiamare “vocazionale” al dialogo interreligioso. In
tal senso a Milano opera anche il CADR (Centro
di Documentazione per le Religioni), e al suo interno un Consultorio interetnico; sono state istituite anche le SDOP (Scuole Diocesane per
Operatori Pastorali), per preparare operatori per
GIAMPIERO ALBERTI
questo incontro-dialogo.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
incontri tra imam e preti. Bisogna continuare
con passione!
HO DUE SOGNI
Forum
FORMAZIONE NEI SEMINARI
Domanda > Aldo Giannasi (missionario d’Africa): Nelle
mie visite ai seminari della Campania, Puglia e Basilicata,
per conto della PUM (Pontificia Unione Missionaria), ho
incontrato circa 80-90 seminaristi, ai quali ho chiesto se
avevano incontrato o no degli immigrati e, più specificamente, dei musulmani. Risposta: quasi nessuno. Tuttavia
ho notato che tutti sentivano l’incontro come un’esigenza
profonda del loro ministero. Chiedo perciò a don Giampiero se non si potrebbe fare di più nei seminari a livello
formativo, pastorale.
Domanda > Stefano Berton (missionario saveriano): Anch’io giro i seminari per conto della PUM. Ho sentito don
Giampiero proporre varie soluzioni. Ho constatato che il
corso di missiologia è presente in pochi seminari e che i
seminaristi non ricevono una “dimensione missionaria”
dalle varie discipline. Come si potrebbe allargare la formazione missionaria nei seminari?
Risposta > Giampiero Alberti: In Lombardia abbiamo tentato qualcosa, ma non siamo ancora riusciti a coordinarci efficacemente. Già dieci anni fa il rettore del seminario di Milano mi obbiettava che la missiologia era inserita in altri modi nei programmi di studio. Oggi constato che si sono aperti
spazi più vasti nei seminari: ogni due anni mi chiamano per
un corso di tre-quattro giorni, non tanto sull’islam, che i seminaristi già conoscono, quanto sulla pastorale e sui documenti della Chiesa in merito. Sono questi aspetti pastorali ad
accendere il cuore dei seminaristi e dei giovani sacerdoti. Per
ora non c’è granché, ma qualcosa si muove.
Risposta > Mons. Fitzgerald: Don Giampiero ha parlato
di “sogni”. Io ho sempre sognato la formazione permanente dei professori dei seminari. I biblisti potrebbero fare
qualcosa sul rapporto tra Bibbia e altre religioni, ad esempio sul tema della rivelazione. È importante aiutare i professori ad avere questa dimensione nel loro insegnamento
ordinario. I canonisti italiani l’hanno fatto, dedicando una
sessione di studio al diritto islamico.
IMPEGNO DELLA CHIESA ITALIANA
CON I MUSULMANI
Domanda > Giuliano Vallotto (sacerdote di Treviso): Mi
occupo di rapporti tra cristiani e musulmani nella diocesi
(di Treviso). Devo notare che spesso il mondo missionario
ha un atteggiamento negativo e contrario. Mi riferisco in
particolare ai missionari reduci dall’Africa subsahariana.
Al massimo si parla delle altre religioni all’interno della
teoria del “compimento”, cioè come preparazione al cristianesimo. Per quanto riguarda la “task force”, sono
contrario; piuttosto valorizzerei e metterei in rete tutte le
iniziative già esistenti. Sono, infatti, convinto che esistano molte più iniziative, tra la gente, di quante se ne conoscano.
Risposta > Giampiero Alberti: Per “task force” non intendo un gruppo di soli esperti, immagino piuttosto un coinvolgimento di tutti coloro che sono impegnati nel dialogo
interreligioso. Naturalmente qualcuno di competente e capace deve esserci, altrimenti rischiamo di condannarci a
tante buone intenzioni, senza arrivare al dunque nell’azione. Ecco perché ho parlato di “task force” iniziale. Stiamo
lavorando perché le nostre Facoltà teologiche prendano coscienza del problema e inseriscano questi corsi, senza
aspettare troppo. A Milano ho proposto un corso per la formazione di imam, cosa che avviene già in altri paesi europei, come la Francia. Quindi, corsi teologici aperti ai muMissione Oggi | agosto-settembre 2009
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FORUM DI DISCUSSIONE
sulmani nelle nostre Facoltà, con la possibilità di rilasciare dei diplomi. A Milano sono proprio i giovani musulmani a chiederlo. Dico questo anche perché esiste il rischio
concreto che tra i musulmani qualcuno si autoproclami
imam senza aver frequentato un corso che dia garanzie di
serietà, facendo crescere la confusione e autolegittimandosi come rappresentante dell’islam, mentre in realtà non
rappresenta nessuno. Si verificherebbe così una situazione molto pericolosa.
Commento > Sr. Gianlivia (già missionaria in Africa):
Sono stata missionaria per 33 anni tra Burundi, Congo RD
e Camerun. Ciò che Don Giuliano Vallotto ha detto mi ha
stupito un po’. Ci possono, sì, essere dei missionari che,
una volta rientrati, fanno molta fatica a riadattarsi e a
comprendere il fenomeno dell’immigrazione in tutti i suoi
aspetti, l’appartenenza religiosa compresa. Anch’io, rientrata dalla missione, ho fatto fatica ad inquadrare il fenomeno dell’immigrazione, in particolare le persone provenienti da paesi musulmani, ciononostante ho deciso di dedicarmi a questo. Ora mi occupo esclusivamente di migranti in una parrocchia della periferia di Brescia. Penso
che ci sia una grande confusione e impreparazione davanti a questo fenomeno.
SIGNIFICATO DI “DIALOGO
INTERRELIGIOSO”
Domanda > Teresa Benedini: Con soddisfazione ho sentito affermare che l’essere cristiani è inscindibile dal dialogo e che l’esigenza del dialogo nasce proprio dalla
consapevolezza del nostro essere cristiani. Secondo me,
l’attuale situazione della Chiesa italiana, e di quella bresciana in particolare, è di chiusura nei confronti del dialogo. Credo che si tratti anzitutto di una questione di
buona volontà pastorale, ma questo non dipende forse
dal fatto che non siamo cristiani nel profondo?
Risposta > Maria A. De Giorgi: Rispondo “trasversalmente” ad alcune domande sul significato della parola
“dialogo”. Che senso ha? Che cosa significa? C’è una
grande ambiguità intorno a questo termine, che non vuol
dire “compromesso”.
Per me il dialogo nasce da una sovrabbondanza d’amore e
dal suo radicamento nel comandamento massimo del cristianesimo, “ama il prossimo tuo come te stesso”. Gesù
non fa discriminazioni, ma ci dice “ama l’altro così com’è
e dov’è”, cercando di conoscerlo e di offrirgli la testimonianza d’amore che viene dalla tua fede in Gesù Cristo, fino a dare la tua vita per lui. Dal punto di vista cristiano il
dialogo sta tutto qui.
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Missione Oggi | agosto-settembre 2009
INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE A SCUOLA
Domanda > Liliana (insegnante di Religione Cattolica):
Dando per scontato che a scuola non si fa catechesi, ma cultura religiosa, è possibile conciliare l’insegnamento della religione cattolica a bambini e ragazzi rispettando le altre tradizioni religiose, cui molti di loro ormai appartengono?
Risposta > Giampiero Alberti: Per quanto riguarda la
scuola, c’è un’esperienza che sto portando avanti, andando
nelle elementari e nelle medie a parlare delle altre religioni,
coinvolgendo proprio i ragazzi appartenenti ad altre tradizioni religiose. Invito spesso i genitori musulmani a parlare
nelle scuole insieme a me. In questo modo nasce quell’amicizia di cui si è parlato, per arrivare a fare un secondo passo,
quello dell’approfondimento della conoscenza dell’altro.
Risposta – Mons. Fitzgerald: Per quanto riguarda l’insegnamento della religione a scuola, vorrei citare la mia esperienza personale. Prima di entrare in seminario, ho frequentato una scuola protestante ed ero dunque escluso da ogni corso di religione, così avevo un catechista che veniva a casa
mia per la catechesi cattolica. Sono dell’idea che la catechesi
non sia compito della scuola, ma della famiglia e della parrocchia. Capisco però che le famiglie, quando scelgono una
scuola cattolica per i loro figli (mi riferisco alla Gran Bretagna), si aspettino che essi abbiano una formazione alla fede,
sicché scaricano sulla scuola cattolica questo compito. Ma ta-
le responsabilità resta dei genitori e della parrocchia. Vedo la
scuola più come un luogo di cultura, in cui s’insegnano le religioni, compreso il cristianesimo. Spesso, infatti, la tentazione dei nostri insegnanti è di parlare di tutte le religioni, meno
del cristianesimo. Si deve invece parlare anche del cristianesimo, dal punto di vista culturale ovvero del suo influsso sulla realtà di un Paese (come l’Italia, per esempio).
LA TEORIA DEL “COMPIMENTO”
Risposta > Maria A. De Giorgi: Rispondo al don Giuliano
Vallotto che ha sollevato la questione della teoria del “compimento”. Rispetto a quanto ha affermato, devo ricordare
che il punto di riferimento non sono io, cristiano/a, e nemmeno un certo tipo di cristianesimo storico, né la Chiesa
istituzionale, il compimento è Cristo. Cristo è di Dio, non è
nostro. In questo senso, un conto è il mistero di Cristo nella
sua pienezza, che è dono di Dio per tutti, un altro la comprensione che ne abbiamo.
A volte l’identificazione indebita che facciamo tra il mistero che ci supera e trascende e la comprensione che ne abbiamo crea problema.
Di fronte al mistero di Cristo tutti siamo interpellati, anche
noi che ci diciamo cristiani. Quindi, dire che Cristo è il
compimento di tutto, dal punto di vista cristiano non è ridurre l’altro a me o alla comprensione che ho di questo mistero, ma rimandarlo al mistero di Cristo, che poi è il mistero di Dio, perché Cristo è di Dio.
Risposta > Mons. Fitzgerald: Per quanto riguarda il “compimento”, sono d’accordo con quanto ha detto Maria A. De
Giorgi. Il nostro compito di teologi è di discernere nello Spirito i valori delle altre religioni, valori che aiutano le persone ad entrare nel mistero di Cristo. Non dico agli appartenenti ad altre tradizioni religiose di convertirsi al cristianesimo, ma di partecipare al mistero di Cristo, al mistero pasquale. Mi riferisco alla Gaudium et spes (n. 22), dove è detto che lo Spirito dà la possibilità a tutti, in modi che solo Dio
conosce, di partecipare al mistero pasquale. Ma che cosa significa “mistero pasquale”? È la morte di se stessi per vivere per gli altri. Questo non si può fare senza la grazia di Dio,
e la grazia viene da Cristo. Questo è quello che ci dice la nostra fede. Ci sono elementi nelle altre religioni (ad esempio,
la preghiera, il digiuno, ecc.) che aiutano le persone a vivere
questo mistero pasquale anche senza riferimento a Cristo.
Mi sembra che sia questo che noi dobbiamo saper vedere.
Non dobbiamo aspettare che gli altri accettino la nostra fede
e nemmeno sacrificare la nostra fede (e teologia) per essere
accettati dagli altri: questo comportamento non appartiene
alla teologia cattolica. Possiamo vedere le altre religioni in
maniera positiva, non come vie di salvezza indipendenti da
Cristo e nemmeno come una semplice “preparazione” a Cristo, ma come un modo vivo e creativo per giungere a Cristo,
anche senza conoscerlo.
A CURA DI FEDERICO TAGLIAFERRI
P. Mario Menin, direttore di Missione Oggi,
introduce i lavori del Convegno.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
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buone pratiche di dialogo
Ruggero Cavani, sposato con Luisa, ha quattro figlie. Impiegato ai Servizi
Sociali del Comune di Fiorano (Mo), dal 1978 al 1984 ha svolto, insieme ad
un gruppo denominato “Il Senape”, un lavoro di educazione di strada in
un quartiere nel quale vivevano nuclei famigliari con problemi sociali. È
impegnato, insieme alla moglie, sia all’interno della comunità parrocchiale
di Fiorano, dove svolge un’azione di formazione nei confronti di un gruppo
di sposi, sia nell’associazione “Piccola Famiglia delle Figlie e dei Figli di
Maria”, legata alla comunità di Don Giuseppe Dossetti di Monteveglio, che
svolge attività di accoglienza di ragazze madri che hanno subito violenza.
Collabora con l’associazione “Terra, Pace e Libertà” ad un progetto nello
Swaziland a favore di bambini e ragazzi orfani. Insieme alla moglie porta
avanti progetti nel campo degli affidi e delle adozioni. È co-fondatore
dell’esperienza di dialogo interreligioso “Camminare Insieme”. Ha
contribuito alla nascita del Forum Giovani-Korova, movimento che nel
“distretto della ceramica” modenese elabora progetti culturali,
educativi e di carattere sociale. Dal 2005 è presente al
“Tavolo diocesano cattolico-islamico” di Modena.
Camminare
insieme
Cristiani e musulmani
P
a Fiorano e Sassuolo
er preparare questo intervento abbiamo ripercorso il cammino fatto insieme, come
gruppo “Camminare insieme”, ripensando le
ragioni del nostro incontrarci e i motivi che ci
fanno continuare insieme. Dobbiamo ringraziare il Signore per i tanti doni che ci ha fatto. In
questi quasi dieci anni di vita possiamo dire che
il Signore ci ha tenuti per mano e ci ha fatto fare cose che nel 2000 sembravano impensabili.
Già nell’aprile del 1997 Papa Giovanni Paolo II diceva: “La Chiesa guarda con stima ai
musulmani che, lo ricorda anche il Concilio Vaticano II, adorano l’unico Dio, vivente e sussi24
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
stente, misericordioso ed onnipotente, creatore
del cielo e della terra che ha parlato agli uomini”. E continuava: “A questo si deve aggiungere il rispetto che la tradizione islamica ha per
Gesù, che considera un grande profeta, e per
Maria, sua Madre Vergine. Possa tale vicinanza
consentire sempre più una reciproca intesa a livello umano e spirituale… Dio è unico, e nella
sua giustizia ci chiede di vivere in maniera conforme alla sua volontà santa, di sentirci fratelli
gli uni gli altri, di impegnarci ad operare affinché la pace sia garantita nei rapporti umani, ad
ogni livello”. Abbiamo sperimentato nel nostro
Dalla fine del 1999 un gruppo di famiglie cristiane si
riunisce ogni giovedì alle ore 19.00 nella casa dell’una o
dell’altra famiglia per la preghiera dei vespri e per consumare insieme una cena frugale. Questa esperienza,
sicuramente resa possibile dallo Spirito, ha fatto crescere nel tempo un clima di grande confidenza tra i presenti. Siamo persone che vivono e/o lavorano a Fiorano
e a Sassuolo, in provincia di Modena, zone conosciute
per la produzione della ceramica.
Nel nostro distretto, per ragioni di lavoro, in questi ultimi 15 anni, sono arrivate persone da ogni parte del
mondo. La stragrande maggioranza, quasi il 70%, proviene dal Maghreb ed è di fede musulmana. Per questo
motivo nei primi mesi del 2001 siamo stati spinti a dar
vita a un progetto complesso, ma affascinante: incontrarci con alcune famiglie di fede musulmana. La mia
attività lavorativa nel servizio sociale del Comune di
Fiorano e l’impegno amministrativo a Sassuolo
ha favorito l’incontro, la
Dalla fine del 1999 un gruppo
di famiglie cristiane si riunisce
conoscenza e il confronogni giovedì alle ore 19.00
to con molti stranieri e
nella casa dell’una o dell’altra
in modo particolare con
famiglia per la preghiera dei
un mediatore culturale,
vespri e per consumare
avente un ruolo di reinsieme una cena frugale
sponsabilità all’interno
della comunità islamica. L’amicizia con Ouakili Abdelatif è da considerarsi il punto di partenza di tutta questa esperienza.
Attraverso di lui è stato possibile proporre al “gruppo
del giovedì” l’incontro con alcune famiglie di fede musulmana. Una volta al mese le famiglie di Abdelatif, Zahi e Mohammed hanno cominciato a consumare con
noi la cena, durante la quale ci scambiavamo informazioni, curiosità e aspetti della rispettiva esperienza culturale e religiosa. Volevamo passare dalle notizie, dalla
diffidenza, dalla paura reciproca, alla conoscenza, all’incontro, all’ascolto, alla condivisione, affinché col
passare del tempo potessimo essere capaci di capirci ed
apprezzarci. Mantenendo sempre vivo questo aspetto,
della conoscenza reciproca, siamo passati dal piano della convivialità e della fraternità a quello della ricerca di
“parole comuni”, per esprimere la lode al Dio Unico, e
all’organizzazione di momenti di incontro e di conoscenza e reciproca per le famiglie del gruppo e per le rispettive comunità di appartenenza religiosa, quella
cattolica e quella islamica. Questo, in estrema sintesi, è
il gruppo “Camminare Insieme”.
buone pratiche di dialogo
Il gruppo
“Camminare insieme”
cammino di gruppo il sentirsi fratelli e sorelle.
Abbiamo cercato di raccogliere in un dvd i momenti “forti” vissuti insieme. Le strette di mano, gli abbracci, i sorrisi, gli sguardi sereni, la
convivialità dell’incontro intorno ad una tavola
nel mangiare e gustare un piatto di cous-cous o
di altra specialità, l’ascoltare dalla voce di bambini e ragazzi, di fedi differenti, la stessa lode a
Dio, parlano sicuramente più di ogni articolata
descrizione o racconto.
LA CRISI DELL’11 SETTEMBRE
Molto importante per il gruppo fu il periodo
successivo all’11 settembre 2001. Abbiamo
cercato di condividere quel momento tremendo. Abbiamo mostrato e testimoniato all’esterno come fosse possibile la comunicazione e il
dialogo tra cristiani e musulmani anche in quel
frangente. Abbiamo provato, a volte con successo, a convincere altri amici a non lasciarsi
prendere dalla spirale di odio e di contrapposizione. Questa attività in forme diverse e più articolate continua ad esistere, nei confronti degli
stranieri e in particolare verso coloro che vivono la fede musulmana. Lo abbiamo fatto proponendo momenti di incontro, di preghiera, di digiuno e azioni di solidarietà.
In questi anni abbiamo aderito all’iniziativa
della Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico ormai arrivata alla sua VIII edizione (27 ottobre 2009). Le Giornate sono state
l’occasione per far incontrare tra loro più persone e per riflettere sul valore della convivenza.
Nel 2008 vi ha aderito un centinaio di persone.
L’esperienza di tutti questi anni ha fatto cresce-
Volevamo
passare dalle
notizie, dalla
diffidenza, dalla
paura reciproca,
alla conoscenza,
all’incontro,
all’ascolto, alla
condivisione,
affinché col
passare del
tempo
potessimo
essere capaci di
capirci ed
apprezzarci
Siham, del Gruppo
“Camminare Insieme”,
con alcune amiche
di fede musulmana
della città di Brescia
risponde alle domande
di una giornalista
durante il Convegno.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
25
buone pratiche di dialogo
re il gruppo sia quantitativamente che qualitativamente. Siamo stati fautori, nel nostro territorio, dell’iniziativa “Moschee aperte”, abbiamo
promosso la visita di famiglie e di singoli fedeli musulmani ai nostri luoghi di culto cristiani:
chiese, santuari, conventi. Abbiamo prestato attenzione ai cosiddetti “momenti forti” delle due
religioni, sempre con il dovuto rispetto della reciprocità. Per esempio, ci siamo incontrati per
riflettere sul Ramadan, ma anche sul Mercoledì
delle Ceneri e sulla Quaresima. Abbiamo orga-
Il Gruppo
“Camminare Insieme”
di Fiorano-Sassuolo (Mo).
26
I GIOVANI, VERO FUTURO DI QUESTA
ESPERIENZA
Ogni esperienza ha le sue peculiarità. La nostra ha messo alla base il valore dell’amicizia,
della convivialità. Inoltre, abbiamo voluto mettere al centro del “camminare insieme”, ovvero
della nostra esperienza, il valore della fede in
R. CAVANI
Siamo convinti
che un incontro/
esperienza
come quello che
stiamo
conducendo sia
possibile
soltanto tra
cristiani e
musulmani che
vivono una fede
adulta, matura,
e che, proprio
per questo, non
hanno paura del
confronto
qualcosa sta cambiando anche all’interno delle
comunità islamiche.
nizzato incontri tra alcune donne musulmane e
le monache del Carmelo di Sassuolo. Il momento più alto è stato l’incontro e la preghiera
dopo l’intervento del Papa a Ratisbona.
Abbiamo portato l’esperienza fuori delle
mura domestiche, facendola diventare nel tempo un’esperienza anche per le nostre comunità
di riferimento: i nostri sacerdoti e l’imam hanno condiviso questo percorso e continuano a
farlo. Abbiamo contribuito alla nascita nelle
Diocesi di Reggio Emilia e di Modena dei gruppi per il Dialogo ecumenico e interreligioso, organizzando incontri sui testi sacri, sulla preghiera e sul digiuno. Siamo stati davvero aiutati dal Signore in questo relativamente lungo –
quasi 10 anni – e affascinante cammino. Naturalmente non è stato un cammino tutto in discesa, né, come si suol dire, “tutto rose e viole”.
Siamo stati considerati per molto tempo come
delle “mosche bianche”, sia nella nostra comunità cristiana sia in quella musulmana. Oggi
non è molto diverso, ma sicuramente qualcosa è
cambiato nella Chiesa, nei suoi vari livelli, e
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
Abbiamo portato
l’esperienza fuori delle
mura domestiche,
facendola diventare
nel tempo
un’esperienza anche
per le nostre comunità
di riferimento: i nostri
sacerdoti e l’imam
hanno condiviso
questo percorso e
continuano a farlo
Dio, secondo noi cristiani e secondo i nostri
amici musulmani. Siamo convinti che un incontro/esperienza come quello che stiamo conducendo sia possibile soltanto tra cristiani e musulmani che vivono una fede adulta, matura, e che,
proprio per questo, non hanno paura del confronto. L’obiettivo del nostro gruppo non è mai
GRAZIE, SIGNORE
“O Dio grazie di averci fatti incontrare e di
non aver avuto paura delle differenze che
esistono tra di noi.
O Dio siamo uomini e donne che pur venendo
da esperienze, popoli, culture e religioni
diverse abbiamo immensa fiducia in Te.
O Dio fa’ in modo che le nostre comunità che
vivono ed operano in questa territorio
riescano a rispettarsi e ad apprezzarsi.
O Dio che sei grande nella misericordia regala
a noi e al mondo intero il dono della Pace e
della Concordia.
O Dio non vogliamo stancarci di essere segni
e strumenti di riconciliazione.
O Dio vogliamo essere a servizio della Verità
e dell’Amore.
O Dio noi crediamo tantissimo nella forza e
nella potenza della Preghiera e ci
impegniamo da oggi a ricordarci
reciprocamente in essa”.
stato il proselitismo o la conversione reciproca,
ma un vero dialogo alla ricerca di “parole comuni”, di ciò che unisce, senza dimenticare ciò che
ci fa differenti. Abbiamo potuto sperimentare
un’idea diversa di missionarietà, di evangelizzazione. Non siamo stati (e non stiamo) con “loro”, né “loro” con noi perché ci vogliamo convertire a vicenda, ma perché viviamo nello stesso territorio, condividiamo la stessa fede nel padre Abramo e vogliamo che i nostri figli crescano nella pace e nel rispetto reciproco.
I figli, i giovani, sono un altro capitolo molto importante di questa esperienza. Il vero futuro del dialogo sono loro. Giovani, ragazzi e ragazze meglio inseriti in questa società, nella
scuola, possono costruire un tessuto sociale e
interreligioso diverso. “Sono loro la nostra speranza, perché hanno meno pregiudizi, sono disponibili al dialogo, hanno potuto sperimentare
che l’incontro tra diversi è possibile, utile, indi-
buone pratiche di dialogo
Preghiera del gruppo
CAMMINARE INSIEME
per la settima giornata ecumenica
del dialogo cristiano-islamico
(ottobre 2008)
spensabile”, ha detto Khawula, una donna palestinese, durante un momento conviviale.
PRESE DI POSIZIONE E UNA PREGHIERA
Vorrei concludere con alcune frasi, alcune
prese di posizione e una preghiera che penso ci
possano aiutare a cogliere, più di ogni altra parola, come sono state segnate le persone che
hanno dato vita e che continuano a portare
avanti il gruppo “Camminare Insieme”.
La prima è tratta da alcune considerazioni
fatte da Oaukili durante un incontro pubblico:
“Il dvd che abbiamo visto questa sera è stato
preparato mentre io ero con la famiglia in Marocco. Quando sono tornato Ruggero me lo ha
mostrato… Mi sono commosso, mi sono messo
a piangere, perché questo mio fratello cristiano,
aveva fatto ciò che io volevo fare, nel modo in
cui lo avrei fatto io”. E continuava: “Questo tipo di dialogo può avvenire solo tra persone speciali, molto avanti nel cammino di fede e soprattutto capaci di aprire il cuore in un modo
straordinario, cosa non comune né tra i cristiani
né tra i musulmani”. E ha precisato: “Penso che
alla base di tutto ci debba essere umiltà; io non
sono tanto migliore di tanti miei fratelli e sorelle: siamo tutti peccatori e abbiamo tutti bisogno
della misericordia di Dio”.
La seconda è un’affermazione che fece un
paio di anni fa una giovane musulmana, Siham,
dopo essere stata, per la prima volta, al Carmelo di Sassuolo: “È stato un incontro molto particolare con sensazioni contrastanti. Alla veduta
della grata che ci divideva e sentendo che le
monache non escono mai, se non per problemi
di salute, mi sono domandata il perché di tutto
ciò. Perché tante ragazze della mia età fanno
una scelta così difficile, in un certo senso incomprensibile? Poi, durante il colloquio, vedendole serene, libere, scherzose, capaci di battute e anche informate su quello che avveniva
nel mondo, ho pensato che un’esperienza come
quella potesse avere un senso. Io, se passo alcuni giorni in casa perché sono malata o perché
devo preparare un esame, sto male o vado un
po’ in ansia. Lì sono mesi, anni che non escono.
Probabilmente la fede in Dio e tanto coraggio le
sta aiutando a sperimentare una vita che agli occhi della società non avrebbe alcun senso. Questo momento mi ha offerto la possibilità di avvicinare dei cristiani anche in un modo che non
pensavo esistesse”.
RUGGERO CAVANI
Non siamo stati
(e non stiamo)
con “loro”, né
“loro” con noi
perché
ci vogliamo
convertire
a vicenda, ma
perché viviamo
nello stesso
territorio,
condividiamo la
stessa fede nel
padre Abramo e
vogliamo che i
nostri figli
crescano nella
pace e nel
rispetto
reciproco
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
27
spiritualità del dialogo
spiritualità
del dialogo
Per una
interreligioso
MICHAEL L. FITZGERALD
I
l Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (PCDI), dopo aver pubblicato due documenti sul dialogo, L’atteggiamento della
Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni: riflessioni e orientamenti su Dialogo e Missione
(1984) e Dialogo e annuncio: riflessioni e
orientamenti sul dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo (1991),
avrebbe voluto pubblicarne un terzo, appunto
sulla spiritualità del dialogo.
L’assemblea plenaria del PCDI, nel 1995,
aveva messo in agenda un tema duplice: il dialogo della spiritualità e la spiritualità del dialogo. Il programma comportava in primo luogo la
presentazione del concetto di santità, secondo
28
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
diverse tradizioni religiose: la Religione Tradizionale Africana, l’Induismo, il Buddhismo,
l’Islam e il Cristianesimo. In secondo luogo due
interventi sul dialogo dell’esperienza religiosa,
uno riguardante il dialogo interreligioso monastico, e l’altro, di Jean Vanier, basato sull’esperienza dell’Arche e del movimento Fede e Luce
(per i testi, cfr. la rivista Pro Dialogo 92, 1996).
Tre anni dopo, un’altra assemblea plenaria,
in vista del Grande Giubileo dell’Anno 2000,
considerava il tema Chiamati alla conversione
di cuore (“metanoia”, cfr. Pro Dialogo 101,
1999). Nel corso dell’assemblea i vescovi
membri hanno chiesto la redazione di un documento specifico sulla spiritualità del dialogo e
A
lcuni paragrafi di DA sono dedicati
alle disposizioni necessarie perché
il dialogo con altri credenti sia proficuo: “Il dialogo richiede un atteggiamento equilibrato”; le persone che vogliono entrare in dialogo “non dovrebbero essere né troppo ingenue né ipercritiche, bensì aperte e accoglienti”; si
parla di “disinteresse”, “imparzialità”,
che non significa indifferenza, ma piuttosto espressione d’amore che non cerca il proprio interesse. Si attira l’attenzione sulla necessità di “accettazione
delle differenze, nonché delle possibili
contraddizioni”. Il documento termina
menzionando “la volontà di impegnarsi insieme a servizio della verità e la
prontezza a lasciarsi trasformare dell’incontro” (DA 47). Si tratta di disposizioni assai impegnative.
Un’altra condizione per un vero dialogo
è una salda convinzione religiosa. En-
spiritualità del dialogo
Disposizioni
per il dialogo
trando in dialogo, non c’è nessun bisogno di mettere da parte le proprie convinzioni religiose. “È vero il contrario: la
sincerità del dialogo interreligioso esige
che vi si entri con l’integrità della propria fede”. Allo stesso tempo ci vuole
considerazione per le convinzioni altrui
e apertura ai valori delle tradizioni religiose altre (DA 48).
Ci vuole soprattutto una grande apertura alla verità. Il dialogo è stato descritto come un incontro con persone di
altre tradizioni religiose “per camminare verso la verità” (DM 13). Si potrebbe
obiettare che noi conosciamo già la verità, perché Cristo è via, verità e vita.
Dobbiamo ricordare che “la pienezza
della verità ricevuta in Gesù Cristo non
dà ai singoli cristiani la garanzia di
aver assimilato pienamente tale verità.
In ultima analisi, la verità non è qualcosa che possediamo, ma una persona
da cui dobbiamo lasciarci possedere. Si
tratta quindi di un processo senza fine”
(DA 49). In questo processo, tramite l’incontro interreligioso, si può dare e ricevere, vincere i pregiudizi, rivedere le
idee preconcette, e così arrivare ad una
comprensione purificata della fede.
hanno suggerito al Card. Arinze di inviare alle
Conferenze episcopali di tutto il mondo una lettera chiedendo un parere sul progetto. La lettera toccava i seguenti punti: Dio è amore e comunione; Dio si comunica all’umanità; la necessità della conversione continua a Dio;
l’identità cristiana nel dialogo; il necessario
equilibrio tra annuncio e dialogo; la necessità
di capire la posizione di altri credenti; l’importanza della preghiera e del sacrificio (cfr. Pro
Dialogo 101, 1999, pp.266-270). In seguito fu
redatto un documento, esaminato dai vescovi
membri dell’assemblea plenaria, nel 2001, ma
mai pubblicato, perché privo della necessaria
approvazione previa della Congregazione per la
Dottrina della Fede. Probabilmente non fu approvato per paura del relativismo. Il testo non
voleva semplicemente ripetere gli insegnamenti dei due primi documenti del PCDI, dove il
dialogo è presentato come una parte integrante
della missione della Chiesa. Senza questa preci-
sazione, si temeva forse che il nuovo documento potesse essere inteso come una legittimazione alla pari di tutte le religioni.
È stato un errore pensare che i due primi documenti, Dialogo e missione (DM) e Dialogo e
annuncio (DA), fossero abbastanza conosciuti,
al punto da dispensare la pubblicazione di un
terzo. In ogni modo, nella mia presentazione
partirò da questi primi due documenti.
IL FONDAMENTO TEOLOGICO-TRINITARIO
Le disposizioni descritte sono atteggiamenti
umani e spirituali, ma nella loro presentazione
non è indicata la fonte teologica che può servire da base per una spiritualità del dialogo. Troviamo una bella presentazione del fondamento
teologico per il dialogo nel documento DM che
ci propone una spiritualità squisitamente trinitaria. Può sembrare paradossale basare la spiritualità del dialogo su di un elemento della noMissione Oggi | agosto-settembre 2009
29
spiritualità del dialogo
Non tutto è
perfetto nelle
religioni, come
non tutto è
necessariamen
te perfetto nel
modo di
praticare la
fede cristiana.
L’onestà ci
induce ad
ammetterlo
PER SAPERNE DI PIU’
Michael L. Fitzgerald,
Dio sogna l’unità.
I cattolici e le religioni,
Città Nuova, Roma 2007
presso:
[email protected]
30
stra fede cristiana che può incontrare opposizione in persone di altre religioni. Va detto però
che non siamo alla ricerca di ragioni comuni
per impegnarsi nel dialogo, ma di motivazioni
cristiane per tale impegno.
DM ci dice che “nel mistero trinitario la rivelazione ci fa intravedere una vita di comunione e
di interscambio” (DM 22). Notiamo il termine
“intravedere”. Siamo lungi dall’avere una conoscenza piena della SS. Trinità; nondimeno possiamo capire che l’unità non equivale ad assorbimento, ma è compatibile con differenze fondamentali. Se nella Trinità esiste la comunione tra
le Tre Persone, nel rispetto delle caratteristiche
di ognuna, la ricerca di comunione tra persone di
diverse religioni deve rispettare le differenze. Il
fatto che siamo ancora “in via” ci permette di godere una comunione ancora imperfetta. Se questo è vero per il dialogo ecumenico, cioè tra cristiani, lo è a fortiori per il dialogo interreligioso.
Dopo questa considerazione generale passiamo ora ad esaminare il ruolo attribuito dalla
Tradizione ad ogni singola Persona della SS.
Trinità. “In Dio Padre noi contempliamo un
amore preveniente senza confini di spazio e di
tempo”. Tutto comincia con l’amore di Dio e finisce in Lui. Lui è all’origine di ogni creatura,
ed è il loro destino. È l’insegnamento del primo
paragrafo della Nostra aetate basato sulle Scritture. Di conseguenza, l’amore di Dio non si trova solo dove esiste la fede in Cristo, dove è impiantata la Chiesa, ma in ogni parte del mondo.
Ciò vale anche per il fattore tempo: l’amore di
Dio si rivela dall’inizio della creazione fino alla fine dei tempi. “L’universo e la storia sono ricolmi dei suoi doni. Ogni realtà e ogni evento
sono avvolti dal suo amore”. Possiamo capire la
pertinenza di questa considerazione per le sociètà che danno una grande importanza agli
antenati. L’amore di Dio li abbraccia anche se
non sono mai diventati cristiani.
Ricordando la necessità di un atteggiamento equilibrato, dobbiamo riconoscere
l’esistenza del male. Non tutto è perfetto
nelle religioni, come non tutto è necessariamente perfetto nel modo di praticare
la fede cristiana. L’onestà ci induce ad
ammetterlo. Ma la fede ci fa constatare
che “nonostante il manifestarsi talora
violento del male, nella vicenda di ogni uomo e di ogni popolo è presente la forza della
grazia che eleva e redime”. Di conseguenza, il
compito della Chiesa è di “scoprire, portare al-
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
la luce, far maturare tutte le ricchezze che il
Padre ha nascosto nella creazione e nella storia”. Essa fa questo per “celebrare la gloria di
Dio nella liturgia” – portiamo gli altri credenti
nelle nostre preghiere, personali e liturgiche;
dimostriamo una vicinanza spirituale, specialmente nell’occorrenza delle feste. Essa promuove “la circolazione tra tutti gli uomini dei
doni del Padre” (DM 22). Troviamo qui un incoraggiamento a praticare lo scambio dei doni,
come nell’ecumenismo.
Passando alla Seconda Persona della SS.
Trinità, al Dio Figlio, DM fa riferimento alla
prima enciclica di Giovanni Paolo II, Redemptor hominis: “Ogni uomo senza eccezione alcuna è stato redento da Cristo, e con l’uomo,
con ciascun uomo senza eccezione, Cristo è in
qualche modo unito, anche quando quell’uomo
non è di ciò consapevole” (RH 14). Nel Vangelo di Matteo, al capitolo 25, Gesù s’identifica
con quelli che soffrono, e ciò dovrebbe avere
un’incidenza sul nostro modo di comportarci.
L’incontro con un’altra persona è sempre un incontro con Cristo. È un principio cristiano che
si applica ai rapporti interreligiosi, perché
l’unione di Cristo con l’umanità non conosce
frontiere. “In Dio Spirito Santo, la fede ci fa
spiritualità del dialogo
scorgere quella forza di vita, di movimento e di
rigenerazione perenne (cfr. LG 4) che agisce
nella profondità delle coscienze, e accompagna
il cammino segreto dei cuori verso la Verità
(cfr. GS 22)”. Il testo ben conosciuto di Gaudium et spes 22 ci insegna che lo Spirito Santo
dà a tutti la possibilità di venire a contatto, nel
modo che Dio conosce, col mistero pasquale.
Per ciò l’azione dello Spirito è universale, e non
è ristretto ai confini del corpo mistico di Cristo.
Papa Giovanni Paolo II ha sviluppato la dottrina sullo Spirito Santo nell’enciclica Dominum et vivificantem e poi nell’enciclica missionaria Redemptoris missio. Basandosi sull’insegnamento di Lumen gentium e Ad gentes, sottolinea che l’azione dello Spirito non si restringe
agli individui ma influisce sulle tradizioni, sui
riti e sulle culture dei popoli.
Quale sarà il compito della Chiesa di fronte all’azione universale dello Spirito? In primo
luogo viene il discernimento, per cercare di
vedere i segni della presenza dello Spirito.
Poi, la Chiesa deve essere attenta ai suggerimenti dello Spirito, pronta a “seguirlo dovunque Egli la conduca”. Infine, “servirlo come
collaboratrice umile e discreta” (DM 24). Gli
aggettivi qualificativi sono importanti. Noi
non siamo i maestri del dialogo, ma i servitori
della verità; dobbiamo perciò evitare ogni dominio, cosciente o incosciente, cercando d’imporre le nostre vedute, ma invece esporre le
nostre idee con semplicità e sincerità, lasciando il risultato a Dio. “Tutti, i cristiani e i seguaci delle altre tradizioni religiose, sono invitati da Dio stesso a entrare nel mistero della
sua pazienza, come esseri umani che cercano
la sua luce e la sua verità. Dio solo conosce i
tempi e le tappe del compimento di questa lunga ricerca umana” (DA 84).
Nei documenti della Chiesa troviamo davvero i fondamenti di una spiritualità del dialogo
interreligioso, che è di natura contemplativa ma
che sfocia nell’azione.
LE SACRE SCRITTURE
Non voglio intrattenermi qui sulla spiritualità biblica del dialogo, ma solo accennare brevemente ad alcuni testi suggestivi. Mi limito ad
elencarli: Gv 1,1-14 (il prologo: il Verbo in
mezzo all’umanità); Lc 1, 39-56 (la visitazione:
incontro nello Spirito; l’azione di Dio nella vita); Mt 2, 1-12 (i Magi cercano il Signore, offrono doni, tornano al loro paese); Mt 3, 13-17
(battesimo di Gesù, in mezzo ai peccatori); Mt
9, 10-13 (Gesù a tavola con i peccatori); Gv 4,
1-39 (Gesù e la Samaritana); Mc 5, 1-20 (Gesù
guarisce un uomo posseduto e gli dice di tornare a casa); Mc 7, 24-30 (Gesù e la donna di origine siro-fenicia); Gv 13, 1-17 (Gesù lava i piedi dei discepoli, compreso Giuda); Fil 2, 1-11
(l’umiltà secondo l’esempio di Gesù); Fil 4, 8
(riconoscimento di tutto ciò che è vero, nobile,
ecc.); 1 Pt 3, 15-17 (rispondere indicando la ragione della speranza che è in noi).
TESTIMONI DI DIALOGO
DM 17 propone due modelli per il dialogo
interreligioso: Francesco d’Assisi, che invia i
suoi frati “in mezzo” ai musulmani, per testimoniare più che per predicare; Charles de Foucauld, che diviene il fratello universale.
“Tutti, i cristiani
e i seguaci delle
altre tradizioni
religiose, sono
invitati da Dio
stesso a entrare
nel mistero della
sua pazienza,
come esseri
umani che
cercano la sua
luce e la sua
verità. Dio solo
conosce i tempi
e le tappe del
compimento di
questa lunga
ricerca umana”
NOTE CONCLUSIVE
Le relazioni ecumeniche ed interreligiose
hanno finalità radicalmente differenti, da una
“In Dio Padre noi contempliamo un amore preveniente senza confini di spazio e di tempo”.
Tutto comincia con l’amore di Dio e finisce in Lui. Lui è all’origine di ogni creatura, ed è il
loro destino. È l’insegnamento del primo paragrafo della Nostra aetate basato sulle
Scritture. Di conseguenza, l’amore di Dio non si trova solo dove esiste la fede in Cristo,
dove è impiantata la Chiesa, ma in ogni parte del mondo. Ciò vale anche per il fattore
tempo: l’amore di Dio si rivela dall’inizio della creazione fino alla fine dei tempi
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
31
spiritualità del dialogo
Il rispetto deriva
dalla
convinzione che
Dio non opera
solo nel cuore
degli individui,
ma anche nei riti
e nelle tradizioni
delle loro
comunità.
Sappiamo che
questo rispetto
non sempre è
stato
manifestato
32
parte l’unità di tutti i cristiani, dall’altra la pace
e l’armonia tra persone di diverse religioni.
Mostrano però una similarità di spirito e spesso
usano metodi simili. Senza entrare in dettaglio,
è possibile segnalare il rispetto, l’amore e
l’umiltà come elementi essenziali dello spirito,
sia nelle relazioni ecumeniche che interreligiose (cfr. M.L. FITZGERALD, Dialogo interreligioso. Il punto di vista cattolico, San Paolo, Milano 2007, pp.195-197).
Il rispetto deriva dalla convinzione che Dio
non opera solo nel cuore degli individui, ma anche nei riti e nelle tradizioni delle loro comunità. Sappiamo che questo rispetto non sempre è
stato manifestato. Quando il Concilio ha dichiarato nella Nostra aetate che “la Chiesa ha anche
un grande rispetto per i musulmani” (NA 3), tale affermazione ha stupito molti cattolici. Le
tradizioni religiose richiedono il nostro rispetto,
perché testimoniano gli sforzi di cercare risposte “a quei profondi misteri della condizione
umana” (NA 1) che hanno tormentato le menti
ed i cuori umani fin dall’inizio dei tempi. Vanno anche trattate con rispetto a motivo dei valori spirituali e umani che racchiudono. In termini ecumenici possiamo pensare alle tradizioni
liturgiche e spirituali delle Chiese d’Oriente, all’attenzione data alla Parola di Dio dalle varie
comunità protestanti, alla vitalità della preghiera fra i pentecostali, mentre riguardo alle altre
religioni si può ricordare l’attenzione speciale
alla famiglia durante la celebrazione dello
Shabbat, la ricca tradizione Sufi nell’Islam e lo
spirito di servizio fra i Sikh.
Questo rispetto ha delle conseguenze pratiche. Significa fare attenzione al modo in cui si
parla delle altre persone. Il decreto conciliare
sull’ecumenismo stabilisce che si deve fare
ogni sforzo “per eliminare parole, giudizi ed
opere che non rispecchiano con equità e verità
la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi”
(UR 4). Ciò si può certamente applicare alle nostre relazioni con persone di altre religioni e,
sarebbe auspicabile, alle loro relazioni con noi.
Un’applicazione forse si trova nel non parlare
più di “fratelli separati”, come cerchiamo di
evitare l’espressione “non-cristiani”.
Tuttavia, rispetto non significa indifferenza
o lasciar fare. Quando è unito all’amore vede
gli altri cristiani e le persone di altre religioni,
come fratelli e sorelle, membri dell’unica famiglia umana. Giovanni Paolo II nell’enciclica
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
sull’ecumenismo, Ut unum sint, ha sottolineato
alcune applicazioni di questa “fraternità universale”. Ha parlato di comunità che una volta erano rivali e che ora si aiutano reciprocamente
nell’affrontare questioni come i luoghi di culto,
l’assegnazione di borse di studio per favorire
studi e ricerche, la pressione sulle autorità civili a nome di coloro che sono perseguitati, il ristabilimento del buon nome di coloro che sono
stati diffamati (cfr. UUS 42). Tutto ciò si può
applicare, mutatis mutandis, alle relazioni interreligiose. Il documento DA sottolinea che lo
spirito di fraternità porta ad agire in maniera altruista: “È necessario lottare a favore dei diritti
dell’uomo, proclamare le esigenze della giustizia, e denunciare le ingiustizie non solo quando
ne sono vittima i propri membri, ma indipendentemente dall’appartenenza religiosa delle
vittime. È necessario anche che tutti si associno
per cercare di risolvere i grandi problemi che la
società e il mondo devono affrontare, e per promuovere l’educazione a favore della giustizia e
della pace” (DA 44).
L’appello si rivolge prima di tutto ai cristiani, alle Chiese locali, ma si spera che abbia
un’applicazione più ampia.
Infine, si può indicare l’umiltà come un requisito essenziale per giuste relazioni ecumeniche ed interreligiose. Per quanto possiamo essere convinti che la nostra tradizione religiosa ci
insegni la verità – e noi come cristiani professiamo che Gesù Cristo è la via, la verità e la vita –, sappiamo che non abbiamo pienamente
compreso quella verità. Siamo pellegrini, cercatori di Dio durante tutto il nostro soggiorno
terreno. Siamo consapevoli dei nostri limiti:
non siamo perfetti. Questo è un bene per noi in
quanto individui, ma anche per le nostre comunità, che hanno sempre la necessità di rinnovarsi e riformarsi. Soprattutto, siamo consapevoli
che è Dio che governa l’universo e che il nostro
compito è seguire i suggerimenti dello Spirito.
La certezza che lo Spirito ci guida è fonte di coraggio e perseveranza. Quando affrontiamo
ostacoli, incomprensioni, possiamo trarre conforto dal fatto di essere sotto la protezione di
Dio. Possiamo renderci conto che siamo “invitati da Dio stesso ad entrare nel mistero della
sua pazienza, come esseri umani che cercano la
sua luce e la sua verità”, poiché “soltanto Dio
conosce i tempi e le tappe di questa lunga ricerca umana” (DA 84).
MICHAEL L. FITZGERALD
diin discussione
mettersi
La fatica
MI
RICONOSCO UN SEMPLICE
“MANOVALE
DEL
DIALOGO” E MI SENTO PIENO DI PUDORE QUAN-
DO PENSO E PARLO DI ARGOMENTI SIMILI: LA
“RETORICA
DEL DIALOGO” E LE PAROLE IN PIÙ
SONO SEMPRE A PORTATA DI MANO.
MUNQUE A DIRE ALCUNE COSE.
LO SGUARDO DELLA PASTORALE
Q
PROVO CO-
uando la diocesi di Padova si è esposta in
modo preciso sulla questione dei luoghi di
culto per i musulmani, nel maggio 2008, al sito
del Servizio diocesano per le relazioni cristiano-islamiche sono giunte diverse mail di tenore
forum di discussione
Giuliano Zatti è sacerdote della Diocesi di Padova. Ha studiato teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e
al PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica). È
impegnato nella pastorale e nell’insegnamento nella Facoltà Teologica del Triveneto a Padova. Attualmente è responsabile del Servizio diocesano per le relazioni cristianoislamiche. Ha curato il volume Il Corano. Traduzioni, traduttori
e lettori in Italia, IPL, Milano 2000; un suo recente studio è apparso sulla rivista “Islamochristiana”, L’islam d’Italia: racconto
di un percorso (33/2007, pp. 163-197).
diverso. Una riportava queste parole: “Mi rammarica molto vedere che la curia intraprende
questo tipo di iniziative di sottomissione e sconfitta nei confronti di una cultura (ho i miei dubbi a definirla “cultura”) arrogante e prepotente.
Ricordo una volta i preti che aiutavano le famiglie, ora l’obiettivo dei vostri aiuti sembra essere cambiato... e poi ci domandiamo come mai le
persone non vanno più a messa! Con rispetto”. E
altre ancora: “i musulmani sono gentaglia falsa
e assassina”; “tutto è relativo”; “la Chiesa tradisce gli italiani e dovrebbe vergognarsi”; alcuni
non hanno disdegnato lezioni di catechismo e
Bibbia, citando, con 1 Gv, il seduttore e l’anticristo e hanno anche ipotizzato che la Chiesa
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
33
forum di discussione
Ragionare di
Islam è anche
ragionare di me,
di quel “faccia a
faccia” che
caratterizza
tutte le relazioni,
portando spesso
reciproci luoghi
comuni,
fraintendimenti
di parole,
cambiamento di
prospettiva
e ferite
I relatori della seconda
parte del Convegno
durante il Forum
pomeridiano di discussione,
moderato
dal p. Marcello Storgato
(direttore
di Missionari Saveriani).
34
stia “svendendo Gesù per trenta denari”. È abbastanza evidente che i nostri tempi sono caratterizzati anche da un nuovo integralismo di marca
cristiana del tutto inedito: una sorta di cristianesimo senza Dio, “galateo pratico di precetti senza anima” (Ezio Mauro), che non trae le dovute
conseguenze dalle premesse che lo fondano.
Nella “letteratura” di cui vi ho dato qualche
esempio ritrovo il fervore di quelli che Rémi
Brague (in Europe. La voie romaine, 1992) definisce i “cristianisti”, ovvero non tanto coloro che
credono in Cristo, ma quelli che esaltano e difendono la civiltà cristiana in quanto tale a prescindere da Cristo e senza averlo mai incontrato nella propria vita. Lo stile correttamente evangelico
ha poco a che spartire con la pretesa di arruolare
Dio per fini ideologici: il seguace di Gesù dovrebbe essere un discepolo, non un militante (cfr.
E. BIANCHI, Avvenire, 10.12.2004).
Perché dico questo? Perché mi sono accorto
– per me stesso, prima di tutto e poi per gli altri
prendere tutto il disagio che vi può essere nel
cristiano davanti all’urgenza “senza ritorno”
del dialogo: porto con me la fatica dei singoli e
delle comunità che su questi temi faticano molto, il non-detto e le parole implicite di molti.
Il mistero della salvezza, cioè l’avventura che
vede coinvolti Dio e noi, può essere detto in poche parole: Dio è “per noi”, Dio è “per me”: ecco la novità inaudita dell’annuncio cristiano ed
ecco la novità inaudita di quel “essere per l’altro” che caratterizza ogni pensiero e ogni gesto
della Chiesa. Ma rimane anche l’impressione,
pastoralmente dirompente, che se un parlare generico su Dio mette tutti d’accordo (penso alle
nostre eucaristie festive e inoffensive), il parlare
sulle persone concrete crea invece notevoli problemi, soprattutto qualora la fede non fosse più
un buon criterio di giudizio, perché sostituita,
magari, dall’abitudine.
Parlare, quindi, di dialogo interreligioso, dal
punto di vista pastorale, significa inevitabilmen-
– che affacciarsi sugli argomenti di questa nostra giornata può risultare devastante. Per quanto mi riguarda, mi sono accorto che ragionare di
Islam è anche ragionare di me, di quel “faccia a
faccia” che caratterizza tutte le relazioni, portando spesso reciproci luoghi comuni, fraintendimenti di parole, cambiamento di prospettiva e
ferite. Siccome avverto la fatica di dialogare
con me stesso e con la mia fede, provo a fare
mia la fatica di tanti che stentano a dialogare
con il “nuovo” che la vita riserva. E come assumo tutta la contraddizione del mio vissuto, da
pastore devo anche assumere tutta la contraddizione del vissuto altrui. Non giustifico, ovviamente, una fede timorosa, ma sento di com-
te mettere in gioco la qualità di una comunità
credente: la comunità credente è oggi chiamata
ad un’inedita e imprevista cura pastorale nei
confronti di credenti di altra fede. Una cura che
non mettevamo in conto e di cui, magari, avremmo anche fatto a meno!
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
LA FORZA CARICA DI SUGGESTIONE
DELLA SPIRITUALITÀ
Provo a giustapporre due suggestioni. La
prima ci viene dalla storia: nel 1095 Pietro
l’Eremita avviò la prima crociata “non ufficiale” della storia, curiosamente denominata dai
cronisti del tempo “degli 80.000 straccioni”, in
È già stato ricordato che il dialogo interreligioso
non si riduce ad una scelta stagionale: è una necessità vitale, una scelta senza ritorno, da cui dipende
in gran parte il nostro futuro. Tra tutti i volti della
carità, il dialogo è forse oggi il più importante, come spazio di fiducia che si oppone al male. Anche
dal punto di vista teologico, però, si avverte la fatica di un parere omogeneo e sereno riguardo alle religioni e ai credenti di altra fede: i modelli interpretativi si discostano l’uno dall’altro, il campo in cui
si muove la riflessione critica della fede viene piano
piano dissodato e si avverte pure il disagio e il pudore di pronunciare parole impegnative. Parole impegnative, ad esempio, sono quelle che riguardano
Gesù, lo spessore della sua figura, la “pretesa” di
una salvezza che vede in lui il riferimento unico ed
ultimo; parole impegnative sono quelle della Chiesa che avverte la provvisorietà di tanti modi di dire e di essere, ma che è tuttavia chiamata a proporsi come comunità salvifica che vede in Gesù il
“pane buono della festa”, pane che appartiene a
tutti, anche a coloro che non sanno o non vogliono
dire il suo nome. Le parole impegnative possono apparire senza uscita e ci accompagnano a quel posto
di confine che – proprio perché faticoso – non va
delegato a nessuno.
riferimento alla composizione rocambolesca di
quel contingente. Non poche persone, oggi, come si diceva, vorrebbero emulare lo spirito e il
fervore del tempo (magari senza l’intelligenza
di Pietro l’Eremita che la crociata la avviò ed
era sicuramente aspro e infelice nei toni, ma almeno sapeva cosa fosse l’Islam e ne pose il problema teologico per la prima volta nel medioevo, se di lui e della sua scuola rimane un notevole e studiato Corpus cluniacense. “Crociate
degli straccioni”, reazioni scomposte, cadute di
stile, linguaggio non adeguato: quanto abbiamo
ancora bisogno di prendere le misure!
La seconda suggestione, invece, mi viene
dalla liturgia: nella sequenza di Pasqua abbia-
forum di discussione
Lo sguardo
della teologia:
parole
impegnative
Mi verrebbe spontaneo applicare a queste osservazioni il richiamo al discernimento fatto dalla Conferenza Episcopale di Sicilia, nel 2004, con il documento Per un discernimento cristiano dell’islam
(Paoline, Milano – “La voce delle Chiese locali” 41):
il testo voleva rendere evidente la necessità della
teologia per operare in un dialogo con le religioni
che non venga ridotto alla pura praticità, ma sia
invece guidato dalla rivelazione biblico-cristiana,
legittimata ad esprimersi sulla loro significanza
per il fatto cristiano. Il documento sostiene l’integrazione e il discernimento: integrazione, perché o
viviamo in un mondo in perenne stato d’assedio,
oppure incominciamo a capire che gli altri sono
parte della nostra vita (se non abbiamo avuto lo
stesso passato, abbiamo però rigorosamente lo
stesso avvenire). Discernimento, in secondo luogo,
perché le situazioni e le persone non vanno banalizzate e la “paralisi del discernimento” sarebbe
propria di chi smette di considerare i suoi giorni
come tempo in cui Dio opera per educare i credenti. E Dio opera per educare i credenti, anche se i credenti non sono sempre all’altezza della loro vocazione: ci fa bene, quindi, con umiltà e testardaggine metterci in ascolto di quanto Dio va facendo
nella vita di tutti. Ci serviranno, certo, il discernimento e la pazienza per trovare strade e linguaggi
adeguati: David Maria Turoldo, in altro contesto e
con tono poetico, avrebbe detto: “Io non sono ancora e mai il Cristo, ma io sono questa infinita possibilità” e tutto – aggiungo – converge a manifestare per il cristiano “l’altezza, la profondità, la lunghezza e la larghezza” di Cristo (cfr. Ef 3,18). La pastorale e la teologia si muoveranno secondo le loro
possibilità e nei percorsi che sono loro propri. Il
compito è ingrato.
mo proclamato del Risorto che “praecedet suos
in Galileam”. Mi fermo sulle parole Praecedet
suos: cosa potrebbero significare, oltre il senso
immediato? Gesù “sta avanti”, “precede” e apre
la quotidianità a nuove possibilità. Lo stesso
agire di Cristo poteva apparire motivo di frattura insanabile, poiché portato a distruggere apparentemente ogni discorso già acquisito ed
ogni certezza definita. Gesù sta oltre, precede i
suoi, ha altro da dire, altro da far intendere e altro da compiere. La Chiesa lo riconosce come
suo Signore e cerca di stargli dietro, anche nel
confronto con le religioni.
Ecco le due suggestioni: noi siamo come sospesi tra lo zelo inutile e fuorviante degli “stracMissione Oggi | agosto-settembre 2009
35
forum di discussione
“La debolezza
non è in sé una
virtù, ma
espressione di
una realtà
fondamentale
del nostro essere
(...) per lasciarci
conformare alla
debolezza di
Cristo,
all’umanità di
Cristo. La
debolezza come
scelta diventa
uno dei modi
migliori per dire
la discreta
caritas di Dio
verso
gli uomini”
P. Marcello Storgato,
moderatore
del secondo Forum
di discussione
del Convegno.
36
cioni” e l’aria buona che Gesù ci fa respirare. La
sintesi – forse troppo facile – che mi verrebbe
da sponsorizzare è quella del provare a custodire dentro di noi tutte le parole, le inquietudini e
gli spunti che anche da questa giornata ci portiamo a casa. Non sarà nemmeno importante, forse, giungere ad una buona sintesi: potrebbe essere sufficiente lasciare che le cose insolute rimangano tali dentro di noi. Abbiamo però il
compito di custodire la ricchezza delle domande
che ci poniamo: in questo vedo una grande disposizione alla spiritualità, perché la spiritualità
del dialogo sta soprattutto nella conformazione
esigente alla vita di Cristo e nell’ascolto disarmato del suo Spirito. La Novo millennio ineunte
ricorda che soltanto in questo modo la Chiesa
può diventare “casa e scuola del dialogo” (43).
Anche la Redemptoris missio (56) ricorda che
“Il dialogo tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguita con docilità allo
Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa”.
Padre Christian Chessel, dei Missionari
d’Africa, ucciso a Tizi Ouzou il 27.12.1994,
scriveva: “La debolezza non è in sé una virtù,
ma espressione di una realtà fondamentale del
nostro essere (...) per lasciarci conformare alla
debolezza di Cristo, all’umanità di Cristo. La
debolezza come scelta diventa uno dei modi
migliori per dire la discreta caritas di Dio verso gli uomini (...) Essa diventa una spiritualità
delle mani vuote, in cui si comprende che tutto,
persino le nostre debolezze, può diventare dono
e grazia di Dio, manifestazione della potenza
del suo amore che solo può convertire la debolezza umana in forza spirituale” (M.E.G., «Debolezza come missione», Il Regno-attualità,
8/96, pp. 216-217). Don Andrea Santoro chiamò ad un certo momento il suo stare in Turchia
la “liturgia della porta”, ovvero una presenza silenziosa, improduttiva, ma accogliente, dove il
semplice gesto di aprire la porta di casa o della
Chiesa fosse “un gesto di amore limpido”.
La forza della debolezza, della resa a Dio!
La forza della gratuità! Custodire le parole di
questa giornata è in fondo custodire le intenzioni di Dio: se questa non è spiritualità, non saprei
come altro definirla. Un religioso sardo-tunisino, Marius Garau, ha scritto in proposito che
“Non ci viene chiesto di precedere l’ora dello
Spirito, ma di prepararla in noi e in tutti gli uomini” (La rosa dell’imam. L’incontro spirituale
fra un cristiano e un musulmano, EMI, Bologna 1997, pp. 81. 93).
GIULIANO ZATTI
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
CONSIGLI PASTORALI APERTI
Domanda > Aldo Giannasi (missionario
d’Africa): Le belle esperienze di base sono importanti, ma se manca un’azione del vertice
della Chiesa italiana come prepareremo le
condizioni per una convivenza con la comunità islamica nel nostro paese?
Risposta > Giuliano Zatti: La Chiesa italiana,
almeno nel nord-est, su questi temi lavora molto, ma in silenzio, in forma pacata, che potrebbe apparire insufficiente. Ha compiuto una
scelta precisa sul piano delle idee, ma è molto
discreta nell’intervenire nel dibattito pubblico.
I tempi odierni richiedono un di più di educazione. È importante continuare a dire parole
buone, costruttive, utili, e forse siamo un po’ latitanti. Inoltre nei nostri consigli pastorali non
sono rappresentati cristiani provenienti dall’est
europeo o dall’Africa, e se non ci mettiamo in
ascolto di questi immigrati, figuriamoci di quelli musulmani!
Forum
PREGARE PER I MUSULMANI?
Domanda > Un parroco: Quando in parrocchia propongo
una preghiera per i musulmani, per esempio in occasione
delle loro feste, c’è una reazione di ripulsa. Non siamo abituati a pregare per gli altri credenti. Quando in parrocchia
muore un musulmano, non lo si ricorda. Quando c’è stato
il terremoto in Abruzzo, ho citato nella preghiera i deceduti in quella regione insieme agli immigrati morti nel Mediterraneo, e questo abbinamento ha suscitato forte irritazione. In una realtà ormai interreligiosa non bisognerà far
entrare nella concretezza della fede l’ospitalità sacra?
Risposta > Ruggero Cavani: L’arrivo di fratelli e sorelle
di altri fedi impone anche ai cristiani di riflettere sulla propria fede e allora ne esce una risposta debole, cioè violenta, oppure una risposta umile che mi aiuta a essere più fedele al Vangelo.
Risposta > Mons. Fitzgerald: Forse se le esperienze di
base che esistono fossero raccontate alla comunità parrocchiale in modo che possa farle proprie si potrebbe introdurre una preghiera per chi professa un’altra religione.
COSA PENSANO I MUSULMANI
DEI MARTIRI CRISTIANI?
Domanda > Maria A. De Giorgi: Come sono vissuti e c’è
una riflessione nel mondo islamico su fatti come la strage dei monaci di Tibhirine o l’uccisione di don Santoro?
Risposta > Giuliano Zatti: Tra i singoli musulmani non è
raro ascoltare commenti positivi sui martiri cristiani, mentre
la comunità islamica in Italia, che pur non è unitaria, non si
espone come tale, credo soprattutto per le tipiche dinamiche
migratorie, cui si aggiunge il fatto che i musulmani non han-
no quella capacità di intervento pubblico che ci si potrebbe
attendere. È quindi poco pensabile che ci siano prese di posizione pubbliche, anche se a volte la Chiesa e lo Stato vorrebbero interventi più puntuali da parte dei leader delle comunità, i quali peraltro non sempre sono adeguati al loro
ruolo. D’altro canto mi dicevano di recente che in Turchia
don Andrea Santoro non viene considerato un martire e come tale non lo si può nominare, anche perché ci sono molte
Chiese libere e pentecostali che realizzano un proselitismo
dannoso, di cui poi sono i cattolici a pagare il prezzo.
Risposta > Mons. Fitzgerald: Ogni anno l’agenzia Fides
pubblica una lista dei cristiani martiri. Credo che la maggioranza non sia nel mondo islamico, ma si tratti di persone che
lottano per la giustizia e sono eliminate perché scomode. In
Algeria la strage dei trappisti ha sconvolto anche chi mai
aveva sentito parlare dei questi monaci e lo stesso è avvenuto per l’omicidio de mons. Claverie, vescovo di Orano, tanto che ai suoi funerali i musulmani erano più numerosi dei
cristiani. Era un modo di dire: “Uccidere i cristiani fa torto
alla nostra società, noi abbiamo bisogno della loro presenza”. Certo non tutti la pensano così, ma alcuni sono convinti che i cristiani siano, come diceva mons. Claverie, “aria
fresca” per una società in difficoltà. In Francia il responsabile dei musulmani nella zona di Lione, che è di origine algerina, ha sentito parlare dei trappisti e ha proposto al card.
Barbarin di fare un viaggio insieme in Algeria; hanno formato una delegazione di cattolici e musulmani che ha visitato il monastero di Tibhirine e ciò, oltre ad avere un valore
simbolico, ha creato un legame tra le persone che continua a
dare frutti. Alcune parrocchie del nord dell’Inghilterra, in cui
c’erano conflitti tra i nativi e gli immigrati pakistani o bengalesi, hanno organizzato viaggi nei loro villaggi di provenienza, in Pakistan e Bangladesh. Questo andare e vivere insieme crea legami che durano nel tempo, anche se non fanno
A CURA DI MAURO CASTAGNARO
notizia sui mass media.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
37
Conclusioni
Lidia Maggi è pastora della Chiesa Evangelica Battista in
servizio a Lodi e Milano. Si occupa di ecumenismo e
pastorale delle persone recluse. È responsabile del settore
Diritti umani delle Chiese Battiste Italiane e della rivista La
scuola domenicale. È specialista in ecumenismo e catechesi.
È tra gli autori del Dizionario Biblico per ragazzi
Navigare nella Bibbia, Claudiana-Elledici, Torino 2001.
Tra le sue più recenti pubblicazioni, Preghiera, EMI,
Bologna 2006; Quando Dio si diverte. La Bibbia sotto
le lenti dell’ironia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2008;
Contemplando Emmaus. In ascolto del racconto di
Luca guidati dai mosaici di Monreale (con Dario
Vivian), ElleDiCi, Torino 2008; Le donne di Dio. Pagine
bibliche al femminile, Claudiana, Torino 2009.
Il presupposto
L
del dialogo
a grammatica del dialogo ecumenico domanda che ogni confessione cristiana si autodefinisca, che cioè si dia voce all’altro, superando la
tentazione di mettersi al suo posto. Tale grammatica trova oggi una felice applicazione nel
chiedere ad una pastora battista di tirare le conclusioni di un Convegno svoltosi in ambito cattolico. La sfida che oggi siamo chiamati ad affrontare è quella del dialogo interreligioso. Non
lo facciamo mettendoci su un piedistallo, sentendoci portatori di una verità che vogliamo testimoniare agli altri; lo facciamo a partire dall’esperienza interna al cristianesimo, lacerato da
lotte intestine, da scomuniche reciproche. Ora,
noi che eravamo separati, che non sapevamo
dialogare, che ci scomunicavamo a vicenda, ab38
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
biamo imparato il linguaggio dell’accoglienza,
della cura, dell’amore, del rispetto, della fiducia.
MISSIONE E DIALOGO
Ci sono molti modi di intendere il dialogo
interreligioso. Alcuni sono entrati in contatto
con un’altra realtà religiosa attraverso l’esperienza della missione. Del resto, anche il dialogo ecumenico è iniziato in ambito missionario,
dove emergeva con forza l’esigenza di sollecitare le Chiese ad interrogarsi sulla credibilità di
una testimonianza evangelica lacerata e divisa.
Ad un secolo di distanza, la missione pone di
nuovo l’esigenza della necessità di metterci in
relazione con chi appartiene ad un’altra religio-
LA PAURA DELLE CONTAMINAZIONI
Tuttavia, la parzialità non impedisce di sentirmi accomunata a quella “nube” di testimoni
che abitano la Scrittura. Anzi: se voi leggete la
Scrittura, trovate che tutti coloro che hanno dato testimonianza della propria fede l’hanno fatto mettendosi in secondo piano, senza identificare se stessi con la verità, tenendosi lontani dai
toni autocelebrativi. Mi domando che cosa è
Il dialogo: una sfida
da trasformare in opportunità
conclusioni
ne. Un altro modo, forse più dirompente, per
cogliere l’urgenza del dialogo, nasce col fare i
conti con l’emergenza migratoria. In pochissimi decenni ci siamo resi conto che è cambiato il
panorama delle nostre città; e questo cambiamento richiede pure una riflessione sul tema
della differenza religiosa, dal momento che gli
immigrati, insieme alle loro valigie, portano anche il loro bagaglio religioso.
Si tratta di un dialogo dispari, perché, almeno in Italia, il cristianesimo continua ad essere
di gran lunga la religione maggioritaria. Tuttavia, la constatazione del diverso peso delle religioni in campo, non deve giocare contro l’urgenza del dialogo. Anche perché, laddove non
si coltiva l’evangelo dell’accoglienza e del dialogo, il terreno civile ed ecclesiale fa posto a
valori mondani, estranei alla Parola delle Scritture. E così, anche nelle nostre Chiese risuona
un linguaggio gridato, confessionale e contrappositivo, sorto da un uso ideologico della religione. L’urgenza di entrare in dialogo con le altre religioni nasce anche dalla consapevolezza
che si sta tradendo l’Evangelo, che si sta emendando il cuore della nostra fede. Per questo c’è
bisogno del coraggio della conversione e della
sapienza del discernimento. Entrambi ci invitano a maturare un atteggiamento dialogico, in
grado di arginare questa deriva che ha installato
nelle nostre chiese l’idolo della paura.
Il dialogo interreligioso muove i suoi primi
passi. Le nostre confessioni cristiane, dopo secoli di apologia, sono giunte ad una modalità di
comunicazione che è meno preoccupata di rivendicare le proprie ragioni e più attenta di porsi in ascolto. E’ l’esperienza che abbiamo fatto
in ambito ecumenico. Il dialogo è come una lingua straniera, che a fatica iniziamo a parlare.
Sappiamo però che più noi pratichiamo il dialogo più acquisiamo la capacità di parlare in modo fluido, sognando il giorno in cui saremo in
grado anche di pensare in questa lingua.
Ora, questo nostro presente può diventare tempo dello Spirito. E’ come
se lo Spirito stesse sussurrando alle chiese, alla Chiesa tutta (perché è un
problema trasversale che riguarda le diverse confessioni): “Ecco io faccio
una cosa nuova: non ve ne accorgete?”. E’ decisivo provare a cogliere
quanto lo Spirito ci sta suggerendo; una sfida da trasformare in opportunità. Il dialogo interreligioso ci permette di uscire dall’apatia, da un
certo modo di vivere la fede, abituato a ripetere la Parola di Dio, a compire gesti religiosi quasi per forza d’inerzia, senza la fatica di ripensare
la fede per questa epoca storica.
Il percorso ecumenico, che ha portato la Chiesa a riconoscersi plurale, a
vedere nell’altro il fratello ritrovato, offre preziose indicazioni anche per
il dialogo interreligioso. Il fatto stesso di trovarmi di fronte all’altro mi
obbliga a rendere ragione della mia fede. Non posso più vivere di rendita, ripetendo le formule del catechismo; non posso più permettermi di
parlare un linguaggio interno. La lingua del dialogo mi sollecita a fare
la fatica di ridire la fede. Nel momento in cui dialogo con l’altro mi chiarifico sulle grandi parole della mia fede.
Nel fare questo lavoro di recupero, dove l’altro mi chiede ragione della
mia speranza, sono chiamata a non nascondermi dietro le parole della
tradizione ricevuta, spesso congelata in modo tradizionalista. Nel momento in cui entro in relazione con l’altro - di una diversa confessione o
religione - riscopro la mia parzialità.
successo di questa Parola di Dio - a questo modo di narrare la fede -, dove i discepoli si raccontano sempre a partire dalle proprie debolezze. Israele si racconta a partire dai propri fallimenti; Gesù è presentato come colui che non
può mai essere raggiunto, che sfugge, che devi
continuamente seguire in un percorso che ti riporta sempre al luogo di partenza per ricominciare da capo (esemplare, in questo senso,
l’evangelo secondo Marco).
Certo, ci sono le domande che pongono coloro che hanno paura di entrare in dialogo. Il timore delle contaminazioni, del sincretismo. Tuttavia, se leggo le pagine bibliche, mi stupisco di
quante storie abbiano elementi di contaminazio-
La pastora Lidia Maggi
con don Giacomo Canobbio
(a sinistra)
e p. Mario Menin.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
39
conclusioni
Non siamo
chiamati
all’omologazione.
L’esperienza
cristiana è
un’esperienza
plurale nel suo
stesso DNA.
Abbiamo ricevuto
il Cristo
attraverso
quattro sguardi
(i Vangeli)
sul medesimo
Gesù
ne non solo culturale ma anche religiosa, senza
che questo significhi cadere nell’idolatria. Pensate ai Patriarchi: alla vicenda di Giuseppe in
Egitto, che sposa una donna egiziana; a Giacobbe, che quando muore viene sepolto imbalsamato. I riti funebri per l’ultimo patriarca sono secondo la tradizione egiziana (Gen 50). Potrei citarvi tantissime pagine dove quel popolo, che ha
sempre tenuto a separarsi dagli altri popoli in
quanto santo, non ha paura a contaminare anche
i linguaggi religiosi, reinterpretandoli.
Forse su questo tema della contaminazione
biblica dovremmo trovare le parole per ridire in
chiave positiva la bellezza del meticciato.
menti in cui la strada sembra interrotta, l’abbiamo imparato dall’ecumenismo; quegli incidenti
di percorso, quelle chiusure, spesso nascondono delle domande implicite molto profonde
che, se si sciolgono, aprono orizzonti. Pensate a
Gesù con la cananea. Questa donna è stata capace di andare oltre la durezza delle parole di
Gesù, domandandosi probabilmente: perché
quest’uomo mi sta dicendo: “Io sono venuto per
dare il pane ai figli d’Israele, non è bene prendere il pane dei figli e darlo ai cagnolini”? Perché quest’uomo mi sta dicendo di no? Questa
donna è stata in grado di entrare nel linguaggio
dell’altro, di ascoltare la domanda implicita.
L’altra paura, per certi versi opposta a quella
della contaminazione, è quella di chi teme le differenze ritenute insuperabili. Ma noi non siamo
chiamati all’omologazione. L’esperienza cristiana è un’esperienza plurale nel suo stesso dna: abbiamo ricevuto il Cristo attraverso quattro sguardi (i Vangeli) sul medesimo Gesù. E ancora, paura del relativismo? Questa è la grande domanda
che sembra creare sospetti nei confronti del dialogo. Su questo timore non ho una risposta netta.
E come sentiamo la responsabilità spirituale,
morale di metterci in ascolto dell’altro appartenente ad un’altra religione, abbiamo anche la responsabilità di metterci in ascolto dell’altro che è
vicino a noi e che si chiude per paura del relativismo. Occorre ascoltare le domande profonde
che giacciono dietro la paura, perché anch’esse
possono innescare percorsi di dialogo.
Probabilmente, Gesù sentiva una diversa urgenza rispetto alla sua chiamata che sembrava in
contrasto con le esigenze della donna. Quest’ultima, tuttavia, non ha mollato il colpo, proprio
perché ha saputo ascoltarlo. Gesù si è sentito
accolto e i due si sono ritrovati.
Nell’esperienza di dialogo che stiamo iniziando con molta precarietà, è decisivo convertirsi. Il dialogo interreligioso, come del resto
quello ecumenico, è un’esperienza di conversione, un cambiamento di paradigma. E’ rendersi
conto che non si può più dire la fede con un linguaggio autoreferenziale. Che l’incontro con
l’altro, come quello con Gesù, non permette di
continuare come prima. Nell’incontro, lo Spirito
soffia. Questo ci permette di cogliere la significatività della nostra vita nei suoi molteplici ambiti:
nella pastorale, nel lavoro sociale, e nella scelta di
persone che decidono di andare in qualche parte
del mondo facendo la fatica di entrare in relazione con la comunità che trovano. Lo Spirito soffia
in tante modalità diverse: a volte siamo più sordi,
qualche volta siamo più aperti. Quel soffio può
innescare un autentico processo di conversione.
Credo che questa esperienza spirituale sia il presupposto del dialogo.
LIDIA MAGGI
LE DOMANDE IMPLICITE
Relatori, moderatori
e discussant del Convegno
nella Chiesa
di S. Cristo (Bs).
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Il dialogo interreligioso oltre all’empatia,
all’amicizia, all’amore, richiede la capacità di
ascoltare il non-detto, di percepire le domande
implicite, quelle che, una volta esplicitate, rischiano di far fallire il confronto. Ci sono mo-
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
conclusioni
Giacomo Canobbio è docente di teologia sistematica
nella Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, sede di
Milano, e nello Studio Teologico Paolo VI del Seminario
di Brescia. Dal 1995 al 2003 è stato presidente dell’Associazione Teologica Italiana (ATI). Tra le sue ultime pubblicazioni: Laici o cristiani. Elementi storico-sistematici per
una descrizione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia
1997; Dio può soffrire?, Morcelliana, Brescia 2006; Chiesa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua recezione, Morcelliana,
Brescia 2007; Il destino dell’anima, Morcelliana, Brescia
2009; Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso
di un controverso principio teologico, Queriniana, Brescia
2009. Con Piero Coda ha diretto La teologia del XX secolo.
Un bilancio, Roma 2003. E’ membro del Comitato scientifico della rivista “Ad Gentes” dell’EMI di Bologna.
Ladelcomplessità
dialogo
I
l titolo di questa sessione del Convegno è
“Esperienze di dialogo interreligioso”. A me
è stato chiesto di offrire, a conclusione, una riflessione su quanto ascoltato. Il rapporto tra
esperienza e riflessione non è così scontato. La
riflessione svolge una funzione critica nei confronti delle esperienze. Dire funzione critica
vuol dire aiutare a far emergere le ragioni, considerare le condizioni di quelle esperienze, evidenziare gli aspetti problematici, fare opera di
discernimento. Il discernimento comporta anche, in alcune circostanze, contribuire ad estirpare degli slogan che circolano, in questo caso
a proposito del dialogo interreligioso. Allora, la
riflessione serve soltanto a portar lontano dal-
l’immediatezza dell’esperienza stessa? Serve
solo a complicare le cose? Quando si pensasse
così si evidenzierebbe, a mio parere, una certa
paura. La riflessione critica intende mettere in
evidenza la serietà di ciò che è in gioco. Dopo
questa premessa, il mio intervento si limiterà
quasi ad un indice ed è costituito da sei punti.
Sei, perché se fossero sette avrebbe la pretesa
della compiutezza.
SUL SIGNIFICATO DI DIALOGO
Gli aggettivi qualificativi hanno una funzione
in ogni lingua, anche nella lingua italiana.
Quando si tratta di dialogo interreligioso, il terMissione Oggi | agosto-settembre 2009
41
conclusioni
La base di avvio
del dialogo
Si è insistito molto sulla spiritualità, mi è
sembrato tendenzialmente identificata con
la preghiera. Nulla da eccepire, ma la spiritualità, oso dire, è qualche cosa di più ampio
della preghiera: è la vita secondo lo Spirito;
sebbene, per vivere secondo lo Spirito, la preghiera occupi un posto rilevante. È chiaro
che se si prende come base del dialogo la preghiera si è ad un livello diverso rispetto a
quando si prende come base per esempio la
ragione. La ragione come base del dialogo è il
discorso di Ratisbona di Benedetto XVI. Di
quale ragione si tratta? Per noi occidentali la
ragione ha un significato che per gli orienta-
li non trova corrispondenza. Noi supponiamo che il nostro concetto di ragione sia universalizzabile immediatamente.
Oppure, l’umano, come base del dialogo interreligioso. Quando pensiamo all’umano
che cosa intendiamo? Faccio degli esempi:
quando Paul Knitter e John Hick pensano all’umano, lo pensano in forma trascendentale
rispetto a come lo pensavano e lo pensano,
per esempio, i teologi latinoamericani che si
ispirano alla Teologia della liberazione; rispetto a quello che Schillebeecx intendeva.
Ancora, la base sulla quale costruire il dialogo è l’amicizia. Non possiamo dimenticare,
visto che l’anno prossimo ricorre il centenario, Matteo Ricci (1552-1610), il quale fonda il
suo dialogo con gli intellettuali confuciani
precisamente sull’amicizia e scrive un trattato sull’amicizia, che gli serve come base
per interloquire.
È chiaro che a seconda di quale concetto di verità
si utilizzi, il camminare insieme verso la verità
non è più la stessa cosa. Si potrebbe anche dire,
camminare insieme verso la salvezza. Quale
salvezza? Ovviamente non quella escatologica,
che è fuori causa, ma la salvezza storica che
secondo la descrizione neotestamentaria è la
riconciliazione, il ricondurre la realtà a unità, che
coincide con la pace
mine dialogo non lo si può intendere allo steso
modo di quando si parla di dialogo in generale.
Mi pare di avere individuato nei linguaggi utilizzati, qui oggi, almeno quattro significati diversi di dialogo. Il primo, in riferimento a Ecclesiam suam, è colloquium salutis, ove “dialogo” ha un sugnificato abbastanza preciso. Il secondo: “dialogo” come aspetto fondamentale
della missione, in questo caso c’è una colorazione abbastanza particolare. Il terzo: “dialogo”
come ricerca delle parole comuni sulle quali
convenire. Infine, “dialogo” come comunicazione delle particolarità religiose di coloro che
interloquiscono. Questa comunicazione implicherebbe: a) apprendere reciprocamente i linguaggi, non solo la lingua, che comportano
simboli, pratiche, visioni; b) riscoprire e conservare la propria particolarità.
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Missione Oggi | agosto-settembre 2009
LE DIFFICOLTÀ DEL DIALOGO
Mentre ascoltavo gli interventi mi sono venute in mente quattro difficoltà.
La prima è il peso della storia. Non siamo
vergini, ci portiamo secoli di sedimentazioni, di
atteggiamenti che non possono essere dimenticati immediatamente. Gli atteggiamenti dei popoli e delle persone non si cambiano perché si è
intravisto qualche altra possibilità. Occorrono
passaggi generazionali.
La seconda difficoltà è la paura del diverso,
che nel nostro ambiente viene montata artatamente. Questo aspetto è già stato rimarcato
molto bene.
La terza difficoltà è l’immagine mediatica
dell’altro che comporta sempre semplificazioni. Ancora un riferimento a Matteo Ricci.
Quando entra in Cina si veste da monaco buddhista, pensando in questo modo di suscitare la
simpatia dei cinesi; si accorge invece che è un
fallimento, perché per i cinesi il buddhismo era
una religione che veniva dall’esterno. Aveva saputo che in Cina c’era di buddhismo, quindi
pensava di usare questa via... Ma “a little knowledge is a dangerous thing” (una scarsa conoscenza è molto pericolosa), anche per i grandi
come Ricci. La paura del diverso mediato dai
media provoca disastri ancora maggiori, poiché
crea i presupposti perché il dialogo non scatti.
GLI ATTEGGIAMENTI CHE IL DIALOGO
IMPLICA
Sono già stati citati il rispetto, su cui ha insistito molto Mons. Fitzgerald, e l’umiltà. Io vorrei sottolineare altri due atteggiamenti.
Il primo è la fiducia. Questa mattina P. Menin
introducendo faceva riferimento a Ef 2. Se Gesù
Cristo ha abbattuto il muro di separazione perché
noi non potremmo continuare quest’opera, con
la fiducia che è possibile? Vorrei richiamare due
parabole del racconto sia di Matteo che di Marco. Quella del granello di senapa: la sproporzione che c’è tra quell’inizio insignificante, il seme,
e l’albero sul quale tutti gli uccelli vengono a fare il loro nido; la seconda è quella del seminatore: normalmente noi la leggiamo a partire dalla
spiegazione; il significato di quella parabola da
parte di Gesù è rispondere alla sfiducia che i suoi
interlocutori mostrano nel suo ministero, considerato fallimentare. Gesù vuol far capire che in
una maniera inaspettata quel ministero produrrà
un frutto strepitoso; non verificabile in altri campi, perché non c’è nessuna spiga che porti trenta
o sessanta o cento chicchi. È la fiducia che gli
avvii piccoli, insignificanti, produrranno un frutto grande. Connessa con la fiducia c’è la pazienza. C’è un proverbio che dice: “La gatta
frettolosa ha fatto i gattini ciechi”. Non è un caso che nel Nuovo Testamento il termine hypomonē, che vuol dire resistenza, pazienza, sia
strettamente collegato con la speranza.
L’OBIETTIVO DEL DIALOGO
È stato detto: camminare insieme verso la
verità. Quale verità? Ci sono almeno tre modi,
nella riflessione sul dialogo interreligioso, di
intendere la verità. La verità come risultato,
mettendo insieme le diverse prospettive si costruirebbe una verità più grande.
Un secondo significato, la verità come distillato: lasciamo perdere tutte le differenze, andiamo al nocciolo e vedremo che in fondo siamo tutti uguali; questo avviene, per esempio,
quando si parla di Dio, in fondo tutti riconosco-
conclusioni
La quarta difficoltà, richiamata anche dalla
Pastora Maggi, è il timore del rischio del relativismo, che poi viene interpretato come indifferentismo, che fa scattare nella media della nostra popolazione una difesa della cristianità a
scapito del Vangelo.
no lo stesso Dio. La linea tendenziale di alcune
teologie delle religioni è questa. C’è un noumeno, al di là delle differenze, che ci unifica.
Un terzo significato: verità come svelamento, come apparire di una realtà che coincide con
rivelazione, che è da accogliere. Il cristianesimo
ha un’originalità, usa un ossimoro perché parla
della trascendenza nella storia. L’evento Gesù
Cristo resta perennemente il trascendente nella
storia. Ciò sta a dire che proprio quell’evento
non perde mai la sua dimensione di trascendenza, ha bisogno di storicizzarsi, ma nessuna storicizzazione può pretendere di esaurirlo, c’è uno
svelamento continuo man mano che si procede
nel tempo. È chiaro che a seconda di quale con-
cetto di verità si utilizzi il camminare insieme
verso la verità non è più la stessa cosa. Si potrebbe anche dire, camminare insieme verso la
salvezza. Quale salvezza? Ovviamente non
quella escatologica, che è fuori causa, ma la salvezza storica che secondo la descrizione neotestamentaria è la riconciliazione, il ricondurre la
realtà a unità, che coincide con la pace.
L’OBIEZIONE FONDAMENTALE A PROPOSITO
DEL DIALOGO
Il dialogo sarebbe possibile se ci fosse reciprocità. Qualche volta ci si dimentica che il Vangelo è qualche cosa di nuovo e di originale. Chi
ha avuto la grazia di accogliere il Vangelo sa di
aver ricevuto un di più. Questo di più si evidenzia nel comportamento: “Sapete che fu detto
agli antichi, ma io vi dico se salutate soltanto coloro che vi salutano che cosa fate di diverso dai
pagani?”. Aspettare la reciprocità per avviare il
dialogo vorrebbe dire, contraddire quello che si
vorrebbe difendere e cioè l’originalità del Vangelo, la sua bellezza.
GIACOMO CANOBBIO
Particolare del chiostro
di S. Cristo (Bs),
dove si è svolto
il Convegno.
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
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Forum
delle redazioni
Il dialogo interreligioso
è irrinunciabile
MICHAEL L. FITZGERALD E MARIA A. DE GIORGI RISPONDONO ALLE
DOMANDE DELLE REDAZIONI DI “MISSIONE OGGI”, “CEM MONDIALITÀ”,
“MISSIONARI SAVERIANI” e “MISSIONE GIOVANI”
A CURA DI MAURO CASTAGNARO
Federico Tagliaferri (redazione di “Missione Oggi”): Sono ormai quattro decenni che la Chiesa è impegnata nel
dialogo interreligioso. Lei ha notato
un’evoluzione, in particolare nei rapporti con l’Islam? E la “Lettera dei 138
saggi musulmani” può essere considerata un momento di svolta?
Mons. Fitzgerald: Anche se prima c’erano
stati alcuni pionieri, indubbiamente è dal
Vaticano II che il dialogo interreligioso è divenuto un fatto di Chiesa. Si dice spesso che
l’iniziativa del dialogo viene sempre dai cattolici, ma non è questa la mia esperienza:
nel Segretariato per i non cristiani, poi Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso,
gli inviti al dialogo venivano dai musulmani, il che è curioso perché a livello della base
non c’era molto dialogo, o almeno c’era solo
in alcuni luoghi, dove cristiani e musulmani
convivevano positivamente. Forse a stimolarlo era il prestigio della Santa Sede. Il principe Hassan di Giordania aveva fondato
l’Istituto per lo studio delle religioni e il dialogo e cominciato un’interlocuzione con gli
anglicani, cercando e trovando un pari ran44
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
go nel principe di Windsor, poi l’aveva allargata gli ortodossi, ma voleva un dialogo anche coi cattolici. Il Card. Arinze rispose positivamente, ma a condizione di coinvolgere
la Chiesa locale. Credo che questo sia molto
importante perché dava ai cristiani giordani la possibilità di esprimersi, cosa non sempre facile per loro e a volte neppure cercata.
Lo stesso è avvenuto con la Libia, che nel
1976 promosse un convegno conclusosi con
una dichiarazione di condanna del sionismo
come forma di razzismo. Cosa che suscitò
forte opposizione al dialogo, perché molti accusarono la Santa Sede di essersi lasciata
manipolare da Tripoli, cosa non vera. Ci vollero quasi dieci anni per ricominciare il dialogo tra Roma e Tripoli, cosa che avvenne attraverso l’“Appello all’Islam”, a partire da un
gruppo internazionale con sede in Libia. Abbiamo risposto pure agli iraniani, che sono i
più preparati al dialogo, anche perché hanno tradotto molti testi cattolici, dal Catechismo della Chiesa cattolica - la piccola comunità cattolica locale non avrebbe avuto le
condizioni economiche di tradurlo, mentre
l’hanno fatto gli studiosi musulmani iraniani, consultando il vescovo locale, il che è
molto bello - a libri di teologia moderna. Anche da parte dei Sikh o di movimenti buddhisti, come il Rissho Kosei-kai, sono venute
iniziative di dialogo verso di noi. Perciò
l’idea che il dialogo sia un moto unidirezionale dalla Chiesa cattolica verso le altre religioni non è vera.
L’iniziativa dei 138 saggi musulmani è cominciata quando 38 intellettuali hanno
scritto a Benedetto XVI, dopo il discorso di
Ratisbona, una lettera molto garbata in cui
dicevano che il Papa sbagliava la propria
valutazione dell’Islam; un anno dopo il numero dei firmatari era salito a 138 e hanno
scritto una nuova lettera invitando al dialogo teologico e pratico (amore di Dio e
amore del prossimo) non solo la Chiesa cattolica, ma tutti i cristiani. Questo non esaurisce il dialogo tra cristiani e musulmani,
che avviene in misura considerevole anche
a livello locale, ma il Forum cattolico-musulmano svoltosi a Roma in novembre ha
dimostrato che uno scambio su temi teologici è possibile, mentre a volte questo è negato. Naturalmente noi ci incontriamo per
conoscerci più profondamente, non per arrivare a una religione comune.
Franco Ferrari (redazione di “Missione
Oggi”): Nel dialogo con l’Islam, specie
di fronte alle posizioni fondamentaliste, molti sostengono l’opportunità di
stabilire rapporti con le correnti più moderate o propense all’incontro. Lei crede sia possibile scegliere gli interlocutori nel dialogo interreligioso o questo
tocca più alla politica?
Mons. Fitzgerald: La scelta del partner è
difficile, dipende dalle circostanze. In Vaticano dialogavamo con organismi ufficiali
dei paesi islamici, quasi mai abbiamo invitato singole persone, ma abbiamo dovuto
affidarci alle scelte del partner musulmano,
con sorprese a volte anche sgradevoli, come
quando ci trovammo nella delegazione libica diversi cristiani convertiti all’Islam, il
che ci mise a disagio. Ma in generale nel
dialogo ufficiale si accetta il partner e si cerca di dialogare con esso. D’altro canto se i
nostri partner scegliessero di dialogare con
Hans Küng, che io rispetto e di cui sono amico, il Vaticano non sarebbe contento, perché
non si sentirebbe da lui rappresentato. Sono
liberi di invitarlo, ma non nelle stesse circo-
stanze. Un dialogo invece più informale, come quello del Gruppo di ricerche cristianoislamico, formato da individui, è più libero
di scegliere i propri interlocutori. Nel dialogo dobbiamo rispettare le diverse istanze.
C’è pure il pericolo di scegliere persone con
cui ci sentiamo in sintonia per la loro capacità critica, ma che a volte non hanno grande
influenza nella loro comunità. Quindi bisogna dare loro la possibilità di esprimersi, ma
è importante cercare il dialogo anche coi settori fondamentalisti. Credo sia difficile che
possa farlo il Vaticano, ma ci sono altri soggetti, per esempio giornalisti cattolici, che
hanno interloquito coi Fratelli musulmani.
Brunetto Salvarani (direttore di “CEM
Mondialità”): Vorrei centrare il discorso
sul rapporto tra dialogo e annuncio,
partendo dall’omonimo documento del
1991. Oggi sembra prevalere il paradigma dello “scontro di civiltà” e ciò
colpisce anche il dialogo interreligioso.
Se fosse riscritto oggi “Dialogo e annuncio” dovrebbe essere modificato?
Condivide l’impressione che rispetto ad
allora il clima anche nella Chiesa cattolica sia meno propizio al dialogo e molto più centrato sull’identità?
Mons. Fitzgerald: Credo che “Dialogo e annuncio” vada letto insieme al documento del
1984 “L’atteggiamento della Chiesa verso persone di altre religioni. Una riflessione su dialogo e missione”. Questo testo è molto importante perché colloca il dialogo all’interno della missione della Chiesa; non è esterno né facoltativo, ma parte della missione. Inoltre esso ha un afflato spirituale che manca in quello del 1991, frutto di molti compromessi e assai cauto perché nel frattempo ci si era cominciati a chiedere che ruolo avesse l’annuncio se il dialogo faceva parte della missione
della Chiesa. Credo che la dottrina di “Dialogo
e annuncio” sia valida ancora oggi, con la sua
interpretazione dell’insegnamento del Concilio Vaticano II e dei Papi, che sottolinea la possibilità di salvezza al di fuori della Chiesa, ma
non la fine della missione di Gesù Cristo. Oggi
il sospetto di relativismo forse rende difficile il
compito dei teologi che vogliono dare un fondamento al dialogo interreligioso e talvolta
vanno troppo oltre sacrificando l’essenziale
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
45
FORUM DELLE REDAZIONI
del cristianesimo. Anche i miei confratelli che
sono favorevoli al dialogo, oggi preferiscono
parlare di incontro, perché l’uno dà l’idea di
discutere qualcosa per arrivare ad affermazioni comuni, mentre l’altro dà più l’idea del
rispetto delle diverse posizioni. La mia critica
a “Dialogo e annuncio” è che dà l’impressione
che il dialogo sia solo bilaterale, mentre ce n’è
anche uno multilaterale: il primo consente
un maggiore approfondimento, mentre l’altro, per esempio negli incontri promossi dalla
Comunità di Sant’Egidio, permette di lavorare insieme per contrastare lo scontro delle civiltà. Incontro e annuncio concettualmente
sono diversi, ma nella realtà stanno insieme, perché quando io incontro una persona,
se sono cosciente della mia identità, dico il
mio cristianesimo.
Maria A. De Giorgi: Alcune situazioni attuali derivano da un certo realismo frutto del
cammino di questi anni. Dopo il Concilio,
quando si è cominciata l’avventura del dialogo, era inevitabile porre l’accento su ciò che
unisce, ciò che è bello dell’altro; poi il cammino ha condotto a prendere coscienza dei limiti e dell’abuso del dialogo, capendo che esso
ha senso più a partire dalla divergenze, perché se siamo d’accordo non serve incontrarci. Ciò ha spinto alcuni ad un rallentamento,
altri a un ripensamento e altri ancora a una
frenata perché in alcune situazioni si era andati troppo oltre. Penso che una pausa di riflessione non faccia male. Io riscriverei allo
stesso modo “Dialogo e annuncio”, ma approfondirei molto di più alcune grandi intuizioni di Paolo VI, come l’idea del dialogo della salvezza. “Dialogo” e “annuncio” sono in
feconda tensione, non in contraddizione.
Giusy Baioni (direttrice di “Missione
Giovani”): Qual è la situazione dei cristiani in Egitto?
Mons. Fitzgerald: L’Egitto è il paese arabo
col maggior numero di cristiani, circa il
10% della popolazione, cioè 8 milioni di persone, nella stragrande maggioranza copti
ortodossi. La decisione del governo di abbattere i maiali, che sono in gran parte allevati dai cristiani, ha suscitato alcune proteste,
ma il governo ha promesso risarcimenti e
programmi per spostare gli allevamenti all’esterno delle città e non nei pressi delle discariche. Certo essere cristiano egiziano
46
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
non è facile. I cattolici sono circa 250.000,
ma l’influenza della Chiesa cattolica è ben
più grande, soprattutto tramite le scuole
cattoliche, in cui ci sono molti studenti ortodossi e musulmani, e l’azione sociale della Caritas, attiva in tutto il paese al servizio
non solo dei cristiani. Negli ultimi 20 anni è
cresciuta la tensione tra cristiani e musulmani: gli anziani dicono che quando erano
giovani non era difficile frequentare le scuole cattoliche, mentre ora vengono più spesso richiamati. Inoltre la società diventa, almeno nei segni esteriori, più islamica, per
cui le ragazze musulmane portano il velo
all’Università e quelle cristiane possono essere oggetto di insulti o di pressioni. Il vero
dialogo si fa non sul piano religioso, ma nel
lavoro comune di cristiani e musulmani all’interno di associazioni non governative
che difendono i diritti umani di tutti i cittadini, cercando di conciliare quanto è scritto
nella Costituzione egiziana e il richiamo alla sharia, alla legge islamica.
P. Marcello Storgato (direttore di “Missionari Saveriani”): Nei 21 anni trascorsi in Bangladesh ho scoperto, per esempio nell’Islam sufi, una profondità spirituale che favorisce dialogo, annuncio,
incontro. Questo è confermato dalla vostra esperienza? Al contempo abbiamo
verificato che quando inizia una guerra,
il dialogo viene azzerato. Terzo aspetto:
in Italia, incontriamo giovani, soprattutto ragazze, musulmane che faticano
a trovare interlocutori cristiani della loro età, da cui conoscere l’esperienza di
fede.
Maria A. De Giorgi: Anche in Giappone ho
scoperto con gioia esperienze bellissime in
cui opera lo Spirito, per cui un atteggiamento di dialogo diventa pure azione di ringraziamento. Per fortuna il Giappone non
vive una guerra, ma capisco che quando ciò
succede non è facile mantenere un atteggiamento di dialogo, anche se qui entra in gioco, per il cristiano, l’amore verso il nemico.
La latitanza del mondo giovanile non mi
stupisce, perché il dialogo presuppone una
matura identità di fede che spesso i giovani
non hanno, soprattutto oggi, esposti al pluralismo della società. Ciò dovrebbe spingere
noi a un maggiore impegno nella formazione alla fede e al dialogo. In Giappone, dopo
venti anni di lavoro, è nata l’esigenza di
avere corsi di formazione al dialogo, quasi
stessimo passando da una fase carismatica
a quella in cui bisogna preparare le persone.
Mons. Fitzgerald: Quando ero in Sudan
ogni tanto andavo ad ascoltare uno sheikh
musulmano che dava lezione vicino alla
chiesa. Era una persona molto austera e visitava la gente come un parroco. Quando ho
dovuto rientrare a Roma, sono andato a salutarlo e lui ha pregato per me, affinché diventassi musulmano, ma questo era per lui
l’augurio più bello perché la sua fede era per
lui la cosa più preziosa. Il sufismo, nel quale
gli occidentali si trovano più a proprio agio,
tanto che ci sono conversioni all’Islam tramite esso, è guardato con sospetto nel mondo arabo; in Egitto, però, un comboniano italiano, p. Giuseppe Scattolin, che ha pubblicato un libro di testi sufi in arabo, è stato invitato a tenere conferenze anche ad Al-azar,
il che mostra una possibilità. Io stesso, pur
non essendo esperto di sufismo, sono stato
invitato a tener una conferenza in una Università statunitense e ho scelto di parlare dei
“bei nomi di Dio” e del loro senso per un cristiano; quindi partivo dal Corano per cercare nella Bibbia l’equivalente di questi nomi e
approfondivo come si può ricevere un incitamento alla preghiera da questa tradizione
islamica. Il pubblico era composto da cristiani e musulmani e qualcuno ha chiesto
come, essendo cristiano, potessi commentare il Corano; ho risposto che il Corano per i
musulmani è un libro sacro, ma è un testo
importante per tutti; e siccome era presente
l’ambasciatore dell’India, ho detto che avrei
potuto prendere anche l’Upanishad e scoprirvi le verità che contiene, senza per questo essere indù. Anche un musulmano può
scoprire nella Bibbia o negli scritti della nostra tradizione valori importanti. Perciò
dobbiamo avere la possibilità di questo dialogo sui valori, che scopriamo negli altri.
Per la guerra, è vero. Per esempio, in Medio
Oriente il conflitto israelo-palestinese è una
controtestimonianza e rende difficili il dialogo e i rapporti tra i popoli. Quando Paolo
VI lanciò la proposta di una giornata mondiale per la pace, Maodhoudi, leader musulmano del Pakistan, si disse favorevole, affermando però che finché ci fosse stato
guerra tra Israele e Palestina non ci sarebbe
stata pace nel mondo. Credo avesse abbastanza ragione. Mi rallegra vedere soprat-
tutto giovani musulmani che vengono a Roma a studiare il cristianesimo; sono convinti della loro fede, ma sperimentano il vivere
coi cristiani. Questo mi fa sperare nel futuro, perché ci saranno musulmani capaci di
fare da mediatori nel dialogo.
Ruggero Cavani: Evidenzierei due
aspetti: lo sforzo culturale e teologico
che chi è credente in modo consapevole compie in questa relazione con uomini di fedi diverse, perché l’incontro implica un cambiamento di mentalità circa l’annuncio e la missione; e l’umiltà,
che è indispensabile se si vuole stare
insieme tra diversi, perché il vestire,
mangiare, ecc. in modo differente può
portare a confliggere.
Maria A. De Giorgi: Di recente la Conferenza episcopale giapponese mi ha chiesto di organizzare corsi di formazione al dialogo interreligioso per preti e religiose. Essi prevedono momenti di studio e visite ad ambienti di
diverse religioni. Siamo andati a visitare anche la Rissho Kosei-kai. Ci hanno mostrato
un video, in cui la prima affermazione era
che “una religione che non è missionaria non
è una religione”. Eppure è uno dei movimenti più impegnati nel dialogo, il che mostra
che tra dialogo e annuncio non c’è contraddizione. E nella loro sede centrale a Tokio c’è
una targa in cui si dice “andate in tutto il
mondo ad annunciare Buddha”. Una religione che non desidera comunicare quello che
ha di più importante non è una religione.
Mons. Fitzgerald: Mi sembra importante il
riferimento all’umiltà; non possiamo imporre la nostra religione all’altro, deve essere una testimonianza, che è più forte della
predicazione, pur necessaria, ma successiva. Nell’Islam c’è l’invito a convertirsi e
quindi i musulmani fanno la missione, ma
noi non possiamo rinunciare alla nostra fede. Qui c’è la questione dell’identità, ma essere radicati nella propria fede non significa mettersi sulla difensiva. Dell’umiltà del
dialogo fa parte l’accettare situazioni che
non controlliamo e un po’ di rischio c’è.
Michela Bono (redazione di “Missione
Oggi”): Scoprire che Dio ha 99 nomi e
non solo quello che conoscevo io mi ha
aiutato a parlare coi giovani, perché eli-
mina le rigidità de “il mio Dio” e “il tuo
Dio”, che crea contrapposizione.
Mons. Fitzgerald: In effetti il parlare dei
“99 nomi di Dio” da parte della tradizione
islamica ci aiuta a ricordare che non abbiamo mai finito di conoscere Dio e anche se noi
cristiani diciamo di avere la verità in Cristo,
dobbiamo chiederci se abbiamo capito tutto
di questa verità. In realtà c’è sempre da scoprire e alla nostra conoscenza di Dio possono
contribuire le altre religioni. Non dobbiamo
fare solo una traduzione letterale di una parola, ma vedere in che modo questo termine
è compreso nell’altra tradizione. Per esempio, “rivelazione” non vuol dire la stessa cosa nel cristianesimo e nell’islam.
Maria A. De Giorgi: In effetti questo è un
problema enorme, tanto che in Giappone
dai tempi di San Francesco Saverio non si è
ancora trovato un termine adatto per il
concetto cristiano di Dio e anche quello attualmente usato è assai ambivalente. Forse
con l’islam è più facile, perché esso si muove all’interno di categorie semitiche, ma il
mondo buddhista prescinde dal concetto di
Dio. Il problema di fondo è il rapporto tra
l’esperienza di Dio e la sua verbalizzazione,
il cercare di comunicarla e anche questo è
un compito del dialogo: cercare di capirci
sull’essenziale, andando al di là delle parole, ma servendoci di parole e questo è un
cammino mai terminato.
Coordinatrice dell’ufficio per il dialogo
interreligioso della diocesi di Brescia: Il
dialogo interreligioso, almeno a Brescia, è ancora esperienza elitaria, ma la
gente che vive nelle parrocchie, a contatto con persone di altre religioni, è indifferente. Come aiutare a far crescere
questa sensibilità?
Mons. Fitzgerald: Dobbiamo cercare diversi modi di incontrare le persone, magari a
partire dai loro bisogni: per esempio io conosco parrocchie che hanno concesso l’uso
di sale parrocchiali per matrimoni indù. Così comincia il rapporto di amicizia. A Chicago un iraniano è diventato l’amministratore della moschea e l’ha aperta per un giorno
a tutti affinché i vicini la conoscessero. È venuto anche il rabbino, il quale ha chiesto se
sarebbe stato possibile per gli ebrei venire a
pregare in una sala della moschea visto che
la sinagoga doveva essere ristrutturata. La
richiesta è stata accettata, per cui per sei
mesi gli ebrei l’hanno usata e questo ha
creato un’amicizia che continua.
Maria A. De Giorgi: Linee pastorali ci sono,
ma bisogna metterle in atto. “Dialogo e annuncio” parla di quattro livelli di dialogo:
della vita, delle opere, delle esperienza spirituali e degli scambi teologici. Nel 1991 per
due anni abbiamo studiato il documento
chiedendoci che cosa la Chiesa ci domandasse di fare, quindi è nato un gruppo interparrocchiale che ha cercato di incontrare
i vicini di altre religioni, a livello di base; così sono nate conoscenze che hanno favorito
una crescente collaborazione sul territorio.
Si tratta di verificare che cosa si può fare
nella situazione concreta dove si vive.
Brunetto Salvarani: A Novellara, nella campagna reggiana, dove c’è il più grande tempio
sikh d’Italia, l’amministrazione comunale,
siccome ritiene il dialogo interreligioso importante anche per la costruzione della cittadinanza, dedica alla fine del Ramadan, alla
Pasqua e al Natale, al Capodanno cinese e al
Baisakhi sikh un momento gestito dal Comune, in cui le comunità sono invitate a presentarsi, a scambiarsi doni e a mangiare insieme. È un’esperienza in controtendenza, ma
crea relazioni importanti in una cittadina di
16mila abitanti con 3mila stranieri.
Mons. Fitzgerald: A Londra da 25 anni l’arcidiocesi di Westminster organizza una marcia per la pace da un luogo sacro a un altro,
che cambia ogni anno, quindi da una chiesa
battista alla sinagoga o dalla moschea al
tempio buddhista e ogni volta un membro di
ogni comunità la presenta agli altri. I partecipanti sono in aumento e camminando si
parla. Si tratta di fare qualcosa insieme.
Maria De Giorgi: Mi aveva molto ferito leggere che in nome del dialogo in Italia si smetteva di allestire i presepi, perché i bambini
buddhisti del nostro villaggio, vedendo il presepe, ci hanno chiesto di spiegare loro che cosa fosse il Natale. Non si tratta di sopprimere
le tradizione, ma invitare e presentarle.
Giusy Baioni: A Desio da qualche anno si
tiene una marcia della pace, cui partecipano cristiani e musulmani. C’è un signore
che non manca mai, ma si lamenta sempre
che nessuno pensi a lui, ateo!
Missione Oggi | agosto-settembre 2009
47
Incontro
nazionale
bilanci
di giustizia
Giovedì 27 agosto
Venerdì 28 agosto
Sabato 29 agosto
Domenica 30 agosto
GRAZIA HONEGGER
FRESCO
Sviluppare la bellezza
e la speranza nei
bambini, per far
crescere adulti
consapevoli e capaci
di stare nel mondo
con senso critico,
per cambiarlo
Presentazione Rapporto
Annuale 2008
CARLO MOLARI
Al servizio del mondo,
verso la giustizia.
Speranza e
cambiamento
Noi e la crisi: quanto
ci tocca e quanto
ci interpella.
Valutazione
dell’AltraCard
ORE 18.00
ORE 9.30
LUCA GAGGIOLI
I bilanci ieri, oggi e
domani
FRANCESCO GESUALDI
Verso una nuova società
del Benvivere
ORE 9.30
ORE 9.30
Progettare la speranza
come bilancisti...
proposte di futuro
Oropa (Bg) | 27-30 agosto 2009
Seminario
Pesaro
21-24 settembre 2009
Quale formazione
per quale missione
Missionari Comboniani
Villa Baratoff - Via Angelo Custode, 20 - Pesaro
info: [email protected]
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