Con l’eterologa soffrono genitori e figli (vincono mercato della vita ed eugenetica) La Corte Costituzionale presieduta dal magistrato Giuseppe Tesauro, con sovrana noncuranza verso il Parlamento, il popolo italiano, e i padri costituenti, non uno dei quali avrebbe sottoscritto l’idea secondo cui le figure genitoriali possono essere tre anziché due, ha recentemente sentenziato che l’eterologa è un diritto. La palla passa alle Camere, e, speriamo, anche al paese. Troppo importante che si apra un vero dibattito e si comprenda un po’ meglio quali orribili abissi si aprirebbero un domani procedendo in questa dissennata distruzione dell’ordine naturale. Partiamo da quella che può essere una delle prime considerazioni che andrebbero fatte alle coppie che per desiderio di un figlio ricorressero all’eterologa. Verrebbe da chiedere loro, in prima battuta: siete sicuri che quel figlio che desiderate “produrre” con seme o ovociti di un terzo estraneo non sarà un domani condannato 1) a farvi soffrire e 2) a soffrire lui stesso? Partiamo dal punto 1, cioè dalle conseguenze negative dell’eterologa all’interno della coppia, esordendo con una citazione di Carlo Flamigni, celebre alfiere della fecondazione artificiale. Nel 2002, nel suo “La procreazione assistita”, scriveva: “Molto importanti e degni di attenzione sono i riferimenti alle risonanze negative che la donazione di gameti può far nascere sia nel padre che nella coppia”. Quando l’uomo è sterile Immaginiamo dunque il caso in cui ad essere sterile sia il maschio. Osserviamo la coppia: entrambi desiderano un figlio, ma non in modo uguale misura; uno vorrebbe attendere e provare ancora per via naturale, l’altra incalza, sino ad ottenere ciò che vuole, spesso per sfinimento del compagno. Il quale si sente in qualche modo “colpevole”, e finisce per credere che il cedere riporti la tranquillità. Con il seme di un altro uomo nascerà un “figlio” che non ha nessun legame genetico, biologico, con lui. Che non è nato da un rapporto tra l’uomo e la donna, da una vera reciprocità, ma da un gesto da cui uno dei due partner è stato escluso (non senza patirne un’ inevitabile umiliazione). In casa la festa di rito, e capiterà di certo che qualcuno, ingenuamente, gli dirà subito: “guarda un po’, non ti assomiglia per nulla”. Mettiamo ora le prime liti, tra moglie e marito, magari proprio a causa dell’educazione del figlio divenuto adolescente: è difficile capire che il padre si sentirà in molti momenti “secondario”, e che di fronte ad una tensione con la madre, ella dimostrerà di sentirsi l’unica vera genitrice, mentre lui tenderà a farsi da parte? “Non è neppure mio figlio, tienitelo tu! Sei tu che lo hai voluto!”. Escluso dal rapporto generativo, l’uomo passa facilmente dal sentirsi umiliato, al desiderio di vendetta (sulla moglie o sul “figlio” non suo); dall’abbattimento psicologico all’affermazione della sua irresponsabilità nei confronti del non-figlio. Possiamo davvero pensare che un figlio che non nasce dall’unione della coppia, ma da un “adulterio” in provetta, non destabilizzi i rapporti di coppia? L’equiparazione che qualcuno tenta di fare tra ricorso all’eterologa e adozione è falsa: nell’adozione si salva un bambino che c’è già; si danno dei genitori ad un bambino che non li ha più; inoltre i coniugi partono e rimangono su un piano di parità (sono entrambi esclusi dalla generazione biologica). A ciò si aggiunga che, nonostante queste evidenti differenze, l’adozione, che pure è un bellissimo gesto di generosità, è questione da maneggiare con delicatezza, senza lasciarsi guidare dal solo romanticismo: l'accesso ad essa (a differenza dell’accesso all’eterologa) prevede un controllo multiplo - psicologico, socio-economico e giuridico - e nonostante questo talora esita in un fallimento adottivo, eventualità più frequente quando il figlio è stato “voluto” con gradi di convinzione diversi. Tornando all’eterologa, la sua problematicità per il rapporto di coppia è così evidente che il partito comunista propose, invano, nel 1985, a prima firma Valentina Cardioli Lanfranchi, un disegno di legge in cui l’eterologa era permessa, ma era previsto il ricorso al consultorio familiare per ovviare (e come?) ai turbamenti che possono nascere nell’uomo “in relazione al senso di impotenza, all’angoscia di castrazione, alla vergogna della sterilità”. E questo per i numerosi allarmi lanciati da psicologi, psichiatri, esperti in generale. Sempre negli anni Ottanta, infatti, Willy Pasini, psichiatra, sessuologo e direttore del Servizio di ginecologia psicosomatica e di sessuologia di Genova, riassumeva il dibattito in corso notando che “la maggioranza degli uomini percepiscono il donatore come un rivale nei riguardi del quale i sentimenti di inferiorità, di gelosia, per non parlare di delirio di persecuzione, possono scatenarsi”; e aggiungeva che vi sono donne che desiderano “una gravidanza per se stesse, non per la coppia”: esse “sono talvolta indotte a respingere il marito una volta che siano divenute gravide o che abbiano partorito”, divenendo “di più in più allergiche e frigide verso il marito”. Una ricerca di O. Ferraris e D. Guerrini su 49 coppie che praticavano l’eterologa in un centro di Roma prima della legge 40/2004, rivela che “non è raro il caso di uomini in cui l’inferiorizzazione aumenta all’idea di una gravidanza da eterologa vissuta nei termini psicologici di una infedeltà coniugale: il 40% degli uomini intervistati non desidera essere presente alle applicazioni; analogamente il 37% delle donne non desidera che il marito lo sia”. Come inizio non c’è male! Si potrebbero aggiungere tanti altri fatti: la presenza invisibile del donatore, nell’immaginario dell’uomo (come rivale) e della donna (come salvatore, ma anche come intruso); la conflittualità, rilevata nello studio sopra citato, all’interno di varie madri, tra il “desiderio del figlio e il rifiuto conscio o inconscio - dell’inseminazione artificiale” (conflittualità psichica che sfocia persino in alterazioni ormonali, nel verificarsi di cicli anovulatori non presenti in precedenza, in sogni in cui il figlio potenziale tanto desiderato, viene respinto…). Oppure si potrebbero citare almeno altri quattro fatti che dimostrano che il riconoscimento nel figlio dei propri tratti biologici (riconoscimento negato a uno dei due genitori nell’eterologa) non è affatto secondario e ininfluente, come sostengono invece i fautori dell’eterologa stessa. Il primo: tante coppie ricorrono alla fecondazione artificiale omologa, anziché all’adozione, proprio per avere “un figlio tutto nostro”. Il secondo: sin dal principio le banche del seme, per “rispondere” evidentemente ad una domanda esistente, e per provare a tamponare il fenomeno dei disconoscimenti paterni, hanno proposto anche la possibilità di selezionare seme con caratteristiche il più possibile simili a quelle del padre “sociale”. Il terzo: è già accaduto che donne ricorse alla fecondazione artificiale omologa, siano rimaste incinte per errore con il seme di un altro uomo (eterologa involontaria), e siano ricorse all’aborto per eliminare il nascituro (Corriere della sera, 11/12/2009). Il quarto: oggi, nei cosiddetti matrimoni gay, i due maschi che ricorrono ad ovulo e utero di donne estranee alla “coppia”, di norma mescolano il loro seme, affinché non sia chiaro quale dei due gay sarà il padre biologico, e non si creino quindi contrasti all’interno della coppia (essendo uno dei due uomini “genitore” per la legge, ma un semplice conoscente, per natura). Quando la donna è sterile Proviamo ora a immaginare la situazione in cui sia la moglie ad essere sterile e si debba ricorrere all’ovulo di un’estranea. Difficile non capire che anche in questo caso si affacciano analoghi problemi: la possibilità che la donna si senta forzata dall’uomo, e non rispettata nella sua infertilità o sterilità; che viva un rapporto ambiguo con la madre biologica e con il figlio-non figlio… A ciò si aggiunga almeno il fatto che la donna che ricorre ad ovuli altrui “non ha le condizioni per portare avanti una gravidanza, dunque deve sottoporsi a cure ormonali pesanti…con tutti i disagi e i rischi che ciò comporta”, mentre la donna che fornisce l’ovulo, se legata da parentela o da amicizia, interferisce nella famiglia adottiva in modo disastroso: “malgrado la migliore buona volontà sembra impossibile per la donatrice star lontano dal bambino nato da quel pezzetto di sé che è andato a crescere altrove. Tutte le esperienze in proposito dicono la stessa cosa: la donatrice si fa viva sempre più spesso nella famiglia del bambino, critica, consiglia, toglie autorità alla madre sociale. Un disastro” (Carlo Flamigni-Vegetti Finzi, in Volere un figlio e Carlo Flamigni, in Avere un bambino) Per concludere questa breve analisi sul primo punto (gli effetti negativi sul rapporto di coppia indotti dall’eterologa), si può ricordare che una delle coppie che aveva promosso la battaglia per la fecondazione eterologa, arrivata alla Corte Costituzionale, al momento della sentenza (aprile 2014) non era più tale: i due si erano separati! In un prossimo articolo verrà trattata la sofferenza dei “figli dell’eterologa”. Uno sguardo ai figli E’ difficile immaginare cosa succede a dei ragazzi che, una volta cresciuti, apprendono di essere figli biologici di un estraneo? Se sì, allora basta guardare cosa accade nei paesi dove l’eterologa c’è da anni. Basti citare il Corriere della Sera del 23/11/2010: “Solo negli Stati Uniti sono più di trentamila i figli nati da donatore sconosciuto che hanno affidato al Web la ricerca delle proprie radici. Figli in provetta che attraverso blog o community dedicate cercano non solo di risalire al padre biologico, ma anche di ritrovare fratellastri e sorellastre con cui condividere storie e sentimenti… ‘Sono il prodotto di un donatore anonimo’- dice nel suo blog Lindsey Greenawalt - e ora che sono adulta sto cercando risposte a costo di alzare la voce’. Perché, spiega, ‘se avessi potuto scegliere tra una vita a metà e una non vita avrei scelto quest’ultima’. Sempre su Internet, tra i tanti siti di annunci ‘cerco papà’ o ‘cerco fratelli’, c’è poi il gruppo ‘famiglie del donatore 1476’: tutti biondi, tutti con gli occhi azzurri e tutti con la stessa voglia di trovare quella metà di se stessi che manca”. Ma non ci sono solo rischi psicologici, bensì anche fisici. Tante ricerche dimostrano che i nati da fecondazione artificiale, omologa o eterologa, sono maggiormente esposti a prematurità, mortalità perinatale, malformazioni genetiche e morbilità1. Non è infatti la stessa cosa essere concepiti in una provetta di vetro o nella tuba uterina; e non è lo stessa cosa nascere da un ovulo venuto a maturazione naturalmente, o da uno dei vari ovuli di una estranea portati a maturazione attraverso una iperstimolazione ovarica attraverso trattamento ormonale. 1 «Bambini che hanno basso peso alla nascita sono a rischio per disabilità e morte. La fivet aumenta i bambini con basso peso alla nascita […]», [L.A. Schieve, Low and very low birth weight in infants conceived with use of assisted reproductive technology, in «N Engl J Med» (2002)]. «I bambini nati da fivet hanno un aumentato rischio di sviluppare problemi cerebrali, in particolare paralisi cerebrale» [B. Stromberg et al, Neurological sequelae in children born after in-vitro fertilisation, in «Lancet», 359 (2002), pp. 461-5]. «I bambini concepiti con l’uso di […] fivet hanno un rischio doppio rispetto alla popolazione generale di avere un difetto alla nascita» [M. Hansen et al, The risk of major birth defects after intracytoplasmic sperm injection and in vitro fertilisation, in «N Engl J Med», 346 (2002), pp. 725-30]. «[…] i bambini nati da fivet hanno più frequentemente bisogno dei centri di riabilitazione rispetto alla popolazione normale e il rischio di paralisi cerebrale è di 3,7 […]. In uno studio australiano l’8,6% dei bambini nati da fivet aveva difetti maggiori alla nascita» [G. Koren, Adverse effects of assisted reproductive technology and pregnancy outcome, in «Ped Res» (2002)]. Il rischio di avere un figlio con handicap è circa l’11% dopo fivet, rispetto al 5% dopo concepimento normale (NN, Neurological sequelae and major birth defects in children born after in-vitro fertilization or intracytoplasmic sperm injection, in «Eur J Pediatr», (2003), pp. 162-164). La fivet induce un aumento della sindrome di Beckwith-Wiedeman (una rara malattia che causa malformazioni fisiche e tumori), la cui incidenza di solito è dello 0,8%, mentre sale al 4,6% tra i concepiti con fivet [M.R. De Baun, E.L. Niemitz, A.P. Feinberg, Association of in vitro fertilization with Beckwith-Wiedemann syndrome and epigenetic alterations of LIT1 and H19, in «American Journal of Human Genetics», 72 (2003), pp. 156-160]. Più di recente, 5 bambini olandesi concepiti con fivet hanno presentato retinoblastoma, un cancro della retina che compare di norma in 1 nato su 17.000 [K. Powell, Fertility Treatments: Seeds of doubt, in «Nature», 422 (2003), pp. 656-658]. Eterologa, mercato ed eugenetica Alcuni anno orsono, all’epoca del dibattito sulla legge 40, i principali fautori dell’eterologa, negavano ogni connessione con i sogni eugenetici nazisti: “sono fantasmi agitati da qualche esagitato! Noi desideriamo solo che le coppie abbiano figli, e figli sani”. Per la verità alcuni tentavano già allora di sdoganare il sogno hitleriano, attraverso la manipolazione del linguaggio: “non parliamo più di eugenetica, ché ricorda troppo la Germania nazista, ma di eugenica...” In verità l’eugenetica è nel cuore stesso dell’eterologa. Per almeno due motivi. Il primo: l’eterologa è figlia del “trasferimento della procreazione dalla casa al laboratorio” (Leon Kass) e della trasformazione del figlio in prodotto, manifattura La seconda: l’eterologa è figlia del mercato (quello che Marzano, Rodotà, Tesauro, centri privati di Fiv, Associazione Coscioni…non vogliono assolutamente normare, non scorgendo alcuna differenza, forse, tra mercato di cose e mercato di persone). Se il figlio diventa un prodotto, un oggetto “fabbricabile”, inevitabilmente questo genererà il desiderio di figli “perfetti”, su misura, su ordinazione, secondo criteri prestabiliti da chi è disposto a pagare; la conseguenza inevitabile sarà il crearsi, di fronte a questa domanda, di una offerta sempre più artificiosa e rinnovata. In un ciclo perverso in cui sogni eugenetici dei potenziali genitori, anche fertili, genereranno risposte sempre più fantasiose; nello stesso tempo, offerte del mercato sempre più intriganti, genereranno negli acquirenti aspirazioni ancora più disumane. Il figlio, insomma, come un cellulare: c’è sempre desiderio di un nuovo modello, che sostituisca l’antico, e necessità di un nuovo modello, che ingrassi e rilanci il mercato. Che l’eterologa, tanto più senza alcuna norma che la regoli almeno in parte, generi eugenetica e mercato della vita è dimostrabile in mille modi. Cosa accade in Italia prima della legge 40, costruita soprattutto sul divieto di eterologa, e approvata da una maggioranza trasversale? In un primo tempo il mercato ha la priorità sull’eugenetica. Inizialmente è necessario offrire a tutti il figlio, anche un po’ ammaccato: l’utilitaria per tutti. Di qui le denunce, ad esempio al Congresso di Bari del 1983, dove il professor Luigi Carenza denuncia: “A Roma vengono usati dietro compenso come donatori di sperma i tossicodipendenti”. Di rimando Carlo Flamigni: “C’è gente che va a prelevare sperma nei villaggi del fanciullo a ragazzi di 13-14 anni”. E il professor Ragni: “Esistono centri improvvisati dove con lo sperma di un donatore vengono messi al mondo decine e decine di figli”. Nel 1984 Luigi Laratta, presidente dell’Aied, dichiarava in conferenza stampa: “sono tra 80 e 110 le banche del seme selvagge in Italia… Richiedono da uno a tre milioni di lire per una doppia inseminazione artificiale e non danno alcuna garanzia sulla provenienza del donatore…”. Utilitaria per tutti, dunque, a qualunque costo, nel far west procreativo. Ma subito la necessità di ampliare il mercato e di migliorare il prodotto: Mercedes per chi se la può permettere. Da qui le banche degli ovuli delle universitarie di Harvard o la banca dello sperma dei premi Nobel, promossa dal magnate Robert Graham, cittadino di quella California che oggi specula sul mercato legale dell’utero in affitto. Il primo a vendere il suo seme alla banca suddetta, nata allo scopo di produrre figli super-intelligenti per persone super-facoltose, fu il Nobel William Shokley, il quale ebbe a dichiarare: “La cosa più importante è di ridurre le nascite eccessive: tra queste nascite potrebbe essere alto il numero degli stupidi”. Aborto per i poveri e gli stupidi, eterologa con sperma di Nobel per i ricchi? Quanto ai negri, sempre il Nobel: “Dico solo che tra i bianchi un sesto ha un quoziente di intelligenza superiore a 115 mentre fra i negri solo il 2 per cento”. Oggi i centri privati di Fiv di molti paesi del mondo ingrassano promettendo figli a chi li desideri: single, coppie naturali, coppie gay… Per chi può, doppia eugenetica: cernita dei gameti e selezione degli embrioni. Quanto ai gameti varie banche offrono cataloghi per tutte le richieste: razza, tipo di sangue, colore dei capelli, degli occhi, altezza… Quanto agli embrioni umani, quelli malriusciti si buttano nell’immondizia. Si chiama eugenetica, e qualcuno vuole abbia campo libero. Per motivi ideologici, o economici. La figura del “donatore” Si è detto che la fecondazione artificiale eterologa trasformando la naturale procreazione in artificiale produzione. Quale è l’elemento più evidente di questa invasione del mercato nella filiazione? La nascita delle banche degli ovuli e del seme, inevitabile laddove vi sia fecondazione artificiale eterologa, e la figura del donatore. Banche e donatore. La prima parola indica la verità delle cose: stiamo parlando di compravendita, relativamente all’uomo. La seconda, donatore, è una creazione orwelliana: a parte pochissimi casi di donatori ideologici, l’uomo e la donna che seminano figli loro in giro per il mondo sono venditori che si inseriscono nel ricco mercato alimentato dalla disperazione e dal capriccio. Debora Spar, docente di Business Administration alla Harvard Business School, ha scritto un testo, Baby Business (Sperling & Kupfer), in cui descrive in modo asettico il mercato del seme, degli ovuli, degli uteri in affitto, soprattutto negli Usa… Riguardo al venditore di seme di solito costui viene attirato tramite materiale promozionale cartaceo, oppure attraverso proclami in rete, e riceve circa 70-80 dollari per volta. Ogni campione di seme è sufficiente per 3-6 fiale, ognuna delle quali viene rivenduta per una cifra tra i 250 e i 400 dollari, con un margine di guadagno per le banche di circa il 2000 per cento. Quanti poveri figli –"nati" da una masturbazione a pagamento, invece che da un atto d’amore- può spargere in giro il poveretto? In Italia, prima della legge 40, vi furono persone, in qualche caso malati di aids, che arrivarono a donare centinaia di volte; quanto alle donne "esisteva un vero e proprio mercato di ovociti rubati, e anche molti embrioni cambiavano proprietario" (Chiara Valentini). Il mercato degli ovuli muove cifre molto più alte: infatti la cosiddetta ovodonazione è assai pericolosa. Le donne che vendono i loro ovuli vivono sulla loro pelle una pratica altamente invasiva, che può determinare emorragie, sterilità, tumori e talora persino la morte. Le denunce di questo crescono di continuo nei paesi in cui l’eterologa è legale da tempo. Ma pecunia non olet: nel 2004 molti centri per la fertilità americani proponevano cataloghi di ovuli con un costo tra i 3000 e gli 8000 dollari! Se il movente principale della vendita del proprio patrimonio genetico (l’unico che si possa vendere: non si commerciano né il sangue, né i reni, ma il proprio patrimonio genetico sì!) è il denaro, resta da chiedersi chi siano questi venditori. Secondo Willy Pasini, psichiatra e sessuologo, "bisogna dire che talvolta il donatore stesso può percepire in maniera psicologicamente negativa la sua funzione di stallone. Per esempio in una ricerca condotta da Tekavcic, un certo numero di donatori intervistati un anno dopo hanno detto di aver sentito uno sgradevole sentimento di responsabilità nei confronti del figlio nato dal loro sperma. Il 25% di questi donatori avevano pensato una volta o l’altra alla realtà del loro figlio biologico, il 20% avrebbero voluto conoscere questo bambino e il 10% hanno rimpianto di aver dato il loro sperma. E’ stato pure segnalato il caso di un donatore professionale danese che avrebbe avuto una grave depressione con tentativo di suicidio quando è stato schiantato dall’idea delle responsabilità che pesavano su di lui nei confronti dei numerosi figli che aveva ‘seminato’ in Danimarca". Leonardo D’Ancona, psicologo e psicoanalista, denunciava già negli anni Ottanta che "da parte del donatore si evidenziano problemi di grande importanza emotiva; si deve dire, anzitutto, che il donatore professionale può essere tale per il fatto di avere una personalità instabile e nevrotica; salvo eccezioni, chi è sereno e soddisfatto di se stesso, non sceglie infatti di fare il donatore di seme. Queste scelte hanno un significato ‘riparativo’, cioè tendono a realizzare ciò che non si è verificato naturalmente in se stessi… vi è anche chi dà il proprio seme come esibizione della propria forza…", della propria "potenza" (Luciano Ragno, Un figlio ad ogni costo, Roma, 1984). Cercando in internet, si trovano annunci, con annesse generalità e dietro promessa di pagamento, di questo tenore: "Sono sano al 100% e posso dimostrarlo: ho test che certificano che non ho hiv, sifilide, clamydia nè altra malattia sessuale trasmissibile col seme. Ho anche uno spermiogramma certificante che ho una ottima mobilità… Sono alto 180, capelli castani, occhi neri mai nessuna malattia nè problema al mio Dna…posso mandarvi anche delle foto…". Oppure ci sono mogli che gestiscono gli affari dei mariti: "Salve sono la moglie di un over 50 bellissimo (in gioventù), intelligentissimo, atleta, carattere pacato, salute di ferro…peccato aver fatto solo due splendidi figli! E’ per questo che penso possa essere un ottimo donatore. Ma l’età è così tassativa?". I figli oggi si producono andando in banca o in rete. E’ la famiglia "artificiale" al posto di quella naturale dei padri costituenti. La donatrice: quando si rischia la morte Mentre la vendita di seme maschile non comporta rischi fisici (psicologici, sì!), la vendita di ovuli è assai più complessa. Infatti la venditrice viene sottoposta ad una iperstimolazione ovarica particolarmente violenta, cioè viene bombardata di ormoni al fine di produrre non un ovulo, come avverrebbe in natura, ma molti di più (a seconda dell’etica e delle previsioni del medico). Sentiamo a tal proposito cosa può provocare la iperstimolazione ovarica dalle parole di un esperto come il dottor Carlo Flamigni, noto per la sua apertura alle pratiche di procreazione medicalmente assistita (PMA). Flamigni, nel suo “La procreazione assistita” (il Mulino, 2002), afferma che l'iperstimolazione ovarica sulla donna, preliminare a qualsiasi operazione di PMA, è "una sindrome pericolosa persino per la vita", "una complicanza abbastanza pericolosa". Infatti "l'ovaio cresce in modo anomalo fino a raggiungere un volume pari a quello di un grosso melone. Successivamente, e soprattutto se l'iperstimolazione è grave, si forma un'ascite e compaiono raccolte di liquido nelle cavità pleuriche e nel pericardio. Il sangue si ispessisce e perde proteine e la funzionalità renale diminuisce pericolosamente. A causa di grossolane anomalie della coagulazione si possono determinare trombosi e tromboflebiti, talchè esiste addirittura un rischio di vita nei casi più sfortunati". A ciò si può aggiungere che l’iperstimolazione in vista della PMA comporta anche un rischio tumore, ai genitali o alle mammelle, magari nel lungo periodo ("Le Scienze", Settembre 2004). La conferma viene da un interessante reportage, già citato, a firma Chiara Valentini, ed intitolato significativamente “La fecondazione proibita”. In esso si racconta, tra le altre cose, la storia di Brigitte Fanny Cohen, specialista di medicina del canale tv France 2, sottopostasi inutilmente a iperstimolazione ovarica per avere un figlio. La Valentini racconta che durante una conferenza stampa la Cohen spinse un medico ad ammettere il rischio tumore connesso a tale pratica. Poi gli chiese: "Perché non avvertite le pazienti?". E il medico: "Se lo dicessimo nessuna farebbe più la fecondazione artificiale". Ulteriore conferma a questi dati, piuttosto conosciuti tra chi si occupa dell’argomento, viene da un documentario veramente impressionante, “Eggsploitation”, a cura del Center for Bioethics and Culture americano, premiato al Festival californiano di cinema indipendente e di cui parleremo in maniera approfondita nei prossimi giorni. E’ la storia di alcune donne che raccontano di aver venduto o donato i loro ovuli, completamente ignare di ciò a cui andavano incontro, causa il silenzio assordante dei media, ma anche di quei medici che hanno proceduto all’espianto dei loro ovuli. Queste ragazze hanno patito, in seguito alla vendita degli ovuli e quindi alla iperstimolazone ovarica preliminare, cancri, sterilità, emorragie. Alcune sono addirittura morte2. Un’alternativa alla fecondazione artificiale a cura di Libertà & Cultura 2 Questo breve studio è stato pubblicato, in parte, sul quotidiano il Foglio, a puntate, a firma Francesco Agnoli.