FORUM NON AUTOSUFFICIENZA MAGGIOLI
(BARI 05-06 GIUGNO 2013)
Workshop Ansdipp
in collaborazione con
Ansdipp Puglia, Fondazione Santi Medici Bitonto,
Assoc. La Bottega del Possibile, Asp Ispe Lecce
“Coniugare e dare valore a parole come domiciliarità e residenzialità”
Intervento di Renzo Zanon – Comitato Esecutivo Nazionale Ansdipp
Bari – Hotel Parco dei Principi – 5 giugno 2013
L’attuale scenario demografico e sociale




Ci troviamo oggi di fronte ad uno scenario demografico e sociale
caratterizzato da alcuni aspetti nodali:
invecchiamento della popolazione e aumento dell’aspettativa di vita in età
avanzata;
aumento degli anziani affetti da malattie croniche e da polipatologie che
inducono la perdita dell’autosufficienza;
crisi della famiglia, come luogo di contenimento delle difficoltà dei
componenti più fragili, e conseguente incertezza sulla futura tenuta dei
sistemi di “caregiving”informale, se non adeguatamente sostenuti;
perdurante e crescente limitazione delle risorse destinate all’area della
cronicità.
Servono servizi efficienti ed efficaci per:
 assicurare la “presa in carico” del cittadino dall’inizio fino al
completamento del suo percorso di salute, senza alcuna soluzione di
continuità nel ricevere le cure dalle varie fonti erogatrici di prestazioni,
mediante un efficace lavoro integrato e multidisciplinare;
 limitare l’ospedalizzazione, evitando il ricovero durante le fasi non acute e
riducendo i tempi di degenza ospedaliera;
 favorire, per quanto possibile, la permanenza a domicilio del cittadino
bisognoso di cure, garantendo il collegamento con strutture sociosanitarie e assistenziali;
 ottimizzare l’utilizzo di tutte le risorse territoriali.
Per l’efficienza e l’efficacia
dei servizi territoriali alla persona
Due parole chiave: “rete” e “integrazione”
Le tre dimensioni di senso del concetto di rete:
 fare rete nell’accezione collaborativa tra professionisti, ma anche tra
soggetti diversi;
 mettere in rete il sistema sotto il profilo tecnologico, potenziando le
strumentazioni informatiche e telematiche;
 organizzare in rete, ossia l’individuazione di modelli che mettano in
relazione funzionale strutture di gestione ed erogazione dei servizi e
delle prestazioni.
L’integrazione socio-sanitaria
L’integrazione socio-sanitaria realizza tutte quelle “attività atte a
soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della
persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di
protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la
continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione” (D. Lgs. 229/1999,
art. 3 septies, c.1).
E’ uno strumento che ha la finalità di dare risposte adeguate ai bisogni delle
persone:
> considerando i bisogni delle persone in maniera unitaria;
> migliorando la collaborazione tra enti, servizi e privati.
L’integrazione socio-sanitaria, qualificata come un valore primario e
obiettivo strategico dei sistemi regionali di welfare, va perseguita a livello:
istituzionale; comunitario; gestionale; professionale.
“Integrazione” presuppone coerenza organizzativa
“(…) nelle teorie dell’organizzazione si esplicita che in tutti i contesti di
lavoro è necessario coniugare il fabbisogno di differenziazione (esigenza
di specializzazione nella professione) con il fabbisogno di integrazione
(esigenza di coordinamento tra le specificità per un indirizzo univoco) e il
fabbisogno di anticipazione (esigenza di dinamicità dell’organizzazione
stante la continua evoluzione insita nel contesto ambientale e scientifico di
riferimento).
La stessa parola “integrazione” presuppone una coerenza, quella
organizzativa.
Il problema, quindi, potrebbe essere affrontato a livello dell’organizzazione
o, meglio, dei diversi livelli organizzativi in cui ci imbattiamo con le
persone e con i fabbisogni di integrazione, che partono dai livelli
individuali fino a raggiungere quelli di sistema.” [p. 13]
(S. DEL MISSIER, La coerenza culturale come base per l’integrazione tra ospedale e territorio –
convegnionline.accmed.org/camogli_2006/delmissier.pdf)
L’orientamento delle sinergie tra le organizzazioni
I cambiamenti sociali e demografici, quali l’invecchiamento della
popolazione, la crisi economica ed il conseguente aggravamento del carico
familiare influenzano i bisogni sociali e socio-sanitari e sollecitano sinergie
tra le organizzazioni, orientando
– all’interdisciplinarietà,
– alla continuità dei percorsi di cura,
– ad un sistema integrato di interventi.
L’interdisciplinarità e la sfida della complessità
( la “conoscenza pertinente” di Edgar Morin)
Nessuna professionalità ha tutte le risposte per tutte le domande (1).
E’ necessario collegare tra loro le diverse discipline in un tutto, riconoscendo l’unità
e la complessità dell’essere umano, che è nel contempo fisico, biologico, psichico,
culturale, sociale, storico.
E’ necessario sviluppare l’ attitudine a situare tutte le informazioni in un contesto e
in un insieme, incorporando (e non sommando) i vari saperi poiché la conoscenza
non deve essere additiva, ma organizzatrice.
Il filosofo francese Edgar Morin sottolinea l’importanza che si insegni a sviluppare
“la conoscenza pertinente” capace cioè di cogliere i problemi globali e
fondamentali per iscrivere in essi le conoscenze parziali e locali, e che permetta di
evidenziare le mutue relazioni e le influenze tra le parti ed il tutto in un mondo
complesso (da: E. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, R. Cortina, 2001,
p. 12)
(1) Stefano del Missier afferma che, purtroppo, “… manca una cultura per la quale la propria specificità
professionale non basta a se stessa ma necessita di altre specificità per esprimersi in modo compiuto.”( La
coerenza
culturale
come
base
per
l’integrazione
tra
ospedale
e
territorio
–
convegnionline.accmed.org/camogli_2006/delmissier.pdf)
Serve un rapporto dialogico
tra le diverse discipline e professionalità
“La frammentazione caratterizza in maniera rilevante le politiche, le
organizzazioni e l’operatività in ambito sanitario. Gli sforzi volti a favorire
l’integrazione delle parti e la salvaguardia dell’unicità della persona sono,
spesso, deludenti. Assistiamo a una frammentazione delle responsabilità ai
vari livelli istituzionali e a politiche d’integrazione che non appaiono avere
il supporto di un intenso dialogo fra i soggetti coinvolti. La complessità
delle organizzazioni sanitarie chiama il bisogno di percorrere la strada del
pensiero multidimensionale. Il rapporto dialogico fra le diverse
competenze disciplinari specialistiche e fra le diverse professionalità,
permeato da una visione condivisa dei valori e dell’etica in Sanità,
costituisce la migliore strategia per ridurre la frammentazione e
promuovere l’integrazione.”
(da: Presentazione del “38° Congresso nazionale ANMDO. Frammentazione e integrazione. Valori ed etica
in sanità”, Torino, 2-4 maggio 2012)
Quale continuità nei percorsi di cura?
“Possiamo identificare tre tipi di continuità che dovrebbero coesistere per
offrire un’assistenza qualificata:
 continuità di informazione: riguarda l’uso di informazione degli eventi
passati e delle circostanze personali per effettuare un piano di cura
appropriato ad ogni individuo;
 continuità di gestione: consiste in un approccio unitario e coerente nella
gestione della condizione di salute in risposta ai bisogni del paziente;
 continuità di relazione: è una relazione terapeutica continua tra il paziente
ed uno o più fornitori di cura.
Inoltre è bene sottolineare che, mentre il concetto di continuità assistenziale
si riferisce ad un destinatario individuale, l’integrazione riguarda i diversi
servizi (sociali, sanitari, ecc.), rivolti alla comunità.” [p. 4]
(G. DAMIANI. et al., Assistenza primaria: significato e prospettive di sviluppo organizzativo, in “
Organizzazione Sanitaria”, n. 2/2007, pp. 3-16)
Il sistema integrato di interventi
Vi è la responsabilità etica e professionale degli operatori di impegnarsi per
sviluppare capacità di collaborazione ed efficace integrazione per dare
risposte adeguate.
Il lavoro d’équipe costituisce una modalità essenziale per facilitare
l’integrazione di competenze e sostenere i processi di condivisione delle
decisioni.
Importanza strategica riveste anche l’integrazione tra le figure professionali
e i caregivers non professionali.
Progettare il miglior percorso di cura per la persona
La progettazione del “miglior percorso di cura possibile” per la persona
anziana, particolarmente se non autosufficiente, chiama in causa fortemente
sia le competenze professionali sia quelle organizzative gestionali nella
ricerca della combinazione ottimale dei fattori essenziali che qualificano
l’adeguatezza della risposta in funzione della complessità dei bisogni.
Serve promuovere e favorire
una “cultura” del territorio
Serve innanzitutto promuovere e favorire una “cultura” del territorio, in cui
domiciliarità e residenzialità non siano viste in contrapposizione, ma in un rapporto
di complementarietà e, conseguentemente, di sinergica interazione.
Si impone, dunque:
 un approccio sistemico intersettoriale e interprofessionale;
 il recupero di valori quali la sussidiarietà e la solidarietà;
 il riconoscimento della dignità e dell’autonomia della persona anziana.
Perché privilegiare e sostenere la domiciliarità?
Per tutto ciò che la casa è per ciascuno di noi: l’abituale contesto di vita dotato di
senso, il luogo dell’intimità e degli affetti, il luogo che ci fa memoria della nostra
storia, della nostra cultura, delle nostre esperienze vissute, il luogo delle nostre
relazioni, dei nostri rapporti umani.
Per questo la casa è, generalmente, l’ambiente migliore nel quale la persona
anziana, particolarmente se malata, può sviluppare maggiori possibilità di benessere.
Il ruolo della residenzialità
non si contrappone alla domiciliarità
La struttura residenziale va accolta e presentata come la risorsa che entra in campo quando il
domicilio non è più il luogo idoneo a soddisfare i bisogni e quindi la qualità di vita
dell’anziano.
Non va vissuta quindi in contrapposizione alla domiciliarità ma, al contrario, come
supporto al lavoro di cura del familiare che potrà così continuare a dare la sua presenza
affettiva o come sostituto quando, per varie ragioni, la rete familiare non c’è fisicamente e/o
affettivamente.
A svolgere questo ruolo deve essere una struttura che, attraverso le sue risorse operative,
sappia offrire beni meramente assistenziali e beni relazionali, in un rapporto complementare.
Non deve essere considerata un semplice “contenitore neutro”, ma, al contrario, è essa stessa
dotata di elementi vitali pensati per contribuire a fornire quei servizi per i quali è competente.
La vitalità dell’organizzazione la ritroviamo nel fatto che a farla funzionare e a rappresentarla
sono poi gli esseri umani che, attraverso i diversi ruoli in cui si identificano, ne vanno a
costituire la variabile determinante.
(cfr. F. DE GIROLAMI, S. FAGGIAN, La relazione nelle strutture residenziali. L’operatore, i familiari, l’utente, Roma,
Carocci, 2006, p. 13)
Il ruolo della residenzialità
per la persona anziana, sola e malata
“L'ideale resta la permanenza dell'anziano in famiglia, con la garanzia di
efficaci aiuti sociali rispetto ai bisogni crescenti che l'età o la malattia
comportano. Ci sono tuttavia situazioni, in cui le circostanze stesse
consigliano o impongono l'ingresso in “ case per anziani ”, perché
l'anziano possa godere della compagnia di altre persone e usufruire di
un'assistenza specializzata. Tali istituzioni sono pertanto lodevoli, e
l'esperienza dice che possono rendere un servizio prezioso, nella misura in
cui si ispirano a criteri non solo di efficienza organizzativa, ma anche di
affettuosa premura. Tutto è in questo senso più facile, se il rapporto
stabilito con i singoli ospiti anziani da parte di familiari, amici, comunità
parrocchiali, è tale da aiutarli a sentirsi persone amate e ancora utili per la
società.”
(Giovanni Paolo II, Lettera agli Anziani, 1 ottobre 1999)
La residenzialità
quale prezioso strumento nel sistema domiciliarità
La struttura residenziale che si apre al territorio per sostenere a casa la persona
che, nonostante la ridotta autonomia, non vuol lasciare il suo spazio significativo di
vita, diviene un prezioso strumento nel sistema domiciliarità.
Le esperienze di buone prassi in tal senso devono e possono essere conosciute per
offrire riflessioni e strategie per innovare e individuare un futuro in presenza di
organizzazioni e tipologie istituzionali che sembrano superate o comunque da
ripensare.
La stessa storia delle IPAB, spesso con origini antiche, ha indotto queste ad aprirsi
al confronto con la forte esigenza di ripensarsi per non … appartenere solo al
passato.
Le buone prassi di apertura al territorio con la messa a disposizione di risposte
all’interno anche per chi resta a casa sua, e l’attivazione di servizi a domicilio,
trasformano di fatto la struttura residenziale in un Centro di Servizi,
determinando di conseguenza, l’urgenza di incontro e di scambio di esperienze per
chi sta cercando “una via nuova”.
(Seminario promosso da ANDIPP – La Bottega del Possibile – Regione Piemonte “Le strutture residenziali
si aprono alla domiciliarità. Ripensare l’oggi, organizzare il domani” (Torino, 3 giugno 2013)
Imprese sociali per nuovi modelli di residenzialità
“Domiciliarità e residenzialità non sono pratiche da contrapporre: non basta
fare leva sulla «e» di congiunzione per capire quali costruzioni comportano
i diritti per gli anziani. È decisivo assumere la domiciliarità come
prospettiva da cui riformulare le forme organizzative, anche residenziali.
In questa logica, se da una parte si giunge all’opposizione a residenzialità
istituzionalizzanti, dall’altra ci si inoltra in residenzialità in cui l’anziano
può essere persona in grado di apprendere a vivere. Un compito, per
l’anziano e la sua famiglia, che rimanda a inedite «imprese sociali» di
comunità.”
(AA.VV., Imprese sociali per nuovi modelli di residenzialità, “Animazione Sociale”, n. 269, gennaio 2013,
Inserto del mese. Fare comunità insieme agli anziani/1, p. 39)
Le cure domiciliari. Definizione
“Le cure domiciliari consistono in trattamenti medici, infermieristici,
riabilitativi prestati da personale qualificato per la cura e l’assistenza delle
persone non autosufficienti e in condizioni di fragilità, con patologie in atto
o con esiti delle stesse, per stabilizzare il quadro clinico, limitare il declino
funzionale e migliorare la qualità della vita quotidiana. Nell’ambito delle
cure domiciliari integrate risulta fondamentale l’integrazione con i servizi
sociali dei comuni. Il livello di bisogno clinico, funzionale e sociale deve
essere valutato attraverso idonei strumenti che consentano la definizione
del programma assistenziale ed il conseguente impegno di risorse.”
(Ministero della Salute, Commissione Nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Livelli essenziali
di assistenza (LEA), 2006)
I diversi profili di cura
In base alla definizione, sono stati individuati anche i diversi profili di cura:
1. “Cure domiciliari prestazionali” caratterizzate da prestazioni sanitarie
occasionali o a ciclo programmato;
2. “Cure domiciliari integrate di primo-secondo e terzo livello”. Le cure di
primo e secondo livello assorbono quelle già definite ADI (Assistenza Domiciliare
Integrata) mentre quelle di terzo livello assorbono l’OD (Ospedalizzazione
Domiciliare). Questa tipologia di cure domiciliari – in funzione della differente
complessità/ intensità – è caratterizzata dalla formulazione del Piano Assistenziale
Individuale (PAI) redatto in base alla valutazione globale multidimensionale. Le
prestazioni sono erogate attraverso la presa in carico multidisciplinare e
multiprofessionale;
3. “Cure domiciliari palliative a malati terminali”, assorbono l’OD-CP
(Ospedalizzazione Domiciliare Cure Palliative) e sono caratterizzate da una risposta
intensiva a bisogni di elevata complessità definita dal PAI ed erogate da un’équipe
in possesso di specifiche competenze.
(Anna Banchero, Marco Trabucchi, Le cure domiciliari: caratteristiche e condizioni di successo, in L’
assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Secondo rapporto, Rimini, Maggioli, 2010, p. 134)
Il rilancio delle cure domiciliari
Negli ultimi anni (Piani Sanitari Nazionali 1998-2000 e 2003-2005, legge
328/2000, Piani socio-sanitari regionali, ecc.), si è data attenzione particolare al
rilancio e allo sviluppo dei progetti di cure domiciliari soprattutto in
considerazione:
a) del numero crescente di anziani affetti da malattie croniche e polipatologie, che
necessitano di assistenza continua e programmata da erogarsi nell’ambito
territoriale;
b) dell’avviato processo di riqualificazione della funzione ospedaliera;
c) dello sviluppo di una sensibilità più attenta agli aspetti qualitativi delle cure.
Gli obiettivi generali delle cure domiciliari
 l’assistenza a persone con patologie trattabili a domicilio al fine di evitare il
ricorso inappropriato al ricovero in ospedale o in altra struttura
residenziale;
 la continuità assistenziale per i dimessi dalle strutture sanitarie con
necessità di prosecuzione delle cure;
 il supporto alla famiglia;
 il recupero delle capacità residue di autonomia e di relazione;
 il miglioramento della qualità di vita anche nella fase terminale.
(Ministero della Salute, Commissione Nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei Livelli essenziali
di assistenza (LEA), 2006)
“Curare a casa” implica un cambiamento di prospettiva
Curare a casa significa un cambiamento di prospettiva sostanziale: si tratta
di passare “dal malato che ruota attorno alle strutture erogatrici” alle
“strutture e professioni che assumono come centro di gravità la persona con
i suoi bisogni.”
(da: Piano sanitario nazionale 1998-2000, approvato con DPR 18 luglio
1998)
Come sostenere la domiciliarità?
(Occorre un progetto individuale integrato, di rete)
Occorre un progetto individuale integrato, di rete, tra i diversi servizi e settori di
intervento, mobilitando tutte le risorse disponibili, della persona, della famiglia,
della comunità locale, al fine di poter assicurare una domiciliarità sostenuta e non di
abbandono.
La promozione della cultura della domiciliarità è un processo culturale della
comunità locale, non è una proposta di spesa, ma di investimento, che mira a
promuovere il diritto fondamentale della persona di poter vivere nel proprio
contesto ambientale.
Come sostenere la domiciliarità?
(Con il riconoscimento, il sostegno e la valorizzazione delle reti di sostegno primario)
Fondamentale il riconoscimento, il sostegno e la valorizzazione delle reti di
sostegno primarie, costituite da relazioni familiari, di parentela, amicali, di vicinato
che “si formano in forza della storia dei soggetti agenti; non possono essere create,
prodotte, ma solo generate nel tempo, riconosciute, promosse e orientate. […] La
relazione sociale che si stabilisce è caratterizzata dalla gratuità e dalla lealtà,
orizzontale e verticale tra le generazioni.” (Lia SANNICOLA, sub voce “Intervento di rete”, in
Dizionario di servizio sociale, Roma, Carocci, 2005)
Come sostenere la domiciliarità?
(E’ necessario il concorso di molteplici fattori)
La domiciliarità si favorisce e si sostiene aumentando la capacità di tenuta della famiglia,
particolarmente nelle situazioni di aumentato bisogno di attività di cura, mediante:










il riconoscimento e l’affermazione del protagonismo del cittadino e della famiglia;
l’incremento dei servizi domiciliari di cura e di assistenza e la loro messa in rete;
lo sviluppo di reti, fortemente contestualizzate, che includano soggetti formali e informali;
l’attuazione di interventi finalizzati a curare e/o riabilitare il soggetto e non solo ad accudirlo;
il supporto informativo/formativo e, ove occorra, il sostegno psicologico a familiari, care-giver e volontari;
sostegni al lavoro privato di cura e di assistenza (la legge 328/2000, all’art. 16, prospetta l’adozione di
misure volte alla conciliazione tra “il tempo di lavoro e il tempo di cura”);
sostegni economici;
nuove soluzioni abitative, ove necessarie;
la qualificazione del lavoro delle assistenti familiari (badanti);
il trasferimento al domicilio, ove occorra, anche di competenze specialistiche tipiche della degenza
ospedaliera.
Aspetti determinanti/qualificanti
per l’efficacia delle cure domiciliari
Per l’efficacia delle cure domiciliari è indispensabile il rispetto di alcuni valori e di modelli organizzativi
senza i quali la stessa efficacia viene meno:
a) rispetto della persona da curare e valorizzazione delle risorse del paziente, della sua famiglia e del
tessuto sociale in cui la stessa è inserita;
b) globalità dell’intervento terapeutico con l’obiettivo della qualità della vita, non limitandosi al controllo
dei sintomi fisici, ma estendendo l’intervento agli aspetti psicologici, relazionali e sociali;
c) forte riferimento alla collaborazione professionale tra le figure coinvolte nei piani di cura e forte
integrazione delle cure domiciliari con la rete complessiva dei servizi sanitari e sociali;
d) assistenza in grado di fornire risposte specifiche, tempestive, efficaci ed adeguate al cambiamento dei
bisogni della persona malata e continuità delle cure fino alla stabilizzazione del quadro clinico o, per i
pazienti terminali, fino “all’ultimo istante di vita”;
e) adozione di protocolli per dimissioni protette e ricoveri programmati;
f) effettiva disponibilità di risorse multidisciplinari sanitarie e sociali, qualificate e fortemente integrate,
collegate con la comunità locale, associazioni, enti di promozione sociale e di volontariato;
g) adozione di programmi per il miglioramento continuo della qualità (standard di struttura/processo,
adozione di indicatori di risultati attraverso specifici indicatori di esito).
Su piano dell’efficacia vanno considerati anche i supporti tecnologici ai sistemi home care, con particolare
riferimento al sistema informativo e informatico da parte delle “centrali operative”.
(Anna Banchero, Marco Trabucchi, Le cure domiciliari: caratteristiche e condizioni di successo, in L’
assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Secondo rapporto, Rimini, Maggioli, 2010, p. 135)
Quali obiettivi per il sistema pubblico
nell’ambito delle cure di lungo termine?
a) aumentare la propria efficienza;
b) affinare la mediazione tecnica della valutazione del bisogno, pratica dispendiosa ma
indispensabile per la personalizzazione degli interventi;
c) superare nei servizi la logica prestazionale e rinforzare la cultura e la pratica della presa in
carico integrata;
d) integrarsi con le altre aree della Socialità per “fare sistema”, concretizzando interventi
intersettoriali;
e) creare organizzazioni “leggere” da appesantimenti burocratici e iper-specialistici,
diffondendovi competenze e saperi fino ai livelli organizzativi più bassi, puntando sul
recupero di sicurezza e fiducia del cittadino, degli operatori, rendendo entrambi più
consapevoli dei costi delle decisioni. Cittadini-utenti più informati, competenti ed educati ad
una domanda più adulta, in grado di usare i servizi in modo più appropriato, possono
contribuire grandemente a colmare il divario tra domanda ed offerta e a creare organizzazioni
complesse che davvero riescano a “dare di più a chi ha meno, a fare di più per chi a più
bisogno”.
(da: AGENAS, Ricognizione sulla normativa regionale sull’assistenza domiciliare, in Le indicazioni programmatiche
nazionali sul sistema dell’assistenza domiciliare nel SSN, p. 26 - www.agenas.it/norm_naz_assist_dom_ssn.htm)
Alcuni nodi critici
Nel disomogeneo e variegato panorama italiano, accanto ad esemplari realizzazioni
di “buone pratiche” (cioè di cure domiciliari erogate nel rispetto di quegli aspetti
qualificanti, di cui sopra), si riscontrano ancora (pur a fronte di impianti teorici di
grande spessore), in talune realtà locali, situazioni di notevole criticità su uno o più
dei seguenti aspetti:
- La dimissione ospedaliera
- La continuità delle cure
- La presa in carico (dalla “cura” al “prendersi cura”)
- La valutazione multidimensionale e la globalità dell’intervento
- L’integrazione gestionale e professionale
- La formazione etica degli operatori
- Il sostegno alla famiglia, al care-giver, ai volontari
- Il ruolo del Medico di Medicina Generale
Scarica

FORUM NON AUTOSUFFICIENZA MAGGIOLI (BARI 05