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“Serse” di Händel a Madrid
Centro Nacional de Difusión Musical - Temporada 2015-2016
Auditorio Nacional de Música de Madrid
“SERSE”
Opera seria in tre atti su libretto adattato da Silvio Stampiglia (Roma 1694),
basato su Il Xerse di Niccolò Minato (Venezia 1655)
Musica di Georg Friedrich Händel
Serse JOSÈ MARIA LO MONACO
Romilda HANNA HUSÁHR
Arsamene SONIA PRINA
Atalanta KERSTIN AVEMO
Amastre IVONNE FUCHS
Elviro CHRISTIAN SENN
Ariodate LUIGI DE DONATO
Ensemble Matheus
Direttore Jean-Christophe Spinosi
Madrid, 22 novembre 2015
Serse è davvero la più atipica delle opere di Händel, sicuramente una delle più maliziose, ricche
di spirito e di auto-ironia. Poiché presenta un ritratto dell’opera barocca del tutto diverso da
quello che pregiudizialmente ci si aspetta, è una scelta degna di ogni apprezzamento che il
Centro Nacional de Difusion Musical di Madrid lo abbia individuato per inaugurare il ciclo
“Universo Barroco” nella sala più grande e prestigiosa della città. La decisione va
incontro a un premio notevole, se in una domenica pomeriggio di fine novembre
l’Auditorio Nacional de Música risulta gremito. E alla fine il pubblico è addirittura
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entusiasta per aver ascoltato un’esecuzione musicale di altissimo livello, unitamente
all’aver assistito a uno “spettacolo” completo e molto divertente. Si è opportunamente
rimarcato il termine “spettacolo”, pure in assenza di costumi, scene, luci e coordinamento di
regia. Tutto quello che i registi si sforzano di reinventare sul palcoscenico con idee e strutture
che si sovrappongono alla musica di Händel, i cantanti da soli riescono a realizzare ancora
meglio: è sufficiente un accenno di recitazione per potersi poi concentrare sull’interpretazione
della
musica, e ottenere il miglior effetto. Nella versione diretta da Jean-Christofe Spinosi ci sono
almeno tre attrici cantanti straordinarie per doti attoriali e per felicità di stile, e sono le interpreti
di Serse, Arsamene, Atalanta. Grazie agli elementi musicali (che sempre forniscono il giusto
suggerimento) l’intento di costruire tutto l’intreccio a furia di inganni, malintesi, capricci,
ripicche, insomma di tutti gli atteggiamenti più stupidi e sciocchi dell’uomo, riesce alla
perfezione: basta un ritenendo del direttore o un’accelerazione improvvisa, un fagotto che si
alza in piedi per scandire un accordo di sberleffo, una pausa prolungata con sguardi d’intesa
tra i cantanti, per arricchire l’espressività dell’esecuzione e soprattutto per dare vita a
quell’auto-ironia che dell’opera barocca e dei suoi infingimenti costituisce parte importante. La
lontana origine veneziana del libretto di Minato perdura negli ammiccamenti che Händel
sviluppa con la sua propria ironia; e la versione da concerto permette di apprezzare meglio
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anche le simmetrie interne: la più evidente, per esempio, riguarda lo stesso protagonista, di cui
contrappone gli estremi del carattere (l’opera si apre con il celebre largo «Ombra mai fu di
vegetabile», ma si chiude poco dopo che Serse ha intonato l’agitata aria di sdegno «Crude
Furie degl’orridi abissi», a testimonianza di un uomo eccessivo, umorale, capriccioso in ogni
tipologia dei propri affetti). Quello che direttore e cantanti rendono in modo perfetto è ogni
più piccolo accorgimento händeliano in direzione della comicità, della malizia,
dell’ironia; l’effetto complessivo è di un’opera interamente costruita sulla raffinata
parodia del genere illustre che mette in scena. Nelle introduzioni strumentali alle arie il
direttore sfrutta tutta la gamma delle sonorità dell’Ensemble Matheus, dal pianissimo al forte,
con punti di cesura e sincopi clamorosi, funzionali a rafforzare l’incredibile espressività delle
parti in dialogo (come per esempio accade nella scena d’ingresso di Amastre). Josè Maria Lo
Monaco canta molto bene il largo iniziale, facendo apprezzare soprattutto il suo timbro; ma
merito ancora maggiore va al direttore, per l’impostazione di
ritmo e di sonorità. Già dalla sinfonia, e poi nel seguito, Jean-Christofe Spinosi insiste non
sulla grandiosità del suono, o sugli effetti di trasparenza che la sua orchestra potrebbe
facilmente ostentare, bensì sulla delicatezza händeliana. Serse è un’opera che parte tutta “in
salita”: la riuscita del protagonista si decide in pratica dall’esito della prima aria (che la Lo
Monaco si aggiudica con il livello dell’eccellenza; diverso il caso dell’ultima, di opposto stile
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emotivo, «Crude Furie degl’orridi abissi», in cui le variazioni basse sono quasi evanescenti e la
coloratura un poco semplificata). Hanna Husáhr, l’interprete di Romilda, è un soprano dalla
voce incantevole, dall’emissione precisa e sempre garbata; sono bellissimi i suoi effetti imitativi
dei flauti nell’aria d’esordio (mentre nel corso dell’opera, in particolare nel III atto, forse per
stanchezza accusa qualche piccolo cedimento nell’uniformità timbrica degli acuti). Arsamene, il
secondo ruolo en travesti della compagnia, è come la Lo Monaco un’altra italiana assai celebre
nel repertorio barocco: Sonia Prina, dalla voce sempre piena e corposa, molto adatta agli
sfoghi drammatici, ma altresì ai frequenti toni di strafottenza con cui il suo personaggio
motteggia e canzona il regale fratello, facendo il verso alle sue arie (suprema civetteria dell’arte
musicale di Händel). Per porgere ben sgranate le note delle agilità, la Prina è costretta ad
alleggerirne l’entità sonora, con un lieve difetto nella resa timbrica (frammentazione del
registro); ma questa soluzione è senza dubbio preferibile alla scelta di spianare il virtuosismo.
Del resto è proprio il
canto contraltile della Prina a suscitare gli applausi più entusiastici nel pubblico madrileno. Nella
difficilissima parte di Atalanta (che sul piano espressivo richiede un autentico caratterista) è
l’attrice-cantante (più che cantante-attrice) Kerstin Avemo, subito protagonista di una gag
insieme a Spinosi: il direttore imbraccia il violino del concertino per gareggiare con il soprano
negli abbellimenti che concludono la sua prima aria e si apre la sfida tra virtuosi. La Avemo
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raggiunge i sopracuti più spericolati, a prezzo però di evidenti stridori nell’emissione; ma il
pubblico si diverte molto, e non lo si può certo criticare. È un peccato che il soprano non possa
fraseggiare l’italiano in modo soddisfacente, perché in questa versione Spinosi (che
evidentemente non è soltanto direttore, ma anche regista) le affida la parte più rilevante cui sia
affidato l’esito comico. Suo corrispettivo maschile è il ruolo del servitore Elviro, svolto dal
baritono Christian Senn; altro cantante molto intelligente, che al travestimento da giardiniere
imposto dal libretto associa quello vocale, nello stile orientaleggiante del Bourgeois
gentilhomme: fonte ulteriore di spasso per chi ascolta. Amastre è sostenuta dal mezzosoprano
Ivonne Fuchs, che nelle inflessioni del registro basso indulge un po’ troppo al parlato; la sua
prestazione è comunque convincente. Ariodate è interpretato dal basso Luigi De Donato, molto
corretto anche se dal timbro un po’ chioccio al suo primo apparire. I brevi interventi corali sono
sostenuti dall’insieme dei solisti, e dalla stessa orchestra in due momenti simmetrici del III atto.
“Universo Barroco” di questa stagione punta molto su Händel, perché nei prossimi concerti di
repertorio vocale saranno eseguiti l’oratorio Susanna e il melodramma Partenope. Foto CNDM
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