maurizio semplice aggettivo qualificativo fondato in Roma nel 1960 umorista illuminista glennmiller © maurizio semplice GLENNMILLER e la meravigliosa storia della cosmicombra Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia. Attraverso questa licenza sei libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest'opera, alle seguenti condizioni: attribuzione — Devi attribuire la paternità dell'opera nei modi indicati dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza e in modo tale da non suggerire che essi avallino te o il modo in cui tu usi l'opera. __ non commerciale — Non puoi usare quest'opera per fini commerciali. non opere derivate — Non puoi alterare o trasformare quest'opera, ne' usarla per crearne un'altra. 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Non era certo una pulizia normale quella che i due stavano facendo a quelle superfici specchiate, prima di tutto perché per lustrarle era necessario arrampicarsi sopra altissime scale, che a loro volta portavano a piccole e fluorescenti piattaforme, dalle quali si accedeva a delle pertiche di cristallo, che consentivano l’accesso alle balconate adibite alla pulitura. Il secondo motivo, forse appena più bizzarro, era che quegli specchi, a centinaia di metri da terra, altro non erano che il cielo di Xerox, il loro pianeta. Tutti gli abitanti dovevano a turno, una volta ogni due mesi, lustrarli affinché non divenissero opachi. Era scritto a chiare lettere nel primo emendamento della Costituzione, e per nulla al mondo si poteva trascurare un compito così importante. A dire il vero, tutti gli Xeroxiani ignoravano beatamente il perché di quell’insolito ordinamento e riponevano la loro fiducia nel Lucente-eSpendente-Consiglio, dove venti saggi si tramandavano, insieme ai misteri del cosmo, anche il segreto di quella legge, a dire il vero assai particolare. 3 glennmiller Tutto iniziò, come migliaia di altre cose nell’universo, in maniera davvero casuale, ottocentocinquanta anni prima. © maurizio semplice due Xerox, era un pianetino chiamato Ipponatte, per via della sua orbita claudicante. A detta degli studiosi terrestri era solo un ammasso di sassi e detriti di poco conto, che vagava a ridosso della polvere lattea. Ogni cinquanta anni capitava, con quel suo movimento bizzarro, davanti alla Terra, in compagnia di asteroidi e stelle di media grandezza più o meno conosciute. Gli scienziati avevano ribattezzato quell’ammasso di confusione galattica “la comitiva di ferragosto” e non gli avevano dato mai molto peso. Erano molto più occupati a studiare sistemi per esplorare lo spazio, concepire condomini interstellari, sfruttare al meglio le risorse energetiche che scaturivano dalle tempeste magnetiche, organizzare colonne di razzitir che scaricassero scorie nucleari dentro qualche buco nero, progettare forme avanzate di lottizzazione del cosmo e ricercatissime armi in grado di assicurare la pace, almeno in quella minuscola parte del sistema solare. Esattamente agli esordi di quell’ambizioso piano di espansione spaziale, furono organizzate piccole ricognizioni intorno alla Terra, cinque o sei allunaggi e un sistema di navette che a livello sperimentale, avrebbe portato degli equipaggi fino ai confini di Marte. Durante uno di quei viaggi accadde l’episodio che cambiò del tutto il destino del minuscolo Ipponatte. Una mattina infatti, da una grande base spaziale americana (era il tempo in cui ancora esistevano gli Stati Uniti), un grosso razzo si stava preparando per partire. 4 glennmiller I sette astronauti sorrisero davanti alle telecamere e uno a uno imboccarono il piccolo ascensore che li avrebbe portati nella cabina di pilotaggio. Fatto assai singolare per l’epoca, l’equipaggio era composto, per quanto possibile, da tutte le razze umane o, come si usava dire, etnie e forse per questo l’entusiasmo di mettere in orbita una missione così eterogenea, era, guarda caso, alle stelle. Per la prima volta poi, sarebbero partite anche due donne e a tal proposito due enormi cesti di fiori furono fatti trovare all’ingresso degli ascensori. Erano le 11:38, ora americana, del 28 gennaio 1986. La navetta spaziale arrivò in 72 secondi a 17 chilometri di altezza, la velocità stimata era di circa 3500 Km orari. Un secondo dopo il razzo esplose in una nuvola di fumo biancastro e fiamme turchesi. Centinaia di milioni di telespettatori rimasero con la bocca spalancata e gli occhi fissi sul video, invaso dalla nube bianca e turchese. La navetta fu data per disintegrata e parallelamente alle ricerche per ritrovare qualche resto, furono lanciate feroci accuse all’organizzazione spaziale, responsabile del disastro. I voli furono sospesi per diversi anni e furono avviate quarantacinque inchieste, non ultima quella per esaudire la richiesta del fioraio, che aveva confezionato i cesti per le due signore, il quale asserì di non esser mai stato pagato. Le ricerche nel mare antistante la base furono sospese dopo un mese; si organizzarono dei solenni funerali di stato e sette bare vuote furono avvolte da sette bandiere differenti. La cerimonia fu toccante per tutto il pianeta. Ma le cose erano andate in maniera differente. Al momento dell’esplosione infatti, il razzo si era diviso in due. La parte inferiore con il carburante si era disintegrata nella nuvola biancastra che avevano visto tutti, mentre quella superiore con i sette astronauti, era stata proiettata, o meglio dire, sparata verso l’alto, a una velocità doppia della luce. © maurizio semplice Nessuno aveva fatto in tempo ad accorgersene, anche perché nessun occhio umano era in grado di percepire un evento così rapido. La navetta vagò per lo spazio per qualche ora, poi si trovò improvvisamente faccia a faccia con Ipponatte, che proprio in quell’istante stava compiendo la sua cinquantennale apparizione davanti alla Terra. L’impatto non fu tremendo, anche perché il pilota, riavutosi in tempo, riuscì ad attivare quello che rimaneva dei razzi frenanti e a planare in una specie di deserto rosa salmone. Rimasero per qualche giorno storditi dalla botta e semisommersi da quella polvere simile a cipria. Mandarono in avanscoperta un robottino esploratore che tornò con dei dati sorprendenti. Quando uscirono, si resero conto infatti e con sorpresa, che l’atmosfera era respirabile e avvertirono anche il bisbiglio delle onde di un lago. Tentarono di comunicare con la Terra, ma ne captarono solo qualche debole segnale, o meglio rumore. Per precauzione, decisero di rimanere all’interno della navicella, ridotta a un rottame di autostradale memoria, pensando e ripensando al loro futuro prossimo. Trascorsero lunghe ore in silenzio perdendo a poco a poco la concezione del tempo, spiando, l’uno negli occhi dell’altro, l’apparire di quella nuova paura che li aveva così improvvisamente immobilizzati. Ogni tanto qualcuno di loro si sollevava e tentava di decifrare qualcosa al di là dell’oblò, ma non c’era nulla di confortante, se non l’anima rosa di quello strano deserto e qualche rumore soffocato su cui non vollero indagare. Un giorno, poi, il video della navicella si accese casualmente e assistettero esterrefatti alla cerimonia del loro funerale. Uno di loro lo spense scagliandovi una pietra e la disperazione gli si dipinse sui volti. La Terra li aveva ingannati e presto li avrebbe anche dimenticati e poi continuavano a non aver idea di dove fossero capitati. Comunque non si persero d’animo. Quando ebbero la certezza di essere stati abbandonati, si rimboccarono le maniche e misero in piedi un piano speciale di sopravvivenza. 5 glennmiller Studiarono velocemente la composizione dell’aria e dell’acqua, razionarono le scorte alimentari e con i pezzi dell’astronave rimasti, costruirono un piccolo generatore di energia. Quel minuscolo pianeta sarebbe stato la loro fonte di vita, fino a quando avessero avuto la forza di vivere, sarebbe da puntualizzare, ma quel vizio inguaribile fu più forte di qualsiasi disperazione, difatti... © maurizio semplice tre Con circospezione decisero di abbandonare definitivamente la navicella e con sorpresa assaporarono nuovamente i raggi del sole. Costruirono un piccolo accampamento e i pezzi rimasti delle loro bandiere, ne cucirono una sola, multicolore, che issarono al centro - delle loro abitazioni di fortuna. Si muovevano in gruppo, attenti a non perdere l’orientamento. Per i primi giorni fecero solo rapide ricognizioni intorno all’accampamento e qualche corsetta rilassante. Uno dei loro motti era infatti: “un corpo schifoso in una situazione disperata, diventa penoso e soprattutto inguardabile, quindi provvedi...”. Dopo qualche giorno invece, decisero di spingersi un po’ più lontano del solito. Esplorarono in lungo e in largo quel territorio e si accamparono sulle rive del piccolo lago arancione. Irwin Tatum, capo della spedizione, insieme al colonnello Ben Bigbang, si spinse fino a un centinaio di chilometri dall’accampamento per cercar di capire meglio di cosa fosse fatto il deserto rosa che avevano intorno e constatò che, nonostante le condizioni dell’atmosfera fossero identiche a quelle della Terra, non vi abitava nessuna specie, per così dire, umana. Tornò alla base e dopo un primo momento di sconforto, non riuscì a nascondere un moto di soddisfazione. - Amici... - disse solennemente – Forse, anzi quasi certamente, non riusciremo mai più a tornare sulla Terra... ma è davvero importante tornare, quando proprio la Terra ha fatto di tutto per dimenticarci? Vi prego poi di ricordare il discorso del presidente che ai funerali faceva finta di piangere e che sbagliava in continuazione il mio nome... beh... andiamo 6 glennmiller avanti. Ho studiato attentamente la composizione dell’aria e delle piante, qui potremmo vivere in pace, basta organizzarci. Le nostre conoscenze sono tante e tali da poter ricreare tutto quello di cui abbiamo bisogno; se proprio pensano che siamo tutti morti, è meglio immaginare che siamo finiti in Paradiso, non vi pare? Tacque per un istante e alzò istintivamente lo sguardo verso il resto dell’equipaggio. Tutti, approvarono le parole del comandante e si alzarono in piedi. Tutti meno Renzho Truccamotho, che scoppiò in un pianto dirotto. Quando si fu calmato, corse ad abbracciare Irwin, che lo guardava commosso, poi riacquistò la sua immutabile espressione da stampa giapponese. Fu così che iniziò la storia di Xerox, il pianeta copia; negli anni infatti che seguirono e nelle generazioni che lo abitarono, si radicò il proposito di riprodurre esattamente tutto quello che si ricordava della Terra, evitando però, in maniera maniacale, tutte le circostanze -e se ne conoscevano diverse- che ne avrebbero riprodotto il dolore e l’infelicità. Era stato un progetto ambizioso ma gli Xeroxiani di diverse generazioni dopo, ignoravano per davvero cosa fossero quelle sgradevoli condizioni dell'animo umano e vivevano felici, forse un po’ annoiati, in quella minuscola concentrazione di polvere rosa. Tra le tante idee che i sette astronauti ebbero ai primordi, ce ne fu una davvero particolare: fu quando un pomeriggio scorsero nei monitor dei loro avvistatori idraulici, una piccola sonda terrestre che si stava avvicinando alla superficie del pianeta. Fortunatamente una grandinata di asteroidi ne deviò la traiettoria e tirarono un sospiro di sollievo. Il sol pensare di poter essere raggiunti dalla Terra li aveva riempiti di spavento. Si erano infatti così ben abituati a quello spazio, da essere pronti a tutto per difenderlo da qualsiasi intrusione. Studiarono quindi il problema e decisero che avrebbero circondato l’atmosfera di Xerox con delle enormi superfici specchiate. Il vantaggio era duplice: i raggi del sole, colpendole, avrebbero fatto sembrare il pianeta, a chi lo avesse osservato dall'esterno, una stella. © maurizio semplice E siccome sulle stelle, per credenza diffusa, non poteva esserci vita, mai nessuno avrebbe rischiato un viaggio inter-spaziale per curiosare tra polvere e detriti luminescenti. Il secondo vantaggio era poi di carattere energetico. La luce del sole, decuplicando il proprio calore attraverso gli specchi, avrebbe assicurato energia a sufficienza per tutta la loro superficie rosa. Dieci anni occorsero per montare tutta l’apparecchiatura, comprese le gigantesche macchine per l’aria condizionata e le grosse tende scure, che tirate a un momento opportuno, avrebbero garantito l’alternarsi del giorno con la notte. A Natale, o sarebbe meglio dire, il giorno che decisero fosse Natale, escogitarono un sistema idraulico per far cadere la neve e durante quei giorni di festa, Xerox pareva uno di quei piccoli souvenir a cupola sballottati tra le mani di un turista. Tutti questi eventi, legati alla particolare conformazione del cielo, fecero fare ai sette astronauti un balzo d’ingegno e quando decisero di elaborare la Costituzione, misero al primo posto l’obbligo della pulizia degli specchi. Riuscirono infatti a radicare negli animi della popolazione, che da loro prese vita, questa consuetudine, come se quella pulizia fosse un puro dovere di riconoscenza verso quel cielo particolare che avevano sulla testa e che li proteggeva e li alimentava con il suo abbraccio scintillante e caloroso. Avevano imparato ad apprezzare la pace e tentarono in tutti i modi, scrivendo, inventando miti e fondando particolarissime etiche, di trasferire quella loro eredità spirituale ai posteri. A onore del vero, bisogna dire che gli abitanti del pianeta rispettarono sempre e con assoluta dedizione gli ordinamenti della Costituzione, anzi, durante uno spettacolare congresso che sancì l’insediamento del Consiglio dei Saggi, la completarono in un punto che loro stessi giudicarono essenziale: il possesso dell’ombra, che da quella luce si generava. In un pianeta infatti, perennemente invaso dalla luce del sole, possedere un’ombra in tutto simile al proprio corpo era, per così dire, fondamentale. Tanto che sui documenti d’identità, accanto al nome e all’anno di nascita, 7 glennmiller © maurizio semplice campeggiava la foto dell’ombra che si proiettava sul suolo a un’ora stabilita. D’altra parte, come ebbe modo di dire Bucheride, il famoso filosofo della scienza, “... se il principio del nostro pianeta è di essere copia perfetta, insostituibile, non vedo perché l’ombra, che è l'espressione più sublime della copia del nostro corpo, non possa costituirne parimenti l’essenza primaria, il principio da cui traggono armonia tutte le cose, visibili e invisibili, quindi e naturalmente dunque, trattasi di una sorta di anima visibile... o se preferite essenza ultima guardabile”. Queste affermazioni furono l'inizio di divertenti diatribe, specie da parti dei detrattori, che nella persona di Gianlupo Scortese, affermarono che: “... data una certa luce in un dato momento, si può proiettare sulla terra una data ombra, ma, se per esempio dirigessimo con una lampada artificiale un fascio appena superiore di quello diffuso dai nostri specchi, non solo l’ombra in questione si altererebbe, ma con opportuni accorgimenti, essa potrebbe anche scomparire...”. Queste due scuole di pensiero vivacizzarono per molto tempo il dibattito culturale di Xerox; comunque il consiglio dei Venti Saggi, per prevenire qualsiasi dimostrazione di intolleranza, che già si percepiva essere nell’aria, varò un decreto che mise tutti d’accordo: “l'importantissimo caratterizzarsi esistenziale-materiale attraverso l’ombra, era da intendersi di principio costitutivo solo quando l’individuo fosse stato per strada, quindi sotto la luce delle superfici specchiate. Negli altri casi, quando se ne stava nella propria abitazione o ufficio o in qualsiasi altro posto riparato dalla luce del sole, egli poteva anche fare a meno di badare alla propria ombra...”. Glennmiller non poteva certo immaginare che da quelle diatribe e da quel decreto, sarebbe venuto, in maniera assai strana, l’inizio della sua imprevista avventura. quattro Glennmiller terminò il suo lavoro di lucidatura assai tardi. Firmò il modulino che attestava la prestazione e salutò Orlowsky che stava ancora armeggiando con un panno foderato per togliere una macchia rossastra. - Deve essere una farfalla amnioturchina di Plutone, quando si schiantano sugli specchi, passano da parte a parte ed è un disastro... - mormorò quello e Glennmiller sorrise. Ridiscese agilmente le pertiche di cristallo e in prossimità delle piattaforme fluorescenti incrociò la Squadra Night&Day, che stava salendo per tirare le tende notturne; si salutarono educatamente, poi Glennmiller guardò in basso verso Palo Rete, la sua città. Vide in un sol colpo i tetti di Arimane, dove c’era la sede dei Saggi, poco distante biancheggiavano le cime dei palazzi di Plaza de Moros e i muri del quartiere di Aulico, dove aveva trascorso tutta la sua giovinezza. Staccò un attimo lo sguardo dal panorama e sbirciò in alto. La squadra tendaggi stava iniziando le sue operazioni, di lì a poco sarebbe stato buio. Contemplò ancora per qualche secondo l’ordinata disposizione della città e riprese la discesa. Prima di tornarsene a casa, fece un salto da Domestikow, un suo caro amico, con il pallino della religione. Bussò piano alla porta della sua abitazione ed entrò sorridendo. Domestikow se ne stava assorto davanti a un poster di Irwin Tatum, il mitico astronauta terrestre, che scelse di rimanere su quel pianeta –anche perché non aveva scelta, ma i testi sacri ignoravano questa versione- e di propagare i suoi saggi principi morali. 8 glennmiller C’è da dire infatti, che i sette astronauti, dopo la loro morte, furono venerati come le uniche divinità di quelle lande. D’altra parte non poteva essere altrimenti, da loro partiva la stirpe degli Xeroxiani, erano stati i portatori della vita e della scienza, avevano scritto i sacri testi della Costituzione e avevano tramandato l’insegnamento dell’armonia e della pace. E, fatto non assolutamente secondario, erano stati reali e tangibili, non invisibili proiezioni della fantasia o di qualche altra caratteristica di alterazione psichico-percettiva, come di solito accadeva sulla Terra… Ecco perché l’unico culto accettato era quella semplice forma di eptateismo, dove si veneravano i resti delle loro tute spaziali e la plancia di comando della loro navicella, gli appunti sparsi dei registri di bordo e le bruciacchiature dei loro stivali, le diete dimagranti di Christa e Margareth e il manuale di istruzioni IBM release Apocalypse 2.1.X, considerato poi una vera e propria bibbia. Domestikow si accorse appena di Glennmiller e continuò a macinare litanie e numeri. Glenn si sedette e aspettò. Dopo una decina di minuti l’altro tracciò nell’aria il segno concentrico di “finish operation” e si volse verso l'amico. Sempre a pregare Nikolay... - sussurrò Glennmiller. - Lo faccio anche per te, se non ci fossero stati loro noi non avremmo mai visto la Luce... - Oh! La luce... Non me ne parlare, sono stato tutto il giorno a lucidare quegli specchi, sono stanco morto... - si lamentò Glennmiller. È un dovere, uno dei pochi che dobbiamo rispettare, non dovresti lamentarti, poi ti tocca una volta ogni due mesi... - lo ammonì Nikolay. Parli bene tu! Sei stato esentato perché hai dichiarato di avere le vertigini e di non poterti arrampicare lassù. Se tu preghi per me, io pulisco anche la tua parte. - esclamò Glennmiller puntando il dito. L’altro sorrise: - Non è colpa mia se mi gira la testa, forse studio troppo... - La sai lunga Domestikow... - lo interruppe Glennmiller e proseguì - a proposito, non mi hai ancora chiarito dove andiamo a finire una volta morti, non mi dire che anche tu credi al Giudizio Planetario e che per sua conseguenza i buoni finiscono alla destra di Irwin e se ne stanno per cinquantadue milioni di tilt a contemplare la sua immagine sorridente e invece i cattivi rinascono sulla Terra e rimangono intrappolati lungo una © maurizio semplice tangenziale senza uscite, dopo aver passato otto dedraconi a vedere la teleillusione... Così recitano le scritture... - sospirò Domestikow, continuando a ordinare alcuni bastoncini di incenso in un armadietto. In tutta sincerità non saprei dirti se tutto questo è vero o no, ma sicuramente serve a qualcosa. Se i Sacri Sette hanno deciso di tramandarci anche le nostre ipotesi future avranno avuto anche i loro buoni motivi, non credi? Di solito costruire una dimensione futura aiuta a sopportare il presente… - Sarà...- fece Glennmiller - ma a me sembra eccessivo che per un peccatuccio o per una dimenticanza in questa nostra vita limitata, si debba essere giudicati per l’eternità o quasi, non ti pare che tutto questo continui ad essere assai terrestre? Trovami tu un’altra soluzione! - fece Domestikow scocciato. Non so, magari ci si tramuta solo in ombre, come dice il saggio Brucone, oppure in sospiri che si perdono nel vento, come afferma Thornarello il poeta metereologico... Anche tu ti appoggi a delle ipotesi o a dei sogni che ti sembrano plausibili, oppure semplicemente più piacevoli. Come vedi, sembra che alla fine abbiamo tutti bisogno di essere rassicurati o spaventati da qualcosa. Forse non siamo tagliati per la solitudine, neanche nel più profondo dei nostri pensieri e così veleggiamo sempre verso qualche porto sicuro... anche se invisibile. - disse Domestikow chiudendo gli occhi. - Non immaginavo che fossi così profondo... - sussurrò rispettoso Glennmiller. Neanch’io, non finisco mai di stupirmi infatti... - rispose l’altro e si stiracchiò sulla poltrona addormentandosi di colpo. Glennmiller si alzò piano e gli si avvicinò: dormiva come un sasso. “Deve esser stato lo sforzo...” pensò e senza far rumore scostò la porta per uscire. 9 glennmiller © maurizio semplice cinque Glennmiller guadagnò di nuovo la via. La discussione con Nikolay lo aveva leggermente turbato; possibile che qualcun altro si fosse applicato scientemente a inventare e costruire persino i sogni e i pensieri degli altri? Se la realtà fosse stata quella, tutto rischiava di essere solo una ben costruita illusione e sinceramente non gli sembrava il caso di approfondire la questione e mettere in discussione le proprie credenze. D’altra parte erano così perfette e lineari che non riusciva a vederne di migliori. Nikolay aveva ragione, “così recitavano le scritture” e lui fischiettando si adeguò. Dopo qualche passo fu attirato dalle luci intermittenti del Gagarin, il bar dove lavorava Uragana, la sua fidanzata. - Quasi quasi, faccio un salto a salutare la mia piccola Gana, mi faccio un sorso di vodkacola e me ne vado a dormire... - disse tra sé Glenn avvicinandosi al portoncino trasparente del bar. “Accidenti ho solo 15 icari, vuoi vedere che non mi fanno entrare?” pensò, bussando timidamente. Venne ad aprire un cameriere in tuta elastica da paleociclista terrestre domenicale e Glennmiller si ricompose. - Salve, vorrei entrare per un sorso, ma ho solo 15 icari. - disse sorridendo. - Potrei portarle da bere qui fuori, cosi non si sentirebbe in imbarazzo... replicò il cameriere con un’espressione sofferente. - Beh, per la verità, io volevo entrare per dare un saluto alla signorina Uragana. - Se è per questo, allora può entrare anche gratis; anzi sa che le dico, visto che è così coraggioso, glieli do io gli icari che le mancano per la consumazione... - Quale coraggio scusi? - chiese Glennmiller. Non ha appena finito di dire che voleva entrare per salutare la signorina Uragana? - Sì, e allora? - E questo non è coraggio secondo lei. - Ah ho capito! Lei si riferisce al carattere della signorina. Bisogna comprenderla, a volte è un po’ nervosa e si lascia prendere la mano.... - Nervosa dice lei... - replicò stupito il cameriere - lo sa che ieri ha rotto due schermi virtuali sulla testa di due clienti che le avevano chiesto dove fosse la toilette e calpestato per sbaglio i criptopoeti rosa del signor Baloffo? E sa cosa ha fatto quando quello ha protestato? L’ha appeso nel guardaroba e lo ha liberato solo alla fine del turno. - Che tesoro... - sospirò Glennmiller chiudendo gli occhi. - Comunque entri pure, io l’ho avvisata... - concluse il cameriere e Glennmiller sgattaiolò all’interno. Il locale era gremito, ma si avvertiva pochissimo rumore. La gente si affollava davanti ai banconi delle bevande e intorno ai tavoli con compostezza e allegria, ogni tanto si udiva il sibilo lontano di una melodia e il borbottio delle bollicine di qualche cocktail. Questa atmosfera particolare era stata la carta vincente del Gagarin, che infatti passava per il primo bar silenzioteca di Xerox. Era stata una trovata fantastica e gli xeroxiani facevano la fila per godersi qualche bryfogar di silenzio, tra un sorso di amarildo e un’annusata di marx, che dava la sonnolenza dei beati. Glennmiller si aggirò per i tavoli in punta di piedi, riconobbe diversi colleghi della recente lucidatura e con loro scambiò a bassa voce qualche battuta sulla luce e sulle ombre, poi iniziò a cercare Uragana. Imboccò una scala mobile illuminata da un neon celestino e scese al piano inferiore. Uragana era lì al centro del salone, dietro il bancone delle bevande dietetiche. - Cosa sei venuto a fare? - disse subito lei vedendolo. 10 glennmiller - Stavo andando a casa e mi è venuta voglia di vederti - sospirò Glenn facendo la vocina da innamorato. - Beh mi hai visto, ora sparisci che devo lavorare, non vedi quanta gente c'è stasera, sembra che tutto il pianeta non abbia meglio da fare che venire qui... - Senti, mi è venuta un’idea... - Se nella tua testa vuota è accaduta una cosa del genere allora bisogna festeggiare davvero. - Non mi prendere in giro ‘Gana, io... - Non chiamarmi in quella maniera ridicola! - Scusami, allora dicevo che mi era venuto in mente che io, tu, noi insomma potremmo passare il nostro duecentesimo appuntamento da Mollo, che ha una casa appena fuori città... - E per fare cosa? Per mettermi le mani addosso? Guarda che conosco a memoria tutte le istruzioni per il corteggiamento e quelle cose che vorresti fare tu, si fanno solo dopo duecentocinquantasei incontri... - My Dos, vuoi vedere che sfortunato come sono mi succederà qualcosa due ore prima di quell’appuntamento... - Fai come vuoi, ma se provi a infrangere le regole io ti infrangerò questa sulla testa. - concluse lei agitando in aria la bottiglia per il seltz. Glenn si rassegnò, ordinò il suo bicchiere di vodkacola e rimase per un po’ a spiare i movimenti di Uragana dietro il bancone. - Eh le donne... ci fanno soffrire, ma ne vale la pena... - sospirò ad un tratto un vecchietto che era comparso alle sue spalle sistemandosi su una sgabellone telescopico. - E lei che ne sa delle donne? - disse Glenn senza perdere di vista la sua Uragana. - Un po’ di rispetto ragazzo, forse non sai con chi stai parlando... io sono Max Vetril, forse hai sentito parlare di me... - Max Vetril! Il mitico Max che per amore di una donna pulì in due giorni cinquecento distaedri di cielo perché lei ci si potesse specchiare... - fece Glennmiller sobbalzando - Voi in persona, scusatemi, scusatemi davvero, ma stavo pensando ad altro... © maurizio semplice - Lo so io a cosa stavi pensando figliolo, e alla tua età è così normale che accada, che si giustifica la santa, e diciamolo pure rigida, regola del corteggiamento. Senza di essa il caos sarebbe assicurato. - Io non ce l’ho con la regola in sé, solo che mi sembra eccessiva. sussurrò impercettibilmente Glennmiller e Max sorrise. - Bisogna saper aspettare, il piacere è un viaggio lungo e lento che ci riserva sempre sorprese, così è scritto... - Ma è stato scritto proprio tutto? - Non lo so, ma se uno dice così è sicuro di non sbagliare. - concluse il vecchio invitandolo al Sound of Silence, il salone sottostante, dove si produceva il miglior silenzio di Xerox. Presero insieme una piattaforma idraulica che li depositò all’entrata, il vecchio prese i biglietti per entrambi e due paia di occhiali tridimensionali per la visione. Si accomodarono davanti a due specchi colorati che avevano una tastierina sul davanti. - Cosa scegli figliolo? chiese Max indicando un foglio appeso accanto alla poltrona. - “Silenzio di Venere”... l'ho già sentito quattro volte e per me rimane il migliore... - rispose Glennmiller assorto. - Capisco, capisco... mmh vediamo un po’... io invece mi farei questo “Silenzio del Dopo Carnevale”, mi sembra molto esotico... - fece invece Max accomodandosi davanti allo specchio. Glennmiller fece la stessa cosa e spingendo alcuni tasti colorati si prepararono all’ascolto. I silenzi iniziarono a formarsi. Nello specchio, si costruirono strane figure illuminate da piccoli lampi arancioni. Ognuno iniziò il suo viaggio. Glennmiller vide nel suo specchio comporsi la figura di una donna che passeggiava in riva ad un mare vermiglio e subito dopo una serie di tramonti viola. Si stiracchiò sulla poltrona e sorrise, sapeva infatti che tutte le visioni virtuali erano frutto dei ricordi dei Sacri Sette che li avevano raccolti e donati ai posteri per farli sognare e meditare. 11 glennmiller Quello che stava vedendo, comunque doveva esser certo un ricordo silenzioso del Divino Bigbang che, anche se le Scritture lo ricordavano come una specie di asceta, era stato in realtà un inguaribile libertino, infatti nello specchio comparve all’improvviso la sagoma di un uomo in brache di tela che tentava di abbracciare la donna vista prima. A un tratto, esattamente tra l’abbraccio e il tramonto viola scorse il viso di Uragana, che gli si era messa alle spalle. Starnutì e fece per cambiare frequenza. - Brutto sporcaccione, animale, avevi detto che eri passato per vedermi e invece ti ho beccato a spiare quella lì... - È solo un passatempo, tu avevi detto che avevi da lavorare - balbettò Glennmiller. - Passatempo da imbecilli che non hanno nulla da fare, se ti ripesco un’altra volta a vedere queste porcherie non verrò al prossimo appuntamento, intesi? - e andando via gli piegò gli occhialetti tridimensionali mentre Max annuiva sorridendo. - È un po’ nervosa, perché tra qualche tempo ci sposeremo... - si scusò Glennmiller. - Capisco, capisco - fece sornione il vecchio raccogliendo i resti degli occhiali. - La inviterò alla cerimonia, lo giuro, sarà bellissima. - disse infine il ragazzo leggermente imbarazzato e tentò di raggiungere Uragana, mentre una folla di nanochimere appena entrate si disperdeva luccicando nel salone. Max Vetril sorrise di nuovo e risistemandosi gli occhiali sul naso, tornò al suo silenzio tropicale. © maurizio semplice sei Glennmiller abitava nel quartiere periferico di Riviera, un complesso ben orchestrato di palazzetti bassi e tutti eguali, contraddistinti dalle note del pentagramma. Arrivò davanti all’isolato “Si bemolle”, sbirciò il cielo buio e ripensò a una diceria che aveva sentito nella biblioteca dove lavorava: “pare che durante la notte i terrestri possano vedere le stelle”. Gli parve una cosa altamente improbabile e soprattutto inutile, cercò la scheda magnetica per aprire il portone e rincasare. Nel piccolo appartamento dormivano tutti, o più precisamente la madre Giada e la sorellina Rugiada. Si tolse gli scarponi per non fare rumore e al buio si mise a letto. Accese un piccolo neon giallastro a forma di panettone e lesse qualche rigo di “Tracce di ombre meticce” il suo giallo preferito; poi dopo aver scorso qualche periodo lo colse il sonno e si addormentò con il libro aperto sulla faccia. Durante la notte si svegliò di soprassalto in preda a uno strano incubo, nel quale immaginava che durante la pulizia degli specchi, uno di quelli, cedendo improvvisamente, lo aveva fatto precipitare nello spazio. Si mise a sedere nel letto; era fradicio di sudore, guardò i quarzi della sveglia al suo fianco, erano appena le trentotto e mancavano diverse ore al farsi della luce del mattino. Si alzò e si diresse verso la finestra, poi, dopo aver esplorato il buio e qualche ordinata luminescenza all’orizzonte, in cucina per bere qualcosa. Accese la luce e distrattamente si volse verso il muro. Rabbrividì e sputò tutto il succo di birtarello che aveva in bocca. Sul muro si definiva netta 12 glennmiller la sua ombra, ma non era quella di sempre. Si mise sotto la luce e quella lo seguì. Aveva dei lunghi e flessuosi capelli, un seno appena accennato e una corta veste svolazzante. Glennmiller fece un passo indietro, poi allungò una mano per toccarla. Anche l’ombra fece la stessa cosa e le due mani si incontrarono sulla superficie del muro. Lui, immaginando il contatto, ritrasse la mano e scappò in camera, spegnendo tutte le luci. - Quella non è la mia ombra... – argomentò balbettando - anzi, sembra l'ombra di una donna. E la mia dov’è finita? Sono sicuro di esserci tornato, come può essere sparita così all'improvviso...? Non può farmi questo! O Floppy che oramai sei nei cieli, aiutami tu... - e così invocando rimase tutta la notte con gli occhi fissi sul muro, cercando tra le pieghe del lenzuolo che stringeva forte, una spiegazione plausibile per quello strano fenomeno. © maurizio semplice Era però solo un tentativo senza importanza; avrebbe potuto ingannare persino gli uomini della sorveglianza, ma non certo all’infinito e fu ripreso dal panico. Proprio in quel momento, incrociò due suoi conoscenti e il vento gli fece svolazzare il mantello. L’ombra si mosse tutta e addirittura fece degli strani movimenti, come se fosse in preda a un solletico improvviso. Glennmiller arrossì, fece una specie di piroetta e si fasciò nel mantello, i due tizi si arrestarono un attimo strabuzzando gli occhi, poi passarono oltre, mugugnando qualche commento poco carino. Il mattino dopo, con gli occhi cerchiati dalla notte in bianco, Glennmiller sgusciò fuori di casa per recarsi al lavoro. Appena fuori si sincerò che l’ombra che proiettava fosse di nuovo la sua; purtroppo non era vero e sul marciapiede di granito vide di nuovo la sagoma dei capelli e dei piccoli seni. Fu preso dalla disperazione. Risalì in casa, sempre di corsa per non farsi vedere, mise sulle spalle un vecchio mantello scuro, pensando così di alterare la sua ombra imperfetta e per uno strano gioco di luci, quasi ci riuscì. La madre lo incrociò sulla porta e trillò improvvisa: - Glenn, dove vai con quel mantello, non senti che caldo? Lui la guardò distrattamente: - Devo fare un lavoro in un posto dove c’è un mucchio di polvere... - sussurrò dileguandosi per le scale. La madre alzò le spalle e tornò alle sue faccende casalinghe, che come in tutte le parti del cosmo erano sempre e rigorosamente le stesse. Quando fu di nuovo in strada, Glennmiller tirò un sospiro di sollievo; con quel vecchio mantello poteva dirsi al sicuro, l’ombra della donna, infatti, sembrava essersi mimetizzata con quella più ampia generata dal tessuto. 13 glennmiller © maurizio semplice sette Glennmiller corse verso la biblioteca a gambe levate, attraversò il cancello come un fulmine e i custodi lo riconobbero appena. Spalancò la porta del suo ufficio e stramazzò sulla scrivania ansimando. I colleghi alzarono appena lo sguardo dalle loro carte e fecero finta di nulla. Glennmiller si ricompose e in silenzio si sfilò l’ingombrante mantello. Si alzò e scivolò verso la Zona Nord, dove si ergevano minacciosi i picchi della catena degli Archiviarmadi. Passò sotto un grosso neon e si appiattì contro la parete guardando in basso tra la moquette. La sua strana ombra fece lo stesso. - Deve essere un’illusione ottica - borbottò e tornò svelto alla propria scrivania. “Sarà stato il troppo caldo, mica è uno scherzo pulire quegli specchi, devi rimanere calmo Glenn, è solo un abbaglio.” pensò, ma sudava freddo. Riordinò le carte sparse e tentò di lavorare. Ogni tanto guardava alla sua destra, dove elegantemente si allungava la sua ombra in minigonna e poi verso le altre persone, che in silenzio digitavano dati ed esaminavano voluminosi libri di storia e cibernetica; le loro ombre obbedivano docili a tutti i loro movimenti, poiché altro non erano che la proiezione dei propri corpi. Glenn fece una smorfia di disgusto. Sembrava tutto normale, ma nella sua mente iniziò a farsi strada un atroce sospetto: - Se ho perso l’ombra, potrei da qui a poco perdere la gamba destra, l’orecchio sinistro oppure un pezzo di sthandelmainher, o non voglio immaginare cosa - sussurrò toccandosi la pancia. Smozzicò la matita e decise che sarebbe andato a parlare con il suo medico, oppure se la cosa fosse stata più grave, con il professor Zefiro massimo esperto in abbagli e coni d’ombra del pianeta. La vedo preoccupato - disse interrompendo i suoi pensieri Astrovaldo, capo della biblioteca. Sono molto stanco, ieri ho avuto la pulizia. - balbettò Glenn. - Capisco, capisco, un lavoro infame ma essenziale; pensi che quando ero giovane io, non esistevano ancora quelle pertiche, e si doveva arrivare lassù con delle liane. Ricordo che se non si riuscivano a raggiungere le piattaforme con il primo slancio, si rischiava di penzolare nel vuoto per due microcicli, fino a che qualche anima buona ti tirava su come un secchio da un pozzo... che tempi... - sussurrò lisciandosi la barba bianca e sbirciando i piedi nervosi di Glennmiller che battevano al suolo un ritmo che ricordava un tip-tap terrestre. Il ragazzo annuì e accavallò le gambe per non far notare l’ombra femminile che nel frattempo si era allungata da sotto il tavolino, come se volesse ascoltare le parole del vecchio Astrovaldo. La giornata trascorse indenne, Glennmiller si alzò il meno possibile e uscì per ultimo. Tornò a casa fasciato nel mantello, rasentando i muri, così come aveva già fatto durante la mattinata. Una volta a casa si chiuse in stanza, rifiutò educatamente i petali di barbasole che la madre gli aveva preparato e iniziò a passeggiare su e giù. - Perché proprio a me? Non ho mai fatto niente di male, ho sempre rispettato la Costituzione e pagato tutte le tasse che c’erano da pagare. O meglio, quella sui sogni e sull’immortalità etica no... ma erano davvero inique, eppoi sfido tutti a dimostrare il contrario. Beh, una volta ho pensato di tradire Uragana, ma è stato solo per qualche decina di dewimel, lo giuro... Cielo, se Uragana si dovesse accorgere che ho l’ombra di una donna, mi riduce in un antibiotico... Perché proprio io, perché?... almanaccò commiserandosi Glennmiller. L’ombra si adagiò sulle lenzuola e sconfinò sul comodino. Glenn la osservò. Però, non è una brutta ombra... - disse tra sé e allungò una mano dalle parti del seno. Quella lo lasciò fare poi gli mollò un ceffone. Glenn ritrasse la mano con un brivido. 14 glennmiller È incredibile, è anche in grado di pensare e se avesse addirittura una morale? Questo vuol dire che è tutto molto più grave. Io vado in giro con una cosa, che non solo non mi appartiene, ma che potrebbe cambiarmi la vita a suo piacimento... - pensò ritraendosi lentamente verso l’angolo lontano del letto, fischiettando un vecchio motivetto per far finta di niente. - Che c’è Glenn, ti senti male? - chiese la madre, che da qualche ora si era installata davanti alla sua porta, cercando di capire cosa stesse accadendo al figlio. - No... non è niente, non riesco a prendere sonno. - si scusò lui. - Sarà... ma è la stessa musichetta che fischiavi quando da piccolo non volevi andare a scuola. - continuò curiosa mamma Giada. Glennmiller sospirò, alla curiosità delle madri avrebbe preferito cinque turni di lustratura, ma continuò a darle retta, frullando pezzi di frasi insieme a fantasiose giustificazioni, fino a che lei, scuotendo la testa, non decise di dedicarsi al bucato. © maurizio semplice sotto Il mattino dopo Glennmiller in preda a una originale playlist di sensi di colpa e manie persecutorie, si recò da Baldassarre Della Menta, il suo medico preferito. Tutti infatti avevano un medico di fiducia, Glenn quello preferito. Baldassarre, gli era semplicemente simpatico ed era poi bravissimo a raccontare barzellette e storielle infragalattiche. Si abbracciarono nell'atrio dello studio e Baldassarre vedendolo scoppiò a ridere. - Non c'è niente da ridere Bald. - fece serio Glennmiller - Scusami, ma hai una faccia che sembri un coattonauta che ha perso settecento partite allo StarWars... - continuò il medico asciugandosi gli occhi. - La tua reazione mi sembra spropositata, il mio problema è gravissimo. Devi sapere che... ho perso l'ombra... - concluse Glennmiller, facendo la faccia da patetosauro. Baldassarre lo squadrò e dopo un tragico secondo di silenzio gli sbottò a ridere in faccia. - L'ho sempre detto che sei uno sbadato... Glennmiller sospirò: - Cioè, non l'ho proprio persa... ne ho un’altra... Baldassarre iniziò a picchiare i pugni sul tavolo, stavolta sghignazzando. No... questa proprio non la dovevi dire... è buonissima, neanche i woitiliani riescono a dirne di così divertenti. Glennmiller si alzò furioso, si mise sotto una lampada e l’accese. Sul pavimento si disegno l’ombra della donna. Baldassarre smise di ridere di botto, si asciugò gli occhi con una tovaglietta e si avvicinò: - È un miracolo, quando è successo? 15 glennmiller Glennmiller spense la luce e torno a sedere. - Ora capisci la mia disperazione, se lo sapessero quelli del governo io potrei diventare un raro caso di disobbedienza planetaria e ci pensi a cosa potrebbe dire mia madre!? - Riaccendi subito la lampada - intimò Baldassarre con un insospettato guizzo di professionalità. Glenn obbedì. Baldassarre si sdraiò per terra accanto all’ombra. - Però, la proprietaria deve essere una bella figliola, complimenti Glenn... - Fai attenzione che tira certi schiaffi... - disse quello mettendolo in guardia. - Hai già provato eh, vecchio sputnik... - rise Baldassarre e l’ombra si accese una sigaretta. - Rank Xerox! - esclamò Glennmiller - ma che sta facendo? - Non ne ho idea ma pare che stia prendendo fuoco e non sembra spaventata... - fece il medico estasiato. Glennmiller spense la luce. - Ho bisogno di una soluzione... - Hai provato a parlarci? - chiese Baldassarre. - Per dirle cosa? - fece l’altro a bassa voce. - Beh ad esempio, che so, come sta signorina, che fa nella mia ombra, si sente bene, è della sua misura, che fa stasera, quanti anni ha? - proseguì il medico cambiando tono di voce e guardandolo negli occhi. Poi visto che Glennmiller se ne stava in silenzio continuò: - Forse hai preso troppo sole quando sei stato a pulire gli specchi, fatti un impacco di mutande fresche sulla testa e non ci pensare più, e poi non ti ridurre in questo stato, non lo sai che è vietato? - Come vietato? - chiese l’altro sorpreso. - È solo un’indiscrezione - disse Baldassarre guardandosi attorno e divenendo improvvisamente serio - non ne sono certo, ma pare che un tizio sia stato sorpreso a discutere, in maniera più o meno dubbiosa, sulle finalità della vita e che non trovando nessun conforto o giovamento nei dotti consigli dei Saggi, si sia lasciato andare a esasperanti mutismi e alquanto discutibili atteggiamenti, che spesso hanno rasentato il risibile stato d’animo del dubbio, al punto che, due guardie per evitare il contagio, lo hanno portato in clinica. Lì è stato fatto oggetto di premurose cure ma, e qui nasce l’indiscrezione più grossa, sembra che il tizio sia affetto da “Depressione Progressiva Infelice”... © maurizio semplice - E cos'è? - domandò Glenn impaurito. - Non saprei dirtelo... - fece grave il medico toccandosi il mento - Sembra che sia un nuovo morbo, dalle caratteristiche terribili, che può portare l’individuo alla rovina... Glennmiller annuì. Si fece fare subito una ricetta per cinque scatole di mutande refrigeranti, salutò l'amico, che era diventato stranamente pensieroso e scese in strada. 16 glennmiller © maurizio semplice nove Trascorsero un paio di giorni, Glenn era sprofondato in uno stato d’animo a lui sconosciuto e che non tardò a collegare alla terribile malattia: era tristissimo. Gli parve di aver perso irrimediabilmente una parte di sé e cosa ancor più grave non sapeva che pesci prendere. Se ne stava in disparte a osservare la propria ombra che ballava frenetica una strana melodia, oppure che si muoveva sinuosa sotto la doccia. Improvvisamente decise di rompere gli indugi e di recarsi dal professor Zefiro. Era una cosa assai rischiosa, il professore era infatti membro supplente del Consiglio dei Saggi e Garante della Grande Ombra. Era un tipo molto diffidente e bastava un nulla per farlo insospettire. Una volta addirittura denunciò la propria ombra affermando che lo seguiva. Aveva infatti un grosso esaurimento nervoso e i colleghi dovettero faticare non poco per convincerlo della normalità dell’evento, che nonostante tutto conosceva benissimo. Comunque Glennmiller mise da parte tutti i suoi dubbi e si fece coraggio. - Il professore è assente - sillabò McCognac, il suo assistente, attraverso il citofono caleidoscopico. - Vorrei entrare lo stesso - replicò deciso Glennmiller e la porta dopo qualche secondo si aprì cigolando. Gli venne incontro uno strano personaggio, con i capelli rossi chiusi dentro una retina luccicante, abbigliato con una specie di toga celeste che lo copriva fino alle caviglie. - Non credo che io possa fare alcunché per voi - esordì quello serissimo. Glennmiller si asciugò il sudore dalla fronte e scoppiò in un pianto dirotto: - Dovete aiutarmi... non so più cosa fare... - Nessuno sa più cosa fare, ma almeno cerchi di non perdere la dignità puntualizzò McCognac scuro in volto. Glennmiller non volle sentir ragione e iniziò a saltellare per la stanza raccontando meccanicamente la sventura che lo aveva colpito. L’assistente stette ad ascoltare tutta la storia poi dopo una decina di minuti di drammatico silenzio, si guardò intorno, socchiuse sospettoso una finestra e alla fine allargò le braccia urlando. - Che il divino Toner sia lodato... un altro infelice! Glennmiller fece una smorfia non capendo nulla. - Capitate a fagiolo, il professor Zefiro aveva scoperto una cosa terribile ed è stato imprigionato, e voi siete la prova vivente dei suoi esperimenti... - Glennmiller cercò una sedia e chiese qualche spiegazione. McCognac si allungò su un’amaca intrecciata con delle lische di pesce e schegge di cometa e iniziò: - Qualche tempo fa il professor Zefiro iniziò a studiare a fondo l’origine del nostro pianeta e giunse a conclusioni assai interessanti. Approfondendo l’accertata ipotesi che Xerox sia una emanazione della Terra e che ogni sessantotto zylof si trovi perfettamente in asse con essa, intuì che potevano accadere, proprio per effetto di questa vicinanza, cose piuttosto inconsuete. Per esempio, il professore si accorse che in quei giorni il calore del sole era molto meno forte del solito e che la consistenza delle ombre era quanto mai flebile. Inoltre constatò, a sue spese, la crescita di una certa suscettibilità nel carattere dei nostri concittadini, che intervistati da lui attraverso validissimi test, lo picchiarono spesso e sempre per futilissimi motivi estranei alla ricerca. Ridusse tutte le sue osservazioni a un esame matematico e rabbrividendo intuì che la Terra poteva sviluppare da un momento all'altro una smisurata forza gravitazionale, tale da risucchiare sulla sua superficie tutto quello che le si fosse trovato a tiro... - Non ho ancora capito, però, cosa c’entri la mia ombra...- lo interruppe Glennmiller. - C’entra, c’entra, incosciente... ma mi faccia terminare. Quando il professore fu convinto della propria ipotesi, andò di filato al Consiglio per metterli in guardia. In un primo momento si limitò a spiegazioni 17 glennmiller scientifiche e a stendere davanti ai loro occhi le lenzuola di calcoli che aveva elaborato, poi arrivò alle sue considerazioni, diciamo di carattere morale... Quella forza gravitazionale, privando improvvisamente un individuo di qualcosa, avrebbe potuto far nascere l’infelicità e per conseguenza il corollario diceva che la felicità risiedeva quindi solo nel possesso… una banalità sconcertante oppure la scoperta di una verità banale… I saggi lo stettero ad ascoltare interessati, poi uno di loro, Turigolfo di Stipite mi pare, si alzò in piedi dicendo: “Il buon Zefiro ci vuole dimostrare che lo stato d’animo chiamato infelicità, si possa annidare nella perdita o nel possesso di qualcosa, e questo è francamente immorale. Gli fece eco Genio Spargigrano: - Non capisco dove il nostro dotto amico cerchi di parare, non corriamo nessun pericolo da almeno quattro megafluf e dovrebbe essere riuscito a intuire, attraverso sacrifici e riflessioni, che l’infelicità - proprio perché stato frenante al regolare svolgimento della vita - è stata giustamente bandita, dopo ampia delibera, dalle nostre normali pulsioni. Quindi il pericolo paventato, scusatemi, ma non sussiste... Zefiro arrossì, tutto aveva immaginato meno che l’infelicità esistesse da tempo e che fosse stata addirittura vietata. Si riprese le carte e senza guardare nessuno se ne tornò nel suo studio. Dopo qualche giorno mi chiamò e raccontò con gli occhi fuori dalle orbite, tutto quello che gli era accaduto, ma la cosa più incredibile fu quando comprese che i Saggi erano arrivati alle sue stesse conclusioni molto tempo prima, ma non glielo avevano mai comunicato. Sapevano tutto della Terra, del Sole e dell’Infelicità, (e forse sono saggi proprio per questo, aggiungo io), ma lui non se ne fece una ragione e finì per scivolare nel deprecato stato d’animo sopra descritto. Si sentì deriso, tradito, ma era ormai troppo tardi, iniziò a mugugnare e strillare in pubblico finché una pattuglia lo prelevò due giorni fa davanti al mausoleo delle Montagne Russe e non ne ho avuto più notizia... © maurizio semplice McCognac tacque e Glennmiller dovette tossire per richiamarne l’attenzione. - Mi scusi, ma io ancora non ho compreso cosa c’entro... io… Quello si alzò e iniziò a passeggiare per la stanza. - Pensavo di essere stato chiaro, ma nonostante tutto, voi state compiendo un grosso sforzo per sembrare ancora più testone di quello che s’intuiva a una prima analisi, comunque sarò breve. Il pericolo teorizzato dal professor Zefiro, che la Terra iniziasse a risucchiare sulla sua superficie qualcosa del nostro pianeta, è accaduto con la vostra ombra, che ora quasi sicuramente se ne sta a spasso sul Pianeta Furfante e al suo posto vi ritrovate l’ombra di qualche donna terrestre... - Ma è terribile... - mormorò Glenn mordendosi un dito. - Certo che lo è, a meno che... - continuò l'altro flebile - A meno che lei non vada sulla Terra a riprendersela... - Io sulla Terra!? - esclamò Glennmiller cadendo dalla sedia. - Non è una impresa impossibile, io ed il professore avevamo scoperto una specie di chiatta galattica per il trasporto delle scorie nucleari, i terrestri la usavano per venirci a infettare l’atmosfera qualche dedrasnaf fa, ora è attraccata al nostro pianeta per mezzo di cavi kubricoassiali. Se volete potremmo revisionarla e potreste imbarcarvi al più presto; in questo periodo la Terra non è lontana e se riuscite a recuperare l’ombra nel giro di due granpitork, potreste tornare qui in tempo per il processo e testimoniare in favore del professor Zefiro e smascherare tutto il Consiglio. - Ma la Terra è orribile, a scuola non ho fatto altro che studiare la loro fetida atmosfera e la tremenda composizione morale del loro animo, pensi che usano fare ancora le ferie... - balbettò Glennmiller. - Queste sono sfumature che a noi non interessano, è risaputo che a un certo momento si sono dedicati alla produzione senza fine e al consumo autistico e che hanno smesso di pensare, quindi di vivere, intellettualmente parlando, ma voi dovete impegnarvi a trovare quell’ombra che è volata via e a restituire quella che non vi appartiene... Ricordate che da voi dipende l’intera salvezza del pianeta. Se la gente scoprisse che l’infelicità è stata semplicemente vietata, potrebbe iniziare 18 glennmiller una colossale disubbidienza e iniziare a essere infelice come e quando vuole e soprattutto per un nonnulla. Tutti inizierebbero a cercare la felicità perduta attraverso oggetti e simboli paleocammei. A quel punto potremmo già considerarci alla stregua della Terra e questo non possiamo permetterlo. Dobbiamo invece predisporli alla naturalezza dell’evento, e quindi alla necessaria analisi... Glennmiller annuì, sentendosi improvvisamente gravato da un peso enorme. - E come faccio a sapere esattamente dove è finita la mia ombra? - chiese a un tratto a McCognac. - Ah, ma questo è facilissimo, basta fare dei calcoli, non vi preoccupate; abbiamo tutto il laboratorio del professore a nostra disposizione e poi, non faccio per vantarmi, ma sono stato il più grosso cacciatore di ombre di Xerox... - Allora ne sono già scappate altre... - disse Glennmiller spaesato. - Ma no, cosa avete capito? “Caccia alle ombre” è un videogame inventato da me e dal professore. Io lo battevo sempre, lui si arrabbiava, io confessavo che avevo barato e allora facevamo la pace. Glennmiller scosse la testa accennò un sorriso tentando di dargli del “tu”. McCognac rifiutò sdegnoso e si congedarono sulla porta di casa con una stretta di mano. Era notte alta, i pettegolezzi di Baldassarre avevano un certo fondamento, le cose non sembravano più tanto beate come erano parse sino a quel momento e sopra la sua testa svolazzavano, impercettibilmente mosse dal vento artificiale, le vaste tende che spandevano quella strana oscurità. Glennmiller si strinse dubbioso nelle spalle e iniziò a pensare al suo prossimo futuro, che aveva le stesse incerte sfumature di quella notte, improvvisamente colma di solitudine. © maurizio semplice dieci Durante la notte Glennmiller vagliò attentamente l’ipotesi di viaggiare fino alla Terra per riprendersi l’ombra. Era semplicemente terrorizzato dall’idea, ma non aveva molte scelte. Aveva sempre sentito parlare di quel pianeta nei toni e nelle sfumature del disgusto. Gli avevano insegnato che i terrestri erano stati capaci di imbarcarsi in ogni sorta di guerra, quasi sempre per motivi di poco conto; che possedevano, poi, una morale elastica, ridotta per motivi pratici, nella fondazione di svariate interpretazioni religiose e di ben organizzati partiti politici. Glenn immaginava la Terra come in preda a un caos sempiterno, perennemente battuta dalle piogge del dispiacere e nascosta dalle nubi scure dell’irrazionale. Rabbrividì e scosse la testa. Comunque non aveva molte scelte e gli venne il desiderio di prepararsi per bene a quel viaggio. Richiamò McCognac al telefono e chiese se avesse del materiale sulla Terra da poter studiare, prima di intraprendere il viaggio. Quello assentì ridacchiando e disse di passare al laboratorio. Glenn non se lo fece ripetere due volte. Corse allo studio e trovò l'assistente intento a disegnare su una carta astrale qualcosa di simile a una rotta. Rimase in silenzio aspettando che finisse il tracciato e appena gli parve che avesse terminato, attaccò con una serie di domande. McCognac lo ascoltò in silenzio poi ripose il compasso e la matita gialla dentro un astuccio e lo squadrò: - Non avevo mai sentito tante imbecillità tutte insieme. Va bene che avete paura, ma vi sembra il caso di perdere il lume in codesto modo? Non vi preoccupate, proverò io ad aiutarvi. 19 glennmiller Anzitutto vi darò qualcosa da studiare, ma mi raccomando, è materiale pericolosissimo. Se qualcuno viene a sapere che ne sono in possesso… - E come avete fatto allora ad averlo? - chiese l’altro preoccupato. - Dovete sapere che io e il professore siamo stati un paio di volte sulla Terra... - sussurrò McCognac - due viaggetti di poco conto con quella chiatta terrestre di cui vi ho parlato. Il professore aveva trovato una scorciatoia per andare e tornare senza tanti problemi e allora l'abbiamo usata per andare a vedere... - Non ci posso credere, voi siete stati sulla Terra? E cosa avete scoperto? chiese sempre più preoccupato Glennmiller. - Niente che già non sapessimo. La situazione era convulsa, guerre locali e rischi ambientali, città sovraffollate e invivibili, individui che improvvisamente si azzuffavano ai semafori dopo essersi scambiati una frase smozzicata. Però devo dire che trovammo dei localini dove si bevevano certi infusi che qui neanche riusciamo a immaginare. Io iniziavo il mattino presto e nel primo pomeriggio ero già tra le braccia di Donlurio, come si dice laggiù. Il professore invece si era appassionato per alcuni posti sperduti dove a dispetto del caos, erano stati conservati migliaia e migliaia di libri, che sembra non facessero altro che raccontare all’infinito la storia dell’uomo. Durante il secondo e ultimo viaggio, decidemmo di portarci via qualcosa dalla Terra da studiare in tutta tranquillità. Purtroppo, fino a ora, siamo riusciti solo a esaminare cinque casse di uno strano liquido schiumoso che laggiù chiamano “birra”. Per i libri non c’è stato nulla da fare, se non una consultazione assai superficiale, anche perché iniziò subito quel periodo di cui vi ho parlato e vivemmo con il sospetto di essere sotto controllo. Comunque conservo tutto in un posto sicuro, prego venite... - concluse McCognac dirigendosi in cucina. - Qui non verrà mai nessuno - disse aprendo il forno e subito dopo una scatola di biscotti, dove erano nascosti alcuni romanzi tascabili. Dalla dispensa poi vennero fuori tre volumi dell’Enciclopedia Britannica e una intera raccolta di fumetti. Glennmiller iniziò curiosissimo a esaminare tutta quella carta, mentre McCognac gli raccontava episodi terrestri. Insieme consultarono varie planimetrie e colorati atlanti geografici, diversi libri di autori terrestri vietati per la loro assoluta predisposizione © maurizio semplice alla riflessione, che erano gelosamente custoditi nel frezeer, e una intera collezione di Playboy del 1977 che lasciò Glennmiller sbalordito. Fotocopiò le cose che giudicò interessanti e dopo aver ringraziato l’assistente del professore, corse a casa per studiarle attentamente. Una volta tornato nella sua stanza, sfogliò le carte sparse sulla sua scrivania e iniziò a fissarsi sulle frasi che qualche uomo antico aveva sottolineato a matita: “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato. La cuoca della signora Grubach, la sua affittacamere, che ogni giorno verso le otto gli portava la colazione, quella volta non venne...” “La superficie del paese del Quotùm dipenderà dalla guerra che è attualmente in atto contro il Martorique, così pure la determinazione dei suoi confini; comunque noi del Geographic Memory ci auguriamo che le buschi di brutto così da non dovere intervenire un’altra volta sulle nostre carte, grazie...” “Mio caro ragazzo, veramente superficiali sono le persone che amano una sola volta nella vita. Quella che esse definiscono lealtà e fedeltà, io la definisco: tendenza al letargo o mancanza di immaginazione. La fedeltà è nella vita sentimentale quello che la coerenza è nella vita dello spirito – l’accettazione di un fallimento. La fedeltà! Un giorno o l’altro dovrò pure analizzarla. Si riduce a un amore per la proprietà. Parecchie cose getteremmo via volentieri se non avessimo paura che altri le raccogliessero...” “La tragedia principale della mia vita è, come ogni tragedia, una ironia del Destino. Rifiuto la vita reale come una condanna; rifiuto il sogno come una liberazione ignobile. Ma vivo la parte più sordida e più quotidiana della vita reale; e vivo la parte più intensa e più costante del sogno. Sono come uno schiavo che si ubriaca durante il riposo: due miserie in un unico corpo...” “...e Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza…” 20 glennmiller © maurizio semplice “90-60-90, Jessica Fuxia la playmate di maggio, misure esplosive per esplosive avventure, intorno alle colline dei suoi seni potrete accampare le tende della vostra fantasia...” Glennmiller chiuse le carte in una scatola e rimase a immaginare i tragici destini dei terrestri, stretti nell’angoscia più profonda della loro vita senza senso. Questo almeno si ricavava leggendo tutte quelle carte sparse, che non facevano altro che parlare di angoscia e di paura. A dire il vero ripensò anche alle colline di Jessica e gli venne voglia di riesaminarle più da vicino. In quell’istante Rugiada spalancò la porta. Glennmiller si gettò sul pavimento contorcendosi per il dolore. - Che è successo Glenn, ti senti male? Lui strizzò gli occhi tenendo la foto di Jessica accostata al petto. - Un dolore terribile e improvviso alla pancia, non ti preoccupare non è niente, preparami cento gocce di Plastilina e lasciami in pace... La sorellina alzò le spalle e scomparve nel corridoio. Glennmiller si ricompose e dopo aver rimirato la sua nuova amica di carta, s’infilò nel letto aspettando la medicina. undici Il gran giorno arrivò. Glennmiller rassicurò sua madre, dicendole che avrebbe intrapreso un lungo viaggio per andare a trovare il vecchio zio Braghedimela dall’altra parte del pianeta, scrisse un bigliettino per Uragana, comunicando che era impossibilitato a partecipare al loro duecentesimo appuntamento, poi finalmente si recò da McCognac per la partenza. L’assistente dai capelli rossi era in preda all’agitazione e correva su e giù per il laboratorio, alternando calcoli spaziali a raccomandazioni materne, cercando in soffitta dei vecchi ombrelli anti-asteroidi e mazzi di banconote per poter pagare le necessarie tangenti da distribuire sulla Terra. Glennmiller si era accomodato accanto al lampadario, che come in tutte le case di Xerox non era piantato sul soffitto, ma al centro del pavimento. Improvvisamente McCognac esclamò: - Sia fatta la volontà delle Imperscrutabili Predisposizioni del Software Libero, andiamo! Glenn lo seguì facendosi coraggio. Arrivarono ai piedi delle rampe che portavano al cielo. Era stato fatto buio da poco. Si nascosero dietro un creatore di pioggia e attesero che la squadra tendaggi completasse il suo giro per iniziare a salire. Sotto di loro si accendevano una a una le luci di Palo Rete; nei loro cuori le speranze facevano la stessa cosa. Quando furono in cima, Me Cognac indicò un piccolo abbaino. Prese la maniglia e fece forza. La luce del sole dall’altra parte gli fece chiudere gli occhi. S’issarono attraverso l'apertura e in un attimo furono fuori dall’atmosfera. 21 glennmiller Glennmiller, riparandosi gli occhi con la mano, rimirò l’orizzonte sconfinato che aveva dinanzi, vide un cumulo di nuvole e la sagoma della luna che dispettosa vi dondolava sopra. Poco più lontano scorse la palla terrestre macchiata di panna montata e strizzando lo sguardo, si volse verso Me Cognac che stava armeggiando con una grossa fune tesa verso il nulla. - Datemi una mano - fece quello ansimando e Glenn corse in aiuto. Iniziarono a tirare la fune, come due vecchi pescatori davanti al mare in tempesta. Dopo qualche minuto apparve una vecchia chiatta spaziale piena di muffa e con le antenne svolazzanti. Tesero le schiene per lo sforzo e la tirarono in secca. - Ecco, come vi avevo prospettato, il battello terrestre, il mitico “Scoriolano III”, da noi catturato per scongiurare le sue mefitiche missioni. È a sua disposizione. Glennmiller non sapeva cosa fare e per l’emozione gli cadde il pacchettino delle medicine che gli aveva preparato la madre. L’involucro rotolò lungo le superfici lisce del cielo di Xerox e si perse nell’infinito. Glenn lo seguì con rammarico e salì a bordo. McCognac gli diede una valigetta di metallo, piena di bussole, vasetti con le più strane marmellate, una pistola registratore caricata a minacce in diverse lingue, polveri pruriginose e una radiotrasmittente solare, con cui sarebbero rimasti in contatto. L’altro accettò la valigetta e chiese come avrebbe fatto a mettere in moto la navicella. McCognac consultò un vecchio libretto d’istruzioni appeso allo scafo, sfogliò velocemente le pagine poi arrossì: - Accidenti, mancano almeno una decina di fogli... poco male, andiamo a vedere i motori, forse mi ricordo ancora qualcosa. © maurizio semplice costringemmo a mangiarsi tutto il pesce sotto la minaccia dei nostri cannoncini alla vaniglia, anch’essa marcia. Poi li rispedimmo a casa con un cartello intorno al collo: “Chi il pesce irresponsabilmente spande, come niente gli riempie le mutande”. Ma non vi preoccupate, tenete aperti i finestrini e la puzza se ne andrà così come è venuta; nei nostri due viaggetti verso la Terra abbiamo sempre fatto in questa maniera... a proposito, venite a vedere cosa ho trovato. - disse quello e mostrò un lungo spago che terminava in un vecchio motore da barca. - Presto, tiratelo! - continuò eccitato. Glennmiller eseguì senza dire una parola. Lo Scoriolano III traballò, tossì e si mise in moto con un balbettio di lambretta. - È fatta, è fatta, non lasciate mai lo spago e tenete sempre il timone dritto, non potete sbagliare, la Terra è lì davanti... Auguri e tornate vincitore anzi, con la vostra ombra... - disse saltellando McCognac e con un balzo lasciò la navicella che tremava tutta. Glennmiller levò l'ancora e partì verso il pianeta che gli sorrideva, proprio davanti agli occhi. Glennmiller lo seguì fiducioso. Arrivarono in una piccola stanzetta che odorava di pesce. - Non sente dottor McCognac, qualcosa di strano nell'aria? - chiese Glenn turandosi il naso. - Fu il suo ultimo carico, i terrestri tentarono di scaricare nella nostra atmosfera qualcosa come trentadue bhegatrav di tonno marcio al mercurio, ma noi li fermammo in tempo e li 22 glennmiller © maurizio semplice Riprese il viaggio guardandosi intorno, si sentiva quasi come George Mirage, l’eroe di Xerox, di cui aveva letto qualsiasi tipo di avventura. dodici Lo Scoriolano planò leggermente sui flutti scuri dell'universo e lentamente prese la direzione della Terra. Glennmiller stava dritto al timone con i capelli svolazzanti e gli occhi fissi sulla plancia devastata del battello spaziale. Quando il cielo iniziò a diventare sempre più scuro, entrò sottocoperta e predispose la calotta di polpettilene per proteggersi dalla solitudine planetaria. Rimase sveglio tutta la notte con gli occhi incollati all’oblò e scorse con meraviglia le costellazioni a forma di lacrima che si perdevano in una distesa di fazzoletti tenebrosi senza inizio né fine. Vide passare due satelliti innamorati che si rincorrevano saltellando. Si stupì vedendo una nuvola di palloncini colorati sfrecciare accanto alla prora. Intravide due strani uccelli appollaiati sull’anello fluorescente di un pianetino rosso come un cocomero, che facevano le boccacce a un esemplare di merdolo, imprigionato in una gabbietta di plexiglass. Sfiorò due testate nucleari che si guardavano in cagnesco e per poco non andò a cozzare contro gli hangar dove erano custodite le nuvole della pioggia. Alcuni guardiani, bardati con dei lunghi impermeabili gialli, appena lo ebbero a tiro, lo colpirono con le loro fionde caricate a grandine. Glenn strinse il timone impaurito e tirò dritto. Passò a una decina di migliaia di chilometri dalla Nebulaventosa, che rinfrescava il Sole, muovendosi a scatti. Sorpassò la costellazione del Carro Attrezzi che trainava quella del Carro, evidentemente in panne. A un tratto, uno sciame di calabroni plutovesuviani armati di lunghi pungiglioni arrugginiti, gli sbarrò la strada. Glenn non si perse d’animo e azionando delle fatiscenti pompe, li stordì con una terribile fiatata ittica, partita dalle profonde viscere della navicella. Il viaggio durò ancora qualche giorno, oltrepassò a fatica una barriera corallina di rifiuti plastici che i terrestri avevano messo in orbita per smaltire qualche loro discarica e finalmente giunse nelle vicinanze della Terra. McCognac gli aveva detto di gettare l’ancora nella parte occidentale del pianeta dove, secondo i calcoli, avrebbe trovato sicuramente la propria ombra. E così fece. Si sporse di buon mattino dalla navicella e il vento gli pettinò i capelli. Sotto di lui scorse l’oceano e poco lontano una vasta distesa di grattacieli bianchi. Un gabbiano curioso gli planò accanto e lui si spaventò. Provò a scacciarlo con i resti di una canna da pesca, rimasta a bordo dopo la traversata nell’immondizia, ma quello sghignazzando gli beccò un orecchio. Fu a quel punto che Glennmiller si rifugiò sotto un barile di frutti di mare e uscì solo dopo qualche ora, proteggendosi il capo con un polipo argentato. Nel frattempo l’oceano sotto di lui era in preda all’agitazione. Onde alte come un condominio lambivano la navicella. Glenn si fece coraggio, spiegò le vele rattoppate e si portò a ridosso della terra. Gettò l’ancora sopra una vecchia struttura metallica e scivolando lungo una fune arrivò al suolo. Aprì la valigetta e indossò un impeccabile completo di latta, appartenuto al nonno. Si passò una mano sulla fronte e guardando dritto nello schermetto di una bussola stroboscopica, si inoltrò nella selva di palazzi e automobili che aveva davanti agli occhi. 23 glennmiller © maurizio semplice tredici Lo accolse una megalopoli dagli strani idiomi. Tutti ne parlavano almeno cinque, di cui uno rigorosamente gestuale. Glennmiller si adeguò subito e cercò di farsi spiegare dove fosse Park Atratz, il luogo dove secondo i calcoli di Me Cognac, avrebbe sicuramente ritrovato l’ombra. Purtroppo il parco giochi era stato smantellato da almeno vent’anni per costruire un ipermercato e così Glenn non seppe dove andare. Comunque non si perse d'animo e, anche se terrorizzato, iniziò a esplorare la città che aveva davanti agli occhi. Girovagò per qualche tempo finché un giorno vide passare un variopinto corteo di persone con dei cartelli. Glennmiller si accodò sorridendo. A metà di quella strana passeggiata si accorse che il gruppetto era composto da soli bambini. Lui iniziò a muoversi, alzando e abbassando le braccia, seguendo il ritmo degli slogan. Una ragazza con degli strani occhiali scuri lo fissò abbassando una bandierina verde. - Ci stai prendendo in giro, o cosa? - Perché? È così divertente, dite delle cose così spiritose... - replicò ridendo Glennmiller. Ah sì? Becca questa! - esclamò un altro sputando una merendina e fracassandogli una bottiglietta sulla testa. Glennmiller si coprì il capo con le mani. In un attimo tutti gli furono addosso, tempestandolo di calci e pugni. Rimase sdraiato sull’asfalto con il naso sanguinante e un avvallamento sulla fronte. Una ragazza del gruppo tornò improvvisamente sui suoi passi. Lui la vide e sbarrò gli occhi. - Basta, basta! Sono un turista, non ho capito nulla di quello che stavate dicendo, non c'era niente di spiritoso, anzi stavate dicendo delle cose tristissime... - Sta’ calmo idiota altrimenti quelli tornano e finiscono di massacrarti. Ma non lo sai che oggi è il giorno della protesta organizzata contro la violenza degli adulti? - Cosa? - balbettò Glenn cercando la sua valigetta. - Ma da dove vieni? Dagli Urali? - disse a bassa voce la ragazza aiutandolo a rimettersi in piedi. Glennmiller si rifocillò in un bar insieme alla ragazza, poi sempre insieme presero una decina di autobus e arrivarono in uno shopping center. La ragazza frantumò una vetrina a calci e tenendo a bada il proprietario con una minuscola pistola, prese dal guardaroba un giubbotto borchiato con squarci sul davanti in stile post-terremoto. Lui la stava aspettando all’entrata e quando la vide tornare gli venne da sorridere. - Scappa idiota, che tra poco ci saranno addosso - urlò la ragazza mettendo le ali ai piedi. Corsero a perdifiato attraverso un quartiere abitato da strani personaggi dall’abito grigio e dalle valigette con la combinazione, che vedendoli si scansarono schifati, maledicendoli con i loro telefoni cellulari. In un sottopassaggio invaso dall'immondizia la ragazza, riprendendo fiato, gli diede il giubbotto. Glennmiller scosse il capo incredulo - Ma non c'era bisogno di farmi un regalo, ci conosciamo appena, al limite io avrei dovuto... - Senti idiota, io non avevo nessuna voglia di farti un regalo, ma è stato solo perché mi vergognavo ad andare in giro con uno vestito come una latta di pomodori... Glennmiller si lisciò il completino del nonno e alzò le spalle. Si rivestì di tutto punto e insieme riemersero dal sottopassaggio. Gli uomini grigi erano scomparsi e al loro posto si aggiravano minacciose le scorte di scorta della potente setta dei Sosia, che a quell’ora accompagnavano, pistole in pugno, sirene spiegate e mastini sguainati, i figli dei Sosia a comprare orologi di plastica profumata. 24 glennmiller © maurizio semplice quattordici Era tutto sotto controllo, era un sereno pomeriggio di metà millennio. Dopo qualche giorno, tra una sparatoria e una discreta rissa, Glennmiller si fece coraggio e chiese alla ragazza come si chiamasse. Quella scoppiò a ridere e allargò le braccia - Ce ne hai messo del tempo, mi chiamo Bresne Freesbe... Brefree per gli amici. E tu? - Io? Mi chiamano Glennmiller... Non è possibile, è straordinario, è come se mi avessero chiamata, che so? Mariacallas oppure Janisjoplin. Che droghe usava tuo padre? Glennmiller sbiancò. Il padre si chiamava Louisarmstrong ed erano anni che era scappato di casa con la scusa di andare a farsi prendere un impronta al palato. Forse si drogava per davvero. Cercò di cambiare discorso. Bresne lo prese per una manica del giubbotto. - Hai mai rubato una macchina? Adesso ti insegno. .. - Glennmiller non capì un accidente, ma con insospettata perizia scardinò la portiera di una voluminosa Armadillac del '96 in doppia fila. Bresne applaudì e si mise alla guida. Il viaggio fu terrorizzante. La gente per strada scappava a gambe levate e più di una volta urtarono altre macchine parcheggiate lungo i marciapiedi. Stravaccati sulle loro motociclette senza ruote, perché rubate, annoiati poliziotti si limitarono a prendere la targa e a sospirare nei loro logori fischietti. Bresne era al massimo della contentezza e Glennmiller era scivolato sotto il sedile. Quando lei frenò di botto, lui si spiaccicò sui tappetini e finalmente svenne. Lei lo rianimò a pedate. - Glenn, siamo arrivati. Io abito qui... - e indicò una fatiscente roulotte argentata. Tutto intorno altre roulotte e automobili più o meno distrutte. Glennmiller, traballando scese dall’auto. - Benvenuto a Dirty Land, anni fa qui ci proiettavano anche i film, poi la polizia vietò tutto perché si sapeva esattamente quante persone entravano, ma non quante ne uscissero, vive s’intende. D’altra parte era il luogo preferito dalle bande per regolare i conti in sospeso. Fu un grande business per le pompe funebri, un po’ meno per i padroni del cinema. Io comunque qui ci sono nata. Concepita durante il secondo tempo di un film di guerra e nata in quella roulotte alla fine di una commedia sentimentale. I miei genitori mi hanno abbandonata nella macchina per il popcorn e sono rimasta qui a badare al resto della famiglia... - Quale resto della famiglia? - chiese Glennmiller scansando un simpatico bobtail, che si rivelò essere una nutria nucleare in cerca di cibo. - Vivo insieme ai miei due fratellini Pedro Peyote e Alkaseltzer, sono così piccoli che quando usano il kalashnikov lo devono fare sempre in coppia, Alk sale su una scaletta e mette il caricatore, mentre Pedro si arrampica fino al grilletto e spara. Sono due amori... Glennmiller era sbalordito. Rifiutò educatamente una sigaretta di hashish e cercò di saper qualcosa di più preciso sul posto dove era capitato. Bresne diede qualche risposta annoiata: - È il colmo, siamo nel 2836 e ancora c’è qualcuno interessato a quello che è successo... Ma dove sei stato tutti questi anni? In un rifugio antiatomico? Io per fortuna sono stata sempre all’aria aperta, me ne sono sempre fottuta delle radiazioni, almeno non mi sono rincoglionita come te... Glennmiller sorrise educatamente, le sue nefaste supposizioni sulla Terra erano tutte drammaticamente vere, anzi in qualche punto la fantasia dei reporter di Xerox era stata ampiamente travalicata dai fatti. - Ma come non sai che intorno al 2200, l’America fu definitivamente invasa da messicani e portoricani, che a loro volta lasciarono la loro terra a filippini e cingalesi assetati di confini e tequila? E che sempre in quell'anno, gli Stati Stremati d’Africa, rispedirono in Europa gli enormi quantitativi di long-playing contro la fame nel mondo, affermando che, nonostante la buona volontà, non erano proprio riusciti a mangiarli; e che i Russi quindici anni dopo invasero il Brasile con un ponte aereo, perché non ne potevano più di vivere al freddo? 25 glennmiller E il Giappone, che si disintegrò quando tutte le radio sveglia del paese suonarono tutte insieme e alla stessa ora il primo accordo di basso di “Someone, Somewhere in Summertime”? Per non parlare dell'Italia, che un giorno si risvegliò senza palazzo del governo, svenduto alla mafia, smontato e rimontato in Svizzera pezzo per pezzo, con tutti i deputati e i leccaculi dentro per risparmiare scandali, soldi e tempo? E le guerre del Golfo? replicate ogni volta che bisognava far sgranchire qualche presidente... E le Calotte Polari che si sciolsero insieme per spaventare il mondo e invece furono imprigionate dalla Pepsi Cola per raffreddare le loro enormi riserve di liquido catramoso? E le battaglie in Medio Oriente, conclusesi solo dodici anni fa, perché non c’era più nessuno da ammazzare? Non ti voglio raccontare poi dei terremoti e delle nubi stratossiche che non volevano più uscire per paura delle alghe, altrimenti ti deprimeresti... Ma tu Glenn, scusami, dov’eri? Glennmiller era rimasto con gli occhi sbarrati e la lingua incollata al palato. Era scivolato nel temuto incubo chiamato “Terra”. Cercò di dire qualcosa e raccontò di esser stato allevato dentro un monastero alle pendici del Tibet, al riparo quindi dai rumori del mondo. Bresne scoppiò a ridere: - Ma che dici, i monaci sono stati i primi a soccombere per colpa dell’aids e per i loro costumi, non proprio mistici... - e mimò un gestaccio nell’aria. - Nel mio monastero godono tutti di ottima salute! - replicò Glenn sdegnato e rimase in silenzio, anche perché non sapeva più cosa dire. A quel punto Bresne si alzò e richiamò i fratellini perla cena. © maurizio semplice quindici Glenn l’aiutò ad accendere il fuoco con due vecchi sedili di un autobus e si distese sotto la cabina di un tir per gustarsi la sera. Bresne scongelò un bipede da una scatola di plastica e i due fratellini arrivarono correndo. Fu a quel punto che accadde una cosa sensazionale. Le fiamme erano alte non più di due o tre metri e spandevano intorno delle strane ombre. Glennmiller iniziò a osservarle e sobbalzò sorpreso. Davanti a sé, vide infatti una sagoma che conosceva benissimo, con i capelli dritti invano scalfiti dal vento, il naso a punta, le lunghe gambe accavallate e l’inconfondibile porta telecomando appeso alla cintura. “Mamma Giada, ma quello sono io, e io sono qui, e allora!?” pensò e cercò di capire chi proiettasse quell’ombra familiare. Stette qualche attimo con il fiato sospeso poi, come un cane da siringhe, si mise a seguire la traccia dell’ombra e arrivò fin sotto i piedi di Bresne. A quel punto si alzò e fu preso da un indicibile moto di contentezza, tanto che iniziò a cantare a squarciagola le prime due strofe dell'inno della sua patria che più o meno faceva cosi: Oh infimox Xeròx into the big universomorox votre gloryglory alleluiax forever big taradà de la major estrella rank rank!* * Oh mio piccolo Xerox nel grande universo testa di moro la tua gloria rilucente sarà sempre più grande del luccichio di qualsiasi stella! (N.d.T.) 26 glennmiller Bresne sputando tutta la birra sul fuoco esclamò: - Dove hai imparato queste porcherie? Glenn, invece, con lo sguardo da pesce di fogna le si era buttato ai piedi e tentava di baciarle una mano; lei si spaventò e sussurrò appena: - Non hai neanche fumato, che ti ha preso? - Tu non puoi capire, mi hai reso felice! - singhiozzò invece lui cercando di abbracciarla. - Lo facciamo fuori Brefree? - chiese educatamente Alkaseltzer salendo su una vecchia mitragliatrice. - No, lasciatelo fare è un turista... - disse calma Bresne, poi lo prese per il colletto e insieme si allontanarono dall’accampamento. La notte li accolse minacciosa con la sua oscura routine di fuochi improvvisi e crepitii di armi automatiche. Stanno sgombrando un asilo... - fece Bresne accennando ai rumori, ma Glenn non le diede retta, era infatti troppo occupato a rimirare la sua ombra che appariva e scompariva lungo il marciapiede. Girovagarono per la città. Bresne se ne stava in silenzio, leggermente turbata, Glenn invece le camminava un paio di metri dietro e non perdeva di vista la sua ombra. A un tratto Bresne si arrestò e si volse. - Senti idiota, io non ho mai fatto felice nessuno, tanto meno uno come te, spiegami perché sei così gasato... © maurizio semplice sedici Glennmiller si schiarì la voce, non sapeva da che parte iniziare, ma iniziò: - Forse non crederai a una parola di quello che sto per dire, ma giuro che è tutto vero. Io vengo da un altro pianeta, dove possedere l’ombra è un fatto importantissimo, quasi come per te andare in giro armata, le origini della mia terra partono proprio da qui, ma sarebbe troppo lungo raccontartele. Un bel giorno, anzi un brutto giorno, mi accorsi di aver perso la mia ombra, o meglio di averne un’altra che, e questo proprio non lo crederai, era la tua... mi disperai e rischiai di diventare infelice (cosa che da noi è vietata, ma quando tornerò vedremo come andrà a finire) allora andai dal professor Zefiro, che era stato arrestato, e incontrai McCognac che mi preparò al viaggio sulla Terra con lo Scoriolano III... dovevo ritrovare la mia ombra in mezzo a tutto questo casino e, che il Beato Turn Off sia lodato, ce l’ho fatta... Tu hai la mia ombra e io la tua, scambiamocela! Bresne aggrottò le ciglia: - Tu sei completamente pazzo! - Glenn sorrise. Sapevo che non mi avresti creduto, allora guarda... - e si portò sotto un lampione. Sul marciapiede si disegnò veloce la sua ombra di donna. Bresne guardò incuriosita. - Sapevo che prima o poi avresti tirato fuori un trucco per violentarmi, ma stai attento idiota che se provi a sfiorarmi ti do un calcio in bocca che non riuscirai più a dire nessuna parola con tre erre di seguito… - Bresne... - sospirò Glennmiller - Sei la mia unica salvezza, non posso tornare su Xerox in questo stato, avvicinati e guarda la tua ombra. La ragazza lo squadrò sospettosa, fece un passo avanti e si lasciò inondare dalla luce del lampione. Sul marciapiede si allungarono le loro ombre scambiate. 27 glennmiller - Non riesco a capire cosa ci sia sotto, ma questa non è la mia ombra esclamò Bresne indicandola. - È una faccenda di campi gravitazionali, anch’io non ho capito molto bene come sia potuto succedere, comunque... - replicò rassicurante Glennmiller. - È strano - commentò Bresne riprendendo a camminare - non avevo mai fatto caso alla mia ombra prima d’ora. Glennmiller le trotterellò accanto Invece è importantissima. Lei ci segue per tutta la vita, da lei possiamo intuire la fattezza dei corpi e la loro consistenza, quando muoriamo lei rimane due ciclostrap a vegliare il corpo che le dava la vita, poi, secondo quanto racconta il profeta Marco Baleno, vola via leggera e passando attraverso il cielo specchiato va a vivere sulle nuvole. Ecco perché da noi una nuvola scura è degna del massimo rispetto... - Dici un sacco di stronzate Glenn, ma mi piacciono... - disse sorridendo Bresne e lo baciò sulla bocca. Glenn arrossì, Uragana aveva fatto una cosa simile solo dopo cinquantacinque appuntamenti. - E come si fa a scambiarsi l’ombra? - chiese divertita la ragazza. - Ah questo proprio non lo so, dovrò informarmi con McCognac via radio. rispose perplesso Glennmiller. Continuarono a passeggiare parlando del più e del meno, ogni tanto la strada si riempiva delle risate di Bresne che non riusciva a credere a una delle parole del povero Glenn e lo prendeva in giro proiettando sul muro delle oscene ombre cinesi. © maurizio semplice diciassette - Vuoi venire con me? - chiese Bresne sistemandosi il reggiseno antiproiettile - Devo fare alcune cose in centro... - Glenn si stropicciò gli occhi e controllò subito che la sua ombra fosse a posto, cioè ai piedi della ragazza. - Certo - disse sorridendo e fu subito pronto. Saltarono a bordo dell’Armadillac e in pochi minuti furono in città. A un semaforo si avvicinarono alcuni tizi con dei panni bagnati per pulire il parabrezza. Glenn li vide e si nascose sotto il sedile. - Scappa, scappa, devono essere delle spie di Xerox che hanno saputo della mia fuga e vogliono riprendermi, non vedi che usano lo stratagemma del vetro, non sanno fare altro su quel pianeta... Bresne rise: - Ma no idiota, quali spie, è normale... - e ripartì sgommando. Glennmiller riemerse e si tranquillizzò. - Dimmi la verità Glenn - fece lei sempre sorridendo - cos'è che hai combinato, traffico d’organi? coca? armi intelligenti? A me puoi dirlo... Traffico di coca intelligente? Ma che sei matta? Io ho solo perso l’ombra, come devo dirtelo, in marziano? Bresne rise di nuovo e parcheggiò l’auto davanti a un ufficio postale. Tu non ti muovere e rimani con il motore acceso - gli intimò Bresne scomparendo all’interno dell’edificio. Dopo qualche minuto ne uscì con una busta di plastica. - Cosa hai combinato questa volta? - chiese Glenn spaventato e un po’ sorpreso di non sentire le urla degli allarmi. - Niente, ho fatto un bancomat, ho preso qualche pensione... - Dammi quella busta, ne ho abbastanza delle tue malefatte! - urlò improvvisamente lui e fece per strapparle l'involucro. 28 glennmiller Bresne tirò fuori uno spray: - Se provi a toccarmi ti riduco in una decalcomania... - Ma tu le hai rubate... - borbottò Glennmiller. - Ma quali rubate... è il mio lavoro. Porto le pensioni a dei vecchi Plaid Runner che abitano dall’altra parte della città. Se venissero di persona sarebbero sicuramente scippati, non vedi che fauna c’è qui intorno? Glenn arrossì, in effetti dall’altra parte della strada stazionavano alcuni tatuaggi viventi in posizione da strappo. Bresne mise in moto e quelli si avvicinarono pericolosamente. Glenn si riaccomodò sotto il sedile. - Scusami per aver insinuato - disse Glennmiller aiutandola a distribuire i mazzetti di buoni sconto e assegni di piccolo taglio a una folla di vecchietti che erano comparsi come d’incanto da un caseggiato senza finestre. Non c'è nulla di male - fece lei – d’altra parte devo guadagnarmi qualche soldo in maniera pulita, altrimenti mi risbattono dentro... - Allora tu... - balbettò Glenn. - Nessuno è perfetto mister Ombra Perduta. Se proprio ci tieni, domani ti porto in metropolitana, così ti faccio vedere come si vive... - Perché, è così terribile? Non hai mai sentito parlare del famoso sciopero dei trasporti del '582? Migliaia di kommercialisti, controllori integralisti, cyberpunkountry, tangentofili, darkonauti, cerebrolifting, neon-crepuscolari, luparomannari, rap model, walkmaniaci, guanopresentatori, trentametristi, impiegatti, pendolunari, extravergini, bankomatti, cocker manager, miopidi, narcoblateranti rimasero bloccati e non uscirono mai più. Tentarono di salvarli ma loro aggredivano chiunque si calasse lì sotto e in breve decisero di rimanere. Ogni tanto se si accosta l’orecchio al marciapiede, si sentono ancora gli ululati dei freni e di qualche malcapitato che ha provato a fare un giretto laggiù... oh Glenn, possibile che nella tua città non accada nulla di tutto questo? Ma dove vivi, in una favola? - Xerox non è una favola... - Xerochè? Ma possibile che non ti sei accorto di niente, né delle guerre che ci sono state né di come è diventato difficile vivere? Possibile che l'unica cosa importante della tua vita sia un’ombra? Glennmiller si rabbuiò. Aveva completamente perso il filo del discorso e la sola cosa che gli era rimasta in mente era quell’ultima frase. © maurizio semplice “Eh già, può un’ombra essere poi così importante?” si chiese e subito dopo aggiunse: - Certo che lo è, altrimenti perché sarei arrivato fin qui? - Pensavo che fosse stato per me... - sussurrò Bresne risalendo in macchina. - Ma in un certo senso lo è, perché tu hai la mia ombra e io se non l’avessi persa, o meglio... - replicò Glenn e perse nuovamente il filo, mentre lei, scuotendo la testa, dribblava alcuni rastapasta che tentavano di salire sull’auto in corsa. 29 glennmiller © maurizio semplice diciotto Trascorsero un paio di giorni e Glenn iniziò a perdere l’iniziale euforia per il ritrovamento dell’ombra. Non riusciva a mettersi in contatto con Xerox, Bresne non credeva che fosse venuto da un altro pianeta e cosa ancora più grave, non ricordava più dove avesse attraccato la navetta spaziale. Sprofondò in un preoccupante mutismo e Bresne dovette fare miracoli per farlo sorridere. Una sera lo portò addirittura sulle rive del fiume Caught-Caught a vedere la proiezione di un tramonto e un video sulla primavera. Glenn si emozionò appena e cercò in tutti i modi di mettersi in contatto con Xerox. Improvvisamente una notte vi riuscì. La radiotrasmittente, lasciata accesa, gracchiò delle incomprensibili cifre e dopo un attimo si udì la voce di McCognac: - Salve Glennmiller, tutto bene? Glenn balzò in piedi e afferrò l'apparecchio. - Dottor Me Cognac è proprio lei! Mi aiuti per favore... ho ritrovato l'ombra ma non so come fare a riprenderla e poi ho dimenticato dove ho parcheggiato lo Scoriolano... - Benedetto figliolo immaginavo che foste sbadato, ma non fino a questo punto! Comunque non c’è problema. Per la navetta annusate il vento: quando avvertirete il noto olezzo, seguitelo... Per l'ombra sinceramente consiglierei di arrangiarsi, perché essendo il primo caso, non ho fatto in tempo a trovare una soluzione... Auguri! Glenn si rincuorò appena. Bresne saltò giù dal letto e lo sorprese incollato alla radiotrasmittente. - Allora Glenn sei riuscito a parlare con il resto della banda? Lui borbottò qualcosa e si volse. Bresne indossava solo un paio di slip. Glenn si alzò lentamente e con un dito le sfiorò un seno: - Anche Jessica Fuxia aveva un paio di queste cose, un po’ più grosse però... - È la tua ragazza? - sorrise Bresne facendo un passo indietro - No, faceva parte della mia documentazione… - replicò Glenn avanzando. Quando le fu a un centimetro dal naso lei chiuse gli occhi e dischiuse le labbra. Glenn si arrestò e la guardò perplesso. - Ti ho fatto molto male? Bresne spalancò gli occhi stupita. - Non volevi darmi un bacio? - Io? Non mi permetterei mai, ma sento qualcosa qui dentro che non riesco a dominare, una pioggia di stelle crinite che mi fanno uno strano solletico, una specie di calore che... Bresne si sfilò gli slip. Glenn rimase di sasso, li raccolse e li rigirò tra le mani, alzò lo sguardo, la ragazza era sparita dentro alla roulotte. Entrò strizzando gli occhi e la scorse nella penombra. In silenzio le si adagiò accanto. 30 glennmiller © maurizio semplice diciannove Il mattino dopo Glenn faticò a svegliarsi. Bresne gli scaldò una coca cola che lui bevve tutta in un fiato, cambiando varie volte espressione del viso. Quando si riprese l’abbracciò teneramente. - Non so bene cosa mi hai fatto fare, ma è stato straordinario, mi è parso di entrare in un universo scuro e poi volare dentro una nuvola di asteroidi, sobbalzare e planare cullato dal vento, danzare dentro a una conchiglia di un fiume e perdermi nella sua corrente... Bresne, per la prima volta da quando era nata, arrossì e gli toccò la punta del naso. - Non ho mai sentito dire cose come queste, forse sei proprio un extraterrestre... Glenn sorrise e si riadagiò tra le lenzuola. Verso mezzogiorno si alzò e stirandosi cercò i vestiti tra le miriadi di oggetti sparsi dentro alla roulotte. Si sentiva leggero e stranamente euforico. Fece qualche passo fuori, cavò dalla tasca un pezzo di carta che aveva trovato tra i rifiuti il giorno prima. Lo srotolò e guardando fisso verso il cielo recitò: “Sei l'unica cosa che l'uomo non è riuscito a cambiare, almeno così sembra. Dall’inizio dei tempi ci accompagni sempre eguale a te stesso, mantieni nella nostra memoria lo stesso spazio che riserviamo alle gioie assolute, a tutte quelle che non è possibile dimenticare”. Uno strano tizio che stava rovistando tra le immondizie si volse di scatto. - Ma tu hai pensato! Dio sia lodato, non tutto è perduto. Come sei finito in quest'inferno figliuolo? Glennmiller si volse e vide la sagoma di un vecchio lacero, coperto da un pastrano marrone, tenuto in vita da un fil di ferro. Sorrise e allargò le braccia e il vecchio si fece avanti. Ad un tratto alle sue spalle comparve, come d’incanto una Thundra Olocaust 5800, con i parabisonti ammaccati e dieci fari antitempesta accesi. Il vecchio fece per scappare, ma il fuoristrada con una manovra da telefilm gli sbarrò la strada. Cinque figuri saltarono giù armati di fionda e mazze. Glennmiller divenne cinerino per la paura e decise di svenire entro pochi secondi. - Caro professore, tutto bene? - fece il primo, che aveva la faccia dipinta di giallo e una cicatrice color malva che gli attraversava il viso come una chiusura lampo. Il vecchio sorrise e balbettò qualcosa in latino. - Le avevamo detto di non farsi più vedere da queste parti, invece lei deve essere diventato improvvisamente sordo - continuò un altro che si era sfilato l’occhio di vetro e se lo stava lucidando con un fazzoletto. - Mi scuso, ho sconfinato, ma dalle mie parti non si trova più niente da mangiare... - sussurrò il vecchio. - Ma come, lei non era quello che si nutriva di spirito, non mi dica che nei bidoni della spazzatura riesce a trovare qualcosa di più nutriente... - Beh, me ne vado subito... - fece sorridendo il vecchio e provò a fare un passetto indietro. - Un momento, non ce ne frega un cazzo della tua dieta... - gli urlò in faccia un anabolizzato che si era tenuto in disparte, calandogli sul viso un manrovescio. - Spiegaci piuttosto cosa ti sei messo a spacciare ultimamente, lo sai che Bhrodho, che di solito si riforniva da te, si è rimbecillito del tutto e ora se ne va in giro vestito da suora a distribuire centrini ricamati e ha addirittura imparato a leggere!? - Einstein deve aver sbagliato le dosi, l’ho visto un po’ distratto negli ultimi tempi... - si scusò il vecchio, ma quello gli fu presto addosso tempestandolo di pugni e calci. Gli altri lo lasciarono fare annuendo come monaci dinanzi a una spiegazione sull’esistenza di Dio. Fu in quell'attimo che Glennmiller si scosse. Impugnò la sua pistola caricata a minacce e l’azionò. Venne fuori uno strepito in arabo e quelli si arrestarono. Fece allora uno strano movimento e in un balzo s’infilò nella gigantesca jeep, che era stata lasciata con le portiere spalancate. Girò la chiave e ingranò la marcia. Il fuoristrada ruggì e schizzò in avanti. Glenn si accartocciò sul volante, come alle prese con un cavallo da rodeo, 31 glennmiller e puntò il gruppetto. Volarono tutti come birilli e Glennmiller, frenando di botto, riuscì a trascinare il vecchio sul sedile. Poi innestando la retromarcia cercò di abbattere quello con la cicatrice color malva che si agitava sull’asfalto. Lo mancò per un pelo e distrusse un cassonetto per l’immondizia. Solo allora, in preda all’eccitazione, mise la prima e si dileguò, insieme al vecchio terrorizzato, verso l’altro lato della città. - Dove hai imparato queste cose? - chiese il vecchio indicando a Glennmiller uno spiazzo dove fermarsi. - Me le ha insegnate Bresne, prima di allora non avevo mai guidato un’automobile... Il vecchio ridivenne pallido: - Beh, allora vi devo, a te e a questa Bresne, diciamo... la vita... anche se non vale molto... Glenn lo fissò incuriosito. - Scusami dovrei presentarmi: Clyde Moonlight, uomo in pensione forzata... - disse solenne il vecchio e tese la mano unta verso Glennmiller che contraccambiò. Abbandonarono la jeep e si inoltrarono in un parco pubblico, accomodandosi sopra i resti di una panchina. - Stavi dicendo delle cose molto interessanti, dove le hai sentite? Glenn sorrise: - Non ci vedo nulla di così straordinario signor Clyde... - Ma stai scherzando? Lo sai che io fui cacciato dall'università perché sostenni che nessuno era più in grado di rivolgere un pensiero verso il cielo, la natura o verso sé stessi. Fui accusato di essere un intralcio al progresso, che insegnavo ai ragazzi la riflessione senza prassi, la pura contemplazione? - Cosa insegnava signor Clyde? - Chiese Glennmiller interessato. - Avevo una cattedra di Filosofia della Coscienza alla Blasfemy University di Stalagmytown... - Interessante - mormorò Glenn e quello continuò assorto. - Dopo la filosofia della scienza iniziai a sviluppare quella della coscienza, che avevo intuito essersi persa lungo tutto il processo di espansione tecnologica. Che senso aveva andarsene un weekend sulla luna e tornare in un mondo così ridotto? Ma erano gli anni del “Pensiero Floscio”, succedutosi dopo varie traversie a quello “Debole” e le mie preoccupazioni furono facilmente preda dell'ironia. Decisi di dare una © maurizio semplice svolta alle mie teorie e iniziai i miei corsi con “Propedeutica al Ripensamento: una teoria negletta” al posto del mio usuale “Siamo belli, siamo tanti, un tetrabyte a tutti quanti!”. Fu un vero insuccesso. Ricordo che scrissi sulla video lavagna “So di non sapere” e subito qualcuno replicò “Allora vattene, beccaccione! Noi abbiamo pagato!” Io non mi scoraggiai e iniziai a raccontare di un uomo che più di un paio di millenni fa aveva consacrato la propria vita alla ricerca del bene e ne aveva fatto la sua strana religione, trasformando il dialogo in pura sinfonia. Trovare qualcuno che era certo di possedere certezze lo eccitava fino alle lacrime e quasi sempre dopo essersele asciugate, iniziava a rimettere tutto in discussione. Qualcuno si alzò dall’aula e se ne andò sbattendo la porta. In quel momento mi sentii come quell’uomo dal peplo spiegazzato e scrissi, stavolta su una vecchia lavagna: “Ma ormai è ora dipartire: io verso la morte, voi verso la vita. Chi di noi cammini a una meta superiore, è buio per chiunque: non per il mio dio.”. Fui subissato dai fischi, evidentemente preferivano la certezza di un freddo tetrabyte a quella del non sapere. Il preside della facoltà mi pregò di riprendere i corsi di sempre, perché quelli sul puro pensiero non interessavano a nessuno e potevano, alla lunga, essere anche pericolosi. Io rifiutai sdegnato e feci entrare una folata di smog turchese dalla finestra per dimostrargli cosa aveva prodotto la scienza senza pensiero. Lui mi accompagnò fuori dal college e dandomi una pacca sulla spalla mi disse “Si faccia una bella doccia professor Moonlight e non ci pensi più...”. Io feci la doccia e loro non pensarono più a me, tanto che ora passeggio in questo fango per mettere insieme qualcosa che mi ricordi il pranzo... Glenn era divenuto pensieroso. - Conosco anch’io una storia analoga accaduta dalle mie parti a un certo Zefiro. Uno spiacevole fraintendimento che spero di chiarire appena tornato. - A proposito, - chiese dopo una pausa Glennmiller - cosa volevano da lei quei tizi? Ho sentito che parlavano di spaccio... Il professore tossì e si lisciò il mento. - È una vecchia storia, devi sapere che per arrotondare la pensione, mi sono messo, insieme ad un mio vecchio amico, un professore di chimica, a 32 glennmiller spacciare adrenalina. Il mercato è buono, ma bisogna stare attenti, questi energumeni hanno bisogno di dosi sempre più forti e qualche volta siamo costretti a tagliarla con qualche pasticca di Ecstasy di Santa Teresa, che riproduciamo in laboratorio. Naturalmente i risultati non tardano a farsi sentire... Ecco, diciamo che erano venuti per ricordarmi di usare le dosi giuste... - Lei fa proprio una vitaccia - commentò Glennmiller mentre quello fece luccicare una lacrima in mezzo alla barba grigia. Glenn lo rassicurò: - Perché non pensa di venire nella nostra università, un corso di quel genere sarebbe molto apprezzato dai nostri studenti... Magari fosse così facile! Qualche anno fa avrei accettato senza pensarci, ma ora sono molto stanco, non è facile vivere in questi posti. Comunque io sono fiducioso, morirò prima della catastrofe. - borbottò l’altro. Glenn chiese preoccupato di cosa si trattasse. - Niente di particolare figliolo, una catastrofe qualunque, la natura ne è prodiga, perché devi sapere che sarà la termodinamica e non l’etica a decidere del nostro destino... - disse solennemente Clyde Moonlight chiudendosi in uno spesso silenzio. © maurizio semplice Glenn lo seguì con lo sguardo fino a una montagnola di rottami e sorridendo tornò verso la roulotte. Glenn annuì e gli offrì gli avanzi del bipede della sera prima e lui per l’emozione di riassaggiare del cibo vero, recitò una sua poesia, che parlava di un pittore innamorato di una nuvola, sempre pronto a farle un ritratto, ma sfortunato com’era, capitò nel periodo delle piogge acide e dipinse solo un cielo stemperato di verderame, tanto che la nuvola se la prese a male e lo piantò per un product manager. - È molto bella - disse Glennmiller. – No è una merda… ma grazie lo stesso – disse l'altro e lo salutò. - Spero di rivederti presto, mi interessano molto i tuoi discorsi sull’immutabilità del cielo, sicuramente sono la cosa più sensata che ho sentito negli ultimi anni, arrivederci. Glenn sorrise. - Quella frase non è mia, stava dentro una scatola di cioccolatini... - Fa lo stesso... - replicò il vecchio - È come se adesso fosse tua, conservala. 33 glennmiller © maurizio semplice venti Mentre stava riordinando la sua valigetta, lo colpì qualcosa che gli si agitava davanti agli occhi. Iniziò a muoversi molto lentamente, poi scoppiò in una grossa risata: - È fatta, è fatta, ho di nuovo la mia ombra! e iniziò a ballare gettando le gambe all'aria. In quel momento arrivò Bresne che aveva fatto un salto al commissariato per un accertamento. Glenn le corse incontro: - Bresne è magnifico, guarda! - e iniziò a passeggiare su e giù, proiettando la propria ombra sul terreno. - Come è potuto succedere, guarda, anch’io ho di nuovo la mia! - balbettò Bresne emozionata. - Forse è stata quella cosa che mi hai fatto fare durante la notte, non c’è altra spiegazione, la mia missione è compiuta... - argomentò pieno di entusiasmo Glennmiller. Bresne si sedette sullo scalino della roulotte e scoppiò a piangere. - Allora adesso che ti sei ripreso l'ombra, te ne andrai, accidenti a me, siete tutti uguali voi uomini, in tutte le parti dell'universo! Glennmiller smise di ridere e l’abbracciò. - Bresne non fare così... La ragazza si divincolò. - Ma non l'hai capito idiota che ti voglio bene? Glenn rimase di sale. Cercò di dire qualcosa ma tutte le parole gli morirono tra le labbra. Non aveva assolutamente previsto una cosa del genere e a quel punto non riusciva a immaginare le ipotesi di tornare su Xerox senza Bresne, o di rimanere con lei sulla Terra. Proprio in quel momento la radiotrasmittente si accese. - Sono McCognac, tutto bene signor Glenn? - Insomma... - balbettò quello e chiese che tempo facesse su Xerox. - Che stupidaggini andate dicendo? lo sapete che c’è sempre il sole qui da noi... piuttosto volevo avvisarvi che siamo in fase di allontanamento dalla Terra e che avete al massimo un paio di fantacollant di tempo per ripartire, a presto. Glenn era sempre più confuso. Guardò Bresne che stava stendendo le sue microgonne di cuoio nero su un lungo cavo del telefono. Si alzò in piedi e fece deciso: - Te la sentiresti di venire con me? - E dove? - chiese la ragazza senza staccare gli occhi dal cavo. - Sul mio pianeta: Xerox. Bresne scosse la testa: - Tanto non ti credo più Glenn, mi hai ingannata abbastanza con la storia delle ombre e con tutto quello che mi hai raccontato sull’amore e sui sentimenti. Mi hai fatto credere a cose che non avevo mai conosciuto, ma che mi è sembrato di averle avute sempre dentro di me. E io stavo quasi per darti retta. Adesso vattene, hai riavuto la tua ombra, puoi dirti soddisfatto, o no? Glenn non sapeva cosa dire, provò ad avvicinarsi e a sfiorarla con un fiore di plurimetano, ma lei lo guardò storto. - Non credevo che per colpa di un ombra si potesse soffrire tanto... sussurrò Glennmiller. - Ma brutto imbecille, l'hai detto tu che è una cosa importante, che da una semplice ombra si può intuire la consistenza di una realtà, ti sei già dimenticato? – s’infuriò Bresne tirandogli una molletta a forma di paperino. Glenn guardò tra le nuvole e scorse un luccichio lontano. Guarda Bresne, è lassù, non è poi così lontano. - La ragazza gli venne sotto il naso - Va all'inferno idiota, spero che un giorno possa innamorarti! - e saltò sull’auto facendola sgommare. Glenn rimase due giorni nell’accampamento sperando di rivederla, ma senza successo. A malincuore tracciò sui vetri della roulotte una frase d’addio e poi fiutando l'aria come gli aveva consigliato Me Cognac, cercò di capire quale fosse la strada per arrivare al battello spaziale. Lo ritrovò, infatti, qualche giorno dopo in cima a un grattacielo grigiastro. 34 glennmiller Era pieno di graffiti e disegni osceni fatti con lo spray e svolazzava lento intorno a una mega antenna per la televisione. Approfittando della notte scalò la muraglia di cemento armato e salì a bordo. Il vascello era stato trasformato in un ristorante vegetariano e dovette combattere come una furia per liberarlo. Alla fine, ferito di striscio da una carota, ebbe la meglio e si affrettò a partire. Tagliando alcune funi, si accorse che era impregnato di nuovi odori e quasi rimpianse la familiare puzza di pesce. Lo mise in moto al primo colpo e mentre scioglieva l’ultimo nodo indugiò un istante, immaginando di vedere arrivare Bresne dal fondo della strada. Provò una pena immensa e comprese di esserne innamorato. Non riuscì a capire come fosse stato possibile e soprattutto di averlo percepito tramite la sua assenza. Prese un foglietto dal diario di bordo e rimirando la vasta distesa di cemento che aveva intorno annotò: Amo l'ombra perché spesso è un 'assenza Amo quest'assenza perché sono certo è piena di te Poi ne fece un aeroplanino e lo lasciò cadere da un oblò. Il messaggio planò come una foglia secca in mezzo al vento e si posò sull’unica aiuola della città. Glenn lo seguì con lo sguardo, lo vide adagiarsi in mezzo a un superstite cespuglio di ginestre, stranamente autentiche, poi tirando su con il naso, volò via. © maurizio semplice ventuno Il viaggio di ritorno fu tranquillo, disturbato appena da un corteo di ultravip terrestri di ritorno dalle loro vacanze su Mercurio. Glenn sorpassò a destra la lunga fila di volvoshuttle e stercorarie station wagon e prese la strada per Xerox. Mentre era impegnato a non perdere di vista il puntino luminoso che aveva davanti, gli rivenne in mente Bresne. Si volse verso la Terra e provò una indescrivibile nostalgia. Ma il suo destino era lassù, sotto gli specchi caldi di Xerox e nella tranquilla atmosfera che si respirava in Piazza Mastro Alves la domenica sera. Al confronto la Terra era un vero e proprio inferno. Però in quell’inferno aveva conosciuto Bresne e iniziava a farsene una ragione. A un tratto afferrò il timone con tutte e due le mani e tentò una paurosa sterzata, per tornare indietro. Lo Scoriolano si piegò in due ma continuò inaspettatamente la sua rotta. Provò addirittura a sporgersi a prua per dirigere le vele in maniera contraria, ma non ci fu nulla da fare: il battello sembrava telecomandato e non rispondeva ai comandi. Molto più tardi comprese di esser finito in un canalone magnetico che rendeva inutile qualsiasi manovra. Glennmiller si rassegnò e iniziò a predisporre il conto alla rovescia per sbarcare su Xerox. Ogni tanto, mentre arrotolava le vele, ridotte ormai come un vecchio calzino, guardava la sua ombra e canticchiava “Bresne, my little Bresne” ad alta voce, malinconicamente. Prima era stato infelice perché aveva perso l’ombra, ora perché si era innamorato di una ragazza terrestre. Gli parve di aver afferrato un nuovo concetto della vita, fino a quel momento completamente sconosciuto: per 35 glennmiller poter essere veramente felice, lottare per esserlo, bisognava aver diritto all’infelicità, viverla per superarla. Forse semplicemente vivere. Non era questione dì specchi, ombre, corruzioni, prostituzioni intellettuali, guerre economiche e inquinamenti in grande stile, era qualcosa che risiedeva da sempre nello spirito umano, che millenni di domande non avevano mai cancellato, anzi riproposto sempre in una forme nuove. Si poteva ignorarne beatamente l’esistenza, vietarla, così come avevano fatto i saggi, oppure conviverci giorno per giorno come facevano da sempre sulla Terra e forse, pensò, fosse la cosa più giusta di tutte. Nel frattempo, fluttuando e riflettendo era giunto a ridosso del cielo luccicante di Xerox e, distratto dai suoi pensieri, tamponò una navicella della sorveglianza fiutando improvvisamente, odore di guai. Difatti i due vigilantes gli fecero segno di accostarsi. Lui allargò le braccia sorridendo. I due salirono a bordo e perquisirono la navicella. - Nome? - Glennmiller di Louisarmstrong... - Residenza? - Riviera, Si bemolle, numero 13. - Ombra? - Eccola. - Che fate su questo battello terrestre, senza revisione e senza permesso di viaggio cosmico? - Questo non posso dirvelo. - E perché mai? - Perché è una faccenda molto delicata e vorrei parlare solo alla presenza delle autorità. - Per così poco... Mi dia i polsi e lasci quella valigetta. Glennmiller lasciò fare. Ricoverarono lo Scoriolano in una piazzola e insieme ai vigilantes varcò il cielo di Xerox, dove si apriva il Grande Pertugio Celeste. Provava una strana felicità e nello stesso tempo la paura di non essere creduto. © maurizio semplice ventidue Lo condussero in una grande stanza bianca dove riempì dei tabulati con i suoi dati di nascita e subito dopo gli fecero fare una doccia dentro a una capsula trasparente, per togliere la sporcizia del cosmo che gli aveva annerito il viso. Quando fu pronto gli diedero una maglietta a stelle e strisce e lo introdussero da Fuji Feijoada, il saggio che amministrava la giustizia, che iniziò a interrogarlo. - Perché è andato sulla Terra? - La mia ombra era fuggita via. - Non dica idiozie, le ombre non scappano, penso piuttosto che fosse lei a voler fuggire. - Allora perché sarei tornato? - Questo me lo deve dire lei... - Quello che ho detto è la verità, non so come sia potuto accadere, ma la mia ombra si era scambiata con quella di una terrestre, e proprio per non volere contravvenire alla costituzione ho affrontato quel rischioso viaggio... - Mi dicono che la sua ombra è a posto. - Adesso sì, grazie a Dio. - Come ha detto scusi? - Nulla, mi ero confuso... - Io credo che lei sia una spia dei terrestri. E perché mai? Ma per preparare un’invasione, infettarci, colonizzarci e sterminarci. È senza dubbio la cosa che gli riesce meglio, non hanno fatto altro per millenni, noi li conosciamo a sufficienza e possiamo dirci certi di questa 36 glennmiller teoria, e chi all’inizio, decise la difesa a ogni costo, lo fece per pura cognizione di causa... - No, mi lasci spiegare... se voi conoscete tutte queste cose, allora sapete bene che noi discendiamo da loro e che ciclicamente capitiamo davanti alla Terra, la sua forza gravitazionale è millegraf volte superiore alla nostra e succede che lei si porti sulla sua superficie qualcosa di noi, forse per nostalgia... - Chi le ha detto queste cose? - Voi le avete ascoltate da Zefiro e io dal dottor McCognac. - L'avevo immaginato... - Come? - Siete una banda di sovversivi, ma per fortuna vi abbiamo scoperto in tempo. Le conosco bene iole teorie di Zefiro e di quell’ubriacone del suo assistente. Preannunciare la riappropriazione degli stati d’animo e la libera circolazione del pensiero, è questo che volete? Ma siete pazzi? Sono seicento anni che ci tramandiamo l’armonia attraverso la conservazione delle idee primarie che sono “Ordine-Civiltà-Felicità” E cosa sareste stati voi senza una guida? Delle sbiadite copie terrestri che non hanno fatto nulla per migliorarsi. Siete degli ingrati, privi di scrupoli... - Ma allora è esattamente tutto come sulla Terra? - Almeno respirate aria pulita e non rischiate la vita la domenica allo stadio... - E questa la chiamate libertà? - Imparammo dai nostri padri creatori che la libertà può essere l’inizio di molti mali, se essa non viene accompagnata da salde regole di raziocinio... - Però voi fate quello che volete... - Qualche beneficio lo dobbiamo pure avere caro ragazzo... - È incredibile... - No, è tutto normale. Ora le voglio fare una proposta. Quando celebreremo il processo a Zefiro, cioè dopodomani, lei sarà chiamato a testimoniare e dovrà dire che le sue congetture sono totalmente sbagliate, che le sue fisime sull’infelicità provengono più dalla sclerosi che dalla scienza e che lei è una sua vittima inconsapevole... - Ma non è vero. Se non avessi dato retta a quelle che voi chiamate fisime, io sarei ancora con quell’ombra sbagliata... - Meglio avere un’ombra sbagliata che non averla per niente. © maurizio semplice - Cosa vuol dire? - Lei è un ragazzo molto intelligente, ci pensi. - disse sereno il saggio Fuji, strizzando il suo sguardo mandorlato. Quella notte Glenn fu chiuso in una piccola stanza piena di scritte e annotazioni sui muri. Trascorse tutto il tempo a leggerle: “I saggi hanno più corna che tutte le cosmilumache messe insieme” “Fuji è l'imbecille più intelligente di Xerox” “Torneremo in A” “Batman frocio” “Meglio un ombretto oggi che un ombra domani” “Che la Scorza sia con voi!” “Urano, Saturno, Plutone, vi siete mangiati tutto, farete indigestione...” “Tatum figlio di una eclissi” Glenn terminò di decifrare le frasi, poi prese un cucchiaio e incise anche la sua: “Bresne ti amo”. La immaginò per un istante e pieno di nostalgia, si adagiò sul lettino immacolato che costituiva l’unico arredo della stanza e rimase con gli occhi fissi sul soffitto. Al buio ripensò al suo viaggio sulla Terra, al viso di quella ragazza, alle sue lacrime improvvise, alla sua voce mossa dall’ira. Doveva fare qualcosa per rivederla, ma al momento era già molto difficile pensare al suo futuro prossimo... Si addormentò a fatica e nel sonno, sognò di dormire. 37 glennmiller © maurizio semplice ventitre L’aula di giustizia era una grossa sala circolare. Dall’alto scendevano minacciosi microfoni argentati e tutto intorno erano disposte delle panche che si muovevano lentamente, come una giostra. Glenn fu fatto sedere al centro. Riconobbe in un lato il professor Zefiro e in quello opposto McCognac. Dopo qualche minuto, uno a uno, entrarono i Venti Saggi, si disposero sulle panche e iniziarono a girare. Glenn rabbrividì. Un microfono calò rapido sulla sua testa e lo mancò di qualche centimetro. Fuji si alzò in piedi e guardandolo fisso iniziò: - Purtroppo cari amici, siamo qui riuniti per esaminare questo anomalo caso di incoerenza ed illusione, possa la nostra lucida ragionevolezza far comprendere a questi concittadini quanto loro si sbaglino ad affermare concetti privi di qualsiasi principio morale. Invochiamo la infallibile protezione del vetusto ma sempre venerato manuale di istruzioni IBM release Apocalypse 2.1.X e preghiamo: “... in caso di danneggiamento dei dischetti, predisponete i programmi nella sezione denominata write and copy, digitate le cifre che si evidenzieranno in verde sul vostro schermo e attendete; solo così essi saranno salvi, per gli hardware, per i software, per il silicio che ci dà la vita, amen”. Tutti i saggi tracciarono un segno concentrico nell’aria: il processo era iniziato. Prese la parola il pallido Marimba, che si espresse con lunghi giri di parole per convincere i suoi colleghi della colpevolezza totale di Zefiro e della buona fede tradita degli altri due. Fuji scrisse tutto su un foglietto e lo mise in un’urna. Fu la volta poi di Aristofante. Argomentò in mezzo minuto il delitto di Zefiro e McCognac e la grave responsabilità di Glennmiller. Fuji introdusse rapido il suo giudizio nell’urna. Si andò avanti per qualche ora. Inaspettatamente verso la fine qualche saggio addossò tutte le responsabilità su Glenn e la cosa iniziò a ingarbugliarsi. A un tratto McCognac si alzò in piedi urlando: - Questo non è un regolare processo, ma una buffonata, non ci date neanche la possibilità di difenderci, se l’avessi saputo non sarei venuto! - Giusto, giusto - gli fece eco Zefiro - Ci state trattando come i peggiori criminali terrestri, però mi sembra che a quelli sia concesso il beneficio del pentimento, perché non vi interessa il nostro punto di vista? - Perché è il vostro... non il nostro, che senso avrebbe darvi retta, in nessuna parte del cosmo si è vista la giustizia amministrata dai deboli e questo è un processo, mica una riunione condominiale! - replicò Fuji battendo il pugno sull'urna. - Non scaldatevi fratelli - disse calmo Brunello – l’urna darà il responso, il foglietto che sarà estratto conterrà il giudizio esatto, la saggezza ha guidato le nostre parole, il destino illuminerà il giudizio finale... - Ma così non vale, date anche a noi la possibilità di inserire nell’urna il giudizio su noi stessi - disse sbracciandosi McCognac. Questo non è possibile, i giudizi su di noi, detti da noi stessi, sono notoriamente falsi. - spiegò di nuovo Brunello. - Un attimo, un attimo... - urlò Glennmiller che fino a quel momento era rimasto in silenzio. - La colpa non è né di Zefiro né di McCognac, quello che loro avevano scoperto, voi lo conoscevate da sempre. L’infelicità esiste, ma non è vietandola che potrete cancellarne l’essenza. La storia dell’ombra ve la siete inventata solo per controllarci meglio, ma anche quella è pura illusione, guardate qui... E alzandosi di scatto iniziò a proiettare sul muro le ombre cinesi che gli aveva insegnato Bresne. Tutti, compreso il professor Zefiro, si lasciarono sfuggire una esclamazione di stupore. Glenn stava incrinando un principio fondamentale di Xerox. 38 glennmiller Nel silenzio totale dell’aula, riprese: - Allora cari Saggi, spiegatemi se non è la pura illusione che anima la nostra vita e non la certezza di cui andate tanto fieri! Non c’è nulla che possa durare più a lungo di un pensiero... - Basta! - esclamò Aristofante - Non abbiamo neanche bisogno di consultare l’urna, Glennmiller, siete una mente malvagia! Tutti i saggi annuirono e si ritirarono, non prima di aver fatto un’altro giro intorno allo smarrito colpevole. Il microfono fu ritirato e Glenn si risedette sullo sgabello. Si sentiva stranamente leggero, come se le sue parole avessero portato via tutti i dubbi e i rimorsi che gli opprimevano il cuore. Si guardò intorno sconsolato e cercò negli occhi lontani del professor Zefiro, qualche cenno d’incoraggiamento. Quello, dall'altro lato della sala, gli fece segno di sorridere. © maurizio semplice ventiquattro Glennmiller rimase ben presto solo nell’aula. Era paonazzo e il pensiero corse a Bresne. Due guardie lo prelevarono, gli tolsero la maglietta a stelle e strisce da imputato e gli diedero quella tricolore da colpevole, poi lo accompagnarono a casa. Infatti tutte le pene su Xerox si scontavano nei propri alloggi, non essendo mai state costruite delle carceri. A dire il vero, vista la straordinaria colpa di Glennmiller, qualcuno propose di edificarne una nuova di zecca, a tre piani, magari anche con il braccio della morte, ma poi non se ne fece nulla. Zefiro fu trasferito in una piantagione di compact-disc, dove rimase a lavorare per due anni, mentre il suo assistente fu condannato al tremendo supplizio della “Chitarra elettrica”, una pena di moda alla fine del primo millennio terrestre, detto anche dell’Archeorock. Il “Planetario”, uscito in edizione speciale, riportò come suo costume, le versioni governative del fatto e Glennmiller fu pubblicamente accusato di “Frode, Illusionismo, Piagnisteo, Tristezza, Vilipendio al Manuale IBM”. Per non parlare poi di Uragana che tentò di aggredirlo varie volte nel cortile di casa. La sua esistenza fu in breve segnata. La madre e la sorella furono alloggiate in un albergo, per far provare al detenuto la solitudine culinaria e la durezza delle pulizie domenicali. A dire il vero, mamma Giada andava a trovarlo tutte le sere e durante una di queste visite, lui tentò una specie di fuga vestito da nonna, ma fu subito rintracciato e riportato a casa. Vietarono alla madre di fargli visita e inasprirono la pena in maniera terribile. Gli installarono, infatti, un televisore con il telecomando bloccato, che gli rimandava le 39 glennmiller impressionanti immagini di alcuni programmi a premi e reality della tv terrestre. Glenn si rassegnò presto e tentò la strada della buona condotta. Un anno dopo i Saggi vararono solo per lui un'amnistia straordinaria, e fu così restituito alla vita civile. Ma Glenn era irrimediabilmente cambiato. Parlava pochissimo e si era fatto crescere la barba. Aveva preso il vezzo di vestirsi con un costume da super-eroe e se ne andava in giro a raccontare ai bambini quello che aveva visto sulla Terra e quando quelli scappavano via terrorizzati, lui esplodeva in grosse risate. Declamava ad alta voce brani di poeti terrestri da sempre tenuti nascosti, si metteva un cuscino sotto la giacca per simulare una gobba e ingannare così i vigilantes quando gli controllavano l’ombra. Tutti finirono per considerarlo pazzo e a tollerarlo bonariamente. Era solo e sconfitto, triste da morire e perdutamente innamorato di Bresne. Si diede alle spremute di mastrolindo e a fumare delle lunghe spighe di grano sintetico, finché un giorno, tra l’indifferenza generale, cadde ammalato. La madre fece di tutto per farlo ricoverare alla “Mater File” l’unica clinica di Xerox specializzata in problemi mentali, anche se Glenn accusava evidenti sintomi di “nostalgia”, una malattia sconosciuta su Xerox. © maurizio semplice - Glenn, ti ricordi di me? Lui lo guardò appena. - Volevo dirti una cosa che mi tormenta da molto tempo. Quando tu proiettasti quelle ombre sul muro, io mi resi conto che avresti potuto frantumare tutte le nostre certezze. Improvvisamente la scienza, la morale, la nostra morale e la vita stessa mi parvero delle costruzioni imperfette, ma tacqui. Darti ragione in quel momento avrebbe significato l’inizio della nostra fine e perché? Per mettere degli altri al posto nostro? Il potere è uguale per tutti, chi ci arriva si acceca, e non vede più nessuno. Non sarebbe cambiato nulla. Invece è dentro di me che è cambiato qualcosa e forse per merito tuo. Sono riuscito a capire che l’amore nasce dall’imperfezione e non dalla certezza, che si può apprezzare anche l’infelicità profonda di non essere compreso e forse sono qui per questo, per dirti grazie, anche se non serve a nulla e il male fatto non può essere riparato... Grazie. Glenn si volse verso la parete e chiudendo gli occhi riprese a cantare sottovoce: “... ma l'America è lontana, dall’altra parte della luna...” Fuji si alzò lentamente, lo guardò assorto per qualche minuto poi si volse e uscì dalla stanza. Dopo qualche tempo, Glenn scivolò in una specie di torpore cosciente, dove alternava giornate di grossa euforia a lunghi periodi di catalessi medianica. I medici proposero di trasferirlo sulle benefiche colline di Profitterol, ma lui rifiutò legandosi allo sciacquone del gabinetto. Trascorsero altri mesi. Un giorno andò a trovarlo il saggio Fuji. Glenn se ne stava sdraiato nella penombra ripetendo meccanicamente un motivetto terrestre: “...e la luna è una palla, e il cielo un biliardo, quante stelle nei flippers, sono più di un miliardo...” - Sta delirando - sussurrò l’infermiera nell’orecchio di Fuji. - Mi lasci solo con lui - disse quello a bassa voce e si chinò sul letto. 40 glennmiller © maurizio semplice venticinque Trascorsero diversi anni. Glenn si era ripreso del tutto, anche se continuava a girovagare vestito da uomo ragno, raccontando la sua avventura sulla Terra e a proiettare le ombre cinesi durante le feste di compleanno alle quali era saltuariamente invitato. Ormai era tollerato e le sue stravaganze non spaventavano più nessuno, tantomeno i saggi. Un pomeriggio, tornando dalla lucidatura degli specchi, a cui era stato riammesso per interessamento privato del saggio Fuji, Glenn si attardò davanti casa giocherellando sotto al lampione con una bottiglietta di latte. La calciò un paio di volte, scartando un immaginario avversario davanti a sé, poi si bloccò terrorizzato. Sul terreno vide una enorme ombra di donna che agitava le braccia. Si guardò attorno, non vide nessuno e scappò verso casa. Si affacciò alla finestra, l’ombra era ancora lì per terra. Era terrorizzato. E se fosse stato l'inizio di un altro strano fenomeno umbratile? - Stavolta non mi avrai! - urlò affacciandosi, ma l’ombra continuò ad agitarsi. Si fece coraggio e uscì di casa. Arrivò a qualche metro dall’ombra e istintivamente alzò gli occhi verso il cielo specchiato. Rimase con la bocca spalancata e ingoiò un paio di farfalle vagabonde. Lassù, proprio lassù, su un pezzetto di specchio non coperto dalle tende, Glenn vide una donna in trasparenza che batteva i pugni sulla superfice e proiettava, con la luce del sole alle spalle, una enorme ombra sul terreno. Fu preso dal panico, si diresse verso le piazzole ascensionali, corse alla prima scala, fece la prima rampa in mezzo secondo, arrivò con un solo ruzzolone alla piattaforma TK, afferrò la pertica di cristallo e giunto a non più di una ventina di metri dal cielo, si arrestò. La donna dall’altra parte aveva smesso di battere i pugni e stava iniziando a scrivere alla rovescia delle grandi lettere con un rossetto pistacchio: “Senti idiota, spiegami come faccio a entrare in questo lurido posto, prima che rompa questi specchi a calci e sbrigati che fa un caldo della madonna qui fuori!”. Glenn s’illuminò: - Bresne! - gridò e in un attimo fu in cima. Si videro attraverso gli specchi e lei gli stampò un bacio in trasparenza. Glenn rimase spiaccicato sui vetri come un vecchio moscone miope e per un istante la perse di vista. Un istante dopo avvertì un fragore di specchi in frantumi. Sospirò, Bresne non era affatto cambiata, con una sola pedata aveva mandato all’aria almeno venti anni di paziente lavoro di cristalleria. Dallo squarcio vide ondeggiare una fune. Le si portò sotto camminando a quattro zampe e l’afferrò al volo. Si tirò su e si mise in piedi al di là del cielo di Xerox. - Bresne... - disse commosso, ma quella gli fece cenno di sbrigarsi - Presto, presto, altrimenti quando ripassa la nostra navicella, non facciamo in tempo a prenderla... - Bresne... - continuò Glennmiller guardandola fisso. - Oddio si è incantato... - fece quella e continuò dandogli uno strattone Sei per caso caduto in una vasca di colla, muoviti idiota, non senti che caldo? Un attimo dopo, apparve all’orizzonte un vecchio autobus a due piani, che ondeggiava lento, pieno di turisti. - Ma cosa... - balbettò ancora Glenn, ormai a corto di fantasia. Dalla cabina di pilotaggio si sporse una barbaccia grigia. - Salta su ragazzo, non mi riconosci? - Clyde!? Clyde Moonlight! 41 glennmiller Bresne lo spinse su, mentre alcuni spazioturisti fotografavano la strana composizione del pianeta Xerox. - Non riesco a crederci... - disse Glenn abbracciando il professor Moonlight che replicò: - Agli inizi neanche io, ma proprio quando parlasti del cielo, mi resi conto che era l’unica cosa che poteva fare ancora per me, forse perché mi sentivo un po’ come lui, vecchio e immutabile, Bresne ha fatto il resto... - Io volevo rivederti – disse Bresne - ma non sapevo dove cercarti, poi un giorno incontrai questo vecchiaccio che aveva trovato un aeroplanino di carta che parlava di ombre, assenze e amore. A quel punto decisi che avrei fatto di tutto per incontrarti un’altra volta. Insieme a Clyde rubammo questo vecchio airbus e ci mettemmo in affari organizzando escursioni nello spazio per questi cosmobabbei... e l'altro ieri, durante la Parigi-Quasar, ci siamo trovati davanti al parabrezza questa specie di palla di natale scintillante. Tu non potevi che essere là sotto... - È incredibile - sospirò Glenn contemplando dallo specchietto retrovisore la sagoma di Xerox che si allontanava. - No, quando si ha un’ombra come la tua diventa tutto possibile... - gli sussurrò Bresne in un orecchio e lui arrossì. - Posso rimanere qui con te? - disse serio Glennmiller attaccandosi a un passamano. Bresne scoppiò a ridere: - Certo idiota, abbiamo giusto bisogno di un controllore su questo autobus... Glenn le slacciò la cartucciera e, nascondendo una lacrima, l’abbracciò, mentre il bus, sobbalzando, si avviava verso la Via Lattea. © maurizio semplice ### 42