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Romanzo CAPITALANDIA Cap. 2—1 ^ pag.
CAPITOLO 2
IL PROFESSORE LIBERO TROVATO
Uscendo dall'albergo alla ricerca del Professore, Sesto non aveva sentito il gran caldo
che faceva, ma appena Peppe si avviò verso il paese col suo solito passo dinoccolato, come se
fosse stato solo e quasi incurante che lui lo seguisse, dovendolo rincorrere, percepì l'aria afosa
che seccava la gola, gl'indumenti che s'erano bagnati immediatamente di sudore e la fatica nel
camminare.
–Sai a che cosa sto pensando?– Disse a Peppe nel tentativo di ricordargli che non era
solo ed anche per farlo camminare ancora più lentamente. –Penso che il clima influisca molto
sia sul carattere che sulle attività di un popolo. Il Nord è caratterizzato dal freddo, perciò la
popolazione ha tutto l'interesse ad infilarsi nel posto di lavoro ed a non desiderare di uscirvi, se
non alla fine del servizio. Qui, invece, in inverno si può ancora godere dell'aria aperta e del sole,
perciò a molti viene il desiderio di abbandonare il posto di lavoro anche durante il servizio. Poi...
. Ma mi stai a sentire?
– Sì.
– Poi, ti dicevo, nel Nord, dove vuoi che vadano dopo aver lavorato? O a casa o in un
altro locale chiuso. Solo che, a casa, sono stati abituati dalle femministe a dividere il lavoro
casalingo, perciò o continuano a lavorare, o ingannano le loro donne fingendo di protrarre il
servizio e s'infilano invece nei locali pubblici. Il clima, inoltre, influisce nei movimenti. Lì, si
muovono alla svelta per non gelare, qui, d'inverno, ci si può muovere come si vuole, e spesso è
piacevole muoversi piano per godersi la libertà; d'estate, invece, ci si deve muovere con molta
lentezza per non sudare e per non far fatica a respirare come oggi. Ma perché corri? È ancora
lontana la sua casa?
– Siamo arrivati.
Peppe, fingendo di trarre la chiave da un borsellino che teneva attaccato al collo, spinse
l'anta ed aprì la porta.
In realtà era un portone da cui sarebbe potuto entrare anche un'automobile, di legno
scabro, reso tale anche dalle crepe della vernice che doveva essere stata verde, a forma di
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arco evidenziato, tutto intorno, dalla lamiera che teneva unite le grosse liste di legno, con le
quali era stato realizzato.
A terra, il battente di pietra a forma di scudo, molto levigato, emergeva appena da due
solchi a scivolo che le ruote dei carri, o dei calessi, vi avevano lasciato transitandovi per lungo
tempo.
L'edificio, ad un solo piano, doveva averne avuti altri accanto, di uguali misure e finalità;
ora, invece, era solo e negletto e pareva gli mancasse l'appoggio perso ai lati.
Molti anni prima doveva essere stata una stalla, ne portava ancora l'atavico odore di
fieno all'interno, oltre alle mangiatoie di pietra, ora coperte con tavole ed utilizzate come bassi
mobili pensili.
Il vano era di circa ottanta metri quadrati, da cui era stato sottratto soltanto, nell'angolo
sinistro più lontano dall'ingresso, un piccolo vano per il servizio igienico.
Le suppellettili erano soltanto un tavolo lunghissimo, ricoperto di vecchi manifesti
elettorali, tre vecchi banchi di scuola con i buchi per i calamai, in cui uno persisteva, tre casse
quadrate di legno, di circa un metro, che fungevano da comodini, a fianco di tre letti molto
distanti l'uno dall'altro.
– Dormivate tutti e tre qui?
– Loro sì, a volte.
– Qual era il letto di Cesco?
– Questo.– Disse Peppe indicando il più vicino alle mangiatoie.
Sesto vi si avvicinò per osservare la pila di libri che si trovava sulla cassa. C'era un po' di
tutto, Sant'Agostino, Marx, Luciano, Plutarco, Dante, Pirandello, Sciascia, trattati di economia e
di medicina, la Bibbia ed il Corano. Aprì la cassa sollevando appena il coperchio per il
sovrastante peso e lo lasciò subito cadere. Era anch'essa ricolma di altri volumi. Sollevò quindi
la tavola che chiudeva la mangiatoia più vicina. Il fondo era ricoperto da un foglio di carta per
imballaggio, ma era ben visibile che sotto v'era un libro. Sesto stava allungando il braccio per
sollevare il foglio e vedere di che libro si trattasse, quando si sentì toccare alla spalla.
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰E ^ pag.
– Benvenuto a casa mia.
Il giornalista, sorpreso come un ladro con le mani nel sacco, lasciò cadere il coperchio
della mangiatoia mentre la sua sinistra stava ancora sul bordo della stessa, sicché gli sfuggì un
gemito di dolore. Si guardò quindi le nocche della mano. Si era procurata una piccola ferita, da
cui usciva appena una goccia di sangue. Ripresosi dalla sorpresa, sorrise facendo le spallucce
e guardò verso colui che gli aveva dato il benvenuto. Dietro di lui non v'era nessuno. Peppe non
si era allontanato da dove lo aveva lasciato e lo guardava interrogativamente come per
domandargli se si fosse ferito.
– Hai parlato tu?
– No.
– E chi allora?
Nuovamente Peppe sorrise in quel modo strano.
– E no, Peppe, questa volta mi devi una spiegazione. Non sono mica folle! Prima il
Professore è comparso in albergo ed è scomparso in modo incomprensibile, ora qualcuno mi ha
toccato alla spalla ed una voce mi ha dato il benvenuto a casa sua, quindi doveva essere
proprio lui, ma appena mi sono girato non c'era più, non è mica un fantasma?
– Quasi.– Rispose Peppe.
– Che cosa vuoi dire con quel quasi?
– Può comparire e scomparire dove e quando vuole.
– Mi prendi in giro?
– Te l' ho detto. La verità è come acqua aperta...
– Che muta aspetto senza cangiarsi, eccetera. Ma ora, mio caro, non ne posso più. Io
non credo che tu non abbia la possibilità di parlarmi in modo chiaro e normale, né voglio
impazzire appresso a te, quindi deciditi, o mi sei amico e mi dai la spiegazione vera di ciò che
accade e sui tuoi amici, o me ne vado a cercare notizie sulla verità, che non è come l'acqua, ma
se lo è, prima che evapori.
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰F ^ pag.
Mentre Sesto parlava, Peppe si avviava verso l'uscita col capo chino, come già lo aveva
visto una volta, offeso e mortificato.
– Dove vai? Scusami, ho esagerato ancora una volta.
Ma Peppe era già uscito senza guardarlo.
– Aspetta, devi chiudere la porta.
– Lo lasci andar via.– Disse qualcuno alle sue spalle dall'interno della casa.
Sesto si girò e questa volta lo vide. Stava uscendo dal gabinetto di servizio e si
asciugava ancora le mani con un tovagliolo di carta, con cui poi, venendo verso di lui, pulì
anche le lenti.
– Finalmente le posso parlare!– Esclamò Sesto.
– Mi dispiace, avevo la necessità di venire qui.
– Ma...allora non è vero ciò che mi stava dicendo Peppe.
– Ora crede più a Peppe che ai suoi occhi?
– Anche lei si esprime enigmaticamente?
– No, quella è la caratteristica di Peppe.
– Bene, allora mi dia una spiegazione plausibile. Come ha fatto a scomparire in quella
strada che non ha traverse e poi qui, dopo avermi toccato alle spalle?
– Io non mi sono mosso da qui.
– Senta, Professore...– Disse Sesto e si zittì temendo di lasciarsi prendere dalla collera,
come spesso gli capitava quando lo si voleva imbrogliare. Respirò profondamente, come
suggeriva qualche psicologo per calmarsi, e quindi continuò con tono pacato.
– Professore, io non l' ho mai conosciuta prima, eppure l' ho vista dietro la vetrata del
ristorante ed ho sentito la sua voce mentre...
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰G ^ pag.
Ma che cosa stava dicendo? Stava avvalorando l'asserzione di Peppe. Eppure era così.
Ma perché, allora non gli aveva creduto? Il caldo. Certo, il caldo gli stava giocando un brutto
scherzo.
Il Professore lo stava guardando sorridendo di comprensione.
– Lei mi guarda, eh? Le sembro matto?
– Affatto. So ciò che le è accaduto. Vede, Peppe è una creatura molto semplice, ma ha
una tale forza di pensiero che... oh, come posso dire? Vede, la scienza si è curata soltanto della
parte più superficiale del pensiero e di quella prettamente fisica della mente, mentre c'è ancora
tanto da scoprire...
– Prima, Peppe voleva darmi ad intendere che lei ha la capacità di comparire e
scomparire quando vuole, ora lei, invece, vuole convincermi che tutto ciò dipende dalla mente di
Peppe.
– Ma chissà, Dottore, può darsi che sia vero l'uno e l'altro, come accade in fisica od in
chimica, in cui un evento si verifica per il particolare incontro di due o più elementi.
– Peppe mi aveva detto che lei era scomparso assieme a Cesco.
– In effetti...
– Che cosa vuol dire?
– Che non mi sono fatto vedere.
– La Polizia lo ha già interrogato?
– Sì, ma non sono sospettato per il semplice fatto che sono sempre sorvegliato, sia qui
dentro che fuori. Guardi quel portalampada,– disse il Professore indicando l'unica lampada
pendente dal soffitto, – v'è un microfono incorporato. E poi, guardi il tacco di queste scarpe, si
smontano, vede? Le pare che Don Tano, il calzolaio, possa avere inventato un soprattacco
smontabile?
– Chi e perché la sorveglia?
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰H ^ pag.
– La Polizia, penso, o un servizio segreto. Perché? Perché l'uomo libero è pericoloso, o
almeno lo ritengono tale per la politica, o per il loro tipo di società.
– Mi pare che esageri. Anch'io mi ritengo un uomo libero...
– Si ritiene, dice giustamente. Ma sa chi è veramente libero? Colui che non tiene a ciò
che possono levargli. Oh, sì, ho anch'io qualcosa a cui tengo, la mia pensione, ma sanno bene
che togliermela sarebbe scandaloso e che saprei ben farne a meno. La vita? No, non ci tengo
affatto. Lei, invece è un dipendente, è controllabile persino nel pensiero, ha forse una famiglia,
desidera vivere e stare bene. Tutte condizioni che condizionano, quindi è certamente molto
meno libero di me.
– E Cesco, era anche lui un uomo libero e pericoloso?
– Sì, molto più di me, perché oltre al pensiero aveva anche la parola libera.
– E Peppe?
– Anche lui lo è, ma è anche U Lofiu, ed un lofiu non rappresenta un pericolo finché non
lo si prende sul serio. Perciò le ho detto di lasciarlo andare. Non faccia capire che...
– Ma, se è vero che la sorvegliano e che qui ci sono dei microfoni, perché mi sta
dicendo apertamente tutto ciò?
– Perché non ha nessuna importanza che una verità sia nota ad una, a dieci od anche a
cento persone. Stiamo vivendo un'era diversa senza rendercene conto, è l'era telepsichica, in
cui una verità, una menzogna, una realtà, una finzione o una mistificazione, esistono soltanto in
termini astratti. L'astratto ed il concreto a volte sono fusi, a volte confusi e spesso sono indistinti.
È imperante soltanto la convinzione generale e non già la verità o la realtà, come lei è abituato
a credere. Se la televisione dicesse a tutto il mondo che la Sicilia è affondata, avremmo un bel
da fare i siciliani a ripetere che non è vero e, anche se tutti i cinque o sei milioni di abitanti lo
andassimo a dire in giro per il mondo, per decenni o per secoli, miliardi di persone resterebbero
convinte che la Sicilia non esiste più. Inoltre, persino una smentita attraverso la stessa
televisione lascerebbe in moltissimi la medesima convinzione, per la legge dell'anteriore, con la
conseguenza che la nostra Trinacria verrebbe in vario modo abbandonata .
– Che cos'è questa legge dell'anteriore?
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰I ^ pag.
– E' la prevalenza di tutto ciò che precede nel tempo, nello spazio e nell'aspetto per
l'influenza su tutto ciò che comunque segue.
– Capisco.–Disse Sesto, ma con tono dubitativo. – Ma è proprio certo che sia così? Che
cosa le da questa sicurezza?
–Il Potere è tale finché riesce a precedere, perciò lotta ciò che ne consegue, la critica, la
dissidenza, l'inosservanza e qualunque manifestazione successiva alle sue espressioni. Il
Potere è l'ant, io e Cesco siamo il post.
–Professore, mi sembra giusto che mi presenti. Mi chiamo Sesto Barone, giornalista
dell'Espresso. Sono stato incaricato d'indagare sulla presunta morte di Cesco.
– Libero Trovato. Insegnante...pensionato. Ancora per poco.
– Perché?
– Perché pensione deriva da pensus, cioè da pendere, e ciò che pende grava, e più è
flessuoso il sostegno e meno gravami tollera.
– E qual è il sostegno, lo Stato o la società?
– La società è soltanto l'insieme di coloro che sono soggetti ad uno stesso Potere, è
quindi il Potere personificato. Il popolo, invece, è composto da tante società quante esso stesso
ne comprende per culture e condizioni.
– Quale materia insegnava?
– Mi scusi, le sembrerà che io parli come Peppe. Non s'insegna una materia, ma
attraverso una materia. Voglio dire che il fine dell'insegnamento è unico, accrescere la capacità
di ragionare, e vi si può giungere sia attraverso le arti che le lettere. Se la scuola perde tale fine,
non insegna, istruisce od indottrina per formare cittadini, cioè seguaci del Potere, e non già
uomini liberi.
– E lei, attraverso quale materia insegnava?
Il Professore lo guardò, prima da sopra gli occhialini chinando un po' la testa, quindi,
alzandola, attraverso le lenti, ma non rispose. E Sesto si sentì stupido, gretto, incapace di
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰J ^ pag.
ragionare in termini astratti, vincolato alla sola realtà che conosceva, probabilmente perché
aveva fatto soltanto la scuola per cittadini.
Fuori ragliò un asino. Lì v'erano ancora gli asini che, sopportando il peso delle bisacce e
del padrone, portavano la soma in campagna col solo compenso di una manciata di paglia e
d'una bevuta d'acqua alla fontana, che sembravano carpite ed immeritate, tanto era pronta la
verga sulla schiena se, da asino, non interpretava bene la volontà di chi lo cavalcava; spesso,
anche senza alcun motivo, se non per ricordare chi fosse l'asino e chi il padrone. Ma quelli,
almeno, non avevano ricevuto dal Creatore la facoltà di ribellarsi, forse. E dire che per i siciliani
Cicciu era sinonimo sia di asino che di Francesco. Forse per ciò la mamma perugina aveva
voluto chiamare Cesco il suo figliuolo.
Sesto, superato il momentaneo senso d'inferiorità nei confronti del Professore, si ricordò
che, infine, si trovava lì proprio per scoprire l'assassinio di Cesco.
Avrebbe voluto conoscere meglio questo Professore, ma è difficile domandare
all'interessato stesso chi mai fosse lui.
–Chi sono? – Disse il Professore come se avesse sentito la domanda di Sesto, che ebbe
il dubbio di averla pronunziata a voce alta. – Sul fondo di quella vecchia mangiatoia, sotto un
foglio di carta d'imballaggio, v'è un volumetto, di cui non conosco l'autore. Vi si narra la mia vita
dal punto di vista dell'autore o di coloro che l' hanno ricostruita. Lo legga.
Sesto prese il volumetto che aveva già notato.
– Se lo porti in albergo e dopo averlo letto parleremo di Cesco.
Il giornalista capì che quello era un commiato. Salutò il Professore e s'immerse
nuovamente nella calura afosa.
V'erano almeno quaranta gradi all'ombra. A quella temperatura il suo cervello funzionava
in modo alquanto parziale, tuttavia sentiva su di sé la gravità tipica di uno sguardo indagatore.
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰K ^ pag.
Guardò verso l'alto e s'accorse d'essere osservato da un uomo dalla faccia larga e dai
capelli bianchissimi, dalla vetrata di un balcone, sulla cui inferriata era affissa una targa con la
scritta " Caserma dei Carabinieri".
Sesto lo guardò fisso, e quello, per nulla intimorito, continuando ad asciugarsi il sudore,
accennò ad un saluto chinando il faccione.
Doveva essere il Comandante. Ambedue, si ripromisero mentalmente d'incontrarsi,
ciascuno col suo intento e per trattare un unico argomento.
Era davvero preferibile tornare in albergo. Gli venne da ridere a pensare a coloro che
erano convinti della neghittosità dei siciliani. Lui, che s'era sempre considerato uno
stacanovista, sentiva soltanto la volontà imperante di guazzare in acque fresche, di
sonnecchiare sotto una perpetua doccia, o di rinchiudersi ovunque potesse godere di un
condizionatore d'aria. Rientrò in albergo.
Il portiere non era cambiato. Lo accolse come se fossero stati amici da tanto tempo.
– Fa caldo, eh?
– Tanto.– Ebbe a stento la forza di dire Sesto. – Ci vorrebbe l'aria condizionata.
–Gradirebbe cambiare stanza?
– Vi sono stanze che ce l' hanno?- Domandò stizzito Sesto.
– Sì, certo.
– E perché non me l' ha data?
– Perché non l' ha richiesta. "Nenti dari se nun addummannari". E poi...
Prima che potesse frapporre qualche difficoltà, gli mise fra le mani diecimila lire.
– No, signore, non per questo...– disse intascando la banconota e girandosi per prendere
le chiavi delle due stanze.
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰L ^ pag.
Sesto lo seguì e s'infilò subito nella nuova stanza, preparandosi l'agognata doccia,
anche se la buona temperatura gliene aveva smorzato il desiderio, nell'attesa che gli portassero
il piccolo bagaglio.
Nella borsa aveva appena il cambio di biancheria per due giorni, un piccolo registratore
ed una borsetta con gli attrezzi per la barba. Guardò tutto il contenuto ed ebbe la sensazione
che qualcuno vi avesse frugato con attenzione. Se fosse stato il portiere, i Carabinieri od altri, in
quel momento non gl'interessava affatto. Tralasciò i preparativi per la doccia, si coricò ed iniziò
la lettura della biografia del Professore.
Lesse per almeno tre ore, ma non perché la lettura era lunga, ma perché ad ogni paio di
pagine smetteva di leggere, domandandosi ogni volta se dovesse proseguire o no, tanto quel
libretto era noioso per il linguaggio e lo stile con il quale era stato scritto.
Il Professore, pur sembrando che fosse più giovane di almeno un decennio, era nato
sessantasei anni fa in un paesino del Veneto da genitori contadini. Era il più piccolo di sei fratelli
e di una sorella, coi quali aveva combattuto i tedeschi tra le montagne, da partigiani non
organizzati o, meglio, organizzati soltanto tra di loro germani e sotto la direzione del padre.
Dall'inizio della guerra e fino alla ritirata tedesca, avevano ostacolato il transito delle
truppe tedesche ostruendo strade con smottamenti, sradicando alberi che facevano abbattere
sulle vie, provocando voragini, slavine, rendendo pericolanti alcuni ponticelli, inaccessibili alcuni
varchi e sempre in modo che tutto ciò sembrasse casuale tanto che, soltanto verso la fine della
guerra, divennero noti ai veri partigiani con il nome di Fratelli Tarli, per i danni che arrecavano
alla viabilità.
Con l'avvento della Repubblica, morti i loro genitori sotto uno dei primi trattori, quei
partigiani che nel frattempo erano divenuti socialisti e comunisti, sentirono il dovere di
compensare il patriottismo di quei fratelli, provvedendo a dare un lavoro ai più grandi ed a fare
studiare i più piccoli.
Libero, il più piccolo di essi, rivelatosi un eccellente studioso sin dalle elementari e fino
alla laurea, fu assegnato a vari uffici studi, prima del Sindacato e poi direttamente del Partito
Comunista Italiano.
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰DC ^ pag.
Ben presto, però, egli deluse i dirigenti del partito. Più volte scrisse in senso critico
negativo sulla possibilità di realizzare in Italia un sistema politico marxista-leninista, sulla
irrinunciabilità della democrazia, sull'errore dell'economia con base statalista e sulla necessità
della proprietà privata come forza propulsiva dell'economia, ancor prima che Berlinguer si
decidesse a staccare il PCI dal PCUS.
Poco a poco Libero fu accantonato in incarichi di minor rilievo, finché egli stesso prese la
decisione di dedicarsi esclusivamente all'insegnamento, facendosi trasferire in Sicilia.
Aveva scelto proprio la Sicilia perché riteneva quel popolo economicamente povero,
politicamente sfruttato, socialmente abbandonato, ideologicamente ed intellettualmente più
libero, come i suoi antenati greci, ed intelligente come gli avi arabi.
Ma proprio lì, in Sicilia, si rese conto che si stava verificando un fenomeno politico
particolare. La corruzione dilagava in ogni attività privata e pubblica, il popolo stava perdendo il
senso del dovere e con esso ogni inibizione all'illecito. Il cittadino, sperimentando che la legalità
era soltanto un debole rifugio per i deboli, ricorreva ad ogni mezzo ed a qualunque forza che
potesse assicurargli quel benessere che pure si diffondeva e che egli costatava attraverso la
televisione.
Libero, con la sua capacità di osservazione ed analisi degli eventi politici, capì che, a
quel punto, i partiti di maggioranza governativa e quelli di opposizione, soprattutto nel governo
regionale, avevano formato una tacita, ma spesso anche esplicita, consorteria per abietti fini
d'interessi diversi. Le ideologie erano ormai un teorico e sterile campo di dispute tra
gl’intellettuali e tra i popolani senza alcuna commistione fra le parti; lo Stato, un possedimento
dai cui benefici veniva sempre più esclusa la parte meno abbiente del popolo; la Democrazia
un'indispensabile e scomoda formalità, e la libertà un bene come gli altri di cui s'impossessava
in maggior misura il più forte a discapito dei più deboli.
In quella burocratica biografia risultava che "... il Professore Libero Trovato era stato
seguito dalle Forze dell'ordine con preoccupazione nel suo trasferimento in Sicilia, per i suoi
principi populistici e rivoluzionari, soprattutto durante il periodo degli attentati eseguiti dalle
Brigate Rosse. Tuttavia," proseguiva il libercolo, "pur non essendo mai risultato che fosse in
contatto con terroristi, né con giovani che in qualche modo si potessero ricollegare ad essi,
dopo il trasferimento del Maresciallo Valentini, per sospetta protezione del suddetto suo
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰DD ^ pag.
corregionale, era stato accusato di diffondere nelle aule scolastiche uno spirito di ribellione e
quindi, sospeso dall'incarico, era stato recluso per motivi di sicurezza."
Vi fu un fievole tentativo del Partito Comunista di difendere il suo ex protetto, scoraggiato
persino dallo stesso interessato per timore che il Pubblico Ministero potesse sospettare
un'effettiva appartenenza alle B.R., sebbene di difficile accertamento. Costatato però il suo
completo isolamento politico e l'indifferenza con cui veniva trattato dai prigionieri politici, il
Professore Trovato fu assolto in istruttoria e quindi scarcerato.
Ripreso l'insegnamento nella cattedra di lettere, anziché in quella precedente di storia e
filosofia, aveva continuato ad abitare nella stessa casa, nel paese limitrofo a quello dove
insegnava, con l'intento utopistico di realizzare, assieme a tale Francesco Casaroli, detto
Cesco, una comunità politica sperimentale, come veniva definita dagli stessi, con imprecisati
progetti.
Di Francesco Casaroli, detto Cesco, si diceva che era figlio di padre ignoto, (gemello di
Giuseppe, detto "U Lofiu" per innata scemenza, il quale viveva relegato in casa, per evitare che
potesse esser nuociuto dai coetanei e per impedire che potesse involontariamente arrecar
danno a sé o ad altri), aveva conseguito la licenza di scuola media inferiore, ma gli si attribuiva
molta intelligenza ed una cultura elevata, tanto che veniva consultato dalla popolazione come
un vecchio saggio od un esperto in materia giuridica ed amministrativa e, spesso, persino in
materie scientifiche e medico-sanitarie.
La madre, Maria Galati, donna bellissima, nata a Perugia da una relazione tra un ricco
del luogo di nobile famiglia ed una cameriera siciliana, aveva commesso a venti anni lo stesso
errore di sua madre, con l'aggravante di aver dato la vita a due gemelli, uno dei quali si era
manifestato presto di scarsa intelligenza. Mandata quindi in Sicilia in un piccolo paese, con una
somma di denaro appena sufficiente per vivere un paio di anni, vi era rimasta allevando bene i
due gemelli con il suo lavoro di lavandaia e di cameriera ad ore, soprattutto per le famiglie dei
Comandanti della locale Caserma dei Carabinieri, presso le quali godeva di stima e fiducia,
essendo ritenuta di sani principi morali e ben capace di allevare i figli dei sottufficiali dell'Arma.
Il libercolo, che il giornalista Sesto stava leggendo, finiva con una strana considerazione
su Cesco, che si riporta testualmente:
Da anni ha prodotto una cospicua serie di denunzie, che in atto non si è in grado di
enumerare, ma che a richiesta si potrà accertare, a carico di numerosi uomini politici, industriali,
commercianti, amministratori pubblici e vari professionisti, per corruzione, scambio di voti,
concussione, illecito finanziamento dei partiti, evasione fiscale, truffa, aggiotaggio, perturbativa
di asta pubblica, e persino di usura a carico di banche pubbliche ed Istituti di credito, sia per suo
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰DE ^ pag.
conto che per pubblico interesse o per conto di altri interessati. Dal 1994, pare che il suo
obiettivo non sia più quello di dimostrare la corruzione politica, bensì di esercitare una continua
opposizione al nuovo governo, apparentemente senza alcuno scopo personale.
Ma se si andrà in fondo si troveranno i veri motivi.
Sesto, annoiato dalla lettura, stanco per il viaggio e per il caldo che aveva subito, si
addormentò.
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eÉÅtÇéÉ CAPITALANDIA Cap. E‰DF ^ pag.
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