Germanico note sul ritrovamento e attribuzione Ottaviano Tenerani A breve tempo dalla presentazione internazionale del CD “Germanico” e dall’uscita del volume in edizione critica della partitura, ed essendo in corso una serie di verifiche e studi sul brano, riteniamo opportuno intervenire sia per segnalare le nuove informazioni acquisite rispetto alle introduzioni del CD e dell’edizione così come a proposito di alcune opinioni espresse da osservatori e commentatori, opinioni che abbiamo potuto raccogliere e per le quali ringraziamo tutti gli autori e i contributori. Un primo – piccolo - elemento di discussione che intendiamo affrontare è quello legato al come alcuni commentatori abbiano dato per scontato che, trovandoci di fronte ad un brano regolarmente registrato nel catalogo della biblioteca di appartenenza, si dovesse necessariamente concludere che l’opera fosse già conosciuta o, addirittura, che dovesse essere evidentemente nota da anni e altrettanto evidentemente trascurata perché non ritenuta credibilmente attribuibile a Händel. Vogliamo cogliere quest’occasione per ribadire che nessuno tra gli eminenti e non pochi studiosi e musicisti interpellati era a conoscenza del manoscritto; parlare quindi di “scoperta” o “ritrovamento” è sembrato per tutti ovvio. E’ noto anche come in molti casi, documenti di rilevante importanza fossero pacificamente catalogati nei fondi di appartenenza senza che per questo fossero noti agli studiosi o agli appassionati fino a quando non sono stati riportati “alla luce”. E’ infine da far notare come – nella realtà - la ricerca musicologica sia di norma molto attenta e seria nei confronti di ogni nuova segnalazione, senza nulla dare per scontato se è vero che oltre trecento possibili opere händeliane sono al vaglio degli studiosi. Nel corso degli incontri e degli scambi di opinione che abbiamo avuto con alcuni dei più noti esponenti del circuito musicale e musicologico internazionale, nessuno ha quindi minimizzato l’avvenuto ritrovamento né dato nulla per scontato. Al di là di questa prima e dovuta considerazione è quindi più opportuno, nell’apprestarci a formulare una qualsiasi ipotesi, rivolgerci verso un normale processo di verificazione/falsificazione che – in casi del genere - tende a basarsi su possibili connessioni con altre opere sicuramente originali e/o su documenti correlati al documento principale che possano fornire ulteriori conferme. Nel caso del Germanico non sembra al momento possibile una verificazione o una falsificazione certa perché non disponiamo né (per il primo caso) di detti documenti correlati e neppure (per il secondo caso) di - ad esempio - fonte ulteriore che attribuisca senza dubbio l’opera ad altro autore o documenti che dimostrino incompatibilità di altro tipo. E’ altresì vero che - visto quanto appena detto - è assolutamente corretto parlare di “opera attribuita a Händel” fino a quando ulteriori dati certi confermino o meno questa attribuzione. Nell’intraprendere un percorso di analisi più oggettivo possibile, un praticabile anche se scivoloso terreno di discussione ci pare quello legato agli aspetti stilistici dell’opera in questione e al modus operandi di Händel, con particolare riferimento al suo periodo italiano e all’uso di prestiti e auto-prestiti. A questo punto è ancora necessario fare una piccola premessa per essere estremamente chiari. Nessuno – compreso chi scrive - del gruppo di lavoro di coloro che hanno scoperto il manoscritto ritiene di avere elementi bastanti a concludere che l’opera possa essere attribuita con certezza a Händel così come ad altro autore. Ma i dati al momento in possesso, e oramai da parte di tutti, devono essere letti con estrema obbiettività e serietà. Stesso metodo deve essere adottato anche in caso di ipotesi diverse da quelle dell’attribuzione segnata sul manoscritto, separando bene i dati dalle pure ipotesi. Passiamo quindi ad occuparci dell’aspetto stilistico della composizione. Fin dalle prime analisi è risultato evidente che la serenata fosse stata composta da un autore di sicuro valore musicale. Allo stesso tempo è stato chiaro che un’attribuzione esclusivamente su base stilistica fosse impossibile in quanto – come affermato da tutti i musicologi e musicisti interpellati – lo stile di molti autori del periodo può risultare piuttosto somigliante e non riconoscibile senza ulteriori documenti a conferma o meno di una paternità. Tutti gli interpellati hanno di conseguenza identificato all’interno del Germanico forme e stili che avrebbero potuto essere certamente compatibili con la scrittura händeliana, in particolar modo del periodo italiano. Sulla scorta di tali e largamente condivisi pareri, affermare quindi che “l’opera non può essere di Händel perché non assomiglia a Händel” ci sembra francamente argomento pericoloso (benché comprensibile) e forse poco definitivo ai fini di un’attribuzione certa. A questo va aggiunto che lo stile del primo Händel è ritenuto, da tutti gli studiosi e dai commentatori attenti, piuttosto mutevole e pronto ad assimilare stimoli esterni e variegati, soggetto a necessità improvvise e ad esperimenti lungo strade spesso poi riutilizzate così come in altri casi abbandonate. A questo proposito potrebbero essere citate opere dell’Händel “italiano” (in particolar modo varie cantate) che se non fossero supportate da altri documenti difficilmente parrebbero di sua mano. Altro tema di notevole interesse è quello legato ai prestiti e agli auto-prestiti. Il dato che emerge è che nel Germanico non si individuano al momento auto prestiti precisi mentre l’aria di Agrippina "Chi tanto t'adora" (soprano, oboi, fagotto, archi e continuo) risulta essere una differente versione dell’aria “Amore m'infiamma col lampo d'un guardo” (soprano, archi e continuo) dall’Opera “Il trionfo di Camilla Regina dei Volsci” di Giovanni Bononcini (1696)1. L’argomento auto-prestiti è sicuramente importante perché questa particolarità si ritrova in moltissime delle opere di Händel. Ma, di nuovo, può essere solo questo senza dubbio determinante ai fini dell’attribuzione? Perché se si, dovremmo ritenerlo argomento valido in tutte le circostanze. E’ invece deducibile dai cataloghi e dagli studi che si sono potuti effettuare che, nella misura di circa il 25% dei casi, le opere composte in Italia da Händel (e ancora con particolare riferimento alle cantate) non contengano parti tratte da opere precedenti o riutilizzate nelle successive. Come dovrebbe essere letto questo dato? Allo stesso modo l’aria di Bononcini sopra citata e presente nel Germanico potrebbe suggerire conclusioni estremamente diversificate poiché è noto a tutti quanto la pratica del prestito e dell’auto-prestito fosse comune nella produzione di molti compositori dell’epoca. Tra le altre cose è ancora noto quanto proprio Händel abbia riutilizzato, in più occasioni, materiale di Bononcini. *** Vorremmo passare ora ad analizzare alcune tesi di carattere storico che qualche commentatore ha ipotizzato riguardo la possibile collocazione cronologica del Germanico. Anche con riferimento a questo aspetto, fin dalla prima analisi del libretto, si è rivelata palese la connessione della trama (o meglio degli intenti celebrativi in essa contenuti) con gli eventi legati alla Casa d’Austria. Chiarificante a questo proposito il concetto espresso nel lungo recitativo finale di Germanico: Ringraziamo per il prezioso contributo il Dott. Pedro-Octavio Diaz, il quale ci segnala anche che proprio a Firenze nel 1706 fu pubblicata una raccolta di arie tratte dal “Trionfo di Camilla” di Giovanni Bononcini. 1 - Recitativo (Germanico) O stelle o dei non sogliono mentire i sogni miei. Del Reno a canto ai lidi già contro il bellicoso Arminio altero sognai gran cose e il sogno mio fu vero. Stupite si stupite porterà il Trono suo nel suol germano l'Alto impero Romano io ne sono presago, il sogno udite. Veder mi parve maestoso in viso il gran Romano Impero del Danubio guerriero presso le sponde in alto soglio assiso al destro al manco lato nobil schiera tenea d'eccelsi eroi e con artiglio armato stava l'Aquila Augusta a' piedi suoi così ben me'l rammento così, così parlar l'intesi. - Recitativo accompagnato (Germanico) Dopo cento anni e cento qui porrò la mia sede, questi sarà dei Cesari l'erede e in dir, questi sarà, stese la mano sovra un garzon che rassembrava un nume e che in fronte tenea corona e piume; giaceano alle sue piante elmi scudi e Loriche e bandiere nemiche ed armi infrante a la sua destra a canto la Gloria componea serti d'allori e bella Pace intanto intrecciava non lungi ulivi e fiori. Spesso degli occhi suoi e l'una e l'altra face grave fissava in su la Gloria e poi si guardavan ridendo egli e la Pace: Gli balenava in volto foco d'onore e il Cielo avea negli occhi Era biondo il suo crine qual si vede l'Aurora che nel nascer si smalta e poi s'indora. O s'io potessi in quell'età beata tornar del mondo a riveder la luce sotto l'Augusto duce ripiglierei la forte spada in mano ma il sogno è vero ed il desire è vano. E’ evidente l’intento celebrativo pro-Asburgo ed in particolar modo riferito all’ascesa al ruolo imperiale di “…un garzon che rassembrava un nume…che in fronte tenea corona e piume / il Cielo avea negli occhi, Era biondo il suo crine…” (…). In particolar modo la descrizione del “Garzon” si conforma bene sulla figura di Giuseppe d’Asburgo salito al trono imperiale (col nome di Giuseppe I) alla morte del padre Leopoldo I avvenuta il 5 Maggio del 1705. Sulla scorta di tale osservazione e di altre a carattere stilistico musicale, alcuni hanno suggerito che il Germanico sia opera da collocarsi tra il 1702 e il 1704 (occasioni di due campagne militari di cui il futuro imperatore fu protagonista, associando le due figure di Germanico/Giuseppe nell’eroe che torna vincitore e che rende omaggio al padre Tiberio/Leopoldo). Non riconoscendo poi nel lavoro tratti händeliani, individua in Giovanni Bononcini o Attilio Ariosti, compositori vicini alla corte viennese, il probabile autore dell’opera. Pur considerando attentamente queste opinioni e d’accordo nell’individuare il celebrato - direttamente o indirettamente - nell’imperatore Giuseppe I (si veda a questo proposito il ritratto di Giuseppe, bambino, nel quadro attribuito a Gerard Duchateau), ci permettiamo di essere più cauti riguardo la rapidità delle conclusioni cui questi commentatori sono giunti riguardo l’attribuzione dell’opera e la sua datazione. Tralasciando il discorso sull’analisi stilistica che (come già detto e sulla scorta di tanti autorevoli pareri) ci sembra francamente poco attendibile ai fini di una certa attribuzione, ci chiediamo invece quanto fosse prassi che un compositore di corte – e con quale tatto - componesse un’opera in cui si festeggia (o si auspica) l’ascesa al trono di un erede il cui augusto genitore, e imperatore “in essere”, non sia ancora morto. Il tutto – tra l’altro - senza sapere quando questo luttuoso evento si sarebbe verificato. Ipotesi per ipotesi riterremmo più probabile che tale composizione sia il frutto di una situazione in cui il dedicatario sia già imperatore (magari di fresca nomina) e per questo si scomodino eroi romani di celebrata lungimiranza unita a doti morali, culturali e militari d’eccezione (Germanico) che già in un lontano passato avevano sognato un tale lieto e aureo giorno. Ci pare inoltre che il doppio accostamento Giuseppe/Germanico e Giuseppe/biondo garzone erede dei cesari (dando questo secondo per buono) sia di troppo e renda le interconnessioni della trama piuttosto complesse e autocelebrative. Ci troveremmo cioè di fronte al “pluritrasposto” Giuseppe che sogna ed esalta se stesso incoronato. Ovviamente nel regno delle ipotesi “tutto può essere” ma – seguendo questa traccia - per noi più ragionevole deduzione è che la composizione sia allora da collocarsi – in virtù della data di ascesa al trono di Giuseppe – proprio post 1705 e forse anche 1706, tenendo conto dell’anno di lutto di cui si ha notizia (Maggio 1705 – Giugno 1706) conseguente alla morte di Leopoldo I. Con questo non si intende affermare che l’opera non possa essere di autore diverso da Händel. Solo per citare filoni di ricerca (anche a più ampio raggio) da noi intrapresi vorremmo far notare, ad esempio, il fatto che la musica del Germanico non ci ricorda il Bononcini del 1702/1704 e dintorni. Molto ci ricorda invece il Bononcini del 1690/1695. Ci pare allora ulteriormente strano un Bononcini che copia se stesso nello stile di dieci anni prima, mentre non troveremmo così strana un’ispirazione di questo genere per un giovane Händel. In questa diversa ottica riterremmo allora più probabile che – se di Bononcini - la composizione possa collocarsi intorno al 1690 (magari per l’occasione in cui a Giuseppe, dodicenne, fu conferito il titolo di Re dei Romani) con conseguente ribaltamento del rapporto tra le due versioni dell’aria sopra citata, comune al Germanico e alla Camilla. Ovviamente se prendiamo per buona questa ipotesi, i dati che riguardano carta/filigrana/rastrature non combacerebbero più tanto bene ma essendo il manoscritto una copia torniamo a dire che “tutto può essere”. Potrebbe essere opera di un autore dei primi anni novanta del ‘600, copiata – in questo esemplare - dieci o più anni dopo? Al momento non siamo riusciti a trovare alcun elemento a sostegno di questa ipotesi. E’ inoltre il caso di ricordare che, almeno secondo quello che ci risulta e nonostante i preziosi documenti riscoperti dai coniugi Kirkendale, non si ha nessun tipo di informazione certa su Händel dal 25 Febbraio 1705, data della messa in scena del Nero ad Amburgo fino al 14 Gennaio 1707 (a Roma) giorno in cui nel diario di Francesco Valesio si legge di un “Sassone eccellente suonatore di cembalo e compositore di musica, il quale oggi ha fatto gran pompa della sua virtù nel sonare l’organo della chiesa di S. Giovanni con stupore di tutti”. Riteniamo quindi che escludere a priori che Händel possa aver composto un qualcosa di stilisticamente ammissibile in questi due anni di buio completo e con, in mezzo, un’incoronazione imperiale di tale rilievo per le sorti europee, sia almeno azzardato. E’ infine opportuno aggiungere che, come riportato fin dalla (seppur largamente imprecisa in quanto a corrispondenza di date e fatti) biografia di John Mainwaring in poi, molte composizioni di Händel risalenti al periodo di Amburgo andarono perdute per lo stesso compositore (e chissà magari quante a noi sconosciute, risalenti a questi due anni appena citati). Torniamo dunque ad esporre qui di seguito i dati comprovati relativi al Germanico: La partitura manoscritta è stato individuata nel corso di una ricerca presso il Fondo Pitti della Biblioteca del Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze e si è rivelato fin da subito di straordinaria importanza per i contenuti musicali oltre che per l’attribuzione segnata sulla prima pagina di musica. Mancando di frontespizio recante il titolo, è stato adottato quello riportato nei cataloghi presenti in biblioteca. Dopo una prima fase d’indagine, durata alcuni mesi e atta a verificare che il titolo non comparisse già in cataloghi händeliani di opere certe, attribuite, dubbie/spurie, o che già altri musicisti o ricercatori non avessero per qualche motivo avuto l’occasione di venirne in contatto (sia dalla nostra stessa fonte sia da eventuali altre), si sono effettuate ulteriori ricerche per i dovuti controlli stilistici e storici. Pur tenendo di conto della concordanza stilistica e dell’attribuzione al compositore secondo la dicitura “Del Sigr. Hendl” presente sulla prima pagina di musica (da parte di quella che potrebbe essere la stessa mano che ha scritto la musica e il testo)2, sono state condotte ricerche di complemento sviluppate lungo vari percorsi bibliografici e storici qui di seguito esposti con le sintetiche conclusioni: A) Indagine sui repertori delle opere händeliane Nessun catalogo antico o moderno – dal già citato Mainwaring fino al “Verzeichnis der Werke Georg Friedrich Händel” a cura di Bernd Baselt - riporta il nome dell’opera né fra le certe né fra le attribuite, disperse o incerte. B) Indagine su cataloghi di fondi musicali in varie città italiane; Al momento non è stato rintracciato nessun altro esemplare dell’opera, così come nessuna notizia riguardo l’occasione dell’originaria esecuzione e - fatto forse spiegabile in virtù dell’ultima considerazione - nessun esemplare di libretto a stampa. Dalla consultazione del catalogo on line della Biblioteca nazionale di Vienna, collezione asburgica, non risulta emergere nessun titolo analogo, così come nel RISM on line. A questo proposito è bene specificare che durante le verifiche sono stati interpellati diversi specialisti in grafologia. E’ emerso che non è banale determinare se più di una mano abbia partecipato alla scrittura dei vari elementi del manoscritto e sicuramente non senza analisi approfondite. Sicuramente tutti gli elementi (testo, musica, attribuzione) sono riconducibili ad una stessa “scuola” e non sembrano appartenere a epoche differenti. E’ dunque possibile che il manoscritto sia tutto di una stessa mano – come pare alla prima analisi - tranne che per le aggiunte musicali presenti in tre arie di cui si fa menzione nel presente scritto e che mostrano una grafia notevolmente differente dal resto. In ogni caso l’attribuzione a Händel che compare sulla prima pagina di musica non sembra di mano moderna o di molto posteriore a quella che ha redatto la musica. 2 C) Indagine sui cataloghi della Biblioteca del Conservatorio di Firenze e del Fondo Pitti in modo specifico3 L’opera appare sul catalogo più antico del fondo Pitti presente presso il Conservatorio Cherubini, ritrovato solo lo scorso anno nel fondo Basevi, datato 18324 e contenente un inventario topografico dell’intero fondo Pitti. Compare anche nell’inventario alfabetico per autore della II divisione, ovvero il Teatro, del 18535. Entrambi i cataloghi sono stati compilati dall’archivista di Palazzo Pitti sotto richiesta del granduca Leopoldo II Asburgo Lorena e sono fonti primarie per conoscere le stratificazioni della collezione musicale palatina. Il Germanico manca invece in una bozza di catalogo, scoperta quest’anno a Pistoia e databile 1799, che comprende tutti i titoli della biblioteca, musicale e non, del granduca Ferdinando III a Palazzo Pitti, subito prima dell’invasione francese. In tempi moderni Il titolo è censito nella pubblicazione del 1929, Catalogo della Biblioteca del Conservatorio di musica di Firenze a cura di R. Gandolfi, C. Cordara e Arnaldo Bonaventura. Lo stesso catalogo è stato poi edito in copia anastatica dalla Casa Editrice Forni nel 1977. Nonostante tutto il titolo è rimasto sconosciuto agli studiosi. D) Indagine sul manoscritto; - Fonte: Manoscritto non autografo. - Localizzazione: Firenze, Biblioteca del Conservatorio musicale Luigi Cherubini. - Collocazione moderna: FPT.165 (Fondo Pitti Teatro), collocazione precedente (ma sempre moderna) A.I.110 presente su etichetta in alto a sinistra della coperta. - Legatura: in mezza carta con coperta in carta marmorizzata di tipo Arch e dorso in carta Dahlia databili metà XIX secolo. - Consistenza: 61 carte, bianca la quarta. Carta di guardia staccata in carta velina. - Dimensioni coperta: ca 260 x 310 mm. - Dimensioni carta: 255 x 300 ca. - Filigrana: tre mezzelune. - Rastratura: 10 in doppia rastratura 5 + 5. - Copista: anonimo, probabilmente mano unica. La grafia e la notazione musicale risalgono ai primi anni del diciottesimo secolo. A c.1r, prima pagina di musica, si legge, insieme al timbro della biblioteca del Conservatorio, il numero stampato “165”, riconducibile all’attuale collocazione nel fondo Pitti, ma anche all’antica segnatura ottocentesca, come riportato nei cataloghi storici sopra citati. In alto a sinistra, il copista scrive “Del Sigr Hendl”. Due le considerazioni in proposito. Il nome dell’autore è scritto secondo la pronuncia spesso ricorrente nell’Italia del periodo (più spesso Hendel) e derivante forse dall’incertezza del tempo nel rapporto tra pronuncia di nomi stranieri e grafia. 3 I dati che seguono sono stati forniti dalla dott.ssa Stefania Gitto che si sta occupando della ricostruzione storico-bibliografica del fondo Pitti e della provenienza delle musiche. Alla dott.ssa Gitto vanno i nostri più sentiti ringraziamenti sia per tutte le preziose informazioni che per la cortesia con cui ha supportato in ogni momento le nostre ricerche. B3833- Catalogo | della Musica da Camera e della opere Teatrali| che esistono | Nella Divisione II. | Dell’Archivio di Musica | di S.A.I.e R. | Il Granduca di Toscana | Leopoldo II. | Compilato | dall’archivista Giuseppe Lorenzi | Firenze 1830. 4 5 B 3832 – Catalogo per autori | 1-2-3 divisione Sull’ultima carta del manoscritto, al termine della musica e della parola “Fine” è riportato un numero di difficile interpretazione: si potrebbe leggere “4230” , ipotizzabile come un numero vecchio di inventario della collezione di provenienza della partitura, ma è una ipotesi che al momento non trova alcun riscontro scientifico. Sul bordo della pagina, timbro moderno del conservatorio con l’attuale numero di ingresso 4029. Il presente manoscritto, privo della legatura caratteristica del fondo palatino in carta elegantemente xilografata e impreziosita da stampa acquerellata, non presenta alcuna traccia di possesso, né una legatura curata e preziosa dove manca anche il frontespizio. Il Germanico è evidentemente un pezzo di manifattura diversa e di provenienza inconsueta nell’ambito della collezione granducale, e il suo posizionamento originario all’interno delle opere di Händel e con numero di collocazione piuttosto basso (comprovato dagli antichi inventari), fa ipotizzare un inserimento nella biblioteca musicale palatina intorno agli anni ’30 - ’50 del XIX secolo. Il fondo Pitti, così come la pregiata Biblioteca Palatina oggi custodita presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, è costituito per sua gran parte, da musiche manoscritte e a stampa collezionate dal granduca di Toscana Ferdinando III, bibliofilo e amante della musica, a partire dagli anni ’80 del Settecento. Nel 1819, cinque anni dopo il rientro del granduca dall’esilio durato 15 anni che lo portò a Vienna, Salisburgo e Wurzburg, la biblioteca di Palazzo Pitti occupava 22 stanze con oltre 40.000 libri, oltre alle due destinate alla collezione musicale (attualmente di oltre 6000 titoli). Al momento non è nota la provenienza della partitura del Germanico, che potrebbe essere pervenuta dalle acquisizioni del granduca negli anni di esilio o nel secondo periodo di governo a Firenze, se non addirittura durante quello del suo successore Leopoldo II. Potrebbe anche essere stata trovata nei meandri di Palazzo Pitti quale raro se non unico esempio di musica appartenente alla collezione medicea, oggi dispersa. Più plausibilmente rispetto ad altre ipotesi potrebbe essere il ritrovamento di un testimone superstite della ’riscoperta‘ haendeliana celebrata a Firenze nel Settecento da lord Cowper che, insieme al marchese di Ligneville, fu artefice della prima esecuzione italiana del Messiah e de Alexander‘s Feast (1768) a Palazzo Pitti. E) Cronologia certa o presunta delle opere del periodo italiano; La cronologia delle opere italiane di Händel è molto incerta perché incerti e poco documentati sono gli spostamenti del compositore attraverso la penisola. Al di là di alcuni punti fermi ed episodi provati, il resto si suppone e qualcosa si intuisce grazie a fattori quali cronache, conti di copisti, analisi delle carte. A costo di sembrare ripetitivi vogliamo ancora ricordare che al momento praticamente nulla si sa di Händel nei quasi due anni che vanno da Febbraio 1705 al Gennaio 1707. Basandoci anche sugli studi condotti da Hans Joachim Marx, Keiichiro Watanabe e Donald Burrows proprio riguardo a tipi di carta impiegati da Händel e dai suoi copisti, filigrane, rastrature e copisti stessi, (e sulle carte impiegate da compositori “stilisticamente compatibili” con il taglio dell’opera e da loro copisti) e confrontando tali studi con i risultati degli stessi esami da noi condotti sul manoscritto, si può ipotizzare – nel caso l’attribuzione venga confermata da argomenti definitivi - che questo lavoro sia collocabile post Maggio 1705 per la pertinenza con la data di ascesa al trono di Giuseppe d’Asburgo, o ammesso che Händel sia arrivato in Italia nell’autunno 1706, cosa plausibile - nel periodo italiano del compositore e assegnarlo, fino a prova contraria, al suo primissimo soggiorno veneziano o fiorentino6. Si ringraziano per le preziose consulenze e opinioni il Dr. Stephen Roe (Head of Department Printed and Manuscript Music - Sotheby’s), il Prof. Donald Burrows (The Open University - Music Department - Milton Keines - UK), il Prof. Wendy Heller (Department of Music - Director, Program in Italian Studies, Director of Graduate Studies, Musicology - Princeton - USA), Sir Charles Mackerras (AC, CH, CBE, President of Trinity College of Music), il Prof. Claudio Toscani (Università degli Studi di Milano - Filologia musicale e Storia del melodramma), il Prof. Anthony Hicks. 6 F) Confronti stilistici con le opere del periodo italiano di Händel (e più tarde); Come detto in precedenza l’opera è stilisticamente coerente con i canoni handeliani del primo periodo. Di particolare rilievo la presenza delle alterazioni in più recitativi, una certa spigolosità nell’andamento delle parti, le introduzioni al basso delle linee vocali così come si ritrovano nelle cantate attribuite al primo periodo fiorentino. Interessante anche notare l’uso (piuttosto inusuale per la musica di matrice italiana) di una coppia di viole da gamba obbligate in ben due arie, con modalità d’impiego simili a quelle che Händel adotta ad esempio nella cantata “Tra le fiamme” HWV 170 e nel grande oratorio “La Resurrezione” HWV 47. Da segnalare infine il raro esempio di lungo recitativo accompagnato dalla sola viola e dal violino in “arpeggio” senza basso, esempio che compare anche in apertura della cantata “Dietro l’orme fugaci” HWV 105. Innumerevoli sono infine le somiglianze melodiche, armoniche e strutturali con il resto della sua produzione, pur senza avere individuato, al momento e come già detto, precisi o estesi elementi di riutilizzo. Händel, invitato in Italia da Gian Gastone de’ Medici (o secondo altre fonti dal Gran Principe Ferdinando) intorno all’anno 1705, arriva nel nostro paese nel 1706 (?), secondo un itinerario che si credeva avesse toccato dapprima Firenze per poi proseguire con Roma, ancora Firenze e in vari ordini ancora queste due città oltre a Venezia, Napoli, e località minori, in/per vari periodi e ricorrenze. In realtà la prima e ragionevole tappa del ventunenne compositore tedesco è probabilmente stata Venezia perché la carta di tutte le sue prime opere italiane è carta veneziana (filigrana con tre mezze lune). Quel che sembra evidente è che durante il suo soggiorno italiano Händel abbia usato carte da musica acquistate via via e che le abbia impiegate ogni volta fino ad esaurimento. Questo spiegherebbe il fatto che alcune opere siano iniziate su un tipo di carta e proseguite su altro tipo; la successione dell’uso della carta potrebbe quindi fornire una cronologia delle opere forse più attendibile di qualsiasi altra. Il Germanico è scritto su carta veneziana, la cui datazione coincide con il periodo corrispondente al primo momento del viaggio italiano di Händel. Il lavoro, che come tanti altri coevi, è chiaramente influenzato dagli avvenimenti della “Guerra di successione spagnola” 7 sembra destinato, per particolarità di libretto che si palesano apertamente nella parte finale dell’opera, ad una celebrazione privata favorevolmente incline ad ambienti vicini alla casa d’Austria. Forse anche per questo non si trovano elementi di scrittura in stile francese. Al momento nessuna motivazione concreta spiega la presenza del manoscritto a Firenze, dove è rimasto preservato e al sicuro fino ad oggi. Ottaviano Tenerani San Romano - Ottobre 2011 Combattuta tra il 1701 e il 1714 a seguito della morte del Re Carlo II di Spagna. Vide schierati da una parte la Francia, la Baviera e l'arcivescovato di Colonia contro, dall'altra l'Inghilterra, l'Austria e gli stati tedeschi del Sacro Romano Impero. 7