Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—1 ^ pag.
CAPITOLO 10
CESCO
Dopo avere trascorso la notte in bianco, e non nel senso che dava Anna
all'espressione, guardandolo mentre ripeteva a tutti che era il caso che andassero a dormire,
Sesto, pur mantenendo le palpebre aperte a stento, fu costretto a scrivere un articolo per il suo
giornale, a recarsi al Commissariato ed alla Caserma dei Carabinieri per sottoscrivere il verbale
di rito e, come se non bastasse, a raccontare tutto a Don Calò, appositamente giunto dal paese.
Di Peppe non si aveva alcuna notizia e ciò, nonostante le sue ripetute dichiarazioni, lo
stava rendendo sospetto nella considerazione degli inquirenti.
Anche Don Calò gli aveva domandato più volte,con tono eccessivamente indifferente,
dove potesse essere andato,ma essendo l'ignoranza la vera innocenza, Sesto non ebbe alcuna
difficoltà nel rispondere.
Quindi, Don Calò se ne ritornò in paese, dicendo alla moglie che era bene non
abbandonare la casa in quel momento, e sembrava avesse fretta di arrivare, come di chi ha un
impegno precedentemente fissato.
Chissà, si domandava Sesto, quanti ed in che modo avrebbero pagato il torto di aver
tentato di danneggiare la villa di Mondello. Ma invano avrebbe cercato di saperlo dalla cronaca
dei futuri mesi, giacché tali vendette si compiono senza scadenze prevedibili.
Ma la vera sorpresa, il giornalista, la ebbe dal comportamento di Celeste, che avrebbe
immaginato affranta dalla scomparsa di Peppe e dalla mancanza di sue notizie, giacché era
certamente la più sensibile fra tutti e la più affezionata a lui, ed invece non aveva fatto alcuna
domanda.
Insomma, si disse Sesto coricandosi dopo trentasei ore di veglia, tutti pareva che
avessero una precisa opinione su ciò che era accaduto, tranne lui che non sapeva ancora se
l'attentato fosse da attribuire agli affaracci di Don Calò, ad un amante tradito di Anna, ad una
vendetta trasversale dei nemici del padre di lei, alla punizione di un giornalista impiccione,
opinione che lui stesso aveva accreditata, o ad altro che, comunque, fosse da collegare alle
vicende su Cesco ed il Professore.
Immerso in tali pensieri, uscì dalla stanza per andare in bagno. Il corridoio era
illuminato soltanto dalla lontana luce intensa di una nicchia, che prima non aveva notato,
contenente la statua di una Madonna, ai piedi della quale v'era qualcosa simile ad una nuvola, o
meglio alla riproduzione in cristallo della stessa immagine, con lo stesso manto, ma in ginocchio
e con le mani giunte.
Lentamente, Sesto, vi si avvicinò per cercare di comprendere se avesse le traveggole
o se subisse una particolare illusione ottica, ma giunto a tre metri dalla nicchia, non poté andare
oltre, senza comprendere da che cosa fossero impediti i suoi muscoli.
Quindi vide il cristallo animarsi con movimenti lenti fino alla posizione eretta, poi
perdere gradualmente la trasparenza mentre, allontanandosi dalla luce, si avvicinava a lui, fino
a trasformarsi in Celeste, senza manto e con le sembianze di sempre.
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di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—1 ^ pag.
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CAPITALANDIA Cap. 10—2 ^ pag.
Il giorno dopo la concretezza del giornalista vacillò alquanto, non riuscendo a stabilire
se avesse il ricordo vivo di un sogno o di una verità surreale.
Tale evento, però, gli fece comprendere che tutto ciò che fino a quel momento gli era
stato detto su Cesco, su Peppe ed il Professore o era falso, o doveva essere interpretato in
modo del tutto diverso.
E capì finalmente che Celeste non poteva essere stata la fidanzata di Cesco e che
l'interesse che mostrava a volte per Peppe ed a volte per lui era un amore che non gli era noto
e che, anzi, aveva ritenuto che non esistesse. Era certo, a tal punto, che lei dovesse essere a
conoscenza di molto più di quanto dimostrasse, ma che sarebbe stato inutile cercare
d'interrogarla, perché quel suo amore universale non ammette parzialità e non è soggetto ai
comuni tranelli razionali.
Alle sei del mattino era già nei pressi del paese di Peppe, in compagnia del cane che
non soffriva punto della ferita alla testa.
Ancora una volta, proprio dove per la prima volta aveva incontrato Peppe, il cane
divenne irrequieto ed era evidente che volesse scendere. Sesto pensò che il viaggio gli avesse
scombussolato lo stomaco ed infatti, apertogli lo sportello, corse guaendo verso l'agrumeto. Per
una decina di secondi ne seguì con l'orecchio la corsa, ma poi non lo sentì più, né lo vide. Lo
chiamò più volte a voce e poi col fischio, ma per quanto tendesse l'orecchio, non riuscì a
percepire altro che cinguettii e qualche vicino fruscio di lucertola. Doveva rassegnarsi; Settimo
aveva certamente raggiunto qualche luogo d'incontro con i suoi compagni abituali.
Percorse il rettilineo lentamente, guardando continuamente in dietro attraverso lo
specchietto. Giunto poco prima della curva, vide Settimo risalire dalla campagna e fermarsi
sotto l'ombra della tabella, seguito da Peppe.
Effettuò la manovra di conversione e li raggiunse.
-Ero sicuro che lui ti avrebbe ritrovato. Come stai?
Gli rispose soltanto lo scodinzolio di Settimo; Peppe invece lo guardò appena con
indifferenza e si sedette a terra.
- Sei offeso con me? Che cosa ti ho fatto?
Non ricevendo alcuna risposta gli sedette accanto.
- Celeste è preoccupata per te. - Mentì, ma raggiunse lo scopo di scuoterlo
dall'indifferenza.
- Chi sei? - Finalmente gli domandò.
- Non mi riconosci? - Domandò a sua volta Sesto con tono accorato. Peppe, ti prego,
prima di scappare da Mondello mi hai detto che eri guarito; ora, ti prego, non fingere, ho
bisogno del tuo aiuto.
- La verità è come l'acqua, monda e disseta o sommerge ed annega.
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CAPITALANDIA Cap. 10—3 ^ pag.
- Peppe, guardami, io non so se hanno cercato di uccidere me o te, ma se non lo
scopriamo finiranno col riuscirci, quindi o mi dici tutta la verità, o...dovrò rinunziare per la prima
volta ad un incarico e ripartire subito. Guardami!
E Peppe lo guardò. Quello sguardo era davvero assente, tipico di certi ammalati che,
pur non dando in escandescenze e parlando normalmente, rivelano uno stato mentale
anomalo.
Quello non era lo sguardo del Peppe che ormai conosceva, doveva essergli accaduto
qualcosa che aveva aggravato la sua già precaria condizione mentale.
Poi, improvvisamente, Sesto volle tentare un altro esperimento.
- Dov'è Cesco? - Gli domandò guardandolo fisso negli occhi. E Peppe ricambiò lo
sguardo sorridendo e ripetendo per una decina di volte, come un bambino che cerca la madre:
"Cesco, voglio Cesco."
Il cane gli leccò il viso, come per consolarlo e lui sorrise nuovamente come dopo aver
sentito il nome del suo gemello.
- Vieni, - gli disse Sesto, - vieni con me.
E le due creature semplici ed affettuose lo seguirono dentro l'automobile, quasi con la
stessa infantile gioia di essere trasportati.
Giunto poco dopo l'albergo, il giornalista cercò, a piedi, un varco, un anfratto, un
cunicolo attraverso il quale potesse essere scomparso il Professore dopo averlo visto dietro i
vetri del ristorante, ma ad eccezione di un vecchio pozzo su un prato, null'altro attrasse la sua
attenzione. Vi si avvicinò, seguito da Peppe e dal cane.
Il muro di cinta del pozzo, alto più di un metro dal suolo, era smerlato come un
castello e sormontato da un grande arco di ferro da cui pendeva una catena.
Mentre Sesto osservava che l'erba attorno era tutta secca, segno che dal pozzo non
proveniva alcuna umidità, si accorse anche che il piccolo viottolo, che dalla strada conduceva
ad esso, era assolutamente privo d'erba, come se spesso vi si passasse a piedi.
Contento di quella osservazione, stava istintivamente per riferirla a Peppe, il quale, in
quel momento, gli stava porgendo una chiave, tratta dal solito borsellino che teneva al collo con
una stringa di cuoio.
Peppe, sorridendo, trasse verso di sé la catena, vi si aggrappò e si issò sul muretto,
quindi iniziò a scendere gradatamente. Sesto lo imitò tenendo sotto il braccio il cane.
Dopo essere scesi di una dozzina di pioli di una scala di ferro infissa alla parete del
pozzo, giunsero ad un ampio varco chiuso da un cancello distante circa un metro.
La chiave di Peppe lo apriva. Da quel punto in poi Sesto conosceva quel luogo. Cercò
sul muro l'interruttore di corrente, ma Peppe vi giunse prima. Sentì provenire da lontano un
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CAPITALANDIA Cap. 10—4 ^ pag.
leggero e breve rumore. Poteva averlo provocato un topo o qualunque altro animale. Guardò
Settimo e vide che il suo radar naturale s'agitava di contentezza.
Quando ciò era accaduto provenendo dalla stanza superiore aveva avuto paura, ma
questa volta aveva più fiducia nella sensibilità del cane e persino nella sua difesa, perciò gli
disse:
- Vai! - E le due semplici creature corsero, quasi in ludica gara. Anch'egli si affrettò,
ma giunto in fondo ebbe la stessa sensazione della sera scorsa davanti all'immagine di cristallo
di Celeste.
V'erano due Peppe abbracciati ed il cane saltava ora su l'uno ed ora sull'altro.
- Dove l' hai trovato? - Gli domandò uno dei due Peppe.
L'orgoglio reagì alla vergogna di non avere capito prima.
- Dove ho trovato te la prima volta. Quando sono passato non c'era, ma Settimo ne
aveva sentito la presenza, l' ho lasciato andare ed è ritornato con lui.
- Hai fame? - Domandò al gemello come se stesse parlando ad un bambino.
- Sempre. - Rispose come si aspettava Sesto, ma questa volta lo aveva detto il vero
Peppe U Lofiu, e non già Cesco che per tanto tempo aveva imitato lo sfortunato gemello.
Dietro un portabottiglie v'era uno sportello che chiudeva una piccola dispensa ben
rifornita di cibi, davanti alla quale, in attesa, stavano già le due semplici creature che
mangiarono l'una accanto all'altra, scambiandosi affettuose carezze.
- Mangia sempre voracemente,- osservò Cesco,- ma questa volta mi pare che abbia
davvero molta fame. Deve essere scappato.
- Può darsi che i rapitori, avendo capito di avere sbagliato persona, lo abbiano
rilasciato.
- Quella gente non lascia tracce dei loro errori.
- E tu, perché sei scappato da Mondello dopo avermi detto che quello sconosciuto stava
collocando una bomba?
- Sia per evitare di essere interrogato dalla Polizia, sia perché...sentivo di essere
chiamato da mio fratello. Ciò ci accadeva sempre qui, nel nostro paese, o forse quando non
siamo molto lontani, e chissà che ieri non si trovasse a Mondello.
- Perché non glielo domandi?
- Magari si potesse!
- Provaci.
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CAPITALANDIA Cap. 10—5 ^ pag.
- Tu già capivi poco quando cercavo d'imitarlo e, credimi, lo imitavo molto male.
Tuttavia le sue risposte hanno un nesso logico coi suoi ragionamenti interiori che, spesso,
quando si rivelano, sono molto profondi, ma è difficile comprenderne la relazione con le
domande che gli poni.
- Allora sono sicuro che si trovava in mare. Quando l' ho incontrato mi ha detto che la
verità è come l'acqua, monda e disseta o sommerge ed annega.
- E' possibile, ma stabilirlo con certezza non ci aiuterebbe e potrebbe invece
rinnovargli il trauma. Chissà perché l'acqua per lui è un termine fisso di paragone.
- Forse ha ragione; anche i filosofi la ponevano all'origine della vita e ne traevano
deduzioni.
Il cane e Peppe continuavano a mangiare, ma con minore voracità. Pareva che si
guardassero, ogni tanto, e che si sorridessero felici. Ma sì, anche i cani sorridono. E' soltanto la
presunzione umana che ci fa dire d'essere più intelligenti. Se davvero lo fossimo, capiremmo il
loro linguaggio, ed invece sono loro che capiscono perfettamente il nostro.
- Hai preso tu il libretto? - E Sesto si accorse d'essersi liberato da quella domanda che
gli aveva arrovellato il cervello sin da quando s'era accorto che era scomparso.
- Sì, avevo il timore che finisse in altre mani.
- Ma che c'è mai di tanto grave in quel libretto?
- La risposta, senza saperlo, te l' ha data mio fratello. La verità è come l'acqua, o
monda e disseta o sommerge ed annega. Tutta la vita si fonda sulla quantità. La giusta
quantità degli elementi è la base di tutto, ed è importante quanto gli elementi stessi.
Chimica, fisica, matematica, scienza, ogni arte, musica, scultura, pittura e persino le
lettere si fondano sulla quantità degli elementi che li compongono. Di più o di meno del
necessario e non sono più né scienze, né arte. Persino i rapporti tra gli uomini si fondano
sulla quantità. Più o meno interesse, denaro, altruismo od egoismo, leggi e persino
sentimenti regolano la vita degli uomini e la caratterizzano. Più o meno
dell'indispensabile ed il denaro e le leggi non sono più utili allo scopo per il quale
esistono, o addirittura lo travisano. E credi che la verità possa fare eccezione? In quel
libretto v'è la verità politica di oggi, di ieri e del futuro. Il Professore ha fatto una ricerca
scrupolosa, scientifica della politica ed è giunto alla verità. Le pagine successive a quelle
che hai lette sono la dimostrazione di quella verità. Se venisse divulgata ne deriverebbe
un periodo di tale diffidenza popolare verso la politica, che porterebbe certamente
all'anarchia assoluta, dopo la quale s'impadronirebbero del potere le peggiori forze
politiche attuali: il capitale e la violenza.
- Ma non siamo già a questo stadio?
- No. Questi poteri ancora, ma non so per quanto tempo, coesistono assieme ad altre
forze residue di socialità, di religiosità, di amori diversi che sopravvivono nella speranza che
venga realizzata una giustizia migliore, ma la verità potrebbe attenuare la forza di resistenza.
- Ma qual'è, dunque, questa terribile verità?
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di Francesco Capuzzello
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CAPITALANDIA Cap. 10—6 ^ pag.
- Ne è stato difficile l'accertamento e la dimostrazione, ma ne è semplice l'esposizione.
Essa è già presente sin dalle prime pagine del libretto, ma la si vede soltanto se ci si libera dai
condizionamenti ai quali siamo sottoposti dagli attuali mezzi di comunicazione.
- Ma...se nessuno la conosce oltre te ed il Professore, come hanno fatto a venirne a
conoscenza ed a temerla tanto da volerla distruggere assieme a voi, come se fosse la più
potente bomba?
- Hai detto bene. Quel libretto è ritenuto una bomba sociale e politica, il mezzo più
potente che permette la distruzione dell'attuale ordine.
- Perciò hanno ucciso il Professore?
- Non so se l'hanno ucciso.
- Credi davvero che sia morto per infarto?
- Ma quel poveretto che abbiamo visto qui sopra non era il Professore. Gli somigliava
molto, ma non era lui, perciò lo hanno cremato, perché nessuno potesse provarlo.
- Sei sicuro?
- Sì, sono sicuro. Il Professore aveva un neo, tra l'indice ed il medio della mano destra,
che gli dava fastidio scrivendo. Nessun altro ne era a conoscenza, giacché lui lo nascondeva
come un grave difetto. Mi confidò che aveva imparato a scrivere chiaramente soltanto da
adulto, perché fino alle scuole superiori, a causa di quel neo, la sua grafia era stata pressoché
illeggibile. Perciò, forse, se ne vergognava, come causa di un trauma infantile. E quel cadavere
non aveva alcun neo. L'ho potuto osservare bene. Persino gli occhiali non erano i suoi; quelli
inforcati dal defunto non avevano la saldatura nell'asta che io stesso avevo fatto da recente, e
poi, le scarpe non erano le sue. Ne aveva un altro paio, nascoste in campagna, che indossava
quando partivamo, al posto di quelle nelle quali avevano inserito un congegno elettronico per
seguirlo, ma quelle, ho controllato, sono ancora nel nascondiglio.
- Allora lo hanno rapito?
- Sì, certamente, come hanno cercato di rapire me. Quella sera ho lasciato il
Professore alle diciannove. Eravamo stati ad una di quelle riunioni, di cui ti parlerò un'altra volta.
- Scusami se t'interrompo, ma vorrei capire di che cosa vi occupavate per potere...
- Stavamo cercando di annullare il piano politico di cui ti parlerò, perciò tenevamo
riunioni in molte città. V'è ancora chi crede nella giustizia e nella libertà, anche tra coloro che
hanno molto denaro. Le riunioni erano segrete e ci venivano a prendere in automobile e persino
in elicottero. Ci nascondavamo in campagna finché non arrivava il mezzo di trasporto. Mentre
andavo a casa ebbi il sospetto di essere seguito, perciò vi giunsi attraverso vicoli in cui non
possono transitare automobili. Peppe,( guarda come dorme sereno, è felice di aver ritrovato me
ed il suo cane, che a casa, mamma, non faceva entrare. Era un'igienista.) Peppe, dicevo,
quando mi ritiravo a casa, faceva un giuco che io e mamma gli lasciavamo fare perché si
sentisse libero e... normale. Per circa mezz'ora, usciva fingendo di essere me ed imitandomi
perfettamente persino nei gesti e nelle espressioni. Gli abiti li abbiamo sempre avuti uguali. Era
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CAPITALANDIA Cap. 10—7 ^ pag.
un giuoco che faceva sin da ragazzo. Abbandonava il suo bastone e gironzolava negli stessi
luoghi che ero abituato a frequentare. Conosceva i miei amici, che sono pochi, e riusciva ad
ingannare persino loro evitando di parlare a lungo. Quella sera mamma, vedendomi stanco, mi
disse di riposarmi in attesa della cena e così stavo per fare, ma ripensando a chi aveva cercato
di seguirmi, tornai in cucina, dove avevo lasciato anche Peppe, per dirgli di non uscire. Troppo
tardi. Corsi fuori cercando di fare lo stesso percorso che avrei fatto io a quell'ora, certo che lui
mi imitasse anche in ciò, ma non riuscii a trovarlo. Chiamai il Professore e lo cercammo anche
in campagna, dove andavamo spesso a parlare e scrivere e dove mi hai incontrato tu.
Continuammo le ricerche per tutta la notte senza alcun esito. Eravamo quasi certi che fosse
stato rapito al posto mio e sapevamo anche perché. Allora il Professore mi convinse che era
preferibile che scoprissero l'errore il più tardi possibile, per avere il tempo di effettuare qualche
ricerca. Eravamo, infatti, sicuri che avrebbero soppresso Peppe appena si fossero accorti dello
scambio di persona.
- Ed era possibile che tardassero ad accorgersene?
- Sì. Il Professore osservò che non dovevano essere a conoscenza dell'esistenza di un
gemello, altrimenti avrebbero controllato prima del rapimento. Peppe, infatti, non usciva quasi
mai da casa se non fingendo di essere me, tanto che persino in paese s'erano dimenticati della
sua esistenza. Pare impossibile, ma ciascuno esiste nella misura in cui la suo modo di vivere lo
conferma. I rapitori avrebbero creduto che io mi fingessi...diverso, per eludere le loro domande.
- Com'è possibile che persino la tua ex fidanzata non se ne sia accorta?
- Celeste? Non è mai stata la mia fidanzata.
- Questa poi...Anche il portiere dell'albergo mi disse che lo era stata.
- Ecco, vedi? Anche tu cadi nello stesso errore comune. La verità è ciò che dicono in
molti, soprattutto se costituiscono una maggioranza.
- Ma non hai detto anche tu che la quantità è alla base di ogni scienza e rapporto e
che è importante quanto gli elementi?
- Sì, è vero, ma quantità non muta la qualità. Qualunque quantità di non verità non
costituisce verità. E' in ciò l'equivoco della democrazia. La maggioranza di opinione non dà
qualifica alla stessa opinione che, se era costituita da principi errati, continua ad esserlo. La
giusta valutazione delle opinioni transita soltanto attraverso tre vie: la prima è l'istruzione, che
assimilata diviene cultura; la seconda è la cultura che elaborata diviene educazione; la terza è
l'educazione stessa che, trasmessa da generazione in generazione, migliora l'istruzione e la
cultura.
Celeste non era affatto la mia fidanzata. Lei volle che lo credessero i suoi genitori e
coloro che la conoscevano, pur senza ingannare. Coloro che non transitano attraverso quelle
tre vie sono ciechi di ragione e vedono soprattutto ciò che altri vogliono che vedano. Celeste è
una creatura diversa. Io non sono in grado di giudicarla, ma so che il Professore diceva di lei
che il suo amore per l'umanità coincideva con i principi generali di giustizia politica e sociale. E
poi...
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CAPITALANDIA Cap. 10—8 ^ pag.
Cesco non proseguì, come se fosse impedito da timore reverenziale nei confronti di
Celeste, pur essendo assente, o perché non si ritenesse all'altezza spirituale di trattare
l'argomento.
- Hai forse assistito a qualche fenomeno particolare? - Domandò Sesto.
- Sì, ma non essendo cattolico mi sono imposto di non crederci. Una volta, a Mondello,
mentre ero loro ospite, ho visto ai piedi della nicchia della Madonna...
- Una Madonna di cristallo in ginocchio?- Lo anticipò Sesto.
- Anche tu l'hai vista?
- Sì, ma mi è rimasto il ricordo come di un sogno, tanto che, se non me ne avessi
parlato tu, mi sarei convinto davvero che era una realtà onirica.
- Anch'io ho avuto la medesima sensazione. Da allora, però, ho avuto la forza di...
resistere a certi impulsi.
- Hai respinto Anna?
- E' per abilità di giornalista che sai tante cose? E sai anche che se chiami Celeste
con intensità di pensiero ti raggiunge?
- Ma no, non esagerare.
- Affatto. Me lo disse lei stessa, come io potrei dirti di chiamarmi a telefono,
avvertendomi soltanto di farlo in caso grave. Me ne ricordai quando sequestrarono Peppe e
l'incontrai nei pressi di questa casa mentre veniva a cercarmi. Ci sto riflettendo soltanto ora.
Non era mai venuta a cercarmi prima e quella volta non aveva altro motivo che aiutarmi nella
ricerca di Peppe.
- Tu sei credente? - Domandò Sesto.
- Non lo so. Non lo ero certamente, né lo era mai stato il Professore. La scrittura del
libretto e la ricerca scientifica del Professore sulla verità politica, come la chiamava lui, o sulla
vera democrazia, come desideravo io che si chiamasse, ebbe origine proprio da una
discussione tra me, il Professore e Celeste sull'esistenza di Dio. Allora non sapevo nulla delle
particolari facoltà di lei e la deridevamo, pur con educazione ed affetto.
Gli argomenti pro o contro l'esistenza di Dio erano comunissimi da ambo le parti. Lei
stessa sorrideva di quei preti che non sanno dire altro che "Bisogna aver fede" e diceva che
erano come quei professori che, come rimedio per lo scarso profitto scolastico, suggerivano agli
studenti di avere buona volontà. La volontà, diceva, è come la fede, o c'è o non c'è; se c'è, è
inutile farne appello, se non c'è è altrettanto inutile suggerire di averla.
La sua fede però era diversa, non so come definirla, comunicativa, forse ne da il
senso. Ma più che fede, la sua è certezza. Anche se nessuno ci riflette, si crede nella paternità
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di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—8 ^ pag.
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di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—9 ^ pag.
per affetto e per fede, giacché soltanto la madre può esser certa della paternità, e talvolta
neppure lei. Ma la certezza di Celeste sull'esistenza di Dio è assoluta. Ed a noi, che deridevamo
proprio tale sua certezza, fece un esempio che abbiamo sempre tenuto presente nella stesura
del libretto. Celeste, dunque, ci disse:
""Lei, Professore, sa di scienze, di filosofia, di matematica ed anche
mi dice Cesco."""
d'informatica,
Era vero, più di quanto si possa pensare, ma Libero era modesto e timido e se lo si
elogiava abbassava la testa, come fece allora.
"""Vi sono, Professore, dei computers che possano essere adoperati soltanto con lo
sguardo?""" Domandò Celeste, e Libero, felice di potere rispondere ampiamente a quella
domanda, disse che le ricerche erano iniziate per favorire soprattutto i mutilati e poi coloro che
potessero avere le mani occupate in altre operazioni importanti e che, dunque, esistevano già
tali apparecchi sperimentali.
Quindi Celeste domandò ancora:
"""Sarà allora possibile inserire in un programma tutto ciò di cui si possa avere bisogno
e trasmettere, quindi, la richiesta soltanto attraverso l'impulso ottico ad una "finestra" del
video?"""
Certamente, rispose Libero.
E lei incalzò:
"""Quindi sarà anche possibile, attraverso un grande computer, raggruppare tali
richieste, analizzarle, canalizzarle, consentirne il transito ai destinatari od impedirglielo, e
magari comprendere, attraverso tali analisi, le inclinazioni, i tratti caratteriali, le aspirazioni, le
virtù ed i difetti di coloro che operano attraverso i computers periferici."""
Libero, che già aveva intuito a quale conclusione volesse giungere Celeste, ammise
con rassegnazione:
"""Sì, in teoria potrebbe accadere."""
Allora Celeste, avendo intravisto il modo di far costatare la presenza di Dio, s'irradiò in
viso di un particolare sorriso, simile a quello di un bimbo che tra tanti uomini individua ed addita
il padre e concluse:
"""Perché dunque, se un computer può essere a conoscenza delle necessità
materiali degli uomini e consentirne il soddisfacimento, l'uomo non riesce ad ammettere che Dio
è sempre stato in grado di farlo, anche per ciò che non è materiale? Al dio denaro avete
aggiunto un dio telematico per il soddisfacimento dei vostri egoismi, tuttavia negate un Dio
migliore ed onnipotente."""
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di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—9 ^ pag.
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In ciò c'era la verità che cercava il Professore e lui lo capì subito, tanto da non avere
più interesse alla conversazione tecnica-filosofica-teologica con Celeste, che gli rimproverò la
caparbietà di non ammettere la sconfitta.
"""No, mia cara,""" le rispose il Professore, """lei, senza saperlo, ha trovato la risposta
ai miei problemi."""
Così, Libero ci disse di avere trovato una nuova "bomba" che, come tutte le altre,
aveva due opposte funzioni, di difesa ed offesa, di guerra e di pace.
Ma noi, non avendola ancora individuata, domandammo in che cosa consistesse, e
lui, come tutti i ricercatori, non volle darci altri chiarimenti prima di avere perfezionato la
scoperta.-
Cesco, come una madre premurosa, avvolse qualcosa a mo' di guanciale e lo pose
sotto la testa del gemello.
- Che debbo fare? Lui ha solo me ed io non posso curarmene. Mi cercano per
uccidermi e se dovessero riuscirci non so che fine farebbe.
- Pensa piuttosto a salvarti. Dai a me quel libretto. Se uccideranno me non sarà una
gran perdita per nessuno.
- E che ne farai?
- Ancora non mi hai detto in che cosa consiste questa "Bomba", ma ritengo che si
tratti di teoria e non di qualcosa di materiale.
- Sì, è vero, è come un piano od un progetto, ma più pericoloso di quello di una
bomba.
- Allora trattiamolo allo stesso modo della bomba nucleare. Divulghiamolo. Se il
progetto della nucleare fosse stato in possesso di molte nazioni non ne sarebbero state lanciate
né in Giappone, né altrove.
- Ne sei sicuro? O piuttosto avremmo avuto la guerra nucleare che per cinquanta anni
abbiamo a stento evitata? E si può scommettere sul futuro degli uomini?
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di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—10 ^ pag.
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CAPITALANDIA Cap. 10—11 ^ pag.
Non c'era bisogno di rispondere. Ed anche Sesto sentì l'esigenza di occuparsi
dell'unica creatura cui era affezionato. Poiché Peppe nel sonno aveva posato la mano sulla
pancia di Settimo, gliela spostò ed il cane lo ringraziò leccandogli il polso.
- Devo leggermi il libretto o mi vuoi sintetizzare tu il progetto?
- Te ne parlo io. Il libretto, dal punto in cui hai lasciato la lettura, diviene uno studio
approfondito con analisi della storia delle democrazie e, solo nell'ultima parte, tratta del
progetto.
Esso, in breve, parte dall'osservazione di Celeste e cioè che è già possibile, ed in
parte è già realizzata negli Stati Uniti D'America, la costituzione di più reti telematiche
multimediali per scopi commerciali, culturali e d'informazione in genere. Tali reti telematiche,
chiamate comunemente autostrade telematiche, potrebbero essere anche convogliate,
segretamente, in un unica società con metodi e scopi subdoli. Quando avverrà ciò,
commercialmente si potrà orientare la scelta dei consumatori, come oggi avviene in scala
ridotta attraverso la pubblicità televisiva. Pensa, per esempio, tutti sono stati convinti che per
radersi sia indispensabile la schiuma da barba, al punto che senza di essa pare che non ci si
possa radere, mentre se adoperi soltanto l'acqua ti radi anche meglio e non è vero che ti si irrita
la pelle. Che cosa accadrà, quindi, se dall'orientamento commerciale, già limitativo della libera
volontà dell'uomo, passeranno all'orientamento intellettivo, culturale e politico, servendosi anche
di metodi subliminali che, man mano faranno diminuire il senso critico, sarà sempre più difficile
scoprire?
- Ma ciò è fantapolitica.
- Anche a me sembrava che lo fosse, mentre Libero m'invitava a riflettere che, molto
spesso, il passaggio dalla fantasia alla realtà si misura soltanto con la quantità di capitale
disponibile per la ricerca e la realizzazione dei progetti. Così è avvenuto per la ferrovia, la
telegrafia, la telefonia, i sommergibili, l'atomica ed i missili. Per il controllo telematico delle
menti, a cui mira tendenzialmente ogni potere, il capitale sarà ancora più lieto di offrirsi,
considerandolo un investimento non solo di sicura produttività, ma soprattutto di autodifesa.
- Tuttavia non credo che ciò possa considerarsi di facile ed immediata applicazione e
non ritengo, quindi, che possa considerarsi pericoloso quanto una "Bomba".
- Ah, no? Vorrei anch'io che fosse così. Invece c'è chi l'ha ritenuto immediatamente
applicabile ed è passato già alla prima fase di prova.
Nonostante le ultime asserzioni di Cesco, Sesto aveva ancora l'espressione dubbiosa
negli occhi e, suo malgrado, un sorriso sarcastico di cui Cesco si avvide. Ma la saggezza vera
arride al dubbio dell'interlocutore, si acuisce ed obietta con pacatezza, che l'arrogante ritiene
debolezza ed il sagace forza d'animo da emulare.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—11 ^ pag.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—12 ^ pag.
- Non essendo a conoscenza di ciò che è accaduto, hai ragione di dubitare. Forse tu,
da giornalista, sai dei precedenti penali di Don Calò e del padre di Anna.
Sesto annuì.
- Ebbene, per quanto strano ti possa sembrare io non sapevo nulla. Don Calò, tu lo
conosci, è un uomo intelligente con il quale si parla volentieri e lo si ascolta anche con interesse
per la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'interlocutore con decine di aneddoti che, l'ho
capito dopo, egli riesce a depurare dagli ambienti e dai personaggi originali degni delle sue
precedenti esperienze.
Mi ero quindi abituato, quando Celeste mi aveva convinto a farmi considerare come suo
fidanzato, a commentare con lui fatti, eventi e considerazioni tra me, il Professore e coloro con i
quali c'incontravamo. Egli, quindi, era a conoscenza di ogni nostro progetto sociale e politico,
persino di quello trattato nel libretto.
Mi accorsi però, che da quando era venuto a conoscenza degli studi del Professore sulla
democrazia, pur avendo la fobia del volo, si recava sempre più spesso in località lontane, negli
U.S.A., in Australia, in Argentina ed in Brasile. Pareva che fosse divenuto un ambasciatore di
un Ente internazionale. Ovviamente, la famiglia sconosceva sia le destinazioni dei suoi viaggi e
sia gli scopi.
Il Professore, però, messo al corrente dei viaggi di Don Calò, s'insospettì e mi disse di
cercare di appurare dove si recava. Così, al rientro dei suoi viaggi, accertavo dove era stato
attraverso il suo passaporto e trascrivevo dalla memoria del telefono i numeri degli abbonati ai
quali lui aveva telefonato. Scoprimmo in tal modo che era in rapporti con grandi Società
telematiche, oltre che con personaggi della malavita internazionale.
I nostri amici di tutta l'Italia scoprirono poi il resto.
Don Calò era un mafioso particolare. Da giovane era stato un comune delinquente, ma
essendo anche un uomo di particolare intelligenza, non appena ebbe raggiunto un certo grado
di ricchezza, si disinteressò delle comuni operazioni mafiose e divenne il consigliere finanziario
e politico di tutta l'organizzazione.
Fu talmente abile in tale compito, da costituire una rete politica tanto fitta ed intricata
che, nonostante gli accertamenti da parte di tutte le forze di polizia e della magistratura, non si è
riusciti a trovare alcuna prova di essa, né si conoscono i politici che ne hanno fatto parte. E'
comunque certo che sia riuscito a coinvolgere in essa personalità di spicco della finanza, delle
banche, delle industrie, dei commerci con l'estero, soprattutto con forme d'intermediazione, in
modo che si perdesse l'origine mafiosa degli interessi.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—12 ^ pag.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—13 ^ pag.
In pratica, l'organizzazione della mafia dipendeva da lui, tanto che persino i capi
operativi erano costretti a ricorrere ai suoi consigli per non incappare nei rigori della legge ed
investire i loro capitali.
Tu sai che molti di questi capi della mafia sono stati arrestati, ma lui invece continua
la sua attività senza alcun rischio, perché il futuro delle loro famiglie con la maggior parte dei
loro investimenti dipendono da lui.
Egli, inoltre, è un ambizioso e mirava ad assicurare all'organizzazione ed ai suoi
associati un riscatto totale dei loro misfatti, ma lo stravolgimento politico delle ultime elezioni, a
seguito anche delle inchieste che portano il nome di Mani Pulite, gli ha bloccato i progetti.
Improvvisamente si è trovato privo della rete che aveva saputo ben tessere, e ciò, suo
malgrado, contribuì all'arresto di molti ai quali, invece, aveva assicurato per molti anni quasi
l'immunità.
Perciò fu costretto a fare nuove promesse a coloro che si ritennero traditi dalla fiducia
riposta in lui, ed a far loro intravedere, addirittura, una vera immunità legislativa. A tale risultato
voleva giungere, attraverso la realizzazione del piano telematico da parte delle grandi Società a
cui si era rivolto.
In realtà quelle società avevano appreso con interesse il sistema di controllo delle
masse attraverso la telematica, e devono aver deciso di tentarne l'applicazione con l'aiuto di
grandi finanziarie italiane e dello stesso Don Calò. Egli che deve avere assicurato loro una
specie di tregua da parte della sua organizzazione, in modo che non trovassero eccessivi
ostacoli burocratici ed organizzativi.
Le società telematiche, infatti, iniziarono a diffondere soprattutto i computers, che
sono alla base del progetto, limitando l'operazione sperimentale ad una sola regione.
Ciò è avvenuto soltanto alcuni mesi prima delle ultime elezioni politiche.
La Società Telemodem dava in comodato un computer a chiunque ne facesse
richiesta, col solo obbligo di ordinare in via telematica merci di ogni tipo, compresi comuni
generi alimentari, o servizi per un valore minimo di lire centomila al mese.
Poiché la società era già convenzionata con grandi magazzini che fornivano merci a
prezzi ridotti, i cittadini di quella regione trovarono in tale sistema non solo la convenienza dei
prezzi, ma anche l'utilità di prelevare, direttamente presso appositi sportelli, la merce ordinata
telematicamente, già in scatoloni intestati a loro nome.
La Telemodem, inoltre, non deve essersi lasciata sfuggire l'occasione di sperimentare
l'influenza politica delle masse in occasione delle elezioni politiche, e si può ben capire a favore
di quale organizzazione.
Abbiamo avuto la prova, ancora una volta, che il capitale difende soltanto se stesso.
Don Calò, però, deve essere rimasto deluso dal comportamento della Telemodem.
Dopo le elezioni, infatti, non solo nessuno lo venne più a cercare, ma non riusciva ad avere
alcun contatto politico con i nuovi eletti.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—13 ^ pag.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—14 ^ pag.
Credo che proprio in quei giorni deve essersi ricordato di un timore che gli avevo
espresso prima che sapessi che era un mafioso. Gli avevo detto che sulla democrazia italiana
pendeva un grosso pericolo come una spada di Damocle. Se qualcuno, infatti, fosse stato in
grado di disporre di gran parte del capitale della mafia, sarebbe potuto accadere di tutto,
persino d'imporre un governo favorevole all'amnistia dei delitti mafiosi.
Don Calò, al solo scopo di farmi dire come ciò potesse accadere, si mostrò scettico,
e quasi mi burlò per tanta fantasia. Ed io, sciocco, gli precisai come potesse accadere.
Gli dissi che, tenuto conto dell'aumento della disoccupazione e del debito pubblico,
ogni governo, democratico, socialista, di coalizione od ancora meglio se di destra e capitalistico,
avrebbe trovato interessante un progetto d'investimento degli ingenti capitali mafiosi sia in Italia
che all'estero, anche a costo di concedere un'ampia amnistia.
Oggi, ritengo che Don Calò abbia trovato orecchie attente a quel progetto. Il fallito
sequestro mio e quello del Professore ne sono la prova.
Eliminando noi due, infatti, scemava il pericolo che si venisse a conoscere l'origine dei
nuovi capitali che stavano per essere investiti. Inoltre, nessuno sarebbe venuto a conoscenza
del perché la vantata democrazia nostra e delle altre nazioni non lo è affatto e come invece vi si
possa giungere.""
Cesco pareva che avesse finito la sua esposizione, ma a Sesto ancora non era tutto
chiaro.
- Tu hai detto che, come ogni arma ha le funzioni di difesa e di offesa, anche il vostro
progetto le ha, e credo che abbia finito di espormi la più pericolosa. In fine, vuoi dirmi come si
giunge alla vera democrazia e, soprattutto, in che essa consiste?
Cesco aveva aperto la piccola dispensa e, tratto un pacchetto, gli stava offrendo alcuni
biscotti.
- Se si dovesse descrivere il funzionamento del più piccolo gesto del nostro corpo, per
tutto ciò che accade ai muscoli, ai tendini ed alle numerose trasmissioni cerebrali, nonché quali
organi sono interessati ed in che modo, sarebbe necessario un voluminoso trattato, ma per
esprimerci ed intenderci ci basta dire, per esempio, che per l'ira abbiamo digrignato i denti.
Voglio dire che non è affatto difficile dire in che cosa consiste la vera democrazia, ma
è certamente difficile pervenirvi, perché nei rapporti sociali e politici non c'è alcun automatismo
come per il funzionamento del nostro corpo. Anzi, i gruppi sociali, a causa del perenne
egoismo, ostacolano ogni riforma che tenda al livellamento del benessere.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—14 ^ pag.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—15 ^ pag.
Hai già letto che la democrazia non si realizza soltanto attraverso il suffragio
universale e che esso stesso, anzi, nelle attuali condizioni, costituisce un principio
antidemocratico, per il fatto che è composto da voti di uguale validità, pur essendo espresso da
cittadini, per lo più, di capacità economica, sociale, intellettiva e culturale non differente, ma
scarsa.
Inoltre, l'attuale democrazia è basata soprattutto sulla delega che il popolo dà ai suoi
rappresentanti in Parlamento, nel Senato e nei Consigli territoriali.
Anche tale delega è l'opposto del fine della democrazia, giacché non tutte le intenzioni
politiche sono comprese nei programmi, né questi vengono diffusi a sufficienza, né tutti i votanti,
soprattutto, sono in grado di comprendere i programmi attraverso i quali delegano i
rappresentanti di agire politicamente ed amministrativamente.
Queste sono verità che capziosamente vengono taciute, affinché il popolo abbia
l'illusione di essere governato democraticamente, cioè per sua libera scelta. Si tace soprattutto
che le condizioni di scelta sono tali da non garantire la libera espressione della consapevole
volontà. Il Professore, con espressione matematica, diceva che: La VALENZA DEL VOTO E'
DIRETTAMENTE PROPORZIONALE ALLE CONDIZIONI SOCIALI, CULTURALI ED
ECONOMICHE DEL VOTANTE.
Ed ecco l'altra parte buona della "Bomba", la parte difensiva della telematica.
Quando il popolo capirà che l'istruzione è la chiave della democrazia, che è l'aria che
ossigena il polmone democratico, quando pretenderà che l'istruzione, come bene
indispensabile, deve essere dato non in rapporto alle condizioni economiche, ma in rapporto
inverso alle capacità intellettive ed alle condizioni sociali ed economiche, quando raggiungerà
un equo livello culturale, soltanto allora potrà democraticamente esprimere la sua volontà.
Forse ti scandalizza il fatto che l'istruzione debba essere fornita in rapporto inverso
alle capacità intellettive ed alle condizioni socio economiche dei cittadini, ma è proprio
ribaltando detta norma sociale che si è basata l'ingiustizia delle sedicenti democrazie. Esse,
infatti, hanno dimostrato di volere perpetuare ogni ingiustizia e discriminazione a difesa, come
sempre, dell'egoismo capitalistico, che è la peggiore dittatura sociale, ammantata di ipocrita
democrazia. I capitalisti, attraverso il principio dominante delle leggi di mercato, si sono riservati
i migliori servizi, soprattutto l'istruzione, affinché le classi dominanti provengano con certezza
dalla loro classe oltre che, ovviamente, per mero benessere. In tal modo persisterà la fame,
l'indigenza, la povertà materiale, morale e spirituale per chiunque non abbia disponibilità di
capitale, che troverà modo di opporsi a tale dittatura sociale soltanto con l'inutile violenza,
perché nella stessa violenza prevale il capitale.
Sì, certo, può accadere anche in una società capitalistica che si nasca poveri e che si
riesca egualmente a migliorare le proprie condizioni originarie, ma ciò accade ad un esiguo
numero di cittadini e, in ogni caso, quando, miracolosamente, si è venuti in possesso di un certo
capitale.
Quando il popolo otterrà la giusta istruzione ed avrà raggiunto un buon livello
culturale, allora e soltanto allora, avremo la vera democrazia.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—15 ^ pag.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—16 ^ pag.
Infatti, coloro i quali saranno incaricati, e non delegati, ad amministrare la res publica,
avranno compiti precisi e specifici di amministrazione, ma non decideranno alcunché senza la
preventiva autorizzazione popolare, che potrà avvenire con semplice sistema telematico, in
pochi minuti ed in tutta la nazione.
Allora sì che i tecnici e gli esperti di tutti i settori saranno al servizio del popolo, perché
esso sarà in grado di valutare la loro preparazione e le capacità di applicazione dei loro studi. E
comunque, anche se si potranno commettere errori di giudizio, la buona cultura popolare
impedirà che vi sia profitto indebito e, comunque, renderà palese ogni errore.
L'istruzione, la cultura e l'educazione, le tre vie attraverso le quali si giunge alla
democrazia, provvederanno ad indicare quali sono i veri valori umani, sociali e, quindi, politici,
ed impedirà che la prevalenza di un uomo o di una classe sociale, per meriti di natura od anche
per capacità, giunga a livelli tanto alti da costituire sottrazione di beni o di diritti ad altri.
Quando la nuova istruzione insegnerà i veri valori sociali, e la cultura ne attuerà i
principi, la nuova educazione avrà la prevalenza sugli egoismi, che oggi sono innati perché
trasmessi da secoli di errato costume.
Il grave pericolo, o la "Bomba" , consiste nel fatto che la telematica, se viene
adoperata nelle attuali condizioni culturali e socioeconomiche, diviene uno strumento
falsamente democratico, attraverso il quale, invece, si realizzerà il totalitarismo capitalistico.
Potrà avvenire infatti che, attraverso la persuasione occulta di appositi programmi televisivi, si
fuorvierà l'opinione pubblica, con la conseguenza che la successiva votazione popolare, con
mezzi telematici sullo stesso argomento, giustifichi il relativo provvedimento legislativo.
Romanzo
di Francesco Capuzzello
CAPITALANDIA Cap. 10—16 ^ pag.
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cap. 10 capitalandia