fra due mondi
Quaderni acp 2014; 21(3): 132-135
Le mutilazioni genitali femminili:
basta una storia per svelare un mondo
Valentina Venturi*, Tamara Fanelli**, Enrico Valletta***
*Pediatra di libera scelta, AUSL della Romagna, Forlì; **Ufficio Minori, Questura di Forlì; ***AUSL della Romagna, Dipartimento
Materno-Infantile, Ospedale “G.B. Morgagni-L. Pierantoni”, Forlì
Abstract
siderando che in numerosi Paesi africani
Female genital mutilation: a story seems enough to uncover a world
Female genital mutilation/cutting (FGM/C) is a common practice among populations
of North and Central Africa, from the Atlantic coast to the Horn of Africa, and of
Middle East. As many as one hundred to one hundred and forty million girls have been
cut worldwide and three million girls are at risk of being cut every year. Most of them
are cut before 15 years of age. A number of young women and girls migrating from
Africa to Italy are likely to have been cut, or their parents are planning to cut them in
the future. Such practice is banned and punished both by Italian and international
legislation. The case described shows how important it is for the paediatrician to be
aware and informed of the cultural and legal implications in order to act properly.
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Gli interventi rituali sui genitali femminili sono una pratica antichissima presso le
popolazioni che appartengono alla fascia centro-nord africana, dalla costa atlantica
al Corno d’Africa fino al Medio Oriente. Sono circa 100-140 milioni le donne che in
tutto il mondo hanno subìto una mutilazione genitale (MGF) e ogni anno circa 3 milioni rischiano uguale trattamento. La maggioranza di questi interventi avviene entro i
15 anni di età. I crescenti flussi immigratori rendono attuale questa problematica
anche in Italia ed è ragionevole ritenere che un certo numero di bambine, provenienti da Paesi nei quali le MGF sono consuetudine, siano state o possano essere sottoposte a mutilazioni di questo tipo. La legislazione italiana e larga parte di quella internazionale condannano e puniscono questa pratica. Il caso che descriviamo dimostra
che il pediatra deve essere consapevole di questo fenomeno e conoscere il contesto
culturale e normativo nel quale potersi muovere con avvedutezza ed efficacia.
Gli interventi rituali sui genitali femminili sono una pratica antichissima tra le
popolazioni della fascia centro-nord africana, dalla costa atlantica al Corno
d’Africa fino al Medio Oriente. Sono
circa 100-140 milioni le donne che in
tutto il mondo hanno subìto una mutilazione genitale e, ogni anno, circa 3 milioni rischiano un uguale trattamento [1].
Tutti gli organismi internazionali, coinvolti nella tutela dei diritti umani e attenti alle condizioni socio-sanitarie dei
Paesi in via di sviluppo, hanno espresso
condanna nei confronti delle pratiche di
mutilazione genitale femminile (MGF),
avviando indagini epidemiologiche e
programmi di monitoraggio, promuovendo campagne educative e incoraggiando provvedimenti legislativi che
mettessero al bando qualsiasi intervento
non terapeutico di questa natura. Tra i
documenti più recenti, il pronunciamento dell’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite (Intensifying global
efforts for the elimination of female genital mutilations, dicembre 2012) e l’ampio report dell’UNICEF (luglio 2013)
Per corrispondenza:
Enrico Valletta:
e-mail: [email protected]
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che fotografa lo stato attuale del fenomeno alla luce delle dinamiche socio-culturali intervenute negli ultimi 20 anni
(figura 1) [1-2]. Molti Stati africani e del
Medio Oriente hanno ratificato disposizioni e leggi che scoraggiano o bandiscono qualsiasi MGF incontrando, peraltro,
grandi difficoltà nella loro attuazione.
I flussi migratori provenienti dall’Africa
hanno portato la consapevolezza del problema anche in Italia. L’art. 4 della
Legge n. 7 del 9 gennaio 2006 (vedi
oltre) formula Linee Guida di comportamento per le figure professionali sanitarie e sociali, tese alla prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle
bambine sottoposte a MGF; nel 2007 il
Ministero della Salute pubblicava una
ricognizione delle risorse regionali dedicate al monitoraggio di questa pratica
[3-4]. Già alcuni anni prima la Regione
Emilia-Romagna aveva condotto un’indagine conoscitiva ed elaborato raccomandazioni per supportare i professionisti nell’approccio culturale, ancor prima
che sanitario, a un tema così complesso
[4-5]. Gli operatori dell’area ostetricoginecologica sono evidentemente in
prima linea rispetto alle possibili ripercussioni di natura funzionale, sessuale e
infettiva, e alle complicanze connesse
alla gravidanza e al parto. Tuttavia, con-
la maggioranza delle bambine subisce
una MGF entro i 5 anni età, non è improbabile che anche il pediatra possa imbattersi in problematiche di questa natura e
ne debba riconoscere le complessità
socio-sanitarie e medico-legali. Il caso
che descriviamo ci aiuta a rendere più
realistica questa ipotesi [2].
La storia di Anya,
raccontata dalla sua pediatra
“Anya (nome di fantasia) ha 9 anni ed è
nata in Italia da genitori che provengono
dal Burkina Faso. Sono la sua pediatra
da quando aveva 2 anni; dopo di lei sono
nati un fratellino che ha ora 5 anni e la
sorellina S. di 4 anni, entrambi miei
pazienti dalla nascita. Sono quasi sempre venuti in ambulatorio con la mamma
che, pur parlando poco l’italiano, è
abbastanza autonoma e non aspetta che
il marito torni dal lavoro per farsi
accompagnare da me, come è spesso abitudine delle donne immigrate. All’inizio
è stato difficile farsi capire: la mamma
mi portava Anya solo quando era malata, senza prendere appuntamento e faceva fatica a comprendere le indicazioni
che le davo. In seguito ha iniziato a
seguire meglio le mie prescrizioni, a presentarsi agli appuntamenti dei bilanci di
salute e non solo per le malattie dei bambini, a non utilizzare il Pronto Soccorso
per situazioni di mia competenza: ero
convinta di aver instaurato una buona
relazione con questa famiglia. Certamente la differenza culturale permaneva, era evidente nel modo di vestire della
madre, nel modo un po’ sbrigativo e rude
(per me) di trattare i bambini e nelle abitudini alimentari che l’hanno portata a
svezzare i figli con i cibi tipici del proprio paese d’origine.
... ma l’Africa era presente nelle loro vite
più di quanto io potessi immaginare e
l’ho percepito il giorno in cui sono stata
contattata da un’ispettrice dell’Ufficio
Minori della Questura per informazioni
su Anya e sulla sua famiglia. Dalla scuola di Anya era pervenuta la segnalazione
che la bambina si era detta preoccupata
per un “taglio” nelle parti intime che
avrebbe dovuto subire l’estate successiva, così come era accaduto alla sorella
minore S. quando era stata in Africa.
Costernata per la mia ignoranza dei fatti
pediatri fra due mondi
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FIGURA 1: PERCENTUALE DI DONNE SOTTOPOSTE A MGF
TABELLA
1: CLASSIFICAZIONE DELLE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI [3-5-6]
Tipo I
Asportazione del prepuzio, con o
senza l’asportazione di parte o di
tutto il clitoride
In evidenza l’area di tessuto rimosso
Tipo II
Parziale o totale rimozione del
clitoride e delle piccole labbra con
o senza escissione delle grandi
labbra
In evidenza l’area di tessuto rimosso
e dopo sutura
Tipo III
Tipo IV
0%
20%
40%
60%
80%
100%
(mai avevo avvertito alcun timore in
Anya, né notato nulla di strano in S.!),
guardo nella cartella della sorella minore e vedo che S. aveva saltato il bilancio
di salute dei 2 anni, recuperato malamente con un peso, un’altezza e qualche
annotazione sullo sviluppo psico-motorio in occasione di una visita per patologia acuta verso i 2 anni e mezzo (nessun
appunto sui genitali!). Cerco nella mia
cartella qualche traccia di un suo precedente soggiorno in Africa, ma non trovo
prove certe (nell’ottobre del 2010 avevo
prescritto la profilassi antimalarica per
Anya e per il fratellino che, presumibilmente, erano andati in Africa, ma non
per S.!). Mi accorgo di avere in programma per S. un appuntamento per il
bilancio di salute dei 3 anni di lì a poco,
per cui mi congedo dalla dottoressa
dell’Ufficio Minori con l’impegno di
ricontattarla a breve per fornirle informazioni più precise. Nel frattempo lei
avrebbe convocato con discrezione la
famiglia per un colloquio.
Al bilancio di salute S. è accompagnata
dai genitori; sul libretto sanitario verifico che si era recata in Africa nel 2010 (la
Riduzione del canale vaginale con
taglio e avvicinamento delle piccole e/o grandi labbra fino a sigillarle anche mediante sutura (infibulazione), con o senza escissione
del clitoride.
In evidenza l’area di tessuto rimosso
e dopo sutura
Operazioni, non specificamente classificate, che includono: perforazione,
penetrazione o incisione del clitoride e/o labbra, stiramento del clitoride
e/o labbra, cauterizzazione mediante ustione del clitoride e del tessuto circostante, raschiamento del tessuto circostante l’orifizio vaginale o incisione della vagina, introduzione di sostanze corrosive o erbe in vagina per
causare emorragia o allo scopo di serrarla o restringerla
profilassi antimalarica era stata probabilmente prescritta dal medico dell’Ufficio di Igiene che l’aveva vaccinata per
la febbre gialla). Ancora prima che io
inizi a visitare la bambina, il padre mi
comunica che il giorno precedente erano
stati convocati in Questura per rispondere ad alcune domande rivolte alle famiglie di immigrati. Nel corso di quell’intervista avevano ammesso di aver sottoposto S. a una pratica di chirurgia rituale femminile come era consuetudine per
tutte le bambine della loro famiglia (era
stato così anche per la madre di S.). Il
fatto si era verificato nel 2010 quando
erano tornati in Africa dai loro parenti
(S. aveva circa un anno e mezzo). Anche
Anya avrebbe dovuto subire lo stesso
intervento ma era stato rimandato perché in quei giorni non stava bene. Nel
colloquio avuto in Questura avevano capito di aver fatto “qualcosa di sbagliato” per la nostra Legge ed erano preoccupati. Non ho quindi dovuto addurre
alcuna giustificazione per esaminare i
genitali della bambina e per verificare
che le piccole labbra erano state ridotte
a due piccoli lembi mucosi in corrispon-
denza della commissura vulvare anteriore e che il clitoride era appianato.
Durante la visita, il padre mi ripete che
nella loro famiglia si tratta di una pratica abituale, come la circoncisione per i
maschi, ed effettivamente durante lo
stesso viaggio in Africa il fratellino di
Anya era stato circonciso, anche lui in
casa, come la sorella. Mi dice anche che
in Burkina Faso le donne che non sono
sottoposte a quella pratica da bambine,
trovano marito con difficoltà, sono considerate “diverse”. Mi permetto di far
osservare al padre che, anche se diffuse
e accettate nel suo Paese, sono pratiche
molto dolorose e dannose per la salute
delle bambine. Gli spiego che la Legge
italiana vieta le pratiche di questo tipo e
che sono tenuta a riferire il tutto alla dottoressa della Questura.
Alcuni giorni dopo ho rivisto la piccola
S. insieme a una ginecologa esperta in
questo tipo di lesioni, che ha confermato
la presenza di una MGF di III tipo con
clitoridectomia e asportazione delle piccole labbra (una delle più diffuse in
Africa). Ricevuto il referto congiunto mio
e della ginecologa, l’Ufficio Minori della
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pediatri fra due mondi
Questura ha avviato il successivo iter
giudiziario”.
Disposizioni e leggi in tema
di mutilazioni genitali femminili
Le pratiche di MGF appartengono a
retaggi di culture ancestrali, nell’ambito
dei cosiddetti “riti di passaggio”, volti a
scandire le fasi della vita sociale all’interno dei gruppi umani. Si tratta di pratiche che portano alla rimozione (o al danno) parziale o totale dei genitali esterni
femminili (compiute sulla base di motivazioni non terapeutiche), che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
ha classificato in quattro tipologie (tabella 1) [6]. Nel 2001, il Parlamento
dell’Unione Europea ha adottato una
Risoluzione di condanna delle MGF in
quanto violazione dei diritti umani fondamentali e ha chiesto agli Stati membri
di considerare reato qualsiasi tipo di
MGF [7].
Il legislatore italiano, con la Legge n. 7
del 9 gennaio 2006, “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle
pratiche di mutilazione genitale femminile” (G.U. n. 14 del 18 gennaio 2006),
ha introdotto nel Codice penale uno specifico reato che punisce queste pratiche.
Nel panorama del diritto italiano è il
primo esempio di cultural crime, o reato
culturalmente motivato: un “comportamento realizzato da un membro appartenente a una cultura di minoranza (immigrato), […] considerato reato dall’ordinamento giuridico della cultura dominante. Questo stesso comportamento,
tuttavia, all’interno del gruppo culturale
dell’agente è condonato, o accettato
come comportamento normale, o approvato, o addirittura è sostenuto e incoraggiato in determinate situazioni”. La
Legge, intervenendo in un contesto di
evidente conflitto normativo/culturale, si
propone di individuare “le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di MGF quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità
della persona e alla salute delle donne e
delle bambine”. I Ministeri per le Pari
Opportunità, della Salute, dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del
Lavoro e delle Politiche Sociali, degli
Affari Esteri e dell’Interno hanno individuato, congiuntamente, programmi diretti a informare le comunità degli immi134
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grati sulle leggi italiane che vietano le
MGF, sui diritti fondamentali delle
donne e delle bambine e sulla corretta
preparazione al parto per le donne infibulate. Sul versante socio-sanitario si è
operato sull’aggiornamento degli insegnanti della scuola dell’obbligo, sul
monitoraggio dei casi già conosciuti e
sulle attività di prevenzione, assistenza e
riabilitazione delle donne e delle bambine che hanno subito una MGF. Il Ministero dell’Interno ha istituito un numero
verde (800 300 558), “finalizzato a ricevere segnalazioni da parte di chiunque
venga a conoscenza dell’effettuazione,
sul territorio italiano, delle pratiche di
MGF, nonché a fornire informazioni
sulle organizzazioni di volontariato e
sulle strutture sanitarie che operano
presso le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate tali
pratiche”.
La Legge italiana prevede sanzioni pecuniarie e amministrative nel caso in cui la
MGF sia attuata all’interno delle strutture sanitarie del nostro Paese (D.L.
8.6.2001, n. 231). Per l’operatore sanitario responsabile di taluni di questi delitti
è prevista l’interdizione dalla professione da 3 a 10 anni. La stessa Legge del
2006 intende garantire non solo l’integrità fisica e la salute, ma anche il benessere psico-sessuale della donna, la sua
dignità e libertà di autodeterminazione.
Individuando come illecite le mutilazioni
dei genitali esterni, si è voluto tutelare la
donna nei suoi diritti sessuali proteggendola da pratiche mutilanti intese a controllarne l’esercizio della sessualità pur
senza incidere sulla sua capacità di procreare. Qualsiasi tipo di MGF, da chiunque provocata e per qualsiasi motivo in
assenza di “esigenze terapeutiche”, è
considerato reato. Se da questo deriva
una “malattia nel corpo o nella mente” o
se la mutilazione ha l’intento specifico di
“menomare le funzioni sessuali”, il reato
è considerato ancora più grave. Si è voluto, così, eliminare qualsiasi spazio di
impunità anche per le menomazioni della
funzione sessuale che non si accompagnino, necessariamente, a una mutilazione (es. incisione del clitoride o della
vagina o restringimento dell’organo femminile).
Il reato è considerato più grave se commesso a danno di un minore o per fini di
lucro. Le stesse disposizioni si applicano
quando il fatto è commesso all’estero da
cittadino italiano o da straniero residente
in Italia e, previa richiesta del Ministro
della Giustizia, quando la vittima sia un
cittadino italiano o uno straniero residente in Italia. Se il responsabile del fatto è
il genitore o il tutore, si può arrivare,
rispettivamente, alla decadenza della
potestà genitoriale o alla interdizione
perpetua dalla tutela. Per questi reati c’è
l’obbligo di procedere d’ufficio. L’esercente un servizio di pubblica necessità
(sanitario libero professionista) ha l’obbligo di redigere il referto entro 48 ore,
mentre il Pubblico ufficiale (dipendente
pubblico) o l’incaricato di Pubblico servizio (professionista convenzionato con
il SSN), che abbia avuto anche solo
“notizia” dell’esecuzione di una MGF,
deve redigere “senza ritardo” la denuncia (rapporto). Entrambe le comunicazioni devono essere trasmesse o al Pubblico
Ministero o a un ufficiale di Polizia giudiziaria.
Anya, tra cultura e legge
Le cose iniziano a muoversi attorno ad
Anya nell’aprile 2012, quando una sua
compagna di classe riferisce alla propria
madre, assistente sociale, una frase che
poteva rimandare a pratiche di MGF
(“questa estate in Africa mi taglieranno e
cuciranno la passerotta”). L’assistente
sociale inoltrava la segnalazione all’Ufficio Minori della Questura. L’Ufficio
prendeva contatto con la pediatra di
Anya e convocava i genitori affrontando,
in termini prudentemente generali, il
tema delle MGF. Nel colloquio i genitori
di Anya ammettevano, senza difficoltà,
di avere sottoposto in Burkina Faso, nel
novembre del 2010, la figlia terzogenita
a un intervento di chirurgia rituale. L’intervento, che trovava la loro piena adesione, poiché “una donna non è una donna” se non ha subìto questa procedura,
era stato effettuato da personale non
medico.
Le verifiche successive della pediatra e
della ginecologa sulla sorellina di Anya
definivano il quadro dal punto di vista
sanitario. Vale la pena ricordare che il
pediatra ha l’obbligo di denunciare le
ipotesi di reato a danno dei minori rilevate nell’ambito della sua attività, inoltrando il referto al Pubblico Ministero o
a un ufficiale di Polizia Giudiziaria (es.
Ufficio Minori). Nel nostro caso, il refer-
pediatri fra due mondi
to della pediatra e la denuncia sanitaria
della ginecologa avevano evidenziato
una “mutilazione genitale di terzo
grado”, reato specificamente contemplato dall’art. 583 bis c.p. L’iter giudiziario
proseguiva con la comunicazione alla
Procura della Repubblica per accertare la
responsabilità penale dei genitori e al
Tribunale per i Minorenni al fine di
garantire la tutela dei minori appartenenti al nucleo familiare. I genitori erano,
infatti, imputabili del reato in quanto
entrambi residenti in Italia così come la
sorella di Anya in qualità di persona offesa. Il Tribunale per i Minorenni emetteva
un Decreto provvisorio di sospensione
dalla potestà genitoriale, nominando
tutore provvisorio il Servizio sociale perché effettuasse, assieme ai Servizi sanitari della AUSL, una stretta vigilanza sulla
crescita psicofisica dei bambini e sui loro
rapporti con i genitori. Attraverso un’appropriata mediazione culturale si predisponeva un progetto educativo e psicologico di sostegno al nucleo familiare e, in
particolare, a S., vittima della mutilazione. Ai genitori veniva fatto divieto di
condurre i minori fuori dal territorio italiano, per impedire che anche Anya
potesse subire lo stesso intervento all’estero.
La successione degli eventi mette in luce
l’importanza della tempestiva segnalazione dell’assistente sociale all’Ufficio
Minori: essa ha consentito di verificare la
menomazione di S., di accertare la
responsabilità dei genitori ma, soprattutto, di scongiurare analogo destino per
Anya. La stretta integrazione tra l’autorità giudiziaria e i servizi socio-sanitari
coinvolti ha dato l’avvio a un percorso
virtuoso di tutela dei minori e di affiancamento di tutto il nucleo familiare in
un’ottica di maggiore consapevolezza e
di integrazione socio-culturale.
Ci è noto un solo caso analogo in giurisprudenza, nel quale il Tribunale di
Verona (sentenza del 14 aprile 2010)
condannava due coppie di genitori e una
mammana nigeriani per avere effettuato,
Quaderni acp 2014; 21(3)
in territorio italiano, ripetute pratiche di
MGF e di circoncisione su bambini connazionali.
Alcune considerazioni
La storia di Anya riassume alcune delle
molte problematiche che accompagnano
il tema delle MGF. Si tratta di un fenomeno con implicazioni antropologiche,
religiose, storiche, sociali e culturali talmente vaste da sconsigliarne una trattazione sommaria e superficiale. Ci limiteremo pertanto a qualche considerazione
pratica suggerita dal caso descritto.
Il primo messaggio per il pediatra è che,
in conseguenza dei crescenti flussi migratori in atto e della giovane età (entro i
15 anni) alla quale vengono quasi sempre
attuate le pratiche di MGF, è del tutto
possibile che tra le proprie assistite possa
esserci qualche bambina che è stata sottoposta a chirurgia rituale. È bene esserne a conoscenza per motivi legati alla
salute della paziente (rischio infettivo,
disturbi della minzione, regolarità della
dinamica mestruale, difficoltà di ordine
sessuale), per una migliore comprensione del contesto culturale del suo nucleo
familiare e per vigilare – come nel caso
di Anya – sul possibile reiterarsi di un
intervento oggi considerato gravemente
lesivo dei diritti fondamentali dell’individuo e della sua integrità psico-fisica.
Il secondo messaggio è che la pratica
delle MGF è reato contemplato dal
nostro Codice penale e, come tale, impegna ogni operatore sanitario a un’opera
di prevenzione oltre che di immediata
segnalazione all’Autorità giudiziaria,
anche nel semplice sospetto che possa
verificarsi entro e fuori i confini italiani.
Non tanto e non solo perché la Legge
possa dispiegare i propri effetti punitivi,
ma soprattutto perché possano essere
messe in atto azioni volte a favorire un
mutamento culturale e il consapevole
rifiuto di qualsiasi pratica di MGF. I dati
raccolti dall’UNICEF dicono che qualcosa sta cambiando anche nella cultura
dei Paesi interessati e che la percentuale
delle donne operate è passata dal 54% al
36%, con una diminuzione particolarmente evidente in Kenya, Benin, Repubblica Centrafricana, Iraq e Liberia [2].
Nello stesso Burkina Faso, è punibile
non solo chi provoca una MGF, ma anche chi venga a conoscenza del fatto e
non lo riferisca.
L’ultimo messaggio, trasversale a tutto il
percorso descritto, è che la comunicazione su questo tema, con le famiglie e con
le bambine/adolescenti, deve essere
improntata alla massima prudenza e
rispetto di culture e tradizioni a noi pressoché sconosciute. È una raccomandazione contenuta in qualsiasi documento
che tratti l’argomento MGF, a partire dal
termine stesso “mutilazione” che, pur
formalmente corretto per la nostra cultura, potrebbe risultare altrove offensivo e
ostacolare ogni ulteriore tentativo di
comprensione reciproca. u
Bibliografia
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Genital Mutilation: An interagency statement,
WHO, UNFPA, UNICEF, UNIFEM, OHCHR,
UNHCR, UNECA, UNESCO, UNDP, UNAIDS,
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[3] Regione Emilia-Romagna. Progetto n. 9. Le
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Raccomandazioni per i professionisti. www.saluter.it.
[4] United Nations General Assembly resolution,
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[5] United Nations Children’s Fund, Female
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[6] www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_769_allegato.pdf.
[7] Regione Emilia-Romagna. Progetto n. 9. Le
mutilazioni genitali femminili (MGF) nella popolazione immigrata (dicembre 2000 - febbraio 2001).
Risultati dell’indagine regionale. www.saluter.it
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