Il Giornale dei Grandi Eventi
8 ottobre 2004
Anno X / Numero 56
L’intervento
Guardiamo al futuro
nonostante i tagli
di Francesco Ernani
Sovrintendente al
Teatro dell’Opera di Roma
I
l momento di recessione economica che ha
comportato riduzioni
del finanziamento pubblico anche nei riguardi del
Teatro dell’Opera della nostra Capitale, ha riaperto il
dibattito sull’opera lirica
esteso a specifici aspetti di
carattere artistico, giuridico ed economico.
Riapriamo così il nostro
Teatro, dopo il breve periodo di riposo estivo, in
un quadro di incertezze
che riguardano, in particolare, il suo sostegno finanziario.
Nella forte convinzione
che il Teatro dell’Opera di
Roma sia luogo nel quale
la bellezza e l’arte si sposano all’emozione, occorre
continuare la sfida iniziata
da questa Sovrintendenza
nel luglio 1999 di saper
perseguire i fini culturali,
istituzionali e sociali che lo
connotano, con i caratteri
di efficienza e di trasparenza.
I prossimi titoli d’opera
che sono in cartellone nel
nostro Teatro: dopo questo
Segue a pag. 12
Con “Fidelio” di Beethoven
Le Repliche
riparte la stagione dell’Opera
Domenica 10 ottobre 17,00
Martedì 12 ottobre 20,30
Mercoledì 13 ottobre 16,00
(per le scuole)
Giovedì 14 ottobre 20,30
Venerdì 15 ottobre 20,30
Sabato 16 ottobre 18,00
D
opo la pausa estiva riprende la stagione del Teatro dell’Opera di Roma, che già da alcuni anni ricalca
l’anno solare. Riprende con Fidelio unica
opera di Ludwig van Beethoven. Un lavoro
sul quale il musicista di Bonn ha rimesso
mano per ben tre versioni, componendo anche quattro diverse overtures. Questo perché Fidelio si può considerare il capostipite
di un genere nuovo, tra la musica colta prerivoluzione francese e quello che sarà il teatro tedesco. Il libretto, non particolarmente
brillante, appartiene al genere molto diffuso
in quel periodo della pièce à sauvetage, men-
La vicenda si svolge a Siviglia,
in Spagna, nel XVII secolo.
tre la musica, scritta nel periodo della Quinta sinfonia, guarda ancora al genere del Sinspiel, all’alternanza cioè di numeri chiusi e
parti recitate, che ebbe il fondamentale antecedente nel Flauto magico di Mozart.
A dirigere è il maestro tedesco Will Humburg, mentre la regia, le scene ed i costumi
sono di Giovanni Agostinucci. Il cast è davvero di prim’ordine per questo titolo, con
Stephen Gould, Susan Anthony, Alan Titus,
Alfred Reiter, Ferdinand von Bottmer, Alfredo Zanazzo e Veronica Cangemi. L’opera è presentata in lingua originale, con sovratitoli in italiano.
La trama
ATTO 1º - Il giovane Fernando Florestano è stato arrestato illegalmente ed è da due anni
detenuto in prigione dal crudele governatore Pizarro, che lo ha
fatto credere morto. Leonora, moglie di Florestano, travestita
da uomo e con il nome di Fidelio è riuscita a farsi assumere
tra il personale della prigione come aiutante del carceriere
Rocco, uomo di buon cuore. Essa spera così di avere dall’interno notizie del marito per tentare di liberarlo. Ma di Fidelio
si è invaghita la giovane figlia di Rocco, Marzelline, a sua
volta corteggiata dall’altrettanto giovane portiere della prigione Jaquino. Marzelline canta il suo amore per Fidelio, sognando nozze in breve tempo. Entrano Rocco, Jaquino e Leonora/Fidelio il cui zelo è interpretato da Rocco come un segno
d’amore per la figlia. In uno splendido quartetto Marzelline,
Leonora, Jaquino e Rocco esprimono ciascuno i diversi senti-
menti. Rocco, poi, raccomanda a
Marzelline e Fidelio di badare anche al denaro ed accoglie quindi
con favore l’offerta di Fidelio di lavorare di più per aiutarlo
nelle pesanti incombenze nei sotterranei (dove Leonora ha il
sospetto possa trovarsi il marito Florestano).
Nello stesso giorno Pizarro viene avvertito di una imminente
visita del Ministro, al quale sono giunte voci di arresti illeciti. Pizarro decide così di disfarsi del prigioniero scomodo e
chiede a Rocco di ucciderlo, ma al rifiuto gli ordina di scavare una fossa per il prigioniero che lui stesso ucciderà. Leonora/Fidelio assiste di nascosto al colloquio e sospetta che il misterioso incarcerato sia il marito. Con la scusa di far prendere
un po’d’aria ai detenuti, chiede a Rocco di far uscire tutti i reclusi nel cortile del carcere, ma tra loro non vede l’amato Florestano. Pizarro è furioso dell’iniziativa e fa di nuovo rinchiu-
Segue a pag. 3
Stagione 2005
8 opere e 6 balletti.
Parla il direttore
artistico Trombetta
A pag. 2
Storia
dell’opera
Tre versioni e
quattro overtures
A pag. 6 e 11
Beethoven
La sordità ed
il rapporto con l’opera
A pag. 8 e 9
Opera
2
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Intervista al Direttore Artistico Mauro Trombetta
Tradizione e sperimentazione
con un “Attila” senza scene
P
assata l’estate, mentre
gli altri Teatri d’opera
attendono la nuova
stagione, a Roma - dove già
da qualche anno si è deciso
di proporre una stagione che
ricalca l’anno solare - si riprende con l’ultima parte
del cartellone e si comincia a
pensare alla stagione che
verrà, nella quale si festeggerà il 125º anniversario del
Teatro.
Per guardare al nuovo anno,
abbiamo incontrato il maestro Mauro Trombetta, giusto da 12 mesi direttore artistico del Teatro dell’Opera di
Roma, anche se sulla poltrona di piazza Gigli lo era dal
19 dicembre 2002 come Consulente alla Direzione Artistica.
Trovo che questo è un teatro
con grandissime potenzialità, in buona parte espresse.
È il teatro che in Italia produce di più in assoluto e che
giustamente – essendo il teatro della Capitale – può raffrontarsi ai teatri delle capitali europee, facendo ovviamente le debite considerazioni di diversità strutturali e
di concezione. Noi, pur non
essendo un teatro di repertorio, riusciamo ad avere una
media di oltre 200 spettacoli
all’anno tra Costanzo, Nazionale, Caracalla e le manifestazioni varie. Quello, invece, su cui dobbiamo lavorare molto è l’affezione del
pubblico romano e dei turisti. Roma - è vero - ha una offerta di spettacoli quasi unica. Per questo il turista è distratto, ma è altrettanto vero
– e lo dico con un po’ di dispiacere – che tante piccole
accademie dell’opera (chiamiamole così) o gruppi che
allestiscono opere liriche,
spesso vengono scambiate
per l’Opera di Roma. In giro
leggono “Opera di Roma”ed
equivocano ed il Teatro è penalizzato. Dobbiamo, quindi,
riappropriarci del pubblico,
ma anche del marchio.
D. Come potrebbe avvenire
questo riappropriarsi del
pubblico?
Secondo me insistendo su
quanto già stiamo facendo,
proponendo una stagione
più varia ed articolata come
titoli, aprendo di più il teatro
al pubblico, cercando anche
una maggiore attenzione dei
media e pubblicizzando i
prodotti. Io vengo da Verona, dove l’Arena per vivere
tutto l’anno, durante l’estate
ha bisogno di una media di
12 mila spettatori a sera, che
vuol dire poco meno di 600
mila spettatori a stagione
estiva. Per far questo l’Arena
ha un rapporti con agenzie
che offrono ai turisti pacchetti di viaggio. Così, essendo
Roma una città turistica, credo che anche qui si potrebbe
tentare una collaborazione
con le agenzie, anche se una
parte di biglietti deve essere
riservata al pubblico romano. Per fare questo è necessaria una programmazione a
lungo termine supportata da
certezze finanziarie.
Quale è la sua idea sulla
programmazione delle stagioni?
L’idea è quella di aumentare
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la produzione, proponendo
al Costanzi titoli della grande tradizione operistica non
solo italiana, con pilastri di
base che sono Mozart, Verdi,
Rossini, il bel canto italiano
(Bellini, Donizetti, Mercadante, ecc.), il Verismo italiano e Wagner. Sempre al Costanzi proporre i grandi titoli di balletto e le grandi coreografie del repertorio del
‘900. Al teatro Nazionale, invece, devono essere presentate le opere da camera, le
opere contemporanee o tentare qualche sperimentazione. Bisogna poi valorizzare il
grande patrimonio scenografico e costumistico del Teatro, tirando fuori bozzetti di
Manzù, De Chirico, Sassu,
Polidori per farli rivivere. Da
questi bozzetti si possono restaurare le scene storiche, come è stato con la Tosca di
quest’anno con le scene di
Hohenstein della “prima”del
1900. Accanto si possono
proporre nuove idee. Ci sono
apparecchi talmente sofisticati da creare scenografie virtuali. Queste sono le frontiere della nuova scenotecnica
che abbiamo il dovere di affrontare, prima sperimentando e poi proponendo È quindi necessario avere sedi dove
sperimentare ed il teatro Nazionale è un buono spazio. Il
Teatro Costanzi, invece, questa sperimentazione dopo la
deve proporre, altrimenti si
rimane indietro.
D. Parliamo dei programmi,
della stagione 2005.
In tutto al Costanzi avremo
otto titoli d’opera e sei di balletti, più una serata mista, la
“serata Stravinkij”con opera
(Edipo Re) che verrà proposta
con le scene storiche di Manzu di vent’anni fa e balletto
(Uccello di Fuoco).
La stagione si aprirà il 15
febbraio con Semiramide di
Rossini in un nuovo allestimento. Prima, a gennaio,
proporremo un mini mese
di balletti, con 4 recite del
Lago dei Cigni, poi un “galà
Balanchine” con tre titoli e, a
chiusura, una riproposizione di Giselle.
Successivamente, in marzo,
presenteremo uno spettacolo, l’Attila, sperimentale per
la scenografia. Il pubblico
entrando vedrà solo dei teloni bianchi. Poi, durante lo
spettacolo i teloni diventeranno le scene, con Aquileia,
il Foro Romano, la foresta, il
fiume dove papa Leone incontra Attila. Una soluzione
che ho già provato otto anni
fa a Verona e credo che anche a Roma sarà apprezzata
dal pubblico.
An. Mar.
Prosegue la stagione 2004
I prossimi titoli d’opera
al Teatro Costanzo
2 novembre TANCREDI di Gioacchino Rossini
19 novembre DER FLIEGENDE HOLLÄNDER
(L’olandese volante) di Richard Wagner
19 dicembre IL PIPISTRELLO di Johann Strauss
Teatro Costanzi
Stagione 2005 (I parte)
Opere
SEMIRAMIDE di G. Rossini
Gianluigi Gelmetti
Daniela Barcellona, Michele Petrassi,
Darina Takova, Antonino Siracusa
Regia, scene e costumi:
Pier Luigi Pizzi
NUOVO ALLESTIMENTO
15 - 22 febbraio 2005
Direttore:
9 - 22 marzo 2005
ATTILA di Giuseppe Verdi
Direttore:
Antonio Pirolli
Roberto Frontali, Ivan Inverardi, Dimitra Theodossiu,
Roberto Scandiuzzi, Orlin Anastassov
Regia e scene:
Paolo Baiocco
NUOVO ALLESTIMENTO
17 - 23 marzo 2005
CAVALLERIA RUSTICANA
di P. Mascagni
RAPSODIA SATANICA di A. Fassini e Fausto M. Martini
Direttore:
Marcello Panni
Giuseppe Giacomini, Natalia Tarasevich,
Viorica Cortez, Ambrogio Maestri
Regia:
Stefano Vizioli
ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA
5 - 10 aprile 2005
SERATA STRAVINSKIJ
OEDIPUS REX (Edipo Re) di Igor Stravinskij
UCCELLO DI FUOCO di Igor Stravinskij
Direttore:
Zotlan Pesko
John Ullenhop, Mario Luperi, Michail Ryssov, Barbara Pintor
Regia:
Luigi Squarzina
ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA E TEATRO DI RIGA
28 aprile - 11 maggio 2005
TURANDOT di G. Puccini
Direttore:
Alain Lombard
Giovanna Cassolla, Nicola Martinucci,
Carla Maria Izzo, Michail Ryssov
Regia:
Giuliano Montaldo
ALLESTIMENTO DEL TEATRO CARLO FELICE DI GENOVA
17 - 25 giugno 2005
THAÏS di Jules Massenet
Direttore:
Pascal Rophè
Amarilli Nizza, MarcoVinco, Claudio Di Segni
Regia:
Alberto Fassini
ALLESTIMENTO DEL TEATRO DELL’OPERA
Fidelio
Il Giornale dei Grandi Eventi
3
A colloquio con il direttore Will Humburg
“Un’opera piena di difetti, ma passaggio
chiave per il teatro musicale”
«È
la prima volta che affronto il Fidelio», afferma garbato il direttore tedesco Will Humburg, cui è
affidata la bacchetta in questa ripresa autunnale del cartellone
del Teatro dell’Opera. Nato ad
Amburgo, il maestro Humburg è
dal 1992 direttore musicale del
teatro di Münster. Al Teatro dell’Opera di Roma ha debuttato
nel 1992 con Tosca, poi nel marzo del 2000 sostituendo Giuseppe Sinopoli nella conduzione del
“Siegfried”, tornando poi nel
giugno dello stesso anno per concludere il progetto del “Ring”
con “Götterdämmerung”. A
Roma è stato anche nel novembre
2003 per dirigere la prima assoluta dell’opera di Sergio Rendine
“Romanza, una favola romana”. «È da circa vent’anni che
~~
mi propongono di eseguire
questa opera di Beethoven,
ma non ho voluto mai accettare, non mi sentivo pronto.
Fidelio è un’opera particolare: il libretto è una poesia di
terza categoria, è comico senza volerlo essere; lo stesso
Beethoven ha scritto e riscritto la musica perché non ne
era convinto. É una partitura
dove si sente che Beethoven
aveva poca esperienza con le
voci, con passaggi estremamente difficili come l’aria del
tenore nel 2º atto. E questo
perché era l’inizio di un genere nuovo, dove c’era ancora
tutto da inventare. Con la rivoluzione francese, infatti,
era stato creato uno stile musicale nuovo: non più musica
sofisticata che poteva essere
La Locandina ~ ~
Teatro Costanzi, 8 - 16 ottobre 2004
Fidelio
oder Die eheliche Liebe
(Fidelio o L’amore coniugale)
Titolo originale: Leonore oder Die eheliche Liebe
Opera in 2 atti
Libretto di Joseph Sonnleithner e
Georg Friedrich Treitschke
dal libretto diJ.-N. Boully per P. Gaveaux
Musica di Ludwig van Beethoven
Prima rappresentazione:
1ª versione (3 atti), Theater and der Wien, 20 XI 1805
2ª versione (2 atti), Theater and der Wien, 29.III.1806
3ª versione (2 atti), Kärntnerthortheater, 23. V. 1814
Direttore
Will HUMBURG
Regia, Scene e Costumi
Giovanni AGOSTINUCCI
Maestro del Coro
Andrea GIORGI
Personaggi - Interpreti
Florestan (T)
Stephen GOULD
Wolfgang MILLGRAMM (10, 13, 15 /10)
Leonore (S)
Susan ANTHONY
Lisa HOUBEN (10, 13, 15 /10)
Pizarro (B)
Alan TITUS
Boris TRAJANOV (10, 13, 15 /10)
Rocco (B)
Alfred REITER
Daniel Lewis WILLIAMS (10, 13, 15 /10)
Jaquino (T)
Ferdinanda von BOTTMER
Claudio BARBIERI (10, 13, 15 /10)
Don Fernando, ministro (B)
Alfredo ZANAZZO
Marzelline (S)
Veronica CANGEMI
Rita CAMMARANO (10, 13, 15 /10)
In lingua originale con sovratitoli in italiano
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Allestimento del Teatro dell’Opera
capita da pochi, ma una musica facile da memorizzare, capace di andare direttamente
al cuore con un linguaggio
fatto di grandi effetti e semplicità nelle melodie. Prendiamo ad esempio il finale della
stessa IX sinfonia di Beethoven, una melodia talmente
semplice che tutti, anche i
bambini, la sanno cantare. Lo
stesso accade nel finale del Fidelio: solo due note per un inno trascinante alla libertà, un
inno troncato di colpo, altrimenti potrebbe proseguire all’infinito. Anche la mediocrità
poetica del libretto dipende
dalla novità del genere. Non
c’erano librettisti tedeschi disponibili a scrivere un testo
drammatico nel nuovo stile.
Ma la particolarità del Fidelio
è proprio questa. È un’opera
piena di difetti, ma rimane comunque un passaggio chiave
per il teatro musicale, la prima che sia riuscita ad esprimere in modo semplice con la
musica una utopia umana
universale dell’amore che
può vincere sull’ingiustizia
umana. Le opere venute dopo
sono tutte più complesse e comunque al Fidelio si rifanno.
È il caso del “Franco Cacciatore” di von Weber con l’aria di
Caspar ripresa quasi nota per
nota dall’aria di Pizarro, ma
anche di altri passaggi come
nel “Vascello Fantasma”, fino
al “Tristano” di Wagner. Per
tutte Fidelio è stato un modello».
«Così, dopo aver diretto tutte
queste opere “ispirate” è
giunto per me – dice Humburg
- il momento di affrontare
l’”originale”. E lo posso fare
nelle condizioni ideali, con un
cast d’eccezione ed in particolare Stephen Gould il miglior
Florestano che ho mai ascoltato ed una orchestra che, devo dire, che negli ultimi dieci
anni è diventata di prim’ordine e con me c’è una grande
stima reciproca.
Nel complesso dell’allestimento, mi interessa il gesto
drammatico. Gli altri elementi - che sono la musica, il canto (o testo del libretto), i movimenti recitativi e le scene e
luci - a mio modo di vedere
devono tutti concorrere all’effetto, a rendere la massima efficacia al gesto drammatico.
Bisogna arrivare, insomma, a
confondere la musica con la
scena. D’altronde, come abbiamo detto, il libretto è piuttosto banale perché pensato
per un pubblico di massa.
Nella musica, invece, non ci
sono melodie continue come
ad esempio nel Don Giovanni
di Mozart, ma alcune di esse
sono bellissime come quella
con oboe alla fine, quando
Leonora scioglie le catene al
marito. È una musica che con
questa ingenuità – l’ho capito
adesso dopo 30 anni – lascia
spazio ad una grande intensità molto semplice, molto
più di alcuni brani di Mozart»».
«La chiave di lettura – prosegue Humburg - è ben visibile
all’inizio del 2º atto, quando
Florestano da due anni in prigione dice: “Dio mio che buio
che c’è qui”. Lo dice però sot-
tointendendo “… ma fortunatamente sono ancora vivo!” .
Una visione positiva, ovvero
la capacità incredibile dell’uomo di resistere, di sopportare
quell’inferno per due anni.
Anche a Leonora questa ricerca ha cambiato la vita alla
quale ha conferito un senso,
pure se la meta non dovesse
essere raggiunta. Se Florestano non fosse scomparso, lei
sarebbe rimasta una semplice
donna impegnata nella quotidianità domestica. Diventa
quindi più importante il cammino rispetto al fine. Una visione, questa in Beethoven, in
cui anche la sofferenza fa parte della vita e questo è di una
incredibile modernità. Le malattie, il terrorismo, le altre
cause di sofferenza rimarranno sempre e sempre la vita rimarrà una avventura, alla
quale bisogna dare comunque un senso perché tutto
può essere superato dalla
speranza. È questo il messaggio che trasmette il Fidelio. La
musica è talmente semplice
che fa capire la semplicità della vita».
Fr. Pic.
Segue Trama da pag. 1
gioniero. Pizarro si getta su Florestano per
dere i prigionieri, che con un canto mesto si ucciderlo, ma davanti al prigioniero si para
Leonora che minaccia il governatore con una
congedano dalla luce del sole.
pistola e rivela la propria vera identità. In
ATTO 2º - Florestano è incatenato negli quell’istante si odono le trombe che annunoscuri sotterranei del carcere poiché osò “di- ciano l’arrivo del Ministro. Pizarro cerca una
re audacemente la verità” e ripensa al suo via di fuga, mentre i due sposi finalmente si
amore per Leonora. Nei sotterranei giungono riabbracciano. Nel cortile del carcere il miniRocco e Leonora/Fidelio per scavare la tom- stro Don Ferrando, in nome del buon Re, anba, come ordinato da Pizarro. Leonora final- nuncia la grazia e la libertà per tutti i prigiomente vede e riconosce lo sposo ormai esau- nieri, mentre si intuisce che Pizarro è stato arsto. Gli da il conforto di un po’ di pane e di restato. Il carceriere Rocco richiama l’attenvino, ma ancora non può farsi riconoscere. zione del Ministro sulla sorte di Florestano,
Florestano, vedendosi ormai finito, può solo che Don Ferrando riconosce con stupore. Il
promettere - in una pagina di intensità quasi Ministro invita Leonora a togliere le catene al
religiosa - una ricompensa in un mondo mi- marito, mentre da tutti si leva un coro che ingliore. Arriva Pizarro, il quale si rivela al pri- neggia alla libertà ed all’amore.
Il Giornale dei Grandi Eventi
Fidelio
5
Stephen Gould e Wolfgang Millgramm
Susan B. Anthony e Lisa Houben
Florestano,
paladino della verità
Leonora, eroina
di virile energia
D
ue tenori si alterneranno nel 1996 ha interpretato ruoli da tenore
ruolo del nobile Florestano: eroico in Parsifal, Wozzeck, Fidelio,
Stephen Gould e Wolfang Der Fliegende Holländer, Oberon. Momenti di particolare rilievo nel corso
Millgramm (10, 13, 15 ottobre).
L’americano Stephen Gould, consi- della sua carriera sono stati il debutderato uno dei migliori tenori eroici to nel 2002 nel ruolo di Tannhäuser
d’Europa, ha interpretato il Fidelio al nell’omonima opera al Festival di
Linzer Landestheater, alla Bayeri- Bayreuth e nel 2003 nel Bacco al Fesche Staatsoper di Monaco di Bavie- stival di Las Palmas. Di grande sucra e al Maggio Musicale Fiorentino. cesso la partecipazione dell’artista
Si è esibito nei teatri più prestigiosi ad opere di repertorio italiano e
del mondo e, dopo aver lavorato con francese: Aida, Andrea Chénier, Otelsuccesso per diversi anni a Chicago, lo, Il Trittico, Carmen, Tosca, La Juive e
Boston, Los Angeles, ha partecipato La forza del destino.
al musical di Andrew Lloyd
Webber The Phantom of the Opera. Tornato a New York, ha interpretato brillantemente il Peter Grimes di Britten e il
Tannhäuser di Wagner e, nel
2001, ha debuttato alla Bayerische Staatsoper in Tristan und
Isolde nel ruolo di Melot. Tra le
sue interpretazioni più importanti sono da ricordare Les
Troyens, Otello, Das Lied von der
Erde, Parsifal; grande successo
ha ottenuto nel 2004 in Die Tote
Stadt alla Deutsche Oper di
Berlino.
Il baritono Wolfgang Millgramm, definito “il tenore tedesco con la voce italiana”, dal Susan B. Anthony e Stephen Gould
N
el ruolo di Leonora, grande
eroina che lotta in nome del
trionfo dell’amore e della libertà, si alterneranno i soprani Susan B. Anthony e Lisa Houben
(10,13,15 ottobre).
L’americana Susan B. Anthony,
già interprete del Fidelio ad Amburgo, Vienna, Washington, Berlino, Losanna e Buenos Aires, ha riscosso grande successo nei maggiori teatri d’Europa tanto da essere nominata cantante dell’anno
nel 1995 e nel 1997.
Un sensazionale
successo ha riportato in particolare
nel 2001 all’apertura della stagione
dell’opera di New
York con Fliegender
Holländer, ma è nella rappresentazione di Brunilde in
Sigfrid a Ginevra
che ha dimostrato
di essere uno dei
soprani di maggior
rilievo nel panorama europeo.
Quale soprano solista della Filarmonica di Vienna, si è
dimostrata una straordinaria interprete in ambito concertistico e recitativo e ha lavorato con maestri di
grande calibro come Boulez, Conlon, Davis, von Dohnanyi, Sinopoli,
Perick e Sawallisch.
Soprano di spiccate doti drammatiche, l’olandese-americana Lisa
Houben ha intrapreso una brillante
carriera artistica, riscuotendo particolare successo nei maggiori teatri
internazionali per le sue interpretazioni in Manon Lescaut, Aida, Tosca,
Fidelio, Vanessa, Andrea Chénier,
Bohème, Cavalleria Rusticana, Eugene
Onegin, Faust.
La Houben, particolarmente apprezzata per la sua voce ricca e per
la sua splendida presenza scenica, è
stata eletta “miglior giovane soprano del 2001” dalla rivista francese
“Classica” e ha recentemente affiancato Josè Carreras e Andrea Bocelli in un’esibizione in Vaticano
presso la Sala Nervi. Già interprete
del Fidelio a Metz, Nantes e Angers, ha riportato recentemente notevoli successi in Suor Angelica, Tabarro, Chénier, Nozze di Figaro, Don
Carlos, Vanessa, Aida nonché nel Requiem di Verdi rappresentato nella
prestigiosa Concertgebouw di Amsterdam.
Alfred Reiter e Daniel Lewis Williams
Veronica Cangemi e Rita Cammarano
Rocco, carceriere
dal cuore d’oro
Marcellina,
ingenua innamorata
I
l ruolo del carceriere Rocco sarà
interpretato dai bassi Alfred Reiter e Daniel Lewis Williams (10,
13, 15 ottobre).
Il tedesco Alfred Reiter, dopo un
primo approccio alla musica sacra,
si è dedicato allo studio del canto
presso la Music Academy di Monaco. Vincitore nel 1993 del premio Richard Strauss-Society a Monaco, ha
iniziato la sua carriera a Wiesbaden
e a Norimberga con Die Zauberflöte,
Rigoletto, Das Rheingold, L’incoronazione di Poppea, Fidelio. Nel 1999 ha
preso parte al Parsifal sotto la direzione di Giuseppe Sinopoli. Fra le
sue maggiori interpretazioni sono
da menzionare il Seneca a Stoccarda
e le varie versioni di Sarastro in Die
Zauberflöte a Lisbona, Rouen, Caen,
Berlino, Bologna, Vienna, Londra,
Parigi e nel 2001 al Festival di Salisburgo.
Artista versatile, nel suo repertorio
concertistico sono da menzionare la
IX Sinfonia di Beethoven, il Requiem
di Verdi e La Creazione di Haydn.
D
Daniel Lewis Williams, iniziati gli
ue soprani daranno la vo- gentina) e ha esordito cantando in
studi musicali presso l’Università di
ce all’ingenua Marcellina: Artemide. Fra le sue migliori interUtah in America, si è trasferito preVeronica Cangemi e Rita pretazioni sono da ricordare: Don
sto a Monaco (dove ha avuto come
Giovanni, Die Zauberflöte, Così fan
Cammarano (10, 13, 15 ottobre).
insegnanti di canto Kurt Moll e Kurt
Veronica Cangemi, prima violon- tutte, Le nozze di Figaro, L’elisir d’aBöhme). Dopo aver vinto numerosi
cellista del Mendoza Symphony more, La clemenza di Tito, L’incontro
concorsi, si è affermato professioOrchestra è nata a Mendoza (Ar- improvviso, Catone in Utica, Idomenalmente nei più prestigioneo, L’incoronazione di Poppea, Risi teatri americani ed euronaldo.
Nata in provincia di Salerno, Rita
pei, interpretando tra l’alCammarano ha debuttato nel 1994
tro, oltre Fidelio, anche Secon l’opera Signori la Corte al teaneca, Incoronazione di Poptro delle Celebrazioni di Bologna.
pea, Die Zauberflöte, FreiNel suo repertorio, fra le interpreschütz, Lucia di Lamermoor,
tazioni più importanti in ruoli
Don Carlos, Bohème, Flieprincipali, sono da ricordare L’isogender Holländer, Boris Godunov. La sua migliore rapla disabitata, Orfeo e Euridice, Rigopresentazione in senso asletto e Così fan tutte. È del 1998 la
soluto è comunque quella
partecipazione nell’opera Il viaggio
fornita nel Rosenkavalier di
a Reims nelle vesti della Contessa
Strauss con libretto di Hudi Folleville, eseguita a Wildbad,
go von Hofmannsthal. Arin Germania. Particolarmente aptista dal vasto repertorio, si
plaudite le sue interpretazioni de
è esibito con grande sucla Petite Messe Solennelle, de La memoria perduta e de La Cenerentola.
cesso anche a Roma, VeneVeronica Cangemi e Alfred Reiter
zia, Bologna, Napoli e Torino.
Pagina a cura di Claudia Fagnano - Foto Corrado M. Falsini
6
Fidelio
Il Giornale dei Grandi Eventi
La storia dell’opera
Tre versioni e quattro overture
per l’unica opera di Beethoven
F
idelio, unica opera liri- zione del suo progetto che mento Tours - apparteneva
ca di Beethoven, fu fu messo in scena il 10 ago- al genere teatrale della pièce
composta a Vienna sto 1805. Di ciò che Beetho- a sauvetage molto in voga
tra la fine del 1803 ed il no- ven compose per il libretto nei teatri francesi. Un genevembre 1805 quando il del vulcanico impresario re in cui gli eroi positivi
compositore era già trenta- non rimangono che due trionfano dopo aver subito
cinquenne. La breve espe- frammenti musicali, di cui ingiuste persecuzioni e dorienza come allievo di Sa- il più lungo confluirà suc- po una serie di avventure
lieri e l’incarico di maestro cessivamente nel Fidelio di- tra la vita e la morte, trodi cembalo presso la cap- venendo il duetto di Leo- vando alla fine la salvezza
pella del Principe Elettore nore e Florestan “O namen- grazie ad un colpo di scena,
ricoperto tra il 1783 e il
1785 non si rivelarono
stimoli sufficienti ad
avvicinarlo al mondo
del teatro. Nella prima
produzione, esclusivamente strumentale,
spicca solamente la
composizione di due
arie per tenore e soprano inserite in un Singspiel di Ignaz Umlauf,
Die schone Schusterin
(La bella calzolaia), ripreso a Vienna nel
1796. Tuttavia Beethoven amava moltissimo Theater ad der Wien
il teatro e non appena nel lose Freude”. Ma Beethoven da intendersi non come
1803 si presentò l’occasione era destinato a lasciare al- semplice effetto teatrale,
di comporre un’opera, ac- l’umanità il proprio testa- ma come affermazione otticettò
immediatamente. mento teatrale e umano: mistica dei valori della giuL’impresario Schikaneder, ben presto dall’An der stizia in una unione di perche tanta parte aveva avuto Wien giunse una nuova sonaggi di classi sociali dinella fortuna de Il flauto ma- proposta per un’opera. Il verse. Il testo fu così popogico di Mozart, era in pro- barone Von Braun, nuovo lare da fornire lo spunto
cinto di abbandonare il po- direttore del teatro, gli anche ad altri musicisti coesto di direttore del famoso commissionò la musica per vi di Beethoven: Giovanni
teatro An der Wien e vole- un libretto di Josef von Simone Mayr, che su libretva chiudere con un succes- Sonnleithner, musicista-av- to di Gaetano Rossi, rapso il proprio servizio. Un vocato e editore, che aveva presentò a Padova nel 1805
compositore dalla crescente di recente ottenuto il posto una farsa sentimentale intifama come Beethoven, gli di segretario del teatro di tolata L’amor coniugale e
parve la soluzione ideale. Il corte succedendo a Kotze- Ferdinando Paer che, con
Giacomo Cinti, musicò
12 aprile di quello stesso bue. Il soggetto era
una Leonora, ossia
anno il giornale “Der Frei- tratto da un opera
l’amore coniugale
mutige” annunciava già di Jean Nicolas
che venne rapl’impegno del musicista Bouilly dal tipresentata a
con il teatro An der Wien e tolo Léonore,
Dresda
nel
l’amour
il 2 agosto su un altro pe- ou
1804. A ririodico “Zeitung fur die ele- conjugal anguardo nugante Welt” si dichiarava data in scena
merosi sono
ufficialmente che “Beetho- con grande
gli aneddoti
ven lavora a un’opera di successo il 19
che circolaroSchikaneder”. Il libretto da febbraio 1798
no sulla premusicare, dello stesso al teatro Feysunta conoSchikaneder, era intitolato deau di Pariscenza
da
Il fuoco di Vesta. La trama gi con musiparte
di
piuttosto stucchevole e fa- ca di GaLa
voleggiante, per ciò poco veaux.
Johann Emanuel Schikaneder Beethoven di
tali
lavori.
di
congeniale all’ispirazione trama
beethoveniana, fu presto grande attualità - lo stesso Berlioz raccontò addirittuabbandonata. Il composito- autore sosteneva di averla ra che ad una delle rapprere sciolse il contratto co- ricavata da un episodio sentazioni della Leonore di
stringendo Schikaneder a realmente accaduto al tem- Paer a Vienna, Beethoven
ripiegare su un altro musi- po del Terrore quando egli avesse detto con tono ironicista, Weigl, per la realizza- era governatore nel diparti- co al collega “La vostra opera
mi piace, ho voglia di metterla
in musica”. Si tratta senza
dubbio di un aneddoto sulla cui veridicità non è il caso di soffermarsi, basti tenere presente la profonda
diversità dei tre lavori sia
in termini di risultati musicali che di significati drammatici.
Le differenze
con il testo di Bouilly
Le modifiche apportate da Sonnleithner al
testo di Bouilly non furono molte, tuttavia
sostanziali: il dramma
fu riadattato secondo
lo stile del Singspiel e il
libretto diviso in tre atti. L’attenzione fu, infine, focalizzata su due
punti dell’azione per
consentire un maggiore spazio alla musica:
il dialogo tra il crudele
Pizzarro e il carceriere
Rocco, in cui il primo cerca
la collaborazione del secondo per uccidere Florestano,
e l’episodio dell’assassinio
sventato con lo svelarsi della vera identità di Fidelio.
La composizione occupò il
musicista per la maggior
parte dell’inverno tra il
1804 e il 1805. All’inizio
della primavera il lavoro
era completamente abbozzato e i voluminosi quaderni su cui Beethoven soleva
annotare tutte le idee sono
un’ottima testimonianza
del lungo processo creativo. Pronto l’abbozzo
Beethoven lasciò l’appartamento del teatro per ultimare l’opera in campagna
nel villaggio Hetzendorf,
nei pressi di Vienna. La
partitura fu completata e in
autunno ebbero inizio le
prove in teatro.
Le tre versioni
L’opera con il titolo di Fidelio, o l’amore coniugale andò
in scena il 20 novembre del
1805 al Teatro an der Wien,
in una città occupata dalle
truppe francesi, riportando
un insuccesso tale da essere tolta dal cartellone dopo
solo tre serate. Successivamente Beethoven fu convinto ad eseguire alcuni ta-
Il baritono J.M. Vogl che convinse
Beethoven alla terza versione del
Fidelio e ne fu il primo interprete
di Pizarro
gli e ripresentarla in due
atti il 29 marzo 1806, ma
questa volta furono dissensi con il direttore del teatro
ad indurre il musicista a ritirare l’opera quasi subito.
Infine nel 1814 il Fidelio
acquistò finalmente la forma definitiva. Tre cantanti,
tra i quali Johann Michael
Vogl che sarebbe divenuto
poi amico ed interprete di
Schubert e che cantò la
parte di Pizarro, proposero
a Beethoven una ripresa.
Anche il libretto fu rivisto
con l’aiuto di Georg Friedrich Treitschke. Nacque
così la versione attualmente eseguita, dedicata all’Arciduca Rodolfo d’Austria, la cui overture fu la
quarta
composta
da
Beethoven per il Fidelio.
Ma la consacrazione vera e
propria dell’opera avvenne però nel 1822 grazie alla
magistrale interpretazione
del soprano diciottenne
Wilhelmine Schroder-Devrient nel ruolo di Leonore-Fidelio, che fece trionfare il capolavoro beethoveniano in tutti i teatri europei. Il destino ancora una
volta realizza a suo modo i
desideri degli uomini: come avrebbe voluto il compositore, che al titolo di Fidelio impostogli dalla direzione del teatro An der
Wien avrebbe addirittura
preferito quello di Leonore,
fu proprio la voce dell’eroina femminile a portare
l’opera al successo. L’amore che il compositore non
riuscì mai a condividere in
vita con una donna, perché
caricato di valori ideali talmente alti da non poter essere reso reale, rimarrà per
sempre consacrato nella
magia della canto della
virtuosa Leonore.
Claudia Capodagli
Fidelio
Il Giornale dei Grandi Eventi
7
Un concentrato del pensiero filosofico, etico e morale di Beethoven
Fidelio, capolavoro austero
“Q
uest’opera mi acquisterà la corona
del martirio…”.
Scriveva così, nel marzo
1814, Beethoven al poeta
Georg Friedrich Treitschke, autore della revisione del libretto per la
terza
versione
del
“Fidelio”, andata in scena
con successo nello stesso
anno. Capolavoro indiscusso, “Fidelio”, ma sofferto da Beethoven più di
qualsiasi altra sua creazione musicale. Ne fanno fede, appunto, le tre versioni create fra il 1805 e il
1814 in un processo continuo di rielaborazione, tagli, aggiunte, correzioni
non marginali, ma profonde, nel tessuto drammaturgico del lavoro.
“Fidelio” è l’opera di un
geniale musicista che nel
suo primo e unico impatto con il teatro ebbe l’intuizione di riversarvi tutto il proprio pensiero filosofico, etico e morale.
Formatosi ai principi illuministici,
conquistato
agli ideali della rivoluzione francese, Beethoven
scoprì a Vienna Cherubini e il genere post-rivoluzionario della “piece au
sauvatage” di cui l’artista
italiano trapiantato a Parigi, era il più brillante
rappresentante. Si trattava di testi incentrati sul
dramma del protagonista
perseguitato ingiustamente, condannato a
morte sicura, e, infine,
salvato. Vi si respiravano
i temi che appassionavano Beethoven: il senso
della giustizia, dell’indipendenza, della dignità
umana. Elementi che circolavano allora nel teatro
francese soprattutto nell’opera-comique la cui
struttura (alternanza fra
parti musicali e parti in
prosa) era simile a quella
del Singspiel tedesco
(portato a dignità d’arte
pochi anni prima da Mozart con “Il flauto magico”).
Nell’ampia fioritura della
letteratura del tempo,
dunque, Beethoven scelse il testo di Jean-Nicolas
Bouilly “Leonore” messo
in scena con le musiche
di Gaveau e poi ripreso
da Paer e Mayr.
Ammirato in maniera totale per la costruzione
musicale, “Fidelio” è stato
spesso discusso per la
sua “teatralità”, considerato uno straordinario la-
voro Sinfonico-corale più
che un effettivo testo
drammaturgico. In realtà,
Beethoven, ha lasciato un
capolavoro autentico di
teatro, anche se la sua visione della scena è più
austera, controllata, rigorosa di quella, ad esempio, di Mozart. E in questo senso, è proprio “Fidelio” più della produzione
di Amadeus, il punto di
partenza del teatro tedesco ottocentesco, a cominciare proprio dal
“Freischutz” weberiano.
Dall’idiglio
al dramma
L’efficace “teatralità” è
del resto avvertibile sin
dall’inizio: basta poco per
passare da una scena apparentemente
idillica,
quasi mozartiana (il padre Rocco che cerca di far
sposare la figlia Marcellina al giovane Fidelio) a
un dramma cupo e a fosche tinte nel momento in
cui si capisce che il padre
è un carceriere, Fidelio è
Leonora travestita e al
piano sotterraneo è incatenato la vittima, Florestano, marito di Leonora.
Beethoven, dunque, gioca con intelligenza sui
Il manifesto della "prima" della terza versione del Fidelio del 23 maggio 1814
Ludwig van Beethoven
personaggi, sui caratteri,
sui contrasti, sul tema,
collaudato da secoli, del
travestimento. Calca sull’ambientazione lugubre
della prigione, acuisce i
contrasti fra buoni e cattivi, ponendo anche personaggi in posizioni mediane: il carceriere, ad esempio, è un buon padre di
famiglia, ma non sa opporsi alle angherie del tiranno. Esalta il ruolo della donna come eroina
pronta al sacrificio estremo per il suo consorte (e
in questo prende le distanze da Mozart che nel
“Don Giovanni” e in “Così
fan tutte” non aveva mostrato particolare riguardo per il sesso femminile!), aderendo alla nuova
immagine della “dama
soldato” che in periodo
rivoluzionario aveva fatto particolare fortuna.
Lavorando inoltre sulla
struttura del Singspiel,
Beethoven costruisce i
due atti organizzando all’interno tre poderosi
blocchi musicali alternati
alla prosa. Risaltano gli
imponenti “ensemble”
concepiti quasi come
“quadri viventi”, diversi
pertanto dai concertati
agili di stampo italiano
perché tesi a “bloccarsi”
in momenti di meditazione e di riflessione a scopo
morale (qualcosa di simile si ritrova ad esempio,
nel finale del “Guglielmo
Tell” rossiniano). E poi ci
sono arie e “melodram”,
parti cioè declamate sulla
musica, elementi di raccordo fra il discorso musicale vero e proprio e la
prosa. Il finale è una luminosa cantata celebrativa della libertà e dell’amore coniugale: il coro di
popolo attornia Don Fernando, il ministro buono
che salva Florestano, imprigiona il crudele Pizzarro e consegna a Leonora la chiave per sciogliere
dalle catene il marito.
L’orchestra, duttile e
straordinaria tavolozza di
colori in tutto il decorso
del dramma, si trasforma
in uno sfolgorio di luci, in
un’architettura maestosa
e colossale, aggiungendo
“teatralità” alla “teatralità” della scena.
Restano da ricordare le
Ouverture, ben quattro,
scritte per l’opera. La prima fu ritirata da Beethoven durante le prove e
sostituita dalla seconda
che si legò alla versione
del 1805; per l’edizione
del 1806 fu approntata la
“Leonore” n. 3 che lasciò il
posto ad un’ultima edizione per l’allestimento
(definitivo) del 1814. La
n.3, la più complessa e articolata, a volte viene eseguita a sipario chiuso all’ultimo quadro, come ripensamento dell’azione,
in vista del finale.
Roberto Iovino
Fidelio
8
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Dal “Fuoco di Vesta” a “Fidelio”
Il faticoso rapporto di Beethoven con l’opera
B
eethoven trascorse la
giovinezza rimanendo fondamentalmente estraneo al mondo dell’opera, dedicandosi fino e oltre ai trent’anni quasi esclusivamente alla musica strumentale.
Fu nel 1803 che Johann
Emanuel Schikaneder contattò il maestro di Bonn per
proporgli di musicare un
suo libretto, intitolato Vestas feuer (Il fuoco di Vesta).
Schikaneder era quella singolare figura di cantanteimpresario, amico di Mozart, per il quale aveva
scritto il libretto dello Zauberfloete (Il Flauto Magico).
In procinto di lasciare il posto di direttore del teatro
An der Wien per ritirarsi in
campagna, aveva composto
quest’ultimo libretto secondo quel suo gusto tipico per
il genere eroico-fantastico.
L’azione era ambientata
nella Roma antica e aveva
come protagonista Volivia,
una bella giovane destinata
a divenire vestale, contesa
da più pretendenti che insidiano i suoi progetti matrimoniali con il giovane Sartagone, da lei amato. Durante un tentativo di rapimento della novizia, Romenio, uno dei suoi
pretendenti, viene
ucciso a propria volta, per gelosia, dalla
promessa sposa, Sericia. Anche l’altro
pretendente, Malo,
trova la morte nelle
acque del Tevere.
Dopo tutti gli intrighi e gli episodi sanguinosi che danno
un forte e inusuale
sapore al libretto,
l’elemento magico,
tipico dell’inventiva
di
Schikaneder,
emerge nel lieto fine,
quando il fuoco di
Vesta, benché spentosi, torna a divampare, significando la
benedizione della
dea per le nozze dei
due innamorati Volivia e
Sartagone.
Guardando a Cherubini
Quando Beethoven accettò
l’incarico di musicare questo intricato e scadente libretto, egli non aveva quasi
nessuna esperienza di composizione per il teatro mu-
sicale, a parte le reminescenze dell’insegnamento
del gluckiano Salieri, di cui
era stato allievo.
Gli unici modelli “aggiornati” cui riferirsi erano Mozart, naturalmente, e il fiorentino Luigi Cherubini,
verso il quale Beethoven
nutriva una profonda ammirazione.
Il Renano trasse una notevole ispirazione dalla scrittura di Cherubini, originale
per l’epoca e profondamente pervasa da una spiccata
intensità drammatica e da
un ricco sinfonismo, messo
“mozartianamente” a servizio del teatro.
Il Fuoco di Vesta rimase incompiuto poiché Schikaneder venne estromesso prima del tempo dalla direzione del teatro; il libretto fu
dunque passato al compositore Weigl che lo musicò,
ottenendone scarso successo.
Beethoven stipulò quindi
un nuovo contratto col nuovo direttore del teatro, il
massone barone von Braun,
per un nuovo dramma:
quello che diverrà Fidelio,
oder die eheliche Liebe.
Il nuovo segretario del teatro, il musicista e editore
Sonnleithner gli propose un
soggetto “d’attualità”, la
pièces a sauvetage di Nicolas
Boully Léonore, ou l’amour
conjugal, tratto, a quanto
sembra, da un episodio
realmente avvenuto durante il Terrore, nelle carceri
Ritratto Beethoven di Joseph Kar lstieler 1820
del dipartimento di Tours.
Il dramma di Boully, arricchito da numeri musicali
del compositore e cantante
Gaveaux, aveva riscosso a
Parigi uno splendido successo per il suo particolare
accostamento del tipico patetismo della settecentesca
comédie larmoyante ad un
evento storico contemporaneo e attuale.
Il libretto fu abilmente rimaneggiato da
Sonnleithner
che
“tirò in lungo” la vicenda per dare uno
spazio adeguato alla
musica di Beethoven,
soprattutto nei due
punti chiave dell’azione: nel dialogo tra
Rocco e Pizarro e nell’episodio dell’assassinio sventato. Queste modifiche accentuarono moltissimo
l’efficacia del dramma.
La vicenda fu però
trasposta dalle carceri
rivoluzionarie
francesi ad una prigione spagnola presso Siviglia.
Il lavoro di Beethoven andò dunque in scena,
suddiviso in tre atti, all’An
der Wien il 20 novembre
1805, con il nome di Fidelio,
(il falso nome utilizzato
dalla protagonista Leonora,
travestitasi da uomo per ritrovare il marito).
La congiuntura storica fu
però sfavorevole alla buona
riuscita dell’opera: Napoleone aveva occupato Vienna e alla prima assistettero
in gran numero militari
francesi che non gradirono
la vicenda e l’eccessiva lunghezza dell’opera. Fu un
fiasco anche per l’inadeguatezza delle voci: si diceva che Beethoven trattasse
le voci come strumenti a
causa anche della sua sordità, ma i cantanti non furono realmente all’altezza del
ruolo.
Dopo tre repliche Beethoven ritirò l’opera che gli era
costata due anni di lavoro.
Stehphan von Breuning, allora, si accollò il delicato
compito di ridurre in due
atti il dramma e di modificare il libretto: l’opera fu riproposta - con il titolo tradizionale di Leonore - nello
stesso teatro l’anno dopo,
nel 1806, ed ebbe una tiepida accoglienza.
Il direttore del teatro von
Braun non volle pagare il
dovuto a Beethoven, che se
ne andò sbattendo la porta
e ritirando nuovamente la
partitura, chiudendo definitivamente ogni rapporto
con il teatro An der Wien.
Il Fidelio sembrava definitivamente chiuso nel cassetto
“fallimenti” quando, nel
1814, il teatro di Porta Carinzia (Kaerntnertohor) richiese l’opera a Beethoven.
Stavolta il compositore godeva dell’onda di successo
procuratagli dalle esecuzioni viennesi della Vittoria di
Wellington e revisionò attentamente la partitura, mentre
un nuovo collaboratore letterario, il giovane Georg
Friedrich Treitschke (che era
il nuovo direttore dei teatri
imperiali) poneva mano alla
struttura del dramma.
Treitschke sfrondò molto le
parti recitate e liquidò in
poche battute l’intrighetto
di Marzelline, innamorata
del presunto giovanotto Fidelio; le figure di Jaquino,
Rocco e Marzelline, (ultimi
collegamenti con il singspiel mozartiano, di cui l’equivalenza tra personaggi
nobili e plebei era tratto caratteristico), vennero relegate in secondo piano di
fronte all’emergere di virtù
e passioni a tutto tondo,
rappresentate dai simbolici
personaggi primari che celebrano finalmente una altissima moralità “laica”.
L’intelligenza di queste
modifiche consentirono finalmente a Beethoven di
porre al centro della vicenda il vero protagonista, l’elemento spirituale che fa di
Fidelio il veicolo di un
messaggio profondamente
umanistico: le eroiche virtù
coniugali di Leonore e i valori della libertà contro
l’oppressione tirannica.
An. Ci.
Ritratto Beethoven di C. F. Riedel 1801
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Fidelio
9
La sordità di Beethoven
La musica immortale che nacque dal silenzio
D
er neidische Daemon,
il Demone invidioso, così Beethoven
chiamava la terribile sordità che fin dal 1796 (all’età
di 26 anni) reiterava i suoi
assalti al suo prezioso udito e che in pochi anni divenne pressoché totale.
Il 21 giugno del 1801
Beethoven aveva 31 anni e
così scriveva al suo amico
medico Franz Gerhard
Wegeler: «Devo confessarti
che conduco una vita infelice.
Sono almeno due anni che
evito qualsiasi compagnia,
perché non posso dire alla
gente che sono sordo.[...] Se
avessi un’altra professione la
mia infermità non sarebbe così grave, ma nel mio caso è
una menomazione terribile! E
se i miei nemici, che non sono
pochi, venissero a saperlo...Al
teatro per sentire gli attori devo mettermi accanto all’orchestra, altrimenti non odo le
note acute degli strumenti e
delle voci. Nella conversazione , c’è da sorprendersi, ci sono persone che non se ne sono
mai accorte, ma siccome sono
per lo più distratto, a questo
attribuiscono la mia debolezza d’udito, talvolta odo a malapena chi mi parla sottovoce,
odo bene i suoni ma non le parole, eppure, appena uno grida, mi riesce insopportabile.
[...] Più volte ho maledetto il
Creatore e la mia esistenza,
nali, un punch ghiacciato
verdi di noci cotte nel latte,
Plutarco mi ha condotto alla
al giorno, spugnature di
olio di mandorle e di rafarassegnazione. Voglio, se mai
acqua gelata sull’addome
no).
ci riuscirò, sfidare il mio dedel paziente!
stino, anche se la mia vita
Tutto ciò debilitò definitiavrà momenti in cui sarò la
vamente il fisico del mupiù infelice delle creature di
sicista affrettandone la
Dio».
morte per malattia del
Al 1802 risale forse il
fegato.
momento di più nero
Contrariamente ai
sconforto del compopestiferi tentativi
sitore, che meditò sedei medici, un valiriamente il suicidio,
do aiuto al compocome confessa nel
sitore fu offerto dal
noto “Testamento di
buon
meccanico
Heiligenstadt”.
della corte vienneTuttavia, egli seppe
se, Johann Nepotrovare nella sua arte
muk Maelzel, (inun ultimo forte appiventore del metronoglio alla vita, e la sua
mo) che gli costruì
Musa non lo abbanabilmente parecchi
donò. Fu infatti in
cornetti acustici, alquel periodo che
cuni enormi, e addiBeethoven, costretto
rittura uno strumendai medici a un sogto musicale costruito
giorno in campagna
il
presso la cittadina di Ritratto Beethoven Ferdinand Schimon 1818-1819 appositamente,
Phanarmonicon, una
Heiligenstadt per rispecie di piccola orchestra
Le terapie galvaniche del
posare l’udito, ebbe modo
in miniatura con cui
famoso dottor Schmidt lo
di immergersi nei silenzi e
Beethoven scrisse parte di
portarono a sottoporsi pernei soavi rumori della naLa Vittoria di Wellington.
sino a un cura a base di
tura che gli ispirarono la
Tra gli altri congegni per
corrente elettrica.
VI Sinfonia, detta Pastorale.
amplificare il volume del
I trattamenti per l’udito
La ricerca di aiuto
pianoforte, Beethoven si
fuono dannosi, ma realnella medicina del tempo
serviva a volte di una cassa
mente micidiali furono
Caparbiamente e tenacearmonica supplementare
quelli che i medici premente Beethoven persisteappoggiata al pianoforte, a
scrissero a Beethoven nelva nel cercare, con l’aiuto
volte di una bacchetta di
l’intento di liberarlo dai
della scienza di curare o
legno tenuta appoggiata
suoi disturbi intestinali.
quantomeno arrestare il
con i denti alla cassa, in
Le prescrizioni del celebre
progressivo
aggravarsi
modo da percepirne le vidottor von Malfatti diededella sua disgraziata infermità. Mentre a livello spirituale aveva accettato questa sfida con se stesso, il
duello fisico-pratico con la
malattia non si era interrotto.
Da questo nacque lo stretto
rapporto con i suoi medici,
che lo assistevano anche
per i problemi intestinali
che lo assillarono per tutta
la vita; ad alcuni di loro
Beethoven dedicò sue
composizioni, ma più
spesso vi furono con essi
frequenti ragioni di disaccordo, addirittura di discordia.
Considerato il livello semistregonesco della medicina
dell’epoca, non potremmo
certo dar torto a Beethoven
La maschera mortuaria di Beethoven
per le sue reazioni: egli dobrazioni, e si era fatto veniro, nel 1827, addirittura il
vette assoggettarsi a lavagre dall’Inghilterra uno specolpo di grazia a Beethogi saponosi, diuretici, sufciale
pianoforte
ven: per curare la sua diarfumigi, vescicanti, sudoriBroadwood, dalla sonorità
rea il Malfatti prescrisse
pari, instillazioni di oli e
potenziata. E continuava a
saune bollenti alle foglie di
unguenti più o meno urticomporre...
betulla, paracentesi per
canti nei condotti auditivi
Molto si è discusso sulla
aspirare i liquidi addomi(come l’estratto di bucce
radice patologica della sordità del Gigante: alcuni
medici parlarono di otosclerosi, di cui sono tipici i
sintomi della perdita progressiva dell’udito e il brusìo continuo, mentre l’impossibilità di percepire le
frequenze alte diede spazio ad altre ipotesi, come
quella più recente del prof.
Cavallazzi, otologo dell’università di Milano che invece parla di affezione dell’orecchio interno, con degenerazione del nervo acustico.
Il ruolo della malattia
È fuori di dubbio che la
sordità e gli altri malanni
giocarono un ruolo fondamentale nell’evoluzione
artistica di Beethoven. La
malattia che inizialmente
apparve come un demone
invidioso, come la maledizione scagliata dagli Dèi
gelosi, si rivelò un angelo
benefico per lui stesso e
per l’umanità dei secoli futuri.
Poiché infatti Beethoven
non riusciva a sentirsi
mentre suonava fu costretto ad abbandonare la carriera concertistica per privilegiare l’attività compositiva. Le alterne vicende
di salute interruppero però
spesso la sua produzione
musicale costringendolo a
periodi di forzata “riflessione”.
La difficoltà nella comunicazione con gli altri fece sì
che iniziasse ad adoperare
taccuini di conversazione
(i famosi Konversationschaefte) che oggi rappresentano per noi un fondamentale documento sugli
ultimi anni di vita del compositore.
Ma, soprattutto, l’essere
isolato dal mondo e dai
suoni esterni lo guidò nella
coraggiosa intrepresa di
una nuova via creativa: la
sordità costrinse quest’uomo ad una sorta di “ascetismo musicale”, il suo genio non più si nutriva dei
suoni del mondo, di cui
aveva avuto larga esperienza, ma cominciò a sentire la musica che veniva
dal più profondo di se stesso, direttamente dal perfetto silenzio della sua anima.
Andrea Cionci
Fidelio
10
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Tanti tentativi pensando a Goethe, Voltaire e Shakespeare
Ludwig alla caccia di libretti d’opera
«…s
pero di scrivere
infine ciò che per
me e per l’arte è la
cosa più grande: il Faust».
Annotava così, nel 1823,
Beethoven nei suoi “Quaderni di conversazione”. Il
grande compositore, dun-
Franz Grillparzer
que, profondo ammiratore
di Goethe, sognava la creazione di un “Faust”, momento culminante del suo
personale itinerario non solo musicale, ma filosofico.
“Fidelio”, come è noto, rimase l’unica opera teatrale
realizzata da Beethoven
che, tuttavia, prima e dopo
tentò altre strade, fece progetti, meditò sul teatro e su
una concezione drammaturgica innovativa.
Per un compositore del
suo tempo era, del resto,
difficile tenersi lontano
dalle scene. Le sollecitazioni erano troppe e
non va dimenticato
che fra i suoi maestri viennesi, il musicista di Bonn annoverava Salieri, il
rivale di Mozart,
operista cresciuto
sulla scia di Gluck.
Nel 1803, precedentemente, dunque, al
“Fidelio” e contemporaneamente alla
Terza
Sinfonia,
Beethoven ebbe il
suo primo contatto
con
Emanuel
Schikaneder, l’estroso direttore del Teatro an
der Wien che aveva lavorato con Mozart per “Il flauto
magico”. Schikaneder propose all’artista un libretto di
argomento favoleggiante e
fantastico, dal titolo “Il fuoco di Vesta”. Il progetto non
fu portato a termine, ma stimolò l’artista ad approfon-
Al Teatro Costanzi per
la prima volta nel 1929
Fidelio ed
i teatri italiani
“F
idelio” è ormai diventata
opera
“popolare”. Basta pensare che in questo
2004 è comparsa in tre diversi teatri italiani: a parte
Roma, anche a Genova
nell’aprile scorso, mentre
nel prossimo mese di novembre approderà al Comunale di Bologna.
Eppure il rapporto fra il
capolavoro beethoveniano
e i nostri palcoscenici è
stato in passato tutt’altro
che facile.
“Fidelio” arrivò in Italia nel
1883 al Teatro Dal Verme
di Milano. Dopo un’apparizione a Roma nel febbraio 1886 al Teatro Apollo, scomparve per il resto
dell’Ottocento. Occorre al-
lora aspettare il 1927 per
rivederlo alla Scala e al Regio di Torino nel primo
centenario della morte dell’autore. Tre anni dopo fa
la sua comparsa a Firenze,
nel 1937 raggiunge Genova. Altre città di rilievo in
campo teatrale lo mettono
in scena solo nel secondo
dopoguerra. È il caso, ad
esempio, di Bologna, città
wagneriana per eccellenza, attenta alla produzione
tedesca, che, pure, aspetta
fino al 1947. At Teatro dell’Opera di Roma la prima
rappresentazione risale al
marzo 1929 sotto la direzione di Gino Marinuzzi,
mentre l’ultima ebbe luogo nell’aprile del 1996 diretta da Zoltan Pesko.
dire le conoscenze del teatro, interessandosi in particolare a Cherubini, l’autore
che nel passaggio fra Settecento e Ottocento era certamente il più innovativo e
solido sul piano dei mezzi
espressivi. Guardando a
Cherubini,
Beethoven,
compose di lì a poco “Fidelio” e ne approntò tre stesure in una graduale ma inesorabile opera di perfezionamento del proprio linguaggio drammaturgico.
Chiusi i conti con l’eroina
Leonore, accantonata la
struttura del Singspiel,
Beethoven si gettò a capofitto nella ricerca di nuovi
stimoli, vagheggiando una
forma di teatro più compatta e coerente nel suo interno: pensò a Voltaire
(“Zaira”), a Shakespeare (“Macbeth”
e “Giulietta e Romeo”) a Schiller
(“Fiesco”). Ricerche
vane come vano fu
l’ultimo tentativo
di collaborazione
con il drammaturgo austriaco Franz
Grillparzer,
il
grande letterato
che nel 1827 avrebbe tenuto l’orazione funebre di
Beethoven e che Disegno Beethoven di Stephan Decket del
nel 1823 gli propo- maggio 1824
se la storia di Melusina, un intreccio amoro- Grillparzer fu poi musicato
so e fantastico, che aveva da Conradin Kreutzer e
già interessato Goethe. ispirò nel 1833 l’Ouverture
Beethoven rinunciò anche “Die schöne Melusine” di
in questa occasione alla col- Mendelssohn.
laborazione e il libretto di
R. I.
Una peculiarità del teatro tedesco
I Singspiele
I
l termine Singspiel designava alla metà
del Seicento una qualsiasi forma teatrale caratterizzata dall’uso della lingua tedesca, in contrapposizione all’Italiano, idioma d’arte per eccellenza.
La sua affermazione nel tempo è dovuta
però anche ad altri fattori. Si tratta di un
genere del teatro musicale dell’area tedesca, che prevede l’alternanza di brani cantati con brani recitati, con una struttura simile a quella dell’opéra-comique francese,
della ballad-opera inglese o della zarzuela
spagnola. Di solito presenta l’argomento
della Zauberoper, l’opera fantastica, una
commistione di elementi favolistici, realistici ed allegorici, che unisce il tragico ed il
comico alternando momenti buffoneschi a
toni aulici. Per queste sue particolarità il
Singspiel richiede, rispetto all’opera, un’orchestra ridotta e non ha bisogno di cantanti virtuosi, quanto piuttosto di voci capaci
di recitare testi teatrali. Un ruolo di primo
piano hanno invece l’allestimento di macchine e l’uso di espedienti tecnici atti a
rendere la magia della favola.
Durante tutto il Settecento il Singspiel occupa un posto di secondo piano ed è volto a soddisfare il gusto popolare, mentre
il teatro colto rimane sotto l’influsso dell’opera italiana e francese. I primi a presentare Singspiele apprezzati dal pubblico
tedesco furono nella seconda metà del secolo musicisti come Johann Adam Hiller
(1728-1804) e Karl Ditters von Dittersdorf
(1739-1799), che s’ispirarono a modelli
francesi e all’opera buffa italiana. Lo stesso Mozart, all’età di dodici anni, aveva
composto Bastien und Bastienne, storia
d’amore in un atto, influenzata dagli in-
termezzi francesi visti durante il suo primo viaggio a Parigi nel 1767. La nascita
del teatro nazionale tedesco, però, caratterizzato da lingua e carattere specifici, si
fa risalire al Ratto del Serraglio (1782) ed al
Flauto Magico.
All’epoca del Ratto del Serraglio, a Vienna
la vita teatrale era gestita in prima persona dall’imperatore Giuseppe II o, in sua
assenza, dal “direttore generale dello
spettacolo”, il conte Orsini Rosenberg. Il
dibattito sui generi operistici era vivace:
l’imperatore tentava di promuovere il
Singspiel per assecondare il nascente sentimento nazionale ed insegnare al popolo
multietnico di Vienna un tedesco corretto
mediante spettacoli popolari. L’aristocrazia ed il pubblico borghese, d’altra parte,
continuavano a preferire la tradizionale
opera italiana. Fu così che il tentativo di
tenere aperto stabilmente il Singspiel nazionale nel Burgtheater, a quel tempo rinominato “K.u.K (Imperial-regio) Nationaltheater” fallì e nel 1783, nonostante il
successo del Ratto del Serraglio, l’imperatore dovette riorganizzare la compagnia
dell’opera con cantanti italiani, mentre lo
spettacolo popolare continuò ad essere
rappresentato solo nei teatri “sperimentali” di periferia.
All’inizio dell’Ottocento, però, sull’onda
del successo mozartiano, opere come il
Fidelio di Beethoven ed Il Franco Cacciatore di Weber ripresero il Singspiel nato per
la fantasia popolare e, elaborandolo con i
temi romantici, lo portarono verso la trasformazione in un nuovo genere: l’operetta viennese.
E.C.A.
Il
Fidelio
Giornale dei Grandi Eventi
11
Le versioni dell’opera
Quattro Leonore per un’overture
L’
iter compositivo
del Fidelio è davvero tra i più
straordinari e tormentati.
Esistono infatti addirittura
tre diverse versioni dell’opera ed è senz’altro l’unica
opera a poter vantare ben
quattro diverse ouvertures.
Fidelio o L’amore coniugale
andò in scena nella sua
prima versione in tre atti il
20 novembre 1805 al teatro
An der Wien. La rappresentazione fu un vero e
proprio fiasco per una serie di circostanze sfavorevoli. La compagnia di canto si componeva di interpreti piuttosto mediocri: il
soprano Anna Milder, pupilla di Haydn, era una
giovinetta di vent’anni
provvista di voce “solida
come un palazzo”, ma totalmente priva di capacità interpretative. Il tenore Friederch Demmer, Florestano, era ormai alla fine della carriera e la voce era
molto compromessa. Pizzarro era interpretato da
Sebastian Meyer, marito in
seconde nozze di Josepha
Weber cognata di Mozart e
prima Regina della notte
nel Flauto Magico. Meyer,
sebbene dotato di una
buona vocalità, era un pessimo musicista. Gli aneddoti raccontano che gloriandosi della propria parentela con Mozart, non
perdeva occasione per
confrontare sfacciatamente la scrittura vocale di
Beethoven con quella del
genio viennese. Tale atteggiamento gli guadagnò
l’antipatia del musicista tedesco che si vendicò inserendo nella parte di Pizzarro dissonanze e intervalli di difficile intonazione per metterlo in difficoltà. Il resto della compagnia era formata da Louise
Muller nel ruolo di Marcelline, il tenore Caché nel
ruolo di Jaquino, il basso
Rothe in quello di Rocco e
il baritono Weinkopf, il
migliore del cast, era Don
Fernando. All’insuccesso
contribuì anche il precipitare degli eventi politici: il
13 novembre Vienna veniva occupata dalle truppe
napoleoniche. Alla rappresentazione assistette, quin-
di, non l’aristocrazia amica
di Beethoven, ma un pubblico disinteressato composto per la maggior
parte da ufficiali dell’esercito napoleonico.
Troppo lunga
la prima versione
Tuttavia la causa principale dell’insuccesso fu l’eccessiva lunghezza dell’opera e i suoi grandi squilibri strutturali-teatrali. Fortunatamente agli amici di
Beethoven non sfuggì la
possibilità che apportando
dei cambiamenti e taglianblicò una riduzione per
do drasticamente la particanto e pianoforte, che ebtura, il Fidelio avrebbe pobe il pregio di far conoscetuto ottenere il successo in
re l’opera e le sue arie.
quella occasione negato. In
una memorabile serata teLa terza e definitiva
nutasi a metà dicembre in
versione
casa del principe LichnowNella primavera del 1814
sky, la compagnia, alla
giunse però una nuova ocpresenza di un sofferente
casione per Fidelio: il teatro
Beethoven, operò tutte le
di Porta Carinzia, sulla
modifiche necessarie. Il 29
scia della popolarità ottemarzo 1806, così rimanegnuta per le esecuzioni
giata e ridotta in due atti
viennesi della Vittoria di
Fidelio andò nuovamente
Wellington, chiese al comin scena, ancora al Teatro
positore di poter mettere
an der Wien e ancora con
in scena nuovamente la
lo stesso cast della prima
sua opera. Beethoven acrecita. Fu sostituito solacettò a patto di poterla rimente il tenore: il ruolo fu
maneggiare nuovamente.
affidato
a
Augusto
Questa volta scelse come
Roeckel, giovane cantante
e diplomatico dall’ottima voce e
dall’altrettanta popolarità.
La
nuova versione, sebbene fortemente alleggerita
rispetto alla
precedente,
rimaneva ancora lunga e
gli ingenti taFidelio in una delle figurine Liebig
gli avevano
compromescollaboratore il poeta
so il complessivo equiliGeorg Friedrich Treitschke
brio della composizione e
con il quale da qualche anquindi ottenne un succesno aveva già accarezzato
so di stima. Dopo tre sole
l’idea di una collaboraziorappresentazioni Beethone, mai concretizzata, per
ven ritirò la partitura per
un‘opera Le rovine di Babiun litigio con il direttore
lonia. L’11 aprile di quello
del teatro il barone Von
stesso anno i due artisti ebBraun. Il Fidelio rimase da
bero occasione di gustare
allora nel cassetto per diun piccolo anticipo del
versi anni e solo nel 1810
successo: in occasione dell’editore Breitkopf pub-
l’occupazione di Parigi
delle armate alleate, al teatro Porta Carinzia fu
rappresento
un
Singespiel in un
atto di Treitschke. Beethoven compose il
coro finale Die
gute Nachrict (La
buona novella), che fu
talmente apprezzato da dover
essere replicato per ben
sette volte. Un
b u o n
inizio
per questo nuovo sodalizio artistico! I rimaneggiamenti di
Treitschke, infatti, finalmente lucidarono quel
diamante grezzo che era il
libretto del Fidelio facendolo splendere di una nuova
luce. Le modifiche ridussero ulteriormente l’opera e
valorizzarono i significati
ideali di cui essa era portatrice sin dalla sua prima
versione: fratellanza, amore e eroiche virtù coniugali, che costituivano l’essenza dell’ispirazione beethoveniana. Tutti gli aspetti
da opera quasi buffa: la
passione di Marcelline per
Leonore-Fidelio e la gelosia del giovane Jaquino
per fanciulla, rilevanti
nell’opera di
Bouilly, nella versione
del 1814 vennero circoscritti alla
prime scene
del dramma
chen assume
dall’ingresso
di Pizzarro i
toni della vera tragedia.
Fidelio andò
dunque nuovamente in scena il 23 giugno 1814 al teatro di Porta
Carinzia ottenendo finalmente l’agognato successo.
Le quattro overture
di Leonore
Un capitolo a parte merita
poi la vicenda delle quattro ouvertures scritte da
Beethoven per quest’ope-
ra. La Leonore n.1, in do
maggiore, chiamata anche
“ouverture caratteristica” e
indicata con il numero di
op.138, fu pubblicata postuma dall’editore Haslinger. Dubbio è se sia stata
composta in occasione della premiére del 1805 e poi
sostituita con la Leonore n.2
op. 72 anch’essa in do maggiore, oppure se fu composta successivamente. Tradizione vuole che Beethoven l’avesse eseguita nel
salotto del principe Lichnowsky prima della rappresentazione e su consiglio dei presenti avesse poi
deciso di sostituirla con la
Leonore n. 2. Secondo altri
la Leonore n. 1 sarebbe invece stata composta nel
1807 per l’inaugurazione,
mai avvenuta, di una stagione del teatro di Praga.
La Leonore n. 3 anch’essa in
do maggiore, invece, fu
utilizzata per la ripresa
dell’opera nel marzo 1806
e oggi spesso eseguita come intermezzo tra i due atti. Per il rifacimento del
1814, infine, fu scritta una
quarta ouverture, questa
volta in mi, che è quella
eseguita nelle moderne
rappresentazioni e chiamata ouverture Fidelio. Altri, invece, ritengono che la
prima Leonore sia stata eseguita nelle rappresentazioni del 1805 e la Leonora n. 2
in quelle del 1806, mentre
la Leonore n. 3 sarebbe stata composta e poi mai eseguita come introduzione
dell’opera. Sia la Leonora n.
2 che la Leonora n. 3 sono la
sintesi del percorso dell’opera, dall’oppressione del
carcere di Florestano, ai
proverbiali squilli di tromba che fanno da prologo al
conclusivo impeto liberatorio ed ebbero grande fortuna come pagine orchestrali autonome, poiché in
esse si vide l’anticipazione
del poema sinfonico. Ma
forse proprio per la loro
grandezza furono dallo
stesso Beethoven giudicate
inidonee ad un’opera la
quale si apre in un clima di
commedia borghese che
serve da premessa e da base per il nucleo drammaturgico di tutta l’opera.
Claudia Capodagli
Fidelio
12
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Ludwig van Beethoven
Il genio di Bonn
I
l 17 dicembre 1770 il
piccolissimo Ludwig
van Beethoven è portato al fonte battesimale
della chiesa di San Remigio di Bonn, allora graziosa cittadina di provincia con circa 10 mila abitanti. Nessun documento
attesta la nascita del
bambino, battezzato col
nome del nonno suo padrino, avvenuta con ogni
probabilità il giorno precedente.
Il piccolo non ha ancora
cinque anni, ma già mostra grande predisposizione per la musica; a
sette inizia la scuola elementare, preparatoria a
quella di cattedrale e il 26
marzo 1778 il padre lo
porta ad esibirsi in concerto a Colonia con una
cantante, sua allieva. Il
Principe elettore di Colonia, in qualità di Arcivescovo sa di ospitar nella
sua residenza un giovane promettente e lo affida ai migliori musicisti.
Beethoven scopre così
organo e violino.
Allievo di Neefe, fervido
illuminista, il gusto musicale di Beethoven è formato sui più grandi musicisti, Mozart, Haydn,
Ritratto di Beethoven al tempo di Fidelio (1805)
Bach. I primi veri lavori
sono per pianoforte, lo
strumento che lo accompagnerà sempre nei passaggi nodali della sua
creatività.
Nel 1789 Beethoven percepisce il primo stipendio al servizio del duca
Segue Intervento da pag. 1
“Fidelio”, “Tancredi”, “Il
Vascello Fantasma” per
concludere con “Il Pipistrello” di dicembre sono
il segno dell’efficacia raggiunta nell’erogazione di
un servizio culturale di rilevante interesse collettivo, che in questo Teatro
solo pochi anni fa non sarebbero stati una certezza.
I titoli di balletto, al Nazionale e poi al Costanzi
segnano, altresì, l’importanza che abbiamo dato
alla danza ed alla nostra
Compagnia di balletto.
Nel cammino compiuto
dall’Opera di Roma si sono incontrati, positivamente, interessi privati ed
interessi pubblici, con
evoluzioni diverse, secondo le leggi che si sono succedute.
Il progetto artistico princi-
pale del prossimo anno
sarà celebrativo del 125º anniversario dell’apertura
dell’Opera di Roma. Nella
continuità con il passato ci
sentiamo impegnati ad assolvere il ruolo di conservazione e diffusione di quell’autentico valore culturale
fortemente italiano che è il
melodramma e di protezione verso l’impiego artistico
contemporaneo.
Vogliamo unire competenze, forze ed idee, secondo la nostra tradizione:
chiederemo l’apporto del
nostro pubblico, abbonati
e frequentatori, per assicurare al teatro i migliori risultati credendo all’epigrafe che “l’arte rinnova i
popoli e ne rivela la vita”.
Francesco Ernani
Sovrintendente al Teatro
dell’Opera di Roma
Joseph II, presso la corte
di Bonn. Da quest’ultimo
è inviato a Vienna a perfezionare la sua formazione e per il giovane
Ludwig questo è il luogo
migliore del mondo, dove «tutto è sublime: i
concerti, i teatri, i maestri».
A Vienna, infatti, le famiglie ricche, nobili o borghesi, coltivano la musica. Ogni anno la Società
dei Musicisti organizza
un concerto di beneficenza per orfani e vedove.
Nel 1793 Beethoven si
trasferisce da un lontano
parente, il Conte Lichonowsky e lì Salieri lo inizia alla musica vocale e
alla prosodia della lingua
italiana, mentre prende
contatti con Artaria, il
più grande editore musicale viennese. Sogna di
estendere il suo successo
musicale. Berlino e Praga
lo applaudono.
Dà lezioni di pianoforte e
compone in piena libertà, imprimendo ormai
ad ogni opera il suo personale ed inconfondibile
marchio.
Il destino però bussa presto alla sua porta:
Ludwig sta perdendo irrimediabilmente l’udito
e ciò compromette i suoi
rapporti interperesonali;
si isola sempre più, medita il suicidio ed è solo
l’amore per la musica a
distoglierlo.
Nel 1802 scrive il celeberrimo testamento di Heiligenstadt e si ripete: «voglio sfidare il Destino».
Si innamora perdutamente di Giulia Guicciardi, presunta “amata immortale”, ipotizza addirittura le nozze.
Novembre 1805 : è la prima di Fidelio, sua unica
opera lirica e sarà un fiasco. A quest’opera rimetterà mano altre due vote
in nove anni. Entra in
contatto col principe
Esterhhàzy e lascia Vienna. Due mesi dopo la
città è assediata da Napoleone, la famiglia imperiale fugge.
Beethoven compone con
passione le musiche per
Egmont di Goethe.
Con il nuovo ordine europeo post-napoleonico e
nell’ euforia del congresso di Vienna, le musiche
del genio tedesco sono richiestissime, ma nonostante il successo in
Beethoven torna l’inquietudine. Nel settem-
bre 1817 annota: «senza
musica mi avvicino sempre più alla tomba…».
Nonostante la tristezza
che lo pervade per anni,
Ludwig decide di musicare l’Ode alla Gioia di
Schiller. Mentre scrive gli
ultimi quartetti si ammala di polmonite; uniche
consolazioni le letture, le
visite di amici e la musica, che può solo vedere
suonare , ma non più
sentire.
Muore alle cinque e tre
quarti del pomeriggio
del 26 marzo 1827, lasciando un’ ultima annotazione scritta di suo
pugno: «solo l’ arte e la
scienza ci fan sperare in
un’esistenza più nobile».
Il pomeriggio del 29 marzo al funerale Vienna,
sfacciatamente, gli rende
tutti gli onori negati in
vita: oltre 20 mila persone visitano la salma
esposta nel cortile della
casa dove aveva abitato.
Dopo la benedizione in
una chiesa gremita, l’amico Franz Grillparzer
davanti al cimitero di
Anschütz tiene l’orazione funebre.
Ch. Cri.
Beethoven in un quadro di Ferdinand Georg Waldmuller 1823
Il
Fidelio
Giornale dei Grandi Eventi
I
l librettista francese
Jean-Nicolas Boully,
nacque a Tours nel
1763 poco dopo la morte
del padre, e fu cresciuto
amorevolmente dalla madre e dal patrigno avvocato di grido nonché professore di filosofia naturale.
Fu ovviamente indirizzato agli studi giuridici, nonostante il suo talento per
la scrittura che lo portò
ben presto a modificare le
sue prospettive lavorative.
Suo primo libretto fu
“Pierre le Grand”, accolto
con favore dall’amministrazione dell’Opéra-Co-
13
L’autore del dramma
Jean-Nicolas Boully
mique e di Madme Dugazon, prima cantante dell’opera parigina, la quale
lo aiutò a convincere Grétry a metterlo in musica.
La “prima” fu un successo, ma i suoi sottostanti
sentimenti realisti successivamente gli causarono il
bando dalle scene.
Si fidanzò con la figlia di
Grétry, Antoniette, ma la
morte di tubercolosi di lei
impedì le nozze.
Nel periodo del Terrore
tornò a Tours, dove fu a
capo della Commissione
Militare, e lì incorse nell’esperienza famosa che
fornì le basi per la trama
di “Lèonore ou l’amour
conjugal”( prima messo in
musica da Gaveaux, poi
trasformato nel “Fidelio”
di Beethoven) e “Le due
giornate” di Cherubini.
Nel 1795 tornò a Parigi
dove lavorò per la Commissione per la pubblica
Istruzione ma che lasciò
dopo tre anni per dedicarsi alla scrittura.
Gradualmente si iniziò ad
allontanare dal genere
dell’ Opèra-Comique producendo molte commedie
e Vaudevilles ( la più famosa è Fanchon la villeuse,
1801, una collaborazione
con Joseph Pain), due collezioni di fiabe morali per
bimbi spesso ristampate e
le sue famose memorie , in
cui offre un idealizzato
quadro di sé.
Il suo primo libretto Pierre
le Grand è già marcato
chiaramente da quel tipo
di drammatica verità e
realismo che renderà Sedaine il librettista più famoso dell’Ottocento.
Gli fu attribuito il titolo di
poeta lachrymal. In fondo
Lèonore è un racconto di
virtù premiata.
Sebbene la sensibilità e la
maniera di Boully andò
fuori rispetto allo stile della seconda decade dell’Ottocento, fu sempre di sicuro rispettato come un poeta abile e un indubbio talento drammatico. Morì a
Parigi nel 1842.
I Librettisti
Joseph
von Sohnneleitner
L
ibrettista austriaco, nacque
a Vienna nel 1796 da una
eminente famiglia di musi-
cisti.
Amante delle arti più raffinate,
editò il viennese Theater Almanach
dal 1794 al 1796 e aiutò a rendere
popolare la Gesellshaft der Musikfreunde (Società degli amanti
della musica) ed il Conservatorio
di Musica ad essa associato dal
1812 fino al 1814.
Fu segretario di Corte a Vienna fino al 1814 e della Associazione
degli Amanti della Musica fino alla morte.
Una storia della musica in più volumi fu da lui ideata in collaborazione con Joseph Forkel, ma non
vide mai la luce.
Scrisse e tradusse libretti per Cherubini, Seyfried, Weigl e Gy-
rowetz ma il suo contributo più
famoso resta l’adattamento del libretto di Boully “Lèonore” per le
musiche di Beethoven nel Fidelio.
Per quanto si tratti per lo più di
una traduzione, il librettista austriaco tentò di incrementare le occasioni per il dramma musicale aggiungendo vari numeri. Le sue aggiunte diedero l’opportunità per
alcune dei passaggi più raffinati
nella prima versione dell’opera,
ma molti critici hanno biasimato il
fiasco iniziale di Fidelio, addossandone la colpa al suo libretto.
L’ampliamento attraverso il quale
Sohnneleitner ricava due atti dal
primo di Boully approfondendo
l’ideale universale della libertà ed
amore coniugale rallenta però l’azione. Ne conseguono evidenti limitazioni alla partitura di Beethoven, che inevitabilmente pesano anche successivamente sul riassetto dell’opera.
Pure il libretto per “Faniska” di Cherubini ricevette aspre critiche,
sebbene sia Haydn che
Beethoven lo ammirassero.
Fino alla morte avvenuta a Vienna nel 1835,
Sohnneleitner continuò
alacremente ad arricchire i possedimenti
degli archivi della Gesellshaft e del suo Conservatorio con donazioni in strumenti musicali, materiali concernenti i libretti d’opera e
la sua biblioteca personale.
Gorge Friedrich
Treitschke
L
ibrettista e traduttore Gorge
Friedrich Treitschke nacque
a Leipzig, in Germania, nel
1776.
Nel 1800 si recò a Vienna per intraprendere una carriera di attore
della Hofoper, dove due anni dopo fu passato al ruolo di poeta e
manager di spettacoli.
Durante l’invasione francese da
parte di Napoleone del 1809 prese
la guida del Theater der Wien,
che guidò fino al 1814, a dispetto
della sua nuova nomina all’Hofoper del 1811.
Scrisse e tradusse molte opere e libretti per Singspiel di spettacoli
della capitale austriaca.
Nel 1814 Beethoven gli chiese di
rivedere il libretto di Leonore (Fidelio) per la ripresa dell’opera.
Treitschke non solo fu d’accordo a
realizzare questo
lavoro, ma sull’onda dell’entusiasmo lasciò anche un sostanziale
ricordo di ciò che
vide e sperimentò
nell’intenso rapporto col compositore per la sua
stretta vicinanza
al teatro di Vienna.
I cambiamenti apportati al Fidelio
tolsero enfasi al
dramma personale di Florestan e
Léonore,
per
rafforzare invece
il problema morale universale cui
lo stesso Beethoven voleva evocare una soluzione esemplare ad
uso e consumo dell’intera umanità. I suoi miglioramenti ispirarono,infatti, Beethoven a “ricostruire e rifondare le rovine di un
vecchio castello”.
Tradusse anche un innumerevole
quantità di libretti dal francese in
lingua tedesca, tra cui Le due giornate di Cherubini e Mèdèe di
Spuntini per le rappresentazioni
nella capitale asburgica; realizzò
la traduzione in tedesco di Idomeneo di Mozart e Così fan tutte.
Beethoven fornì anche le musiche
per due Singspiel Die Gute Nachricht e Die Ehrenpforten e mise pure
in scena il suo poema Ruf vom Berge. Morì a Vienna nel 1842.
C. C.
Musica a Roma
14
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Al nuovo Auditorium dal 16 ottobre
La stagione sinfonica
di Santa Cecilia debutta con Mozart
S
arà Idomeneo di Wolfgang Amadeus Mozart a inaugurare il 16
ottobre la Stagione 20042005 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, al suo
secondo anno nella Sala
Santa Cecilia dell’Auditorium di Renzo Piano. Un’inaugurazione legata al filo
rosso mozartiano, cominciato con il K Festival di settembre, che ci accompagnerà per tre anni fino al fatidico 2006, quando si festeggeranno i 250 anni dalla
nascita di Amadeus. Diretto
dal maestro Chung, specialista di questa partitura per
le cui esecuzioni ha ricevuto
grandi riconoscimenti internazionali, Idomeneo sarà in
forma di concerto.
È una stagione che si presenta ricca di novità, come
l’incremento dei concerti da
Camera, il cui numero arriverà a 28, in modo da esaudire le richieste degli appassionati che hanno gremito sempre la Sala Sinopoli e mandato esauriti quasi
tutti i concerti, compresi
quelli nella Sala Santa Cecilia da 2.800 posti. Un cambiamento di orario, con
l’anticipo di mezz’ora, è
previsto per il concerto
sinfonico del sabato: dalle
18,30 alle 18 per soddisfare
richieste degli abbonati.
La stagione che si chiude ha
visto un notevole incremento di pubblico: dai 290.921
spettatori della passata stagione, agli oltre 302 di quella che ci lasciamo alle spalle.
La Stagione Sinfonica
Si comincia, come detto con
il maestro Myung-Whun
Chung, che chiude con
questa stagione il rapporto
stabile con l’orchestra di S.
Cecilia cominciato nel settembre del 1997, il quale oltre all’inaugurazione con
Idomeneo sarà impegnato in
altri cinque concerti. Il secondo a novembre (18, 20,
23) vede in programma
un’altra opera in forma di
concerto, la Salome di
Strauss, per la cui interpretazione è famoso nel mondo. Tornerà tra gennaio e
febbraio 2004 (29, 31 gen-
naio, 1 febbraio) per dirigere la Jupiter e il Requiem di
Mozart. Proseguirà la settimana successiva (5, 7, 8 febbraio) con la sinfonia n. 6 di
Mahler, Tragica, aggiungendo così un altro anello alla
lunga catena di esecuzioni
mahleriane che hanno caratterizzato le ultime stagioni dell’Accademia. Ancora in primavera con una
sinfonia di Mahler, la numero 9 (21, 23, 24 maggio) con
la quale il direttore coreano
conclude l’integrale delle
Sinfonie di Mahler, avviata
nel 1997 con la Seconda
Sinfonia. Seguirà (28, 30, 31
maggio 2005) un concerto
dedicato a Beethoven e a
Brahms, che verrà replicato
al Lingotto di Torino.
Grandi ritorni, debutti ed
habitué sul podio dell’orchestra di Santa Cecilia. Tra
i primi segnaliamo Mstilav
Rostropovi_ (12, 14, 15 febbraio 2005) con un programma russo, che verrà replicato a Madrid nel nuovo
auditorio. Georges Prêtre
(5, 7, 9, marzo 2005) che ci
regalerà una Carmen speciale, con un cast di giovani
promesse. Una particolare
rilettura da parte del direttore francese, considerato il
massimo interprete vivente
del capolavoro di Bizet, del
quale realizzò un’indimenticabile edizione con Maria
Callas nel ruolo della fatale
gitana. Sarà davvero un’occasione unica, dal momento
che Prêtre non dirige quest’opera da molti anni. En-
nio Morricone impugnerà
la bacchetta il 16 dicembre
per il Concerto di Natale
per la Pace con un programma che alterna la sua
Cantata per l’Europa alle celebri musiche da film.
Tra gli habitué, Yuri Temirkanov, il principe dei
direttori russi (19, 20, 21 dicembre 2004) per una serata
che si annuncia memorabile
con la versione restaurata
del capolavoro di Eisenstein, Alexander Newsky, e le
musiche originali di Prokoviev eseguite dal vivo.
Wolfgang Sawallisch tornerà con due concerti, uno
dedicato a Beethoven e
Schumann (12, 14, 15 marzo
2005), l’altro insieme al pianista Rudolf Buchbinder
(19, 21, 22 marzo 2005) con
Brahms e lo Stravinskij della Sinfonia dei Salmi. Jeffrey Tate (14, 16, 17 maggio) propone una serata tra
Henze, Britten e Mozart.
Tra gli attesi ritorni, quello
di Ivan Fischer, in una serata con Lars Vogt (23, 25, 26
ottobre) per il concerto di
Schumann e una Sinfonia di
Rachmaninov. Vladimir Jurowsky, che in questi anni
ci ha abituati a programmi
inconsueti, ha scelto questa
volta un popolare »aikovskij, del quale oltre alla Patetica eseguirà il Concerto per
Violino, insieme allo straordinario violinista Leonidas
Kavakos, che debutta all’Accademia. Programma
superpopolare anche per
Fabio Luisi (4, 6, 7 giugno)
che propone i Carmina Burana. Antonio Pappano, prossimo direttore musicale dell’Accademia dal settembre
del 2005, sarà a S. Cecilia in
gennaio (22, 24, 25) con Notte trasfigurata di Schoenberg
e il primo atto della Walkiria
di Wagner. A Maggio (7, 9,
10 maggio) proporrà il Requiem tedesco di Brahms.
E poi Gianandrea Noseda
(27, 29, 30 novembre) in una
serata dai colori mediterranei con Ravel, De Falla,
Saint-Saëns. Yutaka Sado
propone la Sinfonia L’orologio di Haydn unita a un brano eseguito raramente come
I pianeti di Holst. Carlo Rizzi in coppia con il formidabile Alexander Toradze (9,
11, 12 aprile) propone il primo concerto di Bartók, del
quale il pianista russo è considerato uno dei massimi
esecutori e i Quadri di un’esposizione di Musorgskij.
Evgeny Kissin insieme a
Jan Lathan Koenig, è il protagonista di uno degli eventi della stagione: i cinque
concerti di Beethoven in
due serate. I primi tre il 4
dicembre, gli altri due il 6 e
8 dicembre. Un progetto
che il grande pianista russo
esegue solo a Roma, Londra e New York.
I “debutti” sul podio dell’orchestra di Santa Cecilia
vedono, in ordine di arrivo,
Lothar Koenigs, astro nascente nel panorama internazionale, in una serata che
presenta “Aus tiefer” un
brano di Aldo Clementi,
commissionato dall’Accademia, e il balletto completo “Il mandarino meraviglioso” di Bartók. Ton Koopman, esperto di barocco applauditissimo alla testa del
suo gruppo nelle nostre stagioni, salirà per la prima
volta sul podio dell’Accademia per una serata interamente dedicata ad Haydn
(6, 8, 9 novembre), mentre
Mark Albrecht insieme a
Mario Brunello presenteranno il Concerto n. 2 per violoncello di Shostakovich e la
prima sinfonia di Schumann
(11, 13, 14 dicembre 2004).
E’ una prima volta anche
quella di Will Humburg
(22, 24, 25 gennaio 2004) in
una serata che ha in programma un brano di Giacomo Manzoni, commissionato anch’esso dall’Accademia e intitolato “Al di qua
dell’improvvisa barricata”,
ispirato al testo di Cesare
Beccaria “Dei delitti e delle
pene”. Aspirazione alla libertà e lotta all’oppressione
è, del resto, il tema di questa
serata che prevede l’ouverture “Egmont” di Beethoven
e “Per me è giunto il dì supremo” la scena di Rodrigo
dal “Don Carlos” di Verdi.
Vladimir Ashkenazy (19,
21, 22 febbraio 2005) ha
scelto di festeggiare il suo
debutto con l’Orchestra di
S. Cecilia proponendo una
vera e propria rarità “Tre
Dream of Gerontius” capolavoro di Elgar, un oratorio
molto amato in Inghilterra
e secondo per fama solo al
“Messiah” di Haendel, ma
di esecuzione rarissima in
Italia. Una rarità anche per
Donald Runnicles direttore in continua ascesa, spesso sul podio dei Berliner.
Ha scelto per la sua “prima” romana “Das klagende
Lied”, la cantata di Mahler
della quale verranno eseguiti tutti e tre i movimenti,
insieme alla sinfonia n. 2 di
Beethoven.
Una serata per Gershwin è
quella proposta da uno specialista del compositore
americano, Wayne Marshall (29 aprile, 2, 3 maggio).
Cla. Fa.
Il
Cultura
Giornale dei Grandi Eventi
15
Il 28 ottobre, in collaborazione con il nostro giornale
Serata su Evan Gorga, primo Rodolfo della
Bohème al Museo degli Strumenti musicali
I
l piccolo ma elegante
auditorium del Museo
degli Strumenti Musicali di Roma, in piazza S.
Croce in Gerusalemme,
ospiterà il giorno 28 ottobre alle 16.30 (ingresso
gratuito), la presentazione
del libro di Andrea Cionci
“Il tenore collezionista. Vita,
carriera lirica e collezioni di
Evan Gorga” edito da Nardini editore, Firenze. La
biografia di uno degli ultimi grandi collezionisti romani (30 diverse collezioni per un totale di 150.000
oggetti) della cui storia
poco o nulla si sapeva, che
fu anche cantante lirico e
primo interprete di Rodolfo della Bohème di
Giacomo Puccini.
Grazie al rinvenimento
del suo archivio personale
e alle ricerche fatte dall’autore, è emersa una
personalità affascinantissima descritta nel libro
con rigore scientifico e al
D
opo praticamente
cinquant’anni di
preparazione
e
cinque anni di stesura, è finalmente uscito in libreria
l’ultima fatica di Piero Buscaroli: “Beethoven”, una
monumentale biografia sul
Gigante di Bonn, per i tipi
della Rizzoli.
Come per i precedenti volumi “Bach” e “La morte di
Mozart”, opere di grandissimo successo, questo libro rappresenta per l’autore la sfida e la necessità
di «inseguire e tentare
un’immagine intera e coerente di Beethoven», di cogliere la sua totalità umana e artistica sfrondando a
colpi di cesoie, per non dire di accetta, tutte le incrostazioni e le stratificazioni
che ne hanno distorto
l’immagine fino a tramutarlo in un illuminista, un
giacobino, un amico della
Francia rivoluzionaria.
Come la figura di Bach
venne cooptata dalla
Chiesa protestante, così
Beethoven è stato finora
vittima di «un umanitarismo buonista e grottesco»
contempo con
avvincente scorrevolezza.
Prima pianista
alla Corte d’Italia, poi accordatore di Casa Reale, imprenditore
e inventore di
strumenti, Evan
Gorga, dopo una
breve ma brillante carriera lirica come tenore,
che lo portò ad
essere scritturato
da Ricordi come
primo Rodolfo
nella Bohème,
abbandonò le
scene e investì
tutte le sue risorse finanziarie e
umane per raccogliere
strumenti musicali, reperti archeologici, ferri chirurgici,
bronzi, bilance, stucchi,
bambole, armi, vetri antichi... migliaia di oggetti
che testimoniassero l’evoluzione della civiltà dei
popoli, dall’Arcaico all’ultimo secolo.
Non c’è quasi museo ro-
mano che non
possegga almeno un reperto
proveniente
dalle collezioni
Gorga le quali,
una volta che
furono acquisite
dallo Stato Italiano (Gorga si
era ridotto in
miseria e aveva
dovuto cedere
tutto allo Stato
per farsi ripianare i debiti),
seguirono
in
massima parte
la triste sorte
della dispersione.
Il Museo degli
Strumenti musicali di Roma è
tra il più importante del mondo grazie
proprio alla donazione di
Evan Gorga, sebbene sia
stato inspiegabilmente
trascurato fino ad oggi
La nuova biografia di Buscaroli
Un Beethoven finalmente
libero dagli orpelli della
musicologia istituzionale
ed è paradossale che perfino la Nona Sinfonia,
quella dell’Inno alla Gioia,
nata nel cuore di Beethoven come vibrante, nazionalistica canzone
della fratellanza tedesca, sia stata oggi adottata – dice Buscaroli come sigla dal pacioccone e quattrinaro europeismo del Parmiggiano Reggiano.
Il Beethoven riscoperto
da Buscaroli è dunque
un nazionalista tedesco, “snob e reazionario”, amante delle donne e dotato di una forza vitale eccezionale.
Così Buscaroli nell’introduzione, continua
furente a scacciare «i
mercanti dal tempio»,
prendendosela con i pubblicitari che utilizzano la
musica del genio tedesco
come colonna sonora per
reclàme di formaggini e
sughi pronti. Ma non solo
la politica e l’economia sono i naturali responsabili
di questo sfacelo: Buscaroli bersaglia anche i
registi d’opera, definiti
un cancro, nonchè l’iperfilologismo di certi
direttori d’orchestra, oltre a tutta una lunga serie di parolai che usano
e abusano della musica.
Il sacro furore che infiamma le 1400 pagine
di Buscaroli anima tuttavia uno studio serissimo condotto con una capillare e minuziosa ricerca delle fonti che consente di rileggere, con
solidità scientifica, tutti i
fondamentali aspetti
della vita del composi-
dalle istituzioni.
All’evento
parteciperà
Bruno Cagli, Presidente
dell’Accademia di Santa
Cecilia, la preside di
Scienze Umanistiche della
Sapienza, prof.ssa Marisa
Dalai e altri importantissimi nomi del mondo della
musica e della cultura.
La Nardini editore ha finanziato anche l’acquisto
di un filmato d’epoca su
Gorga, da poco rinvenuto
dal nostro giornale e dall’autore del volume, che
verrà proiettato nel corso
della presentazione. Ma
non sarà la sola sorpresa:
durante la presentazione
saranno eseguiti anche
brani musicali con alcuni
strumenti antichi della collezione Gorga: un pianoforte di epoca mozartiana, un organo del ‘700 e
persino un flauto di cristallo della prima metà
dell’800.
Lo. Di Diec.
tore: la famiglia, il carattere, la sordità, le malattie, gli
amori, le donne, le lettere e
il sentimento e gli scopi
dell’arte. Il tutto è inquadrato in un grande affresco
storico che giustifica l’insofferenza di Buscaroli verso chi lo definisce solamente “un musicologo”.
L’analisi scientifica rimane in questa biografia un
mezzo, uno strumento
che non paralizza l’intuito
e la comprensione dei fatti, come troppo spesso avviene negli studi musicologici. Questa la carta in
più che distingue l’autore.
Una prosa “alla Fallaci”
sebbene estremamente più
colta e raffinata veicola
messaggi innovativi che
saranno probabilmente accolti con imbarazzato silenzio dalla paludata musicologia istituzionale, ma
con entusiasmo da un pubblico affamato di verità.
Piero Buscaroli, “Beethoven” - Rizzoli editore,
1359 pp., fotografie a colori, costo 45 euro.
An. C.
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