DeJure
Autorità: Cassazione civile sez. III
Data: 29/09/2005
Numero: 19140
Classificazioni: ASSICURAZIONE (Contratto di) - Forma e prova del contratto
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Gaetano
FIDUCCIA
Presidente Dott. Ernesto
LUPO
Consigliere Dott. Roberto
PREDEN
Consigliere Dott. Mario
FANTACCHIOTTI
Consigliere Dott. Raffaele
FRASCA
- Rel. Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.V. elettivamente domiciliato in ROMA VIA AURELIA 190, presso lo
studio dell'avvocato CESARE TESTA, difeso dall'avvocato FELICE PALI,
giusta delega in atti;
- ricorrente contro
LA FONDIARIA ASSICURAZIONI SPA;
- intimata avverso la sentenza n. 179/01 del Tribunale di POTENZA, emessa il
12/03/01, depositata il 14/03/01, R.G. 1752/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
16/05/05 dal Consigliere Dott. Raffaele FRASCA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Antonietta CARESTIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
§1.- Con decreto ingiuntivo notificato il 13 febbraio 1999 il Giudice di Pace di Potenza, in
accoglimento del ricorso de La Fondiaria Assicurazioni s.p.a. ingiungeva a V.C. il pagamento della
somma di lire 3.672.001, oltre interessi legali, a titolo di rata di premio scaduta di un contratto
assicurativo.
Al decreto si opponeva il C. e l'opposizione veniva rigettata con sentenza del 30 giugno 1999.
§2. Contro la sentenza il C. proponeva appello al Tribunale di Potenza, assumendo che, a termini
della clausola di cui al punto "H" del contratto assicurativo, che derogava alla condizione generale
di cui all'art. 26, era consentita la cessazione alla scadenza del contratto senza obbligo di disdetta,
onde non era dovuta la rata di premio oggetto dell'ingiunzione.
Nella contumacia dell'appellata il Tribunale rigettava l'appello.
§3. La sentenza è fondata sulle seguenti ragioni: la polizza assicurativa richiamava genericamente le
condizioni generali e l'allegato "UNO" del libretto informativo e, quindi, anche il punto "H" delle
condizioni particolari in base al quale "a deroga di quanto disposto dall'art. 26 (proroga del
contratto) delle Condizioni Generali, l'assicurazione cessa alla pattuita scadenza senza obbligo di
disdetta", onde a prima vista la difesa del C. sembrava fondata; tuttavia, la stessa polizza nella parte
conclusiva conteneva la specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie ex art. 1341 e
1342 cod. civ. e tra di esse era indicata espressamente anche quella attinente alla tacita proroga del
contratto in mancanza di disdetta data almeno tre mesi prima della scadenza (di cui all'art. 26 delle
condizioni generali); in presenza della contraddittorietà delle due clausola doveva farsi ricorso alle
regole di interpretazione del contratto, di cui all'art. 1362 (interpretazione letterale) ed all'art. 1363
cod. civ. (rilievo del complesso dell'atto), nonché, in via sussidiaria al criterio della buona fede, di
cui all'art. 1366 cod. civ.; infatti, in applicazione dei principi emergenti da dette norme, «in presenza
di un contratto che presenti due clausole contrastanti, [si doveva] accertare quale [fosse] il
regolamento adottato dalle parti, applicando i consueti criteri interpretativi e soprattutto il
cosiddetto canone della totalità ermeneutica sancito dall'art. 1362 cod. civ. (secondo cui per
attribuire il significato proprio alle clausole contrattuali devesi esaminare il complesso della
situazione nella quale il contratto si è formato ed è stato attuato) ed il criterio della buona fede
sancito dall'art. 1366 cod. civ. (secondo cui ad ogni clausola deve essere attribuito il significato che
ciascuna delle parti è stata in grado di percepire adoperando la normale diligenza» (viene così citata
Cass. n. 1235 del 1975); nella specie doveva valere il principio espresso da Cass. n. 269 del 1986,
secondo cui [si riporta il testo espressamente richiamato nella motivazione, che, però, non tiene
conto delle frasi riportate fra parentesi quadra) "con riguardo a contratto concluso mediante modulo
o formulario predisposto da una delle parti (nella specie, polizza di assicurazione), ed al fine di
stabilire se una clausola ad esso aggiunta abbia o meno portata derogativa di una delle condizioni
generali, [resta irrilevante che quest'ultima sia stata o non sia stata cancellata, occorre[ndo]
accertare l'intento dei contraenti mediante un esame globale della convenzione (art. 1363 cod. civ.),
per riscontrare se il patto aggiunto sia in contrasto con quello predisposto od adempia alla funzione
di integrarlo e specificarlo; in applicazione dei principi enunciati da detta decisione, «la mera
elencazione di condizioni generali, condizioni particolari ed ulteriori allegati tutti facenti parte di un
unico libretto informativo predisposto per l'assicurazione globale degli infortuni alla persona dalla
La Fondiaria Assicurazioni s.p.a., rimane[va] superata dal contenuto specifico del singolo contratto,
nel quale in omaggio al generale principio dell'autonomia delle parti i contraenti ben possono
indicare un regolamento particolare»; tale soluzione nella specie trovava riscontro «da un lato,
nell'inciso di cui al margine superiore della sezione del libretto intestato "Condizioni Particolari",
dove si legge che esse sono valevoli soltanto se espressamente richiamate - il richiamo nella polizza
stipulata dal C. è generico e non "espresso" - e, dall'altro, nella circostanza della specifica
approvazione per iscritto in calce alla polizza in esame dell'art. 26 delle condizioni generali
afferente alla proroga tacita del contratto»; d'altro canto, «l'attenzione del contraente aderente sulla
portata della clausola, che la specifica approvazione per iscritto implica [....] lascia[va]
ragionevolmente concludere che lo stesso sia stato perfettamente in grado di percepire il significato
derogatorio della stessa»: a conferma la sentenza richiama il principio affermato da Cass. n. 3161
del 1968, ed altri conformi "le clausole di tacita proroga o di rinnovazione del contratto, se
predisposte dal contraente più forte in un contratto per adesione, rientrano tra quelle sancite a carico
del contraente aderente, e sono pertanto prive di efficacia, a norma dell'art. 1341 - comma secondo
cod. civ., qualora non siano dal contraente aderente specificamente approvate per iscritto. Il
principio vale anche per il contratto di assicurazione, nel quale l'assicuratore predispone le clausole
di polizza destinate in via generale a valere per la massa degli assicurati".
§4. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi il C.
L'intimata non ha resistito.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
§1. Con il primo motivo di ricorso si deduce "violazione dell'art. 1342 c.c. e violazione e falsa
applicazione dell'art. 1363 c.c.", nonché "insufficienza, illogicità e contraddittorietà della
motivazione".
Il motivo viene illustrato premettendo anzitutto che, come ha ritenuto il giudice di merito, il
contratto inter partes è contratto concluso mediante modulo o formulario predisposto da una delle
parti, e, quindi, rilevando che le relative condizioni generali all'art. 26 prevedevano la proroga tacita
in mancanza di disdetta da comunicarsi almeno tre mesi prima della scadenza, mentre quelle
particolari, valide solo se espressamente richiamate, prevedevano al punto "H" che, "a deroga di
quanto disposto dall'articolo 26 (Proroga del contratto) delle Condizioni Generali, l'assicurazione
cessa alla prima scadenza senza obbligo di disdetta". Si osserva, poi, che nella polizza assicurativa
vi è il richiamo alle condizioni particolari con la formula "Condizioni e allegati: Sono operanti le
condizioni particolari e gli allegati UNO" e si sostiene che esso, al contrario di quanto avrebbe
immotivatamente ritenuto il Tribunale, sarebbe "espresso" e non "generico", in quanto contenuto
nell'apposito riquadro delle condizioni e allegati da applicarsi ai singoli contraenti.
Si deduce, poi, che, di fronte alle due clausole contrastanti, l'impugnata sentenza - al dichiarato fine
di stabilire se la clausola aggiunta avesse o meno portata derogatoria di una delle condizioni
generali - avrebbe erroneamente fatto ricorso al criterio ermeneutico di cui all'art. 1363 cod. civ., nel
presupposto che fosse necessario accertare l'intento dei contraenti mediante un esame globale della
convenzione, giacché esso non potrebbe operare quando tra le clausole sussista - come accadrebbe
nel caso di specie - incompatibilità o autonomia, che precluderebbe che una clausola possa servire
all'interpretazione dell'altra. Ai fini del superamento dell'antinomia si dovrebbe, invece, fare
riferimento alla norma dell'art. 1342 cod. civ. o ai canoni interpretativi degli articoli da 1366 a 1371
cod. civ.
Il Tribunale, vertendosi in un caso di clausole aggiunte al modulo e al formulario nel quale il ricorso
all'art. 1363 è ammesso solo per stabilire se esse siano in irrimediabile contrasto con quelle
predisposte e non adempiano ad una funzione integratrice o specificatrice del contenuto negoziale
astrattamente tipizzato, una volta riconosciuta l'esistenza del contrasto, avrebbe dovuto risolverlo
non sulla base dell'art. 1363, bensì sulla base della regola contenuta nell'art. 1342 cod. civ., cioè
dando prevalenza alla clausola aggiunta anche se l'altra non era stata cancellata.
Con un secondo motivo si lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1370 cod.
civ.", nonché "omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione".
Riferendosi alla motivazione della sentenza impugnata, si sostiene anzitutto che essa sarebbe
insufficiente ed inadeguata, là dove ha argomentato la prevalenza di una condizione generale su una
particolare, pur essendo la prima una clausola vessatoria riportata su modulo a stampa predisposto
dall'assicuratore e non modificabile da parte dell'aderente.
Inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe bene applicato il criterio ermeneutico della buona fede,
che imporrebbe "di non suscitare e di non speculare su falsi affidamenti e, ancora, di non contestare
ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nell'altra parte". Infatti, esaminando la polizza sottoscritta dal ricorrente per la tutela del figlio dal rischio infortuni - si noterebbe immediatamente
che chiunque, pur usando la normale diligenza, non poteva che ritenere operanti le condizioni
particolari, sia perché esse erano richiamate sulla polizza e contenute nel libretto informativo,
consegnato all'atto della firma e comprendente tutte le clausole di polizza, sia perché l'articolo 26,
relativo all'obbligo di disdetta, era meramente elencato tra le condizioni generali da approvarsi
specificamente in calce al modulo-base (predisposto per la generalità degli assicurati e non
modificabile.
Onde il ricorrente - per come si evincerebbe valutando con il metro della normale diligenza sarebbe stato indotto a ritenere che l'apposito riquadro relativo alle condizioni particolari, presente
sul frontespizio della polizza, sarebbe rimasto vuoto se esse non fossero state operanti o che
quantomeno sarebbe stato cancellato il riferimento alla loro operatività e che, dunque, solo in tal
caso sarebbe stata operante la condizione generale sull'obbligo di disdetta.
Si assume ancora che, essendo stata la polizza stipulata per il rischio infortuni inerenti l'attività di
calciatore professionista del figlio, se non fossero state operanti le condizioni particolari, che al
punto "D" prevedevano l'operatività della polizza anche per gli infortuni derivanti dalla pratica
calcistica, sarebbe stato privo di qualsiasi effetto anche lo stesso allegato "UNO", essendo quel tipo
di infortunio espressamente escluso dall'operatività della polizza ai sensi dell'art. 5 f) delle
condizioni generali.
Onde l'operatività delle condizioni particolari si dovrebbe desumere, non soltanto dal richiamo
contenuto nel frontespizio della polizza, ma anche da quello globale della stessa, cioè in forza del
fatto che la stipula della polizza non sarebbe avvenuta, in quanto non avrebbe coperto il rischio
connesso all'attività calcistica svolta dal figlio.
Infine, si adduce che l'indagine interpretativa condotta dal Tribunale sarebbe stata inadeguata, in
quanto aveva usato i criteri di interpretazione soggettiva, pur riguardo ad "un punto controverso sul
quale era del tutto assente una volontà contrattuale", mentre avrebbe dovuto usare quelli di
interpretazione oggettiva ed in particolare il criterio di cui all'art. 1370 cod. civ., di modo che - in
presenza dell'ambiguità determinata dal richiamo delle condizioni particolari, fra le quali vi era
quella sulla cessazione automatica della polizza - avrebbe dovuto privilegiare il significato più
favorevole all'assicurato, contraente debole, di fronte a quella dell'assicuratore, che, in quanto
predisponente aveva l'onere di utilizzare un testo non ambiguo ed in mancanza doveva subire
l'interpretazione meno favorevole.
§2. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto appaiono fra loro connessi.
Essi sono fondati per quanto di ragione.
Preliminarmente va rilevato che il ricorso è articolato mediante la riproduzione delle clausole della
polizza che sono oggetto delle doglianze, con evidente soddisfazione del principio di
autosufficienza dei motivi del ricorso per cassazione, funzionale all'individuazione delle questioni
proposte
§2.1. La motivazione dell'impugnata sentenza, dopo avere asserito che la polizza assicurativa
richiamava genericamente le condizioni generali [rectius particolari: è evidente che si è detto
generali per un lapsus calami, in realtà volendosi dire particolari] e quindi anche il punto "H" delle
condizioni particolari prevedente la deroga all'art. 26 delle condizioni generali, ed avere quindi
rilevato che vi era, però, la specifica approvazione per iscritto della clausola vessatoria di cui a
quell'articolo, ha dato atto dell'esistenza di una contraddittorietà fra le due clausole. Ha poi
richiamato alcuni precedenti di questa Corte in modo astratto (per come si è riferito nel suesteso
svolgimento processuale) ed ha affermato assertoriamente che in applicazione di essi "la mera
elencazione di condizioni generali, condizioni particolari ed ulteriori allegati tutti facenti parte di un
unico libretto informativo predisposto per l'assicurazione globale infortuni alla persona dalla La
Fondiaria Assicurazioni s.p.a." restava "superata dal contenuto specifico del singolo contratto, nel
quale in omaggio al generale principio dell'autonomia delle parti i contraenti ben possono indicare
un regolamento particolare". Dopo di che, tale regolamento particolare il Tribunale ha rinvenuto da
un lato nella circostanza che nel libretto intestato "condizioni particolari" trovasi precisato che esse
sono valevoli soltanto se espressamente richiamate, mentre il richiamo contenuto nella polizza è
"generico e non espresso" e dall'altro nell'approvazione dell'art. 26 delle condizioni generali,
assumendo che l'attenzione particolare che il contraente ha quando sottoscrive una clausola
vessatoria, qual è quella di tacito rinnovo, lasciava presumere che lo stesso fosse stato in grado di
percepire il significato derogatorio dello stesso.
§2.2. Ora, le critiche rivolte alla sentenza con i due motivi di ricorso vanno valutate tenendo conto
di quello che effettivamente appare il tenore della motivazione dell'impugnata sentenza.
Prima di procedere in tal senso, è, però, da rilevare che è inammissibile per novità delle relative
allegazioni la parte del secondo motivo con la quale si censura la sentenza impugnata argomentando
che l'operatività delle condizioni particolari si sarebbe dovuta desumere anche dalla circostanza che,
come emergeva dall'allegato "UNO", il contratto era stato stipulato per il rischio relativo all'attività
di calciatore professionista, contemplato dalla lettera "D" delle condizioni particolari ed escluso
invece dall'art. 5f) delle condizioni generali, onde, se le condizioni particolari non fossero stati
operanti, l'allegato "UNO" sarebbe rimasto privo di effetti.
Le circostanze di fatto su cui si basa questa parte del motivo non risultano affatto considerate nella
sentenza impugnata e parte ricorrente non ha nemmeno allegato di averle dedotte nell'atto di appello
e che non sarebbero state esaminate dal giudice d'appello.
Né la loro deduzione in questa sede può ritenersi giustificata perché indotta dallo stesso
argomentare della sentenza impugnata, cioè per farne constare l'erroneità, posto che la questione
esaminata dalla motivazione di tale sentenza è quella del rapporto fra la clausola inerente il
richiamo delle condizioni particolari e l'approvazione espressa della clausola di rinnovo facente
parte delle condizioni generali, cioè proprio quella dedotta con l'appello e che è ora oggetto del
motivo di ricorso per cassazione, riguardo alla quale, dunque, le argomentazioni in fatto di cui si
dice bene avrebbero dovuto essere dedotte già con l'atto di appello.
§2.3. Venendo all'argomentare della sentenza impugnata, si rileva che esso, al di là della generica
invocazione di una serie di principi giurisprudenziali (che - come si dirà - non appare pertinente alla
specie e comunque non ha spiegato influenza ai fini dell'adottata decisione), è incentrato su due
argomenti esegetici inerenti ciascuno le due clausole in contrasto fra loro e, quindi, successivamente
sull'attribuzione di prevalenza alla approvazione di una di esse.
Il primo argomento esegetico concerne l'avverbio "espressamente", con cui nel libretto accluso alla
polizza, secondo la sentenza, era individuata la validità delle condizioni particolari, stabilendosi che
esse sarebbero state valide solo se espressamente richiamate. L'impugnata sentenza ha assegnato al
detto avverbio sostanzialmente, sia pure in modo del tutto implicito, il significato dell'avverbio
"specificamente" e ne ha tratto la conseguenza che la previsione nella polizza della operatività delle
condizioni particolari con la dicitura "Sono operanti le condizioni particolari" non sarebbe
rispondente a quanto esigeva il libretto.
Il Tribunale ha, in particolare, inteso l'avverbio "espressamente" come se letteralmente significasse
necessità del richiamo specifico della clausola e, quindi, in caso di operatività di tutte, necessità di
richiamo di ciascuna di esse singulatim, e, in caso di operatività di una soltanto o di alcune di esse,
di un altrettale richiamo.
Il primo motivo di ricorso ha censurato espressamente il significato attribuito dal Tribunale
all'avverbio "espressamente".
La censura è fondata.
L'avverbio "espressamente" significa "in modo esplicito, chiaro e preciso", o "a bella posta,
appositamente" (come si legge nel Vocabolario della Lingua Italiana Treccani). Nella polizza di cui
trattasi l'affermazione della "validità" delle condizioni particolari, se "espressamente richiamate",
essendo premessa ad una serie di specifiche e distinte condizioni, senza alcuna precisazione
ulteriore, non poteva che implicare in conformità al suddetto significato linguistico anzitutto
l'ammissibilità di un richiamo generico di tutte le condizioni, purché fatto "in modo esplicito, chiaro
e preciso", ed in secondo luogo di un richiamo ad una o ad alcune specifiche condizioni, sempre
purché fatto "in modo esplicito, chiaro e preciso", cosa che sarebbe potuta avvenire con
l'indicazione della singola clausola nella clausola di richiamo.
Viceversa, l'impugnata sentenza ha inteso l'avverbio come implicante soltanto la suddetta seconda
possibilità, come se nella polizza fosse stato scritto "ciascuna delle condizioni di seguito riportate è
operante se espressamente richiamata".
Ora, la formula del richiamo ("Sono operanti le condizioni particolari") è del tutto generica, non
riferendosi ad alcuna clausola in particolare, ma è certamente espressiva di un richiamo fatto "in
modo esplicito, chiaro e preciso" alle condizioni particolari in genere, cioè a tutte.
La genericità del richiamo è, infatti, significativa della volontà di una operatività di tutte le clausole,
secondo la prima delle alternative rese possibili dall'avverbio "espressamente".
Quindi, il Tribunale avrebbe dovuto necessariamente intendere il richiamo come relativo a tutte le
clausole indistintamente e, pertanto, è incorso in una erronea applicazione del criterio di
interpretazione letterale, previsto dall'art. 1362 cod. civ., sostanzialmente invocato dal ricorrente
(ancorché la norma non sia stata citata espressamente) con il chiaro riferimento all'erroneo
significato attribuito all'avverbio in discorso. Criterio la cui corretta applicazione,
nell'interpretazione del contratto, deve certamente costituire il punto di partenza dell'operazione di
ricostruzione della volontà delle parti, atteso che, allorquando l'art. 1362, primo comma, cod. civ.
prevede che nell'interpretazione del contratto deve indagarsi quale sia la comune intenzione delle
parti e non limitarsi al senso letterale delle parole, assume necessariamente come punto di partenza
la ricostruzione del significato letterale delle parole usate dalle parti, sotto il profilo semantico. Ne
consegue che l'operazione interpretativa supposta dall'art. 1362 postula l'esatta assunzione del
significato letterale delle parole usate dalle parti e, pertanto, se tale significato è stato ricostruito
erroneamente sotto il profilo linguistico, si verifica la violazione del precetto di cui a tale norma,
non meno che qualora dall'interpretazione letterale si prescinda del tutto.
L'affermazione per le ragioni sostenute di un significato letterale dell'avverbio "espressamente"
diverso da quello assunto dalla sentenza impugnata rende, dunque, per ciò solo errato in diritto il
procedimento interpretativo seguito dalla sentenza impugnata.
Esso, inoltre, nel suo ulteriore passaggio, costituito dal confronto fra la clausola relativa alla
previsione di operatività delle condizioni particolari e la clausola vessatoria specificamente
approvata per iscritto, appare anche intrinsecamente contraddittorio in diritto, là dove non ha
portato alla naturale conseguenza l'affermazione che l'avverbio "espressamente" si doveva intendere
nel senso di imporre un richiamo non generico: essa, infatti, sarebbe stata quella di considerare la
clausola come non scritta, in quanto non convenuta nel modo previsto in punto di identificazione
dell'oggetto, e, quindi, ne sarebbe dovuto discendere che nella ricostruzione della volontà
contrattuale il Tribunale, per elementare ragione di coerenza, avrebbe dovuto prescindere del tutto
dalla clausola in discorso.
Invece, il Tribunale ha proceduto al confronto fra essa e la clausola di rinnovazione tacita oggetto di
espressa approvazione.
In tal modo, il Tribunale, contraddicendo la ricostruzione dell'avverbio "espressamente" pur
sostenuta, ha implicitamente considerato la clausola, sotto il profilo letterale, come idonea a
provocare, di per sé considerata, l'operatività delle condizioni particolari (come aveva fatto
nell'esordio della motivazione, quando aveva affermato l'esistenza di una situazione di contrasto fra
la clausola di richiamo delle condizioni particolari e quella di tacito rinnovo espressamente
approvata) e, tuttavia, dando rilievo nel confronto con la clausola di previsione del tacito rinnovo
alla genericità del richiamo della condizioni particolari, ha sostanzialmente ed ulteriormente anche
considerato la clausola di richiamo di tenore dubbio e, quindi, per risolvere il dubbio nel senso della
non operatività del richiamo ha conferito forza dirimente in tal senso all'altra clausola.
In tal modo, però (se non fosse assorbente il rilievo già svolto), avrebbe violato la regola di
interpretazione di cui all'art. 1370 cod. civ. (interpretazione contro l'autore della clausola), la quale
impone che nel dubbio le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o (come era quella
richiamo delle condizioni particolari) in moduli o formulari, predisposte da uno dei contraenti
debbono essere interpretate a favore dell'altro.
La norma dell'art. 1370 cod. civ. avrebbe dovuto, invece, condurre il Tribunale, una volta ritenuta a torto, come si è visto - la clausola ambigua in relazione alla previsione dell'espresso richiamo, a
risolvere l'ambiguità (comunque, come si è detto, erroneamente ipotizzata) nel senso favorevole al
ricorrente, cioè nel senso della piena idoneità ad operare il richiamo.
Invece, il Tribunale ha proceduto al confronto senza prima risolvere l'ambiguità alla stregua dell'art.
1370 cod. civ., norma pure invocata nel motivo.
Anche per tale subordinata ragione il procedimento interpretativo seguito si palesa erroneo in
diritto.
§2.4. Il procedimento interpretativo seguito dal Tribunale, per quanto attiene all'altra clausola posta
a confronto, quella concernente la rinnovazione, oggetto di specifica approvazione per iscritto ai
sensi dell'art. 1341, secondo comma, in relazione all'art. 1342, secondo comma, cod. civ., è
incentrato sull'affermazione che l'approvazione mediante specifica sottoscrizione di tale clausola
(come imponevano tali norme) implicherebbe particolare attenzione da parte del contraente debole,
nella specie il C..
Ciò premesso, fermo che il confronto fra le due clausole, cui ha proceduto il Tribunale, in ragione
dell'errore interpretativo rilevato innanzi a proposito di quella di richiamo delle condizioni
particolari, appare basato su un presupposto erroneo, e che il giudice avanti al quale sarà disposto il
rinvio dovrà procedere al confronto sulla base del presupposto interpretativo esatto, la Corte rileva sempre restando nell'ambito delle doglianze di cui ai motivi - che il confronto fra le clausole cui ha
proceduto il Tribunale è affetto comunque da un errore interpretativo intrinseco.
Esso si rinviene nell'avere il Tribunale - dopo avere ricostruito il contenuto delle due clausole
confrontate sulla base (specificamente, ancorché erroneamente, per quella di richiamo delle
condizioni particolari e prendendo atto del tenore della clausola di approvazione espressa del tacito
rinnovo) di criteri di interpretazione c.d. soggettiva - riconosciuto la prevalenza della clausola
specificamente approvata relativamente alla rinnovazione proprio argomentando che il consenso su
di essa espresso dal C. in quanto manifestato con tale modalità, avrebbe implicato un atteggiamento
di particolare attenzione sì da giustificare la conseguenza della individuazione nella previsione di
questa clausola della effettiva volontà dei contraenti.
In sostanza, la sentenza impugnata ha ritenuto che, in presenza di due clausole contrastanti in un
contratto concluso mediante moduli o formulari, entrambe facenti parte del modulo o formulario,
ma l'una rientrante fra quelle approvate specificamente per iscritto e come tale approvata (cioè nel
rispetto degli artt. 1341 e 1342 cod. civ.) e l'altra, invece, non riconducibile a quelle da approvarsi
specificamente per iscritto ma di contenuto opposto alla prima, la risoluzione della incompatibilità e
del contrasto fra di esse possa discendere dal riconoscimento della sussistenza al momento della
formazione della volontà contrattuale siccome espressa dai contraenti e segnatamente da quello
"debole", di una sorta di maggiore consapevolezza nell'approvazione specifica della clausola
piuttosto che in quella del contratto nel suo complesso e, quindi, della clausola contrastante con
quella specificamente approvata per iscritto.
Tale ragionamento non appare qualificato in alcun modo in diritto, nel senso che non indica il
Tribunale quale fra le norme sull'interpretazione dei contratti - e segnatamente fra quelle di
interpretazione oggettiva - lo giustificherebbe.
L'omissione è tanto più incomprensibile, in quanto l'ordinamento prevede un criterio di
interpretazione che il giudice deve applicare in relazione al caso in cui il contratto sia predisposto da
uno dei contraenti. Tale criterio è quello dell'art. 1370 cod. civ., secondo il quale "le clausole
inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei
contraenti s'interpretano nel dubbio a favore dell'altro".
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, qualora, dopo
aver fatto uso dei canoni ermeneutici principali della letteralità e sistematicità, rimanga dubbio il
significato delle clausole, può farsi ricorso al criterio dettato dall'art. 1370 cod. civ. secondo il quale
la clausola di dubbia interpretazione deve essere interpretata contro l'autore di essa, ma a tal fine
occorre non solo che uno dei due contraenti abbia predisposto l'intero testo del contratto al quale
l'altra parte abbia prestato adesione, ma anche che lo schema negoziale sia precostituito e le
condizioni generali siano predisposte mediante moduli e formulari, al fine di poter essere utilizzate
in una serie indefinita di rapporti (Cass. n. 8411 del 2003).
Proprio questo caso (c.d. interpretatio contra stipulatorem) ricorreva nella specie, atteso che la
presenza delle due clausole contrastanti, una volta posta l'una in relazione all'altra, determinava
certamente una situazione di dubbio. Specie considerando che il contrasto e, quindi, il dubbio è di
particolare gravità, in quanto l'una clausola - quella di richiamo delle condizioni particolari e,
quindi, di quella fra di esse di esclusione del tacito rinnovo alla scadenza, ha natura derogatoria
proprio della clausola approvata specificamente per iscritto.
Il Tribunale, dunque, invece di risolvere il dubbio nel senso sopra indicato, privo di alcuna base
normativa nelle norme ermeneutiche, avrebbe dovuto porsi il problema dell'applicabilità dell'art.
1370 cod. civ. e valutare la fattispecie alla stregua di tale norma.
§2.6. Va chiarita a questo punto l'affermazione della non pertinenza dei richiami di giurisprudenza
operati dalla sentenza impugnata, ancorché essi non abbiano spiegato rilievo sulla decisione.
In primo luogo, si rileva che nella specie non si verte in fattispecie di contrasto fra clausola aggiunta
e clausola figurante sul modulo o formulario, come nel precedente di Cass. n. 269 del 1976. Si
verte, invece, in un caso in cui entrambe le clausole in contrasto fra loro sono figuranti sul modulo
predisposto da un contraente e, quindi, sono state da esso predisposte. Non v'è, dunque, alcuna
clausola aggiunta (cioè oggetto di specifica contrattazione) della quale debba valutarsi il contrasto
con una clausola predisposta.
E, pertanto, non si comprende a che titolo il Tribunale abbia inteso richiamare il suddetto
precedente.
Analogamente, la sentenza impugnata richiama a torto il precedente di cui a Cass. n. 1235 del 1975,
che non è pertinente in quanto non si riferisce a fattispecie di contratto concluso mediante modulo o
formulario, per la quale è pertinente tra le norme di c.d. interpretazione oggettiva l'art. 1370 cod.
civ. Inoltre, quel precedente, là dove richiama l'applicabilità dell'art. 1363, cioè il criterio della
totalità ermeneutica, suppone che esso sia utilizzato in prima battuta sul piano della interpretazione
c.d. soggettiva, cioè quando ancora si deve ricostruire il senso di ognuna delle clausole. Operazione,
come si è visto, compiuta scorrettamente dal Tribunale a proposito della clausola di richiamo delle
condizioni particolari, attraverso l'erronea attribuzione di significato all'avverbio espressamente. Di
modo che l'invocazione di detto precedente come premessa del sillogismo interpretativo, per come
si è già detto, appare basata su un errore ermeneutico.
§3. Conclusivamente, sulla base dei rilievi svolti la sentenza impugnata, dev'essere cassata con
rinvio ad altro giudice dello stesso Tribunale di Potenza che provvederà ad una nuova decisione
applicando i seguenti principi di diritto:
A) «In tema di contratti conclusi mediante moduli o formulari, la previsione fra le condizioni
predisposte che si assumono conosciute dal contraente, accanto alle condizioni generali, di
condizioni denominate "particolari", per le quali ultime si preveda la validità se espressamente
richiamate, non va intesa nel senso che l'avverbio "espressamente" implichi necessariamente che il
richiamo di tali condizioni particolari nella polizza debba avvenire con l'indicazione specifica di
ciascuna clausola, in quanto detto avverbio non è sinonimo dell'avverbio "specificamente", bensì
nel senso che il richiamo può avvenire sia per tutte le dette condizioni con un generico riferimento
alle condizioni "particolari", sia per alcune di esse specificamente individuate, con la conseguenza
che la previsione sul modulo o formulario in via generica dell'operatività delle clausole particolari
dev'essere intesa come volontà delle parti di far divenire clausole del contratto tutte le condizioni
particolari»;
B) «In tema di contratti conclusi mediante moduli o formulari, la presenza nel modulo
dell'approvazione specifica di una clausola vessatoria, regolarmente sottoscritta, e nel contempo di
una clausola di richiamo dell'operatività di condizioni particolari, indicate nel libretto accluso alla
polizza (contenente sia le condizioni denominate generali che quelle denominate particolari), fra le
quali ultime vi sia una clausola derogatoria di esclusione dell'operatività della previsione della
clausola vessatoria compresa fra le condizioni generali, determina una situazione di contrasto fra
due clausole che dà luogo ad una questione interpretativa che non può essere risolta affermando che
la volontà contrattuale effettiva delle parti è stata quella di volere l'operatività della clausola
vessatoria e non di quella derogatoria di esclusione della sua operatività, per il fatto che la specifica
approvazione della prima evidenza una maggiore attenzione del contraente debole all'atto di
prestare il consenso, atteso che siffatto criterio interpretativo non risponde ad alcuno dei principi
dettati per l'interpretazione dei contratti. Viceversa, il giudice del merito deve procedere alla
risoluzione della situazione di contrasto in primo luogo con l'applicazione del criterio, di cui all'art.
1370 cod. civ., giacché essa dà luogo ad un dubbio interpretativo circa le clausole dal contratto
concluso mediante modulo o formulario».
La cassazione della sentenza impugnata sulla base dell'affermazione di questi due principi di diritto
comporta che debba essere demandato al giudice del rinvio, una volta che li abbia gradatamente
applicati, ogni eventuale - cioè per il caso che resti ancora oscura la volontà contrattuale sul piano
oggettivo - valutazione alla stregua dei criteri interpretativi di cui all'art. 1371 e 1366 cod. civ.,
evocati anch'essi nei motivi di ricorso.
PQM
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa e rinvia al Tribunale di Potenza in persona
di altro magistrato, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2005.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 29 SET. 2005
L'INTERPRETAZIONE DEI CONTRATTI SERIALI: UN NUOVO PASSO VERSO UNA
TUTELA EFFETTIVA DEL CONSUMATORE O UN'OCCASIONE PERSA?
Giustizia Civile, fasc.7-8, 2006, pag. 1519
Giovanni Giacalone - ,Ciro Caccaviello - ,
Classificazioni: OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Contratto - - concluso mediante moduli e
formulari
1. Premessa. - 2. La vicenda processuale. - 3. Il contesto normativo. - 4. Le implicazioni della
decisione della Suprema Corte. - 5. La buona fede nell'interpretazione del contratto.
1. Premessa. - Una nuova pronuncia della Corte di cassazione in materia di tutela del consumatore:
con la pronuncia in rassegna la Suprema Corte si occupa del delicato tema dell'interpretazione dei
contratti seriali, giungendo ad affermare la necessità di un'interpretazione sempre più favorevole al
contraente debole delle clausole vessatorie contenute nei contratti per adesione.
Nella sentenza in esame la Cassazione approfondisce i temi della formazione della volontà e
dell'interpretazione del regolamento nei contratti conclusi mediante moduli o formulari.
Il principio di diritto affermato è che nel caso di contrasto tra una clausola facente parte delle
condizioni particolari di contratto, più favorevole all'aderente, e una clausola vessatoria contenuta
nelle condizioni generali non si debba dare ipso iure prevalenza alla clausola vessatoria, solo perché
specificamente accettata e sottoscritta ai sensi dell'art. 1341 c.c., bensì bisogna, comunque,
applicare l'art. 1370 c.c. che fa prevalere l'interpretazione più favorevole al soggetto che non ha
unilateralmente predisposto il contratto stesso.
Ma questa sentenza rappresenta davvero un passo avanti nella tutela del consumatore? Noi
riteniamo che si tratti, piuttosto, di un'occasione persa poiché la Corte ha basato le proprie
argomentazioni unicamente su principi di ermeneutica laddove sarebbe stato forse più semplice e,
sicuramente, più significativo rimarcare la fondamentale importanza, anche in materia di
interpretazione, del principio della buona fede contrattuale.
2. La vicenda processuale. - Esaminiamo dettagliatamente la sentenza in questione.
Il caso pratico è il seguente.
Una compagnia assicuratrice otteneva dal giudice di pace un decreto ingiuntivo nei confronti di
Tizio per il pagamento di una rata di premio scaduta, relativa ad un contratto assicurativo.
Tizio si opponeva al decreto e l'opposizione veniva rigettata dal giudice di pace.
Tizio proponeva, allora, appello contro la sentenza di rigetto assumendo che, a termini della
clausola di cui al punto «H» del contratto assicurativo, clausola in deroga alla condizione generale
di cui all'art. 26, era consentita la cessazione alla scadenza del contratto senza obbligo di disdetta,
onde non era dovuta la rata di premio oggetto dell'ingiunzione.
L'appello veniva rigettato dal tribunale sulla base delle seguenti ragioni:
la polizza assicurativa richiamava genericamente sia le condizioni generali che quelle particolari di
polizza; il punto «H» delle condizioni particolari prevedeva che «a deroga di quanto disposto
dall'art. 26 (proroga del contratto) delle condizioni generali, l'assicurazione cessa alla pattuita
scadenza senza obbligo di disdetta»; tuttavia la stessa polizza, nella parte conclusiva, conteneva la
specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie ex art. 1341 e 1342 c.c. e, tra di esse, era
indicata espressamente anche quella attinente alla proroga tacita del contratto in mancanza di
preventiva disdetta prevista dall'art. 26 delle condizioni generali; vista la contraddittorietà delle due
clausole doveva farsi ricorso alle regole di interpretazione del contratto di cui all'art. 1362 c.c.
(interpretazione letterale) ed all'art. 1363 c.c. (rilievo del complesso dell'atto) nonché, in via
sussidiaria, al criterio della buona fede previsto dall'art. 1366 c.c.; in applicazione dei principi
enunciati «la mera elencazione di condizioni generali, condizioni particolari ed ulteriori allegati
rimaneva superata dal contenuto specifico del singolo contratto nel quale, in omaggio al generale
principio dell'autonomia delle parti, i contraenti ben possono indicare un regolamento particolare»;
tale soluzione, nella specie, trovava riscontro «da un lato, nell'inciso di cui al margine superiore
della sezione del libretto intestato "condizioni particolari", dove si legge che esse sono valevoli
soltanto se espressamente richiamate - il richiamo nella polizza stipulata da Tizio è generico e non
"espresso" - e, dall'altro, nella circostanza della specifica approvazione per iscritto in calce alla
polizza in esame dell'art. 26 delle condizioni generali afferente alla proroga tacita del contratto»;
d'altro canto, «l'attenzione del contraente aderente sulla portata della clausola, che la specifica
approvazione per iscritto implica, lascia ragionevolmente concludere che lo stesso sia stato
perfettamente in grado di percepire il significato derogatorio della stessa».
Contro tale sentenza Tizio proponeva ricorso per cassazione. La Suprema Corte accoglieva il
ricorso con la seguente motivazione.
La Corte afferma che il ragionamento seguito dal tribunale si basa, essenzialmente, sulla
considerazione massima data al principio dell'autonomia contrattuale in base al quale i contraenti
possono indicare un regolamento particolare per il loro rapporto anche in presenza di pattuizioni
generali predisposte aliunde.
Pertanto il contrasto, obiettivamente esistente, tra le due clausole in esame va risolto dando la
precedenza a quella che appare essere stata frutto della libera contrattazione tra le parti.
Il tribunale si era preoccupato anche di dare rilievo al principio della buona fede ritenendo, però,
che la specifica sottoscrizione della clausola vessatoria fosse sufficiente a garantire la comprensione
del congegno contrattuale da parte dell'assicurato.
La Cassazione non accetta tale impostazione, concentrandosi, però, sulla prima delle questioni
proposte.
Al riguardo la Suprema Corte ritiene di poter risolvere il contrasto tra le pattuizioni in questione
sulla base di un criterio puramente esegetico.
La Corte s'impegna, anzitutto, in un'analisi del significato dell'avverbio «espressamente».
Nel libretto accluso alla polizza, infatti, si stabiliva che le condizioni particolari sarebbero state
valide solo se «espressamente» richiamate.
La sentenza impugnata ha assegnato all'avverbio suddetto il significato dell'avverbio
«specificamente» e ne ha tratto la conseguenza che la previsione, nella polizza, dell'operatività delle
condizioni particolari con la dicitura «Sono operanti le condizioni particolari» non sarebbe
rispondente a quanto esigeva il libretto poiché sarebbe stato necessario richiamare specificamente
tutte le clausole efficaci contenute nelle condizioni particolari.
Orbene, secondo la Corte, l'avverbio «espressamente» significa invece «in modo esplicito, chiaro e
preciso» e, quindi, non implica affatto il divieto di richiamare in toto le condizioni particolari
purché tale richiamo sia «espresso» nel senso sopra chiarito.
Ora, la formula del richiamo («Sono operanti le condizioni particolari») è del tutto generica, non
riferendosi ad alcuna clausola in particolare, ma è certamente espressiva di un richiamo fatto «in
modo esplicito, chiaro e preciso» alle condizioni particolari in genere, cioè a tutte tali clausole.
Ne consegue che, secondo la Corte, il tribunale è incorso in una erronea applicazione del criterio di
interpretazione letterale, previsto dall'art. 1362 c.c., atteso che l'art. 1362, comma 1, c.c., quando
prevede che nell'interpretazione del contratto debba indagarsi quale sia la comune intenzione delle
parti e non limitarsi al senso letterale della parola, presume, come necessario punto di partenza,
l'esatta comprensione del significato letterale delle parole usate dalle parti.
La Corte esamina, poi, il procedimento interpretativo seguito dal tribunale, per quanto attiene
all'altra clausola in esame, quella concernente la rinnovazione automatica della polizza.
Tale clausola è stata oggetto di specifica approvazione per iscritto ai sensi dell'art. 1341, comma 2,
c.c.
Il tribunale afferma che l'approvazione mediante specifica sottoscrizione di tale clausola
implicherebbe particolare attenzione da parte del contraente debole.
In sostanza la sentenza impugnata intende risolvere il contrasto tra le due clausole in questione sulla
base della maggiore o minore consapevolezza del significato di una delle due mostrata dal
contraente debole, consapevolezza che prevarrebbe sulla necessità di interpretare il contratto nel suo
complesso.
La Corte stigmatizza tale ragionamento come assolutamente privo di fondamento giuridico.
Infatti, nel caso in cui l'interpretazione di un contratto per adesione, ferma restando la sua
preventiva, corretta esegesi letterale, sia dubbia occorre utilizzare il criterio dell'art. 1370 c.c.,
secondo il quale «le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari
predisposti da uno dei contraenti s'interpretano nel dubbio a favore dell'altro».
Ciò porta, nella specie, a dare la prevalenza alla clausola contenuta nelle condizioni particolari che
non consentiva la tacita rinnovazione del contratto.
3. Il contesto normativo. - Prima di esaminare le ricadute della sentenza sulla delicata questione
della contrattazione di massa è opportuno premettere un breve excursus della materia. Le condizioni
generali di contratto sono le clausole che un soggetto, il c.d. «predisponente», utilizza per regolare
uniformemente i suoi rapporti contrattuali.
Esse sono «generali» perché destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, così distinguendosi
dalle clausole specificamente elaborate per singoli rapporti (1). Il predisponente è, di regola, un
imprenditore commerciale che utilizza le clausole generali per disciplinare in modo uniforme i
rapporti di fornitura di beni e servizi alla clientela.
La diffusione delle clausole generali si è estesa al punto che i consumatori difficilmente possono
accedere a beni e servizi senza sottostare ai regolamenti contrattuali che le imprese predispongono
su moduli, formulari o avvisi.
Il contenuto dei contratti «di massa» viene di fatto imposto ai consumatori, i quali aderiscono ad un
regolamento che non sono in grado di negoziare e di cui, spesso, ignorano anche il contenuto.
Le condizioni generali sono efficaci nei confronti dell'aderente se al momento della conclusione del
contratto questi le conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza. L'ordinaria
diligenza va rapportata a ciò che è normale attendersi dalla massa degli aderenti in relazione al tipo
di operazione economica in questione: non può richiedersi un particolare sforzo o una particolare
competenza all'aderente per conoscere le condizioni predisposte.
All'onere di ordinaria diligenza dell'aderente corrisponde quello del predisponente di rendere tali
condizioni normalmente conoscibili da parte dell'aderente (2). Il predisponente deve rendere
manifesta all'aderente l'esistenza delle condizioni, deve metterlo in grado di conoscerne il contenuto
e deve impiegare un testo intelligibile, perché un testo oscuro non possiede il requisito della
normale conoscibilità.
L'onere del predisponente non può considerarsi assolto se il testo delle clausole, pur portato a
conoscenza dell'aderente, abbia un significato comunemente non intelligibile in relazione alla
pratica del settore. In caso di ambiguità, la clausola ha effetto nel significato più favorevole
all'aderente.
Le condizioni generali normalmente non conoscibili sono inefficaci nei confronti dell'aderente. Il
giudice deve disapplicarle (la giurisprudenza ricorre alla categoria della nullità, assoluta o relativa,
o della inopponibilità delle clausole) anche d'ufficio, ma l'aderente può accettarle e renderle così
efficaci nei propri confronti.
In base all'art. 2697 c.c., regola generale sull'onere probatorio, il predisponente che invochi
l'efficacia di una condizione generale nei confronti dell'aderente deve dimostrare i fatti costitutivi di
detta efficacia: la conclusione del contratto e la conoscenza o la normale conoscibilità della
condizione da parte dell'aderente.
Le condizioni generali trovano la loro fonte nel contratto, quindi vanno interpretate secondo i criteri
valevoli per i contratti (art. 1362 ss. c.c.). La comune intenzione dei contraenti va ricercata nel
significato in cui la proposta poteva essere ragionevolmente intesa dall'accettante. Particolare
rilievo può assumere, in materia, l'art. 1370 c.c. per effetto del quale, in caso di dubbio, va adottata
l'interpretazione più favorevole all'aderente.
Le condizioni, comunemente, sono inserite in un modello o formulario di contratto. Alle condizioni
incluse nei contratti-tipo si applica la disposizione che esige la specifica approvazione delle clausole
vessatorie.
Le clausole aggiunte al formulario possono integrare, chiarire o modificare il testo stampato
originario. Il contrasto tra una clausola aggiunta e un'altra clausola contenuta nel modulo o
formulario va risolto, in applicazione della norma specifica contenuta nell'art. 1342 c.c., nel senso
della prevalenza della clausola aggiunta, anche se non si sia proceduto alla sua materiale
cancellazione, non dovendosi fare, invece, ricorso ai criteri ermeneutici generali in tema di
coordinamento ed integrazione fra le varie disposizioni contrattuali (3).
Le clausole vessatorie sono condizioni generali che aggravano la posizione dell'aderente rispetto
alla disciplina legale del contratto. La legge prevede una serie di clausole vessatorie e ne condiziona
l'efficacia alla specifica approvazione scritta dell'aderente.
Questa si pone in funzione di tutela dell'aderente, poiché tale requisito formale dovrebbe valere a
prevenire la sorpresa di clausole gravose accettate inavvertitamente o senza sufficiente attenzione.
Le clausole vessatorie non sottoscritte sono inefficaci, a prescindere dalla circostanza che l'aderente
le conoscesse o meno oppure si trovasse o meno in posizione economica inferiore rispetto al
predisponente (4).
Se riguardate come fenomeno collettivo, trascendente i singoli contratti, le condizioni generali,
quale regolamento che il predisponente impone unilateralmente alla generalità dei clienti, danno
luogo ad un alto rischio di approfittamento a danno di una generalità di contraenti assoggettati
all'altrui potere regolamentare.
L'incontrollato potere di manipolazione dei rapporti contrattuali, infatti, caratterizza tutta la realtà
imprenditoriale e realizza una disuguaglianza socio-economica dei consumatori che esige un
intervento statale in attuazione del principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 cost., dovendosi
tutelare gli aderenti contro l'abusivo aggravamento della posizione del contraente debole. A ciò, gli
ordinamenti dei vari Stati, specie comunitari, avevano reagito privilegiando taluni il controllo
legislativo, altri quello giudiziale, altri ancora quello amministrativo, creando disparità tra gli
imprenditori dei vari Paesi in un mercato sempre più integrato e rendendo necessario un intervento
comunitario volto ad uniformare le legislazioni nazionali in materia.
Così la direttiva 5 aprile 1993 n. 93 - che ha rappresentato il contributo più importante del diritto
comunitario al diritto privato, ponendo le basi di un diritto contrattuale europeo - ha imposto agli
Stati membri di adottare una tutela contrattuale minima del consumatore nei confronti del
professionista. Essa, sulla base del modello tedesco, privilegia il controllo giudiziale e prevede che
non siano vincolanti per il consumatore le clausole volte a creare un significativo squilibrio tra le
posizioni giuridiche delle parti (c.d. «clausole abusive»: art. 31): gli Stati devono inoltre fornire
mezzi adeguati per far cessare l'inserzione di dette clausole nei contratti in questione (art. 71).
In attuazione di tale direttiva, la l. 6 febbraio 1996 n. 52 ha dettato la disciplina dei «contratti del
consumatore», inserendola nella disciplina codicistica dei contratti in generale (art. 1469-bis ss.
c.c.).
Da un lato, quindi, vi è una tutela individuale del consumatore, che può farsi valere attraverso
l'accertamento giudiziale della vessatorietà delle clausole dei singoli contratti, dall'altro una
collettiva, tendente a prevenire, impedendolo, l'inserimento di condizioni generali nei singoli
contratti.
Il carattere imperativo della disciplina comporta il divieto di eluderne l'applicazione attraverso il
rinvio ad altra legislazione extracomunitaria non egualmente protettiva. L'espresso divieto al
riguardo (art. 1469-quinquies c.c.) rappresenta un'applicazione del principio sancito dall'art. 5 della
Convenzione di Roma del 1980, recepito anche dalla legge di riforma del diritto internazionale
privato (art. 57 l. 31 maggio 1995 n. 218).
La nuova normativa prescinde dal tipo di contratto, applicandosi a tutte le clausole presentanti il
carattere della vessatorietà, siano o meno predisposte dal professionista in forma di condizioni
generali.
Ovviamente essa finisce per operare normalmente proprio in rapporto a condizioni generali, dato
che queste caratterizzano la fornitura imprenditoriale di beni e servizi ed è proprio il potere di
predisposizione unilaterale dell'assetto contrattuale che genera il fenomeno delle clausole abusive.
Quanto al rapporto con la preesistente disciplina codicistica, si è affermato che le nuove norme
rappresentano un completamento di regole già esistenti, non già un regime alternativo ed esclusivo
riferibile ai soli contratti dei consumatori, ma solo regole dirette a tutelare con maggiore intensità un
contraente particolarmente debole quale è il consumatore. Questi, quindi, potrà invocare la
disciplina degli art. 1341 e 1342 c.c. quando risultasse più favorevole e una clausola vessatoria, ai
sensi di detta disciplina, sarà senz'altro non compresa nel contratto se priva della specifica
sottoscrizione.
Mentre l'art. 1341 c.c. faceva riferimento al ruolo assunto dalle parti nella formazione del contratto
(predisponente ed aderente), le nuove norme concernono le figure del professionista e del
consumatore.
Professionista è il produttore o distributore di beni o servizi che pone in essere il contratto nel
quadro della sua attività imprenditoriale.
«Consumatore» è chi non agisce nel quadro della propria attività professionale.
Nello stesso senso si è pronunziata anche la Corte costituzionale, secondo cui le norme sulle
clausole vessatorie, di cui agli art. 1469-bis ss. c.c., sono dettate al fine di tutelare esclusivamente le
persone fisiche che agiscono per fini diversi da quelli d'impresa, come si desume anche dal progetto
di codice civile europeo, ove si definisce consumatore colui che agisce al di fuori dell'attività
economica; finalità della norma è quella di tutelare i soggetti che sono, presumibilmente, privi della
necessaria competenza per negoziare, con esclusione, quindi, dalla disciplina di categorie di
soggetti - quali i professionisti, i piccoli imprenditori e gli artigiani - che proprio per l'attività
abitualmente svolta hanno cognizioni idonee per contrattare su un piano di parità (5).
Sono «vessatorie» le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore
un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
«Malgrado la buona fede» è espressione derivante dalla versione italiana della direttiva (nelle altre
lingue si dice «in contrasto con la buona fede», diventando quindi la buona fede un precetto di
condotta). Nel testo italiano la buona fede diventa un precetto che regola l'esercizio di poteri
discrezionali: non si deve abusare del potere di regolamentazione del contratto per imporre clausole
vessatorie a carico della controparte.
Le clausole vessatorie sono inefficaci, ferma l'efficacia del contratto per la restante parte (art. 1469quinquies c.c.). L'inefficacia è sancita a favore esclusivamente del consumatore e può essere rilevata
d'ufficio dal giudice.
L'inefficacia si pone come sanzione della violazione di norme imperative. Essa, quindi, sembra
trovare fonte nella nullità relativa sancita a tutela del contraente debole, come è avvenuto anche in
altri ambiti contrattuali.
Le clausole devono essere formulate dal professionista in modo chiaro e comprensibile, così
ribadendo, come nel caso delle condizioni generali, che il professionista deve non solo farle
conoscere al consumatore ma anche manifestarle in modo intelligibile. Le clausole ambigue vanno
interpretate nel significato più favorevole al consumatore (art. 1469-quater c.c.).
Quelle non comprensibili da un soggetto di media capacità e intelligenza, pertanto, devono ritenersi
non incluse nel contenuto del contratto analogamente a quanto avviene per le condizioni generali,
ferma restando la possibilità, per il consumatore, di accettarle. Ciò vale anche per le clausole
«oscure» poste al di fuori di moduli o formulari.
4. Le implicazioni della decisione della Suprema Corte. - La sentenza in esame, come abbiamo
visto, si pone il problema di evitare che un'applicazione formalistica delle regole interpretative,
quale quella utilizzata dal giudice di merito, basata sul requisito della mera sottoscrizione specifica
delle clausole vessatorie, conduca ad ingiustizie sostanziali.
È indubbio, infatti, che, nella fattispecie, per l'assicurato non era affatto semplice capire che, onde
evitare il rinnovo tacito della polizza, avrebbe dovuto disdirla.
Ed è altrettanto indubbio che, per il profano, non è sempre facile districarsi tra i cumuli di
disposizioni, spesso contraddittorie, che caratterizzano i contratti imposti.
Pertanto pur affermando, giustamente, la necessità di applicare l'art. 1370 c.c., la Corte avrebbe
dovuto rimarcare la centralità del principio della buona fede sancito dall'art. 1366 c.c., come aveva,
del resto, fatto il tribunale, pur giungendo ad opposte conclusioni.
Anziché continuare a rifarsi ai criteri ermeneutici tradizionali i quali, nell'epoca della contrattazione
di massa, mostrano la corda, la Corte avrebbe potuto fare un salto di qualità adottando
un'interpretazione in chiave «europea» dell'art. 1366 c.c., un'interpretazione, cioè, ispirata a quei
principi di tutela del consumatore che hanno trovato nella legislazione comunitaria il loro primo
riconoscimento e sono stati, finalmente, recepiti nella legislazione italiana con il c.d. «codice del
consumo» (d. lgs. 6 settembre 2005 n. 6) (6).
L'art. 35 d. lgs. n. 206, cit., infatti, sancisce l'obbligo di redigere le clausole contrattuali in modo
«chiaro e comprensibile»: la chiarezza della clausola, quindi, non è più un presupposto per poter
interpretare in maniera letterale il contratto ma diventa un vero e proprio obbligo posto a carico di
chi redige un formulario, sanzionato con l'interpretazione più favorevole al consumatore delle
clausole oscure prevista dal comma 2 della norma citata.
L'art. 33 d. lgs. n. 206 cit., a sua volta, afferma che «si considerano vessatorie le clausole che,
malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti
e degli obblighi derivanti dal contratto».
Ora, sebbene tale formulazione recepisca una nozione soggettiva e non oggettiva di buona fede,
come espresso sopra, è evidente come tale concetto abbia un rilievo centrale nella nuova
legislazione.
Quindi, sebbene la buona fede non possa diventare un canone ermeneutico a sé stante (e ciò,
riteniamo, sia una pecca del codice del consumo), dovrebbe, comunque, essere il presupposto
necessario per l'applicazione dei canoni ermeneutici oggettivi.
Infatti concetti quali «comune intenzione delle parti», «interpretazione letterale», «interpretazione
delle clausole in rapporto una con le altre» non hanno molto senso in un'epoca in cui i contratti
vengono imposti al consumatore, costituiscono dei tomi di decine di pagine la cui comprensione
richiede l'assistenza di tecnici del diritto e, spesso, non sono nemmeno organici in quanto, come
nella specie, sono formati da volumi separati con pattuizioni contrastanti.
In questa situazione i tradizionali criteri ermeneutici dovrebbero evolversi in un'ottica di tutela del
consumatore.
Sempre meno spazio, quindi, dovrebbe darsi a requisiti meramente formali quali la sottoscrizione
delle clausole vessatorie e sempre più andrebbe valorizzata la buona fede di chi ha predisposto il
contratto e di chi lo ha sottoscritto.
Il predisponente che sia in posizione di vantaggio, in parole povere, ha l'onere di parlar chiaro
altrimenti sfrutta ingiustamente la propria forza contrattuale.
Il giudice deve tutelare chi era, in buona fede, convinto di essere nel giusto qualora tale convinzione
sia stata incolpevolmente determinata dall'oscurità del formulario sottopostogli.
Ovviamente i criteri ermeneutici codicistici sono sempre basilari, sia perché obbligatori sia perché
la buona fede deve sempre avere un supporto oggettivo, non potendosi prendere in considerazione
le mere intenzioni; tuttavia l'attività interpretativa, si ripete, deve tener conto delle peculiarità della
contrattazione di massa e privilegiare sempre, quando possibile, la posizione di chi era in buona
fede.
La normativa sulle clausole vessatorie, infatti, non è più sufficiente a questo scopo: quasi sempre la
doppia sottoscrizione è un fatto puramente meccanico e non vuole affatto dire che chi ha firmato si
sia veramente reso conto di ciò che accettava; come abbiamo detto, spesso comprendere tutte le
sottili implicazioni del testo proposto richiederebbe lo studio approfondito di un tecnico del diritto
laddove, in genere, la cosa viene risolta con uno sbrigativo «firmi qui e qui».
5. La buona fede nell'interpretazione del contratto. - Per un approccio storico-sistematico del
problema, che si è posto relativamente di recente, ricordiamo che la dottrina è stata forse più attenta
della giurisprudenza alla questione della buona fede nell'interpretazione del contratto; più di un
autore, infatti, ha rimarcato come ai contraenti si imponga sempre l'obbligo del clare loqui(7).
Del resto già il codice del 1865 aveva un'approccio più «garantista» alla questione interpretativa:
l'art. 1137 c.c. 1865, infatti, recitava «Nel dubbio il contratto s'interpreta contro colui che ha
stipulato ed in favore di quello che ha contratto l'obbligazione»: identificando, in tal modo,
genericamente lo stipulante con il creditore e non, anche, con il predisponente il regolamento
contrattuale il codice sanciva un indiscriminato favor debitoris.
La giurisprudenza, per lo più, è rimasta ancorata ad una concezione formalistica dell'interpretazione
dei contratti seriali ritenendo che solo qualora i criteri di interpretazione letterali non diano risultati
soddisfacenti sia possibile rifarsi a criteri sussidiari tra cui quello della buona fede ex art. 1366 e
1370 c.c.; in particolare la sottoscrizione specifica richiesta dall'art. 1341 c.c. viene, in genere,
considerata sufficiente a giustificare ogni clausola vessatoria (8).
Non manca, però, qualche significativa pronuncia che dà maggior rilievo al criterio della buona fede
(9).
In particolare Cass. 10 giugno 1982 n. 3510 ha affermato, proprio in riferimento ad una controversia
assicurativa, che quando le condizioni generali e particolari di polizza, per il loro numero e la
varietà del contenuto, implicano un non agevole coordinamento fra le une e le altre e possono,
quindi, essere male interpretate, in buona fede, dall'assicurato risulta particolarmente appropriato il
ricorso al criterio ermeneutico dell'interpretazione contro l'autore previsto dall'art. 1370 c.c.
Ciò che maggiormente rileva, però, è la necessità di aggiornare la nostra elaborazione
giurisprudenziale alla luce dell'esperienza europea.
La normativa europea di tutela del consumatore, infatti, si muove in un'ottica sempre più
«pragmatica» ed occorre adeguarsi ad essa.
Il legislatore nazionale, come abbiamo visto, aveva già emanato, in materia, la l. 6 febbraio 1996 n.
52, in attuazione della direttiva del Consiglio 5 aprile 1993 n. 13/93/Cee sui contratti del
consumatore, legge che, all'art. 25, aveva introdotto gli art. 1469-bis ss. c.c. i quali ampliavano le
ipotesi di clausole vessatorie ed apprestavano, al riguardo, una tutela più incisiva di quella prevista
dalla norma generale in materia, l'art 1341 c.c.
La materia è stata, poi, oggetto della recente, organica riforma operata dal d. lgs. 6 settembre 2005
n. 206, il c.d. «codice del consumo».
La legge suddetta, agli art. 33 ss. che sostituiscono la disciplina codicistica, si è sostanzialmente
rifatta alla normativa precedente prevedendo, però, la sanzione della nullità anziché quella
dell'inefficacia per la clausole abusive, introducendo così il concetto (per la verità non
comprensibilissimo) di nullità di protezione.
Se si considera che il 1341 c.c. è stato, sostanzialmente, quasi abrogato dalla nuova normativa
(stante l'ampia portata della nozione di «consumatore», infatti, le ipotesi di applicazione della
vecchia norma sono veramente residuali), ci rendiamo ancor più conto di come il principio della
buona fede venga ad avere un ruolo sempre più centrale nell'interpretazione del contratto e di come
sia anacronistico continuare a rifarsi pedissequamente al vecchio criterio della sottoscrizione
specifica.
Risolvere una questione come quella in esame in base a criteri puramente formali può anche essere,
infatti, soddisfacente in riferimento al caso pratico ma, de iure condendo, non è più sufficiente.
Bisogna, però, aggiungere che con il codice del consumo si è anche persa un'occasione per giungere
ad una nozione veramente «europea» di buona fede.
In ambito comunitario, infatti, la disciplina delle condizioni generali di contratto è stata individuata
come uno dei punti maggiormente «dolenti» in tema di riavvicinamento delle legislazioni nazionali
(10).
L'art. 33 d. lgs. n. 206, cit. continua ad utilizzare la dizione «[...] si considerano vessatorie le
clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto».
Orbene tale definizione implica un concetto soggettivo di buona fede laddove l'accoglimento
dell'altra definizione proposta in dottrina, in contrasto con la buona fede, avrebbe segnato il
passaggio ad un concetto oggettivo di buona fede, basato, quindi, non sullo stato psicologico del
contraente debole ma sull'obiettivo squilibrio del regolamento contrattuale e tutelando, così, il
consumatore in maniera molto più efficace (11).
Note:
(1) Cfr. Cass. 21 aprile 1988 n. 3091; Cass. 14 maggio 1977 n. 1952.
(2) Secondo una non recente giurisprudenza non si possono invocare condizioni per conoscere le
quali l'aderente debba compiere uno sforzo non richiesto a un normale uomo d'affari, cfr. Cass. 3
settembre 1955 n. 2571.
(3) Cfr. Cass. 9 aprile 1990 n. 2963; Cass. 17 gennaio 1986 n. 269; Cass. 25 novembre 1980 n.
6265.
(4) Cfr. Cass. 4 giugno 1979 n. 3153.
(5) Cfr. C. cost. 22 novembre 2002 n. 469, in Diritto e giustizia, 2002, n. 44, p. 35, con nota di
Andreucci, Precisata la nozione di consumatore.
(6) Per una tempestiva e puntuale illustrazione si rinvia a Il codice del consumo. Commentario
breve a cura di Alpa e Rossi Carneo, Napoli 2005.
(7) Cfr. Cassottana, Il problema della interpretazione delle condizioni generali di contratto, in Le
condizioni generali di contratto a cura di Bianca I, Milano 1979, 126 e 130 ss.; Grassetti,
Interpretazione dei contratti inter vivos, in Nss.D.I., VIII, Torino 1965, 903; Id., L'interpretazione
del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Padova 1938, 96 ss. e 229 ss.; Carresi, Il
contratto, in Trattato di diritto civile e comerciale diretto da Cicu e Messineo, II, Milano 1987, 515;
Bianca, Diritto civile, III. Il contratto, Milano 1987; Mirabelli, Commentario al codice civile, IV, t.
2, Torino 1980, 285; Betti, Teoria del negozio giuridico, Torino 1960, 363 ss.
(8) Cfr. Cass. 27 maggio 2005 n. 11278; Cass. 24 giugno 2004 n. 11734; Cass. 27 maggio 2003 n.
8411, in questa Rivista, 2004, I, 3121; Cass. 26 febbraio 1986 n. 1210; Cass. 7 gennaio 1984 n. 103,
in Foro it., 1984, I, 398; Cass. 25 novembre 1980 n. 6265, in Arch. civ., 1981, 214; Cass. 3 ottobre
1980 n. 5368; Cass. 20 febbraio 1978 n. 803, ivi, 1978, 877; Cass. 16 giugno 1976 n. 2266, in Foro
it., 1976, I, 2656; Cass. 8 ottobre 1968 n. 3161 (in questa Rivista, 1969, I, 207; in Foro pad., 1970,
I, 160, con nota di Dossetto; in Foro it., 1969, I, 383; in Resp. civ. prev., 1969, 260; in Riv. dir.
comm., 1969, II, 137); Cass. 30 maggio 1967 n. 1193.
(9) Cfr. Cass. 21 giugno 2004 n. 11487 (in Assic., 2005, II, 58); Cass. 2 ottobre 1998 n. 9786 (in
questa Rivista, 1999, I, 756; in Resp. civ. prev., 2000, 379, con nota di De Berardinis); Cass. 26
giugno 1987 n. 5621; Cass. 26 giugno 1985 n. 3353, in Giur. it., 1986, I, 1, 1370; Cass. 10 giugno
1982 n. 3510.
(10) Cfr. Comunicazione, 11 ottobre 2004 COM (2004) 651, Diritto contrattuale europeo e
revisione dell'acquis: prospettive per il futuro.
(11) Cfr. Chinè, Contratti del consumatore, in Enc. dir., Aggiornamento, IV, Milano 2000, 404;
Barenghi, I contratti per adesione e le clausole vessatorie, in Diritto privato europeo a cura di
Lipari, Padova 1997, 627.
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Cass. 29 settembre 2005, n. 19140