News > Italia > Cultura - Mercoledì 26 Ottobre 2011, 13:49
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Quando i cani cantano
La caccia alla volpe è una tradizione nobile che perdura negli anni. Con o senza volpe"
Alessandro Perini
Evocare la caccia alla volpe equivale a beccarsi qualche battutaccia in difesa dell’animale, che
l’immaginario collettivo considera un simpatico pet piuttosto che l’implacabile killer annientatore
di pollai. La caccia a cavallo di questo selvatico è anche un riuscito cocktail tra lo
sportivo e il mondano, con una buona dose di rischio fisico per i praticanti. È, soprattutto,
un modo d’interpretare la vita in una chiave estetica inossidabile al trascorrere dei lustri.
Mi piace parlarvene perché l’argomento rientra di diritto nella mia rubrica, richiamando come
pochi altri le consuetudini dei... 'chiamati'.
Cavalieri ed amazzoni (field) osservano con nonchalance regole non scritte, senza le quali la
riunione di caccia (meet) sarebbe un’ammucchiata di cavallari della domenica. La caccia
s’identifica con i colori dell’autunno-inverno, quando il fiato fumante dei cavalli si
confonde con le prime nebbie. È allora che inizia la stagione venatoria, una pratica che
richiede disciplina, perizia e resistenza di uomini, cavalli e cani. Il rischio di una caduta
rovinosa è sempre in agguato perché si galoppa in campagna attraversando fossi, saltando
staccionate e muretti.
Nella seconda metà dell’Ottocento il governo papalino vietò a più riprese le cacce a seguito di
incidenti mortali o invalidanti. Ci volle tutto il carisma dei 'bonne vivant' della nobiltà 'nera' che
bazzicavano il Vaticano per rimuovere i divieti pontifici. Il più antico club sportivo italiano
ancora in attività è proprio la Società Romana della Caccia alla Volpe, fondata nel 1836
dal principe Livio Odescalchi, che apprese i segreti del mestiere da lord Chesterfield,
capitato a Roma seguendo le tappe del gran tour e perché la moglie, di salute cagionevole,
godesse di un clima mite. Ancor oggi le prassi del Circolo rimangono ancorate a quel lontano
1836 pur avendo subito qualche adeguamento di carattere funzionale.
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Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale reperibile al link http://www.lindro.it/cultura/cultura-news/cultura-news-italia/2011-10-26/4306-quando-i-cani-cantano
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Non è tanto importante prendere parte all’evento montando a cavallo quanto essere lì,
anche come spettatori, per poi fermarsi a colazione. La riunione conviviale, che in genere si
tiene al ritorno dei cavalieri, rappresenta il 'clou' della giornata con racconti, ricordi, aneddoti,
inevitabili quanto diplomatici sfottò, discussioni sulle doti di un cavallo o con l’omaggio ad
un’amazzone particolarmente coraggiosa. Spesso si coversa in inglese.
Mattatore della caccia è il master of foxhonds (M.F.H.), eletto tra i soci del club e detentore del
potere assoluto. Il suo primo collaboratore è l’huntsman (capocaccia) responsabile del pack
(muta), a sua volta aiutato dal primo e secondo whipper-in. Singolare figura è il 'turabuche', in
genere un contadino esperto dei luoghi, che cerca e chiude le tane il giorno prima. Seguirà poi
la caccia con un terrier, necessario a stanare la volpe che s’imbuca.
Il canile è di da 50/60 coppie di foxhound. La regola aurea è uscire in caccia con diciotto coppie
e mezzo. Tutti sappiamo in quale considerazione gli inglesi tengano i cani ma nel caso
dei foxhound giungono ad umanizzarli: non abbaiano ma 'danno la voce', 'parlano'
quando guaiscono sulla traccia, 'cantano' inseguendo il selvatico. Breve nota ecologica: la
volpe braccata non potrà mai essere una femmina gravida: la natura la protegge bloccandole la
nauseabonda secrezione (scent) che eccita l’olfatto dei cani.
I resoconti di caccia, conservati nell’archivio del club capitolino, raccontano di meet in località
che i romani del XXI secolo conoscono come periferie-dormitorio o per la segnaletica del
Grande raccordo anulare: Torre Appia, Bufalotta, Ponte Salario, Sacrofano, tanto per citarne
alcune. Uno dei motivi del decadimento della caccia è l’antropizzazione del territorio ed il
frazionamento dei latifondi che, un tempo, ospitavano le riunioni. Le galoppate a distesa
sono un ricordo. Oggi può capitare che il master sia costretto a fermare il run davanti a tre
ettari di pannelli solari... con grande soddisfazione della volpe, ovviamente. Era consuetudine
dei tempi andati che, il giorno dopo la caccia, un collaboratore di fiducia dell’ospite mettesse
mano al libretto degli assegni, provvedendo a rifondere i danni provocati nei terreni altrui.
È giunto il momento di riappropriarmi della simpatia dei lettori – se ancora ne avessi: la caccia
a cavallo tradizionale sta cedendo sempre più il passo a pratiche equestri alternative,
utili ai commoner che frequentano i circoli ippici privati. Si tratta di cacce... senza la
partecipazione della volpe. Nel drug il selvatico è sostituito da una strusa (straccio imbevuto
d’orina) trascinato da un cavaliere che batte la campagna inseguito dai cani. Nel paper hunt un
cavaliere impersona la volpe partendo con un certo vantaggio sul field e lasciando cadere di
tanto in tanto dei pezzetti di carta che segnano la traccia. Avete presenti i papelli di mafiosa
memoria?
Un anziano colonnello, al quale avevo chiesto cosa pensasse delle pseudo-cacce, scrollando la
testa mi rispose: "Ce l’ha presente uno Swatch? E un Vacheron Costantin? Li metta a confronto
e poi mi dirà!"
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