Il Giornale dei Grandi Eventi 8 ottobre 2004 Anno X / Numero 56 L’intervento Guardiamo al futuro nonostante i tagli di Francesco Ernani Sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma I l momento di recessione economica che ha comportato riduzioni del finanziamento pubblico anche nei riguardi del Teatro dell’Opera della nostra Capitale, ha riaperto il dibattito sull’opera lirica esteso a specifici aspetti di carattere artistico, giuridico ed economico. Riapriamo così il nostro Teatro, dopo il breve periodo di riposo estivo, in un quadro di incertezze che riguardano, in particolare, il suo sostegno finanziario. Nella forte convinzione che il Teatro dell’Opera di Roma sia luogo nel quale la bellezza e l’arte si sposano all’emozione, occorre continuare la sfida iniziata da questa Sovrintendenza nel luglio 1999 di saper perseguire i fini culturali, istituzionali e sociali che lo connotano, con i caratteri di efficienza e di trasparenza. I prossimi titoli d’opera che sono in cartellone nel nostro Teatro: dopo questo Segue a pag. 12 Con “Fidelio” di Beethoven Le Repliche riparte la stagione dell’Opera Domenica 10 ottobre 17,00 Martedì 12 ottobre 20,30 Mercoledì 13 ottobre 16,00 (per le scuole) Giovedì 14 ottobre 20,30 Venerdì 15 ottobre 20,30 Sabato 16 ottobre 18,00 D opo la pausa estiva riprende la stagione del Teatro dell’Opera di Roma, che già da alcuni anni ricalca l’anno solare. Riprende con Fidelio unica opera di Ludwig van Beethoven. Un lavoro sul quale il musicista di Bonn ha rimesso mano per ben tre versioni, componendo anche quattro diverse overtures. Questo perché Fidelio si può considerare il capostipite di un genere nuovo, tra la musica colta prerivoluzione francese e quello che sarà il teatro tedesco. Il libretto, non particolarmente brillante, appartiene al genere molto diffuso in quel periodo della pièce à sauvetage, men- La vicenda si svolge a Siviglia, in Spagna, nel XVII secolo. tre la musica, scritta nel periodo della Quinta sinfonia, guarda ancora al genere del Sinspiel, all’alternanza cioè di numeri chiusi e parti recitate, che ebbe il fondamentale antecedente nel Flauto magico di Mozart. A dirigere è il maestro tedesco Will Humburg, mentre la regia, le scene ed i costumi sono di Giovanni Agostinucci. Il cast è davvero di prim’ordine per questo titolo, con Stephen Gould, Susan Anthony, Alan Titus, Alfred Reiter, Ferdinand von Bottmer, Alfredo Zanazzo e Veronica Cangemi. L’opera è presentata in lingua originale, con sovratitoli in italiano. La trama ATTO 1º - Il giovane Fernando Florestano è stato arrestato illegalmente ed è da due anni detenuto in prigione dal crudele governatore Pizarro, che lo ha fatto credere morto. Leonora, moglie di Florestano, travestita da uomo e con il nome di Fidelio è riuscita a farsi assumere tra il personale della prigione come aiutante del carceriere Rocco, uomo di buon cuore. Essa spera così di avere dall’interno notizie del marito per tentare di liberarlo. Ma di Fidelio si è invaghita la giovane figlia di Rocco, Marzelline, a sua volta corteggiata dall’altrettanto giovane portiere della prigione Jaquino. Marzelline canta il suo amore per Fidelio, sognando nozze in breve tempo. Entrano Rocco, Jaquino e Leonora/Fidelio il cui zelo è interpretato da Rocco come un segno d’amore per la figlia. In uno splendido quartetto Marzelline, Leonora, Jaquino e Rocco esprimono ciascuno i diversi senti- menti. Rocco, poi, raccomanda a Marzelline e Fidelio di badare anche al denaro ed accoglie quindi con favore l’offerta di Fidelio di lavorare di più per aiutarlo nelle pesanti incombenze nei sotterranei (dove Leonora ha il sospetto possa trovarsi il marito Florestano). Nello stesso giorno Pizarro viene avvertito di una imminente visita del Ministro, al quale sono giunte voci di arresti illeciti. Pizarro decide così di disfarsi del prigioniero scomodo e chiede a Rocco di ucciderlo, ma al rifiuto gli ordina di scavare una fossa per il prigioniero che lui stesso ucciderà. Leonora/Fidelio assiste di nascosto al colloquio e sospetta che il misterioso incarcerato sia il marito. Con la scusa di far prendere un po’d’aria ai detenuti, chiede a Rocco di far uscire tutti i reclusi nel cortile del carcere, ma tra loro non vede l’amato Florestano. Pizarro è furioso dell’iniziativa e fa di nuovo rinchiu- Segue a pag. 3 Stagione 2005 8 opere e 6 balletti. Parla il direttore artistico Trombetta A pag. 2 Storia dell’opera Tre versioni e quattro overtures A pag. 6 e 11 Beethoven La sordità ed il rapporto con l’opera A pag. 8 e 9 Opera 2 Il Giornale dei Grandi Eventi Intervista al Direttore Artistico Mauro Trombetta Tradizione e sperimentazione con un “Attila” senza scene P assata l’estate, mentre gli altri Teatri d’opera attendono la nuova stagione, a Roma - dove già da qualche anno si è deciso di proporre una stagione che ricalca l’anno solare - si riprende con l’ultima parte del cartellone e si comincia a pensare alla stagione che verrà, nella quale si festeggerà il 125º anniversario del Teatro. Per guardare al nuovo anno, abbiamo incontrato il maestro Mauro Trombetta, giusto da 12 mesi direttore artistico del Teatro dell’Opera di Roma, anche se sulla poltrona di piazza Gigli lo era dal 19 dicembre 2002 come Consulente alla Direzione Artistica. Trovo che questo è un teatro con grandissime potenzialità, in buona parte espresse. È il teatro che in Italia produce di più in assoluto e che giustamente – essendo il teatro della Capitale – può raffrontarsi ai teatri delle capitali europee, facendo ovviamente le debite considerazioni di diversità strutturali e di concezione. Noi, pur non essendo un teatro di repertorio, riusciamo ad avere una media di oltre 200 spettacoli all’anno tra Costanzo, Nazionale, Caracalla e le manifestazioni varie. Quello, invece, su cui dobbiamo lavorare molto è l’affezione del pubblico romano e dei turisti. Roma - è vero - ha una offerta di spettacoli quasi unica. Per questo il turista è distratto, ma è altrettanto vero – e lo dico con un po’ di dispiacere – che tante piccole accademie dell’opera (chiamiamole così) o gruppi che allestiscono opere liriche, spesso vengono scambiate per l’Opera di Roma. In giro leggono “Opera di Roma”ed equivocano ed il Teatro è penalizzato. Dobbiamo, quindi, riappropriarci del pubblico, ma anche del marchio. D. Come potrebbe avvenire questo riappropriarsi del pubblico? Secondo me insistendo su quanto già stiamo facendo, proponendo una stagione più varia ed articolata come titoli, aprendo di più il teatro al pubblico, cercando anche una maggiore attenzione dei media e pubblicizzando i prodotti. Io vengo da Verona, dove l’Arena per vivere tutto l’anno, durante l’estate ha bisogno di una media di 12 mila spettatori a sera, che vuol dire poco meno di 600 mila spettatori a stagione estiva. Per far questo l’Arena ha un rapporti con agenzie che offrono ai turisti pacchetti di viaggio. Così, essendo Roma una città turistica, credo che anche qui si potrebbe tentare una collaborazione con le agenzie, anche se una parte di biglietti deve essere riservata al pubblico romano. Per fare questo è necessaria una programmazione a lungo termine supportata da certezze finanziarie. Quale è la sua idea sulla programmazione delle stagioni? L’idea è quella di aumentare Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa E PRINT S.r.l. Via Empolitana, Km. 6,4 Castel Madama (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Kodak Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak DC290 la produzione, proponendo al Costanzi titoli della grande tradizione operistica non solo italiana, con pilastri di base che sono Mozart, Verdi, Rossini, il bel canto italiano (Bellini, Donizetti, Mercadante, ecc.), il Verismo italiano e Wagner. Sempre al Costanzi proporre i grandi titoli di balletto e le grandi coreografie del repertorio del ‘900. Al teatro Nazionale, invece, devono essere presentate le opere da camera, le opere contemporanee o tentare qualche sperimentazione. Bisogna poi valorizzare il grande patrimonio scenografico e costumistico del Teatro, tirando fuori bozzetti di Manzù, De Chirico, Sassu, Polidori per farli rivivere. Da questi bozzetti si possono restaurare le scene storiche, come è stato con la Tosca di quest’anno con le scene di Hohenstein della “prima”del 1900. Accanto si possono proporre nuove idee. Ci sono apparecchi talmente sofisticati da creare scenografie virtuali. Queste sono le frontiere della nuova scenotecnica che abbiamo il dovere di affrontare, prima sperimentando e poi proponendo È quindi necessario avere sedi dove sperimentare ed il teatro Nazionale è un buono spazio. Il Teatro Costanzi, invece, questa sperimentazione dopo la deve proporre, altrimenti si rimane indietro. D. Parliamo dei programmi, della stagione 2005. In tutto al Costanzi avremo otto titoli d’opera e sei di balletti, più una serata mista, la “serata Stravinkij”con opera (Edipo Re) che verrà proposta con le scene storiche di Manzu di vent’anni fa e balletto (Uccello di Fuoco). La stagione si aprirà il 15 febbraio con Semiramide di Rossini in un nuovo allestimento. Prima, a gennaio, proporremo un mini mese di balletti, con 4 recite del Lago dei Cigni, poi un “galà Balanchine” con tre titoli e, a chiusura, una riproposizione di Giselle. Successivamente, in marzo, presenteremo uno spettacolo, l’Attila, sperimentale per la scenografia. Il pubblico entrando vedrà solo dei teloni bianchi. Poi, durante lo spettacolo i teloni diventeranno le scene, con Aquileia, il Foro Romano, la foresta, il fiume dove papa Leone incontra Attila. Una soluzione che ho già provato otto anni fa a Verona e credo che anche a Roma sarà apprezzata dal pubblico. An. Mar. Prosegue la stagione 2004 I prossimi titoli d’opera al Teatro Costanzo 2 novembre TANCREDI di Gioacchino Rossini 19 novembre DER FLIEGENDE HOLLÄNDER (L’olandese volante) di Richard Wagner 19 dicembre IL PIPISTRELLO di Johann Strauss Teatro Costanzi Stagione 2005 (I parte) Opere SEMIRAMIDE di G. Rossini Gianluigi Gelmetti Daniela Barcellona, Michele Petrassi, Darina Takova, Antonino Siracusa Regia, scene e costumi: Pier Luigi Pizzi NUOVO ALLESTIMENTO 15 - 22 febbraio 2005 Direttore: 9 - 22 marzo 2005 ATTILA di Giuseppe Verdi Direttore: Antonio Pirolli Roberto Frontali, Ivan Inverardi, Dimitra Theodossiu, Roberto Scandiuzzi, Orlin Anastassov Regia e scene: Paolo Baiocco NUOVO ALLESTIMENTO 17 - 23 marzo 2005 CAVALLERIA RUSTICANA di P. Mascagni RAPSODIA SATANICA di A. Fassini e Fausto M. Martini Direttore: Marcello Panni Giuseppe Giacomini, Natalia Tarasevich, Viorica Cortez, Ambrogio Maestri Regia: Stefano Vizioli ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA 5 - 10 aprile 2005 SERATA STRAVINSKIJ OEDIPUS REX (Edipo Re) di Igor Stravinskij UCCELLO DI FUOCO di Igor Stravinskij Direttore: Zotlan Pesko John Ullenhop, Mario Luperi, Michail Ryssov, Barbara Pintor Regia: Luigi Squarzina ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA E TEATRO DI RIGA 28 aprile - 11 maggio 2005 TURANDOT di G. Puccini Direttore: Alain Lombard Giovanna Cassolla, Nicola Martinucci, Carla Maria Izzo, Michail Ryssov Regia: Giuliano Montaldo ALLESTIMENTO DEL TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA 17 - 25 giugno 2005 THAÏS di Jules Massenet Direttore: Pascal Rophè Amarilli Nizza, MarcoVinco, Claudio Di Segni Regia: Alberto Fassini ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA Fidelio Il Giornale dei Grandi Eventi 3 A colloquio con il direttore Will Humburg “Un’opera piena di difetti, ma passaggio chiave per il teatro musicale” «È la prima volta che affronto il Fidelio», afferma garbato il direttore tedesco Will Humburg, cui è affidata la bacchetta in questa ripresa autunnale del cartellone del Teatro dell’Opera. Nato ad Amburgo, il maestro Humburg è dal 1992 direttore musicale del teatro di Münster. Al Teatro dell’Opera di Roma ha debuttato nel 1992 con Tosca, poi nel marzo del 2000 sostituendo Giuseppe Sinopoli nella conduzione del “Siegfried”, tornando poi nel giugno dello stesso anno per concludere il progetto del “Ring” con “Götterdämmerung”. A Roma è stato anche nel novembre 2003 per dirigere la prima assoluta dell’opera di Sergio Rendine “Romanza, una favola romana”. «È da circa vent’anni che ~~ mi propongono di eseguire questa opera di Beethoven, ma non ho voluto mai accettare, non mi sentivo pronto. Fidelio è un’opera particolare: il libretto è una poesia di terza categoria, è comico senza volerlo essere; lo stesso Beethoven ha scritto e riscritto la musica perché non ne era convinto. É una partitura dove si sente che Beethoven aveva poca esperienza con le voci, con passaggi estremamente difficili come l’aria del tenore nel 2º atto. E questo perché era l’inizio di un genere nuovo, dove c’era ancora tutto da inventare. Con la rivoluzione francese, infatti, era stato creato uno stile musicale nuovo: non più musica sofisticata che poteva essere La Locandina ~ ~ Teatro Costanzi, 8 - 16 ottobre 2004 Fidelio oder Die eheliche Liebe (Fidelio o L’amore coniugale) Titolo originale: Leonore oder Die eheliche Liebe Opera in 2 atti Libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke dal libretto diJ.-N. Boully per P. Gaveaux Musica di Ludwig van Beethoven Prima rappresentazione: 1ª versione (3 atti), Theater and der Wien, 20 XI 1805 2ª versione (2 atti), Theater and der Wien, 29.III.1806 3ª versione (2 atti), Kärntnerthortheater, 23. V. 1814 Direttore Will HUMBURG Regia, Scene e Costumi Giovanni AGOSTINUCCI Maestro del Coro Andrea GIORGI Personaggi - Interpreti Florestan (T) Stephen GOULD Wolfgang MILLGRAMM (10, 13, 15 /10) Leonore (S) Susan ANTHONY Lisa HOUBEN (10, 13, 15 /10) Pizarro (B) Alan TITUS Boris TRAJANOV (10, 13, 15 /10) Rocco (B) Alfred REITER Daniel Lewis WILLIAMS (10, 13, 15 /10) Jaquino (T) Ferdinanda von BOTTMER Claudio BARBIERI (10, 13, 15 /10) Don Fernando, ministro (B) Alfredo ZANAZZO Marzelline (S) Veronica CANGEMI Rita CAMMARANO (10, 13, 15 /10) In lingua originale con sovratitoli in italiano ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Allestimento del Teatro dell’Opera capita da pochi, ma una musica facile da memorizzare, capace di andare direttamente al cuore con un linguaggio fatto di grandi effetti e semplicità nelle melodie. Prendiamo ad esempio il finale della stessa IX sinfonia di Beethoven, una melodia talmente semplice che tutti, anche i bambini, la sanno cantare. Lo stesso accade nel finale del Fidelio: solo due note per un inno trascinante alla libertà, un inno troncato di colpo, altrimenti potrebbe proseguire all’infinito. Anche la mediocrità poetica del libretto dipende dalla novità del genere. Non c’erano librettisti tedeschi disponibili a scrivere un testo drammatico nel nuovo stile. Ma la particolarità del Fidelio è proprio questa. È un’opera piena di difetti, ma rimane comunque un passaggio chiave per il teatro musicale, la prima che sia riuscita ad esprimere in modo semplice con la musica una utopia umana universale dell’amore che può vincere sull’ingiustizia umana. Le opere venute dopo sono tutte più complesse e comunque al Fidelio si rifanno. È il caso del “Franco Cacciatore” di von Weber con l’aria di Caspar ripresa quasi nota per nota dall’aria di Pizarro, ma anche di altri passaggi come nel “Vascello Fantasma”, fino al “Tristano” di Wagner. Per tutte Fidelio è stato un modello». «Così, dopo aver diretto tutte queste opere “ispirate” è giunto per me – dice Humburg - il momento di affrontare l’”originale”. E lo posso fare nelle condizioni ideali, con un cast d’eccezione ed in particolare Stephen Gould il miglior Florestano che ho mai ascoltato ed una orchestra che, devo dire, che negli ultimi dieci anni è diventata di prim’ordine e con me c’è una grande stima reciproca. Nel complesso dell’allestimento, mi interessa il gesto drammatico. Gli altri elementi - che sono la musica, il canto (o testo del libretto), i movimenti recitativi e le scene e luci - a mio modo di vedere devono tutti concorrere all’effetto, a rendere la massima efficacia al gesto drammatico. Bisogna arrivare, insomma, a confondere la musica con la scena. D’altronde, come abbiamo detto, il libretto è piuttosto banale perché pensato per un pubblico di massa. Nella musica, invece, non ci sono melodie continue come ad esempio nel Don Giovanni di Mozart, ma alcune di esse sono bellissime come quella con oboe alla fine, quando Leonora scioglie le catene al marito. È una musica che con questa ingenuità – l’ho capito adesso dopo 30 anni – lascia spazio ad una grande intensità molto semplice, molto più di alcuni brani di Mozart»». «La chiave di lettura – prosegue Humburg - è ben visibile all’inizio del 2º atto, quando Florestano da due anni in prigione dice: “Dio mio che buio che c’è qui”. Lo dice però sot- tointendendo “… ma fortunatamente sono ancora vivo!” . Una visione positiva, ovvero la capacità incredibile dell’uomo di resistere, di sopportare quell’inferno per due anni. Anche a Leonora questa ricerca ha cambiato la vita alla quale ha conferito un senso, pure se la meta non dovesse essere raggiunta. Se Florestano non fosse scomparso, lei sarebbe rimasta una semplice donna impegnata nella quotidianità domestica. Diventa quindi più importante il cammino rispetto al fine. Una visione, questa in Beethoven, in cui anche la sofferenza fa parte della vita e questo è di una incredibile modernità. Le malattie, il terrorismo, le altre cause di sofferenza rimarranno sempre e sempre la vita rimarrà una avventura, alla quale bisogna dare comunque un senso perché tutto può essere superato dalla speranza. È questo il messaggio che trasmette il Fidelio. La musica è talmente semplice che fa capire la semplicità della vita». Fr. Pic. Segue Trama da pag. 1 gioniero. Pizarro si getta su Florestano per dere i prigionieri, che con un canto mesto si ucciderlo, ma davanti al prigioniero si para Leonora che minaccia il governatore con una congedano dalla luce del sole. pistola e rivela la propria vera identità. In ATTO 2º - Florestano è incatenato negli quell’istante si odono le trombe che annunoscuri sotterranei del carcere poiché osò “di- ciano l’arrivo del Ministro. Pizarro cerca una re audacemente la verità” e ripensa al suo via di fuga, mentre i due sposi finalmente si amore per Leonora. Nei sotterranei giungono riabbracciano. Nel cortile del carcere il miniRocco e Leonora/Fidelio per scavare la tom- stro Don Ferrando, in nome del buon Re, anba, come ordinato da Pizarro. Leonora final- nuncia la grazia e la libertà per tutti i prigiomente vede e riconosce lo sposo ormai esau- nieri, mentre si intuisce che Pizarro è stato arsto. Gli da il conforto di un po’ di pane e di restato. Il carceriere Rocco richiama l’attenvino, ma ancora non può farsi riconoscere. zione del Ministro sulla sorte di Florestano, Florestano, vedendosi ormai finito, può solo che Don Ferrando riconosce con stupore. Il promettere - in una pagina di intensità quasi Ministro invita Leonora a togliere le catene al religiosa - una ricompensa in un mondo mi- marito, mentre da tutti si leva un coro che ingliore. Arriva Pizarro, il quale si rivela al pri- neggia alla libertà ed all’amore. Il Giornale dei Grandi Eventi Fidelio 5 Stephen Gould e Wolfgang Millgramm Susan B. Anthony e Lisa Houben Florestano, paladino della verità Leonora, eroina di virile energia D ue tenori si alterneranno nel 1996 ha interpretato ruoli da tenore ruolo del nobile Florestano: eroico in Parsifal, Wozzeck, Fidelio, Stephen Gould e Wolfang Der Fliegende Holländer, Oberon. Momenti di particolare rilievo nel corso Millgramm (10, 13, 15 ottobre). L’americano Stephen Gould, consi- della sua carriera sono stati il debutderato uno dei migliori tenori eroici to nel 2002 nel ruolo di Tannhäuser d’Europa, ha interpretato il Fidelio al nell’omonima opera al Festival di Linzer Landestheater, alla Bayeri- Bayreuth e nel 2003 nel Bacco al Fesche Staatsoper di Monaco di Bavie- stival di Las Palmas. Di grande sucra e al Maggio Musicale Fiorentino. cesso la partecipazione dell’artista Si è esibito nei teatri più prestigiosi ad opere di repertorio italiano e del mondo e, dopo aver lavorato con francese: Aida, Andrea Chénier, Otelsuccesso per diversi anni a Chicago, lo, Il Trittico, Carmen, Tosca, La Juive e Boston, Los Angeles, ha partecipato La forza del destino. al musical di Andrew Lloyd Webber The Phantom of the Opera. Tornato a New York, ha interpretato brillantemente il Peter Grimes di Britten e il Tannhäuser di Wagner e, nel 2001, ha debuttato alla Bayerische Staatsoper in Tristan und Isolde nel ruolo di Melot. Tra le sue interpretazioni più importanti sono da ricordare Les Troyens, Otello, Das Lied von der Erde, Parsifal; grande successo ha ottenuto nel 2004 in Die Tote Stadt alla Deutsche Oper di Berlino. Il baritono Wolfgang Millgramm, definito “il tenore tedesco con la voce italiana”, dal Susan B. Anthony e Stephen Gould N el ruolo di Leonora, grande eroina che lotta in nome del trionfo dell’amore e della libertà, si alterneranno i soprani Susan B. Anthony e Lisa Houben (10,13,15 ottobre). L’americana Susan B. Anthony, già interprete del Fidelio ad Amburgo, Vienna, Washington, Berlino, Losanna e Buenos Aires, ha riscosso grande successo nei maggiori teatri d’Europa tanto da essere nominata cantante dell’anno nel 1995 e nel 1997. Un sensazionale successo ha riportato in particolare nel 2001 all’apertura della stagione dell’opera di New York con Fliegender Holländer, ma è nella rappresentazione di Brunilde in Sigfrid a Ginevra che ha dimostrato di essere uno dei soprani di maggior rilievo nel panorama europeo. Quale soprano solista della Filarmonica di Vienna, si è dimostrata una straordinaria interprete in ambito concertistico e recitativo e ha lavorato con maestri di grande calibro come Boulez, Conlon, Davis, von Dohnanyi, Sinopoli, Perick e Sawallisch. Soprano di spiccate doti drammatiche, l’olandese-americana Lisa Houben ha intrapreso una brillante carriera artistica, riscuotendo particolare successo nei maggiori teatri internazionali per le sue interpretazioni in Manon Lescaut, Aida, Tosca, Fidelio, Vanessa, Andrea Chénier, Bohème, Cavalleria Rusticana, Eugene Onegin, Faust. La Houben, particolarmente apprezzata per la sua voce ricca e per la sua splendida presenza scenica, è stata eletta “miglior giovane soprano del 2001” dalla rivista francese “Classica” e ha recentemente affiancato Josè Carreras e Andrea Bocelli in un’esibizione in Vaticano presso la Sala Nervi. Già interprete del Fidelio a Metz, Nantes e Angers, ha riportato recentemente notevoli successi in Suor Angelica, Tabarro, Chénier, Nozze di Figaro, Don Carlos, Vanessa, Aida nonché nel Requiem di Verdi rappresentato nella prestigiosa Concertgebouw di Amsterdam. Alfred Reiter e Daniel Lewis Williams Veronica Cangemi e Rita Cammarano Rocco, carceriere dal cuore d’oro Marcellina, ingenua innamorata I l ruolo del carceriere Rocco sarà interpretato dai bassi Alfred Reiter e Daniel Lewis Williams (10, 13, 15 ottobre). Il tedesco Alfred Reiter, dopo un primo approccio alla musica sacra, si è dedicato allo studio del canto presso la Music Academy di Monaco. Vincitore nel 1993 del premio Richard Strauss-Society a Monaco, ha iniziato la sua carriera a Wiesbaden e a Norimberga con Die Zauberflöte, Rigoletto, Das Rheingold, L’incoronazione di Poppea, Fidelio. Nel 1999 ha preso parte al Parsifal sotto la direzione di Giuseppe Sinopoli. Fra le sue maggiori interpretazioni sono da menzionare il Seneca a Stoccarda e le varie versioni di Sarastro in Die Zauberflöte a Lisbona, Rouen, Caen, Berlino, Bologna, Vienna, Londra, Parigi e nel 2001 al Festival di Salisburgo. Artista versatile, nel suo repertorio concertistico sono da menzionare la IX Sinfonia di Beethoven, il Requiem di Verdi e La Creazione di Haydn. D Daniel Lewis Williams, iniziati gli ue soprani daranno la vo- gentina) e ha esordito cantando in studi musicali presso l’Università di ce all’ingenua Marcellina: Artemide. Fra le sue migliori interUtah in America, si è trasferito preVeronica Cangemi e Rita pretazioni sono da ricordare: Don sto a Monaco (dove ha avuto come Giovanni, Die Zauberflöte, Così fan Cammarano (10, 13, 15 ottobre). insegnanti di canto Kurt Moll e Kurt Veronica Cangemi, prima violon- tutte, Le nozze di Figaro, L’elisir d’aBöhme). Dopo aver vinto numerosi cellista del Mendoza Symphony more, La clemenza di Tito, L’incontro concorsi, si è affermato professioOrchestra è nata a Mendoza (Ar- improvviso, Catone in Utica, Idomenalmente nei più prestigioneo, L’incoronazione di Poppea, Risi teatri americani ed euronaldo. Nata in provincia di Salerno, Rita pei, interpretando tra l’alCammarano ha debuttato nel 1994 tro, oltre Fidelio, anche Secon l’opera Signori la Corte al teaneca, Incoronazione di Poptro delle Celebrazioni di Bologna. pea, Die Zauberflöte, FreiNel suo repertorio, fra le interpreschütz, Lucia di Lamermoor, tazioni più importanti in ruoli Don Carlos, Bohème, Flieprincipali, sono da ricordare L’isogender Holländer, Boris Godunov. La sua migliore rapla disabitata, Orfeo e Euridice, Rigopresentazione in senso asletto e Così fan tutte. È del 1998 la soluto è comunque quella partecipazione nell’opera Il viaggio fornita nel Rosenkavalier di a Reims nelle vesti della Contessa Strauss con libretto di Hudi Folleville, eseguita a Wildbad, go von Hofmannsthal. Arin Germania. Particolarmente aptista dal vasto repertorio, si plaudite le sue interpretazioni de è esibito con grande sucla Petite Messe Solennelle, de La memoria perduta e de La Cenerentola. cesso anche a Roma, VeneVeronica Cangemi e Alfred Reiter zia, Bologna, Napoli e Torino. Pagina a cura di Claudia Fagnano - Foto Corrado M. Falsini 6 Fidelio Il Giornale dei Grandi Eventi La storia dell’opera Tre versioni e quattro overture per l’unica opera di Beethoven F idelio, unica opera liri- zione del suo progetto che mento Tours - apparteneva ca di Beethoven, fu fu messo in scena il 10 ago- al genere teatrale della pièce composta a Vienna sto 1805. Di ciò che Beetho- a sauvetage molto in voga tra la fine del 1803 ed il no- ven compose per il libretto nei teatri francesi. Un genevembre 1805 quando il del vulcanico impresario re in cui gli eroi positivi compositore era già trenta- non rimangono che due trionfano dopo aver subito cinquenne. La breve espe- frammenti musicali, di cui ingiuste persecuzioni e dorienza come allievo di Sa- il più lungo confluirà suc- po una serie di avventure lieri e l’incarico di maestro cessivamente nel Fidelio di- tra la vita e la morte, trodi cembalo presso la cap- venendo il duetto di Leo- vando alla fine la salvezza pella del Principe Elettore nore e Florestan “O namen- grazie ad un colpo di scena, ricoperto tra il 1783 e il 1785 non si rivelarono stimoli sufficienti ad avvicinarlo al mondo del teatro. Nella prima produzione, esclusivamente strumentale, spicca solamente la composizione di due arie per tenore e soprano inserite in un Singspiel di Ignaz Umlauf, Die schone Schusterin (La bella calzolaia), ripreso a Vienna nel 1796. Tuttavia Beethoven amava moltissimo Theater ad der Wien il teatro e non appena nel lose Freude”. Ma Beethoven da intendersi non come 1803 si presentò l’occasione era destinato a lasciare al- semplice effetto teatrale, di comporre un’opera, ac- l’umanità il proprio testa- ma come affermazione otticettò immediatamente. mento teatrale e umano: mistica dei valori della giuL’impresario Schikaneder, ben presto dall’An der stizia in una unione di perche tanta parte aveva avuto Wien giunse una nuova sonaggi di classi sociali dinella fortuna de Il flauto ma- proposta per un’opera. Il verse. Il testo fu così popogico di Mozart, era in pro- barone Von Braun, nuovo lare da fornire lo spunto cinto di abbandonare il po- direttore del teatro, gli anche ad altri musicisti coesto di direttore del famoso commissionò la musica per vi di Beethoven: Giovanni teatro An der Wien e vole- un libretto di Josef von Simone Mayr, che su libretva chiudere con un succes- Sonnleithner, musicista-av- to di Gaetano Rossi, rapso il proprio servizio. Un vocato e editore, che aveva presentò a Padova nel 1805 compositore dalla crescente di recente ottenuto il posto una farsa sentimentale intifama come Beethoven, gli di segretario del teatro di tolata L’amor coniugale e parve la soluzione ideale. Il corte succedendo a Kotze- Ferdinando Paer che, con Giacomo Cinti, musicò 12 aprile di quello stesso bue. Il soggetto era una Leonora, ossia anno il giornale “Der Frei- tratto da un opera l’amore coniugale mutige” annunciava già di Jean Nicolas che venne rapl’impegno del musicista Bouilly dal tipresentata a con il teatro An der Wien e tolo Léonore, Dresda nel l’amour il 2 agosto su un altro pe- ou 1804. A ririodico “Zeitung fur die ele- conjugal anguardo nugante Welt” si dichiarava data in scena merosi sono ufficialmente che “Beetho- con grande gli aneddoti ven lavora a un’opera di successo il 19 che circolaroSchikaneder”. Il libretto da febbraio 1798 no sulla premusicare, dello stesso al teatro Feysunta conoSchikaneder, era intitolato deau di Pariscenza da Il fuoco di Vesta. La trama gi con musiparte di piuttosto stucchevole e fa- ca di GaLa voleggiante, per ciò poco veaux. Johann Emanuel Schikaneder Beethoven di tali lavori. di congeniale all’ispirazione trama beethoveniana, fu presto grande attualità - lo stesso Berlioz raccontò addirittuabbandonata. Il composito- autore sosteneva di averla ra che ad una delle rapprere sciolse il contratto co- ricavata da un episodio sentazioni della Leonore di stringendo Schikaneder a realmente accaduto al tem- Paer a Vienna, Beethoven ripiegare su un altro musi- po del Terrore quando egli avesse detto con tono ironicista, Weigl, per la realizza- era governatore nel diparti- co al collega “La vostra opera mi piace, ho voglia di metterla in musica”. Si tratta senza dubbio di un aneddoto sulla cui veridicità non è il caso di soffermarsi, basti tenere presente la profonda diversità dei tre lavori sia in termini di risultati musicali che di significati drammatici. Le differenze con il testo di Bouilly Le modifiche apportate da Sonnleithner al testo di Bouilly non furono molte, tuttavia sostanziali: il dramma fu riadattato secondo lo stile del Singspiel e il libretto diviso in tre atti. L’attenzione fu, infine, focalizzata su due punti dell’azione per consentire un maggiore spazio alla musica: il dialogo tra il crudele Pizzarro e il carceriere Rocco, in cui il primo cerca la collaborazione del secondo per uccidere Florestano, e l’episodio dell’assassinio sventato con lo svelarsi della vera identità di Fidelio. La composizione occupò il musicista per la maggior parte dell’inverno tra il 1804 e il 1805. All’inizio della primavera il lavoro era completamente abbozzato e i voluminosi quaderni su cui Beethoven soleva annotare tutte le idee sono un’ottima testimonianza del lungo processo creativo. Pronto l’abbozzo Beethoven lasciò l’appartamento del teatro per ultimare l’opera in campagna nel villaggio Hetzendorf, nei pressi di Vienna. La partitura fu completata e in autunno ebbero inizio le prove in teatro. Le tre versioni L’opera con il titolo di Fidelio, o l’amore coniugale andò in scena il 20 novembre del 1805 al Teatro an der Wien, in una città occupata dalle truppe francesi, riportando un insuccesso tale da essere tolta dal cartellone dopo solo tre serate. Successivamente Beethoven fu convinto ad eseguire alcuni ta- Il baritono J.M. Vogl che convinse Beethoven alla terza versione del Fidelio e ne fu il primo interprete di Pizarro gli e ripresentarla in due atti il 29 marzo 1806, ma questa volta furono dissensi con il direttore del teatro ad indurre il musicista a ritirare l’opera quasi subito. Infine nel 1814 il Fidelio acquistò finalmente la forma definitiva. Tre cantanti, tra i quali Johann Michael Vogl che sarebbe divenuto poi amico ed interprete di Schubert e che cantò la parte di Pizarro, proposero a Beethoven una ripresa. Anche il libretto fu rivisto con l’aiuto di Georg Friedrich Treitschke. Nacque così la versione attualmente eseguita, dedicata all’Arciduca Rodolfo d’Austria, la cui overture fu la quarta composta da Beethoven per il Fidelio. Ma la consacrazione vera e propria dell’opera avvenne però nel 1822 grazie alla magistrale interpretazione del soprano diciottenne Wilhelmine Schroder-Devrient nel ruolo di Leonore-Fidelio, che fece trionfare il capolavoro beethoveniano in tutti i teatri europei. Il destino ancora una volta realizza a suo modo i desideri degli uomini: come avrebbe voluto il compositore, che al titolo di Fidelio impostogli dalla direzione del teatro An der Wien avrebbe addirittura preferito quello di Leonore, fu proprio la voce dell’eroina femminile a portare l’opera al successo. L’amore che il compositore non riuscì mai a condividere in vita con una donna, perché caricato di valori ideali talmente alti da non poter essere reso reale, rimarrà per sempre consacrato nella magia della canto della virtuosa Leonore. Claudia Capodagli Fidelio Il Giornale dei Grandi Eventi 7 Un concentrato del pensiero filosofico, etico e morale di Beethoven Fidelio, capolavoro austero “Q uest’opera mi acquisterà la corona del martirio…”. Scriveva così, nel marzo 1814, Beethoven al poeta Georg Friedrich Treitschke, autore della revisione del libretto per la terza versione del “Fidelio”, andata in scena con successo nello stesso anno. Capolavoro indiscusso, “Fidelio”, ma sofferto da Beethoven più di qualsiasi altra sua creazione musicale. Ne fanno fede, appunto, le tre versioni create fra il 1805 e il 1814 in un processo continuo di rielaborazione, tagli, aggiunte, correzioni non marginali, ma profonde, nel tessuto drammaturgico del lavoro. “Fidelio” è l’opera di un geniale musicista che nel suo primo e unico impatto con il teatro ebbe l’intuizione di riversarvi tutto il proprio pensiero filosofico, etico e morale. Formatosi ai principi illuministici, conquistato agli ideali della rivoluzione francese, Beethoven scoprì a Vienna Cherubini e il genere post-rivoluzionario della “piece au sauvatage” di cui l’artista italiano trapiantato a Parigi, era il più brillante rappresentante. Si trattava di testi incentrati sul dramma del protagonista perseguitato ingiustamente, condannato a morte sicura, e, infine, salvato. Vi si respiravano i temi che appassionavano Beethoven: il senso della giustizia, dell’indipendenza, della dignità umana. Elementi che circolavano allora nel teatro francese soprattutto nell’opera-comique la cui struttura (alternanza fra parti musicali e parti in prosa) era simile a quella del Singspiel tedesco (portato a dignità d’arte pochi anni prima da Mozart con “Il flauto magico”). Nell’ampia fioritura della letteratura del tempo, dunque, Beethoven scelse il testo di Jean-Nicolas Bouilly “Leonore” messo in scena con le musiche di Gaveau e poi ripreso da Paer e Mayr. Ammirato in maniera totale per la costruzione musicale, “Fidelio” è stato spesso discusso per la sua “teatralità”, considerato uno straordinario la- voro Sinfonico-corale più che un effettivo testo drammaturgico. In realtà, Beethoven, ha lasciato un capolavoro autentico di teatro, anche se la sua visione della scena è più austera, controllata, rigorosa di quella, ad esempio, di Mozart. E in questo senso, è proprio “Fidelio” più della produzione di Amadeus, il punto di partenza del teatro tedesco ottocentesco, a cominciare proprio dal “Freischutz” weberiano. Dall’idiglio al dramma L’efficace “teatralità” è del resto avvertibile sin dall’inizio: basta poco per passare da una scena apparentemente idillica, quasi mozartiana (il padre Rocco che cerca di far sposare la figlia Marcellina al giovane Fidelio) a un dramma cupo e a fosche tinte nel momento in cui si capisce che il padre è un carceriere, Fidelio è Leonora travestita e al piano sotterraneo è incatenato la vittima, Florestano, marito di Leonora. Beethoven, dunque, gioca con intelligenza sui Il manifesto della "prima" della terza versione del Fidelio del 23 maggio 1814 Ludwig van Beethoven personaggi, sui caratteri, sui contrasti, sul tema, collaudato da secoli, del travestimento. Calca sull’ambientazione lugubre della prigione, acuisce i contrasti fra buoni e cattivi, ponendo anche personaggi in posizioni mediane: il carceriere, ad esempio, è un buon padre di famiglia, ma non sa opporsi alle angherie del tiranno. Esalta il ruolo della donna come eroina pronta al sacrificio estremo per il suo consorte (e in questo prende le distanze da Mozart che nel “Don Giovanni” e in “Così fan tutte” non aveva mostrato particolare riguardo per il sesso femminile!), aderendo alla nuova immagine della “dama soldato” che in periodo rivoluzionario aveva fatto particolare fortuna. Lavorando inoltre sulla struttura del Singspiel, Beethoven costruisce i due atti organizzando all’interno tre poderosi blocchi musicali alternati alla prosa. Risaltano gli imponenti “ensemble” concepiti quasi come “quadri viventi”, diversi pertanto dai concertati agili di stampo italiano perché tesi a “bloccarsi” in momenti di meditazione e di riflessione a scopo morale (qualcosa di simile si ritrova ad esempio, nel finale del “Guglielmo Tell” rossiniano). E poi ci sono arie e “melodram”, parti cioè declamate sulla musica, elementi di raccordo fra il discorso musicale vero e proprio e la prosa. Il finale è una luminosa cantata celebrativa della libertà e dell’amore coniugale: il coro di popolo attornia Don Fernando, il ministro buono che salva Florestano, imprigiona il crudele Pizzarro e consegna a Leonora la chiave per sciogliere dalle catene il marito. L’orchestra, duttile e straordinaria tavolozza di colori in tutto il decorso del dramma, si trasforma in uno sfolgorio di luci, in un’architettura maestosa e colossale, aggiungendo “teatralità” alla “teatralità” della scena. Restano da ricordare le Ouverture, ben quattro, scritte per l’opera. La prima fu ritirata da Beethoven durante le prove e sostituita dalla seconda che si legò alla versione del 1805; per l’edizione del 1806 fu approntata la “Leonore” n. 3 che lasciò il posto ad un’ultima edizione per l’allestimento (definitivo) del 1814. La n.3, la più complessa e articolata, a volte viene eseguita a sipario chiuso all’ultimo quadro, come ripensamento dell’azione, in vista del finale. Roberto Iovino Fidelio 8 Il Giornale dei Grandi Eventi Dal “Fuoco di Vesta” a “Fidelio” Il faticoso rapporto di Beethoven con l’opera B eethoven trascorse la giovinezza rimanendo fondamentalmente estraneo al mondo dell’opera, dedicandosi fino e oltre ai trent’anni quasi esclusivamente alla musica strumentale. Fu nel 1803 che Johann Emanuel Schikaneder contattò il maestro di Bonn per proporgli di musicare un suo libretto, intitolato Vestas feuer (Il fuoco di Vesta). Schikaneder era quella singolare figura di cantanteimpresario, amico di Mozart, per il quale aveva scritto il libretto dello Zauberfloete (Il Flauto Magico). In procinto di lasciare il posto di direttore del teatro An der Wien per ritirarsi in campagna, aveva composto quest’ultimo libretto secondo quel suo gusto tipico per il genere eroico-fantastico. L’azione era ambientata nella Roma antica e aveva come protagonista Volivia, una bella giovane destinata a divenire vestale, contesa da più pretendenti che insidiano i suoi progetti matrimoniali con il giovane Sartagone, da lei amato. Durante un tentativo di rapimento della novizia, Romenio, uno dei suoi pretendenti, viene ucciso a propria volta, per gelosia, dalla promessa sposa, Sericia. Anche l’altro pretendente, Malo, trova la morte nelle acque del Tevere. Dopo tutti gli intrighi e gli episodi sanguinosi che danno un forte e inusuale sapore al libretto, l’elemento magico, tipico dell’inventiva di Schikaneder, emerge nel lieto fine, quando il fuoco di Vesta, benché spentosi, torna a divampare, significando la benedizione della dea per le nozze dei due innamorati Volivia e Sartagone. Guardando a Cherubini Quando Beethoven accettò l’incarico di musicare questo intricato e scadente libretto, egli non aveva quasi nessuna esperienza di composizione per il teatro mu- sicale, a parte le reminescenze dell’insegnamento del gluckiano Salieri, di cui era stato allievo. Gli unici modelli “aggiornati” cui riferirsi erano Mozart, naturalmente, e il fiorentino Luigi Cherubini, verso il quale Beethoven nutriva una profonda ammirazione. Il Renano trasse una notevole ispirazione dalla scrittura di Cherubini, originale per l’epoca e profondamente pervasa da una spiccata intensità drammatica e da un ricco sinfonismo, messo “mozartianamente” a servizio del teatro. Il Fuoco di Vesta rimase incompiuto poiché Schikaneder venne estromesso prima del tempo dalla direzione del teatro; il libretto fu dunque passato al compositore Weigl che lo musicò, ottenendone scarso successo. Beethoven stipulò quindi un nuovo contratto col nuovo direttore del teatro, il massone barone von Braun, per un nuovo dramma: quello che diverrà Fidelio, oder die eheliche Liebe. Il nuovo segretario del teatro, il musicista e editore Sonnleithner gli propose un soggetto “d’attualità”, la pièces a sauvetage di Nicolas Boully Léonore, ou l’amour conjugal, tratto, a quanto sembra, da un episodio realmente avvenuto durante il Terrore, nelle carceri Ritratto Beethoven di Joseph Kar lstieler 1820 del dipartimento di Tours. Il dramma di Boully, arricchito da numeri musicali del compositore e cantante Gaveaux, aveva riscosso a Parigi uno splendido successo per il suo particolare accostamento del tipico patetismo della settecentesca comédie larmoyante ad un evento storico contemporaneo e attuale. Il libretto fu abilmente rimaneggiato da Sonnleithner che “tirò in lungo” la vicenda per dare uno spazio adeguato alla musica di Beethoven, soprattutto nei due punti chiave dell’azione: nel dialogo tra Rocco e Pizarro e nell’episodio dell’assassinio sventato. Queste modifiche accentuarono moltissimo l’efficacia del dramma. La vicenda fu però trasposta dalle carceri rivoluzionarie francesi ad una prigione spagnola presso Siviglia. Il lavoro di Beethoven andò dunque in scena, suddiviso in tre atti, all’An der Wien il 20 novembre 1805, con il nome di Fidelio, (il falso nome utilizzato dalla protagonista Leonora, travestitasi da uomo per ritrovare il marito). La congiuntura storica fu però sfavorevole alla buona riuscita dell’opera: Napoleone aveva occupato Vienna e alla prima assistettero in gran numero militari francesi che non gradirono la vicenda e l’eccessiva lunghezza dell’opera. Fu un fiasco anche per l’inadeguatezza delle voci: si diceva che Beethoven trattasse le voci come strumenti a causa anche della sua sordità, ma i cantanti non furono realmente all’altezza del ruolo. Dopo tre repliche Beethoven ritirò l’opera che gli era costata due anni di lavoro. Stehphan von Breuning, allora, si accollò il delicato compito di ridurre in due atti il dramma e di modificare il libretto: l’opera fu riproposta - con il titolo tradizionale di Leonore - nello stesso teatro l’anno dopo, nel 1806, ed ebbe una tiepida accoglienza. Il direttore del teatro von Braun non volle pagare il dovuto a Beethoven, che se ne andò sbattendo la porta e ritirando nuovamente la partitura, chiudendo definitivamente ogni rapporto con il teatro An der Wien. Il Fidelio sembrava definitivamente chiuso nel cassetto “fallimenti” quando, nel 1814, il teatro di Porta Carinzia (Kaerntnertohor) richiese l’opera a Beethoven. Stavolta il compositore godeva dell’onda di successo procuratagli dalle esecuzioni viennesi della Vittoria di Wellington e revisionò attentamente la partitura, mentre un nuovo collaboratore letterario, il giovane Georg Friedrich Treitschke (che era il nuovo direttore dei teatri imperiali) poneva mano alla struttura del dramma. Treitschke sfrondò molto le parti recitate e liquidò in poche battute l’intrighetto di Marzelline, innamorata del presunto giovanotto Fidelio; le figure di Jaquino, Rocco e Marzelline, (ultimi collegamenti con il singspiel mozartiano, di cui l’equivalenza tra personaggi nobili e plebei era tratto caratteristico), vennero relegate in secondo piano di fronte all’emergere di virtù e passioni a tutto tondo, rappresentate dai simbolici personaggi primari che celebrano finalmente una altissima moralità “laica”. L’intelligenza di queste modifiche consentirono finalmente a Beethoven di porre al centro della vicenda il vero protagonista, l’elemento spirituale che fa di Fidelio il veicolo di un messaggio profondamente umanistico: le eroiche virtù coniugali di Leonore e i valori della libertà contro l’oppressione tirannica. An. Ci. Ritratto Beethoven di C. F. Riedel 1801 Il Giornale dei Grandi Eventi Fidelio 9 La sordità di Beethoven La musica immortale che nacque dal silenzio D er neidische Daemon, il Demone invidioso, così Beethoven chiamava la terribile sordità che fin dal 1796 (all’età di 26 anni) reiterava i suoi assalti al suo prezioso udito e che in pochi anni divenne pressoché totale. Il 21 giugno del 1801 Beethoven aveva 31 anni e così scriveva al suo amico medico Franz Gerhard Wegeler: «Devo confessarti che conduco una vita infelice. Sono almeno due anni che evito qualsiasi compagnia, perché non posso dire alla gente che sono sordo.[...] Se avessi un’altra professione la mia infermità non sarebbe così grave, ma nel mio caso è una menomazione terribile! E se i miei nemici, che non sono pochi, venissero a saperlo...Al teatro per sentire gli attori devo mettermi accanto all’orchestra, altrimenti non odo le note acute degli strumenti e delle voci. Nella conversazione , c’è da sorprendersi, ci sono persone che non se ne sono mai accorte, ma siccome sono per lo più distratto, a questo attribuiscono la mia debolezza d’udito, talvolta odo a malapena chi mi parla sottovoce, odo bene i suoni ma non le parole, eppure, appena uno grida, mi riesce insopportabile. [...] Più volte ho maledetto il Creatore e la mia esistenza, nali, un punch ghiacciato verdi di noci cotte nel latte, Plutarco mi ha condotto alla al giorno, spugnature di olio di mandorle e di rafarassegnazione. Voglio, se mai acqua gelata sull’addome no). ci riuscirò, sfidare il mio dedel paziente! stino, anche se la mia vita Tutto ciò debilitò definitiavrà momenti in cui sarò la vamente il fisico del mupiù infelice delle creature di sicista affrettandone la Dio». morte per malattia del Al 1802 risale forse il fegato. momento di più nero Contrariamente ai sconforto del compopestiferi tentativi sitore, che meditò sedei medici, un valiriamente il suicidio, do aiuto al compocome confessa nel sitore fu offerto dal noto “Testamento di buon meccanico Heiligenstadt”. della corte vienneTuttavia, egli seppe se, Johann Nepotrovare nella sua arte muk Maelzel, (inun ultimo forte appiventore del metronoglio alla vita, e la sua mo) che gli costruì Musa non lo abbanabilmente parecchi donò. Fu infatti in cornetti acustici, alquel periodo che cuni enormi, e addiBeethoven, costretto rittura uno strumendai medici a un sogto musicale costruito giorno in campagna il presso la cittadina di Ritratto Beethoven Ferdinand Schimon 1818-1819 appositamente, Phanarmonicon, una Heiligenstadt per rispecie di piccola orchestra Le terapie galvaniche del posare l’udito, ebbe modo in miniatura con cui famoso dottor Schmidt lo di immergersi nei silenzi e Beethoven scrisse parte di portarono a sottoporsi pernei soavi rumori della naLa Vittoria di Wellington. sino a un cura a base di tura che gli ispirarono la Tra gli altri congegni per corrente elettrica. VI Sinfonia, detta Pastorale. amplificare il volume del I trattamenti per l’udito La ricerca di aiuto pianoforte, Beethoven si fuono dannosi, ma realnella medicina del tempo serviva a volte di una cassa mente micidiali furono Caparbiamente e tenacearmonica supplementare quelli che i medici premente Beethoven persisteappoggiata al pianoforte, a scrissero a Beethoven nelva nel cercare, con l’aiuto volte di una bacchetta di l’intento di liberarlo dai della scienza di curare o legno tenuta appoggiata suoi disturbi intestinali. quantomeno arrestare il con i denti alla cassa, in Le prescrizioni del celebre progressivo aggravarsi modo da percepirne le vidottor von Malfatti diededella sua disgraziata infermità. Mentre a livello spirituale aveva accettato questa sfida con se stesso, il duello fisico-pratico con la malattia non si era interrotto. Da questo nacque lo stretto rapporto con i suoi medici, che lo assistevano anche per i problemi intestinali che lo assillarono per tutta la vita; ad alcuni di loro Beethoven dedicò sue composizioni, ma più spesso vi furono con essi frequenti ragioni di disaccordo, addirittura di discordia. Considerato il livello semistregonesco della medicina dell’epoca, non potremmo certo dar torto a Beethoven La maschera mortuaria di Beethoven per le sue reazioni: egli dobrazioni, e si era fatto veniro, nel 1827, addirittura il vette assoggettarsi a lavagre dall’Inghilterra uno specolpo di grazia a Beethogi saponosi, diuretici, sufciale pianoforte ven: per curare la sua diarfumigi, vescicanti, sudoriBroadwood, dalla sonorità rea il Malfatti prescrisse pari, instillazioni di oli e potenziata. E continuava a saune bollenti alle foglie di unguenti più o meno urticomporre... betulla, paracentesi per canti nei condotti auditivi Molto si è discusso sulla aspirare i liquidi addomi(come l’estratto di bucce radice patologica della sordità del Gigante: alcuni medici parlarono di otosclerosi, di cui sono tipici i sintomi della perdita progressiva dell’udito e il brusìo continuo, mentre l’impossibilità di percepire le frequenze alte diede spazio ad altre ipotesi, come quella più recente del prof. Cavallazzi, otologo dell’università di Milano che invece parla di affezione dell’orecchio interno, con degenerazione del nervo acustico. Il ruolo della malattia È fuori di dubbio che la sordità e gli altri malanni giocarono un ruolo fondamentale nell’evoluzione artistica di Beethoven. La malattia che inizialmente apparve come un demone invidioso, come la maledizione scagliata dagli Dèi gelosi, si rivelò un angelo benefico per lui stesso e per l’umanità dei secoli futuri. Poiché infatti Beethoven non riusciva a sentirsi mentre suonava fu costretto ad abbandonare la carriera concertistica per privilegiare l’attività compositiva. Le alterne vicende di salute interruppero però spesso la sua produzione musicale costringendolo a periodi di forzata “riflessione”. La difficoltà nella comunicazione con gli altri fece sì che iniziasse ad adoperare taccuini di conversazione (i famosi Konversationschaefte) che oggi rappresentano per noi un fondamentale documento sugli ultimi anni di vita del compositore. Ma, soprattutto, l’essere isolato dal mondo e dai suoni esterni lo guidò nella coraggiosa intrepresa di una nuova via creativa: la sordità costrinse quest’uomo ad una sorta di “ascetismo musicale”, il suo genio non più si nutriva dei suoni del mondo, di cui aveva avuto larga esperienza, ma cominciò a sentire la musica che veniva dal più profondo di se stesso, direttamente dal perfetto silenzio della sua anima. Andrea Cionci Fidelio 10 Il Giornale dei Grandi Eventi Tanti tentativi pensando a Goethe, Voltaire e Shakespeare Ludwig alla caccia di libretti d’opera «…s pero di scrivere infine ciò che per me e per l’arte è la cosa più grande: il Faust». Annotava così, nel 1823, Beethoven nei suoi “Quaderni di conversazione”. Il grande compositore, dun- Franz Grillparzer que, profondo ammiratore di Goethe, sognava la creazione di un “Faust”, momento culminante del suo personale itinerario non solo musicale, ma filosofico. “Fidelio”, come è noto, rimase l’unica opera teatrale realizzata da Beethoven che, tuttavia, prima e dopo tentò altre strade, fece progetti, meditò sul teatro e su una concezione drammaturgica innovativa. Per un compositore del suo tempo era, del resto, difficile tenersi lontano dalle scene. Le sollecitazioni erano troppe e non va dimenticato che fra i suoi maestri viennesi, il musicista di Bonn annoverava Salieri, il rivale di Mozart, operista cresciuto sulla scia di Gluck. Nel 1803, precedentemente, dunque, al “Fidelio” e contemporaneamente alla Terza Sinfonia, Beethoven ebbe il suo primo contatto con Emanuel Schikaneder, l’estroso direttore del Teatro an der Wien che aveva lavorato con Mozart per “Il flauto magico”. Schikaneder propose all’artista un libretto di argomento favoleggiante e fantastico, dal titolo “Il fuoco di Vesta”. Il progetto non fu portato a termine, ma stimolò l’artista ad approfon- Al Teatro Costanzi per la prima volta nel 1929 Fidelio ed i teatri italiani “F idelio” è ormai diventata opera “popolare”. Basta pensare che in questo 2004 è comparsa in tre diversi teatri italiani: a parte Roma, anche a Genova nell’aprile scorso, mentre nel prossimo mese di novembre approderà al Comunale di Bologna. Eppure il rapporto fra il capolavoro beethoveniano e i nostri palcoscenici è stato in passato tutt’altro che facile. “Fidelio” arrivò in Italia nel 1883 al Teatro Dal Verme di Milano. Dopo un’apparizione a Roma nel febbraio 1886 al Teatro Apollo, scomparve per il resto dell’Ottocento. Occorre al- lora aspettare il 1927 per rivederlo alla Scala e al Regio di Torino nel primo centenario della morte dell’autore. Tre anni dopo fa la sua comparsa a Firenze, nel 1937 raggiunge Genova. Altre città di rilievo in campo teatrale lo mettono in scena solo nel secondo dopoguerra. È il caso, ad esempio, di Bologna, città wagneriana per eccellenza, attenta alla produzione tedesca, che, pure, aspetta fino al 1947. At Teatro dell’Opera di Roma la prima rappresentazione risale al marzo 1929 sotto la direzione di Gino Marinuzzi, mentre l’ultima ebbe luogo nell’aprile del 1996 diretta da Zoltan Pesko. dire le conoscenze del teatro, interessandosi in particolare a Cherubini, l’autore che nel passaggio fra Settecento e Ottocento era certamente il più innovativo e solido sul piano dei mezzi espressivi. Guardando a Cherubini, Beethoven, compose di lì a poco “Fidelio” e ne approntò tre stesure in una graduale ma inesorabile opera di perfezionamento del proprio linguaggio drammaturgico. Chiusi i conti con l’eroina Leonore, accantonata la struttura del Singspiel, Beethoven si gettò a capofitto nella ricerca di nuovi stimoli, vagheggiando una forma di teatro più compatta e coerente nel suo interno: pensò a Voltaire (“Zaira”), a Shakespeare (“Macbeth” e “Giulietta e Romeo”) a Schiller (“Fiesco”). Ricerche vane come vano fu l’ultimo tentativo di collaborazione con il drammaturgo austriaco Franz Grillparzer, il grande letterato che nel 1827 avrebbe tenuto l’orazione funebre di Beethoven e che Disegno Beethoven di Stephan Decket del nel 1823 gli propo- maggio 1824 se la storia di Melusina, un intreccio amoro- Grillparzer fu poi musicato so e fantastico, che aveva da Conradin Kreutzer e già interessato Goethe. ispirò nel 1833 l’Ouverture Beethoven rinunciò anche “Die schöne Melusine” di in questa occasione alla col- Mendelssohn. laborazione e il libretto di R. I. Una peculiarità del teatro tedesco I Singspiele I l termine Singspiel designava alla metà del Seicento una qualsiasi forma teatrale caratterizzata dall’uso della lingua tedesca, in contrapposizione all’Italiano, idioma d’arte per eccellenza. La sua affermazione nel tempo è dovuta però anche ad altri fattori. Si tratta di un genere del teatro musicale dell’area tedesca, che prevede l’alternanza di brani cantati con brani recitati, con una struttura simile a quella dell’opéra-comique francese, della ballad-opera inglese o della zarzuela spagnola. Di solito presenta l’argomento della Zauberoper, l’opera fantastica, una commistione di elementi favolistici, realistici ed allegorici, che unisce il tragico ed il comico alternando momenti buffoneschi a toni aulici. Per queste sue particolarità il Singspiel richiede, rispetto all’opera, un’orchestra ridotta e non ha bisogno di cantanti virtuosi, quanto piuttosto di voci capaci di recitare testi teatrali. Un ruolo di primo piano hanno invece l’allestimento di macchine e l’uso di espedienti tecnici atti a rendere la magia della favola. Durante tutto il Settecento il Singspiel occupa un posto di secondo piano ed è volto a soddisfare il gusto popolare, mentre il teatro colto rimane sotto l’influsso dell’opera italiana e francese. I primi a presentare Singspiele apprezzati dal pubblico tedesco furono nella seconda metà del secolo musicisti come Johann Adam Hiller (1728-1804) e Karl Ditters von Dittersdorf (1739-1799), che s’ispirarono a modelli francesi e all’opera buffa italiana. Lo stesso Mozart, all’età di dodici anni, aveva composto Bastien und Bastienne, storia d’amore in un atto, influenzata dagli in- termezzi francesi visti durante il suo primo viaggio a Parigi nel 1767. La nascita del teatro nazionale tedesco, però, caratterizzato da lingua e carattere specifici, si fa risalire al Ratto del Serraglio (1782) ed al Flauto Magico. All’epoca del Ratto del Serraglio, a Vienna la vita teatrale era gestita in prima persona dall’imperatore Giuseppe II o, in sua assenza, dal “direttore generale dello spettacolo”, il conte Orsini Rosenberg. Il dibattito sui generi operistici era vivace: l’imperatore tentava di promuovere il Singspiel per assecondare il nascente sentimento nazionale ed insegnare al popolo multietnico di Vienna un tedesco corretto mediante spettacoli popolari. L’aristocrazia ed il pubblico borghese, d’altra parte, continuavano a preferire la tradizionale opera italiana. Fu così che il tentativo di tenere aperto stabilmente il Singspiel nazionale nel Burgtheater, a quel tempo rinominato “K.u.K (Imperial-regio) Nationaltheater” fallì e nel 1783, nonostante il successo del Ratto del Serraglio, l’imperatore dovette riorganizzare la compagnia dell’opera con cantanti italiani, mentre lo spettacolo popolare continuò ad essere rappresentato solo nei teatri “sperimentali” di periferia. All’inizio dell’Ottocento, però, sull’onda del successo mozartiano, opere come il Fidelio di Beethoven ed Il Franco Cacciatore di Weber ripresero il Singspiel nato per la fantasia popolare e, elaborandolo con i temi romantici, lo portarono verso la trasformazione in un nuovo genere: l’operetta viennese. E.C.A. Il Fidelio Giornale dei Grandi Eventi 11 Le versioni dell’opera Quattro Leonore per un’overture L’ iter compositivo del Fidelio è davvero tra i più straordinari e tormentati. Esistono infatti addirittura tre diverse versioni dell’opera ed è senz’altro l’unica opera a poter vantare ben quattro diverse ouvertures. Fidelio o L’amore coniugale andò in scena nella sua prima versione in tre atti il 20 novembre 1805 al teatro An der Wien. La rappresentazione fu un vero e proprio fiasco per una serie di circostanze sfavorevoli. La compagnia di canto si componeva di interpreti piuttosto mediocri: il soprano Anna Milder, pupilla di Haydn, era una giovinetta di vent’anni provvista di voce “solida come un palazzo”, ma totalmente priva di capacità interpretative. Il tenore Friederch Demmer, Florestano, era ormai alla fine della carriera e la voce era molto compromessa. Pizzarro era interpretato da Sebastian Meyer, marito in seconde nozze di Josepha Weber cognata di Mozart e prima Regina della notte nel Flauto Magico. Meyer, sebbene dotato di una buona vocalità, era un pessimo musicista. Gli aneddoti raccontano che gloriandosi della propria parentela con Mozart, non perdeva occasione per confrontare sfacciatamente la scrittura vocale di Beethoven con quella del genio viennese. Tale atteggiamento gli guadagnò l’antipatia del musicista tedesco che si vendicò inserendo nella parte di Pizzarro dissonanze e intervalli di difficile intonazione per metterlo in difficoltà. Il resto della compagnia era formata da Louise Muller nel ruolo di Marcelline, il tenore Caché nel ruolo di Jaquino, il basso Rothe in quello di Rocco e il baritono Weinkopf, il migliore del cast, era Don Fernando. All’insuccesso contribuì anche il precipitare degli eventi politici: il 13 novembre Vienna veniva occupata dalle truppe napoleoniche. Alla rappresentazione assistette, quin- di, non l’aristocrazia amica di Beethoven, ma un pubblico disinteressato composto per la maggior parte da ufficiali dell’esercito napoleonico. Troppo lunga la prima versione Tuttavia la causa principale dell’insuccesso fu l’eccessiva lunghezza dell’opera e i suoi grandi squilibri strutturali-teatrali. Fortunatamente agli amici di Beethoven non sfuggì la possibilità che apportando dei cambiamenti e taglianblicò una riduzione per do drasticamente la particanto e pianoforte, che ebtura, il Fidelio avrebbe pobe il pregio di far conoscetuto ottenere il successo in re l’opera e le sue arie. quella occasione negato. In una memorabile serata teLa terza e definitiva nutasi a metà dicembre in versione casa del principe LichnowNella primavera del 1814 sky, la compagnia, alla giunse però una nuova ocpresenza di un sofferente casione per Fidelio: il teatro Beethoven, operò tutte le di Porta Carinzia, sulla modifiche necessarie. Il 29 scia della popolarità ottemarzo 1806, così rimanegnuta per le esecuzioni giata e ridotta in due atti viennesi della Vittoria di Fidelio andò nuovamente Wellington, chiese al comin scena, ancora al Teatro positore di poter mettere an der Wien e ancora con in scena nuovamente la lo stesso cast della prima sua opera. Beethoven acrecita. Fu sostituito solacettò a patto di poterla rimente il tenore: il ruolo fu maneggiare nuovamente. affidato a Augusto Questa volta scelse come Roeckel, giovane cantante e diplomatico dall’ottima voce e dall’altrettanta popolarità. La nuova versione, sebbene fortemente alleggerita rispetto alla precedente, rimaneva ancora lunga e gli ingenti taFidelio in una delle figurine Liebig gli avevano compromescollaboratore il poeta so il complessivo equiliGeorg Friedrich Treitschke brio della composizione e con il quale da qualche anquindi ottenne un succesno aveva già accarezzato so di stima. Dopo tre sole l’idea di una collaboraziorappresentazioni Beethone, mai concretizzata, per ven ritirò la partitura per un‘opera Le rovine di Babiun litigio con il direttore lonia. L’11 aprile di quello del teatro il barone Von stesso anno i due artisti ebBraun. Il Fidelio rimase da bero occasione di gustare allora nel cassetto per diun piccolo anticipo del versi anni e solo nel 1810 successo: in occasione dell’editore Breitkopf pub- l’occupazione di Parigi delle armate alleate, al teatro Porta Carinzia fu rappresento un Singespiel in un atto di Treitschke. Beethoven compose il coro finale Die gute Nachrict (La buona novella), che fu talmente apprezzato da dover essere replicato per ben sette volte. Un b u o n inizio per questo nuovo sodalizio artistico! I rimaneggiamenti di Treitschke, infatti, finalmente lucidarono quel diamante grezzo che era il libretto del Fidelio facendolo splendere di una nuova luce. Le modifiche ridussero ulteriormente l’opera e valorizzarono i significati ideali di cui essa era portatrice sin dalla sua prima versione: fratellanza, amore e eroiche virtù coniugali, che costituivano l’essenza dell’ispirazione beethoveniana. Tutti gli aspetti da opera quasi buffa: la passione di Marcelline per Leonore-Fidelio e la gelosia del giovane Jaquino per fanciulla, rilevanti nell’opera di Bouilly, nella versione del 1814 vennero circoscritti alla prime scene del dramma chen assume dall’ingresso di Pizzarro i toni della vera tragedia. Fidelio andò dunque nuovamente in scena il 23 giugno 1814 al teatro di Porta Carinzia ottenendo finalmente l’agognato successo. Le quattro overture di Leonore Un capitolo a parte merita poi la vicenda delle quattro ouvertures scritte da Beethoven per quest’ope- ra. La Leonore n.1, in do maggiore, chiamata anche “ouverture caratteristica” e indicata con il numero di op.138, fu pubblicata postuma dall’editore Haslinger. Dubbio è se sia stata composta in occasione della premiére del 1805 e poi sostituita con la Leonore n.2 op. 72 anch’essa in do maggiore, oppure se fu composta successivamente. Tradizione vuole che Beethoven l’avesse eseguita nel salotto del principe Lichnowsky prima della rappresentazione e su consiglio dei presenti avesse poi deciso di sostituirla con la Leonore n. 2. Secondo altri la Leonore n. 1 sarebbe invece stata composta nel 1807 per l’inaugurazione, mai avvenuta, di una stagione del teatro di Praga. La Leonore n. 3 anch’essa in do maggiore, invece, fu utilizzata per la ripresa dell’opera nel marzo 1806 e oggi spesso eseguita come intermezzo tra i due atti. Per il rifacimento del 1814, infine, fu scritta una quarta ouverture, questa volta in mi, che è quella eseguita nelle moderne rappresentazioni e chiamata ouverture Fidelio. Altri, invece, ritengono che la prima Leonore sia stata eseguita nelle rappresentazioni del 1805 e la Leonora n. 2 in quelle del 1806, mentre la Leonore n. 3 sarebbe stata composta e poi mai eseguita come introduzione dell’opera. Sia la Leonora n. 2 che la Leonora n. 3 sono la sintesi del percorso dell’opera, dall’oppressione del carcere di Florestano, ai proverbiali squilli di tromba che fanno da prologo al conclusivo impeto liberatorio ed ebbero grande fortuna come pagine orchestrali autonome, poiché in esse si vide l’anticipazione del poema sinfonico. Ma forse proprio per la loro grandezza furono dallo stesso Beethoven giudicate inidonee ad un’opera la quale si apre in un clima di commedia borghese che serve da premessa e da base per il nucleo drammaturgico di tutta l’opera. Claudia Capodagli Fidelio 12 Il Giornale dei Grandi Eventi Ludwig van Beethoven Il genio di Bonn I l 17 dicembre 1770 il piccolissimo Ludwig van Beethoven è portato al fonte battesimale della chiesa di San Remigio di Bonn, allora graziosa cittadina di provincia con circa 10 mila abitanti. Nessun documento attesta la nascita del bambino, battezzato col nome del nonno suo padrino, avvenuta con ogni probabilità il giorno precedente. Il piccolo non ha ancora cinque anni, ma già mostra grande predisposizione per la musica; a sette inizia la scuola elementare, preparatoria a quella di cattedrale e il 26 marzo 1778 il padre lo porta ad esibirsi in concerto a Colonia con una cantante, sua allieva. Il Principe elettore di Colonia, in qualità di Arcivescovo sa di ospitar nella sua residenza un giovane promettente e lo affida ai migliori musicisti. Beethoven scopre così organo e violino. Allievo di Neefe, fervido illuminista, il gusto musicale di Beethoven è formato sui più grandi musicisti, Mozart, Haydn, Ritratto di Beethoven al tempo di Fidelio (1805) Bach. I primi veri lavori sono per pianoforte, lo strumento che lo accompagnerà sempre nei passaggi nodali della sua creatività. Nel 1789 Beethoven percepisce il primo stipendio al servizio del duca Segue Intervento da pag. 1 “Fidelio”, “Tancredi”, “Il Vascello Fantasma” per concludere con “Il Pipistrello” di dicembre sono il segno dell’efficacia raggiunta nell’erogazione di un servizio culturale di rilevante interesse collettivo, che in questo Teatro solo pochi anni fa non sarebbero stati una certezza. I titoli di balletto, al Nazionale e poi al Costanzi segnano, altresì, l’importanza che abbiamo dato alla danza ed alla nostra Compagnia di balletto. Nel cammino compiuto dall’Opera di Roma si sono incontrati, positivamente, interessi privati ed interessi pubblici, con evoluzioni diverse, secondo le leggi che si sono succedute. Il progetto artistico princi- pale del prossimo anno sarà celebrativo del 125º anniversario dell’apertura dell’Opera di Roma. Nella continuità con il passato ci sentiamo impegnati ad assolvere il ruolo di conservazione e diffusione di quell’autentico valore culturale fortemente italiano che è il melodramma e di protezione verso l’impiego artistico contemporaneo. Vogliamo unire competenze, forze ed idee, secondo la nostra tradizione: chiederemo l’apporto del nostro pubblico, abbonati e frequentatori, per assicurare al teatro i migliori risultati credendo all’epigrafe che “l’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita”. Francesco Ernani Sovrintendente al Teatro dell’Opera di Roma Joseph II, presso la corte di Bonn. Da quest’ultimo è inviato a Vienna a perfezionare la sua formazione e per il giovane Ludwig questo è il luogo migliore del mondo, dove «tutto è sublime: i concerti, i teatri, i maestri». A Vienna, infatti, le famiglie ricche, nobili o borghesi, coltivano la musica. Ogni anno la Società dei Musicisti organizza un concerto di beneficenza per orfani e vedove. Nel 1793 Beethoven si trasferisce da un lontano parente, il Conte Lichonowsky e lì Salieri lo inizia alla musica vocale e alla prosodia della lingua italiana, mentre prende contatti con Artaria, il più grande editore musicale viennese. Sogna di estendere il suo successo musicale. Berlino e Praga lo applaudono. Dà lezioni di pianoforte e compone in piena libertà, imprimendo ormai ad ogni opera il suo personale ed inconfondibile marchio. Il destino però bussa presto alla sua porta: Ludwig sta perdendo irrimediabilmente l’udito e ciò compromette i suoi rapporti interperesonali; si isola sempre più, medita il suicidio ed è solo l’amore per la musica a distoglierlo. Nel 1802 scrive il celeberrimo testamento di Heiligenstadt e si ripete: «voglio sfidare il Destino». Si innamora perdutamente di Giulia Guicciardi, presunta “amata immortale”, ipotizza addirittura le nozze. Novembre 1805 : è la prima di Fidelio, sua unica opera lirica e sarà un fiasco. A quest’opera rimetterà mano altre due vote in nove anni. Entra in contatto col principe Esterhhàzy e lascia Vienna. Due mesi dopo la città è assediata da Napoleone, la famiglia imperiale fugge. Beethoven compone con passione le musiche per Egmont di Goethe. Con il nuovo ordine europeo post-napoleonico e nell’ euforia del congresso di Vienna, le musiche del genio tedesco sono richiestissime, ma nonostante il successo in Beethoven torna l’inquietudine. Nel settem- bre 1817 annota: «senza musica mi avvicino sempre più alla tomba…». Nonostante la tristezza che lo pervade per anni, Ludwig decide di musicare l’Ode alla Gioia di Schiller. Mentre scrive gli ultimi quartetti si ammala di polmonite; uniche consolazioni le letture, le visite di amici e la musica, che può solo vedere suonare , ma non più sentire. Muore alle cinque e tre quarti del pomeriggio del 26 marzo 1827, lasciando un’ ultima annotazione scritta di suo pugno: «solo l’ arte e la scienza ci fan sperare in un’esistenza più nobile». Il pomeriggio del 29 marzo al funerale Vienna, sfacciatamente, gli rende tutti gli onori negati in vita: oltre 20 mila persone visitano la salma esposta nel cortile della casa dove aveva abitato. Dopo la benedizione in una chiesa gremita, l’amico Franz Grillparzer davanti al cimitero di Anschütz tiene l’orazione funebre. Ch. Cri. Beethoven in un quadro di Ferdinand Georg Waldmuller 1823 Il Fidelio Giornale dei Grandi Eventi I l librettista francese Jean-Nicolas Boully, nacque a Tours nel 1763 poco dopo la morte del padre, e fu cresciuto amorevolmente dalla madre e dal patrigno avvocato di grido nonché professore di filosofia naturale. Fu ovviamente indirizzato agli studi giuridici, nonostante il suo talento per la scrittura che lo portò ben presto a modificare le sue prospettive lavorative. Suo primo libretto fu “Pierre le Grand”, accolto con favore dall’amministrazione dell’Opéra-Co- 13 L’autore del dramma Jean-Nicolas Boully mique e di Madme Dugazon, prima cantante dell’opera parigina, la quale lo aiutò a convincere Grétry a metterlo in musica. La “prima” fu un successo, ma i suoi sottostanti sentimenti realisti successivamente gli causarono il bando dalle scene. Si fidanzò con la figlia di Grétry, Antoniette, ma la morte di tubercolosi di lei impedì le nozze. Nel periodo del Terrore tornò a Tours, dove fu a capo della Commissione Militare, e lì incorse nell’esperienza famosa che fornì le basi per la trama di “Lèonore ou l’amour conjugal”( prima messo in musica da Gaveaux, poi trasformato nel “Fidelio” di Beethoven) e “Le due giornate” di Cherubini. Nel 1795 tornò a Parigi dove lavorò per la Commissione per la pubblica Istruzione ma che lasciò dopo tre anni per dedicarsi alla scrittura. Gradualmente si iniziò ad allontanare dal genere dell’ Opèra-Comique producendo molte commedie e Vaudevilles ( la più famosa è Fanchon la villeuse, 1801, una collaborazione con Joseph Pain), due collezioni di fiabe morali per bimbi spesso ristampate e le sue famose memorie , in cui offre un idealizzato quadro di sé. Il suo primo libretto Pierre le Grand è già marcato chiaramente da quel tipo di drammatica verità e realismo che renderà Sedaine il librettista più famoso dell’Ottocento. Gli fu attribuito il titolo di poeta lachrymal. In fondo Lèonore è un racconto di virtù premiata. Sebbene la sensibilità e la maniera di Boully andò fuori rispetto allo stile della seconda decade dell’Ottocento, fu sempre di sicuro rispettato come un poeta abile e un indubbio talento drammatico. Morì a Parigi nel 1842. I Librettisti Joseph von Sohnneleitner L ibrettista austriaco, nacque a Vienna nel 1796 da una eminente famiglia di musi- cisti. Amante delle arti più raffinate, editò il viennese Theater Almanach dal 1794 al 1796 e aiutò a rendere popolare la Gesellshaft der Musikfreunde (Società degli amanti della musica) ed il Conservatorio di Musica ad essa associato dal 1812 fino al 1814. Fu segretario di Corte a Vienna fino al 1814 e della Associazione degli Amanti della Musica fino alla morte. Una storia della musica in più volumi fu da lui ideata in collaborazione con Joseph Forkel, ma non vide mai la luce. Scrisse e tradusse libretti per Cherubini, Seyfried, Weigl e Gy- rowetz ma il suo contributo più famoso resta l’adattamento del libretto di Boully “Lèonore” per le musiche di Beethoven nel Fidelio. Per quanto si tratti per lo più di una traduzione, il librettista austriaco tentò di incrementare le occasioni per il dramma musicale aggiungendo vari numeri. Le sue aggiunte diedero l’opportunità per alcune dei passaggi più raffinati nella prima versione dell’opera, ma molti critici hanno biasimato il fiasco iniziale di Fidelio, addossandone la colpa al suo libretto. L’ampliamento attraverso il quale Sohnneleitner ricava due atti dal primo di Boully approfondendo l’ideale universale della libertà ed amore coniugale rallenta però l’azione. Ne conseguono evidenti limitazioni alla partitura di Beethoven, che inevitabilmente pesano anche successivamente sul riassetto dell’opera. Pure il libretto per “Faniska” di Cherubini ricevette aspre critiche, sebbene sia Haydn che Beethoven lo ammirassero. Fino alla morte avvenuta a Vienna nel 1835, Sohnneleitner continuò alacremente ad arricchire i possedimenti degli archivi della Gesellshaft e del suo Conservatorio con donazioni in strumenti musicali, materiali concernenti i libretti d’opera e la sua biblioteca personale. Gorge Friedrich Treitschke L ibrettista e traduttore Gorge Friedrich Treitschke nacque a Leipzig, in Germania, nel 1776. Nel 1800 si recò a Vienna per intraprendere una carriera di attore della Hofoper, dove due anni dopo fu passato al ruolo di poeta e manager di spettacoli. Durante l’invasione francese da parte di Napoleone del 1809 prese la guida del Theater der Wien, che guidò fino al 1814, a dispetto della sua nuova nomina all’Hofoper del 1811. Scrisse e tradusse molte opere e libretti per Singspiel di spettacoli della capitale austriaca. Nel 1814 Beethoven gli chiese di rivedere il libretto di Leonore (Fidelio) per la ripresa dell’opera. Treitschke non solo fu d’accordo a realizzare questo lavoro, ma sull’onda dell’entusiasmo lasciò anche un sostanziale ricordo di ciò che vide e sperimentò nell’intenso rapporto col compositore per la sua stretta vicinanza al teatro di Vienna. I cambiamenti apportati al Fidelio tolsero enfasi al dramma personale di Florestan e Léonore, per rafforzare invece il problema morale universale cui lo stesso Beethoven voleva evocare una soluzione esemplare ad uso e consumo dell’intera umanità. I suoi miglioramenti ispirarono,infatti, Beethoven a “ricostruire e rifondare le rovine di un vecchio castello”. Tradusse anche un innumerevole quantità di libretti dal francese in lingua tedesca, tra cui Le due giornate di Cherubini e Mèdèe di Spuntini per le rappresentazioni nella capitale asburgica; realizzò la traduzione in tedesco di Idomeneo di Mozart e Così fan tutte. Beethoven fornì anche le musiche per due Singspiel Die Gute Nachricht e Die Ehrenpforten e mise pure in scena il suo poema Ruf vom Berge. Morì a Vienna nel 1842. C. C. Musica a Roma 14 Il Giornale dei Grandi Eventi Al nuovo Auditorium dal 16 ottobre La stagione sinfonica di Santa Cecilia debutta con Mozart S arà Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart a inaugurare il 16 ottobre la Stagione 20042005 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, al suo secondo anno nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium di Renzo Piano. Un’inaugurazione legata al filo rosso mozartiano, cominciato con il K Festival di settembre, che ci accompagnerà per tre anni fino al fatidico 2006, quando si festeggeranno i 250 anni dalla nascita di Amadeus. Diretto dal maestro Chung, specialista di questa partitura per le cui esecuzioni ha ricevuto grandi riconoscimenti internazionali, Idomeneo sarà in forma di concerto. È una stagione che si presenta ricca di novità, come l’incremento dei concerti da Camera, il cui numero arriverà a 28, in modo da esaudire le richieste degli appassionati che hanno gremito sempre la Sala Sinopoli e mandato esauriti quasi tutti i concerti, compresi quelli nella Sala Santa Cecilia da 2.800 posti. Un cambiamento di orario, con l’anticipo di mezz’ora, è previsto per il concerto sinfonico del sabato: dalle 18,30 alle 18 per soddisfare richieste degli abbonati. La stagione che si chiude ha visto un notevole incremento di pubblico: dai 290.921 spettatori della passata stagione, agli oltre 302 di quella che ci lasciamo alle spalle. La Stagione Sinfonica Si comincia, come detto con il maestro Myung-Whun Chung, che chiude con questa stagione il rapporto stabile con l’orchestra di S. Cecilia cominciato nel settembre del 1997, il quale oltre all’inaugurazione con Idomeneo sarà impegnato in altri cinque concerti. Il secondo a novembre (18, 20, 23) vede in programma un’altra opera in forma di concerto, la Salome di Strauss, per la cui interpretazione è famoso nel mondo. Tornerà tra gennaio e febbraio 2004 (29, 31 gen- naio, 1 febbraio) per dirigere la Jupiter e il Requiem di Mozart. Proseguirà la settimana successiva (5, 7, 8 febbraio) con la sinfonia n. 6 di Mahler, Tragica, aggiungendo così un altro anello alla lunga catena di esecuzioni mahleriane che hanno caratterizzato le ultime stagioni dell’Accademia. Ancora in primavera con una sinfonia di Mahler, la numero 9 (21, 23, 24 maggio) con la quale il direttore coreano conclude l’integrale delle Sinfonie di Mahler, avviata nel 1997 con la Seconda Sinfonia. Seguirà (28, 30, 31 maggio 2005) un concerto dedicato a Beethoven e a Brahms, che verrà replicato al Lingotto di Torino. Grandi ritorni, debutti ed habitué sul podio dell’orchestra di Santa Cecilia. Tra i primi segnaliamo Mstilav Rostropovi_ (12, 14, 15 febbraio 2005) con un programma russo, che verrà replicato a Madrid nel nuovo auditorio. Georges Prêtre (5, 7, 9, marzo 2005) che ci regalerà una Carmen speciale, con un cast di giovani promesse. Una particolare rilettura da parte del direttore francese, considerato il massimo interprete vivente del capolavoro di Bizet, del quale realizzò un’indimenticabile edizione con Maria Callas nel ruolo della fatale gitana. Sarà davvero un’occasione unica, dal momento che Prêtre non dirige quest’opera da molti anni. En- nio Morricone impugnerà la bacchetta il 16 dicembre per il Concerto di Natale per la Pace con un programma che alterna la sua Cantata per l’Europa alle celebri musiche da film. Tra gli habitué, Yuri Temirkanov, il principe dei direttori russi (19, 20, 21 dicembre 2004) per una serata che si annuncia memorabile con la versione restaurata del capolavoro di Eisenstein, Alexander Newsky, e le musiche originali di Prokoviev eseguite dal vivo. Wolfgang Sawallisch tornerà con due concerti, uno dedicato a Beethoven e Schumann (12, 14, 15 marzo 2005), l’altro insieme al pianista Rudolf Buchbinder (19, 21, 22 marzo 2005) con Brahms e lo Stravinskij della Sinfonia dei Salmi. Jeffrey Tate (14, 16, 17 maggio) propone una serata tra Henze, Britten e Mozart. Tra gli attesi ritorni, quello di Ivan Fischer, in una serata con Lars Vogt (23, 25, 26 ottobre) per il concerto di Schumann e una Sinfonia di Rachmaninov. Vladimir Jurowsky, che in questi anni ci ha abituati a programmi inconsueti, ha scelto questa volta un popolare »aikovskij, del quale oltre alla Patetica eseguirà il Concerto per Violino, insieme allo straordinario violinista Leonidas Kavakos, che debutta all’Accademia. Programma superpopolare anche per Fabio Luisi (4, 6, 7 giugno) che propone i Carmina Burana. Antonio Pappano, prossimo direttore musicale dell’Accademia dal settembre del 2005, sarà a S. Cecilia in gennaio (22, 24, 25) con Notte trasfigurata di Schoenberg e il primo atto della Walkiria di Wagner. A Maggio (7, 9, 10 maggio) proporrà il Requiem tedesco di Brahms. E poi Gianandrea Noseda (27, 29, 30 novembre) in una serata dai colori mediterranei con Ravel, De Falla, Saint-Saëns. Yutaka Sado propone la Sinfonia L’orologio di Haydn unita a un brano eseguito raramente come I pianeti di Holst. Carlo Rizzi in coppia con il formidabile Alexander Toradze (9, 11, 12 aprile) propone il primo concerto di Bartók, del quale il pianista russo è considerato uno dei massimi esecutori e i Quadri di un’esposizione di Musorgskij. Evgeny Kissin insieme a Jan Lathan Koenig, è il protagonista di uno degli eventi della stagione: i cinque concerti di Beethoven in due serate. I primi tre il 4 dicembre, gli altri due il 6 e 8 dicembre. Un progetto che il grande pianista russo esegue solo a Roma, Londra e New York. I “debutti” sul podio dell’orchestra di Santa Cecilia vedono, in ordine di arrivo, Lothar Koenigs, astro nascente nel panorama internazionale, in una serata che presenta “Aus tiefer” un brano di Aldo Clementi, commissionato dall’Accademia, e il balletto completo “Il mandarino meraviglioso” di Bartók. Ton Koopman, esperto di barocco applauditissimo alla testa del suo gruppo nelle nostre stagioni, salirà per la prima volta sul podio dell’Accademia per una serata interamente dedicata ad Haydn (6, 8, 9 novembre), mentre Mark Albrecht insieme a Mario Brunello presenteranno il Concerto n. 2 per violoncello di Shostakovich e la prima sinfonia di Schumann (11, 13, 14 dicembre 2004). E’ una prima volta anche quella di Will Humburg (22, 24, 25 gennaio 2004) in una serata che ha in programma un brano di Giacomo Manzoni, commissionato anch’esso dall’Accademia e intitolato “Al di qua dell’improvvisa barricata”, ispirato al testo di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene”. Aspirazione alla libertà e lotta all’oppressione è, del resto, il tema di questa serata che prevede l’ouverture “Egmont” di Beethoven e “Per me è giunto il dì supremo” la scena di Rodrigo dal “Don Carlos” di Verdi. Vladimir Ashkenazy (19, 21, 22 febbraio 2005) ha scelto di festeggiare il suo debutto con l’Orchestra di S. Cecilia proponendo una vera e propria rarità “Tre Dream of Gerontius” capolavoro di Elgar, un oratorio molto amato in Inghilterra e secondo per fama solo al “Messiah” di Haendel, ma di esecuzione rarissima in Italia. Una rarità anche per Donald Runnicles direttore in continua ascesa, spesso sul podio dei Berliner. Ha scelto per la sua “prima” romana “Das klagende Lied”, la cantata di Mahler della quale verranno eseguiti tutti e tre i movimenti, insieme alla sinfonia n. 2 di Beethoven. Una serata per Gershwin è quella proposta da uno specialista del compositore americano, Wayne Marshall (29 aprile, 2, 3 maggio). Cla. Fa. Il Cultura Giornale dei Grandi Eventi 15 Il 28 ottobre, in collaborazione con il nostro giornale Serata su Evan Gorga, primo Rodolfo della Bohème al Museo degli Strumenti musicali I l piccolo ma elegante auditorium del Museo degli Strumenti Musicali di Roma, in piazza S. Croce in Gerusalemme, ospiterà il giorno 28 ottobre alle 16.30 (ingresso gratuito), la presentazione del libro di Andrea Cionci “Il tenore collezionista. Vita, carriera lirica e collezioni di Evan Gorga” edito da Nardini editore, Firenze. La biografia di uno degli ultimi grandi collezionisti romani (30 diverse collezioni per un totale di 150.000 oggetti) della cui storia poco o nulla si sapeva, che fu anche cantante lirico e primo interprete di Rodolfo della Bohème di Giacomo Puccini. Grazie al rinvenimento del suo archivio personale e alle ricerche fatte dall’autore, è emersa una personalità affascinantissima descritta nel libro con rigore scientifico e al D opo praticamente cinquant’anni di preparazione e cinque anni di stesura, è finalmente uscito in libreria l’ultima fatica di Piero Buscaroli: “Beethoven”, una monumentale biografia sul Gigante di Bonn, per i tipi della Rizzoli. Come per i precedenti volumi “Bach” e “La morte di Mozart”, opere di grandissimo successo, questo libro rappresenta per l’autore la sfida e la necessità di «inseguire e tentare un’immagine intera e coerente di Beethoven», di cogliere la sua totalità umana e artistica sfrondando a colpi di cesoie, per non dire di accetta, tutte le incrostazioni e le stratificazioni che ne hanno distorto l’immagine fino a tramutarlo in un illuminista, un giacobino, un amico della Francia rivoluzionaria. Come la figura di Bach venne cooptata dalla Chiesa protestante, così Beethoven è stato finora vittima di «un umanitarismo buonista e grottesco» contempo con avvincente scorrevolezza. Prima pianista alla Corte d’Italia, poi accordatore di Casa Reale, imprenditore e inventore di strumenti, Evan Gorga, dopo una breve ma brillante carriera lirica come tenore, che lo portò ad essere scritturato da Ricordi come primo Rodolfo nella Bohème, abbandonò le scene e investì tutte le sue risorse finanziarie e umane per raccogliere strumenti musicali, reperti archeologici, ferri chirurgici, bronzi, bilance, stucchi, bambole, armi, vetri antichi... migliaia di oggetti che testimoniassero l’evoluzione della civiltà dei popoli, dall’Arcaico all’ultimo secolo. Non c’è quasi museo ro- mano che non possegga almeno un reperto proveniente dalle collezioni Gorga le quali, una volta che furono acquisite dallo Stato Italiano (Gorga si era ridotto in miseria e aveva dovuto cedere tutto allo Stato per farsi ripianare i debiti), seguirono in massima parte la triste sorte della dispersione. Il Museo degli Strumenti musicali di Roma è tra il più importante del mondo grazie proprio alla donazione di Evan Gorga, sebbene sia stato inspiegabilmente trascurato fino ad oggi La nuova biografia di Buscaroli Un Beethoven finalmente libero dagli orpelli della musicologia istituzionale ed è paradossale che perfino la Nona Sinfonia, quella dell’Inno alla Gioia, nata nel cuore di Beethoven come vibrante, nazionalistica canzone della fratellanza tedesca, sia stata oggi adottata – dice Buscaroli come sigla dal pacioccone e quattrinaro europeismo del Parmiggiano Reggiano. Il Beethoven riscoperto da Buscaroli è dunque un nazionalista tedesco, “snob e reazionario”, amante delle donne e dotato di una forza vitale eccezionale. Così Buscaroli nell’introduzione, continua furente a scacciare «i mercanti dal tempio», prendendosela con i pubblicitari che utilizzano la musica del genio tedesco come colonna sonora per reclàme di formaggini e sughi pronti. Ma non solo la politica e l’economia sono i naturali responsabili di questo sfacelo: Buscaroli bersaglia anche i registi d’opera, definiti un cancro, nonchè l’iperfilologismo di certi direttori d’orchestra, oltre a tutta una lunga serie di parolai che usano e abusano della musica. Il sacro furore che infiamma le 1400 pagine di Buscaroli anima tuttavia uno studio serissimo condotto con una capillare e minuziosa ricerca delle fonti che consente di rileggere, con solidità scientifica, tutti i fondamentali aspetti della vita del composi- dalle istituzioni. All’evento parteciperà Bruno Cagli, Presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, la preside di Scienze Umanistiche della Sapienza, prof.ssa Marisa Dalai e altri importantissimi nomi del mondo della musica e della cultura. La Nardini editore ha finanziato anche l’acquisto di un filmato d’epoca su Gorga, da poco rinvenuto dal nostro giornale e dall’autore del volume, che verrà proiettato nel corso della presentazione. Ma non sarà la sola sorpresa: durante la presentazione saranno eseguiti anche brani musicali con alcuni strumenti antichi della collezione Gorga: un pianoforte di epoca mozartiana, un organo del ‘700 e persino un flauto di cristallo della prima metà dell’800. Lo. Di Diec. tore: la famiglia, il carattere, la sordità, le malattie, gli amori, le donne, le lettere e il sentimento e gli scopi dell’arte. Il tutto è inquadrato in un grande affresco storico che giustifica l’insofferenza di Buscaroli verso chi lo definisce solamente “un musicologo”. L’analisi scientifica rimane in questa biografia un mezzo, uno strumento che non paralizza l’intuito e la comprensione dei fatti, come troppo spesso avviene negli studi musicologici. Questa la carta in più che distingue l’autore. Una prosa “alla Fallaci” sebbene estremamente più colta e raffinata veicola messaggi innovativi che saranno probabilmente accolti con imbarazzato silenzio dalla paludata musicologia istituzionale, ma con entusiasmo da un pubblico affamato di verità. Piero Buscaroli, “Beethoven” - Rizzoli editore, 1359 pp., fotografie a colori, costo 45 euro. An. C.