Sintesi del rapporto E’ arrivato il momento… Questo non è né un rapporto né uno studio, ma un “libretto delle istruzioni” per delle riforme urgenti e fondatrici. Non è né di parte né bipartisan: è neutro. Non è nemmeno un inventario nel quale un governo potrebbe prendere qualche spunto a suo piacimento, ed è ancora meno un concorso di idee originali condannate a restare marginali. E’ un insieme coerente con ogni pezzo collegato agli altri, per cui ogni elemento costituisce la riuscita dell’insieme. Parte da una diagnosi dello stato del mondo e della Francia; di quello che va cambiato, di quello che può essere cambiato e del modo in cui va attuata la riforma. Con una doppia convinzione: la prima è che i francesi hanno i mezzi per ritrovare la via di una crescita forte, sana sul piano finanziario, giusta sul piano sociale e positiva dal punto di vista ecologico. La seconda convinzione è che tutto ciò che non sarà affrontato sin da adesso, presto non sarà più possibile affrontarlo. Misurata unicamente dal Pil, la crescita è un concetto parziale per descrivere la realtà del mondo: in particolare non prende in considerazione i disordini della globalizzazione, le ingiustizie e gli sprechi, il riscaldamento climatico, i disastri ecologici, l’esaurimento delle risorse naturali… Tuttavia, la crescita della produzione è l’unica misura operativa della ricchezza e del tenore di vita disponibile, che permette di confrontare le performance dei vari paesi. Inoltre, tale misura è fortemente legata all’innovazione tecnologica, indispensabile per lo sviluppo sostenibile e per realizzare altri obiettivi di sviluppo (salute, istruzione, servizi pubblici, etc.). Il mondo cambia ad altissima velocità Il mondo è trascinato dalla più forte onda di crescita economica della storia, creatrice allo stesso tempo di ricchezze sconosciute e di ineguaglianze estreme, di progresso e di sprechi, ad un ritmo senza precedenti. L’umanità ne sarà anche beneficiaria. La Francia deve fare la sua parte. Questa crescita economica non è un’astrazione. Può e deve riguardare tutte le dimensioni del benessere, innanzitutto quella della libertà reale che consente a ciascun individuo, a prescindere dalle origini, di trovare ciò per cui è più portato, di SHERPAtv.it via della Gatta, 14 00186 – Roma IT T + 39 06 6749 71 F + 39 06 6749 71 300 P.Iva 09106551006 www.sherpatv.it progredire nell’ambito della conoscenza, nella propria professione, per quanto concerne le proprie risorse e quelle della propria famiglia, di realizzarsi e di trasmettere il sapere e i valori. In modo reciproco, la crescita economica si trova rafforzata da questa libertà e dalle iniziative che permette. La crescita economica non comporta sistematicamente la giustizia sociale, ma le è necessaria: l’arricchimento non è uno scandalo, solo la povertà lo è. Attualmente, più di 100 paesi nel mondo hanno un tasso di crescita del proprio prodotto interno lordo (Pil) superiore al 5%. L’Africa, come l’America latina, crescono di oltre il 5% l’anno. La Cina ha da parecchi anni dei tassi superiori al 10%, l’India la segue da vicino, con circa il 9%, mentre l’economia russa si ristabilisce con il 7% di crescita e la Turchia registra tassi dell’11% aprendo alle nostre porte un immenso mercato dove i due terzi della popolazione ha meno di 25 anni. Le potenze che detengono rendite possono crescere e investire grazie all’aumento del prezzo delle materie prime. Il futuro riserva al mondo un potenziale di crescita ancora più notevole: sono annunciati, a Sud come a Nord, grandi progressi tecnici; la popolazione mondiale aumenterà di 3 miliardi di persone in meno di 40 anni ed è disponibile un enorme capitale finanziario. Se la governance politica, economica, commerciale, ambientale finanziaria e sociale del pianeta sa organizzarsi, la crescita mondiale resterà per lungo tempo al di sopra del 5% l’anno. In Europa alcuni paesi approfittano di questa ondata, altri ci si preparano Anche se l’Europa cresce oggi ad una velocità che è la metà di quella media mondiale, e inferiore a quella media dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), anche se la sua demografia è in discesa, l’Europa non ha nessun motivo di trascinarsi e restare indietro. Anche se non deve effettuare un recupero, a differenza di altri, deve iniziare a fare immensi investimenti per beneficiare dei profondi mutamenti tecnologici futuri e recuperare il ritmo del resto del mondo. Di fatto, alcuni paesi del nostro continente si stanno preparando meglio di altri: la Germania ha modernizzato la parte orientale del paese, dato slancio al suo mercato del lavoro e alla formazione, ha anche sviluppato nuove industrie, come quella delle energie rinnovabili. Il Regno Unito si è impegnato per un lungo periodo a portare avanti la riforma della scuola e delle infrastrutture sanitarie, ma si è anche impegnato a valorizzare l’industria finanziaria. L’Italia, il Portogallo, la Grecia e parecchi nuovi Stati membri hanno anch’essi avviato delle riforme coraggiose per controllare la propria spesa pubblica, modernizzare la Pubblica amministrazione e reclutare meglio il personale. La Spagna ha lavorato per consentire a tutti l’accesso alla proprietà della casa, in un’economia di quasi pieno impiego. La Svezia ha riorganizzato la sua Pubblica amministrazione in agenzie e ha sviluppato la concorrenza tra vari fornitori di servizi pubblici. La Danimarca ha costruito un modello efficace, competitivo, solidale e flessibile, che rivolge un’attenzione prioritaria all’istruzione, alla ricerca, al dialogo sociale e al pieno impiego. La Finlandia è diventata un leader mondiale di competitività grazie ad una politica efficace di ricerca e innovazione. Tutti hanno capito che è urgente accogliere stranieri per colmare le proprie lacune demografiche e per sviluppare delle innovazioni. La Francia ha parecchi assi nella manica La Francia dispone di carte eccezionali per trarre vantaggi da questo movimento mondiale e per ritrovare una forte crescita: il tasso di natalità più alto d’Europa, un’istruzione e un sistema sanitario di alto livello, delle infrastrutture moderne, delle imprese creative, una vita intellettuale e associativa dinamica. La Francia è la prima meta turistica del pianeta, il secondo esportatore al mondo di prodotti agricoli e agroalimentari, il quarto fornitore di servizi. Le sua rete stradale, i suoi aeroporti, i suoi ospedali e le sue infrastrutture nel settore delle telecomunicazioni sono tra i migliori del mondo. Alcune aziende francesi sono tra le prime a livello mondiale e varie marche risplendono nel pianeta in settori chiave per il futuro: l’aeronautica, il nucleare, il petrolio, il gas, il settore farmaceutico, i lavori pubblici, l’edilizia, le banche, le assicurazioni, il trattamento delle acque, la telefonia, i servizi informatici, il settore agroalimentare, il lusso, il turismo. Infine, il paese ha la fortuna di appartenere ad un continente che ha immense ricchezze e in cui la pace, l’armonia e la stabilità sono garantite dall’Unione europea, con la quale la Francia realizza il 60% dei suoi scambi commerciali, e dall’euro che diventa, grazie alla sua stabilità, una moneta di riserva mondiale. Eppure la Francia accumula ritardo Nonostante questi punti forti la Francia ha registrato dal 2000 in poi una crescita media pari solamente all’1,7% l’anno. Perché da 20 anni non ha saputo riformarsi. Non avendo abbandonato un modello ereditato dal dopoguerra, allora efficace ma diventato ora inadeguato, la Francia resta in gran parte una società di connivenza e di privilegi. Lo Stato disciplina sempre nei minimi dettagli l’insieme delle questioni che riguardano la società civile, svuotando quindi il dialogo sociale dal suo contenuto, intralciando la concorrenza, favorendo il corporativismo e la diffidenza. Mentre la nostra epoca richiede il lavoro in rete, iniziative e fiducia, tutto si decide ancora in alto, tutto è controllato in un clima di diffidenza generale. La spesa pubblica francese è la più alta di tutti i paesi dell’Ocse e aumenta ancora più velocemente della produzione. Nonostante le imposte siano le più alte in Europa, il deficit di bilancio rimane, da ormai più di quindici anni, al di sopra del 3% del Pil, e gli interessi del debito assorbono da soli due terzi dell’imposta sul reddito. Le conseguenze di questo conservatorismo generale sono catastrofiche, in particolare per i giovani. Anche se ogni francese produce ancora 5% in più ogni ora lavorativa, rispetto ad un americano, produce 35% in meno dello stesso americano nel corso della sua vita attiva. La rendita trionfa: nei patrimoni immobiliari, nella collusione dei privilegi, nel reclutamento della classe dirigente. Solo 5000 imprese hanno più di 250 dipendenti. Sono troppo poche le università francesi prese seriamente in considerazione nel mondo. Troppo pochi sono i ricercatori che lavorano su argomenti del futuro e la competitività cala: è dal 1994 che scende regolarmente la quota di esportazioni francesi nelle esportazioni mondiali. Le ineguaglianze sono più lampanti che mai: ogni anno 50 000 giovani, ovvero circa il 6% di una generazione, che è una quota notevole, escono dal sistema scolastico prima dell’ultimo anno di liceo. Solo il 52% dei figli di operai conseguono il diploma di Stato, contro l’85% dei figli di dirigenti. Meno della metà dei figli delle classi popolari sostiene l’esame di diploma per il percorso generale (non professionale, ndt), mentre è il caso per l’83% dei figli dei dirigenti, che occupano poi la maggior parte dei posti nelle “grandes écoles” (scuole parauniversitarie molto prestigiose, ndt). 150 000 giovani escono ogni anno dal sistema scolastico senza qualifica. La Francia conta non solo 2,5 milioni di disoccupati, ma anche 600 000 impieghi non assegnati. La disoccupazione giovanile, scandalo assoluto, è la prova del fallimento di un modello sociale: arriva in media al 22% e tocca il 50% in alcuni quartieri. Più di un milione di persone deve sopravvivere con il reddito minimo di inserimento (RMI, ovvero 441 euro lordi per una persona sola senza figli) e solo 338 000 tra loro sono iscritti all’Agenzia nazionale per l’impiego (ANPE), che riesce sempre meno a rispondere alla disoccupazione. I giovani, le donne, i senior hanno in particolare difficoltà a trovare il proprio posto nell’economia. Il declino relativo è iniziato Complessivamente, in 40 anni, la crescita annuale dell’economia francese è passata dal 5% all’1,7% l’anno mentre la crescita mondiale seguiva il cammino inverso. Mentre era ancora nel 1980 la quarta potenza mondiale per il Pil e l’ottava per il Pil pro capite, La Francia è oggi solamente sesta per il Pil e dicianovesima per il Pil pro capite. Il declino relativo può comportare un declino assoluto: la prosperità in Francia (dunque dei francesi) non è un bene scontato. Inoltre, se non viene fatto nulla il debito pubblico sarà pari all’80% del Pil nel 2012 e al 130% nel 2020. E anche se bisogna, per valutarlo in modo valido, confrontarlo al valore degli attivi, l’onere del rimborso che graverà sui contribuenti di domani sarà triplo rispetto a quello attuale. Inoltre, tenendo conto delle evoluzioni demografiche, il mantenimento dei tassi attuali di sostituzione delle pensioni è compromesso: la quota della spesa per le pensioni nel Pil dovrebbe passare dal 12,8% di oggi al 16% nel 2050. Perciò, se il paese non reagisce fortemente e velocemente per un ritorno ad una crescita sostenibile, i bambini di oggi vivranno meno bene dei loro genitori: il declassamento del paese e la proletarizzazione delle classi medie ne saranno i primi segnali. La crescita può tornare per tutti Una crescita economica forte può tornare per tutti in Francia. Essa suppone l’unione di vari fattori: una popolazione attiva numerosa e dinamica, un sapere e delle innovazioni tecnologiche continuamente attualizzati, une concorrenza efficace, un sistema finanziario capace di attirare i capitali, un’apertura all’estero. La crescita passa anche attraverso una democrazia viva, una stabilità delle regole, una giustizia sociale. Esige la tolleranza, il gusto del rischio, il successo, il rispetto per il fallimento, la lealtà verso la nazione e le future generazioni, la fiducia in sé e negli altri. Una maggiore crescita economica comporterà progressi concreti per ciascun francese, e spetterà alla maggioranza politica distribuirla secondo le sue preferenze. Un punto in più di crescita del Pil potrebbe generare, ogni anno, ad esempio, 500 euro in più di potere d’acquisto per famiglia, 150 000 posti di lavoro in più, 90 000 abitazioni sociali in più, 20 000 bambini disabili a scuola, 20 000 posti di riparo in più per i senzatetto, la generalizzazione del reddito di solidarietà attiva per i beneficiari del reddito minimo di inserimento, un aumento del 50% degli stanziamenti per la ricerca sulla salute e sulle biotecnologie, il raddoppio del nostro aiuto allo sviluppo, e 4000 euro di debito pubblico in meno per ogni cittadino e tutto ciò senza aumentare le tasse né aggravare il deficit. Ciò richiederà il coraggio di riformare velocemente e massicciamente La Francia può farcela. In tempi ragionevoli. Ne ha i mezzi. Ma per questo deve di nuovo imparare a pensare al suo futuro con fiducia, rendere più sicuro per proteggere, preferire il rischio alla rendita, liberare lo spirito di iniziativa, la concorrenza e l’innovazione. Deve cambiare velocità. Un paese troppo lento si disintegra: non può più finanziare le solidarietà necessarie per qualsiasi società. Un paese troppo lento si impoverisce: i suoi concorrenti gli strappano una ad una le sue quote di mercato, ovvero le sue opportunità di ricchezza. Un paese troppo lento si affligge e indietreggia: vive ostaggio della paura, vede ovunque minacce, dove invece altri vedono opportunità. Il mondo va avanti, la Francia deve crescere. Tale crescita esige l’impegno di tutti, e non solo quello dello Stato: infatti, quest’ultimo non ha quasi più i mezzi per agire sulla crescita, anche se rimane ancora un grande ruolo alla politica. I francesi devono in particolare sapere che il futuro dell’impiego non è più nella Pubblica amministrazione e che quello delle imprese non è più nelle sovvenzioni: moltissimi poteri sono passati al mercato, all’Europa, agli enti locali, alle autorità indipendenti. Inoltre, il budget degli enti pubblici è limitato. La parte più importante dell’azione da compiere sta nelle mani dei francesi, che dovranno volere il cambiamento e condividere un desiderio di futuro, di imparare di più, di adattarsi, di lavorare di più e meglio, di creare, di condividere, di osare. Tuttavia, lo Stato ha ancora una certa capacità di cambiare il paese, cominciando a cambiare se stesso. La riforma può far paura, soprattutto ai più bisognosi: mentre sono loro ad aver più bisogno di crescita, l’esperienza gli ha insegnato che gli adattamenti favoriscono in generale solo i più abbienti, i vincitori della globalizzazione. Il nostro progetto ha un’ambizione: che siano tutti vincitori, e per primi gli esclusi di oggi. Dei principi di equità Per questo, tre principi di equità sono a nostro parere fondamentali: • La riforma deve riguardare tutti, tutte le categorie sociali e professionali. Senza tabù, senza esclusioni: dipendenti pubblici e del settore privato, settori protetti come settori esposti al rischio, alti dirigenti statali e piccole imprese. Tutti devono essere coinvolti affinché tutti possano guadagnarci. • I soggetti resi più fragili dalla mobilità devono essere anche quelli accompagnati meglio, quelli da aiutare di più per il cambiamento. Mentre le protezioni di ieri incitavano allo status quo, le sicurezze di domani debbono favorire il movimento. • Gli effetti delle riforme devono essere valutati sul lungo periodo e innanzitutto dal punto di vista delle vittime del conservatorismo attuale: giovani, disoccupati, indigenti ed esclusi dal mercato del lavoro in primis, e più in generale le classi medie che vivono solamente col reddito da lavoro. E’ per loro, in priorità, che vogliamo questo progetto, facendo così vincere la Francia. Un progetto d’insieme Per essere partecipe della crescita mondiale, la Francia (cioè i francesi) deve innanzitutto istituire una vera economia della conoscenza, sviluppando il sapere di tutti, dall’informatica al lavoro di squadra, dal francese all’inglese, dall’insegnamento elementare a quello universitario, dall’asilo alla ricerca. La Francia deve poi incoraggiare la concorrenza, la creazione e la crescita delle imprese, con l’istituzione di mezzi moderni di finanziamento, la riduzione del costo del lavoro e la semplificazione delle regole del mercato del lavoro. Deve favorire l’emergere di nuovi settori chiave, il cui sviluppo contribuirà a quello di tutti gli altri: del digitale, della sanità, della biotecnologia, delle industrie dell’ambiente, dei servizi erogati alle persone e tanti altri. La Francia deve in particolare formulare ed attuare una strategia digitale ambiziosa, alla stregua di alcuni paesi nordici e delle nuove potenze asiatiche. Deve anche considerare le spese sanitarie come un’opportunità di crescita e non più come un onere. Il paese deve anche dotarsi, grazie ai finanziamenti del settore privato, di grandi infrastrutture portuali, aeronautiche e finanziarie di misura mondiale, che gli conferiranno i mezzi per diventare una piattaforma girevole degli scambi in Europa. Simultaneamente, è necessario creare le condizioni per avere una mobilità sociale, geografica e concorrenziale. E’ necessario permettere a ciascuno di lavorare meglio e di più, di cambiare più facilmente lavoro, con sicurezza. E’ anche necessario aprire il paese alle idee e agli uomini arrivati da altri luoghi. Affinché vadano in porto queste riforme, lo Stato e gli altri enti pubblici devono essere ampiamente riformati. Bisognerà ridurre la loro parte nella ricchezza comune, concentrare i loro mezzi sui gruppi sociali che ne hanno realmente bisogno, far posto alla differenziazione e alla sperimentazione, valutare sistematicamente ogni decisione, a priori e a posteriori. In tutto, 316 decisioni, che costituiscono altrettante grandi riforme, dovranno essere attuate. Tutte sono fondamentali per il successo dell’insieme. Costituiscono un piano globale, non politico, che dovrà essere attuato con costanza nel corso delle prossime legislature, in un ambito in cui le spese pubbliche sono stabilizzate. Dovranno essere accompagnate da decisioni sulla ripartizione dei frutti della crescita, e spetterà alla maggioranza politica definirla secondo le sue scelte. Ci vorranno anni prima che alcune di queste riforme producano pienamente i loro effetti sulla crescita, ad esempio nel caso del miglioramento della formazione degli insegnanti d’asilo e delle assistenti della scuola elementare, dello sviluppo della formazione per alternanza, della riforma delle università e del loro avvicinamento alle “grandes écoles”, dello sviluppo della ricerca nel campo della biotecnologia, della nanotecnologia e della neuroscienza, dello sviluppo del tutorato nei quartieri, della promozione delle energie rinnovabili, della creazione di fondi pensionistici, della riforma dei porti, della riduzione della spesa pubblica, della riforma della Pubblica amministrazione e dello Stato, della semplificazione dell’insieme delle regole, della creazione di una Autorità della concorrenza. Sono decine e decine queste riforme. Altre avranno un impatto molto rapido, come alcune riforme fiscali, la valutazione di tutti i servizi pubblici, la riduzione del costo del lavoro, il sostegno al piccolo commercio, la concorrenza nella distribuzione, la libera scelta dell’età pensionabile, l’aiuto ai giovani per l’impiego, l’apertura dei negozi la domenica, la riforma degli ordini professionali, la riduzione delle scadenze di pagamento e di rimborso dell’Iva. Sono centinaia. Alcune di queste 316 misure sono già state riprese dal governo, prima ancora della pubblicazione di questo rapporto. Altre si possono ritrovare nelle proposte presentate dall’opposizione. Tutte queste decisioni formano un insieme coerente e debbono essere prese rapidamente. Non si tratta più di suggerimenti da studiare né di un catalogo nel quale selezionare spunti che potrebbero soddisfare determinate categorie in vista delle elezioni. Affinché producano effetti al più presto, tutte queste decisioni devono essere approvate e preparate in dettaglio da gennaio ad aprile 2008. Dovranno poi essere attuate tra aprile 2008 e giugno 2009. La Francia del 2012 L’attuazione dell’insieme di queste riforme a partire da aprile 2008 consentirà, a condizione che l’ambiente economico internazionale non peggiori, di raggiungere i seguenti obiettivi alla fine del 2012: • • • • • • • • • • • • • Una crescita potenziale di 1 punto più alta rispetto a quella di oggi; Un tasso di disoccupazione ridotto dal 7,9% al 5%, ovvero il pieno impiego; Più di 2 milioni di abitazioni costruite e almeno altrettante ristrutturate; Disoccupazione giovanile tre volte inferiore; Numero di francesi sotto la soglia di povertà ridotto da 7 a 3 milioni; Più del 10% di eletti nella prossima Assemblea nazionale emersi dalla diversità; Divario dell’attesa di vita tra i più abbienti e i meno abbienti ridotto di un anno; Più di 10 000 aziende create nei quartieri e nelle periferie; Un senior su due al lavoro arrivato il momento della pensione, anziché uno su tre com’è oggi; Un tasso di presenza nel primo ciclo dell’insegnamento universitario identico a quello delle classi preparatorie; 100% dei francesi che hanno accesso all’ADSL e alla banda larga e 75% dei francesi che usano regolarmente internet; Un debito pubblico ridotto al 55% del Pil; Più di 90 milioni di turisti ogni anno. Se le condizioni esterne si degradano, per raggiungere questi stessi obiettivi bisognerà attuare ancora più velocemente le riforme. Questi obiettivi possono essere condivisi da tutti, a prescindere dalle scelte politiche. I mezzi per riuscirci, che sono illustrati in dettaglio in questo rapporto, devono essere anch’essi condivisi. Ogni maggioranza politica potrà in seguito distribuire i frutti della crescita a vantaggio delle categorie che intende privilegiare. Condurre la riforma a tamburo battente Prima di lanciarsi nell’azione, è indispensabile che non tremi la mano. Il potere politico sa che i francesi vogliono la riforma se è socialmente giusta ed economicamente efficace, che i francesi si aspettano che sia condotta a tamburo battente. Potrà andare in porto solamente se il Presidente della Repubblica e il Primo ministro approvano pienamente le conclusioni di questo rapporto, se lo sostengono pubblicamente, sin da adesso, personalmente e in modo durevole, assegnando ad ogni ministro precise missioni. La maggior parte di queste riforme dovrà quindi partire, secondo il calendario proposto alla fine di questo rapporto, tra aprile 2008 e giugno 2009. Le riforme dovranno poi proseguire con tenacia, per vari mandati, a prescindere dalle maggioranze.