Recensioni > Cinema > Cultura - Mercoledì 14 Novembre 2012, 08:00 www.lindro.it La violenza della maggioranza silenziosa Viaggio in Italia attraverso il cinema: ‘Un borghese piccolo piccolo’ (1977) di Mario Monicelli" Andrea Orbicciani La società italiana negli anni ’70 è profondamente imbevuta di violenza. È sufficiente a ricordarcelo la prima sequenza del film ‘Un borghese piccolo piccolo’, in cui Alberto Sordi, dopo aver pescato un luccio nel fiume, gli fracassa ripetutamente la testa con un sasso per ucciderlo. La violenza del decennio è legata alla politica, innescata dal trauma della bomba di piazza Fontana: ci sono italiani che uccidono altri italiani per motivi politici e lo stato non sa fare altro che rimanere a guardare o cercare di occultare alcune verità imbarazzanti, determinando così un corto circuito micidiale, ovvero una generale perdita di fiducia nelle istituzioni democratiche e la nascita di nuove forme di terrorismo. È anche una violenza legata alla criminalità comune, che proprio negli anni ’70 conosce un culmine prima inimmaginabile, in tutti i campi: rapine, rapimenti, sequestri, droga. Ma in realtà nel film ‘Un borghese piccolo piccolo’, che Mario Monicelli ha tratto dal romanzo da un giovane scrittore fino ad allora sconosciuto, Vincenzo Cerami, non si parla né di politica né di criminalità. Il punto di vista non è quello dei giovani contestatori, né dei lavoratori in lotta, né dei gruppi più politicizzati, né dei balordi criminali. Al contrario, è un punto di vista totalmente ‘altro’: quello della cosiddetta ‘maggioranza silenziosa’, come si diceva allora, cioè di quella media e piccola borghesia totalmente estranea all’‘impegno’ politico, ma sostanzialmente conservatrice, se non addirittura con simpatie filo-fasciste (“Nun je dà retta, Mario. ‘Molti nemici, molto onore!’ Ahò, l’ha detto uno che ci aveva due palle così!”) di cui Giovanni Vivaldi, il personaggio interpretato da Alberto Sordi, rappresenta un perfetto campione. È un impiegato che lavora a un ministero da più di trent’anni, in procinto di andare in pensione, ma speranzoso di riuscire a ‘imbucare’ in quello stesso ministero il suo unico figlio, appena diplomato ragioniere. Crede nello stato perché gli dà la sicurezza del ‘posto fisso’ (al figlio consiglia: “Fatte un bel libretto postale. Postale, eh? Non in banca. Perché le banche possono fallire, mentre la posta, essendo dello stato… Ahò, lo stato non fallisce mai!”), ma è estraneo a 1/3 Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2012-11-14/11489-la-violenza-della-maggioranza-silenziosa L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l. Copyright L'Indro S.r.l. Tutti i diritti riservati Recensioni > Cinema > Cultura - Mercoledì 14 Novembre 2012, 08:00 www.lindro.it qualunque ‘valore’ che lo stato dovrebbe rappresentare. Il suo senso civico è del tutto inesistente, basta vedere come si comporta quando guida la sua automobile per andare al lavoro: si attacca al clacson di fronte al minimo ostacolo, invade la corsia preferenziale dei tram, taglia la strada ai mezzi pubblici, sale sul marciapiede, ruba il parcheggio a chi stava facendo manovra per entrarvi, pretendendo anche di avere ragione. Sul posto di lavoro non conosce altro che l’ossequio mellifluo nei confronti dei suoi superiori di grado, a casa tratta sempre la moglie con sprezzante maschilismo. Stravede solo per il suo unico figlio, ma per ‘prepararlo’ al concorso per entrare al ministero non sa insegnargli altro che l’arte della deferenza e della raccomandazione: accetterà perfino di far parte della massoneria pur di riuscire a ottenere in anticipo il titolo del tema scritto del concorso (solo qualche anno dopo, all’inizio del decennio successivo, si scoprirà quale terribile peso e influenza avessero effettivamente sull’Italia gruppi massonici come la Loggia P2 di Licio Gelli). Insomma, Giovanni Vivaldi è a tutti gli effetti un ‘mostro’, erede e diretto discendente di quei ‘mostri’ descritti da Dino Risi nell’omonimo film uscito quattordici anni prima. In quanto tale, è un soggetto perfetto per quella ‘commedia all’italiana’ di cui Mario Monicelli è uno dei grandi maestri e Alberto Sordi uno degli interpreti più sublimi. E infatti tutta la prima metà del film è giocata sul classico registro della commedia. Poi però succede qualcosa. La violenza degli anni ’70 irrompe improvvisamente: una rapina, una sparatoria per strada e il figlio di Giovanni Vivaldi, proprio nel giorno della prova scritta del concorso, si ritrova riverso per terra, ucciso da una pallottola vagante. E a quel punto Giovanni Vivaldi si trasforma, anzi, in realtà continua a rimanere se stesso, nel senso che porta fino alle estreme conseguenze il suo modo di essere: la violenza ‘piccola piccola’, che domina ogni azione e ogni gesto della sua quotidianità, arriva ad esplodere. Durante un confronto in questura, individua in un giovane balordo l’assassinio di suo figlio, lo pedina, attende pazientemente che esca di casa durante la notte, lo tramortisce con il cric, lo carica in macchina, lo porta in una baracca di campagna, dove lo lega a una sedia stringendogli mani, piedi e collo con il fil di ferro. A sua moglie, nel frattempo colpita da paralisi e diventata priva di parola per lo choc della morte del figlio, spiega: “Tu che avresti detto al posto mio? Dimmelo Amalia, che avresti detto? Eccolo, è lui, prendetelo, è l’assassino! Sì? Poi magari gli avrebbero dato qualche anno di galera, a mangià, a fà il comodaccio suo! Eh no!”. Non sa neanche bene cosa farsene di quel ragazzo, finché i ripetuti colpi di cric sulla testa e il fil di ferro troppo stretto al collo ne provocano la morte. Certo è che, di fronte ai nostri occhi, quello che sembrava un ‘mostro’ deprecabile ma in fondo bonario, di cui si poteva ancora ridere, si è trasformato in un ‘mostro’ vero, agghiacciante, un assassino a piede libero, sempre all’erta, di cui avere paura. Monicelli ha dichiarato che questo suo film rappresenta in qualche modo “la morte della commedia all’italiana”. Se fino a pochi anni prima la volontà di ‘castigare ridendo mores’ era animata dalla fiducia di poter cambiare in meglio le cose, dalla speranza che l’italiano medio, con tutti i suoi vizi congeniti, potesse comunque riuscire a correggersi e a diventare migliore, alla fine degli anni ’70 questa illusione sembra essere svanita del tutto. Monicelli sembra pensarla come il prete che, nel discorso funebre per la morte della moglie di Giovanni Vivaldi, esprime il suo disprezzo per l’intero genere umano: “Se io dovessi dare un mio 2/3 Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2012-11-14/11489-la-violenza-della-maggioranza-silenziosa L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l. Copyright L'Indro S.r.l. Tutti i diritti riservati Recensioni > Cinema > Cultura - Mercoledì 14 Novembre 2012, 08:00 www.lindro.it giudizio complessivo… io volentieri invocherei il diluvio universale ed emetterei serenamente una sentenza di morte irrevocabile!”. Non a caso il film è datato 1977: l’anno dell’ultimo grande sussulto del ‘movimento’ giovanile, degli ‘indiani metropolitani’, della nascita del ‘punk’. La nuova generazione comincia a capire che il sogno di cambiare il mondo, nato negli anni ’60, sta ormai diventando irrealizzabile. Non resta altro che la radicale contestazione di ogni regola, il rifiuto di tutte le ‘buone maniere’, l’espressione di una ribellione disperata e senza speranze. A suo modo, anche il film ‘Un borghese piccolo piccolo’ sembra condividere lo slogan, semplice e immediato, della cultura ‘punk’: ‘no future’, nessun futuro. 3/3 Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/2012-11-14/11489-la-violenza-della-maggioranza-silenziosa L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l. Copyright L'Indro S.r.l. Tutti i diritti riservati Powered by TCPDF (www.tcpdf.org)