giovedì 12 agosto
ore 21,15 chiesa di San Francesco
CONCERTO DI MEZZ’ESTATE: Rossini, Borodin, Elgar e la
“Quinta Sinfonia” di Beethoven per i 5 anni del Museo
Orchestra Sinfonica G. Rossini
Coro Polifonico Icense diretto da Guerrino Parri
Lanfranco Marcelletti
. . . . . . . direttore
Gioachino Rossini (1792-1868)
da La Gazza Ladra - 1817
- Ouverture
Aleksandr Porfir'evič Borodin (1883-1887)
da Il Principe Igor - 1888
- Danza Polovesiana con Coro
Edward Elgar (1857 – 1934)
da Pomp and Circumstance Marches op. 39 - 1901
- marcia n. 1 in D maggiore con Coro (Land of Hope and Glory)
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sinfonia n. 5 in Do minore op. 67 – 1808
- Allegro con brio
- Andante con moto
- Allegro
- Allegro
rmai tradizionalmente il Concerto di Mezz’Estate è divenuto l’apice della stagione
concertistica e l’occasione più propizia
per ricordare e celebrare importanti ricorrenze legate alla storia ed alla cultura che hanno interessato Mercatello
e, in particolare, il complesso monumentale dell’ex-convento francescano. Qui
ha infatti sede il Museo di San Francesco
che nell’ambito delle sue attività, con il
fondamentale apporto di una crescente lista di sostenitori, promuove e
produce il festival Musica&Musica.
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Pertanto quest’anno non poteva non
essere festeggiato il Quinto anno di attività dell’istituto museale ampliato e riallestito a seguito degli importanti lavori
seguiti alla crisi sismica che lo aveva duramente colpito allo scadere del secolo
scorso. Così come non poteva passare
in silenzio la realizzazione della Quinta
edizione della manifestazione musicale
che il Museo ha fortemente voluto, assieme ad altre, per promuovere e valorizzare la propria immagine, le proprie
collezioni e la propria capacità di integrarsi con la vita quotidiana.
Musica&Musica 2006 - A. Cavuoto dirige Orchestra da Camera delle Marche e Coro Malatestiano
Il ripetersi del numero cinque ha così
suggerito di proporre un’opera musicale
che fosse immediatamente ricollegabile
ad esso. La scelta è caduta sulla Quinta
Sinfonia di Beethoven, ritenuta particolarmente adatta per rappresentare le
difficoltà, le ristrettezze economiche, gli
ostacoli e i pregiudizi che il Museo deve
continuamente affrontare per arrivare
alle soddisfazioni che anche una serata
come questa speriamo sia in grado di
dare, trasformando il trionfale finale ed il
numero della sinfonia in una “V” di vittoria impressa nell’anima di tutti i presenti
ed i sostenitori. Vittoria solo temporanea
ma forte stimolo a proseguire e migliorare cercando di coinvolgere l’intera
collettività nella propria crescita, non
solo quella fisica che vedrà a breve
l’ampliamento della struttura museale e
delle collezioni ma soprattutto quella
culturale e sociale.
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La prima parte della serata, scoppiettante e sorprendente, continuando un
percorso già avviato nelle stagioni precedenti, propone subito un’altra delle
Ouvertures di Gioachino Rossini.
Tali composizioni, pur se destinate originariamente ad introdurre un’opera lirica sono in realtà una forma musicale
autonoma, perfettamente compiuta in
sé stessa e pertanto ideale per avvicinarsi alla “musica colta”. Nate per catturare immediatamente l’attenzione del
pubblico, sono infatti brani dinamici
dalle dimensioni contenute e strutturalmente lineari, chiari nella melodia, fortemente ritmati e cantabili, che possono
essere seguiti senza sforzo anche da
orecchie abituate a generi, sonorità e
timbri totalmente differenti. Chi può non
rimanere colpito dallo scatenarsi della
fantasia, dalla ricerca di motivi interessanti e dal gioco delle invenzioni strumentali rossiniane? Questo senza
ignorare o intaccare minimamente la
raffinata scrittura ed il valore artistico
che le ha fatte diventare opere musicali
a sé stanti, spesso più celebri dell’opera
lirica per la quale vennero originariamente composte.
Emblematico è il caso de La Gazza
Ladra, pezzo sinfonico di valore assoluto
e senza ombra di dubbio l'ouverture di
Rossini più nota ed amata; fra l'altro, solo
per citarne alcuni utilizzi, molto ben sfruttata da Stanley Kubrick come parte integrante del racconto cinematografico
di “Arancia meccanica” e dai fantasiosi
Giulio Giannini e Emanuele Luzzati nel
loro celebre disegno animato che fu
candidato all’Oscar.
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Con libretto di Giovanni Gherardini,
l’opera semiseria dalle dimensioni smisurate e con un soggetto di ambientazione contadina pieno di equivoci che
Stendhal definì abominevole, debuttò
con un successo memorabile alla Scala
di Milano il 31 maggio del 1817 e l’anno
seguente venne prescelta per l'inaugurazione del nuovo teatro di Pesaro alla
presenza del suo concittadino più illustre: Gioachino Rossini.
L’autore, che vi aveva riversato uno
straordinario impegno compositivo, raccontò: «Ho scritto l’Ouverture della
Gazza Ladra il giorno della prima rappresentazione sotto il tetto del Teatro
alla Scala, dove fui messo in prigione dal
direttore, sorvegliato da quattro macchinisti che avevano l’ordine di gettare
il mio testo dalla finestra, foglio a foglio
ai copisti, i quali aspettavano abbasso
per trascriverlo». La monumentale pagina, grazie alla strumentazione ricchissima, alla qualità dei temi e degli
sviluppi, alla straordinaria originalità e
freschezza inventiva, è tra le pagine più
significative e universalmente ammirate
del compositore pesarese e un modello
insuperato del genere.
La composizione è audacemente
aperta da un enigmatico rullo stereofonico di tamburi, sottile premonizione
della possibile tragedia. Questi introducono alla solenne e maestosa marcia
iniziale, marziale e pomposa, dal carattere quasi eroico, eco dell’ambiente da
cui provengono i personaggi militari
della trama. Seguono una serie di temi
conosciutissimi che anticipano l'aspetto
psicologico e la caratterizzazione degli
altri personaggi del melodramma, fatto
di pathos, tragedia ed allegria. Il discorso musicale assume via via toni, accenti ed effetti strumentali e ritmici di
trascinante vivacità; una girandola incandescente che sfocia nella folgorante stretta finale realizzata con una
tecnica collaudata ed infallibile di
grande presa emotiva sul pubblico - il
crescendo rossiniano – crescita organica che all’aumento dell’intensità fa
coincidere quello degli strumenti coinvolti e delle incidenze ritmiche.
Gioachino Rossini
Aleksandr Porfir'evič Borodin
Con il secondo ascolto rimaniamo nel
mondo dell’opera lirica, stavolta russa,
estrapolando un brano celeberrimo, differente dal primo ma che al pari di questo, grazie alla sua enorme popolarità,
possiede una sua vita autonoma e predominante sull’intera composizione.
Autore ne è la straordinaria figura di
Aleksandr Porfir'evič Borodin, brillante
chimico russo passato alla storia non per
le sue scoperte scientifiche ma per il suo
hobby: la musica. In essa l’autore, che
la voleva basata sul folklore locale e lontana dalle contaminazioni occidentali,
rivela una natura squisitamente musicale che permette alle melodie ampie
e ricche di sgorgare immediate dalla
sua fantasia. In ogni sua opera si ritrovano così la ricchezza melodica, la
spontaneità e la freschezza che ne costituiscono la principale attrattiva.
Prova ne sono le Danze Polovesiane,
apice dell’opera “Il principe Igor”; ancora oggi famosissime, usate e abusate
in film e pubblicità. Purtroppo per noi, il
suo lavoro gli impedì, fra le altre, di portare a termine la partitura di quest’opera lirica, completata poi da
Rimsky-Korsakov e Aleksandr Glazunov.
Il “compositore della domenica”,
come amava definirsi, lavorò infatti al
progetto in maniera discontinua per
quasi vent'anni, fino alla morte improvvisa, con l'intento di dipingere un grandioso affresco storico ambientato nel XII
secolo e con protagonista un eroe della
resistenza russa contro una tribù dell'Asia
centrale: i Polovesi.
Nell’opera le danze, cinque rapidi
quanto suggestivi pannelli musicali
orientalizzanti, accompagnano la scena
di un banchetto voluta dal Khan della
tribù mongola per intrattenere il principe
Igor suo prigioniero. In questi autentici
gioielli, ottenuti dopo attenti studi sulle
testimonianze musicali del folklore polovesiano, si contrappongono di continuo
una sensualità dolce e nostalgica ad
un'impetuosa frenesia barbarica dei
ritmi. In particolare la prima danza, che
ascolteremo, è un Andantino delicato e
sognante che accompagna le voci
delle fanciulle polovesiane.
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Il brano ben si adatta alle caratteristiche vocali del Coro Polifonico Icense, in
grado di esaltare la freschezza e la
spontaneità dell’invenzione melodica
rintracciabile nelle radici più popolari
della musica.
La formazione corale mercatellese,
da sempre una delle colonne portanti
della stagione concertistica estiva promossa dal Museo di San Francesco attraverso il Comune di Mercatello sul
Metauro e l’Associazione Pro Loco Mercatellese, allarga così ulteriormente il
proprio repertorio e prosegue quel virtuoso percorso di crescita intrapreso in
parallelo con Musica&Musica.
Grazie alla meticolosa e sicura guida
del suo direttore, il maestro Guerrino
Parri, il coro avrà poi occasione di cimentarsi anche in un brano di tutt’altro
genere che concluderà la prima parte
del programma. Questo è figlio di quella
che è probabilmente l’opera più nota di
Sir Edward Elgar, compositore inglese
che ebbe enorme successo in vita e
una miriade di riconoscimenti e titoli assegnatigli dalla corona britannica: le
Marce di Pomp and Circumstance, così
chiamate da un passo dell'Otello di Shakespeare.
La prima delle cinque marce, quella
che ascolteremo, è ancor oggi molto
popolare soprattutto oltre Manica. Le
sue potenzialità furono subito riconosciute da Elgar che scrisse: "Ho una melodia che li metterà tutti stesi al tappeto".
Poco dopo la sua composizione, infatti,
fu chiesto all’autore di adattare la Marcia Solenne alle parole di un’ode celebrativa della gloria nazionale scritta da
Arthur Christopher Benson, per creare un
pomposo inno da eseguire durante l’incoronazione di Edoardo VII.
Su richiesta dello stesso Elgar, adattamenti e tagli del testo portarono alla nascita della Coronation Ode op. 44, che
nella sua parte finale e nel brano autonomo da essa ricavato, Land of Hope
and Glory (Terra di Speranza e Gloria), è
diventato col passar del tempo una
sorta di secondo inno nazionale della
Gran Bretagna, la quintessenza dell'impero britannico della regina Vittoria.
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Land of Hope and Glory
Land of Hope and Glory,
Mother of the Free,
How shall we extol thee,
who are born of thee?
Wider still and wider
shall thy bounds be set;
God, who made thee mighty,
make thee mightier yet,
God, who made thee mighty,
make thee mightier yet.
Per chiudere il cerchio prima dell’intervallo e ricollegarci in qualche modo alla
Gazza Ladra di apertura vogliamo sottolineare come anche la musica di questo brano sia stata utilizzata da Kubrick
per la colonna sonora di Arancia Meccanica e da un celebre disegno animato, stavolta della Disney: Fantasia
2000, dove Paperino diventa aiutante di
Noè sulle note di Elgar.
Sir Edward Elgar
Anche la seconda parte del programma non romperà questa effimera
catena visto che il primo movimento
della sinfonia che ascolteremo è stato
anch’esso utilizzato nel medesimo film
disneyano. Le sue notissime quattro note
di apertura (tre brevi ed una lunga), nel
contesto della serata potrebbero essere
lette come il richiamo ai tre brani ascoltati e a quello da ascoltare o alle quattro stagioni trascorse ad ascoltar musica
in questa splendida chiesa.
Ma ora immergiamoci in uno dei massimi capolavori della letteratura musicale, senza dubbio l’opera sinfonica più
famosa e conosciuta, la sinfonia spartiacque di tutta la storia della musica: la
celeberrima Quinta sinfonia di Ludwig
van Beethoven. «Il rumore più sublime
che abbia mai penetrato l'orecchio dell'uomo», come la definì lo scrittore Edward Morgan Forster.
Prima di Beethoven, la forma sinfonica
aveva conosciuto altri grandissimi creatori – basti citare Haydn e Mozart - eppure nessuna delle loro pur splendide
sinfonie può rivaleggiare in popolarità
con quelle del compositore tedesco.
Queste ampliano e modificano le forme
rigorose precedenti riuscendo ad esprimere compiutamente le emozioni di noi
tutti, a far scendere la musica dal piedistallo della bellezza formale, ad umanizzarla profondamente ed immergerla nel
flusso della vita.
Beethoven si pone infatti in mezzo al
fermento di idee e aspirazioni dei nuovi
tempi romantici, pur portando dentro di
sé e nella sua formazione artistica ancora i retaggi di un classicismo rinchiuso
nella rete di tecniche e strutture formali
che verranno smantellate in nome di
una libertà proclamata in tutte le manifestazioni della vita umana.
Eugène Delacroix, La Libertà guida il popolo sulle barricate (1830)
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L'incisività dei temi, i contrasti drammatici e le novità armoniche conferiscono a queste opere un'espressività
fino a quel momento sconosciuta; in
particolare alla Quinta, paradigma del
sinfonismo beethoveniano per l'eroica
tensione etica incarnata in una dialettica drammatica di straordinaria intensità, coerenza e compattezza.
In essa gli ideali più alti dello stile classico raggiungono la perfezione generando, dopo una gestazione lunga e
travagliata (quattro anni), un lavoro monumentale nel quale la tensione, che
rappresenta il cuore pulsante di tutto il
costrutto sinfonico, non viene mai meno,
in un fluire in cui la dimensione tragica
del destino si coniuga miracolosamente
con la visione, ora angosciata, ora trionfante, dell’uomo e dei suoi ideali.
Le innovative caratteristiche compositive del brano assieme ai forti legami
tematici e strumentali che legano fra
loro i vari tempi - l’epica e perenne lotta
dell’uomo contro le vessazioni, gli ostacoli e gli inganni operati dal fato, le
grida di battaglia e di vittoria - appaiono
chiare anche all’ascoltatore meno smaliziato. La sorpresa del primo ascolto è
poi destinata a ripetersi ed accrescersi
ai successivi inevitabili approfondimenti.
Questi porteranno a conoscere sempre
meglio, attraverso la composizione che
più di altre l’incarna, il genio di Bonn, i
suoi ideali, la sua coscienza morale, il
suo impegno con se stesso e con il
mondo a reagire coraggiosamente
contro le ingiustizie e le avversità della
vita, sua e dell’umanità intera.
La Quinta è probabilmente la più straordinaria sinfonia di Beethoven, quella
che porta dentro tutto il dramma di un
uomo che solo con la musica era in
grado di comunicare il suo mondo interiore, l’opera più caratteristica e significativa di quell’agonismo eroico già
anticipato nella sua illuministica e più
enfatica Terza Sinfonia, non a caso iniziata contemporaneamente ad essa.
Venne eseguita per la prima volta,
sotto la direzione dell’autore, il 22 dicembre 1808 - insieme ad altri inediti
come la “Sesta Sinfonia”, il “Quarto Con68
certo per pianoforte e orchestra”, la
“Fantasia Corale per piano e orchestra
op. 80”, il Gloria ed il Sanctus della
“Messa in do maggiore” e la scena ed
aria “Ah, perfido!” - in una memorabile
quanto lunghissima accademia musicale al teatro An der Wien.
La composizione, un vero inno alla
speranza, prende avvio dall’inquietante
quanto celeberrimo e lapidario inciso ritmico di quattro note – tre brevi seguite
da una lunga «sol-sol-sol-mib» - sulla cui
ripetizione poggia quasi tutta la sinfonia
e che rappresentano, come ebbe a
spiegare lo stesso Beethoven: «I colpi del
destino che bussa alla nostra porta». Un
destino drammatico, cieco e implacabile contro il quale l’uomo si erge a
combattere eroicamente in nome della
ragione. Da questa semplice figura, il
“tema del destino”, come da una cellula generatrice vengono con audacia
costruiti un grande movimento sinfonico,
denso di elaborazioni contrappuntistiche, e un intero, complesso mondo
espressivo carico degli accenti più diversi. Dunque nessuna ridondanza
d’idee, piuttosto un linguaggio asciutto
ed essenziale, una membratura scarnita
fino all’osso.
I quattro movimenti si presentano così
come diverse facce di uno stesso oggetto, come inarrestabile processo di
scoperta e di trasformazione destinato a
sfociare e a risolversi nel movimento
conclusivo. Le note ribattute iniziali, che
rappresentano il conflitto fra due grandi
forze, si irradiano e mutano in innumerevoli idee secondarie, mantenendo alta
la tensione sul sentimento tragico che
permea il divenire dell’umanità, fino al
trionfo finale di quest’ultima sul fato, o
meglio sugli effetti scatenanti dello
stesso come guerre, diseguaglianze, ingiustizie, pregiudizi e superstizioni.
La sinfonia, divenuta nell’Ottocento
un autentico mito etico e artistico, riflette chiaramente le vicende politiche
e biografiche di quegli anni ed in particolare la sordità del compositore che si
faceva sempre più accentuata e insopportabile e l’occupazione francese di
Vienna del 1805.
Occupazione che poco dopo non risparmiò nemmeno il complesso architettonico che oggi ospita il Museo di San
Francesco, trasformato in caserma dei
soldati d’oltralpe dopo la cacciata definitiva dei frati minori, e la chiesa dove
ci troviamo, declassata a deposito e
polveriera e completamente sforacchiata nel pavimento dalle baionette
dei militari francesi.
Chiesa che nel 1804 aveva visto dedicare uno dei suoi tanti altari laterali alla
concittadina S. Veronica Giuliani, beatificata proprio quell’anno e della quale
nel 2010 si ricordano i trecentocinquant’anni dalla nascita.
A farne le spese fu il grande Crocifisso
ligneo trecentesco di Giovanni da Rimini
che, per lasciar posto alla nuova tela
raffigurante la Santa che scrive il suo
diario con l’aiuto della Madonna, venne
destinato ad ardere nel camino del
convento. Destino ingiusto e crudele al
quale l’opera d’arte, a causa della “romantica” incontrollabilità degli eventi,
venne fortunatamente sottratta per tornare molto più tardi, dopo innumerevoli
e avventurose peripezie in giro per l’Italia, a trionfare al centro dell’arco trionfale dell’abside condividendo appieno il
percorso magistralmente disegnato da
Beethoven nella sua Quinta Sinfonia.
Il Crocifisso di G. da Rimini torna per l’ennesima volta nella sua chiesa (Estate 2005)
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L’opera è aperta dall’Allegro con brio,
forse la pagina più innovativa, celebre
e drammatica scritta dall'autore. Il tema
iniziale, apparentemente così semplice
e scarno, è invece la forza poderosa di
tutta la Quinta Sinfonia. Quelle quattro
note ribattute che tolgono ogni punto di
riferimento e lasciano gli ascoltatori sospesi, in attesa degli eventi, danno il via
ad un movimento pessimistico, serrato è
aggressivo dal notevole aspetto ritmico.
Strutturalmente, si tratta di un tipico movimento in forma-sonata, lo schema
compositivo più rigido che il Classicismo
aveva prodotto, ma che è qui riempito
di significati emotivi e sconvolto dalla
lotta tra i due principi opposti che, per
semplicità, potremmo definire il bene e il
male. Il tema principale deriva integralmente dal motivo iniziale di quattro
note, ripetuto ossessivamente come a
tormentare l’essere umano, un pensiero
fisso che come le sezioni dell’orchestra
che lo eseguono passa da un individuo
all’altro fino a coinvolgere l’intera umanità, invadendo ritmicamente tutto lo
spazio disponibile, cancellando ogni distinzione fra disegno e ornamento. Lo
stesso tema secondario, più sereno e
cantabile che arriva a distendere la tensione, non riesce a liberarsi dell’inciso iniziale. Questo ritorna infatti protagonista
assoluto dello sviluppo - il momento di
maggior intensificazione drammatica
della Sinfonia, in cui sono più vividi i contrasti armonici e la densità contrappuntistica – prima che la ripresa si concluda
nell’eroica coda.
L’Andante con moto si contrappone
al movimento precedente per la sua
apparente serenità che introduce un
clima di distensione. Il tempo è costituito
da due temi di origine popolare di nobile cantabilità, con variazioni di grande
libertà formale e in cui non mancano le
reminiscenze ritmiche del “motivo del
destino”. I sublimi passaggi, i fraseggi e i
pizzicati degli strumenti sono per ben tre
volte inaspettatamente interrotti dalle
caratterizzazioni marziali e trionfali degli
ottoni - simbolo dell’uomo - che anticipano chiaramente la soluzione finale
della sinfonia stessa.
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Con l’Allegro, ci troviamo nel fulcro di
collegamento fra la violenza del primo
movimento e il trionfo del finale. Il tema
principale del tempo, dopo un fosco e
misterioso arpeggio, viene esposto in fortissimo e riprende, variandolo, il motivo
iniziale del destino. Questo poi lo punteggerà col suo ritmo militaresco e cadenzato risvegliando in tutti antichi
presagi. Al di fuori della tradizione il
tempo, fino allora riservato allo Scherzo,
amplia la sua funzione di alleggerimento
con il colore sinistro, in pianissimo, dei
contrabbassi. Nell’ironica sezione centrale questi ultimi, assieme ai violoncelli,
si lanciano all'unisono negli spericolati e
pressanti passaggi virtuosistici del grottesco fugato. Quindi il tema iniziale viene
nuovamente esposto e, dopo un vezzoso pizzicato, dissolto in un lungo e turbato episodio di transizione (gli archi
tengono la stessa nota per 15 battute)
che traghetta direttamente al tempo Finale. Infatti, per la prima volta nella storia della musica, gli ultimi due movimenti
della sinfonia sono uniti fra loro senza soluzione di continuità. L’energia compressa sul finale del primo viene così
improvvisamente rilasciata, come un
potentissimo sisma che investe il successivo, in un poderoso crescendo; uno dei
più entusiasmanti dell’intera letteratura
sinfonica.
Il tema principale dell’ultimo brillante
e monumentale movimento, ancora un
Allegro, risolve tutte le tensioni accumulate ed esplode eroicamente in fortissimo ad affermare e rappresentare la
vittoria dell'ottimismo e della certezza
morale sul destino. Lo fa con la sua gloriosa fanfara esultante in cui, per la
prima volta nella storia della sinfonia,
appaiono significativamente i tromboni,
strumenti carichi di innumerevoli significati simbolici. Si tratta di una vera e propria sintesi suprema, in cui il riecheggiare
dei temi ascoltati nei precedenti movimenti fa acquistare a questi ultimi il carattere di preparazione alla catarsi
trionfale. In questa si celebra la vittoria
dell’intelletto e della ragione sulle avversità, esaltata nella vorticosa e travolgente stretta conclusiva.
Ludwig van Beethoven
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