ISTITUTO COMPRENSIVO DI PETRALIA SOPRANA
La Scuola
ricorda e festeggia in musica
Verdi e l’unificazione d’Italia
a cura del Prof. Damiano Francesco La Placa
“La musica, linguaggio universale, unisce e dà voce alla libertà.”
(Papa Giovanni Paolo II)
Un vivo ringraziamento va al Collegio dei Docenti e al Dirigente Scolastico Prof.ssa Maria Di
Prima, per aver creduto nella finalità didattica di questo lavoro.
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PREFAZIONE
Ci saranno vari modi per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e ognuno
rappresenta comunque un piccolo tassello di una storia più grande, complessa e
drammatica, ma sicuramente ricca anche di interesse e di fascino, per la capacità di
tutti i protagonisti di riuscire ad avere alla fine un unico intendimento, dalle Alpi fino
alla Sicilia.
Questo Libretto non fa cenno alla Spedizione dei Mille, attraverso la quale Garibaldi
con un corpo di volontari nel 1860 abbatté il regno delle Due Sicilie e diede una
spinta decisiva alla formazione dell’unità d’Italia.
La marcia dei garibaldini, al di là di qualche piccola resistenza, non trovò grandi
ostacoli e durò poco più di cinque mesi, dallo sbarco a Marsala dell’11 maggio 1860,
fino allo storico incontro di Teano con il Re Vittorio Emanuele II avvenuto il 26
ottobre dello stesso anno, probabilmente perché il terreno era stato già preparato, non
soltanto dalla politica e dalla diplomazia, ma anche dai tanti intellettuali del nord e
del sud che avevano guardato con simpatia ai moti risorgimentali e avevano coltivato
l’unico grande sogno dell’Italia unita.
Il piccolo tassello che questo libretto vuole mettere nella grande storia dell’unità
d’Italia è quello del ruolo che gli intellettuali, e in particolare la musica e la poesia,
hanno avuto in quegli anni, trovando un connubio perfetto nel melodramma e in quel
sentimento romantico fortemente presente nel popolo italiano dell’epoca.
A partire dal 1847 le vicende dei protagonisti del nostro risorgimento si intersecano
con quelle di intellettuali, poeti, letterati e musicisti, provenienti da ogni parte
d’Italia, che si incontrano nei caffé di Torino, dove il sogno diventa progetto politico
e tutti contribuiscono, in vario modo, alla sua realizzazione.
Ovunque in Italia inizia un grande fermento di idee e di iniziative, che a partire dal
1848 trovano concretezza nel giornale quotidiano “Il Risorgimento”, all’interno del
quale si confrontano i diversi punti di vista della politica, dell’economia, della
scienza e della letteratura.
Alessandro Manzoni comporrà versi di grande passione e incitamento alla liberazione
dallo straniero, mentre Giuseppe Verdi, forse senza volerlo, diventerà un simbolo,
soprattutto con la sua opera più significativa “Il Nabucco”, così come il musicista
Michele Novaro, che accettò l’invito di Giuseppe Mazzini a comporre un inno di
riscossa su un testo di Goffredo Mameli, che solo dopo cento anni diverrà l’inno
nazionale dell’Italia.
Il teatro era diventato il luogo simbolo in cui si manifestava la rivolta degli Italiani
contro la dominazione straniera e il desiderio di vedere finalmente unita l’intera
penisola.
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Per Garibaldi il terreno era stato più che preparato e in tanti avevano concorso a
rendere più facile la sua impresa.
Nell’inverno del 1860 Camillo Benso Conte di Cavour organizza le elezioni del
primo Parlamento Italiano e ne faranno parte personaggi di grande rilievo e spessore
politico, militare e culturale.
Anche Verdi fu invitato a partecipare e un aneddoto ci racconta che si recò la mattina
presto alle sette presso lo studio di Cavour per accettare e quando arrivò incontrò
Manzoni che era lì per lo stesso motivo e stava già uscendo per andare via.
Le migliori espressioni culturali dell’Italia venivano meritatamente chiamate a
rappresentarla all’interno del Parlamento che si stava costituendo.
Il Prof. Damiano La Placa ha scelto di festeggiare il 150° anniversario dell’unità
d’Italia con una piccola lezione di musica e di poesia, per ricordare a tutti che le note
e i versi, più di qualunque arma, possono cambiare il mondo.
Pietro Puleo
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GIUSEPPE VERDI E L’UNIFICAZIONE D’ITALIA
IL MELODRAMMA
Nascita ed evoluzione: dalla camerata Bardi al melodramma romantico
Nella Firenze del 1597, nel carnevale di quell’anno, in casa del Conte Jacopo Corsi si
rappresentava con una sobria scenografia la Dafne, breve favola drammatica scritta
da Ottavio Rinuccini, sui modi della pastorale, e musicata da Jacopo Peri. Onoravano
lo spettacolo le presenze del granduca Ferdinando de’ Medici e dei maggiori dignitari
dello Stato.
Si teneva così a battesimo il primo melodramma, che risultava l’ultimo raffinato
frutto del Rinascimento classico.
Fu in casa del conte Giovanni dei Bardi e poi presso Jacopo Corsi che si riunirono un
gruppo di studiosi fiorentini di varia formazione: poeti, letterati e musicisti (camerata
fiorentina o camerata bardi) per discutere sull’unione della poesia e della musica nel
teatro greco preparando così la nascita dello stile recitativo e dell’aria, che seguivano,
con agilità e sentimento, la poesia recitata.
Fu così possibile rappresentare sulla scena una breve composizione come La Dafne
tutta accompagnata dal canto .
Vincenzo Galilei, fiorentino (1520-1591), padre di Galileo, musicista e studioso,
proponeva, contrariamente alla polifonia, un nuovo modo musicale più vicino al
parlato, sul quale musicò l’episodio dantesco del Conte Ugolino. Nel dramma greco
(la tragedia) era stretto il legame fra tutte le arti, e specialmente fra la poesia e la
musica, per il quale il declamato acquistava una particolare intensità espressiva,
divenendo una vera e propria melopea (aspetto di una melodia in ordine alla
successione dei suoni indipendentemente dal ritmo tipico nei canti popolari e nelle
recitazioni cantilenate propria del canto gregoriano).
È la camerata fiorentina che si ispirò appunto ai capolavori della Grecia, mirando
soprattutto a riannodare gli anelli di una nobile tradizione che rispondeva al gusto
raffinato del nostro Rinascimento, infatti nella gentile e prosperosa Firenze era vivo il
gusto per la classicità tanto che venne definita l’Atene d’Italia.
La Dafne, il conte Ugolino e le due azioni mitologiche ossia il Satiro e la
disperazione di Finelo, composte in stile monodico vocale dal romano Emilio de’
Cavalieri (1550-1602), erano l’espressione matura dei bisogni del tempo che spianava
la via ai nostri primi operisti. In occasione delle nozze di Maria de’ Medici con
Enrico IV di Francia nel 1600, J. Peri musicò l’Euridice su libretto di O. Rinuccini,
che venne rappresentata con grande sfarzo di scena di vestiari e di macchinari, e con
immenso successo a Firenze nel palazzo Pitti.
Con il mito di Orfeo, già trattato dal Poliziano nel 1480, L’opera in musica entrava
definitivamente nel regno dell’arte.
Colui che veramente doveva perfezionare il melodramma, vivificandolo e infondergli
un senso d’appassionata umanità, fu Claudio Monteverdi (1567-1643) maestro dei
Gonzaga a Mantova e poi alla cappella di San Marco a Venezia, dove morì nel 1643.
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Il melodramma tra musica e poesia
La poesia e la musica non sono che il prodotto di un sempre nuovo e mistico
sposalizio che si celebra fra il ritmo e le parole, fra il ritmo e le note musicali.
E se esse producono in noi così vive e profonde emozioni, innalzano l’animo a divine
letizie e profonda spiritualità. La strettissima parentela che lega insieme la musica e
la poesia è soprattutto attestata dal ritmo, il quale trova nel suono e nella parola i due
mezzi espressivi più atti e meglio disposti ad accoglierlo e contenerlo. È solo, infatti,
per effetto del ritmo che i suoni e le parole congiungendosi insieme, danno
rispettivamente origine al canto e alla melodia musicale, al verso e alla strofa poetica.
Il melodramma consacrava così il connubio tra la poesia e la musica. L’opera in
musica opponendosi alla Polifonia*(1) proponeva un altro tipo musicale più vicino al
parlato: il “Recitar cantando”, declamazione musicalmente accentata avente lo
scopo di sottolineare il significato intrinseco del testo poetico, di scandirlo passo
passo e sempre in modo da realizzare una perfetta corrispondenza tra le due forme
artistiche.
Il Melodramma, nel corso della sua evoluzione, ha conosciuto periodi di crisi.
I cantanti erano diventati una categoria di persone ricche e famose, la loro presenza
bastava a far si che un teatro registrasse il tutto esaurito , assicurando così alla prima
di un nuovo spettacolo un sicuro successo. I compositori e i librettisti erano sempre
più sottomessi ai capricci di questi interpreti , i quali potevano far aggiungere o
togliere arie e recitativi a loro piacimento . I compositori da parte loro eccedevano
nell’uso di abbellimenti e di effetti musicali atti a stupire e meravigliare il pubblico, il
tutto andava a discapito della stessa comprensione dell’Opera. Nel settecento si
comincia a sentire il bisogno di maggior semplicità, realismo ed equilibrio fra
poesia (testo) e musica.
È Christoph Willibald Gluck (1714-1787)che, particolarmente,concretizzerà tale
rinnovamento.
Nel 1762 fece rappresentare Orfeo ed Euridice, opera che aveva scritto in
collaborazione con il librettista italiano Ranieri de’ Calzabigi e che presentava
rilevanti novità musicali.
Il canto è semplice e scorrevole, i recitativi vengono ridotti e accompagnati
dall’orchestra.
Il coro e l’orchestra intervengono con brani mirati ad arricchire il racconto della
storia.
________________________
*(1)Polifonia: dove le parole permettono alla voce di diventare uno strumento e
l’intreccio di entrambe realizzano artifici contrappuntistici solenni.
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Il melodramma romantico
La storia politica dell’Europa nel secolo XIX fu dominata dallo sviluppo del
sentimento nazionale dei singoli popoli e dalle loro aspirazioni e lotte per
l’indipendenza.
I nascenti nazionalismi musicali trovano materiali utili nell’indagine e nelle
riscoperte delle rispettive culture indigene e quindi nella rivalutazione degli elementi
folcloristici, come nei canti, nelle melodie del patrimonio popolare e nei ritmi di
danza.
Personaggi e vicende, appartenenti a momenti gloriosi delle singole storie del paese,
furono ritenuti soggetti idonei per le Opere e Poemi sinfonici.
Il melodramma acquista così un significato particolare non è più solo uno spettacolo
mondano come in passato di fatti il pubblico va a teatro per partecipare attivamente ai
drammi proposti dalla vicenda narrata, soffre con i protagonisti, si riconosce nelle
loro sventure e ammira la loro capacità di vivere in modo appassionato e intenso.
Inserendosi pienamente nel contesto nazionale anche l’opera italiana si ispira a
tematiche sentimentali, vicende politiche, alla storia antica e agli affetti familiari. La
figura più rappresentativa di questo panorama musicale è sicuramente Giuseppe
Verdi (1813-1901).
Le sue opere profondamente espressive, specie nel primo periodo, interpretano i
sentimenti del popolo italiano in uno dei momenti più delicati della sua storia. Egli
contribuì con le sue opere all’Unità politica del Paese spinto com’era a musicare
libretti in cui si sottolineano le aspirazioni all’indipendenza e alla libertà che
animavano la società italiana. Egli esprimeva così gli aneliti dei patrioti italiani che si
risvegliavano alla coscienza del Risorgimento.
L’Opera Nabucco ,con il suo grande successo, rappresentata nel 1842 al Teatro “alla
Scala” di Milano, lo consacra operista.
Pochi anni prima Mazzini aveva scritto
un breve saggio intitolato “ Filosofia della
musica ”, in cui si augurava che il melodramma
italiano si rinnovasse e diventasse racconto di
eroi che combattono per la libertà e trovano nel
MAZZINI
loro popolo e in Dio la loro forza.
Il Nabucco, che racconta la “cattività” degli Ebrei
a Babilonia perseguitati dal re Nabucodonosor ,
sembrò la realizzazione di questo concetto.
L’anima italiana respirava già una grande voglia
di Unità.
I liberali dell’Ottocento sostenevano che una nazione si riconosce di essere unita
perché tutti i suoi membri parlano la stessa lingua.
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Alessandro Manzoni, interessato al dibattito,
al pari dei grandi intellettuali e scrittori, la
trovava <<non viva e non vera>>.
Proprio per questo formulò
MANZONI
la proposta più organica di una nuova lingua
nazionale; lo fece scrivendo un romanzo
<<per tutti>>: “I promessi sposi”. Manzoni lavorò
circa vent’anni per il suo capolavoro, facendo del suo romanzo ben tre stesure
diverse. La prima era ancora infarcita di vocaboli e di espressioni lombardo- francesi.
La terza stesura, invece, nel 1842 era stata <<sciacquata in Arno>>
come egli stesso ebbe a dire. Riconobbe infatti che la più grande ricchezza espressiva
e la maggiore musicalità stava ancora nel toscano, la lingua di Dante, Petrarca e
Boccaccio. Il fascino dei Promessi sposi va naturalmente molto al di là della
questione linguistica.
L’opera si gemellava all’intento politico del Nabucco. Verdi scriverà nel 1874 la
Messa di Requiem proprio in memoria della morte di A. Manzoni, promotore egli
stesso della manifestazione celebrativa per l’anniversario del sommo letterato.
Nel 1883 con I Lombardi alla prima Crociata e successivamente nel 1844 con la
rappresentazione di Ernani al Teatro la Fenicia di Venezia, Verdi triplicò il suo
successo. I cori delle tre opere: << Và Pensiero >>, << O Signore, dal Tetto Natio >>
e << Si ridesti il Leon di Castiglia >> erano sulla bocca di tutti. Nella Milano
risorgimentale e in tutto il Lombardo-Veneto Verdi divenne un vero e proprio
simbolo della resistenza contro gli austriaci. Le tre opere che rimangono fra le più
splendide del repertorio verdiano per bellezza e potenza lirico- drammatica
infiammavano ancor più l’anima italiana.
Sui muri gigandegiava la frase ‘’viva v.e.r.d.i.’’ che era l’acronimo di viva Vittorio
Emanuele Re d’Italia.
Nel 1861 convinto da Cavour, il quale considerava
il musicista un grande genio artistico , Verdi
si presenta alle elezioni per il primo Parlamento
CAVOUR
nazionale. Viene eletto e si presenta con
Giuseppina Strepponi alla storica cerimonia di
apertura, a Torino capitale d’Italia, e per la
proclamazione di Vittorio Emanuele II re d’Italia.
Il grande operista trascorre gli ultimi anni in
solitudine a Sant’Agata, gli amici si spengono uno dopo l’altro e così anche la
Strepponi, che muore nel 1897. Il 27 gennaio del 1901 alle ore 2,50 del mattino
Giuseppe Verdi esalò l’ultimo respiro in un albergo di Milano “Hotel Milan”. Per non
disturbare gli ultimi giorni della sua vita, i milanesi cosparsero di paglia la strada che
costeggiava l’albergo per attutire il rumore delle carrozze dei cavalli. Aveva chiesto
funerali modestissimi allo spuntar del giorno o dell’ave Maria senza canti né suoni.
Il 30 gennaio fu portato al cimitero Monumentale alle 7 del mattino, quand’era
ancora buio e i fanali ancora accesi. Una grande folla commossa cioè Il Popolo,
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seguiva il suo funerale cantando in sottofondo “Và pensiero”, l’inno alla libertà e al
tempo stesso il simbolo dell’Italia Unita.
NABUCCO
Notizie sull’opera
Dramma lirico in quattro atti, musicato da G. Verdi in collaborazione con il librettista
Temistocle Solera (Milano, Teatro alla Scala, 9 marzo 1842).
Il soggetto è narrato nel Vecchio Testamento e in particolare nel quarto libro dei Re e
in quelli dei profeti Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele.
Il re di Babilonia Nabucodonosor II, brutale ma necessario strumento della divina
predestinazione, per rendere migliori gli Ebrei, assediò Gerusalemme tra il 597 e il
586 a.C., incendiandola e rendendo schiavo il popolo.
Notizie sull’opera
Siamo nel 586 a.C. e gli Ebrei, sconfitti dal crudele tiranno babilonese
Nabucodonosor (Nabucco), vengono ridotti in schiavitù. Dio lo castiga, facendogli
perdere la ragione e il regno. Solo alla fine dell’opera, dopo un succedersi di
avvenimenti drammatici, Nabucco chiede aiuto al Dio degli Ebrei il quale lo fa
rientrare in possesso della propria volontà, dei propri diritti e sigilla, con le nozze di
sua figlia Fenena con il principe ebraico Ismaele, la rinnovata amicizia fra i due
popoli.
III Atto
Gli Ebrei, costretti ai lavori forzati lungo la riva del fiume Eufrate, intonano un canto
carico di dolce nostalgia e di amore per la loro patria lontana e perduta, anch’essa
bagnata da un altro grande fiume, il Giordano.
Il crescendo musicale segue lo sviluppo dei sentimenti (nostalgia della terra natale,
patriottismo, fede).
L’unisono *(1) del canto vuole simboleggiare il grande ideale di libertà che li
accomuna.
I Milanesi del tempo, governati dagli Austriaci, si identificavano nel popolo ebreo
soggiogato dai Babilonesi. E’ comprensibile così che i patrioti italiani abbiano amato
svisceratamente quest’opera.
Gli Austriaci vietavano manifestazioni che potessero avere attinenza con i pensieri
rivoluzionari, tanto da proibire i bis musicali, spesso fonte di manifesta ostilità al
regime. A nulla valse questo divieto per il “Va pensiero”.
____________________________
*(1) Unisono: le voci cantano la stessa melodia.
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DA NABUCCO
Và pensiero
TESTO
PARAFRASI
Và, pensiero, sull’ali dorate,
Và pensiero, sulle ali dorate del
va, ti posa sui clivi, sui colli,
ricordo,
ove olezzano tepide e molli
va’ e posati sui pendii e sui colli,
l’aure dolci del suolo natal!
dove profumano tiepidi e delicati
i dolci venti della terra natale!
Del Giordano le rive saluta,
Saluta le rive del Giordano,
di Sionne le torri atterrate …
di Gerusalemme le torri abbattute …
Oh, mia patria sì bella e
O mia patria così bella e perduta,
perduta ,
o ricordo così caro e fatale!
oh, membrana sì cara e fatal!
Arpa d’or dei fatidici vati,
Arpa d’oro dei poeti che predicevano
perché muta dal salice pendi?
il destino,
perché pendi dal salice e sei muta?
Le memorie nel petto
Riaccendi nel nostro cuore i ricordi,
riaccendi,
parlaci del passato, quando eravamo
ci favella del tempo che fu!
liberi!
O simile di Solima ai fati,
Simile al destino di Solima,
traggi un suono di crudo
emetti un suono lamentoso,
lamento,
oppure il Signore ti suggerisca una
o t’ispiri il Signore un
musica
concento che ne infonda al
che dia coraggio alla nostra
patire virtù.
sofferenza.
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Giuseppe Verdi
La vita e le opere
Verdi nasce il 10 ottobre 1813 alle Roncole, frazione di Busseto (Parma), di umili
origini dimostra spiccate doti musicali e comincia a prendere lezioni dall’organista
del paese il quale lo avvia ad accompagnare le funzioni religiose. Prosegue gli studi a
Busseto sotto la guida di Ferdinando Provesi, direttore della “filarmonica”-(banda)
locale e organista . Nel 1832 ,aiutato finanziariamente da Antonio Barezzi , ricco
commerciante e appassionato di musica, si reca a Milano per proseguire gli studi
musicali. Respinto agli esami di ammissione al conservatorio, prosegue gli studi
privatamente con Vincenzo Lavigna , maestro di clavicembalo “Alla Scala” .
Nel 1836 rientra a Busseto , sposa Margherita Barezzi ,figlia del suo mecenate e
ottiene il posto di organista . Il suo sogno era quello di varcare la soglia del teatro
“Alla Scala “ .
Nel 1839 si verifica il suo esordio operistico. L’anno seguente muore la moglie
preceduta dai suoi figli .Verdi cade in una profonda depressione, che per certi versi lo
indirizza ad abbandonare il mondo della musica . L’aiuto morale dell’amico
Bartolomeo Merelli , impresario teatrale che aveva già fiutato il suo grande talento ,
lo costringe a leggere il libretto di Nabucco dove il passo del “Và Pensiero”lo
commuove e gli suggerisce una profonda creatività musicale. Nel 1842 l’opera sarà
presentata al teatro “Alla Scala” dove otterrà un grandissimo successo. Seguiranno
anni di intensa attività definiti da lui stesso “ anni di galera” i quali lo costringono a
trasferirsi nelle città dove vengono rappresentate le nuove opere . Nel 1849 acquista
la villa di S.Agata dove si trasferisce dedicandosi alla composizione e ai lavori
agricoli, vivendo finalmente una vita ritirata e serena. Sposerà Giuseppina Strepponi
alla quale era stato legato sentimentalmente . Questo periodo si rivelerà fecondo e
darà vita agli ultimi capolavori della maturità . Il 27 gennaio del 1901 muore a
Milano lasciando i suoi averi alla casa di riposo per musicisti che prese poi il suo
nome e dove oggi vengono conservate le sue spoglie.
Tra le sue opere
Melodramma: Nabucco, I Vespri Siciliani, Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata, Don
Carlos, Aida, Otello, Falstaff, …….
Musica Sacra: Messa da Requiem, …….
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Genesi di Fratelli d’Italia
L’inno italiano composto nel 1847, nei momenti più accesi del nostro
Risorgimento , dal musicista Michele Novaro in collaborazione con il poeta
Goffredo Mameli si caratterizza per l’incitazione alla riscossa, il ritmo scattante e
la melodia solenne. L’inno venne scelto come nostro inno nazionale un secolo dopo
nel 1946. Il periodo fascista, appena conclusosi , aveva usato come inni ufficiali due
musiche: il canto goliardico “Giovinezza”, che rappresenta il governo fascista , e La
marcia reale , che rappresenta il potere del re . Gli italiani che uscivano dalla
resistenza sentivano il fascismo come una parentesi da dimenticare. L’inno di Novaro
e Mameli significa riallacciarci agli ideali del Risorgimento e dunque di libertà.
Fratelli d’Italia, sempre ben gradito dalla monarchia di casa Savoia, pur essendo
un inno di carattere, per così dire, repubblicano era nato fra le barricate non contro il
re , come quelle francesi della Marsigliese, piuttosto per il re, colui che realizzava le
aspirazioni di un popolo che combatteva per l’unità d’Italia. Nel 1862 , per
l’esposizione internazionale di Londra, gli organizzatori chiesero a G.Verdi di
scrivere un inno che celebrasse la fratellanza tra i popoli . Nella seconda parte del suo
lavoro , il musicista cuce magistralmente in un tessuto contrappuntistico i tre inni:
Fratelli d’Italia , la marsigliese(inno francese) e Dio salve il re (inno inglese).
Nel 1943, quando l’Italia era divisa tra Repubblica sociale Italiana, alleata dei
Nazisti, e regno alleato agli anglo Americani, Arturo Toscanini , in esilio a New
York, volle dare il suo contributo di rinascita alla causa della civiltà .
Egli presentò alla radio Americana l’inno verdiano , aggiungendo , in coda alle
composizione verdiana , l’inno sovietico prima (l’internazionale) e l’inno americano
poi .
Il grande direttore d’orchestra suggellava così il grande potere che l’arte dei suoni
possiede ed in questo caso di diffondere valori di pace e fratellanza fra i popoli.
.
M. Novaro
Abbozzo inno di Mameli
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G . Mameli
FRATELLI D’ITALIA
Inno scritto nel 1847 da Goffredo Mameli e musicato lo stesso anno da Michele
Novaro. Divenne Inno d’Italia nel 1946 in sostituzione della Marcia Reale, inno
d’Italia dal 1861 al 1946, scritto da Giuseppe Gobetti per Carlo Alberto.
Note al Testo
Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa (1)
Dov'è la vittoria?
Le porga la chioma (2)
Che schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte (3)
Siam pronti alla morte,
Siam pronti alla morte (4)
Italia chiamò
Noi fummo da secoli (4a)
Calpesti e derisi,
Perchè non siam popolo,
Perchè siam divisi.
Raccolgaci un' unica
bandiera,
Una speme,
di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte...
(1) La cultura di Mameli è classica ed è forte in lui il richiamo
alla romanità. L'Italia, oramai pronta a guerreggiare contro
l'Austria, si cinge la testa, in senso figurato, (s'è cinta la testa)
con l'elmo dell'eroico generale romano Publio Cornelio
Scipione, detto poi l'Africano, (Scipio) che nel 202 a.C.
sconfisse il generale cartaginese Annibale nella famosa
battaglia di Zama (nella attuale Algeria), riscattando così la
precedente sconfitta di Canne e concludendo la seconda guerra
punica. Dopo la disfatta, Cartagine sottoscrisse il trattato di
pace con Roma per evitare la totale distruzione.
(2) Qui il poeta si riferisce all'uso antico di tagliare le chiome
alle schiave per distinguerle dalle donne libere che portavano
invece i capelli lunghi. Dunque la Vittoria deve porgere la
chiome perché le venga tagliata quale schiava di Roma sempre
vittoriosa.
(3) La coorte, cohors, era un'unità da combattimento
dell'esercito romano, decima parte di una legione; nulla a che
vedere con la corte.
(4) Qui a tutti tremano le vene dei polsi, altri fanno scongiuri,
ma vale la pena ricordare che l'autore fu coerente con le sue
parole.
(4a) Mameli sottolinea il fatto che l'Italia non è unita. All'epoca
infatti (1848) era ancora divisa in sette Stati.
(5) A dire la verità si potrebbe intravedere in questi versi un
sentimento democristiano ante litteram, ma è nota la religiosità
di Mazzini, spesso deriso per questo da Marx con il nomignolo
di Teopompo.
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Uniamoci, uniamoci
L'unione e l'amore
Rivelano ai popoli
Le vie del Signore (5)
Giuriamo far libero
Il suolo natio
Uniti per Dio (6)
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte...
Dall'Alpe a Sicilia
Dovunque è Legnano (7),
Ogn'uomo di Ferruccio (8)
Ha il cuore e la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla (9)
Il suon d'ogni squilla
I vespri suonò (10).
Stringiamci a coorte...
Son giunchi, che piegano,
Le spade vendute (11).
Già l'aquila d'Austria (12)
Le penne ha perdute
Il sangue d'Italia
Bevé col cosacco
Il sangue polacco (13)
Ma il cor lo bruciò.
Stringiamci a coorte...
(6) Il verso "Uniti per Dio" in alcune versioni appare come
"Uniti con Dio", per non essere confusa con l'espressione
popolare e quasi blasfema "per Dio" ancora oggi in uso nel
linguaggio popolare italiano. Nel poema però il verso è
derivato da un francesismo che significava "da Dio" o
"attraverso Dio".
(7) Ossia la battaglia di Legnano del 29 maggio 1176, in cui i
comuni italiani uniti in lega e guidati da Alberto da Giussano
sconfisse il Barbarossa.
(8) In questa strofa, Mameli ripercorre sei secoli di lotta contro
il dominio straniero. Anzitutto, la battaglia di Legnano del
1176, in cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa (ovunque
è Legnano). Poi, l'estrema difesa della Repubblica di Firenze,
assediata dall'esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu
simbolo il commissario generale di guerra della Repubblica
fiorentina, Francesco Ferrucci (ogn'uom di Ferruccio ha il cor e
la mano). Dieci giorni prima della capitolazione di Firenze (2
agosto) egli aveva sconfitto le truppe nemiche a Gavinana. In
Firenze fu ferito, catturato ed ucciso da Fabrizio Maramaldo
(capitano dell'esercito imperiale), un italiano al soldo dello
straniero, al quale rivolge le parole d'infamia divenute celebri
"Tu uccidi un uomo morto".
(9) I "Fascisti" non rientrano nell'affermazione, in quanto
"Balilla" è il soprannome di Giambattista Perasso, il ragazzo
genovese che con il lancio di una pietra diede inizio alla rivolta
popolare di Genova contro gli austro piemontesi il 5 dicembre
1746 .
(10) Ogni squilla significa "ogni campana". E la sera del 30
marzo 1282, tutte le campane chiamarono il popolo di Palermo
all'insurrezione contro i Francesi di Carlo d'Angiò, i Vespri
Siciliani.
( Per stanarli gli facevano vedere dei ceci e gli chiedevano:
cosa sono questi? E loro, non sapendo pronunciare la "c" dolce,
dicevano "sesi", e i siciliani giù botte! )
(11) Le truppe mercenarie di occupazione.
(12) L'aquila bicipite, simbolo degli Asburgo.
(12) - (13) L'Austria era in declino (le spade vendute sono le
truppe mercenarie, deboli come giunchi) e Mameli lo
sottolinea fortemente: questa strofa, infatti, fu in origine
censurata dal governo piemontese. Insieme con la Russia (il
cosacco), l'Austria aveva crudelmente smembrato la Polonia.
Ma il sangue dei due popoli oppressi si fa veleno, che dilania il
cuore della nera aquila d'Asburgo.
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