EDURES
ENNE
ERRGGIIAA IINN GGIIOOCCOO
MANUALE PER INSEGNANTI
SEZIONE FONTI NON RINNOVABILI
Provincia di
Ravenna
Indice
Le fonti non rinnovabili
pag. 1
Il Carbone
pag. 2
Il petrolio
pag. 11
Il gas naturale
pag. 23
Gli atomi radioattivi
pag. 33
Le fonti di energia non rinnovabili
Purtroppo oggi la maggior parte dell’energia utilizzata è ottenuta da fonti di energia
non rinnovabili, cioè destinate ad esaurirsi in periodi di tempo più o meno lunghi.
Si suddividono in:
•
Carbone, Petrolio e Gas naturale che sono combustibili fossili,
•
Nucleare (Uranio).
Bisogna limitare al minimo l’uso di energia da combustibili fossili perché la
combustione rilascia nell’atmosfera terrestre, tra l’altro, biossido di carbonio (CO2)
uno dei principali gas serra, chiamato cosi’ perché genera l’effetto serra,
influenzando il clima del nostro pianeta.
Durante la combustione, inoltre, lo zolfo e l’azoto contenuti nei combustibili fossili
formano ossidi che contribuiscono alla formazione delle piogge acide, il risultato di
una complessa serie di reazioni che coinvolgono sostanze chimiche di varia
provenienza, da quelle naturali a quelle prodotte da attività industriali o dall’uso dei
mezzi di trasporto.
Riportiamo di seguito dei grafici
mostranti il consumo di energia in Italia
e nel mondo.
Per quanto riguarda l’utilizzo in Italia la
parte più consistente è impiegata nei
trasporti.
Figura 1: Grafico mostrante l'utilizzo delle
diverse fonti in Italia.
Figura 2: Grafico mostrante l'utilizzo delle
diverse fonti nel mondo.
Figura 3: Utilizzo di energia elettrica nei vari
settori in Italia.
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CARBONE
Un po’ di storia
L’era del carbone ha inizio verso la metà del 1600, in seguito all’esigenza di trovare
una fonte di energia alternativa al legno, proprio dalla consapevolezza che l’uomo
stava acquisendo riguardo all’eccessivo sfruttamento dei boschi, alla distruzione
delle foreste ed all’impoverimento consequenziale della materia prima in questione.
Da qui il carbon fossile sembrò, dunque l’ alternativa più valida a disposizione perché
era presente nel sottosuolo e si prestava molto bene come fonte di energia per le
prime macchine a vapore. Cosicché in pochi decenni la richiesta di carbone aumentò
in maniera esponenziale per alimentare un’industria europea sempre più fiorente.
L’entusiasmo per questa nuova risorsa, il carbone appunto, portò ad uno
sfruttamento sempre più intensivo dei giacimenti soprattutto in Inghilterra, Russia,
Germania e Francia. Fino al 1960 il carbone è stata la risorsa di energia fossile più
utilizzata, subendo la concorrenza del petrolio, più facile da estrarre e trasportare.
L'importanza del carbone è però ancora rilevante come combustibile alternativo al
petrolio, infatti le dimensioni delle sue riserve provate, ovvero le riserve attualmente
conosciute e sfruttabili con profitto per le aziende) a livello mondiale sono, infatti,
notevoli: circa 1.000 miliardi di tonnellate di carbone rispetto ai 140 miliardi di
tonnellate di petrolio e ai circa 130 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente di gas
naturale.
Al ritmo attuale di consumo, ed in assenza di nuove scoperte o della messa in
esercizio dei giacimenti attualmente non sfruttati in quanto troppo costosi, le riserve
provate di carbone dureranno per altri 190 anni, un tempo più lungo rispetto a quello
previsto per gli altri idrocarburi, ma pur sempre limitato.
Che cosa è il carbone?
Il carbone è un combustibile fossile ed è tra i combustibili solidi più utilizzati al mondo
nella produzione di energia elettrica. E’ costituito da resti di piante del passato, le cui
forme e strutture, sebbene modificate, rimangono ancora riconoscibili al microscopio.
Il principale componente è il carbonio perché gli atri componenti fondamentali della
materia vivente originaria quali idrogeno, ossigeno ed azoto sono progressivamente
venuti meno durante i processi chimico-fisici che l’hanno trasformata. La
combustione del carbonio libera, dunque, l’energia del sole immagazzinata dalle
piante con la fotosintesi milioni di anni fa: per questo, è un prezioso contenitore di
energia solare fossile.
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Dove si trova?
Gli ambienti favorevoli alla formazione del carbone sono le vaste pianure costiere,
lagunari o paludose, dove il clima caldo-umido ha sviluppato in passato un’
abbondante vegetazione.
Il lento sprofondamento del suolo fa si che i resti vegetali vengano rapidamente
sepolti da sabbie e argille portate dai fiumi. In profondità, in assenza di ossigeno, la
materia vegetale schiacciata dal peso dei sedimenti e per effetto del calore e della
pressione, subisce un processo di compattazione e lenta trasformazione in materiali
sempre più poveri di acqua e ricchi in carbonio.
Si forma prima la torba, un accumulo di resti vegetali parzialmente decomposti e
impregnati d'acqua, poi la lignite, un carbone marrone e tenero che contiene il 70%
di carbonio, quindi, il litantrace, il
carbone più comunemente utilizzato
per la produzione di energia elettrica,
e, infine, l'antracite, una roccia nera,
lucida e compatta, che ha il più alto
tenore di carbonio (dal 93% al 98%).
La lignite è il carbone migliore con un
alto potere calorifico e meno
inquinante, ma viene utilizzato poco
perché è difficilmente reperibile e,
quindi, molto costoso.
La formazione di giacimenti di
carbone richiede da milioni fino a
centinaia di milioni di anni, a seconda
del tipo di prodotto finale.
Il 95% dei giacimenti di carbone, si
trova nell'emisfero settentrionale e
Figura 1: Formazione del carbone.
Fonte: www.geologia.it
quasi il 60% è ripartito tra Cina, USA
ed ex URSS. In Europa, la fascia dei grandi giacimenti è localizzata nei Paesi centrosettentrionali: Gran Bretagna, Francia settentrionale, Belgio, Olanda, Germania,
Polonia e Russia. L'Italia possiede solo piccole quantità di “carboni poveri” cioè la
lignite.
Questa disomogeneità nella distribuzione, dipende dal fatto che la formazione di
grossi accumuli di resti vegetali, richiede terre emerse e climi adatti. Le terre
dell'attuale Europa centrale, già nell'era Paleozoica, (da 530 a 245 milioni di anni fa)
venivano saltuariamente invase da mari poco profondi: condizioni favorevoli allo
sviluppo di abbondante vegetazione e alla sua lenta trasformazione in carbone. Le
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attuali regioni dell'Europa meridionale, invece, sono di età Mesozoica (da 245 a 65
milioni di anni fa) o più recenti, e si sono formate in mare aperto lontano dalla costa:
ecco perché ospitano solo pochi giacimenti di scarso rilievo.
A cosa serve il carbone?
Per
le
sue
caratteristiche
di
abbondante disponibilità, sicurezza di
approvvigionamento, competitività, e
per la sua elevata sicurezza nel
maneggio, trasporto ed uso (non e' né
infiammabile,
né
esplosivo,
né
inquinante per il suolo e per l'acqua) il
carbone è il combustibile primario
nella generazione di energia elettrica
nel mondo ed in Europa.
VM
Molti Paesi dipendono fortemente
dall’elettricità prodotta usando il carbone: Polonia (96%), Sud Africa (90%), Australia
(86%), Cina (81%), India (75%), Repubblica Ceca (74%), Grecia (70%), Danimarca
(59%) e stati Uniti (56%).
Negli impianti di produzione di energia elettrica, il carbone viene bruciato per
riscaldare l'acqua fino a trasformarla in vapore che, messo sotto pressione, fa girare
una turbina collegata ad un generatore.
L'energia meccanica della rotazione viene così trasformata in corrente elettrica.
Circa il 39% dell'elettricità prodotta nel mondo si deve al carbone. Il settore
siderurgico utilizza il coke: un combustibile solido e compatto prodotto riscaldando il
carbone ad alta temperatura.
Il coke ad esempio è la materia prima per la produzione dell’acciaio, mentre in altri
processi industriali si usano i gas di carbone per produrre fertilizzanti, solventi,
prodotti farmaceutici, pesticidi, ecc. Anche il catrame si ottiene dal carbone per
distillazione. Inoltre nei Paesi in via di sviluppo l’uso del carbone è ancora importante
per gli utilizzi domestici: riscaldamento e cottura dei cibi.
Come avviene l’estrazione del carbone?
L'insieme delle operazioni che portano a localizzare giacimenti carboniferi e a
valutarne l'interesse minerario, si definisce prospezione mineraria.
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Si inizia dallo studio delle foto aeree per individuare zone geologicamente
interessanti, fino allo studio di campioni di terreno da cui trarre informazioni più
dettagliate. Una volta individuato un giacimento, la sua posizione e conformazione, si
procede alla costruzione del cantiere-miniera. Se il carbone si trova a profondità non
superiori ai 30 metri, viene estratto in miniere a cielo aperto, dove il giacimento è
reso accessibile dopo l'eliminazione degli strati di suolo e roccia sovrastanti con
l'aiuto di cariche esplosive. Per filoni di carbone a profondità maggiori di 30 metri,
l'accesso al giacimento si ottiene scavando miniere sotterranee, formate da almeno
due gallerie, per il passaggio di minatori e macchinari fino al giacimento.
Nelle miniere a cielo aperto, il carbone viene estratto dopo essere stato liberato dalle
rocce sovrastanti.
Nel caso di miniere sotterranee, l'estrazione si esegue con due modi:
•
quello 2dei pilastri abbandonati” che consiste nell’estrarre
lasciandone però dei pilastri a sostegno del soffitto della miniera.
•
quello “delle lunghe fronti” dove si utilizza una serie di strutture di sostegno,
dette “armature” che sono facilmente spostabili e sostengono il soffitto
nell’area di escavazione. Con il procedere dell’escavazione le armature
vengono spostate ed il soffitto frana.
carbone
I due metodi differiscono per il dissesto del suolo che provocano. Infatti,
all'asportazione del carbone, se la miniera non è sostenuta, segue un più o meno
graduale abbassamento dei terreni sovrastanti. In aree soggette a vincoli ambientali,
si preferisce, dunque, il metodo dei pilastri abbandonati. Altrove, quello delle lunghe
fronti che, grazie a uno sfruttamento più intensivo della miniera, produce una quantità
di carbone 4 - 5 volte superiore. Una volta estratto, il carbone viene trattato in modo
da renderlo adatto alle esigenze commerciali. In particolare, viene macinato, vagliato
per ottenere le pezzature richieste dal mercato e lavato per eliminare le impurità.
Ed il trattamento e lo stoccaggio?
L’utilizzo del carbone sul mercato richiede che questo possegga un’elevata qualità e
purezza. Il carbone estratto dalla miniera contiene una insieme di frazioni di
grandezza diversa, a volte contenenti rocce e terriccio; pertanto è necessario uno
stadio di preparazione noto anche con il nome di “beneficiation” attraverso il quale il
carbone grezzo è suddiviso in una serie di prodotti puliti, uniformi e classificati, pronti
per la vendita.
In alcuni casi il carbone grezzo possiede un’elevata qualità tale da soddisfare le
richieste dei consumatori: dunque non è necessaria alcun trattamento ed il carbone
può essere semplicemente frantumato e setacciato per ottener il prodotto specifico.
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Una buona preparazione del carbone prima della sua combustione aumenta
l’omogeneità e l’efficienza dell’utilizzo di tale combustibile, riduce i costi di trasporto e
il suo spostamento all’interno dell’impianto, produce meno polveri e fa diminuire le
emissioni degli ossidi di zolfo.
Una volta che il carbone è stato estratto, occorre anche trasportarlo dalla miniera agli
impianti di utilizzo e questo per brevi distanze viene fatto tramite camion, mentre il
ricorso a treni, chiatte e navi è fondamentale se le distanze sono maggiori.
Recentemente sono stati sperimentati carbonodotti nei quali il minerale fluisce per
pompaggio dopo essere stato ridotto in polvere e mescolato con acqua.
Vengono prese misure preventive ad ogni stadio durante il trasporto e lo stoccaggio
per ridurre i potenziali impatti ambientali. Per esempio, lo scorrimento superficiale
delle acque contaminate è limitato dal design appropriato delle attrezzature di
immagazzinamento e tutte le acque utilizzate sono attentamente trattate prima del
riuso o dello smaltimento. Le polveri possono essere controllate utilizzando spray
d’acqua e compattando il carbone da immagazzinare.
I sistemi di trasporto via mare o su strada possono poi essere usati per trasportare il
carbone dai luoghi di stoccaggio agli impianti di combustione. Comunque più del
60% del carbone utilizzato per la generazione di energia è consumato a 50 chilometri
dalla miniera di estrazione. Solo circa il 14% della produzione di carbone è
commercializzata internazionalmente, anche se si prevede che questa pratica sia
destinata a crescere.
Come funziona una centrale elettrica a carbone?
Il percorso dell'energia in una centrale a carbone comincia dalla zona del generatore
di vapore dove sono ubicati i bruciatori predisposti per la combustione dell'olio
combustibile del carbone. Il generatore di vapore è essenzialmente composto da una
fornace in cui vengono immessi aria e combustibile che, bruciando, scaldano e
vaporizzano l'acqua che scorre nei tubi e nelle serpentine che formano il generatore
stesso. Negli impianti moderni il carbone viene prima macinato in polvere finissima
aumentando la velocità di combustione e poi insufflato nella camera di combustione
del forno, dove viene bruciato a circa 1400 gradi centigradi. L'elevata temperatura dei
gas di combustione determina la trasformazione in vapore dell'acqua contenuta nei
tubi della caldaia. Il vapore, attraverso grosse tubazioni, raggiunge la turbina e la fa
ruotare a 3000 giri al minuto. La turbina è una macchina che converte in energia
meccanica l'energia cinetica di un fluido (liquido o gas) in movimento. Nel caso delle
centrali a carbone il fluido in questione è vapore surriscaldato. L'elemento essenziale
della turbina è il rotore costituito da una ruota con "palette". L'energia meccanica
acquisita dal rotore viene poi trasmessa, tramite un asse, ad un generatore elettrico
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che prende il nome di alternatore. L'alternatore collegato alla turbina produce
energia elettrica. I fumi, rilasciato il loro calore nel generatore di vapore, vengono
inviati al camino dopo essere passati attraverso i denitrificatori, i captatori di polveri e
i desolforatori per l'abbattimento rispettivamente degli ossidi di azoto, di polveri e del
biossido di zolfo. Il vapore, dopo aver ceduto gran parte della sua energia alla
turbina, viene convogliato al condensatore dove, senza mai venire a contatto,
trasferisce il suo calore residuo all'acqua di mare prelevata con idonee pompe.
Questo vapore si trasforma così in acqua che viene ricondotta con pompe al
generatore di vapore per ripetere il ciclo. L'energia prodotta dall'alternatore viene
innalzata di tensione a 380 chilovolt per essere immessa nella rete elettrica.
Quali sono gli impatti ambientali?
Tra le fonti fossili è, come detto, quella maggiormente abbondante e più distribuita tra
le aree geografiche, ma soprattutto è la più sporca dal punto di vista ambientale ed è
quella che conta il maggior numero di vittime nelle miniere.
Lo sviluppo delle tecnologie di uso del carbone per la produzione di elettricità ha
preso principalmente due strade:
•
il miglioramento dell’efficienza sia della trasformazione in elettricità che del
controllo degli inquinanti chimici;
•
la gassificazione integrata alla combustione in cicli combinati.
I nuovi impianti ultrasupercritici hanno migliorato i rendimenti di conversione elettrica
portandoli dal 39 al 45% e hanno ridotto le emissioni di polveri e di composti
acidificanti come NOx e SO2 e di metalli pesanti come il mercurio rispetto agli impianti
a carbone di vecchia generazione.
Tuttora, nonostante questi miglioramenti, le emissioni di anidride carbonica
rimangono le più elevate tra le fonti fossili, il doppio del gas e il confronto col gas
rimane improponibile anche per gli inquinanti chimici che hanno un impatto
ambientale diretto.
La gassificazione integrata ai cicli combinati in fase di sviluppo, migliora
ulteriormente la performance ambientale del carbone avvicinandola a quella del gas
naturale per gli inquinanti chimici, ma essendo il processo di massificazione
energivoro, l’efficienza complessiva non migliora e dunque le emissioni di CO2
(strettamente dipendenti dall’efficienza ) rimangono molto elevate per kWh prodotto.
La cattura e il sequestro della CO2 sono in fase di ricerca e sviluppo, come soluzione
che consentirebbe un uso ambientalmente sostenibile del carbone specie se
associata a processi di gassificazione. L’ipotesi del sequestro di CO2 nelle profondità
marine è ampiamente criticato dagli ambientalisti e da parte della comunità
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scientifica, mentre quello sottoterra utilizzando vecchi giacimenti esauriti viene visto
come una possibilità. Come mostrano i progetti di ricerca e sviluppo in corso, si tratta
comunque di una possibilità la cui applicazione industriale occorrono almeno 15 anni.
La combustione del carbone genera, infatti, elevate quantità di anidride carbonica
(CO2), più di quanta ne producono petrolio e gas naturale. L’anidride carbonica è il
gas maggiormente responsabile dell'effetto serra, cioè dell'innalzamento della
temperatura della superficie terrestre. Tutti i combustibili fossili producono gas serra
e il carbone contribuisce per poco meno del 20% all’aumento dell’effetto serra.
Altri gas inquinanti generati dalla combustione del carbone sono gli ossidi di azoto
(NOX) e gli ossidi di zolfo (SOX) che, combinandosi nell'atmosfera con il vapore
acqueo, si trasformano in acido nitrico e solforico acidificando le piogge e
danneggiando la vegetazione e le acque superficiali.
Attualmente il 100% delle ceneri e dei gessi prodotti da carbone viene riciclato, infatti
trovano un facile riutilizzo nell’ambito della produzione del calcestruzzo, di cemento,
della pavimentazione stradale e nella produzione di manufatti da impiegare nelle
costruzioni.
APPROFONDIMENTO: Tecnologie pulite per il carbone
Per consentire un utilizzo di questa risorsa energetica meno dannoso per l'ambiente,
negli ultimi anni sono state perfezionate tecnologie che permettono di ridurre
l'impatto ambientale di tutte le fasi del ciclo produttivo del carbone: dall'estrazione, al
trattamento, fino alla combustione. Queste tecnologie riducono le emissioni, i rifiuti, e
aumentano la quantità di energia ricavabile da ogni tonnellata di carbone. Le
tecnologie pulite permettono di ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2) di
oltre il 30% per unità di energia elettrica prodotta.
Le tecniche di combustione "a letto fluido", ad esempio, consistono nel bruciare il
carbone insieme a una miscela di sali che assorbono le ceneri e parte dei gas nocivi.
In questo modo, si libera nell'atmosfera una minore quantità di gas inquinanti (ossidi
d'azoto (NOX), ossidi di zolfo (SOX), anidride carbonica (CO2).
Risultati simili si possono ottenere con processi di gassificazione sotterranea che
comportano l'iniezione nei giacimenti di aria e vapore acqueo fino a provocare la
combustione parziale del carbone. In questo modo, arriva in superficie solo una
miscela di gas combustibili privi di cenere che viene successivamente immessa nei
tradizionali metanodotti.
Esistono poi dei sistemi ibridi che combinano le migliori caratteristiche delle
tecnologie di gassificazione e combustione, utilizzando il carbone in un processo a
due fasi. La prima fase consiste nella gassificazione della maggior parte del carbone,
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che produce il vapore che viene convogliato a una turbina. La seconda fase consiste
nella combustione dei residui del carbone per produrre vapore.
Con questa tecnica è possibile raggiungere una efficienza maggiore del 50%. Inoltre
si può applicare a qualsiasi sistema di generazione il co-firing che consiste nel
bruciare insieme al carbone le biomasse e i rifiuti. I benefici di questa tecnica
possono includere anche la riduzione delle emissioni di CO2, SOX, NOX che si
producono dalle centrali tradizionali a carbone.
In questo modo è possibile ottenere con una grande efficienza energia dalle
biomasse e dai rifiuti senza dover costruire nuovi impianti appositi.
Dalla gassificazione del carbone si può anche ottenere idrogeno che può essere
utilizzato per produrre energia, per esempio nelle celle a combustibile, “a emissioni
zero” .
CURIOSITA’ : Il recupero delle miniere
Con le tecnologie attuali è possibile riportare i siti delle miniere dismesse alla loro
condizioni originarie e spesso ad un utilizzo più produttivo.
Una miniera provoca impatti sulle acque superficiali e sotterranee, sul suolo,
sull’utilizzo dei territori locali, sulla vegetazione e
sulla fauna del luogo. Per ogni miniera deve
essere realizzato un piano di recupero e
riabilitazione che copre tutte le fasi di vita della
miniera. Le attività di recupero devono essere
progressive:
•
rimodellazione
territorio,
•
ripristino della parte superficiale del suolo,
•
ripiantumazione
del
dall’attività estrattiva.
della
morfologia
sito
del
VM
interessato
Sia prima sia durante l’attività mineraria occorre occuparsi con attenzione della fauna
selvatica, dei siti storici e di tutte le risorse che rivestono un certo valore per il
territorio. Durante l’estrazione occorre adoperarsi per minimizzare la produzione delle
polveri, dell’inquinamento acustico e la contaminazione delle polveri.
Dopo l’esaurimento dell’attività estrattiva, si possono recuperare i pozzi rimasti per
costruire serbatoi o per creare attività ricreative con l’utilizzo dell’acqua.
Gli utilizzi che si possono fare del territorio recuperato sono svariati: agricoltura,
silvicoltura, ricreazione, costruzione per industria o alloggiamento ed abitata della
fauna selvatica.
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Oggi l'industria carboniera è impegnata nella protezione dell'ambiente e la bonifica
dei terreni è una parte integrante della maggior parte dei lavori minerari. Le aziende
di estrazione di carbone stanno investendo molto, in competenze ed in risorse
finanziarie,nel ripristino del territorio a una condizione paragonabile, o migliore,
rispetto a quella esistente prima dell’attività di estrazione mineraria.
CURIOSITA’: Torba e torbiere
La torbiera è un ecosistema costituito da paludi nelle quali la materia organica si
riproduce più velocemente di quanto non si decomponga: questo fenomeno dà
origine all'accumulo di materiale vegetale parzialmente decomposto, chiamato torba.
In alcune torbiere può svilupparsi vegetazione, poiché la torba non è così densa da
impedire alle radici delle piante di attraversarla e di raggiungere l'acqua e i terreni
ricchi di sostanze minerali che si trovano in profondità.
Le torbiere sono zone acquitrinose, frequenti soprattutto dove il clima è freddo e
umido, alle latitudini più settentrionali. Si sviluppano quando il drenaggio dell'acqua,
soprattutto piovana, viene bloccato, e il processo di decomposizione delle sostanze
organiche è rallentato. Molte torbiere si formano quando i sedimenti e il materiale
decomposto accumulato riempiono uno stagno o un bacino al di sopra della falda
freatica.
Quindi le torbiere si sviluppano soprattutto in zone di montagna, in aree paludose di
fondo valle, o allo sbocco di valli alpine, oppure si trovano lungo le coste dove
l’acqua del mare può stagnare dietro cordoni litorali. I granelli di polline in esse
preservati forniscono indizi sulla vegetazione e sul clima di tempi assai lontani. La
torba è stata usata come combustibile per molti secoli e l'escavazione a fini
commerciali ha ridotto le torbiere a ecosistemi in pericolo.
In questi ultimi anni le torbiere sono salvaguardate dallo stato che ha emanato delle
leggi secondo le quali, le torbiere di proprietà private devono essere coltivate
secondo regole di buone e precisa tecnica. In caso di sua inattività la torbiera può
essere espropriata e passa tra i beni patrimoniali indisponibili dello stato.
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PETROLIO
Un po’ di storia
Per migliaia di anni l’uomo,non essendo in grado di produrre energia, si è limitato a
cacciare e alla raccolta di vegetali, le principali risorse dell’uomo.
Circa 7000 anni fa, l’uomo diventato agricoltore, ha finalmente imparato a produrre
energia alimentare, muscolare (dell’uomo e degli animali che lo aiutavano), eolica e
idrica (dei mulini a vento e ad acqua).
Con lo sviluppo dell’artigianato, dei trasporti, del commercio, emerge il primo incontro
tra l’uomo ed il petrolio.
Raramente, infatti, il famoso “oro nero” affiorava spontaneamente in superficie: 5000
anni fa, gli egizi ne scoprirono le virtù terapeutiche utilizzandolo per curare
reumatismi e disturbi circolatori, oltre che per favorire il processo di conservazione
dei cadaveri, la cosiddetta mummificazione.
D’altra parte Persiani e Romani impiegarono il petrolio per l’illuminazione e la
costruzione di armi incendiarie. Per molti secoli l’utilizzo del petrolio è rimasto
episodico e di scarsa importanza economica; in Inghilterra nel 1600 durante la crisi
energetica a causa dell’utilizzo di legname come combustibile, accresce a dismisura
il prezzo di quest’ ultima risorsa.
Successivamente, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, gli uomini
cominciarono a sfruttare anche nuove risorse: il metano, l’energia idroelettrica,
l’energia nucleare ed in maniera più copiosa il petrolio.
Che cos’è il petrolio?
Il petrolio è un combustibile fossile prodotto da resti di piante e animali morti
centinaia di milioni di anni fa, quando il genere umano non era ancora comparso
sulla Terra. Quelle piante e quegli animali, esattamente come accade oggi, hanno
accumulato l’energia proveniente dal sole e, dopo la loro morte, sono rimasti sepolti
per milioni di anni fino a trasformarsi in petrolio e carbone, restituendoci oggi sotto
forma di energia elettrica e carbone l’energia solare che avevano accumulato in
passato.
Più precisamente, il petrolio è una miscela naturale di idrocarburi liquidi e altre
sostanze di origine fossile, contenuta in rocce sedimentarie e associata ad
idrocarburi gassosi (gas) e solidi (bitumi) in quantità minori.
Tutte le molecole esistenti sono costituite da due soli tipi di atomi: atomi di carbonio e
atomi di idrogeno ed in base alla quantità di atomi di carbonio presenti nella
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molecola, gli idrocarburi sono gassosi (fino a 4 atomi), liquidi (da 5 a 16 atomi) o
solidi (oltre 16 atomi). Gli idrocarburi costituiscono un’ampia categoria di sostanze,
dal momento che il carbonio ha molte possibilità di legarsi ad altri atomo di carbonio
e idrogeno in catene aperte (lineari o ramificate), chiuse (ad anelli, gli idrocarburi
ciclici come il benzene ne hanno uno solo) o miste con parti aperte e parti ad anello.
Esistono inoltre migliaia di idrocarburi con una diversa struttura molecolare, ma la
stessa composizione chimica; ad esempio ne esistono con legami semplici (alcani o
idrocarburi saturi come il metano), doppi (alcheni, come il propilene) o tripli (alchini,
come l’acetilene).
Come ha origine il petrolio?
Gli ambienti più favorevoli alla formazione di
idrocarburi sono le aree marine con scarsa
circolazione sui fondali ed un continuo apporto di
detriti da parte dei fiumi (antichi mari o laghi), bacini
sedimentari dove la crosta terrestre si abbassa in
modo graduale o accelerato i seguito a naturali www.geologia.it
processi geologici.
Qui vivono numerosi organismi, che dopo la loro
morte si depositano sul fondo e vengono
continuamente coperti di detriti terrosi e minerali;
in questo modo gli strati di fango ricchi di
sostanza organica (roccia-madre) sprofondano
lentamente sotto il peso di nuovi sedimenti. A
determinate profondità e temperature la materia
organica matura trasformandosi dapprima in
www.geologia.it
“kerogene” intorno ai 1000 metri e 50°C e poi in
idrocarburi veri e propri; per quel che riguarda la durata di questo processo è
variabile da 10 a 100 milioni di anni a seconda che le temperature siano più o meno
elevate.
Quando il kerosene non matura, lo si trova
concentrato a percentuali superiori all’8%, ed è
possibile produrre petrolio liquido riscaldandolo
artificialmente. Alle profondità maggiori si producono
metano ed idrocarburi leggeri fino ad arrivare a diversi
Km dalla superficie, con temperature tra i 150 ed i
200°C, dove il kerosene si trasforma in carbonio pu ro
cristallizzato, la grafite.
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Cosa possiamo ottenere dal petrolio?
Dal petrolio si possono ottenere molti prodotti, da alcuni dei più diffusi combustibili a
molte delle materie plastiche usate dall’uomo.
Infatti il petrolio è composto da idrocarburi semplici che sono la materia prima
essenziale per produrre plastiche che danno una risposta alle molteplici esigenze di
materiali plastici con caratteristiche specifiche.
I quattro idrocarburi più usati sono:
•
l’etilene
•
il propilene
•
il butadiene
•
il benzene
e la principale caratteristica è data dalla loro molecola che li rende particolarmente
adatti a ricomporsi in catene organizzate tramite il processo di polimerizzazione. La
complessità delle sostanze petrolchimiche viene ricostruita con numerosi passaggi e
diversi percorsi produttivi attraverso i quali si giunge ad un’infinita varietà di prodotti.
Mediante polimerizzazione si ottiene il polietilene (PE), presente in numerosi
imballaggi, oggetti stampati e rivestimenti. Combinando l'etilene con acqua si ottiene
l'alcol etilico, un solvente per profumi, cosmetici, pitture, saponi, coloranti, fibre tessili
e materie plastiche.
Combinandolo con il benzene, si ottiene il polistirolo (PS), usato come isolante in
edilizia, nonché materia prima per imballaggi dedicati e giocattoli.
Combinandolo con il cloro si ottiene il polivinilcloruro (PVC), anch'esso molto
utilizzato nel settore edile e per realizzare tessuti impermeabili.
Il propilene è il punto di partenza per numerose sostanze chimiche, tra cui l'isoprene,
la glicerina e l'acetone. Combinando tra loro migliaia di molecole di propilene si
ottiene il polipropilene (PP), ideale per imballaggi e altri manufatti resistenti. Il
butadiene viene usato soprattutto nella preparazione di gomme sintetiche,
succedanei del cuoio e come solvente.
Infine è da citare il benzene, dal quale si ricavano importanti prodotti intermedi come
il fenolo, l'anilina, lo stirene e il clorobenzene, utilizzati per coloranti, fibre, resine,
materie plastiche, gomme sintetiche, prodotti farmaceutici, insetticidi, detersivi, fibre
naturali.
I derivati del petrolio sono poi utilizzati come combustibili nelle centrali
termoelettriche per la produzione di energia elettrica, nonché in impianti di
riscaldamento domestico e di produzione di acqua calda.
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Come si formano i giacimenti di petrolio?
Una volta formato, il petrolio viene “strizzato” fuori dalla roccia madre, compressa
dagli starti sovrastanti, muovendosi dapprima attraverso le microfratture,m questo
processo è chiamata migrazione primaria. Successivamente migra nei canalini delle
rocce permeabili adiacenti, compiendo la migrazione secondaria.
A questo punto gli idrocarburi possono raggiungere la superficie terrestre
disperdendosi, oppure la loro migrazione può essere bloccata da rocce impermeabili,
in questo caso gli idrocarburi sono in trappola e si accumulano fino a formare un
giacimento.
Una trappola è composta nella parte basale da una roccia serbatoio permeabile e
porosa che contiene il petrolio (si chiama reservoir) ed in quella sommitale da una
roccia di copertura impermeabile che trattiene gli idrocarburi.
Quali riserve abbiamo oggi a disposizione?
Le riserve di petrolio non sono uniformemente distribuite sul territorio mondiale, ma
risultano concentrate in alcuni Paesi, in particolare il Medio Oriente ne possiede il
6%, l’America del Sud il 10% , l’Europa e l’Africa rispettivamente il 7 e l’8%.
Confrontando i livelli annuali di produzione del petrolio risalta che le nazioni che
consumano di più il petrolio sono infatti quelle che ne possiedono di meno.
Ad esempio l’Europa ne consuma ogni anno il 24% della produzione mondiale pur
possedendone solo il 7% e questo significa che mantenendo l’attuale livello di
produzione ed in assenza di nuove scoperte, Europa ed America del Nord
termineranno le loro riserve nel giro di pochi anni, rispettivamente 15 e 10 anni, e
dovranno utilizzare solo il petrolio importato.
Siamo a conoscenza che a livello mondiale le riserve finora accertate tra solo 40
anni, se saranno mantenuti invariati gli attuali consumi annuali, si esauriranno.
Per evitare nuove crisi petrolifere ed energetiche (ovvero una situazione in cui c'è
poco petrolio disponibile nei mercati a fronte di una domanda sempre più elevata che
porta il suo prezzo a salire rapidamente) é importante che l’industria petrolifera trovi
in futuro nuovi giacimenti, ma soprattutto che l’uomo sappia utilizzare al meglio il
petrolio attualmente disponibile e sia in grado di sviluppare fonti di energia
alternative, possibilmente rinnovabili.
Come si ricercano i nuovi giacimenti?
La ricerca di nuovi è molto costosa, perciò deve essere fatta con attenzione.
Le prime informazioni si ottengono dallo studio di foto aeree o da satellite, che
14
forniscono una mappa delle rocce di superficie. Successivamente la geochimica, la
micropaleontologia e la petrografia forniscono tutte le informazioni necessarie sulle
caratteristiche fisico-chimiche delle rocce, la loro età e composizione.
Una volta localizzata un'area interessante, per individuare le trappole, si utilizza la
sismica a riflessione. Si generano onde sismiche con piccole cariche di esplosivo
sulla superficie terrestre o con l'espansione rapida di aria compressa in mare. Le
onde si propagano nel terreno o in acqua, venendo riflesse in modo diverso a
seconda di ciò che incontrano. Al loro ritorno in superficie vengono registrate da
geofoni disposti opportunamente. L'elaborazione delle registrazioni fornisce una
sorta di "mappa" della composizione del sottosuolo, da cui dedurre l'eventuale
presenza di trappole.
Va precisato però, che non tutte le trappole
contengono petrolio e solo la realizzazione di
pozzi esplorativi può confermarne la presenza.
La perforazione dei pozzi è un’operazione lunga
e costosa, ma semplice. Le rocce vengono
perforate con uno scalpello rotante fissato
all'estremità di una serie in batteria di tubi
d'acciaio avvitati tra loro, che viene allungata
man mano che il pozzo diventa più profondo. Le
aste sono sostenute da una torre alta circa 50
metri, chiamata derrick, e messe in rotazione da
VM
una piastra rotante azionata da un apposito
motore elettrico. Lo scalpello è costituito da
materiali durissimi e, in certi casi, dotato di inserti realizzati con diamanti sintetici.
La batteria di aste è lunga quanto la profondità del pozzo. In certi casi, si
raggiungono i 6.000-7.000 metri, mentre il peso sostenuto dalla torre può arrivare a
500 tonnellate. Le aste sono cave per permettere la circolazione di un apposito fango
che lubrifica e raffredda lo scalpello, sostiene le pareti del pozzo e, ritornando in
superficie, trasporta i detriti prodotti dalla frantumazione della roccia. A quote di
profondità stabilite, il foro viene rivestito di tubi in acciaio (casting) che ne riducono
gradualmente il diametro da 75 a 15-20 centimetri di diametro. Sulla terraferma si
usano impianti di perforazione modulari trasportati da camion.
In mare, le tecniche di perforazione sono le stesse ma cambiano le caratteristiche
dell'impianto. Fino a 100 metri di profondità, si usano piattaforme mobili
autosollevanti, chiamate jack-up e formate da uno scafo sostenuto da tralicci
scorrevoli dette gambe. Queste poggiano sul fondo lasciando lo scafo 15-20 metri
sopra il livello del mare per non risentire dell'azione delle onde e delle maree.
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Per profondità fino a 600-700 metri si utilizzano piattaforme galleggianti che, una
volta ancorate, poggiano su scafi sommergibili. Per profondità superiori fino a 2.500
metri occorrono navi di perforazione, dotate di un'apertura nella carena per far
passare la tubazione telescopica (riser). Durante la perforazione esplorativa, si
continua ad analizzare i detriti prodotti, per valutare se la quantità e la qualità degli
idrocarburi estraibili sono sufficienti a ripagare i costi di produzione. In questa fase,
prima di passare alla fase di sviluppo e produzione vera e propria del giacimento, si
perforano altri "pozzi di delimitazione".
Come avviene l’estrazione?
Inizialmente, il petrolio risale la condotta, spinto dalla pressione dell'acqua e del gas
presente nel giacimento ed in questo modo si può recuperare il 30% del petrolio e il
90% del gas.
Un altro 10-15% può aggiungersi mantenendo alta la pressione del giacimento con
acqua o altro gas. Infine, un ulteriore 10-15% può essere estratto iniettando
emulsioni, vapori o solventi che lavano le rocce e staccano altro petrolio.
Circa un quinto della produzione mondiale di petrolio viene dal mare, una quota che
è destinata ad aumentare nei prossimi anni.
Ed il trattamento e lo stoccaggio?
Appena estratto, il greggio è costituito da una miscela di gas e liquidi che devono
essere separati e purificati prima di essere immessi negli oleodotti e nei gasdotti. In
genere, queste operazioni avvengono in appositi centri di raccolta o nelle stesse
piattaforme di produzione. Il petrolio va inoltre separato dall'acqua salata e
desolforato per eliminare i composti dello zolfo. Quindi, prima di raggiungere le
raffinerie mediante petroliere e oleodotti, viene stoccato in appositi serbatoi dotati di
impianto di raffreddamento, antincendio e di un bacino di contenimento in caso di
rottura.
In che modo viene trasportato il petrolio?
Il petrolio è presente, in quantità apprezzabili per poterne avviare la produzione, solo
in alcune zone della Terra. Pertanto la maggior parte di esso deve essere trasportato
per raggiungere le raffinerie e i luoghi di consumo. Ci sono due modi di trasportare il
petrolio, spesso complementari: gli oleodotti e le petroliere. Gli oleodotti
comprendono un complesso di condotte costituite da tubi in acciaio che
generalmente interrati a una profondità di 3-15 metri o posti sui fondali marini.
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Il movimento del greggio lungo l'oleodotto è assicurato da grandi pompe distribuite
lungo il percorso. Stazioni di controllo e sicurezza distribuite lungo il percorso ne
garantiscono il trasporto ai porti d'imbarco e alle raffinerie.
La fase del trasporto del petrolio via mare è molto delicata, poiché può trasformarsi in
una delle principali fonti d'inquinamento per mari e oceani, se le navi naufragano e si
spezzano. Una moderna petroliera è una nave cisterna a compartimenti separati e
doppio scafo (ovvero dotata di un doppio guscio metallico a protezione del petrolio
trasportato) e attrezzata con sistemi sofisticati di prevenzione degli incidenti, al fine di
ridurre al minimo il rischio di versare il petrolio nel mare.
Per ridurre l'impatto ambientale di queste navi, sono stati introdotti nuovi sistemi di
ripulitura delle cisterne che permettono di raccogliere i residui petroliferi per trattarli
poi in impianti a terra, anziché scaricarli in mare.
Perché è indispensabile la raffinazione del petrolio greggio?
Il petrolio greggio è costituito da una grande varietà di idrocarburi con diverse
quantità di atomi di carbonio ed anche il rapporto tra queste sostanze varia da luogo
a luogo. Per suddividere il greggio nei suoi componenti, sfruttandolo al meglio,
occorre avviarlo a distillazione frazionata o raffinazione.
I vari idrocarburi vengono separati in base alla diversa temperatura di ebollizione. Il
greggio liquido, riscaldato a circa 400 gradi centigradi alla base della torre di
raffinazione, si trasforma in un miscuglio di gas che salgono verso l'alto. Salendo, i
gas si raffreddano e, in base alla diversa temperatura di condensa, vengono
separati. Gli idrocarburi più pesanti condensano subito e si depositano sul fondo. Gli
altri risalgono, ritornando allo stato
liquido a diverse altezze, dove
vengono raccolti.
I residui con oltre 20 atomi di carbonio
condensano per primi e possono
essere
ulteriormente
separati,
mediante distillazione sotto vuoto, per
produrre oli, lubrificanti, paraffine, cere
e bitumi.
Il gasolio con 14-20 atomi di carbonio
condensa a 250-350 gradi centigradi
ed e' un liquido denso.
VM
Il kerosene con 10-15 atomi di
carbonio condensa a 160-250 gradi
17
centigradi ed è un combustibile oleoso.
La nafta con 8-12 atomi di carbonio condensa a 70-160 gradi centigradi ed e' una
sostanza liquida gialla usata come combustibile e trasformata per produrre materie
plastiche, farmaci, pesticidi, fertilizzanti. Le benzine con 5-10 atomi di carbonio
condensano a 20-70 gradi centigradi.
Per quanto riguarda i gas, a 20 gradi centigradi rimangono gassosi solo metano,
etano, propano e butano. La maggior parte di essi viene usata per scopi energetici e
per produrre sostanze petrolchimiche e materie plastiche. In particolare, butano e
propano formano il combustibile denominato GPL.
Cosa sono le operazioni di cracking e a cosa servono?
Al termine della distillazione frazionata, lunghe molecole di idrocarburi possono
essere trasformate in molecole più leggere con tecniche di frazionamento più
raffinate attraverso il cracking. Queste molecole potranno successivamente essere
rimontate in lunghe catene di polimeri e altri materiali sintetici che permettono di
realizzare prodotti sempre più versatili, economici, comodi, efficienti e necessari per il
benessere quotidiano. Questo ulteriore processo si chiama cracking termico e
consiste nello scaldare gli idrocarburi fino a 800 gradi centigradi in speciali camere a
pressioni elevate (fino a 100 atmosfere). Al crescere della temperatura, i legami tra
gli atomi di carbonio si scindono. Oltre alle molecole di idrocarburi più leggere, che
possono essere avviate al più raffinato cracking catalitico, si ha un'elevata
produzione di carbon coke. Tutto ciò che rimane viene comunque usato per produrre
asfalti e bitumi.
Il catalizzatore utilizzato per il cracking catalitico permette di operare a temperature e
a pressioni più basse, fino a 500°C e da 2-4 atmosf ere.
Un processo che consente di ridurre idrocarburi leggeri in molecole ancora più
leggere, limitando la formazione di carbon coke, è il cracking a vapore in cui si opera
a bassa pressione e a 850 gradi centigradi di temperatura. I vari processi di cracking
consentono di separare tra loro i vari idrocarburi in modo molto efficace, per cui si
riesce a ottenere propilene puro al 97% ed etilene quasi al 100%.
Impianti termoelettrici
Nelle centrali termoelettriche si usa un prodotto intermedio della raffinazione, l’olio
combustibile. In quelle a vapore si sfrutta l’energia del vapore, prodotto da una
caldaia nella quale brucia l’olio combustibile e la nafta oppure anche il metano.
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Le centrali termoelettriche a turbogas impiegano una turbina a gas, ossia una
macchina termica rotativa che converte il calore in lavoro, usando direttamente i gas
combusti come fluido di lavoro. Questo tipo di impianto presenta diversi vantaggi:
costi ridotti, la possibilità di avviamento anche in caso di mancanza di energia dalla
rete, semplicità e rapidità di costruzione e infine il fatto che non necessita di acqua di
raffreddamento, il che permette di ubicarlo in qualsiasi zona, anche sprovvista di
rifornimento idrico.
Quali sono le emissioni inquinanti che producono?
I principali inquinanti prodotti dalla combustione e contenuti quindi nei fumi emessi
dalle centrali termoelettriche sono:
• anidride solforosa (SO2): prodotta dall’ossidazione dello zolfo naturalmente
contenuto nei combustibili che può provocare irritazioni e malattie dell’apparato
respiratorio ed è responsabile delle piogge acide;
• ossidi di azoto (NOX): prodotti dall’ossidazione dell’azoto contenuto nei
combustibili e di quello presente nell’aria che provocano irritazione delle vie aeree,
sono tra i gas responsabili dell’effetto serra e delle piogge acide, e sono tra i
promotori dello smog fotochimica;
• polveri: prodotte nel corso del complesso processo fisico-chimico a cui sono
sottoposte le particelle dei combustibili all’interno della camera di combustione che
possono provocare danni all’apparato respiratorio, provocano una diminuzione della
visibilità atmosferica ed allo stesso tempo diminuiscono anche la luminosità
assorbendo o riflettendo la luce solare; le polveri sospese favoriscono la formazione
di nebbie e nuvole, di conseguenza favoriscono il verificarsi dei fenomeni delle
nebbie e delle piogge acide; le polveri (ad esempio quelle emesse dai cementifici)
possono poi depositarsi sulle foglie delle piante e formare così una patina opaca che,
schermando la luce, ostacola il processo della fotosintesi;
• biossido di carbonio (CO2):
prodotto naturale di tutti i
fenomeni di combustione nonché
uno dei gas maggiormente
responsabili dell’effetto serra.
Ovviamente
gli
effetti
sull’ambiente
delle
sostanze
sopraccitate dipendono dal valore
della concentrazione che le
stesse raggiungono al suolo.
VM
19
Quali sono gli impatti ambientali?
Molti inquinanti rilasciati dal petrolio creano impatti ambientali che possono
provocare danni alla salute umana se superano determinate concentrazioni nell'aria.
Tra questi vi sono l'effetto serra, le piogge acide, l'inquinamento dell'aria causato dal
traffico nelle città, tutti problemi gravi di cui molto discutono gli esperti e i mezzi di
informazione ma a cui, molto spesso, non si è ancora riusciti a una soluzione.
Molto si dice riguardo l’utilizzo di fonti rinnovabili, il progresso scientifico e
tecnologico in questo settore e le varie forme di incentivazione esistenti, ma
purtroppo si prevede che queste fonti possano coprire quote significative dei consumi
energetici solo fra molti anni.
Pertanto, nel breve e medio periodo, la maggior parte dell'energia necessaria
all'uomo sarà probabilmente ancora fornita dalle fonti fossili tradizionali, soprattutto
petrolio e gas naturale.
E' necessario, comunque, che l'uomo impari a utilizzare in modo ancora più efficiente
l'energia prodotta dai combustibili fossili, in primis riducendo gli sprechi ed
aumentando il rendimento energetico dei diversi processi produttivi e continui a
ricercare e applicare tecnologie che consentono di ridurre le emissioni in aria di
inquinanti provocate dalla loro combustione.
Quali sono le tecnologie per ridurre le emissioni di inquinanti?
Nei paesi industrializzati, grazie a investimenti mirati, alcuni dei più comuni inquinanti
dell'aria sono diminuiti. Le emissioni di anidride solforosa (SO2) sono state ridotte del
40%, trattando i fumi emessi dalle ciminiere e utilizzando petrolio e derivati a basso
contenuto di zolfo. Le emissioni annuali di anidride carbonica e di ossido di azoto
sono invece rimaste sostanzialmente costanti, nonostante l'economia e la produzione
di beni sia cresciuta.
Un settore in cui la tecnologia è venuta in aiuto dell'uomo per diminuire l'impatto
sull'ambiente è quello automobilistico.
Con gli studi di impatto ambientale vengono individuati gli strumenti di attenuazione
dell'impatto sugli ecosistemi del territorio interessato alle varie fasi del processi
petroliferi. Nella fase di produzione, tutti i rifiuti (solidi e liquidi) generati dal pozzo
vengono trattati e resi inerti (cioè non in grado di contaminare) prima di essere
smaltiti in apposite discariche. Nella fase di trasporto, oleodotti e petroliere sono
dotati di sistemi di sicurezza sempre più efficienti. Ad esempio, le nuove petroliere
hanno un doppio scafo e scomparti non comunicanti fra loro per limitare le eventuali
20
fuoriuscite di greggio. Inoltre, con le nuove tecniche di lavaggio, i residui oleosi sono
trattati in speciali impianti a terra evitando così di essere scaricati in mare.
La riduzione delle emissioni inquinanti prodotte dalle centrali termoelettriche può
avvenire sfruttando diverse tecnologie:
• denitrificatore che riduce gli ossidi di azoto mescolandoli con ammoniaca e
ossigeno per ottenere acqua e azoto molecolare non inquinante.
• captatore di polveri grazie all’azione di campi elettrostatici o di filtri, le particelle
solide vengono trattenute e non disperse in atmosfera (la capacità attuale di
abbattimento raggiunge il 99,9%).
• desolforazione dei fumi che consente di eliminare fino al 97% i composti di zolfo
presenti nei fumi delle centrali.
• trattamento delle acque: esistono diversi tipi di utilizzo delle acque negli impianti;
in ogni caso, prima di essere scaricata, l’acqua viene trattata per eliminare le
eventuali sostanze inquinanti presenti, e l’immissione nei fiumi o in mare avviene o
meglio dovrebbe avvenire per legge solo quando le concentrazioni di sostanze
inquinanti e le temperature sono inferiori ai limiti di legge.
In definitiva tutte le sostanze vengono in qualche modo filtrate e trattenute dai sistemi
di abbattimento presenti negli impianti. Per favorire la dispersione in quota delle
emissioni residue ed evitare l’inquinamento del suolo, i camini di scarico sono molto
alti, in certi casi oltre 200 metri.
21
GAS NATURALE
Un po’ di storia….
Già intorno al 347 a.C. in un manoscritto cinese veniva descritto uno strano gas che
veniva usato per illuminare.
Circa 200 anni fa, Alessandro Volta “riscopri’” il potenziale energetico del gas
naturale, notando le piccole bolle gassose che si formavano smuovendo i fondali
limacciosi del lago Maggiore ed avvicinando un fiammifero acceso il gas contenuto in
esse alimentava una fiamma bluastra.
VM
Tra il 1840 ed il 1850 l’illuminazione a gas divenne comune in molte città europee ed
americane andando a modificare gli stili di vita cittadini dato anche il minore costo
dell’illuminazione a gas rispetto a quella a candele.
Per molto tempo, non essendoci adeguate tecnologie per l’ estrazione ed il trasporto,
il gas naturale che veniva in superficie spontaneamente veniva bruciato da una torcia
generando uno dei maggiori sprechi di risorse che la storia ricordi.
Va ricordato che l’Italia è uno dei pochi paesi dove il metano è stato valorizzato come
risorsa energetica, fin dalla scoperta dei primi giacimenti in Valle Padana e nel Mare
adriatico. In realtà in Europa lo sfruttamento del metano è cominciato solo di recente,
poco più di 50 anni fa con lo
sviluppo di tecnologie che
rendessero economicamente
vantaggiosa l’estrazione e
una rete di metanodotti per
una distribuzione più agevole
ed
a
basso
impatto
ambientale, in quanto non
incrementa il traffico in
superficie e non si vede
grazie
alla
ricostruzione
dell’ambiente
circostante
dopo lo scavo per la posa Figura 1: Metanodotto , attraversamento di un canale..
delle tubazioni.
(Foto: Davide Gaglio)
Che cos’è il gas naturale?
E’ un combustibile fossile costituito da una miscela di idrocarburi, in massima parte
metano ed altre sostanze gassose come anidride carbonica, azoto, idrogeno
solforato e, in qualche caso elio.
23
Prima di poter essere utilizzato il gas naturale viene trattato al fine di eliminare
l’anidride carbonica e l’azoto perché lo rendono poco infiammabile e l’idrogeno
solforato perché è un gas tossico e corrosivo; in seguito a tali processi ciò che resta
è prevalentemente metano.
Il metano è l’idrocarburo gassoso più semplice e quello con la molecola più piccola,
formata da un atomo di carbonio e quattro di idrogeno (CH4), è più leggero dell’aria e
non ha colore, odore, tossicità.
Miscelato con l’aria, il metano è infiammabile solo quando la sua concentrazione è
compresa tra il 5% ed il 15%, dal momento che sotto il 5% la quantità di gas naturale
non è sufficiente ad alimentare la combustione e sopra il 15% non c’è abbastanza
ossigeno per la combustione.
Alla temperatura di 15°C ed alla pressione atmosfer ica, 1 metro cubo di metano
sviluppa 8000 chilocalorie, un contenuto energetico pari a quello di 1,2 Kg di carbone
e di 0,83 Kg di petrolio.
Le miscele che contengono soprattutto metano si dicono secche, mentre quanto
sono presenti anche idrocarburi come il propano ed il butano sono umide. Il metano
diventa liquido ad una temperatura critica di -83°C quando è sottoposto ad una
pressione di 45 atmosfere.
Qual’ è la sua origine? Dove si trova?
Sul nostro pianeta il gas naturale (come gli idrocarburi in generale) si trova
prevalentemente nelle porosità delle rocce che costituiscono la parte superiore della
crosta terrestre e sono il prodotto dei processi chimici e fisici svoltisi nel corso della
storia della terra.
L’azione disgregatrice degli agenti atmosferici provoca l’erosione dei rilievi montuosi i
cui detriti, trasportati dai corsi d’acqua fino al mare, si depositano sul fondo in strati di
sabbia e melma argillosa. Insieme a tali detriti, sul fondale si posano i materiali che
hanno avuto origine dal mare stesso, ovvero i sali che precipitano per effetto
dell’evaporazione e soprattutto gli organismi animali e vegetali che vi dimorano. Con
il passare del tempo, per effetto del carico e del processo di cristallizzazione dei sali,
i sedimenti si trasformano in rocce compatte nelle quali tuttavia permangono delle
minuscole cavità occupate dall’acqua e dalle sostanze organiche. Sottoposte
all’azione disgregatrice dei microrganismi, infine, le sostanze organiche contenute
insieme all’acqua in queste piccole cavità si trasformano in idrocarburi come il
metano e il petrolio. Questo procedimento si chiama mineralizzazione: vegetali e
animali diventano gas, petrolio e carbone, e tali combustibili si chiamano fossili
proprio perché derivano dalla fossilizzazione dei vegetali e degli animali.
24
La localizzazione geografica delle riserve di gas naturale riguarda principalmente
Medio Oriente e Paesi dell’ex unione sovietica che ne possiedono circa il 73%;.
Il Medio Oriente estrae poco gas in rapporto alle riserve disponibili perché ne
possiede il 39% delle riserve mondiali e ne estrae solo il 9 % del gas consumato in
un anno in tutto il mondo; mentre Stati Uniti ed Europa occidentale estraggono a ritmi
elevati in rapporto alla loro disponibilità di materia prima; questo significa che,
mantenendo l’attuale livello di produzione ed in assenza di scoperte di nuovi
giacimenti, questi paesi nel giro di pochi anni (9 per il Nord America e 24 per
l’Europa) termineranno le loro riserve e dovranno utilizzare solo il gas importato.
Le riserve mondiali di gas naturale contengono circa 180.000 miliardi di metri cubi e
tali riserve sono costituite dai giacimenti attualmente conosciuti e tali da essere
sfruttati con le tecnologie disponibili.
Queste ultime non rappresentano tutte le risorse effettivamente esistenti nel
sottosuolo, ancora sconosciute all’uomo o il cui costo di estrazione è attualmente
troppo elevato.
Provando a dare una stima dell’esaurimento di tali risorse quindi dividendo il livello
delle risorse conosciute (provate) per il consumo annuo di gas, otteniamo che,
mantenendo
tale
livello di sfruttamento,
queste
riserve
si
esauriranno nel giro di
circa 68 anni. Esistono
sicuramente
giacimenti
ancora
conosciuti
che
possono prolungare la
vita
di
questo
combustibile
ma
quanto detto deve
comunque far riflettere
attentamente: il gas
Figura 2: Angela-Angelina, piattaforma di estrazione gas naturale,
naturale, è una risorsa
Ravenna. Nel riquadro, particolare delle trivelle.
(Foto di Paolo Carbone)
destinata a finire.
Come si estrae il gas naturale?
Quasi sempre il gas naturale si trova intrappolato insieme al petrolio sotto uno strato
di roccia che si usa chiamare “gas associato”. Date le sue grandi pressioni, non
appena si finisce di trivellare il gas schizza fuori da solo e occorre solamente infilarlo
in un tubo e indirizzarlo verso le sue destinazioni finali o i centri di stoccaggio, questi
25
ultimi sono giacimenti naturali esauriti dove un tempo c’era gas naturale che vengono
usati come veri e propri “magazzini” del gas.
Questo è un aspetto molto importante dal punto di vista geologico perché stoccando
il gas si contiene il processo di subsidenza dovuto alla massiccia estrazione di gas
naturale dalle sacche aurifere del sottosuolo che lo contengono.
Cosa si intende per trattamento del gas naturale?
Se il gas esce dal giacimento umido, generalmente quando viene estratto insieme al
petrolio lo si sottopone ad un trattamento preliminare atto a separare il metano dagli
altri idrocarburi gassosi come propano, butano ed etano.
La separazione è agevolata dal fatto che il metano ha una temperatura critica (al di
sopra della quale un gas non può passare allo stato liquido) molto più bassa.
Raramente capita che in alcuni giacimenti il metano ha bisogno di essere depurato;
tra le impurità più dannose da segnalare la presenza di zolfo che bruciando produce
anidride solforosa ed in presenza di umidità alimenta il problema delle piogge acide
responsabili di malattie polmonari, della rovina della piante e del deterioramento di
qualsiasi cosa sia esposta all’aria aperta.
Come avviene il trasporto di gas naturale?
Attualmente il metano viene trasportato allo stato gassoso per mezzo di metanodotti,
oppure con navi metaniere sulle
Figura 3: Particolare delle trivelle, piattaforma
quali viene caricato allo stato liquido
Angela - Angelina. (Foto di Paolo Carbone)
(GNL o Gas Naturale Liquefatto).
I metanodotti permettono il trasporto di ingenti quantità di metano direttamente dal
luogo di produzione quello di consumo, senza bisogno di alcuna operazione di
carico e immagazzinamento.
Quando non è possibile effettuare il trasporto tramite metanodotto (perché le
distanze da superare sono eccessive o bisogna attraversare un tratto di mare troppo
lungo) il metano viene liquefatto e trasportato con navi metaniere. Attualmente il 25%
del metano viene trasportato con questo mezzo. Il metano, liquefatto a -161 gradi
centigradi, ha un volume circa 600 volte minore del gas naturale originario. Una
metaniera trasporta mediamente 130.000 metri cubi di metano liquefatto che
corrispondono a 78 milioni di metri cubi allo stato gassoso. I costi di trasporto con le
metaniere sono più elevati perché occorre effettuare diversi trasbordi. Il primo
consiste nel trasporto dal giacimento alla costa con un metanodotto. Poi il gas viene
liquefatto e caricato su una metaniera dotata di serbatoi isolati termicamente. Infine,
una volta scaricato dalla nave, esso viene nuovamente gassificato e immesso in un
26
metanodotto. Durante il trasporto per mare una parte del metano evapora
contribuendo a mantenere bassa la temperatura; in parte quest’ultimo viene utilizzato
come combustibile dalla nave stessa.
Come viene distribuito il gas naturale?
Prima di essere immesso nella rete di distribuzione, il metano viene "odorizzato",
cioè mescolato con una sostanza dall'odore molto forte denominata "mercaptani” in
modo che l’utente se ne accorga subito anche di una minima perdita dato il grande
potere esplosivo in presenza di un innesco.
Dai tubi di grande diametro della rete di trasporto nazionale si diramano migliaia di
chilometri di tubazioni più piccole dette "di allacciamento", che trasportano il metano
alle industrie e alle abitazioni. Nelle reti cittadine, gestite dalle aziende distributrici, la
pressione del metano viene mantenuta a livelli più bassi rispetto alle grandi reti di
trasporto per motivi tecnici e di sicurezza. Attualmente, più del 30% del metano
distribuito in Italia viene utilizzato nel settore civile.
In quali settori è utilizzato il gas naturale?
Fra i settori in cui viene utilizzato il gas naturale troviamo: settore residenziale,
settore industriale, settore commerciale, nell’ autotrazione.
•
Settore residenziale: cucine a gas, riscaldamento di ambienti, acqua calda ne
sono i principali usi e le previsioni future indicano un incremento del 30% del
consumo residenziale di gas nel 2020.
•
Settore industriale: scaldare e rinfrescare gli ambienti, rendere più efficienti,
economici ed ecologici i processi di produzione. Troviamo ricorso all’uso del
gas naturale nell’industria alimentare, metallurgica, dei laterizi e della
ceramica, vetro, oreficeria, tessitura e carta.
•
Settore commerciale: riguarda il raffreddamento (condizionamento e
refrigerazione), i servizi di ristorazione (nella cucina), i motel e gli hotel
(riscaldamento di ambienti), gli ospedali, i cantieri edili pubblici e le vendite al
dettaglio. I condizionatori a gas naturale, in virtù dei loro elevati standard di
efficienza energetica costituiscono l’alternativa più valida ai tradizionali sistemi
elettrici.
•
Autotrazione: innanzitutto va sottolineato che il gas naturale presenta un certo
numero di vantaggi rispetto agli altri combustibili per autotrazione in quanto
brucia in modo pulito di tutti i combustibili fossili, costa meno grazie a costi di
gestione delle apparecchiature significativamente più bassi, ha un indice di
27
sicurezza provato, è una fonte di energia per ora abbondante e sicura. In Italia
esiste la rete di rifornimento di metano per autotrazione più vasta di tutta
l’Unione europea.
In che modo si produce energia elettrica dal gas naturale?
Negli ultimi anni, grazie soprattutto ai suoi numerosi benefici economici ed
ambientali, il gas naturale si è trasformato nel combustibile fossile principe per la
produzione di energia elettrica. Inizialmente, negli anni settanta e ottanta la
produzione energetica era orientata verso il carbone e le centrali nucleari, ma per i
benefici di cui sopra unitamente ai progressi tecnologici si è riscontrato uno
spostamento verso l’impiego del gas naturale.
Come funziona una centrale a vapore?
Il gas naturale viene utilizzato come combustibile per produrre il vapore che ad alta
pressione, mette in moto la turbina che a sua volta fa girare l’ alternatore. Per creare
vapore si surriscalda l’acqua in una caldaia e chiudendo ermeticamente il recipiente,
il vapore aumenta di pressione (caratteristico comportamento di espansione dei gas)
per poi fuoriuscire con forza verso la turbina. Il rendimento di tal centrali prevede che
circa il 40% dell’energia contenuta nel combustibile viene trasformato in elettricità ed
il restante 60% viene perso
nelle conversioni
energetiche: chimica → termica →meccanica →
elettrica.
Come funzione una centrale a turbogas?
E’ centrale termoelettrica in cui si frutta direttamente
l’energia prodotta dalla combustione di metano (o
gasolio). Il compressore aspira l’aria dall’atmosfera,
la comprime e al invia alla camera di combustione
dove avviene la combustione tra l’aria ed i
combustibile.
La miscela di aria e gas ad alta temperatura entra in
una turbina dove l’espansione dei gas combusti
mette in rotazione le pale del rotore che a sua volta
mette in rotazione l’alternatore generando elettricità.
Figura 4: Centrale turbogas a
ciclo combinato, Porto Corsini
(RA). (Foto di Paolo Carbone).
I vantaggi delle centrali a turbogas sono i costi ridotti dell’impianto, la rapidità di
avviamento anche in caso di mancanza di energia dalla rete ed il fatto che non
28
necessitano di acqua di raffreddamento che rende possibile la costruzione anche
lontano da fonti di acqua quali fiumi e mari.
Il grande svantaggio è il bassissimo rendimento di circa il 30% che rendono molto
elevato il costo dell’energia prodotta.
Come funzione una centrale a ciclo combinato?
Insieme ai sistemi a cogenerazione sono le tecnologie più efficienti per produrre
l’elettricità da gas naturale.
Entrambi utilizzano il calore che normalmente andrebbe perso, infatti le centrali a
ciclo combinato sfruttano il calore generato per produrre elettricità.
In tali sistemi vengono associate una centrale a turbogas ed un gruppo a vapore: in
modo tale che il calore residuo dei fumi in uscita del gruppo turbogas viene utilizzato
per produrre vapore, facendo cosi’ aumentare il rendimento fino al 56%. Da
sottolineare che le centrali a ciclo combinato hanno costi minori di costruzione e
manutenzione ed hanno un’affidabilità di funzionamento maggiore.
La cogenerazione
Tra gli utilizzi più innovativi del gas naturale un ruolo di primo piano spetta alla
cogenerazione cioè la produzione combinata di energia elettrica e calore. Il concetto
è basato sul recupero e sull’uso dei residui di calore prodotti durante la generazione
di elettricità, si tratta quindi di un processo che ottimizza l’impiego delle risorse
energetiche con notevoli benefici economici ed ambientali.
Il gas naturale è il combustibile economicamente preferibile nelle applicazioni di
cogenerazione industriale e commerciale sia a causa dei costi fissi e di gestione più
bassi e sia perché risulta essere il combustibile fossile più pulito.
Sono attualmente in uso una varietà di tecnologie di cogenerazione del gas naturale,
compreso le piccole unità preimballate che includono tutti i componenti necessari per
un sistema di cogenerazione. Questi sistemi sono disponibili nei formati che variano
da 2,2 Kw a diverse centinaia di Mw ed in questi casi si parla di microgenerazione.
Grazie allo sviluppo tecnologico di nuove e più efficienti turbine e macchine
alimentate a gas naturale, la cogenerazione, un tempo sfruttata solo nella grande
industria, sta oggi diffondendosi anche nella piccola e media industria e nel terziario.
In particolare, i sistemi di cogenerazione rappresentano una soluzione efficace per
ridurre i costi di energia elettrica e di riscaldamento del 25% e di ridurre dell’1% le
emissioni di SO2 e della metà quelle degli NOX, rispetto a un impianto a base di
29
carbone o di petrolio, anche nel caso in cui quest’ultimo usi apparecchiature
antinquinamento.
Impatti e vantaggi ambientali
L’estrema versatilità fa del gas naturale uno dei combustibili più facili da usare,
mentre la scarsa presenza di elementi inquinanti ne fa un combustibile “a basso
impatto ambientale”. Bruciando il metano produce comunque anidride carbonica e
ossidi di azoto (NOX), ma in misura minore rispetto agli altri combustibili. Per quanto
riguarda l’anidride carbonica è stato valutato che, a parità di energia prodotta, le
emissioni di anidride carbonica provocate dalla combustione del metano sono
inferiori del 25% e del 40% rispetto a quelle prodotte dalla combustione dei derivati
del petrolio del carbone. Altro vantaggio del metano è quello di essere quasi
invisibile sia in fase di trasporto terrestre che di distribuzione nelle città in quanto i
tubi sono interrati e solo le centrali di pompaggio sono a livello del suolo. Inoltre il
metano è un combustibile ecologico per l’autotrazione perché a basso contenuto di
carbonio che non contiene composti aromatici, zolfo e piombo; questo fa si che le
vetture alimentate a metano emettano il 25% in meno di anidride carbonica (minor
impatto sull’effetto serra), non producono particolato, emettano minori quantità di
monossido di carbonio, di ossidi di azoto ed idrocarburi incombusti ed infine sono
trascurabili le emissioni di biossido di zolfo , principale causa delle piogge acide.
Il metano può essere dannoso per l’ambiente se si disperde allo stato naturale
perché è uno dei cosiddetti “gas serra”, perché una volta raggiunta la parte più alta
dell’atmosfera si ferma e vi rimane per molti anni, contribuendo a formare quello
strato di gas che, impedendo al calore solare riflesso dalla terra di disperdersi,
provoca l’innalzamento della temperatura terrestre (effetto serra).
Ecco perché è importante che il metano venga trasportato riducendone al minimo,
cercando di azzerare le perdite: oltre lo spreco di una risorsa preziosa, infatti si corre
il rischio di contribuire ad un fenomeno potenzialmente pericoloso per l’umanità.
30
Speciale attualità: RIGASSIFICATORI
Un rigassificatore, argomento quanto mai in voga, è un impianto che permette di
riportare lo stato fisico di un fluido dallo stato liquido a quello gassoso.
Questo perché solitamente il gas viene trasformato in liquido, mediante forte
abbassamento della temperatura per poter essere trasportato in cisterne o navi
cisterna e ritrasformato nello stato aeriforme per poi essere immesso nelle
condutture della rete di distribuzione.
Verrebbe da chiedersi perché sia necessario questo passaggio di stato del
fluido?
Questa soluzione viene adottata quando il luogo di produzione del gas naturale è
lontano dal luogo di utilizzo e non esiste un collegamento mediante gasdotti.
Il tutto perché il trasporto in forma liquida è conveniente rispetto al trasporto in forma
gassosa grazie alla densità molto superiore, che richiede volumi di trasporto molto
inferiori. Poi una volta raggiunto il Rigassificatore il metano viene immagazzinato in
un contenitore criogenico e riportato in forma gassosa e immesso nella rete quando
ve n’è bisogno.
Ma il gas manca in Italia?
In Italia il gas oggi arriva, tramite gasdotti, oltre che dalla Russia, anche dall’Olanda,
Norvegia, Libia, Algeria. Pare che gli attuali gasdotti non siano sufficienti e che il gas
manchi in Italia; ciò nonostante le grandi multinazionali del gas stanno vendendo gas
all’estero, evidentemente guadagnandoci di più nell’esportarlo.
Il gas è una soluzione per il futuro?
Evidentemente no, visto che il gas naturale è un combustibile fossile, visto che
aumenterà la nostra dipendenza strategica dall’estero e visto che, all’inevitabile e
costante aumentare del costo, il suo acquisto inciderà sempre più pesantemente
sulla nostra bilancia dei pagamenti. L’idea è di importarlo ma il giusto necessario.
I rigassificatore sono preferibili ai gasdotti?
Visto che siamo al centro delle maggiori zone mondiali di produzione di gas, a cui
siamo collegati da una fitta rete, ulteriormente potenziabile, di gasdotti.
I rigassificatore sono una soluzione per l’ emergenza?
Considerato che ci vogliono anni per costruirli e soprattutto per costruire le navi
gasiere necessarie per il loro funzionamento.
E’ vero che il gas fornito dai rigassificatore è preferibile per l’ambiente, almeno
tra tutti i combustibili fossili?
31
Evidentemente no, visto che i rigassificatore sono localmente inquinanti e che il
sistema navi gasiere-rigassificatori, aumenta notevolmente l’EFFETTO SERRA
globale.
Infine i rigassificatore sono impianti sicuri?
Sono impianti pericolosi perché una fuga di gas liquefatto per grave incidente può
provocare incendi ed esplosioni per un raggio di 55 Km.
Nonostante tutto questo i rigassificatore vengono spesso presentati oggi come i
salvatori della patria; solo in Italia ci sono una decina di progetti di rigassificatore,
che, viste le potenzialità, sono destinati a fornire gas a mezza Europa.
Caso estremo: costa pisano-livornese
Sulla costa pisano-livornese si vuole addirittura costruire il primo rigassificatore al
mondo, su terminale galleggiante, di una tipologia mai costruita finora per la sua
inaffidabilità e pericolosità. Un rigassificatore a 12 miglia dalla costa dove esistono:
•
una raffineria Agip petroli e i relativi depositi petroliferi,
•
Camp Darby e i suoi ingenti depositi di armi ed esplosivi anche non
convenzionali,
•
gli impianti per il gas di petrolio liquefatto ed il relativo grande deposito,
•
altri impianti a rischio di incidente rilevante.
Infine il sito in questione è una zona sismica ed è nel bel mezzo di una zona di forte
rilievo naturalistico.
32
Gli atomi radioattivi
Un po’ di storia
Nel corso del XX secolo sono state compiute le fondamentali ricerche che hanno
portato alla fissione dell'atomo, far tutte quelle dei coniugi Curie che, nel 1934, hanno
rilevato il primo caso di radioattività artificiale.
In realtà le scoperte scientifiche che portarono alla possibilità di utilizzare l’energia
nel nucleo atomico risalgono al 1895 con la scoperta della radioattività naturale in
alcuni elementi da parte di Henry Bequerel. Nel 1932 fu l'anno in cui J. Chadwick
ottenne la conferma sperimentale dell'esistenza del neutrone, di fondamentale
importanza per indurre il processo di fissione con successiva liberazione di energia
che venne intuito solo nel 1938 da Lise Meitner, leggendo assieme al nipote Otto
Frish una comunicazione inviatale da Otto Hahn. Queste scoperte permisero a Fermi
di avviare nel 1942 il primo "reattore nucleare", con una potenza di circa mezzo watt
e dimostrare che la reazione di fissione era attuabile e controllabile. Nel novembre
del 1943, a meno di un anno dalla prima macchina di Fermi, entrò in funzione a
Clinton, nello stato del Tennessee, il primo reattore al mondo, con una potenza di 3.5
megawatt termici. Tra il 1940 e il 1945 venne compiuto negli Stati Uniti un balzo
senza precedenti, anche se purtroppo l'obbiettivo fu la costruzione della bomba
atomica, questo immenso sforzo scientifico, tecnologico e industriale ebbe grandi
ricadute sulle applicazioni pacifiche dell'energia nucleare. La prima centrale nucleare
finalizzata alla produzione di energia elettrica da immettere sul mercato risale,
invece, al 1956 ed è stata realizzata presso
in Inghilterra.
VM
Per quasi tutta la seconda metà del secolo
scorso, la produzione di energia elettrica da
combustibile nucleare è cresciuta, fino a
coprire il 17% della produzione di energia
elettrica mondiale. In particolare, all’inizio
del 2006, nel mondo vi erano 441 centrali
nucleari attive e 27 in costruzione. In termini
di contributo in percentuale dell'energia
nucleare alla produzione di energia elettrica
domestica è in testa la Lituania, con l'80%,
seguita da Francia (78%), Slovacchia (57%),
Belgio (55%) e Svezia (50%).
La nascita dell’ energia nucleare come fonte concreta di energia si può far risalire
verso la metà degli anni sessanta, quando se ne dimostrò la competitività
33
economica. Lo sviluppo fu inizialmente assai accelerato, ma successivamente ebbe
un rallentamento legato all'incidente di Three Mile Island (1979) e Chernobyl (1986).
Quest' ultimo incidente è stato molto più grave e per questo ha avuto un notevole
impatto sull'opinione pubblica, a tal punto che in Italia, a seguito di un referendum
popolare, nel luglio del 1990, l'impiego dell'energia nucleare per la produzione di
energia elettrica è stato completamente abbandonato e le due centrali nucleari
esistenti sono state chiuse.
Che cos’è l’energia nucleare?
La parola greca “atomo” deriva dal greco e significa “indivisibile” ed è la parte più
piccola di ogni elemento presente in natura che ne conserva le proprietà chimiche e
che fu per lungo tempo ritenuto indivisibile.
In realtà, esso è costituito da un nucleo costituito da protoni e neutroni e circondato
da elettroni in grado di promuovere reazioni chimiche che possono produrre energia.
L'impiego dell’ energia nucleare nasce dalla possibilità di utilizzare le grandi energie
presenti nel nucleo dell’atomo, ben maggiori rispetto alle energie ottenute da reazioni
chimiche dove il nucleo dell’atomo non è coinvolto. L'energia nucleare può essere
prodotta sia attraverso la fissione nucleare, cioè la separazione dei nuclei di
materiali radioattivi pesanti, che attraverso la fusione, l’unione di nuclei di elementi
leggeri. Delle due reazioni, la fissione è l'unica realizzabile e controllabile dall’uomo,
con i necessari accorgimenti tecnici legati alla prevenzione degli incidenti ed alla
gestione delle scorie radioattive.
Invece, per quanto riguarda la fusione, essa non è ancora realizzabile per periodi di
tempo sufficienti ad una produzione continua di energia. Infatti, non esiste ancora
alcun dispositivo in grado di contenere e mantenere "confinato" per un tempo
sufficiente l'idrogeno alle altissime temperature che rendono possibile l'aggregazione
dei nuclei.
A cosa serve il nucleare?
Il calore che si genera durante la fissione nucleare deriva principalmente dal
rallentamento dei nuovi nuclei prodotti: è possibile quindi riscaldare un fluido,
chiamato fluido termovettore in grado di mettere in movimento una macchina
operatrice, come ad esempio, una turbina. L'energia meccanica viene poi convertita
in elettricità da un alternatore collegato ad una turbina.
I combustibili nucleari sono utilizzati, per esempio, per produrre energia nelle grandi
navi e sottomarini. L'energia fornita dai motori nucleari serve sia per muovere le
eliche che per tutti gli altri servizi di bordo.
34
In passato erano state proposte applicazioni dell’energia nucleare nel campo del
teleriscaldamento e della propulsione aerea, soluzioni scartate per motivi o
economici o di sicurezza. A seguito di tali valutazioni, sono state abbassate le
temperature a cui lavorano molte centrali nucleari alcune delle quali ancora in
funzione, riducendone così la pericolosità, ma anche il rendimento. Così modificato,
un reattore nucleare fornisce calore ad una temperatura inferiore rispetto a una
centrale termoelettrica alimentata in maniera tradizionale.
Oggi sembrano invece profilarsi altri utilizzi dell’energia nucleare, quali nuovi reattori
per applicazioni spaziali e per la produzione di idrogeno.
Nella produzione di energia si cerca di ottenere dei rendimenti sempre più alti per un
miglior utilizzo delle risorse ed una migliore economicità del prodotto. Nel caso delle
centrali nucleari è possibile ottenere calore ad una temperatura molto elevata ma
considerazioni legate al buon funzionamento della macchina ed ai limiti dei materiali
coinvolti, fa si che nelle usuali centrali nucleari ad oggi in funzione il rendimento sia
inferiore alle più moderne centrali a combustibili fossili.
Dove si trova il nucleare?
Come per le altre risorse energetiche non rinnovabili, quali carbone, petrolio e gas
naturale, è necessario chiedersi: quanto combustibile nucleare sia disponibile sulla
Terra e a quale prezzo? In natura è presente un' enorme quantità di uranio naturale,
in particolare gli oceani ne contengono circa un miliardo di chilometri cubi.
Le riserve di uranio certe estraibili, al 2005, al costo di circa 80 dollari al chilo sono 3
milioni di tonnellate (sufficienti a coprire il fabbisogno di combustibile dei 441 reattori
in funzione per i prossimi 70 anni).
Al costo di 260 dollari ne sono disponibili altri 19 milioni di tonnellate, mentre al costo
di 1000 dollari al chilo si potrebbero recuperare 20 miliardi di tonnellate dall’acqua del
mare (nel terreno ci sono 4 - 5 milligrammi per chilo di terreno; nel mare 3 - 4
milligrammi di uranio per tonnellata d’acqua). Anche il Torio è un elemento fissile: le
sue riserve potrebbero integrare quelle dell'uranio con reattori progettati all’uopo.
Tutto questo senza considerare l’impiego dei reattori “autofertilizzanti" in grado di
produrre a loro volta combustibile fissile: in tal caso il combustibile nucleare
diventerebbe pressoché inesauribile in prospettiva futura.
Bisogna inoltre ricordare che l'incidenza del combustibile sul costo dell’energia
elettrica prodotta per via nucleare è di circa il 15%, dove petrolio e gas incidono
circa per l'80% anche se i costi relativi ai reattori nucleari vanno valutati tenendo
conto dell'intero ciclo dell'energia nucleare, che è molto più complesso di quello delle
altre risorse energetiche. Tali costi comprendono, infatti: il ciclo intero del
35
combustibile, la costruzione, la gestione e la sicurezza dell'impianto, compresi i casi
d'emergenza, lo smaltimento delle scorie e l'eventuale smantellamento dell'impianto.
Inoltre, è necessario valutare l'economicità e l'efficacia degli impianti di
riprocessamento che trattano il combustibile nucleare già utilizzato nei reattori e
consentono di recuperare l'uranio non ancora "bruciato".
Cosa si intende per fissione nucleare?
Per fissione s'intende la rottura del nucleo in due o più frammenti più piccoli mediante
l'azione di neutroni opportunamente rallentati su nuclei molto pesanti detti
"fissionabili", quali l’uranio 235, il torio 232, il
plutonio 239 ecc. I principali effetti di questo
fenomeno sono la liberazione di una grande
quantità
di
energia
e
l'emissione
contemporanea di 2-3 neutroni che possono
VM
fungere da veicolo di reazione, provocando
nuove fissioni e innescando così una reazione
a catena.
L’energia che si libera nel corso di processi di fissione dei nuclei, se tenuta
rigorosamente sotto controllo, può essere sfruttata per produrre elettricità. Alcuni di
questi elementi pesanti, come l'uranio 235 (92 protoni e 143 neutroni), si trovano in
giacimenti e per ottenerli è necessario estrarli dal sottosuolo.
Altri, come il plutonio 239 o l'uranio 233, vengono prodotti artificialmente dall'uomo.
L’uranio in natura è presente prevalentemente sotto forma di uranio 238 (non fissile)
e solo in piccola parte di uranio 235 (0,71 %).
E per fusione nucleare?
La fusione nucleare è il processo con cui da tempo immemorabile si sprigiona
energia nel sole e nelle stelle per le reazioni di fusione tra nuclei di idrogeno.
Nel caso della reazione di fusione, si parte da nuclei molto leggeri, fino a provocare
la loro aggregazione. Fondendosi, i nuclei diventano più pesanti e cedono energia
durante il processo di fusione: ad esempio, un miscuglio di nuclei di idrogeno (1
protone), deuterio e trizio (1 protone e rispettivamente 1 e 2 neutroni) può portare
all'innesco di una reazione che, attraverso vari passaggi, porta a costruire nuclei di
carbonio. Affinché la reazione avvenga, le due particelle reagenti devono essere
dotate di energia cinetica sufficiente a superare la barriera repulsiva dovuta alla
carica elettrica dei nuclei e ciò significa che si devono raggiungere temperature
altissime, alle quali la materia si trova allo stato di plasma.
36
La più studiata fra le reazioni possibili, perché meno difficile, è la “deuterio più trizio”
con temperatura di innesco dell’ordine di 100 milioni di gradi centigradi. Il deuterio è
un isotopo, cioè un atomo di un elemento con lo stesso numero di protoni e diverso
numero di neutroni, dell’idrogeno, il cui nucleo è costituito da un protone più un
neutrone; esso è presente nell’acqua nella proporzione di 1 su 7.000 atomi di
idrogeno normale, quindi è praticamente inesauribile. Il trizio è un altro isotopo
dell’idrogeno, costituito da un protone più due neutroni; è radioattivo con tempo di
dimezzamento di 12 anni e viene prodotto bombardando litio con neutroni. Il litio è
dunque indirettamente la materia prima energetica.
Cos’è la radioattività?
La radioattività è un fenomeno fisico per cui nuclei instabili si trasformano in nuclei di
altri elementi o in isotopi dei nuclei di partenza, emettendo particelle. I diversi nuclei
radioattivi possono decadere verso stati più stabili con tempi che variano da pochi
milionesimi di secondo a diversi miliardi di anni.
La radioattività, presente naturalmente nell’ambiente terrestre, a causa delle sue
proprietà ionizzanti ha effetti biologici sull’uomo che sono sfruttati nella diagnostica
medica (radiografie, scintigrafie, Tac, Pet.) e nelle terapie antitumorali (radioterapia,
terapia neutronica con cattura di boro, adroterapia) ma possono essere nocivi se non
attentamente somministrati. Infatti oltre un certo limite, le radiazioni possono
diventare molto pericolose per la salute umana anche in relazione alla durata
dell'esposizione.
La radioattività è pericolosa soprattutto se caratterizza elementi con un "tempo di
dimezzamento" (tempo indispensabile affinché avvenga la trasformazione in altri
nuclei) che può durare millenni e in grado di fissarsi stabilmente nel corpo umano o
di altre specie viventi. La radioattività è utilizzata anche per sterilizzare e per
indagare le proprietà ed i difetti dei materiali da costruzione.
La produzione di scorie nucleari, generando elementi radiotossici, è estremamente
importante e delicata nel ciclo di produzione dell’energia nucleare e grande
attenzione deve venire posta affinché nessuna situazione possa mettere in contatto
elementi radioattivi con persone umane.
Come funziono le centrali elettronucleari?
Una centrale nucleare consente di produrre vapore senza utilizzare combustibili
fossili. Il reattore nucleare si comporta come una qualunque caldaia e il vapore così
generato può essere utilizzato per azionare una turbina connessa ad un generatore
di elettricità.
37
In particolare, il "cuore" del reattore di una centrale nucleare a fissione si dice
"nocciolo" e, di solito, ha forma cilindrica. Il nocciolo è immerso in un fluido, per
esempio acqua, ed è formato da barre di uranio, anch'esse cilindriche, lunghe circa 3
metri e con un diametro di qualche centimetro. Intervallate ad esse, vi sono delle
barre di controllo movimentabili meccanicamente capaci di assorbire neutroni
proporzionalmente al loro inserimento nel nocciolo. In questo modo la reazione a
catena viene controllata e, se necessario, può essere anche arrestata. Nei reattori di
tipo più comune l'acqua contenuta nel nocciolo, riscaldata dalla fissione dell'uranio,
viene fatta circolare da una pompa fino a uno scambiatore di calore in cui si raffredda
producendo del vapore che, a sua volta, fa girare la turbina della centrale.
Figura 1: Centrale nucleare in Belgio.
(Fonte www.greenpeace.org)
Un reattore si caratterizza per tipo di combustibile, di refrigerante e per l'architettura
interna del nocciolo. Esistono due tipi di reattori:
•
Reattori ad acqua leggera: sfruttano come combustibile delle barrette del
diametro di circa 1 cm di ossido di uranio arricchito in uranio 235
(arricchimenti di circa il 3%). L'acqua circolando tra le barrette di combustibile
svolge sia la funzione di moderatore rallentando i neutroni nati veloci dal
processo di fissione, sia quella di refrigerante, asportando l’energia ceduta
all’atto della fissione. Tutto il nocciolo è contenuto in un recipiente a pressione
d'acciaio, in cui vi sono aperture per l'ingresso e l'uscita del refrigerante.
Intorno al recipiente e alle parti attive del reattore sono predisposti degli
schermi per assorbire le radiazioni nucleari: lo schermo termico, in metallo,
assorbe prevalentemente le radiazioni gamma, quello biologico, in
calcestruzzo, i neutroni. Naturalmente hanno grande importanza i sistemi di
38
sicurezza e di emergenza necessari per far fronte agli eventuali incidenti
d’impianto.
Figura 2: Schema di una centrale nucleare (fonte www. geocities.com)
•
Reattori ad acqua pesante: impiegano come combustibile l'uranio naturale,
non arricchito. Esistono inoltre reattori di concezione più avanzata, detti
"veloci", che vengono raffreddati con metallo liquido e funzionano con
combustibile fortemente arricchito convertendo l'uranio 238 in plutonio senza
utilizzare un moderatore che rallenti i neutroni. Il reattore francese
Superphenix, produce 1.200 megawatt elettrici con un rendimento
complessivo del 40%. Tali impianti sono molto attraenti per la loro capacità di
produrre nuovo combustibile fissile ma mostrano delle complessità
tecnologiche superiori a quelle dei reattori ad acqua ed un costo dell’energia
superiore.
Come funziona il reattore a fusione?
Il principio di funzionamento del reattore a fusione si basa sulla capacità di unire
atomi leggeri (gli isotopi dell’idrogeno deuterio e trizio) in un atomo di elio (fusione).
Nella fusione solo se due nuclei vengono posti ad una distanza sufficientemente
piccola interviene la forza di attrazione nucleare che li fa unire.
Il problema è che questa forza è che questa forza agisce solo a cortissimo raggio,
dell’ordine di mille miliardesimi di millimetro, e poiché i nuclei che si vogliono far
fondere sono entrambi carichi positivamente, quando si mettono uno vicino all’altro
tendono a respingersi a causa della repulsione elettrostatica che si fa sentire su
39
distanze maggiori e ne ostacola il processo. Per riuscire ad infrangere tale barriera, i
nuclei devono essere in uno stato di eccitazione raggiungibile solo a temperature di
oltre cento milioni di gradi, condizione in cui gli atomi vengono spogliati della propria
“corteccia” di elettroni: a queste condizioni che la fusione avviene naturalmente.
Proprio l’enorme temperatura necessaria per il plasma di fusione ha impedito finora
la realizzazione industriale di un reattore a fusione.
Quali sono i principali vantaggi dell’energia nucleare?
Innanzitutto va detto che a parità di elettricità prodotta l’energia nucleare viene
considerata una delle risorse a minore impatto ambientale perché non è fonte di
emissioni inquinanti, quali solfuri, polveri, o gas responsabili dell’effetto serra.
Altro aspetto che depone a suo favore è dovuto al fatto che, dove utilizzata, consente
di ridurre notevolmente lo sfruttamento delle riserve di combustibili fossili. Un
ulteriore vantaggio della fusione nucleare è che il funzionamento del reattore esclude
rischi di perdita di controllo poiché la quantità di combustibile usata per la reazione e
presente all’interno del reattore è ridotta (solo pochi grammi) e avviene in una decina
di secondi nei quali la seppur minima perturbazione all’interno del reattore fa
raffreddare il plasma con conseguente arresto spontaneo delle reazioni di fusione.
I reattori a fissione, invece, contengono grandi quantità di combustibile nucleare
(uranio) ed, in caso di incidente, anche se la reazione a catena, il calore prodotto
all’interno può fondere il nocciolo del reattore e liberare i prodotti radioattivi con gravi
conseguenze.
Problemi ambientali causati dall’uso di energia nucleare?
Il problema ambientale delle centrali nucleari è costituito dai rischi di incidente e
conseguente rilascio di materiale radioattivo anche con conseguenze molto gravi,
come è avvenuto nel famoso disastro di Chernobyl.
Appare evidente, quindi, che l’impatto di una centrale
nucleare sul territorio non è dovuto tanto alle sue
dimensioni ma alla sicurezza degli impianti e dalla
protezione della popolazione. In un reattore nucleare
per la produzione di energia è presente un’attività
equivalente a circa 1000 tonnellate di radio, ed in caso
di incidente, gli elementi radioattivi, dispersi nell’aria in
quantità pericolose per l’uomo e l’ambiente, possono
essere trasportati anche a migliaia di chilometri di
40
VM
distanza dai venti.
Altro grande rischio è connesso al normale smaltimento delle scorie radioattive, per
gli isotopi radioattivi occorre prevedere un deposito controllato trai 500 ed i 700 anni,
mentre nel caso del plutonio, si parla di centinaia di migliaia di anni.
I principali problemi legati alle scorie nucleari sono legati alla localizzazione dei
depositi,luoghi instabili dal punto di vista geologico. Quindi,quando si decide di
costruire una centrale nucleare si deve tenere conto anche della necessità di avere a
disposizione depositi adatti a ricevere le scorie radioattive e impianti di estrazione del
plutonio dal combustibile irradiato.
In realtà la quantità di scorie prodotte dal nucleare è di gran lunga inferiore di quella
prodotta bruciando combustibili fossili. Sottolineamo infine che una gran parte dei
prodotti radioattivi del ciclo di combustibile nucleare ha una radioattività simile o non
molto superiore a quella del fondo naturale e questa parte di rifiuti è abbastanza
facile da gestire. Solo un piccola frazione è ad alta radioattività e richiede di essere
isolata.
FONTI:
Press – Siever, 2006, Capire la terra;
BUTERA F. M., 2004, Dalla caverna alla casa ecologica;
ENEA, 2003, collana Opuscoli Energia;
PALLANTE M., 2004, Un futuro senza luce - come sopravvivere al black out senza
costruire nuove centrali;
SITI:
www.enea.it
www.ilsolea360gradi.it
www.enel.it
www.eniscuola.it
www.arpa.it
www.geocities.com
www.greenpeace.it
www.regione.emilia-romagna.it
www.ermesambiente.it
41
Scarica

Manuale per gli insegnanti - fonti rinnovabili - ER Energia