maurizio semplice
aggettivo qualificativo
fondato in Roma nel 1960
umorista illuminista
glennmiller
© maurizio semplice
GLENNMILLER
e
la meravigliosa storia della cosmicombra
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uno
Glennmiller si aggiustò gli occhialoni scuri, scansò con un dito una goccia
di sudore che stava per arrivargli sulle labbra, poi riprese il suo lavoro.
Dopo qualche minuto smise nuovamente e chiese a Orlowsky che ore
fossero.
- Saranno quasi le cinquantacinque... - ansimò quello bardato e sudato,
quasi come lui, poi insieme presero a lustrare di nuovo quegli specchi
enormi che avevano proprio a un palmo dalla testa.
Non era certo una pulizia normale quella che i due stavano facendo a
quelle superfici specchiate, prima di tutto perché per lustrarle era
necessario arrampicarsi sopra altissime scale, che a loro volta portavano a
piccole e fluorescenti piattaforme, dalle quali si accedeva a delle pertiche
di cristallo, che consentivano l’accesso alle balconate adibite alla pulitura.
Il secondo motivo, forse appena più bizzarro, era che quegli specchi, a
centinaia di metri da terra, altro non erano che il cielo di Xerox, il loro
pianeta.
Tutti gli abitanti dovevano a turno, una volta ogni due mesi, lustrarli
affinché non divenissero opachi.
Era scritto a chiare lettere nel primo emendamento della Costituzione, e
per nulla al mondo si poteva trascurare un compito così importante. A
dire il vero, tutti gli Xeroxiani ignoravano beatamente il perché di
quell’insolito ordinamento e riponevano la loro fiducia nel Lucente-eSpendente-Consiglio, dove venti saggi si tramandavano, insieme ai misteri
del cosmo, anche il segreto di quella legge, a dire il vero assai particolare.
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Tutto iniziò, come migliaia di altre cose nell’universo, in maniera davvero
casuale, ottocentocinquanta anni prima.
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due
Xerox, era un pianetino chiamato Ipponatte, per via della sua orbita
claudicante.
A detta degli studiosi terrestri era solo un ammasso di sassi e detriti di
poco conto, che vagava a ridosso della polvere lattea. Ogni cinquanta
anni capitava, con quel suo movimento bizzarro, davanti alla Terra, in
compagnia di asteroidi e stelle di media grandezza più o meno conosciute.
Gli scienziati avevano ribattezzato quell’ammasso di confusione galattica
“la comitiva di ferragosto” e non gli avevano dato mai molto peso.
Erano molto più occupati a studiare sistemi per esplorare lo spazio,
concepire condomini interstellari, sfruttare al meglio le risorse energetiche
che scaturivano dalle tempeste magnetiche, organizzare colonne di razzitir che scaricassero scorie nucleari dentro qualche buco nero, progettare
forme avanzate di lottizzazione del cosmo e ricercatissime armi in grado
di assicurare la pace, almeno in quella minuscola parte del sistema solare.
Esattamente agli esordi di quell’ambizioso piano di espansione spaziale,
furono organizzate piccole ricognizioni intorno alla Terra, cinque o sei
allunaggi e un sistema di navette che a livello sperimentale, avrebbe
portato degli equipaggi fino ai confini di Marte.
Durante uno di quei viaggi accadde l’episodio che cambiò del tutto il
destino del minuscolo Ipponatte.
Una mattina infatti, da una grande base spaziale americana (era il tempo
in cui ancora esistevano gli Stati Uniti), un grosso razzo si stava
preparando per partire.
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I sette astronauti sorrisero davanti alle telecamere e uno a uno
imboccarono il piccolo ascensore che li avrebbe portati nella cabina di
pilotaggio.
Fatto assai singolare per l’epoca, l’equipaggio era composto, per quanto
possibile, da tutte le razze umane o, come si usava dire, etnie e forse per
questo l’entusiasmo di mettere in orbita una missione così eterogenea, era,
guarda caso, alle stelle.
Per la prima volta poi, sarebbero partite anche due donne e a tal
proposito due enormi cesti di fiori furono fatti trovare all’ingresso degli
ascensori.
Erano le 11:38, ora americana, del 28 gennaio 1986. La navetta spaziale
arrivò in 72 secondi a 17 chilometri di altezza, la velocità stimata era di
circa 3500 Km orari. Un secondo dopo il razzo esplose in una nuvola di
fumo biancastro e fiamme turchesi. Centinaia di milioni di telespettatori
rimasero con la bocca spalancata e gli occhi fissi sul video, invaso dalla
nube bianca e turchese.
La navetta fu data per disintegrata e parallelamente alle ricerche per
ritrovare qualche resto, furono lanciate feroci accuse all’organizzazione
spaziale, responsabile del disastro.
I voli furono sospesi per diversi anni e furono avviate quarantacinque
inchieste, non ultima quella per esaudire la richiesta del fioraio, che aveva
confezionato i cesti per le due signore, il quale asserì di non esser mai
stato pagato.
Le ricerche nel mare antistante la base furono sospese dopo un mese; si
organizzarono dei solenni funerali di stato e sette bare vuote furono
avvolte da sette bandiere differenti.
La cerimonia fu toccante per tutto il pianeta.
Ma le cose erano andate in maniera differente.
Al momento dell’esplosione infatti, il razzo si era diviso in due. La parte
inferiore con il carburante si era disintegrata nella nuvola biancastra che
avevano visto tutti, mentre quella superiore con i sette astronauti, era
stata proiettata, o meglio dire, sparata verso l’alto, a una velocità doppia
della luce.
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Nessuno aveva fatto in tempo ad accorgersene, anche perché nessun
occhio umano era in grado di percepire un evento così rapido.
La navetta vagò per lo spazio per qualche ora, poi si trovò
improvvisamente faccia a faccia con Ipponatte, che proprio in
quell’istante stava compiendo la sua cinquantennale apparizione davanti
alla Terra.
L’impatto non fu tremendo, anche perché il pilota, riavutosi in tempo,
riuscì ad attivare quello che rimaneva dei razzi frenanti e a planare in una
specie di deserto rosa salmone.
Rimasero per qualche giorno storditi dalla botta e semisommersi da quella
polvere simile a cipria.
Mandarono in avanscoperta un robottino esploratore che tornò con dei
dati sorprendenti. Quando uscirono, si resero conto infatti e con sorpresa,
che l’atmosfera era respirabile e avvertirono anche il bisbiglio delle onde
di un lago.
Tentarono di comunicare con la Terra, ma ne captarono solo qualche
debole segnale, o meglio rumore. Per precauzione, decisero di rimanere
all’interno della navicella, ridotta a un rottame di autostradale memoria,
pensando e ripensando al loro futuro prossimo.
Trascorsero lunghe ore in silenzio perdendo a poco a poco la concezione
del tempo, spiando, l’uno negli occhi dell’altro, l’apparire di quella nuova
paura che li aveva così improvvisamente immobilizzati.
Ogni tanto qualcuno di loro si sollevava e tentava di decifrare qualcosa al
di là dell’oblò, ma non c’era nulla di confortante, se non l’anima rosa di
quello strano deserto e qualche rumore soffocato su cui non vollero
indagare.
Un giorno, poi, il video della navicella si accese casualmente e assistettero
esterrefatti alla cerimonia del loro funerale. Uno di loro lo spense
scagliandovi una pietra e la disperazione gli si dipinse sui volti. La Terra li
aveva ingannati e presto li avrebbe anche dimenticati e poi continuavano
a non aver idea di dove fossero capitati.
Comunque non si persero d’animo. Quando ebbero la certezza di essere
stati abbandonati, si rimboccarono le maniche e misero in piedi un piano
speciale di sopravvivenza.
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Studiarono velocemente la composizione dell’aria e dell’acqua,
razionarono le scorte alimentari e con i pezzi dell’astronave rimasti,
costruirono un piccolo generatore di energia.
Quel minuscolo pianeta sarebbe stato la loro fonte di vita, fino a quando
avessero avuto la forza di vivere, sarebbe da puntualizzare, ma quel vizio
inguaribile fu più forte di qualsiasi disperazione, difatti...
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tre
Con circospezione decisero di abbandonare definitivamente la navicella e
con sorpresa assaporarono nuovamente i raggi del sole.
Costruirono un piccolo accampamento e i pezzi rimasti delle loro
bandiere, ne cucirono una sola, multicolore, che issarono al centro - delle
loro abitazioni di fortuna.
Si muovevano in gruppo, attenti a non perdere l’orientamento.
Per i primi giorni fecero solo rapide ricognizioni intorno
all’accampamento e qualche corsetta rilassante. Uno dei loro motti era
infatti: “un corpo schifoso in una situazione disperata, diventa penoso e
soprattutto inguardabile, quindi provvedi...”.
Dopo qualche giorno invece, decisero di spingersi un po’ più lontano del
solito.
Esplorarono in lungo e in largo quel territorio e si accamparono sulle rive
del piccolo lago arancione.
Irwin Tatum, capo della spedizione, insieme al colonnello Ben Bigbang, si
spinse fino a un centinaio di chilometri dall’accampamento per cercar di
capire meglio di cosa fosse fatto il deserto rosa che avevano intorno e
constatò che, nonostante le condizioni dell’atmosfera fossero identiche a
quelle della Terra, non vi abitava nessuna specie, per così dire, umana.
Tornò alla base e dopo un primo momento di sconforto, non riuscì a
nascondere un moto di soddisfazione.
- Amici... - disse solennemente – Forse, anzi quasi certamente, non
riusciremo mai più a tornare sulla Terra... ma è davvero importante
tornare, quando proprio la Terra ha fatto di tutto per dimenticarci? Vi
prego poi di ricordare il discorso del presidente che ai funerali faceva finta
di piangere e che sbagliava in continuazione il mio nome... beh... andiamo
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avanti. Ho studiato attentamente la composizione dell’aria e delle piante,
qui potremmo vivere in pace, basta organizzarci. Le nostre conoscenze
sono tante e tali da poter ricreare tutto quello di cui abbiamo bisogno; se
proprio pensano che siamo tutti morti, è meglio immaginare che siamo
finiti in Paradiso, non vi pare?
Tacque per un istante e alzò istintivamente lo sguardo verso il resto
dell’equipaggio. Tutti, approvarono le parole del comandante e si
alzarono in piedi. Tutti meno Renzho Truccamotho, che scoppiò in un
pianto dirotto. Quando si fu calmato, corse ad abbracciare Irwin, che lo
guardava commosso, poi riacquistò la sua immutabile espressione da
stampa giapponese.
Fu così che iniziò la storia di Xerox, il pianeta copia; negli anni infatti che
seguirono e nelle generazioni che lo abitarono, si radicò il proposito di
riprodurre esattamente tutto quello che si ricordava della Terra, evitando
però, in maniera maniacale, tutte le circostanze -e se ne conoscevano
diverse- che ne avrebbero riprodotto il dolore e l’infelicità.
Era stato un progetto ambizioso ma gli Xeroxiani di diverse generazioni
dopo, ignoravano per davvero cosa fossero quelle sgradevoli condizioni
dell'animo umano e vivevano felici, forse un po’ annoiati, in quella
minuscola concentrazione di polvere rosa.
Tra le tante idee che i sette astronauti ebbero ai primordi, ce ne fu una
davvero particolare: fu quando un pomeriggio scorsero nei monitor dei
loro avvistatori idraulici, una piccola sonda terrestre che si stava
avvicinando alla superficie del pianeta.
Fortunatamente una grandinata di asteroidi ne deviò la traiettoria e
tirarono un sospiro di sollievo. Il sol pensare di poter essere raggiunti
dalla Terra li aveva riempiti di spavento.
Si erano infatti così ben abituati a quello spazio, da essere pronti a tutto
per difenderlo da qualsiasi intrusione. Studiarono quindi il problema e
decisero che avrebbero circondato l’atmosfera di Xerox con delle enormi
superfici specchiate. Il vantaggio era duplice: i raggi del sole, colpendole,
avrebbero fatto sembrare il pianeta, a chi lo avesse osservato dall'esterno,
una stella.
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E siccome sulle stelle, per credenza diffusa, non poteva esserci vita, mai
nessuno avrebbe rischiato un viaggio inter-spaziale per curiosare tra
polvere e detriti luminescenti.
Il secondo vantaggio era poi di carattere energetico.
La luce del sole, decuplicando il proprio calore attraverso gli specchi,
avrebbe assicurato energia a sufficienza per tutta la loro superficie rosa.
Dieci anni occorsero per montare tutta l’apparecchiatura, comprese le
gigantesche macchine per l’aria condizionata e le grosse tende scure, che
tirate a un momento opportuno, avrebbero garantito l’alternarsi del
giorno con la notte.
A Natale, o sarebbe meglio dire, il giorno che decisero fosse Natale,
escogitarono un sistema idraulico per far cadere la neve e durante quei
giorni di festa, Xerox pareva uno di quei piccoli souvenir a cupola
sballottati tra le mani di un turista. Tutti questi eventi, legati alla
particolare conformazione del cielo, fecero fare ai sette astronauti un
balzo d’ingegno e quando decisero di elaborare la Costituzione, misero al
primo posto l’obbligo della pulizia degli specchi.
Riuscirono infatti a radicare negli animi della popolazione, che da loro
prese vita, questa consuetudine, come se quella pulizia fosse un puro
dovere di riconoscenza verso quel cielo particolare che avevano sulla testa
e che li proteggeva e li alimentava con il suo abbraccio scintillante e
caloroso.
Avevano imparato ad apprezzare la pace e tentarono in tutti i modi,
scrivendo, inventando miti e fondando particolarissime etiche, di
trasferire quella loro eredità spirituale ai posteri.
A onore del vero, bisogna dire che gli abitanti del pianeta rispettarono
sempre e con assoluta dedizione gli ordinamenti della Costituzione, anzi,
durante uno spettacolare congresso che sancì l’insediamento del Consiglio
dei Saggi, la completarono in un punto che loro stessi giudicarono
essenziale: il possesso dell’ombra, che da quella luce si generava.
In un pianeta infatti, perennemente invaso dalla luce del sole, possedere
un’ombra in tutto simile al proprio corpo era, per così dire, fondamentale.
Tanto che sui documenti d’identità, accanto al nome e all’anno di nascita,
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campeggiava la foto dell’ombra che si proiettava sul suolo a un’ora
stabilita.
D’altra parte, come ebbe modo di dire Bucheride, il famoso filosofo della
scienza, “... se il principio del nostro pianeta è di essere copia perfetta,
insostituibile, non vedo perché l’ombra, che è l'espressione più sublime
della copia del nostro corpo, non possa costituirne parimenti l’essenza
primaria, il principio da cui traggono armonia tutte le cose, visibili e
invisibili, quindi e naturalmente dunque, trattasi di una sorta di anima
visibile... o se preferite essenza ultima guardabile”.
Queste affermazioni furono l'inizio di divertenti diatribe, specie da parti
dei detrattori, che nella persona di Gianlupo Scortese, affermarono che:
“... data una certa luce in un dato momento, si può proiettare sulla terra
una data ombra, ma, se per esempio dirigessimo con una lampada
artificiale un fascio appena superiore di quello diffuso dai nostri specchi,
non solo l’ombra in questione si altererebbe, ma con opportuni
accorgimenti, essa potrebbe anche scomparire...”.
Queste due scuole di pensiero vivacizzarono per molto tempo il dibattito
culturale di Xerox; comunque il consiglio dei Venti Saggi, per prevenire
qualsiasi dimostrazione di intolleranza, che già si percepiva essere
nell’aria, varò un decreto che mise tutti d’accordo: “l'importantissimo
caratterizzarsi esistenziale-materiale attraverso l’ombra, era da intendersi
di principio costitutivo solo quando l’individuo fosse stato per strada,
quindi sotto la luce delle superfici specchiate. Negli altri casi, quando se
ne stava nella propria abitazione o ufficio o in qualsiasi altro posto
riparato dalla luce del sole, egli poteva anche fare a meno di badare alla
propria ombra...”.
Glennmiller non poteva certo immaginare che da quelle diatribe e da quel
decreto, sarebbe venuto, in maniera assai strana, l’inizio della sua
imprevista avventura.
quattro
Glennmiller terminò il suo lavoro di lucidatura assai tardi.
Firmò il modulino che attestava la prestazione e salutò Orlowsky che
stava ancora armeggiando con un panno foderato per togliere una
macchia rossastra.
- Deve essere una farfalla amnioturchina di Plutone, quando si schiantano
sugli specchi, passano da parte a parte ed è un disastro... - mormorò
quello e Glennmiller sorrise.
Ridiscese agilmente le pertiche di cristallo e in prossimità delle
piattaforme fluorescenti incrociò la Squadra Night&Day, che stava
salendo per tirare le tende notturne; si salutarono educatamente, poi
Glennmiller guardò in basso verso Palo Rete, la sua città.
Vide in un sol colpo i tetti di Arimane, dove c’era la sede dei Saggi, poco
distante biancheggiavano le cime dei palazzi di Plaza de Moros e i muri
del quartiere di Aulico, dove aveva trascorso tutta la sua giovinezza.
Staccò un attimo lo sguardo dal panorama e sbirciò in alto.
La squadra tendaggi stava iniziando le sue operazioni, di lì a poco sarebbe
stato buio.
Contemplò ancora per qualche secondo l’ordinata disposizione della città
e riprese la discesa.
Prima di tornarsene a casa, fece un salto da Domestikow, un suo caro
amico, con il pallino della religione.
Bussò piano alla porta della sua abitazione ed entrò sorridendo.
Domestikow se ne stava assorto davanti a un poster di Irwin Tatum, il
mitico astronauta terrestre, che scelse di rimanere su quel pianeta –anche
perché non aveva scelta, ma i testi sacri ignoravano questa versione- e di
propagare i suoi saggi principi morali.
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C’è da dire infatti, che i sette astronauti, dopo la loro morte, furono
venerati come le uniche divinità di quelle lande.
D’altra parte non poteva essere altrimenti, da loro partiva la stirpe degli
Xeroxiani, erano stati i portatori della vita e della scienza, avevano scritto
i sacri testi della Costituzione e avevano tramandato l’insegnamento
dell’armonia e della pace. E, fatto non assolutamente secondario, erano
stati reali e tangibili, non invisibili proiezioni della fantasia o di qualche
altra caratteristica di alterazione psichico-percettiva, come di solito
accadeva sulla Terra…
Ecco perché l’unico culto accettato era quella semplice forma di
eptateismo, dove si veneravano i resti delle loro tute spaziali e la plancia
di comando della loro navicella, gli appunti sparsi dei registri di bordo e le
bruciacchiature dei loro stivali, le diete dimagranti di Christa e Margareth
e il manuale di istruzioni IBM release Apocalypse 2.1.X, considerato poi
una vera e propria bibbia.
Domestikow si accorse appena di Glennmiller e continuò a macinare
litanie e numeri.
Glenn si sedette e aspettò. Dopo una decina di minuti l’altro tracciò
nell’aria il segno concentrico di “finish operation” e si volse verso l'amico.
Sempre a pregare Nikolay... - sussurrò Glennmiller.
- Lo faccio anche per te, se non ci fossero stati loro noi non avremmo mai
visto la Luce...
- Oh! La luce... Non me ne parlare, sono stato tutto il giorno a lucidare
quegli specchi, sono stanco morto... - si lamentò Glennmiller.
È un dovere, uno dei pochi che dobbiamo rispettare, non dovresti
lamentarti, poi ti tocca una volta ogni due mesi... - lo ammonì Nikolay.
Parli bene tu! Sei stato esentato perché hai dichiarato di avere le vertigini
e di non poterti arrampicare lassù. Se tu preghi per me, io pulisco anche la
tua parte. - esclamò Glennmiller puntando il dito.
L’altro sorrise: - Non è colpa mia se mi gira la testa, forse studio troppo...
- La sai lunga Domestikow... - lo interruppe Glennmiller e proseguì - a
proposito, non mi hai ancora chiarito dove andiamo a finire una volta
morti, non mi dire che anche tu credi al Giudizio Planetario e che per sua
conseguenza i buoni finiscono alla destra di Irwin e se ne stanno per
cinquantadue milioni di tilt a contemplare la sua immagine sorridente e
invece i cattivi rinascono sulla Terra e rimangono intrappolati lungo una
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tangenziale senza uscite, dopo aver passato otto dedraconi a vedere la
teleillusione...
Così recitano le scritture... - sospirò Domestikow, continuando a ordinare
alcuni bastoncini di incenso in un armadietto.
In tutta sincerità non saprei dirti se tutto questo è vero o no, ma
sicuramente serve a qualcosa. Se i Sacri Sette hanno deciso di tramandarci
anche le nostre ipotesi future avranno avuto anche i loro buoni motivi,
non credi? Di solito costruire una dimensione futura aiuta a sopportare il
presente…
- Sarà...- fece Glennmiller - ma a me sembra eccessivo che per un
peccatuccio o per una dimenticanza in questa nostra vita limitata, si
debba essere giudicati per l’eternità o quasi, non ti pare che tutto questo
continui ad essere assai terrestre?
Trovami tu un’altra soluzione! - fece Domestikow scocciato.
Non so, magari ci si tramuta solo in ombre, come dice il saggio Brucone,
oppure in sospiri che si perdono nel vento, come afferma Thornarello il
poeta metereologico...
Anche tu ti appoggi a delle ipotesi o a dei sogni che ti sembrano plausibili,
oppure semplicemente più piacevoli. Come vedi, sembra che alla fine
abbiamo tutti bisogno di essere rassicurati o spaventati da qualcosa. Forse
non siamo tagliati per la solitudine, neanche nel più profondo dei nostri
pensieri e così veleggiamo sempre verso qualche porto sicuro... anche se
invisibile. - disse Domestikow chiudendo gli occhi.
- Non immaginavo che fossi così profondo... - sussurrò rispettoso
Glennmiller.
Neanch’io, non finisco mai di stupirmi infatti... - rispose l’altro e si
stiracchiò sulla poltrona addormentandosi di colpo.
Glennmiller si alzò piano e gli si avvicinò: dormiva come un sasso.
“Deve esser stato lo sforzo...” pensò e senza far rumore scostò la porta
per uscire.
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glennmiller
© maurizio semplice
cinque
Glennmiller guadagnò di nuovo la via.
La discussione con Nikolay lo aveva leggermente turbato; possibile che
qualcun altro si fosse applicato scientemente a inventare e costruire
persino i sogni e i pensieri degli altri?
Se la realtà fosse stata quella, tutto rischiava di essere solo una ben
costruita illusione e sinceramente non gli sembrava il caso di approfondire
la questione e mettere in discussione le proprie credenze.
D’altra parte erano così perfette e lineari che non riusciva a vederne di
migliori. Nikolay aveva ragione, “così recitavano le scritture” e lui
fischiettando si adeguò.
Dopo qualche passo fu attirato dalle luci intermittenti del Gagarin, il bar
dove lavorava Uragana, la sua fidanzata.
- Quasi quasi, faccio un salto a salutare la mia piccola Gana, mi faccio un
sorso di vodkacola e me ne vado a dormire... - disse tra sé Glenn
avvicinandosi al portoncino trasparente del bar. “Accidenti ho solo 15
icari, vuoi vedere che non mi fanno entrare?” pensò, bussando
timidamente. Venne ad aprire un cameriere in tuta elastica da
paleociclista terrestre domenicale e Glennmiller si ricompose.
- Salve, vorrei entrare per un sorso, ma ho solo 15 icari. - disse
sorridendo.
- Potrei portarle da bere qui fuori, cosi non si sentirebbe in imbarazzo... replicò il cameriere con un’espressione sofferente.
- Beh, per la verità, io volevo entrare per dare un saluto alla signorina
Uragana.
- Se è per questo, allora può entrare anche gratis; anzi sa che le dico, visto
che è così coraggioso, glieli do io gli icari che le mancano per la
consumazione...
- Quale coraggio scusi? - chiese Glennmiller.
Non ha appena finito di dire che voleva entrare per salutare la signorina
Uragana?
- Sì, e allora?
- E questo non è coraggio secondo lei.
- Ah ho capito! Lei si riferisce al carattere della signorina. Bisogna
comprenderla, a volte è un po’ nervosa e si lascia prendere la mano....
- Nervosa dice lei... - replicò stupito il cameriere - lo sa che ieri ha rotto
due schermi virtuali sulla testa di due clienti che le avevano chiesto dove
fosse la toilette e calpestato per sbaglio i criptopoeti rosa del signor
Baloffo? E sa cosa ha fatto quando quello ha protestato? L’ha appeso nel
guardaroba e lo ha liberato solo alla fine del turno.
- Che tesoro... - sospirò Glennmiller chiudendo gli occhi.
- Comunque entri pure, io l’ho avvisata... - concluse il cameriere e
Glennmiller sgattaiolò all’interno.
Il locale era gremito, ma si avvertiva pochissimo rumore. La gente si
affollava davanti ai banconi delle bevande e intorno ai tavoli con
compostezza e allegria, ogni tanto si udiva il sibilo lontano di una melodia
e il borbottio delle bollicine di qualche cocktail. Questa atmosfera
particolare era stata la carta vincente del Gagarin, che infatti passava per
il primo bar silenzioteca di Xerox. Era stata una trovata fantastica e gli
xeroxiani facevano la fila per godersi qualche bryfogar di silenzio, tra un
sorso di amarildo e un’annusata di marx, che dava la sonnolenza dei beati.
Glennmiller si aggirò per i tavoli in punta di piedi, riconobbe diversi
colleghi della recente lucidatura e con loro scambiò a bassa voce qualche
battuta sulla luce e sulle ombre, poi iniziò a cercare Uragana.
Imboccò una scala mobile illuminata da un neon celestino e scese al piano
inferiore.
Uragana era lì al centro del salone, dietro il bancone delle bevande
dietetiche.
- Cosa sei venuto a fare? - disse subito lei vedendolo.
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- Stavo andando a casa e mi è venuta voglia di vederti - sospirò Glenn
facendo la vocina da innamorato.
- Beh mi hai visto, ora sparisci che devo lavorare, non vedi quanta gente
c'è stasera, sembra che tutto il pianeta non abbia meglio da fare che venire
qui...
- Senti, mi è venuta un’idea...
- Se nella tua testa vuota è accaduta una cosa del genere allora bisogna
festeggiare davvero.
- Non mi prendere in giro ‘Gana, io...
- Non chiamarmi in quella maniera ridicola!
- Scusami, allora dicevo che mi era venuto in mente che io, tu, noi
insomma potremmo passare il nostro duecentesimo appuntamento da
Mollo, che ha una casa appena fuori città...
- E per fare cosa? Per mettermi le mani addosso? Guarda che conosco a
memoria tutte le istruzioni per il corteggiamento e quelle cose che
vorresti fare tu, si fanno solo dopo duecentocinquantasei incontri...
- My Dos, vuoi vedere che sfortunato come sono mi succederà qualcosa
due ore prima di quell’appuntamento...
- Fai come vuoi, ma se provi a infrangere le regole io ti infrangerò questa
sulla testa. - concluse lei agitando in aria la bottiglia per il seltz.
Glenn si rassegnò, ordinò il suo bicchiere di vodkacola e rimase per un po’
a spiare i movimenti di Uragana dietro il bancone.
- Eh le donne... ci fanno soffrire, ma ne vale la pena... - sospirò ad un
tratto un vecchietto che era comparso alle sue spalle sistemandosi su una
sgabellone telescopico.
- E lei che ne sa delle donne? - disse Glenn senza perdere di vista la sua
Uragana.
- Un po’ di rispetto ragazzo, forse non sai con chi stai parlando... io sono
Max Vetril, forse hai sentito parlare di me...
- Max Vetril! Il mitico Max che per amore di una donna pulì in due giorni
cinquecento distaedri di cielo perché lei ci si potesse specchiare... - fece
Glennmiller sobbalzando - Voi in persona, scusatemi, scusatemi davvero,
ma stavo pensando ad altro...
© maurizio semplice
- Lo so io a cosa stavi pensando figliolo, e alla tua età è così normale che
accada, che si giustifica la santa, e diciamolo pure rigida, regola del
corteggiamento. Senza di essa il caos sarebbe assicurato.
- Io non ce l’ho con la regola in sé, solo che mi sembra eccessiva. sussurrò impercettibilmente Glennmiller e Max sorrise.
- Bisogna saper aspettare, il piacere è un viaggio lungo e lento che ci
riserva sempre sorprese, così è scritto...
- Ma è stato scritto proprio tutto?
- Non lo so, ma se uno dice così è sicuro di non sbagliare. - concluse il
vecchio invitandolo al Sound of Silence, il salone sottostante, dove si
produceva il miglior silenzio di Xerox.
Presero insieme una piattaforma idraulica che li depositò all’entrata, il
vecchio prese i biglietti per entrambi e due paia di occhiali tridimensionali
per la visione.
Si accomodarono davanti a due specchi colorati che avevano una
tastierina sul davanti.
- Cosa scegli figliolo? chiese Max indicando un foglio appeso accanto alla
poltrona.
- “Silenzio di Venere”... l'ho già sentito quattro volte e per me rimane il
migliore... - rispose
Glennmiller assorto.
- Capisco, capisco... mmh vediamo un po’... io invece mi farei questo
“Silenzio del Dopo Carnevale”, mi sembra molto esotico... - fece invece
Max accomodandosi davanti allo specchio. Glennmiller fece la stessa cosa
e spingendo alcuni tasti colorati si prepararono all’ascolto.
I silenzi iniziarono a formarsi. Nello specchio, si costruirono strane figure
illuminate da piccoli lampi arancioni.
Ognuno iniziò il suo viaggio.
Glennmiller vide nel suo specchio comporsi la figura di una donna che
passeggiava in riva ad un mare vermiglio e subito dopo una serie di
tramonti viola.
Si stiracchiò sulla poltrona e sorrise, sapeva infatti che tutte le visioni
virtuali erano frutto dei ricordi dei Sacri Sette che li avevano raccolti e
donati ai posteri per farli sognare e meditare.
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glennmiller
Quello che stava vedendo, comunque doveva esser certo un ricordo
silenzioso del Divino Bigbang che, anche se le Scritture lo ricordavano
come una specie di asceta, era stato in realtà un inguaribile libertino,
infatti nello specchio comparve all’improvviso la sagoma di un uomo in
brache di tela che tentava di abbracciare la donna vista prima.
A un tratto, esattamente tra l’abbraccio e il tramonto viola scorse il viso
di Uragana, che gli si era messa alle spalle.
Starnutì e fece per cambiare frequenza.
- Brutto sporcaccione, animale, avevi detto che eri passato per vedermi e
invece ti ho beccato a spiare quella lì...
- È solo un passatempo, tu avevi detto che avevi da lavorare - balbettò
Glennmiller.
- Passatempo da imbecilli che non hanno nulla da fare, se ti ripesco
un’altra volta a vedere queste porcherie non verrò al prossimo
appuntamento, intesi? - e andando via gli piegò gli occhialetti
tridimensionali mentre Max annuiva sorridendo.
- È un po’ nervosa, perché tra qualche tempo ci sposeremo... - si scusò
Glennmiller.
- Capisco, capisco - fece sornione il vecchio raccogliendo i resti degli
occhiali. - La inviterò alla cerimonia, lo giuro, sarà bellissima. - disse
infine il ragazzo leggermente imbarazzato e tentò di raggiungere Uragana,
mentre una folla di nanochimere appena entrate si disperdeva luccicando
nel salone.
Max Vetril sorrise di nuovo e risistemandosi gli occhiali sul naso, tornò al
suo silenzio tropicale.
© maurizio semplice
sei
Glennmiller abitava nel quartiere periferico di Riviera, un complesso ben
orchestrato di palazzetti bassi e tutti eguali, contraddistinti dalle note del
pentagramma. Arrivò davanti all’isolato “Si bemolle”, sbirciò il cielo buio
e ripensò a una diceria che aveva sentito nella biblioteca dove lavorava:
“pare che durante la notte i terrestri possano vedere le stelle”.
Gli parve una cosa altamente improbabile e soprattutto inutile, cercò la
scheda magnetica per aprire il portone e rincasare.
Nel piccolo appartamento dormivano tutti, o più precisamente la madre
Giada e la sorellina Rugiada.
Si tolse gli scarponi per non fare rumore e al buio si mise a letto. Accese
un piccolo neon giallastro a forma di panettone e lesse qualche rigo di
“Tracce di ombre meticce” il suo giallo preferito; poi dopo aver scorso
qualche periodo lo colse il sonno e si addormentò con il libro aperto sulla
faccia.
Durante la notte si svegliò di soprassalto in preda a uno strano incubo, nel
quale immaginava che durante la pulizia degli specchi, uno di quelli,
cedendo improvvisamente, lo aveva fatto precipitare nello spazio.
Si mise a sedere nel letto; era fradicio di sudore, guardò i quarzi della
sveglia al suo fianco, erano appena le trentotto e mancavano diverse ore
al farsi della luce del mattino. Si alzò e si diresse verso la finestra, poi,
dopo aver esplorato il buio e qualche ordinata luminescenza all’orizzonte,
in cucina per bere qualcosa.
Accese la luce e distrattamente si volse verso il muro. Rabbrividì e sputò
tutto il succo di birtarello che aveva in bocca. Sul muro si definiva netta
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glennmiller
la sua ombra, ma non era quella di sempre. Si mise sotto la luce e quella lo
seguì.
Aveva dei lunghi e flessuosi capelli, un seno appena accennato e una corta
veste svolazzante. Glennmiller fece un passo indietro, poi allungò una
mano per toccarla. Anche l’ombra fece la stessa cosa e le due mani si
incontrarono sulla superficie del muro.
Lui, immaginando il contatto, ritrasse la mano e scappò in camera,
spegnendo tutte le luci.
- Quella non è la mia ombra... – argomentò balbettando - anzi, sembra
l'ombra di una donna. E la mia dov’è finita? Sono sicuro di esserci
tornato, come può essere sparita così all'improvviso...? Non può farmi
questo! O Floppy che oramai sei nei cieli, aiutami tu... - e così invocando
rimase tutta la notte con gli occhi fissi sul muro, cercando tra le pieghe
del lenzuolo che stringeva forte, una spiegazione plausibile per quello
strano fenomeno.
© maurizio semplice
Era però solo un tentativo senza importanza; avrebbe potuto ingannare
persino gli uomini della sorveglianza, ma non certo all’infinito e fu ripreso
dal panico.
Proprio in quel momento, incrociò due suoi conoscenti e il vento gli fece
svolazzare il mantello. L’ombra si mosse tutta e addirittura fece degli
strani movimenti, come se fosse in preda a un solletico improvviso.
Glennmiller arrossì, fece una specie di piroetta e si fasciò nel mantello, i
due tizi si arrestarono un attimo strabuzzando gli occhi, poi passarono
oltre, mugugnando qualche commento poco carino.
Il mattino dopo, con gli occhi cerchiati dalla notte in bianco, Glennmiller
sgusciò fuori di casa per recarsi al lavoro.
Appena fuori si sincerò che l’ombra che proiettava fosse di nuovo la sua;
purtroppo non era vero e sul marciapiede di granito vide di nuovo la
sagoma dei capelli e dei piccoli seni.
Fu preso dalla disperazione. Risalì in casa, sempre di corsa per non farsi
vedere, mise sulle spalle un vecchio mantello scuro, pensando così di
alterare la sua ombra imperfetta e per uno strano gioco di luci, quasi ci
riuscì.
La madre lo incrociò sulla porta e trillò improvvisa: - Glenn, dove vai con
quel mantello, non senti che caldo?
Lui la guardò distrattamente: - Devo fare un lavoro in un posto dove c’è
un mucchio di polvere... - sussurrò dileguandosi per le scale. La madre
alzò le spalle e tornò alle sue faccende casalinghe, che come in tutte le
parti del cosmo erano sempre e rigorosamente le stesse.
Quando fu di nuovo in strada, Glennmiller tirò un sospiro di sollievo; con
quel vecchio mantello poteva dirsi al sicuro, l’ombra della donna, infatti,
sembrava essersi mimetizzata con quella più ampia generata dal tessuto.
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glennmiller
© maurizio semplice
sette
Glennmiller corse verso la biblioteca a gambe levate, attraversò il cancello
come un fulmine e i custodi lo riconobbero appena. Spalancò la porta del
suo ufficio e stramazzò sulla scrivania ansimando.
I colleghi alzarono appena lo sguardo dalle loro carte e fecero finta di
nulla. Glennmiller si ricompose e in silenzio si sfilò l’ingombrante
mantello. Si alzò e scivolò verso la Zona Nord, dove si ergevano
minacciosi i picchi della catena degli Archiviarmadi.
Passò sotto un grosso neon e si appiattì contro la parete guardando in
basso tra la moquette.
La sua strana ombra fece lo stesso.
- Deve essere un’illusione ottica - borbottò e tornò svelto alla propria
scrivania. “Sarà stato il troppo caldo, mica è uno scherzo pulire quegli
specchi, devi rimanere calmo Glenn, è solo un abbaglio.” pensò, ma
sudava freddo.
Riordinò le carte sparse e tentò di lavorare. Ogni tanto guardava alla sua
destra, dove elegantemente si allungava la sua ombra in minigonna e poi
verso le altre persone, che in silenzio digitavano dati ed esaminavano
voluminosi libri di storia e cibernetica; le loro ombre obbedivano docili a
tutti i loro movimenti, poiché altro non erano che la proiezione dei propri
corpi. Glenn fece una smorfia di disgusto.
Sembrava tutto normale, ma nella sua mente iniziò a farsi strada un
atroce sospetto: - Se ho perso l’ombra, potrei da qui a poco perdere la
gamba destra, l’orecchio sinistro oppure un pezzo di sthandelmainher, o
non voglio immaginare cosa - sussurrò toccandosi la pancia.
Smozzicò la matita e decise che sarebbe andato a parlare con il suo
medico, oppure se la cosa fosse stata più grave, con il professor Zefiro
massimo esperto in abbagli e coni d’ombra del pianeta.
La vedo preoccupato - disse interrompendo i suoi pensieri Astrovaldo,
capo della biblioteca.
Sono molto stanco, ieri ho avuto la pulizia. - balbettò Glenn.
- Capisco, capisco, un lavoro infame ma essenziale; pensi che quando ero
giovane io, non esistevano ancora quelle pertiche, e si doveva arrivare
lassù con delle liane. Ricordo che se non si riuscivano a raggiungere le
piattaforme con il primo slancio, si rischiava di penzolare nel vuoto per
due microcicli, fino a che qualche anima buona ti tirava su come un
secchio da un pozzo... che tempi... - sussurrò lisciandosi la barba bianca e
sbirciando i piedi nervosi di Glennmiller che battevano al suolo un ritmo
che ricordava un tip-tap terrestre.
Il ragazzo annuì e accavallò le gambe per non far notare l’ombra
femminile che nel frattempo si era allungata da sotto il tavolino, come se
volesse ascoltare le parole del vecchio Astrovaldo.
La giornata trascorse indenne, Glennmiller si alzò il meno possibile e uscì
per ultimo. Tornò a casa fasciato nel mantello, rasentando i muri, così
come aveva già fatto durante la mattinata.
Una volta a casa si chiuse in stanza, rifiutò educatamente i petali di
barbasole che la madre gli aveva preparato e iniziò a passeggiare su e giù.
- Perché proprio a me? Non ho mai fatto niente di male, ho sempre
rispettato la Costituzione e pagato tutte le tasse che c’erano da pagare. O
meglio, quella sui sogni e sull’immortalità etica no... ma erano davvero
inique, eppoi sfido tutti a dimostrare il contrario. Beh, una volta ho
pensato di tradire Uragana, ma è stato solo per qualche decina di
dewimel, lo giuro... Cielo, se Uragana si dovesse accorgere che ho l’ombra
di una donna, mi riduce in un antibiotico... Perché proprio io, perché?... almanaccò commiserandosi Glennmiller.
L’ombra si adagiò sulle lenzuola e sconfinò sul comodino. Glenn la
osservò.
Però, non è una brutta ombra... - disse tra sé e allungò una mano dalle
parti del seno. Quella lo lasciò fare poi gli mollò un ceffone. Glenn
ritrasse la mano con un brivido.
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glennmiller
È incredibile, è anche in grado di pensare e se avesse addirittura una
morale? Questo vuol dire che è tutto molto più grave. Io vado in giro con
una cosa, che non solo non mi appartiene, ma che potrebbe cambiarmi la
vita a suo piacimento... - pensò ritraendosi lentamente verso l’angolo
lontano del letto, fischiettando un vecchio motivetto per far finta di
niente.
- Che c’è Glenn, ti senti male? - chiese la madre, che da qualche ora si era
installata davanti alla sua porta, cercando di capire cosa stesse accadendo
al figlio.
- No... non è niente, non riesco a prendere sonno. - si scusò lui.
- Sarà... ma è la stessa musichetta che fischiavi quando da piccolo non
volevi andare a scuola. - continuò curiosa mamma Giada.
Glennmiller sospirò, alla curiosità delle madri avrebbe preferito cinque
turni di lustratura, ma continuò a darle retta, frullando pezzi di frasi
insieme a fantasiose giustificazioni, fino a che lei, scuotendo la testa, non
decise di dedicarsi al bucato.
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sotto
Il mattino dopo Glennmiller in preda a una originale playlist di sensi di
colpa e manie persecutorie, si recò da Baldassarre Della Menta, il suo
medico preferito.
Tutti infatti avevano un medico di fiducia, Glenn quello preferito.
Baldassarre, gli era semplicemente simpatico ed era poi bravissimo a
raccontare barzellette e storielle infragalattiche.
Si abbracciarono nell'atrio dello studio e Baldassarre vedendolo scoppiò a
ridere.
- Non c'è niente da ridere Bald. - fece serio Glennmiller - Scusami, ma hai
una faccia che sembri un coattonauta che ha perso settecento partite allo
StarWars... - continuò il medico asciugandosi gli occhi.
- La tua reazione mi sembra spropositata, il mio problema è gravissimo.
Devi sapere che... ho perso l'ombra... - concluse Glennmiller, facendo la
faccia da patetosauro.
Baldassarre lo squadrò e dopo un tragico secondo di silenzio gli sbottò a
ridere in faccia.
- L'ho sempre detto che sei uno sbadato... Glennmiller sospirò: - Cioè,
non l'ho proprio persa... ne ho un’altra...
Baldassarre iniziò a picchiare i pugni sul tavolo, stavolta sghignazzando. No... questa proprio non la dovevi dire... è buonissima, neanche i
woitiliani riescono a dirne di così divertenti.
Glennmiller si alzò furioso, si mise sotto una lampada e l’accese.
Sul pavimento si disegno l’ombra della donna.
Baldassarre smise di ridere di botto, si asciugò gli occhi con una
tovaglietta e si avvicinò: - È un miracolo, quando è successo?
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glennmiller
Glennmiller spense la luce e torno a sedere.
- Ora capisci la mia disperazione, se lo sapessero quelli del governo io
potrei diventare un raro caso di disobbedienza planetaria e ci pensi a cosa
potrebbe dire mia madre!?
- Riaccendi subito la lampada - intimò Baldassarre con un insospettato
guizzo di professionalità. Glenn obbedì.
Baldassarre si sdraiò per terra accanto all’ombra.
- Però, la proprietaria deve essere una bella figliola, complimenti Glenn...
- Fai attenzione che tira certi schiaffi... - disse quello mettendolo in
guardia.
- Hai già provato eh, vecchio sputnik... - rise Baldassarre e l’ombra si
accese una sigaretta.
- Rank Xerox! - esclamò Glennmiller - ma che sta facendo?
- Non ne ho idea ma pare che stia prendendo fuoco e non sembra
spaventata... - fece il medico estasiato. Glennmiller spense la luce.
- Ho bisogno di una soluzione...
- Hai provato a parlarci? - chiese Baldassarre.
- Per dirle cosa? - fece l’altro a bassa voce.
- Beh ad esempio, che so, come sta signorina, che fa nella mia ombra, si
sente bene, è della sua misura, che fa stasera, quanti anni ha? - proseguì il
medico cambiando tono di voce e guardandolo negli occhi. Poi visto che
Glennmiller se ne stava in silenzio continuò: - Forse hai preso troppo sole
quando sei stato a pulire gli specchi, fatti un impacco di mutande fresche
sulla testa e non ci pensare più, e poi non ti ridurre in questo stato, non lo
sai che è vietato?
- Come vietato? - chiese l’altro sorpreso.
- È solo un’indiscrezione - disse Baldassarre guardandosi attorno e
divenendo improvvisamente serio - non ne sono certo, ma pare che un
tizio sia stato sorpreso a discutere, in maniera più o meno dubbiosa, sulle
finalità della vita e che non trovando nessun conforto o giovamento nei
dotti consigli dei Saggi, si sia lasciato andare a esasperanti mutismi e
alquanto discutibili atteggiamenti, che spesso hanno rasentato il risibile
stato d’animo del dubbio, al punto che, due guardie per evitare il
contagio, lo hanno portato in clinica. Lì è stato fatto oggetto di
premurose cure ma, e qui nasce l’indiscrezione più grossa, sembra che il
tizio sia affetto da “Depressione Progressiva Infelice”...
© maurizio semplice
- E cos'è? - domandò Glenn impaurito.
- Non saprei dirtelo... - fece grave il medico toccandosi il mento - Sembra
che sia un nuovo morbo, dalle caratteristiche terribili, che può portare
l’individuo alla rovina...
Glennmiller annuì. Si fece fare subito una ricetta per cinque scatole di
mutande refrigeranti, salutò l'amico, che era diventato stranamente
pensieroso e scese in strada.
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glennmiller
© maurizio semplice
nove
Trascorsero un paio di giorni, Glenn era sprofondato in uno stato d’animo
a lui sconosciuto e che non tardò a collegare alla terribile malattia: era
tristissimo.
Gli parve di aver perso irrimediabilmente una parte di sé e cosa ancor più
grave non sapeva che pesci prendere.
Se ne stava in disparte a osservare la propria ombra che ballava frenetica
una strana melodia, oppure che si muoveva sinuosa sotto la doccia.
Improvvisamente decise di rompere gli indugi e di recarsi dal professor
Zefiro. Era una cosa assai rischiosa, il professore era infatti membro
supplente del Consiglio dei Saggi e Garante della Grande Ombra. Era un
tipo molto diffidente e bastava un nulla per farlo insospettire. Una volta
addirittura denunciò la propria ombra affermando che lo seguiva. Aveva
infatti un grosso esaurimento nervoso e i colleghi dovettero faticare non
poco per convincerlo della normalità dell’evento, che nonostante tutto
conosceva benissimo. Comunque Glennmiller mise da parte tutti i suoi
dubbi e si fece coraggio.
- Il professore è assente - sillabò McCognac, il suo assistente, attraverso il
citofono caleidoscopico.
- Vorrei entrare lo stesso - replicò deciso Glennmiller e la porta dopo
qualche secondo si aprì cigolando.
Gli venne incontro uno strano personaggio, con i capelli rossi chiusi
dentro una retina luccicante, abbigliato con una specie di toga celeste che
lo copriva fino alle caviglie.
- Non credo che io possa fare alcunché per voi - esordì quello serissimo.
Glennmiller si asciugò il sudore dalla fronte e scoppiò in un pianto
dirotto: - Dovete aiutarmi... non so più cosa fare...
- Nessuno sa più cosa fare, ma almeno cerchi di non perdere la dignità puntualizzò McCognac scuro in volto. Glennmiller non volle sentir
ragione e iniziò a saltellare per la stanza raccontando meccanicamente la
sventura che lo aveva colpito.
L’assistente stette ad ascoltare tutta la storia poi dopo una decina di
minuti di drammatico silenzio, si guardò intorno, socchiuse sospettoso
una finestra e alla fine allargò le braccia urlando. - Che il divino Toner sia
lodato... un altro infelice! Glennmiller fece una smorfia non capendo
nulla. - Capitate a fagiolo, il professor Zefiro aveva scoperto una cosa
terribile ed è stato imprigionato, e voi siete la prova vivente dei suoi
esperimenti... - Glennmiller cercò una sedia e chiese qualche spiegazione.
McCognac si allungò su un’amaca intrecciata con delle lische di pesce e
schegge di cometa e iniziò: - Qualche tempo fa il professor Zefiro iniziò a
studiare a fondo l’origine del nostro pianeta e giunse a conclusioni assai
interessanti. Approfondendo l’accertata ipotesi che Xerox sia una
emanazione della Terra e che ogni sessantotto zylof si trovi perfettamente
in asse con essa, intuì che potevano accadere, proprio per effetto di
questa vicinanza, cose piuttosto inconsuete. Per esempio, il professore si
accorse che in quei giorni il calore del sole era molto meno forte del solito
e che la consistenza delle ombre era quanto mai flebile.
Inoltre constatò, a sue spese, la crescita di una certa suscettibilità nel
carattere dei nostri concittadini, che intervistati da lui attraverso
validissimi test, lo picchiarono spesso e sempre per futilissimi motivi
estranei alla ricerca. Ridusse tutte le sue osservazioni a un esame
matematico e rabbrividendo intuì che la Terra poteva sviluppare da un
momento all'altro una smisurata forza gravitazionale, tale da risucchiare
sulla sua superficie tutto quello che le si fosse trovato a tiro...
- Non ho ancora capito, però, cosa c’entri la mia ombra...- lo interruppe
Glennmiller.
- C’entra, c’entra, incosciente... ma mi faccia terminare. Quando il
professore fu convinto della propria ipotesi, andò di filato al Consiglio per
metterli in guardia. In un primo momento si limitò a spiegazioni
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glennmiller
scientifiche e a stendere davanti ai loro occhi le lenzuola di calcoli che
aveva elaborato, poi arrivò alle sue considerazioni, diciamo di carattere
morale... Quella forza gravitazionale, privando improvvisamente un
individuo di qualcosa, avrebbe potuto far nascere l’infelicità e per
conseguenza il corollario diceva che la felicità risiedeva quindi solo nel
possesso… una banalità sconcertante oppure la scoperta di una verità
banale…
I saggi lo stettero ad ascoltare interessati, poi uno di loro, Turigolfo di
Stipite mi pare, si alzò in piedi dicendo: “Il buon Zefiro ci vuole
dimostrare che lo stato d’animo chiamato infelicità, si possa annidare
nella perdita o nel possesso di qualcosa, e questo è francamente immorale.
Gli fece eco Genio Spargigrano: - Non capisco dove il nostro dotto amico
cerchi di parare, non corriamo nessun pericolo da almeno quattro
megafluf e dovrebbe essere riuscito a intuire, attraverso sacrifici e
riflessioni, che l’infelicità - proprio perché stato frenante al regolare
svolgimento della vita - è stata giustamente bandita, dopo ampia delibera,
dalle nostre normali pulsioni. Quindi il pericolo paventato, scusatemi, ma
non sussiste...
Zefiro arrossì, tutto aveva immaginato meno che l’infelicità esistesse da
tempo e che fosse stata addirittura vietata. Si riprese le carte e senza
guardare nessuno se ne tornò nel suo studio. Dopo qualche giorno mi
chiamò e raccontò con gli occhi fuori dalle orbite, tutto quello che gli era
accaduto, ma la cosa più incredibile fu quando comprese che i Saggi erano
arrivati alle sue stesse conclusioni molto tempo prima, ma non glielo
avevano mai comunicato. Sapevano tutto della Terra, del Sole e
dell’Infelicità, (e forse sono saggi proprio per questo, aggiungo io), ma lui
non se ne fece una ragione e finì per scivolare nel deprecato stato d’animo
sopra descritto. Si sentì deriso, tradito, ma era ormai troppo tardi, iniziò a
mugugnare e strillare in pubblico finché una pattuglia lo prelevò due
giorni fa davanti al mausoleo delle Montagne Russe e non ne ho avuto più
notizia...
© maurizio semplice
McCognac tacque e Glennmiller dovette tossire per richiamarne
l’attenzione. - Mi scusi, ma io ancora non ho compreso cosa c’entro...
io…
Quello si alzò e iniziò a passeggiare per la stanza.
- Pensavo di essere stato chiaro, ma nonostante tutto, voi state
compiendo un grosso sforzo per sembrare ancora più testone di quello che
s’intuiva a una prima analisi, comunque sarò breve. Il pericolo teorizzato
dal professor Zefiro, che la Terra iniziasse a risucchiare sulla sua superficie
qualcosa del nostro pianeta, è accaduto con la vostra ombra, che ora quasi
sicuramente se ne sta a spasso sul Pianeta Furfante e al suo posto vi
ritrovate l’ombra di qualche donna terrestre...
- Ma è terribile... - mormorò Glenn mordendosi un dito.
- Certo che lo è, a meno che... - continuò l'altro flebile - A meno che lei
non vada sulla Terra a riprendersela...
- Io sulla Terra!? - esclamò Glennmiller cadendo dalla sedia.
- Non è una impresa impossibile, io ed il professore avevamo scoperto
una specie di chiatta galattica per il trasporto delle scorie nucleari, i
terrestri la usavano per venirci a infettare l’atmosfera qualche dedrasnaf
fa, ora è attraccata al nostro pianeta per mezzo di cavi kubricoassiali. Se
volete potremmo revisionarla e potreste imbarcarvi al più presto; in
questo periodo la Terra non è lontana e se riuscite a recuperare l’ombra
nel giro di due granpitork, potreste tornare qui in tempo per il processo e
testimoniare in favore del professor Zefiro e smascherare tutto il
Consiglio.
- Ma la Terra è orribile, a scuola non ho fatto altro che studiare la loro
fetida atmosfera e la tremenda composizione morale del loro animo, pensi
che usano fare ancora le ferie... - balbettò Glennmiller.
- Queste sono sfumature che a noi non interessano, è risaputo che a un
certo momento si sono dedicati alla produzione senza fine e al consumo
autistico e che hanno smesso di pensare, quindi di vivere,
intellettualmente parlando, ma voi dovete impegnarvi a trovare
quell’ombra che è volata via e a restituire quella che non vi appartiene...
Ricordate che da voi dipende l’intera salvezza del pianeta. Se la gente
scoprisse che l’infelicità è stata semplicemente vietata, potrebbe iniziare
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glennmiller
una colossale disubbidienza e iniziare a essere infelice come e quando
vuole e soprattutto per un nonnulla. Tutti inizierebbero a cercare la
felicità perduta attraverso oggetti e simboli paleocammei. A quel punto
potremmo già considerarci alla stregua della Terra e questo non possiamo
permetterlo. Dobbiamo invece predisporli alla naturalezza dell’evento, e
quindi alla necessaria analisi...
Glennmiller annuì, sentendosi improvvisamente gravato da un peso
enorme.
- E come faccio a sapere esattamente dove è finita la mia ombra? - chiese
a un tratto a McCognac.
- Ah, ma questo è facilissimo, basta fare dei calcoli, non vi preoccupate;
abbiamo tutto il laboratorio del professore a nostra disposizione e poi,
non faccio per vantarmi, ma sono stato il più grosso cacciatore di ombre
di Xerox...
- Allora ne sono già scappate altre... - disse Glennmiller spaesato. - Ma no,
cosa avete capito? “Caccia alle ombre” è un videogame inventato da me e
dal professore. Io lo battevo sempre, lui si arrabbiava, io confessavo che
avevo barato e allora facevamo la pace.
Glennmiller scosse la testa accennò un sorriso tentando di dargli del “tu”.
McCognac rifiutò sdegnoso e si congedarono sulla porta di casa con una
stretta di mano.
Era notte alta, i pettegolezzi di Baldassarre avevano un certo
fondamento, le cose non sembravano più tanto beate come erano parse
sino a quel momento e sopra la sua testa svolazzavano,
impercettibilmente mosse dal vento artificiale, le vaste tende che
spandevano quella strana oscurità.
Glennmiller si strinse dubbioso nelle spalle e iniziò a pensare al suo
prossimo futuro, che aveva le stesse incerte sfumature di quella notte,
improvvisamente colma di solitudine.
© maurizio semplice
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Durante la notte Glennmiller vagliò attentamente l’ipotesi di viaggiare
fino alla Terra per riprendersi l’ombra. Era semplicemente terrorizzato
dall’idea, ma non aveva molte scelte.
Aveva sempre sentito parlare di quel pianeta nei toni e nelle sfumature
del disgusto. Gli avevano insegnato che i terrestri erano stati capaci di
imbarcarsi in ogni sorta di guerra, quasi sempre per motivi di poco conto;
che possedevano, poi, una morale elastica, ridotta per motivi pratici, nella
fondazione di svariate interpretazioni religiose e di ben organizzati partiti
politici.
Glenn immaginava la Terra come in preda a un caos sempiterno,
perennemente battuta dalle piogge del dispiacere e nascosta dalle nubi
scure dell’irrazionale.
Rabbrividì e scosse la testa. Comunque non aveva molte scelte e gli venne
il desiderio di prepararsi per bene a quel viaggio. Richiamò McCognac al
telefono e chiese se avesse del materiale sulla Terra da poter studiare,
prima di intraprendere il viaggio.
Quello assentì ridacchiando e disse di passare al laboratorio. Glenn non se
lo fece ripetere due volte. Corse allo studio e trovò l'assistente intento a
disegnare su una carta astrale qualcosa di simile a una rotta. Rimase in
silenzio aspettando che finisse il tracciato e appena gli parve che avesse
terminato, attaccò con una serie di domande.
McCognac lo ascoltò in silenzio poi ripose il compasso e la matita gialla
dentro un astuccio e lo squadrò: - Non avevo mai sentito tante imbecillità
tutte insieme. Va bene che avete paura, ma vi sembra il caso di perdere il
lume in codesto modo? Non vi preoccupate, proverò io ad aiutarvi.
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glennmiller
Anzitutto vi darò qualcosa da studiare, ma mi raccomando, è materiale
pericolosissimo. Se qualcuno viene a sapere che ne sono in possesso…
- E come avete fatto allora ad averlo? - chiese l’altro preoccupato.
- Dovete sapere che io e il professore siamo stati un paio di volte sulla
Terra... - sussurrò McCognac - due viaggetti di poco conto con quella
chiatta terrestre di cui vi ho parlato. Il professore aveva trovato una
scorciatoia per andare e tornare senza tanti problemi e allora l'abbiamo
usata per andare a vedere...
- Non ci posso credere, voi siete stati sulla Terra? E cosa avete scoperto? chiese sempre più preoccupato Glennmiller.
- Niente che già non sapessimo. La situazione era convulsa, guerre locali e
rischi ambientali, città sovraffollate e invivibili, individui che
improvvisamente si azzuffavano ai semafori dopo essersi scambiati una
frase smozzicata. Però devo dire che trovammo dei localini dove si
bevevano certi infusi che qui neanche riusciamo a immaginare. Io iniziavo
il mattino presto e nel primo pomeriggio ero già tra le braccia di
Donlurio, come si dice laggiù. Il professore invece si era appassionato per
alcuni posti sperduti dove a dispetto del caos, erano stati conservati
migliaia e migliaia di libri, che sembra non facessero altro che raccontare
all’infinito la storia dell’uomo.
Durante il secondo e ultimo viaggio, decidemmo di portarci via qualcosa
dalla Terra da studiare in tutta tranquillità. Purtroppo, fino a ora, siamo
riusciti solo a esaminare cinque casse di uno strano liquido schiumoso che
laggiù chiamano “birra”. Per i libri non c’è stato nulla da fare, se non una
consultazione assai superficiale, anche perché iniziò subito quel periodo di
cui vi ho parlato e vivemmo con il sospetto di essere sotto controllo.
Comunque conservo tutto in un posto sicuro, prego venite... - concluse
McCognac dirigendosi in cucina.
- Qui non verrà mai nessuno - disse aprendo il forno e subito dopo una
scatola di biscotti, dove erano nascosti alcuni romanzi tascabili.
Dalla dispensa poi vennero fuori tre volumi dell’Enciclopedia Britannica
e una intera raccolta di fumetti. Glennmiller iniziò curiosissimo a
esaminare tutta quella carta, mentre McCognac gli raccontava episodi
terrestri.
Insieme consultarono varie planimetrie e colorati atlanti geografici,
diversi libri di autori terrestri vietati per la loro assoluta predisposizione
© maurizio semplice
alla riflessione, che erano gelosamente custoditi nel frezeer, e una intera
collezione di Playboy del 1977 che lasciò Glennmiller sbalordito.
Fotocopiò le cose che giudicò interessanti e dopo aver ringraziato
l’assistente del professore, corse a casa per studiarle attentamente.
Una volta tornato nella sua stanza, sfogliò le carte sparse sulla sua
scrivania e iniziò a fissarsi sulle frasi che qualche uomo antico aveva
sottolineato a matita:
“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di
male, una mattina fu arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua
affittacamere, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non
venne...”
“La superficie del paese del Quotùm dipenderà dalla guerra che è attualmente in
atto contro il Martorique, così pure la determinazione dei suoi confini; comunque noi
del Geographic Memory ci auguriamo che le buschi di brutto così da non dovere
intervenire un’altra volta sulle nostre carte, grazie...”
“Mio caro ragazzo, veramente superficiali sono le persone che amano una sola volta
nella vita. Quella che esse definiscono lealtà e fedeltà, io la definisco: tendenza al
letargo o mancanza di immaginazione. La fedeltà è nella vita sentimentale quello
che la coerenza è nella vita dello spirito – l’accettazione di un fallimento. La
fedeltà! Un giorno o l’altro dovrò pure analizzarla. Si riduce a un amore per la
proprietà. Parecchie cose getteremmo via volentieri se non avessimo paura che altri le
raccogliessero...”
“La tragedia principale della mia vita è, come ogni tragedia, una ironia del
Destino. Rifiuto la vita reale come una condanna; rifiuto il sogno come una
liberazione ignobile. Ma vivo la parte più sordida e più quotidiana della vita reale; e
vivo la parte più intensa e più costante del sogno. Sono come uno schiavo che si
ubriaca durante il riposo: due miserie in un unico corpo...”
“...e Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza…”
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glennmiller
© maurizio semplice
“90-60-90, Jessica Fuxia la playmate di maggio, misure esplosive per esplosive
avventure, intorno alle colline dei suoi seni potrete accampare le tende della vostra
fantasia...”
Glennmiller chiuse le carte in una scatola e rimase a immaginare i tragici
destini dei terrestri, stretti nell’angoscia più profonda della loro vita senza
senso. Questo almeno si ricavava leggendo tutte quelle carte sparse, che
non facevano altro che parlare di angoscia e di paura.
A dire il vero ripensò anche alle colline di Jessica e gli venne voglia di
riesaminarle più da vicino. In quell’istante Rugiada spalancò la porta.
Glennmiller si gettò sul pavimento contorcendosi per il dolore.
- Che è successo Glenn, ti senti male?
Lui strizzò gli occhi tenendo la foto di Jessica accostata al petto.
- Un dolore terribile e improvviso alla pancia, non ti preoccupare non è
niente, preparami cento gocce di Plastilina e lasciami in pace...
La sorellina alzò le spalle e scomparve nel corridoio. Glennmiller si
ricompose e dopo aver rimirato la sua nuova amica di carta, s’infilò nel
letto aspettando la medicina.
undici
Il gran giorno arrivò.
Glennmiller rassicurò sua madre, dicendole che avrebbe intrapreso un
lungo viaggio per andare a trovare il vecchio zio Braghedimela dall’altra
parte del pianeta, scrisse un bigliettino per Uragana, comunicando che era
impossibilitato a partecipare al loro duecentesimo appuntamento, poi
finalmente si recò da McCognac per la partenza.
L’assistente dai capelli rossi era in preda all’agitazione e correva su e giù
per il laboratorio, alternando calcoli spaziali a raccomandazioni materne,
cercando in soffitta dei vecchi ombrelli anti-asteroidi e mazzi di
banconote per poter pagare le necessarie tangenti da distribuire sulla
Terra.
Glennmiller si era accomodato accanto al lampadario, che come in tutte
le case di Xerox non era piantato sul soffitto, ma al centro del pavimento.
Improvvisamente McCognac esclamò: - Sia fatta la volontà delle
Imperscrutabili Predisposizioni del Software Libero, andiamo! Glenn lo
seguì facendosi coraggio.
Arrivarono ai piedi delle rampe che portavano al cielo. Era stato fatto
buio da poco. Si nascosero dietro un creatore di pioggia e attesero che la
squadra tendaggi completasse il suo giro per iniziare a salire. Sotto di loro
si accendevano una a una le luci di Palo Rete; nei loro cuori le speranze
facevano la stessa cosa.
Quando furono in cima, Me Cognac indicò un piccolo abbaino. Prese la
maniglia e fece forza. La luce del sole dall’altra parte gli fece chiudere gli
occhi. S’issarono attraverso l'apertura e in un attimo furono fuori
dall’atmosfera.
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glennmiller
Glennmiller, riparandosi gli occhi con la mano, rimirò l’orizzonte
sconfinato che aveva dinanzi, vide un cumulo di nuvole e la sagoma della
luna che dispettosa vi dondolava sopra.
Poco più lontano scorse la palla terrestre macchiata di panna montata e
strizzando lo sguardo, si volse verso Me Cognac che stava armeggiando
con una grossa fune tesa verso il nulla.
- Datemi una mano - fece quello ansimando e Glenn corse in aiuto.
Iniziarono a tirare la fune, come due vecchi pescatori davanti al mare in
tempesta.
Dopo qualche minuto apparve una vecchia chiatta spaziale piena di muffa
e con le antenne svolazzanti. Tesero le schiene per lo sforzo e la tirarono
in secca.
- Ecco, come vi avevo prospettato, il battello terrestre, il mitico
“Scoriolano III”, da noi catturato per scongiurare le sue mefitiche
missioni. È a sua disposizione.
Glennmiller non sapeva cosa fare e per l’emozione gli cadde il pacchettino
delle medicine che gli aveva preparato la madre. L’involucro rotolò lungo
le superfici lisce del cielo di Xerox e si perse nell’infinito. Glenn lo seguì
con rammarico e salì a bordo. McCognac gli diede una valigetta di
metallo, piena di bussole, vasetti con le più strane marmellate, una pistola
registratore caricata a minacce in diverse lingue, polveri pruriginose e una
radiotrasmittente solare, con cui sarebbero rimasti in contatto. L’altro
accettò la valigetta e chiese come avrebbe fatto a mettere in moto la
navicella.
McCognac consultò un vecchio libretto d’istruzioni appeso allo scafo,
sfogliò velocemente le pagine poi arrossì: - Accidenti, mancano almeno
una decina di fogli... poco male, andiamo a vedere i motori, forse mi
ricordo ancora qualcosa.
© maurizio semplice
costringemmo a mangiarsi tutto il pesce sotto la minaccia dei nostri
cannoncini alla vaniglia, anch’essa marcia. Poi li rispedimmo a casa con un
cartello intorno al collo: “Chi il pesce irresponsabilmente spande, come
niente gli riempie le mutande”.
Ma non vi preoccupate, tenete aperti i finestrini e la puzza se ne andrà
così come è venuta; nei nostri due viaggetti verso la Terra abbiamo
sempre fatto in questa maniera... a proposito, venite a vedere cosa ho
trovato. - disse quello e mostrò un lungo spago che terminava in un
vecchio motore da barca.
- Presto, tiratelo! - continuò eccitato. Glennmiller eseguì senza dire una
parola.
Lo Scoriolano III traballò, tossì e si mise in moto con un balbettio di
lambretta.
- È fatta, è fatta, non lasciate mai lo spago e tenete sempre il timone
dritto, non potete sbagliare, la Terra è lì davanti... Auguri e tornate
vincitore anzi, con la vostra ombra... - disse saltellando McCognac e con
un balzo lasciò la navicella che tremava tutta. Glennmiller levò l'ancora e
partì verso il pianeta che gli sorrideva, proprio davanti agli occhi.
Glennmiller lo seguì fiducioso. Arrivarono in una piccola stanzetta che
odorava di pesce.
- Non sente dottor McCognac, qualcosa di strano nell'aria? - chiese Glenn
turandosi il naso. - Fu il suo ultimo carico, i terrestri tentarono di
scaricare nella nostra atmosfera qualcosa come trentadue bhegatrav di
tonno marcio al mercurio, ma noi li fermammo in tempo e li
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glennmiller
© maurizio semplice
Riprese il viaggio guardandosi intorno, si sentiva quasi come George
Mirage, l’eroe di Xerox, di cui aveva letto qualsiasi tipo di avventura.
dodici
Lo Scoriolano planò leggermente sui flutti scuri dell'universo e
lentamente prese la direzione della Terra. Glennmiller stava dritto al
timone con i capelli svolazzanti e gli occhi fissi sulla plancia devastata del
battello spaziale. Quando il cielo iniziò a diventare sempre più scuro,
entrò sottocoperta e predispose la calotta di polpettilene per proteggersi
dalla solitudine planetaria.
Rimase sveglio tutta la notte con gli occhi incollati all’oblò e scorse con
meraviglia le costellazioni a forma di lacrima che si perdevano in una
distesa di fazzoletti tenebrosi senza inizio né fine. Vide passare due
satelliti innamorati che si rincorrevano saltellando.
Si stupì vedendo una nuvola di palloncini colorati sfrecciare accanto alla
prora. Intravide due strani uccelli appollaiati sull’anello fluorescente di un
pianetino rosso come un cocomero, che facevano le boccacce a un
esemplare di merdolo, imprigionato in una gabbietta di plexiglass. Sfiorò
due testate nucleari che si guardavano in cagnesco e per poco non andò a
cozzare contro gli hangar dove erano custodite le nuvole della pioggia.
Alcuni guardiani, bardati con dei lunghi impermeabili gialli, appena lo
ebbero a tiro, lo colpirono con le loro fionde caricate a grandine.
Glenn strinse il timone impaurito e tirò dritto. Passò a una decina di
migliaia di chilometri dalla Nebulaventosa, che rinfrescava il Sole,
muovendosi a scatti. Sorpassò la costellazione del Carro Attrezzi che
trainava quella del Carro, evidentemente in panne.
A un tratto, uno sciame di calabroni plutovesuviani armati di lunghi
pungiglioni arrugginiti, gli sbarrò la strada. Glenn non si perse d’animo e
azionando delle fatiscenti pompe, li stordì con una terribile fiatata ittica,
partita dalle profonde viscere della navicella.
Il viaggio durò ancora qualche giorno, oltrepassò a fatica una barriera
corallina di rifiuti plastici che i terrestri avevano messo in orbita per
smaltire qualche loro discarica e finalmente giunse nelle vicinanze della
Terra.
McCognac gli aveva detto di gettare l’ancora nella parte occidentale del
pianeta dove, secondo i calcoli, avrebbe trovato sicuramente la propria
ombra. E così fece.
Si sporse di buon mattino dalla navicella e il vento gli pettinò i capelli.
Sotto di lui scorse l’oceano e poco lontano una vasta distesa di grattacieli
bianchi. Un gabbiano curioso gli planò accanto e lui si spaventò. Provò a
scacciarlo con i resti di una canna da pesca, rimasta a bordo dopo la
traversata nell’immondizia, ma quello sghignazzando gli beccò un
orecchio. Fu a quel punto che Glennmiller si rifugiò sotto un barile di
frutti di mare e uscì solo dopo qualche ora, proteggendosi il capo con un
polipo argentato.
Nel frattempo l’oceano sotto di lui era in preda all’agitazione. Onde alte
come un condominio lambivano la navicella. Glenn si fece coraggio,
spiegò le vele rattoppate e si portò a ridosso della terra. Gettò l’ancora
sopra una vecchia struttura metallica e scivolando lungo una fune arrivò
al suolo.
Aprì la valigetta e indossò un impeccabile completo di latta, appartenuto
al nonno. Si passò una mano sulla fronte e guardando dritto nello
schermetto di una bussola stroboscopica, si inoltrò nella selva di palazzi e
automobili che aveva davanti agli occhi.
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glennmiller
© maurizio semplice
tredici
Lo accolse una megalopoli dagli strani idiomi.
Tutti ne parlavano almeno cinque, di cui uno rigorosamente gestuale.
Glennmiller si adeguò subito e cercò di farsi spiegare dove fosse Park
Atratz, il luogo dove secondo i calcoli di Me Cognac, avrebbe sicuramente
ritrovato l’ombra.
Purtroppo il parco giochi era stato smantellato da almeno vent’anni per
costruire un ipermercato e così Glenn non seppe dove andare. Comunque
non si perse d'animo e, anche se terrorizzato, iniziò a esplorare la città che
aveva davanti agli occhi.
Girovagò per qualche tempo finché un giorno vide passare un variopinto
corteo di persone con dei cartelli. Glennmiller si accodò sorridendo. A
metà di quella strana passeggiata si accorse che il gruppetto era composto
da soli bambini. Lui iniziò a muoversi, alzando e abbassando le braccia,
seguendo il ritmo degli slogan. Una ragazza con degli strani occhiali scuri
lo fissò abbassando una bandierina verde. - Ci stai prendendo in giro, o
cosa?
- Perché? È così divertente, dite delle cose così spiritose... - replicò
ridendo Glennmiller.
Ah sì? Becca questa! - esclamò un altro sputando una merendina e
fracassandogli una bottiglietta sulla testa.
Glennmiller si coprì il capo con le mani. In un attimo tutti gli furono
addosso, tempestandolo di calci e pugni. Rimase sdraiato sull’asfalto con
il naso sanguinante e un avvallamento sulla fronte. Una ragazza del
gruppo tornò improvvisamente sui suoi passi. Lui la vide e sbarrò gli
occhi.
- Basta, basta! Sono un turista, non ho capito nulla di quello che stavate
dicendo, non c'era niente di spiritoso, anzi stavate dicendo delle cose
tristissime...
- Sta’ calmo idiota altrimenti quelli tornano e finiscono di massacrarti. Ma
non lo sai che oggi è il giorno della protesta organizzata contro la violenza
degli adulti?
- Cosa? - balbettò Glenn cercando la sua valigetta.
- Ma da dove vieni? Dagli Urali? - disse a bassa voce la ragazza aiutandolo
a rimettersi in piedi.
Glennmiller si rifocillò in un bar insieme alla ragazza, poi sempre insieme
presero una decina di autobus e arrivarono in uno shopping center. La
ragazza frantumò una vetrina a calci e tenendo a bada il proprietario con
una minuscola pistola, prese dal guardaroba un giubbotto borchiato con
squarci sul davanti in stile post-terremoto.
Lui la stava aspettando all’entrata e quando la vide tornare gli venne da
sorridere.
- Scappa idiota, che tra poco ci saranno addosso - urlò la ragazza
mettendo le ali ai piedi.
Corsero a perdifiato attraverso un quartiere abitato da strani personaggi
dall’abito grigio e dalle valigette con la combinazione, che vedendoli si
scansarono schifati, maledicendoli con i loro telefoni cellulari.
In un sottopassaggio invaso dall'immondizia la ragazza, riprendendo fiato,
gli diede il giubbotto. Glennmiller scosse il capo incredulo - Ma non c'era
bisogno di farmi un regalo, ci conosciamo appena, al limite io avrei
dovuto...
- Senti idiota, io non avevo nessuna voglia di farti un regalo, ma è stato
solo perché mi vergognavo ad andare in giro con uno vestito come una
latta di pomodori...
Glennmiller si lisciò il completino del nonno e alzò le spalle. Si rivestì di
tutto punto e insieme riemersero dal sottopassaggio.
Gli uomini grigi erano scomparsi e al loro posto si aggiravano minacciose
le scorte di scorta della potente setta dei Sosia, che a quell’ora
accompagnavano, pistole in pugno, sirene spiegate e mastini sguainati, i
figli dei Sosia a comprare orologi di plastica profumata.
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glennmiller
© maurizio semplice
quattordici
Era tutto sotto controllo, era un sereno pomeriggio di metà millennio.
Dopo qualche giorno, tra una sparatoria e una discreta rissa, Glennmiller
si fece coraggio e chiese alla ragazza come si chiamasse.
Quella scoppiò a ridere e allargò le braccia - Ce ne hai messo del tempo,
mi chiamo Bresne Freesbe... Brefree per gli amici. E tu?
- Io? Mi chiamano Glennmiller...
Non è possibile, è straordinario, è come se mi avessero chiamata, che so?
Mariacallas oppure Janisjoplin. Che droghe usava tuo padre?
Glennmiller sbiancò. Il padre si chiamava Louisarmstrong ed erano anni
che era scappato di casa con la scusa di andare a farsi prendere un
impronta al palato. Forse si drogava per davvero.
Cercò di cambiare discorso. Bresne lo prese per una manica del giubbotto.
- Hai mai rubato una macchina? Adesso ti insegno. .. - Glennmiller non
capì un accidente, ma con insospettata perizia scardinò la portiera di una
voluminosa Armadillac del '96 in doppia fila. Bresne applaudì e si mise
alla guida. Il viaggio fu terrorizzante. La gente per strada scappava a
gambe levate e più di una volta urtarono altre macchine parcheggiate
lungo i marciapiedi. Stravaccati sulle loro motociclette senza ruote,
perché rubate, annoiati poliziotti si limitarono a prendere la targa e a
sospirare nei loro logori fischietti.
Bresne era al massimo della contentezza e Glennmiller era scivolato sotto
il sedile. Quando lei frenò di botto, lui si spiaccicò sui tappetini e
finalmente svenne. Lei lo rianimò a pedate.
- Glenn, siamo arrivati. Io abito qui... - e indicò una fatiscente roulotte
argentata. Tutto intorno altre roulotte e automobili più o meno distrutte.
Glennmiller, traballando scese dall’auto.
- Benvenuto a Dirty Land, anni fa qui ci proiettavano anche i film, poi la
polizia vietò tutto perché si sapeva esattamente quante persone
entravano, ma non quante ne uscissero, vive s’intende. D’altra parte era il
luogo preferito dalle bande per regolare i conti in sospeso. Fu un grande
business per le pompe funebri, un po’ meno per i padroni del cinema. Io
comunque qui ci sono nata. Concepita durante il secondo tempo di un
film di guerra e nata in quella roulotte alla fine di una commedia
sentimentale. I miei genitori mi hanno abbandonata nella macchina per il
popcorn e sono rimasta qui a badare al resto della famiglia...
- Quale resto della famiglia? - chiese Glennmiller scansando un simpatico
bobtail, che si rivelò essere una nutria nucleare in cerca di cibo.
- Vivo insieme ai miei due fratellini Pedro Peyote e Alkaseltzer, sono così
piccoli che quando usano il kalashnikov lo devono fare sempre in coppia,
Alk sale su una scaletta e mette il caricatore, mentre Pedro si arrampica
fino al grilletto e spara. Sono due amori...
Glennmiller era sbalordito. Rifiutò educatamente una sigaretta di hashish
e cercò di saper qualcosa di più preciso sul posto dove era capitato.
Bresne diede qualche risposta annoiata: - È il colmo, siamo nel 2836 e
ancora c’è qualcuno interessato a quello che è successo... Ma dove sei
stato tutti questi anni? In un rifugio antiatomico? Io per fortuna sono
stata sempre all’aria aperta, me ne sono sempre fottuta delle radiazioni,
almeno non mi sono rincoglionita come te...
Glennmiller sorrise educatamente, le sue nefaste supposizioni sulla Terra
erano tutte drammaticamente vere, anzi in qualche punto la fantasia dei
reporter di Xerox era stata ampiamente travalicata dai fatti.
- Ma come non sai che intorno al 2200, l’America fu definitivamente
invasa da messicani e portoricani, che a loro volta lasciarono la loro terra
a filippini e cingalesi assetati di confini e tequila? E che sempre in
quell'anno, gli Stati Stremati d’Africa, rispedirono in Europa gli enormi
quantitativi di long-playing contro la fame nel mondo, affermando che,
nonostante la buona volontà, non erano proprio riusciti a mangiarli; e che
i Russi quindici anni dopo invasero il Brasile con un ponte aereo, perché
non ne potevano più di vivere al freddo?
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glennmiller
E il Giappone, che si disintegrò quando tutte le radio sveglia del paese
suonarono tutte insieme e alla stessa ora il primo accordo di basso di
“Someone, Somewhere in Summertime”? Per non parlare dell'Italia, che
un giorno si risvegliò senza palazzo del governo, svenduto alla mafia,
smontato e rimontato in Svizzera pezzo per pezzo, con tutti i deputati e i
leccaculi dentro per risparmiare scandali, soldi e tempo?
E le guerre del Golfo? replicate ogni volta che bisognava far sgranchire
qualche presidente...
E le Calotte Polari che si sciolsero insieme per spaventare il mondo e
invece furono imprigionate dalla Pepsi Cola per raffreddare le loro enormi
riserve di liquido catramoso? E le battaglie in Medio Oriente, conclusesi
solo dodici anni fa, perché non c’era più nessuno da ammazzare? Non ti
voglio raccontare poi dei terremoti e delle nubi stratossiche che non
volevano più uscire per paura delle alghe, altrimenti ti deprimeresti... Ma
tu Glenn, scusami, dov’eri?
Glennmiller era rimasto con gli occhi sbarrati e la lingua incollata al
palato. Era scivolato nel temuto incubo chiamato “Terra”. Cercò di dire
qualcosa e raccontò di esser stato allevato dentro un monastero alle
pendici del Tibet, al riparo quindi dai rumori del mondo.
Bresne scoppiò a ridere: - Ma che dici, i monaci sono stati i primi a
soccombere per colpa dell’aids e per i loro costumi, non proprio mistici...
- e mimò un gestaccio nell’aria.
- Nel mio monastero godono tutti di ottima salute! - replicò Glenn
sdegnato e rimase in silenzio, anche perché non sapeva più cosa dire.
A quel punto Bresne si alzò e richiamò i fratellini perla cena.
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quindici
Glenn l’aiutò ad accendere il fuoco con due vecchi sedili di un autobus e
si distese sotto la cabina di un tir per gustarsi la sera.
Bresne scongelò un bipede da una scatola di plastica e i due fratellini
arrivarono correndo. Fu a quel punto che accadde una cosa sensazionale.
Le fiamme erano alte non più di due o tre metri e spandevano intorno
delle strane ombre. Glennmiller iniziò a osservarle e sobbalzò sorpreso.
Davanti a sé, vide infatti una sagoma che conosceva benissimo, con i
capelli dritti invano scalfiti dal vento, il naso a punta, le lunghe gambe
accavallate e l’inconfondibile porta telecomando appeso alla cintura.
“Mamma Giada, ma quello sono io, e io sono qui, e allora!?” pensò e
cercò di capire chi proiettasse quell’ombra familiare. Stette qualche
attimo con il fiato sospeso poi, come un cane da siringhe, si mise a seguire
la traccia dell’ombra e arrivò fin sotto i piedi di Bresne.
A quel punto si alzò e fu preso da un indicibile moto di contentezza,
tanto che iniziò a cantare a squarciagola le prime due strofe dell'inno della
sua patria che più o meno faceva cosi:
Oh infimox Xeròx
into the big universomorox
votre gloryglory alleluiax
forever big taradà
de la major estrella
rank rank!*
* Oh mio piccolo Xerox nel grande universo testa di moro la tua gloria rilucente sarà
sempre più grande del luccichio di qualsiasi stella! (N.d.T.)
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glennmiller
Bresne sputando tutta la birra sul fuoco esclamò: - Dove hai imparato
queste porcherie?
Glenn, invece, con lo sguardo da pesce di fogna le si era buttato ai piedi e
tentava di baciarle una mano; lei si spaventò e sussurrò appena:
- Non hai neanche fumato, che ti ha preso?
- Tu non puoi capire, mi hai reso felice! - singhiozzò invece lui cercando
di abbracciarla.
- Lo facciamo fuori Brefree? - chiese educatamente Alkaseltzer salendo su
una vecchia mitragliatrice.
- No, lasciatelo fare è un turista... - disse calma Bresne, poi lo prese per il
colletto e insieme si allontanarono dall’accampamento.
La notte li accolse minacciosa con la sua oscura routine di fuochi
improvvisi e crepitii di armi automatiche.
Stanno sgombrando un asilo... - fece Bresne accennando ai rumori, ma
Glenn non le diede retta, era infatti troppo occupato a rimirare la sua
ombra che appariva e scompariva lungo il marciapiede.
Girovagarono per la città. Bresne se ne stava in silenzio, leggermente
turbata, Glenn invece le camminava un paio di metri dietro e non
perdeva di vista la sua ombra.
A un tratto Bresne si arrestò e si volse.
- Senti idiota, io non ho mai fatto felice nessuno, tanto meno uno come
te, spiegami perché sei così gasato...
© maurizio semplice
sedici
Glennmiller si schiarì la voce, non sapeva da che parte iniziare, ma iniziò:
- Forse non crederai a una parola di quello che sto per dire, ma giuro che
è tutto vero. Io vengo da un altro pianeta, dove possedere l’ombra è un
fatto importantissimo, quasi come per te andare in giro armata, le origini
della mia terra partono proprio da qui, ma sarebbe troppo lungo
raccontartele.
Un bel giorno, anzi un brutto giorno, mi accorsi di aver perso la mia
ombra, o meglio di averne un’altra che, e questo proprio non lo crederai,
era la tua... mi disperai e rischiai di diventare infelice (cosa che da noi è
vietata, ma quando tornerò vedremo come andrà a finire) allora andai dal
professor Zefiro, che era stato arrestato, e incontrai McCognac che mi
preparò al viaggio sulla Terra con lo Scoriolano III... dovevo ritrovare la
mia ombra in mezzo a tutto questo casino e, che il Beato Turn Off sia
lodato, ce l’ho fatta... Tu hai la mia ombra e io la tua, scambiamocela!
Bresne aggrottò le ciglia: - Tu sei completamente pazzo! - Glenn sorrise. Sapevo che non mi avresti creduto, allora guarda... - e si portò sotto un
lampione. Sul marciapiede si disegnò veloce la sua ombra di donna.
Bresne guardò incuriosita. - Sapevo che prima o poi avresti tirato fuori un
trucco per violentarmi, ma stai attento idiota che se provi a sfiorarmi ti
do un calcio in bocca che non riuscirai più a dire nessuna parola con tre
erre di seguito…
- Bresne... - sospirò Glennmiller - Sei la mia unica salvezza, non posso
tornare su Xerox in questo stato, avvicinati e guarda la tua ombra.
La ragazza lo squadrò sospettosa, fece un passo avanti e si lasciò inondare
dalla luce del lampione.
Sul marciapiede si allungarono le loro ombre scambiate.
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glennmiller
- Non riesco a capire cosa ci sia sotto, ma questa non è la mia ombra esclamò Bresne indicandola.
- È una faccenda di campi gravitazionali, anch’io non ho capito molto
bene come sia potuto succedere, comunque... - replicò rassicurante
Glennmiller.
- È strano - commentò Bresne riprendendo a camminare - non avevo mai
fatto caso alla mia ombra prima d’ora. Glennmiller le trotterellò accanto Invece è importantissima. Lei ci segue per tutta la vita, da lei possiamo
intuire la fattezza dei corpi e la loro consistenza, quando muoriamo lei
rimane due ciclostrap a vegliare il corpo che le dava la vita, poi, secondo
quanto racconta il profeta Marco Baleno, vola via leggera e passando
attraverso il cielo specchiato va a vivere sulle nuvole. Ecco perché da noi
una nuvola scura è degna del massimo rispetto...
- Dici un sacco di stronzate Glenn, ma mi piacciono... - disse sorridendo
Bresne e lo baciò sulla bocca.
Glenn arrossì, Uragana aveva fatto una cosa simile solo dopo
cinquantacinque appuntamenti.
- E come si fa a scambiarsi l’ombra? - chiese divertita la ragazza. - Ah
questo proprio non lo so, dovrò informarmi con McCognac via radio. rispose perplesso Glennmiller.
Continuarono a passeggiare parlando del più e del meno, ogni tanto la
strada si riempiva delle risate di Bresne che non riusciva a credere a una
delle parole del povero Glenn e lo prendeva in giro proiettando sul muro
delle oscene ombre cinesi.
© maurizio semplice
diciassette
- Vuoi venire con me? - chiese Bresne sistemandosi il reggiseno
antiproiettile - Devo fare alcune cose in centro... - Glenn si stropicciò gli
occhi e controllò subito che la sua ombra fosse a posto, cioè ai piedi della
ragazza. - Certo - disse sorridendo e fu subito pronto.
Saltarono a bordo dell’Armadillac e in pochi minuti furono in città. A un
semaforo si avvicinarono alcuni tizi con dei panni bagnati per pulire il
parabrezza.
Glenn li vide e si nascose sotto il sedile.
- Scappa, scappa, devono essere delle spie di Xerox che hanno saputo
della mia fuga e vogliono riprendermi, non vedi che usano lo stratagemma
del vetro, non sanno fare altro su quel pianeta...
Bresne rise: - Ma no idiota, quali spie, è normale... - e ripartì sgommando.
Glennmiller riemerse e si tranquillizzò.
- Dimmi la verità Glenn - fece lei sempre sorridendo - cos'è che hai
combinato, traffico d’organi? coca? armi intelligenti? A me puoi dirlo... Traffico di coca intelligente? Ma che sei matta? Io ho solo perso l’ombra,
come devo dirtelo, in marziano?
Bresne rise di nuovo e parcheggiò l’auto davanti a un ufficio postale.
Tu non ti muovere e rimani con il motore acceso - gli intimò Bresne
scomparendo all’interno dell’edificio. Dopo qualche minuto ne uscì con
una busta di plastica.
- Cosa hai combinato questa volta? - chiese Glenn spaventato e un po’
sorpreso di non sentire le urla degli allarmi.
- Niente, ho fatto un bancomat, ho preso qualche pensione...
- Dammi quella busta, ne ho abbastanza delle tue malefatte! - urlò
improvvisamente lui e fece per strapparle l'involucro.
28
glennmiller
Bresne tirò fuori uno spray: - Se provi a toccarmi ti riduco in una
decalcomania...
- Ma tu le hai rubate... - borbottò Glennmiller.
- Ma quali rubate... è il mio lavoro. Porto le pensioni a dei vecchi Plaid
Runner che abitano dall’altra parte della città. Se venissero di persona
sarebbero sicuramente scippati, non vedi che fauna c’è qui intorno?
Glenn arrossì, in effetti dall’altra parte della strada stazionavano alcuni
tatuaggi viventi in posizione da strappo. Bresne mise in moto e quelli si
avvicinarono pericolosamente. Glenn si riaccomodò sotto il sedile.
- Scusami per aver insinuato - disse Glennmiller aiutandola a distribuire i
mazzetti di buoni sconto e assegni di piccolo taglio a una folla di
vecchietti che erano comparsi come d’incanto da un caseggiato senza
finestre.
Non c'è nulla di male - fece lei – d’altra parte devo guadagnarmi qualche
soldo in maniera pulita, altrimenti mi risbattono dentro...
- Allora tu... - balbettò Glenn.
- Nessuno è perfetto mister Ombra Perduta. Se proprio ci tieni, domani ti
porto in metropolitana, così ti faccio vedere come si vive...
- Perché, è così terribile?
Non hai mai sentito parlare del famoso sciopero dei trasporti del '582?
Migliaia di kommercialisti, controllori integralisti, cyberpunkountry,
tangentofili, darkonauti, cerebrolifting, neon-crepuscolari, luparomannari,
rap model, walkmaniaci, guanopresentatori, trentametristi, impiegatti,
pendolunari, extravergini, bankomatti, cocker manager, miopidi,
narcoblateranti rimasero bloccati e non uscirono mai più. Tentarono di
salvarli ma loro aggredivano chiunque si calasse lì sotto e in breve
decisero di rimanere. Ogni tanto se si accosta l’orecchio al marciapiede, si
sentono ancora gli ululati dei freni e di qualche malcapitato che ha
provato a fare un giretto laggiù... oh Glenn, possibile che nella tua città
non accada nulla di tutto questo? Ma dove vivi, in una favola?
- Xerox non è una favola...
- Xerochè? Ma possibile che non ti sei accorto di niente, né delle guerre
che ci sono state né di come è diventato difficile vivere? Possibile che
l'unica cosa importante della tua vita sia un’ombra?
Glennmiller si rabbuiò. Aveva completamente perso il filo del discorso e
la sola cosa che gli era rimasta in mente era quell’ultima frase.
© maurizio semplice
“Eh già, può un’ombra essere poi così importante?” si chiese e subito
dopo aggiunse: - Certo che lo è, altrimenti perché sarei arrivato fin qui?
- Pensavo che fosse stato per me... - sussurrò Bresne risalendo in
macchina.
- Ma in un certo senso lo è, perché tu hai la mia ombra e io se non l’avessi
persa, o meglio... - replicò Glenn e perse nuovamente il filo, mentre lei,
scuotendo la testa, dribblava alcuni rastapasta che tentavano di salire
sull’auto in corsa.
29
glennmiller
© maurizio semplice
diciotto
Trascorsero un paio di giorni e Glenn iniziò a perdere l’iniziale euforia per
il ritrovamento dell’ombra. Non riusciva a mettersi in contatto con
Xerox, Bresne non credeva che fosse venuto da un altro pianeta e cosa
ancora più grave, non ricordava più dove avesse attraccato la navetta
spaziale.
Sprofondò in un preoccupante mutismo e Bresne dovette fare miracoli
per farlo sorridere. Una sera lo portò addirittura sulle rive del fiume
Caught-Caught a vedere la proiezione di un tramonto e un video sulla
primavera. Glenn si emozionò appena e cercò in tutti i modi di mettersi
in contatto con Xerox.
Improvvisamente una notte vi riuscì. La radiotrasmittente, lasciata
accesa, gracchiò delle incomprensibili cifre e dopo un attimo si udì la voce
di McCognac: - Salve Glennmiller, tutto bene?
Glenn balzò in piedi e afferrò l'apparecchio.
- Dottor Me Cognac è proprio lei! Mi aiuti per favore... ho ritrovato
l'ombra ma non so come fare a riprenderla e poi ho dimenticato dove ho
parcheggiato lo Scoriolano...
- Benedetto figliolo immaginavo che foste sbadato, ma non fino a questo
punto! Comunque non c’è problema. Per la navetta annusate il vento:
quando avvertirete il noto olezzo, seguitelo... Per l'ombra sinceramente
consiglierei di arrangiarsi, perché essendo il primo caso, non ho fatto in
tempo a trovare una soluzione... Auguri!
Glenn si rincuorò appena. Bresne saltò giù dal letto e lo sorprese incollato
alla radiotrasmittente.
- Allora Glenn sei riuscito a parlare con il resto della banda?
Lui borbottò qualcosa e si volse. Bresne indossava solo un paio di slip.
Glenn si alzò lentamente e con un dito le sfiorò un seno: - Anche Jessica
Fuxia aveva un paio di queste cose, un po’ più grosse però...
- È la tua ragazza? - sorrise Bresne facendo un passo indietro - No, faceva
parte della mia documentazione… - replicò Glenn avanzando.
Quando le fu a un centimetro dal naso lei chiuse gli occhi e dischiuse le
labbra.
Glenn si arrestò e la guardò perplesso.
- Ti ho fatto molto male?
Bresne spalancò gli occhi stupita.
- Non volevi darmi un bacio?
- Io? Non mi permetterei mai, ma sento qualcosa qui dentro che non
riesco a dominare, una pioggia di stelle crinite che mi fanno uno strano
solletico, una specie di calore che...
Bresne si sfilò gli slip. Glenn rimase di sasso, li raccolse e li rigirò tra le
mani, alzò lo sguardo, la ragazza era sparita dentro alla roulotte. Entrò
strizzando gli occhi e la scorse nella penombra.
In silenzio le si adagiò accanto.
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glennmiller
© maurizio semplice
diciannove
Il mattino dopo Glenn faticò a svegliarsi. Bresne gli scaldò una coca cola
che lui bevve tutta in un fiato, cambiando varie volte espressione del
viso.
Quando si riprese l’abbracciò teneramente.
- Non so bene cosa mi hai fatto fare, ma è stato straordinario, mi è parso
di entrare in un universo scuro e poi volare dentro una nuvola di
asteroidi, sobbalzare e planare cullato dal vento, danzare dentro a una
conchiglia di un fiume e perdermi nella sua corrente...
Bresne, per la prima volta da quando era nata, arrossì e gli toccò la punta
del naso. - Non ho mai sentito dire cose come queste, forse sei proprio un
extraterrestre...
Glenn sorrise e si riadagiò tra le lenzuola. Verso mezzogiorno si alzò e
stirandosi cercò i vestiti tra le miriadi di oggetti sparsi dentro alla
roulotte. Si sentiva leggero e stranamente euforico. Fece qualche passo
fuori, cavò dalla tasca un pezzo di carta che aveva trovato tra i rifiuti il
giorno prima. Lo srotolò e guardando fisso verso il cielo recitò: “Sei
l'unica cosa che l'uomo non è riuscito a cambiare, almeno così sembra.
Dall’inizio dei tempi ci accompagni sempre eguale a te stesso, mantieni
nella nostra memoria lo stesso spazio che riserviamo alle gioie assolute, a
tutte quelle che non è possibile dimenticare”.
Uno strano tizio che stava rovistando tra le immondizie si volse di scatto.
- Ma tu hai pensato! Dio sia lodato, non tutto è perduto. Come sei finito
in quest'inferno figliuolo?
Glennmiller si volse e vide la sagoma di un vecchio lacero, coperto da un
pastrano marrone, tenuto in vita da un fil di ferro.
Sorrise e allargò le braccia e il vecchio si fece avanti. Ad un tratto alle sue
spalle comparve, come d’incanto una Thundra Olocaust 5800, con i
parabisonti ammaccati e dieci fari antitempesta accesi. Il vecchio fece per
scappare, ma il fuoristrada con una manovra da telefilm gli sbarrò la
strada. Cinque figuri saltarono giù armati di fionda e mazze. Glennmiller
divenne cinerino per la paura e decise di svenire entro pochi secondi.
- Caro professore, tutto bene? - fece il primo, che aveva la faccia dipinta
di giallo e una cicatrice color malva che gli attraversava il viso come una
chiusura lampo. Il vecchio sorrise e balbettò qualcosa in latino.
- Le avevamo detto di non farsi più vedere da queste parti, invece lei
deve essere diventato improvvisamente sordo - continuò un altro che si
era sfilato l’occhio di vetro e se lo stava lucidando con un fazzoletto.
- Mi scuso, ho sconfinato, ma dalle mie parti non si trova più niente da
mangiare... - sussurrò il vecchio.
- Ma come, lei non era quello che si nutriva di spirito, non mi dica che nei
bidoni della spazzatura riesce a trovare qualcosa di più nutriente...
- Beh, me ne vado subito... - fece sorridendo il vecchio e provò a fare un
passetto indietro.
- Un momento, non ce ne frega un cazzo della tua dieta... - gli urlò in
faccia un anabolizzato che si era tenuto in disparte, calandogli sul viso un
manrovescio.
- Spiegaci piuttosto cosa ti sei messo a spacciare ultimamente, lo sai che
Bhrodho, che di solito si riforniva da te, si è rimbecillito del tutto e ora se
ne va in giro vestito da suora a distribuire centrini ricamati e ha
addirittura imparato a leggere!?
- Einstein deve aver sbagliato le dosi, l’ho visto un po’ distratto negli
ultimi tempi... - si scusò il vecchio, ma quello gli fu presto addosso
tempestandolo di pugni e calci.
Gli altri lo lasciarono fare annuendo come monaci dinanzi a una
spiegazione sull’esistenza di Dio. Fu in quell'attimo che Glennmiller si
scosse. Impugnò la sua pistola caricata a minacce e l’azionò. Venne fuori
uno strepito in arabo e quelli si arrestarono. Fece allora uno strano
movimento e in un balzo s’infilò nella gigantesca jeep, che era stata
lasciata con le portiere spalancate.
Girò la chiave e ingranò la marcia. Il fuoristrada ruggì e schizzò in avanti.
Glenn si accartocciò sul volante, come alle prese con un cavallo da rodeo,
31
glennmiller
e puntò il gruppetto. Volarono tutti come birilli e Glennmiller, frenando
di botto, riuscì a trascinare il vecchio sul sedile.
Poi innestando la retromarcia cercò di abbattere quello con la cicatrice
color malva che si agitava sull’asfalto. Lo mancò per un pelo e distrusse
un cassonetto per l’immondizia. Solo allora, in preda all’eccitazione, mise
la prima e si dileguò, insieme al vecchio terrorizzato, verso l’altro lato
della città.
- Dove hai imparato queste cose? - chiese il vecchio indicando a
Glennmiller uno spiazzo dove fermarsi.
- Me le ha insegnate Bresne, prima di allora non avevo mai guidato
un’automobile...
Il vecchio ridivenne pallido: - Beh, allora vi devo, a te e a questa Bresne,
diciamo... la vita... anche se non vale molto...
Glenn lo fissò incuriosito. - Scusami dovrei presentarmi: Clyde
Moonlight, uomo in pensione forzata... - disse solenne il vecchio e tese la
mano unta verso Glennmiller che contraccambiò. Abbandonarono la jeep
e si inoltrarono in un parco pubblico, accomodandosi sopra i resti di una
panchina.
- Stavi dicendo delle cose molto interessanti, dove le hai sentite?
Glenn sorrise: - Non ci vedo nulla di così straordinario signor Clyde...
- Ma stai scherzando? Lo sai che io fui cacciato dall'università perché
sostenni che nessuno era più in grado di rivolgere un pensiero verso il
cielo, la natura o verso sé stessi. Fui accusato di essere un intralcio al
progresso, che insegnavo ai ragazzi la riflessione senza prassi, la pura
contemplazione?
- Cosa insegnava signor Clyde? - Chiese Glennmiller interessato.
- Avevo una cattedra di Filosofia della Coscienza alla Blasfemy University
di Stalagmytown...
- Interessante - mormorò Glenn e quello continuò assorto.
- Dopo la filosofia della scienza iniziai a sviluppare quella della coscienza,
che avevo intuito essersi persa lungo tutto il processo di espansione
tecnologica. Che senso aveva andarsene un weekend sulla luna e tornare
in un mondo così ridotto? Ma erano gli anni del “Pensiero Floscio”,
succedutosi dopo varie traversie a quello “Debole” e le mie
preoccupazioni furono facilmente preda dell'ironia. Decisi di dare una
© maurizio semplice
svolta alle mie teorie e iniziai i miei corsi con “Propedeutica al
Ripensamento: una teoria negletta” al posto del mio usuale “Siamo belli,
siamo tanti, un tetrabyte a tutti quanti!”.
Fu un vero insuccesso. Ricordo che scrissi sulla video lavagna “So di non
sapere” e subito qualcuno replicò “Allora vattene, beccaccione! Noi
abbiamo pagato!” Io non mi scoraggiai e iniziai a raccontare di un uomo
che più di un paio di millenni fa aveva consacrato la propria vita alla
ricerca del bene e ne aveva fatto la sua strana religione, trasformando il
dialogo in pura sinfonia. Trovare qualcuno che era certo di possedere
certezze lo eccitava fino alle lacrime e quasi sempre dopo essersele
asciugate, iniziava a rimettere tutto in discussione.
Qualcuno si alzò dall’aula e se ne andò sbattendo la porta. In quel
momento mi sentii come quell’uomo dal peplo spiegazzato e scrissi,
stavolta su una vecchia lavagna:
“Ma ormai è ora dipartire: io verso la morte, voi verso la vita. Chi di noi cammini a
una meta superiore, è buio per chiunque: non per il mio dio.”.
Fui subissato dai fischi, evidentemente preferivano la certezza di un
freddo tetrabyte a quella del non sapere.
Il preside della facoltà mi pregò di riprendere i corsi di sempre, perché
quelli sul puro pensiero non interessavano a nessuno e potevano, alla
lunga, essere anche pericolosi. Io rifiutai sdegnato e feci entrare una folata
di smog turchese dalla finestra per dimostrargli cosa aveva prodotto la
scienza senza pensiero. Lui mi accompagnò fuori dal college e dandomi
una pacca sulla spalla mi disse “Si faccia una bella doccia professor
Moonlight e non ci pensi più...”. Io feci la doccia e loro non pensarono
più a me, tanto che ora passeggio in questo fango per mettere insieme
qualcosa che mi ricordi il pranzo...
Glenn era divenuto pensieroso. - Conosco anch’io una storia analoga
accaduta dalle mie parti a un certo Zefiro. Uno spiacevole
fraintendimento che spero di chiarire appena tornato.
- A proposito, - chiese dopo una pausa Glennmiller - cosa volevano da lei
quei tizi? Ho sentito che parlavano di spaccio...
Il professore tossì e si lisciò il mento.
- È una vecchia storia, devi sapere che per arrotondare la pensione, mi
sono messo, insieme ad un mio vecchio amico, un professore di chimica, a
32
glennmiller
spacciare adrenalina. Il mercato è buono, ma bisogna stare attenti, questi
energumeni hanno bisogno di dosi sempre più forti e qualche volta siamo
costretti a tagliarla con qualche pasticca di Ecstasy di Santa Teresa, che
riproduciamo in laboratorio. Naturalmente i risultati non tardano a farsi
sentire... Ecco, diciamo che erano venuti per ricordarmi di usare le dosi
giuste...
- Lei fa proprio una vitaccia - commentò Glennmiller mentre quello fece
luccicare una lacrima in mezzo alla barba grigia.
Glenn lo rassicurò: - Perché non pensa di venire nella nostra università,
un corso di quel genere sarebbe molto apprezzato dai nostri studenti...
Magari fosse così facile! Qualche anno fa avrei accettato senza pensarci,
ma ora sono molto stanco, non è facile vivere in questi posti. Comunque
io sono fiducioso, morirò prima della catastrofe. - borbottò l’altro. Glenn
chiese preoccupato di cosa si trattasse.
- Niente di particolare figliolo, una catastrofe qualunque, la natura ne è
prodiga, perché devi sapere che sarà la termodinamica e non l’etica a
decidere del nostro destino... - disse solennemente Clyde Moonlight
chiudendosi in uno spesso silenzio.
© maurizio semplice
Glenn lo seguì con lo sguardo fino a una montagnola di rottami e
sorridendo tornò verso la roulotte.
Glenn annuì e gli offrì gli avanzi del bipede della sera prima e lui per
l’emozione di riassaggiare del cibo vero, recitò una sua poesia, che parlava
di un pittore innamorato di una nuvola, sempre pronto a farle un ritratto,
ma sfortunato com’era, capitò nel periodo delle piogge acide e dipinse
solo un cielo stemperato di verderame, tanto che la nuvola se la prese a
male e lo piantò per un product manager.
- È molto bella - disse Glennmiller. – No è una merda… ma grazie lo
stesso – disse l'altro e lo salutò.
- Spero di rivederti presto, mi interessano molto i tuoi discorsi
sull’immutabilità del cielo, sicuramente sono la cosa più sensata che ho
sentito negli ultimi anni, arrivederci.
Glenn sorrise. - Quella frase non è mia, stava dentro una scatola di
cioccolatini...
- Fa lo stesso... - replicò il vecchio - È come se adesso fosse tua,
conservala.
33
glennmiller
© maurizio semplice
venti
Mentre stava riordinando la sua valigetta, lo colpì qualcosa che gli si
agitava davanti agli occhi. Iniziò a muoversi molto lentamente, poi
scoppiò in una grossa risata: - È fatta, è fatta, ho di nuovo la mia ombra! e iniziò a ballare gettando le gambe all'aria. In quel momento arrivò
Bresne che aveva fatto un salto al commissariato per un accertamento.
Glenn le corse incontro: - Bresne è magnifico, guarda! - e iniziò a
passeggiare su e giù, proiettando la propria ombra sul terreno. - Come è
potuto succedere, guarda, anch’io ho di nuovo la mia! - balbettò Bresne
emozionata.
- Forse è stata quella cosa che mi hai fatto fare durante la notte, non c’è
altra spiegazione, la mia missione è compiuta... - argomentò pieno di
entusiasmo Glennmiller. Bresne si sedette sullo scalino della roulotte e
scoppiò a piangere.
- Allora adesso che ti sei ripreso l'ombra, te ne andrai, accidenti a me,
siete tutti uguali voi uomini, in tutte le parti dell'universo!
Glennmiller smise di ridere e l’abbracciò.
- Bresne non fare così...
La ragazza si divincolò.
- Ma non l'hai capito idiota che ti voglio bene?
Glenn rimase di sale.
Cercò di dire qualcosa ma tutte le parole gli morirono tra le labbra. Non
aveva assolutamente previsto una cosa del genere e a quel punto non
riusciva a immaginare le ipotesi di tornare su Xerox senza Bresne, o di
rimanere con lei sulla Terra.
Proprio in quel momento la radiotrasmittente si accese.
- Sono McCognac, tutto bene signor Glenn?
- Insomma... - balbettò quello e chiese che tempo facesse su Xerox.
- Che stupidaggini andate dicendo? lo sapete che c’è sempre il sole qui da
noi... piuttosto volevo avvisarvi che siamo in fase di allontanamento dalla
Terra e che avete al massimo un paio di fantacollant di tempo per
ripartire, a presto.
Glenn era sempre più confuso. Guardò Bresne che stava stendendo le sue
microgonne di cuoio nero su un lungo cavo del telefono.
Si alzò in piedi e fece deciso: - Te la sentiresti di venire con me?
- E dove? - chiese la ragazza senza staccare gli occhi dal cavo.
- Sul mio pianeta: Xerox.
Bresne scosse la testa: - Tanto non ti credo più Glenn, mi hai ingannata
abbastanza con la storia delle ombre e con tutto quello che mi hai
raccontato sull’amore e sui sentimenti. Mi hai fatto credere a cose che
non avevo mai conosciuto, ma che mi è sembrato di averle avute sempre
dentro di me. E io stavo quasi per darti retta. Adesso vattene, hai riavuto
la tua ombra, puoi dirti soddisfatto, o no?
Glenn non sapeva cosa dire, provò ad avvicinarsi e a sfiorarla con un fiore
di plurimetano, ma lei lo guardò storto.
- Non credevo che per colpa di un ombra si potesse soffrire tanto... sussurrò Glennmiller.
- Ma brutto imbecille, l'hai detto tu che è una cosa importante, che da
una semplice ombra si può intuire la consistenza di una realtà, ti sei già
dimenticato? – s’infuriò Bresne tirandogli una molletta a forma di
paperino.
Glenn guardò tra le nuvole e scorse un luccichio lontano.
Guarda Bresne, è lassù, non è poi così lontano. - La ragazza gli venne
sotto il naso - Va all'inferno idiota, spero che un giorno possa
innamorarti! - e saltò sull’auto facendola sgommare.
Glenn rimase due giorni nell’accampamento sperando di rivederla, ma
senza successo.
A malincuore tracciò sui vetri della roulotte una frase d’addio e poi
fiutando l'aria come gli aveva consigliato Me Cognac, cercò di capire
quale fosse la strada per arrivare al battello spaziale.
Lo ritrovò, infatti, qualche giorno dopo in cima a un grattacielo
grigiastro.
34
glennmiller
Era pieno di graffiti e disegni osceni fatti con lo spray e svolazzava lento
intorno a una mega antenna per la televisione.
Approfittando della notte scalò la muraglia di cemento armato e salì a
bordo.
Il vascello era stato trasformato in un ristorante vegetariano e dovette
combattere come una furia per liberarlo. Alla fine, ferito di striscio da una
carota, ebbe la meglio e si affrettò a partire.
Tagliando alcune funi, si accorse che era impregnato di nuovi odori e
quasi rimpianse la familiare puzza di pesce. Lo mise in moto al primo
colpo e mentre scioglieva l’ultimo nodo indugiò un istante, immaginando
di vedere arrivare Bresne dal fondo della strada.
Provò una pena immensa e comprese di esserne innamorato. Non riuscì a
capire come fosse stato possibile e soprattutto di averlo percepito tramite
la sua assenza.
Prese un foglietto dal diario di bordo e rimirando la vasta distesa di
cemento che aveva intorno annotò:
Amo l'ombra
perché spesso è un 'assenza
Amo quest'assenza
perché sono certo è piena di te
Poi ne fece un aeroplanino e lo lasciò cadere da un oblò. Il messaggio
planò come una foglia secca in mezzo al vento e si posò sull’unica aiuola
della città. Glenn lo seguì con lo sguardo, lo vide adagiarsi in mezzo a un
superstite cespuglio di ginestre, stranamente autentiche, poi tirando su
con il naso, volò via.
© maurizio semplice
ventuno
Il viaggio di ritorno fu tranquillo, disturbato appena da un corteo di
ultravip terrestri di ritorno dalle loro vacanze su Mercurio.
Glenn sorpassò a destra la lunga fila di volvoshuttle e stercorarie station
wagon e prese la strada per Xerox.
Mentre era impegnato a non perdere di vista il puntino luminoso che
aveva davanti, gli rivenne in mente Bresne.
Si volse verso la Terra e provò una indescrivibile nostalgia. Ma il suo
destino era lassù, sotto gli specchi caldi di Xerox e nella tranquilla
atmosfera che si respirava in Piazza Mastro Alves la domenica sera. Al
confronto la Terra era un vero e proprio inferno. Però in quell’inferno
aveva conosciuto Bresne e iniziava a farsene una ragione. A un tratto
afferrò il timone con tutte e due le mani e tentò una paurosa sterzata, per
tornare indietro.
Lo Scoriolano si piegò in due ma continuò inaspettatamente la sua rotta.
Provò addirittura a sporgersi a prua per dirigere le vele in maniera
contraria, ma non ci fu nulla da fare: il battello sembrava telecomandato e
non rispondeva ai comandi. Molto più tardi comprese di esser finito in un
canalone magnetico che rendeva inutile qualsiasi manovra.
Glennmiller si rassegnò e iniziò a predisporre il conto alla rovescia per
sbarcare su Xerox.
Ogni tanto, mentre arrotolava le vele, ridotte ormai come un vecchio
calzino, guardava la sua ombra e canticchiava “Bresne, my little Bresne”
ad alta voce, malinconicamente.
Prima era stato infelice perché aveva perso l’ombra, ora perché si era
innamorato di una ragazza terrestre. Gli parve di aver afferrato un nuovo
concetto della vita, fino a quel momento completamente sconosciuto: per
35
glennmiller
poter essere veramente felice, lottare per esserlo, bisognava aver diritto
all’infelicità, viverla per superarla. Forse semplicemente vivere. Non era
questione dì specchi, ombre, corruzioni, prostituzioni intellettuali, guerre
economiche e inquinamenti in grande stile, era qualcosa che risiedeva da
sempre nello spirito umano, che millenni di domande non avevano mai
cancellato, anzi riproposto sempre in una forme nuove. Si poteva
ignorarne beatamente l’esistenza, vietarla, così come avevano fatto i saggi,
oppure conviverci giorno per giorno come facevano da sempre sulla Terra
e forse, pensò, fosse la cosa più giusta di tutte.
Nel frattempo, fluttuando e riflettendo era giunto a ridosso del cielo
luccicante di Xerox e, distratto dai suoi pensieri, tamponò una navicella
della sorveglianza fiutando improvvisamente, odore di guai.
Difatti i due vigilantes gli fecero segno di accostarsi. Lui allargò le braccia
sorridendo. I due salirono a bordo e perquisirono la navicella.
- Nome?
- Glennmiller di Louisarmstrong...
- Residenza?
- Riviera, Si bemolle, numero 13.
- Ombra?
- Eccola.
- Che fate su questo battello terrestre, senza revisione e senza permesso di
viaggio cosmico?
- Questo non posso dirvelo.
- E perché mai?
- Perché è una faccenda molto delicata e vorrei parlare solo alla presenza
delle autorità.
- Per così poco... Mi dia i polsi e lasci quella valigetta.
Glennmiller lasciò fare.
Ricoverarono lo Scoriolano in una piazzola e insieme ai vigilantes varcò il
cielo di Xerox, dove si apriva il Grande Pertugio Celeste.
Provava una strana felicità e nello stesso tempo la paura di non essere
creduto.
© maurizio semplice
ventidue
Lo condussero in una grande stanza bianca dove riempì dei tabulati con i
suoi dati di nascita e subito dopo gli fecero fare una doccia dentro a una
capsula trasparente, per togliere la sporcizia del cosmo che gli aveva
annerito il viso.
Quando fu pronto gli diedero una maglietta a stelle e strisce e lo
introdussero da Fuji Feijoada, il saggio che amministrava la giustizia, che
iniziò a interrogarlo.
- Perché è andato sulla Terra?
- La mia ombra era fuggita via.
- Non dica idiozie, le ombre non scappano, penso piuttosto che fosse lei a
voler fuggire.
- Allora perché sarei tornato?
- Questo me lo deve dire lei...
- Quello che ho detto è la verità, non so come sia potuto accadere, ma la
mia ombra si era scambiata con quella di una terrestre, e proprio per non
volere contravvenire alla costituzione ho affrontato quel rischioso
viaggio...
- Mi dicono che la sua ombra è a posto.
- Adesso sì, grazie a Dio.
- Come ha detto scusi?
- Nulla, mi ero confuso...
- Io credo che lei sia una spia dei terrestri.
E perché mai?
Ma per preparare un’invasione, infettarci, colonizzarci e sterminarci. È
senza dubbio la cosa che gli riesce meglio, non hanno fatto altro per
millenni, noi li conosciamo a sufficienza e possiamo dirci certi di questa
36
glennmiller
teoria, e chi all’inizio, decise la difesa a ogni costo, lo fece per pura
cognizione di causa...
- No, mi lasci spiegare... se voi conoscete tutte queste cose, allora sapete
bene che noi discendiamo da loro e che ciclicamente capitiamo davanti
alla Terra, la sua forza gravitazionale è millegraf volte superiore alla
nostra e succede che lei si porti sulla sua superficie qualcosa di noi, forse
per nostalgia...
- Chi le ha detto queste cose?
- Voi le avete ascoltate da Zefiro e io dal dottor McCognac.
- L'avevo immaginato...
- Come?
- Siete una banda di sovversivi, ma per fortuna vi abbiamo scoperto in
tempo. Le conosco bene iole teorie di Zefiro e di quell’ubriacone del suo
assistente. Preannunciare la riappropriazione degli stati d’animo e la libera
circolazione del pensiero, è questo che volete? Ma siete pazzi? Sono
seicento anni che ci tramandiamo l’armonia attraverso la conservazione
delle idee primarie che sono “Ordine-Civiltà-Felicità” E cosa sareste stati
voi senza una guida? Delle sbiadite copie terrestri che non hanno fatto
nulla per migliorarsi. Siete degli ingrati, privi di scrupoli...
- Ma allora è esattamente tutto come sulla Terra?
- Almeno respirate aria pulita e non rischiate la vita la domenica allo
stadio...
- E questa la chiamate libertà?
- Imparammo dai nostri padri creatori che la libertà può essere l’inizio di
molti mali, se essa non viene accompagnata da salde regole di raziocinio...
- Però voi fate quello che volete...
- Qualche beneficio lo dobbiamo pure avere caro ragazzo...
- È incredibile...
- No, è tutto normale. Ora le voglio fare una proposta. Quando
celebreremo il processo a Zefiro, cioè dopodomani, lei sarà chiamato a
testimoniare e dovrà dire che le sue congetture sono totalmente sbagliate,
che le sue fisime sull’infelicità provengono più dalla sclerosi che dalla
scienza e che lei è una sua vittima inconsapevole...
- Ma non è vero. Se non avessi dato retta a quelle che voi chiamate
fisime, io sarei ancora con quell’ombra sbagliata...
- Meglio avere un’ombra sbagliata che non averla per niente.
© maurizio semplice
- Cosa vuol dire?
- Lei è un ragazzo molto intelligente, ci pensi. - disse sereno il saggio Fuji,
strizzando il suo sguardo mandorlato.
Quella notte Glenn fu chiuso in una piccola stanza piena di scritte e
annotazioni sui muri. Trascorse tutto il tempo a leggerle:
“I saggi hanno più corna che tutte le cosmilumache messe insieme”
“Fuji è l'imbecille più intelligente di Xerox”
“Torneremo in A”
“Batman frocio”
“Meglio un ombretto oggi che un ombra domani”
“Che la Scorza sia con voi!”
“Urano, Saturno, Plutone, vi siete mangiati tutto, farete indigestione...”
“Tatum figlio di una eclissi”
Glenn terminò di decifrare le frasi, poi prese un cucchiaio e incise anche
la sua: “Bresne ti amo”.
La immaginò per un istante e pieno di nostalgia, si adagiò sul lettino
immacolato che costituiva l’unico arredo della stanza e rimase con gli
occhi fissi sul soffitto.
Al buio ripensò al suo viaggio sulla Terra, al viso di quella ragazza, alle sue
lacrime improvvise, alla sua voce mossa dall’ira. Doveva fare qualcosa per
rivederla, ma al momento era già molto difficile pensare al suo futuro
prossimo...
Si addormentò a fatica e nel sonno, sognò di dormire.
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glennmiller
© maurizio semplice
ventitre
L’aula di giustizia era una grossa sala circolare. Dall’alto scendevano
minacciosi microfoni argentati e tutto intorno erano disposte delle panche
che si muovevano lentamente, come una giostra.
Glenn fu fatto sedere al centro. Riconobbe in un lato il professor Zefiro e
in quello opposto McCognac.
Dopo qualche minuto, uno a uno, entrarono i Venti Saggi, si disposero
sulle panche e iniziarono a girare.
Glenn rabbrividì.
Un microfono calò rapido sulla sua testa e lo mancò di qualche
centimetro.
Fuji si alzò in piedi e guardandolo fisso iniziò:
- Purtroppo cari amici, siamo qui riuniti per esaminare questo anomalo
caso di incoerenza ed illusione, possa la nostra lucida ragionevolezza far
comprendere a questi concittadini quanto loro si sbaglino ad affermare
concetti privi di qualsiasi principio morale. Invochiamo la infallibile
protezione del vetusto ma sempre venerato manuale di istruzioni IBM
release Apocalypse 2.1.X e preghiamo: “... in caso di danneggiamento dei
dischetti, predisponete i programmi nella sezione denominata write and
copy, digitate le cifre che si evidenzieranno in verde sul vostro schermo e
attendete; solo così essi saranno salvi, per gli hardware, per i software, per
il silicio che ci dà la vita, amen”.
Tutti i saggi tracciarono un segno concentrico nell’aria: il processo era
iniziato.
Prese la parola il pallido Marimba, che si espresse con lunghi giri di parole
per convincere i suoi colleghi della colpevolezza totale di Zefiro e della
buona fede tradita degli altri due. Fuji scrisse tutto su un foglietto e lo
mise in un’urna.
Fu la volta poi di Aristofante. Argomentò in mezzo minuto il delitto di
Zefiro e McCognac e la grave responsabilità di Glennmiller. Fuji
introdusse rapido il suo giudizio nell’urna. Si andò avanti per qualche ora.
Inaspettatamente verso la fine qualche saggio addossò tutte le
responsabilità su Glenn e la cosa iniziò a ingarbugliarsi.
A un tratto McCognac si alzò in piedi urlando: - Questo non è un regolare
processo, ma una buffonata, non ci date neanche la possibilità di
difenderci, se l’avessi saputo non sarei venuto!
- Giusto, giusto - gli fece eco Zefiro - Ci state trattando come i peggiori
criminali terrestri, però mi sembra che a quelli sia concesso il beneficio del
pentimento, perché non vi interessa il nostro punto di vista?
- Perché è il vostro... non il nostro, che senso avrebbe darvi retta, in
nessuna parte del cosmo si è vista la giustizia amministrata dai deboli e
questo è un processo, mica una riunione condominiale! - replicò Fuji
battendo il pugno sull'urna.
- Non scaldatevi fratelli - disse calmo Brunello – l’urna darà il responso, il
foglietto che sarà estratto conterrà il giudizio esatto, la saggezza ha
guidato le nostre parole, il destino illuminerà il giudizio finale...
- Ma così non vale, date anche a noi la possibilità di inserire nell’urna il
giudizio su noi stessi - disse sbracciandosi McCognac.
Questo non è possibile, i giudizi su di noi, detti da noi stessi, sono
notoriamente falsi. - spiegò di nuovo Brunello.
- Un attimo, un attimo... - urlò Glennmiller che fino a quel momento era
rimasto in silenzio. - La colpa non è né di Zefiro né di McCognac, quello
che loro avevano scoperto, voi lo conoscevate da sempre. L’infelicità
esiste, ma non è vietandola che potrete cancellarne l’essenza. La storia
dell’ombra ve la siete inventata solo per controllarci meglio, ma anche
quella è pura illusione, guardate qui...
E alzandosi di scatto iniziò a proiettare sul muro le ombre cinesi che gli
aveva insegnato Bresne. Tutti, compreso il professor Zefiro, si lasciarono
sfuggire una esclamazione di stupore. Glenn stava incrinando un principio
fondamentale di Xerox.
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glennmiller
Nel silenzio totale dell’aula, riprese: - Allora cari Saggi, spiegatemi se non
è la pura illusione che anima la nostra vita e non la certezza di cui andate
tanto fieri! Non c’è nulla che possa durare più a lungo di un pensiero...
- Basta! - esclamò Aristofante - Non abbiamo neanche bisogno di
consultare l’urna, Glennmiller, siete una mente malvagia!
Tutti i saggi annuirono e si ritirarono, non prima di aver fatto un’altro
giro intorno allo smarrito colpevole.
Il microfono fu ritirato e Glenn si risedette sullo sgabello. Si sentiva
stranamente leggero, come se le sue parole avessero portato via tutti i
dubbi e i rimorsi che gli opprimevano il cuore. Si guardò intorno
sconsolato e cercò negli occhi lontani del professor Zefiro, qualche cenno
d’incoraggiamento. Quello, dall'altro lato della sala, gli fece segno di
sorridere.
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ventiquattro
Glennmiller rimase ben presto solo nell’aula.
Era paonazzo e il pensiero corse a Bresne. Due guardie lo prelevarono, gli
tolsero la maglietta a stelle e strisce da imputato e gli diedero quella
tricolore da colpevole, poi lo accompagnarono a casa.
Infatti tutte le pene su Xerox si scontavano nei propri alloggi, non
essendo mai state costruite delle carceri. A dire il vero, vista la
straordinaria colpa di Glennmiller, qualcuno propose di edificarne una
nuova di zecca, a tre piani, magari anche con il braccio della morte, ma
poi non se ne fece nulla.
Zefiro fu trasferito in una piantagione di compact-disc, dove rimase a
lavorare per due anni, mentre il suo assistente fu condannato al tremendo
supplizio della “Chitarra elettrica”, una pena di moda alla fine del primo
millennio terrestre, detto anche dell’Archeorock.
Il “Planetario”, uscito in edizione speciale, riportò come suo costume, le
versioni governative del fatto e Glennmiller fu pubblicamente accusato di
“Frode, Illusionismo, Piagnisteo, Tristezza, Vilipendio al Manuale IBM”.
Per non parlare poi di Uragana che tentò di aggredirlo varie volte nel
cortile di casa.
La sua esistenza fu in breve segnata. La madre e la sorella furono
alloggiate in un albergo, per far provare al detenuto la solitudine culinaria
e la durezza delle pulizie domenicali.
A dire il vero, mamma Giada andava a trovarlo tutte le sere e durante una
di queste visite, lui tentò una specie di fuga vestito da nonna, ma fu
subito rintracciato e riportato a casa. Vietarono alla madre di fargli visita
e inasprirono la pena in maniera terribile. Gli installarono, infatti, un
televisore con il telecomando bloccato, che gli rimandava le
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glennmiller
impressionanti immagini di alcuni programmi a premi e reality della tv
terrestre.
Glenn si rassegnò presto e tentò la strada della buona condotta.
Un anno dopo i Saggi vararono solo per lui un'amnistia straordinaria, e fu
così restituito alla vita civile.
Ma Glenn era irrimediabilmente cambiato.
Parlava pochissimo e si era fatto crescere la barba. Aveva preso il vezzo di
vestirsi con un costume da super-eroe e se ne andava in giro a raccontare
ai bambini quello che aveva visto sulla Terra e quando quelli scappavano
via terrorizzati, lui esplodeva in grosse risate. Declamava ad alta voce
brani di poeti terrestri da sempre tenuti nascosti, si metteva un cuscino
sotto la giacca per simulare una gobba e ingannare così i vigilantes quando
gli controllavano l’ombra.
Tutti finirono per considerarlo pazzo e a tollerarlo bonariamente. Era
solo e sconfitto, triste da morire e perdutamente innamorato di Bresne. Si
diede alle spremute di mastrolindo e a fumare delle lunghe spighe di grano
sintetico, finché un giorno, tra l’indifferenza generale, cadde ammalato.
La madre fece di tutto per farlo ricoverare alla “Mater File” l’unica clinica
di Xerox specializzata in problemi mentali, anche se Glenn accusava
evidenti sintomi di “nostalgia”, una malattia sconosciuta su Xerox.
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- Glenn, ti ricordi di me?
Lui lo guardò appena.
- Volevo dirti una cosa che mi tormenta da molto tempo. Quando tu
proiettasti quelle ombre sul muro, io mi resi conto che avresti potuto
frantumare tutte le nostre certezze. Improvvisamente la scienza, la
morale, la nostra morale e la vita stessa mi parvero delle costruzioni
imperfette, ma tacqui.
Darti ragione in quel momento avrebbe significato l’inizio della nostra
fine e perché? Per mettere degli altri al posto nostro? Il potere è uguale
per tutti, chi ci arriva si acceca, e non vede più nessuno. Non sarebbe
cambiato nulla. Invece è dentro di me che è cambiato qualcosa e forse per
merito tuo. Sono riuscito a capire che l’amore nasce dall’imperfezione e
non dalla certezza, che si può apprezzare anche l’infelicità profonda di
non essere compreso e forse sono qui per questo, per dirti grazie, anche se
non serve a nulla e il male fatto non può essere riparato... Grazie.
Glenn si volse verso la parete e chiudendo gli occhi riprese a cantare
sottovoce: “... ma l'America è lontana, dall’altra parte della luna...”
Fuji si alzò lentamente, lo guardò assorto per qualche minuto poi si volse
e uscì dalla stanza.
Dopo qualche tempo, Glenn scivolò in una specie di torpore cosciente,
dove alternava giornate di grossa euforia a lunghi periodi di catalessi
medianica.
I medici proposero di trasferirlo sulle benefiche colline di Profitterol, ma
lui rifiutò legandosi allo sciacquone del gabinetto.
Trascorsero altri mesi.
Un giorno andò a trovarlo il saggio Fuji. Glenn se ne stava sdraiato nella
penombra ripetendo meccanicamente un motivetto terrestre:
“...e la luna è una palla, e il cielo un biliardo, quante stelle nei flippers, sono più di
un miliardo...”
- Sta delirando - sussurrò l’infermiera nell’orecchio di Fuji.
- Mi lasci solo con lui - disse quello a bassa voce e si chinò sul letto.
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venticinque
Trascorsero diversi anni.
Glenn si era ripreso del tutto, anche se continuava a girovagare vestito da
uomo ragno, raccontando la sua avventura sulla Terra e a proiettare le
ombre cinesi durante le feste di compleanno alle quali era saltuariamente
invitato.
Ormai era tollerato e le sue stravaganze non spaventavano più nessuno,
tantomeno i saggi.
Un pomeriggio, tornando dalla lucidatura degli specchi, a cui era stato
riammesso per interessamento privato del saggio Fuji, Glenn si attardò
davanti casa giocherellando sotto al lampione con una bottiglietta di latte.
La calciò un paio di volte, scartando un immaginario avversario davanti a
sé, poi si bloccò terrorizzato. Sul terreno vide una enorme ombra di
donna che agitava le braccia. Si guardò attorno, non vide nessuno e
scappò verso casa.
Si affacciò alla finestra, l’ombra era ancora lì per terra.
Era terrorizzato. E se fosse stato l'inizio di un altro strano fenomeno
umbratile?
- Stavolta non mi avrai! - urlò affacciandosi, ma l’ombra continuò ad
agitarsi.
Si fece coraggio e uscì di casa. Arrivò a qualche metro dall’ombra e
istintivamente alzò gli occhi verso il cielo specchiato. Rimase con la bocca
spalancata e ingoiò un paio di farfalle vagabonde.
Lassù, proprio lassù, su un pezzetto di specchio non coperto dalle tende,
Glenn vide una donna in trasparenza che batteva i pugni sulla superfice e
proiettava, con la luce del sole alle spalle, una enorme ombra sul terreno.
Fu preso dal panico, si diresse verso le piazzole ascensionali, corse alla
prima scala, fece la prima rampa in mezzo secondo, arrivò con un solo
ruzzolone alla piattaforma TK, afferrò la pertica di cristallo e giunto a
non più di una ventina di metri dal cielo, si arrestò.
La donna dall’altra parte aveva smesso di battere i pugni e stava iniziando
a scrivere alla rovescia delle grandi lettere con un rossetto pistacchio:
“Senti idiota, spiegami come faccio a entrare in questo lurido posto,
prima che rompa questi specchi a calci e sbrigati che fa un caldo della
madonna qui fuori!”.
Glenn s’illuminò: - Bresne! - gridò e in un attimo fu in cima. Si videro
attraverso gli specchi e lei gli stampò un bacio in trasparenza.
Glenn rimase spiaccicato sui vetri come un vecchio moscone miope e per
un istante la perse di vista. Un istante dopo avvertì un fragore di specchi
in frantumi. Sospirò, Bresne non era affatto cambiata, con una sola
pedata aveva mandato all’aria almeno venti anni di paziente lavoro di
cristalleria.
Dallo squarcio vide ondeggiare una fune.
Le si portò sotto camminando a quattro zampe e l’afferrò al volo. Si tirò
su e si mise in piedi al di là del cielo di Xerox.
- Bresne... - disse commosso, ma quella gli fece cenno di sbrigarsi - Presto,
presto, altrimenti quando ripassa la nostra navicella, non facciamo in
tempo a prenderla...
- Bresne... - continuò Glennmiller guardandola fisso.
- Oddio si è incantato... - fece quella e continuò dandogli uno strattone Sei per caso caduto in una vasca di colla, muoviti idiota, non senti che
caldo?
Un attimo dopo, apparve all’orizzonte un vecchio autobus a due piani,
che ondeggiava lento, pieno di turisti.
- Ma cosa... - balbettò ancora Glenn, ormai a corto di fantasia.
Dalla cabina di pilotaggio si sporse una barbaccia grigia. - Salta su ragazzo,
non mi riconosci?
- Clyde!? Clyde Moonlight!
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Bresne lo spinse su, mentre alcuni spazioturisti fotografavano la strana
composizione del pianeta Xerox.
- Non riesco a crederci... - disse Glenn abbracciando il professor
Moonlight che replicò:
- Agli inizi neanche io, ma proprio quando parlasti del cielo, mi resi conto
che era l’unica cosa che poteva fare ancora per me, forse perché mi
sentivo un po’ come lui, vecchio e immutabile, Bresne ha fatto il resto...
- Io volevo rivederti – disse Bresne - ma non sapevo dove cercarti, poi un
giorno incontrai questo vecchiaccio che aveva trovato un aeroplanino di
carta che parlava di ombre, assenze e amore. A quel punto decisi che avrei
fatto di tutto per incontrarti un’altra volta.
Insieme a Clyde rubammo questo vecchio airbus e ci mettemmo in affari
organizzando escursioni nello spazio per questi cosmobabbei... e l'altro
ieri, durante la Parigi-Quasar, ci siamo trovati davanti al parabrezza
questa specie di palla di natale scintillante. Tu non potevi che essere là
sotto...
- È incredibile - sospirò Glenn contemplando dallo specchietto
retrovisore la sagoma di Xerox che si allontanava.
- No, quando si ha un’ombra come la tua diventa tutto possibile... - gli
sussurrò Bresne in un orecchio e lui arrossì.
- Posso rimanere qui con te? - disse serio Glennmiller attaccandosi a un
passamano.
Bresne scoppiò a ridere: - Certo idiota, abbiamo giusto bisogno di un
controllore su questo autobus...
Glenn le slacciò la cartucciera e, nascondendo una lacrima, l’abbracciò,
mentre il bus, sobbalzando, si avviava verso la Via Lattea.
© maurizio semplice
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maurizio semplice aggettivo qualificativo fondato in Roma nel 1960