Giuseppe Gagliano STUDI POLITICO-STRATEGICI La conflittualità non convenzionale nel contesto delle ideologie e dei movimenti antagonisti del novecento Vol. II EDIZIONI NEW PRESS - COMO # Copyright 2007 by Edizioni New Press Como (Italy) I Edizione 2007 Stampa New Press - Como INDICE Introduzione Premessa 11 15 Parte prima 1. 2. 3. 4. La dinamica politica-strategica dell’EZLN Il neo-zapatismo nella analisi della Rand corporation Il concetto di NETWAR Ideologia e metodo di lotta dei nuovi movimenti 19 23 25 27 Parte seconda 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Il movimento anarchico USA L’Associazione ATTAC Il movimento anarchico europeo Metodi e scopi del Black Bloc Metodi e scopi del WSF Note su alcuni aspetti della teoria e della pratica dei Black Bloc Elenco delle associazioni che hanno organizzato il Forum di Porto Alegre Elementi di rilievo nel documento finale di Porto Alegre Metodi e scopi dei CSA italiani Organigramma dei CSA secondo la connotazione ideologica Organigramma dei CS secondo la distinzione geografica La presenza della conflittualità non convenzionale in America Latina Note su alcuni Networks messicani La democrazia partecipativa nella riflessione di Hilary Wainwright Il movimento contro le dighe in India Il movimento contro le Sweatshop La lotta di resistenza nell’Amazzonia ecuadoriana Attivismo Jamming 33 34 35 36 38 42 45 46 47 50 52 53 54 56 58 60 62 65 19. Modalità operative della conflittualità non convenzionale in Iraq e Palestina 68 Parte terza 1. Il mondo letto attraverso l’analisi del World Watch Institute 2. Il mondo letto attraverso l’analisi del Social Watch (Rapporto 2004) 3. Il mondo letto attraverso l’analisi dell’Associazione Società Informazione ONLUS 4. La realtà internazionale letta attraverso la rivista ‘‘Giano’’ 5. La realtà internazionale letta attraverso l’Archivio Disarmo 6. Pace e non violenza secondo l’IPRI 7. La filosofia politica di Porto Alegre Premessa Parte prima Parte seconda 73 75 77 80 83 85 87 87 87 89 Parte quarta 1. 2. 3. 4. 5. Il mondo cattolico italiano e la globalizzazione L’analisi dell’ACC L’analisi dell’IGC I COBAS: metodi, scopi e anti-globalizzazione Aspetti dell’anti-militarismo sardo 95 98 99 100 103 Parte quinta 1. Premessa 2. La riflessione pedagogica di Paolo Freire 3. La riflessione pedagogica di Filippo Trasatti Documento: Intervista di Filippo Trasatti a Raffaele Mantegazza 4. La riflessione pedagogico-libertaria di Marcello Bernardi 5. La riflessione pedagogica di Raffaele Mantegazza 6. La riflessione pedagogica di Ernesto Balducci 7. La riflessione pedagogica di Lamberto Borghi 8. Aspetti della pedagogia anti-autoritaria francese del Novecento 9. Pace e educazione della pedagogia del Novecento 107 108 110 111 113 115 116 117 118 120 Parte sesta 1. Premessa. Il dissenso religioso e la conflittualità non convenzionale 6 125 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Il dissenso cattolico tra gli anni Quaranta e Cinquanta Il Sessantotto e i cattolici L’antagonismo catto-pacifista secondo Massimo Teodori Alex Zanotelli Don Milani Pacifismo e no-global nella interpretazione dei Beati Costruttori di Pace Pax Christi: organizzazione, pacifismo e no-global Organizzazione Principali iniziative Principali tematiche tratte da ‘‘Mosaico di Pace’’ Postilla storica Giorgio La Pira Premessa alla Teologia della liberazione Leonardo Boff L’America Latina interpretata dalla rivista ‘‘LatinoAmerica’’ Il contributo di Enrique Dussel all’antagonismo religioso 126 129 130 131 134 136 139 139 140 142 146 148 150 153 156 161 Parte settima 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. Premessa Guerra e diritto nella riflessione giuridico-politica di De Fiores Guerra e diritto nella riflessione filosofico-politica di Zolo La globalizzazione nella interpretazione di Ramonet La riflessione anti-realista di Ekkehart Krippendorf La riflessione ecopacifista di Arn Naess La riflessione sulla democrazia partecipativa e sulla non violenza di Aldo Capitini La riflessione filosofica-politica di Giuliano Pontara La riflessione politico-religiosa di ‘‘Re Nudo’’ La riflessione femminista della Ruddick Note sulla conflittualità non convenzionale in Danilo Dolci Stato e libertà secondo Murray Rothbard La diplomazia dal basso come alternativa al realismo politico 165 166 169 171 174 176 177 180 183 185 186 188 189 Parte ottava 1. Il dissenso non convenzionale nella riflessione politica di lingua inglese nel mercato 2. La riflessione politica di Chomsky 3. Aspetti biografici di Emma Goldman 4. La riflessione politica di Emma Goldman 7 193 194 200 203 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. La riflessione politica di Goodman La riflessione politica di Ward La riflessione politica di Zinn Note sul dissenso di Russell Note sul dissenso pacifista di A.J. Muste Note sul dissenso di Aldous Huxley Note sulla conflittualità non convenzionale in Herbert Marcuse Il dissenso non convenzionale nel contesto dei network americani 1. Alternet 2. IAC 3. USLAW 4. PGA 205 208 210 214 216 218 220 221 221 221 222 222 Parte nona 1. Premessa 2. Modalità operative della conflittualità non convenzionale in Gandhi 3. Modalità operative della conflittualità non convenzionale in Mandela 4. Note sulla conflittualità non convenzionale in M.L. King 5. Postilla 227 228 233 236 240 Parte decima 1. Il dissenso anti-militarista nella comunità scientifica italiana del Novecento 2. Il dissenso dell’USPID 3. Il dissenso del PUGWASH 4. Il dissenso del CISP 5. Il nuovo Modello di Difesa alla luce dell’ideologia pacifista 6. L’anti-americanismo rivoluzionario nel Campo anti-imperialista 7. Il dissenso antagonista nel Centro Gandhi 8. Il dissenso antagonista nella Fondazione Venezia per la Ricerca sulla pace 9. Tom Benetollo e l’antagonismo non violento dell’ARCI 245 247 248 250 252 255 256 259 263 Parte undicesima 1. Note sulla riflessione filosofico-politico di Ernesto Balducci 2. Pace e non violenza secondo Cipriani e Minervini 3. Pace e Guerra nel saggio di Mazzolari ‘‘Tu non uccidere’’ 8 269 272 276 4. Note sulla riflessione non violenta di Lanza Del Vasto 5. L’Osservatorio internazionale della Odadrek di fronte alla guerra del Kossovo 6. Informazione, scienza e guerra secondo il Comitato scienziate e scienziati contro la guerra 7. Neutralismo e disarmo nucleare nelle riflessioni di Edward Thompson 8. L’etica planetaria secondo il Dipartimento di Filosofia della Università di Macerata 280 284 287 290 293 Parte dodicesima 1. ODC: una conflittualità non convenzionale legalizzata 1. Premessa 2. Note sulla riflessione pacifista di Tolstoj 3. Note sull’anti-militarismo del Partito Radicale Italiano 297 297 302 304 Parte tredicesima 1. 2. 3. 4. Premessa L’anti-militarismo in Stanley Kubrick L’antagonismo rivoluzionario nel cinema Nôvo L’anti-militarismo in Marco Bellocchio 309 310 313 315 Parte quattordicesima 1. Premessa 2. La conflittualità non convenzionale della CMD e del Comitato dei 100 3. La conflittualità non convenzionale di fronte alla guerra di Algeria 4. La conflittualità non convenzionale contro il riarmo atomico in Germania 319 320 322 325 Parte quindicesima 1. 2. 3. 4. 5. 6. Premessa Antagonismo ecologico Note sull’antagonismo anti-vivisezionista radicale Note sull’antagonismo radicale dell’ALF Note sull’antagonismo di Greenpeace Considerazioni finali 9 329 330 332 335 337 340 Appendice I 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. Voci per un dizionario del Sessantotto Il Sessantotto secondo l’interpretazione di Fo e Parini Aspetti storico-ideologi del Sessatotto L’interpretazione del Sessantotto e del Settantasette di Moroni Il Sessantotto secondo l’interpretazione di Capanna Note sul dissenso cattolico L’interpretazione del Sessantotto secondo Paul Ginsborg L’interpretazione del Sessantotto secondo Piero Bernocchi Introduzione al Movimento studentesco Aspetti della cultura underground tra gli anni Sessanta e Settanta Aspetti della controcultura L’interpretazione del Settantasette secondo Piero Bernocchi L’interpretazione del Settantasette di Derive e Approdi Il movimento del Settantasette secondo la casa editrice Odadrek Note storiche sul movimento del Settantasette Note sull’ala creativa del movimento del Settantasette 343 347 349 357 361 363 365 367 369 374 376 377 379 389 384 386 Appendice II 1. Premessa 2. Organizzazioni e associazioni internazionali nel Patto di Varsavia di Reinhard Gehlen 3. La conflittualità non convenzionale di VittorFranco Pisano 4. Premessa 5. Documento n. 1: A come anarchia in tutte le sue anime (SISDE) Documento n. 1a: L’eversione anarchica (ROS) 6. Documento n. 2: Infiltrati e guerra psicologica sconfissero le Pantere Nere (SISDE) 7. Documento n. 3: Rapporto sull’estremismo (Ufficio della polizia federale svizzera) 8. Documento n. 4: Il potenziale di violenza nel movimento anti-globalizzazione (Ufficio della polizia federale svizzera) 9. Documento n. 5: Relazione sull’estremismo anarco-comunista in Germania (Bfv) 10. Documento n. 6: Asimmetria e conflittualità non convenzionale nell’antagonismo gandhiano e anarchico di Jacques Baud 11. Documento n. 7: Guerra psicologica e antagonismo in Attac di Lucas/Tiffreau Bibliografia 389 390 399 403 404 417 422 427 441 454 494 499 507 10 INTRODUZIONE Nella I parte abbiamo deciso di prendere in attenta considerazione l’EZLN grazie alla sua fondamentale importanza non solo per la storia messicana (e dell’America Latina) ma soprattutto perché costituisce un movimento paradigmatico per buona parte dei nuovi movimenti che si sono sviluppati in Europa e in America. Per analizzarlo ci siamo serviti degli ormai classici studi di ARQUILLA e RONFELDT della Rand Corporation di cui condividiamo l’impostazione e le preoccupazioni. Dopo aver illustrato gli aspetti salienti del concetto di Netwar, abbiano cercato di individuare alcune costanti dei nuovi momenti usando una griglia semplice — ma efficace — che si snoda in sei aspetti: 1) 2) 3) 4) 5) 6) Origine del movimento Struttura organizzativa Metodi o tecniche di lotta Il nemico l’Apparato ideologico o la visione del nemico La/le reazione/i delle istituzioni (civili e militari). Dopo averla illustrata abbiano ritenuto utile applicarla a diversi casi specifici (come Attac, il FSMI, i Black Bloc o i CSA italiani). Nella II parte, abbiamo posto l’enfasi sul ruolo dei nuovi movimenti in America Latina e sulla riflessione politica dell’attivista (e giornalista) inglese Wainwright riflessione assai significativa perché sottolinea il formarsi — a partire da Porto Alegre — e il graduale consolidarsi di una nuova forma di democrazia: quella partecipativa. La III è stata strutturata in appendici in modo da sottolineare — a diversi livelli di profondità — il ruolo di associazioni (nazionali e non), di riviste (esclusivamente italiane) e di intellettuali (italiani e non) che hanno contribuito — nel loro ambito — ad esprimere una filosofia del dissenso a vario titolo ora nei confronti delle strutture di potere in quanto tali ora nei confronti delle istituzioni che hanno maggiormente contribuito alla globalizzazione. Dissenso che, pur avendo connotazioni ideologiche differenti, presenta elementi di profonda continuità nell’ambito della pars destruens. 11 Nella IV parte abbiamo voluto mettere in evidenza alcune caratteristiche rilevanti al dissenso cattolico (che abbiamo approfondito in un secondo momento) e soprattutto del dissenso del sindacalismo antagonista di cui i COBAS sono indubbiamente esponenti autorevoli. Nella parte V, concentrando la nostra attenzione sul alcuni protagonisti della pedagogica antagonista, abbiamo voluto dimostrare il ruolo decisivo della guerra psicologica alla istituzioni dominanti attuata attraverso il dispositivo educativo, guerra psicologica che procedendo — direbbe Clausewitz — per logoramento vorrebbe raggiungere il traguardo ambizioso di costruire ‘un uomo nuovo’ conquistando spazi di potere accademico ed editoriale.Si pensi, a titolo di esempio, a Capitini o a Borghi. Nella parte VI abbiamo approfondito temi ed autori del dissenso cattolico allo scopo di dimostrare come la conflittualità non convenzionale abbia avuto modo di esprimersi al meglio proprio grazie al cattolicesimo progressista. Particolare attenzione — non a caso — è stata prestata alla teologia della liberazione. Nella parte VII abbiamo illustrato gli aspetti essenziali di alcuni autorevoli protagonisti della cultura del dissenso che hanno formulato una interpretazione della storia profondamente anti-realista. Nella parte VIII non potevamo esimerci dal presentare — in forma essenziale — la riflessione politica di alcuni storici protagonisti della cultura anglo-americana. Nella parte IX la nostra riflessione ha cercato di mettere a confronto — implicitamente — tre autori che, pur partendo da tecniche di conflittualità non convenzionale analoghe, sono giunti a conclusioni assai diverse in merito alla efficacia dell’azione non violenta (mi riferisco naturalmente a quelle di MANDELA). Nella sezione X abbiamo — in prima battuta — voluto porre l’enfasi sul ruolo di una parte della comunità accademica italiana nei confronti delle tematiche della guerra e della pace e, in seconda battuta, abbiamo altresı̀ sottolineato il ruolo di vero e proprio potere antagonista che oramai svolgono determinati centri o determinate associazioni nei confronti delle istituzioni (in particolare di quelle militari). Nella parte XI abbiamo voluto — brevemente — illustrare le riflessioni fondamentali per il pacifismo cristiano del novecento di MAZZOLARI e DEL VASTO alle quali abbiano fatto seguire un’analisi delle argomentazioni dei più noti raggruppamenti accademici italiani anti-militaristi e anti-USA. Infine, abbiamo esposto le celebri tesi di THOMPSON a favore del disarmo nucleare e del neutralismo politico. Nella parte XII abbiamo volutamente posto l’enfasi sulla istituzionalizzazione 12 dell’anti-militarismo attraverso l’ODC, difeso a livello filosofico da Tolstoj e a livello politico anche del PRI. Nella parte XII ci siamo limitati a prendere in considerazione alcuni celebri registi nei cui film l’anti-capitalismo e/o l’anti-militarismo costituiscono temi dominanti. D’altronde, la scelta del cinema come argomento da trattare nel contesto della CNV(acronimo per indicare la conflittualità non convenzionale, ndr), è fin troppo ovvio: indipendentemente dalle riflessioni di Baroni (v primo volume) risulta evidente la centralità dei mass-media come strumento di indottrinamento,di contro informazione e quindi di guerra psicologica.Il condizionamento attraverso l’immagine è indubbiamente più efficace rispetto alla parola scritta. Nella parte XIV, riprendendo la griglia interpretativa usata nella parte prima di questo volume, abbiamo analizzato alcuni esempi storici di CNV facendo riferimento al celebre studio di Teodori. Nella parte XV — infine — pur avendo omesso alcuni esponenti di rilievo dell’antagonismo ecologista radicale (pensiamo a ZERZAN e a CAMENISH), abbiano — in linea generale — cercato di dare un quadro abbastanza chiaro delle tendenze dell’ala ecologista più intransigente (rispetto al WWF, Lega Ambiente e Italia Nostra) del novecento. A conclusione del volume abbiamo posto due appendici strutturate nel modo seguente: — nella prima appendice abbiamo ritenuto indispensabile illustrare abbastanza estesamente la genesi della conflittualità non convenzionale a partire dal sessantotto e dal settantasette facendo riferimento a volumi considerati indispensabili — dal movimento antagonista — per una conoscenza approfondita di quei periodi. — Nella seconda appendice le riflessioni di Gehehen costituiscono oramai un classico dell’analisi politico-strategica della cold war, analisi utilissima ancora oggi, mentre quella del Col. Pisano rappresentano una breve ma estremamente significativa introduzione alla conflittualità non convenzionale. Altrettanto decisive — ci sono parse — le analisi del servizio segreto interno tedesco,della polizia federale svizzera,del sisde e del ros, di Baud — uno dei più significativi analisti strategici francesi contemporanei — e infine — di Lucas/Tiffreau analisti della Ecole de Guerre Economique istituzione francese all’avanguardia in Europa per lo studio della guerra psicologica applicata all’economia e all’antagonismo anti-capitalistico. 13 PREMESSA In primo luogo rispetto al primo volume — di natura strettamente teorica — il secondo volume svolge una rassegna ampia — ma non esaustiva — di associazioni, ong, riviste e di intellettuali che hanno teorizzato e/o praticato le tecniche della conflittualità non convenzionale e che hanno sostenuto orientamenti ideologici anti-militaristi, pacifisti o ecopacificisti etc. Nella maggior parte dei casi questi attori (istituzionali o meno), hanno attuato a livello di conflittualità non convenzionale ora la Guerra psicologica ora la Disobbedienza civile ora l’Agitazione sovversiva nei confronti di determinate istituzioni nazionali e sovranazionali allo scopo di modificarle spesso in modo strutturale. Questa analisi è stata possibile grazie agli illuminanti saggi di ARQUILLA e RONFELDT della Rand corporation, alle riflessioni di Pisano sulla conflittualità non convenzionale, agli studi di Di Nunzio e Rapetto sulle nuove guerre, alle riflessioni sulla ‘guerre psycologique’ della scuola strategica francese e,infine,grazie alle riflessioni dell’analista francese BAUD. In secondo luogo — prima di concludere — è opportuna una precisazione di ordine metodologico: il nostro studio ha avuto come scopo primario quello di individuare le principali tecniche non convenzionali e dunque asimmetriche all’interno degli approcci antagonisti, ma non ha avuto quello di compiere né un inquadramento storico — tranne che per il ’68 e il ’77 — né una esposizione teoricamente esaustiva degli attori coinvolti nella prassi antagonista. A tale proposito, questo volume presuppone da parte del lettore, una discreta conoscenza di base sul ruolo svolto dei movimenti antagonisti sul corso del novecento e sui principali protagonisti del dissenso laico e religioso. In terzo luogo, il lettore attento, non potrà non constatare la profonda continuità tra le modalità operative del ’68 e del ’77 e quelle attuali, continuità dovuta al fatto che non pochi protagonisti di quel periodo hanno perseguito la loro attività antagonista contro i medesimi obiettivi usando tecniche analoge. 15 Parte Prima 1. LA DINAMICA POLITICO-STRATEGICA DELL’EZLN 1. Metodi di lotta 1) La combinazione e l’adattamento hanno consentito efficienza, rapidità dell’esecuzione e spiazzamento dell’avversario. 2) L’Information warfare attraverso l’uso di mass-media nazionali e non, della stampa nazionale e non, di internet e del simbolismo (dal passamontagna, al cavallo — di zapatista memoria —, alla tuta blu fino allo scarafaggio) e quindi alla Psyc-warfare e quindi al ricorso all’azione non violenta. 3) Le marce, gli happening pacifici (si pensi alla marcia del marzo 2001). 4) Fino al 2005 non ci sono state evoluzioni di sorta. Anche ‘‘l’Altra campagna’’ ha posto al centro ancora una volta l’assemblea con un richiamo esplicito alla dimensione trasversale. 2. Struttura 1) Livello delle componenti: insorti basi d’appoggio Questa divisione è relativa alle componenti dell’EZLN. Quanto alla struttura relativa alle funzioni abbiamo: 1) Struttura logistica 2) Struttura di propaganda 3) Servizio di informazione 4) Educazione 5) Sanità 6) Tribunale di Giustizia. Queste strutture — che sono assimilabili a quelle della struttura tradizionale della guerriglia — sono denominate dipartimenti. 2) La gerarchia interna — nonostante l’esplicito anti-militarismo — rispecchia i gradi militari procedendo dal livello di caporale a quello di maggiore. Non esistono gradi superiori. 3) Complessivamente lo schema è il seguente: comunità indige19 na ! Direzione ! Marcos ! esercito ! insorti. Non può considerarsi una sorta di riedizione della avanguardia leninista ma deve interpretarsi con una struttura a rete nella quale l’elemento di una democrazia diffusa è decisivo. Naturalmente tale schema risulta valido se e solo se le informazioni desunte sono attendibili. 4) Il soggetto rivoluzionario specifico — per usare l’espressione marxista — è la comunità indigena mentre il soggetto rivoluzionario globale è la comunità degli esclusi (dai gay ai sottoproletari del mondo). 3. Reazione delle istituzioni 1) In generale è stata inappropriata perché incapace di comprendere le novità dell’EZLN (almeno fino al 2005). 2) Le istituzioni hanno cercato di operare dividendo la comunità indigena dalla Direzione dell’EZIN attraverso gli aiuti della Banca Mondiale (politica paternalista) 3) Zedillo — p.e. — in collaborazione con la Cia ha cercato di attuare una strategia della contro informazione. 4) Il cambiamento politico — con la vittoria del PAN e l’elezione di Fox — ha rallentato la pressione dell’EZLN sulle istituzioni politiche. 5) L’uso di gruppi paramilitari da parte dei latifondisti messicani, la presenza massiccia dell’esercito (con l’innovazione del BOMO), la collaborazione tra Sullivan e Bazan (con la guerra a bassa intensità e la realizzazione del GAFE) sono sistemi che si sono rivelati solo in parte appropriati. 6) L’approccio più usato è stato quello di mediare politicamente allo scopo di svuotare il contenuto rivoluzionario del messaggio dell’EZLN dirottandolo verso i sentieri del riformismo; 7) non si può non rivelare l’estrema superficialità dei servizi di informazioni messicani nell’individuare preventivamente la formazione dell’EZLN iniziata dall’83 e conclusasi il 1 gennaio 1994! Ben dieci anni dunque! 4. Origini Tutti gli analisti (favorevoli o meno all’EZLN) sono concordi nel ritenere che i soggetti storici ai quali si sono ispirati i fondatori siano i seguenti: Zapata, Gamiz, Vázques, Cabanas e Ruiz. Tutti questi — con l’eccezione di Ruiz — hanno dato all’EZLN indicazioni militari determinanti. I contenuti ideologici che nel tempo hanno determinato l’EZLN sono stati: il maoismo (con la formazione 20 LP), il che gueravismo (con la nascita dell’FLN nel 1969), e l’esperienza gandhiana, farabandista e la teologia della liberazione con Ruiz. Le associazioni — che si sono costituite precedentemente alla formazione dell’EZLN e che hanno un legame con le comunità indigene — sono: CIOAC, OCEZ e la disciolta PRD rilevante per la presenza di ex-studenti sessantottini confluiti poi nella guerriglia. 5. I nemici e la par costruens In questo ambito sussiste una precisa tripartizione: nemici locali, nazionali e internazionali. I nemici locali sono i diversi governatori del Chiapas e i comandanti di zona; quelli nazionali oltre al PRI, sono i vari presidenti e la sinistra incapace e corrotta unitamente alle multinazionali USA. Il nemico internazionale per eccellenza è il neo-liberalismo 2) L’impostazione ideologica dell’EZLN non può considerarsi — stando ai comunicati dal primo al sesto — anarchica (al di là delle strumentalizzazioni europee). 3) Non può considerarsi neppure leninista (lontana p.e. dal contenuto delle ‘‘Tesi di aprile’’). 4) Prendendo in prestito la terminologia del socialismo non marxiano,l’EZLN è una forma di democrazia partecipativa e autogestita (come i mohirpi del Chiapas) costituitasi dopo il 1994. 5) L’EZLN crede fortemente non solo nella crisi della forma partito ma anche nel dualismo tra Stato e Società civile. 6) Le alleanze stipulate con le ONG, con la stampa progressista europea e non, con le università sono state decisive per conseguire la visibilità planetaria e per consentire un radicamento maggiore della società civile. 7) A livello di analisi politico-economica, le riflessioni di Marcos non mostrano elementi di novità poiché queste sono speculari a quelle di ‘‘Le Monde Diplomatique’’. 8) L’uso delle armi è stato finalizzato o all’attacco guerrigliero o alla autodifesa ma mai alla lotta armata fine a se stessa. Proprio per questo allo stato attuale, costituisce un errore enorme parlare di terrorismo per connotare la prassi dell’EZLN. 9) La modernizzazione economica è una richiesta frequente nei discorsi di Marcos. 10) E talmente centrale il ruolo dei media che lo stesso, che Marcos provocatoriamente definisce i mass-media come ‘‘l’avanguardia del paese’’. In 21 altri termini, mass media e la società civile (nella quale M. include le ONG) sono due cardini indispensabili della strategia neo-zapatista. 11) Nel solco delle democrazie del XXI sec. Marcos chiede una educazione di massa e gratuita. 22 2. IL NEO-ZAPATISMO DELLA ANALISI DELLA RAND CORPORATION * 1) Nel cap. 5 (Trasformation of the conflict) gli A.. sottolinea opportunamente come l’EZLN e le ONG si siano sforzati di dominare lo spazio delle informazioni per supplire alle deficienze nell’ambito strettamente militare; 2) la presenza, all’interno del Copoca e del Conai, ha consentito all’EZNL un livello di partecipazione politica rilevante marginalizzando lo spazio di trattativa del governo messicano 3) gli A. non può nascondere il dato di fatto in base al quale l’intelligence messicana debba essere profodamente rivista 4) allo stesso modo la partnership con l’alleato USA deve essere rafforzata. Un passo in questa direzione è costituito dalla realizzazione dei GAFE — nel 1996 — corpo d’élite costituito sulla falsariga della Delta Force 5) nel cap. 6 (Emergence and influence of the zapatista social Netwar) gli A. pongono l’enfasi sul ruolo decisivo dele ONG senza tralasciare la rilevanza della base indigena con i suoi ideali egualitari, comuntiari e consultivi. 6) La netwar inaugurata dall’EZLN è definita come Rete di Sciame (il termine è dello studioso Kelly). 7) Abbandonata la guerriglia (dopo il ’94) sul modello maoista-zapatista (con la scelta di piccole unità di 12/16 uomini), la realizzazione del CONPA e il legame con le reti informatiche Peacenet e Conflictnet, si sono rilevati elementi indispensabili nella riuscita del progetto zapatista. Propio per questo l’abbinamento con il metodo dell’azione non violenta(da questo momento ANV, ndr) si è dimostrato cruciale. * Una situazione per certi versi analoga è individuabile in Cile con la presenza del Consiglio di tutte le terre (di cui HUILCAMAN è il più noto portavoce) che rivendica il riconoscimento della identità etnica e culturale del popolo MAPUCHE attraverso modalità operative tipiche della conflittualità non convenzionale, di fronte alle quali le istituzionali civile hanno applicato contromisure efficaci (misure che hanno sollevato le proteste di Hunan Rights Watch e della Federazione per i diritti umani) e che hanno trovato sulla legislazione anti-terroristica una adeguata sistemazione. 23 8) Una delle condizioni che hanno agevolato il lavoro di Marcos è stata la presenza religiosa: cattolica e protestante. L’ordine religioso gesuitico ha certo svolto un ruolo determinante nella alfabetizzazione primaria e nell’indottrinamento ideologico. 9) Se è indubbio che la figura di Marcos sia poliedrica, altrettanto possiamo affermare dell’EZLN nel suo insieme. Gray ne parla come di un movimento ibrido e Cleaver — riflettendo sulle conseguenze che la prassi dell’EZLN ha avuto — parla di effetto zapatista! 10) Il legame realizzato con la società civile è cosı̀ stretto che gli A. sottolineano che ‘‘la società civile è impossibile da decapitare perché è uno sciame che può sembrare anarchico ma è in realtà determinato dalla consultazione estesa’’. 24 3. IL CONCETTO DI NETWAR A livello teorico gli analisti della Rand Corporation analizzano la struttura dei nuovi movimenti nel cap. IX dal titolo ‘‘The structure of social movements’’ utilizzando l’oramai celebre concetto di Rete connotata nel seguente modo: 1) la struttura dei nuovi movimenti (no-global-terroristici, no-pacifisti) può essere semplice, policentrica e a rete. In secondo luogo, una struttura di tale natura si può costituire solo a partire da collegamenti multipli e precisi costruiti su: a) relazioni personali; b) viaggi; c) tecnologie di comunicazione. In terzo luogo, la coesione interna è mantenuta grazie ad una opposizione condivisa nella quale la logica dualistica e conflittuale (noi e loro) domina il rapporto. Nel cap. due (‘‘The advent of Netware’’) gli A. entrano nel dettaglio sia in merito alle finalità che in merito alla articolazione delle reti. Che la disgregazione psicosociale sia fondamentale — nella nuova conflittualità — tanto quanto la distruzione fisica della classic war — è oramai evidente. Altrettanto evidente è la distinzione tra cyberwar e netwar: quest’ultima infatti indica il coinvolgimento di formazioni paramilitari o forze irregolari. In generale sulla netwar i players conducono una guerra della quale usano forze di rete e dottrine adatte all’età dell’informazione. Le suddette reti possono avere una forza triplice: chaim, star e all-chanell. Nella prassi dei movimenti sono possibili ibridi tanto quanto è possibile la coesistenza — accanto alla netwar — della cyberwar. La vastità della netwar è tale da consentirle di fare saltare le tradizionali staccionate tra pubblico/privato e tra stato/società civile. Superfluo sottolineare come la loro dinamica renda il compito di contrastarle particolarmente arduo. A mo’ di conclusione, la tesi del Col. SZAFRANSKI è particolarmente significativa poiché pone l’enfasi sulla reale finalità della netwar: ‘‘confondere le credenze fondamentali delle persone sulla natura della loro cultura, società e governo’’. La disgregazione è — infatti — lo scopo ultimo e particolarmente deleterio. La contro offensiva non potrà che consistere — nel costruire reti — contro reti mischiando abilmente le reti con le strutture gerarchiche tradizionali allo scopo di formare veri e proprio ibridi. 25 Nel cap. VII (‘‘Netwar in the emerald city’’) la rivolta/scommessa di Seattle è presa in attenta considerazione. Non c’è dubbio alcuno che la DAN abbia svolto un ruolo cruciale (anche per la sua struttura a rete), ruolo che sarà concretizzato attraverso una strategia di cooperazione non violenta. La matrice di questo movimento è da rintracciarsi sia nei movimenti ambientalisti, che nei movimenti sorti grazie alla Guerra del Golfo. L’aggregazione è avvenuta per gruppi di affinità. Accanto al DAN la Ruchus society e l’AFl-CIO sono gli altri due giocatori determinati. Una componente minoritaria è stata costituita dal Blocco nero. Tutti insieme — a vario titolo — hanno raggiunto un vero e proprio dominio urbano a Seattle con il coordinamento del DAN. Al di là della organizzazione specifica e del ruolo dei singoli gruppi, quello che ci preme sottolineare è il ruolo di internet, dei cellulari e delle videoriprese insieme a al ruolo di Indymedia. Sia la polizia che l’FBI non sono stati in grado di contrastare adeguatamente la sorpresa strategica e l’efficienza tattica del movimento. Complessivamente il dominio dell’infosphere è stato ottenuto dai contestari e non c’è dubbio che tale manifestazione sia stata quella più riuscita dopo la Guerra del Golfo. A conclusione del capitolo — non senza una punta di soddisfazione — gli A. sottolineano come le forze dell’ordine non siano state colte di sorpresa né a Washington né a Los Angeles anche perché i contestatori hanno adottato una struttura centralizzata. 26 4. IDEOLOGIA E METODO DI LOTTA DEI NUOVI MOVIMENTI Vorremmo — come primo caso — studiare la prassi conflittuare del MST secondo uno schema semplice ed articolato del seguente modo: 1. 2. 3. 4. 5. 6. metodi di lotta; struttura; reazione delle istituzioni; origini il nemico e ideologia. 1. Metodi di lotta: 1) 2) 3) 4) addestramento non violento e agitazione sovversiva; marce(p.e. quella sul Brasile nel 1997); occupazione di terra; contro informazione (nel 2001 presentano domanda 87 mila famiglie e il governo si trovò nei guai perché non poteva assegnare la ferma a nessuno); 5) trarre insegnamenti da Gandhi (dalle tecniche non violente alla consapevolezza) e da Ho Chi Min la centralità della dimensione psicologica nella lotta); 6) manifestazioni su larga scala per ostacolare la repressione. 2. Struttura: 1) struttura autonoma cioè indipendente dai partiti per evitare divisioni interne e lotta tra varie correnti; 2) indipendente dalla Chiesa cattolica; 3) appoggia e collabora con il PT brasiliano (proletariato agricolo + piccoli coltivatori + piccoli agricoltori proprietari). 4) la base è composta da attivisti contadini; 27 5) i gruppi dirigenti vengono eletti all’interno di riunioni regionali e statali; 6) ogni due anni vengono indette assemblee nazionali mentre ogni cinque anni viene celebrato il congresso nazionale; 7) il numero di delegati è assai alto (nel 2000 raggiunse gli undicimila); 8) infine esistono ventuno direttori nazionali; 9) il MST è presente in ventitré su ventisette stati; 10) i finanziamenti provengono: dalle famiglie contadine, dai sindacati, dalla chiesa o da ONG europee ed americane. Il movimento non dispone — allo stato attuale — di una tesoreria centralizzata; 11) formazione di docenti attraverso la collaborazione con l’Università; 12) il movimento ha dato un contributo alla nascita di via Campesina; 13) assoluta centralità della formazione tecnica degli attivisti. 3. Origini: 1) 2) 3) 4) 5) 6) La chiesa cattolica (in particolare i cappuccini); la teologia della liberazione; l’Azione cattolica e la Gioventù operaia cattolica; il sindacato dei cattolici; la CPT; gli intellettuali della sinistra brasiliana: Masini, Dos Scentos, Barbirra e soprattutto Juliâno del Partito Socialista brasiliano; 7) strette relazioni con i CLIT. 4. Il Nemico: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) l’imperialismo; le multinazionali (in particolare la Monsanto); l’uso delle biotecnologie e della bioingegneria; la maggior parte dei presidenti brasiliani (p.e. Cardoso); la magistratura; il PSDB; la contro informazione degli organi di stampa; i governi USA ed europei; il progressivo allontanamento della sinistra dalla base sociale. 28 5. Ideologia: 1) 2) 3) 4) 5) 6) Sovranità alimentare; riforma agraria comunitaria; tutela della bio-diversità; economia eco-sostenibile; la conquista della dignità dei contadini; la democratizzazione della terra come base per democratizzare la politica. 6. Reazione: 1) Repressione militare agli ordini del Presidente Figueiredo; 2) imprigionamento; 3) gli strumenti della repressione: l’esercito o la polizia federale (p.e. le iniziative dal 1989 al 1991); 4) sequestri; 5) eliminazione fisica (dal 1984 1600 persone eliminate); 6) riorganizzazione della polizia federale secondo il modello del DOPS; 7) intercettazioni telefoniche; 8) la censura e la distorsione dell’informazione attraverso il controllo dei media. Un altro eloquente esempio di CNV ci pare la Ruckus americana. A) Origini: 1) Prender atto e reagire alla devastazione ambientale; 2) l’ambientalismo di Greenpeace e Earth First; 3) asce nel 1995 con Roselle, Sellers e Twilly; 4) ideologicamente prende ispirazione dall’eco-marxismo e dalla lotta non violenta di King e Gandhi. B) Struttura: 1) ha una struttura ibrida compresa tra Greenpeace e la Rain Forest Action Network; 2) la base è fatta da un numero limitato di volontari (20/30); 3) l’interazione con i movimenti per i diritti umani, con quelli del commercio equo e fondamentale. Ciò significa che allo stato attuale non è possibile parlare di settarismo; 4) l’età media varia da 20 a 35 anni; 29 5) il finanziamento ha due canali: il finanziamento volontario e il finanziamento delle ONG; 6) la coesione è di natura ideologica. C) Metodi di lotta: 1) l’action direct di Greenpeace; 2) l’addestramento alla non violenza; 3) l’addestramento all’uso dei media; 4) sfruttare il potenziale informativo di media alternativi. D) I Nemici: 1) Scopo generale: scatenare il pandemonio in modo non violento per denunciare la devastzione del pianeta perpetuato da: a) Stati; b) Mutinazionali e c) dall’economia neo-liberista; 2) anti-militarista e quindi eco-pacifista (p.e. la marcia di 14mila persone contro il centro di addestramento a Fort Benning). E) Ideologia: 1) ambientalismo radicale; 2) eco-pacifismo; 3) anti-capitalismo (e più specificatamente anti-globalizzazione). Per ammissione dello stesso Sellers fino ad ora il movimento ha sviluppato la pars destruens senza dunque sviluppare una alternativa costruttiva. 30 Parte Seconda 1. IL MOVIMENTO ANARCHICO USA 1. Origine Negli USA l’antagonismo anarchico ha trovato modo di esprimersi soprattutto nel PGA, nel RACB e nelle strutture canadesi — strettamente legate a quelle USA — del Clac (di Montreal) e delle SCA di Quebec. Secondo l’interpretazione di GRAEBER la logica anarchica USA avrebbe tratto una forte ispirazione dall’EZLN. 2. Metodi lotta 1) Azione diretta; 2) costruzione di reti nazionali e transnazionali di opposizione e resistenza; 3) necessità di alternare blocchi stradali a prassi tipicamente non violente; 4) disobbedienza civile; 5) costruzione simboliche (p.e. il Pupazzo della Liberazione o le clave di gomma); 6) necessità di porre l’enfasi sui media alternativi. 3. Nemici In quanto anarchici la loro opposizione si materializza a 360 gradi passando dallo Stato alla economia di mercato — secondo i presupposti dell’anarchismo tradizionale. Certamente un elemento nuovo rispetto al passato è la necessità di federarsi in modo non gerarchico a doppio livello nazionale e non. 4. Struttura Usando le parole di GRAEBER la struttura deve essere costituita da ‘‘reti orizzontali (...) sorrette da principi di democrazia consensuale decentralizzata e non gerarchica’’. 33 2. L’ASSOCIAZIONE ATTAC 1. Origine Grazie a Ramonet e Cassen tra il 1997 e il 1998 nasce Attac: 2) sulla base di società esistenti (p.e. Sindacati); 3) grazie all’appoggio della pubblicistica francese di sinistra laica e non (p.e. Testimonianze cristiane); 4) grazie alla sua diffusione soprattutto in Europa (ostacolata dalle ONG inglesi in Ue); 5) dimostra di vere stretti legami con il PT, con i politici francesi e europei; 6) infine Attac ha avuto un ruolo decisivo nella fondazione del WSF del febbraio del loro grazie a Grajew, Whitaker (della Commissione dei vescovi brasiliani). 2. Struttura 1) Comitato esecutivo; 2) comitati locali; 3) comitato esecutivo (30 membri, 18 eletti dai fondatori e 12 dei 30 mila componenti); 4) composizione sociale: piccola e media borghesia (docenti e studenti) 3. Metodi di lotta 1) Azione violente; 2) azione diretta; 3) reti nazionali e transnazionali; 4) manifestazioni; 5) contro informazione (attraverso Internet e ‘‘Le Monde Diplomatique’’). 4. Nemici 1) liberismo; 2) contro l’Europa delle banche; 3) americanismo (economico e militare). 34 3. IL MOVIMENTO ANARCHICO EUROPEO Come nei casi precedenti procederemo ad una rapida rassegna delle principali caratteristiche del movimento: 1) le associazioni anarchiche hanno partecipato in modo rilevante a tutti gli happening no-global; 2) non sono una componente maggioritaria (rispetto a quella della sinistra e cattolica) ma significativa; 3) a livello organizzativo hanno anticipato il modello a rete cosı̀ decisivo dei no-global; 4) anche a livello ideologico, la critica radicale ed impietosa insieme alla forma partito, al riformismo e soprattutto al capitalismo fanno del movimento anarchico un antesignano delle principali ‘dottrine’ dei no-global; 5) gli attivisti — del movimento anarchico — prevengono dagli anni settanta ma soprattutto sono soggetti giovani. In merito alla loro origine sociale la classe media è determinante; 6) come contenuti ideologici il radicalismo anarchico oltrepassa indubbiamente gli orientamenti ideoligici dei no-global sia che si tratti dell’anarco-individusalismo che dell’anarco-insurrezionalismo. A tale proposto, l’anti-statalismo, l’internazionalismo delle lotte, l’opposizione al militarismo e alle carceri costituiscono tematiche centrali , al meno quanto l’enfasi posta sull’autogestione, sul mutuo appoggio, sui gruppi di affinità (termine inventato dalla Fai spagnola); 7) le assocazioni anarchiche si modellano a partire da una struttura federale sul modello della piattaforma o su gruppi di lotta di classe (che solitamente comprende anarco-comunisti e anarco-sindacalisti); 8) in merito alle modalità operative, attuate sul contesto della conflittualità non convenzionale, possono essere indicate nel seguente modo: scioperi, marce di protesta, boicottaggi, occupazione e violenze (a persone o a cose) come nel caso dell’anarco-insurrezionalismo, dell’eco-anarchismo e dei Black bloc, la contro informazione attraverso siti-web,l’uso di pubblicazioni periodiche e la realizzazione di istituzioni alterternative (come le libreria o i centri sociali). 35 4. METODI E SCOPI DEL BLACK BLOC 1. Origini Fu la polizia tedesca — durante gli anni Ottanta — a denominare gli autonomi blocco nero a causa dell’abbigliamento scuro. Congiuntamente erano presenti in Europa (soprattutto in Italia, Germania, Danimarca e Olanda) e agirono insieme agli squatters animando vere e proprie insurrezioni per poi diffondersi in America negli anni novanta (si pensi alla insurrezione di Los Angeles dell’1992). Sempre nello stesso anno la loro partecipazione alle manifestazioni contro la Guerra del Golfo e a Washington ha lasciato il segno. Particolarmente significativa la loro presenza a Seattle, dove duecento attivisti devastarono luogo considerati simbolici, e a Genova dove collaborarono con i CSA Pinelli e i Cobas. 2. Identità ideologica Nonostante il loro rifiuto di farsi etichettare, i Bb appartengono alla estrema sinistra, al mondo anarchico e libertario. Individuare i padri spirituali del loro orientamento è tutt’altro che arduo: C. Mason, Bookchin, Zerzan, Bey (sia chiaro — a tale proposito — che i Bb si servono delle tesi di questi autori per le loro finalità), la FAI iberica e la CNT spagnola. Il linguaggio usato è frutto di una sintesi tra il futurismo, il dadiasmo e il situazionismo. Ciò che propongono non si discosta dalla tradizione anarchica: federalismo, democrazia diretta e sovversione del mondo attuale. 3. Organizzazione: 1) 2) 3) 4) assenza di leaders; struttura a rete flessibile; si aggregano per gruppi di affinità; soprattutto negli USA la rete dei Bb si ramifica in gruppi suddivisi per compiti: portavoce e collettivi che operano come base locale; 36 5) le decisioni si prendono secondo il modello della democrazia diretta; 6) è assente un progetto organico di alternativa. 4. Tecniche di lotta: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) il saccheggio e la conseguente riappropriazione delle merci; uso della violenza contro le cose; modalità da guerriglia urbana; azioni simboliche; uso ampio dei cellulari per organizzare le manifestazioni; ricognizione del territorio urbano secondo le modalità di un conflitto; tecniche dello street-threater; la militarizzazione che li caratterizza si manifesta anche nella marcia a ritmo del rullo di tamburi; 9) evanescenza :dopo aver colpito - come uno sciame - si dissolvono; 10) uso di telecamere sia per finalità interne che esterne; 11) provocazione nei confronti delle forze dell’ordine evitando scontri diretti. 37 5. METODI E SCOPI DEL WSF Quali sono le caratteristiche essenziali del WSF? Quale la sua dinamica? Che il WSF abbia una dimensione internazionale è un dato di fatto, tanto quanto è evidente la sua struttura a rete. Al suo interno sindacati, forze politiche di sinistra e ONG sono indubbiamente predominanti. Sotto il profilo storico-politico il richiamo al socialismo ottocentesco, alla rivoluzione d’Ottobre, ai movimenti degli anni Sessanta, alla teologia della liberazione e all’anarchismo sono alcuni dei richiami fondanti. Non è difficile individuare gli antecedenti storici recenti: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) le rivolte per il cibo nei primi anni ottanta; la poll tax in UK; le politiche neo-liberiste dell’OMC e dell’FMI nel Sud nel mondo; Il NAFTA; l’EZLN; le proteste contro le privatizzazioni dei servizi sociali; la nascita del Reclaim the Streets in Uk; la nascita del PGA e infine 9) i movimenti sorti sul problema della identità (razziale, sessuale etc.). Per quanto riguarda, al contrario, gli aspetti di originalità l’uso di internet e dei media alternativi è caratterizzante (rispetto ai movimenti del passato); in secondo luogo il forum è una sorta di ibrido tra uno spazio e un movimento e ciò non consente l’esistenza di una leadership unitaria. Nonostante ciò — e al di là della retorica sul superamento di gerarchie centralizzate — il WSF ha comunque al proprio interno due organismi come il BOC e l’IC che ne coordinano la prassi e il Comitato organizzatore brasiliano che — in collaborazione con Attac — ha gettato le basi della Carte dei Principi. Non mancano critiche dalla sinistra più intransigente la quale accusa il WSF: 1) di non dichiarare esplicitamente la propria adesione al socialismo; 38 2) di essere assai poco efficace sul piano operativo; 3) di accettare finanziamenti dalle Ong occidentali facendosene palesemente condizionare; 4) di rifiutare radicalmente il ricorso alla violenza rivoluzionaria; 5) di avere una scarsa trasparenza democratica nell’ambito del processo decisionale e infine 6) di rifiutare apparentemente la presenza di partiti ma nel contempo di cercare il loro aiuto e sostegno (senza il PT brasiliano e i comunisti in India non sarebbe stato possibile organizzare alcunché. Analogamente l’entusiasmo suscitato da Chavez nel 2005 ha reso meno immacolata la Carta dei principi); 7) di affrontare sempre gli stessi temi e di formulare sempre le stesse condanne contro i soliti sospetti. In conclusione, il rischio maggiore — sottolineato da alcuni autorevoli sostenitori del WSF — è il pericolo della loro fragilità, della loro evanescenza, pericoli questi che possono trovare nella ‘‘noia, nello scoraggiamento e nell’indulgenza verso se stessi’’ le cause principali. Nonostante l’organizzazione a rete non c’è dubbio che il CUT e il MST costituiscono una delle anime propulsive del WSF. Quanto alle metodologie di lotta queste contemplano la Guerra psicologica, l’Agitazione sovversiva e l’Azione non violenta. Veniamo alle costanti sociologiche: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) eterogenità generazionale; alti livelli di educazione; eterogenità sociale; eterogenità di background politico, dal momento che provengono dal movimento ecologico,dal femminismo e dal movimenti per i diritti umani; i partecipanti hanno nella stragrande maggioranza dei casi una formazione politica (più o meno raffinata); i partecipanti prevengono da altre espressioni politiche e associative; la maggior parte di loro è rimasta o delusa o disgustata dalla politica professionale; la necessità di partecipare alle decisioni; 39 9) lo spettro politico oscilla tra la sinistra moderata, l’estrema sinistra e il centro-sinistra, soprattutto in Europa; 10) la loro prassi è gradualista e non rivoluzionaria (nel senso leninista o maoista del termine); 11) è tuttavia rivoluzionaria nel senso che aspira a modificare l’assetto sociale sotto il profilo relazionale, psicologico e economico-politico partendo dal basso; 12) aspirano ad una ridefinizione della politica. Al contrario, un elemento di forte dissenso — e non è certamente l’unico — è rappresentato dalla contrapposizione tra chi — come il PT e Attac vuole servirsi dello Stato quale baluardo contro la globalizzazione — e chi invece vuole oltrepassare lo Stato o fare piazza pulita della classe politica (la cosiddetta globalizzazione dal basso o alternativa) come gli anarchici o i piquesteros argentini. Caratteristiche dei social forum (la loro struttura organizzativa) Anche in questo caso ci limiteremo ad analizzare le costanti sociologiche: 1) i SF sono solitamente network con una configurazione mista a livello geografico (nazionale e internazionale); 2) si riuniscono periodicamente in assemblee plenarie che a loro volta si articolano in gruppi di lavoro tematici; 3) le assemblee plenarie eleggono un portavoce nazionale e un consiglio dei portavoci al cui interno trovano spazio associazioni, sindacati, gruppi politici, associazioni ambientaliste e centri sociali; 4) dispongono di un sito web; 5) al loro interno esistono contrasti relativi alle strategie di lotta e ai contenuti ideologici; 6) i SF si originano o per organizzazioni spontanee o per filiazione da social forum preesistenti; 7) la ricerca dell’accordo all’interno del SF si costruisce a partire da una critica impietosa della democrazia rappresentativa e della democrazia della ‘public opinion’ per proporre la democrazia partecipativa fondata sul metodo empirico del consenso; 8) i SF si muovono in quella zona grigia compresa tra la mobilitazione e la partecipazione onde evitare il settarismo o l’istituzionalismo; 9) non esiste un modello unitario alternativo a quello criticato ma numerose proposte alternative; 40 10) i SF cercano di far coesistere al loro interno egualitarismo e pluralismo; 11) la presenza della figura del facilitatore consente ai SF di perseguire la deliberazione consensuale. Se questa — in breve — è la loro natura è necessario individuare i rischi ai quali vanno incontro: 1) la formazione di oligarchie 2) il leaderismo 3) il burocratismo 4) la strumentalizzazione politica 5) la scarsa durata. Infine è necessario sottolineare la convinzione, da parte dei SF, di trasferire nella società civile le metodologie sperimentate al loro interno. 41 6. NOTE SU ALCUNI ASPETTI DELLA TEORIA E DELLA PRATICA DEI BLACK BLOC Allo scopo di comprendere, in modo abbastanza chiaro, la visione della realtà del Bb (acronimo per Black Bloc, ndr) struttureremo la nostra breve analisi per temi,. senza seguire l’ordine alfabetico,facendo riferimento ad una anonima testimonianza di una attivista. Capitalismo. Esso è visto come una forza gravitazionale terribile e immensa Regola base del Bb. Per evitare la identificazione è necessario non farsi individuare ma essere riconoscibili nella modalità operativa. Appartenenza politica. l’area anarchica. Indubbiamente appartengono alla sinistra eversiva e al- Violenza. I Bb, pur rispettando chi pratica l’ANV(acronimo per azione non violenta) e chi in modo flessibile adotta la violenza mirata e l’ANV (come le tute bianche), ritengono la violenza una pura necessità perché consente di dare visibilità al movimento. La violenza deve essere estemporanea e selettiva. Berlusconi. Il premier avrebbe approfittato di Genova per fare un rapido repulisti istituzionale e militare. Visibilità. Senza le azioni violente ora a Genova ora a Seattle quale fine avrebbe fatto il movimento? Chi ne avrebbe parlato? La violenza dà dunque visibilità. Lo sconcerto ipocrita. Al di là dello stupore di fronte alle violenze a Genova, chi può negare che queste serviranno come trampolino di lancio per tutti gli opportinisti in campo politico e giornalistico? Stato. L’odio verso lo Stato è esplicito tanto quanto verso le istituzioni come la Chiesa e verso le sette politiche. Dio e Storia. Di fronte all’orrore della storia come non osservare che in fondo la storia è proprio la narrazione della uccisione di Dio? Uguaglianza. I Bb si dicono a favore della uguaglianza ma all’interno della diversità. 42 Comunismo. Lo spettacolo della conversione interessata dei comunisti al capitalismo è sconcertante perché è stata senza ritegno. Antagonismo reale. Contrariamente alla ideologia comunista la vera contrapposizione è tra la produzione e la distruzione della ricchezza. Coesistenza. I Bb vorrebbero una società nella quale coesistessero sia la libertà individuale che quella collettiva. Proprio per questo la posizione nichilista è inaccettabile. Leader. A livello di struttura la figura di un leader non è accettabile perché equivale a un tradimento della organizzazione a rete del Bb e un tradimento della concezione anti-gerarchica della realtà. Bush. Partendo dalla contestazione che Bush è stata il peggiore degli USA, l’uso della violenza contro di lui sarebbe giustificabile se si accetta l’uso della violenza contro le persone. A causa della sua illimitata stupidità, l’economia USA sta andando alla deriva e con i provvedimenti dopo l’11 Settembre sta pianificando vere e proprie azioni di terrorismo dentro e fuori lo Stato americano. Nazionalismo USA. Di per sé ogni nazionalismo è detestabile ma quello targato USA è estremamente pericoloso perché rischia di non avere limiti. Proprio per questo Bush va fermato, proprio perché sta promuovendo una delle forme più pericolose di nazionalismo. Azione simboliche. Al di là delle violenze ai simboli del capitalismo come negare che anche la guerriglia dell’immaginario ha avuto la sua efficacia? Infatti il compiere gesti immediatamente riconoscibili è essenziale per la visibilità dei Bb. Strumentalizzazione della violenza. Una volta affermata la validità della violenza, è un dato di fatto che le forze dell’ordine l’abbiano strumentalizzata per legittimare la repressione. Black Bloc e no-global. Pur apprezzando il contributo delle tute bianche dei COBAS è necessario precisare che la presenza dei Bb all’interno dei no-global sia una presenza a geometria variabile. Chiarimenti. Pur apprezzando chi la usa i Bb sono contrari all’ANV. Terrorismo. I Bb condannano l’uso del terrorismo indipendentemente, perché il terrorismo è una delle forme peggiori di degradazione umana. Insurrezionalismo. La modalità operativa viene definita dai Bb come una sorta di micro insurrezionalismo adattandolo alle diverse circostanze. I Bb devono es43 sere come il vento o come il fulmine, la loro azione deve essere contingente e mobile. Anonimato. Per evitare che le telecamere riprendano i volti degli attivisti, agire anonimamente è fondamentale. Partiti. Questi non rappresentano nulla poiché il loro unico fine è quello di prendere voti e di gestire il potere. Politica. L’unica politica autentica è quella che trasforma la vita individuale rendendola più autentica e libera. Potere. I Bb non hanno alcun interesse ad amministrare il potere ma vogliono soltanto che ognuno sia libero di amministrare la propria vita. Poliziotto. Lo sbirro detiene realmente il potere poiché è proprio lui che si trova a dover esercitare il monopolio legittimo della violenza. In cambio di tutto ciò accetta l’umiliante condizione del servo obbediente. Cittadino. In cambio di falsi diritti (quello al consumo, al voto, al divertimento) il cittadino delega l’esercizio della violenza. La vera violenza. Non sono certo le dimostrazioni dei Bb a rappresentare un pericolo ma al contrario è quella che il capitalismo esercita ad essere l’unico vero pericolo per l’umanità. Anarchia. Grazie all’anarchia i Bb hanno appreso quanto indispensabile sia l’autogestione della propria vita. Grazie all’utopia anarchica hanno appreso l’importanza di costruire un modello consensuale grazie al quale possono essere liberi di scegliere liberamente la loro vita. Genova. Secondo i Bb a Genova le istituzioni hanno pianificato nel dettaglio una vera e propria azione di terrorismo attraverso l’uso della disinformazione, l’uso degli infiltrati e di provocatori. Tutto ciò ha portato all’aggressione fisica di attivisti non violenti, e all’uso della tortura nei confronti degli attivisti arrestati. D’altronde, cosa c’era da aspettarsi da un governo proto-fascista come quello di Berlusconi che ha chiesto — e ottenuto — che le forze dell’ordine italiane venissero addestrare da quelle americane? Mostri. I taelebani non sono altro che fanatici protetti proprio dal capitalismo. Sudditi. Non c’è spettacolo più squallido di quello di vedere i tanti sudditi-servi del sistema difendere il sistema per difendere la loro esistenza. 44 7. ELENCO DELLE ASSOCIAZIONI CHE HANNO ORGANIZZATO IL FORUM DI PORTO ALEGRE * 1) Aborg; 2) Amb; 3) Attac Brasile; 4) Conan; 5) Caritas Brasile; 6) Cat (dei lavoratori); 7) Cbpj (giustizia e pace); 8) Cives; 9) Clacso (scienze sociali); 10) CMP; 11) COAG; 12) Comitato Afro; 13) Cut (con-sindacale); 14) Fhoms (org); 15) Gat; 16) Ibase (analisi econimica); 17) Ipf (P. Freire); 18) JSB (giubileo); 19) MST; 20) RSGDU; 21) Lijs (socialisti); 22) Ure (studenti). Comitato. L’elemento che emerge in modo netto è la centralità delle organizzazioni sindacali e religiose unitamente alla importanza delle istituzioni culturali. * L’elenco — fornito dagli analisti della Rand — delle ONG influenti è tutt’altro che marginale poiché evidenzia in modo lampante il radicamento locale e transnazionale delle organizzazioni. Ancora più significativa è la tripartizione fatta dagli antici, tripartizione che congiunge uno spettro di azione ampia: dalle ONG sui diritti a quelle religiose sindacali e infine informatiche. ONG e diritti 1) AI e ICJPHR (transnazionali) 2) AW e MAHR (americane) 3) ICCHR (canadese) 4) MAHR e MNNCH (messicana) ONG e religione 1) JRS 2) PFP (americana) 3) FR (americana) 4) ICCHRLA (canadese) 5) CBC (messicana) 6) CHR ‘‘Las casas’’ (messicana) ONG indigene 1) SAIIC (americana) 2) CEOIC e COLPUHMALI (messicana) ONG sindacali 1) IATP (americana) 2) RMALC (messicana) Network informatici 1) APC; 2) GE; 3) IAC; 4) IERC; 5) ACNMSH (canadesi); 6) CONPAR (messicana). 45 8. ELEMENTI DI RILIEVO NEL DOCUMENTO FINALE DI PORTO ALEGRE Al di là della retorica su un mondo migliore, il documento ruota intorno ad alcuni assi portanti assai chiari (sottolineando che gli USA vengono citati solo per essere criticati): 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) anti-militarismo; anti-americanismo; anti-liberismo; contro le privitazzazioni; contro le multinazionali; contro le misure anti-terroristiche USA; a favore del popolo palestinese (la presenza israeliana viene definita ‘‘occupazione brutale di Israele’’); contro le istituzioni militari ed economiche sovranazionali (NATO, FMI, CMC e BM); la manifestazione di Genova viene deificata; contro la guerra a bassa intensità; contro il Plan Colombia; non si fa alcun cenno — in tale documento — alle violazioni dei diritti umani a Cuba e in Corea (seppure documentati dai rapporti di AI); abolizione del debito estero; contro le basi militari(sullo specifico contro quelle NATO e USA). Complessivamente — al di là di alcuni tratti specifici — ci sembra di assistere ad una riedizione del comunismo terrorista anni settanta 1. 1 A tale riguardo il contributo di Minà ci pare degno di rilievo proprio per avere rivitalizzato i desueti clichè della cold war (e in particolare quello a favore dei Cuba) attraverso la rivista ‘‘Latino America’’, attraverso la collana della Sperling & Kupfer ‘Continente Desaparecido’ ed in particolare attraverso il volume (edito nel 2005) intitolato ‘‘Le Idee di Porto Alegre che stanno cambiando l’America Latina’’. 46 9. METODI E SCOPI DEI CSA ITALIANI 1. Tipologie Nel nostro paese esitono 250 CSA presenti nelle città di medie e grandi dimensioni. Stando agli studi più recenti (2004/2005) tre sono le tipologie ideologiche attuate nel nostro territorio: a) CSA anarchici; b) CSA genericamente M/L e c) CSA che si ispirano alla prassi dei disobbedienti. 2. Costanti Al di là delle differenze specifiche tutte e tre le tipologie non accettano: 1) 2) 3) 4) la democrazia rappresentativa; la prassi politica viene letta in un’ottica orizzontale; i portavoce possono essere revocati in qualunque momento; la realtà locale non solo non è ininfluente ma è al contrario determinante per il consenso, dato che il CSA nasce attraverso l’occupazione illegale di stabili comunali e non; 5) la provenienza dal contesto dei collettivi studenteschi è molto comune per i leaders e per gli attivisti dei CSA. La nomina del leader avviene via logica assembleare; 6) gran parte degli attivisti proviene da precedenti esperienze politiche della sinistra extraparlamentare e della lotta armata; 7) sia i CSA anarchici che quelli M/L sono accomunati dalla feroce ostilità verso la stampa e i mass-media sentiti come strumenti di indottrinamento ideologico. Per entrambi, le istituzioni politicihe locali e nazionali, sono strutture antagoniste verso le quali gli unici atteggiamenti possibili sono o l’ostilità o la diffidenza. 47 3. Differenze (1) La più importante differenza è stata codificata nella CARTA di Milano (1996) dove i CSAO del Nord Est e di Roma hanno preso atto della necessità di rivedere la loro strategia: alternare la produzione del conflitto alla ricerca del consenso presso istituzioni e partiti disponibili al dialogo. 4. Tecniche: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) boicottaggio; disubbidienza; intrusione notturne; la pratica del netstrike; presidio di snodi ferroviari; occupazioni; radio alternative. 5. Differenze (2) Un tipico esempio di partnership con le istituzioni è offerto dal CSA Pedro e dal Rivolta di Marghera, collaborazione che si snoda da Ya Basta alla Rdb per giungere ai partiti come Verdi e PRC. Al contrario, un esempio interessante ci è offerto dalla Rete No Global, sorta a Napoli grazie a Officina 99 e allo SKA, che costituisce una sorta di raccordo con tutti i centri sociali nazionali.. 6. Coordinamento Nonostante le differenze, l’esigenza di stabilire un coordinamento ampio ha consentito la nascita del Network per i diritti globali sorto nel marzo del 2001 per mobilitarsi intorno a tre tematiche ritenute fondamentali: lavoro, ambiente e immigrazione. Sorte, alla fine degli anni novanta, nel contesto dei CSA romani, si sviluppano le tute bianche lontane dalle affiliazioni politiche e fortemente interessate a denunciare le nuove forze di sfruttamento legate al lavoro precario. Legati all’organizzazione dei raves sono stati in grado di connettere queste manifestazioni con l’attivismo politico e in particolare hanno promosso happening a favore degli im48 migrati e dei rifugiati politici. Anche il loro abbigliamento anti-sommosssa (paraginocchia e caschi) costituisce un fattore di novità perché volto a provocare ironicamente le autorità. La svolta, nel loro itinerario politico, si verificò quando compresero l’importanza dell’EZLN al quale si unirono in qualità di gruppi di sostegno perfezionando le loro tecniche e rafforzando la loco comunione anti-capitalista per poi dissolversi dopo il ’68 di Genova nel 2001. 49 10. ORGANIGRAMMA DEI CSA SECONDO LA CONNOTAZIONE IDEOLOGICA 1) CS neozapatisti: a) b) c) d) e) Leonka e Bulk; Rivolta, Pedro e Ya Basta (centri sociali del Nord-Estr); Livello 57 -Kontatto (centri sociali del Centro-Est); Zapata; Terra di nessuno. 2) Centri anarchici: a) Coordinamento anarchico piemontese; b) Centro Pirelli; c) Circolo anarchico Berneri. 3) Cs neo-autonomi: a) b) c) d) e) f) g) h) i) l) Cpa Firenze; Collettivo antagonista Primavalle; Volsci; Laurentinakkupato; Rosa Luxemburg; Immensa; Intifada; Vittoria; Castellazzo; Askatasuma. 4) CS del Sud 1: 1 In primo luogo la RNC (acronimo per Rete no-global compana, Ndr) nasce grazie al sindacalismo antagonista che — come noto — promuove una organizzazione sindacale autogestita; in secondo luogo l’apertura del PRC ha portato ad una dialogo profondo e ad una proficua cooptazione politica nei confronti della RNC. La terza componente, che ha contaminato la RNC è stata l’associazione laica e cattolica (si prensi alla Rete Lilliput) e la quarta forza che ha permesso la na- 50 a) Cobas disoccupati; b) Asilo politico; c) Cappela Rossa; d) CSAO Brindisi; e) Officina; f) Ska; g) Ex carcere; h) Rosso 77; i) Aerea 51; l) Centro ‘‘Auro’’; m) CSA Cramma. 5) CS autonomi: a) Villaggio globale; b) TPO. scita della RNC è stato il CSA, luogo presso il quale è risorta la cultura del conflitto. In particolare Officina 99 è divenuto un punto di riferimento per tutta l’area alternativa napoletana, per il movimento studentesco del ’94 e per la realizzazione del laboratoio occupato Ska che, in breve tempo, è divenuto fulcro dell’antagonismo campano, antagonismo campano che ufficialmente nasce nel novembre del 2000 e attua la propria prassi antagonista durante il vertice napoletano sull’e-government il 17 marzo 2001. Se i bersagli della RNC sono quelli tradizionali (lo Stato nazionale, l’economia neo-liberista, la Nato definita come ‘‘la polizia internazionale della globalizzazione’’) l’alternativa è anch’essa priva di qualsiasi originalità perché si ispira al programma di Porto Alegre (concretamente gli attivisti della RAIC vorrebbero creare tante Porto Alegre). Infine a livello di conflittualità non convenzionale il sabotaggio (l’oscuramento con la verifica delle telecamere), l’occupazione di MacDonald’s, la guerra elettronica con la clonazione di siti e il netstrike rientrano nelle modalità operative ampiamente conosciute ed utilizzate dalle associazioni no-global a livello internazionale. Una osservazione conclusiva infine: è un dato di fatto che soprattutto il PRC abbia costruito un legame stretto con molto realtà antagoniste e che proprio per questo non dovrebbe avere alcuna legittimità istituzionale. Al contrario, la sua presenza all’interno delle istituzioni — sempre che la sua prassi politica parlamentare sia coerente con la teoria! — costituisce un costante pericolo sia per una adeguata politica estera che per un costruttivo dialogo con dicasteri delicati come gli Interni e la Difesa. 51 11. ORGANIGRAMMA DEI CSA SECONDO LA DISTINZIONE GEOGRAFICA Ivrea (Castellanza); Torino (Coord. anarchico piemontese e Askatasuna); Milano (Leonka, Bulk, Vittoria); Marghera (Rivolta); Padova (Pedro); Vicenza (Ya Basta); Bologna (TPO, Circolo anarchico Berneri; Livello 57); Ancona (Kontatto); Genova (Zapata, Terra di nessuno, Centro Pirelli; Immensa); Pisa (Intifada); Firenze (Cpa Firenze Sud); Roma (Corto Circuito, Collettivo Antagonista, Primavalle, Volsci, Laurentinakkupato, Rosa Luxemburg, Villaggio Globale); Acerra (Cobas disoccupati); Salerno (Asilo politico); Bari (Coppela Rossa); Napoli (Officina 59 e Ska); Brindisi (CSOA Brindisi); Cosenza (CSA Cramma); Catania (Centro Auro); Messina (Aeria 51); Palermo (Ex carcere e Rosso 77). 52 12. LA PRESENZA DELLA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE IN AMERICA LATINA Stando alle stime dell’Osal Clacso relative a 19 paesi la conflittualità — solo nel periodo compreso tra il 2000 e il 2002 — è arrivata alla ragguardevole cifra del 180%. Per esempio il sorgere dei movimenti indigeni con la attuazione di una democrazia diffusa, hanno posto in discussione il programma neoliberista. Analogamente la capillare diffusione di questa conflittualità — ora in Bolivia ora a Cochabarba ora nella regione del Chaparo — ha contribuito alla destabilizzazione o alla caduta (p.e. la caduta del governo di Mahuad) dei sistemi politici tradizionali (p.e. nel caso dell’Ecuador il consolidamento delle Conaie o nel caso del Brasile la formazione della CUT nel 1983) nate per dare soluzione a problemi o sorti in ambito sociale (EZLN - MST) o in ambito urbano (i Piqueteros in Argentina). Uno di questi problemi è il rifiuto della privatizzazione che ha consentito la nascita del Fronte Cinco di Arequipa e del Congresso Democratico del Pueblo, ‘‘istituzioni’’ la cui realizzazione è stata possibile grazie alla convergenza di diverse categorie sociali. Fra queste le associazioni studentesche hanno avuto un ruolo indubbiamente rilevante tanto quanto i coordinamenti (p.e. il CLOC, la Rete internazionale dei movimenti sociali per arrivare al WSF). A livello di tecniche di opposizione e di resistenza lo spettro non è in realtà molto ampio: andiamo dai blocchi stradali, alle occupazioni delle terre o di edifici pubblici fino alle marce o alle insorgenze. Nel contesto della pars construens, le scelte più costanti sono state l’autogestione, la democrazia diffusa, il contratto popolare, scelte che ci riportano al socialismo ottocentesco — e in parte all’anarchismo — e che sono — dunque — ben lungi dall’essere originali. 53 13. NOTE SU ALCUNI NETWORKS MESSICANI Al di là di MARCOS esistono in Messico networks che, con estrema efficacia, hanno portato avanti una netta opposizione alla globalizzazione liberista. Vediamone alcune brevemente 1. La RMALC nasce nel 1991 grazie alla stretta collaborazione di sindacati, organizzazioni contadine, indigene, gruppi ambientalisti, ONG e ricercatori. Il suo scopo primario fu quello di costringere il governo messicano a pubblicizzare il contenuto del TILCAN e di proporre alternative eco-sostenibili. Ancora una volta la struttura a rete e il ruolo di Internet gli hanno consentito di creare rapporti di solidale collaborazione con Networks canadesi e americani. Tale alleanza gli ha consentito di globalizzarsi creando la REPCJD all’interno del quale coesistono ben quindici organizzazioni. 2. La Neta — anch’esso sorta nel ’91 — è una vera e proprio network di comunicazione via internet che svolge funzione di provider. La sua estensione è tale da consentirgli di connettersi a 1.300 organizzazioni per creare una globalizzazione elettronica alternativa (cioè di attuare una guerra psicologica su larga scala via internet). 3. Nel 1998 è nata il CIEPAC, un centro di ricerca alternativa per studiare a diversi livelli (sociale, politico ed economico) il Chiapas preparando concrete alternative. Oltre ad essere parte del REPCJO ha proficui collegamenti con Networks americani quali GE, WFP E MSN. 4. Sempre nel 1998 nasce la ASC vera e propria struttura di coordinamento nazionale che trova nella RMALC e soprattutto nei networks canadesi (CF e RQIC) e in quella americana (ART) partners di vitale importanza. Grazie all’ASC è stato possibile coordinare la prassi antagonista di 140 associazioni in occasione del FORUM di Quebec. Ancora una volta l’ausilio dello strumento elettronico, la configurazione a rete, la trasversalità collaborativa nazionale e sovrannazionale, l’esistenza di metodologia di lottanon convenzionali (dalla Guerra psicologica, all’ANV, alla Disubbidienza civile etc.) hanno consentito di attuare azioni di contrasto — su breve periodo — efficaci. 54 Bibliografia elettronica www.rmalc.org.mx www.lareta.apc.org www.ciepac.org 55 14. LA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA NELLA RIFLESSIONE DI HILARY WAINWRIGHT Secondo la giornalista inglese: 1) Le nuove forme di associazionismo devono promuovere un processo politico di auto-governo che mettano in grado la società civile di soddisfare gli interessi di tutti. 2) La democrazia partecipativa che emerge, prendendo in esame la gestione del potere pubblico a Porto Alegre e quella a Manchester, a Lutor e infine a Newcastle, hanno persuaso la giornalista della sua efficacia. 3) D’altronde una prova si era chiaramente manifestata a Seattle dove si era creata una contro-forza politica su scala planetaria. 4) Uno dei numerosi elementi comuni alle esperienze di analisi è la consapevolezza da parte dei cittadini che solo attraverso una inusuale alleanza tra partiti, movimenti sociali e sindacali era possibile ridefinire una autentica democrazia mettendo in discussione i partiti tradizionali. 5) Lo scopo delle associazioni, prese in considerazione dalla A., non è quello di prendere il potere ma quello di gestire in modo allargato e/o partecipativo i beni pubblici evitando sprechi ripensando la rappresentanza politica attraverso una contro-forza democratica e una democrazia internazionale orizzontale e trasversale. 6) La società civile ha la possibilità di superare la realtà esistente trasformando le relazioni sociali e opponendosi a scelte deleterie. Fra queste — l’autrice sottolinea — l’opposizione alla privatizzazione (di acqua e trasporti p.e.), opposizione volta a mantenere questi beni pubblici sotto il contesto democratico. La democrazia partecipativa consente un coinvolgimento elevato della società civile perché implica — se correttamente applicata — ‘‘un contratto popolare e una parità politica’’. 7) Perché ciò si realizzi sono necessarie quattro condizioni: a) apertura della democrazia alla base; b) regole comuni e trasparenti; c) autonomia decisionale rispetto alle istituzioni; d) condivisione delle conoscenze. 8) Al di là dell’inopportuno riferimento all’opera di Holloway, l’A. concepisce la democrazia partecipativa come complementare a quella tradizionale in un’ottica non anarchica ma riformista. Non a caso per l’A. il PRC 56 italiano costiturebbe un esempio di integrazione delle due logiche cioè quelle della democrazia partecipativa e di quella parlamentare. 9) A tale proposito l’A., propone la realizzazione di un ‘nuovo’ partito che ‘‘si impegni attraverso la sua struttura e cultura ad allearsi e a sostenere movimenti indipendenti’’ contrariamente a quanto è accaduto all’ANC e al PT che ‘‘hanno ceduto al potere del capitale privato e al mercato’’ tanto quanto i verdi tedeschi ‘‘le cui radici nei movimenti erano (...) troppo deboli per resistere alle pressioni di assorbimento nello Stato’’. Al contrario, il FSM rappresenta — almeno fino a questo momento — un ‘‘nuovo internazionalismo partecipativo e pluralista’’. 10) È tuttavia significativo sottolineare — sotto il profilo storico — come i riferimenti teorici dell’A. siano autorevoli rappresentanti della Teologia della Liberazione (Freire) e addirittura del comunismo (come Gramsci). Si ha l’impressione — insomma — che la democrazia partecipativa sia una ‘variante strategica’ del comunismo tradizionale che ha — almeno in parte — deluso le aspettative dei suoi sostenitori. 11) L’A. — come la stragrande maggioranza degli analisti — riconosce nel movimento del ’68 un importantissimo antesignano della democrazia partecipativa. In particolare il ‘‘movimento femminista, il sindalismo radicale di base etc.’’ ne sono un chiaro esempio. 57 15. IL MOVIMENTO CONTRO LE DIGHE IN INDIA * 1. Origini Sorto alla fine del 1980 (più precisamente nel 1989) grazie a Medha Patkar, fu l’esito della confluenza di tre organizzazioni indiane pre-esistenti: il NGDS, il KMCS e il NGNS. 2. Organizzazione A partire dagli attivisti dei villaggi locali e di quelli di città, si sono costituiti due centri in località differenti che organizzano consultazioni collettive secondo la logica della democrazia consensuale. Accanto ad essi, esiste il comitato di coordinamento formato da intellettuali e attivisti. I finanziamenti prevengono in parte dagli attivisti di città. A partire dagli anni novanta l’NBA ha intrecciato relazioni strette con il NAPM e il JSM il cui spettro ideologico comprende la sinistra radicale e i socialdemocratici. 3. Metodi di lotta 1) consultazioni di massa per conseguire maggiore consapevolezza e quindi maggiore coesione sociale; 2) alleanze transnazionali via internet per aumentare la pressione politica (p.e. alleandosi con l’IRN e i FE;) * Una lotta analoga per modalità è quella condotta al di fuori dell’India. Sia sufficiente pensare al FRENTE PETENERO, al FRENTE CHIAPANECO, al Movimento Messicano contro le dighe (MAPDER), al FRENTE NACIONAL GUATEMALTECO, al Copire in Honduras, alla FECON in Costa Rica, al Gruppo Bajo Lempa in Salvador, alla KUNA e al BEIPO al Panama. Naturalmente l’insieme di questi movimenti rifiuta radicalmente gli accordi AICA, Ppp e quelle del CAFTA. 58 3) 4) 5) 6) 7) marce di lotta; sciopero della fame; denunce legali; campagne mediatiche; disubbidienza civile. 4. Reazione 1) 2) 3) 4) Repressione violenta; arresti; minacce; lauti finanziamenti al governo indiano. 5. Nemici Se la lotta è iniziata per impedire la costruzione della diga di Narmada, oramai la NBA si oppone alla privatizzazione dell’acqua e dell’energia elettrica da parte delle istituzioni sovranazionali (come la BM, il FMI o l’OMC) e delle corporations. 6. Ideologia L’NBA può definirsi un movimento eco-pacifista con una forte presenza femminile (a livello di attiviste di base). È evidente che — a livello di Comitato di coordinamento — l’impostazione politica affondi le proprie radici ora nella sinistra radicale (cioè nel maoismo) ora nella sinistra riformista. La parola ‘‘glolocal’’ rende molto bene il senso di una lotta che — partendo da problemi locali — li affronta a partire da ideologie ben connotate. 59 16. IL MOVIMENTO CONTRO LE SWEATSHOPS 1. Origini Sorto agli inizi degli anni novanta (più esattamente nella primavera del 1998) grazie a gruppi universitari americani (prevalentemente della Duke University) e alla precedente esperienza maturata nell’UITE, ma soprattutto grazie alla WRC Fondation 2000 (e della quale fanno parte l’AFL, CIO e la SAS). 2. Strutture Esiste la Direzione (costituita da un coordinamento nazionale), che viene eletta annualmente; esistono poi sette rappresentanti regionali e i campus universitari. Esiste un ufficio permanente a Washington — sorto nel 1999 — con uno staff di tre persone che svolgono mansioni -autonome ma intrecciate-quali: 1) la prassi di contestazione; 2) il coordinamento del programma di contestazione; 3) la raccolta fondi e la comunicazione. Accanto allo staff esistono commissioni permanenti che si occupano di problematiche specifiche strettamente collegata al Prison Moration Project, al National Student Youth Peace Coalition e al CWA. Tuttavia il legame più stretto (dovuto alla consistente elargizione) è quello usato con l’AFL-CIO e con l’UITE 3. Ideologia La SAS può definirsi come un movimento sindacal-studentesco di matrice riformista e anti-militarista. 4. Tecniche di lotta La prassi contestataria si attua attraverso 60 1) 2) 3) 4) 5) mobilitazioni; picchettaggi; sensibilizzazione della massa operaia; organizzazione di scioperi; denunce legali. 5. Nemici Tutte le industrie (nazionali e transnazionali) che violano — in modo grave e reiterato — i diritti dei lavoratori. Le SAS attuano — dunque — una opposizione alla globalizzazione neo-liberista a partire dal diritto sul lavoro, a partire dunque da un problema specifico. 61 17. LA LOTTA DI RESISTENZA NELL’AMAZZONIA ECUADORIANA 1. Premessa Numerose multinazionali petrolifere (europee e non) hanno sfruttato le risorse energetiche dell’Amazzonia ecuadoriana — raccomandandosi sovente con l’FMI, BM, l’OM e il governo USA — incontrando numerose resistenze presso le comunità eterodirette sotto il profilo ideologico e organizzativo da organizzazioni e ong di matrice eco-pacifista. 2. Organizzazione Le principali multinazionali coinvolte possono essere indicate cosı̀ di seguito: Cgc (Argentina), Bri (USA), Repsol-YPF (Spagna ed Argentina), OPC (USA), CE (canadese), EC (canadese), PetrobrA s (canadese), Petroecuador (Ecuador), Agip (italiana), China petroleum (cinese), Perenco (francese), Petrocondor (americana) e Tripetrol holding inc (Ecuador). 3. Metodi di lotta Le comunità indigene hanno attuato le seguenti modalità conflittuali: 1) denunce legali; 2) cortei; 3) pressione — attraverso organizzazioni internazionali — sulle multinazionali, sulle istituzioni politiche e sulla stampa; 4) campagne di sensibilizzazione; 5) mediazione con le autorità (locali e non); 6) costituzioni di associazioni a tutela delle comunità indigene; 7) ricerca di alleanze con sindacati e partiti nazionali e non; 8) blocchi stradali; 9) sciopero; 62 10) lettere di protesta; 11) sequestro — provvisorio — di mezzi e uomini per boicottare; 12) blocco dei pozzi. In conclusione l’azione diretta si è attuata ora attraverso l’azione non violenta ora attraverso la disobbedienza civile. Sul fronte strettamente comunicativo la guerra psicologica — è stata utilizzata abbastanza spesso in modo efficiente. 4. Organizzazioni di resistenza Gran parte di queste organizzazioni si sono fatte sostenitrici di un programma politico contrario alla globalizzazione (e quindi contrario alle politiche di aggiustamento strutturale del FMI, dell’OMC e della BM) e favorevoli alla sperimentazione di forme di democrazia allargata con relativa implementazione delle municipalità locali. Le più rappresentative sono state: Acion Ecologica, l’Assemblea generale Sarayatu, Asociation de Centros Indı́genas de Pacayacu, FINAE (e strettamente legale alla FICSH e alla FIPSE), la Federación Internacionalidades, CDES, Pachamama, Amazon Watch, Federazione dei popoli Shnar, Friends of the Earth, CORDAVI, Comitato per i diritti umani di Shushunfindi, Comitato di difesa del Cuyabeno, FOCAN, Commissione ecunemica dei diritti umani ACIA, Comité Defensa Ambiental, FOBOMADE, CEDIB, Suprana, Cooperativa Rukullakta, Rincancic, Recoka, Freite de Resistencia a la Actindad petroliera, UPIT, Frente de Defensa de la Amazonı́a. 5. Reazione delle multinazionali È necessario precisare che le multinazionali hanno promosso associazioni e/o fondazioni fittizie (fra le quali DAIMI SERVICE, la ONHAE, Fundación Repsol-YPF, Fundación Nanpaz, FUNEDESIN, Fondazione J. Sacha) che sono state in grado di ostacolare le associazioni antagoniste e attivare — molto spesso — una efficace contro informazione promuovendo numerose divisioni all’interno delle associazioni indigine. In merito alle metodologie di contro-offensiva, qui di seguito, elenchiamo le tecniche usate dalle multinazionali: 1) 2) 3) 4) 5) compensazione economiche; frode; cospirazione; divisione le comunità indigene; manipolazione dei referenti delle associazioni; 63 6) disinformazione; 7) repressione militare o attraverso le F.A. locali o attraverso gruppi paramilitari esistenti o — infine — attraverso la realizzazione di gruppi paramilitari ad hoc; 8) minacce; 9) colonizzazione soft che si concretizza nella creazione di parchi o riserve forestali; 10) compromessi e/o accordi con le comunità indigene; 11) campagne pubblicitarie; 12) esproprio degli abitanti; 13) cooptazione; 14) condizionamento culturale autonomo (diretto da agenzie appartenenti alle multinazionali) o condizionamento collaborativo (in stretta relazione con le autorità politiche e religiose locali); 15) collaborazione con l’intelligence con finalità o di contro informazione o di counter-insurency; 6. Conclusione Al di là delle metodologie usate dalle multinazionali è doveroso fare osservare che un numero tutt’altro che ristretto di associazioni indigene, ong e movimenti eco-pacifisti ha assunto (e assume) una posizione di assoluta intransigenza nei confronti della necessità delle estrazioni petrolifere, di assoluta intransigenza nei confronti del modello di sviluppo occidentale e — di contro — nella assoluta fiducia della validità di modelli alternativi in campo economico e politico. 64 18. ATTIVISMO JAMMING 1. Origine Il termine jamner è stato usato da Kalle Lash nel 1991 per connotare una nuova ‘stirpe’ di attivisti. Lash (ex analista del Dipartimento di Difesa australiano e celebre documentarista) ha fondato la rivista ‘‘Adbusters’’, la Adibuster Media Foundation, l’agenzia di comunicazione Powershift e il network Culture Jamner per conseguire precise finalità. L’ufficio centrale è a Vancouver (Canada) presso l’AMF. Lash ammette esplicitamente di aver trovato il termine in un articolo del ‘Times’ relativo ad una band di San Francisco che aveva usato proprio l’espressione ‘Culture Jamming’ in un album per indicare radioamatori americani che promuovevano una vera e propria campagna di disturbo radiofonico. La loro eredità è stata raccolta dall’A. allo scopo di organizzare raduni di massa contro il consumismo e quindi contro le implicazioni del capitalismo. 2. Scopi Le finalità delle agenzie realizzate da Lash si propongono l’ambizioso progetto di: 1) rovesciare le attuali strutture di potere allo scopo di modificare profondamente; 2) creare i presupposti di una nuova rivoluzione culturale analoga — per importanza e portata — a quella per i diritti civili, del femminismo e dell’attivismo eco-pacifista. 3. Composizione politica Per ammissione dello stesso Lash i membri della Culture Jamner provengono dalla sinistra verde, dal fondamentalismo cristiano e dal punk anarchico. 65 4. Organizzazione La struttura a rete consente la coesistenza dialettica di diverse identità politiche. 5. Nemici 1) 2) 3) 4) 5) Le corporations che hanno distrutto l’America; i leaders politici al servizio delle corporations; la sub-cultura consumistica che ci condiziona neutralmente; l’omogeneità culturale americana nel mondo; l’ecocidio delle corporations. 6. Referenti Al di là dell’attivismo degli anni Sessanta, Lash riconosce nella disobbedienza civile, nell’uso delle tecniche non violente e nelle analisi situazioniste i principali referenti. 7. Metodi di lotta 1) Blocco stradale; 2) smantellamento dei cartelloni pubblicitari; 3) creare contro pubblicità prendendo la pubblicità di una corporation perfarne la parodia modificandone il significato originale; 4) cyber petizioni; 5) sit-in virtuali allo scopo di mandare in tilt un sito Internet; 6) sito di protesta per promuovere una adeguata campagna di contro informazione; 7) azioni dirette di protesta; 8) dopo aver individuato la corporation l’A. consiglia di proseguire per due anni nella propria protesta; 9) promuovere azioni legali; 10) screditare le corporations (p.e. quelle alimentari come la Midland o la Cargil); 11) creare media alternativi per contrastare il contratto del flusso di informazioni determinato dalla T.C.I., dalla Time warner o dal gruppo Murdoch; 12) petizioni. 66 8. Conclusione Al di là dell’elogio acritico del ’68 e di Debord, l’A. è conscio dei precedenti fallimenti ma ostenta fiducia e ottimismo nonostante il fatto che le metodologie di lotta da lui indicate non siano altro che una sorta di cybersituazismo abbinato alle classiche tecniche di Thoreau, King e Gandhi. 67 19. MODALITÀ OPERATIVE DELLA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE IN IRAQ E PALESTINA La maggior parte delle associazioni, delle ONG pacifiste e anti-militariste presenti in Iraq e in Palestina rifiutano programmaticamente il ricorso sia alla guerra civile che al terrorismo e accettano l’uso di modalità operative antagoniste tipiche della conflittualità non convenzionale, incoraggiando e organizzando la resistenza non violenta. 1. Principali soggetti coinvolti 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) Il MAN co-fondato da Muller; il Non violent Peaceforce coordinato da Grant; Urgente per; Centro Gandhi di Pisa; Centro Studi Sereno Reio di Torino; Associaizone Berretti Bianchi; Secours Cathelique diritto da Roy; EAP Tutte queste organizzazioni hanno agito ora in Iraq ora in Palestina coordinandosi con analoga associazioni presenti in Palestina e in Iraq. 2. Scopi politici Sono individuabili due finalità fondamentali: 1) liberare il popolo palestinese dalla oppressione israeliana; 2) liberare il popolo dalla invasione americana. In entrambi i casi l’unica modalità accettata è la resistenza non violenta (a tale riguardo è doveroso precisare che le associazioni europee, USA e palestinesi hanno formulato un giudizio lusinghiero della Intifada). 68 3. Modalità operative 1) Negoziazione; 2) attuazione di una capillare e coordinata operazione di contro informazione rivolta all’opera pubblica; 3) coordinamento di azioni graduate di resistenza non violenta (sit-in, veglie e marce); 4) attuazione della tecnica della disobbedienza civile (p.e. il boicottaggio, lo sciopero ristretto e allargato); 5) creare organizzazioni che siano in grado di coordinare l’ANV; 6) realizzare la contro informazione o su supporto cartaceo o su supporto informatico; 7) illustrare l’efficacia dell’ANV attraverso esempi storici e video. 4. Connotazione ideologica Non è certo arduo — al di là della molteplicità delle organizzazioni — prevale un minimo comune denominatore caratterizzato dall’: 1) anti-militarismo; 2) anti-americanismo (inteso come opposizione alla politica estera reazionaria bellicista); 3) dalla opposizione ferma alla politica israeliana; 4) dalla opposizione alle regole della diplomazia tradizionale; 5) e dalla opposizione al terrorismo. 69 Parte Terza 1. IL MONDO LETTO ATTRAVERSO L’ANALISI DEL WORLD WATCH INSTITUTE Di particolare interesse sono i cap. VII e IX del Rapporto 2004, poiché da essi emerge in modo chiaro l’ideologia che sorregge l’analisi del celebre istituto. Renner del cap. VII sottolinea quanto segue: 1) le spese militari sono profondamente dannose perché tolgono risorse ai programmi socio-ambientali; 2) hanno gravi ripercussioni ambientali e portano al saccheggio e alla devastazione quando si concretizzano in operazioni di guerra e, non meno devastanti, sono — per l’A. — le armi leggere. Sul Plan Colombia il giudizio è di assoluto rifiuto. Indipendentemente dalla valutazione assolutamente negativa della amminstrazione Bush, l’A. sottolinea la nefasta influenza della NRA proprio sulla politica americana. Tornando alla spesa militare oltre che determinare un aumento a spirale della violenza questa andrebbe strutturalmente ridimensionata per fare posto alla Difesa non violenta. D’altra parte, la lotta al terrorismo ha consentito proprio l’aumento della spesa militare e ha intaccato profondamente i diritti umani. Per tale ragione sarebbe opportuno ‘smilitarizzare’ il concetto di sicurezza. Gli autori (French, Gardner e Assadurian) nel cap. IX compiono un’analisi indubbiamente di maggiore respiro. Da parte USA aver dichiarato guerra — scavalcando l’ONU — è stato un gravissimo errore.. Secondariamente le politiche di aggiustamento strutturale dell’FMI e del WTO sono da condannare. Anche autori come Renner sono a favore di una drastica riduzione degli armamenti. Tuttavia la parte più interessante è indubbiamente quella relativa alle alternative: 1) gli A. valutano positivamente l’esperienza di gestione politica ed economica di Porto Alegre (e quindi implicitamente la gestione politica del PT); 2) riconoscono la centralità delle ONG, della società civile, dei Social Forum, del movimento pacifista del 2003 (in particolare l’UPJ americano), la centralità delle nuove tecnologie comunicative (p.e. Internet), valutano positivamente l’azione dell’OMG Witness (che — detto per inciso — procura a paesi poveri attrezzature tecnologiche volte a organizzare manifestazioni) 73 delle ONG nell’essere riusciti a detronizzare Estrada, presidente delle Filippine. Infine propongono: 3) il superamento delle logiche usuali della diplomazia internazionale attraverso Network globali che siano in grado di partecipare alle decisioni di politica economica, il rafforzamento dell’azione formativa attraverso le scuole, i media e le confessioni religiose (che hanno svolto un ruolo rilevante nel movimento di Gandhi, nelle lotte per i diritti civili e nel movimento anti-nucleare) e auspicano — da parte di Network, ONG e associazioni — l’uso di grandi mobilitazioni strategiche affinché possano avere una efficacia maggiore. 74 2. IL MONDO LETTO ATTRAVERSO L’ANALISI DEL SOCIAL WATCH (RAPPORTO 2004) Complessivamente il rapporto sottolinea l’urgenza di ridimensionare profondamente le spese militari a vantaggio di altri settori considerati prioritari. In secondo luogo, il ruolo dell’ONU è esente da qualsiasi critica che ne possa inficiare il ruolo di mediatore internazionale tanto quanto quello delle ONG. Proprio per questo, emerge con nettezza un vero e proprio manicheismo ideologico che si evidenzia nella relazione sull’Italia (redatta da organizzazioni che hanno contribuito in modo significativo al GSF), sulla Palestina (ora Israele è ritratto come un paese aggressore e negatore dei diritti umani, valutazioni che agevolmente possiamo incontrare nella pubblicistica della sinistra radicale), sull’USA (ora l’amministrazione Bush è descritta in termini assolutamente negativi), sull’Iraq (relazione nella quale si condanna l’intervento USA) e infine la relazione sul Venezuela che — al contrario — esprime una valutazione entusiastica della politica di Chavez. Tutt’altro che marginale è poi il ruolo che spetterebbe alle ONG nel definire i contenuti della politica dell’Unione Europea. D’altronde le risultanze delle analisi compiute e delle prospettive presentate si cotruiscono a partire dalla definizione di sicurezza data da Thakut delle Università delle Nazioni Unite ed ancora una volta — sia detto non senza una certa ironia — il ruolo delle ONG viene enfatizzato a tal punto da ritenere che il loro ruolo sia fondamentale nell’elaborare strategie ‘‘finalizzate al raggiungimento degli standard di sicurezza umana e ad una migliore comprensione della concezione della sicurezza umana’’. Vediamo — ora — di illustrare nel dettaglio le argomentazioni degli autori: in merito al Brasile l’unica nota positiva consiste nel sottolineare l’importanza delle ONG in merito alle mobilitazioni a favore del disarmo. In relazione all’Egitto si osserva quanto segue: 1) le ONG (ancora una volta) dovranno tenere corsi di formazione sulla effettiva partecipazione popolare all’amministrazione sociale; 2) le ONG dovranno assumere un ruolo di monitoraggio popolare sulla performance dello Stato; 3) le ONG dovranno farsi promotrici della eliminazione dei tribunali di sicurezza dello Stato e dovranno liberare i mezzi di informazione dal controllo del governo. 75 Per quanto concerne la Germania, le fonti interpretative sulla situazione politico-economica, sono mutuate dalla DGB, dalla DW e da ATTAC, fonti la cui Parzialità è nota. Sia sufficiente rilevare — a tale proposito — le affermazioni seguenti: ‘‘ATTAC definisce catastrofici gli effetti della riforma fiscale e della riforma del mercato del lavoro’’; ed ancora: ‘‘le agenzie di soccorso delle chiese hanno espresso la loro preoccupazione per il fatto che i confini tra cooperazione allo sviluppo e spesa militare diventano sempre più indistinti’’. In relazione all’Iraq — aldilà della scontata valutazione negativa sulla guerra — ci pare significativa la tesi secondo la quale ‘‘i militari non dovrebbero impegnarsi (attraverso p.e. l’OTHA ndr) nell’assistenza umanitaria’’. Per quanto concerne l’Italia — a parte lo scontato giudizio negativo della politica berlusconiana — è degna di nota la affermazione seguente: ‘‘meritano cosı̀ di essere sottolineate le iniziative dei girotondi (...), quella dei sindacati’’. Guarda caso l’analisi della situazione del nostro paese è compiuta dall’ARCI e dalle ACLI, associazioni strettamente legate a ben specifiche realtà ideologiche e politiche del nostro paese. Sulla questione della Palestina l’aperta partigianeria è lampante là dove — a conclusione dell’analisi — gli estensori della relazione sostengono le reti di ONG che vorrebbero ostacolare la realizzazione del Muro. Inoltre, osservano che questo problema è stato — guarda caso diremmo noi — sollevato dal WSF a Mumbai nel 2004. Sul Paraguay uno dei ‘bersagli’ di maggiore peso è il ruolo delle F.A che hanno raggiunto una posizione inaccettabile — perché inviadiabile — ‘‘nella struttura del potere’’. La proposta o l’alternativa è improntata alla radicalità: ‘‘le F.A sono assolutamente sorpassate (...) anche perché mettono a rischio la stabilità politica e ostacolano lo sviluppo umano’’. Insomma ‘‘sono diventate un ostacolo e persino una minaccia’’. Anche nel caso del Perù si sottolinea come la ‘‘delega del potere alle F.A’’ sia assolutamente nefasta tanto quanto il rafforzamento del servizio segreto nazionale. Pur riconoscendo — a malincuore — che tutto ciò ha permesso la eliminazione di Sendiero luminoso e del MRTA, i relatori non possono fare a meno di constatare lo sfruttamento elettorale del loro successo. Per gli USA sia sufficiente sottolineare che tutta la politica della amministrazione Bush dopo l’11 settembre, viene dai relatori condannata senza appello. L’analisi del Venezuela è semplicemente volta ad evidenziare i rilevanti successi della politica economica (in particolare agricola) del governo Chavez. 76 3. IL MONDO LETTO ATTRAVERSO L’ANALISI DELL’ASSOCIAZIONE SOCIETA INFORMAZIONE ONLUS È necessario premettere, per una maggiore correttezza dell’informazione, che: 1) tale ONLUS è stata possibile grazie alla CGIL, all’ARCI, a LEGAMBIENTE, ad ANTIGONE, al CNCA e al FORUM AMBIENTALISTA; 2) e, in secondo luogo, che alcuni relatori prevengono notoriamente o dalla sinistra extraparlamentare degli anni Settanta o dalla lotta armata (come Bellosi e Segio). Incominciamo la nostra breve analisi facendo riferimento al Rapporto 2004. 1) In merito ai nuovi movimenti sociali il Rapporto non può che esprimere una valutazione positiva (p. 509) sottolineando in particolare la positività di un ritorno alla partecipazione giovanile. 2) In relazione al ruolo dei CSA vengono citati con favore sia la Rete No Global che la manifestazione tenuta il 28 febbraio in solidarietà con Officina 99 (p. 509). 3) Anche le occupazioni scolastiche rappresenterebbero un nuovo protagonistmo della scuola (p. 510). Non a caso contro la riforma Moratti si cita con favore una proposta collettiva firmata da associazioni che hanno contribuito alla capillarizzazione del movimento no-global (e fra queste ATTACC, ARCI, COBAS scuola, Mani Tese, PAX CHRISTI etc.). 4) Sulla problematica del terrorismo (tema particolarmente caso a Segio e a Bellosi) si pone l’enfasi sulla criminalizzazione dei CARC di Maj, del sindacalismo di base e dei CSA. Tale criminalizzazione sarebbe il frutto di un tentativo di utilizzare l’emergenza terrorismo per ‘‘isolare il vasto movimento di opposizione alla guerra’’. 5) Sulla problematica della giustizia, i relatori condannano duramente lo spirito di vendetta nei confronti di Sofri, di Battisti e della Baraldini. 6) Particolarmente significative — per le nostre finalità — sono i contenuti delle interviste a don Ciotti e a Anastasia. Le riflessioni del sacerdote (fondatore del gruppo Abele e di Libera) ruotano ai seguenti assi portanti: 1) fine dell’occupazione irachena; 77 2) 3) 4) 5) fine dell’occupazione della Palestina; piena solidarietà al movimento pacifista; pieno sostegno al WSF; non esistono guerre giuste poiché guerra e umanità sono termini incompatibili; 6) la mobilitazione della società civile è fondamentale. Veniamo ora ad Anastasia (presidente di Antigore). Sul problema di Guantanamo l’opinione è chiara: il rispetto dei diritti umani è imprenscindibile. Quanto alla guerra preventiva continuarla equivale a far perdere all’occidente la propria identità. Anche per questo bisogna superare una visione etnocentrica e relativistica dei diritti umani e negare qualsiasi legittimità alla real-politik della guerra al terrorismo. 6) Nella sezione dedicata a ‘‘Guerre, terrorismi globali’’ (p. 657) riassumiamo sinteticamente le opinioni dei relatori: 1) le operazioni militari armate recentemente sono state fallimentari; 2) la guerra non è una soluzione accettabile; 3) infine condannano l’uso, da parte del potere politico ,delle F.A senza mezzi termini; 4) implicitamente accusano gli USA di volere militarizzare il mondo destabilizzandolo (citano con favore le iniziative della Rete Control Armi); 5) significativo — per le nostre finalità — il fatto che citino favorevolmente Naomi Klein; 6) un giudizio di condanna viene formulato nei confronti dell’insensata guerra in Kossovo e Afghanistan; 7) la politica di Sharon è giudicata completamente negativa anche perché responsabile della esclation. Gioco forza sottolineare che sia la Road Map che il Muro sono condannati senza mezzi termini anche appoggiandosi alle riflessioni di Said uno dei più noti intellettuali anti-israeliani. Per quanto concerne la strategia USA, contro il terrorismo il giudizio è netto: è stata non solo un fallimento totale (p. 668) ma ha contribuito ad estenderlo. A sostegno di tale opinione, gli A. riportano per esteso le valutazioni di Benetollo (presidente ARCI), Di Salvo (segretario CGIL) e di Ciotti che sono di unanime condanna delle scelte USA in materia di politica estera. 8) Anche le contromisure prese da Putin contro il terrorismo ceceno sono valutate in modo assolutamente negativo (p. 691) utilizzando le considerazioni di Sofri e come fonti ‘‘Le Monde Diplomatique’’ e Peacelink (il più importante network pacifista italiano). Ancora più 78 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) significativa la bibliografia (p. 727) dalla quale emerge che il 90% delle informazioni è presa dall’‘‘Internazionale’’ e dalla quale mancano in modo macroscopico fonti diverse (come quelle delle riviste militari nazionali e non). Dall’intervista a Panzieri (responsabile CGIl per l’Europa) emerge la volontà di contrapporre agli USA l’ONU e l’UE anche attraverso il FSE; anche la Di Salvo condivide questa volontà di contrapporre (aggiungendovi anche il Mercosur in linea con quanto dichiarato da Chavez). Ovviamente (p. 840) l’elogio verso il FS mondiale, di Mumbai non può essere separato dalla difesa del CUT di cui si riconosce il contributo decisivo. Quanto rilevante sia oramai la capacità attraverso le organizzazione di destabilizzare, lo possiamo agevolmente desumere dalle proteste (2003) organizzate in Bolivia contro la politica emenergetica (superfluo osservare che gli A. sono favorevoli). Il fallimento del vertice di Cacun viene valutato con gioia dagli A. i quali — per esteso — riportano le valuazioni di CARTA, di Legambiente e dell’ARCI. Cosı̀ come la critica alla logica delle multinazionali è radicale altrettanto lo è l’elogio dell’EZLN; altrettanto elogiativo è il ritratto fatto dal WSF di Mumbai la ricostruzione del quale viene affidata a fonti non certo neutrali (fra queste: Unimondo, il Manifesto, ATTACC, etc.). Pur a denti stretti gli A. devono riconoscere che il governo di Lula ha dovuto cedere a compromessi numerosi per quanto non si spingano ad affermare che Lula abbia in gran parte tradito le aspettative del FS di Porto Alegre. Realisticamente parlando,ci sembra che Lula sia più preoccupato di consolidare la Leadership nell’America Latina, in un contesto di classica politica di potenza, piuttosto che venire incontro alla esigenza del MST. 79 4. LA REALTÀ INTERNAZIONALE LETTA ATTRAVERSO LA RIVISTA ‘‘GIANO’’ Non c’è dubbio che l’impostazione complessiva della pubblicazione sia di natura antagonista e condivida buona parte di quanto affermato dai precedenti paragrafi. L’anti-militarismo radicale si coniuga infatti con l’anti-imperialismo USA optando per una visione della realtà molto simile a quella di riviste come ‘Mosaico di Pace’ o ‘LatinoAmerica’. A tale scopo precederemo — seppure sommariamente — a evidenziare alcuni aspetti specifici della disinformazione. 1. N. 34/2000 A p. 83 del volume viene redatta una Costituente per la pace che rappresenta una vera e propria pars construens assai simile a quella di Porto Alegre. Quali sono le proposte degli estensori? 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) Neutralità dell’Italia e dell’Europea; assoluta illegalità del nuovo concetto strategico della NATO; mobilitazione per la chiusura delle basi NATO in Italia; gli interventi umanitari delle F.A. contraddicono in modo eclatante i diritti umani; è inaccettabile la pretesa di monopolio dei diritti umani da parte della NATO e dell’occidente in generale; disarmo e smilitarizazione; sospensione della produzione e della vendita di armi; rifiuto dell’esercito professionale; l’istituzione della difesa popolare non violenta o DPN; attuazione di una campagna contro la logica degli embarghi; eliminazione completa del segreto di Stato; attuazione di una democrazia partecipativa che oltrepassi il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. A conclusione seguono le firme di quelle associazioni che hanno promosso 80 questa costituente, la maggior parte delle quali hanno svolto un modo determinante nel contesto del dissenso no global in Italia: LOC, Rivista Guerra e Pace, Commissione Pace, PRC, Cgil, Fondazione B. Russell. Tuttavia la presenza più significativa al livello politico è quella del PRC con il Forum delle donne, con la commissione Pace PRC, con il Gruppo Diritto e giustizia della Federazone romana del PRC. 2. N. 45/2003 Nell’articolo di Peruzzi dedicato al pacifismo (p. 186) l’A. traccia una breve storia del pacifismo italiano contemporaneo a partire dalla guerra in Iraq. L’A. si fa portavoce del pacifismo radicale (quello di Fortini e Balducci) e quindi del movimento no global. Nell’articolo di Cortesi — oltre alle denunce tradizionali contro gli USA — l’A. prende posizione a favore della eroica resistenza irachena (p. 115). Anche Lannutti (p. 67) — dopo aver indicato i tredici gruppi che promuovono la resistenza in Iraq — afferma che l’attacco diretto contro le truppe di occupazione sia legittimo. Infine nell’articolo della Cotone, l’A. si fa portavoce delle esigenze della ONG ‘‘Pengon’’ che si batte contro il muro israeliano definito un muro dell’Apartheid. 3. N. 36/200 Nel primo articolo Moscato difende la continuità tra Castro e il Che in materia di politica economica. Nel secondo articolo Nobile attribuisce alla controrivoluzione USA il fallimento del movimento sandinista in Nicaragua per quanto non possa negare l’esistenza di numerose contraddizioni all’interno della politica agraria sandinista. Nel terzo articolo della Rossi si evidenzia come il Plan Colombia sia una ben misera giustificazione della militarizazione in Colombia, militarizzazione portata avanti — p.e. — attraverso i FOL. La tavola rotonda animata da Cortesi, Accame, Ferrajoli e De Lutiis è di particolare interesse. Se nella prima parte gli A. mostrano un cauto ottimismo sulle alternative perseguibili rispetto al nuovo ordine mondiale (additando nel pacifismo, nella neutralità dell’Italia alcune soluzioni concretamente perseguibili), nella seconda parte gli A. compiono una ricostruzione della storia del nostro paese partendo dai seguenti presupposti: 81 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) non è accettabile l’ampliamento della base di Aviano; la riforma dell’Arma è quanto mai inquietante; la secretazione degli archivi dei servizi segreti non è accettabile; la presenza delle basi è una inaccettabile limitazione della sovranità; la NATO agisce in modo anti-democratico; l’esercito professionale è pericoloso per la democrazia; la presenza — nella base NATO di Verona — di un Ufficio di guerra psicologica è inquietante; 8) l’attività dell’UCSI è illegale; 9) la limitazione del potere dei comunisti in Italia è stato — in modo anti-democratico — attuato con strutture come la Gladio. In conclusione, l’ottica con la quale gli A. hanno letto la presenza della NATO (fin dal ’49) e dei servizi, è assolutamente speculare a quella dell’ex Patto di Varsavia e delle informazioni attuate dai Partigiani della Pace. 82 5. LA REALTÀ INTERNAZIONALE LETTA ATTRAVERSO L’ARCHIVIO DISARMO * I presupposti attraverso i quali l’A. — Simoncelli — analizza la realtà internazionale (quella per inciso dell’America Latina, dell’Asia e dell’Europa dell’Est) possono essere brevemente riassunti nel seguente modo: 1) il liberismo è oramai diventato non solo una nuova religione ma è divenuto il principale strumento egemonico delle multinazionali (americane ed europee); 2) la sua pervasiva e capillare presenza nel mondo attuale porta a schiacciare ogni resistenza della società civile (p. 12); 3) la BM e l’FMI sono indubbiamente i principali strumenti politico-economici attraverso i quali la globalizzazione liberista ha concretato la propria progettualità smentendo de facto l’ONU e aumentando il divario tra paesi poveri e ricchi; 4) particolarmente nefasta si è rivelata la presenza della globalizzazione liberista nel Terzo Mondo dove la ‘‘ricchezza in molti di questi paesi’’ (p. 23) è divenuta oggetto dell’interesse predatorio delle multinazionali supportate dalle istituzioni economiche sovranazionali. 5) Concretamente la presenza nel Terzo Mondo ha portato alla nascita di una nuova forma di colonialismo, quello globalizzato, che come quello tradizionale afferma la propria volontà anche attraverso la guerra (e quindi attraverso ‘‘eserciti regolari e(..) gruppi paramilitari’’ (p. 28) ma soprattutto attraverso le guerre asimmetriche che alimentano conflitti inter-statali, conflitti secessionisti e intranazionali (p. 29); 6) come sempre l’insieme di questi conflitti alimenta la spesa militare e costituisce un ottimo affare per le industrie militari (p. 33); 7) di fronte a questa nuova realtà l’ampliamento della NATO (e quello della Marina italiana con la costruzione della Cavour ma anche della Garibaldi) rientra in un progetto più ampio che è quello della globalizzazione militare che precede parallelamente e quella economica; 8) Francia e UK si stanno dimostrando particolarmente attrezzati a svolgere * Archivio Disarmo, a cura di Simoncelli Maurizio, Le Guerre del silenzio, Ediesse 2005. 83 azioni di penetrazione economica e politica del Terzo Mondo. Quanto agli USA questi portano avanti la loro politica tradizionale del ‘Big Strick’ e del dollaro. 9) A tale proposito il nuovo imperialismo USA ha rafforzato la propria politica nucleare attraverso la NPR del marzo 2002 aumentando l’instabilità internazionale. 10) In questo contesto drammatico la manipolazione dell’informazione è decisiva tanto quanto è necessario contrapporsi ad essa attraverso media alternativi o publicazioni alternative (quali Nigrizia o le informazioni delle ONG). Ebbene analizzando — alla luce di questi presupposti — la situazione messicana (pp. 251-258), l’A. prende chiaramente posizione a favore dell’EZLN: ‘‘le comunità continuano a lavorare per la costruzione di un’alternativa, per l’utopia di un mondo diverso, un mondo che, contenga tutti i mondi’’ (p. 258) e rileva — unitamente alla organizzazione Mani Tese — la inammissibilità della guerra a bassa intensità codificata dal ‘‘Manuale di guerra irregolare’’ del Ministero della Difesa messicano. In merito alla situazione in Sri Lanka, l’A. ritiene equipollente sia la LTTE che il PTA governativo in quanto entrambi hanno portato alla violazione dei diritti umani. Anche le contromisure attuate dal governo filippino contro la guerriglia islamista, vengono ritenute estremamente gravi perché portatrici di inaccettabili violazioni dei diritti umani. Analizzando la situazione in Colombia, l’A. condanna la legittimità del Plan Colombia e di tutte le contromisure attuate dal governo per contrastare le FARC. In particolare, il coinvolgimento USA (p. 267) è ritenuto assolutamente nefasto. 84 6. PACE E NON VIOLENZA SECONDO L’IPRI Allo scopo di comprendere quale sia l’interpretazione dell’IPRI sulla problematica pacifista, faremo riferimento alle riflessioni del suo segretario Giovanni Salio, organizzandole in modo tematico per maggior chiarezza e semplicità. Politica. La concezione non violenta della politica rifiuta radicalmente l’interpretazione machiavellica (si veda p.e. Krippenderf) Violenza. L’A., in buona sostanza, condivide le tre definizione di violenza date da Galtung, Guiducci e Pontara tutte fra l’altro profondamente simili. Non violenza. Proprio a partire dalla interpretazione della violenza è possibile definire la non violenza. Questa — secondo l’A. — può essere negativa o positiva. La prima è l’insieme delle modalità operative non convenzionali che ben conosciamo; mentre quella positiva — relativa ai fini — è il risultato di una precisa concezione antropologica, storica ed economica. Ebbene la non violenza positiva deve fare riferimento ad un contesto nel quale etica e politica si completano e non si oppongono come nella concezione tradizionale della politica ma nello stesso tempo deve acquisire un elevato grado di consapevolezza superando l’acquiscienza e l’assuefazione. Concretamente l’ODC è più in generale, la disobbedienza civile esemplificano chiaramente la volontà di cambiare la prassi. Democrazia. L’abbinamento di democrazia e non violenza (teorizzato in forma organica da Capitini) consente di superare radicalmente una concezione puramente formale della democrazia. La Difesa non violenta. Sulla scia di Pontara e soprattutto di Drago anche l’A. è persuaso che la DPNV sia in grado di modificare proficuamente lo status quo attenendosi a semplici regole: 1) astenendosi dalla violenza diretta; 2) attuando una vasta gamma di teniche graduate che vanno dalla sensibilizzazione alla non collaborazione; 3) affermando la propria disponibilità a trattare; 4) esprimendo la propria consapevolezza nell’accettare qualsiasi sacrificio; 85 5) sapendo costruire alternative; 6) liberando oppressi e oppressori. Se la DPNV farà sue fino in fondo queste semplici regole, sarà possibile servirsene per contrastare la difesa armata e per sostituirla su lungo periodo. Economia. Partendo dalle fondamentali tesi di Gandhi, la prassi non violenta deve necessariamente costruire un’alternativa capitalistica seguendo le indicazioni operative di autori come Naess o E.F. Schnacher che naturalmente rifiutano radicalmente il capitalismo 86 7. LA FILOSOFIA POLITICA DI PORTO ALEGRE 1. Premessa Riteniamo, per una più esaustiva comprensione della filosofia della politica del WSF, attuare una rassegna (abbastanza analitica) delle opinioni più interessanti formulate da diverse personalità raccolte da Minà in due preziosi volume dell’editore Sperling & Kupfer: ‘‘Un mondo migliore è possibile’’ e ‘‘Le idee di Porto Alegre che stanno cambiando l’America Latina’’. Se volessimo analizzare alcune linee di forza non sarebbe arduo individuarle nell’anti-americanismo radicale (che procede di pari passo con l’ostilità altrettanto netta nei confronti della politica israeliana), nel rifiuto senza ‘se e senza ma’ del capitalismo e del neo-liberismo, nella impietosa critica verso la sinistra riformista (accusata di essersi venduta alla logica del capitalismo), nella assoluta fiducia di potere destabilizzare le oligarchie mondiali a partire dai Forum, nella assoluta fiducia verso le ONG e la società civile, nella volontà di costruire una nuova Internazionale o un nuovo Fronte popolare di portata mondiale a partire dalle istituzioni brasiliane, venezuelane e cubane. Al di là di tutto ciò, passando analiticamente in rassegna le riflessioni politiche degli autori, sembrerà di ritornare indietro nel tempo, di ritornare alla contrapposizione tra blocchi (ora sostituiti da USA/America Latina) e all’antagonismo anni Sessanta e Settanta. Infatti a ben guardare — sotto il profilo delle dottrine politiche — non c’è nulla di realmente originale, non c’è nulla cioè che non possa essere ricondotto al socialismo tradizionale, al socialismo utopistico, all’anarchia a ideologie — insomma — sorte in Europa fra Settecento e Ottocento. Questo è un aspetto al quale un lettore — storicamente attento e disinibito a livello ideologico — farebbe bene a prestare la dovuta attenzione. 2. Parte prima Betto 1) Con il Forum crolla il mito del pensiero unico; 2) l’economia USA trae vantaggio dalla guerra; 87 3) la mobilitazione contro l’AICA da parte della Confernza episcopale è doverosa; 4) la gran part dei più recenti presidenti dell’America Latina non sono altro che burattini in mano all’FMI; 5) auspica una convergenza di intenti fra associazioni e Chiesa; 6) l’A. sottolinea il ruolo determinante del PT; 7) la politica USA viene equiparata ad una vera e propria dittatura imperialistica; 8) i vari social forum hanno portato un contributo determinante all’estensione della democrazia. Lula 1) L’A. conferma il profondo radicamento del PT sia nei sindacati che nella Chiesa progressista; 2) nel PT d’altra parte c’è sempre stato un autentico pluralismo; 3) l’A. conferma la volontà di fare del Brasile una nazione forte e moderata. Ramonet 1) L’ottica del FMI è profondamente totalitaria; 2) esiste una vera e propria oligarchia internazionale che deve essere spazzata via; 3) i politici non sono altro che amministratori del Mondo della Finanza; 4) l’esperienza dell’EZLN delle ONG è stata decisiva per la nascita di un nuovo modo di pensare; 5) con Porto Alegre nasce una sorta di società unita; 6) riconosce il ruolo di Bourdieu poiché avrebbe compreso la possibilità di creare una nuova Internazionale; 7) la militarizzazione in America Latina non è accettabile e costituisce una vera e propria occupazione; 8) l’attuale amministrazione è profondamente maccartista. Genro 1) Determinate — per la nascita del Forum — l’incontro tra associazioni francesi e il PT brasiliano; 2) è possibile raggiungere una compattezza di classe nuova e più efficace; 3) il Forum deve avere un ruolo preciso nell’opporsi profondamente all’imperialismo USA; 4) strettissimo è il nesso tra il modus operandi della mafia e del capitalismo; 5) con il Forum la formula del prestito potrà essere superata. 88 Montalban 1) Scontata esaltazione dell’EZLN e delle ONG; 2) mantenere la trasversalità della cultura di sinistra è fondamentale. Chomsky 1) Con il Forum prendono nuova forma le vecchie aspettative della sinistra; 2) potrebbe rappresentare una vera e propria internazionale; 3) la non violenza spiazza i potenti e li rende incapaci di rispondere adeguatamente; 4) l’A. ribadisce il proprio convincimento anti-israeliano; 5) la guerra al terrorismo costituisce un pretesto per un aumento della repressione (p.e. in America Latina); 6) l’A. — ripetutamente — insiste sulla immensa pericolosità della militarizzazione dello spazio. Esquivel 1) L’A. pone sullo stesso piano Bush e Bin Laden; 2) non a caso definisce Bush un genocida; 3) l’A. sottolinea la pericolosità dei piani di militarizzazione argentini con Menem. Menchiù 1) L’A. sottolinea come Kissinger e l’intelligence USA debbano essere processati; 2) il Forum può opporsi a tutte le oligarchie; 3) è indispensabile rafforzare l’ONU. Mitterand 1) L’A. auspica il fallimento del socialismo e l’affermarsi della logica di Porto Alegre. 3. Parte seconda A) Galeano 1) Le potenze imperialiste ci stanno trascinando in una situazione di disperazione; 2) l’industria della guerra alimenta la guerra; 89 3) 4) 5) 6) 7) 8) i nemici bisogna inventarseli proprio allo scopo di alimentare la guerra; le economie capitalistiche portano alla distruzione del pianeta; i forum sono una risposta a tutto ciò; è vero che i forum mantengono una struttura flessibile e non gerarchica; l’informazione è costellata dai grandi mezzi di comunicazione; G. ammette la propria solidarietà a Cuba. B) Sulanos 1) L’incontro del Forum è un’espressione unica per creare le basi per un nuovo umanesimo; 2) ciò è stato possibile grazie alle comunità di base, ai movimenti sociali, al sindacalismo e ai Sem Terra. La loro presenza è fondamentale in Brasile ed è stata amalgamata dal PT; 3) l’A. si è fatto portavoce in Argentina di una coalizione ampia che va da quella marxista a quella cristiana; 4) non manca l’elogio a Chavez; 5) per l’A. Kissinger è una sorta di criminale; 6) Lula rappresenta una validissima alternativa tanto quanto il Mercosur è una valida alternativa alla ALCA. 7) Anche in Argentina bisogna creare le condizioni per una esperienza analoga a quella del Brasile. C) Roy 1) Il Forum ci ha permesso di legarci gli uni agli altri; 2) la resistenza all’Impero è legittima sia in Iraq che in Afghanistan ed è una resistenza da appoggiare; 3) i media hanno creato una fabbrica del consenso che manipola l’informazione; 4) la CIA è uno degli elementi che contribuisce a consolidare il progetto di globalizzazione. D) Ali 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) L’Impero per esistere ha bisogno di guerre continue; la guerra in Iraq è uno sfoggio di potenza imperiale; il mondo attuale è sottoposto alla colonizzazione neo liberista degli USA; l’A. elogia sia il PC iracheno che il PC indiano; la resistenza in Iraq è valida e va sostenuta; il bilancio militare USA è spaventosamente alto; la sinistra europea è oramai equipollente alla destra europea; 90 8) il Forum è un evento storico; 9) il PT è un grande esempio per tutta l’America Latina. E) Sepulveda 1) Sia il movimento no-global che ATTAC stanno dando un contributo decisivo al superamento delle vecchie logiche politiche; 2) il modello USA è un modello imperiale; 3) Bush è uno dei criminali più noti; 4) vogliamo una democrazia assai più autentica di quella attuale; 5) a tale scopo l’EZLN costituisce una grande speranza; 6) il neo liberismo in America Latina ha fallito; 7) capitalismo significa rapina e usura. F) Maidanik 1) Con Porto Alegre abbiamo la possibilità di riprenderci in mano il nostro destino; 2) l’A. riconosce l’importanza della influenza del PCI e di Cuba; 3) il Che per l’A. è una figura mitica e irragiungibile. G) Pieto 1) L’A. riconosce che Cuba ha avuto un ruolo rilevante con il CTC e con il Centro Martin Luther King; 2) l’A. sottolinea la lucidità intellettuale di Chavez; 3) la collaborazione con il Brasile deve aumentare; 4) l’A. parla di un vero e proprio fronte anti-fascista. H) Boff 1) Sostiene la validità dell’eco-pacifismo dimostrando di avere una grande speranza nei progetti del Forum; 2) per Boff il socialismo è l’unica opzione possibile soprattutto sul piano umano; 3) il contributo della teologia della liberazione al Forum è molto importante. I) Hostart C’è un aspetto degno di nota e di considerazione (al di là del’appoggio scontato dato al Forum di Porto Alegre) e cioè la consapevolezza che la qualifica di catto-comunista è adeguata. In secondo luogo — per quanto fugace sia l’analogia con il ’68 — l’A. esprime il timore che il SF finisca in un bluff. 91 Parte Quarta 1. IL MONDO CATTOLICO ITALIANO E LA GLOBALIZZAZIONE 1. Premessa Che una parte delle associazioni cattoliche (italiane) abbia contribuito alla crescita dell’ideologia no-global è un dato di fatto. Il contributo dato dall’associazione è stato stigmatizzato da numerosi intellettuali e/o editorialisti nel modo seguente: 1) numerosi sacerdoti cattolici si sono mossi per contribuire concretamente alla contestazione (p.e. contro il G8); 2) il cattolicesimo (unitamente al marxismo) è una delle principali correnti di pensiero ed azione che danno forza all’anti-globalizzazione; 3) queste associazioni rischiano di restare vittime di una vasta disinformazione (analoga a quella del ’68); 4) la dimensione religiosa che è emersa (p.e. a Genova) è insieme ingenua e utopica; 5) l’impegno per il superamento e la soluzione dei numerosi problemi del Terzo Mondo non passa attraverso un radicale anti-capitalismo e anti-occidentalismo; 6) i cattolici no-global non possono arrogarsi il diritto di monopolizzare il vangelo attraverso una lettura marxiana; 7) le istituzioni ecclesiali non devono commettere il grave errore di contribuire a saldare l’antagonismo no-global con la dimensione religiosa; 8) non poche delle manifestazioni celebrate (p.e. quella di Genova) non sono per nulla compatibili con la religione poiché emerge un evidente manichismo morale, contribuendo a dare sostegno al catto-comunismo; 9) non pochi esponenti dei movimenti non sono abituati a leggere la realtà della politica; 10) ancora una volta i cattolici (come nel ‘68 in Italia con Capanna e in Francia con l’arcivescovo Marty) hanno avuto un ruolo rilevante nel proseguire la lotta; 11) esiste il rischio (si veda p.e. il ‘‘Manifesto delle Associazioni Cattoliche ai Leaders del ’68’’ del 7 luglio 2000) che i cattolici — come nel ’68 — tor95 nino a subire una situazione di sudditanza verso ideologie che sono estranee alla storia del cristianesimo; 12) le soluzioni proposte — per risolvere le diverse problematiche sollevate dal G8 — dai cattolici sono drammaticamente speculari a quelle del popolo di Seattle; 13) da parte di queste associazioni si tralascia di ricordare le nefasta implicazioni dei regimi comunisti e si finisce per demonizzare il capitalismo. Infine l’abbinamento con queste ideologie estranee al cristianesimo conduce numerose associazioni cattoliche a demonizzare la razionalità tecnicoscientifica e li conduce ad accettare l’ecologia radicale,che distoglie i cattolici dal comprendere chiaramente la matrice panteistica — e quindi pagana — de una parte importante della ecologia attuale. 2. Primo esempio A mo’ di prova di quanto precedentemente affermato sia sufficiente sottolineare l’esplicito riconoscimento tributato al mondo religioso da parte di Agnoletto. L’autorevole esponente del GSF (ed eurodeputato del PRC) sostiene la presenza ampia e diversificata del mondo religioso all’interno del movimento. Questa realtà comprende settori ufficiali della Chiesa quali il Card. Tettamanzi, l’arcivescovo Agostino, la Caritas internazionale (p.e. nella persona di Ferrer), Don Ciotti, padre Zanotelli, suor Pasini, don Gallo, don Dell’Olio, don Vitaliano Della Sala, le Acli e in parte l’Agesci. 3. Secondo esempio Le affermazioni di Don Gallo esemplificano — in modo limpido — quanto affermato. Secondo il prelato: 1) è necessario richiamarsi alle grandi utopie intense nella accezione di Galeano; 2) bisogna muoversi su tutti i fronti (dalla giustizia alla scuola); 3) è necessario moltiplicare le iniziative girotondine; 4) i movimenti hanno fatto emergere l’autenticità della democrazia e della libertà; 5) in particolare i movimenti hanno ridato vita all’idea della democrazia diretta; 6) il ruolo del movimento anti-liberista è essenziale; 96 7) anche se l’azione non violenta è la cifra caratterizzante per quanto la disobbedienza civile non possa essere esclusa a priori; 8) i movimenti devono contribuire a rinnovare i partiti. 97 2. L’ANALISI DELL’ACC 1. Organizzazione Strutturata sotto forma di coalizione è sorta nel 2001 allo scopo di coordinare le proteste durante l’incontro della WB e dell’FMI nel settembre 2001. La sua organizzazione informale, oltre ad essere presente a Washington DC, ha proprie sedi a Montreal e nelle Filippine. 2. Contenuti ideologici L’ACC rifiuta 1) il capitalismo, la proprietà privata e il neoliberismo; 2) di conseguenza l’anti-imperialismo è il secondo ostacolo nella affermazione di una società altra. L’unica alternativa possibile è la costruzione di un mondo basato sul pluralismo e sull’autonomia di gruppi e individui. 3. Modalità di lotta Di fronte all’avanzata del capitalismo e dell’imperialismo, gli A.: 1) incoraggiano lo sviluppo di ogni cittadino che voglia diventare attivista; 2) sostengono che la loro esperienza gli consenta di comprendere la grande importanza di gruppi tematici la cui autonomia politica deve essere pienamente rispettata; 3) le tecniche usate non possono che essere varie perché procedono dalla disobbedienza civile all’azione non violenta; 4) concretamente la mobilitazione dell’Acc si è svolta in funzione anti-imperialista nel marzo del 2002, nel gennaio 2003 ed in funzione anti-capitalista a partire dal giugno 2001 a Genova, per giungere — nell’aprile 2002 — a protestare contro l’IMF. 98 3. L’ANALISI DELL’IGC 1. Origini Nato nel 1987 allo scopo di coordinare l’attività cyberattivista di PeaceNet e di EcoNew, a partire dal 1988 ha ampliato il proprio raggio di azione fino ad attuare collegamenti internazionali con GreenNet e soprattutto con l’APC (coalizione internazionale di reti cyberattiviste fornisce tecnologie in funzione antagonista in 130 paesi). L’importanza dell’IGC è tale da aver svolto il ruolo di provider per l’ONU (nel ’92). L’alleanza con PeaceNet e con LaborNet, ha consentito all’IGC di operare trasverlsamente: dalla pace all’ecologia fino al diritto del lavoro. 2. Organizzazione La sede ufficiale è a San Francisco e ruota intorno ad un gruppo di sei persone ognuna delle quali svolge mansioni specifiche. A pieno regime di attività lo staff si amplia fino a comprendere una trentina di collaboratori. 3. Metodo di lotta Trattandosi di una network informatico di coordinamento è giocoforza che l’attività si esplichi prevalentemente nel cyberattivismo e nella contro informazione come quella attuata da Indymedia. 99 4. I COBAS: METODI, SCOPI E ANTI-GLOBALIZZAZIONE Nella lotta e nella resistenza contro la globalizzazione un ruolo rilevante spetta ai sindacati. Nel nostro paese certamente questo ruolo è svolto dai Cub e dai Cobas. La nostra analisi si soffermerà sui Cobas. 1. Matrice ideologica Il terreno d’origine è certamente l’autonomia (d’altronde non a caso Scalzone nel ’87 inviò dalla Francia una lettera di solidarietà ai compagni) generalmente parlando. Nello specifico, la matrice ideologica dei fondatori e dei leaders dei Cobas è la seguente: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) ex-movimento ’77; Lega Comunista Rivoluzionaria; DP; anarchica; sinistra bordighiana; area POTOP; LC; Stella Rossa. D’altronde, basti pensare al percorso di alcuni leaders come Gigliotti, Maria Gullotta, e soprattutto Ceccotti per comprendere l’importanza decisiva che ha svolta la sinistra extraparlamentare nella costituzione dei COBAS. 2. Contesto sociale Se il terreno d’elezione è stata la scuola, gradualmente, la politica del dissenso e dell’antagonismo COBAS si è rivolta ad altre aeree: trasporti (in particolare i macchinisti) sanità e in generale gran parte del settore terziario. Si pensi al COMU, al COMAD o alla COBAS Alfa di Arese. 100 3. Metodi di lotta 1) 2) 3) 4) Marce di protesta; scioperi; picchettaggi; contro informazione all’interno del contesto lavorativo, attraverso il sito web e attraverso la loro pubblicistica periodica; 5) raccolta di firme. 4. Area di collaborazione 1) A livello sindacale con i CUB, le Rdb e l’USI; 2) più in generale con i CSA e i no-global; 3) a livello internazionale con i CTA e Via campesina. 5. I nemici 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) Contro i sindacati confederali; contro l’art. 19 della Legge 300 del ’70; contro la cultura del profitto; contro i falsi comunismi autoritari; sono a favore dell’anti-imperialismo; sono a favore dell’anti-capitalismo; contro il Partito Unico sul modello leninista; contro la centralizzazione dei mezzi di produzione; contro nuove aristocrazie del potere; accusano la sinistra di essersi venduta al capitalismo; sono contro i partiti conservatori italiani e contro quelli esteri; contro lo Stato gerarchizzato, autoritario e corporativo; ritengono che esista una sostanziale specularità tra destra e sinistra; sono contrari alla parità scolastica; l’esistenza del libero mercato non è altro che un monopolio o un oligopolio comunitario. 6. Il programma alternativo 1) i Cobas rifiutano di operare divisioni tra attività politiche, sindacali e culturali; 101 2) sono a favore della costituzione di un blocco sociale alternativo al potere imperante; 3) sono per il superamento della forma partito e della forma sindacato; 4) sono a favore del diritto/dovere di un’ampia partecipazione democratica; 5) sono a favore della centralità della democrazia diretta nel luoghi lavorativi; 6) sono a favore della centralità della propria professione per conferire dignità a se stessi; 7) fanno leva su nuovi soggetti antagonisti presenti nel pubblico e nel privato; 8) realizzano strutture consiliari nei luoghi di lavoro; 9) rifiutano la delega; 10) sono a favore della realizzazione di nuove camere del lavoro sul modello dei CSA; 11) sono a afavore della diminuzione dell’orario di lavoro; 12) sono a favore del rafforzamento democratico del Welfare State. 7. Organizzazione Per ammissione dello stesso Bernocchi, i COBAS hanno una struttura federativa che si articola in: a) b) c) d) comitati di base; assemblee provinciali; assemblea nazionale; commissione esecutiva nazionale. I finanziamenti sono frutto del contributo volontario. 8. Reazione delle istituzioni 1) 2) 3) 4) 5) Schedatura politica e intercettazione; Promozione di scissioni (come p.e. la Gilda); tentativo di marginalizzare sui mass-media il ruolo dei COBAS; dura opposizione e boicottaggio da parte dei sindacati confederati; accordi politici con le istituzioni — da parte dei sindacati confederati — per marginalizzare i COBAS e criminalizzarli. 102 5. ASPETTI DELL’ANTIMILITARISMO SARDO * L’antagonismo anti-militarista in Sardegna ha trovato modo di esprimersi all’interno di diverse organizzazioni e/o associazioni. Una delle più interessanti è indubbiamente il Comitato ‘‘Gettare le basi ’’ sorto a Cagliari nel 1997 contro la presenza militare NATO e USA sull’isola. Concretamente il Comitato, attraverso un’azione di contro informazione capillare rivolta alla società civile, mira a creare i presupposti per azione di disubbidienza civile contro la presenza militare. Infatti se, sotto il profilo della connotazione ideologica, il Comitato si muove nell’ambito del cattolicesimo del dissenso e dell’antagonismo radicale, concretamente istiga la società civile all’azione giudiziaria, all’occupazione permanente delle aree off limits, al blocco delle attività militari (come nell’ottobre 2004 quando alcune barche di pescatori ostacolarono l’esercitazione in corso costringendo il sottosegretario alla Difesa ad intervenire per promuovere un intervento diretto), alla organizzazione di manifestazioni sotto il palazzo della Regione Sarda, alla pressione politica (contribuendo alla elezione dell’attuale Presidente). Sotto il profilo strettamente storico, il dissenso sardo incomincia a prendere forma con la Comunità di Sestri fondata negli anni Settanta dall’ODC Pinna che promuoverà — di lı̀ a poco tempo — la LOC sarda. Nel 1984 — a Cagliari — si forma la prima sezione dei BCP. Nel ’91, si costituisce a Cagliari la sezione dello SCI. L’anno prima — nel ’90 — ad opera di Agata Cabiddu sorge la Casa per la Pace di Ghilarza che — fra l’altro — promuove annualmente un seminario sulla problematica della non violenza in senso lato. Nel 1978 sorge la Comunità di Via Marconi grazie al sacerdote Gerardo Fahert in stretto contatto con il MST brasiliano e sostenitore dell’EZLN messicano. Negli anni ’90 (più precisamente nel 1986) sorge la Cooperativa Passaparola anche grazie al decisivo contributo di Enrico Euli attraverso la promozione di training tematici non violenti rivolti — p.e. — alle scuole elementari (analogamente a quelli svolti ad esempio dal Centro Studi Severo Regis di Torino) e finalizzati alla realizzazione di gruppi antagonisti (dal movimento della Pantera, al movimento pacifista contro la Guerra del Golfo e contro le basi militari). Nel ’99 * Quaderni Satyâgraha, n. 9/2006). 103 — sempre grazie al contributo di Euli — nasce la Case di Alex che ha promosso azioni di protesta nei confronti della fabbrica di bombe DOMUSNOVAS. Infine è significativa l’istituzionalizzazione accademica del training non violento con la cattedra cagliaritana di Metodologie e tecniche del gioco e del lavoro di gruppo. 104 Parte Quinta 1. PREMESSA Il lettore non deve provare alcuna sorpresa nel trovare trattati — in questo volume — anche le tematiche pedagogiche. Il connubio pedagogia/ideologia e quello pedagogia/potere sono stati una sorta di corrente carsica che ha attraversato tutta la storia della pedagogia occidentale e non. In secondo luogo, i contenuti ideologici di numerosi orientamenti pedagogici (almeno a partire dal 1600 p.e. con Godwin) sono gli stessi dei movimenti presi in considerazione nelle sezioni precedenti. In terzo luogo, all’interno di determinati contesti ideologici (quali p.e. l’anarchia o il socialismo) la pedagogia ha svolto un semplice ma essenziale ruolo: trasformare l’educando in un oppositore ai sistemi di potere esistenti e — parallelamente — utilizzare l’istituzione formativa come dispositivo di cambiamento sociale. Non a caso, una componente elevata degli attivisti dei movimenti presi in considerazione, proviene proprio dalla realtà studentesca e guarda caso non pochi esponenti delle numerose realtà antagoniste chiedono a gran voce che la loro interpretazione della realtà si affermi proprio all’interno delle istituzioni formative. Quale migliore esempio di guerra psicologica? 107 2. LA RIFLESSIONE PEDAGOGICA DI PAOLO FREIRE Individuano per cominciare i referenti politico-culturali della riflessione di Freire: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) Hegel; Marx; Fromm; Fanon; Che Guevara; Debray; Mao; Castro; Althusser; Torres; Lukacs. Il percorso compiuto da Freire si può scandire nel modo seguente: 1) negli anni sessanta — in America Latina — il ruolo dell’educazione era quello di trasformare profondamente le strutture sociali; 2) il metodo dialogico teorizzato dall’A. era non solo contro la classe dominante ma era finalizzato a promuovere una democrazia radicale; 3) l’appartenenza alla teologia della Liberazione non è strettamente affermata per quanto abbia svolto un ruolo molto significativo dell’itinerario di Freire. Proprio nel contesto strettamente religioso, il Consiglio Mondiale della Chiesa esercita un’importanza fondamentale; 4) la presenza dell’A. in Africa fu rilevante perché lo avvicinò ai movimenti di liberazione; 5) nei confronti delle istituzioni statali l’atteggiamento dell’A. è chiaro ed è speculare a quello dei no-global: ridurre la centralizzazione dello Stato e aumentare il peso della società civile; 6) l’impatto che il movimento studentesco americano ebbe su Freire fu assolutamente positivo. ‘‘Il ’68 fu uno scoppio in favore della libertà’’; 7) altro elemento rilevante è certamente la stretta collaborazione con il PT, 108 collaborazione — questa — significativa per i nostri fini poiché dimostra la centralità di questo partito anche sotto questo profilo, sotto cioè quello della programmazione educativa. In merito al pensiero pedagogico, nel senso stretto del termine, sarà sufficiente indicare brevemente alcuni tratti salienti: 1) attraverso una nuova forma di pedagogia sarà possibile mettere il popolo nelle condizioni di essere un soggetto rivoluzionario; 2) grazie ad essa supereremo l’autoritarismo e la propaganda; 3) la pedagogia depositaria deve essere negata alla radice; 4) alla educazione come pratica di domino dobbiamo sostituire la educazione come pratica rivoluzionaria; 5) proprio nell’ambito della rivoluzione la pedagogia del dialogo è uno strumento di grande efficacia: 5.1) la leadership non può pensare che con le masse; 5.2.) la logica educativa del dominio precede attraverso la conquista, la divisione del nemico, la manipolazione e l’innovazione culturale; 5.3) al contrario la leadership rivoluzionaria deve fondarsi a partire da altri presupposti della pedagogia ;non e’ un caso che l’A. tragga ispirazione da Torres, da Castro e da Che Guevara. A questo punto il lettore ci consenta una domanda pleonastica: è forse un caso che l’Istituto P. Freire abbia dato un contributo rilevante al Forum di Porto Alegre? 109 3. LA RIFLESSIONE PEDAGOGICA DI FILIPPO TRASATTI Autorevole studioso di pedagogia anarchica (insieme a Codello) — membro dell’Unicobas e collaboratore di Ecole e della Rivista Anarchica A — ha con estrema chiarezza e lucidità — compendiato alcuni temi portanti della pedagogia anarchica nel seguente modo: 1) la pedagogia anarchica critica in modo radicale i paradigmi del potere con lo scopo di modificare radicalmente la società; 2) la pedagogia anarchica ci rende consapevoli che l’educazione è sempre educazione politica; 3) uno dei suoi scopi deve essere quello di portare il soggetto verso l’autoeducazione (un aspetto questo evidenziato assai bene da Bernardi, Tolstoj e Dolci); 4) anche l’A. come Freire (seppure in contesti storici assai lontani) ricorda come la pedagogia anarchica anticipi la rivoluzione creando dentro la comunità educativa una sorta di anticamera della rivoluzione; 5) la dignità e la libertà dell’individuo sono centrali; 6) il controllo della educazione da parte dello Stato o della Chiesa è comunque sempre una forma di dispositivo tanto è vero che l’obbedienza e il disciplinamento è stato ottenuto attraverso la manipolazione del consenso; 7) prendendo atto di ciò è possibile — secondo l’A. — creare all’interno degli spazi pedagogici tradizionali ‘‘rapporti quotidiani antagonisti rispetto al mondo del libero mercato e della competizione neo-liberista’’, oppure creare spazi alternativi (p.e. il centro di Partinico di Dolci); è possibile leggere la cultura come strumento di liberazione (servendosi p.e. del teatro come strumento di critica dal potere, dell’autogoverno come fece Lane nel 1918), e come strumento per decodificare l’ABC del potere (seguendo p.e. Foucault) o è possibile — seguendo in questo Lapassade — creare l’autogestione pedagogica in base alle quale l’insegnante è solo un medium formativo poiché deve lasciare agli allievi la scelta dei metodi e dei programmi da apprendere. 110 DOCUMENTO: FILIPPO TRASATTI INTERVISTA RAFFAELE MANTEGAZZA Pedagogia della resistenza Intervista di Filippo Trasatti a Raffaele Mantegazza * Veniamo al centro della tua riflessione teorica più recente, da una parte la /pars destruens/ della pedagogia dell’annientamento che ha delineato nel tuo libro /L’odore del fumo/ e dall’altra la /pars construens/, il progetto della pedagogia della resistenza: come nasce, quali sono i punti di riferimento teorici? Sicuramente alle spalle della pedagogia della resistenza c’è lo straordinario lavoro di smascheramento operato dagli autori della cosiddetta /scuola di Francoforte/ la cui eredità era evidente fin dal titolo, per la verità un po’ presuntuoso, del mio primo libro: / Teoria critica della formazione/. L’idea era e rimane quella di applicare le categorie della teoria critica della società, formulate soprattutto da Horkheimer e Adorno, alla scienza dell’educazione per smascherare i dispositivi della formazione del soggetto integrato e controllabile. Sı̀ Foucault, dunque, ma soprattutto Adorno; sı̀ pensiero francese ma soprattutto pensiero filosofico /hard/ tedesco; sı̀ strutturalismo (con juicio) ma soprattutto marxismo occidentale. L’interesse per la teologia, soprattutto per la teologia ebraica e per la teologia della liberazione, è venuto dopo ed è venuto proprio tramite Adorno e Benjamin: volevo capire che cosa potesse dire a un laico come me la teologia come pensiero dell’Oltre, di ciò che sta oltre il qui ed ora, di ciò che trascende la nostra condizione di sfruttati e sfruttatori, la nostra miseria quotidiana. E stata una scossa salutare scoprire che la teologia poteva non essere semplicemente uno strumento di giustificazione per l’oppressione e per lo sfruttamento ma anche e soprattutto uno strumento di denuncia e di smascheramento, in particolare rispetto alle ideologie che giustificano lo status quo e che appiattiscono programmaticamente il loro punto di vista sulla non superabilità dell’esistente; di qui è venuto l’interesse per Bloch, di qui la passione sempre crescente per le teologie non cristiane (islamica, buddista, ecc.), di qui l’afflato utopico che spero si respiri nelle pagine di /Pedagogia della resistenza/. Il filo conduttore di tutto il mio lavoro è stato doppio, lo vedo solamente ora: c’è sempre stata da un lato la denuncia del dominio in tutte le sue forme, il tentativo di andare a braccare il potere laddove non ci si aspettava di vederlo e soprattutto laddove la maschera della bontà lo copriva e lo rendeva invisibile (e dove meglio che nell’educazione, campo privilegiato di applicazione * Fonte: Rivista anarchica on line. 111 di quello che De André significava con le parole ‘‘non ci sono poteri buoni’’. Ma dall’altro lato c’è sempre stato l’afflato utopico che non poteva credere che tutto fosse finito, che non ci fosse via d’uscita, che il potere o il dominio avessero progettato e realizzato la perfetta ragnatela inattaccabile che a volte sembra trasparire da certe opere di Foucault. Insomma, lo studio della società completamente amministrata mi faceva sperare che quel ‘‘completamente’’ fosse in realtà un artificio retorico (se no, perché studiarla?) e che vi fosse la possibilità di una via d’uscita. Quali sono le condizioni e le strategie di un’educazione libertaria, per come tu la concepisci? L’educazione è una forma di potere. E teoricamente, affermare che l’educazione ha a che fare con il potere o che essa stessa si costituisce come una pratica di potere non dovrebbe sconvolgere più di tanto chi sia abituato a riflettere su problematiche pedagogiche. Eppure la dimensione del potere sembra essere la più rimossa da parte degli educatori; essi sembrano sempre sottintendere una loro non-partecipazione nei confronti di un potere che si situa sempre ‘‘altrove’’: nelle mani di Presidi, Provveditori, Ministri, nelle pieghe della burocrazia, sulle scrivanie di coloro che vergano i programmi di studio. Questa sorta di repulsione ad affrontare la questione del ‘‘mio’’ potere, del potere che è in me e che è ‘‘me’’, del potere che transita attraverso le mie pratiche quotidiane, del potere dell’educazione in quanto tale rende conto, probabilmente, della radicalità della questione stessa che proprio dal versante educativo può essere letta e studiata in modo critico e demistificatorio. Questo è a mio parere il presupposto di ogni educazione libertaria: porre al centro delle sue teorie e delle sue pratiche la questione del potere e dello smascheramento del potere. Anche e soprattutto del potere dell’educatore. Leggere nelle pratiche educative delle pratiche di potere e, ancor più radicalmente, studiare la presenza e la costituzione di un potere che sia essenzialmente educativo, le cui strutture siano per essenza omologhe a quelle dell’educazione, significa contribuire allo smascheramento della cosiddetta ‘‘bontà’’ originaria dell’educazione. Occorre allora smascherare i tratti di un potere eminentemente educativo, che è forse tipico della società del cosiddetto ‘‘dopo Auschwitz’’ (perché proprio ad Auschwitz ha sostenuto il suo ‘‘battesimo del fuoco’’). Saremo di fronte allora a un potere che non risiede sempre in un Altrove, un potere che forse non si ‘‘prende’’ o si ‘‘aliena’’ o si ‘‘trasmette’’ ma si esercita, non solo da parte dei soggetti ma anche attraverso i soggetti medesimi; un potere di assoggettamento che proprio in quanto prevede il soggetto come telos della sua applicazione (e non semplicemente come sostrato su cui applicarsi o dato naturale da pervertire e condizionare) diventa anima segreta delle pratiche educative; di tutte, ovviamente, anche di quelle che si vogliono come resistenziali nei confronti delle attuali configurazioni del dominio. 112 4. LA RIFLESSIONE PEDAGOGICO-LIBERTARIA DI MARCELLO BERNARDI In un celebre volume ‘‘Educazione e libertà’’ l’A. focalizza la propria proposta educativa a partire dagli aspetti seguenti: 1) l’educazione deve essere una operazione orizzontale; 2) l’educatore non deve governare o gestire il potere; 3) la critica alla tradizione, alla obbedienza (e agli automatismi relazionali) devono procedere di pari passo alla critica della manipolazione; 4) l’educatore deve aiutare il discente a evolvere verso la libertà; 5) l’educatore deve evitare il condizionamento; 6) l’educatore non deve fare adattare il discente alle norme della società perché al contrario il suo scopo deve essere quello di liberarsi dai ceppi della realtà nella quale vive. Una parte considerevole del volume è rivolta ad una critica radicale della società e dei suo valori, critica che è storicamente assimilabile a quella libertaria: 1) 2) 3) 4) la nostra libertà di opinione è puramente fittizia; il lavoro è gestito da istituzioni gerarchiche; il divertimento è programmato e mercificato; anche per questo è doveroso non piegarsi alle numerose imposizioni delpotere e creare i presupposti per una autentica libertà (che significa saper condurre se stessi, sapere operare eticamente, sapere vivere senza bisogno di essere governati), libertà che spesso si può conseguire solo usando la violenza grazie alla quale lo ‘‘sfruttato si ribella’’. Il ricorso alla violenza rivoluzionaria — è condivisibile — tanto quanto la resistenza al sistema, sistema che attraverso a guerra si perpetua, sistema che si fonda su pseudovalori quali la religione, l’onore, la Patria, la famiglia. 5) Alla luce di tutto ciò si può costruire una scuola aperta nella quale ‘‘la selezione, le graduatorie’’ non sono accettabili. Infatti — p.e. — il metodo selettivo serve solo ad integrare l’indice nel sistema per combattere il quale l’educatore dovrà attuare una logica priva di autoritarismo, aliena da rimproveri, punizioni, ricatti, logica che si dimostrerà profondamente contraria a falsi valori quali il profitto, il successo, la competizione o la 113 sudditanza. D’altronde nella scuola tradizionale lo spirito critico, la contestazione o vengono repressi o più semplicemente non vengono ritenuti ammissibili. In conclusione — e senza peccare di esagerazione — il volume dell’A. può anche essere letto come un breviario della sovversione psicologica chiave di lettura che l’A. avrebbe sicuramente gradito. 114 5. LA RIFLESSIONE PEDAGOGICA DI RAFFAELE MANTEGAZZA Secondo l’autorevole pedagogista una pedagogia innovativa deve fare proprie le seguenti tesi: 1) smascherare i dispositivi di potere presenti comunque nella pratica educativa (utilizzando p.e. Foucault o Berheim); 2) prendere in attenta considerazione le riflessioni di Lapassade sull’autogestione pedagogica; 3) quelle di Illich e Freire per giungere a Dussel il quale — e questo è un punto decisivo — oltre che aver manifestato il proprio apprezzamento per l’EZLN — ha cercato di creare i presupposti per una pedagogia ispirata alla teologia della Liberazione. In definitiva a partire da questi autori — e non solo — l’A. propone di costruire una pedagogia della resistenza, una pedagogia che consenta la ‘‘formazione dell’individuo in chiave emancipatoria’’ che tragga linfa vitale anche dal movimento non violento, dalla disobbedienza civile ma soprattutto dal marxismo. Il recupero della dimensione utopica serve allora a ridare vigore alle riflessioni di Owen e Fourier, a quelle di Capitini che farà uso del paradigma della non violenza in funzione critica verso l’esistenza proprio ponendo l’enfasi sul modo del docente che dovrà fare comprendere il boicottaggio, l’Odc, l’obiezione fiscale onde attivare nel discente la capacità di rottura, di ribellione e contestazione. La pedagogia alla quale pensa l’A. non potrà che collocarsi all’interno di un contesto laico, di ispirazione anti-capitalistica per demistificare la formazione di un soggetto funzionale all’ordine esistente. A tale proposito, il recupero di una sorta di ‘marxismo libertario’ è essenziale alla pedagogia della resistenza poiché ci consente di valorizzare criticamente la stagione contestataria del ’68 (al quale l’A. è molto legato) alla luce di questi aspetti: l’anti-dogmatismo, il protagonismo giovanile, l’insistenza sull’autogestione, la feconda contaminazione con l’anarchismo, in un reale interesse per la cultura popolare, una enfasi corretta sull’utopia e una proficua contaminazione con la teologia della rivoluzione. 115 6. LA RIFLESSIONE PEDAGOGICA DI ERNESTO BALDUCCI Questo argomento fu ampiamente affrontato dall’A. nel volume ‘‘Per una pedagogia della pace’’ (edito nel 1993) nel quale Balducci ribadı̀ in forma sistematica quanto aveva già precedentemente affermato. In breve i principi ispiratori possono essere sintetizzati nel modo seguente: 1) la cultura della pace deve cambiare profondamente l’essere umano attuando un radicale cambiamento antropologico; 2) se fino a questo momento ha governato la lotta per la vita o l’antagonismo tutto ciò deve mutare; 3) l’uso della forza è ancora una conseguenza di un retaggio ancestrale; 4) fino a questo momento l’uomo si è limitato a razionalizzare la violenza ma non ha certo contribuito ad eliminarla; 5) la guerra è l’esempio più chiaro di questa razionalizzazione (quanto alla guerra giusta questa espressione per l’A. era ridicolarmente tragica); 6) l’insegnamento della storia si concretizza proprio in una storia di guerra ed è un insegnamento che va profondamente mutato poiché, come insegnava Gandhi, l’insegnamento della storia ‘‘è un vero e proprio esercizio di violenza che si attua sulla coscienza’’; 7) questo modo di interpretare il reale ha consentito il culto del vincitore; 8) proprio per questo l’educazione alla pace dovrebbe da un lato metterci nelle condizioni di individuare i meccanismi della violenza e dall’altra parte progettare un uomo nuovo; 9) la pedagogia ci dovrà consentire di superare la categoria amico/nemico come quello di maschio/femmina; 10) dovrà farci comprendere che non solo l’eurocentrismo è tramontato ma che la sua diffusione è oramai devastante. Infine 11) perché ciò si attui è evidente che il docente deve avere un altissima dose di ottimismo verso la possibilità di creare un uomo nuovo come deve essere spietato nel criticare la cultura del consumismo. 116 7. LA RIFLESSIONE PEDAGOGICA DI LAMBERTO BORGHI Prendendo anche spunto dalle riflessioni di Salvemini, l’A. non ebbe mai alcun timore di esprimere la propria assoluta contrarietà a quella visione della scuola come fonte di indottrinamento. Al contrario vide nella scuola la possibilità di creare i presupposti per una società futura altra, per stimolare i giovani all’autoformazione e quindi per portarli sulla via della libertà. Se ciò verrà realizzato allora la scuola avrà formato cittadini in grado di autogovernarsi. Per tale ragione l’A. fu un critico severo di qualsiasi forma di scuola autoritaria intesa come scuola che ‘educa’ i giovani al valore del governante. Al contrario all’interno di essa dovrebbe prevalere una democrazia partecipativa assai lontana dalla filosofia educativa di chiese e partiti, una democrazia reale e perciò orizzontale. Proprio per questa ragione (contrariamente a quanto affermarono Miglio e Romeo) il movimento studentesco rappresentò la forza decisiva per attuare un profondo cambiamento contro l’autoritarismo delle amministrazioni burocratiche, contro il concetto classista della scuola e contro l’autoritarismo esercitato da presidi e direttori didattici. Un cambiamento volto a valorizzare l’iniziativa degli studenti, a introdurre nelle istituzioni una reale democrazia, a introdurre nelle aule universitarie una reale collaborazione tra docenti e studenti, a realizzare un insegnamento orientato al dissenso e alla contestazione. I presupposti di una nuova pedagogia (che tenga conto dei cambiamenti sociali) non possono che essere individuati negli scrittori anarchici e libertari come Tolstoj, Godwin, Ferrer (con la nascita della scuola moderna), Kropotkin, Reich, Rogers. Anche il contributo di Capitini fu ritenuto di grande importanza dall’A. che — fra l’altro — gli riconobbe il merito di ‘‘dire no alla violenza degli Stati, degli eserciti, delle polizie (...) alle divisioni del mondo in blocchi’’, di aver compreso la decisiva importanza della creatività dell’individuo anticipando la MEAD e di aver posto l’enfasi sulla fondamentale importanza della democrazia partecipativa all’interno dei COS. 117 8. ASPETTI DELLA PEDAGOGIA ANTI-AUTORITARIA FRANCESE DEL NOVECENTO * Secondo Bourdieu la scuola continua a trasmettere i presupposti di una rappresentanza della realtà di tipo patriarcale (nonostante la secolarizzazione) fondata sui binomi quali uomo/donna e adulto/bambino e in particolare di tipo gerarchico. Proprio per questo la nuova pedagogica deve farsi portatrice di una autentica rivolta. Al contrario, il lavoro pedagogico continua ad essere una vera e propria sublimazione della costrizione e della violenza poiché si concretizza attraverso l’indottrinamento mentale e l’introiezione morale. Proprio per questo ,la scuola si limita ad omogeneizzare gli studenti, operazione possibile grazie alla connivenza del docente il quale — voglia o meno — maschera inevitabilmente i rapporti di potere che sono alla base del suo lavoro. Nello specifico l’istituzione scolastica attua una dipendenza allo scopo di conservare lo status quo. Proprio per questo il docente non è consapevole di essere null’altro che uno strumento di violenza simbolica o di essere collegato a interessi di potere e in questo contesto, la scuola attua un ruolo di mera conservazione, operazione questa portata avanti in modo conforme ai principi della ideologia dei gruppi dominanti. Dunque che lo voglia o no il docente compie un’operazione conforme agli interessi oggettivi della classe dominante. Servendosi dell’opera di Durkheim, Lapassade sottolinea come la scuola attui una interiorizzazione dei valori dominanti e dei livelli di stratificazione sociale. La scuola — in altri termini — è un dispositivo attraverso il quale i gruppi dominanti riproducono le loro posizioni di dominio trasformando la scuola in una istanza di controllo sociale. Al contrario, la scuola auspicata dall’A. dovrebbe essere protetta da qualsiasi influenza istituzionale attraverso l’autogestione pedagogica da parte degli allievi che abbracci programmi, metodi e relazioni innovative tra allievi e docenti. Se sviluppata, l’autogestione può diventare una contro-istituzione in grado di mettere in discussione anche i fondamenti della pedagogia. Complessivamente il modello alternativo dell’A. consente di creare gruppi * Fonte: René Lourau, Lo stato incosciente, Eleuthera, 1988 (pp. 213-236). 118 ispirati alla non direttività pedagogica frutto della sua esperienza maturata nel maggio francese con il Gruppo di Pedagogia istituzionale e con il GREPH, esperienza che si rifà esplicitamente a Marx o alla Luxemburg. Anche Snyders si nuove su un piano analogo della misura in cui afferma che dalla cultura borghese bisognerebbe eliminare il peccato di classe. Nel farlo l’A. si rifà ampiamente al ’68 optando per modelli non direttivi grazie i quali la scuola può continuare ad essere il luogo per eccellenza per promuovere la lotta di classe e distruggere le disuguaglianze sociali. Di qui la positività della scuola nonostante Illch. Non diversamente si muove Charot secondo il quale l’educazione tradizionale riafferma la dominazione sociale, riafferma la integrazione sociale perché partecipa ad un occultamento ideologico e ha come scopo finale quelle di fare coincidere il fallimento sociale con quello scolastico. Al contrario, la vera pedagogia dovrebbe permettere all’individuo di realizzarsi pienamente. Anche l’A. come Snyders ritiene opportuno attuare la lotta di classe all’interno della scuola. Secondo Lourau-docente all’Università di Parigi-Vincennes — l’attuazione dell’autogestione in ambito pedagogico — l’A.allude alla corrente pedagogica di cui fece parte nel 1964 e alla istituzione del GPI - deve potersi legittimare storicamente facendo riferimento alla Comune di Parigi,al movimento autogestionario cecoslovacco del ’67 e alle esperienze di autogestione colletivistica catalane del ’36 — allo scopo di proporre un modello di società e di educazione radicalmente diversi rispetto alla realtà esistente. Proprio partendo dalla dimensione educativa, sarà possibile dissolvere dall’interno l’istituzione statale nonostante la razionalizzazione avviata dallo stato per riassorbire l’antagonismo. L’abbinamento di autogestione e collettivizzazione, non potrà che creare un terreno favorevole alla dissoluzione della forma partito e, in un secondo momento, dello stato. Ma affinché questo processo di logoramento interno o di lenta dissoluzione abbia efficacia, sarà necessario affiancare alla guerra psicologica anche modalità tradizionali di opposizione quali la lotta rivoluzionaria che non potrà non essere violenta. 119 9. PACE E EDUCAZIONE DELLA PEDAGOGIA DEL NOVECENTO L’osmosi tra determinate istituzioni e le Università italiane — attuata attraverso o specifici corsi di laurea (come quello in Scienze Internazionali) o specifici masters (come quello in Studi Internazionali Strategico-Militari) è letta da parte degli intellettuali pacifisti italiani (come Drago, Deriu, Pontara) e dalle organizzazioni pacifiste laiche e religiose ,come una progressiva militarizzazione nei confronti di istituzioni che come quelle universitarie dovrebbero servire alla promozione del pacifismo e alla sua istituzionalizzazione accademica (già — tra l’altro — in atto). Un dispositivo teorico attraverso il quale — sia nel passato che a maggior ragione oggi — si è attuata la educazione alla pace è la Pedagogia della pace che ha trovato modo di svilupparsi attraverso il contributo della Montessori, di Capitini, di Dolci, di Krishamurti per svolgere fino all’età contemporanea con Galtung e Visalberghi. Significativo che proprio il pedagogista italiano Visalberghi abbia tracciato una ‘mappa’ dei poteri istituzionali che dovrebbero farsi carico di legittimare ‘‘le problematiche pacifiste, ecologiche e terzomondiste’’ (p. 269). Poteri istituzionali che altro non sono che i presidi, i provveditori, i direttori didattici e i presidenti degli IRRSAE. D’altra parte, il pedagogista polacco neo-marxista Suchodolski individuava nella non violenza, teorizzata da Gandhi e da Capitini, una soluzione adeguata alla efferata violenza del mondo. Anche Catalfano sottolinea l’efferata crudeltà del mondo affermando — precisazione decisiva per il nostro lavoro — che l’educazione che si fa nelle caserme è volta a istituire ‘‘alle tecniche di distruzione e di morte’’ (p. 260). Per Galtung l’educazione alla pace deve contribuire a superare la violenza diretta e quella strutturale progettando un uomo nuovo e dunque una società nuova. Sulla stessa linea si muove Dolci per il quale se pace significa non violenza allora l’educazione alla pace deve eliminare lo sfruttamento, l’assassino attraverso ‘‘un nuovo lavoro capillare di costruzione e passione, prima di gruppi-pilota e poi di moltitudini di nuovi gruppi volontari’’. Trasformare radicalmente se stessi è imperativo per Krishnamurti poiché questa trasformazione — fra l’altro — consentirà di oltrepassare una realtà sociale autoritaria, gerarchico e violenta e — in particolare — attraverso una radicale trasformazione dell’educazione sarà possibile contrastare l’addestramento militare che ‘‘caratterizza la civilizzazione moderna basata sulla violenza e che fa la corte alla morte’’. Insomma finché avremmo il culto della for120 za — e attraverso l’addestramento militare — lo istituzionalizzeremo non ci sarà posto per un uomo nuovo e un mondo nuovo. Ebbene, proprio l’educazione alla pace può essere lo strumento atto a trasformare profondamente l’uomo e il mondo. Anche per Förster la religione — ed in particolare l’ecumenismo — è in grado di contrastare lo spietato realismo della storia. Più esattamente: solo un’educazione alla pace in un’ottica cristiana ci potrà consentire di oltrepassare lo status quo. Analoga fiducia nell’educazione alla pace mostrerà Wallon per il quale il docente poteva prevenire la guerra e contrastare l’assurda logica della cold war. In chiave esplicitamente anti-autoritaria e anti-democratica si muoveva Kallen, per il quale l’educazione alla pace forniva una via privilegiata alla conquista della libertà e all’autogoverno. Non lontano da questo sentiero si mossa Bovet, per il quale l’educazione alla pace implicava l’educazione religiosa e quella sociale e dunque una visione cosmopolita. Dello stesso avviso era James che, dichiaratosi apertamente anti-militarista, era persuaso che l’educazione alla pace fosse in grado di trasformare l’aggressività istintuale dell’uomo in creatività. In un’ottica più specificatamente etico-religiosa si mosse la Montessori che vedeva nel bambino il depositario della pace e nel quale le tendenze al possesso, al potere non esistono ancora per evitare le quali era necessario una sana ricostruzione psichica e una radicale riforma del sistema educativo. Conclusione Ancora una volta la scuola viene letta come un dispositivo essenziale per ricostruire l’uomo e la società in direzioni opposte rispetto a quelle attuali ed, ancora una volta, l’anti-militarismo, l’avversione al realismo politico e l’illimitata fiducia degli esseri umani sono presupposti fondamentali per portare a compimento una efficacia guerra psicologica. 121 Parte Sesta 1. PREMESSA. IL DISSENSO RELIGIOSO E LA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE Il dissenso e l’antagonismo religioso nel Novecento si è concretizzato ora in figure esemplari ora in associazioni nazionali e internazionali. Le istituzioni verso le quali il dissenso e l’antagonismo non violento si sono attuati sono state le istituzioni militari nazionali e internazionali in primo luogo, determinate scelte statali in materia di politica estera e interna in secondo luogo, e infine le decisioni economiche volte a rafforzare le scelte in materia di politica di sicurezza. 125 2. IL DISSENSO CATTOLICO TRA GLI ANNI QUARANTA E CINQUANTA Al di là del Consiglio Mondiale della Pace (e dei Partigiani della Pace) la cui dipendenza dall’URSS era già allora ampiamente nota all’intelligence italiana, americana e tedesca (in particolare al Gen. Gehelen) — a tale proposito sia sufficiente riflettere sulle affermazioni di Dunn (del 16 marzo 1948) e delle contromisure prese da Scelba (la circolare del 28 aprile 1949, i decreti limitativi del ’49) — in ambito cattolico il Movimento per la Pace (nato nel 1948 grazie a Miglioli, Alessandrini, Maggi e Montesi) si mosse contro la politica di De Gasperi al quale oppose un pacifismo intransigente con forti componenti marxiane soprattutto in relazione alla genesi della guerra letta come una conseguenza caratteristica del capitalismo imperialista degli USA: ‘‘Per me (Migliolli ndr) il Governo De Gasperi è la guerra (...) a vantaggio dell’imperialismo americano (...) Finché c’è una Russia col potere dei contadini e degli operai il mondo plutocratico non avrà pace’’. Quanto all’ambito comunista le tecniche di propaganda (la FDIF, la mobilitazione dell’UDI e della FGCI, il Congresso mondiale degli intellettuali, la diffusione delle bandiere della pace, le petizioni che si richiamavano all’art. 11 della Costituzione) basterà osservare che teniche analoghe furono usate nei confronti di Reagan, di Bush e dei più recenti e controversi conflitti internazionali (Afghanistan, Kossovo e Iraq). Di fronte alla guerra atomica don Primo Mazzolari e Igino Giordani espressero una condanna unitaria — cosı̀ come si mossero a favore dell’ODC — Mazzolari sul piano strettamente teorico (a partire già dal 1941) mentre Giordani (in qualità di parlamentari DC) sul piano della pubblicistica (si pensi all’articolo ‘‘Guerra alla guerra’’ del 9 novembre 1945 edito da ‘‘Il Quodiano’’) e politico trovando un terreno comune con Calosso attraverso la presentazione di un disegno di legge nel novembre del 1949 a favore dell’ODC. Non c’è dubbio — tornando a Mazzolari — che le sue posizioni ebbero modo di chiarirsi e rafforzarsi a partire dagli anni ’50 soprattutto attraverso la rivista ‘‘Adesso’’ almeno quanto quelle di padre Gaggero. Quanto all’evoluzione delle posizioni di Giordani queste raggiunsero il proprio apice nel ’50 quando il parlamentare diede la propria adesione al modello gandhiano e quando il 26 ottobre del ’51 — anche per suo merito — una intesa 126 politica trasversale (intese che avranno in seguito una larghissima fortuna) che abbracciava liberali, indipendenti di sinistra e indipendenti di destra e naturalmente socialdemocratici. Tuttavia la presa di posizione più netta (e destinata a lasciare un segno profondo in tutto il pacifismo italiano) sarà ancora una volta — in ambito cattolico — quella di Mazzolari con la pubblicazione del breve saggio ‘‘Tu non uccidere’’ in cui esplicitamente le vie della non violenza e dell’ODC erano le uniche alternative perseguibili per un cristiano autentico. D’altra parte, nonostante le oscillazioni politiche di ‘‘Adesso’’, non mancheranno già prima del saggio chiave prese disposizioni pacifiste a favore di Garry Davis. Non desta allora alcuna sorpresa l’appassionata difesa di Dolci (aprile del 1956). Non c’è dubbio — insomma — che don Mazzolari (e poi Don Milani e padre Balducci) incominciò a erodere spazio al comunismo che fino a quel momento aveva avuto il monopolio incontrastato della pace. Si pensi alla aperta solidarietà manifestata da ‘‘Adesso’’ nei confronti di tutti quei cattolici, che in Francia protestarono contro la politica in Algeria, nei confronti dei due preti operai malmenati durante la manifestazione contro il Gen. Righay del ’52. A tale proposito i riferimenti privilegiati per la cultura francese furono (e non avrebbero non potuto esserlo) Maritain, Mounier, le riviste ‘‘Testimonianza cristiana’’ e ‘‘Esprit’’. Un tema tutt’altro che marginale fu quello della spesa degli armamenti (ritenuta — soprattutto oggi — dai Beati e da Pax Christi inammissibile): ‘‘(...) I miliardi che vanno nelle spese militari sono tutti ai poveri (15 gennaio 1956). E estremamente interessante osservare — quasi a margine — come gran parte delle problematiche di ‘‘Adesso’’ abbiano anticipato in misura considerevole quelle del pacifismo cattolico degli anni ’70/’80 e ’90. Alex Zanotelli Il radicalismo politico del sacerdote è agevolmente riassumibile poiché limpido e sferzante. Nei confronti — p.e. — della Bossi-Fini espresse fin da subito (luglio 2002) non il proprio dissenso ma la propria vergogna, la propria vergogna di appartenere ad una nazione che non ha avuto il coraggio di opporsi ad una Legge cosı̀ barbara. Non deve sorprendere una valutazione cosi dura poiché l’A. non hai mai nascosto l’esito apocalittico al quale va incontro l’umanità: la catastrofe (esito ampiamente condiviso dal primitivismo di Zerzan e dal radicalismo ecologico). Nei confronti della guerra la parola dell’A. è sempre stata una: ‘‘essa serve solo a tenere i privilegi dei ricchi’’ (marzo 2003) una variante — insomma — della interpretazione socialista ed anche anarchica. Dopo l’esperienza 127 in Sudan,avrà modo di esprimere ampiamente la sua visione del mondo sulla rivista comboniana ‘‘Nigrizia’’ grazie alla denuncia le storture del mondo, alle quali si può porre rimedio attuando una politica terzomondista in polemica con il commercio di armi che indurrà Spadolini (gennaio 1985) a replicare duramente definendolo un prete rosso. 128 3. IL SESSANTOTTO E I CATTOLICI Sarà proprio in questo storico periodo che il dissenso cattolico avrà modo di esprimersi con modalità eclatanti. Vediamone — brevemente — alcuni aspetti. 1) In primo luogo gran parte dei leaders della contestazione erano cattolici. 2) I primi due atenei che furono oggetto delle ‘okkupazioni’ furono proprio due università cattoliche: Trento e la Cattolica di Milano. 3) L’utilizzazione politica — ad opera p.e. di Viale — della pedagogia incominciò proprio con lo scritto di Don Milani ‘Lettera ad una professoressa’. 4) Don Mazzi — parroco dell’Isoletto — educava i giovani parrocchiani utilizzando non solo il Vangelo ma anche Dolci, King e Malcom X. 5) Il salesiano Girardi espresse — nel ’66 — la possibilità di conciliare marxismo e cristianesimo divenendo ben presto un accanito sostenitore della teologia della liberazione (e in particolare di Torres). 6) La Valle (poi confluito nei BCP) fu una delle figure più significative del dissenso cattolico pur essendo stato direttore di ‘‘Avvenire’’, 7) L’apice del dissenso fu raggiunto con il Card. Pellegrino di Torino, parrocchia che costituı̀ una sorta di rifugio per tutto il dissenso religioso e nella quale si formulò un programma organico di collaborazione con il PCI (e in particolare con la giunta di sinistra di Novelli). Infine il dissenso — all’interno delle Acli — arrivò al punto da portare alla creazione da parte di Labor del MPL una sorta di movimento di raccordo tra cattolici e comunisti che arrivò a chiedere (nel ’72) il superamento del capitalismo e la pianificazione socialista in economia. Intorno a questo movimento si mossero — seppure con posizioni diverse — Girardi, Balducci e don Franzoni. Ignorare questa matrice storica renderebbe arduo — sul piano storico — comprendere l’origine dell’antagonismo cattolico nell’ambito del pacifismo radicale e nel contesto del movimento no-global. 129 4. L’ANTAGONISMO CATTO-PACIFISTA SECONDO MASSIMO TEODORI Facendo riferimento ad un recente saggio di Teodori (‘‘Maledetti americani’’, 2002) lo studioso non ha alcuna remora nell’illustrare — seppur brevemente — la galassia del dissenso (a destra come a sinistra). In particolare, da p. 46 a p. 51, illustra alcune autorevoli opinioni di leaders pacifisti sulla problematica della guerra (ed in particolare quelle relative alla guerra del Golfo). L’interpretazione data da Giovanni Paolo II (1991) a favore di una integrale non violenza ha fornito la giustificazione per radicali prese di posizioni da parte di Martini, di Bettazzi, di mons. Bettori (segretario della CEI), mons. Nogaro, l’arcivescovo di Lecce Ruppi, per arrivare ai casi più estremi come con don Ribaudo che — in occasione della Guerra del Golfo — organizzò da Padova una dozzina di autobus per Perugia-Assisi o a quelli di don Mazzi e don Benzi. Sferzante e ironico insieme il commento di Teodori: fra di loro dominavano ‘‘un’ingenua confusione tra etica e politica o una profonda ostilità verso la civiltà occidentale’’. Non desta alcuna sorpresa — anche alla luce di quanto precedentemente detto — che il commento sulle posizioni di ‘‘Nigrizia’’ sia intransigente: ‘‘(...) portava al parossismo il terrorismo ideologico venato da simpatie islamiche condannando qualsiasi atto di forza nei confronti di Bin Laden’’. D’altra parte quando i principi etici — conclude l’A. — assumono connotazioni assolute finiscono per essere incompatibili con la politica che i si deve misurare sul terreno del possibile, del relativo e soprattutto della mediazione. 130 5. ALEX ZANOTELLI Dopo il ritorno dall’ ‘Inferno di Korogocho’, l’A. ebbe modo di manifestare il suo entusiasmo per i movimenti no-global che avrebbero dovuto trovare uno sbocco politico senza però farsi cooptare o strumentalizzare. D’altronde la mobilitazione della società civile contro la guerra ha dimostrato un salto di qualità di enorme portata. Infatti si afferma — e si dovrà affermare — la convinzione che la guerra è pura e semplice violenza che determina altra violenza. Un giorno — forse — l’umanità si renderà conto che la guerra deve essere considerata un tabù come l’incesto. A tale proposito, il compito della Chiesa dovrà proprio diventare quello di essere la coscienza critica della società, una critica che dovrà essere intransigente. Questa esigenza — d’altra parte — nacque già nel ’65 presso la scuola commerciale Comboniana di El Obeid presso la quale aveva costituito un gruppo di discussione, informale sui problemi del Sud Africa, sulla guerra civile in Sudan etc. Proprio in Sudan in collaborazione con i Nuba egli si attirò aspre critiche da parte del governo sudanese. Il suo radicalismo non verrà meno quando — nel ’78 — prese in mano la direzione di ‘‘Nigrizia’’ indicando chiaramente nel suo programma la volontà di opporsi al capitalismo, volontà antagonista che era comunque già in larga misura presente durante la direzione di Renato Sesana che si era schierato dalla parte dei movimenti di liberazione in Mozambico, Angola e Zimbawe, scelta che gli costerà il licenziamento. Analogo esito avrà la direzione zanatolliana (dietro pressione del cardinale Tomko) grazie alla quale la cultura cattolica italiana ebbe modo di conoscere la teologia della liberazione e di conoscere le vie del commercio d’armi (si allude all’editoriale del 1985 ‘‘Il volto italiano della Fame africana’’). Proprio l’85 costituisce un anno storico per il pacifismo cattolico, perché nel novembre dello stesso anno vengono gettate le basi dei Beati costruttori di Pace che si faranno — fra l’altro — portatori del valore profetico della pace promuovendo l’ODC; l’eliminazione della produzione di armi. In modo significativo Spadolini farà osservare (‘‘L’Espresso’’ anno 1986) come l’obiezione fiscale premessa dai Beati violasse il Concordato e fosse la conseguenza di un presupposto politico preciso: l’anti-statalismo. Proprio su questa linea si muoverà l’intervento dell’A. nel 1986 in una trasmissione su RaiDue 131 ove, a chiare lettere, affermerà l’esigenza da parte degli elettori di disertare le urne di fronte a posizioni che non fossero di pacifismo intransigente (nel giro di breve tempo — come già ricordato — l’A. sarà licenziato). Una situazione analoga e parallela a quella di Zanotelli sarà il licenziamento del direttore di ‘‘Missione Oggi’’ che, abbandonato l’abito talare, si candiderà per DP. In ogni caso - al di là delle posizioni ufficiali della Chiesa — il vescovo Bello — presidente di Pax Christi — non gli fece mancare il suo appoggio. D’altronde non casuale fu la collaborazione feconda con Gesualdi ex allievo di Don Milani soprattutto nella battaglia contro la Del Monte insieme con Alexander Langer. Quanto alle critiche svolte al governo Berlusconi (’94) e al governo Prodi (’96) queste richiamano alla mente quelle della sinistra radicale. Ma è nel ’96 che si creano le condizioni per una concreta e proficua collaborazione con i no-global (a cominciare da quella con Agnoletto e Casarini). Per unanime riconoscimento questo movimento deve molto all’A., perché fu soprattuto lui a porre le premesse per la Rete Lilliput, a raccogliere le speranze dell’A. di fare della società civile un soggetto autonomo dai partiti aprendosi ai sindacati e alla Chiesa. Al loro interno deve ‘governare’ una logica di democrazia partecipativa. Il bersaglio di questo nuovo protagonismo non potrà che essere la globalizzazione delle corporations, protagonismo che troverà modo di rafforzarsi attraverso Internet e la telematica in generale grazie alla quale possiamo diventare primi attori nell’informazione e nella azione politica. In stretta collaborazione con il gruppo Abele e la comunità di Capodarco viene lanciata l’idea della Rete e — nel ’97 — l’A. si farà promotore del tavolo intercampagna allo scopo di coordinare numerose realtà della società civile che troveranno vita solo nel 1999. Quanto alle tecniche di opposizione che dovranno essere usate l’A. si esprimerà sempre chiaramente a favore della non violenza. Con la stessa chiarezza si esprimerà a proposito di Genova 2001 evento a proposito della quale avrà modo di sottolineare quanto determinante sia stato il contributo cattolico e più in generale religioso. Se nel 2001 non aveva potuto esserci ,contribuirà concretamente alla nascita del SF di Firenze nel 2002 ove — fra l’altro — riconoscerà il proprio debito di riconoscenza verso Mazzolani (oltre che verso Gandhi, King e don Milani). Pur non avendo mai abbandonato la polemica contro il commercio di armi, attraverso ‘‘Nigrizia’’, l’a. cercherà di fare pressione sul parlamento a proposito della revisione della 185, revisione che sarà qualificata come una vergogna. Con altrettanta provocatorietà — insieme a Landi, Cozzuol, Mucci e Buselli nel settembre 2002 — lancerà l’idea delle bandiere della pace contro la guerra in Iraq. Naturalmente la sua opposizione è sempre stata globale ‘‘Non posso accettare una Europa che continua ad obbedire agli USA e all’Impero del denaro, né pos132 so accettare l’esistenza di una NATO’’. Come non cogliere in questa dichiarazione un’eco — involontario — della contro informazione del comunismo degli anni cinquanta? Altrettanto netta sarà la sua opposizione all’invio di truppe in Afghanistan (2001) definita scellerata come decisa sarà il suo ‘pressing’ sui partiti per impedire l’ingresso dell’Italia in guerra. Proprio in questo contesto l’azione non violenta, il boicottaggio, il commercio equo, l’odc e l’obiezione fiscale sono strumenti leciti da usare per contestare la realtà attuale quella realtà che consente all’OMC, al WTC e all’FMI di governare il mondo, una realtà che già ora possiamo contribuire a modificare donde — p.e. — la nostra fiducia alle banche etiche (fondate come è noto dall’AGESCI e dalle ACLI). 133 6. DON MILANI Nel nostro contesto — e più in generale nel contesto del pacifismo cattolico — la riflessione e l’azione di Don Milano sono determinanti. E l’opera che desta il nostro interesse non può che essere ‘‘L’obbedienza non è più una virtù ’’. Vediamo di sintetizzarlo brevemente: 1) le armi accettabili sono lo sciopero e il voto. Quanto a quelle propriamente dette non sono altro che ‘‘orribili macchine’’; 2) l’espressione patria quando non è che priva di significato è solo una ‘‘scusa’’ per evitare di pensare; 3) l’A. invita implicitamente gli studenti alla diserzione; 4) il concetto di patria è destinato a scomparire; 5) l’A. difende una sorta di socialismo democratico; 6) pur mettendo in discussione il concetto stesso di guerra giusta difende quella partigiana; 7) l’opera e il pensiero di Gandhi dovrebbero essere un modello (soprattutto per i sacerdoti); 8) l’art. 11 della Costituzione parla chiaro sul piano della guerra; 9) esprimere solidarietà verso i giovani che fanno odc costituisce una sorta di dovere civico oltre che la conseguenza di una precisa scelta di vita; 10) proprio perché docente l’A. ritiene opportuno non inculcare l’obbedienza ma la capacità di criticare le leggi ingiuste e mobilitarsi per cambiarle; 11) le F.A. non sono altro che lo strumento repressivo e violento delle classi dominanti; 12) sacrificarsi per la patria o per gli interessi della classe dominante è insieme sciocco e criminale. Al contrario, l’unico sacrifico accettabile è per Dio o per i diseredati; 13) come quello di patria anche quello di nazione è destinato ad essere superato; 14) venendo alla storia recente del nostro paese, tutti quegli ufficiali che si misero al servizio della repressione in Etiopia dovrebbero essere equiparati a veri e propri criminali di guerra. E che dire a proposito di Hiroshima e Nagasaki? 134 15) Nel momento in cui un giovane impara l’obbedienza verso scelte politiche come quelle che hanno portato alla guerra o all’uso dell’atomica, la libertà viene annullata; 16) proprio per questo l’A. sottolinea l’importanza di insegnare la non violenza ai giovani e auspica che la Chiesa si faccia portavoce di essa; 17) l’A. ricorda come alcuni documenti recenti della Chiesa abbiano considerato indecorosa la professione militare; 18) d’altronde lo stesso A. non mostra mai alcun rispetto verso le istituzioni militari italiane né verso la figura del cappellano militare. Nonostante quanto detto, Don Milano non mostrò mai alcun desiderio di rovesciare il sistema né formulò mai un progetto di società alternativa. Anche in relazione all’ODC la sua posizione concreta fu all’insegna dell’ambiguità poiché non solo non indusse nessuno dei suoi allievi all’ODC ma convinse Francuccio a svolgere il servizio militare soprattutto per due ragioni: a) in primo luogo perché obbedire o fare il saluto erano atti moralmente privi di significato; b) e in secondo luogo perché svolgerlo avrebbe permesso di conoscere dall’interno la struttura alienante dell’istituzione militare per poi combatterla meglio sul piano ideologico. 135 7. PACIFISMO E NO-GLOBAL DELLA INTERPRETAZIONE DEI BEATI COSTRUTTORI DI PACE * Illustreremo — seppure brevemente — la riflessione dei Beati su due problematiche portanti del loro pensiero: la pace e i movimenti sociali. Incominciamo con la riflessione sulla pace: nell’articolo del Luglio 2002 La Valle formula osservazioni importanti per il nostro studio: 1) le usuali tecniche non violente non sono più sufficienti poiché è necessario che l’approccio alla non violenza cambi parallelamente al cambiamento e all’evoluzione della guerra; 2) per questa ragione il movimento della pace deve acquisire una dimensione politica; 3) non c’è certo penuria di studi sulla guerra poiché basta menzionare Galtung e il Centro Studi Gandhi di Pisa per rendersi conto dell’ottimo lavoro prodotto in questa direzione; 4) ribadita l’ostilità dell’A. a Bush e a Sharon, La Valle sottolinea che la guerra globale in corso non fa altro che creare una antropologia ‘‘della divisione e della esclusione’’; 5) proprio contro tutto ciò bisogna che il movimento per la pace crei nuove forme di unità che si batta contro ciò ‘‘che divide, che discrimina’’ come p.e. fare CPC contro l’immaginazione; 6) una sorta insomma di ODC globalizzata che si appoggia a tutto ciò che divide. Nell’articolo della Balardini (settembre 2002) si sottolinea l’importanza della * Le organizzazione cattoliche come i Beati hanno costituito un network informale con le seguenti associazioni (laiche e cattoliche): 1) Nigrizia; 2) AIFO; 3) Rete Radio Resch; 4) Pax Christi; 5) Associazione Botteghe Mondo; 6) CTM; 7) Per un commercio equo e solidale; 8) CNMS; 9) Chiama L’Africa; 10) Campagna per la Riforma della Banca Mondiale; 11) M.A.I.; 12) Sdebitarsi; 13) IRED; 14) Mani Tese; 15) CO.CO.RZ CO; 16) Ass. Papa Giovanni XXIII; 17) CARTA; 18) CARITAS; 19) MSF Italia; 20) Marea; 21) Teatro dell’oppresso; 22) Peaelink; 23) Unimondo; 24) Arci; 25) Altra economia; 26) CIPSI; 27) Missioni Oggi; 28) Acli; 29) ITLA; 30) Tavola per la Pace; 31) Gruppo Abele. 136 non violenza nella Società Civile di Bukavu. Lo studio dell’A. ha consentito di individuare alcuni aspetti rilevanti: 1) La Società Civile è un movimento eterogeneo nel quale convergono associazioni per lo sviluppo, per i diritti umani e diverse confessioni religiose. Un insieme di queste associazioni elegge dieci rappresentanti che costituiscono una sorta di coordinamento; 2) lo scopo della SC è sempre stato quello di promuovere la pace e la democrazia adottando metodi non violenti; 3) la struttura del coordinamento evita qualsiasi irrigidimento gerarchico poiché opta per una ‘struttura a network’ allo scopo di: a) coinvolgere numerosi attori; b) mobilitarsi più velocemente e c) rendere l’offensiva avversaria ardua. Da questa esperienza, da questo studio, l’A. trae una importante lezione: cercare di diventare parte di questa rete allo scopo di ampliarla. L’articolo — intervista della Borgata a Papisca (aprile 2003) — è certamente significativo soprattutto per la radicalità delle tesi sostenute: 1) Papisca insieme all’A. dell’articolo — sottolinea l’assoluta illegittimità della guerra preventiva; 2) sottolinea altresı̀ la necessità di evitare qualsiasi propaganda a favore della guerra; 3) onde ostacolare l’adesione dell’Italia alla guerra, Papisca propone la costituzione di una rete informale che unisca comuni e province per promuovere iniziative di pace; 4) per Papisca l’adesione a questa guerra è assolutamente incompatibile con la fede cristiana; 5) la scuola può contribuire alla sensibilizzazione sulle problematiche della pace e dei diritti umani. Anche sull’Europa la riflessione dei Beati è radicalmente chiara. In particolare l’articolo di Lodoisi (aprile 2003) è emblematico. La nascita di consorzi industriali, nel settore della difesa in Europa, ha contribuito ad allontanare la costruzione di un’altra Europa. In secondo luogo, le suddette concentrazioni stanno logorando il potere di controllo degli Stati in modo vistoso e stanno portando a termine la realizzazione di un polo concorrenziale con quello USA. Questa possibilità va denunciata senza mezzi termini. In terzo luogo, i finanziamenti al settore difesa portano ad una progressiva sottrazione di risorse ai servizi sociali. Insomma l’Europa auspicata dai Beati è completamente opposta a quella che si sta formando. 137 Di grande rilievo è l’intervista a don Bizzotto (aprile 2003) con la quale affrontiamo la riflessione dei BCP sul movimento no-global. Oltre ad esprimere la propria assoluta condivisione sull’uso delle bandiere della pace, don Bizzotto sottolinea la crescita notevole del movimento pacifista a livello mondiale. In secondo luogo, la mobilizzazione contro la guerra in Iraq, ha permesso di fare capire chiaramente che l’opinione pubblica si muove oramai contro il concetto stesso di guerra; in terzo luogo Bizzotto difende le manifestazioni di disobbedienza civile relative al blocco dei treni nel triveneto (per bloccare il trasporto del materiale bellico)e difende lo sciopero della fame. Per il sacerdote è positivo che tali tecniche siano state adottate anche da gente appartenente semplicemente alla società civile e non solo alla realtà dei disubbidienti. In quarto luogo, una vasta campagna di contro informazione contro la guerra è assolutamente necessaria, come è necessario un’apertura di credito verso i disubbidienti. Non sono tuttavia mancate difficoltà nell’affermazione della opposizione alla guerra in Iraq dovute alla informazione unilaterale dei mass-media. Sul fronte politico la mancanza di un coerente progetto ha indotto le opposizione ad atteggiamenti poco unitari al contrario di quelle del movimento che si è globalizzato. Ecco perché bisogna attaccare alle radici non solo l’industria militare ma contestare la globalizzazione a partire della periferia del mondo. Ma tutte queste iniziative dovranno concretizzarsi a partire da una struttura a rete (sotto questo profilo i SF sono indubbiamente una grande risorsa). Proprio riflettendo sul nuovo movimento, il contributo di Porto Alegre è giudicato importante (p.e. nell’articolo della Clark, aprile ’03), poiché incontri come questi dimostrano la efficacia di un’altra globalizzazione: quella della solidarietà e del rispetto dei diritti. Anche il contributo del SF europeo è giudicato determinante dalla Clark (dicembre 2002) poiché questo forum ha — fra l’altro — contribuito a consolidare la propria radicalità in termini solidali, ha aperto la possibilità di creare una nuova società globale, ha dimostrato la possibilità da parte della società civile di potersi riappropriare delle istituzioni. E difficile non osservare — ci si consenta questa nota ironica — l’ottimistmo dell’A., ottimismo privo di una reale percezione della dinamica del potere a livello globale. D’altronde, una delle iniziative di cui i BCP vanno particolarmente fieri, è stata quella contro la base di Aviano davanti alla quale sono state montate due tende per la Pace allo scopo di fare contro informazione e di raccogliere firme. 138 8. PAX CHRISTI: ORGANIZZAZIONE, PACIFISMO E NO-GLOBAL 1. Organizzazione Desta — ancora oggi — una certa sorpresa constatare che al vertice di una organizzazione internazionale la cui sede centrale è in Belgio organizzazione che veicola contenuti profondamente radicali in relazione al tema della pace, della NATO e del nuovo ordine internazionale — ci sia un alto prelato della Chiesa cattolica (Mons. Valentinetti). Altrettanto significativa l’esistenza dei cosiddetti Punti Pace veri e propri ‘snodi lillipuzziani’ presenti in modo capillare sul nostro territorio. Estremamente interessanti sono per le riflessioni della Scalori e di Don Pietro Sacco. Secondo la Scalori la visibilità dell’organizzazione è aumentata mentre don Sacco osserva la presenza di PC a numerosi livelli. Per aumentare la presenza sarebbe opportuno creare una associazione giovanile. A livello di statuto — precisato che si tratta di una ONLUS — l’associazione PC è in costante collegamento con il magistero della Chiesa poiché con il suo contributo approfondisce l’ideale cristiano della pace giungendo al rifiuto assoluto della guerra e del suo apparato, all’uso della non violenza e all’uso della contro informazione (anche all’interno delle scuole). A livello internazionale,i PC sono diffusi nelle seguenti nazioni: Australia, Austria, UK, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Filippine, Portogallo, Porto Rico, Slovacchia, Svizzera, USA, Repubblica Ceca, Polonia, Congo, Haiti, mentre a livello di affiliazione è legata al CPT brasiliano, al HRSS e al DRTC indiano, alla JPCI thailandese, al BRCPJ del Bangladesh, al CPNHR croato, all’AEI di Betlemme e all’NP di San Pietroburgo in Russia. Quanto radicata sia la presenza dei vertici vaticani all’interno di PA lo possiamo anche desumere dal fatto che il presidente di PC International è Mons. Sabbah il patriarca latino di Gerusalemme. Fra le finalità che si propone vi è quella di creare una teologia della pace, di sviluppare la ‘‘Pacem in Terris’’, di portare il proprio messaggio nelle periferie del mondo, di denunciare pubblicamente ogni atteggiamento politico contrario alla politica della pace, di promuovere una smilitarizzazione culturale ,di esprimere la propria contrarietà alle parate militari, alla pubblicità tesa a convincere i giovani delle opportunità positive che offrono le FA e infine all’omaggio all’Altare della Pa139 tria. Parallelamente denuncia il neoliberismo come fonte di ingiustizia e di disuguaglianza. È evidente che questo sentiero è stato tracciato sia da Mons. Bettazzi che da don Tonino Bello (a partire dal 1985). Come poter dimenticare le sue intransigenti prese di posizione contro la guerra del Golfo, del Kossovo, contro il trasferimento degli F-16 nella base di Gioia del Colle, contro la paventata possibilità di costruire nel Murgia barese un poligono o la intensa campagna contro le industire militari /che portò all’approvazione della Legge 185?. Proprio come Balducci, anche don Bello comprese che il movimento della pace è come una galassia che occupa la zona intermedia tra l’opinione pubblica e la struttura di partito, un mondo fluido. Ma accanto ad esso la preghiera e la elaborazione di una teologia della pace sono momenti altrettanto fondamentali — tanto quanto sottolinea Don Bello — l’ecumenismo culturale della pace nelle scuole, l’approfondimento delle metodologie non violente, l’enfasi sulla dimensione ecologica e sull’ODC. 2. Principali iniziative Quali sono le principali iniziative affrontate da PC? In relazione all’Europa (giugno 2004) PC ha chiesto esplicitamente una Europa costruita su principi della non violenza, che la Costituzione europea approvi un articolo analogo all’art. 11 della costituzione italiana, che venga valorizzata la diplomazia dal basso, che venga creata una opposita agenzia europea per la Pace, che venga promossa l’educazione alla pace in tutti i paesi europei, che venga creato un corpo di polizia internazionale che operi sotto il controllo dell’ONU, e che vengano valorizzati gli Stati neutrali. In merito alle armi nucleari la proposta più coerente è quella del disarmo nucleare totale fatto proprio dal NCC e rivolto soprattutto contro le mini nukes proposte dall’amministrazione Bush, appello rivolto anche da Mons. Tomas osservatore del Vaticano all’ONU. In relazione alle banche disarmate PC insieme a Missione Oggi, a Nigrizia, alla Rete Lilliput e ai BCP ha promosso campagne volte a far prendere coscienza ai cittadini di come le banche svolgano un ruolo determinante nel sostegno all’industria militare. A tale proposito, il comune di Fiorano si è distinto per aver fatto proprie queste preoccupazioni. Per quanto concerne il disarmo, la esportazione delle armi sottrae fondi per ridurre la mortalità e per eliminare l’analfabetismo in Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina. A tale scopo PC si è avvalsa non solo della collaborazione del padre colombiano Albanese ma soprattutto dell’IRES Oscana, dell’Archivio Disarmo e ha contribuito a creare una rete — denominata Rete italiana per il 140 Disarmo — insieme a: Libera, Emergency, AI, Campagna italiana Mine, Campagna Banche armate, Comunità papa Giovanni XXIII, della FIM-Cisl, dei BCP, della Rete Lilliput, della ACNV, di Sbilancianoci, ATTAC, Coordinamento comasco per la Pace, FIOM-Cgil, Gruppo Abele, ICS-MIR, Movimento non violento, Peace Link, Rete Radio Raddish e un Ponte per... . In questo contesto si inserisce l’appello (2 luglio 20063) di Migliore — osservatore permanente del Vaticano presso l’ONU — un appello tuttavia assai calibrato e dagli accenti tutt’altro che rivoluzionari. Sul piano del finanziamento del 51000, PC ha espresso chiaramente l’auspicio che questa quota venga destinata alla propria organizzazione. Sul piano della campagna OSM-DPN anche PC ha dato il suo contributo insieme all’Ass.per la Pace, al BCP, ai Berretti bianchi, alla Loc, alla LDU, ed al Movimento dell’ARCA contribuendo a creare una rete distributiva sul territorio nazionale (dalla Lombardia al Lazio). Nata nel 1981 — in occasione della manifestazione contro Comiso — PC entrerà della Guerra del Golfo e le iniziative della Campagna OSM ebbero modo di esercitare un’adeguata pressione per istituzionalizzare la DPN a partire dal 1994. Tuttavia i due maggiori successi sono stati l’istituzione dei Berretti Bianchi e l’approvazione della Legge 64 nel 2001. Sotto il profilo formativo le iniziative di PC portano dalle scuole medie e hanno coinvolto ben 12 istituti scolastici di Firenze (ivi compresa l’Università) per toccare anche l’Università di Pisa, la Caritas, e l’AC. Sul piano della collaborazione interessante è la collaborazione con i GAN e quindi con la Rete Lilliput, con la Tavola della Pace PC ha redatto un documento (maggio 2004) radicalmente anti-Bush e anti-Berlusconi nel quale si invitano i cittadini a protestare per la presenza di Bush esponendo la bandiera della pace, promuovendo incontri, fiaccolate e a votare — nelle lezioni europee ed amministrative — solo quegli esponenti politicamente sensibile alle problematiche della pace. A proposito dell’intervento in Afghanistan, dopo aver illustrato nel dettaglio l’organizzazione delle forze alleate (a p. 57), i relatori con sconcerto (sic!) scoprono che il comando reale dell’ISAF dipende dagli USA e non dalla NATO. Passiamo ora ad illustrare alcuni interventi tratti dalla sinistra di PC, Mosaico di Pace, concentrando la nostra attenzione solo su alcuni temi di politica interna ed estera particolarmente significativi per le nostre finalità. 141 9. PRINCIPALI TEMATICHE TRATTE DA ‘‘MOSAICO DI PACE’’ Costituzione. Zanotelli definisce la costituzione del ’48 un vero e proprio miracolo e le modifiche apportate sono inacettabili poiché p.e. quelle relative al Primo Ministro reintroducono de facto pretese assoluti e discrezionali non molto lontani dal fascismo. Denuclearizzare. Dopo aver chiaramente giudicato le modifiche apportate alla NATO non ammissibili, Zanatelli — usando le parole di Mons. Hunthausen — definisce le armi atomiche un peccato e invita la Chiesa cattolica ufficiale a fare lo stesso. Informazione. L’A. — Tarquini — auspica una informazione critica, attenta alle esigenza della società civile e attenta alla problematica del pacifismo. L’informazione alternativa a quella manipolativa avrebbe la sua origine concretamente nel rafforzamento dei media indipendenti — come proposto da Cavalli —, rafforzamento che deve coinvolgere alcuni rappresentanti dell’USgRAI e della FNSI allo scopo di condizionare dall’interno il CdA delle RAI inserendo un rappresentante delle ong. Basi NATO. Ferrario concentra la propria attenzione sulla base Ugo Marra e osserva — con amarezza — la progressiva militarizazione delle coscienza a favore dell’intervento (come il coinvolgimento delle TV, dei sindaci e degli assessori dei Comeni) assopimento delle coscienze inacettabile. USA e non violenza. Come non difendere quelle suore americane che hanno compiuto atti di disubbedienza civile contro Fort Bennig (l’a. fa riferimento alle suore Mattingly e ad altre cinque) in collaborazione con l’Osservatorio SOA? NATO e Corea del Sud. Il previsto trasferimento della base delle USAF presso Pyeong-Tack ha indotto il governo coreano a sfruttare 1.300 abitanti. Gli abitanti coordinati dal sacerdote Mun si sono opposti frontalmente tramite veglie di preghiere, mobilitazioni tramite internet. Insomma un modus operandi condivisibile — secondo l’A. Kocci — e da esportare. 142 Palestina. Come non riconoscere il grande merito della organizzazione CPT diretta dalla Lambesty il cui scopo è la pratica della non violenza in Palestina? D’altra parte — le strade c??? della vita! — l’attivista e teologa americana proviene sia da PC che dal ‘Catholic Worker’. L’occasione è utile per ribadire che la costruzione del muro israeliano è uno sciagurato progetto (35). Neoconservatori. L’A. dell’articolo — Mattiello — oltre a esprimere la propria solidarietà al movimento protestante evangelico ‘Sojournes’ fondato negli USA da Wallis, condivide la dura replica alla teologia della guerra formulata dalla associazione nel documento ‘Professione di Cristo’. Questo testo — unitamente alle mobilitazioni contro Bush — mira anche a creare una forza religiosa coesa ed estesa. Disarmo lombardo. Allo scopo di smantellare l’industria bellica lombarda PC — insieme alla Caritas e alle Acli — si sono mobilitate (novembre 2005) per raccogliere firme (15mila) a sostegno della Legge n. 6 del ’94 sulla conversione bellica. Don Mazzolari. L’intervento di Buttorini (preside della Facoltà di Scienze della Formazione a Verona) è significativa poiché l’A. — e quindi PC — condivide in toto sia la pars destruens che la pars costruens del volume di don Mazzolari ‘‘Tu non uccidere’’. D’altra parte, la fedeltà al messaggio di don Mazzolari è ampiamente dimostrata dall’articolo del Dossier 2005 dedicato proprio al parroco. Globalizzazioni. L’A. dell’intervista a Stightz si fa portavoce delle dure critiche all’FMI e della opportunità di riformare profondamente l’istituto cercando di creare un’alleanza tra Europa e Paesi in via di sviluppo anche allo scopo di contrastare il gigante USA. Peace-Keeping. Drago osserva come nel nostro paese non solo i militari siano penetrati nelle università con il Corso di laurea in Scienze strategiche ma abbiano monopolizzato il Peace-keeping attraverso il CEMISS. Al contrario, bisogna contrapporre a questo monopolio una rete di Università — che l’a. elenca alla fine dell’articolo — in grado di contrapporsi adeguatamente. Walzer e Zolo. La tendenza attuale di riprodurre la teoria della guerra giusta è per Zolo assolutamente non ammissibile e le riflessioni di Walzer sono da considerarsi erronee. Il saggio COSMOPOLIS di Zolo costituisce una valida alternativa a tutti coloro che vogliono negare valore al diritto internazionale. Infine, alle astrette considerazioni del politologo USA, Zolo contrappone un’analitica descrizione della reale situazione a Kabul ben lontana dalla retorica ufficiale. 143 Spionaggio USA. L’unica ragione per la quale ancora oggi sono presenti in numero cosı̀ elevato di sottomarini USA nel Mediterraneo è molto semplice: spiare i propri alleati. In quanto attivisti — sostiene l’A. — dovremmo oltre che denunciare queste nefandezze anche sostenere le azioni del mediattivista Kimberg. ODC ad Israele. L’A. dell’articolo sostiene la causa dei Refuser che oramai amontano a 1400. A sostegno di ciò intervista un soldato israeliano pentito e Mons. Sabbah (pres. di PC International) che naturalmente condivide l’ODC fra gli israeliani. Diritto internazionale. L’esposizione da parte dell’A. — il prof. Papisca — dei principali aspetti del nuovo diritto che emerge dall’ONU, costituisce una vera e propria requisitoria contro la guerra preventiva menti. E tuttavia significativa la conclusione: secondo l’A. servirebbe una mobilitazione educativa a livello mondiale che consenta di cambiare strutturalmente le cose. Napoli e la NATO. Marescotti osserva come il dispositivo militare USA si stia oramai espandendo capillarmente a Napoli e a Trapani. Certo sarebbe auspicabile — anche con la collaborazione di Peacelink — sapere con esattezza i piani previsti. Una sorta di spionaggio pacifista? Pacifismo e USA. Persuaso di rivelare finalità occulte, l’A. riporta le considerazioni del vescovo Gumbleton (responsabile di PC negli USA) in merito alla volontà imperiale USA. Inoltre l’A. difende l’azione e la prassi del gesuita Dear uno dei più accaniti attivisti USA. Infine auspica che le ambiguità, che hanno caratterizzato il movimento pacifista, possano essere superate. NATO e Solbiate Olona. Dopo una breve ricerca su Internet, Marescotti scopre — con sconcerto — la volontà di portare a Solbiate la NFR. Superfluo aggiungere che una tale possibiltàè quanto mai nefasta per il pacifismo italiano. Democrazia reale. Per l’ennesima volta Zanotelli pone l’enfasi sulla necessità di rafforzare tutte le reti della società civile: dalle comunità di base ai sindacati escludendo i partiti che al contrario si vorrebbero servire delle associazioni per i loro scopi. Adottare allora la non violenza attiva per costituire l’uomo planetario è una finalità improrogabile. Schedature. Preso atto che l’FBI sta cercando di controllare il traffico Internat (in particolare degli attivisti), l’A. dell’articolo elogia l’azione degli hachers che sarebbero veri e propri difensori della libertà informativa. Un invito al sabotaggio elettronico? 144 Israele. È doveroso promuovere tutte quelle organizzazioni che alimentano il dissenso, l’odc e il rispetto dei diritti umani nei territori occupati. Ecco allora la necessità di elencarli brevemente (fra questi il B’Tselem e l’ICAHD). Iraq. Zanotelli — dopo aver sottolineato che l’uso della tortura è stato ampiamente praticato per esempio a Fort Benning — denuncia la guerra irachena come una guerra immorale, criminale esortando le truppe ad andarsene. Dissenso USA. Ancora una volta PC pone l’enfasi sulla crescita dell’antagonismo religioso/americano esaltando le azioni di disobbedienza civile — p.e. — delle associazioni Voice in the Wilderress ed in particolare dell’attivista Kelly. Altrettanto decisive è stato il ruolo del movimento dei Catholic Workers e dei fratelli Berringan. L’A. — il gesuita Michel — elogia soprattutto i fratelli Berringan nonostante siano stati considerati dall’FBI veri e propri attivisti illegali. Dissenso attivista. Marescotti sostiene l’opportunità di stimolare il mediattivistmo telematico per attuare una informazione preventiva. Brasile. L’A. intervista mons. Pedro Casaldeliga uno dei principali artefici della nuova teologia della liberazione e co-fondatore del CIMI e del CPT. In un passo dell’intervista non risparmia elogi alla Cuba di Castro che non dimentica di sottolineare la nefasta presenza del neoliberismo. Significative risultano le tesi congressuali del 2005 nelle quali la radicalità pacifista di PC emerge con particolare veemenza là dove — p.e. osserva che la nuova guerra annulla il messaggio cristiano, che è insomma una bestemmia. Quanto all’operazione militare questa viene definita immorale ed illegale poiché nasce al suo scopo di partecipare agli appalti della ricostruzione. E che dire della progressiva militarizzazione del nostro paese? E della minaccia allo stato di diritto? Auspicabile sarebbe p.e. la smilitarizzazione dei cappellani, militari, il superamento della NATO che ‘‘costituisce una pesante ipoteca sulla democrazia e sulla libertà dei popoli’’ (basti pensare alla NRF di Solbiate Olona), la costituzione di un’Europa disarmata e non violenta. Concretamente diffondere la cultura e la teologia della pace è compito ineludibile. Le vie sono chiaramente individuabili: 1) 2) 3) 4) nelle diocesi e nelle parrocchie; nelle amministrazioni locali; nelle scuole e nelle università; nell’informazione. 145 10. POSTILLA STORICA L’anti-militarismo cristiano ha — come è facilmente intuibile — un’origine secolare come dimostrano chiaramente le motivazioni che le prime comunità cristiane formularono per non svolgere il servizio militare all’interno dell’esercito romano. Il servizio militare risultava — infatti — incompatibile perché: 1) il messaggio di Cristo era assolutamente contrario alla violenza; 2) proprio per tale ragione un cristiano che avesse eseguito una sentenza capitale avrebbe violato il cuore del messaggio evangelico; 3) i doveri militari non erano compatibili con quelli cristiani; 4) per un cristiano il culto dell’imperatore — particolarmente importante all’interno dell’esercito romano — era incompatibile con la devozione verso Dio; 5) le insegne e gli emblemi militari erano di chiara derivazione pagana e dunque non accettabili per un cristiano; 6) l’uso della violenza, anche il tempo di pace, contraddiceva palesemente il modus operandi del cristiano; 7) l’ascetismo tipico delle prime comunità cristiane erano assolutamente contrastante con l’esaltazione dell’edonismo tipico dell’esercito romano. Ora, l’insieme di queste motivazioni, trovò nell’opera teologica di Tertulliano una prima sistemazione che partirà dalla contestazione dell’esistenza di uno stato tra l’impero — condizionato nel suo operato da valori pagani che un cristiano non poteva che respingere — e la realtà dello spirito la cui logica cristiana era incompatibile con quella pagana. Il rifiuto — da parte del cristiano — di prendere parte alla macchina da guerra romana era una scelta coerente e legittima per Tertulliano. D’altronde prendere parte alla guerra equivaleva ad accettare e a concretare la volontà del demonio. Infatti il cristiano — sottolineava l’A. — poteva farsi uccidere, poteva diventare martire ma non poteva uccidere (a tale proposito si veda Tolstoj). La sua morte era la sua vittoria perché grazie ad essa si riuscirà graditi a Dio e si otterrà la vita eterna. Proprio per l’insieme di queste motivazioni ogni compromesso era da rifiutare mentre da accettare era l’ODC. In condivisione, il cristiano doveva non collaborare con lo Stato e doveva rinunciare alla vita civile. 146 Tuttavia la teologia cattolica — a partire da Origine — incominciò a scendere a cauti compromessi con lo stato e a modificare l’apparato teologico fino a giungere alla esplicita giustificazione della guerra giusta con Agostino del De Civitate Dei e nel saggio Contra Faustumi. 147 11. GIORGIO LA PIRA Come è ampiamente noto l’attività di La Pira incominciò all’interno dell’AC e della FUCI ed in particolare grazie alla conoscenza degli scritti del teologo Cordovani incominciò a comprendere la bestialità della guerra e la sua inacettabilità come strumento per risolvere le problematiche politiche. Sotto il profilo intellettuale la riflessione (e il conseguente rifiuto) sulla guerra incomincerà solo nel ’38 con la rivista ‘‘Principi’’, con la quale denunciò l’interventismo fascista. A partire dal ’51 La Pira incominciò a gettare le basi per una nuova forma di diplomazia estranea a quella usuale. Stiamo alludendo al richiamo alla pace rivolto — inutilmente — a Stalin attraverso la mediazione di Togliatti. Ma sarà solo nel ’52 che La Pira — in qualità di sindaco di Firenze — inaugurerà i convegni per la pace una sorta di diplomazia dal basso ante-littearm. L’anno successivo — continuando ad avviare un dialogo con l’Est — scrisse due lettere a Malerkov sulle quali — fra l’altro invitava i leaders russi a porre termine alle violente campagne anti-cattoliche. Un’altra forma di diplomazia dal basso furono i frequenti viaggi e, fra questi, quello compiuto a Parigi nel ’54 su invito di Pax Christi. In generale, La Pira aveva compreso chiaramente non solo il crescente peso della opinione pubblica ma la possibilità d’oltrepassare gli angusti limiti della contrapposizione tra blocchi. Facendo di Firenze il luogo per eccellenza della mediazione e dialogo tra le nazioni (celebre a tale proposito il tentativo originale di risolvere la crisi di Suez screivendo lettere a Nasser, Eisenhower e Bogolomov!) Anche l’istituzione dei ‘Colloqui mediterranei’ nel ’58 ebbe finalità analoghe (sia sufficiente far riferimento alla lettera inviata a De Gaulle per portare fuori la Francia dal pantano algerino). Anche il contestatissimo viaggio a Mosca del ’569 fu fatto — seppure dietro protezione della Santa Sede — per oltrepassare le divisioni del mondo. Anche sul fronte dell’ODC — a partire dal 1962 — le iniziative di La Pira incominciarono a prendere forma determinando la dura reazione di Andreotti e Scelba. D’altronde, proprio Pistelli (allievo di La Pira) presenterà nel ’64 un progetto di legge sull’ODC. Ancora una volta la posizione non ortodossa di La Pira — all’interno della DC — lo portò a manifestare apertamente la propria solidarietà a Capitini. Anche di fronte al pericolo atomico l’attenzione di La Pira si manifestò chiaramente nei confronti del Vietnam — nel 1965. A tale proposito organizzò un vero e proprio Symposium internazionale grazie al quale 148 venne prodotta l’ennesima lettera a tutti i capi di Stato per avviare a trattati di riconciliazione e La Pira ebbe modo di incontrare in Vietnam Ho Chi Min. Analoghe iniziative furono promosse — nel 1966 — con la nascente OLP di Arafat. Dall’insieme dei dati qui riportati non può sorprendere l’interessamento del politico siciliano per Gandhi (chiamato in causa nel 1969). Non c’è dubbio insomma che — seppure con modalità differenti rispetto a Capitini — La Pira fosse assolutamente consapevole della necessità della pace: ‘‘(...) Perché la pace deve essere costruita a più piani, a ogni livello della realtà umana, economica, politico, etc.’’. Consapevole della falsità del realismo di Machiavelli, La Pira prese atto della impossibilità — nell’era atomica — di attuare una guerra. E proprio contro gli assioni del realismo politico — dopo l’incontro ad Hanes — riconobbe in Ho Chi Min un grande leader un vero e proprio protagonista della liberazione del suo popolo. 149 12. PREMESSA ALLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE Come già precedentemente indicato le CEB svolsero un ruolo determinante in relazione alla genesi della Tdl tanto quanto il Movimento del Natal sorto nel 1949 e finalizzato, alla alfabetizzazione dei contadini. Altrettanto rilevante sarà il MEB (sorto nel ’61) che operò nel settore dell’istruzione di base e della sindacalizzazione rurale avvalendosi — spesso — di docenti e studenti provenienti dall’AC e dalla JUC. Alla luce di questi semplici dati non è esagerato affermare che — almeno in Brasile la Chiesa era l’istituzione principale capace di difendere i diritti umani e il suo legame con i movimenti di liberazione fu del tutto naturale. L’efficacia delle comunità di base — fra l’altro — ne consentı̀ lo sviluppo in Honduras, in Cile, in Perù e Nicaragua. Non desta alcuna sorpresa che all’indomani del Concilio Vaticano II personalità di spicco come Illrich (con il CIDOC) o come Camara avessero sentito l’esigenza di creare i primi presupposti per una teologia specifica dell’America Latina. Uno dei primi esempi — in questa direzione — sarà proprio il saggio di Gutinezz nel 1968 (La pastorale di Iglesia in America Latina) nella quale l’A. giustificava l’impegno dei cristiani nel processo rivoluzionario in aperta rottura con l’autorità ecclesiastica (interessata in questo scritto la centralità del richiamo a Bonhcreffer). La sottolineatura dell’a. non era per nulla infondata tanto è vero che — proprio tra il ’66 e il ’67 — un numero non marginale di sacerdoti aveva assunto un atteggiamento di aperta ospitalità nei confronti dei governi militari (proprio in questo contesto si pensi all’ONIS del Perù ) o di aperta critica nei confronti della complicità della Chiesa latino americana (come sottolineò Illich nel saggio The Seamy side of charity, edito nel ’67). L’impatto che la sacra teologia, ebbe in Italia fu sterminato dagli interventi su riviste come ‘Testimonianze’ e ‘Sette giorni’, impatto che fu amplificato dalla lettera inviata al Celam nell’agosto del ’68 da parte di ottocento sacerdoti latino americani nella quale non si condannava il ricorso all’uso della violenza rivoluzionaria. la costituzione in Cile — nel 1971 — del Movimento dei Cristiani per il Socialismo (di cui farà parte Gultieriezz) rappresenterà una tappa storica (movimento che dimostrerà di gradire Allende). Proprio nel ’77 Gutierriezz fa esplicito riferimento al marxismo quale poten150 te strumento metodologico per leggere la realtà dell’America Latina e per dare una nuova impostazione alla teologia (sia chiaro che questo fu un tentativo tutt’altro che isolato se si considera l’opera di Girardi e di Garaudy e della studiosa Harmecker e soprattutto della rivista Concilium che si farà portavoce in Italia della Tdl). Oltre al marxismo anche il concetto di utopia (nel senso dato da Freire, Bloch, Marcuse e Guevara) svolgerà un ruolo determinante nella genesi della Tdl, tanto è vero che proprio Gutierrez parlerà esplicitamente di una società nuova priva di classi, di proprietà privata e di centralità della lotta di classe. Ad ostacolare la diffusione della Tdl, interverrà la ‘‘dottrina della Sicurezza 1 Nazionale’’ elaborata dalla Cia e dalla military intelligence con la quale si giustifica la neutralizzazione del potere legislativo e giudiziario in nome della sicurezza dello Stato (metodologicamente la geopolitica svolge un ruolo determinante). Una delle conseguenze dirette furono le repressioni di partiti e sindacati che in America Latina sostenevano apertamente il socialismo e tutte le sue varianti. In questo contesto, trova una spiegazione la lettera di pretesta inviata al Celam contro il gesuita belga Vekemans accusato di essere collaboratore della Cia e di aver sostenuto le dittature. Nonostante ciò le iniziative di Gutierrez e di Dussel portarono avanti il messaggio della Tdl, iniziative alle quali si contrappone il gruppo di Studio denominato ‘Kirke und Befreiung’ sorto nel ‘73 ad opera di mons. Hemgsback e che 1 Una percezione assai diversa dell’America Latina — ed in particolare del Brasile — fu offerta dall’ESG. Non c’è dubbio che fin dalla sua realizzazione l’ESG (realizzazione avvenuta a Rio nel ’49) abbia costituito la principale fonte della progettualità geopolitica brasiliana. Nata sul modello della NWC USA, essa ben presto si trovò ad occuparsi di un approccio metodologico pluridisciplinare allo scopo di precisare il concetto di National Security. Anche a questo scopo — fin dalla sua fondazione — la ESG fu aperta anche ai civili (tuttavia un’altra percentuale di diplomati apparteneva alle FA). La matrice epistemologica della ESG furono gli insegnamenti del gen. Magalhaes che, grazie ad gen. Monteiro a partire dagli anni ’30, presero forma operativa. Il prestigio dell’ESG e il suo ruolo del contesto della politica brasiliana, lo possiamo evincere anche dal fatto che il futuro presidente del Brasile — gen. Branco — proveniva propria dalla ESG; per non tralasciare un altro dato determinante è opportuno ricordare che gran parte dei posti chiave del sistema politico del ’64 furono occupati dal personale proveniente dalla ESG. Uno dei principali protagonisti della ESG e della politica brasiliana fu Couto e Silva eminente geopolitico brasiliana. L’A. come è noto fu nominato — presso l’ESG — istruttore aggiunto e amministratore fino a diventare — nel 1964 — CSM. A partire dal ’64 fu posto a capo del Servizio nazionale di informazioni e — fra il 1955 e il 1981 — portò a termine anche a Meiramattus che, fra il 1977 e il 1984, portò a termine volumi di grande rilevanza per la geopolitico (e fra questi Proiezioni del potere, una Geopolitica pan-amazzonica e Gepolitica e Tropici) oltre a rivestire incarichi delicati nell’ambito della politica brasiliana (e fra questi quello di vice CSM, e aiutante militare di Branco e con il nuovo regime capo della Commissione di Studio per la crisi della scuola e dell’università). 151 trovò notorietà con l’incontro a Villa Emmans a Roma nel 1976, ma anche con Adveniat organismo della Chiesa tedesca. Tuttavia sarà solo nel 1984 ad opera di Ratzinger che la dottrina della Tdl troverà una chiara ed inequivocabile condanna poiché in essa si evidenziava l’assimilazione acritica di elementi della ideologia marxiana (d’altra parte già l’Opud Dei e Cl avevano espresso il loro netto dissenso). Correttamente l’azione più eclatante sarà la convocazione di Boff in Vaticano (nel settembre del 1984) convocazione che condannerà il teologo ad accettare la punizione del silenzio. Tutte la posizioni di Boff e Gutierrez trovarono ampio sostegno presso le riviste ‘‘Il Regno’’ e ‘‘Testimonianze’’ 2. 2 A partire dagli anni Sessanta in Italia si era affermata una apertura alle problematiche dell’America Latina, apertura che leggeva il capitalismo come una vera e propria sventura per l’umanità e la Tdl come la possibilità di un riscatto. A tale proposito, la rivista ‘Aggiornamenti sociali’ (in particolare il saggio di Rigidur del 1968) condivise apertamente la sostanza delle denunce della Tdl come riportò anche le opinioni di padre Girardi sulla opportunità di ricorrere alla lotta armata (v. l’articolo del sacerdote intitolato: ‘‘Cristiani e marxisti a confronto sulla pace’’, n. 1, 1968, p. 77). D’altra parte anche la rivista ‘Testimonianze’ si mosse in direzione analoga (anche in relazione p.e. al problema del Vietnam, nei confronti del quale condivise apertamente il dissenso americano ed europeo tanto quanto l’Isolotto di Firenze con la ‘‘Lettera ad un vescovo’’) o la rivista ‘‘Momento’’ con gli interventi di Infelise e Cannata tra il ’65 e il ’67. 152 13. LEONARDO BOFF Non c’è dubbio alcuno che il soggetto rivoluzionario della Teologia della Liberazione (da ora Tdl ndr) siano i poveri dell’America Latina (del Brasile dello specifico). Altrettanto certo fu il rifiuto della politica dell’assistenzialismo e l’aperto sostegno all’opera di Romero e di Grande. Giustamente B. individua la nascita della Tdl nelle comunità di base ecclesiale (CEB) e individua tre mediazioni o schemi-base per dare una logica rigorosa alla Tdl: 1) la mediazione socio-analitica (o studio storico delle ??? del paese e individuazione delle cause della povertà); per attuare questa analisi il teologo si serve del marxismo come strumento di analisi grazie al quale prende atto della esistenza di varie tipologie di oppressione; 2) la mediazione ermeneutica che si concentra in una particolare lettera della bibbia con particolare attenzione all’Esodo, ai Profeti, ai Vangeli, all’Apocalisse; 3) mediazione pratica. Per attuare un reale cambiamento bisogna 1) individuare ciò che è praticabile in quel determinato contesto storico; 2) individuazione delle strategie e delle tattiche adatte (p.e. la non violenza, le marce, lo sciopero e l’uso della forza rivoluzionaria); 3) sapersi coordinare con altri soggetti oppressi e 4) incitare il popolo (noi diremmo senza tanti giri di frase indottrinarlo e manipolarlo ndr). Al di là di queste osservazioni, l’A. insiste con particolare enfasi sul ruolo determinante delle CEB. Altrettanto decisive sono tutte quelle associazioni o centri formati da intellettuali, giornali, avvocati che operano per dare voce ai poveri, centri che hanno gettato le basi della Tdl come la JUC, la JOC o la JAC. Per B. il contributo teorico del personalismo o l’evoluzionismo di T. de Chardin, rappresentano veri e propri fermenti ecclesiali utili alla nascita della Tdl che troverà modo di formarsi tra il ’64 e il 1970, anno in cui si svolgerà a Bogotà il primo congresso della Tdl. 153 Un fortissimo impulso sarà dato dal CELAM e dal CNBB, organizzazioni grazie alle quali i teologi della liberazione svolgeranno un doppio ruolo: teologi e attivisti all’interno dei sindacati e della comunità di base. Dagli anni Settanta la Tdl si istituzionalizzerà con l’Associazione economica dei teologi del terzo mondo (i contenuti della quale saranno promossi anche dalla rivista Concilium — nel n. 6 del 1974 — in Italia e da numerose altre in buona parte dell’America Latina) e con i seguenti istituti: ICIA - IPLA - OSLAM - ISPAC - INP - CESEP, CECA, IBRADES etc. Non è da sottovalutare — come osserva Boff — la positiva valutazine di Castro. Storicamente le contromisure prese dagli USA e dal Vaticano — a partire dal 1969 — furono il Rapporto Rockfeller, il programma di controspionaggio di Hoover 1 che si attuò con l’appoggio strumentale alle sette protestanti come gli evangelici in Colombia, a Panama con la MUM, in Guatemala con il MAS, con Cambio 90 in Perù . La Chiesa — a parte la scomunica di Cardenal e l’ammonimento a Boff — si servı̀ dell’Opus Dei, di Cl e di altri movimenti per contrastare l’avanzata della Tdl. D’altronde, non è stata forse la Tdl una componente indispensabile nella formazione dell’EZLN? 2. 1 Il programma di Cointelpro varato dall’FBI per smembrare e neutralizzare i gruppi antagonisti cominciò nel 1956 e ufficialmente terminò nel 1971 e prese in adeguata considerazione il PC USA, il programma dei lavoratori socialisti per arrivare alla nuova sinistra tra il ’68 e il ’71. Le tecniche adottate dall’FBI erano analoghe a quelle usate contro gli agenti sovietici: infiltrati per determinare dissensi all’interno delle organizzazioni, era una delle tecniche più usate (va rilevato — a margine — che sotto la direzione di William C. Sullivan la divisione di intelligence nazionale ebbe una notevole crescita.). Nei confronti — p.e. — della New Left l’FBI osservò che la genesi era da individuarsi nelle rivolte della Columbia University, rivolte che si moltiplicarono anche a causa della debolezza ampliamente dimostrata dai rettori che erano restii a chiamare la polizia per arrestare le sommosse. Anche screditare i soggetti più attivisti delle rivolte studentesche rientrava nello spettro di contro-insorgenza, tanto quanto l’istigare conflitti tra leaders, inviare lettere anonime, cercare di ridicolizzare alcuni protagonisti dei nuovi movimenti, diffondere opuscoli anonimi, informare e pilotare reporter di media amici, etc. Altrettanto significativo fu il programma varato dalla Cia. ‘‘CHAOS’’ nel 1967 relativo al dissenso USA e ufficialmente conclusasi nel 1974. All’interno di questo programma significativo fu il MERRIMAC che consentiva agli agenti Cia di infiltrarsi all’interno dei gruppi attivisti.. La strumentazione usata fu — in larga parte — analoga a quella del Cointelpro: sorveglianza fisica, elettronica ed ispezione postale, infiltrazione. Infine è doveroso segnalare che al di là del fatto che Karamessines e Angelton svolsero un ruolo determinante della specifica pianificazione mentre Richard Ober svolse il ruolo di responsabile delle operazioni speciali nel contesto del controspionaggio (ruolo che avrà poi modo di concretizzarsi con p.e. l’archiviazione elettronica di 300mila americani schedati in HYDRA). 2 Come chiaramente sottolineato nel volume della Rand sul concetto di Netwar (cap. III, p. 4) nel Chiapas vi era — prima di Marcos — la presenza potente e capillare di Rur che — attraverso la Diocesi di San Las de Cristóbal Casas — svolse un ruolo chiave nella mobilitazione politico degli 154 A distanza di trent’anni, Boff (e non solo) ha proseguito sulla strada del dissenso religioso sottolineando la fondamentale importanza dei nuovi movimenti e sottolineando i loro motivi ispiratori sul piano ideologico (l’umanesimo radicale o il socialismo). Tuttavia rispetto al passato (anni ’70 per intenderci) l’importanza teologica di Boff si è arricchita con l’enfasi posta sull’ecologia profonda 3 e sulla mistica. Sul piano strettamente politico, l’unica alternativa perseguibile concretamente è quella della democrazia partecipativa e della consapevolezza della assoluta erroneità dell’occidentalcentrismo che è stato la causa dei maggiori danni (materiali e spirituali) per l’America Latina. Non a caso il capitalismo — sua diretta conseguenza — ha attuato una logica perversa contro la quale è sorta la Tdl che ha recuperato gli ideali nobili e umanitari del migliore socialismo. indigeni. Si pensi — a tale proposito — all’Incontro indigeno nel 1974. Qui ebbe modo di ribadire come il neoliberismo fosse totalmente contrario alla volontà di Dio. Anche alla creazione di ONG la Chiesa ebbe un ruolo rilevante (p. 11) e a tale riguardo si pensi alla CONPA che ebbe la propria genesi all’interno della Diocesi di Cristóbal. 3 Uno dei riferimenti fondamentali per Boff è indubbiamente S. Francesco di Assisi di cui riconosce il contributo determinante all’ecologia mistica e quindi implicitamente ad allontanare l’occidentale dal suo demone: il razionalismo di matrice cartesiana e baconiana. 155 14. L’AMERICA LATINA INTERPRETATA DALLA RIVISTA ‘‘LATINOAMERICA’’ Per quanto non sia nostra intenzione compiere una rassegna esaustiva degli articoli presenti sulla rivista ‘LatinoAmerica’, tuttavia — partendo dal 2000 e giungendo fino al 2002 — prenderemo in considerazione alcune problematiche seguendo la procedura applicata con ‘Mosaico di Pace’. Dall’insieme degli articoli emergerà — con chiarezza — una visione terzomondista, visceralmente antiamericana e filo castrista. D’altronde questa pubblicazione ha contributo — e contribuisce — a sostenere la politica di Cuba (e di gran parte delle giunte di sinistra in American Latina) in modo limpido. Superfluo osservare che questa pubblicazione ha sostenuto — e sostiene — tutte le lotte di liberazione nell’America Latina a cominciare da Marcos e dai Sem Terra per arrivare alla teologia delle liberazione. Assai significative — infine — le foto che illustrano ad inizio pagina le stragi determinate della globalizzazione USA, foto che costituiscono un eccellente esempio di propaganda di tipo tradizionale. 1. N. 73 del 2000 Nel proprio articolo Sepulveda difende esplicitamente la lotta armata praticata negli anni Settanta adducendo motivazioni etiche assai lontane da quelle dell’Eta. Nel secondo articolo Galeano denuncia l’avanzare apocalittico della militarizzazione. Nel terzo articolo Taibo II condanna senza mezzi termini il Pri di Fox definendolo un ‘gattopardo tradizionale’. A conclusione, l’A. rivendica con orgoglio la tradizione di liberazione di Villa e dei Tupac Amaru. Nel quarto articolo Zanotelli condanna il NAFTA ritenuto deleterio per l’Africa. Nel quinto articolo Chavarria si fa portavoce di Cuba difendendola e respingendo le accuse di violazione dei diritti umani. Nel sesto articolo Mina’ prende le difese della Baraldini chiedendone la grazia e rivendicando con orgoglio la sua passata militanza nel movimento ‘19 maggio’. Nel settimo articolo Abraha sottolinea con preoccupazione l’interesse USA 156 per l’Eritrea o per l’Etiopia ove la presenza delle multinazionali è letta come una colonizzazione. Nell’ottavo articolo Bugliani tesse un vero e proprio elogio delle insorgenze che dal Chiapas — con Marcos — all’Ecuador — con le Conaie — stanno ridisegnando il volto dell’America Latina. Nel nono articolo Cipriani ripercorre l’appoggio della Cia al golpe di Pinochet, il coordinamento elettorale da parte del Comitato 303 e del Comitato 40 con la formulazione della Opzione II. Nel decimo articolo mons. Casaldiga (noto esponente della Tdl brasiliana) attacca direttamente un documento di Ratzinger. 2. N. 74/2001 Nel primo articolo Girardi analizza e condanna senza mezzi termini il Plan Colombia. Nel secondo articolo Cipriani analizza e critica il Plan Bolivia. Nel terzo articolo Fornasier difende il FNCD haitiano che ha appoggiato Aristide alle elezioni. Nel quarto articolo Esquivel denuncia la politica USA in America Latina soffermandosi sulla nefasta dottrina della Sicurezza Nel quinto articolo Salvini documenta come alcuni esponenti della estrema destra italiana (p.e. Cauchi e Delle Chiaie) abbiano attivamente collaborato con la Dina cilena. Nel sesto articolo Orahas tesse gli elogi di Cabral fondatore del MPLA e del PAI 66 non dimenticando di ricordare — al lettore ingenuo — che l’Accademia delle Scienze di Mosca lo insegnı̀ del titolo di dottore in scienze politiche. Cosı̀ come l’A. dell’articolo ricorda di passaggio i contatti del guerrigliero con Cuba e la Germania dell’Est! Superfluo osservare che le operazioni della PIDE sono letti in chiave assolutamente negativa. Nel settimo articolo Roque — ministro degli esteri cubano — accusa tutti coloro che hanno posto un inumano embrago a Cuba (a cominciare dagli USA). Nell’ottavo articolo Betto oltre a difendere Cuba attacca Cordoso e la sua mefasta politica. 3. n. 75/2001 Nel primo articolo una nuova intervista — con Montalbán — a Marcos. 157 Nel secondo articolo Betto contrappone l’FMI (di cui si augura la scomaprsa) al FS di Alegre. Nel terzo articolo Ardesi difende l’indipendenza del popolo Sahrawi e della guerriglia del FP contro il Marocco (cosı̀ come l’A. difende l’intifada a partire dal 1999). Nel quarto articolo Iglesias prende in considerazione Fort Benning in un’ottica analoga all’Osservatorio SOA non dando alcuna credibilità al cambiamento in corso (la nuova denominazione è WHINSEC). Nel quinto articolo Girardi prende atto — con rammarico — della fine del sogno sandinista prospettando al lettore una via alternativa: la coalizione che raccoglie il MRS, il MDN e il PRONAL. Nel sesto articolo Frisuno difende Ocalan. Nel settimo articolo Stedile e Teixeira emettono una sentenza di condanna senza appello nei confronti del governo di Cardoso sia per la politica repressiva r.p.e. il DOPUS RURAL) che per il PRONAG. Nell’ottavo articolo Alonso tesse gli elogi dell’economia cubana e della alta partecipazione democratica. Nel nono articolo la Baraldini difende le forze di resistenza portoricana alla presenza USA ed in particolare gli Young lords, il Movimento de liberacion nacional del quale elogia l’eroismo di figure quali Flores e Miranda. Nel decimo articolo Masina difende la Tdl dalle paranoie di Giovanni Paolo II e dalla svolta repressiva inaugurata dal suo pontificato. Nell’undicesimo articolo Avicolli tesse gli elogi della letteratura cubana. 4. n. 76/2001 Nel primo articolo Smith difende Cuba e condanna gli innumerevoli tentativi di detronizzare Castro da parte della CIA e dagli anti-castristi presenti in Florida. Nel secondo articolo Tompkins emette una condanna assoluta di tutta la politica USA in America Latina. Nel terzo articolo Cipriani illustra gli aspetti essenziali del NIC allo scopo di sottolineare le finalità imperialistiche. Nel quarto articolo Fernandez illustra il terrorismo di Stato attuato dagli USA e auspica che Kissinger sia processato per crimini di guerra. Nel quinto articolo Geleano si dice persuaso che Kissinger abbia commesso più crimini di Bin Laden. Nel sesto articolo Chiesa osserva quanto nefasta sia la situazione in Russia a causa del neoliberismo. 158 Nel settimo articolo Ciotti emette una condanna radicale delle oligarchie finanziarie. Nell’ottavo articolo Minà compie un’appassionata difesa di Cuba e critica l’atteggiamento dei DS verso Cuba. Inoltre sottolinea l’esistenza di un’autentica libertà a Cuba al contrario della gran parte dei paesi dell’America Latina. Nel nono articolo la Rivista riporta in forma integrale il discorso di Castro alla conferenza mondiale contro il razzismo. Nel decimo articolo Moiola difende la lotta dei Tapac Amaw e in particolare della guerriglia Berenson. Nell’undicesimo articolo Masina si fa portavoce dei Sem Terra. Nel dodicesimo articolo Amado viene intervistato da Minà al quale esprime l’esigenza — dopo essere stato uno stalinista convinto — di costruire un socialismo democratico. 5. n. 1/2002 Nel primo articolo Minà difende strenuamente la Legge 185/90 e accusa Minniti, Previti e Selva, di connivenza con le industrie delle armi attribuendo a Pax Christi e a Nigrizia il merito di aver promosso una adeugata campagna contro i tentativi di ‘dopare’ la 185. Nel secondo articolo Carotenuto descrive i disastri attuati dal FMI ai danni dell’Uraguay. Nel terzo articolo Oldrini formula una difesa di Chiavez. Nel quarto articolo Minà, intervistando Montalban, elogia sia la pars costruens che la pars destruens di Porto Alegre. Nel quinto articolo Betto rivela i retroscena dei legami tra la famiglia Bush, il gruppo Carlyle e Bin Laden. Nel sesto articolo Mirkinson difende l’attivismo anti-war USA sottolineando il pericolo di una grave limitazione dei diritti da parte della amministrazione Bush. Nel settimo articolo Schuldiner lancia accuse pesantissime a Sharon considerando la sua azione politica volta a cancellare gli accordi di Oslo. Nell’ottavo articolo Menchiù pone uno stretto parallelismo tra Bin Laden e Kissinger. Nel nono articolo Piccoli documenta le convivenza tra governo, FA e gruppi paramilitari colombiani. Nel decimo articolo Minà riporta integralmente l’intervento di Castro alla Conferenza sullo sviluppo. 159 Nell’undicesimo articolo Bugliani esprime l’esigenza di ritornare all’etica del Che. 6. n. 81/2002 Nel primo articolo Minà tesse un vero e proprio elogio dell’operato di Chavez e di Lula. Nel secondo articolo Betto difende Lula riproponendo in lui la massima fiducia. Nel terzo articolo Merino del Rio lancia accuse pesanti all’amministrazione USA per la sua politica in Costa Rica (accusa che riguardano l’operato di Danilorich e dell’Amm. Hill). Nel quarto articolo la Rivista riporta per intero il manifesto di dissenso di numerosi intellettuali contro la guerra. Nel quinto articolo Zanotelli osserva sconcertato il progressivo riarmo atomico. Nel sesto articolo De Marzo (arrestato dalle autorità dell’Ecuador ed esplulso per la sua attività contro l’OCP) denuncia l’immane truffa dell’ALCA. 160 15. IL CONTRIBUTO DI ENRIQUE DUSSEL ALL’ANTAGONISMO RELIGIOSO Come è ampiamente noto la formazione dell’A. fu cattolica e quando salı̀ al potere Peron il padre di Ed non ebbe esitazioni ad appoggiarlo. La militanza del giovane Ed incominciò nel ’50 quando entrò a far parte della JAC iscrivendosi alla Facoltà di Filosofia nel ’54 e partecipando nello stesso anno alla nascita della DC argentina (fu fondatore del FUO e presidente del CEFYC). Attraverso la sua militanza politica venne in contatto con Maritain di cui legge gli scritti principali — divenendo un convinto assertore del neo-tomismo. A causa della svolta autoritaria di Peroni, insieme alla Chiesa argentina, si mobilitò contro il peronismo. Pur continuando in Spagna nello studio della dottrina terrorista, il viaggio ad Israele e l’incontro con padre Gauthier lo misero di fronte all’esistenza dei preti-operai vera e propria preistoria dela teologia della liberazione. Conclusa la tesi di dottorato, lavorò per due anni con Gauthier grazie al quale la vita di Ed ebbe una svolta determinante. Recatosi a Parigi, la lettura dell’opera di Zea gli fece comprendere i danni dell’eurocentrismo rispetto all’America Latina che studiò servendosi della e??? di Ricoeur grazie al quale giunse alla formulazione del concetto etico-mitico in virtù del quale Ed riuscı̀ a reinterpretare la particolarità della cultura dell’America Latina. Inoltre Ed apprezzò apertamente il ruolo del filosofo francese durante il 1968. A livello storico l’approfondimento della colonizzazione spagnola — fatto tra il ’64 e il ’66 — gli consentirà di dare fondamento scientifico alle rivendicazioni successive, tanto quanto la teoria dela dipendenza di Cordoso e Faletto gli consentirà di superare una visione falsata dell’America Latina. Anche il contributo di Heidegger permetterà a Ed di criticare l’umanesimo europeo — o più esattamente gli consentirà di connettere l’Io conquisto e l’ego cogito cartesiano. Tutto ciò porterà all’opera del 1970 con la quale getterà le basi della filosofia della liberazione. Elaborazione che incomincerà a parte dal 1970 — anno nel quale insegnerà all’IPLA — e proseguirà fino al 1971 in occasione del II Congresso Nazionale di Filosofia (nel quale confluirono tutti cui filosofi che si erano opposti al governo argentino di Ongania). Grazie alla lettura di Marcuse, Bloch la sua riflessione poté precisarsi meglio. Infatti Ed fu interessato ad approfondire la teoria e la prassi di Marcuse sia in relazione al ’60 USA che ai movimenti di liberazione del Terzo Mondo mentre la riflessione di Bloch gli con161 sentı̀ di comprendere la grande importanza del concetto di utopia. Anche lo studio di Levinas gli sarà molto utile perché lo metterà nelle condizioni di dare spessore storico-filosofico al concetto di altro e di comprendere la centralità della metafisica dell’alterità per superare l’antologia di Heidegger. Uno dei risultati concreti di questo innovatico percorso filosofico fu la realizzazione della Cehilan nel 1974 nel quale ebbe modo di elaborare una contro-storia del cristianesimo latino-americano partendo dai poveri. Non sorpende — allora — l’adesione di Ed alla sinistra peronista di cui — p.e. — condivideva pienamente l’anti-imperialismo USA. L’alttentato ai suo danni (ottobre del 1973) fu la conseguenza del fatto che Ed attraverso la docenza universitaria indottrinava le menti dei giovani attentao al quale rispose con la Declaracion De Morelva la più chiara elaborazione filosofica politica della filosofia della liberazione scritta nel 1975. A livello pedagogico la riflessione di Ed non si discosta da quella di Paolo Freire. Proprio nel ’75 l’ennesima svolta autoritaria portò alla espulsione dall’universitàdi Ed e alla successiva censura dei suoi volumi. Il suo forzato elisio in Messico gli consentirà di istituzionalizzare la filosofia della liberazione con la fondazione della AFYI nel 1982 e di chiarire le proprie posizioni molto critiche verso Althusser, ed anche verso Marx. Lo studio sistematico — anche a livello filologico — delle opere di Marx gli consentirà di comprendere la grande efficacia della critica marxiana al capitalismo e la centralità del concetto di popolo nella riflessione di Mao — gli consentirà di legittimare sul piano teorico la sua adesione alla sinistra peronista. Sotto il profilo della prassi politica l’adesione di Ed al FN di Porto Alegre non è per nulla sorprendente né tanto meno più ritenersi sorprendente la sua adesione al ’68 messicano (o il desiderio di veder incriminato Kissinger per crimini contro l’umanità). Proprio a livello politico Ed ha espresso il suo entusiasmo per i primi passi della Rivoluzione sandinista, per la rivoluzione cubana e soprattutto per quella zapatista (proprio riflettendo su queste rivluzioni Ed non ha mai posto sullo stesso piano studenti e popolo ma ha ritenuto di dover attribuire esclusivo peso rivoluzionario al popolo) cosı̀ come ha qualificato come totalitaria la politica di Sharon (fra l’altro — sia detto a margine — non è certo casuale che ben 17 articoli in lingua italiana di Ed siano apparsi proprio sulla rivista ‘‘Concilium’’!). Definiti i militari come poveri utili idioti, Ed esprima una valutazione estremamente positiva della politica cubana (a tal punto che esprime il desiderio andare a vivere a Cuba!) e un giudizio assolutamente negativo della politica di Bush che definisce fondamentalista cristiana analoga — per pericolosità — a quella talebana. 162 Parte Settima 1. PREMESSA Con questa breve sezione abbiamo voluto illustrare le posizioni politico-filosifico, di noti intellettuali italiani e non nel contesto dell’anti-globalizzazione, dell’eco-pacifismo, del pacifismo femminista e della filosofia della politica. Il lettore attento — ancora una volta — avrà modo di prendere atto della sostanziale omogeneità delle argomentazioni attuate dagli autori contro — p.e. — l’istituzione militare, contro le istituzioni politiche globaliste e contro il realismo politico all’insegna del pacifismo seppure diversamente articolato. 165 2. GUERRA E DIRITTO NELLA RIFLESSIONE GIURIDICO-POLITICA DI DE FIORES * 1. Contesto Il contesto politico nel quale il volume dell’A. si colloca è certamente quello del pacifismo laico di sinistra. Sotto il profilo dell’orientamento metodologico nell’ambito del diritto internazionale e della politica estera i debiti vanno equamente distribuiti tra Ferrajoli, Zolo e il Centro Riforme per lo Stato associazione che si muove all’interno della sinistra diessina e dle PRC. 2. Analisi Cerheremo — per quanto ci sarà possibile — di riassumere gli aspetti di maggiore rilievo dell’opera. Secondo l’A. il diritto è stato costretto ‘obtorto collo’ a confrontarsi con le nuove guerre e con la loro globalizzazione. Nel nostro Paese, durante il conflitto in Iraq e in Kosovo, l’utilizzo da parte dell’esecutivo di ipocrite locuzioni è stato volto a raggirare l’art. 11 della nostra costituzione. Cosı̀ come in tema di sovranità,quella del Parlamento è stata svuotata di significato attraverso il ricorso ai decreti-legge. Al di là di queste considerazioni, copiose interpretazioni politico-giuridiche hanno cercato di minare alla base l’indubbio fondamento pacifista (p. 27) della nostra Costituzione. A tale proposito l’A. dissente in misura radicale con quanti hanno cercato di cosituzionalizzare le nuove forme di guerra a livello giuridico. Infatti, il rapporto diritto/guerra non si presta — per l’A. — a equivoci di sorta: 1) la guerra è una sospensione dei diritti come dimostrano chiaramente i provvedimenti dell’amministrazione Bush; 2) provvedimenti (USA Patriot) che — seguendo Ramonet e Vidal — violano palesemente l’habeaus corpus in modo inacettabile; * L’Italia ripudia la guerra, Ediesse e CRS. 166 3) in particolare l’a. sottolinea — con particolare enfasi — il rischio di criminalizzazione del dissenso no-global da parte di Cia e Fbi (p. 33) e ritiene inammisibili i Tribunali militari istituiti ad hoc da Bush (come la prigione di Guantanamo); 4) quanto ai provvedimenti presi in Italia questi ricalcano quelli dell’Unione Europea e sono talmente generici da consentire indiscriminati abusi; 5) per ovviare a tutto ciò l’intervento del presidente della Repubblica e quello della Corte costituzionale possono offrire una adeguata soluzione al rispetto di un nocciolo duro di diritti che devono essere tutelati anche in casi di guerra. Indubbiamente il ripristino della inviolabilità dei diritti è ampiamente compromessa dalla metamorfosi della Nato (p. 53) che colloca a latere l’ONU (la cui abdicazione fu già evidente in occasione del bombardamento USA sulla Libia e dell’attacco di Israele cui campi palestini in Libano). Ebbene di fronte alla guerra permanente e a quella preventiva l’ONU finisce solo per svolgere un ruolo di ‘‘protettrice della pax americana, custode del dopoguerra’’ (p. 57). A questo punto legittimare moralmente la guerra — p.e. in occasione della necessitàdi contrastare il terrorismo — equivale a non comprendere che l’uso della forza nulla ha a che vedere con la morale ma semmai — come ricordare Heller (p. 68) — ‘‘con la ridistribuzione del potere e della ricchezza’’. Richiamarsi allora al concetto di guerra giusta risuta tipico di chi ha fatto venire meno il rispetto del diritto internazionale. A tale proposito l’A. respinge — con forza e sdegno — la legittimità della guerra giusta sia nella accezione neo-tomista che in quella di Walzer allo scopo di sottolinerae che — dopo la abdicazione dell’ONU — non rimane che l’Impero (citando in modo significativo Negri e Mortellaro) che attua una guerra di aumentamento (come quella in Afghanistan) e non guerre umanitarie (espressione questa che nasconde la volontà — da parte della Nato e degli USA — di attribuirsi il ruolo di difensori del diritto e quindi — citando Zolo — di imporre la propria egemonia). Recuperare la lezione filosofica di Rousseau e di Kant (rigettando quella di Hegel e quella di Austin) ci consentirà di comprendere la necessità di trasformare l’oridinamento giuridico internazionale in una comunità giuridica universale secondo il dettato di Kelsern (superando le non poche ambiguità dello stesso filosofo, superamento reso possibile dal contributo di Heller). Allora e solo allora — sarà comprensibile contestualizzare in modo giuridicamente efficace l’internazionalismo, il pacifismo giuridico e relegare la ‘‘guerra fuori della storia’’. A tale proposito non può essere accettabile che la guerra torni ad essere uno strumento ordinario della politica o torni ad essere il dispositivo naturale per la tutela dei diritti umani. In questo senso l’A. — oltre a rifiutare la lezione di Wal167 zer e quella di Habermas — condivide la riflessione di Rodotà, di Zolo e di Luciani secondo il quale un governo mondiale già esiste ed è quello del FMI e della Banca Mondiale. In conclusione, le osservazioni critiche dell’A. sono assolutamente speculari a quelle di gran parte degli autori precedentemente analizzati (è fra l’altro significativo che la casa editrice del saggio sia la stessa del Rapporto 2004 che abbiano preso in considerazione) poiché hanno in comune una chiara connotazione anti-USA e anti-militarista. D’altra parte, alcuni fra i più rilevanti riferimenti dell’A. sono intellettuali come Zolo, Ferrajoli, Chomsky, Negri e Mortellaro il cui terreno comune — al di là delle differenze nell’ambito della pars costruens — è analogo. 168 3. GUERRA E DIRITTO NELLA RIFLESSIONE FILOSOFICO-POLITICA DI ZOLO * L’A. sottopone al proprio orientamento ideologico e metodologico la guerra del Kosovo allo scopo sia di smascherare le ‘ipocrisie umanitarie’ sia di riaffermare la sovranità del diritto in un’ottica anti-USA (analoga a quella di Mortellaro). E scontato che il contesto politico-ideologico dell’A. sia analogo a quello di De Fiores, rientri cioè nell’ambito della sinsitra pacifista (Zolo infatti si è formato politicamente anche grazie alla collaborazione con la rivista ‘Testimonianza’ di Balducci). Allo scopo di evitare qualsiasi equivoco l’A. delegittima il concetto stesso stesso di iustum bellum ripreso da Walzer ritenendo che questo sia ‘‘un tipico strumento di autolegittimazione della guerra (p. 43). Al di là delle afferamzioni dei leaders politici — coinvolti nella guerra del Kosovo (e fra questi Clinton, Albright, Blair e D’Alema) — l’A. compie una interessante rassegna delle opinioni di noti politologi a proposito delle reali cause della guerra per giungere alle seguenti conclusioni: 1) questa guerra è nata per emarginare l’Europa; 2) per controllare i corridoi che da Oriente a Occidente collegano l’Asia al Mediterraneo (in particolare il corridoio n. 8); 3) per controllare l’area euro-asiatica in funzione anti-CSI adottando una sorta di federalismo egemonico e infine 4) per legittimare l’allargamento della NATO che progressivamente eroderà l’ONU legittimando ‘‘la volontà egemonica degli USA’’ per consentirle ‘‘l’esercizio di una sovranità planetaria’’ (p. 65). Tutto ciò avviene poiché il consiglio di sicurezza dell’ONU (nonostante i suoi limiti) distribuisce il potere internazionale in modo ‘‘democratico’’ ostacolando in questo modo l’egemonia USA. Proprio con questa guerra l’ONU è stata ancora una volta emarginata attuando una vera e propria aggressione ai danni della * Chi dice umanità, Einaudi. 169 ex-repubblica jugoslavia e sovvertendo in tal modo il diritto internazionale (l’A. parla esplicitamente di ‘‘autentica eversione del diritto internazionale’’ p. 89). Nell’illustrare le riflessioni di Cassese sulla opportunità di trasformare l’eccezione in regola — allo scopo di contestualizzazione giuridicamente la guerra umanitaria — Zolo ritiene opportuno chiarire che non solo la guerra moderna non può essere in alcun modo interpretata come una sanzione giuridica ma — sotto il profilo delle conseguenza operative — può essere assimilata al terrorismo (p. 114). Quanto al Tribunale dell’Aia ‘‘ha dato prova di un pregiudizio positivo poiché — p.e. — non ha avviato alcuna indagine nei confronti dei comandi della NATO’ (p. 139) che ha pianificato l’uso dell’uranio impoverito ‘‘violando le Convenzioni di Ginevra oltre alla Convenzione dell’Aia del 1954’’ (pp. 145/ 146). In definitiva, il Tribunale dell’Aja non è stato altro che uno strumento puramente giuridico (p. 156) e quindi del tutto pirvo di legittimità. In conclusione per l’A.: 1) la guerra è stata incommensurabile e contradditoria rispetto alla tutela dei diritti umani; 2) il loro rispetto non può essere affidato ad alcuna alleanza militare; 3) l’alternativa percorribile è il dialogo interculturale; 4) le conseguenze di ogni guerra sono la devastazione ambientale e l’implementazione dell’odio; 5) non è accettabile che il potere internazionale sia nele mani di una ristretta oligarchia; 6) la guerra umanitaria ha emarginato l’ONU e ha sovvertito il diritto internazionale in mano dell’imperialismo USA. L’unica legittima e valida reazione a questo orrore sono state le manifestazioni a Seattle. 170 4. LA GLOBALIZZAZIONE NELLA INTERPRETAZIONE DI RAMONET * Secondo l’A. il fatto che il mondo attuale abbia conosciuto il trionfo del liberismo è un fatto nefasto. Contro di esso le proteste di Seattle sono state sacrosante mentre il Pentagono — affetto dalla solita paranoia — puntava l’indice proprio contro il dissenso criminalizzandolo. Tutte queste proteste hanno trovato nelle ONG e in determinate associazioni una adeguata risposta al predomio delle oligarchie finanziarie (la repressione che ne è seguita è inacettabile!) e in particolare degli USA che attuano una logica imperialista (americanizzando il mondo per esempio). Nella seconda voce del dizionario — Allende — il leader politico viene definito come la prima vittima della globalizzazione e come colui che avviò una democrazia autentica nel contesto del socialismo mentre le corporations, la Cia e la Banca Mondiale erano intente a distruggere il nuovo Cile. Nella terza voce — Altermondialismo — gli A. elogiano le alternative perseguibili rispetto alla globalizzazione: 1) 2) 3) 4) economia solidale; sviluppo sostenibile; solidarietà nazionale e governanza democratica a livello mondiale. Nella quarta voce — Asse del Male — gli A. — oltre a rifiutare radicalmente tale catalogazione — contrappongono un’altra asse del Male: quello della globalizzazione che precede a tre livelli. Uno di questi è il livello ideologico che si consolida attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica attuata da centri di ricerca assai precisi (come l’Heritage Foundation o il Cato Institute). Nella quinta voce — ATTAC — gli A. formulano una sorta di autoelogio — assai compiaciuto — sottolineando che — in ultima analisi — Attac vuole liberare le persone dal virus liberista. Nella sesta voce — Black Bloc — gli A. compiono una difesa assai sottile là * Piccolo dizionario della globalizzazione, Ramonet/Chao/Woźniak, Edizioni Sperling & Kuffer, 2000. 171 dove sottolineano che l’uso di mascherarsi durante le manifestazioni è stato utile per sottrarsi alle identificazioni. Nella settima voce — Manu Chao — pur ricordando che — guarda caso! — il cantante ha accettato di essere socio fondatore onorario di Attac — gli A. formulano nei confronti del suo impegno politico un vero e proprio elogio. Nell’ottava voce — Chavez — gli A. non solo ne difendono l’operato ma si mostrano particolarmente soddisfatti della paura mostrata dagli USA per la politica estera inaugurata. Nella nona voce — CNSTP — viene difesa una forma di nuovo sindacalismo e viene difesa la lotta del CP contro gli OGM. Nella decima voce — FMI — tutto l’operato della organizzazione è condannato radicalmente sia per le conseguenze sia perché esso rappresenta ‘‘la struttura mondiale dell’imperialismo moderno’’ (p. 165). Nella undicesima voce — FS — il programma del Forum mondiale è — ovviamente — difeso a trecentosessanta gradi perché rappresenta una sorta di coordinamento mondiale anti-liberista. Nel suo ambito trova spazio anche France Libertés l’associazione di Danielle Mitterand la cui prassi antagonista è particolarmente cara agli autori. Nella dodicesima voce — Genova — gli A., oltre a definire la città ligure la ‘Seattle d’Europa’, osservano correttamente il radicamento profondo nel nostro paese dell’associazionismo laico e cattolico (che è stato il motore propulsivo della manifestazioni) e ne difendono le istanze (non dopo aver elogiato l’attività di Indymedia). Nella tredicesima voce — Giovanni Paolo II — attraverso una lettura parziale e faziosa insieme gli A. vorrebbero fare del Papa una sorta di difensore dell’antiglobalizzazione. Nella quattordicesima voce — Guerra di occupazione — dopo aver elogiato il programma e la prassi di Greenpeace (pp. 221/222). Gli A. sostengono che l’interrentismo USA è la conseguenza di una grave crisi finanziaria alla quale gli USA riprendono con la guerra, che consentirà loro di controllare e risorse petrolifere (p.e. del Golfo). A conclusione della voce gli A. auspicano — implicitamente — una contrapposizione europea con gli USA che faccia da contro-altare all’egemonia USA, contrapposizione — aggiungiamo noi — che per rafforzarsi dovrà tenere conto dell’America Latina (di Lulax e Chavez in particolare), della Cina e della Russia. In particolare gli A. — a più riprese — pongono l’enfasi sulla opportunità storica che Germania e Francia hanno di contrapporsi alla politica unilaterale USA. Nella quindicesima voce — dopo aver elogiato Chomsky e la Klein — gli A. non risparmiano elogi alla Rete di Lilliput. Nella sedicesima voce — dopo aver elogiato Lula e Marcos — gli A. difen172 dono il progetto di creare un osservatorio permanente sulla manipolazione informativa delle corporations e dell’imperialismo. Nella diciassettesima voce, dopo aver condannato senza mezzi termini le ONG asserite alle comporations o all’imperialismo USA (come ad Haiti), gli A. riconoscono il ruolo determinante delle ONG tradizionali e di quelle nuove (come ATTAC e il FS) che daranno un contributo determinante alla lotta contro il neoliberismo. Nella diciottesima voce — elogiata l’opera meritoria di Moore — gli A. si soffermano a sottolineare il ruolo determinante del pacifismo attuale (laico e cattolico) ricordando il contributo di La Pira, della CND in UK, di Capitini e soprattutto di quello attuale che — con il FS — ha acquisito una dimensione planetaria. Nella diciannovesima voce — condannato il Patriot ACT con organizzazione analoghe a quelle già viste con il giurista italiano De Fiores — le critiche rivolte alle reali finalità del Plan Colombio e del Plan Panama sono rotte e non lascino adito a dubbio. Nella ventesima voce — dopo aver elogiato programma e prassi del MST — gli A. non risparmiamo elogi al nuovo protagonismo della società civile che si è organizzata attraverso le ONG. Nella ventunesima voce — terrorismo — gli A. — come già aveva fatto Chomsky — sostengono che proprio gli USA hanno promosso una delle forme più spietate di terrorismo, quelle anti-comunista e l’espressione ‘azione terrorista’ può esere usata sia per Begin (ex capo dell’Irgun) che per le FARC. Nella ventuduesima voce — Tute bianche — gli A. sottoineano la positiva capacità di creare legami o fare rete con altri movimenti dimostrando la loro abilità. Analoghe valutazioni vengono formulate nei confronti di Ya Basta! e dello zapatismo nei cui confronti gli A. mostrano la massima fiducia. 173 5. LA RIFLESSIONE ANTI-REALISTA DI EKKEHART KRIPPENDORF * Se fino a questo momento la politica si è costruita a partire da paradigmi disumanizzati (caratteristici d’altronde del realismo politico) l’unica alternativa perseguibile è una politica estera dal basso promossa ‘‘da gruppi sociali che si intromettono nelle faccende interne degli Stati’’ per tutelare p.e. i diritti umani violati. Uno dei primi esempi furono le ONG anglosassoni sorte tra il 1843 e il 1846 mentre per venire ai giorni nostri, non c’è dubbio che AI (nata nel 1961) abbia attuato questa politica dal basso Concretamente — a partire dal ’91 — la UPO rappresenta — secondo l’A. — una delle migliori forme di alternativa alla politica tradizionale almeno quanto l’HCA. Ma uno degli eventi che risquote l’entusiasmo dell’A. è la manifestazione del febbraio 2003 grazie alla quale si è costruita informalmente una società mondiale dal basso. Al di là delle condanne scontate rivolte ai provvedimenti anti-terrorismo di Bush, l’A. auspica una Europa completamente differente da quella attuale, un’Europa che attui ‘‘una cooperazione sociale, economica e culturale’’ grazie alla quale sarà possibile battere il terrorismo. Quanto alla guerra in Kosovo — guerra criminale — l’entrate in guerra della Germania è inammissibile tanto quanto inaccetabile che un ex-verde pacifista quale Fischer abbia potuto dare il proprio plauso. Un adeguato programma alternativo ci è offerto dall’A., programma che per la sua essenzialità può agevolmente essere riassunto nel modo seguente: 1) essere di sinistra equivale a protestare contro tutte le ingiustizie (privilegi, sfruttamenti e divisione della società). Marx ha certamente fornito una interpretazione scientifica della disuglianza; 2) essere di sinistra significa mettere in discussione il potere e non aspirare a conseguirlo poiché le strutture gerarchiche non sono accettabili (ndr risulta abbastanza chiaro che l’A. sta riformulando l’ottocentesco programma anarchico!). Proprio per questa ragione l’anti-militarismo è nel Dna della sinistra radicale; 3) se ciò è vero la non violenza e la disubbidienza civile sono metodi indi* Ekkehart Krippendorff, Critica della politica estera. Ekkehart Krippendorff, L’arte di non essere governati. 174 spensabili per la sinistra e per questa ragione si deve rifiutare qualsiasi compromesso tattico e qualsiasi istituzionalizzazione all’interno di un partito. Alla luce delle considerazioni precedenti quali sono le valutazioni dell’A. sulle istituzioni militari? Vediamole in breve 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) le spese militari sottraggono risorse a quelle della sanità e dell’istruzione; i danni ambientali determinati dalle FA sono elevatissimi; le FA rappresentano la parte più oscura della storia; Stato e FA sono una unità indissolubile; la politica attuata da Adenauer fu un errore macroscopico e fatale insieme; l’educazione militare mira a spersonalizzare e a disumanizzare l’individuo; l’unica reale funzione della istituzione militare — al di là della usuale demagogia — è ‘‘la conquista e il consolidamento del potere’’ (p. 236); 8) nonostante le apparenze è proprio l’apparato militare a controllare le principali scelte economiche e sociali; 9) allo stato attuale questa istituzione è un vero e proprio cancro (...) poiché ‘‘si riproduce a spese della società civile’’ (p. 237). In conclusione per l’A. l’istituzione militare: ‘‘è la più pericolosa e più avversa alla vita (fra le altre istituzioni ndr) e anche la più onerosa che mai sia stata inventata’’ (p. 240). E dunque mai esistita nella storia recente una alternativa? Per l’A. la risposta è positiva poiché proprio Gandhi ne rappresenta la concreta realizzazione. Che cosa ha Gandhi se non la vittoria della morale sulla politica? Anche gli aforismi di Lao-tzu sono una buona alternativa almeno quanto le riflessioni di Schiller. Sulla educazione estetica autentica formazione in grado di deligittimare potere e dominio. 175 6. LA RIFLESSIONE ECOPACIFISTA DI ARN NAESS * Quale implicazioni determina — sul piano politico — l’ecosofia? Attraverso quali strumenti l’ecosofia può trovare concreta applicazione? A questi cruciali interrogativi l’A. risponde nel modo seguente: 1) tutti coloro che praticano l’ecologia profonda devono impegnarsi politicamente; 2) gli attivisti devono conoscere la meccanica del potere all’interno delle corporations; 3) i partiti verdi devono avere al loro interno esperti in diversi settori o ambiti; 4) le politiche economiche di USA e dell’URSS sono risultate fallimentari e una alternativa ad esse è il decentramento; 5) l’attivista deve promuovere il proprio dissenso nei confronti della massificazione del termpo libero. A livello di modalità operative quella per eccellenza non potrà che essere l’azione diretta non violenta indicata da Gandhi (pp. 184/186) e a livello di finalità generale certamente la più importante è quella di attuare una ‘‘trasformazione radicale della nostra società industriale’’ (p.e. attraverso la realizzazione di un partito ad hoc) realizzata attraverso piccoli passi servendosi del socialismo quale pars destruens rispetto al capitalismo. Infatti l’ecologia profonda — oltre a proporre l’abolizione della proprietà — mira ‘‘a una democrazia diretta’’ e ad applicare un disarmo unilaterale proponendo la DPN al’interno della Nato (è forse questa una delle proposte più bizzarre che abbiamo mai preso in considerazione). Complessivamente l’abbinamento dell’ecosofia alla non violenza si attua in un contesto squisitamente religioso (p. 247) e anti-cartesiano (oltre che anti-razionalistico). * Arn Naess, Ecosofia. 176 7. LA RIFLESSIONE SULLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA E SULLA NON VIOLENZA DI ALDO CAPITINI * Solo la non violenza (da adesso NV ndr) è in grado di valorizzare l’individuo senza escludere uno strettissimo legame con i propri simili. Al contrario Stati, partiti e sette usano una forma tradizionale di potere (la coercizione p.e. o la tortura) e creano una falsa democrazia (p. 90). Certo nella pars destruens Marx e Lenin ci hanno fatto comprendere la possibilità di superare la falsa democrazia ma le loro riflessioni sono impregnate di autoritarismo (come si evince dalla possibilità — contemplata dai loro sistemi — di ricorrere alla violenza rivoluzionaria). Al contrario, la democrazia alla quale mirano, dovrà costruirsi sulla non violenza. La guerra, infatti, è un’assurda manifestazione della natura (ed è certamente la più crudele) e va completamente rifiutata. Tuttavia — precisa in modo significativo Capitini — il salto dalla violenza classica alla non violenza non potrà non passare che attraverso una fase intermedia e cioè la guerriglia (che è limitatamente giustificabile quando nasce dagli oppressi). Perchéla ANV sia efficace sarà opportuno che venga attuata da un numero elevato di persone che ‘‘blocchino il potere con le tecniche non violente’’ (p. 94) (D’altronde è propria la persistenza della guerra all’interno degli stati ad impedire l’affermarsi della ANV). In defintiiva mentre la guerriglia è una scelta immediata al contrario la ANV è frutto di una lunga preparazione interiore; mentre la guerriglia riconosce i limiti della democrazia rappresentativa proponendo il partito unico (Capitini pensa a Lenin e a Castro) al contrario la ANV vuole attuare la massima democratizzazione, abbinata al metodo elettorale, attraverso ‘‘un vastissimo controllo’’ (p. 98); mentre la guerriglia non ha alcuno scrupolo nell’eliminare la libertà altrui, al contrario la ANV non può accettare una conseguenza cosı̀ devastante. Rispetto alle leggi è importante che la norma giuridica razionalizzi ma è altrettanto importante — come nel caso dell’ODC e della pena capitale — ubbidire attivamente (secondo l’espressione di Kant) cioè rifiutare di accettare leggi ingiuste attraverso la ANV adottando un atteggiamento onesto e manifesto. Ma tutto ciòè accettabile solo nella misura in cui si fonda la ANV sulla teoria della compresenza che ci * Aldo Capitini, Il potere di tutti. 177 consente di aprirci all’altro e che ci consenta di disporre — accanto alla realtà della natura e della storia — anche di una realtà trascendente. Concretamente la ANV si può attuare solo attraverso la partecipazione comunitaria — che altro non è che la democrazia partecipata che abbiamo già avuto modo di illustrare cioè attraverso la realizzazione di una ‘‘vastissima rete di organi dal basso’’ (p. 110) che oltrepassi sia il capitalismo che il comunismo, che ci metta nelle condizioni di ridurre la durata del potere e accettare il diritto di revoca, che ci consenta di creare organismi intermedi per aumentare il controlo e diminuire il rischio del centralismo e, infine, che consenta alla ’public opinion’ di proporre e criticare. Fra le conseguenze più evidenti di questo progetto avremo 1) il rifiuto integrale delle F.A.; 2) il conseguente rifiuto della guerra, della guerriglia e della tortura e infine 3) il rifiuto della religione tradizionale 1. Se si applica tutto ciò al problema specifico del Terzo Mondo le proposte concrete dell’A. si possono agevolmente sintetizzare nel seguente modo: 1) la lotta per la liberazione va condotta usando la ANV e infine 2) creando una federazione orizzontale e non violenta di regioni del Terzo Mondo per riuscire ad esercitare una forte pressione sull’ONU. Quanto alle conseguenze nell’ambito di un qualsiasi stato, queste possono — in breve sostanza — ridursi ad una: i COS dovranno ‘‘creare una mobilitazione permanente’’ per controllare tutti gli aspetti della politica (interna ed estera) e criticare gli aspetti negativi o denunciarne le nefandezze. Nel settore universitario questa nuova forma mentis attuata dalla NV, porterà a rivedere profodamente l’attuale politica universitaria che dovrà ispirarsi alle seguenti forme: 1) l’educazione civica degli studenti universitari è essenziale (anche per combattere il qualunquismo dilagante); 2) assicurare la piena libertà di coscienza di docenti e studenti; 3) docenti e studenti dovrebbero dedicarsi alla educazione popolare (al di fuori del contesto universitario); 4) gli studenti dovrebbero contribuire all’autogoverno dell’università; 5) attuare lavori di gruppo all’interno dei dipartimenti; 6) attuare una educazione — da parte dei docenti — ad personam con l’aiuto di assistenti e laureandi; 1 È fondamentale osservare che queste conclusioni - solo in parte - traggono ispirazione dalle riflessini di Lenin sulla Comune di Parigi mentre i riferimenti fondamentali per l’A. fuorno Cristo, San Francesco, Gandhi e M.L. King autori presso i quali la religione svolge un ruolo preminente. 178 7) creare — con gli studenti — commissioni di controllo sugli esami e sulla vita universitaria in generale. A tale proposito — proprio nel gennaio-febbraio del ’68 — l’A. prese apertamente le difese di quegli studenti che avevano occupato l’università proponendo loro una serie di riforme: 1) era necessario organizzare assemblee di frequente con deleghe rinnovabili o revocabili; 2) il giuramento allo stato da parte dei docenti non poteva essere più accettabile e infine 3) era necessario introdurre la logica non violenta anche nell’ambito unniversitario come in quello sindacale (contesto che dovrebbe avere un maggiore protagonismo). Particolarmente significativo è l’articolo dell’agosto del 1963 poiché — con particolare enfasi Capitini — oltre a ribadire la centralità del metodo non violento — formula una critica radicale alla società attuale che si è costruita secondo una logica oligarchica alla quale, i cittadini consapevoli, devono opporre la tecnica NV e della disubbedienza civile. Per incrementare tutto ciò l’educazione 2 svolge un ruolo decisivo, educazione che dovrà essere attuata in tutti i contesti possibili. In definitiva non bisogna avere alcuna remora nell’opporsi allo Stato Impero e al neo-capitalismo attraverso una rivoluzione che cambi ‘‘il possesso del potere, le strutture della società e gli animi delle persone’’, insomma una rivoluzione la cui radicalità è analoga a quella anarchica. Naturalmente rispetto agli approcci classici della rivoluzione, l’A. opta per l’abbinamento tra non violenza e democrazia diretta (non violenza — la ribadiano — che deve collocarsi all’interno di uno specifico contesto metafisico quello della compresenza) in opposizione all’ipocrisia dell’occidente, ai cappellani militari che tradiscono il vangelo, per creare — in alternativa — comunità autonome a partire da piccoli gruppi che ‘‘possono fondersi su posizioni strenue, fare emergere orientamenti chiari e ostinati, anche se saranno detti utopistici’’ (p. 446). 2 Proprio l’educazione è un aspetto particolarmente significativo - poiché- è all’interno delle strutture esistenti che l’educatore-profeta può attuare una formazione assai lontana da quella usuale e che possiamo sintetizzare nel modo seguente: 1) l’aspetto democratico della scuola è la prima condizione per una scuola riformata; 2) il maestro dovrà togliere dai testi scolastici tutto ciò che vi sia di militarista e di imperialista; 3) bisognerà porre l’enfasi sui movimenti della pace per dare una lettura diversa della storia; 4) bisognerà dividere la classe in gruppi per abituarli alla libera discussione e alla critica della realtà esistente; 5) e infine sarà necessario porre l’ enfasi sul ruolo cruciale dell’ONU. 179 8. LA RIFLESSIONE FILOSOFICO-POLITICA DI GIULIANO PONTARA * Che sulla scena mondiale si siano affacciati nuovi protagonisti (ONG, movimenti per la pace) non c’è dubbio. E ciò è un buon rimedio di fronte al dilagare delle nuove guerre che altro non sono che la manifestazione più eclatante della violenza che: 1) riduce la possibilità di mediazione e 2) riduce la possibilità di giungere a compromessi accettabili. Violenza che alimenta la deumanizzazione, che porta alla distorsione dei fatti e alla manipolazione del pensiero attraverso la propaganda, che rafforza il ruolo delle istituzioni autoritarie per eccellenza: quelle militari. le quali vedono rafforzare il loro ruolo grazie alla diffusione planetaria del capitalismo la cui natura è profondamente totalitaria (sia sul lato economico che dal punto di vista della propaganda). È chiaro che alcuni dei rimedi da prendere in considerazione non potranno che essere: l’educazione alla pace, l’arte della diplomazione tradizionale e popolare, la drastica riduzione delle spese militari, la conversione dell’industria bellica, l’abbinamento della democrazia al socialismo (secondo la formula capitiniana) per realizzare una morale e un sistema giuridico planetario. In particolare, la realizzazione di una morale planetaria richiederà la costruzione di una personalità non violenta le cui caratteristiche principali dovranno essere: 1) la proibizione di metodi di lotta violenti; 2) la capacità di individuare la violenza a vari livelli; 3) la capacità empatica (cioè la capacità di identificarsi con i più deboli e avere il desiderio che la sofferenza altrui cessi); 4) il rifiuto della morale formalistica dell’obbedienza (che ha raggiunto il proprio apice nel nazismo) che dovrà essere rivolto a tutte le strutture autoritarie (si veda p.e. l’esempio di don Milani) promuovendo là dove necessario ‘‘atti di disobbedienza e di insurbordinazione civile non violenta’’ (p. 54); 5) la fiducia negli altri che porta al conseguente rifiuto del principio e del* La personalità non violenta / Guerre, disubbedienza civile, non violenta /. 180 6) 7) 8) 9) 10) l’equilibrio di potenza, al rifiuto di disumanizzare l’altro e quindi al rifiuto del potere militare che ha giustificato la militarizzazione della società e l’imperialismo; la disponibilità al dialogo che presuppone la modestia e la consapevolezza di non avere la verità assoluta in campo etico-politico; la mitezza con la quale si devono rifiutare le dicotomie tra vincitore e vinto e tra amico e nemico; il coraggio o la non violenza del forte; l’abnegazione non violenta che, come ricordava Gandhi (p. 66), si deve far carico delle sofferenze altrui; la pazienza. Tuttavia l’A. (p. 68) dopo aver sottolineato quanto ideale sia il ritratto della personalità non violenta, nella pagina successiva precisa che in determinate situazioni il ricorso alla violenza armata sia lecito. La costruzione di una tale personalità può essere innata — oltre che di origine familiare — all’interno della scuola (come indicato da Capitini), istituzione questa che dovrebbe educare alla vigilanza critica verso l’ideologia imperante (da attuarsi fra i 15/20 anni), che dovrebbe promuovere una società democratica e non violenta anche attraverso il lavoro di gruppo in classe, che dovrebbe favorire il controllo dal basso, e infine la dissacrazione della guerra e del militarismo 1. Quali tecniche dovrà attuare la personalità non violenta per affermare il proprio punto di vista? Oltre alle tecniche non violente la disubbidienza civile (da ora DS ndr) dovrà essere ampiamente usata. Ma perché vi sia DS è necesssario partire da presupposti precisi: 1) la DS deve essere rivolta alle leggi esistenti e deve essere una trasgressione internazionale; 2) la DS deve avere una natura morale (il soggetto che la pratica lo fa perché in coscienza ritiene che la norma sia moralmente non accettabile); 3) lo scopo della DS deve essere quasi sempre politico (p.e. l’ODC) e 4) la DS deve possedere — inoltre — le seguenti caratteristiche: a) deve essere pubblica; b) deve essere notificata prima che avvenga; c) deve attuarsi in modo non violento e infine d) il soggetto che la pratica deve sottomettersi volontariamente alle punizioni che gli verrano inflitte. 1 Al di là della demagogia dispensata dall’A., la visione che emerge è finalizzata a sabotare il sistema dall’interno attuando una vera e propria guerra psicologica. 181 L’A. — per illustrare — la propria tesi cita due noti esempi: a) quelle di alcuni attivisti che entrarono all’interno della DCC nel ’69 a Washington e b) Leanon del Comitato dei 100 in UK nel ’61. Sotto il profilo filosofico la DC presuppone: 1) la distinzione tra diritto e morale e 2) la distinzione tra Stato e individuo Distinzione vanificata da Hegel e affermata con forza da Locke e Mill. Alla luce di questa filosofia, quale valutazione potrà dare mai l’attivista che pratica la DS sulla guerra? Un giudizio di radicale condanna naturalmente. Quale valutazione — infine — darà nei confronti della dottrina delle guerra giusta? La risposta è prevedibile: ‘‘(...) in base ai principi della dottrina della guerra giusta nessuna guerra moderna può essere dichiarata giusta’’ (p. 53) e quindi nessuna guerra può avere una legittima morale. 182 9. LA RIFLESSIONE POLITICO-RELIGIOSA DI ‘‘RE NUDO’’ * Ci sembra utile portare avanti la nostra riflessione sull’antagonismo eco-pacifista illustrando la tesi di intellettuali che hanno saputo abbinare in modo originale la controcultura (p.e. la rivista ‘Re Nudo’) con la riflessione religiosa di Osho. Inoltre, questa breve analisi ci permetterà di dimostrare quanto una parte della new age abbia anticipato alcune tematiche analoghe a quelle del movimento no-global. Procediamo in senso contrario — rispetto alla impostazione del volume — iniziando il nostro discorso dalla Appendice prima (‘‘Frammenti di un programma possibile’’). In primo luogo, gli A. risconoscono il loro immenso debito di riconoscenza all’opera di Osho (p. 70) grazie al quale hanno compreso come solo la scienza e l’arte — affrancate dalla attuale dimensione — sarebbero in grado di governare in modo rivoluzionario il mondo spazzando via la politica che ancora adesso si costruisce sulla logica della potenza e/o del dominio. In secondo luogo — gli A. in modo sfumato e ambiguo — propongono una serie di alternative ai contenuti educativi attuali, alternative che altro non sono che quelle praticate nell’Ashram di Osho a Poona (in India): dalla bioenergetica alle tecniche di consapevolezza sensoriale (pp. 73/75). In terzo luogo, a livello di politica estera, propongono la sospensione delle ricerche connesse all’uso bellico della energia nucleare, il superamento della ‘‘potere militare per risolvere i problemi’’ (p. 76) (in alternativa basterebbe un unico esercito sotto l’egida ONU), l’applicazione di una politica di stretto controllo delle nascite, la radicale riconversione del servizio militare in servizio civile e la trasformazione ‘‘delle caserme in grandi laboratori per un armonico sviluppo fisico e neutrale’’ (in altri termini in centri di meditazione Osho) caserme — che detto per inciso — sono paragonate ai lager nazisti (p. 78), la legalizzazione di tutte le droghe e lo stanziamento di fondi per produrre droghe con effetti collaterali minimi (p. 82). In quarto luogo, pur riconoscendo il valore del comunismo (della cui scomparsa certo non si rallegrano!) dimostrano anche un vivissimo apprezzamento verso il movimento anarchico. In altri termini auspicano la realizzazione del socialismo privo delle implica* A.V., Politica e Zen. Un nuovo manifesto. 183 zioni nefaste ampiamente note. In quinto luogo, dopo aver formulato una interpretazione della scienza cara all’irrazionalismo novecentesco, sottolineano (p. 99) il contributo determinante del femminismo (pp. 99/101). In sesto luogo, per cambiare la realtà attuale, sarebbe opportuno rendersi conto della profonda differenza tra Oriente e Occidente e come la filosofia dell’Oriente sia di gran lunga migliore di quella occidentale. In generale, attraverso la meditazione (secondo le modalità di Osho) è possibile decondizionarsi profondamente. Importante ammissione questa poiché ci consente di comprendere chiaramente quanto fondamentale sia il lavoro psicologico da compiere su se stessi. Non è un modo eufemistico per affermare che chi condivide questa impostazione deve attuare — lo voglia o meno — una guerra psicologica contro il sistema? A dimostrazione di ciò (v. pp. 19/24) l’attacco al concetto di Stato in quanto tale è analogo a quello portato avanti (dal 1600!) degli anarchici. 184 10. LA RIFLESSIONE FEMMINISTA DELLA RUDDICK * Dopo aver paragonato nazismo e maccartismo, dopo aver precisato la propria condivisione relativa alla filosofia della conosocenza delle Women Ways of Knowing (fortemente relativista) e aver riconosciuto il proprio debito verso la Hartsock, formula (p. 172) una precisazione fondamentale sulla violenza: un autentico pacifismo non violento deve combattere la violenza a tutto tondo e in qualsiasi contesto. In particoare negli USA la retorica guerraf ondaia si combina con la burocrazia professionalizzata e la tecnologia dando esito ad una miscela esplosiva. Al militarismo misogeno (che svilisce la donna), all’indottrinamento perverso compiuto dalla istituzione militare (indottrinamento che snatura il soggetto), al pensiero militarista per il quale il corpo è privo di reale autonomia perché strumento per fini ‘superiori’, l’A. contrappone la lezione della Woolf, della Coldicott per giungere alla conclusione — in un’ottica di pacifismo femminista — che solo la pratica materna è in grado di sconfiggere il pensiero militarista poiché essa spontaneamente adotta una forma mentis non violenta. La donna che si fa promotrice della NV deve ispirarsi a ‘‘quattro ideali: rinuncia, resistenza, riconciliazione e difesa della pace’’ (p. 200). Anche per l’A. il riferimento a Gandhi è d’obbligo soprattutto in relazione al concetto di Ahimssa e alla resistenza passiva (p. 209). Significativamente l’A. sottolinea l’importanza dei contributi di Sharp e di Muller (nota 3, p. 227) — riconoscimento fondamentale per le nostre finalitàma ricorda soprattutto l’eroica resistenza delle madri argentine e cilene. * Sara Ruddick, Il pensiero materno. 185 11. NOTE SULLA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE IN DANILO DOLCI Secondo lo studioso norvegese Galtung l’antagonismo dolciano era rivolto al rifiuto dello Stato capitalistico, al rifiuto della Chiesa autoritaria, alla critica radicale delle gerarchie e tale posizione si concretava ora attraverso una pedagogia maieutica anti-autoritaria ora attuando lotte che costruissero alternative attraverso l’ANV ora, infine, progettando una società alternativa. In questa direzione, la promozine dell’ODC, la realizzazione di centri popolari autogestiti, e dunque lontani da un’organizzazione gerarchica, costituiscono strumenti tipici della conflittualità non convenzionale che l’A. applicherà in Sicilia (come aveva fatto Gandhi in India o Capitini a Perugia). È significativo, dal nostro punto di vista, che l’opera dolciana abbia riscosso particolare consenso presso Freire e Chomsky (fra gli altri). Anche la fondazione di una radio libera del 1970 rientrava nel più ampio progetto di costruire alternative antagoniste alla società del dominio tanto quanto l’anti-militarismo radicale, le azioni di denuncia, le marce popolari l’utilizzazione — alternativamente — del digiuno individuale o di quello colletivo la realizzazine di un centro antagonista — come il Centro Studi e Innovative di Partinico e il Centro sperimentale di Mirto attraverso i quali attuerà in modo coordinato sia l’ANV che la Guerra psicologica — e infine — la realizzazione di una democrazia dal basso (analoga a quella capitaniana) 1. 1 È estremamente significativa la ripresa in USA, UK e Italia di una strategia volta a promuovere e incoraggiare il dissenso all’interno delle F.A. (attuato durante la guerra del Vietnam in USA e dai PID in Italia durante gli anni Settanta). A tale proposito, di estremo interesse sono le associazioni americane quali Veterans For Peace, Military Families Speak Out, Gold Star Families For Peace e l’Iraq Veternas Against the War. In Italia l’assocazione ‘‘Un ponte per...’’ sta usando modalità operative analoghe a quelle dei PID quali: 1) istigazione alla disobbedienza; 2) contro-informazione attraverso proiezione di film o pubblicaizone di volumi (quale quello di Rushton, ‘‘Riportiamoli a casa: il dissenso militare nelle forme armate USA’’; 3) proposizione di convegni (con quello organizzato a Roma il 28 marzo 2006 da ‘‘Un ponte per...’’ e coordinati dallo stesso Rushton). L’insieme di queste tecniche — che furono usate anche durante la I e la II Guerra Mondiale dagli anarchici e dai socialisti — mira a creare profonde fenditure all’interno delle F.A. alleate paralizzandole. Al di là della efficacia di questa campagna specifica c’è — fra gli stessi pacifisti — chi onestamente riconosce come la gran parte delle nobilitazione contro le guerre non realmente servite. 186 L’insieme di questa strumentazione doveva servire ad attuare una contrapposizione frontale alla logica del dominio che per l’A. si realizzava attraverso: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) la segretezza; la manipolazione delle informazioni; l’uso dello spionaggio; collocando nei punti chiave uomini malleabili; promuovendo scienziati irresponsabili; promuovendo la violenza; trovando convenzione e complicità con le gerarchie ecclesiastiche. In particolare Dawley (cocordinatore dello ‘‘Steering Committee of Historians Against the War’’) afferma che una valutazione realistica della efficacia dei movimenti contro la guerra non può che portare ad una semplice conclusione: i movimenti per la pace non hanno, fino a questo momento, contribuito a fermare nessuna delle guerre attuate dagli USA dall’invasione delle Filippine alla guerra del Golfo. 187 12. STATO E LIBERTA SECONDO ROTHBARD * Secondo, MURRAY ROTHBARD massimo esponente dell’anarco-capitalismo del novecento, lo stato costituisce l’istituzione in assoluto più pericolosa per l’affermazione e l’ampliamento della libertà individuale. Prendendo spunto dalla scuola austriaca di VON MISES e soprattutto dell’anarco individualismo di TUCKER, THOREAU, e SPOONER l’autore connota lo stato nel modo seguente: 1) lo stato ha mascherato la sua attività criminosa per secoli con una altisonante retorica; 2) lo stato ha commesso omicidi di massa chiamandoli guerre; 3) per secoli lo stato ha costretto la società civile a prestare sevizio nelle forze armate attraverso la coscrizione, vera e propria schiavizzazione perpetuata in modo sistematico; 4) lo stato ha rapinato a mano armata il comune cittadino attraverso la tassazione; 5) la democrazia rappresentativa, al di là della demagogia professata dai suoi difensori, non è altro che una oligarchia di natura parassitaria e fondamentalmente criminale. L’unica alternativa attuabile non può che essere l’estinzione graduale dello stato svuotandolo di potere e significato in ogni ambito pubblico e privato che ha occupato — dalla istruzione alla difesa, all’economia — per sostituirlo con il mercato. Una operazione di tale portata non potrà che richiedere un tempo di lunga durata e non potrà che essere realizzata attraverso l’educazione — leggi guerra psicologica — rivolta ai piccoli imprenditori, agli studenti, alla classe media operaia e alle minoranze etniche attraverso l’usuale strumentazione: la propaganda in ambito universitario, la pubblicazione di periodici e volumi e l’organizzazione di partiti che sappiano erodere dall’interno il santuario statale. * Fonte: Murray Rothbard, Per una nuova libertà, Liberlibri, 2004 (pp. 409-431). 188 13. LA DIPLOMAZIA DAL BASSO COME ALTERNATIVA AL REALISMO POLITICO * Secondo Simona Sharoni, femminista israeliana e docente di PEACE AND CONFLICT RESOLUTION STUDIES presso la SCHOOL OF INTERNATIONAL SERVICE della AMERICA UNIVERSITY, l’unica alternativa — al logoro modello politologico del realismo politico perseguibile — è indubbiamente la diplomazia dal basso non per la con — osservazione dello staus quo ma per il cambiamento strutturale. Sotto questo profilo, l’antagonismo attuato dai movimenti sociali e il ruolo delle ONG si stanno rivelando sempre più in grado di incidere nel contesto della politica interna ed internazionale. Queste ultime, in particolare, grazie all loro natura transnazionale, sono in grado di tutelare l’interesse pubblico realmente al contrario degli stati o dell’ONU. Concretamente l’autrice cita l’esempio dei BEATI e, in particolare, la marcia per la pace da Trieste a Sarajevo e l’Intifada (p. 63) come esempi di diplomazia popolare o dal basso. Nel momento in cui la cittadinanza sarà resa consapevole della possibilità di trasformare radicalmente l’arena della politica internazionale, l’azione degli stati subirà una ristrutturazione profonda, ristrutturazione che sarà tanto più profonda quanto più le istituzioni informali della diplomazia popolare saranno capaci di confederarsi fra loro a livello internazionale (p. 72) contro le tendenze autoritarie dello stato, delle multinazionali e del complesso militare industriale (p. 73). * Fonte: Simona Sharoni, La logica della pace, EGA, 1997. 189 Parte Ottava 1. IL DISSENSO NON CONVENZIONALE NELLA RIFLESSIONE POLITICA DI LINGUA INGLESE Premessa Lo scopo di questo breve studio non è né quello di fornire al lettore una analisi esaustiva della riflessione politica anglo-americana di ispirazione anarchica del nostro secolo, né quello di presentare uno studio sistematico sull’anti-militarismo nel contesto della comunità scientifica italiana. Il nostro scopo è stato assai più semplice: individuare un terreno comune — p.e. l’anti-militarismo, la disobbedienza civile, l’azione non violenta — nelle riflessioni di intellettuali significativi della cultura anglo-americana. Di conseguenza le esclusioni si sono rese necessarie ed indispendabili ;quanto al dissenso in ambito scientifico, questo ha trovato spazio in questo studio per l’esistenza di numerosi elementi di continuità storica e di ideologia: il contributo di Russell alla nascita del movimento Pugwash, il dissenso anti-nucleare del filosofo inglese e, più in generale, il suo anti-militarismo. Ebbene, tutti questi aspetti hanno profondamente influenzato sia la maturazione di una posizione anti-militarista nella realtà scientifica italiana del nostro secolo sia le riflessioni di Fieschi sulle responsabilità politiche della scienza. 193 2. LA RIFLESSIONE POLITICA DI CHOMSKY 1. La società attuale Non c’è dubbio che la società attuale — rispetto a quella degli anni Settanta — sia migliorata sia in relazione all’ampliamento dei diritti che all’aumento della tolleranza e della comprensione reciproca. Ma tutto ciòè stato possibile grazie ad un antagonismo continuo e costante nel tempo che dovrà arrivare — presto o tardi — a modificare strutturalmente il potere e il dominio. Figure significative come Rosa Parks dimostrano — tra l’altro — che, partendo da un determinato backround, è possibile incidere in modo significativo sulla struttura del potere. Per il raggiungimento di tale obiettivo la linea strategica seguita dal New Party o comunque di un partito costruito sulla falsariga dell’NDP canadese o del PT brasiliano, potrebbe offrire buone possibilità in direzione del cambiametno auspicato. Il dato decisivo da sottolineare è comunque l’ampliamento della democrazia, ampliamento che ‘non deve attuarsi nell’ombra’ ma deve cambiare la sostanza (p.e. il contributo del PKI indonesiano è stata fondamentale) creando, giorno per giorno, mutamenti significativi per arrivare ad una società libertaria (Zinn afferma che gli attivisti dovrebbero diventare dei marotoneti) come fanno — p.e. — i villaggi autonomi in India o i centri sociali in Colombia creando media alternativi 1 (l’A. pur riconoscendo a breve termine l’efficacia di Marcos sottolinea che a lungo termine la capacità di incidere verrà meno). 2. La formazione politica Le brevissime note sopra riportate non devono sorprendere il letore, dal momento che sono la conseguenza di un percorso politico coerente che inizia nel 1 In particolare l’A. riconosce la grande rilevanza del MST e del PT che definisce ‘‘il più grande partito operaio del mondo dotato di una straordinaria organizzazione’’ mentre rivolge menzioni pesanti all’OLP controbilanciate dall’entusiasmo per Ramos Horta e Gusmao, artefici della indipendenza di Timoy est e nei confronti di Scheizer fondatore dell’East Timor Action Network. 194 1947 quando incontrò Zelig Harris che determinò una svolta signficiativa sotto il profilo della crescita professionale e dal punto di vista politico. Per quanto concerne l’aspetto politico, la lettura degli scritti di Rosenberg — lettura che avrebbe lasciato un segno duraturo — fu svolta proprio dietro indicazione di Harris. Infatti, oltre all’approccio squisitamente empirico attuato da Rosenberg, l’A. comprese l’efficacia di un’analisi della realtà storica di tipo marxiano lontano dall’irrigidimento metodologico di Lenin (nei confronti del quale avrebbe in seguito manifestato la propria ostilità) e vicina all’interpretazione luxemburghiana. Un altro elemento di rilievo — nel suo percorso formativo — fu svolto dal Council For Arab - Jewish Cooperations 2 e in particolare da Melman. A parte lo spontaneismo rivoluzionario della Luxemburg, la guerra civile spagnola e la riflessione politiche (oltre che naturalmente linguistiche) di Humboldt lo orientarono verso un socialismo libertaio che si sarebbe concreato ora nei kibutz israeliani ora negli esperimenti consiliari jugoslavi. A partire dal 1961 l’impegno militante lo porterà a criticare in modo spietato tutta la politica estera americana (conducendolo a qualificare la maggior parte dei leardes politici, americani — insieme ai tecnorati come MacNamara, Rostow o ai consiglieri come Kissinger — come veri e propri criminali — e a sostenere — seppure criticamente il movimento studentesco in qualità di intellettuale antagonista 3, antagonismo il suo che non gli impedı̀ di essere un critico lucido delle ‘teorie’di Marcuse e di Fromm e che gli consentı̀ tuttavia di essere sempre solidale con i movimenti di base. A tale proposito, basti pensare all’influenza che esercitò sull’A. l’attivista Dunn (segretaria generale della CND dal ’58 al ’67), l’SNCC, le Black Panther (l’a. partecipò al funerale di Fed Hampton a Chicago nel 1969), la casa editrice South End Press (che ha pubblicato una buona parte dei volumi dell’A.) e la rivista ZMagazine (il cui fondatore — Mike Albert — fu in qualità di studente — un membro attivo del gruppo studentesco R. Luxemburg di cui l’A. era consigliere). Dall’insieme di queste esperienze culturali e politiche emerge un profilo ben preciso dell’intellettuale: nella misura in cui l’intellettuale è colluso con le istituzioni perde qualsiasi credibilità. Al contrario, l’uomo di cultura deve seguire le indicazioni bakuniane. Alla luce di questa tesi non sorprende né il sostegno che l’A. diede al rifiuto della leva (durante la guerra del Vietnam) né il sostegno al sabotaggio contro la guerra (p.e. nell’ottobre del 1969 difese l’azione diretta di un gruppo di attivista di Milwaukee che bruciò i registri negli uffici di leva). 2 Sia chiaro — tuttavia — che l’approccio al problema ebraico dell’A. è stato sempre anti-sio- nista. 3 Partecipando per esempio alla marcia sul Pentagono nel ’67, firmando appelli o petizioni, promuovendo picchettaggi o svolgendo conferenze. 195 3. Intellettuale L’intellettuale deve fare comprendere alla società civile che il riappropriarsi della propria esistenza, contro chi deteneva il potere, è un sacrosanto diritto e ciòè possibile grazie alla realizzazione di gruppi di base (come l’SNCC o i Freedom Riders), purché si sia consapevoli che queste fondametali esperienze di per sé non costituiscono un’azione rivoluzionaria. Anche l’uso della violenza — come p.e. per Zinn — è in alcuni casi legittimo per quanto nella maggior parte delle situazioni di resistenza l’uso della non violenza possa rivelarsi efficace. Ad ogni modo, la combinazione di varie tattiche può risultare ancora più utile, può risulatare opeativamente valida ;altrettanto importante sarebbe la realizzazione di un partito che si facesse portavoce di istanze antagoniste (come il PT), un partito insomma in grado di superare l’attuale sistema economico che adotta una capillare pianificazione 4. Una delle figure esemplari del passato, alla quale un autentico intellettuale dovrebbe ispirarsi, è Bakunin 5 il quale previde che due sarebbero state le categorie di intellettuali: la prima avrebbe cercato di controllare le masse mentre la seconda avrebbe servito gli interessi del padronato. Insomma la conquista del potere — anche da parte dell’intellettuale — implica un modus operandi oramai canonizzato: brutalità, cinismo, crudeltà etc. In relazione al ruolo dell’intellettuale nei confronti delle istituzioni fermativa, questo deve assumere una posizione di assoluta contrarietà alle modalità tradizionali di formazione poiché non sono altro che forme — più o meno raffinate — di indottrinamento. Al contrario, l’intelletuale deve ‘‘insegnare alla gente a pensare da sola’’, deve farsi portavoce di un pensiero critico e indipendente 6 che induca la società civile a comprendere gli enormi benefici che deriverebbero da un ampliamento del potere. In questa direzione, il conseguimento della libertà di parola ha comportato secoli di lotta, lotte alle quali hanno contribuito anche intellettuali dissidenti — come Debs — o movimenti come quello per i diritti civili 7. Ebbene, affinché l’ampliamento suddetto trovi modo di concretizzarsi il più possibile, risulta indispensabile formulare una critica radicale al concetto di 4 La retorica del libero mercato è — per l’A. — solo squallida demagogia cosı̀ come l’anarcocapitalismo è solo una aberrazione teorica che, se realizzata porterebbe alla reciproca distruzione. 5 Il marxismo non può costituire un’alternativa poiché — p.e. — la credenza in leggi storiche è puramente illusoria tanto quanto il concetto di dialettica è incomprensibile. 6 In questa direzione la scuola deweyana ha dato contributi decisivi. 7 Allo stato attuale, il cyberattivismo — di cui numerosi intellettuali fanno largo uso — è un’ottima scelta tattica perché ‘‘diviene un inestimabile strumento di organizzazione politica e di informazione’’. 196 Stato 8 istituzione — questa — che deve essere abbattuta ma solo sul lungo periodo poiché allo stato attuale, a causa delle privatizzazioni e della devolution, il rafforzamento del Welfare State è indispensabile perché consente numerosi ed indispensabili benefici. Ad ogni modo, fin dal 1967, l’A. fu estremamente chiaro nell’indicare nella resistenza un dovere indispensabile per l’intellettuale poiché costituiva (e costituisce) una efficace tattica per influenzare la politica (si pensi alla organizzazione nazionale Resist nata negli anni ’80 per organizzare la resistenza alla leva). 4. Disubbidienza civile A partire dagli anni Sessanta, l’A. si fece portavoce della disubbidienza civile (da ora DC ndr), sostenendo — p.e. — la legittimità delle argomentazioni dei Berngan (che giustificano anche l’uso del sabotaggio) e rigettando senza mezzi termini le repliche di giornalisti asserviti al potere come Greeley. La leceità dell’azione diretta — infatti — risulta ampiamente giustificabile se è in grado di arrestare le decisioni politiche (come l’invasione in Indocina), se contribuisce a fare prendere coscienza alla società civile che un atteggiamento di passività o di indifferenza costituisce una scelta di oggettiva complicità con le scelte governative 9. Al contrario la resistenza studentesca — concretizzatasi p.e. nello sciopero generale nel 1969 — riuscı̀ a porre un freno alle decisioni dell’esecutivo (ridimensionando p.e. l’invasione della Cambogia), tanto quanto la distruzione dei registri di lega contribuı̀ a spezzare l’ossequio conformistico verso il potere da parte della giovani generazioni. La DC trovò modo di originarsi e di ampliarsi grazie al contributo decisivo del movimento studentesco degli anni Sessanta, movimento che contribuı̀ a ‘‘dissipare l’atmosfera di compiacimento che regnava nella vita intellettuale americana’’. 5. Università e dissenso Grazie al movimento studentesco vennero proposte modifiche strutturali del8 Ma naturalmente questa critica deve essere affiancata da atteggiamenti propositivi quali quelli che ebbero modo di attuarsi con il movimento dei diritti civili ‘‘anche ha dato un contributo indispensabile alla società americana’’. 9 Un esempio di acquisizione di consapevolezza politica fu l’ospitalità concessa dagli studenti del MIT ad un soldato disertore nel 1968 e le prime inchieste sulle convivenza tra università e iniziative militari. 197 l’università quali: l’ampliamento della democrazia all’interno dell’istituzione universitaria, ‘‘La redistribuzione del potere e la riduzione dei vincoli posti alla libertà degli studenti’’, la necessità di fare circolare le risposte (rompendo in tal modo la seguitezza di alcune di esse) anche attraverso la reciproca collaborazione, la necessità di superare — sulla ricerca — obiettivi angusti e mediocri e di impedire che l’istituzione universitaria perpetuasse il privilegio sociale 10. Inoltre, il dissenso — all’interno dell’università — fu in grado di rivelare come la presunta neutralità del corpo accademico fosse al contrario oggettiva complicità con le istituzioni politiche, economiche e militari. Infatti, l’università — per l’A. — potrà dare il proprio contributo alla società e alla cultura solo se diverrà un dispositivo di critica della ideologia dominante, solo se sarà capace di opporsi alla ‘‘voce dominante che in qualsiasi società è quella dei beneficiari dello status quo’’. Insomma anche per l’A. — come per Ricouer — il contributo complessivo del movimento è stato quello — con buona pace di Kennan, Glazer e Brznezinski — di opporsi alla centralizzazione tecnocratica proponendo in alternativa un controllo del potere dal basso e una democrazia partecipata. 6. Anarchia Partendo dalla definizione di Rocker — secondo il quale ‘‘l’anarchia si batte per il libero ed incondizionato sviluppo delle forze individuali e sociali’’ affrancandosi dalla ‘‘tutela ecclesiastica e politica’’ — anche l’A. sostiene non solo la necessità — da parte dell’uomo libero — di smantellare tutte le forze di autorità e di oppressione — ma sottolinea altresı̀ la pericolosità di credere che il marxismo sia in grado di farci conseguire questi ambiziosi traguardi 11. Al contrario l’unica via percorribile è quella del socialismo libertario per il quale ‘‘i rapporti di produzione capitalistica, il lavoro salariato, la competitività, l’ideologia dell’individualismo possessivo vanno considerati qualcosa di profondamente disumano, socialismo libertario che fa propri gli aspetti migliori del liberalismo e del socialismo, socialismo libertario che — infine — auspica il controlo dell’economia nelle mani di libere associazioni volontarie di produttori per usare le parole di Fourier 12. 10 In altri termini per l’A. quanto più l’università si avvicina all’ideale humboldtiano tanto più creativa e democratica sarebbe divenuta. 11 A tale proposto, le critiche rivolte alla deriva autoritaria del marxismo sono analoghe a quelle di Rockers, Bakumm, Buber, Pelloutier. 12 Alla luce di queste motivazioni, l’A. interpretò il maggio ’68 come un movimento in grado di rivitalizzare il comunismo consiliare. 198 7. Pacifismo rivoluzionario Con questa espressione l’A. fa riferimento alle riflessioni di Muste, ed in particolare al concetto di non violenza rivoluzionaria, grazie al quale è possibile travalicare l’acquiesciezna carattersitica degli oppressi identificandosi con le lotte delle massa per arrivare ad un autentico progresso sociale. Infatti, solo superando l’abitudine al conformismo e all’ubbedienza e rinunciando al potere sarà possibile cambiare in meglio e profondamente la società. Concretamente Muste applicò queste sue riflessioni analizzando la crisi internazionale del dicembre del 1941, crisi che sfocerà nella guerra - che definirà come un conflitto tra due gruppi di potenze per la sopravvivenza e il predomio. L’eventuale vittoria degli alleati — che Muste previde avrebbe consentito agli USA di conseguire un vero e prorpio predominio mondiale obiettivo questo analogo a quello hitleriano. L’unica scelta percorribile — per Muste e per l’A. — sarebbe stata quella di consentire a tutte le nazioni un accesso eguale ai mercati, di ridurre drasticamente le spese militari e di promuovere una Federazione di stati internazionali. 199 3. ASPETTI BIOGRAFICI DI EMMA GOLDMAN * È difficile negare quanto determinate sia stata sull’A. l’influenza dell’anarcoindividualismo americano (sia sufficiente pensare a figure come Emerson, Phillips, Thoreaeu 1 che considerò il più grande anarchico americano, una delle poche ‘‘stelle solitarie lontane dall’orizzonte delle folle’’) tanto è vero che anche per l’A. la libertà aveva una dimensione squisitamente interiore volta a prendere posizione in modo radicale nei confronti delle costruzione fittizie della società, nei confronti dei carcerieri dell’anima. Ma è altrettanto arduo negare l’influenza dell’anarcomunismo e del socialismo nella formazione del pensiero dell’autrice 2. A tale proposito l’incontro con Beckman e con Most — nel 1889 — sarà decisivo nell’orientare le future scelte politiche di Emma. In particolare — come riconobbe la stessa A. — fu proprio Most ad introdurla nell’anarchismo (con le opera di Bakumn) e allo studio del marxismo — e fu sempre Most — e in seconda battuta Berkman — a farle comprendere la rilevanza della violenza rivoluzionaria 3. Quanto all’influenza di Berkman, questa fu sı̀ decisiva non solo sotto il profilo teorico ma sotto l’aspetto morale: la forza, la tenacia, la fede totale in un’ideale, la intransigenza dell’anarchico russo plasmarono positivamente Emma. Sotto il profilo operativo l’organizzazione dello sciopero del 1890, in collaborazione con i Pioneers of Liberty, fu la prima positiva esperienza di attivista non violenta, sciopero al quale seguı̀ — nel 1893 — il comizio tenuto presso Union Square (in seguito al quale fu incarcerata). L’incontro con la Michel e con le opere di Freud le consentirono di comprendere la rilevanza di una sessualità libera, della necessità di oltrepassare la concezione monogamica spingendola a difendere Wilde;la lettura delle opere di Nietzsche la rafforzarono nella bontà dell’individualismo anarchico, mentre l’incontro nel 1900 con Rocker la convinsero della legittimità * Le informazioni sulla vita di Emma sono state desunte dal saggio di Paolo Salvatores ‘Red Emma’. 1 È interessante osservare come nei confronti di Tucker l’A. nutrisse una viva diffidenza e antipatia. 2 Si pensi al discorso della socialista Greie che Emma udı̀ nel 1887 e grazie al quale acquisı̀ una prima forma di consapevolezza politica. 3 Proprio insieme a Berkam organizzò un attentato dinamitardo contro l’imprenditore Frick. 200 dell’anarco-individualismo. Infine l’incontro con Robin (in Francia) la persuasero della assoluta necessità dei contraccettivi per la emancipazione della donna e della utilità di promuovere le scuole libere alla Ferrer. Un’altra tappa decisiva sarà l’omicidio del presidente McKinley (1901) che la indurrà a prendere coscienza della inutilità della violenza terroristica 4, la fondazione della lega permanente per la libertà di parola e la nascita — il 1º marzo 1905 — della sua rivista (che durerà per 12 anni) ‘‘Mother Earth’’. L’insieme di queste esperienze la indussero ad operare una sintesi tra anarco individualismo e anarco-comunismo, una sintesi comunque assai instabile perché sbilanciata sul versante individualista. Particolarmente singificativo fu l’episodio — svoltosi durante il giro di conferenze in America - del soldato Buwalda che — persuaso dalle riflessioni anti-militariste di Emma — aderı̀ al movimento anarchico 5. Sotto il profilo editoriale la pubblicazione — nel 1911 — del saggio ‘Anarchismo, femmismo e altri saggi’ rappresenta una tappa significativa nella riflessione dell’A. dal momento che — grazie ad esso — ebbe l’opportunitàdi dare unità al suo pensiero e di gettare le basi del femminismo attuale 6. Fra l’altro — in questo saggio — ebbe la possibilità di chiarire come la liberazione o la emancipazione della donna si dovessero concretare non nel volto ma nel rifiutare a chiunque il diritto di decidere sul proprio corpo, nel rifiutarsi di partorire (se non quando lo avesse desiderato) e infine nel liberarsi dal condizionamento dello Stato e della Chiesa. Per quanto concerne l’anarcosindacalismo degli IWW — pur dimostrando loro la massima solidarietà umana — non condivise la centralità del sindacato nel processo rivoluzionario (pur attribuendosi un ruolo importante). Un altro tema, che svolse un ruolo importante nel pensiero dell’A., fu la radicale opposizione al primo conflitto mondilae (opposizione che Kropotkin non condivise) condanna insieme agli IWW, al Socialist Party e al National Civil Liberties Bureau — che raggiunse il proprio apice con la fondazione della NoConscription League nel 1917, associazione volta a promuovere l’ODC. A seguito della campagna anti-militarista dalla ‘‘Mother Earth’’ Emma fu arrestata e processata nel giugno del ’17 7 — processo che l’A. ebbe l’abilità di 4 Maturazione dovuta anche all’isolamento che dovette patire e determinata dalla promulgazione di normative repressive contro il movimento anarchico come quella del 3 marzo del 1903. 5 La rilevanza di questo episodio è dovuta ad una semplice constatazione: l’efficacia della propaganda e quindi della Psychological Warfare. 6 In questo saggio p.e. definı̀ ‘‘Il matrimonio come un accordo economico o una sorta di contratto assicurativo; condannò l’ipocrisia del puntasemo che imponeva, alla donna nobile, l’asistenza sessuale e condannò la completa sottomissione della donna alla Chiesa e allo Stato’’, p. 208. 7 Quanto alla rivoluzione d’ottobre questa fu in un primo momento salutata con entusiasmo mentre in un secondo momento venne dall’A. condannata a causa dela deriva autoritaria del regime bolscevico. 201 sfruttare a suo vantaggio per propagandare le proprie idee — e condannata nel luglio dello stesso anno a due anni di detenzione che durò solo 20 mesi grazie all’abilità dell’avvocato Weinberg. Intanto, le istituzioni — preso atto della particolarità del’anarchica — attuarono una campagna di disinformazione 8 nei confronti dell’A. coordinata dal procuratore Palner e da Hoover che riuscirono — grazie alla collaborazione del Ministero del Lavoro — a farla espellere insieme ad altri 200 radicali. 8 Tecnica che abbiamo avuto modo di sottolineare nelle appendici precedenti del volume. 202 4. LA RIFLESSIONE POLITICA DI EMMA GOLDMAN * L’individuazione dei caratteri fondamentali della sua riflessione è assai agevole poiché l’A. non presenta alcun tratto né di originalità teorica - eccettuata l’enfasi sulla problematica femminile che tuttavia riprenderel’impostazione dell’anarchismo classico - né di innovazione operativa dal momento che la Goldman si servı̀ dello strumento della propaganda (orale e scritta) il cui utilizzo fu sempre assai ampio nel contesto sia dell’anarchismo che del socialismo. Secondo l’A. l’anarchia è stata (ed è) ‘‘la forza innovatrice più rivoluzionaria e intransigente’’ che sia mai esistita poiché grazie ad essa l’essere umano impara a pensare in modo critico e ad agire — di conseguenza — in modo libero — nonostante che tutti i contesti politici, entro i quali si muove, siano autoritari. Grazie ad essa l’essere umano prende coscienza che ‘‘dio, lo Stato e la società non esistono’’ e che l’unico aspetto che veramente conta è l’autonomia dell’individuo (il vero pilastro della società). Alla luce di queste premessa, l’individuo anarchico — sul piano economico — non potrà mai accettare la pianificazione ma combatterà per costruire un’economia fondata ‘‘sulle associazioni produttive e distributive volontarie’’ che — naturalmente — non potranno né dovranno essere gestite dallo Stato che — per citare Emerson — è fondamentalmente tirannia. Nulla di soprendente d’altronde perché lo stato trae il proprio alimento dall’‘‘annullamento della libertà’’ che si attua attraverso le normative giuridiche e le sanzioni ed esige una società ‘‘monotona, apatica e ubbidente’’. Obiettivi — questi — che lo stato può raggiungere solo attraverso l’indottrinamento e la minaccia (o l’uso) del terrore (che trova nei tribunali, nelle istituzioni militari e poliziesche i suoi più accaniti servitori). L’alternativa non è il socialismo riformistico che confida nelle istituzioni parlamentari (la storia del parlamentarismo è per l’A. ‘‘storia di fallimenti e di sconfitte’’) ma l’azione diretta che ‘‘sfidi apertamente tutte le leggi’’ grazie alla quale si è affermato il suffragio universale, il sindacalismo e lo sciopero generale. Azione diretta che ha trovato il proprio apice — politicamente parlando — solo nell’anarchia che — e qui l’A. usa espressioni escatologiche — è l’unica ‘‘teoria del* Il testo di riferimento è il saggio ‘‘Anarchismo, femminismo e altri saggi’’. 203 l’armonia, la grande, impetuosa libertà che sta costruendo il mondo annuncia l’Alba’’. Patriottismo La valutazione — in termini generali — che l’A. ne dà è analoga a quella di Tolstoj per il quale era ‘‘il principio che giustifica l’addestramento degli assassini su vasta scala’’. Anche il patriottismo è una forma di superstizione (analoga a quella religiosa) ma — a differenza della religione — ‘‘è creata artificialmente’’ per legittimare menzogne e falsità e — concretamente — toglie all’individuo fiducia e la dignità — in se stesso. Dal momento che il patriottismo è la conseguenza più rilevante del nazionalismo, è evidente che l’arroganza e l’egoismo ne costituiscono i tratti salienti come è altrettanto evidente che debba essere la povera gente a farsi carico di difenderlo (mentre le classi dirigenti coltivano una vocazione cosmopolita che alimenta i loro affari) e a farsi cavia di tutte le conseguenze che la sua difesa comporta (dalla coscrizione obbligatoria alle tasse che alimentano la crescita della spesa militare). Una delle più evidenti cause del patriottismo è il sorgere della guerra che viene alimentata dalle classi dirigenti per tutelare e ampliare i propri investimenti e che riduce il povero soldato o ad una vita di ‘‘sottomissione servile’’ 1 o a diventare carne da macello. Proprio per l’insieme di queste motivazioni, l’attivista anarchico dovrà promuovere l’anti-militarismo, grazie al quale riuscirà a fare collassare il capitalismo che si può perpetuare soprattutto grazie all’esercito, e dovrà farlo all’interno delle F.A. incoraggiando la diserzione e l’ODC e dovrà — infine — contribuire alla realizzazione di scuole (come quella di Ferrer) nelle quali l’anti-militarismo sarà esplicitamente premesso. 1 In queste considerazioni come non sentire l’eco delle riflessioni di Emerson e Thoreau? 204 5. LA RIFLESSIONE POLITICA DI GOODMAN Il volume dal quale desumeremo le informazioni necessarie al nostro percorso è una raccolta di saggi intitolata ‘‘Individuo e comunità’’. 1. Scuola e università L’A. mostrò un interesse spiccato nei confronti della riflessione pedagogica di Dewey soprattutto perché questa avrebbe gettato le basi delle Free schools come quella di Neill. Da questa esperienza l’A. trasse indicazioni pedagogiche fondamentali: 1) la libertà — da parte del discente — di stare o non stare in classe e 2) la centralità dell’assemblea democratica. Partendo da queste proposte, l’A. pose l’attenzione sul ruolo della formazione incindentale e sulla opportunità di promuovere la libertà del bambino. Anche nello specifico settore della riforma universitaria le proposte dell’A. sono volte a riaffermare con forza la decisiva importanza del decentramento e dell’antiautoritarismo (aspetti questi desunti da Illich e Lister) riforme queste che gettarono le basi per realizzare piccole università indipendenti, decentrate sulla falsariga della New School For Social Research ma soprattutto sul modello del Black Mountain College — durata per 25 anni — dalla quale uscirono i primi laureati appartenenti alla Beat generation, riforme grazie alle quali ogni controllo estremo e ogni gestione burocratica vennero meno. 2. Pace Come è noto l’A. fu in strettissimi rapporti con Beck e Malina 1 e la sua in1 D’altra parte furono propri i fondatori del Living Theatre a mettere in scena alcuni opioni teatrali dell’A. 205 fluenza — in senso anarco pacifista — fu determinante. Insieme a loro — e ai Catholic Worker — promosse nel ’60 la celebre iniziativa denominata ‘Sciopero mondiale della pace’ allo scopo di indurre i leaders politici a fare cessare la cold war, allo scopo di fare comprendere alla società civile la non ammissibilità di una ‘nazione nucleare’ 2, a fare comprendere chiaramente come lo stato di perenne emergenza portasse alla dissoluzione del contratto sociale, alla corsa dei riarmo e alla legittimazione di un sistema mentale paranoico (come quello di coloro che applicavano la teoria dei giochi alla guerra). Proprio per queste motivazioni, l’A. auspicò che lo sciopero coinvolgesse tutte le categorie sociali — ed in particolare i sindacati — che aderendo avrebbero paralizzato l’economia; inoltre espresse l’auspicio che la società civile avrebbe compreso il ruolo rilevante degli ideali comunitari e del decentramento. 3. Anarchia Che l’orientamento dell’A. fosse dichiaramente anarchico — alla luce di quanto detto — è fino troppo agevole da comprendere. In particolare, partendo dalla lezione di Godwin e rifiutando apertamente la concezione autoritaria del M/L e del troskismo, l’A. chiariva il senso della rivoluzione anarchica: la conquista della libertà — di pensiero e di azione — attraverso il dencentramento e il superamento dell’autoritarismo per conseguire l’autoregolazione spontanea. Sotto il profilo ideologico l’anarco-pacifismo concretizza questi aspetti poiché consente — p.e. — l’indebolimneto della autorità verticistica dello Stato. L’avvicinamento dei giovani a questo approccio fu salutato con gioia dall’A. mentre la deriva leninista della New Left fu considerata nefasta. Ad ogni modo, grazie all’orientamento anarco-pacifista, la società civile — ed in particolare i giovani — avrebbero compreso l’importanza cruciale della democrazia partecipativa cioè di una democrazia che ci induce a riflettere — p.e. — sulla intrinseca assurdità di decisioni politiche prese dall’alto 3 e imposte dall’alto senza neppure consultare la società civile. A tale proposito, l’a. ripetutamente insiste sul parallelismo tra autoritarismo comunista e autoritarismo capitalista sottolineando in polemica aperta con la sinistra M/L americana la vicinanza ideologica delle rivolte studentesche cecke, polacche e jugoslave all’anarchia. Tuttavia, al di là delle questioni di merito, la filosofia politica che anima le nuove generazioni è positiva. 2 Com’è noto durante la guerra del Vietnam collaborò anche con Muste e Dellinger contro l’entrata in guerra USA. 3 Un esempio illuminante di ciò ci viene offerto dalla tecnocrazia che sta portando gli USA alla deriva. 206 Poiché è rivolta al rifiuto dell’autorità, all’accettazione del decentramento, della non violenza (in prevalenza), all’eliminazione della presenza militare nelle univerità e in ultima analisi all’attuazione di tutte quelle idee che hanno trovato modo di esprimersi — in forma più umana sistematica nei classici del pensiero anarchico. Complessivamente la progettualità utopica dell’A. consisteva nell’ampliare gradualmente gli spazi di libertà concessi dalla democrazia liberale in direzione del decentramento complessivo, della descolarizzazione del pacifismo e della resistenza alla leva concretizzando dunque alcune istanze anarco-comunitarie sul modello kropotkiniano 4, istanze che troveranno modo di prendere forma — in parte — nell’esperimento beat, nel Free Speech Movement e nella rivolta di Berkeley. 4 4 Nonostante che — sul piano storico — le proposte dell’A. siano assai più vicine a quelle di Warren, Spocker e Tucker. 207 6. LA RIFLESSIONE POLITICA DI WARD Il volume che prenderemo in considerazine è la raccolta di saggi intitolata ‘‘La pratica della libertà’’. 1. Anarchia Che il principio di autorità costituisca il fondamento della obbedienza, da parte della società civile è — per l’A. — un dato di fatto. Contro di esso, cioè la gerarchia e il potere è insorta l’anarchia che trovò in Godwin, Proudhon, Kroptokin modo di esprimersi - in forma teoricamente sistematico - e nel ’68 trovò modo di concretizzarsi attraverso il decentramento e l’autogestione, pratiche assai lontane dal comunismo autoritario (p. 10) e dal socialismo laburista dei primi anni del novecento (che sarebbe poi diventato un carrozzere burocratico), incapaci di comprendere — fra l’altro — che è lo Stato 1 a dover essere abbattuto. Ecco che allora l’indebolimento dello Stato, attraverso la resistenza civile (per esempio contro le alleanze tra industrie e gerarchia militare) è un dovere improrogabile per un anarchico, resistenza che deve manifestarsi soprattutto in occasione di conflitti militari dal momento che è nella guerra che lo Stato trova ‘‘la propria apoteosi’’ (p. 21) e che deve prendere forma in centri di potere alternativi di natura reticolare (p.e. la comune o il sindacato) che praticano l’azione diretta grazie alla quale la società civile strappa il potere a coloro che ‘‘prendono decisioni per nostro conto’’ (p. 23). Le istituzioni alternative dovranno allora creare un ordine spontaneo sulla falsariga dei pop festival, della Alder, di Woodstock o della primavera di Praga, ordine che implica l’assenza di una autorità stabile e quindi di una leadership gerarchica. D’altra parte, l’inefficienza delle strutture gerarchiche è palese (p. 51) e la si può anche indirettamente desumere dalle comunità eschimesi, dalle comunità tobriandesi e dagli studi più recenti di cibernetica. L’insieme di questi esempi conferma la validità di organizzazione spontanee come la CND e le ‘Spie per la Pace’ (la cui pratica antagonista anticipa gli 1 Lo Stato è una condizione o un certo tipo di rapporto tra uomini fondato sull’autorità e sulla gerarchia come ricordare Lahdauer p. 18. 208 attuali movimenti no-global), conferma cioè come migliora di persone — riunite in gruppi di affinità — possano riuscire e spiazzare l’istituzione 2. 2. Famiglia e scuola L’A. — oltre a difendere la rivoluzione sessuale — la interpreta come una dimostrazione evidente della validità dell’anarchia poiché ‘‘implica il rifiuto di attribuite allo Stato’’ qualsiasi legittimità in relazione alla vita sessuale e consente all’individuo di riprenersi in mano la propri autonomia decisionale agevolando il cammino dell’individuo verso la libertà. Facendo proprie le riflessioni di Comfort, Leach, Cooper e della Hawkes Zinn non attribuisce alcun valore alla famiglia giudicata — al contrario — una istituzione repressiva. In alternativa le case per bambini (proposte da Paul e Jean Ritter) sono un passo significativo in direzione del superamento della fmaiglia tradizionale poiché danno la possibiltà di scegliere tra diverse figure genitoriali. In relazione all’istituzione scolastica questa — propria perché perpetua l’assetto politico ed economico della società, proprio perché costituisce lo strumento per eccellenza per condizionare la gente — va reinterpretata alla luce delle riflessioni di Godwin, di Illich e Bakumin, riflessioni che — secondo l’A. — hanno avuto modo di concretizzarsi sulla Prestolee School grazie al contributo di O’Neil o nelle iniziative di Freire e di Dolci. Ad ogni modo, l’intellettuale anarchico deve essere consapevole che l’auto-educazione, le rivolte studentesche — con la loro attività spontanea e autodiretta — cosituiscono l’esempio migliore di dissoluzione dell’istituzione tradizionale. 3. Lo Stato e l’anarchia Di fronte a questa volontà eversiva, gli apparati repressivi staranno forse a guardare? Decideranno spontaneamente di ‘calarsi le braghe?’ Se — per l’A. — la reazione violenta degli apparati statali è nella sua prevedibilità non ammissibile — quella degli oppressi potrà essere diversamente modulata cioè potrà servirsi ora dell’approccio riformistico ora di quello rivoluzionario (pp. 203/204). 2 A tale proposito diversi — anche se poco noti — episodi storici lo provano chiaramente: gli scioperi di massa dell’affitto o le lotto dirette per la casa come quella di King Hill nel Kent. 209 7. LA RIFLESSIONE POLITICA DI ZINN Per illustrare l’orientamento politico antagonista del celebre storico di sinistra Zinn prenderemo in considerazione i volumi: ‘‘Disobbedienza e Democrazia’’ e ‘‘Non in nostro nome’’ evidenziandone le tematiche principali. 1. Violenza Contrariamente alle riflessioni di Machiavelli e Hobbes, l’A. è convinto che la violenza sia prevalentemente causata dal contesto sociale (nonostane le presunte argomentazioni scientifiche di E.O. Wilson). Secondo Zinn, al contrario, dentro l’essere umano coesistono l’istinto di pace e di violenza in eguale misura. In particolare, attraverso l’empatia (attuata nell’esperimento di Milgram) dimostra la possibilità, da parte dell’essere umano, di ribellarsi con coscienza al semplice status quo (nonostante gli studi etologici di Ardrey e Morris). Non è — dunque — alla natura umana che bisogna guardare ma alle nostre culture che — per tutelare i privilevi delle classi dominanti — hanno artificialmente creato false categorie dicotomiche che alimentano una perenne violenza che troppo spesso conduce alla guerra, a favore della quale sono sorte non solo le istituzioni militari e tribunali ad hoc per reprimere il dissenso (l’A. fa esplicito riferimento alle diserzioni della I Guerra Mondiale e del Vietnam) ma anche letture faziose della storia volte a normalizzare l’esistenza della guerra e a marginalzzare le azioni di resistenza. 2. Resistenza Che le istituzioni attuali debbano profondamente mutare è una necessità improrogabile e l’unico sistema per riuscirsi è quello di ricorrere alla rivoluzione (seppure in casi determinati come p.e. quella cubana) alle insurrezioni (come quella delle ferrovie del 1877), alla creazione di associazioni sindacali realmente antagoniste e anti-capitalistiche (come l’IWW) ma soprattutto dell’azione diretta non violenza (che comprende sit-in, marce, picchettaggi etc.). La sua efficacia è presto spiegata: 210 1) 2) 3) 4) disturba lo status quo; rende manifesta la rabbia degli oppressi; denuncia l’inefficacia delle riforme gradualistiche e infine obbliga le classi politiche ad agire repentivamente per evitare degenerazioni violente. 3. Antagonismo politico Anche l’antagonismo ha bisogno di una nuova formulazione, alla quale è possibile pervenire facendo riferimento alla New Left e quindi ai movimenti no-war, ai movimenti per i diritti civili, a organizzazioni come la CIO ma all’interno di un contesto filosofico di tipo anarco-marxista che sappia amalgamare l’anti-autoritarismo, l’abolizione dello Stato e l’estinzione di ogni coercizione. (storicamente secondo Zinn un buon esempio è offerto dal Black Power). Dando per scontata l’avversione dell’A. per il liberalismo (e quindi per la democrazia rappresentativa) Zinn poneva l’enfasi ora nel 1969 sui negri quale soggetto rivoluzionario (in anni più recenti sui movimento no-global) indicando nelle tattiche di guerriglia politica una metodologia adeguata alla sovversione grazie alla quale si sarebbero potute creare TAZ all’interno delle istituzioni. Indipendentemente dagli auspici politico-rivoluzionari di Zinn, l’importanza della matrice anarchica nella genesi del pensiero dellla storia USA è ulteriormente confermata dalla centralità della figura di Read al quale l’A. dedicò un articolo apologetico nel 1971, articolo nel quale non risparmiava elogi alla Goldmann e a Winstanley e — naturalmente — alla filosofia anarchica in quanto tale capace di ‘‘perseguire la miscela di ordine e spontaneità’’, in grado di ‘‘porre in armonia con noi stessi, con gli altri e con la natura’’ (p. 397, filosofia sorta ‘‘nei giorni più splendidi della civiltà occidentale’’ (p. 388). Se questa ereditàè stata — in parte — fatta propria dalla New Left negli anni ’60/’70 (ed è stata in parte tradita e normalizzata) la nascita del movimento noglobal costituisce la rinascita di quelle aspettative, movimento nel quale l’A. ha preso parte attiva a partire dagli anni ottanta (contro — p.e. — la politica di Reagan contro il Nicaragua, contro la guerra del Golfo e dell’Iraq) indirizzando i propri strali verso l’FBI, verso la Cia, verso le istituzioni militari in toto e nei confronti delle corporations. 4. Obbedienza L’obbedienza alla legge deve venire meno quando ci si trova a dover subire 211 una palese ingiustizia (come nel caso dell’atto di disobbedienza civile fatto da O’Brian nel ’66) poiché i fini verso i quali indirizzare la propria vita non possono che essere la libertà e la felicità e, nella misura in cui stato e leggi ostacolano pesantemente questi traguardi, la resistenza è legittima (Zinn cita il personaggio di Furore). D’altronde, come si può pretendere o esigere il rispetto della legge quando questa è costantemente violata da chi ne dovrebbe essere il tutore? Perché — si domanda pleonastiamente l’A. — Hiss è stato condannato per falsa testimonianza e Helms — ufficiale Cia — è stato assolto? 1 Le azioni esemplari di King e quelle altrettanto significative di Berrigan (ma meno note) sono azioni di disobbedienza sacrosante. D’altra parte, di fronte a oligarchie che decidono le linee guida della politica estera del proprio paese (senza neppure consultare la società civile), cosa ci si può aspettare se non la resistenza? C’è semmai da rammicarsi per il fatto che le azioni di resistenza siano cosı̀ poco numerose rispetto alla frequenza con la quale la società civile si sottomette alle leggi più ingiuste (è interessante rilevare che un gran numero di esempi di amori di opposizioni si sia verificate nel contesto dell’istituzione militare). Frequenza che solo qualche carismatico personaggio (come Tolstoj e Thoreau) riesce a interrompere. Il nostro reale problema consiste proprio nella facilità con la quale la società civile finisce per assuefarsi alle ‘regole del gioco’, alle regole di uno Stato che adotta una sorta di bipolarismo totalitario (p. 266) tradendo completamente la Bill of Rights (che — al contrario — solo gli attivisti) come la Goldman, l’IWW tengono viva). D’altronde — per l’A. — esiste un divario incolmabile tra le parti migliori della società civile e le istituzioni, la maggior parte delle quali (dalla Cia all’Fbi, da quelle militari a quelle politiche per arrivare alle convivenze tra magistratura e corporations) sono sia da criticare sia da rifiutare 2 poiché in ultima analisi ‘‘stato e politica stanno dalla parte dei ricchi e dei potenti’’ e il capitalismo è solo la storia dello sfruttamentoe su scala planetaria. 5. Anti-realismo politico Che l’A. rigetti i presupposti del realismo politico è alla luce di quanto detto ovvio. Al contrario, le motivazioni che porta a sostegno del proprio punto di vi1 Come insegna la tradizione socialista e anarchica la legge tutela i privilegi dei più potenti e perseguita i più deboli per reati incomprenibili. L’A. allude al reato di bruciare la bandiera USA o alle manifestazioni anti-patriottiche. 2 Kissinger, Nixon, Rockefeller sono solo criminali istituzionalizzati mentre attivisti politici come Sinclair sono eroi perseguitati. 212 sta non sono altrettanto scontate. Chi condivide i presuppsti del Realismo politico (da ora in poi RP) tende ad accettare lo status quo e tende a rifiutare un sano scetticismo che ci mette nelle condizioni di comprendere l’impossibilità di avere una visione comprensiva della realtà e nello stesso tempo ci mette nelle condizioni di comprendere come ogni descrizione sia anche una prescrizione. In secondo luogo, una interpretazione della realtà storica anti-realista denuncia — a chiare lettere — l’inacettabilità di ogni politica che pretenda il conseguimento e l’ampliamento del potere (al di là della retorica relativa all’interesse nazionale). Proprio servendosi dell’arte dell’inganno — o della volpe direbbe Machiarelli — le élites mantengono la stabilità del potere. In particolare il ruolo dei consiglieri è anche quello di costruire menzogne raffinate (l’A. cita Schlesinger Jr), inganni che hanno trovato in Kissinger un maestro ineguagliato. D’altronde, le motivazioni addotte per legittimare l’uso dell’atomica, risultano palesemente false visto che l’unica reale motivazione era l’accrescimento del potere, accrescimento al quale — p.e. — hanno contribuito scienziati come Teller o von Braun — accrescimento al quale la poltica USA ha dato un contributo determinante con la dottrina Monroe. Naturalmente lo strumento d’elezione, per questo nefasto traguardo, è lo strumento della guerra che per l’A. ‘‘è un male troppo grande per potere essere giusta’’, uno strumento che — fra l’altro — reprime il dissenso che si manifesta contro il suo ultimo (d’altra parte anche la demogogia relativa alla guerra giusta è solo una sciocca menzogna). L’unica soluzione possibile è la manifestazione del dissenso, attraverso la diserzione (che l’A. difende), la guerriglia 3 (che attua una violenza selettiva), attraverso la resistenza non violenta ma anche attraverso la contro informazione come quella attuata dall’A. allorché reinterpreta la storia americana — e in particolare la II Guerra Mondiale e il Vietnam — alla luce dell’anti-realismo. 3 Zinn, a tale riguardo, afferma che esistono situazioni nelle quali ‘‘un uso limitato e mirato della violenza’’ può essere giustificato. 213 8. NOTE SUL DISSENSO DI RUSSELL Fin dalla prima Guerra Mondiale, l’A. espresse chiaramente la propria adesione al pacifismo raccogliendo — nel luglio del 1914 — numerose firme per persuadere la classe dirigente inglese a dichiararsi neutrale. La lettera del 15 agosto dello stesso anno fu ancora più esplicita: infatti in essa espresse una condanna netta del patrottismo che avrebbe condotto la nazione ad un inutile massacro. Tuttavia la posizione di Russell non accolse mai le istanze del pacifismo radicale perché era persuaso che la guerra fosse legittima come arma di difesa. Per evitare di ricorrere ad essa espressa la speranza che la nascita di un’organizzazione intelletutale avrebbe posto fine alla guerra, proposta alla quale affiancò la difesa della resistenza passiva (come indicato da Tolstoy). Nel 1916 l’A. lavorò a fianco della No Conscription Followship — di cui divenne il suo portavoce — e grazie alla quale difese il renitente Everet. Sempre nello stesso anno — insieme a Katherine Dudley — scrisse una lettera a Wilson per promuovere la pace tra le nazioni. Nel gennaio del 1918, in una lettera al ‘‘The Tribunal ’’, l’A. invitò al boicottaggio i lavoratori di una fabbrica d’armi presente nel South Wales, a causa della quale fu condannato a sei mesi di prigione. Anche per l’A,. l’educazione avrebbe potuto svolgere un ruolo rilevante se fosse stata volta al controllo degli istinti aggressivi e se fosse stata affiancata — a livello politico — da una sorta di parlamento delle nazioni in grado di risolvere pacificamente i conflitti. L’insieme di questi strumenti avrebbe potuto dare un colpo mortale al militarismo — causa di codardia, amore per il dominio e per il sangue — e al capitalismo vera causa delle guerre moderne 1. L’inizio della guerra fredda fu fonte di enorme preoccupazione per l’A. al punto che — a partire dal 1º marzo 1954 con l’esperimento nell’atollo di Bikini — Russell arrivò a considerare gli USA assai più pericolosi della Russia. Per prevenire il rischio di una guerra nucleare — nell’agosto del 1954 — l’Assocazione parlamentare per il governo mondiale inviò una lettera per sensibilizzare le élites contro il rischio nucleare e — a attivare dal 1957 — il suo attivismo anti-nucleare che si concretizzò nella conferenze Pugwash, nella direzione della CND, nel cer1 Un esempio concreto di pacifismo nazionale lo trovò nell’atteggiamento neutrale della Danimarca durante il II conflitto mondiale. 214 care una coesione di intenti e metodi fra le varie associazioni pacifiste, nell’incitare alla disobbedienza civile (agosto nel 1961), nel cercare una soluzione di compromesso tra Kennedy e Kruscev durante la crisi di Cuba e tra Nehur e Enali (nel novembre del 1962) per la soluzione del problema del Kashimir. Durante la guerra del Vietnam — e più esattamente nel 1966 — chiese l’istituzione di un tribunale internazionale per incriminare gli USA per crimini contro l’umanità. 215 9. NOTE SUL DISSENSO PACIFISTA DI A.J. MUSTE Come è noto la svolta politica dell’A. si concretizzò a partire dal 1914 quando, divenuto pastore della chiesa congregazionale, non poté accettare — sotto il profilo morale e religioso — l’entrata in guerra dell’Europa, alla quale contrappose un misticismo quackeriano — che lo allontanerà definitivamente dalla chiesa congrezialista a partire dal 1917. L’allontanamento lo mise nelle condizioni di impegnarsi con l’Unione dei diritti civili americana e lo indusse a tutelare — nel 1919 — gli scioperanti tessili di Lawrence. A partire da questa esperienza di dissenso sindacale, l’A. nel 1920 diventò direttore del Collegio di Brookwood e muovendosi nell’ambito della riforma sindacale, contribuı̀ alla fondazione nel 1929 della CPLA che, nel volgere di pochi anni, sarebbe diventata una delle più importanti organizzazioni comuniste rivoluzionarie dei lavoratori, organizzazioni dalla quale nacque — in collaborazione con Janes Cannon — il Partito dei lavoratori trotzkisti. Tuttavia — a seguito del viaggio fatto in Europa nel 1936 per incontrare Trotsky — mutò profondamente il proprio orientamento ideologico aderendo al pacifismo religioso non violento e divenendo — nel 1940 — segretario esecutivo della FOR (incarico che mantenne fino al 1953), organizzazione con la quale difese l’eguaglianza razziale, i diritti civili, i renitenti alla leva (durante la II Guerra Mondiale) e alla quale affiancò il Comitato di Azione non violento 1. Anche la marcia della pace del 1961 — da San Francisco a Mosca — svolta con lo scopo di promuovere il disarmo unilaterale fu una tipologia di conflittualità non violenta analoga a quella capitiniana, tanto quanto il sostegno dato — con la Brigata Mondiale della Pace — ai movimenti di liberazione nello Zambia e in Tanzania 2 o alla dimostrazione pacifica svolta a Saigon 3 nel 1966 per protestare contro la guerra del Vietnam 4. In conclusione, l’A. seppe abbinare 1 Con il quale protestò per contro gli esperimenti nucleari nel Pacifico anticipando — sotto il profilo delle modalità operative — Greenpeace. 2 Qui — in stretta collaborazione con Scott e Narayan — realizzerà un centro di addestramento per l’azione non violenta. 3 Qui ebbe modo di incontrare i più autorevoli rappresentanti del buddhismo e del cattolicesimo antimilitarista. 4 Nel gennario del ’67 incontrerà HO Chi Minn ad Hanoi per instaurare una trattativa politica volta a porre fine al conflitto. 216 — lo ribadiamo — in un’ottica di pacifismo radicale la lotta per la giustizia sociale con quella per i diritti civili, utilizzando l’ampia gamma delle modalità operative tipiche della conflittualità non convenzionale. 217 10. NOTE SUL DISSENSO DI ALDOUS HUXLEY Il saggio oggetto del nostro interesse — nella vasta produzione dell’A. — è ‘‘Scienza, libertà e pace (edito nel 1946 alla conclusione della II Guerra Mondiale). Come per altri volumi presi in considerazione in questo saggio riorganizzeremo il contenuto del testo huxleyano secondo una logica tematica non alfabetica. Scienza e Potere. Nel corso dell’epoca moderna il connubio tra S & T ha consentito agli Stai di conseguire una coercizione amplissima attraverso l’applicazione in ambito militare contribuendo a ridurre la libertà individuale. Potere e informazione. Contrariamente alle comuni illusioni la stampa è tutt’altro che libera poichéè asservita ai potentati economici e ai partiti politici. Anche la radio possiede una libertà fasulla ed esercita un potere superiore a quello della carta stampata determinando una progressiva assuefazione psicologica da parte della società civile. Capitalismo. L’economia capitalistica ha trovato nella Finanza e nella industria centralizzata i suoi più preziosi alleati. D’altra parte anche nel socialismo di Stato la centralizzazione sarebbe o analoga o addirittura superiore privando in tal modo la società civile di qualsiasi libertà. Anche lo scientismo — che vorrebbe superare le angustie ideologiche del capitalismo e del socialismo — è destinato a fallire perché porterebbe la società a una sorta di dittatura tecnocratica (pp. 49/50). Nazionalismo. Anche questa è una ideologia sommamente errata poiché conduce ‘‘alla negazione della morale’’ negando l’esistenza di un unico Dio e negando valore all’essere umano. I suoi principi sono incompatibili con la dignità umana. Gli attori della politica estera. Al di là della retorica coloro che pianificano la politica estera hanno una puntualità da gangster e la loro intelligenza non va al di là di quella di un delinquente di 14 anni. Proprio per questo i conflitti tra Stati non sono altre che conflitti tra bande di gangesters rivali (pp. 59/61). 218 Coscienza. Proprio attraverso di essa gli Stati nel corso dei secoli sono riusciti a portare avanti i loro obiettivi di conquista. La sua nascita si spiega con l’esigenza di ‘‘irrigimentare e controllare i suoi sudditi’’ (p. 62). Preparazione alla guerra. Questa ha sempre fornito — e sempre fornirà — un’ottima occasione per ‘‘sviare l’attenzione del popolo dai prori interessi a quelli esteri e militari’’ soprattutto attraverso un’accurata propaganda irraggiante all’odio. Alternative. In primo luogo la comunità scientifica dovrebbe fare ODC e quindi rifiutarsi di prestarsi ad essere utilizzata a farne della crescita dell’apparato bellico; in secondo luogo — di fronte alla scienza applicata una futura organizzazione internazionale di scienziati e tecnici dovrebbe farsi carico di elaborare un codice di condotta che vieti l’uso della applicazione militiari; in terzo luogo, sostituire la fonte energetica usuali con quelle alternative (eolica e solare) cercando di valutare i pro e i contro dell’uso pacifico dell’esigenza nucleare; in quarto luogo l’umanità dovrebbe dedicarsi — a livello religioso — al culto di una religione perenne (diremmo massonica, ndr) per superare tutte le divisioni; in quinto luogo scartando a priori qualsiasi opposizione al sistema violento — adattare l’ANV è l’unico metodo di resistenza accettabile; in sesto luogo sarà necessario sopprimere il male all’interno dell’anima individuale, ‘‘per sopprimere la tentazione della potenza, la tentazione delle idolatrie’’ (p. 15); in settimo luogo sarà opportuno — in opposizione al centralismo dello Stato — valorizzare ‘‘l’autonomia dei gruppi, l’organizzazione cooperistica indipendente, l’autonomia economica regionale’’ (p. 17). Infine l’essere umano dovrà rendersi conto che il progresso tecnico è pura illusione poiché l’aspetto centrale è quello dello spirito. 219 11. NOTE SULLA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE IN HERBERT MARCUSE * Ben lungi dal voler esporre in modo sistematico la riflessione filosofico-politica dell’autore, ci limiteremo ad indicare quali debbano essere le modalità operative dell’antagonismo. Partendo dalla costatazione dell’esaurimento politico sia della democrazia rappresentativa che della forma partito, l’autore — consapevole della immunizzazione del sistema di fronte ai movimenti emergenti degli anni sessanta e settanta, formula l’auspicio di una contaminazione teorico-operativa proficua tra anarchismo e marxismo sottolineando come il terreno di lotta non potrà che essere da un lato, il contesto extraparlamentare attraverso la realizzazione di controistituzioni (radio, televisioni, stampa etc.) locali e non, usando tutta la gamma delle tattiche della conflittualità non convenzionale: picchetti, boicotaggi, sit-in, teachin e dall’altro lato la organizzazione di campagne politiche a favore di candidati progressisti — promuovendo in tal modo una infiltrazione all’interno delle istituzioni parlamentari; entrambe queste modalità operative dovranno essere coordinate da gruppi che non riproducano al loro interno le dinamiche gerarchico-autoritarie tipiche dei partiti di massa. Complessivamente l’A. ritiene che solo una combinazione tra riformismo gradualistico e radicalismo possa fare implodere il sistema su lungo periodo. * Fonte: Herbert Marcuse, Oltre l’uomo ad una dimensione, Il manifestolibri, 2005 (pp. 286/ 287). 220 12. IL DISSENSO NON CONVENZIONALE NEL CONTESTO DEI NETWORK AMERICANI 1. Alternet Nato come network indipendente nel 1998 benché sia associato all’IMI - ha trovato in Bernard, Blain, Caruso, Greenwold e la Triano i suoi più significativi esponenti. Come la gran parte dei network anti-global anche Alternet promuove: 1) la difesa dell’ambiente secondo una interpretazione ecologista radicale; 2) i diritti umani secondo l’interpretazione di HRW; 3) la libertà di espressione del dissenso e 4) pubblicazioni progressiste. A livello di modalità operativa antagonista, il network statunitense coordina e mobilita l’attivismo attraverso manifestazioni, dibattiti via e-mail e possiede orà mai un bacino di utenti che travalica il milione di persone. È evidente che i principali bersagli di Alternet siano i mass-media reazionari e la pubblicistica periodica militarista. A tale scopo, attraverso le armi della guerra psicologica, il network attua campagne contro-informative contro le istituzioni per alimentare il dissenso interno. 2. IAC Nato nel ’92 grazie a Ramsley Clark si è dimostrato essere uno dei più attivi network antagonisti americani che fra le sue finalità vi sia l’opposizione all’imperailismo USA e in particolare alla guerra attualmetne in corso in Iraq è ampiamente prevedibile. Più interessante sono le campagne finalizzate a difendere i diritti delle minoranze sessuali, a protestare contro le sanzioni USA nei confronti di Cuba e la campagna di DC organizzata a Puerto Rico contro la presenza dell’US Navy. 221 3. USLAW Nata nell’ambito del sindacalismo antagonista americano, l’USLAW non usa mezzi termini nel criticare: 1) la manipolazione del governo USA delle paura per legittimare in tal modo i provvedimenti del Patriot Act; 2) la progressiva erosione dei diritti; 3) la indubbia pericolosità della nuova dottrina della sicurezza nazionale nei confronti della democrazia; 4) la partecipazione alla guerra in Afghanistan e in Iraq e 5) l’utilizzazione della guerra come volano per l’economia. In alternativa, propone un ritorno al socialismo di Stato finalizzato al ripristino del Welfare State e sostiene la assoluta necessità di utilizzare le risorse economiche destinate alla guerra a favore di una nuova politica sociale ed economica. 4. PGA Anche il PGA è uno dei più noti e influenti network antagonisti. Sorto a Ginevra nel febbraio del ’98 come coordinamento di network anti-globalizzazione, è divenuto in breve tempo una delle più efficeienti reti globali volte a promuovere la cultura dell’antagonismo al capitalismo attraverso l’azione diretta e la DC. A tale scopo, è stato in grado di coordinare ben 6 dimostrazioni in cinque diversi continenti contro il G8, l’OMC e la BM. Come recita il Manifesto — redatto nel 2002 e assai più articolato rispetto allo statuto originario — il PGA promuove la resistenza di base (ovunque si manifesti), si batte contro una concezione autoritaria e patriarcale della famiglia, si esprime a favore di una economia decentrata, rifiuta la mercificazione della cultura e l’utilizzazione della ricerca scientifica a favore del capitalismo, proponendo come alternativa l’accesso libero della società civile alla ricerca scientifica. Infine, di fronte alla militarizzazione 1 dello Stato e alla politica della NATO, il PGA indica nella educazione antagonista una possibile via di uscita dal tunnel 1 Interessante l’articolo di Frei — del 2000 — nel quale l’attivista di Alternet chiede che Bush venga processato per crimini contro l’umanità da un tribunale analogo a quello di Norimberga. Tale richiesta rientra coerentemente nella unitaria contro-informazione americana ed europea volta a individuare profondi elementi di continuità tra il nazismo e la attuale politica americana. 222 capitalista. A livello di referenti culturali il PGA si fa portavoce della opinione dei più noti intellettuali antagonisti: Chomsky, Klein, Shiva, Vidal, Wallerstein, Ramonet mentre a livello di alternativa globale esprime il proprio plauso alle proposte di Ademosky. 223 Parte Nona 1. PREMESSA Allo scopo di evitare dannosi equivoci — che potrebbero inficiare la serietà metodologica del nostro lavoro — è opportuno precisare che non è nostra intenzione fornire una introduzione storico-politica o filosofica politica degli autori considerati perché lo scopo del nostro lavoro è quello di individuare solo quegli elementi che sottolineano la centralità della conflittualità non convenzionale nell’ambito della riflessione gandhiana e mandeliana. 227 2. MODALITÀ OPERATIVE DELLA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE IN GANDHI 1. La dissobedienza civile Secondo l’A. la DC è la ‘‘la violazione non violenta civile delle leggi immorali e oppressive’’. Esplicitamente l’A. fa riferimento a Thoreau al quale attribuisce il merito di avere coniato l’espressione e di avere dato un contributo determinante allo sviluppo della DC. Tuttavia, allo scopo di ampliare il raggio di azione della DC, l’A. ne legittima l’uso nei confronti di tutte le leggi ingiuste. Naturalmente come la non collaborazione anche la DC fa parte del Satyagrah ma, a differenza della non collaborazione, essa può essere praticata soltanto ‘‘da pochi elementi selezionati’’. Concretamente essa si può attuare: a) b) c) d) rifiutandosi di pagare le tasse; rifiutandosi di riconoscere l’autorità dello Stato; entrando nelle zone militari; organizzando picchettaggi nelle zone proibite. Se la DC è di massa questa può attuarsi: 1) 2) 3) 4) solo in una ‘‘atmosfera di calma’’; ‘‘può essere praticata per fini egoistici’’; richiede un’elevata capacità di autocontrollo deve essere praticata in modo aperto. Indipendentemente dal fatto che la DC sia individuale o di massa, questa può essere difensiva e offensiva. Quella offensiva si attua nella mancanza di rispetto deliberato verso le leggi mentre quella difensiva si articola attraverso la ‘‘formazione di corpi volontari, l’organizzazione di manifestazioni pubbliche e la pubblicazione di articoli’’ che incitino alla DC. 2. Le brigate non violente Per attuare al meglio la DC sarebbe opportuno creare ‘‘un esercito volontario 228 non violento composto da migliaia di uomini’’ che su lungo pericolo possa sostituire sia l’esercito che la politica. Le BNV devono: 1) impegnarsi in attività costruttive; 2) devono cogliere ogni occasione per ‘‘riconciliare le comunità tra loro’’; 3) devono ‘‘sviluppare una campagna a favore della pace’’. I requisiti dei volontari delle BNV sono: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) fede in Dio; fede assoluta nella non violenza; rispetto per tutte le religioni; ogni volontario deve essere una persona di provata lealtà ed onestà; i membri fra di loro devono coltivare rapporti fraterni; ogni membro deve avere gli stessi diritti; la formazione di un carattere moralmente forte e tenace è indispensabile; nessun volontario deve portare armi; deve essere disposto a farsi uccidere piuttosto che uccidere; il volontario della BPN deve dedicarsi ‘‘a curare i malati, a salvare le persone in pericolo e a pattugliare i luoghi minacciati’’ e infine 11) il volontario delle BPN riceverà un’educaizone allo yoga. 3. Tecniche non violente In questo contesto l’A. ha incluso il picchettaggio, il boicottaggio, il sabotaggio e lo sciopero. Picchettaggio. Deve avvenire in modo silenzioso, non si devono usare espressioni offensive nei confronti dell’avversario, è necessario distribuire materiale propagandistico in quantità elevata, bisogna porsi in modo ottimistico rispetto agli scopi che ci proponiamo e bisogna evitare — quando si svolge il picchettaggio — di effettuarle creando cordoni che impediscano il passaggio. Boicottaggio. Bisogna applicarlo in modo tale da paralizzare le attività centrali di uno stato (applicandolo p.e. alle scuole e ai tribunali) evitando che esso si tramuti in boicottaggio di rappresaglia — tipologia ritenuta dall’A. non conforme ai precetti della NV — o in boicottaggio sociale. Al contrario, tecnicamente parlando, il boicottaggio politico è ampiamente legittimo. Sabotaggio. Questa tecnica di opposizione deve essere rifiutata perché violenta e perché si attua in forma clandestina. 229 Sciopero. È evidente che l’unica forma di sciopero valido — per l’A. sia quello non violento che deve alternarsi a regole chiare e semplici: 1) deve esistere ‘‘un motivo reale di scontento’’; 2) chi sciopera deve essere in grado di mantenersi a livello economico; 3) a livello di programma lo sciopero deve rendere pubbliche le proprie richieste; 4) lo sciopero non violento deve evitare azioni sediziose; 5) gli scioperi economici sono sı̀ legittimi ma devono essere usati come ultima ratio; 6) anche gli scioperi politici sono validi ma devono essere praticati in modo autonomo da quelli economici. 4. La lotta non violenta come opposizione alla invasione 1 Chi pratica sinceramente la NV non può prestare servizio militare e deve ostacolare la presenza militare straniera nel modo seguente: 1) impedendone il passaggio creando ‘‘alle frontiere un muro vivente di uomini e donne che invitino l’invasione a passare su di loro’’; 2) rifiutandogli qualsiasi rifornimento; 3) preferendo la propria morte alla sottomissione; 4) la non violenza deve essere praticata con la convinzione che possa convertire anche i despoti più sanguinari; 5) la lotta non violenta deve essere praticata anche partendo dal presupposto che il despota prima o poi si stancherà di uccidere gli attivisti non violenti; e infine 6) l’attivista non violento deve andare incontro alla morte severamente. 1 A tale proposito l’A. invinterà il popolo inglese — nel luglio del 1940 — ad attuare il proprio metodo contro la dittatura hitleriana: ‘‘Vi invito a combattere il nazismo senza armi (...) a lasciare loro che si impadroniscano della vostra della isola e (...) se non vi lasciaranno uscire, voi insieme alle vostre donne e ai vostri figli vi lasciarete uccidere piuttosto che sottomettervi’’. Una indicazione analoga la diede, nell’ottobre del ’38, ai cecoslovacchi e, nel novembre dello stesso anno, agli ebrei tedeschi. 230 5. Il dissenso politico Se è doveroso criticare le ingiutizie socio-economiche nel mondo è altrettanto evidente — per l’A. — che queste non potranno esser risolte ricorrendo alla violenza (in tal senso il ricorso alla violenza, da parte dei bolscevichi, fu completamente rigettato da Gandhi). Indubbiamente l’eliminazione della proprietà privata costituisce un primo passo nella direzione di superare le ingiustizie tanto quanto il consegimento della eguaglianza economica. A tale proposito, l’A. condivise una sorta di socialismo religioso non violento grazie al quale il capitalismo dovrà essere superato (la sua adesione all’ideale socialista sarà resa esplicita — p.e. — nell’aprile del ’40) come dovrà essere superata l’attuale forma di democrazia che costituisce ‘‘un paravento per mascherare le tendenze marxiste e fasciste dell’imperialismo’’. La democrazia auspicata dall’A. dovrà essere strutturata come ‘‘un cerchio oceanico al cui centro dovrà trovarsi l’individuo’’ e nella quale il decentramento sarà attuato a livello di villaggio (nel cui ambito il lavoro della Khaddar sarà determinante). A livello etico-politico la centralità dell’individuo è fondamentale per l’A. come è fondametnale il conseguimento di uno spirito critico elevato — a tal punto da accettare solo l’autorità della ragione e della voce interiore — unitamente alla assoluta necessità di cooperare con gli altri (anche attraverso il lavoro manuale la cui importanza in Gandhi è assai rilevante). Tutto ciò sarà possibile solo in un contesto sociale che rifiuti l’industrializzazione moderna che, per affermarsi, necessita della violenza (per proteggere i macchinari), della volontà di egemonia e della realizzazione di un ambito lavorativo alienante. A tale proposito, l’A. pur condividendo gran parte delle critiche marxiane al capitalismo (come condivise anche l’analisi delle cause delle guerre) non accettò mai né l’espropriazione né lo strumento della lotta di classe perché entrambi avrebbe comportato l’uso della violenza rivoluzionaria. Poc’anzi parlavamo della centralità dell’individuo: ebbene per l’A. l’individuo può esprimersi liberamente quanto più il potere dello Stato viene limitato. Non desta alcuna sorpresa allora — se l’A. — su lungo periodo — auspicasse — come Thoreau e Proudhon — l’estinzione dello Stato, mentre su breve periodo auspicasse la realizzazione di uno stato non violento. 6. Formazione La gran parte degli specialisti concordano nel ritenere che le influenze culturali determinanti nella elaborazione del pensiero dell’A. siano state le seguenti: 231 1) 2) 3) 4) 5) 6) la religione Giaimista e il principio del Ahisma; la riflessione tolstojana sulla non violenza; la riflessione evangelica; la Bhagavadgita e l’Upinishad (a partire dal 1909); le riflessioni politiche di Ruskin; le riflessioni dell’anarco individualista Thoreau e del trascendentalista Emerson. 7. Distinzione tra Satyagraha e Resistenza passiva o Duragraha Anche confrontandosi con Ghose l’A. dovette chiarire tale distinzione e lo fece nel seguente modo: mentre la S. si affida alla verità, ed ha quindi un fondamento religioso 2 — ed esclude l’uso di qualsiasi forma di violenza — al contrario la resistenza passiva non ha un fondamento né metafisico né religioso, non esclude l’uso della forza e che ne fa uso diviene impaziente perché desidera vendicarsi del nemico, costruisca la propria azione sulla rivalsa, soggiace al peccato e alla arroganza, alla collera e al disprezzo. 2 Colui che pratica la S. ‘‘deve essere capace di amare la creatura più crudele come ama se stesso’’ e ciòè possibile solo se la punizione personale è stata raggiunta. 232 3. MODALITÀ OPERATIVE DELLA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE IN MANDELA L’analisi — necessariamente sintetica — del percorso antagonista dell’A. ci consente di illustrare l’efficacia — sul piano strettamente strategico ed aliena da qualsiasi presa di posizione politica — dell’utilizzo della conflittualità non convenzionale in tutta la sua complessa articolazione. 1. Orientamento ideologico Il nazionalismo moderato ha costituito l’elemento ideologico di base di tutta la elaborazione politica dell’A. insieme all’utilizzo — esclusivamente sotto il profilo metodologico — del materialismo dialettico. Entrambe le componenti (il nazionalismo e il materialismo) sono state situate contestualmente all’interno di una cornice giuridica di tipo democratico parlamentare. 2. Modalità operative In un primo momento — seguendo apparentemente la lezione di Gandhi — Mandela attuerà la resistenza passiva (a partire dal 1946) inserita in una organizzazione di massa ma priva dei presupposti religiosi gandhiani. In realtà, il riferimento a Gandhi fu puramente formale come si evince chiaramente dalla consapevolezza — da parte dell’A. — che il metodo non violento doveva essere calibrato a seconda delle circostanze e non doveva essere usato in modo indiscriminato. In un secondo momento — di fronte alla reazione delle autorità — l’A. promosse l’abbinamento della resistenza passiva alla disobbidienza civile, facendo largo uso del boicottaggio, dello sciopero e della astensione dal lavoro, attraverso un coinvolgimento trasversale a livello politico e sociale organizzato secondo una logica a cellule (presenti in modo capillare sul territorio). In una terza fase — preso atto della inefficacia sia della RP che della DC — promosse la formazione di una organizzazine clandestina guerrigliera (la MK) che praticava tutta la gamma tipica della guerra non convenzionale (organizzata sulla falsariga del FLN algerino) passando dal sabotaggio al terrorismo. 233 Dal punto di vista addestrativo l’esperienza dei sei mesi maturata a contatto con i gruppi guerriglieri etiopi (ed in particolare sotto la direzione di Befikadu) sarà operativamente decisiva e completerà la formazione teorica che aveva svolto da autodidatta sui testi di Roca, Reitz, Mao, Che Guevara e Castro. A livello di pianificazione operativa tattica, i bersagli delle azioni terroristiche del MK rientravano pienamente nella manualistica delle guerriglia e cioè attacco a installazioni militari, a centrali elettriche, a linee telefoniche e infine a collegamenti viari. Nella quarta fase, trattandosi di una organizzazione clandestina, l’A. condusse una doppia vita dedicata ora alla guerra non ortodossa — e alle riunioni clandestine — ora alla organizzazione di comizi pubblici, alla stesura di manifesti politici dalle persuasive idealità (si veda p.e. la Carta della Libertà) ora alla costruzione di alleanze internazionali — occulte e non — volte al sostegno economico, politico e militare (sia sufficiente fare riferimento ai numerosi viaggi fatti in Etiopia, Egitto, Tunisia, Sierra Leone, Liberia, Ghana e Senegal) ora alla sensibilizzazione politica conseguita con il viaggio in UK (dove prese contatto con giornalisti simpatizzanti e rappresentanti politici della sinistra laburista inglese) ora all’indottrinamento politico rivolto alle giovani generazioni, ora infine al coinvolgimento delle donne in manifestazioni di massa (particolarmente efficaci sul piano simbolico). Nella quinta fase prima di essere imprigionato, l’A. ebbe la capacità politica di servirsi dell’aula del tribunale per ridicolizzare e demonizzare insieme l’avversario applicando le tecniche tradizionali della guerra psicologica, tecniche che verranno congelate per un lungo periodo durante gli anni di detenzione. 3. Modalità operative delle istituzioni In primo luogo, le istituzioni politiche promulgarono leggi ispirate all’apartheid e quindi alla separazione sociale su base etnica; in secondo luogo, di fronte alla graduale escalation di dissenso, anche le istituzioni politico militari attuarono una strategia flessibile e graduata che si concretava ora nella proibizione di determinate organizzazioni politiche (si pensi all’efficacia del Soppression of Comunism Act) ora nella infiltrazione di informatori ora nell’utilizzo di provocatori per creare o alimentare dissidi interni; in terzo luogo, di fronte alla estensione sociale e geografica del dissenso le contromisure divennero più repressive e si esplicarono nell’utilizzo della legge marziale, nella interdizione pubblica dei dissidenti, delle perquisizioni, nelle repressioni manu militari dell’opposizione fino alla realizzazione di riserve etniche che ampliavano il raggio d’azione dell’apartheid. In quarto luogo, di fronte al sorgere del terrorismo, le istituzioni attraverso 234 una progressiva militarizzazione del territorio, una repressione tipica delle operazioni di counter-insurgeney (repressione via terra e via aerea secondo le modalità delle forze speciali britanniche contro l’IRA), attivarono le squadre speciali senza porre loro vincoli giudicamente paralizzanti. In quinto luogo, le scelte politiche furono ispirate a scelte pragmatiche non disgiunte dal finanziamento clandestino rivolto a gruppi paramilitari eterodiretti (come l’IFP e l’INKATA) e dall’intelligence per esercitare un’adeguata pressione politica interna volta a contrastare la prosecuzione dell’attività terroristica. 235 4. NOTE SULLA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE IN M.L. KING 1. Formazione culturale A partire dal 1944 il saggio di Thoreau sulla DC esercitò sull’A. una influenza determinante poiché gli permise di comprendere come non collaborare al male fosse fondamentale e come la DC potesse diventare uno strumento utilissimo per l’affermazione dei diritti civili. Sotto il profilo teologico Rauschenbusch consentı̀ all’A. di comprendere la organicità del messaggio evangelico mentre Mounier costituirà il completamento teorico necessario permettendogli di comprendere che soltanto la ‘‘persona è reale’’. Quanto a Niebuhr, pur riconoscendone la grandezza intellettuale, non fu — a parere dell’A. — in grado di capire che il vero pacifismo ‘‘è una coraggiosa sfida lanciata contro il male dal potere dell’amore’’ (p. 29). Tuttavia solo l’opera e la prassi di Gandhi costituiranno una vera e propria rivoluzione sulla vita di King grazie al concetto di Satyagraha, di resistenza non violenta e grazie alla possibilità di estendere l’amore evangelico a livello globale. Anche gli scritti di Muste eserciteranno un’influenza maggiore di quanto l’A. non fu disposto a riconoscere. Sotto il profilo della innovazione tecnica della ANV (e delle tecniche non convenzionali ad essa connesse) le innovazioni dell’A. furono assenti. 2. Modalità operative In breve furono le seguenti: 1) boicottaggio (economico e non) volto a superare la segregazione razziale; 2) assemblea degli attivisti attraverso la quale i partecipanti prendevano coscienza della propria dignità e della possibilità di decidere del proprio destino; 3) ciclostilati e bollettini interni; 4) creazione di organizzazioni territoriali a base tematicha (p.e. la MIA); 5) resistenza non violenta ‘‘attraverso la quale si disarmava l’avversario indebolendone il morale e pungolandone la coscienza’’ p. 101; 236 6) coinvolgere sempre la stampa locale e nazionale nelle manifestazioni pubbliche; 7) lasciare sempre aperta la possibilità di contrattare con le autorità locali e nazionali; 8) creare — là dove fosse possibile — un rapporto di fiducia con le autorità dello Stato; 9) sit-in; 10) promuovere marce diurne o notturne coese nei metodi e negli obiettivi; 11) usare i conti per dare coraggio agli attivisti e creare un clima di coesione; 12) lettere-manifesto nelle quali gli aspetti essenziali del messaggio erano più volte ribaditi ed accompagnate da riferimenti religiosi; 13) l’azione diretta è indispensabile per creare una crisi acuta nell’avversario in modo tale da determinare in lui una tensione cosı̀ alta da farlo cedere fino a costringerlo ad affrontare la situazione; 14) gli attivisti devono essere educati all’uso sia della DC che all’uso della ANV; 15) durante le manifestazioni la presenza dei poliziotti può essere utile soprattutto in caso di repressioni degli attivisti; 16) per determinare il collasso delle istituzioni carcerarie basta riempirle cioè basta promuovere arresti di massa; 17) promuovere azioni di pressione politica a livello locale o nazionale; 18) fomentare il contrasto tra le istituzioni (p.e. tra la Camera dei Rappresentanti e la delegazione dello Stato del Missisipi o tra le forze di polizia locale e l’FBI); 19) coinvolgimento trasversale delle componenti religiose per globalizzare le rivendicazioni e per moltiplare l’effetto sulla opinione pubblica; 20) istigazione alla DC (sia nel caso della sgregazione razziale che nella opposizione alla guerra). 3. Organizzazioni L’A. — nella sua prassi non violenta — farà ampio uso di preesistenti organizzazioni: 1) 2) 3) 4) 5) NAACP; SNCC; SCLC; Comunità di base religiose appartenenti alal cheisa americana metodista; Interdineminational Alliance della chiesa metodista; 237 6) ACHR e infine 7) CORE 4. Connotazione ideologica La posizione dell’A. si può agevolmente connotare nel modo seguente: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) Anti-segregazionista e anti-razzista; pacifista non violenta; anti-militarista (dagli anni Sessanta in poi); anti-marxista; anti-imperialista; a favore dell’ODC; contrario alla politica controrivoluzionaria americana in America Latina e nel Sud est asiatico; assolutamente contrario alla teorizzazione e all’uso della violenza per promuovere i diritti civili; a favore di un sistema economico misto; assolutamente contrario all’anarchismo; a favore dell’ODC. 5. Reazione delle istituzioni In gran parte furono analoghe a quelle delle associaiozni razziste come il KKK e la John Birch Society: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) vessazioni; intimidazioni; attentati terroristici; repressione violenta di manifestazioni pacifiche; diffamazione; pestaggi individuali; organizzazioni di contro-manifestazioni; intercettazioni telefoniche e postali (da parte dell’FBI); istigazione alla violenza allo scopo di rompere ogni coesione interna negli attivisti; 238 10) strumentalizzazione politica a fini elettorali (p.e. Kennedy o Johnson) 11) eliminazione fisica degli attivisti. 6. Avversari o concorrenti (diretti e non) Malcon X, Carmichael e i Black Power furono i concorrenti più pericolosi per la leadership di King determinando profonde divisioni interne al movimento negro. Sotto il profilo ideologico Fanon e Lumumba non poterono trovare accoglienza favorevole presso King a causa della centralità che la violenza rivoluzionaria rivestiva all’interno del loro programma politico. Anche la ambigua neutralità dell’AFL-CIO suscitò in King un profondo disappunto. 7. Nemici Per quanto questa espressione non sarebbe stata gradita all’A., al di là della retorica pacifista ed evangelica, esistettero soggetti o istituzioni irriducibilmente avversi alle ragioni di King. Vediamo in breve quali furono: 1) 2) 3) 4) 5) 6) il KKK; la John Birch Society; gran parte delle forze di polizia locale (ed in particolare Clark e Rainey); i magistrati collusi con le ragioni del razzismo; il Partito Repubblicano (ed in particolare Goldwater); non pochi esponenti della Chiesa cattolica bianca indifferenti o addirittura ostili alle rivendicazioni di King e infine 7) Hoover direttore dell’FBI. 239 5. POSTILLA Riteniamo opportuno, da un punto di vista storico, chiarire la natura delle organizzazioni vere, le modalità operative del dissenso dell’A. e la sua impostazione ideologica. 1. Organizzazioni Prima dell’A. esisteva la NAACP nata nel 1909 dal Congresso di Niagara promosso da Du Bois e di natura integrazionista. Con King nasce la SCLC fondata nel gennaio del 1957 con una connotazione di centro. Quanto al CORE (fondato a Chicago nel 1943) che praticava l’azione diretta non violenta e al SNCC, anch’esso fondato da King, queste due organizzzazioni ampliavano il loro raggiro d’azione comprendendo anche i diritti civili nel loro insieme. Al contrario, le organizzazioni vere che praticarono l’uso della violenza rivoluzionaria — e che quindi rientrano sia nella Agitazione sovversiva che nel terrorismo — furono il Black Power (fondato nel 1966 da Carmichael), il Movimento di Azione Rivoluzionaria (di Williams), i Musulmani Neri anti-integrazionisti e Malcom X anti-integrazionista e a favore della violenza. 2. Connotazione ideologica Per l’A. la fede cristiana, oltre a costituire un fondamentale principio di salvezza personale, era ritenuto fondamentale come elemento di coesione sociale. Non a caso la impostazione data dall’A. al movimento fu incentrata sull’azione e sul perdono. A livello politico King, assunse una posizione di neutralità politica che venne meno di fronte al programma apertamente razzista del candidato presidenziale repubblicano Goldwater. Proprio per questo l’A. fece convergere i voti dei neri su Jonhson. Per quanto concerne la natura esatta del suo integrazionismo ,questo si differenziò da quello del NAACP poiché non era di natura economico politica ma religiosa e quindi strettamente legato alla dignità dell’uomo cristianamente intesa. A tale proposito la genesi del razzismo — per l’A. non era 240 da individuarsi all’interno delle istituzioni ma nell’ambito religioso: il peccato era infatti la natura cristiana dalla quale scaturivano tutte le forze di odio. Adesso era — dunque — necessario contrapporre l’amore. Di qui il rifiuto dell’uso della violenza e il rifiuto di edificare uno stato negro indipendente o un partito esclusivamente negro. Queste ‘soluzioni’ avrebbero infatti accentuato la contrapposizione tra persone incrementando l’odio. 3. Modalità operative In linea di massima l’uso delle tecniche tipiche della ANV determinava: 1) il disagio psicologico delle élite al potere costringendole a prendere in esame il problema sollevato; 2) permetteva di sostituire l’odio con l’amore causando vergogna e imbarazzo delle élite del potere; 3) consentiva la formazione di una massa agente cosciente in grado di destabilizzare il gruppo di potere e di trasformare la passività della opinione pubblica in ribellione; 4) permetteva, attraverso l’azione diretta, di accelerare il riconoscimento dei diritti civili costringendo l’avversario a cedere attraverso una sorta di guerra di logoramento. 241 Parte Decima 1. IL DISSENSO ANTI-MILITARISTA NELLA COMUNITÀ SCIENTIFICA ITALIANA DEL NOVECENTO L’opposizione netta e priva di compromessi alla collaborazione (o non piuttosto connivenza e complicità?) tra ricerca scientifica e ricerca militare ha trovato modo di esprimersi lucidamente sia negli Atti del convegno tenutosi il 22 maggio 2001 — a cura del Centro Studi e Ricerche per la Pace dell’Università di Trieste — che nel volume di Fieschi intitolato ‘‘Macchine da guerra’’. Da questa ampia e dettagliata documentazione è possibile trarre alcune considerazioni sul dissenso anti-militarista: 1) Proprio perché la comunità scientifica ha specifiche competenze è tenuta a informare la società civile sull’insieme delle problematiche connesse al rapporto tra ricerca scientifica e ricerca militare; 2) la comunità scientifica non può assumere un atteggiamento asettico ma deve prendere posizione di fronte al coinvolgimento della scienza in ambito militare — come accadde durante la guerra del Vietnam — e prendere una posizione che sia di chiara condanna; 3) dal momento che la ricerca scientifica (soprattuto quella applicata) può svilupparsi solo in un contesto assai articolato — vale a dire quello politico, industriale e bancario — il dissenso politico non potrà che manifestarsi anche nei confronti del sistema di potere nel suo insieme; 4) la ricerca scientifica asservita alla deterrenza nucleare è non solo immorale ma precaria per la stessa sicurezza nazionale; 5) lo scienziato responsabile moralmente deve rifiutarsi di partecipare personalmente alla ricerca militare; 6) quegli scienziati che lavorano presso istituti di ricerca non militari devono rifiutarsi di portare avanti ricerche finanziate da fonti militari o che comunque impongono la non divulgabilità dei risultati conseguiti; 7) come espressione di dissenso esplicito — a conclusione delle nostre ricerche — dovremmo aggiungere sulla sezione ‘‘ringraziamenti’’ una nostra dichiarazione dalla quale emerga chiaramente che non si sono utilizzati fondi militari; 245 8) dovremmo convincere i nostri colleghi — impegnati sul fronte militare — che i loro contributi sono forieri di nefaste conseguenze per l’umanità; 9) è necessario — proprio di fronte alla minaccia dell’uso delle mini-nukes e dell’SDI — promuovere un disarmo nucleare totale e quindi proibire tutte le esplosioni nucleari sperimentali; 10) è opportuno ostacolare la modernizzazione della strumentazione miltiare; 11) la comunità scientifica deve rifiutarsi di collaborare a tutti quei progetti di ricerca che violano i trattati internazionali; 12) la comunità scientifica deve prendere atto che i finanziamenti militari sviano la ricerca scientifica verso scopi non essenziali; 13) accettare anche in minima parte finanziamenti militari significa accettare una sorta di corruzione legale; 14) sarebbe opportuno — attraverso adeguate pressioni — persuadere la classe politica della necessità di ridurre drasticamente i finanziamenti alla ricerca militare e al ministero della difesa; In conclusione, questo breve elenco — chiaramente ispirato alle riflessioni pacifiste di Russell e Einstein, alle iniziative del Movimento Pugwash e a quelle del Bollettino degli Scienziati atomici — costituisce un invito esplicito al boicottaggio e alla ‘diserzione’ e fa proprie le sottili armi della Psychological Warfare. Ad ulteriore supporto di questa tesi, sia sufficiente fare riferimento alla introduzione degli Atti redatta da Federico Della Valle responsabile del Centro Studi di Trieste. Ebbene, l’A. — dopo aver ampiamente citato Boff — ritiene che sia agevolmente individuabile un comune denominatore tra le finalità del convegno e quelle del Centro Studi: 1) il rifiuto incondizionato della guerra; 2) la non neutralità della coscienza; 3) il conseguimento della pace — e il suo mantenimento — costituiscono valori imprensindibili; 4) fra gli immani danni del capitalismo vi è anche quello legato alla sopraffazione ambientale; 5) l’attuale modello di sviluppo si fonda sulla violenza e alimenta la guerra; 6) la guerra viene usata soprattutto dalla amministrazione USA — come volano economico e infine la NATO legge il problema della immigrazione in un’ottica di sicurezza e non come un problema da affrontare in modo solidaristico. 246 2. IL DISSENSO DELL’USPID Nata nell’82 — presso il Dipartimento di Fisica della Università di Bari — si propone — sotto il profilo formale — come finalità principale lo studio delle complesse problematiche legate alla strategia nucleare, al controllo degli armamenti e all’impatto che tutto ciò determina a livello di politica internazionale. Sotto il profilo sostanziale, l’USPID promuove una interpretazione anti-militarista e affine — ideologicamente parlando — a quella del pacifismo nostrano (non a caso collabora con il CISP di Pisa e con l’Archivio Disarmo). L’attività antagonista si attua nell’esprimere il proprio radicale dissenso in merito alla legittimità morale delle collaborazione, oramai stretta, tra Ricerca Scientifica e Ricerca Militare. Secondo Petroni la comunità scientifica dovrebbe: 1) esercitare adeguate pressioni sulla classe politica per ostacolare qualsiasi collaborazione tra Scienza e apparato militare 2) dovrebbe sottolineare la irresponsabilità di tutti coloro che collaborano con l’apparato militare (p.e. con la DARPA USA) 3) dovrebbero rendere noto all’opinione pubblica che il mantenimento di un apparato scientifico-militare porta inesorabilmente alla militarizzazione della politica estera e al consolidamento di gruppi di potere. Partendo dalle medesime premesse, Cotta Ramusino propone — seguendo sia le indicazioni del Manifesto Russell-Einsten che quelle del PUSWASH —: 1) lo smantellamento delle armi nucleari; 2) considera la Nuclear Posture Revew del ’95 un ritorno inammissibile alla logica della cold war; 3) condanna — alla stressaa stregua — il riarmo nucleare russo; 4) propone il ritiro incondizionato ed immediato delle BG1 dal territorio europeo e delle bombe nucleari tattiche allo scopo di contribuire alla dsitensione tra NATO e Russia e infine 5) propone la denuclearizzazione del Mediterraneo. 247 3. IL DISSENSO DEL PUGWASH 1. Le finalità della associazione nelle parole di Rotblat Di questa associazione internazionale — fra le più prestigiose nel contesto della comunità scientifica — prendederemo solo in considerazione alcune significative riflessioni di Rotblat (premio Nobel nel ’95 per la pace): 1) partendo dalla centralità del Manifesto Russel-Einstein 1, l’A. sottolinea anche oggi l’urgenza di coinvolgere la comunità scientifica internazionale nel denunciare la strategia della dissuasione nucleare; 2) l’A. ritiene insostenibile il ricorso alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti ed, in particolare, sottolinea l’assoluta necessità di abolire qualsiasi armamento nucleare; 3) propone la estensione ai paesi europei e non dell’art. 9 della Costituzione giapponese; 4) pone l’enfasi sulla centralità della istruzione e sulla opportunità di attuare adeguate pressioni sui mass-media per sensibilizzare l’opinione pubblica; 5) rileva la necessità di sfruttare tutte le opportunità offerte dalla diplomazia internazionale per sensibilizzare le élites politiche; 6) avanza la proposta — radicale nelle implicazioni — di superare il complesso militare industriale; 7) non accetta la politica nucleare della NATO 8) chiede la concreta applicazione del piano Baruc e della risoluzione ONU del ’46 contro l’uso delle armi nucleari; 1 L’antimilitarismo del celebre scienziato tedesco ebbe modo di esprimersi in modo eloquente nel breve saggio ‘Società e persona’ (tratto dal volume ‘Come io vedo il mondo’), dove ebbe modo di definire il servizio militare obbligatorio come ‘‘il sintomo più vergognoso della mancanza di dignità personale’’ (p. 15). Quanto alla esistenza della istituzione militare — questa da lui esplicitamente disprezzata — espresse l’auspicio che venisse soppressa al più presto in quanto la considerava una vera e propria vergogna. Anche a proposito dell’industria militare ebbe parole di fuoco ritendola la principale responsabile dei conflitti internazionali, cosı̀ come condannò senza mezzi termini l’asservimento della scienza ad interessi militari. 248 9) rifiuta in modo radicale la dottrina Rumselfd (e quindi la possibilità dell’uso delle mini-nukes); 10) condanna la politica nucleare di Chirac (perché in linea con quella di De Gaulle); 11) contesta la legittimità morale e giuridica del pacchetto di provvedimenti anti-terrorismo presi da Bush (e sistematizzati nel Patrioct Act) dopo l’11 settembre; 12) giudica fallimentare la gestione del dopo Iraq e del dopo Afghanistan proponendo in alternativa una gestione a guida ONU e infine 13) evidenzia le ripetute violazioni — da parte USA — del diritto internazionale. 2. Strumenti Lo strumento, in prima battuta, usatao dal P. si è concretizzato nella organizzazione di conferenze annuali e, in seconda battuta, attraverso l’uso di petizioni o lettere aperte ai leaders politici. Un esempio eclatante è stata la lettera, inviata da Hinde, a Blair in merito alla inacettabilità di praticare la detenenza nucleare sul territorio inglese attraverso la realizzazione dei Trident. 249 4. IL DISSENSO DEL CISP Nato nel ’98 all’interno della Università di Pisa, si propone di attuare uno studio multidisciplinare della pace avvalendosi di una équipe stabile di quaranta docenti e aspirando ad essere un punto di riferimento — nel panorama italiano — per gli studi della pace a livello accademico a partire da presupposti ispirati al pacifismo non violento di Gandhi, Lanzo del Vasto e Capitni. La finalità statuaria è rivolta allo studio della dinamica dei conflitti allo scopo di prevenirli o risolverli attraverso una metodologia non violenta. Concretamente il CISP ha svolto un ruolo rilevante nella istituzionalizzazione della DPNV, nel ‘reclutare’ ODC per consentire loro di svolgere il servizio alternativo (in concorrenza con l’ARCI e la Caritas), nel promuovere dunque il servizio civile nazionale, nel realizzare progetti di cooperazione tra ONG palestinesi ed israeliane e infine nel dare supporto agli ODC israeliani (cioè ai militari renitenti). A livello di collaborazione, i legami di maggiroe rilievo sono con l’USPID, le PBI, il CIPA e il Centro Gandhi. Allo scopo di delineare la filosofia del CISP sarà sufficiente illustrare — sinteticamente — le riflessioni di Altieri e Drago. Secondo Altieri 1) è divenuta oramai improrogabile la necessità di costruire alternative concrete alle istituzioni militari attraverso la DPNV; in secondo luogo; 2) qualsiasi ricercatore serio che voglia attuare questa finalità dovrà fare riferimento non solo agli studi di Galtung e Sharp ma soprattutto alle riflessioni di Gandhi, Capitini, Del Vasto e di tutto l’antagonismo poliltico che ha caraterizzato gli anni Sessanta e Settanta (dal movimento dei diritti civili al femminismo); 3) l’approccio agli studi per la pace dovrà tenere conto della realta’ politica allo scopo di contrapporvisi in modo radicale; 4) la finalità politica su lungo periodo degli studi per la pace dovrà essere quella di farci conseguire il ‘people empowerment ’ che altro non è che — guarda caso — l’omnicrazia capitiniana 250 e infine 5) gli studi per la pace dovranno sottrarre terreno agli approcci militari marginalizzando le istituzioni militari. Per quanto concerne Drago le sue riflessioni hanno una connotazione esplicitamente politica. Infatti lo studioso: 1) lamenta la scarsità di fondi elargiti alla DPNV e critica esplicitamente la composizione dell’UNSV ritenendo che la presenza di ufficiali sia del tutto fuori luogo e che, al contrario, il suddetto ufficio dovrebbe essere gestito da personalità di indiscutibile valore (fra le quali include se stesso, lecolleghe del CISP e le associazioni cattoliche più intransigenti e visceralmente anti-militariste quali Pax Christi e i Beati); 2) in secondo luogo critica la legittimità della sinistra europea in quanto oramai compromessa ampiamente con il militarismo; 3) auspica la istituzionalizzazione della obiezione fiscale. Inoltre l’A. vede con preoccupazione 4) il consolidarsi dei rapporti tra la scuola Sant’Anna e il CEMISS, realzioni che procedono verso una evidente militarizzazione (basti riflettere — prosegue l’A. — sulla inaudita contro offensiva militare relativa ai corsi di laura in Scienze Strategiche) alla quale 5) non si può che contrapporre la laurea in Scienza per la pace; infine 6) l’alternativa indicata dall’A. è il modello non violento di difesa che sarà in grado di porre in essere una autentica rivoluzione. 251 5. IL NUOVO MODELLO DI DIFESA ALLA LUCE DELL’IDEOLOGIA PACIFISTA 1. I rischi del Nuovo modello di difesa * secondo Accame Secondo Accame (presidente dell’ANA-VAFAF) il NMD varato nel ‘91 implica una vasta gamma di rischi 1 per l’Italia e più esattamente: 1) l’Italia potrebbe volersi proiettare in operazioni di polizia internazionale; 2) con il NMD il CSM acquista pieni poteri — autopontenziondosi quindi - e consegue una ampia autonomia rispetto al vertice polico; 3) l’inserimento del nostro paese, all’interno del NMD, porterà — presto o tardi — a svuotare di significato l’art. 11 della costituzione; 4) i rischi ipotizzati dal NMD (rivelatesi assolutamente esatti ndr.) costituiscono una motivazione fittizia volta ad incrementare le spese militari; 5) lo stanziamento di fondi — per il NMD — rischia di passare ‘sotto il naso’ del parlamento; 6) il NMD intende — in realtà — alimentare la tensione internazionale; e infine 7) la presenza in una eventuale ‘Europa degli eserciti’ ci farà assistere ‘‘al nascere di una politica bellicistica di cui neppure all’epoca fascista si era visto visto l’eguale’’. 2. L’antagonismo sindacale all’interno dell’Aermacchi Intorno agli anni Ottanta nacque, nel contesto della Aermacchi di Varese, ‘un gruppo di attivisti anti-militaristi’ grazie al sostegno della FLM in un primo momento e della FIOM-CISL in un secondo momento, gruppo informale che promosse ‘‘collette di solidarietà con popoli e movimenti vittime del fuoco delle ar* Da ora in poi in sigla NMD. 1 I rischi paventati dall’Aa. sono, dal nostro punto di vista, opportunità che — fra l’altro con buona pace di Accame — si sono realizzate (in buona parte a partire dagli anni novanta). 252 mi italiane’’ attraverso tecniche di conflittualità non convenzonale (scioperi, digiuni e collettivi) per giungere nel 1986 alla disubbidienza civile attraverso l’aperta adesione — di alcuni suoi componenti — all’ODC (congiunta all’uso del digiuno di cinque giorni ‘‘contro gli euromissili e la corsa al riarrmo’’) e per denunciare nel 1988 l’Aermacchi in quanto industria violatrice degli embarghi ONU contro Iran e Iraq. La reazione — nel gennaio del ’91 — del direttivo aziendale fu largamente prevedibile: l’attivazione della cassa integrazione della cellula di lavoratori anti-militaristi, espulsioni che crearono le condizioni per la nascita — nel ’91 — del ‘Comitato cassaintegrati Aermacchi per la pace e il diritto al lavoro’, il quale — grazie ai preziosi contributi del MIR, della Cisl, delle Acli e del Comitato contro la guerra del Golfo di Busto Arsizio — riuscı̀ a portare le proprie lagnanze fino alla XI Commissione del lavoro del Parlamento, attraverso una struttura a rete; e — nel ’93 — a formulare una proposta di legge regionale per la promozione della riconversione della industria bellica (formalmente presentata da una coalizione politica traversale di centro-sinistra). Anche a seguito di questa iniziativa, prese avvio l’’Osservatorio sull’industria militare’. A distanza di breve tempo, onde evitare l’ulteriore incremento di licenziamenti, l’Aermacchi riucı̀ ad esercitare una pressione eguale (per intensità) e contraria (per le finalità) sulle istituzioni politica-sindacali volta a favorre l’approvazione — in tempi brevi — del NMD. L’operazione raggiunse l’auspicato obiettivo — soprattutto grazie alla lobby sindacali FIM-FIOM e UILM (sic!) 3. L’alternativa non violenta al NMD In primo luogo, sotto il profilo ideologico — come si evince in prima battuta dalla bibliografia — l’interpretazione data dagli A. del NMD è di tipo eco-pacifista ed è suffragata dalle analisi dei periodici: ‘Giano’, ‘il Manifesto’, ‘Metafora verde’, dalla rivista capitiniana ‘Azione non violenta’ e infine dagli studi di Allegretti editi dalle edizioni Cultura della Pace. Quanto alle istituzioni politico-culturali nel cui ambito si muovono gli autori queste sono: la FLM-cisl, l’Ires e la Rete di Formazione non violenta e l’IPRI ,mentre gli strumenti di comunicazione di massa attraverso i quali hanno promosso una strategia di contro informazione anti-militarista sono stati: ‘Alfazeta’ (periodo ufficiale della CISL), Radio popolare e ‘Avvenimenti’. In secondo luogo, nel saggio finale l’A. — Nanni Salio (segreatrio dell’IPRI) — propone un’alternativa radicale (seguendo le indicazioni di Galtung e Sharp) al modello di difesa tradizionale che agevolmente possiamo riassumere nel modo seguente: 253 1) l’attuazione — a livello politico — della non violenza non solo costituisce un reale pericolo per il totalitarismo dell’Est ma anche per il capitalismo occidentale; 2) una reale comprensione della NV ci consentirà di comprendere la natura profondamente sovversiva che lo connota; 3) infatti il movimento per la pace che si fa portavoce della non violenza, ha come suo principale scopo quello di costruire una società civile profondamente diversa da quella attuale perché in grado di risolvere le varie tipologie di conflitti in modo non violento; 4) contrariamente ai modelli di difesa tradizionale, adattare a livello politico la difesa non violenta, equivale a conferire alla società civile la possibilità di risolvere i conflitti, dimostrando in tal modo quanto profondamente legata sia la non violenza alla democrazia partecipativa; 5) proprio per queste motivazioni è opportuno che il modello dell’HCA sia esteso e rafforzato cosı̀ come è opportuno democratizzare l’ONU istituendo nel suo contesto forze di intervento non violento. Un esempio in questa direzione ci viene offerto dalla presenza delle PBI in zone di guerra come il Guatemala, lo Sri Lanka o delle organizzazioni come i Volontari della pace. 254 6. L’ANTI-AMERICANISMO RIVOLUZIONARIO NEL CAMPO ANTI-IMPERIALISTA Sorto nell’agosto del 2000, il CAI si struttura secondo una modalità a rete e costituisce un network transnazionale volto a contrastare la globalizzazione imperialistica attraverso un coordinamento snello e flessibile. La connotazione ideologica del CAI è dichiaratamente socialista rivoluzionaria — quindi assai lontana dall’antagonismo non violento — e aspira ad avere una dimensione internazionalistica. I soggetti rivoluzionari, oltre a essere quelli della tradizione M/L (e cioè i contadini e i proletari) sono anche tutti gli sconfitti o i discriminati del globalismo attuale. Concretamente il CAI ha dato voce e sostegno sia alla Resistenza Irachena (al Movimento popolare di Moqtada al-Sadr e all’Alleanza Patriottica Irachena in particolare) sia alla resistenza rivoluzionaria delle FARC-EP, che a quella dell’FBL-EL bolivariana. Scontato e prevedibile insieme anche il sostegno alla politica di Chavez, al PC-ML greco, ai vari comitati (europei e non) pro resistenza irachena, all’IRSP irlandese e infine ai partiti comunisti di Svezia e Norvegia. Nel nostro paese collabora con alcuni esponenti del PRC e del PdCI ma soprattutto con i COBAS. Le due più significative reazioni delle istituzioni sono state: l’accusa di associazione con finalità terroristica rivolta a un autorevole esponente del CAI e la dura presa di posizione di 44 esponenti del Congresso USA contro l’esplicito sostegno del CAI alla resistenza irachena, presa di posizione che si è concretizzata nel chiedere alle autorità italiane di mettere fuori legge il CAI. 255 7. IL DISSENSO ANTAGONISTA NEL CENTRO GANDHI Nato nel 2000, il centro promuove: 1) l’opposizione radicale alla guerra; 2) il superamento dell’attuale sistema economico; 3) la realizzazione — secondo il progetto di Capitini — della omnicrazia e 4) l’educazione alla mondialità. Il contesto culturale nel quale opera è quello ispirato alle riflessioni di Gandhi, Capitni, Tolstoj e Lanza del Vasto. Allo scopo di analizzare gli aspetti contenutistici ci sembra opportuno polarizzare la nostra attenzione su alcuni articoli apparsi nella pubblicazione periodica del Centro: i Quaderni del Satyagraha. 1. Tolstoj Personaggio centrale, nell’ambito del pacifismo mondiale, costitusca per Gazzen un punto di riferimento imprescindibile per la riflessione sulla non violenza. Infatti la non resistenza al male è il centro delle riflessioni del letterato russo e partendo soprattutto da questa riflessione Gandhi — nel 1894 — si convertı̀ alla non violenza abbandonando il suo precedente sentiero. 2. Kossovo L’A. — Abate — sottolinea come la presenza della non violenza nel contesto kossovaro — attraverso il movimento di riconciliazione — abbia portato un contributo rilevante. In particolare, pone l’enfasi sull’eccezionale valore delle lotte non violente attaute dalle popolazioni albanesi — alludendo al contributo di Kurti — al lavoro rilevante di Ismajli e infine alle potenzialità rilevanti che avrebbe avuto il Corpo europeo civile se fosse stato costruito. Al contrario, le iniziative 256 del governo italiano e quelle del governo francese — in merito a quale istituzione avrebbe dovuto coordinare questo Corpo — sono state assolutamente nefaste. 3. DPN La discussione relativa alla proposta dell’On. Realacci è assai significativa poiché rivela — da parte di determinate lobby cattoliche e di sinistra (ARCI, ACLI, CdO e LegaAmbiente) — la volontà di collocare il Servizio civile all’interno del Terzo Settore svuotandolo — secondo il Centro Gandhi — di qualsiasi significato autenticamente pacifista e soprattutto delegittimando la DPN. Proprio perchésussiste tale lo scopo, il Centro Gandhi ha invitato numerose personalità a sottoscrivere un appello a favore della istituzionalizzazione della DPN, appello al quale hanno aderito: Drago - Gallo - Zanotelli e numerosi francescani (sic!) 4. Il comitato DCNANV (e i complotti oscuri) La DPNV si inserisce — osserva Drago — nell’ambito del concetto di transarmo indicato da Galtung che prevede su breve periodo la compresenza sia della difesa armata che di quella non armata. Ebbene l’istituzione del comitato DCNANV nel 2004 rappresenta il primo esempio di istituzionalizzazione della DPNV nonostante la inacettabile militarizzazione del peackeeping, l’evidente militarismo del governo berlusconi e l’incapacità del centrosinistra di opporvisi. Uno dei primi passi da compiere non potrà che essere la formazione quotidiana della gioventù. Ma la parte più consistente dell’articolo — e involontariamente autoironica — è la dettagliata narrazione di tutti i contrasti interni al Comitato che ne hanno decretato la paralisi operativa, dietro quale l’A. vede la occulta presenza dei partiti e delle F.A. che si sarebbero accordati per sabotare la realizzazione della DPNV. 5. La militarizzazione dopo l’11 settembre Gallo osserva come la progressiva militarizzazione delle istituzioni americane dopo l’11 settembre e il progressivo affermarsi dello Stato penale, stiano giungendo a delle nefaste conseguenze come si evince d’altronde chiaramente dal Patrioct Act. Indubbiamente il movimento no global costituisce una realtà estremamente vitale e in grado di contrapporsi ‘‘alla crescente militarizzazione’’. 257 Un esempio concreto della sua vitalitàci è offerto dalla militanza di Zanotelli e Strada e dalla centralità della opzione non violenza. Se la società civile saprà fare tesoro di tutte questi insegnamenti allora si troverà nelle condizioni di difendere anche i diritti umani dall’ideologia della nazionalista. 258 8. IL DISSENSO ANTAGONISTA NELLA FONDAZIONE VENEZIA PER LA RICERCA SULLA PACE La nostra finalità sarà quella di comprendere quale impostazione viene attuata dalla Fondazione per la comprensione delle problematiche internazionali, per capire cioè a partire da quali presupposti politico-culturali la Fondazione legge la realtà del mondo contemporaneo. In primo luogo, la nomina del nuovo Presidente della Fondazione Mons. Nohis avvenuta nel dicembre del 2004, dimostra ampiamente il profondo radicamento della Fondazione nell’ambito della gerarchia cattolica italiana. In secondo luogo, analizzando l’attività professionale degli autori dell’Annuario che (prenderemo in considerazione quello del 2005) rappresenta il documento più autorevole per comprendere scopi e metodologia di approccio della Fondazione — saremo in grado di capire — agevolmente — quale approccio possiamo aspettarci. A tale proposito, la gran parte degli autori dell’Annuario orbita nel contesto di determinate pubblicazioni periodiche e case editrici ampiamente note — in Italia — per il loro impegno anti-militarista, pacifista non violento e anti-americano impegno che si colloca in un contesto politico connotato chiaramente: quello della sinisttra antagonista e del cattolicesimo anti-militarista, no-global. Allo scopo di suffragare quanto sostenuto elencheremo qui di seguito rivista, case editrice, centri di ricerca e associazioni notoriamente militanti: Un poten per..., PeaceLink, EMI, Unimondo, Mosaico di Pace, Opal, Missione oggi, Micromega, Adista, Ed. cultura della pace, DeriveApprodi, Nigrizia, Guera e Pace, Giano, Aprile, Avvenimenti e Centri di Ricerca per la pace di Viterbo. Significativa — poi — la presenza di due uomini politici — Gallo e Tanzanella — gravitanti nell’area della sinistra più intransigente sulle problematiche della pace, della guerra e delle spese militari. Passiamo adesso ad analizzare — brevemente — le riflessioni degli autori intorno e problematiche specifiche. 1. Forze Armate e Scuola Luca Kocci (redattore Adista) — dopo aver sottolineato — con disappunto e 259 sconcerto insieme — che negli USA il JROTC prosegue inesorabilmente e che anche in Italia si sono realizzate iniziative analoghe — rileva con entusiasmo l’esistenza di associazioni — targate USA — che oppongono resistenza al reclutamento. Significativa la conclusione: ‘‘l’inequivocabile indizio di un tendenza inquietante che vede le F.A. all’assalto delle scuole. E se gli USA sono il modello di riferimento verso cui il nostro Paese tende, si tratta allora di segnali da non trascurare ma da guardare e da controllare con la massima attenzione’’ 1. 2. Pace e Chiesa cattolica Tanzanella (parlamentare dissidente nel centro della sinistra cattolica e storico della teologia) — dopo aver sottolineato il ‘peccaminoso’ coinvolgimento della Banca di Roma nel commercio di armi (esaltando l’opera meritoria di denuncia di riviste come Mosaico di Pace etc.) e dopo aver ricordato che la violazione dell’art. 11 è oramai una drammatica costante della politica estera italiana, esprime il proprio radicale dissenso sul mantenimento dell’ordinamento militare in seno alla chiesa cattolica e il proprio entusiasmo per le costruttive iniziative di Pax Christi e per le posizioni del vescovo Nogaro. 3. Dissenso informatico Gubitosa (segretario di Peacelink) — sottolinea come l’uso delle tecnologie informatiche si sia rivelando decisivo per il pacifismo non violento. Auspica — indirettamente — che l’hackerismo italiano si consolidi e che le esperienze di telestreet si moltiplichino (nonostante le indicazioni contrarie degli Interni). 4. Guerra globale Gallo (senatore) — condanna senza mezzi termini il NMD e rileva la inestricabile connessione tra guerra e terrorismo (giacché si alimentano vicendevolmente). In altri termini, la politica deve collocare la guerra fuori dall’ordine internazionale. 1 Dall’insieme di queste osservazioni si evince che sono le associazioni pacifiste a dovere controllare le istituzioni militari (un interessante capovolgimento!) e che le scuole sono ‘proprietà’ delle associazioni anti-militariste. 260 Carnevali e Sciuto rispettivamente di Adista e Avvenimenti sottolineanano come questo aumento non faccia altro che sottrarre risorse ai settori cruciali e — con sconcerto — rilevano come i paesi nel Consiglio di Sicurezza ONU siano gli stessi che alimentano il commercio di armi. In conclusione, la volontà di controllare le zone strategiche del pianeta da parte USA è uno scopo immorale (naturalmente secondo una interpretazione anti-realistica — ndr). In merito al ruolo USA in Iraq — Giacché della rivista Proteo — sottolinea il benessere delle industrie militari USA grazie alla guerra e quello delle industrie logistiche. Seguendo un’analisi marxiana l’A. conclude affermando che la guerra sia oramai divenuta la continuazione della politica con altri mezzi Quale ruolo per la Svizzera nel contesto della politica internazionale? A giudicare dal progetto Esercito XXI sembra che la neutrale Svizzera voglia diventare ‘‘una sorta di milizia per la NATO’’. Secondo l’A. — Reina — è proprio questo il pericolo paventato dal GSSE (gruppo pacifista svizzero) che fra l’altro accusa la classe politica di avere bloccato ‘‘la politica di disarmo’’. Naturalmente l’A. guarda con preoccupazione a tale eventualità. 5. Antagonismo in America Latina Zaneletta responsabile della Scuola della pace di Lucca — dopo aver dato una valutazione radicalmente negativa della politica messicana — indica nelle scelte zapatiste la chiave di una possibile svolta finalizzata ‘‘a creare una forte base popolare che controbilanci le spinte moderate di un eventuale governo di sinistra’’. Anche in Colombia le basi popolari danno segni di grande vitalitàse è vero che — osserva Torres (teologo colombiano) — i Nasa stanno portando avanti un progetto di autonomia nei confronti dello Stato, dei partiti e nei confronti del sistema capitalistico, critica che è analoga a quella del movimento zapatista tanto quanto la proposta di una democrazia assembleare. In sostanza, l’A. facendo proprie le tesi espresse da Borda nel lontano 1966 auspica che tali iniziative costituiscano il futuro della Colombia. 6. USA e Israele Scaglione commenta indirettamente le scelte di politica estera anche dagli USA e di Israele attraverso un collage di citazioni che ne evidenziano le implicazioni nefaste soprattutto sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e dell’equilibrio internazionale. 261 7. Cronologia Gli autori — Alessandroni e Kocci — commentano, con ironia e con preoccupazione, una serie di avvenimenti di particolare interesse per il nostro paese. Un’iniziativa — p.e. Defence TV — non è dagli autori particolarmente gradita mentre le dimostrazioni contro Bush a Roma raccolgono il loro plauso; il trasferimento dell’US Navy a Napoli è visto con preoccupazione, la benedizione della portaerei italiana è letta come un gesto inconcepibile (a mò di commento gli A. riportano le considerazioni di don Tonio), la resistenza irachena è positiva, la commercializzazione delle armi nel mondo da parte dell’Italia è vista come un atto contrario al diritto e alla morale; in merito alle spese militari gli A. riportano la proposta di Sbilanciamoci che le vorrebbe ridurre radicalmente e, a proposito della iniziativa di protesta contro la parata dei Lagunari, gli A. sottoscrivono le affermazioni di Casarini. Quanto all’Iraq, gli A. si fanno portavoci di tutte quelle associazioni che hanno ostacolato la riforma dei codici militari, che hanno chiesto l’abdicazione dell’ordinariato militare — e che sostengono la legittimità della Obiezione Fiscale alle spese militari. È doveroso segnalare che gli A. — fra le righe — fanno comprendere la loro predilizione per Pax Christi riportando numerose volte le dichiarazioni del direttivo. 262 9. TOM BENETOLLO E L’ANTAGONISMO NON VIOLENTO DELL’ARCI 1. Note biografiche Nato a Peraga (provincia di Padova) incomincerà a militare nel PCI nel 1970, divenendo in seguito segretario regionale della FGCI. Dal 1971 diverrà responsabile esteri della organizzazione giovanile del PCI incarico che manterràal 1987, quando — a causa di forti dissensi con il vertice del DS lascerà l’incarico — per entrare nell’ARCI di cui assumerà la presidenza nel 1997 fino alla morte, avvenuta nel 2004. 2. Formazione politica La formazione ricevuta sarà quella tipica della scuola di partito del PCI improntata dunque ad un viscerale anti-americanismo e anti-atlantismo. Il sorgere del movimento no-global consoliderà le posizioni di estrema sinistra (assai prossima a quelle del Manifesto e del PRC) in aperto dissenso con quelle del vertice dei DS. 3. Connotazione ideologica Fin dalla fondazione della rivista ‘Collettivo’ (sorta negli anni settnta) la posizione dell’A. oscillò contradditoriamente tra l’antagonismo radicale della estrema sinistra europea ed USA (a tale proposito la predilezione per le Black Panters e Malcom X fu esplicita) e l’entrismo della sinistra istituzionale, ambiguità politica che ha mantenuto fino alla sua prematura scomparsa. 4. Modalità operative In generale l’A. si servı̀ delle tecniche tipiche della azione non violenta. Nello specifico, in breve, le modalità usate furono le seguenti: 263 1) Marcia della pace; 2) supporto ai profughi attraverso network istituzionali (p.e. il Consorzio italiano di solidarietà); 3) invio di delegazioni estere a scopo politico-informativo; 4) boicottaggio (p. contro le installazioni missilistiche a Comiso); 5) raccordo con Network no-global (p. il GSF e il FSE); 6) disubbidienza civile; 7) raccordo tra le associazioni cattoliche (Pax Christi e i Beati), con quelle no global — come il GSF e l’FSE — e la sinistra diessina, i Verdi e Rifondazione comunista; 8) utilizzazione del Terzo Settore per creare enclavi anti-liberiste e per aumentare il potere di penetrazione politica dell’ARCI; 9) cooperazione internazionale decentrata per contrastare la real politik degli Stati; 10) promozione di una rete euroepea no-global; 11) collaborare strettamente con il sindacato per connotare politicamente il lavoro atipico; 12) sostegno agli scioperi generali del sindacato. È scontato che come presidente ARCI e cofondatore della Associazione per la Pace abbia svolto una costante; 13) guerra psicologica attraverso la propaganda e la disinformazione. 5. Avversari In primo luogo tutti coloro che — all’interno dei DS — hanno premesso una svolta moderata prendendo le distanze dalla sinistra interna. 6. Nemici In breve: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) le istituzioni militari; la Nato; la politica estera USA e UK; la politica di Berlusconi; il liberismo e quindi il WTO e l’FMI; il realismo politico; i Black Bloc; 264 8) il servizio militare professionale; 9) gli aumenti di bilancio per la Difesa; 10) le gerarchie politicamente conservatrici del Vaticano (Ruini e Opus Dei). 7. Alleati Sinteticamente: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) la sinistra cattolica; la sinistra diessina; Pax Christi e i Beati; Verdi e PRC; la CGIL; il Forum del Terzo Settore; il GSF e il FSE; Acli; Times For Peace (network internazionale). 8. Contenuti ideologi Anche in questo caso procederemo brevemente: 1) l’A. si era detto a favore della democrazia partecipativa e del bilancio partecipativo sulla falsariga di quello di Porto Alegre; 2) l’A. si espresse in modo nettamente contrario al ricorso della guerra in Kosovo e in Iraq; 3) espresse aperto dissenso nei confronti del concetto di guerra giusta; 4) si disse a favore della estensione dell’art. 11 anche alla Costituzione europea; 5) non ebbe indugio alcuno ad auspicare una profonda riforma dell’ONU per renderla più incisiva; 6) espresse l’auspicio che le associazioni di una certa autorevolezza potessero trovare modo di esprimersi anche all’interno della Unione europea; 7) si oppose all costruzione del Muro voluto da Israele; 8) non condivise il pacifismo ambiguo di certuni dirigenti nel centro-sinistra; 9) non indugiò ad esprimere il proprio entusiastico appoggio alla OTPOR; 10) si oppose radicalmente all’uso della guerra per contrastare il terrorismo islamico; 265 11) espresse la speranza che l’economia ritornasse a fare propria la scelta keynesiana; 12) infine la sua militanza fu volta ad esercitare rilevanti pressioni politiche sui DS (ma anche sulla Margherita) allo scopo di portarli ad avere un legame più stretto con i movimenti e quindi a indurli a spostarli su posizioni più radicali. [Operazione questa che se fosse stata portata avanti con il nuovo governo ne avrebbe aumentato la instabilità ndr.]. 9. Riferimento bibliografico Il tempo del cambiamento è ora, supplemento al ‘‘l’Unità’’ 2005. 266 Parte Undicesima 1. NOTE SULLA RIFLESSIONE FILOSOFICO-POLITICA DI ERNESTO BALDUCCI 1. Parte prima Se non c’è dubbio che l’opera di Maritain abbia influenzato il giovane Balducci (a partire dal ’45) altrettanto rilevante sarà l’influenza di La Pira (allora sindaco dc di Firenze) del quale — fra l’altro dirà ‘‘(...) incarnava la qualità del’ascetica cristiano e (...) nei confronti del comunismo ha rappresentato un’alternativa di tipo nuovo’’ (Il cerchio che si chiude, Manetti, 1986, p. 31). Ma naturalmente l’apporto maggiore che ebbe modo di dare La Pira all’A. fu la centralità dell’ecumenismo e della pacificazione sociale. Altrettanto rilevante — come sottolineato dall’a. stesso — il contributo dato da Mounier che gli permise di superare la teologia neo-scolastica indirizzandolo verso la cultura teologica e filosofica moderna. La fondazione nel ‘58 della rivista Testimonianze (alla quale collaborarono pacifisti intransigenti come Gozzini e Zolo) e la solidarietà dimostrata verso gli operai delle Officine Galileo e della Nuova Pignone, lo porranno in una posizione di implicita opposizione alla chiesa istituzionale che — attraverso il santo Ufficio — provvide a farlo allontanare da Firenze. 2. Parte seconda Mantenendo fede alla sua concezione ecclesiale e pacifista, nel ’63 Balducci manifestò la propria solidarietà agli obiettivi, la necessità di disobbedienza per i cristiani verso lo Stato e infine auspicò che l’odc fosse giuridicamente legittimata. La condanna — dietro denuncia della Regione Militare Tosco-Emiliana — non espiata determinò l’isolamento dell’A. nonostante l’aperta solidarietà di Pistilli (con il quale aveva collaborato già nel ’50). 3. Parte terza L’approdo nel 1965 alla Badia Fiesolana costituirà una svolta di radicale im269 portanza poiché — fra l’altro — gli consentirà di coordinare la sinistra testimonianze e perché questa diventerà il pulpito dal quale attuare una campagna di contro informazione a livello nazionale grazie alla quale — fra l’altro — avvierà il dialogo a sinistra (costruito a partire da un’ottimismo antropologico su base profetica). 4. Parte quarta Infatti ottimismo antropologico e apertura al marxismo costituiranno l’elemento caratterizzante della riflessione dagli anni settanta, periodo nel quale avvierà proficuamente un filtro culturale con Garaudy e approfondirà anche l’opera di Bloch. Concretamente tutto ciò lo condurrà a difendere la resistenza del popolo vietamita (e a ritenere gli USA — insieme a Basso e a Russell — criminalmente responsabili della guerra) e a promuovere le ECP attraverso le quali sperava di potere formare (noi diremmo attuare una scelta di guerra psilogica attraverso la contro informazione) le nuove generazioni al suo pacifismo intransigente che coniugherà all’etrocentrismo critico l’ispirato dai lavori di De Martino. Grazie alle riflessioni di Freud, Spengler, Lanternari , l’A. muoverà una critica, dai toni apocalittici alla cultura europea accusata di aver praticato nel corso dei secoli la discriminazione etnica portando al progetto di dominio sulla terra — possibile anche grazie al razionalismo illumista e al capitalismo. Se le critiche del marxismo rivolte al capitalismo sono condivisibili dall’A., è tuttavia chiaro il suo rifiuto sia nei confronti del capitalismo che nei confronti del comunismo sovietico, nei confronti delle quali ideologie la rivolta giovanile del ’68 e la nascita di culture alternative a quelle dominanti, saranno per Balducci un sintomo della crisi oramai prossima della civiltà occidentale. 5. Parte quinta Proprio attraverso la critica della civiltà occidentale, l’A. perviene alla chiara comprensione della centralità del tema della pace (fra gli anni ’80 e ’90) che costituisce per l’A. una svista di ‘‘principio architettonico per la costruzione di un modello’’ alternativo a quello usuale (L. Grassi, E. Balducci, maestro di pace in Testimonianze n. 361, 1994, p. 8), che consenta all’uomo di oggi il superamento delle differenze e gli permetta di avviarsi verso la realizzazione di un’utopia concreta (nel senso di Bloch) cioè quella dell’uomo planetario che si contrappone radicalmente al realismo politico. 270 Proprio confrontandosi con il realismo politico, l’A. giunse al radicale rifiuto della guerra giusta e — concretamente — al rifiuto dell’intervento militare in Iraq e in Kosovo e ad accogliere le proposte provenienti dalla teologia di Boff e di Dussel 1 (si veda a tale riguardo l’opera dell’A.: Le tribù della Terra: orizzonte 2000, ECP, 1991 e l’articolo apparso su Testimonianze, n. 327, 1990, pp. 13-14 dal titolo Il debito e la crisi del Capitalismo) e quelle eco-politiche di Morin. Anche l’assoluta centralità dei diritti umani — centralità determinata dal fatto che grazie ad essi la ragione si può manifestare nella Storia del mondo è in fondo volta a contrapporsi alla centralità — nel realismo politico — della forza e della astuzia di machiavellica memoria. Grazie a questo riconoscimento l’ONU rappresenta il primo esempio di costruzione di una civiltà sul diritto e non sulla guerra (EB, Un’altra via, ECP, 1994, p. 9). Altrettanto determinante sarà il tema della coscienza che non dovrà essere più interpretata come subordinata alle strutture del potere, ma che al contrario dovrà ritornare ad essere principio creativo ed elemento costitutivo della storia, coscienza che aprendosi all’Altro (secondo una lettura che Balducci mutua da Lévinas) sarà nelle condizioni di costruire un ethos cosmopolitico che consentirà all’umanità di superare la dicotomia amico/nemico e di rigettare in modo definitivo l’uso delle armi come strumento adatto per la soluzione dei conflitti. Alla luce di quest’ultima riflessione, la politica verrà radicalmente trasformata per diventare una ‘‘tecnica per costruire un futuro misurato sulle nuove possibilità del genere umano’’ (EB, Le Ragioni delle Speranze, Coines Edizioni, 1977, p. 121) grazie alla quale la società civile ritroverà il suo protagonismo e la città — accogliendo le riflessioni di La Pira — diventerà l’espressione più evidente di una solidarietà che non potrà mai esprimersi nello Stato. 1 Di quest’ultimo centrale per Balducci sarà il contributo in relazione alla centralità del Terzo Mondo come palese dimostrazione del fallimento del capitalismo. 271 2. PACE E NON VIOLENZA SECONDO CIPRIANI E MINERVINI Per illustrare le problematiche pacifiste che vengono formulate in un contesto interpretativo prossimo alla Caritas 1, prenderemo in rapido esame la preziosa opera dal titolo ‘‘L’Abecedario dell’obiettore’’ (ed. La Meridiana 1995) costruita intorno a voci strutturate in ordine alfabetico (ordine che solo in parte seguiremo). 1. Armamenti Secondo gli autori ‘‘la logica economica che considera le armi come una merce (...) è ovviamente in contraddizione con le esigenze umane e sociali’’ dal che se ne deduce agevolmente che coloro che le producono e che ne fruiscono sono da considerarsi veri e propri criminali. 2. Biblica Secondo gli autori — che portano a sostegno numerosi passi della Bibbia — la non violenza implica il ‘‘rifiuto assoluto di uccidere poiché (...) la vita umana è sacra e inviolabile’’. 3. Conflitto Partendo dall’interpretazione galtunghiana, l’A. rifiuta la doppia morale del conflitto che esisterebbe nelle società capitalistiche e nelle quale la religione e la pedagogia sono strumenti volti a rafforzare il consenso interno alle istituzioni di potere. Al contrario, l’uso della non violenza sarebbe in grado di porre termine alle varie forme di violenza tanto quanto la realizzazione — all’interno dell’ONU — di un corpo non armato e non violento. 1 Diego Cipriani è responsabile della Caritas nazionale per l’ODC. 272 4. Difesa popolare non violenta Concretamente la non violenza può trovare una sua adeguata forma di istituzionalizzazione attraverso la realizzazione della DPN che porterebbe — sul lungo periodo — all’abolizione delle F.A. L’A. conclude sottolineando che in ogni caso — con buona pace dell’ONU — ‘‘ogni guerra è eticamente politicamente, ecologicamente ed economicamente improponibile’’. 5. Ecumenismo Uno strumento considerato idoneo dall’A. per la soluzione dei conflitti proviene dalla CEC sorta nel 1948 uno strumento provenienete dunque dal contesto religioso istituzionale. 6. Femminile L’autentica cultura femminile — che naturalmente è quella del femminismo — rende il servizio militare assolutamente incompatibile con la natura autentica della donna che è anti-militarista. 7. Guerra Partendo dalla costatazione in base alla quale la partecipazione italiana alla guerra del Golfo ha costituito una sconcertante violazione della Costituzione, concretamente dobbiamo muoverci nella direzione dell’ODC e nella istituzione di forze non violente di pace. 8. Lotte sociali non violente Emulando — seppure sinteticamente Sharp — l’A. elenca le varie tipologie di conflittualità non convenzionale usate soprattutto in Italia. In particolare, di estremo interesse, per il nostro lavoro, sono quelle contro il nucleare (attuate via contro informazione, manifestazioni di protesta, blocchi stradali e ferroviari, referendum), quelle contro la militarizzazione, quelle per il riconoscimento dell’ODC e della obiezione fiscale, quelle degli studenti ‘‘che hanno portato alla democratizzazione dell’università e della scuola’’ quelle delle donne (in particolare 273 ‘‘la partecipazione delle donne alle lotte anti-militariste’’) e infine quelle delle comunità cattoliche di base. 9. Riconversione Se l’abolizione della guerra è il nostro scopo su lungo periodo — sostiene l’A. — a breve termine dobbiamo riconvertire le industrie militari attraverso iniziative politiche vote a esercitare pressioni per la riduzione delle spese militari e per il divieto di esportazione di armi del nostro paese. 10. Umani Diritti Dopo aver riconosciuto la assoluta centralità e inviolabilità dei diritti umani, l’A. propone una democratizzazione dell’ONU, attraverso: 1) la tutela internazionale dell’ODC sotto l’egida dell’ONU; 2) la creazione di una forza non violenta, 3) una presenza più incisiva delle ONG presso gli organi decisionali delle istituzioni internazionali. Quest’ultimo aspetto — ossessivamente ribadito dai pacifisti — è di particolare importanza perché ci mette nelle condizioni di comprendere la volontà di potere alla quale aspirano — al di là dei richiami demagogici all’amore fraterno — numerose ong (cattoliche in particolare). 11. Società e Difesa popolare non violenta Secondo Zanotelli, il nostro sistema economico ‘‘investe in morte’’ e proprio per questo — sottolinea Drago — la nostra società ‘‘deve essere cambiata radicalmente anche a costo di una lotta dura, prolungata e difficile’’. Insomma ‘‘occorre pensare ad un rivolgimento totale della società (...) che elimini i grandi centri di potere istituzionale e industriale’’ consentendo in tal modo l’autogoverno. Attraverso la DPNV — secondo Drago e Minervini — è possibile esercitare un reale antagonismo nei confronti della civiltà occidentale, poiché essa attiva un processo che disarticola determinate istituzioni di potere attraverso una alleanza tra soggetti sociali di base — che hanno attuato una conflittualità non convenzionale — e strutture istituzionali (partiti, sindacati e chiese). Una delle conseguenze più evidenti è la non legittimità del concetto usuale di sicurezza nazionale 274 che — sostiene Papisca — ‘‘risponde alla vocazione strutturalmente imperialistica’’ di uno Stato. L’alternativa — prosegue l’A. — è individuabile ‘‘nell’operato di espressioni organizzate di international civil society’’ e nei numerosi networks transnazionali e quindi — p.e. — nel superamento — sotto il profilo antropologico — del binomio militarismo/sessismo. 12. Chiesa e istituzioni militari Come ebbe modo di documentare storicamente Spadolini, la chiesa si oppose in modo radicale alla creazione degli eserciti moderni. A tale proposito Messori ricorda, opportunamente, come durante il Concilio Vaticano I, quaranta vescovi si opposero agli eserciti di massa e come Leone XIII condannò la leva obbligatoria. In modo significativo, l’A. riconosce che dietro questa ferma opposizione da parte della Chiesa, altro non c’era se non la profonda avversione allo Stato. 275 3. PACE E GUERRA NEL SAGGIO DI MAZZOLARI ‘‘TU NON UCCIDERE’’ * Pubblicato nel 1955 può considerarsi un documento fondamentale per la comprensione del cattolicesimo pacifista attuale. Per analizzarlo lo suddivideremo in brevi sezioni titolate. 1. Guerra A chi è in mano la guerra? Secondo l’A. la risposta è semplice: è in mano ai militari, ai politici e ai banchieri. Se solo l’opinione pubblica mondiale fosse coesa nel denunciarli porremmo fine ad essa. 2. Guerra e giustificazione La guerra non può essere cristianamente difesa poiché è ‘‘un peccato’’ (p. 25). Dobbiamo prendere esempio da martiri come Metzeger — per condannare ogni tentativo di invocare il nome di Dio per legittimarla. La costanza della guerra rivela come il messaggio evangelico non sia penetrato a sufficienza nelle coscienze degli uomini. Infatti una comprensione autentica del Vangelo ci consentiràdi comprendere come chi la promuove sia — al di là delle parole — un vero e proprio ateo. 3. La causa della guerra Non può che essere la miseria la prima causa della guerra. Essa sperpera in modo criminale risorse che potrebbero essere investite per risolvere i numerosi problemi dell’umanità. Le altre due cause sono da individuarsi nella natura umana portata — quando si allontana o rinnega il Vangelo — all’irrazionalità e alla bellicosità (p. 35). * San Paolo 1991. 276 4. Amore e vendetta Contrariamente alla morale pagana e farisea, quella cristiana — di fronte al nemico — assume un atteggiamento rivoluzionario: quello dell’amore e del perdono (p. 38). 5. Guerra difensiva La guerra difensiva è una espressione priva di senso — perché tutte le argomentazioni a sostegno — si fondano sull’egoismo dell’avere e non sull’amore che dona in modo disinteressato. 6. La Giustizia giuridica Se il contributo del diritto alla causa della pace è importante, è tuttavia condizionato storicamente perché non lascia spazio alla misericordia. Al contrario il messaggio evangelico è rivolto all’uomo in quanto tale ed è trascendente. 7. Perdono Il vero cristiano deve sapere perdonare e deve sapere riconoscere che concetti come Stato, nazione, democrazia etc. divorano l’uomo poiché sono prodotti dal quel mostro che è Moloch. 8. La logica della Forza e l’alternativa Chi può negare che la storia umana sia stata regolata dalla ‘‘gara del più forte che divora continuamente uomini e città’’ (p. 50)? Chi può negare che la guerra sia opera del diavolo? Contro tutto ciò il cristiano deve opporre la sua morale: quella di che vince lasciandosi uccidere, quella di chi è consapevole che la guerra non solo non ha mai risolto alcuna forma di ingiustizia ma al contrario l’ha aumentata insieme all’intolleranza e alla irreligiosità. Proprio per questo il cristiano deve prestare la propria fedeltà all’ordine eterno e non a quello temporale nei confronti del quale l’atto di disobbedienza è legittimo. A tale scopo, la teologia deve metterci nelle condizioni di ‘‘smascherare e di 277 colpire tutte quelle forme mentali (...) che preparano da lontano (...) le guerre 1’’ (p. 77). 9. La non violenza Essa è il rifiuto attivo del male cosı̀ come essa costituisce il rifiuto della indifferenza e del cinismo. Il suo profeta e il suo martire è stato Cristo. Chi la pratica non può che essere contro il realismo politico, contro l’egoismo camuffato da idealismo. Chi la attua non può che essere un autentico sovversivo. Chi la concretizza, con la sua azione, non può che porsi al di là del comunismo e del capitalismo: ‘‘la pace in bocca ad un comunista o ad un capitalista è una contraddizione’’ (p. 85) 10. Armamenti Se sinceramente si vuole la pace su questa terra la corsa agli armamenti deve essere arrestata poiché le armi — come l’arte della guerra — servono ad uccidere (p. 88). 11. Al di là delle barriere Il cristiano che pratica la non violenza deve rifiutare qualsiasi artificiosa contrapposizione tra oriente e occidente perché il cristiano si colloca al di fuori della logica temporale e quindi non può accettare di farsi proteggere ‘‘dal braccio secolare’’ (p. 90) ma deve al contrario perdonare superando la logica pagana dell’amico/nemico. 12. Attivarsi Allo scopo di superare questa barbara logica secolare e atea, il cristiano non violento deve trasformare in azione politica la azione profetica (p. 99). Come? ‘‘(...) creando un movimento di resistenza cristiana alla guerra, rifiutando l’obbedienza agli ordini (...) aiutando i movimenti federalistici’’ (pp. 101/104). 1 Neppure le guerre rivoluzionarie possono essere legittimate (p. 79) secondo l’A. 278 13. Conclusione Che il pacifismo — almeno quello esposto in tale saggio — sia di matrice irenica è indubbio. Altrettanto indubbia è l’esortazione dell’A. a rivoltarsi contro lo Stato (e quindi contro le istituzioni militari) ed è altrettanto evidente (al di là della anticipazione del pacifismo di don Milani) che la conflittualità non convenzionale promossa dall’A. abbia anticipato in modo chiarissimo le scelte di organizzazioni come Pax Christi e i Beati organizzazioni che, d’altronde, si richiamano esplicitante al messaggio di don Mazzolari. 279 4. NOTE SULLA RIFLESSIONE NON VIOLENTA DI LANZA DEL VASTO Se oramai — per riconoscimento unanime — l’opera e la prassi non violenta di del Vasto è considerata di capitale importanza per la storia del pacifismo in quale modo si è concretizzato l’impegno operativo e teorico dell’A. nel contesto della non violenza? Nell’affrontare la questione algerina l’attivismo pacifista si rivelò in tutta la sua importanza. A partire dal ’57 (Pacification en Algérie ou mensonge et violence) la condanna della guerra di Algeria fu netta tanto quanto netta sarà la sua condanna nei confronti della volontà colonizzatrice francese. Ma interessanti sono gli aspetti specifici sottolineati dall’A.: 1) in questa guerra l’esercito francese alternava la distruzione alla ricostruzione rivestendo il ruolo di aguzzino e benefattore allo stesso tempo; 2) l’impatto psicologico che ebbero le atrocità commesse in Algeria su giovani militari francesi fu devastante per il loro equilibrio psicologico; 3) sotto il profilo della denuncia la posizione dell’A. non si distinse da quella di Mounier e di Camus; 4) l’A. diede sempre il profilo sostegno a tutti coloro (come il Gen. Páris) che si rifiutarono di normalizzare la tortura; 5) l’A. propose — di fronte all’indifferenza alla complicità delle istituzioni — di organizzare uno sciopero di massa della durata di otto giorni, sciopero che avrebbe dovuto essere attuato dalla massa operaia (la quale invece collaborava facendo la guerra in fabbrica); 6) la posizione di del Vasto può essere raffrontata con quella del reverendo Delarlie cappellano militare della 10ª divisione paracadusti allo scopo di evidenziare con chiarezza l’esistenza di posizioni diametralmente opposte all’interno della Chiesa; 7) la condanna dell’A. della V Repubbllica — ed in particolare di De Gaulle — fu netta ed analoga a quella di Mazzolari, condanna che l’A. sperava avrebbe portato alla fine della guerra di Algeria; 8) per accelerarne la fine l’A. fu infaticabile nel portare avanti una campagna di contro informazione e altrettanto nell’invitare alla diserzione o al digiuno pubblico (che l’A. praticò per venti giorni); 280 9) come buona parte della stampa di sinistra anche l’A. paragonò i metodi adottati dai francesi a quelli della Gestapo; 10) di fronte alla scontata obiezione che i guerriglieri dell’FNL adottavano la tortura l’A. seccamente rispose — alludendo chiaramente al Vangelo — che ‘‘i torti altrui non ci giustificano’’ poiché ‘‘l’atrocità non castiga l’atrocità ma la fa raddoppiare’’; 11) le denunce dell’A., e di buona parte della Chiesa, induranno Camus a manifestargli stima e affetto; 12) l’A. non ebbe timore alcuno — durante il ’59 — nel denunciare l’assoluta illegittimità dei poteri speciali tributati ai prefetti. A tale proposito l’azione di Pyronnet, che permise un coinvolgimento ampio per protestare contro le residenze, trovò proprio nell’A. un entusiasta sostenitore; 13) la crescita della protesta, le numerose testimonianze contrarie alla guerra da parte cristiana portarono al riconoscimento dell’ODC, riconoscimento di cui Del Vasto fu uno dei più accaniti sostenitori; 14) l’opposizione dell’A. non poteva non rivolgersi anche alla corsa degli armamenti e non poteva non tradursi che attraverso la logica della non violenza: l’incursione pacifica — con i discepoli dell’ARCA — nella fabbrica di Marcoule (dove si stava portando a termine la bomba francese) fu un esempio eclatante di dissenso non violento; 15) proprio sulla corsa degli armamenti il pensiero di Del Vasto non mancò di essere chiaro: come si poteva parlare di equilibrio del terrore? Non era assurda questa espressione tanto quanto ‘‘evocare la rontondità del quadrato o il biancore del nero’’?; 16) invocando la teoria della guerra giusta si era cercato di annullare la dissuasione atomica contro la quale l’A. sottolinearà che l’opposizione al male si attua attraverso un ‘‘bene eguale e appropriato’’. In fondo per l’A. — come per Gandhi — ‘‘nell’ingiustizia è meglio essere vittima che colpevole’’ e l’unica soluzione possibile rimase l’azione diretta non violenta ‘‘la sola difesa coraggiosa e ragionevole della patria’’. 17) Azione di cui farà ampio uso Simone de Gebelin (moglie dell’A.) a partire dal ’59 proprio contro l’industria Marcoule azione abbinata al digiuno (come quella di Roma). Per quanto concerne la posizione pacifista dell’A. sotto il profilo teorico sono questi gli aspetti che riteniamo più appropriati: 1) con Gandhi anche l’A. rifiuta la modernità alla quale contrappone la comunità dell’ARCA; 281 2) la visione della storia dell’A. è indubbiamente escatologica 1 con implicazioni apocalittiche; 3) non c’è dubbio che l’A. abbia reinterpretato la filosofia gandhiana razionalizzandola alla luce della teologia; 4) con Gandhi anche l’A. era persuaso che la non violenza dovesse muoversi in due direzioni: quella della ricerca interiore e quella che partiva dalla società civile; 5) l’A. era persuaso che l’assenza di una filosofia non violenta, all’interno della civiltà attuale, avesse portato a interpretare da Natura come un oggetto da sfruttare; 6) una delle difficoltà per concretre la non violenza nella civiltà attuale dipendeva dalle convenzioni sociali e dalla legalità formale; 7) solo attraverso un ritorno al Bene sarà possibile liberarsi dal male, sarà possibile cioè superare la propria istintualità animale per giungere al conseguimento dell’amore. Ma a partire da cosa è possibile pervenire a questo cambiamento epocale? Partendo dall’analisi dell’Apocalisse 13, l’A. arriva alla consapevolezza che la scienza — diventando una vera e propria istituizione — abbia preteso di regolare l’intero sviluppo dell’umanità determinando la nascita delle armi di distruzione di massa. E proprio questa diabolica Forza che l’A. crede di individuare nell’Apocalisse 13 reinterpretandola alla luce della sua filosofia. L’alternativa concreta non potrà che essere la costituzione di piccole comunità che attuino relazioni umane basate sull’amore evangelico capaci quindi di modificare strutturalmente l’intera società. Al di là del riferimento specifico alla Bibbia, l’insieme delle riflessioni dell’A. sulla non violenza possono essere agevolmente estese a qualsiasi religione (proprio come aveva fatto Gandhi) dal momento che la non violenza costituisce una premessa indispensabile per mettere in pratica i precetti di qualsiasi religione e creare un nuovo modello di civiltà — basato sullo sviluppo armonico tra uomini (dal momento che per l’A. la non violenza è un progetto politico rivoluzionario volto anche a cambiare il modo di fare politica). Sotto il profilo strettamente teologico, l’A. era persuaso che proprio Cristo 1 Interpretazione mutuata dallo studio di autori quali Dahiéleu, Marcel, Buyere, Ellul che lo porterà a rifiutare il concetto stesso di progresso e a condividere una visione ascendente e a spirale della storia — assai vicina a quella di Benjamin — ma che le porterà soprattutto a prevedere che l’avvento del Regno di Dio si sarebbe attuato solo dopo la distruzione delle istituzioni politiche moderne, distinzione alla quale la Comunità dell’ARCA avrebbe dato un contributo fondamentale attraverso un modus rivendi radicalmente altro rispetto a quello della civiltà attuale, un modus vivendi alternativo che si era realmente ora presso i Guarani del Paraguay ora presso i Tolstoiani in Russa e infine presso i Gandhiani d’India. 282 fosse l’esempio migliore di non violenza e di conseguenza — sul piano operativo — il vero cristiano non poteva che delegittimare qualsiasi forma di guerra. Proprio incontrando Gandhi in India (ribattezzato dall’A. il novello Cristo), l’A. prende atto della possibilità di cambiare strutturalmente società a partire dalla non violenza attraverso comunità economiche autogestite che dimostrino la possibilità concretare una autentica alternativa alla realtà del mondo attuale e che attuino lotte sociali non violente opponendosi — p.e. — alla costruzione di tecnologie belliche e promuovendo — al contrario — l’ODC. Bibliografia Pacification en Algérie ou mensonge et violence, Harmattan, Paris 1988 Che cos’è la non violenza, Jaca Book, 1990 Per evitare la fine del mondo, Jaca Book, 1981 283 5. L’OSSERVATORIO INTERNAZIONALE DELLA ODADREK DI FRONTE ALLA GUERRA DEL KOSSOVO Il volume 1 analizza — secondo l’ottica della sinistra antagonista — sinistra ben radicata nel mondo accademico — le reali finalità della guerra del Kossovo attuando una contro informazione (dunque attuando una modalità tipica della guerra psicologica) attraverso i contributi di Rivera (Università di Bari), Accame, Oliva, Gallerano (Università La Sapienza), Persichetti (latitante della sinistra extraparlamentare), Modugno, Baracca (Università di Firenze), Paleologo (Università di Palermo), Ambrosino (corrispondente del ‘‘il Manifesto’’), Tarozzi (Università di Bologna), Portelli (Università La Sapienza) e Cesaretto (Università La Sapienza). Incominciano dal contributo della Rivera. 1. Rivera Secondo l’A. la guerra del Kosovo (da ora in poi gk ndr) — ben lungi dall’essere una guerra umanitaria — è stata al contrario un evento criminale ben mascherato dalla propaganda attuata dalle agenzie di marketing allo stesso modo gli equipaggi degli aerei che hanno effettuato i bombardamenti non sono altro che una ‘‘banda di assassini’’ e non un team di tecnici — come avrebbe voluto farci credere la propaganda — che svolgono il loro dovere con efficiente professionalità! Una guerra questa che ricorda anche troppo chiaramente le vecchie guerre coloniali (p. 60), una guerra che ha segnato ‘‘la débache della sinistra al potere (...) in una sostanziale accettazione del dominio imperiale’’ (p. 61). 2. Accame/Oliva Anche gli A. — ma ciò era assolutamente prevedibile — rifiutano la retorica 1 AV, Il rovescio internazionale, Odadrek 1999. 284 umanitaria della gk e, allo stesso modo della Rivera, emettono una sentenza di condanna senza appello nei confronti della sinistra di potere che ha tradito il suo anti-mililitarismo storico. 3. Gallerano Dopo una dotta rassegna relativa alle riflessioni di Klausewitz e Liddle Hart sul nesso guerra/politica, l’A. citando le affermazioni di Luttwak, arriva alla sorprendente conclusione che gli USA rappresentano il miglior esempio di un catastrofico ‘‘estremismo di fondo del capitale’’ ad una politica volta — insomma — drammaticamente e semplicemente a dominare (p. 104). In conclusione, quale contributo originale l’A. porta rispetto alle analisi del marxismo anni settanta? Semplicemente nessuno. 4. Persichetti Dopo aver esposto, in modo chiaro e senza demagogia, le principali scuole di pensiero delle relazioni internazionali, anche l’A. esprime una valutazione sarcastica nei confronti dalla attuale classe dirigente nazionale e non, proveniente in gran parte dalla sinistra marxista dagli anni settanta (particolarmente ironico è il giudizio su Blair, p. 125) e formula un giudizio di dura condanna nei confronti del diritto di ingerenza osservando che la logica che lo regola è: ‘‘estremamente aggressiva, dicotomica, semplicistica ed eccentrica’’ (p. 128), logica questa che trova una sua legittimazione nell’eticismo panpenalista e il suo nemico nell’autodeterminazione. 5. Modugno Servendosi dell’analisi di Sweezy anche l’A. ritiene che la guerra costituisca uno strumento essenziale alla sopravvivenza dell’Impero USA dal momento che solo un investimento massiccio nella industria militare consente di contrastare le crisi economiche. D’altronde, è proprio Umberto Agnelli a confermarlo, non tanto indirettamente, in una intervista che l’A. riporta solo in parte ma in modo assolutamente consono. E che dire — infine — del sintetico profilo biografico di Milosevic (p. 141) dal quale emerge chiaramente quanto inverosimile sia il ritratto demagogico fattore dai media? 285 6. Baracca Come suo costume l’A. si sofferma sulla dimensione ambientale che la guerra ha prendendo come termine di paragone le implicazioni sull’ambiente della Guerra del Golfo. Non senza ironia si domanda — al di là del fatto che questa guerra rientra nella lotta per il controllo delle risorse — quale senso possa avere, da parte delle superpotenze, decidere la riduzione delle emissioni se per le guerre le nazioni determinano danni ambientali enormi. 7. Paleologo Dopo aver osservato la rivoltante ipocrisia di quei paesi — come l’Italia — che intrattenevano buoni rapporti con la Serbia di Milosevic — l’A. sottolinea come una delle cause dell’intervento sia facilmente individuabile nella volontà USA di marginalizzazione la Russia creando i presupposti per un ritono al clima della cold war. 8. Ambrosino L’A. si sofferma — da un lato — sul denunciare il divario esistente tra il programma politico della coalizione tedesca rosso-verde e la volontà interventista e dall’altro lato sottolinea la futilità delle argomentazioni di Grass e Habermas. 9. Cesaratto L’A. — come Zolo — (commentato dalle scrivente nelle parti precedenti) individua quattro cause di questa guerra: dal controllo strategico dei corridoi, all’accerchiamento della Russai, alla volontà di incrinare l’unificazione europea fino alla volontà di sostituire l’ONU. Seguendo questa direzione anche Carraro (nella Appendice 1) fornisce motivazioni analoghe sulle cause della guerra. 286 6. INFORMAZIONE, SCIENZA E GUERRA SECONDO IL COMITATO SCIENZIATE E SCIENZIATI CONTRO LA GUERRA * Analogamente ai volumi precedenti anche in questo caso svolgeremo una sintetica rassegna delle principali riflessioni degli autori. 1. D’Orsi L’A. (Università di Torino) dopo aver passato brevemente illustrato alcune opinioni di noti intellettuali europei sulla guerra, giunge alla conclusione che le istituzioni militari sono sempre alla ricerca di intellettuali in grado di legittimare l’ interventismo militare (p. D.Annunzio, Marinetti) o in grado di diventare consiglieri del principe (p. 21). Al contrario gli intellettuali indipendenti sono tutti coloro che — nel corso della storia recente o meno — si sono schierati contro i rigurgiti militaristi degli Stati (l’A. cita, a mo’ di esempio, l’appello contro la guerra del Kosovo lanciato da Lori, Pivano etc.). 2. Savio Dal punto di vista strettamente accademico è possibile trovare una valida alternativa al ricorso della guerra, affrontando le problematiche conflittuali in un’ottica completamente diversa e lontanissima dall’usurato paradigma del realismo politico: lo studio scientifico della pace del quale — l’A. del Centro Studi ‘Sereno Regis’ — è nel nostro paese un noto tecnico. Indubbiamente la sua predilezione è rivolta alla rete Transcend fondata da Galtung nel 1990. 3. Barone, Marenco e Martocchia Gli A. — appartenenti rispettivamente all’Università di Roma, all’Esea e alla Sissa — attribuiscono l’origine della gk alla esigenza di conseguire l’egemonia dei * Contro le nuove guerre, Odradek, 2000. 287 Balcani, da parte USA, per l’importanza decisiva del corridoio cinque e otto. Un ruolo — sovente sottovalutato — rilevante è stato svolto dalle agenzie USA di marketing che hanno portato avanti una sottile campagna di disinformazione cercando di dare una parvenza di legittimità — come d’altronde ha fatto in modo grossolano D’Alema — ad un intervento che altro non è stato che una occupazione in piena regola (p. 50). 4. Peyretti Come, concretamente, contrastare la disinformazione ufficiale? Secondo l’A. — del Centro Studi ‘Sereno Regis’ — è possibile farlo seguendo le indicazioni di Galtung che sollecita gli attivisti pacifisti a creare network informativi autonomi strettamente collegati a internet, allo scopo di promuovere una efficace contro informazione che potrebbe diventare, in seguito, un vero e proprio giornalismo della pace (si pensi in Italia a Peacelink o a Warnews). Significativo che l’A. riconosca come ‘Avvenimenti’, ‘Rinascita’ e ‘il manifesto’ siano giornali impegnati per la pace! In altri termini: la informazione è corretta se risponde ai presupposti del pacifismo ma, al contrario, se è costruita dalle istituzioni (p.e. quelle militari) è certamente falsa o omissiva. Dopo una serie di articoli — che documentano la pericolosità per l’uomo e per l’ambiente dell’uso delle munizioni contenenti uranio impoverito — segue un saggio a cura dei Medici contro la tortura nel quale — al solito — le istituzioni militari sono criticate senza mezzi termini. Proprio contro la militarizzazione in atto dello Stato deve organizzarsi una società civile consapevole. 5. Di Fazio L’A. — dell’Osservatorio astronomico di Roma — prende atto che il petrolio, è allo stato attuale, la più preziosa fonte energetica a causa della quale ‘‘l’attuale sistema di mercato sta trascinando l’umanità in una folle corsa verso un livello di distruzione mai vista’’. L’alternativa? L’utilizzo sistematico delle fonti alternative, e il cambiamento profondo dell’attuale sistema economico potrebbero farci evitare un esito drammatico per la sopravvivenza contrariamente alle ridicole proposte del FMI e della WB volte soltanto a mantenere intatta la crescita economica attuale. Sia Baracca (dell’INFN) che Polcaro (del CNR-IAS) sottolineano la spaventosa crescita della spesa militare americana (dal dimostrato ritorno alla politica nucleare fino ai nuovi scenari aperti dall’SDI e dalla cyber-war) contro la quale — 288 pare — non ci sia sufficiente opposizione internazionale. Accanto agli investimenti elevatissimi vengono effettuati — soprattutto da parte USA — investimenti militari di minore entità volti a perfezionare le armi non letali sorte per controllare un territorio nel quale la popolazione pratica una lotta armata rudimentale o una lotta non convenzionale. L’ultimo saggio è una sorta di coronamento del volume e nel contempo è frutto di una scelta politica precisa da parte del curatore Massimo Zucchetti. Scritto da Gualdron — membro delle FARC-EP — costituisce un atto di accusa durissimo nei confronti degli USA 1 che vorrebbero la balcanizzazione del conflitto ma che in realtà diverrà ‘‘una vietnamizzazione del conflitto grazie alla partecipazione di un ampio ventaglio di organizzazioni e settori sociali’’ (p. 264). Il senso dell’articolo — nel contesto del volume — è chiaro: la difesa della guerra rivoluzionaria colombiana. In conclusione, grazie alla grammatica della guerra psicologica (ed in particolare alla contro informazione) le istituzioni militari, il capitalismo, la politica estera USA e quella della Nato sono condannate senza mezzi termini secondo un cliché propagandistico caratteristico comune alla stampa comunista degli anni Cinquanta e di quella della sinistra extraparlamentare degli anni Settanta. 1 In particolare nei confronti del Gen. Wilhem e del Gen. McCaffrey. 289 7. NEUTRALISMO E DISARMO NUCLEARE NELLE RIFLESSIONI DI EDWARD THOMPSON Proprio per tale ragione un rapido esame della raccolta di articoli pubblicati in lingua italiana costituisce un importante punto di riferimento per la comprensione della contro informazione attuata non solo dall’A. ma, implicitamente, anche dal movimento anti-nucleare europeo. 1. Contro la dissuasione nucleare L’origine della dissuazione è facilmente individuabile nella volontà USA sia di attaccare per primi la Russia che di dimostrare la superiorità militare USA (p. 6). Non poche delle riflessioni strategiche sulla dissuasione sono o meri imbrogli teorici o costituiscono un pericolosissimo ritorno alla barbarie. Tutto ciò ha contribuito — in modo decisivo — alla progressiva militarizzazione e quindi alla crescente influenza del complesso militare-industriale. L’unica alternativa è la formazione di una nuova alleanza tra la società civile e gli studiosi per ‘‘filare la trama della pace’’ per evitare che ‘‘ogni cultura e ogni politica abbiano fine’’. 2. Libertà di informazione e movimento anti-nucleare L’A., dopo aver illustrato i tentativi abortiti di varare un pacchetto di nome — da parte del governo della Thatcher — volte a limitare la libertà di informazione sottolinea l’ampia estensione delle intercettazioni illegali dei servizi di sicurezza ai danni della società civile e pone l’enfasi sul lavoro di alto valore fatto da tutti quegli scienziati ed intellettuali che hanno cercato di rendere trasparente l’informazione e di divulgare tutte quelle notizie utili per comprendere la logica del potere. Naturalmente il contributo determinante è stato dato dal movimento anti-nucleare (iniziato con il rifiuto della Danimarca di ospitare i Cruise) che, p.e., in Olanda ha trovato modo di esprimersi al meglio grazie ad un’alleanza trasversale tra i partiti di sinistra e le chiese concretizzatasi attraverso petizioni e cortei. Solo in un secondo momento la mobilitazione sviluppatasi in UK grazie 290 ai sindacati e al partito laburista — a partire dal 1980 — in tutta Europa attraverso una campagna comune ha formulato le seguenti richieste: 1) bloccare i Cruise, i Pershing II e gli SS-20; 2) creare zone denuclearizzate; 3) creare le condizioni per una reale libertà di informazione tra Est e Ovest e 4) aprire una breccia all’interno dei media a favore del movimento per la pace. 3. La genesi della cold war Secondo l’A. la causa della cold war andrebbe ricercata ‘‘nella frattura centrale tra gli uomini, nel polo assoluto di potere’’ (p. 49) insomma nella élite al potere (politica e militare) che, per rendere accettabile la dissuasione nucleare, ha prima ‘‘sterminato il processo democratico decisionale’’ (p. 59) e poi ha creato un vero e proprio sistema di sterminio le cui caratteristiche sono fra l’altro analoghe a quelle del militarismo e dell’imperialismo nel quale l’ideologia anti-comunista svolge un ruolo determinante. Proprio per la sua connotazione ideologica, il sistema dello sterminio nucleare crea al proprio interno una reazione di avversione che, grazie al movimento no-nuclear, acquisterà una portata internazionale, movimento che promuovendo l’internazionalismo e il neutralismo arriverà a minacciare il sistema di potere occidentale sovietico 1, sistema che — attraverso il confronto militare potenziale — ‘‘rinnova continuamente le sorgenti del totalitarismo’’ legittimando le attività illegali dei servizi di sicurezza, ‘‘consolidando le burocrazie repressive di stato e limitando lo spazio per i diritti umani’’ (p. 113). In fondo, i due sistemi si sono trovati d’accordo anche nel tacciare di eversione i movimenti democratici perché ‘‘non vogliono che facciano causa comune’’ (p. 118). 4. Neutralismo La posizione neutralista — che ha trovato in uomini come Albrecht, Faber, de Smaele, in Bahre e in Coates alcuni noti esponenti — al di là della propagan1 Secondo l’A. entrambi i sistemi vanno verso una progressiva militarizzazione — per quanto il militarismo possa benissimo esistere in una democrazia — e proprio contro di essa si basse il movimento anti-nucleare europeo, proprio per espellere le armi e le basi nucleari dall’Europa, proprio per il ritiro incondizionato delle armi nucleari USA e URSS. 291 da volta a screditarlo — costituisce una scelta politica fondamentale per il movimento no-nuclear poiché favorisce ‘‘la causa della libertà e della pace’’ (p. 130) e — a sua volta — il movimento per la pace e il disarmo favorisce l’unica vera sicurezza, attraverso un’alleanza politica trasversale che comprende socialisti, sindacalisti, liberali, religiosi ed ecologisti. 5. Conclusione Nonostante l’indubbia efficacia del movimento no-nuclear in Europa e negli USA, su lungo periodo i suoi scopi di denuclearizzazione globale sono miseramente falliti a causa della rinnovata fiducia nella politica nucleare Nato (da parte dei vertici militari europei e non), a causa dell’ampliamento della NATO (contrariamente alle aspettative di uno suo scioglimento auspicato da tutto il movimento no-nuclear) e infine a causa della estensione dell’intervento NATO attraverso le Forze di Proiezione Rapida. Quanto agli USA e all’URSS — pur proseguendo nello smantellamento graduale degli arsenali atomici in ottemperanza ai trattati internazionali — non solo non hanno rinunciato alla politica nucleare ma ne hanno perfezionato la tecnologia. 292 8. L’ETICA PLANETARIA SECONDO IL DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA DELLA UNIVERSITA DI MACERATA Sotto il profilo teoretico lo scopo del volume (‘‘Etiche della mondialita’’) è quello di individuare gli aspetti essenziali di un’etica planetaria, un’etica in grado di superare la dimensione conflittuale del mondo attuale, un’etica che ‘‘orienti l’agire di governi, popoli, gruppi e singoli secondo un nucleo comune di criteri e di valori’’ (p. 200). Facendo riferimento alle riflessioni di noti filosofi e teologi quali Jaspers, Jonas, Henrich, Hösle, Apel, Morin, Huber, Reuter, Balducer, Boff, e Levinas. Per conseguire tale ambizioso obiettivo è necessario il superamento della morale conseguenzialistica e dell’etica del male minore che concretamente svuota di significato la ‘‘dimensione normativa del discorso morale’’ (p. 203). Proprio per tale motivazione, l’etica conseguenzialistica accetta di legittimare le guerre o persino le torture purché siano in grado di ‘‘evitare danni maggiori allo stato’’ che attua tali scelte. Il bersaglio degli autori è insomma agevolmente individuabile nelle riflessioni di Walzer e Nye ritenute responsabili di aver legittimato la guerra in Iraq. In altri termini, l’etica planetaria della quale discutono gli A. dovrebbe, al contrario, legittimare le posizioni pacifiste e anti-militariste su base filosofica. Non a caso, al di là dei riferimenti — sempre positivi — alle opere di Zolo, il volume illustra la riflessione di autori — quali Boff e Balducci — le cui posizioni ideologiche rispondono pienamente a quelle del pacifismo anti-militarista (e — aggiungiamo — anti-americano). Ad ogni modo, ritornando alla etica planetaria degli autori, quali caratteristiche dovrebbe possedere? La prima caratteristica dovrebbe essere quella della dimensione dialogica, la seconda dovrà essere quella della giustificazione normativa alla quale l’etica planetaria deve fare riferimento per trovare una sua legittimazione; la terza caratteristica dovrà consentire all’etica planetaria di svolgere una funzione normativa ed infine l’esercizio della critica dovrà esser fondamentale per delegittimare qualsiasi etica o politica che voglia giustificare ‘‘il sacrificio della vita o dei diritti di chiunque in nome di un bene superiore’’ (p. 206). Facendo proprio la tesi di Levinas, gli A. condividono il primato dell’altro sull’io, il superamento dell’etica individualistica medesima (quella di Locke e Hobbes p.e.), il rifiuto del realismo politico e quindi il rifiuto della ‘‘legittimazione della Real politik in nome di un’etica della responsabilità’’ p. 225), il rifiuto della globalizzazione economica e, al contrario, l’accettazione 293 della filosofia che alimenta i nuovi movimenti della pace (p. 232) e la accettazione dell’opera dei centri di informazione alternativa sulla mondialità. Insomma, a mo’ di conclusione, gli A. auspicano un superamento radicale dell’attuale modello di sviluppo e un radicale superamento della concezione della politica come arte del dominio. 294 Parte Dodicesima 1. ODC: UNA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE LEGALIZZATA 1. Premessa Il volume che prendiamo in considerazione — oltre ad offrirci una vasta rassegna di opinioni espresse da numerosi ex ODC Caritas — dimostra quanto radicato sia oramai divenuto l’anti-militarismo all’interno delle istituzioni (religiose, universitarie, industriali, politiche, giuridiche etc.) e quanto siano considerate ‘normali’ e ‘legali’ le tecniche della conflittualità non convenzionale. 2. Cavagna L’A. — fondatore del GAVCI nel 1977 e del CEFA — fu uno dei primi a fare formazione nell’ambito dell’ODC e — allo scopo di protestare contro la legge del ’72 — promosse un digiuno per 27 giorni, si incatenò all’Altare della Patria per ‘‘protestare contro il taglio delle 2000 lire giornaliere per la formazione (p. 18) e occupò in modo non violento il Ministero della Difesa Insomma l’A. fece uso di modalità operative tipiche della conflittualità non convenzionale. 3. Chiavacci L’A. — deputata nelle liste dei progressisti — ricorda l’ostruzionismo dell’MSI e la collaborazione — parziale — del PDS nei confronti della Legge dell’ODC nel ’92. 4. Codrignani L’A. — presidente della LOC — dopo aver difeso le battaglie di Capitini a favore dell’ODC, ricorda l’uso fatto di una tecnica tipica della contro informazione: il volantinaggio in virtù del quale denunciava l’assurdità della Festa del 4 novembre. L’A. propone di tutelare — anche in Italia — eventuali casi di diser297 zione (come ad Israele). Interessante — infine — rilevare come l’autrice, in qualità di parlamentare della sinistra indipendente, abbia partecipato più volte alla Commissione Esteri e Difesa. 5. Drago Allievo di Del Vasto, vicepresidente del MIR e presidente del Comitato, rivendica con orgoglio cattolico la lunga marcia verso le istituzioni passando attraverso la LOC e sottolinea la legittimità della battaglia della Caritas contro il Ministero della Difesa ai tempi di Spadolini. 6. Fabbrini Dopo sei mesi di carcere per la sua ODC al servizio militare, divenuto vicepresidente del MIR, riconosce nell’intervista che ad influenzarlo profondamente furono le azioni agli scritti di Balducci, Milani e La Pira. A tale riguardo, assai significativa ci pare una affermazione dell’A., secondo il quale ‘‘non c’è un obiettore che non si muovesse da ragioni religiose’’, e ciò testimonia la radicale avversione alle istituzioni militari presente all’interno del cattolicesimo. 7. Gozzini Primo esempio — nel ’62 — di ODC cattolico, riconosce la profonda influenza esercitata sulla sua scelta di Balducci e da Mazzolari e soprattutto — nella intervista — sottolinea la esistenza — all’interno della Chiesa — di una lunga tradizione anti-militarista. Inoltre, ricorda la sua militanza all’interno del gruppo di studio che faceva capo a Panzieri. Tuttavia — ai fini del nostro lavoro — fondamentale è l’ammissione dell’A. di aver promesso azioni di contro informazione relativamente ai disertori pacifisti americani (p. 41) e l’auspicio che il pacifismo radicale sia chiamatooggi âcostruire un progettoalternativodi società’’ (p. 1). 8. Monterubbianesi Fondatore della Comunità di Capodarco, svolse fin dal 1969 il ruolo di protettore degli ODC nascondendoli a Capodarco e promuovendola a livello istituzionale in un secondo momento. Rileviamo come — ancora una volta una strut298 tura cattolica — abbia rivestito un ruolo determinante nella promozione di una cultura anti-militarista e sotamzialmente anti-statalista. 9. Paolicelli È significativo che l’A. — fondatore dell’AONV — riconosca che durante la campagna per l’approvazione della legge sull’ODC, solo il Manifesto e Avvenire dimostrarono il loro appoggio. 10. Venditti Anche l’A. riconosce il contributo determinante di Capitini e La Pira — oltre che Sereno Regis presidente del MIR — alla sua formazione; ma tuttavia il dato rilevante da evidenziare è che l’A. è un membro della Corte costituzionale e che ha modificare profondamente il Codice Militare di pace e di guerra. Questo dimostra l’indubbia efficacia di una guerra di logoramento portata fin dentro le istituzioni. 11. Battaglia Direttore della Caritas di Ragusa, l’A. è un alto prelato della Chiesa cattolica che senza mezzi termini arrivò ad appoggiare le proteste anti-Comiso. 12. Bazzarri L’A. — presidente della Fondazione don Gnocchi — riconosce come determinante l’esistenza di scuole di formazione socio-politica promosse dalla Caritas a favore degli ODC e sottolinea altresı̀ il ruolo determinante svolto a loro favore dal Card. Martini. D’altronde, proprio all’interno della Caritas, esiste un apposito Dipartimento volto alla ‘‘Educazione alla pace e alla mondialità’’fondamentale ed autorevole strumento di guerra psicologica anti-militarista. 13. Nervo Presidente onorario della Fondazione Zancan sottolinea un dato storico di 299 grande rilievo: nel ’76 — durante il Convegno ecclesiale — all’interno della VI Commissione passò all’unanimità la promozione del servizio civile. 14. Piovanelli Cardinale dal 1985, l’A. negli anni settanta si fece promotore di manifestazioni di proteste contro le Officine Galilei di Firenze, cioè contro le industrie militari. 15. Tavassi Anche l’A. — membro della Commissione nazionale delle Pari opportunità — ricorda la storica decisione della VI Commissione del Convegno Ecclesiale del 1976 sottolineando l’ampio consenso che ricevette la decisione di promuovere l’ODC, da parte di tutte le maggiori associazioni cattoliche. 16. Tubino Padre storico della Caritas di Genova, promosse nel maggio del 1989, una manifestazione di protesta contro la Mostra Navale Bellica allestita nella città ligure riuscendo ad impedire che si svolgesse nuovamente. 17. Girardi Anche l’opinione dell’A. — ex direttore dell’IRES di Trento — è di estremo interesse per comprendere quanto scontato sia l’anti-militarismo all’interno delle istituzioni. A conclusione dell’intervista, l’A. esprime l’esigenza di continuare a promuovere una cultura contro l’esercito e contro la guerra nonostante l’ODC sia stata istituzionalizzata. 18. Lusetti Deputato della Margherita è stato — come et-ODC e ex DC — uno dei principali promotori nell’area democristiana della ODC. 300 19. Milanese Ex vicedirettore della Caritas di Udine, perfezionò — negli anni ’80 — le principali tecniche di non violenza — con la benedizione di Mons. Battisi — e all’interno della Università promosse — in occasione della guerra in Iraq — un seminario di 15 giorni autogestito sull’educazione alla pace. 20. Russi Sostituto procuratore a Bari, oltre ad aver svolto l’ODC presso la Caritas barese, è un convinto sostenitore della DPNV. 21. Zuccato Dirigente FIAT ha svolto l’ODC negli anni ottanta presso la Caritas di Torino. 301 2. NOTE SULLA RIFLESSIONE PACIFISTA DI TOLSTOJ * Non c’è dubbio alcuno che la meditazione pacifista dell’A. abbia trovato il proprio fondamento nella religione e più esattamente nello studio del Vangelo che — fra l’altro — gli consentirà di avallare ulteriormente il proprio anarchismo politico e di giustificare la profonda avversione verso le chiese accusate di avere consapevolmente travisato il messaggio di Cristo. Proprio riflettendo sul Vangelo l’A. giungerà a individuare nella non resistenza al male la chiave di volta del messaggio cristiano e a comprendere la fondamentale importanza dell’ecumenismo (grazie al quale giunse a formulare un giudizio entusiastico di Confucio e LaoTse) e della dimensione profetica (grazie alla quale era convinto di poter prevedere per l’Europa e il mondo solo stragi e sciagure). Se la complessa articolazione del messaggio evangelico fosse stata accolta dalle giovani generazioni allora queste avrebbero potuto agevolmente rinunciare alle superstizioni del patriottismo, della scienza, del socialismo e della religione istituzionalizzata. In particolare, del Vangelo era indispensabile capire la portata rivoluzionaria della non resistenza al male e quindi del perdono nei confronti del nemico (non resistenza già praticata dai Quaccheri). Il male — infatti — non si può che sconfiggere con l’amore e attraverso la non partecipazione (p.e. al servizio militare o alla politica) grazie alla quale la violenza sarà isolata e perderà forza gradualmente. Ma un’operazione cosı̀ elevata spiritualmente, presuppone che colui che la pratica attui una profonda trasformazione dentro se stesso, giungendo a rifiutare ogni forza di violenza (quella praticata p.e. dai tribunali, dalle carceri e dalla pena di morte). A proposito della violenza determinata dalla guerra questa è sempre determinata da 4 semplici cause: 1) le ingiustizie economiche; 2) l’esistenza della casta militare e 3) l’esistenza delle religioni false e 4) l’esistenza dello Stato. * Tolstoj - il profeta, Ed. Gabrielli, 2000. 302 A tale proposito il rifiuto dello Stato fu assoluto e di chiara matrice anarchica tanto quanto radicale fu la critica alle false democrazie che danno solo l’illusione della libertà (conseguibile solo attraverso l’autogoverno). Gli unici strumenti legittimi — per un cristiano — per abbatterlo sono la disobbedienza civile e la non collaborazione (attraverso cioè tecniche tipiche della conflittualità non convenzionale) che porteranno alla realizzazione di piccole comunità agricole. La soluzione violenta proposta da anarchici e marxisti è la conseguenza di una evidente malafede: non la liberazione dal male si propongono costoro ma il conseguimento del potere perché la loro azione nasce dalla ambizione e dalla invidia verso coloro che il potere lo esercitano. [Come già ripetutamente detto non è nelle nostre intenzioni esporre la storia del pacifismo e della non violenza attraverso i suoi protagonisti ma semplicemente quello di individuare gli aspetti essenziali della conflittualità non convenzionale]. 303 3. NOTE SULL’ANTI-MILITARISMO DEL PARTITO RADICALE ITALIANO Anche il PRI — come gran parte della sinistra radicale europea — ebbe modo di manifestare un atteggiamento di intransigente anti-militarismo in alternativa al quale veniva indicato il pacifismo militante. Nello specifico gli esponenti del PRI — e fra questi in particolare Cicciomessere e Pannella — espressero chiaramente: 1) l’esigenza di riconvertire le strutture militari in civili; 2) la necessità di portare l’Italia fuori dalla NATO; 3) la necessità di promuovere a livello nazionale un movimento anti-militarista in grado di creare uno iato tra istituzioni militari e Società civile; 4) la necessità di demilitarizzare e denuclearizzare la Sardegna; 5) l’utilità — a livello di contro informazione — di promuovere marce antimilitariste; 6) l’assemblea e la improrogabile necessità di promuovere l’approvazione della CDC; 7) l’opportunità di promuovere un referendum abrogativo dei codici militari e della normativa relativa ai tribunali e alle carceri militari. Sul piano strettamente operativo — i collegamenti con contesti anarchici e beatnik indussero (fra il ’66 e il ’67) alcuni militanti radicali ad attuare una tipica tecnica di contro informazione: il volantinaggio contro la parata militare del 2 giugno. In secondo luogo, la marcia Milano, Vicenza svolta nel ‘67 fu finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica e a creare uno spazio di collaborazione antimilitarista con anarchici e M/L e numerosi membri di comunità ecclesiali. Sotto il profilo strettamente politico i valori che ispiravano la loro prassi conflittuale furono indubbiamente la profonda avversione ai valori militari, l’avversione al peso politico occulto esercitato dall’intelligence, l’assoluta contrarietà all’esistenza stessa della industria militare e la pericolosità individuata nelle modificazioni strategiche del pensiero militare. A tale proposito proprio il Congresso anti-militarista (organizzato a Milano nel novembre del 1989) promuoveva, senza mezzi termini, la dissoluzione dell’esercito e osservava come le F.A. stessero oramai rivolgendo la loro attenzione al contrasto violento della lotta di classe. Tuttavia, uno dei contributi di maggiore 304 efficacia, dati all’organizzazione politica anti-militarista fu il peso esercitato all’interno della parlamento, peso politico che si concretizzò — nel 1972 — nel proporre che il finanziamento all’ODC prevenisse dalla Difesa in modo tale da sottrarre risorse alla spesa militare. Proprio a partire dagli anni Settanta le modalità operative non conflittuali raggiunsero il loro apice attraverso: 1) i digiuni di protesta; 2) le pressioni sul parlamento inviando migliaia di cartoline alla Commissione Difesa della Camera; 3) l’azione diretta a favore degli obiettori processati; 4) la lotta di protesta all’interno delle carceri militari (si pensi a quella di Ciccionessere nel ’72); 5) politiche per aumentare la pressione e sulle istituzioni parlamentari attraverso la creazione di alleanze trasversali con LC, comunisti, socialisti che — p.e. — riuscirono a indurre Pertini a far approvare con urgenza (anche grazie allo sciopero della fama di Pannella 1 e Gardin) la prima legge sull’ODC [della Lega per la promozione dell’ODC]. Un altro contributo — politicamente rilevante — sarà la realizzazione della LOC 2 nel 1973 all’interno della quale — nel volgere di breve termine verrà combattuta una ‘‘guerra’’ per l’egemonia politica! Bibliografia Angelo Bandinelli, Anti-militarismo, ‘‘La Prova Radicale’’, n. 1, 1977. Roberto Cicciomessere, Diario di ricordi di Peschiera, ‘‘La Prova Radicale’’, n. 4, 1972. 1 La protesta fu dall’esterno sostenuta anche da celebrati intellettuali quali Sartre, Silone e in particolare da Balducci. 2 Proprio grazie alla LOC — nel ’75 — venne proposta la istituzionalizzazione della DPNV. 305 Parte Tredicesima 1. PREMESSA Come più volte sottolineato — nel corso del volume — la conflittualità non convenzionale ha — storicamente — avuto modo di concretarsi attraverso l’azione non violenta, la disobbedienza civile ma anche attraverso la Psycological Warfare che ha trovato modo di esprimersi con particolare efficacia nel cinema 1. Premesso, che non è certo nostra intenzione illustrare l’evoluzione della contro informazione anti-militarista nel corso di tutta la storia del cinema contemporaneo, faremo riferimento solo ad alcuni casi paradigmatici dai quali emergeranno riflessioni 2 che abbiamo avuto già modo di illustrare nelle parti precedenti. 1 Cinema a parte è utile ricordare che anche la musica svolge un ruolo di estremo rilievo nella guerra psicologica. Si pensi al gruppo ChumbaWamha sorto nel 1985 — e in particolare a canzoni come ‘‘Mr. Heseltine Meets His Public’’ — ai Rage Against the Machine nato nel 1990 — e all’album ‘‘The Battle of Los Angeles’’ — a quello ‘‘Evil Empire’’ —, ai 99 Posse e all’album ‘‘La vida que vendra’’ gruppo che ha collezionato un numero elevato di imputazioni penali. 2 Più nel dettaglio: l’antimilitarismo, l’anticapitalismo e il terzomondismo. 309 2. L’ANTIMILITARISMO IN STANLEY KUBRICK * Come è noto Pathsof Glory fu prodotto nel 1957 ed ebbe come oggetto la prima guerra mondiale (più precisamente la guerra di trincea tra tedeschi e francesi nell’agosto del 1916). Sia il Gen. Mireau che il Gen. Broulard appiano come personaggi cinici, disinteressanti alla vita o alla morte dei loro soldati ma interessati a giocare con le loro vite per questioni di potere e di carriera tanto quanto il maggiore Santi-Auhan che considera i soldati esseri inferiori. Quanto alla citazione di Samuel Johnson ‘‘il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie’’ questa viene fatta proprio da un ufficiale — Dax — allo scopo di mostrare l’assenza di coesione gerarchica oltre naturalmente a mostrare il disprezzo del registra verso ideali privi di valore. Un ulteriore prova del processo di degradazione, tipico delle istituzioni militari, ci viene offerto dal regista quando l’accusa di Paris non viene considerata attendibile perché la parola di un soldato non è assimilabile a quella di un ufficiale. L’apice del disprezzo della vita umana da sacrificarsi in nome del proprio potere viene raggiunto dal registra quando mette in bocca a Mireau l’ordine di bombardare le proprie linee e quando chiede che vengano fucilati 100 uomini per punizione. La scelta del numero dei soldati viene fatta su base paramente arbitraria tanto quanto arbitraria sarà la decisione di fucilare fu settanta. Arbitrarietà che decreta — ancora una volta — la degradazione umana alla quale giunge il potere militare, degradazione che trova modo di manifestarsi nell’affermazione di Broulard secondo il quale l’esecuzione dei tre soldati servirà come capo espiatorio. Se fino a questo momento Broulard era persuaso che se si fosse comportato come un abile opportunista solo a conclusione della vicenda si rende conto di trovarsi di fronte ad uno sciocco idealista sentimentale. Come in tutti i film di Kubrick anche in questo emergono temi ricorrenti il cui significato è lampante: il binomio uomo/animale (i soldati vivono nelle trincee stipati come animali, i prigionieri sono rinchiusi nella stalla), il teatro (la corte marziale è infatti organizzata come un teatro), il gioco (gli ufficiali che giocano * Fonte: www.kubrick.it (sito italiano). 310 con i soldati e il pavimento del castello che ha un disegno a scacchiera), il potere (al quale viene immolata la vita umana) e l’integrità morale (espressa da pax che proprio per questo verrà compatito da Broulard). Conclusione Sotto il profilo storico è interessante sottolineare come sia la Francia che gli USA — dietro pressione delle istituzioni militari — lo proibirono confermando cosı̀ implicitamente la dirompente efficacia del messaggio del registra. Il dottor Stranamore, prodotto nel 1964, concretizza non solo la fobia del regista di fronte ad una eventuale guerra nucleare (allora tutt’altro che inverosimile!) ma costituisce una spietata satira nei confronti dell’apparto militare americano. Uno dei protagonisti che si presta a rappresentare la fobia anticomunista dell’establishment USA è indubbiamente il Gen. Ripper che — in preda alla follia — legittima l’inizio della guerra nucleare accusando i comunisti di volere contaminare i preziosi fluidi vitali degli americani. Il dottor Stranamore simboleggia la follia dei tecnocratici e strateghi della guerra nucleare che disputano di apocalittiche distruzioni come se si trattasse di un innocuo gioco. Ancora più significativa la proposta di Stranamore — fatta nella War Room — di trasferire in caso di conflitto nucleare in appositi pozzi sotterranei un numero limitato di individui selezionati, proposta che assai chiaramente evoca una sorta di nazismo all’americana (non a caso, mentre parla, il braccio meccanico di Stranamore si anima da solo ripetendo il saluto nazista); il maggiore Kong (a capo del B-52) rappresenta la follia patriottica che si spinge fino a cavalcare la bomba atomica come un cowboy durante un rodeo e il Gen. Turgidson ossessionato dalla competizione con i russi e disinteressato delle conseguenze di una guerra nucleare. Ora — al di là delle colonne sonore collocate in chiave ironica (da Try A Little Tenderness a When Johnny Comes Marching Home Fine a We’ll Meet Again) e del cartello della base di Burpelson (Peace Is Our Profession) — è evidente che il film ponga l’enfasi non solo sulla estrema fragilità delle misure di sicurezza in caso di guerra nucleare (argomento sul quale l’A. si documentò) ma soprattutto voglia farci comprendere — molto realisticamente — come pur essendo giunti alla soglia di un conflitto nucleare gli uomini di potere (tecnocrati, militari e politici) non abbiano imparato nulla dai loro tragici errori. Full Metal Jacket, prodotto nel 1987, sottolinea con particolare enfasi la progressiva disumarizzazione delle istituzioni militari durante il Vietnam disumanizzazione che trova nel suicidio di Palla di Lardo, nelle atrocità viste da Joker nella 311 assoluta anormalità di Animal Mother, nell’addestramento coordinato dal sergente istruttore Hartman, nelle parole di Joker rivolte a Palla di Lardo (‘‘Il corpo dei marines (...) vuole dei killer’’) nella concezione della donna (la prostituta che si fa pagare cinque dollari) e infine nella trasformazione di Raferman e Joker in due assassini, esempi illuminanti. Altrettanto possiamo affermare dell’importanza attribuita dal registra alla caduta dei valori quali l’empatia (annullata dallo sguardo fisso emblema della nullificazione dell’Altro), l’onestà intellettuale (la propaganda di guerra promessa dalla redazione ‘‘Stars anbd Stripes’’), la rivalità (Joker non può diserrere tra bene e male ma deve seguire la ratio della guerra: uccidere o farsi uccidere), la tenerezza (il tenente Touchdown nel raccogliere un coniglio di pezza salta su una mina) e infine la compassione (quando Animal Mother spara dall’elicottero in modo indiscriminato contro i civili). 312 3. L’ANTAGONISMO RIVOLUZIONARIO NEL CINEMA NÔVO * 1 La contro informazione attuata — durante gli anni ’60 — dal CN trovò in Rocha, in Guerra, in Farias, in Saraceni e in Dos Santos i suoi massimi interpreti. Un cinema questo anti-americano, anti-capitalistico e soprattutto anti-hollywhodiano (‘‘La Fox, la Paramount, la Metro sono i nostri nemici’’, p. 62), un cinema che si farà portavoce della tragedia del popolo brasiliano e dovrà tradursi in violenza rivoluzionaria. Il CN promuoveva, infatti, un cinema di guerriglia l’unico strumento grazie al quale l’uomo può riacquistare la capacità di sognare, grazie al quale ‘‘ciascuno è signore di se stesso, perché nessuno è servo di qualcuno’’ (p. 66) 2. A tale proposito Rocha dirà: ‘‘Un’estetica della violenza [alludendo alla sua estetica] è rivoluzionaria è il momento in cui il colonizzatore si accorge dell’esistenza del colonizzato (...) L’unico antidoto al sistema è l’anarchia, intesa come assenza di dominio’’ (pp. 74/76). D’altronde, proprio Bunuel e Pasolini costituiranno riferimenti determinati nella poetica di Rocha e, se è cosı̀, non desta alcuna sorpresa come il realismo critico (la definizione è di Bertelli) dell’A. lo conduca a provare solo disprezzo verso i proprietari terrieri, la borghesia, la Chiesa, i militari in quanto ‘‘apertamente ostili alla crescita culturale del popolo e artefici della repressione’’ * Pino Bertelli, Glauber Rocha, La Fiaccola, 2002. 1 Il lettore non provi particolare sconcerto nell’osservare il brusco passaggio da Kubrick a Rocha poiché quest’ultimo lo stimava profondamente. Proprio riflettendo su ‘‘Paths of Glory’’ Rocha ne comprenderà l’importanza tecnica. 2 Nell’ICAIC cubano troverà ‘‘l’unico laboratorio sperimentale di cinema nel mondo grazie al quale vennero prodotti ottimi film secondo un modello di neorealismo socialista tropicale. Proprio a Cuba Rocha troverà ‘‘una civiltà giovane’’ capace di opporsi al modello borghese. Insomma attraverso l’ICAIC Rocha sperava che si potesse esportare sui mercati cinematografici del mondo una visione terzomondista e rivoluzionaria. L’impegno militante dell’A. lo porterà già nel 1965 ad essere arrestato per aver manifestato contro la dittatura militare brasiliana allora governata da Castelo Branco. Due anni dopo, nel 1967, ‘‘Terra em Transe’’ sarà proibito dalla giunta militare in tutto il Brasile mentre sarà giudicato all’Habana ‘‘il miglior film dell’anno dalla critica cubana’’ (p. 213). La centralità dell’opera dell’A. sarà proprio riconosciuta nel 1984 quando l’Encuentro de l’Intelectuales por la Soberaina di Cuba gli renderà pubblico omaggio. 313 (p. 106) 3. Contro tutto ciò un’opera d’arte autenticamente rivoluzionaria deve cambiare l’assetto politico esistente e condurre l’uomo verso una unità cosmica, un’opera d’arte deve essere insomma uno strumento di rivolta contro l’imperialismo in tutte le sue espressioni. Da questo punto di vista ‘‘Il Dio Nero e il diavolo biondo’’ — prodotto nel 1964 — è certamente paradigmatico poiché è un vero manifesto del Cinema Nôvo, ma anche una appassionata difesa del connubio rivolta/religione della liberazione e una critica feroce alla repressione che trova in ‘‘Antonio das Mortes’’ una esemplificazione chiara e al quale fanno da contrappunto Donna Santa (la guerriglia) e il prete guerrigliero. A tale proposito è chiarissimo il giudizio dell’A.: ‘‘La rivoluzione brasiliana sarà possibile solo dall’incontro di neutralità mistiche e non politicizzate con neutralità politicizzate’’ (p. 164). Quasi a ribadire la radicale avversione al coliniaslimo — nel ‘‘Leone a sette teste’’ prodotto nel 1970 — questo viene raffigurato come un leone a sette teste e i protagonisti riflettono chiaramente la situazione drammatica del Terzo Mondo (dall’agente della Cia al mercenario tedesco, al guerrigliero etc.) e la sua soluzione nella lotta rivoluzionaria: Pablo, giustizia l’agente della Cia ed è proprio l’emblema della forza liberatoria della rivoluzione quanto la marcia dei guerriglieri nel cuore della boscaglia. 3 Non a caso Rocha, Andrade e Carneiro saranno imprigionati per aver opposto un netto rifiuto alle richieste di autocensura da parte della giunta militare. 314 4. L’ANTIMILITARISMO IN MARCO BELLOCCHIO Non c’è dubbio che l’unico film adatto ad illustrare la personale interpretazione del regista italiano su questo tema sia ‘‘Marcia trionfale’’ prodotto nel 1976, film che si svolge all’interno della Caserma Sterago. Qui il comandante di compagnia Cap. Asciutto e il mondo militare sono il simbolo di tutta la contro informazione M/L degli anni Settanta: 1) la delirante conformità al regolamento che si concretizza nell’ordinare a Passer di procurarsi il basco anche ammazzando, se necessario; 2) l’autoritarismo che si manifesta anche durante l’ispezione delle reclute; 3) la degradazione sessuale (all’esterno della caserma si muovono prostitute e omosessuali); 4) il nonnismo (preparare gavettoni, fare baciare a una recluta la stecca con in cima un preservativo); 5) il disprezzo della donna, ritenuta solo una puttana (infatti Asciutto considerava la moglie Rosanna una puttana che tenterà invano di violentare); 6) il machismo autoritario (il pianto di Passeri viene qualificato dal Cap. Asciutto come tipico di uno smidollato); 7) la violenza che si concretizza quando il Cap. Asciutto picchia Passeri per indurlo a reagire; 8) la scarsa virilità del militare (infatti la moglie Rossanna tradisce il marito); 9) la violenza legittimata (Passeri non denuncia ai superiori il Cap. Asciutto); 10) il sadismo (il Cap. Asciutto, venuto a sapere del tradimento, ammanetta la moglie); 11) l’omertà (l’uccisione del Cap. Asciutto — mera fatalità — viene coperta da Passeri). Complessivamente il ritratto che emerge dell’istituzione militare è finalizzato a mostrarne: 1) la dimensione concentrazionaria; 2) l’assenza di libertà; 315 3) la necessità di distruggerla (proprio lo stesso regista avrà modo di dirlo esplicitamente, nel volume Marcia Trionfale, Einaudi, 1976); 4) la dimensione fascista; 5) la sperimentalizzazione dell’individuo; 6) la sottomissione acritica; 7) l’educazione letta come dominio e indottrinamento. Conclusione È significativo sottolineare come il ritratto — assolutamente negativo — che emerge della istituzione militare sia il risultato di una precisa ottica politica e sia analogo alla gran parte delle valutazioni di cui abbiano avuto modo di discutere lungamente nelle parti precedenti. Tuttavia Bellocchio ha avuto il ‘pregio’ di esplicitare la volontà di distruggere l’istituzione militare, franchezza che assai spesso è mancata a numerosi pacifisti nostrani che prediligono ipocrite perifrasi. 316 Parte Quattordicesima 1. PREMESSA Quanto decisivo sia stato l’antagonismo attuato dalla CND o l’antagonismo contro la Guerra d’Algeria è presto detto: la conflittualità non convenzionale, che in questi movimenti ha trovato modo di esprimersi, ha non solo anticipato — per modalità operative — il sessantotto ma — indubbiamente — gli attuali movimenti no-global. Anche a livello di programma politico (l’anti-militarismo, l’anti-attantismo, la critica alla democrazia rappresentativa, la stampa alternativa, la formazione di una sinistra radicale e politicamente trasversale al di fuori delle organizzazioni burocratiche dei partiti tradizionali, l’anti-nuclearismo etc.) questi ‘movimenti’ presentano caratteri organizzativi che anticipano in modo impressionante quelli attuali. Una nota conclusiva infine: il programma varato dal Gen. Gehelen è stato quello che indubbiamente ha avuto il maggiore successo dimostrando — fra l’altro — quanto fondamentale sia un’accurata attività di intelligence svolta a livello professionale e non certo improvvisata o affidata a personale poco qualificato o genericamente qualificato. Proprio per questa ragione abbiamo deciso di riportare alcune sue analisi divenute oramai un classico nell’ambito della counter-intelligence e — sia detto chiaramente — pienamente condivisibili. 319 2. LA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE NELLA CMD E DEL COMITATO DEI 100 1. Origini Grazie al contributo di Russell e Priestly nacque la CND il 15 gennaio del 1958, mentre il comitato dei 100 nacque due anni dopo allo scopo di radicalizzare la prassi contestataria. 2. Connotazione ideologica della CND e del Comitato dei 100 Connotazione indubbiamente eterogenea poiché abbracciava laburisti dissidenti, pacifisti (laici e religiosi), attivisti dei diritti civili, anti-militaristi radicali non violenti, attivisti coordinati dal DAC, non violenti gandhiani, intellettuali della ‘‘New Left Rewiev’’, anarchici. 3. Programma politico Sinteticamente il programma dei due raggruppamenti può essere agevolmente sintetizzato nel seguente modo: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) rinuncia assoluta all’uso e alla produzione delle armi nucleari; stipulazione di una convenzione per il disarmo nucleare unilaterale; sospensione dei ruoli dei ricognitori dotati di armi nucleari; proibizione assoluta di esperimenti nucleari; eliminazione delle basi militari NATO, ritiro della UK dall’alleanza militare della NATO; proibizione dell’addestramento di truppe sul territorio inglese; realizzazione di zone denuclearizzate controllate dall’ONU e infine proibizione di trasferimento di know-how. 4. Professioni e provenienza sociale Un numero elevato di partecipanti svolgeva attività legate al pubblico impiego mentre un numero non trascurabile di attivisti svolgeva libere professioni. 320 Tuttavia la componente più intransigente proveniva dall’ambiente intellettuale e studentesco. L’appartenenza sociale comprendeva prevalentemente la borghesia (dalla piccola all’alta borghesia). 5. Modalità operative non conflittuali Anche qui precedevano in modo sintetico e schematico: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) articoli su periodici a diffusione nazionale (p.e. il ‘‘New Statesman’’); petizioni; dibatti pubblici; pressioni politiche sul Labour Party; marce (che, dal ’58 al ’60, oscillazione da 2500 a 150 mila); divulgazione di notizie riservate; spionaggio (praticato dal Comitato dei 100); sit-in; invito al boicottaggio. 6. Alleanze politiche Queste furono molto precarie e problematiche, in particolare quelle relative al Labour Party. Altre organizzazioni, che furono oggetto di cooptazione da parte della CND, furono i sindacati (dalle Trade Unions agli USDAW, AEU e MUR). 7. Il Nemico Facilmente individuabile nella classe politica, nella democrazia rappresentativa — poiché incapace di tradurre in azione politica le esigenze reali della società civile —, nelle istituzioni militari nazionali e NATO, negli strateghi nucleari e nel giornalismo compiacente. 8. Reazione delle istituzioni Da parte del Labour Party si attuò la tattica — efficace e di lunga tradizione — di riassorbire l’antagonismo di base neutralizzandolo; da parte delle istituzioni militari — a parte l’intelligence sugli attivisti — si attuò l’arresto (che, p.e., nel settembre del 1901 raggiunse la cifra rilevante di 1600 dimostranti). 321 3. LA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE DI FRONTE ALLA GUERRA DI ALGERIA 1. Origini Dal ’55 al ’56 diverse manifestazioni, autonome e non etero dirette, organizzate da un numero ristretto di militari contro la coscrizione obbligatoria. Solo in un secondo momento il dissenso si ampliò e venne organizzato (dal ’57 al ’62). 2. Programma In un primo momento non ne ebbe alcuna. Solo nella fase di ampliamento e di organizzazione la caratterizzazione ideologica divenne fondamentale, caratterizzazione che si può agevolmente riassumere nei punti seguenti: 1) le ragioni della guerra erano inaccettabili poiché si trattava di violare il diritto di auto-deteminazione di un popolo; 2) la guerra proseguiva a causa di una neutralità neo-coloniale; 3) le tecniche usate dalle FA francesi violavano tute le convenzioni internazionali a cominciare da quelle relative alla tortura; 4) i metodi di repressione interna del dissenso erano fascisti; 5) l’OAS andava debellata; 6) bisognava solidariezzare con il FNL. 3. Organizzazioni del dissenso In breve: 1) Comitato di Azione e Informazione; 2) Comitato di Azione degli Intellettuali; Comitato Universitario; Comitato di Resistenza spirituale; Comitato di Maurice Audin (dal ’58 al ’62); Lega dei diritti dell’uomo; Azione civica non violenta; UNEF; FEN; CFTC; FO; MAF; FUA; JRO; Manifesto dei 121; Rete Jeanson. 322 4. Modalità operative del dissenso Sinteticamente: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) resistenza passiva; manifestazioni; blocco dei convogli ferroviari (sabotaggio); comizi; petizioni; conferenze stampa; manifesti di solidarietà con l’FNV e di dissenso; insobordinazione all’interno delle FA; diserzione; sostegno economico al FLN; trasporto di documenti falsi a sostegno del FNV; ospitalità clandestina ai militanti del FLN; alleanze politiche (p.e. tra l’UENEF , la CGT, il FEN, la CFTC e l’UNEMA algerino); 14) attività editoriale e giornalistica attraverso l’Express, France, Observateur, Les Temps Moderns, Esprit, Cahiers de Temoignages Chretiens Alger Repubblician, la Reforme e Testimonze e Documenti (appartenenti all’editoria alternativa); 15) utilizzazione di sedi istituzionali in funzione antiagonista (si veda l’esito — ridicolo per le istituzioni francesi! — del processo alla Rete Jeanson davanti al Tribunale Militare di Parigi). 5. Connotazione ideologica Sinteticamente: 1) 2) 3) 4) 5) Pacifismo laico e religioso; attivismo a favore dei diritti civili; sinistra ufficiale; sinistra extraparlamentare; anarchici. 6. Reazione delle istituzioni 1) Arresti mirati o di massa; 323 2) attività di intelligence (p.e. su Alger Repubblician e la Rete Jeanson); 3) sequestro di pubblicazioni e di documenti compromettenti; 4) eliminazione fisica ufficiosa degli attivisti più pericolosi (p.e. di Maurice Audin). 7. Composizione sociale e attività professionale Naturalmente amplissima perché andava dalla massa operaia e studentesca all’alta borghesia nel mondo accademico. Gran parte degli attivisti apparteneva o a partiti o a sindacati e comprendeva soprattutto intellettuali. 324 4. LA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE CONTRO IL RIARMO ATOMICO IN GERMANIA 1. Origini Nel gennaio del 1955 una vasta coalizione protestò contro le decisioni del governo e del Parlamento tedesco e più esattamente contro la Costituzione del ’54 contro il riarmo e l’adesione della RFT alla Nato nello stesso anno. 2. Programma In breve: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) contro lo Stato autoritario e militarista di Adenauer; contro la NATO e la sua politica di riarmo; contro le installazioni militari NATO; contro gli armamenti atomici; a favore della unificazione tedesca; opzione neutralista; realizzazione di ampie zone denuclearizzate. 3. Organizzazioni Indubbiamente vasta ed eterogenea perché comprendente la SPD, la DGB, la Chiesa protestante, e il mondo della cultura orientato politicamente in senso anti-militarista (si pensi a Weber o a Gollwriter) e nello specifico il mondo scientifico (si pensi alla Dichiarazione di Gottinger firmata da diciotto scienziati). Tuttavia l’apice del dissenso si concretò con la marcia contro la morte atomica (nel marzo del ’58) secondo una modalità a rete che acquisı̀ un profilo via via sempre più autonomo rispetto all’SPD che, nel giro di pochi anni, tradı̀ il suo programma iniziale. 325 4. Connotazione ideologica In breve: 1) 2) 3) 4) 5. attivisti non violenti; pacifisti non violenti e anti-militaristi; sinistra socialista (una buona parte della base della SPD); sinistra sindacale. Modalità operative Il dissenso, sorto emulando il CND anglosassone, non si servı̀ di tecniche non convenzionali originali. Infatti il repertorio era già stata ampiamente sperimentato: appelli, scioperi, marce (quella di Pasqua in particolare per la sua massiccia partecipazione). 6. Reazione delle istituzioni In breve: 1) riassorbimento istituzionale attraverso l’SPD; 2) contro informazione governativa volta ad accreditare una gestione eterodiretta dell’antagonismo; 3) attività assai efficace di intelligence da parte del Gen. Gehlen che smantellò l’antagonismo politico. 7. Bibliografia Per la stesura di questa appendice abbiamo fatto riferimento esclusivamente al saggio di Teodori Massimo, Storia della nuova sinistra, il Mulino (1976) e, in particolare, alla Parte prima (dal cap. I al cap. III). 326 Parte Quindicesima 327 1. PREMESSA Non dovrebbe destare sorpresa alcuna trovare in un volume come questa organizzazione ampiamente nota a livello internazionale per il loro antagonismo ecologico. Infatti l’ambiente è ormai diventato uno dei terreni di scontro principale il capitalismo globalizzato e le intramontabili ideologie antagoniste per eccellenza quali le varie forme di anarchia e le varie tipologie di neo-marxismo alle quali si coniugano le tematiche e gli approcci operativi del pacifismo degli anni Sessanta e Settanta. 2. ANTAGONISMO ECOLOGICO Anche determinate interpretazioni dell’ambiente risultano utilissime nel contrastare una realtà ritenuta sempre più inaccettabile, nel portare avanti una guerra psicologica volta a cambiare l’uomo e il modo dell’uomo di rapportarsi alla natura. Un approccio ecologico-radicale che si ispiri all’ecologia profonda — che è anche una visione filosofica — religiosa del mondo — non potrà che sottolineare la necessità di contrastare l’ideologia dominante della società industriale attuale, non potrà che valorizzare una visione spirituale della realtà naturale e quindi sarà portata a enfatizzare quelle religioni (come il buddismo o il taoismo) che hanno dimostrato di avere una consapevolezza ecologica superiore rispetto a una visione normalistica della realtà. Capitalismo e/o militarismo saranno quindi considerati escrescenze cancerose da debellare. Sotto questo profilo anche l’ecologia sociale di Bookchin 1 sottolinea che, solo attraverso una trasformazione radicale della sociatà attuale, sarà possibile porsi in modo nuovo verso l’ambiente, progettare una società di cooperazione non gerarchica (nel senso di Kropotkin), attuare una società che tenga conto delle analisi economiche di Marx e della visione comunitaria di Goodman, creare una politica che si schieri a fianco delle sinistre extraparlamentari europee in funzione anti-imperialistica. Altrettanto radicale è l’eco femminismo 2 per il quale l’anti-militarismo, l’anti-capitalismo, l’anti-razionalismo sono presupposti fondamentali tanto quanto un concezione anti-androcentica tipica dell’Occidente. Anche il bioregionalismo nasce in opposizione al capitalismo e il sito opposto ideologico consiste sul fare comprendere come la organizzazione sociale migliore sia quella anarchica (tanto è che Snyder sottolinea come la Bioregione sia contro il regime 1 Sia detto chiaramente che l’ecologia sociale è tutt’altro che una interpretazione originale poiché è il frutto di una sintesi dell’anarchia kropetkiniana-goodmaniana con l’analisi marxista degli anni settanta come dimostra chiaramente l’alternativa — prospettata dall’A. — del municipalismo libertario. 2 Secondo l’ecofemminismo all’ambientalismo tradizionale sfugge la peculiare connessione tra l’oppressione delle donna e della natura, oppressione che risale alla coniazione monoteista e che si concretizza attraverso una logica di dominio binaria. Proprio per superare tutto ciò l’ecofemminismo si mobilita per l’abolizione del capitalismo, del patriarcato e delle strutture di dominio. perché essenzialmente anarchica). Fra l’altro — sia detto per inciso — il radicalismo ambientalista contemporaneo si spinge al punto di valorizzare, a livello pedagogico filosofico, le interpretazioni del cosmo dei nativi nord-americani, degli aborigeni australiani, e degli hawaiani e a rivalutare — contro la concezione baconiana-cartesiana del razionalismo occidentale — le interpretazioni buddhiste (si vedano gli studi di de Silva), taoiste (si pensi alle riflessioni di Palmer) e induiste grazie alle riflessioni dei fratelli Engel. Una delle conseguenze più evidenti dell’ambientalismo radicale è il diverso approccio al mondo animale che ha portato Singer e Reagan a gettare le basi dell’animalismo secondo il quale il consumo e la vivisezione degli animali sono volti a ledere la dignità di essere vivente dell’animale. E evidente dunque che la scelta vegetariana si impone come scelta obbligata. 331 3. NOTE SULL’ANTAGONISMO ANTI-VIVISEZIONISTA RADICALE 1. Origini I due più autorevoli predecessori dell’attuale anti-vivisezione radicale (da ora in poi in acronimo AV ndr) furono Bell e Harwen. In Italia solo con Ciaburri (la sua principale opera intitolata ‘‘La vivisezione’’ è nel 1929) l’antagonismo AV ha trovato il suo principale teorico e organizzatore (sempre del ’29 è infatti la fondazione della UAI o Unione anti-vivisezionista italiana) mentre con la scritta di Hans Ruisch intitolato ‘‘Imperatrice nuda’’ edito nel 1976 l’AV ha avuto risonanza internazionale. 2. Nemici In breve per l’AV radicale le istituzioni e/o le pratiche mediche da contrastare sono: 1) la pratica della vaccinazione; 2) le industrie farmaceutiche; 3) la farmacologia definita ‘‘un garbuglio di superstizioni di nozioni traballanti e contraddittorie’’; 4) la Bantam Books di New York; 5) la stampa elvetica; 6) la classe politica (p.e. Furgler); 7) Garattini; 8) Istituzioni capitalistiche. 3. Alleati In breve: 1) le associazioni AV come la LAN, la LAV, la LAI e la LEA; 2) una parte della sinistra istituzionale (p.e. il socialista Fiandrotti); 332 3) 4) 5) 6) la LIMAV; Maraini; Franz Weber; UAI. 4. Modalità operative Sinteticamente: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) pubblicazioni di saggi; dibattiti pubblici; articoli su quotidiani nazionali e non; petizioni; istituzionalizzazione dell’ODC per la vivisezione con la legge 413 del ’93; denunce (p.e. quella della LAN del 1977); prassi non violenta. 5. Avversari 1) Il gradualismo di Singer; 2) la BUAV. 6. Reazioni delle istituzioni 1) Repressione giudiziaria; 2) relazione a mezzo stampa; 3) infiltrazioni all’interno delle leghe AV per portarle alla paralisi (p.e. la BUAV inglese o Singer sponsorizzato dalla Rockfeller Foundation); 4) Elargizioni di fondi cospicui alle Leghe o Associazioni animalista non vivisezioniste. 7. Programma AV Secondo l’AV radicale la 1) la vivisezione va condannata sia sul piano etico che scientifico; 2) la vivisezione avvantaggia solo le industrie farmaceutiche; 333 3) la genesi delle malattie ha cause alimentari, sociali, ecologiche; 4) la spesa americana e svizzera per la vivisezione è paurosamente elevata; 5) l’alternativa alla medicina su base farmacologia sono la dietetica, l’igienismo, la psicoterapia, l’omeopatia, il vegetarismo, la macrobiotica, l’agopuntura, la pranoterapia, l’oligoterapia, l’aromaterapia etc.; 6) abdizione radicale della sperimentazione animale; 7) le multinazionali farmaceutiche sono state grazie agli investimenti di Rockfeller e Rothschild; 8) le multinazionali farmaceutiche devono essere eliminate (e fra queste: la Farben, Bayer); 9) è necessario denunciare la pericolosa infiltrazione delle multinazionali farmaceutiche all’interno del Parlamento europeo e dell’ONU. 8. Conclusioni L’AV radicale rientra sia all’interno dell’ecologismo radicale che nel contesto dell’anti-capitalismo. Sotto questo profilo, l’AV radicale si oppone alle multinazionali farmaceutiche nazionali e sopranazionali indicando nell’abolizione del capitalismo tout court una delle vie maestre cambiare in meglio il mondo. 334 4. NOTE SULL’ANTAGONISMO RADICALE DELL’ALF 1. Connotazione ideologica Facendo riferimento alla documentazione disponibile su loro sito internet non c’è dubbio che la loro visione del mondo possa essere caratterizzata nel modo seguente: 1) 2) 3) 4) 5) animalista radicale (fondamentali sono le riflessioni di Tom Regan); vegetariana; anti-vivisezionista in modo radicale; anti-capitalista; ecologico-radicale (infatti alcuni autori di riferimento sono Bookchin e Capra). 2. Struttura Come la maggior parte delle organizzazioni che attuano una conflittualità non convenzionale anche l’AFL possiede una struttura a rete che è il risultato di cellule autonome e clandestine. Questa logica organizzativa non consente o comunque ostacola ogni tentativo di infiltrazione. 3. Modalità operative In linea di massima l’uso della violenza è abbinato all’uso delle tecniche tipiche della conflittualità non convenzionale e, più precisamente: 1) 2) 3) 4) 5) 6) boicottaggio economico; lettere di denuncia e protesta alla stampa; proteste e dimostrazioni; incendi a laboratori di sperimentazione; liberazione degli animali della prigionia dei laboratori; lettere esplosive; 335 7) minacce rivolte esclusivamente al personale addetto alla vivisezione; 8) atti vandalici nei confronti di edifici che ospitano laboratori che praticano la vivisezione. In definitiva l’uso della violenza viene legittimato solo come uno strumento adeguato in talune circostanze ritenute particolarmente gravi. 4. Reazione delle Istituzioni Allo stato attuale i provvedimenti più duri sono stati presi dagli USA che hanno giudicato l’AFL una delle più pericolose reti terroristiche a livello internazionale attraverso l’FBI e dall’UK via MI5. 336 5. NOTE SULL’ANTAGONISMO DI GREENPEACE 1. Origini Stando alla ricostruzione di Weyler, GP (acronimo per Greenpeace, ndr) nasce nel 1971 a Vancouver grazie a Bohlern (sostenitore dell’ODC in occasione della guerra del Vietnam). Stowe (uno dei primi attivisti che si mobilitò contro i sottomarini nucleari) e Cote. La matrice ideologica secondo Weyler sarebbe da rintracciarsi nella cultura dei Quackers (e delle loro tecniche di ANV e di resistenza passiva), nella cultura hippy era soprattutto nell’ecologia radicale e nel pacifismo. 2. Connotazione ideologica Nelle campagne promosse e dalla documentazione disponibile sul loro sito internet risulta che possa essere caratterizzata nel seguente modo: 1) ecologista radicale; 2) pacifista. 3. Modalità operative Indubbiamente GP fa largo uso di tecniche tipiche della conflittualità non convenzionale e fra queste segnaliamo: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) uso di grandi striscioni con messaggi chiari e concisi; dimostrazione pubblica e non violenta; interposizione con canotti; massima pubblicizzazione della protesta; contro informazione campagne e documentazione fotografica o video; denuncia legale; petizione; la sensibilizzare l’opinione pubblica; 337 9) il servirsi delle agenzie di stampa e dei più rinomati periodici; 10) le pressioni sulle istituzioni politiche e scientifiche (p.e. quelle di Mac Taggart sullo scienziato russo Velikov); 11) concerti con stars internazionali per amplificare l’importanza dei loro messaggi; 12) produzione di LP (p.e. l’album Breakthrough uscito nel 1989) a dimostrazione della efficacia sotto il profilo della guerra psicologica della musica. 4. Alleati In breve: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) la CITES; l’IWC; il WWF; Amis de la Terre; la Women’s International League for peace and Freedom; il Campo di Pace di Greenham common in UK; Pax Christi. 5. Principali campagne GP è nata proprio in occasione dei tests nucleari americani e francesi (tra il ’71 e il ’72) contro i quali non si è stancata di opporsi. In secondo luogo la campagna contro i rischi del nucleare pacifico; in terzo luogo contro gli OGM. In quarto luogo contro le industrie che lucrano sui prodotti ricavati dall’uccisione delle balene; in quinto luogo contro la deforestazione praticata dall’industria del legno nel Congo, in sesto luogo contro i rischi del trasporto su nave di scorie radioattive o petrolio e contro i rischi delle industrie chimiche. Particolarmente significativa per il nostro lavoro quella contro la violazione del TNP da parte USA e contro la politica nucleare NATO e americana (ci riferiamo alla NPR varata da Rumsfeld) che si è concentrata nel chiedere il disarmo nucleare unilaterale e il ritiro dal territorio europeo di tutti gli ordigni nucleari (in particolare le bombe B-G1). Altrettanto significativa la denuncia di una assenza totale di democrazia all’interno della NATO. 338 6. Reazione delle istituzioni Lo spionaggio rimane lo strumento per eccellenza (si pensi alla DGSE) unitamente all’interposizione in mare della Guardia costiera e della Marina militare. Particolarmente significativo l’affondamento della RW svolto dal DGSE su incarico del Ministro della Difesa francese. Anche l’espulsione è stata utilizzata (da parte del governo francese nei confronti di McTaggart). Tuttavia la tecnica più usata è stata quella di svuotare politicamente le iniziative di GP procedendo nelle proprie decisioni e non permettendo quindi il conseguimento di alcun risultato pratico. 7. Bibliografia Tutte le informazioni tratte sono state desunte dai rispettivi siti internet.Utilissime sono le analisi della EGE proprio sulle scelte poste in essere dal movimento. 339 6. CONSIDERAZIONI FINALI Come abbiamo avuto modo di osservare la maggior parte di questi ‘players’ cioè associazioni, riviste telematiche o cartacee, intellettuali hanno praticato, e praticano, una conflittualità non convenzionale che si serve ora della informazione warfare ora della guerra psicologica ora, infine, della disobbedienza civile. Qualsiasi stato, a democrazia rappresentativa, deve oramai prendere atto che l’insieme di questa organizzazioni costituisce una sorta di Quinta Internazionale Informale (informale perché non ha ancora una struttura analoga a quella del Kominform) e rappresenta un pericolo di elevato livello assimilabile al terrorismo per il mantenimento e l’ampliamento del potere da parte delle istituzioni politiche, economiche e militari (siano queste nazionali o sopranazionale come la NATO, l’FMI etc.). Opportuna in ultima analisi sarebbe un strategia transnazionale in particolare modo euro-americana che attui una serie di contromisure a livello di counter intelligence analoghe a quelle messe in matto dall’OPC e dall’IRD durante la cold war e che soprattutto sappia trarre profitto dagli studi recenti della EGE francese che non a caso ha rielaborato le strategia di guerra psicologica della cold war per far fronte all’avanzata della mondializzazione e dell’antagonismo. 340 Appendice I 1. VOCI PER UN DIZIONARIO DEL SESSANTOTTO * Beskeley. Il Free Speech Movement, nato il 2 ottobre del ‘64 presso l’Università di California allo scopo di dare forma ad una pluralità di associazioni universitarie, era costituito da un comitato esecutivo che consentirà a SAVIO di divenire un agitatore efficace, ebbe come sua precipua finalità la politicizzazione della realtà studentesca (nonostante la ferma opposizione del rettore Kerr) servendosi di modalità operative tipiche della Conflittualità non convenzionale: sit-in, assemblee, disubbidienza civile, guerra psicologica, sciopero (quello dal 3 al 7 dicembre), boicottaggio (attraverso l’astensione dalle lezioni), l’anti-militarismo (come nel caso della rivolta del ’66 contro l’ufficio di reclutamento della Marina). Nonostante l’assenza di una precisa connotazione ideologica M/L e sindacale, lo spontaneismo studentesco si fece promotore di ideali che diverranno patrimonio comune del ’68 (almeno a livello programmatico): solidarietà, anti-autoritarismo, pacifismo, etc. SDS. Sorta come associazione studentesca della SPD stringerà una alleanza nel ’65 con la SDS americana per protestare contro la guerra del Vietnam. Come l’omologa americana anche quella tedesca formulerà una critica impietosa al sistema universitario (si vedano le riflessioni di Preuss e Offe) e alla GRUNDGESETZ che fu una legittima reazione allapolitica legislativo della CPU. Nel volgere di breve tempo la Freire Universite di Berlino diverrà la base rossa della sinistra extraparlamentale tedesca e, in particolare, della SDS. All’interno della università quale verrà praticata una articolata e diffusa violenza che toccherà l’apice con l’attacco alla sede del gruppo editoriale Springer del quale verranno distrutti gli uffici. Solo con l’approvazione ampia e trasversale della legislazione di emergenza la coesione delle associazioni studentesche verrà meno dando esito alla scissione tra Sds e Apo e, in un secondo momento, alla proliferazione di gruppi settari extraparlamentari che si frantumarono — rafforzando le istituzioni — o scelsero la via della lotta armata dando vita alla RAF. PISA. Nel febbraio del ’67 per protestare contro la Riforma universitaria Gui, ‘‘Il potere operaio’’ occupa l’Università formulando una piattaforma rivendicativa nota come le ‘‘Tesi della Sapienza’’. La legittima repressione delle forze dell’ordine compatterà l’opposizione studentesca e ne allargherà la base coinvolgendo assistenti e docenti. Tale occupazione costituisce un evento di rilievo perché per la prima volta una occupazione diversa da quelle tradizionali finirà per egemonizzare la protesta e contribuirà al declino della LIGI. Nono* Fonte: A. Longo/G. Monti, Dizionario del ‘68, Editori Riuniti, 1998. 343 stante le accuse formulate dalla magistratura la massa studentesca attuerà tecniche tipiche della conflittualità non convenzionale lanciando sassi contro la stazione della polizia e occupando i binari della stazione (episodi questi che rientrano nella agitazione sovversiva). ROMA. A partire dal febbraio del ’68 scatterà l’occupazione della Facoltà di Lettere e di Architettura alla Sapienza, occupazione in gran parte praticata dal Cento anti-imperialista Che Guevara — di cui Scalzone e Piperno saranno gli esponenti più noti. La lotta ideologica era di natura extraparlamentare. Significativa la presenza del gruppo degli ‘‘uccelli’’ che metteranno in campo pratiche antagoniste abbastanza originali. Con modalità simili alle proteste delle altre università le occupazioni, i controcorsi e la connivenza con docenti e assistenti, avrà lo scopo di sovvertire in modo pressante l’istituzione universitaria. In breve tempo, l’egemonia della protesta sarà dell’Unione ML e di POTOP. Gli scontri raggiungeranno una maggiore intensità nel gennaio del ’68 a causa della presenza di NIXON in visita nella capitale, proteste che ben presto saranno destinate a scemare. TORINO. Con modalità operative analoghe anche a Torino vi saranno occupazioni, e tentativi di trattative rese vane dalla intransigenza eversiva della massa studentesca. Per quanto concerne la saldatura tra operai e studenti avverrà con la stessa modalità di quelle delle altre università. WOODSTOCK. Nell’agosto del ‘69 si svolse uno dei rilevanti raduni di rock di quel periodo nel quale — per tre giorni — 250mila giovani sperimentarono uno stile di vita alternativo basato sulla droga, sul sesso libero e sulla danza. Concretamente non fu altro che una momentanea evasione dalla routine del consumismo capitalistico del tutto privo di effetti sotto il profilo del contrasto del sistema capitalistico, mentre sul fronte del profitto capitalistico — paradossalmente — fu assai proficuo per le case discografiche! Insomma W. fu l’emblema di come la riutilizzazione a fini capitalistici dell’anti-fascismo fosse proficuo. Scontri. Forse i due conflitti più noti tra studenti e forze dell’ordine si verificarono nel mese di marzo del ’68 e si svolsero a Milano e a Roma. Le modalità operative furono in breve le seguenti: intimidazione (l’ultimatum di Capanna al rettore Franceschini), scontri sorti tra studenti e forze dell’ordine, sit-in, blocco del traffico, sciopero della fame e violente sassaiole. Entrambi gli scontri — quello della Cattolica e quello di Valle Giulia — dimostreranno in modo irreversibile come l’uso della violenza fosse divenuto oramai usuale ed ampio. Cinema. Al pari di numerosi altri settori — l’avvocatura, la magistratura, il giornalismo — anche il cinema non poteva sfuggire alla politicizzazione promossa dall’ANAC che attuerà nel ’68 una occupazione non violenta presto risolta dall’intervento delle forze dell’ordine. Neanche a dirlo i principali animatori di questa occupazione saranno Bertolucci, Ferreri, Pontecorvo, Zavattini reigstri la cui connotazione ideologica era fin troppo esplicita. Anche la Biennale di Venezia avrà uno svolgimento simile per finalità e modalità. 344 Maggio francese. I principali players antagonisti saranno: l’IS, Cohn-Bendit, il Movimento del 22 marzo, l’Unef, la Cgt, la Cfdt, la FO, la Fer e realtà operaia mentre le principali tecniche usate rientreranno nell’ambito della agitazione sovversiva: dal boicottaggio, agli scontri, alle barricate, alle sassaiole, all’uso delle molotov, allo sciopero generale, alla occupazione delle fabbriche, delle università e di interi settori della città. Concretamente, il maggio francese rappresenterà il pericolo più evidente per la stabilità del sistema, pericolo che venne meno per la diversità degli scopi degli agitatori (riformistici e anti-gollisti quelli del sindacato, rivoluzionari quelli delle associazioni extraparlamentari) e per la abilità politica di De Gaulle. Città del Messico. A differenza dei paesi occidentali, a Città del Messico il PRI fu in grado — grazie alle sinergie di esercito e polizia — di reprimere rapidamente l’opposizione studentesca coordinata dal Comitato di sciopero. Infatti in meno di un mese — dal 1 ottobre del ’68 al 3 ottobre dello stesso anno — ogni spazio antagonista verrà per legge chiuso fino al 1977. La scelta repressiva fu possibile grazie ad un perfetto accordo tra le istituzioni politiche e quelle militari che troppo spesso venne a mancare nelle altre democrazie occidentali. Rettori universitari. Non mancarono certo gli esempi di rettori integri e capaci di opporsi all’antagonismo eversivo, quali Romeo, Pupi e Agostino d’Avack. La loro risolutezza consentı̀ un riscatto — seppur parziale — della classe docente in gran parte compromessa e convivente con l’eversione (basti pensare a come esempio paradigmatico a Negri). E — rimanendo in ambito universitario — come non sottolineare la coraggiosa presa di posizione di Paratore che dimostrerà ampiamente nel documento del febbraio del ’68? Anti-autoritarismo. L’istanza anti-autoritaria svolta alla Scuola, alla Fabbrica, alla Famiglia e spesso al concetto di Stato e di gerarchia non presenterà caratteri per nulla originali perché sarà una rielaborazione — consapevole e non — della filosofia politica anarchica. Assemblea. Nonostante, Viale e Rostagno avessero compreso la possibilità che l’assemblea si trasformasse in una forma di democrazia partecipativa fittizia, non furono — nei fatti — in grado di evitarlo al punto che nel volgere di breve tempo i modelli centralizzati e autoritari ritornarono a causa della formazione di gruppi fanaticamente politicizzati. Black power. Inizialmente network di associazione nere — tra le quali il CORE e la Sncc — sorse per iniziativa di CARMICHAEL e MEREDITH allo scopo di contrapporsi al riformismo gradualistico di King e propose una secessione su base razziale da conseguirsi attraverso l’uso della violenza (anche in termini insurrezionali) partendo dall’assunto della impossibilità di collaborazione con i bianchi. Non certo a torto l’FBI lo prese sotto la sua ‘protezione’. Collettivi. Se allo stato nascente i collettivi si fecero portavoci della filosofia anarchica, anch’essi — proprio come l’assemblea — finirono per divenire una incubazione di istituzione autoritarie — analogamente alle formazioni di estrema sinistra. 345 Contro-informazione. Strumento essenziale della guerra psicologica del ’68 si concretò ora sotto forma di critica della informazione ufficiale. Ora sotto forma di informazione alternativa ora attraverso una articolazione innovativa dei medium (dai volantini ciclostilati, ai documenti di ispirazione maoista, al teatro di guerriglia etc.) ora attraverso l’utilizzo della sperimentazione linguistica. Corteo. Oltre che per dare visibilità alle istanze delle associazioni, furono utili per promuovere la contro informazione (a suon di slogan delatori), per intimidire l’interlecutore avversario o per preparare modalità operative sovversive (occupazioni, scontri con le forze dell’ordine, devastazioni, saccheggi, etc.) Case editrici. Indubbiamente la Einaudi (come le collane ‘‘il nuovo politecnico’’, i ‘‘Paperbacks’’) e la Feltrinelli — dal ’68 al ’70 in particolare — contribuirono a promuovere in modo capillare e efficace la contro informazione — traducendo le opere di FANON, MAO, Che Guevara, Trotskj, Malcom X etc. — e diventando il punto di riferimento per un’intera generazione di studenti. In altri termini — al di là del giudizio di merito delle singole opere — la attività editoriale delle due case editrici fu di grandissima efficacia 1. Imperialismo. Efficace categorie ideologica, che servirà alla massa studentesca e alla intelligentia per inquadrare la realtà del mondo di allora e per attuare una lettura fanaticamente politicizzata della realtà — cioè visceralmente anti-americana e anti-militarista 2. Molotov. Che la violenza fosse nel DNA delle organizzazione extraparlamentari lo prova l’ampia diffusione che ebbe la molotov a partire dal maggio del ’68 e lo prova la sua utilizzazione attuata dal ‘New York review of books’ e successivamente dal periodico ‘La Sinistra’. Occupazione. Una delle innumerevoli forme attraverso le quali si esprime la conflittualità non convenzionale, ha avuto come scopo non solo la promozione della protesta ma anche l’autogestione a fini politici delegittimando in tal modo le istituzioni all’interno delle quali si svolgevano. In definitiva costituisce una variante del saccheggio dal momento che i players che la attuarono utilizzarono le istituzioni occupate per finalità eversive. Sit-in. Una delle più diffuse tecniche di conflittualità non convenzionale abbinata al teach-in e all’hauting fu ampiamente usata da Gandhi, da King e poi dagli studenti di Berkeley, e del Michigan e della Cattolica di Milano. Per quanto non violenta costituı̀ una forma di assembramento sedizioso (per usare la fraseologia di Pisano) volto in buona sostanza a subentrare alle istituzioni. 1 Certamente anche la Samonà e Savelli — sorta nel 1963 — pubblicando Reich, Fromm ma soprattutto le opere di Guerin, Mandel e Maitan contribuı̀ alla formazione politica dei militant. Si pensi — a tale proprosito — all’impatto che esercitò il volume ‘‘La strage di Stato’’, tenendo conto del fatto che gli editori militarono nella corrente trotskista del PCI. 2 La rivista Monthly review si farà portavoce proprio dell’anti-imperialismo e dell’antimilitarismo più viscerale sia della edizione inglese che in quella italiana non risparmiando elogi alla guerriglia in America Latina e alla rivoluzione culturale di Mao. 346 2. IL SESSANTOTTO SECONDO L’INTERPRETAZIONE DI FO E DI PARINI * È interessante l’ammissione degli autori secondo la quale il tentativo di attuare la rivoluzione in Italia fu effettivamente svolto (anche se non riuscı̀). Rivoluzione che nacque dalla esigenza di reagire ai golpe europei ed extraeuropei ma soprattutto dalla volontà di prendere il potere. La divisione manichea del mondo ne fu una evidente conseguenza: da un lato i ‘‘buoni’’ e dall’altro i ‘‘cattivi’’ cioè le forze dell’ordine, le istituzioni militari, i democristiani, i missini, i servizi segreti, i docenti e i magistrati reazionari etc. Uno dei bersagli — il termine è quanto mai appropriato — dell’antagonismo sessantottino fu certamente la scuola ed, in particolare, il liceo, la selezione classista e la necessità di trasformarla radicalmente insieme alla società anche attraverso l’uso della violenza rivoluzionaria. A tale proposito, più volte gli A. sottolineano come — storicamente — i punti di riferimento non furono i pacifisti americani o il pacifismo gandhiano ma i maggiori protagonisti della guerriglia del nostro secolo, e, fra questi MAO, CHE GUEVARA, HO CHI MIN e i maggiori gruppi guerriglieri come i TUPAMAROS. Concretamente questa progettualità eversiva prese forma tramutando sia il PARINI che il BERCHET in vere e proprie ‘‘basi rosse’’ svuotando de facto l’istituzione formativa di qualsiasi autonomia rispetto al settarismo e al fanatismo politico del Movimento. Non a caso il punto di riferimento costante fu l’azione di Capanna. L’estrema politicizzazione raggiunta dal Movimento indusse buona parte di quella generazione a utilizzare la musica rock (in particolare quella degli Stones e degli Zeppelin) come strumento di guerra psicologica volta a stimolare la violenza cosı̀ detta rivoluzionaria (l’espressione è naturalmente mistificante!) tanto quanto una determinata produzione cinematografica (alludiamo p.e. a PETRI e al film EASY RIDER) la cui valenza anti-sistema era una delle caratteristiche principali. Proprio all’interno di questa ottica — da cultura antagonistica — la lettura di autori quali SARTRE, REICH, HESSE o PREVERT procedeva di pari passo con l’uso delle spranghe, delle molotov e della radicale contestazione dei dirigenti scolastici anche se appartenevano alla sinistra istituzionale (a riprova dell’elevato tasso di settarismo presente nel movimento). Il tempo impiegato all’interno delle istituzioni formative servı̀ anche a comprendere l’importanza dell’arte della persuasione per prendere il potere (non solo all’interno delle assemblee) e per imporre la politicizzazione attraverso la scelta di determinte tematiche (politicizzazione che precedeva * Jacopo Fo e Sergio Parini, ’68, Feltrinelli, 1997. 347 parallelamente a quella svolta da LC, AO e POTOP delle industrie milanesi,e torinesi) 1. Per quanto concerne l’Autonomia operaia, le riflessioni degli A. sono di un certo rilievo perché sostengono — onestamente — come la logica contestatrice che la sorreggeva fosse in realtà leninista e come la prassi attuata fosse apertamente convivente come la lotta armata 2. Altrettanto rivelatrici sono le affermazioni relative alla prima azione armata attuata nel gennaio del 1970 da parte del MS a San Babila e della progressiva militarizzazione del servizio d’ordine del MS a partire dall’omicidio di Saltarelli. Che la violenza fosse oramai diventata di uso comune (almeno quanto l’uso delle droghe leggere) è dimostrata dai preparativi di guerra della primavera del ’73 (cap. XI), dalle armi dei katanga ai militanti di AO, dalla prassi eversiva di lotta comunista e da quella di LC nei confronti delle forze dell’ordine (p. 87). A livello di modalità operativa antagonista l’esperienza maturata dei TUPAMAROS e dai WEATHERMAN risultò fonte di ispirazione per la attuazione della agitazione sovversiva e del terrorismo. Fondamentale fu l’attuazione del sequestro del giudice SOSSI da parte delle BR che non a caso fu accolto con entusiasmo da tutta la sinistra antagonista e istituzionale (entusiasmo che ebbe modo di manifestarsi in modi differenti). Proprio sul largo uso della violenza gli A. sottolineano come questa avesse giocato un ruolo fondamentale della tradizione comunista e che, di conseguenza, non potesse destare alcuna sorpresa il suo uso indiscriminato tra il ’68 e il ’77. A tale riguardo Autonomia operaia (sia Roma che a Milano) ne fece largo uso e la sua nascita fu resa possibile anche dalla confluenza degli ex appartenenti al gruppo Gramsci, a POTOP e soprattutto al Collettivo dei Volsci vero e proprio antesignano della agitazione sovversiva pre-terroristica. Per concludere, rimase un mistero come, dopo aver vissuto dall’interno esperienze di tale natura, gli A. possano concludere negando la profonda continuita’ tra ‘68 e ’77. 1 A tale proposito proprio gli A. sottolineano l’importanza — in termini involontariamente ironici — del lavoro di inseminatura attuato dalle sette comuniste. 2 Osservazioni queste che smentiscono esplicitamente le versioni date da NEGRI. 348 3. ASPETTI STORICO-IDEOLOGI DEL SESSANTOTTO * 1. L’estensione geografica Non c’è dubbio alcuno che il ’68 ebbe una estensione mondiale coinvolgendo l’Europa, il Nord e il Sud America e i paesi dell’Est (p.e. la Jugoslavia). Non a caso, al di là delle specificità nazionali, la rivolta studentesca ebbe una portata mondiale come osservò la Arendt (pur tenendo conto delle pertinenti osservazioni di ARON e di BAUMAN sulle diversità ideologiche che mobilitarono gli studenti dell’Est e quelli dell’Ovest). A tale proposito, l’esistenza di una evidente corrispondenza, a livello di modalità operative tipiche dell’azione non violenta della conflittualità non convenzionale, prova l’esistenza di un sostrato comune che non inficia il carattere policentrico e reticolare — come osserva GERLACH — del movimento. 2. Il superamento delle logiche geopolitiche tradizionali Una delle costanti che emerge con maggiore chiarezza da uno studio comparato dei vari movimenti è indubbiamente l’esplicito rifiuto di logiche geopolitiche tipiche — p.e. delle riflessioni di CARMICHAEL, degli slogans anti-NATO nel nostro paese o della volontà di estendere il conflitto vietnamita a livello mondiale. 3. Diversità Una conseguenza evidente del superamento di cui sopra fu certamente — p.e. l’esaltazione della lotta armata nel TERZO MONDO letto come profondamente altro aspetto all’Occidente, che condusse non pochi attori del movimento a criticare radicalmente le svolte autonome occidentali e i presunti golpe italiani e, di contro, a elogiare i sistemi autonomi largamente presenti nel TERZO MONDO. 4. L’anti-razionalismo * Fonte: Peppino Ortoleva, I movimenti del ’68 in Europa e in America, Editori Riuniti, 1998. 349 Fu certamente assai diffuso e determinato dalle seguenti cause: 1) le degenerazioni del nazionalismo attraverso il fascismo e il nazismo; 2) il fatto che il nazionalismo fosse una ideologia rilevante per determinate istituzioni (quali quelle politiche e militari); 3) il fatto che il nazionalismo fosse uno strumento di grande rilevanza per la legittimazione del consenso; 4) il fatto che il nazionalismo avesse determinato veri e propri genocidi. 5. Il localismo Il rifiuto del nazionalismo determinò come logica conseguenza: 1) l’elogio dell’indipendentismo e del separatismo (dalle mobilitazioni della Barbagia all’ULSTER); 2) la riscoperta del dialetto; 3) la strenua difesa dell’autonomia contro la logica centralistica.. 6. La direzione generazionale Con questa espressione facciamo riferimento alla giovane età degli attivisti (compresa fra i sedici e i trent’anni) che attuarono una: 1) ribellione contro la autorità politica letta come illegittima e costituita sulla menzogna (opposizione per nulla originale poiché mutuata dal movimento anarchico europeo e americano) alla quale contrapponevano l’elogio di una democrazia altra (analoga alla Comune di Parigi) servendosi: 1a) della irriverenza da applicarsi contro le tradizioni; 2a) della dimensione ludica a livello contestativo; 4) una contestazione della meccanica alienante della realtà che programmava la loro della vita; 5) una feroce critica alla necessità di adeguarsi alla realtà. Inoltre sottolinearono 6) la necessità di spazi autonomi (come le comuni, i quartieri riservati) — anche qui ricalcando gli esperimenti anarchici — anche attraverso modalità estreme come l’insurrezione o il terrorismo. Naturalmente erano consapevoli della assoluta necessità di: 7) rifiutare qualsiasi tipo di integrazione o comunque di utilizzazione da parte della logica consumistica come erano consapevoli della utilità di 8) richiamarsi al passato attraverso l’elogio degli IWW, del movimento anarchico spagnolo, della resistenza, dello spontaneismo e della opportunità di adottare nuovi linguaggi grafici, musicali e cinematografici. 350 7. La critica alle istituzioni formative Concretamente il rifiuto delle istituzioni formative si costituiva a partire 1) dalla esaltazione della prassi politica all’interno della istituzione contro gli impedimenti burocratici; 2) della difesa della scuola di massa letta come strumento di emancipazione; 3) dal rifiuto che l’università diventasse (come è diventata) parte integrante del sistema; 4) dal rifiuto della selezione classista; 5) dalla persuasione che solo una educazione altra potesse realmente emancipare l’individuo; 6) dal rifiuto della asimmetria tra docente e discente; 7) dalla realizzazione di una scuola quadri fortemente politicizzata e intollerante; 8) dal superamento delle vecchie associazioni universitarie (p. l’unione goliardica italiana); 9) dalla contestazione delle modalità del vecchio esame; 10) dalla progressiva dissoluzione delle barriere tra il modus vivendi intra-universitario e l’extraunivesitario; 11) dal rifiuto dei logori programmi dai quali veniva esclusa la attualità; 12) dall’uso del dibattito politico-culturale all’interno delle aule scolastiche e universitarie; 13) dalla difesa dell’autodidattica collettiva; 14) dal rifiuto della lezione cattedratica; 15) dalla consapevolezza della impossibilità di una conoscenza neutrale; 16) dalla utilità della occupazione praticata con le modalità operative dell’agitazione sovversiva; 17) dal radicale rifiuto dell’indottrinamento autoritario; 18) dalla consapevolezza di essere un soggetto — come massa studentesca — autonomo e portatore di esigenze specifiche (p.e. in Italia attraverso una strategia di alleanze secondo le modalità della Terza internazionale) come sottolineato dai documenti dell’Università di Trento e dalle tesi della Sapienza; 19) dalla volontà di fare dello studente un attivista rivoluzionario che doveva contestare il capitalismo a partire dalla istituzione formativa; 20) dalla necessità di ‘deporre’ il docente attraverso modalità operative progressive che andavano dalla agitazione sovversiva alla azione non violenta; 21) dalla consapevolezza maturata — solo in un secondo momento — della irrilevanza della istituzione formativa quale vettore di prassi rivoluzionaria; 22) dalla urgenza di modificare in modo strutturale e non riformistico la istituzione formativa; 23) dalla necessità di conseguire un reale egualitarismo contro la fittizzia selezione attraverso i controcorsi, attraverso una educazione critica, attraverso una nuova fondazione politica della sinistra extraparlamentare; 24) dalla necessità di legare strettamente conoscenza e azione politica per giungere ad 351 una reale presa di coscienza. In realtà, al di là della dimensione effimera di non poche proposte alternative — a comunicare da quella dei controcorsi — e al di là del fatto che paradossalmente l’autoeducazione si costruiva su tematiche alla ‘moda’, la istituzione formativa divenne un trampolino di lancio per un nuovo protagonismo politico, culminato nella prassi extraparlamentare, nel terrorismo e infine sulle istituzioni politiche tradizionali ma divenne soprattutto il luogo per eccellenza, per superare le istituzioni politiche, sociali, economiche e militari attraverso una rieducazione totalmente caratterizzata dalla intolleranza e dal fanatismo politico. 8. Il sapere alternativo e critico Quali contenuti nuovi sorsero con il ’68? In primo luogo, la internazionalizzazione delle idee fu una delle caratteristiche più evidenti almeno quanto le innovazioni delle forme della interanzionalizzazione stessa. Alludiamo al paperback e al tascabile consentendo — a costi assai contenuti — allo studente l’accesso ai classici delle scienze umane o della filosofia, creando dunque una industria culturale vera e propria anche nei confronti della stessa elaborazione del movimento e confermando implicitamente la naturale capacità di trasformare in merce qualunque prodotto culturale. Da questa consapevolezza sorse la critica al libro-totem (frutto dell’assimilazione acritica della rivoluzione culturale cinese) critica che si rivelerà auto-contraddittoria dal momento che proprio il movimento getterà le basi per una feticizzazione dei testi marxisti, leninisti, stalinisti, maoisti e cheguevaristi, giungendo ad un vero e proprio integralismo politico-culturale secondo il quale la cultura autentica era di sinistra a causa del quale non pochi docenti e/o intellettuali di sinistra erano ritenuti in flagrante contraddizione a livello di prassi politica (si vedano ad esempio le critiche rivolte a Adorno e a Habermas). In secondo luogo, l’enfasi posta sulla importanza dell’attività politica si trasformò ben presto in una politicizzazione totalmente e profondamente intollerante. In terzo luogo, il movimento non poteva accettare la disuguaglianza culturale né poteva condividere l’utilizzazione del sapere quale strumento di asservimento al potere (in particolare a quello politico, economico e militare). In quarto luogo, il movimento sottolineava come l’insieme del sapere fosse rivolto alla repressione e/o al contenimento del dissenso. In quinto luogo, l’esigenza di creare spazi alternativi procedeva di pari passo con la convinzione che le istituzioni avrebbero ben presto riassorbito l’antagonismo. In sesto luogo, il rifiuto di un sapere neutrale (rifiuto determinato dalla presa di coscienza che l’oggettività mascherava l’asservimento del sapere) porterà il movimento ora ad una politicizzazione della scienza ora alla negazione della oggettività in quanto tale. In settimo luogo, l’intellettuale doveva essere spietatamente critico verso le istituzioni o altrimenti non era affatto un intellettuale ma un servo consapevole o meno del sistema. In ottavo luogo, la socializzazione del sapere — l’esaltazione del collettivo per intenderci — porterà ad una critica impietosa e fanatica del lavoro individuale letto come pericolosamente borghese. 352 In nono luogo, l’utilizzazione dell’anti-psichiatria e della psicoanalisi nuovamente letta, consentı̀ al movimento di destrutturare la identità dell’io (letta come fittizia), di ritenere falsa la demarcazione tra normalità e patalogia, di rivalutare culturalmente e politicamente la follia psichica, di valorizzare pratiche sessuali alternative anti-monogamiche (smascherando false istituzioni come il matrimonio) portando in tal modo alla politicizzazione della sessualità, alla centralità del suo ruolo anche per cambiare il mondo (l’incremento del turpiloquio era proprio finalizzato a smascherare l’ipocrisia bigotta della cultura borghese anche se ben presto divenne pura e semplice volgarità fine a se stessa). In decimo luogo, il movimento auspicava la realizzazione di un rinnovamento profondo dell’umanità ispirato al socialismo utopico, al socialismo libertario, al socialismo maoista, leninista, castrista che trovò , p.e. in Che Guevara, una vera e propria incarnazione, che trovò nella critica feroce ed unilaterale della civiltà occidentale una sua concretizzazione. Disgraziatamente questa esigenza porterà i suoi sostenitori a perdere di vista la ferrea dinamica della realtà e a farli diventare utili strumenti in mano a quelle potenze che avevano tutto l’interesse a fomentare l’opposizione all’Occidente. In undicesimo luogo, la progettualità di un ordine nuovo era storicamente scarsamente originale dal momento che la controcultura sessantottina riprendeva e/o rielaborava aspetti del cristianesimo nella sua fase iniziale, dell’anarchismo europeo del seicento e dell’ottocento, del socialismo utopistico, del programma dei livellatori e zappatori inglesi. La democrazia assembleare (sia quella teorizzata dal Manifesto di PORT HURON che quella del comunismo dei consigli) — p.e. era una riedizione della logica anarchica e comunitaria che presto si tramutò o in un autoritarismo leaderistico o in una feroce contrapposizione di punti di vista che vanificava la possibilità di giungere a conclusioni comuni. Oltretutto la democrazia assembleare — democratica solo formalmente (come rilevò lo stesso ROSTAGNO) — costituı̀ uin ottimo trampolino di lancio e un’ottima palestra per future e radiose carriere politiche (al di là delle mistificazioni intellettuali di TOURAINE e MORIN). In dodicesimo luogo, la struttura dei movimenti — struttura che ha anticipato quella dei movimenti no global attuali — era a forma reticolare (in particolare quella del Black Power e quella del movimento studentesco). 9. Il ruolo dei partiti In generale il movimento manifestò sempre una posizione fortemente critica nei confronti dei partiti letti come strumenti di dominio e/o indottrinamento e volti al consolidamento del conformismo e alla assuefazione alle regole del sistema dominante. D’altra parte il sistema dei partiti — nella maggior parte dei casi — accolse con ostilità le motivazioni e le modalità operative del dissenso studentesco, ostilità alla quale il movimento seppe costruttivamente contrapporre sia media alternative (p.e. la Liberation News Service o la New England Free Press) che soprattutto negli USA avevano una autorevole tradizione alle spalle ed erano ispirate alle teorie semiotiche del dadaismo,del futurismo e del surrealismo). A livello di modalità operative, l’opposizione si concretò 353 anche attraverso il boicottaggio economico o l’occupazione (si veda per esempio l’azione, tipica della agitazione sovversiva, dell’Sds tedesco contro SPRINGER), attraverso la realizzazione di films a 16 mm , di documentari relativi alle manifestazioni, attraverso la realizzazione di reti cinematografiche indipendenti o del magnetofono portatile fino all’uso di una spontaneità linguistica lontana dagli artifici della demagogia ufficiale. In breve le altre caratteristiche della nuova sperimentazione si attuarono attraverso 1) 2) 3) 4) l’uso di dibattiti dopo le proiezioni; l’uso del Kitsch e della cultura di massa; l’uso di una terminologia sboccata a scopo trasgressivo e anti-borghese; la realizzazione di produzione cinematografiche a carattere collettivo ispirate alle riflessioni di VERTOV e BRECHT; 5) l’uso del film — documento (come La Reprise DU TRAVAIL AUX USIHES WORHDER del giugno del ‘68); 6) o del film-saggio (come LAHORA DE LOS HORNOS ); 7) o della parodia del clip. In definitiva il movimento promosse una contro informazione non meno faziosa e intransigente di quella ufficiale, (d’altronde l’obiettività non era forse una mistificazione?) una contro informazione volutamente connotata come ‘guerra controinformativa’ cioè — nella nostra terminologia — come guerra psicologica che ben presto venne assimilata dalla cultura dominante (p.e. la trasgressione sessuale divenne pornografica). 10. L’opposizione al sistema Questa doveva essere permanente (come sottolineava DUTSCHKE) proprio come aveva indicato MAO e si concretava ora attraverso le tecniche dell’azione non violenta (terminate da Thoreau e Gandhi) ora - assai più spesso - attraverso l’agitazione sovversiva. A tale proposito, il rifiuto della guerra convenzionale — letta con tipica manifestazione dell’imperialismo — si accompagnò alla esaltazione (e alla pratica) della guerriglia interpretata nell’ottica maoista e che guevarista. Quanto alla condanna della istituzione militare e della tecnocrazia fu sempre letta e radicale (almeno quanto l’anti-americanismo e il rifiuto del realismo politico come griglia interpretativa della realtà storica) tanto che agevolmente possiamo parlare di anti-militarismo radicale. Una delle conseguenze più evidenti sarà la contrapposizione teorica tra un mondo storico connotato dalla opposizione e dall’autoritarismo e una realtà rivoluzionaria che spesso trovò nel terzo mondo il proprio luogo privilegiato; oppure la politicizzazione che ossessivamente portava il militante a etichettare qualunque manifestazione di pensiero e di azione secondo le categorie bipolari di destra e sinistra. Ideologicamente parlando, al di là delle differenze tra l’antagonismo anglo-americana e la nuova sinistra francese, italiana e tedesca, il socialismo (in tutta le sue forme da quello autoritarie a quella libertine) e l’anarchia (da quello europeo a quello americano) erano indubbiamente i punti di riferimenti storici impren- 354 scindibili. Quanto al rapporto con i partiti comunisti e i sindacati, questo fu costruito all’insegna ora della reciproca diffidenza e ostilità ora della collaborazione. L’utilizzo — storicamente infondato — della specifica categoria storica del fascismo per connotare tutti i fenomeni culturali conservatori fu una delle conseguenze di una lettura fanaticamente politicizzata della storica incapace — spesso — di distinguere le varie tipologie di sistema politico (in Italia, p.e., i vari governi democristiani erano fascisti tanto quanto quelli dei regimi latino-americani.) Fra l’altro, questo uso disinvolto e fallace delle categorie storiche, è fatto proprio anche dall’attuale movimento anti-globalizzazione. La demonizzazione dell’avversario (l’uomo politico, le forze dell’ordine particolarmente disprezzate, la magistratura non progressista) fu uno dei procedimenti ideologici maggiormente usati almeno quanto l’ossessione per golpe imminenti e l’uso della dietrologia che vedeva nei poteri occulti (servizi di sicurezza in primis) la genesi del male. Altrettanto radicale sarà il rifiuto della democrazia rappresentativa e del partito contro i quali le modalità operative saranno ora l’azione diretta ora quella del logoramento ora la rivoluzione violenta letta come obiettivo realmente perseguibile grazie alla quale la società nuova e l’uomo nuovo avrebbero trovato modo di realizzarsi (come negare, a tale proposito, la dimensione millenaristica di questa speranza?) E che dire della famiglia borghese che fu sottoposta ad una critica impietosa aprendo la strada alla legittimazione del divorzio, della convivenza svincolata dal potere dello Stato e della chiesa? Come trascurare il ruolo della violenza letta ora come strumento offensivo ora come strumento difensivo di fronte alla repressione (legittima e doverosa aggiungeremo noi) delle forze dell’ordine? Come sottovalutare — a tale proposito — l’uso di tecniche da guerriglia urbana del maggio del ’68 a Parigi che avrebbero dovuto condurre ad una insurrezione generale? Infatti proprio alla fine del ’68 la degenerazione militarista getterà le basi — in America e in Europa — della lotta armata in nuce già presente sotto il profilo strettamente ideologico già durante il ’68. A tale proposito, la demonizzazione delle forze dell’ordine fu radicale almeno quanto quella della NATO interpretata come il ‘braccio armato dell’imperialismo USA in Europa’, interpretata cioè secondo i dettami della propaganda della cold war (più specificamente secondo l’approccio sovietico). Il panpoliticismo — altra caratteristica determinante del ’68 — porterà ad una estrema politicizzazione della avvocatura, della magistratura politicizzata che avrà — di lı̀ a breve — conseguenze nefaste almeno quanto la sindacalizzazione della polizia. Accanto alla mitizzazione del guerrigliero o dei movimenti guerriglieri (da Villa a Che Guevara, da Fanon a quello vietnamita), l’operaio — come la fabbrica — vennero strumentalmente — deificati per sottolineare la funzione rivoluzionaria — in un’ottica operaista per esempio — accanto a quella dello studente con il quale avrebbe dovuto stringere un’alleanza di ferro per innescare la rivoluzione. Concretamente si trattò di un vero e proprio indottrinamento ideologico - analogo a quello del socialismo e dell’anarchismo, volto a istigare l’operaio contro il padronato locale e contro il sistema capitalistico tout court. Proprio il sistema capitalistico era visto come la principale incarnazione del male, un sistema economico questo che fu d’altra parte oggetto di riflessioni analoge a quelle della 355 tradizione socialista e marxista. Ma il male aveva molteplici volti e fra questi il carcere che non poteva che essere accettato (l’approccio riformistico era troppo marcatamente borghese per essere condiviso) almeno tanto quanto l’istituzione militare (recuperando stancamente l’anarchismo e il pacifismo iberico) e quella manicomiale. Proprio riflettendo sulle carceri e sui manicomi il movimento individuò negli esclusi di queste istituzioni un altro soggetto rivoluzionario. Un altro aspetto tutt’altro che marginale fu la realizzazione di comunità nelle quali si poteva sperimentare liberamente un modus vivendi altro rispetto alla corretta società, un modus vivendi autentico che poteva anche implicare l’assenza di opposizione violenta o la presenza della resistenza passiva ma anche la non partecipazione alla società dominante. In buona sostanza si progettarono comunità autogestite all’interno delle istituzioni (delle fabbriche, delle università, della città) o all’esterno delle istituzioni traendo ispirazioni dalle esperienze di FOURIER e PROUDHON per giungere infine a comunità politico-religione ante signane della new age. 11. Conclusione Nonostante le varie sperimentazioni, la rinascita all’interno del movimento di gruppi o politici più o meno organizzati rese vana l’alternativa utopica proposta tanto quanto la riaffermazione della divisione tra intellettuali e popolo. L’antagonismo tra azione non violenta e agitazione sovversiva che aveva connotato ampiamente tutto il movimento, venne meno a favore della lotta armata. L’esigenza di superare la democrazia fittizia — quella rappresentativa — si trasformò nella realizzazione di gruppi fortemente accentrati e fortemente gerarchizzatii (come i gruppi terroristici quali la RAF e le BR). Quanto alla persistenza nel nostro paese del movimento, questa fu determinata ora dalla convivenza ora della superficialità della classe politica e del potere sindacale che vanificarono da facto l’ottimo lavoro di intelligence promosso dall’Ufficio Affari Riservati (attraverso la DIGOS e poi l’UCIGOS) e dalla Difesa (dall’Arma al SID). A tale proposito — sia sufficiente ricordare la reazione di buona parte della classe politica italiana, vile, incapace di comprendere la portata reale del movimento sotto il profilo della stabilità delle istituzioni e dell’ordine pubblico e la connivenza di fronte alla relazione del prefetto MAZZA — che aveva lucidamente compreso — come d’altronde MIGLIO, ROMEO, MONTANELLI — la deriva eversiva del movimento e la esplicita legittimazione e copertura da parte del personale docente e degli intellettuali. 356 4. L’INTERPRETAZIONE DEL SESSANTOTTO E DEL SETTANTASETTE DI MORONI * Sarebbe indubbiamente un grave errore sottostimare la portata eversiva di non pochi avvenimenti che precedettero e anticiparono il ’68. Si pensi — a mo’ di esempio — allo sciopero del giugno del sessanta e alle successive manifestazioni la cui composizione di classe sarà di estremo interesse per comprendere il ruolo cruciale svolto dalla simbiosi di ex-partigiani (soprattutto appartenenti all’ANPI e al settore della ‘Resistenza tradita’), studenti della FGCI e operai ampiamente sindacalizzati, simbiosi che svolgerà una sorta di antecedente rispetto alle manifestazioni future, come dimostra la repentina radicalizzazione dei manifestanti che travalicherà gli angusti limiti imposti dalla Cgil. Altrettanta significativa sarà la manifestazione filocubana del ’61, sorta sotto gli auspici della base del Pci milanese, che si concretizzerà in uno duro scontro fisico tra polizia e manifestanti al quale — ancora una volta — prenderanno parte gli studenti. In particolare, la natura antiamericana e — lo ribadiamo — filocubana costituirà un elemento costante in tutti i momenti extraparlamentari — dal ’68 al ’77 — almeno tanto quanto centrale risulterà la dimensione operaista, di estrema sinistra e anti-politica codificata dai ‘Quaderni Rossi’, la rilevanza della rivoluzione culturale cinese per il M/L e la contro informazione attuata dalla musica alternativa (si pensi all’Equipe 84, ai Rockers e soprattutto ai Nomadi e alla Pravo) e dalla influenza della Beat Generation. Proprio la cultura americana rivestirà un ruolo decisivo — sia nel contesto dell’anti-militarismo che in quello delle rivolte sociali — nel condizionare profondamente intere generazioni — attraverso la Einaudi, la De Donato e la Feltrinelli. Si pensi — a mo’ di esempio — alla abile campagna di disinformazione premessa dalla Einaudi in merito alla questione nera campagna volta a sostenere la leceità della insurrezione del Black Panter Parthy — o al Cantacronache nato nel ’58 con lo scopo di attuare una sistematica contro informazione attraverso la musica politicizzata (p.e. i canti di protesta del popolo italiano, per i motti di Reggio Emilia o le basi americane di Assunti del ’66). Al contrario l’abbinamento tra pensiero marxiano e pensiero anarchico caratteristica della IS (sosta nel 57 a Cosio d’Arroscia) troverà scarsa eco nel ’68 per essere successivamente recuperata nel ’77. Un altro elemento determinante nel condizionare l’interpretazione della realtà delle giovani generazioni fu certamente ‘il complottismo italo-americano’ che troverà nel volume di Faenza (‘‘Il Malaffare’’) un testo di riferimento prezioso per la successiva contro informazione anti-americana e anti-militarista. La demonizzazio dell’intelligence americana e italiana diverrà un leit-motiv costante per la cultura antagonista e per la propaganda della sinistra istituzionale. * N. Balestrini/P. Moreni, L’orda d’oro, Feltrinelli 1988. 357 Eventi altrettanto significativi saranno lo sciopero di Genova del 1960 e la rivolta di Piazza Statuto del ’62 in quanto costituiranno veri e propri episodi di insurrezione fondamentali per comprendere il ruolo cruciale che la violenza operaia e studensca rivestirà nel ’68 e nel ’77, realtà operaia che — non a caso — sarà oggetto di pesantissimi e molteplici condizionamenti non solo da parte dell’ala più radicale della CGIL ma soprattutto da parte dei ‘‘QR’’ e di ‘‘Classe operaia’’ e dunque di Moltaldo, e Panzieri e Tronti, realtà operaia che mostrerà la sua pericolosità anche in occasione dello sciopero dell’ottobre del ’63 alla FIAT. Commenta MORONI: ‘‘(...) lo sciopero prende la forma di un antagonismo di classe che esprime i tempi e l’intensità dello scontro politico di classe’’ (p. 144). Storicamente le prime organizzazioni M/L diverse dal PCI che attueranno una sistematica strumentalizzazione della massa operaia — in nome di un autentico leninismo maosta — saranno il gruppo M/L di Calò e Duse (sorta nel ’62 a Padova) e le Edizioni Oriente sorte nel ’63 a Milano , esperienze che culmineranno nella fondazione del ’64 della rivista Nuova Unità e nel ’65 della pubblicazione ‘‘Il Comunista’’ entrambe collocate alla sinistra estrema del Pci. Solo nel ’66 nascerà il primo partito M/L autonomo del Pci nato come Pcd’I M/L e la prima Federazione castrista porterà a incitare le nuove generazioni alla pratica della guerriglia sulla falsa riga di Mao e del Che. La legittimità della violenza rivoluzionaria diverrà un punto fermo almeno quanto la militarizzazione del guerrigliero e la falsificazione della realtà operata nei confronti del Che e di Torres,falsificazione che condurrà numerosissimi giovani ad un approccio privo di qualsiasi senso della realtà come dimostrano ampiamante la fraselogia presa in prestito acriticamentente dal lessico rivoluzionario. Dissertare di ‘rovesciamento dello stato’, auspicare la formazione di ‘un movimento rivoluzionario’ erano espressioni cosı̀ usate da risultare ben presto ridondanti 1. Non diversamente d’altronde dalla enfasi posta sulla non neutralità della scienza che condurrà l’intelligenza a recuperare l’irrazionalismo ottocentesco! Dicevamo dell’uso diffuso della violenza: questa consolidarsi cosı̀ a lungo nel nostro paese, a causa della convivenza di larga parte del governo con le istanze sovversive del MS e dell’antagonismo extraparlamentare e della intrinseca debolezza del sistema italiano che — p.e. — spinse il governo al rilascio degli studenti arrestati durante gli scontri a Valle Giulia e che costrinse il rettore a riaprire l’università di Roma 2. Debolezza che consentirà — fra l’altro — la nascita e l’affermarsi di Magistratura democratica, degli ‘‘avvocati-compagni’’ (p. 344), e dei giornalisti democratici e soprattutto di Soccorso Rosso vero e pro1 Contrariamente alla interpretazione di Bianchi che legge nel ’68 ‘‘uno spartiacque epocale’’ l’auspicato esito rivoluzionario fatto proprio dal MS e dalle organizzazioni extraparlamentari non poté giungere a compimento sia per il congenito estremismo irrealistico sia per la capacità del sistema capitalistico di fagocitare e trasformare a proprio vantaggio qualsiasi opposizione anche quella più radicale. 2 Indubbiamente l’insuccesso della cultura extraparlamentare nell’abbattere il sistema fu anche determinato dalla dispersione dei gruppi antagonisti, dal loro settarismo che li portò a farsi concorrenza reciproca in modo spietato finendo per indebolire il raggiungimento dell’obiettivo finale. L’insieme di questi elementi condurrà i raggruppamenti extraparlamentari a estinguersi in breve tempo. 358 prio network antagonista ante-litteram. Quanto all’affermarsi della lotta armata — al di là del mancato riconoscimento della sua reale matrice politica e alla dietrologia complottistica — questa non costituı̀ una deriva irrazionale ma una coerente scelta ideologica rispetto alle premesse poste nel ’68. D’altronde la rivista ‘Sinistra proletaria’ (nota del 1970 a cura del CPM) — vera e propria antesignana delle BR — non aveva preso forse origine dai CLUB? E i suoi fondatori non provenivano forse ‘‘dall’esperienza dell’Università di Trento’’ (p. 387)? E, infine ‘‘il concetto di lotta di lunga durata non era già stato teorizzato sempre nel contesto della Università di Trento come opportunamente ricorda MORONI? La gran parte dei militanti di POTOP, LC e del CPM non avevano concordamente deciso di dotarsi di adeguata strutture politico-militari? La scelta di usare la guerriglia urbana, quale strumento privilegiato per l’offensiva anti-capitalistica da parte di CAP di Feltrinelli e del CPM, non era la conseguenza delle premesse poste già nel ’68? La pubblicazione apertamente terroristica di ‘‘Nuova Resistenza?’’ (nata nel 1971) non trovò — anche nella base del Pci condivisione ideologica? D’altronde dalla scissione dal PCI e dalla FCGI non provenivano Franceschini e Gallinari (p. 401)? Non furono LC e POTOP a dare ampio spazio — segno questo di convivenza — alle azioni terroristiche dei GAP? (p. 404) E a proposito dei GAP, Feltrinelli non era forse un entusiasta ammiratore di CASTRO che già era stato ampiamente mitizzato dalla disinformazione pubblicistica nel ’68? Il movimento ‘‘Dannati della terra’’ — dal quale prenderanno origine i NAP — non era stato legittimato da LC? (p. 418). A tale proposito, MORONI — dopo aver indicato brevemente le differenze a livello di comprensione e natura sociale tra i NAP e le BR — mostra una non sorprendente solidarietà con i terroristi nappisti riuscendo a trasformarli in vittime della repressione! Insomma un vero e proprio ribaltamento di ruoli, nel quale le forze dell’ordine e la magistratura rappresentano ‘‘la faccia cattiva e perversa’’ della realtà! Sulla stessa scia si muovano NEGRI e CASTELLANO in relazione all’autonomia formulando una criptica e mistificante interpretazione del movimento del ’77. Ad ogni modo — prendendo entrambe le interpretazioni in considerazione — emergono alcuni punti fermi circa la genesi del ’77 e le sue modalità operative: secondo Negri l’area dell’Autonomia sorse dei comitati autonomi dei Volsci che ebbero una natura spontaneistica e il cui radicamento sociale proveniva da contesti diversi ‘‘ospedalieri, ferrovieri, operai dell’energia, studenti fuori sede di ROMA’’ e dalla articolata simbiosi tra gli ex-militanti del gruppo Gramsci, di POTOP e di LC dalla quale reclutarono i Comitati Comunisti rivoluzionari. Tuttavia la caratteristica ideologica più rilevante NEGRI la individuava nella dimensione leninista-militaristica dell’Autonomia Operaia organizzazione emersa chiaramente già nel 1973.Insomma — a parte i Volsci romani — l’area dell’Autonomia fu il risultato della coesistenza dei CPS e dei periodici ROSSO, Senza Tregua, Potere operai per il Comunismo, e infine di Attraverso nato nel ’75. Al di là della interpretazione di Castellano i dati informativi che risultano esserci preziosi sono certamente i seguenti: 1) non poche problematiche dell’Autonomia furono anticipate dai Quaderni Rossi; 2) il Comitato operaio studenti della Bassa padovana costituı̀ un prezioso tassello nell’ambito dell’Autonomia dal momento che le proteste, il sabotaggio, gli scioperi articolati costituivano le principali forme di conflittualità non convenzionale; 359 3) la facoltà di scienze politiche padovane sarà il laboratorio principale della teorizzazione eversiva dell’Autonomia a partire dal ’75 e l’egemonia — a colpi di molotov — sarà rapidamente conseguita; 4) nello stesso anno si diffonderà la illegalità di massa ai danni dei democristiani e della istituzione universitarie; 5) l’anno successivo — nel 1976 — l’uso della espropriazione proletaria e la pratica dei seminari autogestiti diverranno forme antagoniste costanti; 6) nelllo stesso anno la nascita di Radio Sherwood rappresenterà un potente mezzo di disinformazione. Quanto alla ricostruzione formulata da MORONI, questa si può agevolmente comprendere nel modo seguente: 1) il ’77 fu certamente critico nei confronti della mitologia del sessantotto 2) il movimento prese atto della impossibilità oggettiva di portare il PCI su una via rivoluzionaria e della scarsa autonomia di DP; 3) la critica al riformismo politico venne radicalizzata dal movimento del ‘77; 4) i Circoli del proletariato giovanile saranno l’anima dell’Autonomia; 5) il radicamento dei Circoli fu reso possibile anche dall’appoggio di di LC; 6) i CPG rivendicarono esplicitamente l’uso della violenza, la pratica della vigilanza antimissina e anti-istituzionale, la requisizione degli edifici, la liberizzazione della droga, l’esproprio dei supermercati, l’occupazione delle università a scopo provocatorio; 7) i CPG presero atto della opposizione sia del PCI che della CGIL alle pratiche conflittuali messe in atto e si resero conto che un gran numero di intellettuali di sinistra — come ASOR ROSA e SANGUINETI — si erano oramai pedissequamente adeguati alla linea istituzionale; 8) i principali soggetti sociali dell’Autonomia saranno i precari, gli studenti e gli operai; 9) come durante il ’68 anche nel ’77 le Università divennero vere e proprie basi rosse in costante stato di fermento che verrà a radicalizzarsi dando esito a scontri a fuoco con le forze dell’ordine; 10) il varo della Legge Reale e l’istituzione delle Carceri speciali furono interpretati come strumenti di inammissibile repressione (rilevante ammissione poichéne confermava l’efficacia); 11) le considerazioni sul ruolo degli intellettuali autogestiti — valutazioni volte a sottolineare la pericolosità politica culturale — formulata dalla Trilateral Commission nel 1975 — furono lette come reazionarie; 12) la risoluzione e l’efficacia della controffensiva degli Interni furono interpretate come una pericolosa deriva reazionaria (confermando in tal modo la loro efficacia); 13) rispetto alla lotta armata l’Autonomia mostrò convivenza e complicità. Opportunamente — a conclusione del volume — gli A. condividono ampiamente l’interpretazione di VIRNO sugli esiti dell’antagonismo contemporaneo, valutazioni che sottolineano la centralità dei COBAS e dei CSAO considerati veri e propri eredi del movimento del ’77. 360 5. IL SESSANTOTTO SECONDO L’INTERPRETAZIONE DI MARIO CAPANNA * Allo scopo di comprendere lucidamente l’interpretazione dell’autore utilizzeremo una griglia interpretativa analoga a quella usuale. Formazione culturale e referenti ideologici. I primi passi nel contesto della cultura alta furono compiuti attraverso la lettura di MARX e dei più autorevoli ‘‘teologi cattolici’’ dal cui studio non trassero alcuni giovamento (al contrario di quello svolto su Don Milani, Torres e Balducci). Nell’ambito della riflessione politica di estrema sinistra operaista l’influsso dei Quaderni Rossi e dei Quaderni Piacentin fu indubbiamente rilevante per legittimare la necessità di una simbiosi tra lotta studentesca e operaie. Sul fronte della pubblicistica estera la Monthly Review fu indispensabile per approfondire la dinamica capistalistica americana e i Quaderni dell’Editrice Oriente per consolidare una interpretazione critica e dogmatica della Cina. A tale proposito, la riflessione sulla rivoluzione culturale cinese (e in particolare quella sull’opera delle Guardie rosse e sulla Comune di Shangai) si colloca all’interno di una interpretazione storica priva di imparzialità e finalizzata a screditare la politica sovietica . Inoltre nel volume dell’A. manca qualsiasi presa di coscienza critica a posteriori sulla dimensione profondamente reazionaria della rivoluzione cultura cinese ed è assente qualsiasi autocritica sugli innumerevoli elogi tributati a Stalin dei documenti ufficiali del MS. L’assurdo abbinamento tra i valori democratici e il desiderio di pace — a parole decantati — da un lato e la difesa ad oltranze dell’OLP, della guerriglia vietcong, di quella del Che e del Black Power dall’altro lato costituiscono una caratteristica tutt’altro che marginale anche per il MS. Quanto al riconoscimento tributario ai Provos, e in particolare a Savio e a Rubin, questo era scontato e prevedibile dal momento che gran parte delle metodologie antagoniste furono mutuate proprio dall’esperienza americana. Alleati. La rete di alleanze costituita nel corso di anni fu nel contempo solida e ampia: l’Anpi (e in particolare Pesce, Moscatelli e Vidali), la base della CGIL, i CLUB Pirelli, gli avvocati democratici (quali Spazzali, Pecorella e Tanzi), i giornalisti (Cederna, Bocca, Stajcenok, Risé), i deputati della sinistra (in particolare Scalfari e), i Comitati dei giuristi democratici, quelli dei giornalisti per la libertà e infine quelli dei docenti come Menepace, Paci, etc. L’interpretazione spontanea e/o predefinita di questi players fu in grado — sovente * Fonte: Mario Capanna, Formidabili quegli anni, Rizzoli, 1994. 361 — di attuale un rilevante pressing politico e di movimentare la public opinion ai danni delle istituzioni politiche. A tale proposito Mazza e Guida — due noti questori — furono rapidamente cassati. Rivali. Indubbiamente la gran parte delle altre sette M/L ed in particolare AO. Nemici. Naturalmente l’insieme di quelle istituzioni politiche nazionali e non che ostacolarono o reagirono con la repressione (attraverso la promulgazione dello Stato di emergenza politico) di fronte alla avanzata dell’antagonismo: dalle istituzioni politiche quali la DC, l’MSI, a quelle politico-militari quali la NATO, la polizia, i Carabinieri, i questori e i prefetti, alla stampa conservatrice (dalla ‘‘La Notte’’ a ‘‘Berghen’’, a Montanelli), alle singole figure di leaders politici (quali Saragat e Spadolini, Kissinger e Reagan), alle istituzioni politiche presidenzialistiche (come il gollismo che aveva rapidamente liquidato il maggio francese) e) fino ai raggruppamenti conservatori informali quali fu la Maggioranza silenziosa. Strumenti. Un’ampia gamma di strumenti antagonisti fu usata: 1) la violenza offensiva/difensiva dei Katanga; 2) la Pychological Warfare: attraverso la contro informazione dei RAP e del BOD della Statale, attraverso l’utilizzazione ideologica della resistenza, attraverso l’interpretazione della legittima repressione come vero e proprio strumento reazionario, attraverso l’usuale denominazione dell’avversario come fascista, attraverso la costante mistificazione della realtà o attraverso il voluto travisamento del significato del concetto di democrazia; 3)il sabotaggio interno delle istituzioni secondo l’insegnamento gramsciano (all’interno della Università Statale di Milano e di buona parte delle scuole superiori di Milano); 4) promuovendo la disubbidienza e lo sciopero a getto selvaggio nelle fabbriche; 5) attuando minacce e intimidazioni; 6) promuovendo e osservando la disobbedienza civile e l’illegalità. 362 6. NOTE SUL DISSENSO CATTOLICO * Il MS della Cattolica di Milano — e la solidarietà manifestata verso di esso da parte di don GIAVAZZI e don CUMINETTI — fu una delle prime forme attraverso le quali si concretò il dissenso cattolico in Italia. Al di là della natura culturale — che fu appunto cattolica — di non pochi leaders (fra i quali la CAGOL, SORBI, BOATO e lo stesso CAPANNA) non pochi militanti della contestazione studentesca provenivano dalle ACLI e dalla FUCI e — in breve tempo — scavalcarono a sinistra la gran parte dei militanti di provenienza comunista promuovendo tecniche tipiche della conflittualità non convenzionale. Fra le quali: le assemblee autogestite, la disinformazione (nell’ambito della quale la manipolazione interpretativa — p.e. delle opere di MARITAIN —, la disinformazione sistematica delle vicende storiche contemporanee e della loro attività antagonista giocarono un ruolo determinante) e la graduale costituzione di alleanze trasversali con il mondo associativo-sindacale e politico (per garantirsi una adeguata protenzione di fronte alle prevedibili reazioni delle autorità accademiche e di quelle di pubblica sicurezza). Indubbiamente non poche delle contestazioni promosse poterono attecchire (e diffondersi in modo capillare da università a università) grazie alla connivenza-complicità di docenti, assistenti e ricercatori, all’autoritarismo di cui diedero prova tutte le organizzazioni studentesche (da Trento a Milano), e all’ampio uso della violenza verbale (minacce, improperi, diffamazioni) e di quella fisica (dal lancio di cubetti di porfido contro la polizia alla violenza teppistica contro il dissenso di studenti e docenti). Proprio l’insieme di queste modalità — frutto della contaminazione tra conflittualità non convenzionale e conflittualità tradizionale — indussero le autorità accademiche ed ecclesiali a considerare il sedicente antagonismo cattolico fuori dalla tradizione religiosa (nonostante il fatto che questo avesse riscosso larghi consensi presso settori non marginali della realtà politico-sindacale cattolica). Una forma di dissenso cattolico, parallelo a quello laicale, fu certamente quello ecclesiale agli inizi del ‘69 che prese forma attraverso manifestazioni di dissenso pubblico, lettere di protesta, marce, congressi, (p.e. quello della FUCI), documenti di contro informazione, case editrici (Jaca Book, Feltrinelli, Gribaudi, Querinianai, Dehoniana, EMI), associazioni (Mani tese), comunità alternative (l’Isoletto, Capodarco), leaders carismatici in grado di manipolare il consenso (Balducci, don Mazzi, padre Biot) e reti informali di solidarietà internazionale con l’America Latina (dal Cile al Brasile) grazie alle quali si attuò una vera e propria contaminazione con le metodologie * R. Beretta, Il lungo autunno, Rizzoli 1998. 363 e l’ideologia di TORRES, GUETIERREZ, Dussel e BOFF che divennero in breve tempo il corrispettivo — nell’ambito dell’antagonismo religioso — di Che Guevara, HO CHI MIN e GIAP. Sotto il profilo ideologico il dissenso cattolico additò — in modo contraddittorio — il pacifismo con la difesa della guerriglia vietcong, MARX con CRISTO, il messaggio evangelico con quello della Rivoluzione cinese, compiendo vere e proprie incesti politico-culturali a livello che furono possibili soprattutto grazie alle case editrici autogestite che misero in atto una vera e propria guerra psicologica contro la chiesa ufficiale, gli USA, le istituzioni militari nazionali e sovranazionali finendo per diventare strumenti — ora inconsapevoli ora consapevoli — della politica anti-occidentale di Cuba e dell’Urss. 364 7. L’INTERPRETAZIONE DEL SESSANTOTTO SECONDO PAUL GINSBORG Che il ’68 fosse stato un rilevante tentativo di rovesciare i valori dominanti dell’epoca con lo scopo di impedire la interiorizzazione dei valori della società dominante, è un dato oramai acquisito almeno quanto l’abbinamento della rivoluzione culturale civile con il terrorismo della teologia della liberazione e delle esperienze guerrigliere in America Latina. Ma questo coagulo ideologico — al contrario di ciò che pensa l’A. — non fu una miscela straordinariamente possente ma, semmai, straordinariamente devastante. Anche il ricorso alla violenza non fu determinato — come sostiene l’A. a p. 239 — dalla repressione poliziesca ma fu la conseguenza diretta dei presupposti marxisti-leninisti e maoisti. A riprova di ciò, lo stesso A. riconosce — contraddittoriamente — che l’uso della violenza entrò tra i valori e le azioni del movimento, al punto che oramai la connotazione eversiva del movimento era un dato acquisito. A livello di contenuti ideologici l’A. riconosce — non senza malizia — che erano vecchi al meno quanto la rivoluzione russa (p. 242) dal momento che erano prevalentemente leninisti (si pensi a POTOP e a Avanguardia operaia); a livello di mobilitazione il loro fanatismo frenetico creò le condizioni per una ampia coscienza antagonista anche nei ceti medi. Tuttavia ben presto — come era d’altra parte prevedibile — divennero ‘‘(...) divennero rapidamente delle versioni in piccolo dei principali partiti politici, con le loro gerarchie (...) e con presuntuosi leaderismi’’ (p. 243) non comprendendo che l’applicazione acritica dei modelli terroristici all’Italia era semplicemente privo di realismo storico. Una delle innumerevoli conseguenze nefaste della fanatica politicizzazione — contrariamente all’opinione dell’A. — fu la nascita di Magistratura democratica e dei Proletari in divisa che cercarono di fare collassare il sistema dall’interno. In definitiva — ancora una volta in radicale dissenso con l’A. — il ’68 fu non un tentativo straordinario ma un tentativo allucinatorio di cambiare la realtà verso derive eversive. L’esito terroristico non rappresentò dunque una sorpresa anche perché — come sottolinea con onestà intellettuale l’A. — ‘‘la diffusa giustificazione di una violenza proletaria e rivoluzionaria rappresentò un terreno fertile per il fiorire del terrorismo’’ (p. 273). Là dove la nostra valutazione non può concordare con quella dell’A. è nella presunta differenza tra il movimento e la lotta armata: quest’ultima utilizzò effettivamente la violenza non limitandosi a proclami o a istigazioni. Ebbe — insomma — la drammatica coerenza di passare dalle parole ai fatti 1. L’estremismo ideologico del1 Sia sufficiente — a titolo di esempio ricordare che all’interno dei NAP militarono alcuni appartenenti a LC. 365 l’A. si rivela tuttavia là dove rimprovera (p. 286) al PCI di Berlinguer di essere divenuto ‘‘il più zelante difensore delle tradizionali misure di legge e di ordine’’, dando il proprio appoggio alla legge Reale. Dal nostro punto di vista — al di là del ‘merito’ tattico del PCI — il dato che sottolineare è al contrario un altro: l’irresponsabilità e la connivenza di buona parte della classe politica italiana impedirono fino al ’75 di approvare decreti di emergenza quando nel paese esistevano già da molti anni le condizioni per varare la legge Reale alla quale non a caso il PCI si era inizialmente opposto. Per quanto concerne il movimento del ’77, anche l’A. fa sua la tradizionale interpretazione secondo la quale questo movimento aveva due anime delle quali quella di autonomia operaia rappresentava l’ala militarista. Quanto grave fosse la situazione nel nostro paese la si evince da un dato assai semplice: dopo la morte accidentale di LORUSSO (nel marzo del ’77) Bologna fu pattugliata da blindati, un provvedimento — questo — che si prendeva solo in caso di pericoli pre-insurrezionali. Anche, dunque, l’assenza di risolutezza da parte della classe politica fu una delle concause che consentı̀ la lunga durata dell’estremismo e la sua trasformazione in terrorismo, assenza che venne meno grazie alla Legge Reale e al nucleo anti-terrorismo del Gen. Dalla Chiesa. Bibliografia Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad Oggi, Einaudi 1989. 366 8. L’INTERPRETAZIONE DEL SESSANTOTTO SECONDO PIERO BERNOCCHI * Contrariamente alla vulgata tradizionale per l’A. non esiste uno iato tra il ’68 e il ’77 e non esiste neppure un divario tra il terrorismo della estrema sinistra e quello che lo Stato avrebbe praticato 1. Accostamento questo che costituisce proprio un tipico risultato di una percezione ideologica della realtà come si evince dalla convinzione dell’A. sulla validità delle principali idealità che animò il movimento — quali p.e. l’anti-capitalismo — sulla assoluta validità delle analisi marxiane formulate cent’anni prima. Nel sottolineare quest’ultimo aspetto l’A. non si accorge di incorrere in un evidente paradosso determinato dalla inusuale attualità dell’analisi marxiana (a ben cent’anni dalla scomparsa del filosofo di Treviri). Proprio l’anti-capitalismo costituı̀ un tema portante sia del ’68 che del ’77 almeno tanto quanto la critica impietosa del forma partito che ben presto si rivelerà priva di fondamento e che si tradurrà nella realizzazione di organizzazioni apparentemente diverse dai partiti ma concretamente analoghe ad essa, che finiranno per vanificare l’autogoverno delle masse popolari, il consiliarismo, la democrazia diretta esaltando acriticamente la Cina che — gli adepti della ‘nuova’ religione anti-capitalistica lo avrebbero scoperto poi — presentava caratteri simili all’URSS, mitizzando la guerriglia dell’America Latina e del Sud est (senza comprenderne le inevitabili atrocità), marginalizzando le lotte di liberazione nell’Europa dell’Est in un primo momento e boicottando in un secondo momento ‘‘tutte le proproste innovative in sostegno delle rivolte popolari nei paesi del socialismo reale’’ (come riconosce onestamente Bernocchi) (p. 33). La percezione — in altri termini — faziosa fino al fanatismo della realtà storica indurrà i players delle ‘nuove’ avanguardie a ignorare volutamente le efferatezze politiche che venivano perpetuate all’Est, a demonizzare l’occidente (e in particolare gli USA e Israele) e a deificare le esperienze politiche in Algeria, a Cuba, in Jugoslavia, in Irlanda etc. In altri termini il movimento non fu in grado di teorizzare un modello politico economico alternativo a quello comunista né fu nelle condizioni di costruire alternative credibili e durature del partito-Stato. Come d’altronde non fu in grado di prendere coscenza della vitalità e della proteiformità del Capitalismo prevedendone — ripetendo dunque pedissequamente la previsione marxiana — la stagnazione e l’estinzione e ignorandone al contrario la capacità di assorbimento. Proprio a proposito del partito-Stato il commento dell’A. è — a ragione — caustico: * Piero Bernocchi, Per una critica del ’68, Massari, 98. 1 Semmai bisognerebbe porsi l’interrogativo del perché la reazione dello Stato tardò a concretarsi. 367 ‘‘per cercare una sistemazione le migliaia di piccoli Lenin si misero in cerca di un proletariato da dirigere e scelsero la via dei tanti partitini’’ (p. 68). Quanto alla reciproca concorrenza tra i vari ‘partitini’ questa fu esasperata perché volta ad esercitare un monopolio esclusivo ‘‘per la conquista della rappresentanza’’ (p. 72), conquista per l’egemonia che in non pochi casi — p.e. con LC — si risolse nella confluenza all’interno del sistema parlamentare dopo aver esaltato per anni la leceità della guerriglia (confluenza che fu determinata dall’opportunismo, dalla volontà carrieristica e non certo da una maturazione politica). Rappresentanza composta dal proletariato che ben presto prese le distanze dalle velleità della estrema sinistra costringendola a rivolgere altrove le proprie attenzioni strumentali. Per quanto concerne il nesso sessantotto/terrorismo la profonda filiazione — affermata da numerosi protagonisti di quella stagione — costituisce un prezioso contributo alla storiografia contemporanea e contribuisce a negare validità storica alle tesi che vorrebbero presentare l’uso della froza come puramente difensivo di fronte alla repressione dello Stato (che — lo ribadiamo — tardò a manifestarsi determinando una vera e propria esclation della violenza terroristica). Proprio il rifiuto del pacifismo (ammesso contradditoraimente dallo stesso autore a p. 134) costituisce la conferma dell’uso ampio — e tutt’altro che difensivo — della violenza, uso d’altronde ampiamente legittimato dalla tradizione M/L (con MARX e soprattutto con LENIN), dalla esaltazione dalle guerriglie del Che, dalla mitizzazione delle azioni di Tupamoros e dell’IRA. 368 9. INTRODUZIONE AL MOVIMENTO STUDENTESCO Parte prima A partire dal ’67/’68 anche in Italia si sviluppa il movimento studentesco grazie alla esperienza guerrigliera vietnamita, alla rivoluzione di MAO - e quindi alla centralità della guerra di popolo — alla fondamentale importanza della figura del Che, alla alternativa rappresentata da CUBA e infine ai movimenti di liberazionei del Terzo Mondo, mutamenti storici — questi — che saranno assimilati acriticamente e dogmaticamente. Al di là del contesto internazionale, la nascita dal centro-sinistra verrà letta in termini assolutamente negativi perché rappresenterà un cedimento alla DC. Al contrario, la vitalità indotta — perché eterodiretta — dalla massa operaia era interpretata come un elemento capace di fare collassare il sistema dall’interno. Quanto al contesto scolastico era interpretato come una struttura fatiscente, priva di protagonismo politico, o detto in altri termini, era incapace di farsi portavoce di un cambiamento rivoluzionario. Ben presto la Statale di Milano perse i suoi caratteri originali per divenire una vera e propria ‘base rossa’ (per utilizzare la terminologia maoista) in cui l’esercizio della sovranità passò in mano al MS fanaticamente politicizzato di matrice M/L e maoista — che tentò — riuscendosi per breve periodo a radicalizzare il sindacato per creare una allenza con la classe operaia in funzione anti-capitalista e per egemonizzare gran parte delle scuole superiori milanesi (gettandole nel caos). È significativo osservare che la base del PCI aderı̀ massicciamente alle iniziative antagoniste del MS ed è altrettanto indicativo che nei documenti ufficiali del MS la polizia e i fascisti fossero sempre abbinati come a suggerire la loro connivenza. Non a caso la legittima repressione istituzionale delle forze dell’ordine era interpretata come una manifestazione di cripto fascismo se non di fascismo vero e proprio. A proposito del quale, riprendendo la interpretazione del VII Congresso dell’Internazionale Comunista, si affermava che il fascismo fosse organizzato e diretto dal Capitalismo finanziario confermando con tale lettura la strumentalizzazione ideologica della categoria storica del fascismo e avvallando in tal modo una lettura fumosa della storia che avrà larga fortuna della storiografia di sinistra del novecento. Quanto diretta fosse l’influenza del comunismo tradizionale al MS lo prova un altro dato: la centralità della figura di Stalin e delle risoluzioni della III Internazionale. Concretamente — dunque — l’alterantiva alla democrazia borghese avrebbe dovuto essere lo stalinismo abbinato al maoismo.(un rimedio peggiore del male potremmo dire!). Proprio tale binomio dimostrava quanto irrealistiche fossero le istanze del MS, quanto fossero cioè prive di una percezione chiara della realtà storica. Paradossale che il MS parlasse di esigenza di scientificità alludendo ai nuovi contenuti da introdurre dei program- 369 mi scolastici, una scientificità che altro non era che un indottrinamento martellante ed intollerante. Quanto connivente e vile insime fosse gran parte della classe politica italiana, lo dimostra anche la crescita del MS che, a partire dal 71/72, incomincerà ad estendersi a livello nazionale attraverso un fronte unico 1 sulla falsariga della linea politica della III Internazionale — e a programmare metodologie didattiche di indottrinamento quali le scuole quadri e le RAP varianti tecniche della disinformazione e quindi della Psywarfare. Al di là del nemico globale — cioè il capitalismo — il nemico interno era certamente la DC che perpetuava da 25 anni una vera e propria dittatura di classe contro la quale era necessario servirsi di una guerra di logoramento, aprendo spazi di democrazia (leggi: utilizzando la massa studensca in funzione antagonista). A tale proposito il camuffamento linguistico, caratteristico di tutta la sinistra extraparlamentare, arrivava al punto di rendere equipollenti termini come democrazia e comunismo trascurando un semplice dato di fatto: là dove il comunismo si era affermato — come in URSS e in CINA — la democrazia era stata sic et simpliceter annullata. In ogni caso, l’offensiva del MS trovò risposta del tutto inadeguate perché troppo soft, troppo preoccupate di salvaguardare i presunti diritti degli studenti. A riprova di ciò si pensi alla farsa — tipicamente italiana — del ‘comitatone’ che avrebbe dovuto risolvere le problematiche della Statale di Milano, comitato al cui fallimento contribuirono non pochi docenti conniventi con il MS e l’ambiguità del PCI 2 che porterà non a caso sulla proprie spalle le maggiori responsabilità per il rafformazione del MS, della sinistra extraparlamentare e per la nascita del terrorismo. Prova ne sia il fatto che nel volgere di breve tempo il MS raggiunse l’egenomia della Statale di Milano — unitamente ad Avanguardia Operaia — e di buona parte delle scuole milanesi emarginando e sovente scavalcando la FGCI, grazie alla solerzia delle squadre di propaganda, ma anche grazie ad una struttura 3 di natura leninista e anti-spontaneista (non a caso nei documenti ufficali — al di là della demagogia — il ruolo del centralismo democratico era ritenuto determinante anche per contrastare il fascismo) che seppre guidare la massa studentesca. Quanto all’uso della violenza questa — nei documenti ufficiali — viene presentata come ‘legittima autodifesa dalle aggressioni della polizia e del fascismo’ e mai come gratuita (falsando, in tal modo ancora una volta la realtà) mentre nei confronti del pacifismo il rifiuto fu letto coerentemente con la natura ideologica del MS. Parte seconda Non c’è dubbio che il rifiuto della figura del docente fosse anche la conseguenza della negazione della struttura familiare patriarcale e del ruolo politico della figura dell’in1 Non a caso alle assemblee popolari erano spesso invitati particolarie magistrali democratiti. Non a caso il 7 giugno del 1973 l’UNITA difendeva il MS affermando che questo era oramai una spina nel fianco del fascismo. 3 Struttura gestita dal quadriumvirato composto da Capanna, Viale, Liverani e Guzzini. 2 370 segnante letta come cinghia di trasmissione del potere. Al contrario il docente doveva mettere in discussione il proprio ruolo gerarchico e porsi sullo stesso piano dell’educando in omaggio ad un astratto e livellante egualitarismo. La politicizzazione estrema del MS — e non solo — porterà alla formulazione di tesi deliranti quali: ‘‘la scienza borghese è intrinsicamente reazionaria’’ non a caso condivisa proprio dal filosofo Paci oppure ‘‘la salvezza dell’uomo è affidata al proletariato’’ formulata da MACCACARO. Ma porterà anche a trasformare le istituzioni formative in efficaci strumenti di propaganda, di indottrinamento e quindi di contro informazione (o meglio di disinformazione) che si faranno portavoci dell’estremismo politico (in particolare di quello M/L e maoista) del controllo delle masse (quelle degli studenti e quelle degli operai) e della instaurazione della dittatura del proletariato che avrebbe dovuto portare alla distruzione dello stato borghese. Per raggiungere questo obiettivo manifestamente eversivo era necessario accelerare la fine della DC (‘‘il partito dell’imperialismo’’) tanto quanto quella dell’imperialismo USA la cui fine immenente era d’altronde agevolmente osservabile. L’incapacità di comprendere la complessità della realtà si poteva individuare anche nell’utilizzo della categoria storica del fascismo, che doveva essere interpretata alla luce della Terza Internazionale, interpretazione del tutto priva di consistenza e di credibilità scientifica. D’altra parte, proprio la politicizzazione conduceva a risultati storici deliranti in base ai quali il fascismo esisteva nelle democrazie ad alta industrializzazione ma non era presente nei regimi totalitari cinesi e russi! (l’acuto senso critico del MS veniva meno insomma p.e. di fronte alle conseguenze operative del leninismo e alle tesi di DIMITROV indubbiamente uno dei burocrati sovietici più citati nei documenti del MS). Quanto all’interesse per le organizzazioni sindacali questo era dettato dalla esigenza di servirsi dei consigli di fabbrica per creare all’interno delle industrie situazioni insurrezionali sulla falsariga delle riflessioni gramsciane. La stessa assunzione acritica mostrata nei confronti di MARX, LENIN, DIMITROV fu estesa — ovviamente — a MAO la cui interpretazione storica era ritenuta una vera e propria teorica scientifica in grado di individuare le leggi oggettive della storia. Il rifiuto dei corsi tradizionali universitari avrebbe portato il MS a realizzare i celebri RAP che finirono per esercitare un controllo autoritario sui testi, sul lavoro di ricerca. Nel contesto delle scuole superiori — oltre a proporre la eliminazione del latino e del greco — il MS si fece latore di rappresentazioni teatrali ideologiche (‘‘la lotta fra i popoli oppressi e l’imperialismo’’ per esempio), di incontri con le masse operaie coinvolgendo genitori e insegnanti democratici (leggi: di estrema sinistra o comunque comunisti), di promuovere assemblee svincolate dalle limitazioni del Ministro Misasi (troppo reazionario), trasformando proprio l’assemblea nell’unica legittima istituzione in grado di garantire l’ordinato svolgimento dei contro-corsi e di denunciare i docenti reazionari (denunciati — osservano noi — a chi? A quale istituzione?) A livello di orientamento politico internazionale i RAP dovevano farsi difensori entusiasti della lotta palestinese, della netta opposizione ad Israele, della difesa delle lotte guerrigliere in America Latina contro la Cia e il Pentagono, della esaltazione della eroica resistenza del LAOS e della CAMBOGIA, anche attraverso la organizzazione di mobilitazioni di massa a favore dei ‘popoli oppressi’ e di Allende. 371 A livello di politica interna e di sicurezza, il MS si muoveva nella direzione non di un gradualistico riformismo ma di una netta opposizione alla esistenza stessa delle forze dell’ordine (una ‘macchina’ questa che andava spezzata per citare MARX); quanto poi alle sentenze della magistratura il MS si fece portavoce non solo della innocenza di VALPREDA ma di una indagine autonoma — assai fantasiosa — sulla morte sospetta di FELTRINELLI che venne attribuita ad oscuri complotti di stato. Quanto alle relazioni con il PCI, queste furono assai contraddittorie ma pur tuttavia improntate là dove esistevano i margini ad una concreta collaborazione in funzione anti-democristiana, antiamericana, anti-NATO etc. D’altronde, proprio il PCI procedeva secondo un copione che ROMEO ebbe modo di definire del ‘pompiere piromane’. In definitiva, al PCI venne rimproverato il suo moderatismo (pur essendo in stretto contatto con il KGB!) e la sua volontà di mediazione. Insomma gli venne rimproverato di essere troppo poco M/L, di avere imboccato oramai la via della social-democrazia. D’altra parte, anche ai compagni del ‘‘Il Manifesto’’ veniva rimproverato di avere esplicitamente rinnegato la lezione M/L per accettare lo spontaneismo , l’approccio reazionario della scuola di Francoforte e l’anarchismo ribellista. Un’accusa analoga venne formulata nei confronti di Avanguardia Operaia che era rea di non applicare -nell’analisi storica -il DIAMAT e di condividere posizioni trotzkiste. Parte terza L’estrema politicizzazione del MS non fu certo casuale dal momento che non pochi dirigenti del MS erano ex-iscritti ai partiti di sinistra oppure ancora iscritti ma in posizione critica — come sottolineava ASOR ROSA. Politicizzazione talmente fanatica da scavalcare a sinistra il PCI, la FGCI e il sindacato (in particolare la FIOM-CGIL) e da prendere il posto dei partiti anti-borghesi. Proprio ASOR ROSA esprimeva una valutazione complessivamente positiva del MS là dove sottolineava ‘‘che l’apertura di un fronte universitario può avere in sé un valore politico notevolissimo, se le giustificazioni, i modi e le scadenze della lotta tendono chiaramente a scavalcare la dimensione riformistica’’ (lo studioso in altri termini auspicava una svolta rivoluzionaria del MS). Oltretutto l’estremismo intelletualistico — e irresponsabile — di ASOR ROSA lo condusse ad auspicare il conseguimento di un maggior coordinamento nazionale del MS. Non sorprende dunque la rapidità e la ampia legittimazione di cui godette il MS: proprio la classe universitaria sostenne, incoraggiò e spesso scavalcò l’estremismo del MS contribuendo al colasso dell’Università. D’altra parte ROSTAGNO, precisava che la lotta contro la scuola era in realtà una lotta contro tutto il sistema, una lotta che vedeva nella magistratura, nella polizia, nei partiti del corpo docente, nella Chiesa i suoi principali nemici. L’uso della violenza 4 diventava allora pienamente legittimo (l’occupazione ne era un 4 Se è certo sconcertante che ancora oggi CAPANNA, abbia il coraggio di affermare — p.e. nel volume ‘Formidabili quelli anni’ — che la violenza del MS fu determinata da quella poliziesca è altrettanto significato che a posteriosi abbia compreso che sul piano strategico tra la contestazione 372 esempio eclatante) o per citare CARMICHAEL: ‘‘Non vogliamo mangiare alla vostra tavola, vogliamo rovesciarla’’ — tanto quanto l’uso del picchettaggio davanti alle scuole e alle fabbriche e di tutta la gamma di tecniche tipiche della agitazione sovversiva (ROSTAGNO si doleva che la lotta studentesca non fosse riuscita a coinvolgere nel processo eversivo la classe operaia!). La difesa della legittima illegalità era fatta proprio anche dal PSIUP che vedeva in essa il superamento di qualsiasi deriva riformistica (di qui l’elogio degli scioperi a gatto selvaggio della RENAULT, delle jacquerie francesi, degli scioperi di guerriglia della AUSTIN, della BMC etc.). Va tuttavia riconosciuto che quando il MS collocava a latere la ideologicizzazione e il fanatismo politico era nelle condizioni di demistificare spietamente — e validamente — la vacuità della università italiana. Si pensi — p.e. — al documento della Università di TORINO là dove osservava — ironicamente — che le conquiste scientifiche originali della università erano nulle essendo una rimasticatura di argomenti già noti. Là dove — per esempio — rilevava che nelle facoltà universitarie ‘‘si scrivono libri, saggi (...) che non dicono assolutamente nulla di nuovo, che sono riadattamenti accademici (...) quando non addirittura traduzioni di scritti di docenti stranieri’’. Come negare l’attualità di queste osservazioni? Bibliografia La Rivolta Studentesca, da Problemi del Socialismo, supplemento al n. 12, 1970 Movimento Studentesco - Storia e documenti, Bompiani 1973 e la rivoluzione esistevano profonde differenze. Al contrario di Capanna, MUGHINI ha giustamente sottolineato come da parte dalle sette e dei gruppi ci fosse stata una rielaborazione psicotica della realtà che condusse la contestazione direttamente verso il terrorismo. D’altra parte da quale contesto politico provenivano i terroristi se non da quello dei movimenti? 373 10. ASPETTI DELLA CULTURA UNDERGROUND TRA GLI ANNI SESSANTA E SETTANTA Accanto al settarismo fanaticamente polticizzato dei gruppi extraparlamentari esisteva un contesto politico-culturale che traeva esplicita ispirazione dalla Beat Generation, e dalla comune intellettuale di San Francisco. La sua principale finalità era quella di costruire una società parallela ma reale rispetto a quella usuale fondata — almeno a livello di proclama ideologico — su valori altri quali la solidarietà, l’anti-comunismo, l’anti-autoritarismo, l’anti-militarismo e il pacifismo che, in modo assurdamente contraddittorio, si abbinavano alla esaltazione della guerriglia vietgong, a quella algerina, alla difesa della lotta armata (delle BR, della RAF, dei TUPAMAROS). In altri termini, l’accostamento di Gandhi e Russell a figure come Che Guevara e HO CHI MIM risultava essere una costante nell’ambito dell’underground italiano. Altre tematiche ricorrenti furono le libertà sessuale sia nell’ambito etero che nell’ambito omosessuale, la critica feroce sia alla forma partito che al concetto stesso di Stato, l’uso del fascismo come categoria metastorica (da applicarsi indistintamente alle democrazie liberali come allo stalinismo), la legalizzazione della droghe e la sua sperimentazione, la demercificazione del lavoro, la riscoperta della religione orientale (buddhismo e zen in particolare) in funzione anti-occidentale e anti-razionalista, la esaltazione della disubbidienza civile, la valutazione della religione mono e politeista in chiave mistica e anti-istituzionale, la opportunità di promuovere controcorsi o consigli di operai e studenti, l’esoterismo e l’astrologia, la necessità di realizzare comuni alternative e una alimentazione — vegetariana e/o macrobiotica — alternativa a quella consumistica. Le modalità operative, attraverso le quali si dispiegò l’antagonismo underground, furono in buona sostanza le seguenti: 1. 2. 3. 4. l’abbigliamento alternativo e provocatorio; la disubbidienza civile; la provocazione — via happening — ironica e sarcastica; la guerra psicologica via il détourement pubblicitario, la grafica irriverente,l’abbinamento delle tecniche futuriste con quelle dadaiste, l’uso dei graffiti murali, la sperimetnazione artistica (dall’evironment al minimalismo dalla land art alla body art), la realizzzione di case editrici alternative (p.e. Stampa alternativa), riviste (come, p.e., ‘‘Mondo Beat’’ o ‘‘LIBLI’’), e l’uso della musica contestatrice (dalla musica rock alla pop music) e, in ultima analisi, attraverso tutto l’armamentario tipico della conflittualità non convenzionale e della agitazione sovversiva. Gli intellettuali che si fecero portavoce dell’undergroud e che ne apprezzarono gli aspetti politici e semiologici furono la Pivano e la Morante e successivamente Fornari,Gatto, Ungaretti e coloro che gravitavano intorno alla rivista ‘‘Quinici’’. 374 A livello politico fu indubbiamente Pannella a comprenderne — seppure criticamente — le potenzialità politiche. Quanto alle principali aggregazioni — prevalentemen informali — furono sostanzialmente le seguenti: 1) 2) 3) 4) 5) 6) I Bastardi; i Beathk’s fondati da Mariani e Ronchetti; il Gruppo Palumbo nato a Milano nel ’67 con Scarpelli; il C13; la comune di Baraghini a Roma e quella di Ovada; il SIMA sorto nel ’68 a Milano allo scopo anche di promuovere l’arte psichedelica, il pensiero orientale, l’uso dell’LSD nella scia delle esperienze di Leary e Kesey. In quanto ai luoghi di aggregazione questi furono: 1) il Piper club di Roma; 2) il locale Beat 72 Ore si promuovevano spettacoli, reading di poesi ed esecuzioni musicali e 3) il Tantra di Roma. Infine in merito alle principali riviste dell’underground queste furono: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) Mondo Beat che con Di Russo promuoverà il modus operandi dei Provo; Onda Verde; la rivista Situazionismo fondata da Carlo Oliva; PIANETA Fresco (diretta dalla Pivano e da Giusberg); Uccelli, sorta a Roma nel 1968; Carte segrete — nata nel ’67 — e principale sponsor della cultura provo e in particolare del manuale hippy di Bronsteen; Fuori! nata con Pezzena nel ’72 per difendere la cultura gay e lesbica; Rosso vivo — fondata nel ’74 e conclusa nel ’76 — fu diretta da Paccino che polarizzava l’attenzione del lettore sulla problematica ambientalis ed anti-nucleare; Re Nudo (nata nel ’70 e tutt’ora in attività) diretta da Valcarenghi, che rappresentò il principale strumento dei pop-concerti, dell’abbinamento tra estrema sinistra e controcultura con una particolare attenzione per la cultura orientale e infine UBU che, nata nel ’70, cesserà di esistere l’anno dopo, e la cui specifica particolarità ideologica consisterà nel difendere la lotta armata e nel dare l’esplicito sostegno al terrorismo delle BR, da TUPAMAROS della RAF e da Wateherman. A livello di case editrici Stampa Alternativa, Arcana e in parte la Feltrinelli gestiranno monopolitisticamente il mercato editoriale dell’underground. Se a livello di contenuti ideologici l’underground dovette tutto alla tradizione beat americana, sotto il profilo delle tecniche comunicative la lezione dadaista e futurista sarà indubbiamente decisiva. Dal punto di vista delle pratiche operative antagoniste, l’underground italiano le mutuò sic et simpliciter dalla controcultura americana (sia sufficiente l’ampio pensiero che l’ampio uso dell’happening e delle varie tipologie di provocazione furono proprio il portato tipico della tradizione USA). 375 11. ASPETTI DELLA CONTROCULTURA * Se non c’è dubbio che gran parte della controcultura sorse negli USA, è altrettanto indubbio che la sua diffusione raggiunse l’Australia e l’Europa in breve tempo. Dopo la ‘‘cultura’’ Beat quella Punk costituı̀ l’alternativa piu’ nota e maggiormente praticata. Attraverso quali modalità interpretative ebbe modo di esprimersi? In primo luogo attraverso una percezione ferocemente critica nei confronti dei valori usuali. In secondo luogo, l’eternizzazione del presente (il punk vive nell’oggi e per l’oggi non per il passato) esclude radicalmente la dimensione del futuro la cui valenza temporale è negata alla radice dal momento che la speranza rivolta al futuro è priva di qualsiasi senso per il punk. L’opposizione al sistema si concreta anche un uso ampio della violenza (non a caso il richiamo all’anarcoindividualismo è assai presente della costellazione ideologica punk). Al di là delle mistificazioni intellettuali volte a dare una interpretazione intellettualistica (richiamandosi ora alla Heller ora all’opera di Deleuze/Guattari), il punk non propone alcun modello alternativo al sistema che desidera abbattare. Il vestiario provocatorio, la riscoperta dell’esotico — abbinato in modo kitch al moderno — e la valorizzazione del concetto di collettivo contrapposta alla forma partito alla osservazione-movimento, sono strumenti di antagonismo politico che invece di abbattere il sistema contribuiscono a facilitare la capacità di riassorbimento — via pubblicità — del sistema e della strategia della massimalizzazione attuata dallo stesso e alla quale contribuiscono implicitamente gli stessi punk. L’uso delle droghe (leggere o meno) e dei tattuaggi se — in un primo momento — esercitarono un impatto di rottura, vennero rapidamente fatti propri dal mercato e soprattutto dalla media-alta borghesia che se ne servı̀ come simbolo di eccentricità. Anche la strategia territoriale dei CSAO (che fin dalla loro origine si sono poste sul piano della illegalità e orizontalita’ affermando teoricamente di praticare la democrazia diretta) sono divenuti o centri di reclutamento politico (soprattutto per il PRC) o centri eversivi la cui efficacia fu assolutamente limitata del tempo e non ha determinato — fino ad oggi — alcun cambiamento strutturale all’interno del sistema di potere. Per quanto concerne poi la capacità di riassorbimento, ai fini della mercificazione la stessa musica RAP — inizialmente musica di rottura in quanto volta a esprimere la condizione di discriminazione razziale dei paesi americani, è divenuta un fenomeno di consumo. Infine, la strategia di Ray per superare l’attuale empasse dell’antagonismo — che si concreta nel riproporre il concetto di nomadismo di Guattari — è destinata ad essere solo un autopia estetizzante e assai lontano dal poter incidere in profondità nel sistema di potere. * Fonte: P. Pardi, La cultura giovanile, Xenia, 1997. 376 12. L’INTERPRETAZIONE DEL SETTANTASETTE SECONDO PIERO BERNOCCHI * In primo luogo, l’A. conferma la composizione di classe del M// (di cui abbiamo già discusso) precisando certo l’ampiezza ma nel contempo sottolineando la centralità del lavoratore precario e della classe docente. In secondo luogo, i CP - come già osservato da Moroni/Balestrini - gettarono le basi dei CSAO - con buona pace dei critici opportunisti e delle teorizzazioni da fantapolitica di Negri - e del sindacalismo antagonista. In terzo luogo, l’A. avvalla la vulgata storica secondo la quale l’impennata del terrorismo - e la conseguente formazione del partito armato - fu determinata non dalla volontà dei players di abbattere il sistema (passando in tal modo dalle parole ai fatti) ma dal binomio Cossiga/Pecchioli. Infatti, proprio la ritrovata lucidità politica del Pci e la sua volontà di collaborare (tardivamente con la DC nella repressione capillare dell’antagonismo eversivo) permise allo Stato di riprendere il controllo. D’altronde, quanto elevata fosse la volontà di fare saltare il sistema lo si evince dalle dichiarazione dell’A. a proposito del celebre Convegno di Bologna ove: ‘‘si svolge la più grande manifestazione di simpatia dei contenuti delle BR (...) che mai ci sia stata in Italia’’. Accanto ai CSAO e al sindacalismo antagonista, il movimento della Pantera rappresenterebbe per l’A. un buon erede dell’antagonismo del ’77 e sarebbe foriero di autentiche possibilità di cambiamento (che al contrario non si sono mai attuate e che si sono estinte in breve tempo con buona pace degli autori). Nella seconda parte del volume, l’A. argomenta sul ’77 attraverso una precisa scansione cronologica ampiamente commentata. Dall’analisi di essa emergono dati significativi sul ’77: 1) l’epicentro del ’77 furono indubbiamente le università; 2) Pecchioli comprese rapidamente la gravità dell’evolversi della situazione verso la deriva terroristica invocando legittimanente una rapida soluzione; 3) gran parte di coloro che sarebbero confluiti nel ’77, compresero chiaramente la pericolosa efficacia sia della Legge Reale che dei provvedimenti cossighiani relativi all’ordine pubblico; 4) nel volgere di breve tempo buona parte della sinistra istituzionale prese le distanze da quella antagonista non trovando spazio di manovra né di strumentalizzazione politica (alludiamo al Pci, al Pdup e alla CGIL) * Piero Bernocchi, Dal ’77 in poi, Massari, 1997. 377 5) gran parte delle modalità operative del ’77 saranno ancora quelle del ’68: i cortei (violenti o meno),le occupazioni (con relativa interruzione di pubblico servizio) almeno quanto analoghe saranno le contromisure delle Forze dell’ordine (p.e. lo sgombero forzato); 6) Cossiga, in qualità di Ministro degli Interni, inquadrerà legittimamente il movimento del’Autonomia nel contesto del costante turbamento dell’ordine pubblico facendolo diventare un problema di politica interna; 7) la prossimità tra l’autonomia e la lotta armata verrà esplicitamente confermata durante l’assemblea del 27 febbraio presso l’università di Roma dove ‘‘partono slogan ineggianti alla lotta armata clandestina e alle Brigate Rosse’’; 8) la criminalizzazione e/o la demonizzazione della legittima repressione delle Forze dell’ordine, sarà promossa anche dalle radio libere (elemento questo di evidente novità rispetto al ’68), mentre, a partire dal mese di marzo, l’invocazione di una svolta militarista subirà una ulteriore impennata rispetto al mese precedente, svolta che prenderà concreta forma con il lancio di molotov contro il Ministero di Giustizia e contro il Comando della Regione Lazio. Questi e altri episodi di poco successivi, porteranno la politica a controllare militarmente il quartiere di San Lorenzo nell’aprile del ’77, indurranno Cossiga a legittimare la risposta armata delle Forze dell’ordine che prenderà forma - nel maggio dello stesso anno - attraverso l’uso di mezzi blindati. Infine, la progressiva esclation di violenza porterà - nel mese di maggio a Milano - ad uno scollamento tra l’area dell’America e l’antagonismo soft di DP e del MS e a divisioni irriducibili tra LC e l’Autonomia nel settembre del ’77. Poco tempo dopo - nella seconda settimana di ottobre - la sede dell’Usis e di isituzione tedesca - verranno prese di mira da sassaiole per dimostrare solidarietà verso la morte dei membri della RAF. 378 13. L’INTERPRETAZIONE DEL SETTANTASETTE DI DERIVE E APPRODI * Anche l’antologia di scritti sul ’77 edita da Derive e Approdi costituisce un punto di riferimeneto di estremo interesse per le nostre finalità. Del Bello. Non casualmente connota il ’77 usando espressioni inequivocabili: ‘insorgenza’ e ‘emergenza sociale antagonista’. Anche in riferimento alle modalità operative specifiche attraverso le quali prese forma il ’77 le espressioni sono pregnanti: guerriglia e sabotaggio. Un ulteriore conferma — dunque — della estensione capillare della violenza. Altrettanto rilevante è l’ammissione della importanza dell’Istituto di Scienze politiche di Padova, vero e proprio centro di elaborazione eversiva, per la formazione della Autonomia padovana. A conclusione della breve relazione l’A. sottolinea l’attualità della pratica sovversiva che dovrebbe essere in grado di costruire nuovi spazi sociali. A nulla — dunque — sono servite le sconfitte del M77, sconfitte che hanno lasciato solo odio e rancori ma non prudenza e senso della realtà. Pifano. Uno dei fondatori del Collettivo dei Volsci, rileva come tutta la prima parte degli anni Settanta fu una crescita ininterrotta di antagonismo eversivo (l’autore fu per nove mesi detenuto) che tuttavia non riuscı̀ a concretizzarsi in un movimento politico autonomo e coeso tale da esercitare un peso significativo. D’altra parte, il forte dissenso all’interno del movimento, relativo alla pratica della clandestinità e della violenza, non aiutò certamente l’intesa fra le varie anime del movimento. Resta comunque un dato: l’uso della violenza fu ritenuto pienamente legittimo: ‘‘che il 12 marzo fosse sfociato in mille episodi di violenza per noi era un fatto positivo’’ (p. 368). D’altronde una parte - considerata autorevole — della intellighienza francese si mobiliterà in difesa dell’antagonismo eversivo degli avvocati (come Spazzali), degli intellettuali (come Negri e Bravo), degli editori (p.e. Bertani) nel luglio del ’77, intellettuali che avevano — e che avrebbero — contribuito alla promozione della psychological warfare, soprattutto attraverso la filosofia della politica. Non da meno saranno gli intellettuali che promuoveranno una efficace contro informazione attraverso Radio Alice che verrà chiusa (azione inusitata in un panorama ultrapermissivo come quello italiano), e di coloro che incitavano a praticare il sabotaggio in fabbrica (‘‘Rosso’’, giugno ’77). A tale proposito, Infante polemicamente ricorda come la critica reazionaria abbia attribuito al ’77 due diverse tipologie di terrorismo: quello piccolo della Autonomia, e * A.V., Settantasette, Derive e Approdi, 1997. 379 quello grande delle formazioni brigatiste interpretazione questa con la quale concordiamo. Tuttavia la riflessione più significativa è certamente quella relativa all’esito del ’77, riflessione drammaticamente realistica e condivisibile. Secondo l’A., non pochi dei militanti del ’77 finirono per disilludersi trasformandosi in ferventi craxiani, altri si rassegnarono, altri ancora o finirono in galera o morirono di overdose o di Aids. Una ammissione per certi versi analoga a quella di Infante fu formulata ante-litteram dal numero di maggio del ’77 di ‘‘A/ttraverso’’ (p. 183) nel quale gli autori dell’articolo si rendevano conto che il sistema si era ben attrezzato per stroncare la resistenza antagonista sia sotto il profilo militare che sotto quello psicologico. Nonostante questa realistica presa di coscienza — a conclusione del medesimo articolo — gli autori auspicarono la progettazione di una sovversione a carattere globale che avrebbe dovuto prendere avvio su piccola scala.Superfluo osservare che non avrà alcun successo 1. Persino Negri — p. 89 — ammette che la sottovalutazione della capacità repressiva dello Stato fu fatalmente sottovalutata e che ciò portò alla sconfitta e alla eliminazione di una intera generazione. Ma nonostante questa sincera affermazione — e dunque inusuale per un intellettuale di estrema sinistra — Negri contradditoriamente rifiuta la sconfitta teorica sostenendo la validità dell’analisi compiuta dal movimento del ’77. In definitiva per non pochi ex protagonisti del ’77, il sindacalismo antagonista (quello dei CLUB e dei COBAS), i CSAO e il movimento no-global rappresentano — o potrebbero rappresentare — la prosecuzione delle idealità del ’77. Questa ‘saldatura’ generazionale è di estremo interesse poiché concretamente esiste una precisa e non casuale continuità tra le modalità operative e la progettualità eversiva del ’77 e una parte del movimento no-global. 1 Non a caso numerosi protagonisti e/o esponenti del ’77 — p.e. Bifo a p. 168 — leggono nei CSAO la possibilità di una riscossa del modus operandi del ’77 e auspicano in realizzazione di alcuni obiettivi proposti dal movimento. 380 14. IL MOVIMENTO DEL SETTANTASETTE SECONDO LA CASA EDITRICE ODADREK * La casa editrice Odadrek pubblicò un saggio significativo sul ’77 dal quale desumeremo preziose informazioni a partire dalla testimonianza orale di alcuni significativi protagonisti dell’antagonismo del ’77. Partendo dall’assunto che il ’77 fu indubbiamente un mix di cecità e di eversione da condannarsi integralmente — contrariamente alle mistificanti ricostruzioni operaiste e autonome — è possibile individuare alcune caratteristiche essenziali: 1) i soggetti della eversione furono in buona sostanza il proletariato (quello romano in particolare), i lavoratori dei servizi e gli studenti (universitari e della scuola superiore); 2) l’accentuata militarizzaizone dello scontro; 3) il rifiuto della forma partito e della democrazia rappresentativa; 4) il movimento del ’77 fu senza dubbio un movimento politico; 5) la critica impietosa agli innumerevoli compromessi della CGIL e del PCI di fronte al capitalismo; 6) la condanna del lavoro nero e precario concretizzatasi in attacchi armati (ben 35). Passiamo, ora, ad illustrare nel dettaglio le riflessioni di alcuni protagonisti. Il percorso di MULIUCCI è indubbiamente paradigmatico: ex iscritto al PCI e alla CGIL, principale responsabile dei CAO, promotore di Radio Onda Rossa, anti-militarista e anti-americano radicale, è tra i portavoce dei COBAS. Anche l’A. concorda nell’osservare che il movimento del ’77 (da ora in poi M77 ndr) avesse compreso la centralità del lavoro precario nel contesto del lavoro nero e precario. Assai difficilmente il M77 avrebbe potuto dunque accettare la svolta ‘moderatrice’ di Asor Rosa bollato non a caso come venduto e traditore. Altri temi dominanti, nell’ambito della prassi antagonista del M77, furono l’occupazione di case, gli espropri, le autoriduzioni delle bollette, la realizzazione di spazi occupati e autogestiti (i futuri CSAO), le necessità di agire attraverso scontri armati, contro i missimi e le forze dell’ordine (con relativi morti e feriti), la necessità di presidiare militarmente interi quartieri o Università (p.e. l’Università di Roma era sotto il controllo di comitati autonomi operai come il quartiere di San Lorenzo era controllato dal Collettivo di via dei Volsci) e l’utilità di fare contro informazione anche attraverso la Radio (p.e. Radio Onda Rossa e Radio Città Futura). * Una sparatoria tranquilla, ed. Odradrek, 1997. 381 In definitiva l’Autonomia finı̀ per orbitare attorno a tre istituzioni tramutate in basi rosse: il Policlinico di San Lorenzo, l’Università di Roma e il quartiere di San Lorenzo vere e proprie zone franche a sovranità limitata per le forze dell’ordine. Quanto all’uso della violenza questa, si concretava attraverso l’uso delle spranghe, delle rivoltellate e delle molotov che erano di uso comune. Se interessante risulta l’osservazione dell’A., in base alla quale la saldatura con il movimento anti-nucleare e anti-NATO fu assai significativa (celebre la mobilitazione a Montalto di Castro), altrettanto significativa è l’ammissione della legittimità della devastazione di numerose sedi dell’MSI, del FUAN e della CISNAI e di come, complessivamente, il M77 avesse prospettato scenari rivoluzionari. I dissensi — forti — certo non mancarono e si rivolsero alla Rossanda e a Negri in particolare. Di quest’ultimo, l’A. ricorda come fosse sostanzialmente autoreferenziale e assai lontano dall’Autonomia. Sull’aspetto della continuità ideologica tra comunismo e brigatismo, l’A. conferma come il PCI conoscesse bene le BR mentre in quello dei legami internazionali è di estremo interesse l’ammissione che una parte del M77 avesse sostenuto militarmente il Fronte Popolare Palestinese. Non meno significativa è l’ammissione in modo decisivo svolto dai COBAS sia nel contesto della propaganda anti-nucleare e anti-americana. Le riflessioni di MORDENTI (ex membro dell’autonomia, poi di DP e attuamente del PRC) formula una analoga considerazione poiché in primo luogo afferma l’importanza fondamentale del conflitto di classe anche nel ’77, perché conferma la profonda continuità tra sessantotto e settansette con il PID, il femminismo, Magistratura Democratica, le radio libere, l’ambietalismo radicale e l’anti-nuclearismo, ma anche perché afferma esplicitamente che nel M77 la violenza fosse divenuta a tal punto costante da essere usata persino nei confronti delle componenti scissioniste del movimento finendo per essere usata come strumento di fronteggiamento nell’ambito del terrorismo. Terrorismo che — secondo una inversione schizoide della realtà — sarebbe anche la diretta conseguenza dell’ondata repressiva (fra l’altro pienamente legittima). In tal modo, ancora una volta si conferma il tentativo — patetico in realtà — di presentare il terrorismo come una reazione alla violenza reazionaria. Nonostante questo macroscopico travisamento della realtà, l’A. non può misconoscere — in quanto dissidente dell’Autonomia — l’opportunismo che creò il M77 in merito all’uso della violenza ‘‘cioè ad inseguire forme di spontaneismo violentista (...)’’ che finı̀ per sostenere la prassi delle BR. Anche nei confronti della reazione del mondo universitario — reazione che porterà al rafforzamento della selezione, al numero chiuso e all’aumento delle tasse — l’A non poté fare a meno di riconoscerne il successo. Proprio per reagire di fronte a questo inaudito e inammissibile — per l’A. — successo delle istituzioni, venne riproposta la classica strategia della strumetalizzazione: prendendo atto dell’ampia precarietà del mondo del lavoro attuale quale ghiotta opportunità per servirsene a fini politici? Trasformare il disagio sociale in antagonismo politico non è stata forse una costante prerogativa delle ideologie eversive? Passiamo ad illustrare le considerazioni di MODUGNO curatore della Monthly Review. Secondo l’A. la continuità tra ’68 e ’77 è scontata: basti pensare alle armi che ‘‘giravano dal ’69 (...) le carni erano quelle da compagni che facevano i servizi d’ordine e si 382 difendevano’’ (p. 101) o basti pensare anche alla critica impietosa e radicale del compromesso tra DC e PCI che l’A. ritiene equipollente al fascismo secondo un logoro cliché che vede la DC e il fascismo come due facce della stessa medaglia e che le attribuisce la formazione di una vera e propria banda armata che avrebbe fatto centinaia di morti (p. 106)! Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un capovolgimento della realtà che conferma come la percezione della realtà — da parte dei militanti più fanatici — fosse allucinatoria. D’altra parte proprio PICCIONI militante bierre conferma — senza tanti giri di frasi — la presenza — ampia e diffusa — delle BR all’interno dell’Autonomia. Anche ANDREA — dopo aver ‘definito’ il M77 un movimento politico rivoluzionario — lo connota come un soggetto autonomo dal PCI e dal Sindacato, movimento in cui la violenza fu inevitabile (p. 197). Ma alla fine anche l’A. deve riconoscere il fallimento di tutta la sinistra radicale . Spunti interessanti ci vengono offerti da CESARE che serenamente ammette che nel ’77 numerosi studenti di appena 14 anni usavano bombe molotov (p. 219) confermando per l’ennesima volta quanto comune e diffusa fosse la pratica della violenza. Sottolinea MAURIZIO (p. 247), tra le componenti del M77: ‘‘Era una dinamica: giusta o sbagliata, però esisteva, di conflitto, anche militare fra diverse componenti’’. D’altra parte, addittando lo Stato come nemico principale (p. 248) e rifiutando l’entusiasmo del PCI, che cosa ci si poteva attendere? Come ci si può sorpendere di fronte ad affermazioni dirette come quelle di PIERA e FRANCESCO per i quali la violenza era una condizione successiva e legittima quando veniva utilizzata per assaltare la sede dei Fascisti? Ad ulteriore riprova di quanto detto pensiamo ai numerosi slogans coniati in questo periodo. Per quanto concerne il mondo della violenza armata da parte dell’operaio pensiamo agli slogan seguenti: ‘‘Cosa vogliamo compagni? Basta! Cosa vogliano? / Tutto! Portare l’attacco al cuore dello Stato / Tutto il potere all’operaio armato!’’; ‘‘Lo stato borghese si abbatte e non si cambia!’’; ‘‘Mirafiori ce l’ha insegnato / proletariato in lotta, proletariato armato!’’; A proposito di Kossiga: ‘‘Cossiga e Berlinguer, si sparano in bocca / la donna proletaria non si tocca!’’ e della DC: ‘‘Scudo crociato / fascismo di Stato!’’; ‘‘La sede DC deve essere bruciata / non ci accontenteremo della passeggiata!’’; ‘‘DC assassina / Tutte le stragi come piazza Fontana / mano fascista, regia democristiana’’. Quanto agli slogans sulla polizia questi presentano non casuali analogie con quelli dell’MSI: ‘‘Se vedi un punto nero, polizia assassina!’’; ‘‘Se vedi un punto nero spara a vista, o è un carabiniere o un fascista!’’; ‘‘E se il carabiniere spara / lupara! lupara! / Se spara il poliziotto / P38, P38’’; ‘‘Carabiniere / sbirro maledetto / te la spegniamo noi la fiamma sul berretto!’’ Infine sulla legittimità della lotta armata basteranno pochi ed eloquenti slogans: ‘‘Contro la DC, contro il fascismo / Lotta armata per il comunismo!; ‘‘Dalle carceri e dai penitenziari / Nuclei armati proletari!’’; ‘‘Rosse, rosse, brigate rosse! Come basterà un solo slogan per indicare la solidarietà con la lotta armate internazionale: ‘‘ETA, IRA, BR, padroni e imperialisti / scavatevi le fosse!’’. Di fronte a tutto ciò ci si può solo rammaricare che le scelte repressive arrivarono tardivamente. Se — al contrario — fossero state poste in essere a partire dal ’69 molte derive estremiste sarebbero state evitate o quanto meno contenute. Ma la viltà di una parte considerevole della politica lo impedı̀. 383 15. NOTE STORICHE SUL MOVIMENTO DEL SETTANTASETTE Parte prima Un ruolo indubbiamente rilevante fu svolto dall’Autonomia che sorta nel 1973 grazie a Negri (ex iscritto al PSI e co-fondatore di POTOP con Piperno e Scalzone) divenne un punto di riferimento per gran parte del movimento del ’77, anche grazie alla autorevolezza della rivista ROSSO (che ebbe sede a Milano). Proprio da questa pubblicazione emersero con chiarezza la centralità della problematica della violenza che si concretizzerà nella esaltazione degli espropri, degli assalti a banche e a supermercati. Indubbiamente fu la città di PADOVA, e in particolare l’Università del capoluogo, a rivestire un ruolo determinante per l’Autonomia che nel volgere di breve tempo finı̀ per costituire un legame con l’area terroristica (come ebbe modo di rilevare VENTURA) facendosi promotrice, presso la Facoltà di scienze politiche di PADOVA, di azioni tipiche dell’agitazione sovversiva: violenze fisiche, intimidazioni, che crearono un clima di terrore facendo venire meno ogni reazione. Naturalmente anche la contro informazione - svolta p.e. a BOLOGNA da Radio Alice - rivestı̀ un ruolo rilevante nel sobillare e indottrinare le masse a favore dell’Autonomia. Solo con i processi condotti da Calogero, da Gallucci e Amato nell’83 si incominciarono a comprendere la reale portata dell’Autonomia che sarà connotata come una associazione sovversiva con lo scopo di insorgere contro lo Stato, portando in tal modo alla condanna di Negri e Scalzone nel giugno del 1987. Condanne altrettanto severe verranno inflitte nei confronti di Alunni e Barese che verranno riconosciuti colpevoli di banda armata, attentati dinamitardi e selvagge devastazioni. Per non pochi interpreti — più o meno autorevoli — il ’77 fu una sorta di parabola discendente della gran parte dei movimenti determinata anche dai numerosi dissensi all’interno della sinistra extraparlamentare. Sia sufficiente pensare alle critiche rivolte dal gruppo: ‘‘il Manifesto’’ all’Autonomia o alle prese di posizione del PCI che, di fronte all’Autonomia, prese una posizione di netto e radicale dissenso che non gli impedı̀ tuttavia di tollerare la grande manifestazione dell’Autonomia a Bologna, nel settembre del 1977. O alla crescita delle divergenze tra LC e l’Autonomia — divergenze frutto solo di fanatico settarismo e di smania di protagonismo di fronte ad una rivoluzione che si pensava oramai imminente. Al di là delle distinzioni e/o dei contrasti non c’è dubbio che tutti i vari raggruppamenti — in un modo o nell’altro — fossero figli della tradizione comunista (p.e. Vesce proveniva proprio dalle sezioni del PCI) almeno quanto le organizzazioni terroristiche avevano trovato la loro genesi nelle fabbriche (p.e. della Magneti Marelli di Milano) e soprattutto nei movimenti che d’altronde parlarono a più riprese di ricorso alla lotta rivoluzionaria e di partito armato. A tale proposito alcune affermazioni 384 di POTOP sono assai significative: nel n. 35 del 1970 della rivista POTERE OPERAIO si parla esplicitamente di violenza rivoluzionaria cosı̀ anche, nel documento dell’Ufficio Internazionale di POTOP del 1973, si afferma — la necessità di superare l’inefficiente spontaneismo di massa per produrre le condizioni della lotta armata e del terrorismo di massa. In generale, al di là di queste specifiche affermazioni, la indubbia responsabilità diretta o indiretta per la nascita della lotta armata e il suo sviluppo, vanno attribuiti non solo al contesto operaio ma anche — e soprattutto — al contesto della intellettualità antagonista universitaria ed extra universitaria (si pensi a NEGRI, VESCE, FERRARI BRAVO). D’altronde non fu proprio NEGRI — nel 1974 — ad affermare che la lotta armata rappresentava il suo autentico momento strategico? E non fu sempre NEGRI — nel 1978 — a sostenere che la vittoria dell’Autonomia nasceva da una capillare estensione del contropotere di massa? Al di là delle capziose distinzione tra l’Autonomia e le BR, in realtà la loro unica e reale differenza era nelle modalità operative di praticare il terrorismo: quello brigatista si attuava attraverso un elevato volume di fuoco mentre quello dell’Autonomia si attuava in forma più frammentaria e dispersiva. . Tornando alla genesi della lotta armata, qualsiasi studioso, intellettualmente onesto, non potrà non riconoscere che questa aveva un rilevante insediamento sociale e non potrà non riconoscere l’importanza politico-strategico sia del ’68 sia delle opere di Feltrinelli (alludiamo a ‘‘Italia 1968: guerriglia politica’’ e allo scritto ‘‘Estate 1969’’). Quanto al ruolo del movimento del ’77 come non rilevare che proprio questo fornirà alle BR — e non solo — un numero di rilievo di dissidenti e un notevole radicalmente sociale? Alcuni semplici dati confermeranno la nostra analisi: la preistoria delle BR oltre che trovare nel gruppo dell’appartamento dei giovani comunisti di Reggio Emilia di Franceschini una prima forma embrionale, troverà nella esperienza sovversiva dell’Università di Trento da parte di CURCIO e della Cagol una prima chiara manifestazione; il secondo dato è relativo ai capi storici delle BR (cioè a Moretti, Alunni) la cui genesi politica è individuale proprio nel 1969. Il terzo dato — apparentemente indiretto — fu la pubblicazione del secondo ‘documento teorico’ delle BR proprio sulla rivista di POTOP. Un altro dato rilevante — particolarmente sottolineato del Gen. Della Chiesa — era la capillare presenza delle BR nella zona industriale torinese (d’altronde anche nel caso di Prima Linea l’epicentro della loro attività fu rappresentato dalla città piemontese e anche nel loro caso i quadri prevenivano dal ’68 già da LC). In conclusione la lotta armata nel suo insieme (BR, NAP, Prima linea etc.) derivò dalla sinistra extraparlamentare poiché — come sottolinea GALLI — prese precisi connotati ideologici: ‘‘la violenza come levatrice della storia, il partito come avanguardia militante della classe, la propaganda armata, il fuorilegge come ribelle sociale’’ rafforzati dal contesto internazionale a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta (Nuove Questioni di Storia Contemporanea, Vol. IV, p. 953, Ed. Marzorati, 1985). Tuttora — a differenza di Galli — noi siamo pienamente persuasi della gravissima responsabilità della sinistra istituzionale sia per il suo garantismo sia per la comune matrice ideologica. 385 16. NOTE SULL’ALA CREATIVA DEL MOVIMENTO DEL SETTANTASETTE * Anche nei confronti del movimento del ’77 un’ampia solidarietà da parte degli intellettuali non venne meno. Sia sufficiente riflettere su quella apertamente manifestata da Sartre, Foucault, Deleuze e Guattari. Sotto il profilo strettamente ideologico l’ala creativa si connotò per un accentuato nichilismo abbinato ad un’utopia estetizzante e al recupero del mito dell’artista come soggetto folle e sradicato. Naturalmente la dimensione eversiva non venne meno ma ebbe — semplicemente — modo di esprimersi attraverso modalità semiotiche analoghe all’underground degli anni Sessanta: la sintesi tra dadaismo, futurismo e surrealismo bretoniano diede vita all’ampio uso del detourrement, della psicogeografia, del cut-up, all’uso dello sberleffo, della irrisione, della esaltazione della dimensione ludica e della festa, della poesia-collage, all’humour noir surrealista, alla feroce satira politica, alla creazione di falsi giornali, alla produzione di nonsense per mandare in corto circuito la menzogna della comunicazione consumistica. Indubbiamente le pubblicazione più note, cioè quelle che faranno ampio uso di queste tecniche, saranno ZUT (sorta nell’ottobre del ’76 a Roma ad opera di Pasquini), A/Traverso (sorta del ’75 a Bologna ad opera di Bifo e Sanotti) e Senza Famiglia (della quale l’opera dissacatrice di Sade trova modo di radicarsi ampiamente in funzione visceralmente polemica contro la morale cattolica e borghese in toto). Infine, accanto al rifiuto del lavoro e all’ampio uso degli espropri proletari, la frammentazione del soggetto rivoluzionario in tanti attori eversivi ci consente di utilizzare la metafora del rizoma quale efficacia strumento interpretativo del movimento del ’77. In definitiva, l’ala creativa riappropriandosi — come già aveva fatto l’underground — delle innovazioni delle avanguardie artistiche letterarie riesce a dare forma — semanticamente originale — all’eversione. * Fonte: Claudia Solaris, Il movimento del ’77, AAA ed. 1994. 386 Appendice II 1. PREMESSA Nonostante siano passati oltre quarant’anni, il documento del Gen. Gehelen conserva tutta la sua legittimità poiché mostra - lucidamente - la strategia della sovversione portata avanti attraverso la guerra psicologica dal partito comunista sovietico, strategia che trova numerose affinità con quelle promosse da Cuba nel mondo contemporaneo e dal movimento no global (rimando a tale riguardo al volume ‘‘La guerre cognitive’’, ed. Lavauzelle e in particolare al cap.V redatto da Prats della Ecole de guerre economique). Per quanto concerne il saggio del Col. Pisano, tratto dalla ‘‘Rivista Marittima’’, il suo significato nel contesto del volume è assolutamente evidente: l’agitazione sovversiva e i sodalizi internazionali costituiscono due chiavi di lettura fondamentali per inquadrare la CNV. 389 2. ORGANIZZAZIONI E ASSOCIAZIONI INTERNAZIONALI DEL PATTO DI VARSAVIA L’estrema varietà delle associazioni e delle organizzazioni, degli organismi e delle basi di cui il comunismo internazionale si serve come di veicoli della sua attività in patria e all’estero induce a ritenere che sia non solo utile ma addirittura necessario passare in rassegna le diverse categorie in cui essi sono classificabili. A tal fine ho deciso di catalogarli secondo un criterio che, pur evitando i fuorvianti schematismi cosı̀ frequenti in altre indagini, valga a dimostrare come la ragnatela internazionale tessuta dall’apparato comunista intorno all’intero globo sia come un organismo vivo e pulsante. La classificazione deve essere tale da tener conto di tutti i legami stabiliti da queste organizzazioni, nonché della loro capacità — tipica del modo in cui il comunismo lavora all’estero — di intrecciarsi e mescolarsi con altre. Penso sia superfluo aggiungere che la fitta rete di rapporti con altre organizzazioni attraverso la quale operano gli strumenti impiegati dagli agenti del comunismo internazionale è proprio ciò che rende cosı̀ difficile tanto per il politico esperto quanto per l’uomo della strada comprendere il reale significato di ogni singola operazione o rendersi conto dell’enormità del pericolo che incombe sul mondo non comunista. Le seguenti associazioni e organizzazioni sono controllate e coordinate direttamente da Mosca, e sono parte integrante della grande strategia comunista: le undici organizzazioni internazionali a estensione mondiale che possono essere definite ‘‘organizzazioni di facciata’’, e delle quali mi occuperò più avanti in modo dettagliato; varie organizzazioni nazionali con compiti di natura ausiliaria e meno scoperta che operano in stretto colleamento con le suddette organizzazioni internazionali o in modo autonomo, e a volte solo per un periodo di tempo limitato durante il quale perseguono uno scopo specifico; infine, i partiti comunisti legali e illegali. Queste associazioni e organizzazioni sono coadiuvate da vari enti stranieri che sotto la copertura di attività fittizie fungono da basi e punti di controllo. Quasi senza eccezione esse sono capaci di intraprendere operazioni in modo autonomo e di condurre campagne politiche. Io le suddivido nelle seguenti categorie: missioni diplomatiche comuniste e altri organismi ‘‘ufficiali’’, come le missioni e le agenzie commerciali, nonché i gruppi di assistenza tecnica; istituzioni semi-ufficiali come scuole e ospedali finanziate in altri paesi da fondi statali messi a disposizione da paesi comunisti, o almeno appoggiate da essi; ‘‘residenze’’ e organi dei servizi segreti comunisti, il cui lavoro di spionaggio ‘‘classico’’ spesso non è che una parte esigua della loro attività. Nell’esecuzione di campagne politiche e di altre operazioni tali associazioni, organizzazioni ed enti di vario genere fanno ricorso in larga misura a metodi e tattiche sufficienti di per sé a permettere agli ‘‘addetti ai lavori’’ di capire, o almeno di prevedere con un buon margine di sicurezza, quali sono gli obiettivi a lungo termine che essi perseguono. In ogni caso la loro funzione è di sovvertire l’ordine amministrativo e sociale dei paesi 390 non-comunisti e di indebolirne o distruggerne il potenziale nazionale. Propaganda e agitazione politica, infiltrazione e diversione, sovversione e sabotaggio sono i metodi con cui sperano di portare alla vittoria. Anche troppo spesso questi metodi hanno avuto successo. Tra i più discussi degli strumenti di attuazione e di appoggio dei piani su scala mondiale di Mosca vanno annoverate le undici organizzazioni internazionali ‘‘di facciata’’ che i russi controllano e finanziano generosamente per condurre, sotto un’abile copertura, operazioni di vasta portata. Questo sistema di organizzazioni di massa accuratamente mimetizzate è integrato e rafforzato da un certo numero di attive associazini quale, ad esempio, l’Organizzazione di solidarietà afro-asiatica. Le undici associazioni internazionali raccolgono centinaia di milioni di persone, ripartite nei più diversi tipi di organizzazioni e sotto gruppi. In passato i russi le hanno ripetutamente utilizzate su un ampio fronte per sviluppare aspetti particolari delle loro campagne propagandistiche, ma se ne sono anche avvalsi per portare avanti campagne denigratorie legate a vari avvenimenti accaduti in Occidente, e per minare alle fondamenta la posizione della Germania occidentale. L’elevato numero di queste organizzazioni e la rete di tentacoli che si insinuano ovunque sulla superficie dell’intero globo consentono ai capi sovietici di passare con estrema rapidità da una campagna all’altra. Per quanto diverse in termini di funzioni, obiettivi e modus operandi, le undici associazioni manifestano un certo numero di aspetti comuni. Più avanti analizzerò nei dettagli il ruolo particolare dell’ultima delle associazioni elencate nella tabella, la Federazione Internazionale dei Combattenti della Resistenza, operante nella Germania occidentale. Se si eccettua questa federazione, che fu fondata nel 1951, e il quartier generale del Consiglio Mondiale della Pace, fondato nel 1949, tutte queste organizzazioni videro la luce negli anni dell’immediato dopoguerra. Sotto l’attenta e abile direzione di Mosca, nacquero nel 1945 e nel 1946 dalla fusione di associazioni e leghe locali che operavano nei diversi paesi e tra le quali, naturalmente, figuravano a quel tempo anche numerose organizzazioni di ispirazione non-comunista. Sono perfettamente convinto che in molti casi questi gruppi erano animati dalle migliori e più nobili intenzioni, e che le campagne da loro promosse erano non solo giustificate, ma addirittura necessarie dal punto di vista dei paesi interessati; ma d’altra parte non c’è dubbio che i comunisti seppero muoversi con estrema accortezza nei confronti di queste nuove associazioni nazionali, riuscendo in brevissimo tempo ad assumerne il controllo e a incanalarne deliberatamente le scelte politiche nella direzione voluta da Mosca. Più e più volte io e i miei colleghi dell’Organizzazione, allora ai suoi primi passi, ci accorgemmo di quanto stava accadendo: sfruttando questi gruppi ‘‘borghesi’’ i comunisti riuscirono rapidamente a infiltrarsi nell’intero ‘‘campo borghese’’ dei paesi prescelti. Da quelli che i russi chiamarono gli ‘‘utili idioti’’ degli anni ’50, vere e proprie marionette la cui inettitudine contribuı̀ spesso in misura determinante ad accelerare il processo di disintegrazione voluto dai comunisti che ne manovravano i fili, è uscita la nuova generazione di collaboratori e simpatizzanti consapevoli degli anni ’70, certo assai più utili ai comunisti per l’attività sotterranea che oggi vanno sviluppando. In ogni caso, fu la miriade di piccoli gruppi che spuntarono come funghi in tutto il mondo venticinque anni fa a rendere possibile la fulminea crescita delle associazioni internazionali di ispirazione comunista. 391 Molti di questi piccoli gruppi nazionali si disillusero più rapidamente di quanto avessero previsto gli istigatori e i fiancheggiatori comunisti, quando si accorsero che i postichiave nei quartieri generali erano in mano comunista e che in breve tempo i russi ne avrebbero assunto il completo controllo. I posti lasciati ai rappresentanti dei gruppi ‘‘nazionali’’ erano al più posti di carattere onorario, la cui scarsa importanza era evidente fin dall’inizio. Mentre per queste e altre ragioni numerosi gruppi e associazioni si discioglievano, ne emersero di nuovi che presero il loro posto, adottando spesso una linea politica autonoma; numerose di queste nuove associazioni sorte nel mondo libero si fusero con altri gruppi di analoga ispirazione per dare vita a federazioni internazinali marcatamente anti-comuniste. Tuttavia durante questa fase l’unica che riuscı̀ a contrapporsi efficacemente alle organizzazioni comuniste operanti su scala mondiale fu la Federazione interI VEICOLI DEL COMUNISMO INTERNAZIONALE Quartieri generali Iscritti Federazione Sindacale Mondiale Consiglio Mondiale della Pace Praga Helsinki Federazione Mondiale della Gioventù Democratica giovanili Unione Internazionale degli Studenti Federazione Internazionale delle Donne Democratiche Federazione Mondiale dei Sindacati degli Insegnanti Organizzazione Internazionale dei Giornalisti Organizzazione Internazionale della Radio e della Televisione Associazione Internazionale degli Avvocati Democratici Federazione Mondiale dei Lavoratori della Scienza Federazione Internazionale dei Combattenti della Resistenza Budapest 138 milioni in 56 paesi Più di 100 comitati per la pace a livello nazionale 100 milioni in 180 organizzazioni Praga Berlino Est Praga 4 milioni in 87 organizzazioni 200 milioni (secondo i comunisti) in 90 paesi 7,65 milioni in 25 paesi Praga 140.000 in oltre 100 paesi Praga Sottogruppi in 19 paesi Bruxelles Circa 50 branche e sottogruppi Londra 300.000 in 51 paesi Vienna 4 milioni in 470 organizzazioni in 20 paesi nazionale dei sindacati liberi, che si sviluppò rapidamente fino a diventare, nella seconda metà degli anni ’60, altrettanto forte della sua avversaria comunista in termini di influenza e di numero di aderenti. Alcuni lettori si saranno forse chiesti quale sia la logica che sta dietro la particolare graduatoria in cui ho collocato le undici organizzazioni mondiali, dato che essa differisce da quella consueta. In effetti, il principio a cui mi sono attenuto è stato quello di mettere ai primi posti le organizzazioni più attive. Questa piccola correzione rivela di per séun fatto che non può apparire sorprendente: quasi tutte le organizzazioni più attive — 392 che sono poi quelle più pericolose per il mondo libero — hanno sede a Praga (ben cinque su undici). Questa concentrazione geografica, alla quale in Occidente si è prestata troppo poca attenzione, può essere considerata come un vero e proprio quartier generale, non dissimile dal vecchio Cominform, e fa apparire la Cecoslovacchia come una specie di ‘‘socio giovane’’ dell’Unione Sovietica nell’amministrazione di queste grandi organizzazioni. Non ho bisogno di aggiungere che una delle ragioni che nel 1968 spinsero i russi a occupare il paese con la forza fu la preoccupazione di mantenere sotto il loro stretto controllo questa roccaforte del comunismo internazionale. Esaminando più da vicino l’elenco si scopre inoltre che una delle organizzazioni più importanti ha il suo quartier generale a Helsinki: il Consiglio Mondiale della Pace, con le sue potenzialità virtualmente inesauribili, ha sede in un paese che, pur non appartenendo ufficialmente all’impero comunista, dipende dai russi come nessun altro. Il fatto che due organizzazioni internazionali siano riuscite a mantenere le rispettive sedi in paesi che sono membri della NATO mi offre l’occasione di attirare l’attenzione su stratagemmi di mimetizzazione adottati non solo dell’opinione pubblica di questi paesi, ma anche di innumerevoli uomini politici occidentali sulla vera natura di una macchina come quella comunista che è stata ideata e lavora per un unico scopo: sottoporre la mente occidentale a un incessante attacco da dietro una cortina di innocua attività e provocare cosı̀ il declino e la caduta della società occidentale. Apparentemente le organizzazioni mondiali comuniste possono ancora affermare di essere organizzazioni-madre ‘‘non allineate’’. Esse fanno rilevare che i non-comunisti che occupano posizioni di apparente rilievo sono la maggioranza. È anche perfettamente vero che a queste organizzazioni mondiali aderiscono numerosi gruppi, in particolare quelli di paesi africani e del resto del Terzo Mondo, che rappresentano davvero interessi comuni e che sotto l’occhio vigile dei rispettivi governi totalitari, gelosi della loro sovranità, si sforzano davvero di tenere sempre presenti le reali esigenze particolari delle loro nazioni e si battono con grande vigore e decisione per vederle soddisfatte. Il loro interesse nelle organizzazioni-madre comuniste dipende esclusivamente dall’assistenza che ricevono, soprattutto sotto forma di attrezzature e facilitazioni per la formazione di futuri leaders. Ma è proprio qui, a mio avviso, che dobbiamo scorgere uno dei maggiori pericoli rappresentati da queste organizzazioni mondiali. I futuri leaders dei paesi sottosvilupppati vengono formati prevalentemente nei paesi comunisti dopo essere stati in buona parte reclutati attraverso le innumerevoli ed efficienti ramificazioni delle grandi organizzazioni internazionali. Il lavoro di formazione viene svolto principalmente nell’Unione Sovietica e nella Germani orientale; la Cecoslovacchia, con i suoi magnifici centri di formazione di Praga e Zlin, ha avuto il permesso di collaborare nuovamente a questo programma di formazione di quadri solo in modo molto graduale dopo gli avvenimenti del 1968. Da numerosi elementi si può arguire che questa speciale attività di formazione è portata avanti con metodi estremamente raffinati e con l’insegnamento della psicologia. Poiché agli inizi i tentativi di indottrinamento diretto si dimostrarono abbastanza spesso controproducenti, ora i comunisti non annettono una particolare importanza a questo sistema di formazione. Oggi i benefici che ricavano sono indiretti: i] contenuto politico dei testi usati per insegnare le 393 lingue, ad esempio, e le conclusioni che gli ospiti ricaveranno dall’osservazione diretta del sistema socialista. Di solito gli studenti provenienti dai paesi sottosviluppati non hanno altro termine di raffronto all’infuori delle rispettive terre di origine, cosicché quasi sempre se ne vanno dal paese comunista che li ha ospitati per qualche anno con l’impressione di avere scoperto nel ‘‘socialismo’’ (che è poi comunismo) un sistema estremamente efficace per pianificare e controllare una società che aspiri ad essere moderna. A questo punto essi sono già dei combattenti addestrati pronti a battersi per la causa comunista. Una volta rientrati nel paese d’origine essi diventano le forze ‘‘progressiste’’ all’inerno dell’apparato statale o di una varietà di altre orgaizzazioni, elementi che, a seconda di come spira il vento, possono essere rapidamente trasformati in promotori di fermento e di rivoluzione. Il secondo pericolo inerente a queste organizzazioni mondiali è l’influenza permanente che esse esercitano su quanti vi aderiscono. Esse esistono da venticinque anni, eppure l’unico episodio che ha suscitato qualche protesta è stata l’occupazione della Cecoslovacchia, e anche questa volta le obiezioni sono venute quasi esclusivamente dalle organizzazioni con sede a Praga. A parte questo caso speciale, tutte le organizzazioni hanno sempre appoggiato la politica sovietica senza riserve, dimostrando questo appoggio con risoluzioni, raccolte di fondi, manifestazioni e campagne. Raramente per influenzare l’opinione pubblica esse fanno uso di metodi ‘‘diretti’’: di solito preferiscono lavorare in modo indiretto, spesso quasi impercettibile; ed è appunto questo che rende la loro azione cosı̀ efficace a lungo termine. Noi siamo sempre stati convinti della necessità di tenere sotto attento esame l’operato delle organizzazioni mondiali controllate dai comunisti per il fatto che dal contenuto delle loro campagne propagandistiche e di agitazione politica è spesso possibile ricavare indicazioni sui futuri spostamenti di accento della politica comunista a lungo termine. Spesso ulteriori indicazioni sugli spostamenti geografici del punto focale della politica estera sovietica potrebbero essere desunte dagli intensi movimenti della ‘‘diplomazia viaggiante’’ delle organizzazioni mondiali; purtroppo l’Occidente tende a dedicare scarsa attenzione a queste indicazioni. Poiché mi sarebbe impossibile nell’ambito di questo libro passare in rassegna ad una ad una tutte le organizzazioni mondiali e le rispettive attività, devo limitarmi a illustrare pochissimi casi. Personalmente ho sempre considerato la Federazione sindacale mondiale quella più rigidamente controllata e allo stesso tempo quella più dinamica. Tuttavia sul piano dell’efficacia generale il Consiglio Mondiale della Pace mi sembra ancora più pericoloso, anche se il Movimento per la Pace comunista non rende noti dati esatti sul numero degli aderenti, preferendo sbandierare numeri fittizi di compagni di strada e simpatizzanti non molto lontani dal miliardo. L’aspetto più importante del Consiglio Mondiale della Pace — nonché della Conferenza Cristiana della Pace e dell’Istituto Internazionale per la Pace, l’una e l’altro legati a questa organizzazione-madre — è che gli obiettivi che esso proclama sono assolutamente irreprensibili. Non stupisce quindi che questi veicoli dell’attività comunista mondiale possano vantare la collaborazione di innumerevoli personalità chiaramente non-comuniste. Tra queste personalità figurano molti uomini di grande fama e levatura mondiale, i quali ovviamente credono davvero che la coesistenza sia praticabile, tanto nello spirito quanto nella lettera, anche nel campo della politica. 394 Secondo informazioni a mia disposizione la Conferenza Cristiana per la Pace è ormai diventata un residuo del passato. Essa fu costituita da alcuni teologi cecoslovacchi nel 1958 con l’approvazione dell’Ufficio di Stato cecoslovacco per gli affari Religiosi. Il padre dell’idea fu un professore protestate di teologia, Hromadka, morto nel 1969, la cui intenzione era di dare vita, ‘‘nell’interesse delle generazioni attuali e di quelle future’’, a un Congresso Cristiano Mondiale per ‘‘condannare la produzione di ogni tipo di armi e strumenti per la distruzione di massa’’ e per ‘‘porre all’ordine del giorno l’esigenza di pace’’. Il Consiglio Ecumenico cecoslovacco avrebbe provveduto a convocare nel 1958 eminenti personalità delle chiese cristiane, indipendentemente dalle differenze di nazionalità o di credo, per mettere a punto i piani necessari in vista della creazione di questo Congresso Mondiale. La Conferenza Cristiana per la Pace diede vita a comitati nazionali in un gran numero di paesi, toccando il punto più alto della sua attività con le Assemblee di Tutti i Cristiani per la Pace. Il professor Hromadka credeva che a lungo termine comunismo e cristianesimo avrebbero potuto riconciliarsi. Il cristianesimo, disse una volta, doveva tenersi pronto per il momento in cui si sarebbe rivelato necessario ‘‘riempire di nuova sostanza cristiana’’ il ‘‘vuoto spirituale’’ delle masse comuniste. L’occupazione sovietica della Cecoslovacchia distrusse questa illusione. E distrusse anche il lavoro di Hromadka, poiché quando egli protestò senza paura contro la violenza esercitata ai danni della sua madrepatria, il capo della chiesa ortodossa russa si affrettò a rimproverarlo con dure parole per i suoi timori. Hromadka morı̀ deluso e rassegnato. Secondo dati forniti dal manuale delle organizzazioni internazionali pubblicato nel 1969 nella Germania orientale, in quell’anno il Consiglio Mondiale della Pace impiegava 475 persone, delegate dalle associazioni mondiali e da altre organizzazioni. Il Consiglio, fondato il 21 aprile 1949, lavorava in stretto collegamento con comitati nazionali per la pace operanti in un centinaio di paesi. Per chiarire la natura del Consiglio Mondiale della Pace non posso fare di meglio che citare alcuni brani tratti dallo stesso manuale. Esso offre la più chiara dimostrazione di come dietro un aspetto luminoso e invitante batta spesso un cuore spregiudicato e consacrato alla causa sovietica: ‘‘L’attività del Consiglio Mondiale della Pace è appoggiata dalle organizzazioni nazionali per la pace esistenti in quasi tutti i paesi del mondo e da vari organismi internazionali e nazionali che sono interessati a difendere la pace ma organizzativamente non appartengono al movimento mondiale per la pace. Il Consiglio Mondiale della Pace contribuisce all’espansione del movimento per la pace, e non risparmia alcuno sforzo per far sı̀ che questo movimento attragga nelle sue file rappresentanti di ogni classe, indipendentemente dal loro credo politico e religioso’’. Fin qui è un programma nel quale forse solo la fastidiosa ripetizione della parola ‘‘pace’’ potrebbe dare adito a qualche sospetto. Ma il manuale prosegue: ‘‘Dal 16 al 19 dicembre 1961 si svolse a Stoccolma una conferenza del Consiglio Mondiale della Pace che fu una delle più importanti e rappresentative nella storia dell’organizzazione. Le risoluzioni approvate alla conferenza di Stoccolma costitui- 395 scono un importante contributo al fine di mobilitare larghi strati dell’opinione pubblica di ogni paese e di unirli nella lotta contro ff pericolo di una guerra mondiale nucleare. La conferenza dichiarò che la pace mondiale è seriamente minacciata dalla mancanza di un definitivo trattato di pace tedesco e dalla rinascita del militarismo e del revisionismo nella Germani occidentale. Essa auspicò la mobilitazione di vasti settori dell’opinione pubblica mondiale nella lotta per l’avvio di negoziati che portino alla stipulazione di un Trattato di pace tedesco’’. Il tono è ora completamente diverso. Non appena si arriva a sfiorare il problema tedesco, l’elemento di sovversione diventa penosamente chiaro; con questi discorsi il ‘‘pacifico’’ Consiglio Mondiale della Pace si affianca alle altre organizzazioni impegnate nella campagna mondiale di denigrazione contro la ‘‘Germania di Arldenauer militarista e revisionista’’ degli anni ’50 e ’60. ‘‘Dal 10 al 15 luglio 1965 si tenne a Helsinki il Congresso Mondiale sulla Pace, sull’Indipendenza nazionale e sul Disarmo generale. Il Congresso, convocato in un momento in cui la situazione internazionale era particolarmente complessa — escalation dell’aggressione imperialista in Vietnam, occupazione di Santo Domingo da parte di truppe americane, richieste sempre più sfrontate dei generali di Bonn per la concessione di armi nucleari alla Germania occidentale, lotte delle forze patriottiche in Angola. Mozambico, penisola Araba e cosı̀ via — il Congresso era consapevole della speciale importanza delle risoluzioni che avrebbe approvato. A differenza di precedenti incontri di questi combattenti per la pace, il congresso di Helsinki fu caratterizzato dall’eccezionale ampiezza dei movimenti e delle organizzazioni rappresentati. Ai gruppi per la pace uniti nel Consiglio Mondiale per la Pace si affiancarono esponenti di molti gruppi internazionali autonomi, che in alcuni casi portavano con sé proprie e particolari convinzioni religiose o pacifiste. Complessivamente parteciparono alla conferenza 1.470 rappresentanti di organizzazioni nazionali provenienti da 98 paesi di tutti i continenti e delegati di 18 organizzazioni internazionali. Anche se alcuni dei problemi affrontati sollevarono vivaci discussioni, tutti i partecipanti approvarono all’unanimità i documenti finali (la Risoluzione sul Vietnam e la Dichiarazione Generale), dando cosı̀ vivente testimonianza del fatto che di fronte alle gravi tensioni provocate dall’aggressione delle forze imperialiste, tutti coloro che si preoccupano della salvaguardia della pace possono porre al di sopra di ogni altro interesse l’obiettivo di mobilitare i loro concittadini nella lotta contro i guerrafondai, e serrare le file per raggiungere questo fine’’. Questo brano dimostra con particolare chiarezza come gli ‘‘amici della pace’’ cosı̀ radunati siano incoraggiati a vedere tutti i problemi internazionali del momento sotto la luce voluta dai russi. ‘‘Il tema del Congresso sulla Pace, sull’Indipendenza nazionale e sul Disarmo generale è di porre l’accento sull’unità e la compattezza di tutti i grandi movimenti democratici il cui obiettivo comune è oggi rappresentato dal libero progresso dell’Umanità. In tale contesto grande importanza deve essere annessa alla Dichiarazione Generale, nella quale si dimostra che la responsabilità dell’attuale tensione internazionale ricade sugli imperialisti, sui loro tentativi di piegare le lotte nazionali dei popoli per la 396 libertà, sulla loro decisione di accelerare la corsa al riarmo e portare avanti i preparativi per una nuova guerra mondiale. Il Congresso discusse i problemi dei movimenti di liberazione nazionale e il rapporto di interdipendenza che esiste tra di essi e la lotta per la pace tra tutte le nazioni’’. Il caso del Consiglio Mondiale della Pace mostra con particolare chiarezza come i comunisti riuscirono durante gli anni ’60 a rompere l’isolamento dell’immediato dopoguerra, e come personalità animale dalle migliori intenzioni fornirono loro, spesso senza rendersene conto, il ‘‘fuoco di copertura’’ — se mi è permesso di emulare la terminologia incoerentemente marziale impiegata per descrivere le campagne dei movimenti per la pace — di cui i comunisti avevano bisogno.Sinceri pacifisti hanno unito i loro sforzi a quelli di devoti cristiani e di altre persone e organizzazioni profondamente ansiose di migliorare le condizioni sociali in tutto il mondo, per lavorare all’interno del Consiglio Mondiale della Pace o nei comitati nazionali ad esso affiliati, e ancora oggi essi si rifiutano di aprire gli occhi davanti alla realtà, e cosı̀ di convincersi che con la loro attività servono non già la causa della pace, bensı̀ indirettamente quella della trasformazione rivoluzionaria del mondo. A questo proposito vale la pena di ricordare che un paese neutrale come l’Austria ritenne di doversi dissociare dal Consiglio Mondiale della Pace e il 2 febbraio 1957 ne chiuse il quartier generale, dopo che esso era già stato espulso dalla Francia nel 1951, due anni dopo la fondazione ufficiale del Consiglio, per attività incompatibili con gli interessi della Francia. Questo atteggiamento dei nostri vicini illustra più di qualsiasi discorso la bontà del loro istinto politico. Esso dimostra come nel difendere i loro interessi gli austriaci siano sorretti da una determinazione che purtroppo non sempre si riscontra qui in Occidente. Come il Consiglio Mondiale della Pace, anche la Federazione Mondiale della Gioventù Democratica agisce allo soperto e conduce le sue campagne con slogan la cui innocua terminologia ha lo scopo di mascherare l’efficienza di questa organizzazione come strumento nella lotta ingaggiata dal comunismo internazionale. Vediamo, ad esempio, che cosa accade al Nono Festival Mondiale Giovanile dello Sport svoltosi a Sofia, la capitale della Bulgaria, tra il 28 luglio e i16 agosto 1968 ciascuna delle due metà della Germania vi inviò una propria delegazione, e una di queste, la Legge Federale della Gioventù della Germania occidentale, ingaggiò una memorabile battaglia. (E appunto per la presenza della delegazione della Germania occidentale che ho scelto questo particolare caso). Nella pubblicità che precedette l’inizio del Festival comparvero termini e frasi — riguardanti, ad esempio, i ‘‘diritti politici, economici, sociali e culturali della gioventù’’, i ‘‘diritti dei giovani e degli studenti a partecipare attivamente alla vita politica’’, i ‘‘diritti al lavoro e all’addestramento professionale’’ e alla ‘‘democratizzazione dell’istruzione’’ — che potevano essere considerati ‘‘progressisti’’ solo nel senso peggiorativo del termine e che quindi, inevitabilmente, suscitarono i sospetti degli esperti in materia. Come forse molti lettori ricorderanno ancora, per tutta la durata del Festival si registrarono violenti dibattiti e discussioni, con il risultato che né gli ospiti bulgari né le organizzazioni che dietro le quinte avevano realmente patrocinato la manifestazione (la Federazione Mondiale della Gioventù Democratica e l’Unione Internazionale degli Studenti) riuscirono a 397 realizzare gli obiettivi che si erano prefissi, e cioè a far approvare tutte le risoluzioni che avevano già preparato in anticipo. Per i miei ex colleghi del servizio segreto e per me stesso nella veste di osservatore esterno (a quel tempo mi ero appena ritirato dall’attività) l’avvenimento fu ragguardevole sotto due aspetti. Da una parte esso confermò ancora una volta l’importanza annessa dal movimento comunista all’infiltrazione politica nel cervello della gente, anche in campi che noi siamo sempre stati abituati a considerare estranei alla politica; ma d’altra parte esso dimostrò come durante i precedenti giochi svoltosi a Vienna nel 1959 e a Helsinki nel 1962 i nostri giovani sarebbero stati ampiamente in grado di sostenere un pubblico confronto con i comunisti purché ci si tosse preoccupati di prepararli, almeno in una certa misura, in vista di tale confronto. È risaputo che la Federazione Internazionale dei Combattenti della Resistenza non è una delle più importanti tra le organizzazioni comuniste; ma, come ho già avuto occasione di accennare, essa si rivelò per noi una spina nel fianco particolarmente fastidiosa con un’attività che culminò in una serie ininterrotta di campagne denigratorie contro il governo della Germania occidentale che durò fin verso la fine degli anni ’60; queste campagne erano dirette sia contro il paese nel suo complesso, definito ‘‘militarista, revisionista e neo-fascista’’, sia contro particolari categorie della popolazione come ufficiali, giudici e alti funzionari dello stato, sia infine contro specifici individui, fatti oggetto di ogni genere di calunnie. Sebbene questo periodo di campagne diffamatorie sia ormai una cosa del passato, io ripenso a esso come a uno dei periodi in cui il mio servizio segreto ottenne alcuni dei suoi più grandi successi nella lotta contro il comunismo internazionale su questo particolare fronte: procurandoci notizie segrete, analizzando., con cura l’abbondante flusso di informazioni rese pubbliche dalle stesse organizzazioni internazionali comuniste e portando in salvo le persone più esposte, riuscimmo a rendere al nostro paese e ad altri paesi dell’Europa occidentale un vizio che non passò inosservato. In collaborazione con altre organizzazioni riuscimmo a smascherare menzogne messe in circolazione nel quadro di queste ininterrotte campagne, e quindi a privare delle loro armi più pericolose quelli che le avevano escogitate. Mi piacerebbe molto entrare nei dettagli delle campagne scatenate dai comunisti per diffamare alcuni nostri generali della Bundeswehr come Heusinger, Speidel Foertsche, le cui posizioni chiave all’interno sia delle forze armate tedesche sia della NATO costituivano bersagli primari per i tentativi di sovversione della Federazione Internazionale dei Combattenti della Resistenza. Le organizzazioni propagandistiche controllate dai sovietici divulgarono con cura libri. Opuscoli pamphlet contenenti una dosata mistura di autentici documenti del tempo di guerra con altri contraffatti, allo scopo di coinvolgere questi ufficiali in crimini di guerra nazisti. Anche se la cosa potrebbe indubbiamente rivestire un notevole interesse per una parte dei miei lettori — e in particolare per quelli interessati per ragioni professionali a conoscere i metodi con cui lavorava il io il servizio segreto — la mancanza di spazio e le esigenze della sicurezza nazionale non mi consentono di diffondermi sulle contromisure che adottammo per neutralizzare le campagne denigratorie ispirate dai comunisti. Reinhard Gehlen 398 3. LA CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE Delimitazione del fenomeno È notevolmente più agevole delimitare i confini della conflittualità non convenzionale con riferimento a fenomeni antitetici, piuttosto che tentare di formulare una definizione di questo termine elusivo e privo di codificazione. Infatti, essa si differenzia nel modo più assoluto e categorico tanto dalla contesa democratica quanto dal classico campo di battaglia, aspetti che tratteremo prima di proporre una definizione della conflittualità non convenzionale. Che la conflittualità non convenzionale esuli dalla contesa democratica è fin troppo ovvio.La contesa democratica si svolge in modo pacifico, ordinato e rispettoso dei diritti e della dignità altrui persino nei rapporti tra maggioranza e opposizione. Fanno stato non solo il voto per le assemblee rappresentative e il referendum popolare, ma anche l’esercizio di tutti gli altri diritti civili. Altrettanto ovvia è la differenza tra la conflittualità non convenzionale e il classico campo di battaglia, dove si svolge la guerra in senso stretto, ossia un conflittualità tra più Stati riguardante il perseguimento e la difesa di propri interessi vitali. Non va però dimenticato che il termine guerra viene con crescente disinvoltura utilizzato pure in senso lato anziché tecnico. Con frequenza ci si ricorre per qualificare comportamenti intrapresi, o misure adottate, per fronteggiare situazioni di qualsiasi natura reputate negative. Risaltano, in tal senso, i nobili propositi di guerra alla fame, alle malattie, alla criminalità etc. Spesso, con pari elasticità, si impiega questo sostantivo con riferimento a contese, sia incruente sia violente, tra gli antagonisti più disparati che spaziano, quindi, dai litiganti processuali alle imprese commerciali concorrenti, alle bande criminali rivali. Sintomatico del problema terminologico riguardante il significato e la portata sia del vocabolo guerra sia dell’espressione conflittualità non convenzionale, è il titolo assegnato al loro recente e pregevole volume, Le Nuove Guerre, da Umberto Rapetto e Roberto Di Nunzio. In questo contesto, sono particolarmente istruttive due sezioni de Le Nuove Guerre dedicate, appunto, al tema della guerra in senso stretto e in senso lato con riferimento alle manifestazioni conflittuali contemporanee. Gli Autori confrontano quanto espressa rispettivamente da Jean e Mini. Secondo Jean, come citato gli Autori, la guerra costituisce l’espressione cruenta di un conflitto, fra Stati o fra gruppi politico-sociali organizzati, in cui viene impiegata la forza militare per imporre a un avversario la propria volontà, possibilmente attraverso la convinzione (guerra virtuale e guerra limitata), ma se necessario con la distruzione (guerra di 399 annientamento). All’uso della forza si accompagnano sempre forme non cruente di lotta: economica, psicologica e cosı̀ via. Secondo Mini, cosı̀ citato dalla stessa fonte, la guerra è oggi qualsiasi contrapposizione posizione di volontà fra organizzazioni che impieghino qualsiasi mezzo violento o coercitivo (scontri armati, guerra fredda, coercizione palese od occulta) per imporre il proprio interesse o punto di vista. Commentano Rapetto e Di Nunzio che le due definizioni nella sostanza possono sembrare uguali, ma a ben guardare, nella seconda ci deve far riflettere la scomparsa dell’aggettivo ‘‘militare’’ e la comparsa di ‘‘qualsiasi contrapposizione di organizzazioni’’. Essi poi concludono, parzialmente citando Mini, che nella guerra, vista in questa ottica (...) scompare la ‘‘limitazione degli attori’’ che vedeva impegnati soltanto Stati e organismi politico-sociali. Fatte le distinzioni che precedono e considerati i problemi lessicali, possiamo preliminarmente proporre che la conflittualità non convenziona comprende prevalentemente una serie di manifestazioni eversive o violente che violano, a seconda della fattispecie, il diritto interno di singoli stati o le norme di diritto internazionale. Rientrano nell’ambito della conflittualità non convenzionale metodiche che, seppure lecite o ai limiti della legalità, stridono con i comportamenti tradizionalmente recepiti dalla società civile. Manifestazioni del fenomeno Sotto l’aspetto pratico,quali sono dunque le manifestazioni ragionevolmente riconducibili, alla conflittualità non convenzionale? Sulla base di osservazioni empiriche e comparativistiche soggetta a divergenti interpretazioni, riteniamo di poter annoverare in quest’ambito l’agitazione sovversiva, il terrorismo, l’insorgenza, la guerra civile, il colpo di stato,la costituzione di reti e sodalizi clandestini o semiclandestini a livello internazionale, il ruolo di stati cosiddetti canaglia, la disinformazione. L’agitazione sovversiva viene praticata da elementi appartenenti a partiti, movimenti sia parlamentari che extraparlamentari, sia di piccole sia di considerevoli dimensioni, mira al raggiungimento di fini ideologici, politici, politico-sindacali, politico-confessionali o legati a singole cause specifiche. Si avvale per lo più , ma non esclusivamente,di mezzi non cruenti, ancorché illeciti o scorretti, fra cui la propaganda tendenziosa e la disinformazione,l’incitamento a non osservare le leggi o talune di esse,gli assembramenti e i cortei lesivi dello ordinato svolgimento della vita sociale e dei processi economici, l’occupazione d’immobili e i disordini di piazza. Nella maggior parte dei casi, il ricorso alla violenza si esaurisce in atti vandalici o nel danneggiamento o distruzione di beni pubblici e privati; ma, con minore frequenza, comporta anche lesioni alle persone. Abituali sono, invece, le minacce. Fra le tattiche utilizzate dagli agitatori sovversivi rientra l’inserimento di gruppuscoli in manifestazioni di varia specie e consistenza, inclusi raduni, comizi e cortei, con l’intento di provocarne la degenerazione. 400 A seconda delle strategie prescelte o dipendendo da circostanze particolari, solo elementi di determinate aggregazioni oppure la totalità di coloro ad esse appartenenti praticano l’agitazione sovversiva. Alcune organizzazioni, sedicenti o anche superficialmente rispettose della legalità costituzionale, si dotano, a latere, di strutture, impostate su ordinamenti cellulari o di altra natura, per porre in essere l’agitazione sovversiva,operando cosı̀ su scala binaria. L’indottrinamento martellante e subdolo e — l’infiltrazione nelle istituzioni di ogni natura — rientrano nelle metodiche degli agitatori, i quali si dotano altresı̀ di strumenti mediatici che spaziano dalle pubblicazioni, anche di natura semiclandestina, alle trasmissioni radiofoniche, ai siti internet. Come emerso in numerose occasioni (fra le più recenti risaltano le proteste contro la globalizzazione), l’agitazione sovversiva accomuna militanti protesi verso la resistenza passiva e la disubbidienza civile a veri e propri facinorosi entrambi affiancati da compagni di strada armati puramente di buone intenzioni. Contrariamente alle manifestazioni di protesta spontanee, anche a livello di sommosse, che sorgono in reazione a situazioni ambientali obiettivamente o soggettivamente negative causate da fattori storici, sociali, religiosi, economici o politici, l’agitazione sovversiva, pur attivamente sfruttandoli tutti, è il prodotto di un fattore sovrastante:la presenza di una o più sottoculture composte da estremisti di stampo radicale o rivoluzionario. Queste sottoculture si ispirano a varie fonti di pensiero politico. Due fonti sono di natura fortemente ideologica, sinistra e destra, ma sia l’una che l’altra sono caratterizzate da diverse sfumature. L’estremismo di sinistra si suddivide in marxista-leninista, anarchici, internazionalista o dedito a cause sociali o ambientali specifiche. Quello di destra abbraccia correnti neo-naziste, nazionaliste-o contro-separatiste. Una terza fonte è di natura etnico-nazionalista o etnico-separatista, la cui tendenza ideologica può orientarsi sia a sinistra s destra. Altra fonte è poi quella politico-confessionale anche denominata teocratici. Nella pratica, la visione politica di molti attivisti è spesso superficiale o nebulosa, il che incrementa la loro pericolosità. Va infine notato che l’agitazione sovversiva normalmente si svolge ad opera di aggregazioni di diverse matrici che operano contemporaneamente e separatamente negli stessi o diversi contesti geografici, ancorché con difforme intensità e incisività. Un’altra manifestazione di conflittualità non convenzionale è la costituzione di reti o sodalizi semiclandestini o clandestini a livello internazionale, che permette ad attori eversivi e violenti di incidere sia all’interno di singoli Stati sia a livello geopolitico regionale o a raggio ancora più ampio. La casistica include strutture prevalentemente di supporto ideologico, tecnico e logistico, nonché iniziative operative vere e proprie. Rientrano in questo fenomeno gli autoproclamati partiti comunisti combattenti — tanto del recente passato quanto in stato embrionale di rivitalizzazione — sempre protesi a dar vita al fronte arti-imperialista internazionale; le attività multinazionali di Soccorso Rosso e di altre organizzazioni dedite all’agitazione sovversiva ed all’appoggio a favore di gruppi terroristici; i casi di collaborazioni rientranti nella sfera politica dell’estrema destra; i vari simpathy group con legami 401 internazionali che alimentano le componenti paradossalmente aggressive dei movimenti pacifisti, ecologici e anti-globalizzazione. Concludiamo questa panoramica delle manifestazioni di conflittualità non convenzionale con alcuni cenni sulla disinformazione, la quale rientra nell’ambito più vasto della propaganda, ossia la direzione o manipolazione intenzionale di notizie per ottenere un risulto specifico. Più specificamente, la disinformazione abbraccia l’alterazione dei resoconti, la falsificazione di documenti e corrispondenza, l’impiego di agenti d’influenza, l’emissione di notiziari clandestini e la creazione di organizzazioni di facciata. Lo scopo fondamentale è quindi quello di disseminare notizie fuorvianti, incluse voci, insinuazioni e falsità a vantaggio dell’attore e ai anni dell’obiettivo preso di mira. Va sottolineato che a ism orinazione non è un’arma in esclusiva dotazione degli Stati, i quali dispongono di servizi d’intelligente almeno potenzialmente in grado di agire con notevole perizia in questo settore. Essa si propone, particolarmente nell’attuale contesto storico caratterizzato da martellamenti mediatici, come un mezzo alla portata di qualunque centro d’interessi intento a raggiungere i propri scopi influenzando e sfruttando una o più componenti della compagine sociale. L’aspetto più deleterio della disinformazione è il potenziale impatto psicologico sull’opinione pubblica a scapito dell’ordine pubblico interno, della sicurezza nazionale e della collaborazione internazionale. VittorFranco Pisano 402 4. PREMESSA Allo scopo di illustrare l’incidenza e la rilevanza che il nuovo antagonismo riveste nella realtà attuale, abbiamo scelto alcune significative relazioni di intelligence — quella del Sisde, quella della polizia federale svizzera, quella della Bfv tedesca e, infine, alcune rilevanti considerazioni dell’analista francese Baud sulla dimensione asimmetrica in Gandhi e nei Black bloc unitamente al contributo di Lucas/Tiffreau — analisti strategici della Ecole de Guerre Economique-relativo alla sovversione psicologica di Attac. 403 5. DOCUMENTO N. 1 A COME ANARCHIA IN TUTTE LE SUE ANIME L’analisi si propone di ripercorrere a grandi linee la storia più recente dell’anarchismo in Italia, attraverso le parole e le iniziative dei suoi esponenti più rappresentativi, approfondendo al contempo i principi che costituiscono il patrimonio fondante dell’ideologia anarchica. 1. La ‘‘Federazione Anarchica Informale - Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini’’ Nel periodo dicembre 2003/gennaio 2004, l’invio di plichi esplosivi al Presidente della Commissione Europea, Prof. Romano Prodi, e a esponenti e rappresentanze dell’Unione sancisce l’avvio di una campagna di lotta contro il nuovo ordine europeo lanciata dalla neocostituita ‘‘Federazione Anarchica Informale - Cooperativa Artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare)’’, con l’adesione delle sigle più note del panorama eversivo di matrice anarchica, già responsabili di diverse ed eclatanti azioni in Italia e all’estero. Le ‘‘Cellule contro il Capitale, il Carcere, i suoi Carcerieri e le sue Celle’’, la stessa ‘‘Cooperativa Artigiana’’, la ‘‘Brigata 20 luglio’’ e ‘‘Solidarietà Internazionale’’, in una sorta di ‘bozza programmatica’, allegata al messaggio di rivendicazione, illustrano i tratti distintivi del nuovo organismo, che si propone di aggregare singole persone o gruppi ideologicamente affini accomunati dalle pratiche di attacco al dominio, i quali si incontrano nel solo momento specifico dell’azione e della sua preparazione. Ci troviamo di fronte, quindi, ad una Federazione, struttura orizzontale e non verticistica, di matrice anarchica, in radicale opposizione a qualunque cancro marxista, sirena incantatrice che incita alla liberazione degli oppressi per sostituire un dominio ad un altro, in cui il tipo di relazione tra soggetti è Informale, finalizzato, cioè, esclusivamente all’attuazione di un’iniziativa. Per entrare a far parte della federazione occorre riconoscersi nell’inderogabile principio della solidarietà rivoluzionaria, intesa come azione armata, attacco a strutture e uomini responsabili della detenzione del compagno, e aderire alle cosiddette campagne rivoluzionarie, compiendo azioni che, seppure attuate secondo modalità e tempi propri, si inseriscano in campagne di lotta prestabilite. L’immagine di questa organizzazione elastica, che opera all’insegna di una sostanziale ‘libertà d’azione’ dei singoli soggetti rivoluzionari, accomunati esclusivamente da un legame di natura solidaristica, in che misura corrisponde effettivamente al patrimonio ideologico anarchico, cosı̀ come ci è stato tramandato dai suoi esponenti più autorevoli? 404 2. Bonanno e la lotta contro l’attività repressiva dello Stato Le linee ideologiche, politiche e operative fondanti l’attività del movimento anarcoinsurrezionalista sono rintracciabili nella produzione teorica di Alfredo Maria Bonanno 1, teorizzatore dell’uso della violenza rivoluzionaria nel quadro di una strategia di attacco allo Stato. Il nr. 18 (novembre-dicembre 1977) della rivista bimestrale ‘‘Anarchismo’’ 2, di cui Bonanno è direttore responsabile, riporta un brano illuminante per ciò che riguarda le finalità del movimento: Siamo per la distruzione dello Stato, ciò significa che siamo per la distruzione fisica (non verbale) di quelle istituzioni e di quelle persone che lo Stato rappresentano e realizzano. Siamo contro i poliziotti, contro i magistrati, contro i burocrati, contro i sindacalisti, contro i padroni. Non siamo soltanto contro il controllo poliziesco, contro la giustizia borghese, contro la tecnoburocrazia, contro il sindacalismo, contro il capitalismo; siamo proprio in forma concreta contro quelle persone e quelle cose che, nella realtàdi tutti i giorni, quelle forme ideologiche realizzano, facendole diventare strumenti di repressione. È proprio l’attività repressiva dello Stato a costituire il tema centrale delle iniziative e della propaganda del movimento, connotata da un atteggiamento di vittimismo giudiziario tendente a evidenziare presunti pregiudizi ed abusi nell’operato delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, con l’asserita complicità dei mass-media. Nell’opuscolo di Bonanno intitolato ‘‘Carcere e lotte dei detenuti’’ 3, l’apparato penitenziario viene definito un’istituzione totale, il luogo in cui l’individuo, privato della propria dignità, è soggetto ad un processo di costante e progressiva spersonalizzazione, che gli preclude per il futuro qualsiasi tipo di reinserimento nella comunità sociale. La campagna contestativa non lascia spazi al dialogo, ritenuto funzionale ed organico al potere di omologazione del sistema, rispetto al quale occorre replicare con l’azione diretta e distruttiva nella prospettiva di annientare il potere coercitivo: La miglior soluzione possibile e in fondo la sola praticabile per quel che riguarda il carcere è la sua completa distruzione. Ma il carcere è solo il riflesso di una società civile che comunque ci controlla, ci sorveglia e ci obbliga a scelte che nulla hanno a che vedere con le nostre inclinazioni e i nostri desideri più autentici. Il carcere è parte integrante di un sistema statale che se ne serve come strumento per la salvaguardia dei propri equilibri, la cosiddetta ‘pace sociale’: ne è quindi una parte integrante, ma solo una parte. Limitarsi alla distruzione del carcere non è sufficiente, occorre andare alla radice di un potere che ne permette l’esistenza, in breve, occorre abbattere il sistema capitalistico nelle sue varie forme. 1 Il 20 aprile 2004, la Corte di Cassazione ha confermato la sua condanna, emessa il 1º febbraio 2003 dalla Corte di Assise d’Appello di Roma nel quadro del procedimento penale relativo all’Organizzazione Rivoluzionaria Anarco-Insurrezionalista — O.R.A.I., a 6 anni di reclusione ed al pagamento di una multa per i reati di propaganda ed apologia sovversiva, concorso in rapina aggravata e violazione della legge sulle armi. 2 Autorizzazione del Tribunale di Catania n. 434 del 14.1.1975. 3 Edito nel giugno 2000 a cura delle ‘‘Edizioni Anarchismo’’ — Catania. 405 3. Bonanno e la lotta contro i simboli del progresso capitalista Bonanno parte da una serie di obiettivi minimi, strutture del dominio sparse sul territorio riferibili al progresso capitalista, elencate in dettaglio sulle pagine di’’Anarchismo’’ e del supplemento ‘‘ProvocAzione’’, incentrato sostanzialmente su questioni di carattere anti-militarista e ambientalista, con particolare attenzione alla lotta contro le centrali nucleari: Sosteniamo gli interventi diretti sarebbero da privilegiarsi le strutture minimali e ciò perché proprio su queste strutture si basa la diffusione nel territorio del capitale che si identificano in: cavi, fili, condotti, tubi, centraline, antenne, tralicci, pali, centri di smistamento, centri di ricerca, ecc.. . Nel nr. 55 (dicembre 1986) della rivista, poi, sedicenti ‘‘Operatori Rivoluzionari’’ forniscono minuziose istruzioni per sabotare un traliccio dell’ENEL. E in questa logica si collocano coerentemente le campagne di ecoterrorismo contro tralicci ENEL, ripetitori televisivi e di telefonia mobile compiuti nell’Alta Versilia tra il 1987 ed il 1992, in Toscana tra il 21 e 22 gennaio 2003, in segno di solidarietà con l’ecoterrorista elvetico Marco Camenisch 4, e, nel primo semestre del 2004, nel viterbese, nel pesarese ed in provincia di Sondrio. Tante singole azioni, dunque, che si inseriscono in un più ampio progetto globale di sovvertimento sociale, compiute da gruppi di affinità, unità autogestite composte da pochissimi elementi, che nascono in virtù di situazioni contingenti ed operano fuori da ogni forma organizzata di coordinamento. La scelta degli obiettivi, pur demandata, nello specifico, all’autonomia di ogni singolo gruppo, viene indirizzata dalle campagne propagandistiche svolte sulle pubblicazioni d’area o in relazione a circostanze significative per il movimento (ad es. strutture giudiziarie in occasione di processi al movimento, Forze dell’Ordine in seguito ad arresti di militanti, obiettivi del capitalismo durante dimostrazioni di piazza etc.). 4. Il ‘Black Bloc’ L’espressione più evidente e attuale di tale strategia può essere individuata nelle componenti anarcoidi del movimento anti-global, identificate dai media con il termine di ‘black bloc’, che simboleggiano un fenomeno di aggregazione temporanea di singoli soggetti e/ o gruppi di affinità, i quali si riuniscono con finalità aggressive in occasione di determinate manifestazioni di protesta, con obiettivi limitati nel tempo e diversi da gruppo a gruppo. L’ideologia di riferimento del ‘black-bloc’ riflette gli aspetti maggiormente significativi dell’impianto libertario oltranzista, basato su un profondo disprezzo verso i valori e i simboli della società borghese, considerati del tutto inconciliabili con la libertà ed il benessere del singolo individuo. 4 Camenisch è stato estradato in Svizzera nell’aprile 2002, dopo aver scontato 12 anni di reclusione in Italia per tentato omicidio e per alcuni attentati ai danni di tralicci ENEL, compiuti in Toscana tra il 1989 ed il 1991. Il 4 giugno 2004 è stato condannato dalla Corte d’Assise di Zurigo a 17 anni di reclusione per omicidio. 406 In un ‘‘Comunicato di una sezione del Blocco Nero di Seattle’’ 5, si legge: Noi riaffermiamo che la distruzione di proprietà non è un’azione violenta, a meno che non ci perda la vita qualcuno o qualcuno ne abbia danno (fisico). Secondo questa definizione la proprietà privata specialmente la proprietà privata delle multinazionali (chiaro) è in se stessa infinitamente più violenta di ogni azione rivolta contro di essa Con il ‘‘distruggere’’ la proprietà privata, noi ne convertiamo il suo limitato valore e ne espandiamo il valore d’uso. Una vetrata di un megastore diventa una fessura attraverso la quale passa una ventata di aria fresca nell’atmosfera oppressiva di un ipermercato... . Un disprezzo che si traduce, quindi, nell’uso della violenza contro le grandi proprietà (banche, multinazionali, supermercati, etc.), giudicato funzionale ad eliminare la violenza e l’oppressione del sistema capitalistico, e nell’opposizione violenta alle Forze dell’ordine, considerate servi assassini del potere preposti a reprimere la lotta del movimento. 5. L’organizzazione clandestina Si tratta di una militanza che viene condotta su un doppio livello, palese e occulto (gli stessi militanti partecipano alle manifestazioni e poi si riuniscono in gruppi di affinità per compiere le operazioni), e in conformità al principio di corrispondenza tra teoria e prassi, già applicato dallo stesso Bonanno all’interno del gruppo eversivo anarco-comunista ‘‘Azione Rivoluzionaria’’, che, a partire dal 1976, si è reso responsabile di numerose azioni terroristiche nel centro-nord. Tale principio è ampiamente illustrato in un ‘‘Contributo per un progetto rivoluzionario libertario’’, redatto da ‘‘Azione Rivoluzionaria’’ per ‘‘Anarchismo’’ 6, nel quadro di un’analisi dei compiti prioritari spettanti alle organizzazioni combattenti per istituire un collegamento tra la guerriglia in fabbrica e la lotta anti-istituzionale, laddove si afferma che nell’organizzazione clandestina si saldano teoricamente e praticamente i nuclei che vanno a svilupparsi in fabbrica e quelli attivi nel territorio, contro i servizi essenziali del capitale, le banche, le immobiliari, i massmedia, le caserme, le carceri. Alle obiezioni mosse da più parti dell’Autonomia, secondo cui un’organizzazione di questo tipo rischia di creare guerriglieri di professione che operano in totale scollamento dal resto del movimento, precludendo cosı̀ ogni possibilitàdi far crescere l’autorganizzazione delle lotte, possibile solo vivendo la vita di tutti gli altri e con loro arrivare alla lotta armata, gli autori oppongono la creazione e la diffusione dei cosiddetti nuclei di contropotere, definiti piccoli nuclei che lavorano autonomamente nelle diverse situazioni, combattono, intervengono, difendono, sono parte del lavoro politico di massa, che riconoscono nella struttura organizzativa clandestina il loro anello di raccordo. 5 6 Tratto da ‘‘Tactical Media Crew’’ <[email protected]>. Nr. 25 (gennaio-febbraio 1979). 407 6. La ‘‘Federazione Anarchica Italiana’’ (F.A.I.) Le tesi oltranziste portate avanti da Bonanno e dal gruppo gravitante intorno ai periodici ‘‘Anarchismo’’ e ‘‘ProvocAzione’’ sono all’origine di una presa di distanza da parte dell’organizzazione anarchica storica ‘‘Federazione Anarchica Italiana’’ (F.A.I.), che non ne condivide gli obiettivi e le metodologie di lotta. La spaccatura si fa evidente in occasione del Convegno della F.A.I. a Bologna (maggio 1987), sul tema ‘‘Dualismo organizzativo’’, incentrato sul problema dell’insurrezionalismo come elemento connotante l’ideologia anarchica, quando l’ala più oltranzista accusa la ‘‘Federazione’’ di aver abbandonato le teorie anarchiche in favore di una sterile socialdemocrazia. Nel 1988, poi, in risposta ad un comunicato in cui alcune componenti moderate del movimento libertario, tra cui la F.A.I. e il circolo ‘‘Ponte della Ghisolfa’’ di Milano, prendono le distanze da tre attacchi anti-nucleari compiuti dagli anarchici il 13 aprile nel capoluogo lombardo, la redazione milanese di ‘‘Anarchismo e di ‘‘ProvocAzione’’ puntualizza quanto segue: Noi riconosciamo tali azioni anti-nucleari come anarchiche e insurrezionaliste e solidarizziamo apertamente con i compagni che le hanno messe in atto, in coerenza con quanto da sempre sosteniamo sulla necessità della pratica degli obiettivi diffusi sul territorio e dell’attacco radicale contro la tecnologia dell’atomo riteniamo queste pratiche di sabotaggio utili a far crescere la coscienza degli sfruttati in senso rivoluzionario continueremo a sostenere coerentemente e con dignità queste posizioni e tutto quanto i compagni faranno in questa direzione.. senza alcun timore, come si conviene a degli anarchici rivoluzionari non addomesticati, ma in lotta contro lo Stato e il capitale, non abbiamo paura di affrontare a viso aperto la repressione. La ‘‘Federazione Anarchica Italiana’’, che si costituisce nel settembre 1945 durante un congresso nazionale anarchico a Carrara, alla teoria insurrezionale come pratica rivoluzionaria per l’abbattimento dello Stato democratico oppone il metodo del gradualismo rivoluzionario, in base al quale l’obiettivo finale della destrutturazione del potere viene perseguito attraverso un graduale inserimento nelle diverse lotte sociali suscettibili di aggregare le istanze delle classi sfruttate e oppresse. La struttura organizzativa della F.A.I. si configura come un insieme di organismi autonomi, situati in tutto il territorio nazionale e legati tra loro da una intesa federativa, nonché da una serie di commissioni ad hoc su tematiche di tradizionale interesse dell’area libertaria, quali l’anti-militarismo, l’anti-clericalismo, le politiche sociali e del mondo del lavoro. Queste ultime, in particolare, hanno assunto sempre maggior rilievo negli ultimi tempi con la progressiva perdita di rappresentatività dei sindacati tradizionali e la sostanziale identità operativa fra le recenti lotte spontanee di alcuni comparti lavorativi e la prassi anarchica dell’azione diretta. In occasione del XXIV Congresso della F.A.I., svoltosi a Imola (BO) nel gennaio 2003, nel ribadire la validità dello sciopero generale come strumento di lotta per trasformare in modo radicale la società, è stato criticato l’operato delle gerarchie vecchie e nuove nell’organizzazione delle lotte dei lavoratori, sottolineando la necessità dell’unità sindacale a partire dalle strutture del sindacalismo di base. 408 L’autorganizzazione di base dei lavoratori e delle masse popolari, infatti, rappresenterebbe la via verso l’insurrezione reale, cioè la trasformazione radicale dello stato presente delle cose in senso egualitario e libertario. 7. Insurrezione e rivoluzione Ma in cosa consiste l’insurrezione reale? Perché gli anarchici più che alla rivoluzione guardano all’insurrezione come mezzo per eliminare tutti i mali causati dalla società capitalistica? Nella bozza redatta da Bonanno in vista di alcune conferenze da tenere in Grecia nel 1993, presso il Politecnico di Atene e presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Tessalonica 7, compare un paragrafo dedicato alla ‘‘Organizzazione rivoluzionaria anarchica insurrezionale’’ O.R.A.I., da lui teorizzata, in cui vengono illustrati i tratti distintivi di un’organizzazione di matrice anarchica. Bonanno, innanzitutto, tiene a specificare che l’aggettivo rivoluzionaria contenuto nella sigla è inesatto e che l’imprecisione è dovuta alla difficoltà di tradurre dall’italiano in greco il termine informale, che più propriamente si adatta ad una formazione di impronta libertaria, priva di quei rigidi organigrammi e parametri immutabili nel tempo, propri della ‘banda armata’. La ‘banda armata’ di derivazione marxista, la sirena incantatrice che incita alla liberazione degli oppressi per sostituire un dominio ad un altro tanto odiata dalla ‘‘Federazione Anarchica Informale’’ Ciò che caratterizza una struttura insurrezionalista, spiega Bonanno, è che il suo ambito di intervento è sempre strettamente correlato alle lotte specifiche che le classi subalterne portano avanti nel quotidiano per migliorare le proprie condizioni di vita sotto il profilo economico, sociale o ambientale, ed è finalizzato a veicolare situazioni reali di disagio verso uno sbocco insurrezionale di massa. Questo processo viene illustrato molto chiaramente nel primo numero (settembre-dicembre 2003) della ‘‘Rivista anti-autoritaria ‘‘NIHIL’’ 8, curata dall’anarco-insurrezionalista sardo Costantino Cavalleri 9, dove si afferma che: L’insurrezione generalizzata può scaturire dall’intervento costante di entità rivoluzionarie, presenti nel territorio, come tali riconosciute e formalmente e informalmente operanti, anche in modo visibile, che riescono a penetrare ed essere parte (qualitativamente e non necessariamente in termini quantitativo-numerici) attiva e credibile nel sociale. 7 I testi sono raccolti in ‘‘Nuove svolte del capitalismo’’, edito nell’aprile 1999 a cura delle ‘‘Edizioni Anarchismo’’ Catania. 8 Supplemento ‘‘Quadrimestrale di dibattito, analisi, approfondimenti storici, teorici, metodologici’’ al bollettino ‘‘Anarkiviu’’, autorizzato con reg. n. 18/89 del Tribunale di Cagliari. 9 Figura di spicco degli ambienti isolani, Cavalleri è molto attivo nel campo dell’editoria e della pubblicistica d’area, incentrata, in particolare, su tematiche legate al settore carcerario, all’indipendentismo ed a questioni locali di carattere ambientale. 409 Partecipazione attiva, dunque, alle lotte per la casa, per il lavoro, per l’aumento del salario, contro la guerra, contro lo sfruttamento delle risorse naturali tanti piccoli fuochi, sparsi un po’ ovunque, che innescano l’incendio finale! Ne sono esempi concreti la partecipazione degli anarchici all’occupazione della cava di Muros (SS), come parte della mobilitazione di protesta contro la concessione, ad opera della Regione Autonoma della Sardegna, dell’impianto minerario per l’estrazione del caolino, considerata causa di danni alla salute della popolazione locale e di depauperamento delle risorse naturali nell’isola; la grande attenzione dell’antagonismo isolano per le campagne contestative contro l’attività del poligono interforze di San Lorenzo (CA), utilizzato anche per sperimentazioni missilistiche, cui vengono imputati i numerosi casi di leucemia e alterazioni genetiche riscontrati tra militari e abitanti della zona; o ancora la protesta contro la base americana nell’arcipelago de La Maddalena (SS). 8. Cavalleri e la questione sarda In Sardegna, del resto, il contesto sociale è storicamente caratterizzato da senso di isolamento e di malessere nei confronti dello Stato italiano, recepito quale Stato colonizzatore responsabile della oppressione culturale ed economica dell’isola. E ciò ha alimentato forme radicali di antagonismo, agendo come ‘collante’ tra spinte separatiste ed ideologie anarchiche e marxiste-leniniste, non esenti da contaminazioni con elementi politicizzati della criminalità sarda, ‘specializzati’ in sequestri di persona. In relazione al sequestro e all’assassinio di Mirella Silocchi (luglio-dicembre 1989), ad esempio, sono state processualmente accertate responsabilità di elementi anarco-insurrezionalisti, tra i quali Francesco Porcu 10 e Gregorian Garagin (già militante di gruppi terroristici armeni) 11. Inoltre, l’ostile diffidenza verso lo Stato e le sue espressioni più significative, che costituisce un aspetto fondante del patrimonio ideale di matrice anarchica, ha favorito la progressiva crescita del movimento anarco-insurrezionalista locale, che più volte ha tentato di proporsi come punto di riferimento di tutte quelle forze che intendono lottare contro il potere centrale. E cosı̀ Cavalleri, dalle pagine del suo ‘‘Su Gazetinu de sa luta kontras a sas presones’’ 12, pubblicizza il libro autobiografico di Antonio Soru 13 e divulga il pensiero politico di Matteo 10 Il 1º febbraio 2003 è stato condannato alla pena dell’ergastolo dalla Corte d’Assise di Appello di Roma per i reati di associazione sovversiva e banda armata, nel quadro del citato procedimento penale relativo all’‘‘O.R.A.I.’’. La sentenza è stata confermata il 20 aprile 2004 dalla Corte di Cassazione. 11 È stato condannato alla pena di 30 anni di reclusione per i reati di associazione sovversiva e banda armata nel quadro del medesimo procedimento penale. Anche questa condanna è stata confermata il 20 aprile 2004 dalla Corte di Cassazione. 12 Nr. 2 (luglio-agosto 2001). Il periodico viene edito come supplemento al citato bollettino ‘‘Anarkiviu’’. 13 Coinvolto nel sequestro dell’imprenditore milanese Marzio Ostini, conclusosi con l’uccisione dell’ostaggio, è stato arrestato nel 1988 e condannato all’ergastolo. 410 Boe 14, pubblicando una sua lettera dal titolo ‘‘Per il Fronte di Liberazione Nazionale Sardo Dalla lotta contro le galere all’assalto dell’imperialismo’’, in cui l’autore auspica la costituzione di un fronte che sappia coniugare istanze separatiste, ambientaliste ed anti-militariste, precisando che: Le vittime non siamo solo noi carcerati ma anche chi si vede espropriato di enormi fette del proprio territorio per la creazione di parchi, chi deve subire servitù militari’’. E sempre Cavalleri, nell’estate 2002, cura la pubblicazione di un ‘numero unico’ dal titolo ‘‘Zornale pro su Fruntene de Liberatzione Natzionale Sardu ARREXINIS RAIKINAS RADICI’’, in cui rilancia la proposta di un Fronte tra singoli soggetti, gruppi o formazioni dell’antagonismo isolano che, pur essendo di diversa matrice ideologica, vogliano aderirvi come entità rivoluzionaria anti-capitalista ed anti-mperialista, con il fine dell’autodeterminazione del popolo sardo. A questo riguardo, l’anarchico sardo specifica che l’obiettivo centrale dei rispettivi programmi di lotta al sistema è costituito dalle politiche colonialiste delle Istituzioni centrali e attribuisce priorità assoluta all’azione rispetto a sterili dibattiti teorici e ideologici, rimarcando che, nell’ottica insurrezionalista, la prassi della lotta armata non costituisce in sé la panacea dei mali sociali ma, per avere una sua validità, deve essere ancorata all’interno delle mobilitazioni delle fasce sociali più deboli. 9. Gli anarchici e le avanguardie armate È il leitmotiv che permea gran parte dell’opera di Bonanno — il quale, peraltro, in ‘‘Anarchismo’’ e ‘‘ProvocAzione’’ ha sempre dato ampio spazio ai contributi di Cavalleri sul fenomeno Sardegna e che nel tempo ha ulteriormente acutizzato quel divario insuperabile tra la pratica della lotta armata inserita all’interno di una strategia di stampo anarchico e la strategia lottarmatista delle tradizionali avanguardie combattenti, quest’ultima considerata dagli anarchici totalmente inaccessibile alle masse e del tutto avulsa da un contesto di lotta reale. Si tratta di un problema strettamente connesso alla questione delle avanguardie, propria delle organizzazioni strutturate secondo i tradizionali parametri di stampo brigatista, verso le quali gli anarchici nutrono un profondo e ‘genetico’ disprezzo, per la loro pretesa di porsi al di sopra delle masse e di guidarle verso la rivoluzione. Gli anarchici non si considerano avanguardia di nessuno, rifiutano qualsiasi tipo di gerarchia o ‘potere decisionale’ che provenga dall’alto e la loro lotta è parte integrante della mobilitazione di massa. Qualche analogia, in questo senso, potrebbe sussistere con le tesi ispirate alla c.d. ‘seconda posizione’ delle Brigate Rosse 15, fondate sull’imprescindibilità del dialogo con le masse, l’avversione al militarismo fine a se stesso ed un uso più ragionato, ‘politico’, delle armi, che prevede azioni di basso profilo ad alto contenuto simbolico, vale a dire la pro14 Esponente di spicco della criminalità sarda, è rinchiuso nel carcere di Spoleto (PG) per reati connessi al sequestro di persona. 15 Espressione coniata per definire la corrente ‘movimentista’ delle B.R., che faceva capo a Giovanni Senzani. 411 paganda armata (anche le azioni dirette degli anarchici privilegiano il valore simbolico dell’azione rispetto alla successiva rivendicazione politica). L’irriducibile odio verso le avanguardie di tipo militarista è chiaramente percepibile dalle parole di Bonanno nella sua ‘‘Autodifesa al processo di Roma per banda armata, etc.’’ 16: Non è tanto che la mia immacolata coscienza di anarchico sia turbata dal fatto che qualcuno ha detto che potrei essere capo di una organizzazione, quanto che si possa pensare che tutto quello per cui ho combattuto negli ultimi trent’anni della mia vita sia riconducibile a una striminzita, miserabile, ristretta condizione di banda armata. È questo che mi muove molto di più allo sdegno. Una banda armata è cosa troppo piccola per racchiudere il mio desiderio di libertà, il mio desiderio di sconvolgere l’esistente. Ed è lo stesso odio che muove gli anarchici di Rovereto (TN), subito dopo l’omicidio Biagi, a giustificare l’azione B.R. contro il comune nemico di classe, prendendo, al contempo, le distanze dalla formazione brigatista, accusata di mirare esclusivamente al potere ed al dominio, in veste di direttivo e coscienza dello scontro sociale: la società divisa in classi non può passare attraverso il controllo di uno Stato, anche se questo Stato si chiama Operaio 17. 10. I Barbari di Crisso e Odoteo D’altronde è da questi ambienti che hanno origine le più recenti ed incisive contestazioni a tutte le ideologie di derivazione marxista-leninista, raccolte nell’opuscolo ‘‘Barbari L’insorgenza disordinata’’ 18, redatto da ‘‘Crisso e Odoteo’’ 19. Il testo, redatto con largo uso di argomentazioni di carattere storico e filosofico, consiste in una critica puntuale e articolata, nell’ottica anarchica, del volume di A. Negri e M. Hardt ‘‘Impero’’, definito fabbrica ontologica e macchina linguistica del nuovo soggetto europeo rappresentato dal movimento ‘no-global’, con particolare riferimento all’area dei ‘Disobbedienti’. Gli autori sostengono che, dopo la caduta del muro di Berlino (1989), l’Impero, ormai privo di nemici esterni, si trova a dover salvaguardare la propria esistenza di fronte a pericoli che nascono all’interno dei suoi stessi confini ad opera di quei sudditi che, restii a sottomettersi alle regole di omologazione del sistema, fomentano guerre civili e conflitti sociali suscettibili di turbarne gli equilibri. Per contrastare tali minacce l’Impero, da un lato mantiene intatta la sua funzione repressiva, conferendo alle operazioni belliche la nuova veste di operazioni di polizia e, dall’altro, si serve di emissari (Negri e Hardt) che, mediante la solita stantia e spuntata arma intimidatoria del terrorismo intellettuale, tentano di porsi come forza di mediazione fra le tensioni sovversive e le esigenze dell’ordine sociale, portando i movimenti nell’alveo istituzionale. 16 Edito nell’aprile 2000 a cura delle ‘‘Edizioni Anarchismo’’ — Catania. Nr. 12 (aprile 2002) della pubblicazione ‘‘Adesso-Foglio di critica sociale’’ — C.P. 45 — Rovereto (TN). 18 Pubblicato nel 2002 a cura delle ‘‘Edizioni NN’’ — Catania. 19 Pseudonimi di Massimo Passamani, leader dell’area anarchica di Rovereto (TN) e Andrea Ventrella, figura di rilievo dell’area anarchica torinese. 17 412 DOCUMENTO 1A:L’EVERSIONE ANARCHICA Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri - Sezione Anti-crimine di Roma Roma, 19 dicembre 1994 Oggetto: Nota informativa di servizio ad uso interno relativa a una possibile attività investigativa da esperire sul conto dell’eversione anarchica Da molto tempo diversi organi di Polizia Giudiziaria avevano più volte denunciato l’esistenza sul territorio nazionale di una vasta organizzazione criminale con finalità eversive di matrice anarchica, strutturata in modo composito, ordinata anche se non necessariamente con gerarchie di tipo militare pur tuttavia ordinata con gerarchie almeno di fatto, la cui operativitàè stata ipotizzata nell’ambito delle indagini espletate su ordine e per conto di alcune Procure della Repubblica Italiana, in special modo di quella di Firenze. Tali indagini, protrattesi nel corso degli anni, se hanno messo in luce l’altissima pericolosità sociale degli appartenenti al sodalizio politico-criminoso in oggetto, raramente hanno assunto tuttavia carattere probatorio di una certa rilevanza penale. Gli sforzi delle A.G. sono stati il più delle volte vanificati, mentre tale aggregazione eversiva ha continuato a cercare proseliti attraverso la diffusione dell’ideologia insurrezionalista che ne è all’origine, il cui esponente principale è da identificarsi in BONANNO Alfredo Maria. Ed è proprio per la riconosciuta pericolosità sociale intrinseca di tale ideologia basata sulla estremizzazione dei principi anarchici, che si ritiene urgente intensificare l’attività investigativa ed esecutiva e mettere in atto possibili procedure finalizzate ad arrestarla, per impedirne l’ulteriore pernicioso spargimento. Compito oggi reso più agevole alla luce dei recenti avvenimenti che andiamo a prendere in considerazione. Per prima cosa si cercherà ora di illustrare cronologicamente i successi riportati contro l’eversione anarchica negli ultimi venti anni, tenendo conto dell’evoluzione ideologica dell’area in esame. Dobbiamo qui cominciare dallo smantellamento dell’organizzazione denominata ‘‘AZIONE RIVOLUZIONARIA’’, resasi responsabile di una lunga serie di attentati, ferimenti, tentativi di sequestro tra il 1976 e i primi anni 80; smantellamento coronato con i processi celebrati nel giugno del 1982 a Firenze e nel gennaio del 1983 a Milano, che portarono alla condanna di numerosi militanti di ‘‘A.R.’’ fra cui ricordiamo FAINA Gianfranco, GEMIGNANI Roberto, MELONI Sandro, MONACO Angelo, VALITUTTI Pasquale. Per poter comprendere l’ideologia che muoveva il gruppo eversivo in esame, significative appaiono le affermazioni contenute in opuscoli e volantini di ‘‘A.R.’’. Secondo gli estensori: ‘‘Il movimento non rinvia lo scontro alle classi ma lo assume in prima persona. L’azione è diretta. Qualunque siano i risultati oggettivi, i risvolti soggettivi sono fondamentali. L’azione diretta rende gli individui consci di se stessi in quanto individui che possono mutare il loro destino e ri- 413 prendere il controllo della propria vita’’. Accanto alle sempre presenti critiche del capitalismo e delle sue conseguenze, gli estensori esortavano e propugnavano l’azione: ‘‘Quello che vogliamo è portare una critica distruttiva dello stato, attraverso l’uso della violenza rivoluzionaria, la lotta armata, la propaganda del fatto. Vogliamo accelerare i tempi e allargare il fronte interno dello scontro per arrivare a una destabilizzazione dello Stato. [...] La critica delle armi è oggi l’unica forza che può rendere credibile qualsiasi progetto. Creare, organizzare 10 -100 -1.000 nuclei Armati!’’ Un particolare interesse presentano gli aspetti organizzativi del gruppo, siccome l’approccio di AZIONE RIVOLUZIONARIA con gli altri movimenti rispecchia, a grandi linee, temi e formulazioni che verranno ripresi successivamente dal noto BONANNO Alfredo Maria: ‘‘la nostra è una organizzazione rivoluzionaria in cui i vari gruppi di sono riuniti a livello locale, o dall’incontro di varie vicende personali, sulla base di una affinità tra le varie esperienze e concezioni dei compagni. Gruppi d’affinità che mantengono la loro autonomia e libertà d’azione e in cui i rapporti tra compagni non sono di pura efficienza bensı̀ caratterizzati da un massimo di conoscenza, intimità e fiducia reciproca’’. Le medesime tematiche, già care al gruppo terrorista guidato da FAINA Gianfranco, si possono ritrovare infatti negli scritti del BONANNO, che riprende i concetti di ‘‘gruppi informali’’, di ‘‘unità autonome di base’’, di ‘‘strutture autogestite’’, dotate di un minimo di organizzazione e di analisi politica, che nascono secondo la situazione e che richiamano alla ‘‘conflittualità permanente’’, alla ‘‘autogestione’’ e All’‘‘attacco’’, gratificato tramite l’‘‘Azione Diretta’’. Giova inoltre ricordare che dall’enunciato di ‘‘AZIONE RIVOLUZIONARIA’’ emerge chiaramente la forte polemica esistente all’interno del più vasto movimento anarchico, accusato di essere ‘‘senza strategia e senza tattica’’. Allo stesso modo va ricordato quanto avvenuto a Forlı̀, durante il convegno anti-militarista tenutosi nel 1988, quando il BONANNO e gli altri appartenenti all’area insurrezionalista vennero tacciati di ‘‘terrorismo’’ ed estromessi dalla sala. Ma se la cattura dei membri di ‘‘A.R.’’ ha rappresentato un duro colpo per l’eversione anarchica, non ha comunque significato la sua scomparsa. Dopo anni di relativa calma, dovuti senz’altro al bisogno di riorganizzare le proprie forze, verso la fine degli anni ’80 si è registrato una ripresa degli attentati di matrice anarchica, indirizzati in speciale modo contro obiettivi dell’ENEL come i tralicci. Le indagini condotte all’epoca focalizzarono l?attenzione fin dal primo momento sulla frangia più oltranzista del movimento anarchico detta insurrezionalista, e facente capo proprio al predetto BONANNO Alfredo Maria. Sul conto del BONANNO va precisato che già nel rapporto giudiziario preliminare nr. 160/1 datato 25.03.1980, del Nucleo Operativo del Gruppo Carabinieri di Firenze, il BONANNO veniva indicato quale appartenente ad ‘‘AZIONE RIVOLUZIONARIA’’, secondo le dichiarazione poi rivelatesi insufficienti del collaboratore PAGHERA Enrico. In data 23 e 26.03.1980 venivano tratte in arresto, in esecuzione di altrettanti provvedimenti cautelari, 19 persone ritenute appartenenti all’organizzazione eversiva in questione. Tra queste figuravano BONANNO Alfredo Maria, WEIR Yean Helen, DI MARCA Carmela, RUBERTO Paolo, MARLETTA Salvatore, e CASAMENTI Patrizia. Il BONANNO, la WEIR e il MARLETTA erano, inoltre, accusati di sei rapine in danno di notai bolognesi. Ma il 30.06.1980 il Giudice Istruttore del tribunale di Bologna disponeva la scarcerazione degli arrestati per insufficienza di indizi, ed il 03.04.1981 veniva emessa nei loro confronti sentenza di non doversi procedere per non aver commesso il fatto, per quanto riguardava le rapine e l’imputazione di banda armata. Orbene, nel dicembre 1986, proprio sul numero 55 di ‘‘ANARCHISMO’’, la rivista di cui il 414 BONANNO è il direttore responsabile, veniva pubblicato un articolo a firma di sedicenti ‘‘Operatori Rivoluzionari’’ che forniva minuziosa istruzione corredata da illustrazione grafiche, su come sabotare un traliccio dell’ENEL. L’anno successivo, il 1987, iniziavano i primi attentati in danno delle strutture dell’ENEL, solo in parte rivendicati. Attentati che continueranno anche negli anni a seguire e le cui perizie tecniche hanno permesso di stabilire che in più di un’azione la tecnica usata dagli attentatori per tranciare le aste del traliccio coincide esattamente con quella citata nel summenzionato articolo. Nel gennaio del 1987 sorgeva il mensile anarchico ‘‘PROVOCAZIONE’’ di cui il BONANNO figurava come direttore, che sosteneva la necessità di portare ‘‘attacchi agli obiettivi più semplici e polverizzati nel territorio’’ e che porterà una seria frattura all’interno dell’anarchia proprio a causa delle differenti opinioni espresse sul tema dell’ecologia, intesa come lotta alle centrali nucleari (informativa nr. 6915/126 datata 15.10.1992, della Sezione Anti-crimine di Firenze, allegata agli atti del proc. pen. nr. 796/92 e 274/92 R.G. della Procura della Repubblica presso il tribunale di Massa). Proprio su ‘‘PROVOCAZIONE’’ e sulla rivista ‘‘ANARCHISMO’’ verrà sviluppata la strategia di attacco alla Stato ed al capitale, strategia che vedeva la perpetrazione di atti di sabotaggio nei confronti di ‘‘strutture minimali’’ come espresse BONANNO, quali azioni dirette immediate poste in essere da ‘‘gruppi informali’’ di persone che nascono secondo la situazione e si richiamano alla ‘‘conflittualità permanente’’. Nell’anno 1988 venivano perpetrati, complessivamente, nr. 32 attentati in danno di strutture ENEL, alcune dei quali rivendicati da anarchici. Sul fronte delle indagini va rilevata solo la denuncia da parte della Questura di Forlı̀ della già citata CASAMENTI siccome sospettata di aver costruito assieme ad altri anarchici il movimento ‘‘Figli della Terra’’, che aveva rivendicato alcuni di questi attentati ai tralicci. Denuncia che anche in questo caso non assumerà rilevanza penale. In quell’occasione la DIGOS di Bologna riteneva individuare e segnalare a quell’A.G., per una possibile partecipazione al compimento di attentati ENEL perpetrati in quella provincia, altri soggetti gravitanti nell’area in esame risultati in contatto con la casamenti, tra cui figurava CAMPO Orlando, che già aveva curato la distribuzione delle riviste ‘‘ANARCHISMO’’ e ‘‘PROVOCAZIONE’’ per conto del BONANNO, FANTAZZINI Horst e Loris, e SCOPPETTA Maria Grazia. Nel 1989 l’unico arresto registrato contro l?eversione anarchica è stato l’arresto del BONANNO Alfredo in flagranza di rapina aggravata, avvenuta in data 02.02.1989 in danno della oreficeria Giuseppe PLEBANI, commessa in Bergamo in concorso con STASI Giuseppe. Ma nel corso del medesimo anno venivano commessi, complessivamente, nr. 27 attentati in danno di impianti ENEL e strutture varie, di cui solo tre, avvenuti tutti il 19 maggio, venivano rivendicati con volantini anarchici. Nel corso del 1990 verranno invece perpetrati, complessivamente, nr. 28 attentati, ma tutti collocati nella palude della anonimità politica. In data 05.12.1989 la Procura della Repubblica di Firenze ordinava una serie di perquisizioni personali e domiciliari nei confronti di CAMPO Orlando, LO VECCHIO Angela Maria, GIZZO Antonio, SASSOSI Emma, BARCIA Giovanni, BONANNO Alfredo, SCOPPETTA Maria Grazia, PORCU Pierleone e RUBERTO Paolo, nell’ambito delle indagini per gli attentati ai tralicci. Le perquisizioni davano esito negativo. Nello stesso periodo CAMPO Orlando veniva sottoposto a fermo di P.G. poiché gravemente sospettato della rapina di Bergamo in concorso col BONANNO e lo 415 STATI, ma successivamente scarcerato. Nell’ottobre del 1989 la Digos di Firenze segnalava all’A.G. competente anche SCROCCO Rose Anne come possibile responsabile degli attentati ai tralicci, essendo stata ivi identificata in compagnia dei suddetti CAMPO Orlando, BARCIA Giovanni, LO VECCHIO Angela Maria nonché di tale DE BALSI Luigi. Contro tutti questi soggetti non vennero raccolte indizi sufficienti da motivare la richiesta di emissione di ordinanze di custodia cautelare ma verranno presto implicati, assieme a GRAGORIAN Garagin, nelle indagini relative al sequestro SILOCCHI grazie alla identificazione di alcuni di loro avvenuta contestualmente all’arresto del noto PORCU Francesco, allorché il PORCU era ricercato per il sequestro di Esteranne RICCA. In data 23.06.1990 infatti il PORCU Francescoveniva tratto in arresto in Roma, via Giovannopoli nr. 65. Nel corso dell’operazione all’interno dello stabile dove il predetto si nascondeva, venivano identificati SCROCCO Anne Rose, LO VECCHIO Angela Maria, BARCIA Giovanni e CONDRO? Salvatore (v.d.s. foglio nr. 2050/61/B/ 89/1^/CRIM datato 25.06.1990 della locale Criminalpol). Tale circostanza fortuita asseconderà il felice avvio e il conseguente esito delle indagini relative al sequestro di Mirella SILOCCHI, sorretto dal rinvenimento nel maggio 1991 di un arsenale nella cantina di via Cristoforo Colombo nr. 310 sita in Roma intestata a BAR>CIA Giovanni (informativa nr. cat A4/91/DIGOS datata 12.05.1991 della locale DIGOS). L’anno 1991 segnerà una tappa importante per i successi ottenuti dalle forze di polizia contro la struttura aggregativa di interesse. In data 19.03.1991 GREGORIAN Garagin veniva colpito da mandato di cattura e in data 22.09.1991 anche CAMPO Orlando veniva tratto in arresto. Contro di loro la Corte d’Assise del Tribunale di Parma emetterà in data 16.06.1993 sentenza di condanna, comminando 22 anni di reclusione al CAMPO, l’ergastolo a GREGORIAN e alla SCROCCO Anne Rose (sottrattasi alla cattura con il BARCIA Giovanni, anch’egli ricercato). Per averne acclarata la responsabilità nel sequestro di Mirella SILOCCHI, unitamente ad un gruppo criminale di matrice sarda ed al già citato DE BLASI Luigi, deceduto in data 24.08.1989 nell’esplosione di un’autobomba in via Prenestina a Roma. Il BARCIA verrà invece assolto. Anche nell’ambito delle indagini sugli attentati in danno alle strutture ENEL, l’unico parziale risultato contro gli autori degli attentati si è avuto in data 05.11.1991, quando in località ‘‘Cinquale’’ del comune di Montignoso (MS), due militati della locale Stazione Carabinieri traevano in arresto, dopo essere stati attinti da colpi di arma da fuoco, il noto terrorista svizzero CAMENISCH Marco (alias NAF Walter), già pregiudicato per attentati dinamitardi commessi in danno di una centrale elettrica e in danno di un traliccio dell’alta tensione ed evaso dal penitenziario di Regensdorf/Zurigo nel dicembre del 1981. In data 17.04.1993 il CAMENISCH Marco veniva condannato ad anni 12 di reclusione per detenzione e porto di arma da fuoco ed esplosivi, lesioni aggravate nonché per l’attentato avvenuto l’11.07.1991 al traliccio ENEL sito in Montignoso. Ciò nonostante gli attentati ai tralicci continueranno ancora negli anni successivi, sempre senza alcuna rivendicazione, e senza che le indagini effettuate diano qualche risultato. Ed è proprio dal 1991, anche a seguito dell’arresto del predetto FANTAZZINI Horst e del noto TESSERI Carlo (avvenuto il 03.01.1991 per rapina), che non si avevano più riscontri positivi nella lotta all’eversione di matrice anarchica, che invero ha ripreso vivacità con gli attentati incendiari contro le sedi STANDA delle città di Firenze, Brescia, Trento, Modena, Roma, e Milano commessi in data 01.07.1994, e quelli di Verona del 2 e 4 luglio successivi rivendicati dagli anarchici. 416 Come su accennato, a conclusione di più fasi investigative, il BONANNO Alfredo Maria è risultato essere figura di particolare rilievo del movimento anarchico, e più in particolare della sua frangia insurrezionalista, redattore responsabile della rivista ‘‘ANARCHISMO’’, del mensile ‘‘PROVOCAZIONE’’ e più recentemente del settimanale ‘‘CANE NERO’’, nonché autore di numerosi articoli pubblicati sul periodico ‘‘G.A.S.’’. Già successivamente al 1988 si è assistito alla nascita di iniziative di propulsione dell’ideologia in esame, quali la costituzione di nuovi centri sociali autogestiti ed all’evoluzione, in senso anarchico-insurrezionalista, di quelli già esistenti, che si pongono come punto di coagulo ed elaborazione delle istanze più radicali del pensiero anarchico. In tale contesto numerose sono le iniziative realizzate da quest’area nel sociale, che culminano in attività di denuncia/protesta di vario genere, tra cui danneggiamenti ed occupazioni di immobili. Manifestazioni di un coacervo antagonista che, anche per il carattere estremamente composito dei partecipanti, non travalicano il livello di ‘‘allerta sociale’’, rientrando in un livello di contestazione palese e pubblico. Dette attività, quindi, pur determinando potenziali tensioni per l’ordine pubblico, non comportano, di per sé stesse, un pericolo per le Istituzioni dello Stato, ma costituiscono non di meno un primo passo verso il compimento di attività delittuose. A questo proposito si ritiene opportuno evidenziare che, nel periodo seguente gli arresti avvenuti in provincia di Trento lo scorso settembre (di cui parleremo successivamente), si è assistito al proliferare di attività di solidarietà nei confronti degli imputati in questione. Queste si sono estrinsecate, oltre che con la presenza fisica di simpatizzanti alle udienze preliminari, anche con incontri organizzati presso i vari centri sociali presenti sul territorio nazionale, con la pubblicazione di articoli su periodici dell’area, quale ad esempio ‘‘CANE NERO’’, con la diffusione di volantini e stampati e con la costituzione di un ‘‘COMITATO DIFESA ANARCHICI’’, associazione finalizzata a sostenere dal punto di vista giuridico e finanziario tutti gli anarchici coinvolti in questioni giudiziarie, intestata al noto ANZOINO Mario di Torino. Attività queste senz’altro lecite, ma che si può affermare rappresentino l’anticamera del crimine, come dimostrato dalla presenza del BARCIA e dello STASI alle udienze del processo VALASTRO, dalla presenza dello STRATIGOPOULOS alle udienze del processo BONANNO e STASI e infine dalla presenza del GUGLIARA alle udienze del processo CAMENISH. All’interno di questa realtà antagonista, nel tempo, si è rilevata una estremizzazione della protesta con una conseguente recrudescenza del livello qualitativo delle azioni. Si è pervenuti di fronte ad una progettualità eversiva realizzata attraverso azioni delittuose e sostenuta da una radicalizzazione dei contenuti sovversivi della produzione editoriale di propaganda, che si manifesta mediante la stampa di volantini, documenti, e periodici alternativi, a circolazione interna tra cui la rivista ‘‘ANARCHISMO’’ diretta dal predetto BONANNO, il giornale ‘‘PROVOCAZIONE’’ a cui collaboravano attivamente anche RUBERTO Paolo, PORCU Pierleone, SCOPPETTA Maria Grazia e GIZZO Antonio, il settimanale ‘‘CANENERO’’ che risulta stampato come supplemento alla rivista ‘‘ANARKIVIU’’, il cui direttore responsabile si identifica in CAVALLERI Costantino, presso l’abitazione del MOREALE Stefano, coredattore unitamente alla SCOPPETTA, al BONANNO, al PASSAMANI Massimo di Rovereto e alla RANERI Rosa Gabriella, e il periodico ‘‘GAS Gruppo Anarchici Spaziali’’, il cui direttore responsabile è il DI GIOVANNI Severino (in via di identificazione) e la cui distribuzione viene curata dal MANTELLI Guido. Per ciò che attiene la pubblicistica dell’area, bisogna notare che non c’è il ben che minimo accenno al dialogo con le istituzioni, anzi vi si rileva un inasprimento del carattere irriducibilista dell’ideologia che si estrinseca con una pericolosa attività di istigazione e di apologia dei reati strumentali al conseguimento del fine di eversione dell’Ordinamento Costituzionale. 417 In questo contesto si colloca l’azione propulsiva del BONANNO, tesa a costituire, all’interno della manifesta e più ampia area in esame, una organizzazione rivoluzionaria anarchica oltranzistainsurrezionalista che, per quanto attenuata dall’iniziativa lasciata ai singoli, si pone tuttavia in una inevitabile posizione di contrasto con la dottrina anarchica classica. Si tratta quindi di aggregare, in un livello occulto e compartimentato, tutti quei soggetti i quali, pur continuando una palese attività politica all’interno del movimento antagonista, partecipando a manifestazioni, incontri, dibattiti, contestualmente si organizzano e si strutturano per compiere attività criminose. Le analogie tra i principi ideologici e le linee organizzativo-programmatiche che sostenevano all’epoca ‘‘AZIONE RIVOLUZIONARIA’’ e le formulazioni del BONANNO, espresse nella relazione pubblicata sul nr. 72 della rivista ‘‘ANARCHISMO’’ del maggio 1993, in seguito ad interventi pubblici effettuati in Grecia nel gennaio 1993, risultano sintomatiche nella teorizzazione dell’organizzazione rivoluzionaria anarchica insurrezionale strutturata in ‘‘gruppi di affinità’’, ‘‘nuclei di base’’ e ‘‘coordinamenti’’, costituiti ‘‘da un numero non molto esteso di compagni, legati assieme da una approfondita conoscenza personale’’. Il campo di azione di tali strutture è costituito dalle lotte di massa che, se pur caratterizzato da un aspetto intermedio e non direttamente ed immediatamente distruttivo, devono tener sempre presente lo scopo finale che resta comunque quello dell’‘‘attacco’’ al nemico di base, individuato in ogni singola struttura, individui ed organizzazioni dello Stato e del capitale. In ciò vi è una coerente, intima pericolosità per l’ordine costituzionale e sociale del nostro Stato, che non può assolutamente venir ulteriormente tollerata. Si ritiene per questa ragione opportuno evidenziare l’iter investigativo ed esecutivo avviato dal settembre 1994 in seguito all’arresto per rapina aggravata di cinque appartenenti all’area sovversiva di interesse e sollecitato anche da alcuni elementi di fatto (informativa nr. 148/6 di prot.llo del 15.11.1994) accertati nel corso delle indagini successivamente esperite dalla locale Sezione Anticrimine. Nella mattinata del 19 settembre 1994, veniva perpetrata una rapina ai danni dell’istituto di credito Cassa Rurale di Serravalle-Chizzola, frazione di Serravalle di Ala (TN). Nell’immediatezza del reato, l’Arma di Rovereto (TN) traeva in arresto BUDINI Antonio, TESSERI Carlo, STRATIGOPOULOS Christos, WEIR Yean Helen e TZIOUTZIA Evangelia. Tutti gli arrestati erano noti per essere legati all’ideologia anarchica, e in particolare si fa notare come il BUDINI sia stato già implicato in passato nelle indagini di P:G: relative alle bande armate ‘‘AZIONE RIVOLUZIONARIA’’ e ‘‘C.O.L.P’’ e risulti convivente con RICCOBONO Giuseppina, già legata sentimentalmente al noto GEMIGNANI Roberto, latitante in Francia perché appartenente ad ‘‘A.R.’’. il TESSERI sia stato già condannato per una rapina commessa in concorso con FANTAZZINI Horst e CAMPO Orlando, nonché sia stata rinvenuta in una cantina da lui acquistata una impronta papillare del GREGORIAN Garagin. Lo STRATIGOPOULOS sia stato identificato nel corso del processo contro BONANNO e STASI. Infine va notato come la WEIR sia la moglie del predetto BONANNO Alfredo Maria. In data 30.09.1994, il Tribunale di Rovereto, con rito direttissimo, emetteva la sentenza di condanna ad anni 6 di reclusione per TESSERI Carlo, e ad anni 5 di reclusione per BUDINI Antonio, STRATIGOPOULOS Christos, WEIR Jean Helen. La TZIOUTZIA Evangelia veniva assolta e scarcerata. Codesta Sezione Anti-crimine, in relazione al coinvolgimento del TESSERI Carlo, avviava attività di controllo nei confronti di alcune persone con lui in contatto. L’attività di osservazione consentiva di individuare un gruppo di persone collegate alla ex moglie del TESSERI, LO FORTE Cristina, e successivamente identificati in GIZZO Antonio, SASSOSI Emma, intestataria delle 418 ‘‘Edizioni Anarchismo’’, NAMSETCHI Mojdeh, legata sentimentalmente e convivente col TESSERI Carlo, ANDREOZZI Tiziano e GUGLIARA Salvatore. In particolare, il giorno 10.10.1994 in largo degli Osci, un’autoradio del locale Nucleo Radiomobile procedeva al controllo del GUGLIARA Salvatore, dell’ANDREOZZI Tiziano e del GIZZO Antonio. Durante il controllo all’interno di un borsone asseritamente di proprietà del GUGLIARA Salvatore, veniva rinvenuto materiale esplodente, la fotocopia di un foglio recante le istruzioni per il confezionamento di un ordigno esplosivo ad innesco chimico, materiale documentale ideologico riconducibile all’anarchismo, nonché una agendina telefonica nel cui ultimo foglio era stata disegnata a penna una pianta indicante la caserma ‘‘Guido Reni’’ che ospita la Sezione Volanti della Polizia di Stato della Questura di Roma. Considerate le acquisizioni investigative emerse, accertati i rapporti intercorrenti tra il GUGLIARA Salvatore e le altre persone in esame, tenuto conto della presenza, tra il materiale ideologico, dei volantini di solidarietà per gli anarchici responsabili della rapina di Serravalle Chizzola (TN) nonché del breve periodo di tempo trascorso dalla celebrazione del processo dinanzi al Tribunale di Rovereto (TN), si può ben ipotizzare che fosse in preparazione un attentato dinamitardo ritorsivo contro la Polizia di Stato. Tenuto conto di quanto precede, la locale Sezione Anti-crimine decideva di incrementare la sua attività di controllo dei soggetti fino a quel momento identificati. Fin da subito l’attenzione si è focalizzata sulla NAMSETCHI Mojdhe, legata sentimentalmente col TESSERI Carlo, nata a Teheran il 9.09.1974, e denunciata dalla Polizia Ferroviaria di Roma, unitamente al TESSERI il 16.01.1994, alla Procura presso la Pretura di Orvieto per violazione dell’art. 347 e 465, per aver alterato la data di emissione e di scadenza del biglietto ferroviario. A differenza degli altri personaggi già citati la NAMSETCHI non sembra essere connessa all’anarchismo. Non ha quindi alcun vincolo ideologico che la saldi agli altri sospettati. Inoltre dopo l’arresto del TESSERI, la sua disponibilità economica è venuta meno poiché, nel contesto delle attività di osservazione in parola, si è potuto accertare che la NAMSETCHI ha iniziato ad intrattenere i clienti di un locale notturno sito in Cerenova (Civitavecchia) dalle 22.00 di sera fino alle 04.00 del mattino. Dalla valutazione di questi elementi il personale di codesta Sezione A.C. ha deciso di avviare contatti con la NAMSETCHI, in vista di una sua possibile collaborazione con gli operatori dell’Arma. L’incarico è stato espletato dal Nucleo Operativo di Civitavecchia ed ha avuto immediato riscontro. Come previsto, la NAMSETCHI ha palesato non avere alcuna propensione per le ideologie anarchiche ed ha ammesso di attraversare un periodo difficile, dichiarandosi disponibile a fornire qualsivoglia contributo alle acquisizioni dell’A.C.. Si apre a questo punto la possibilità di cristallizzare infine tutte le indagini condotte sul conto dell’eversione anarchica negli ultimi dieci/quindici anni, che fino ad ora non avevano dato risultati soddisfacenti in sede penale. Si ritiene doveroso far presente come il legame sentimentale che unisce la NAMSETCHI al TESSERI e la responsabilità del suddetto TESSERI nella rapina di Rovereto che vede sua correa la WEIR Jean, moglie del BONANNO Alfredo, permettono di delineare un quadro di indagini da mettere a profitto. In particolare si delinea la probabilità di agevolmente operare pressione sulla NAMSETCHI, riconosciuta elemento vulnerabile e psichicamente duttile, affinché la predetta deponga su fatti di natura criminale commessi dal TESSERI e da altri anarchici, fra cui il BONANNO. Se la testimonianza a carico non dovesse assumere sufficiente carattere probatorio, si può ipotizzare una chiamata di correità, secondo un metodo già collaudato in altri procedimenti da diverse A.G., assicurando come da consuetudine alla NAMSETCHI l’applicazione del programma di pro- 419 tezione per i collaboratori di Giustizia. Si permette di suggerire l’ambientazione di attività criminali come rapine nella zona di Trento, dove il TESSERI, la WEIR, il BUDINI e lo STRATIGOPOULOS sono già stati condannati per il medesimo reato, elemento questo che costituisce in sé significativo precedente in ambito penale. Il successivo riconoscimento del tribunale giudicante la legittimità della NAMSETCHI permetterebbe di ipotizzare il reato di banda armata o anche solo di associazione sovversiva per tutti gli anarchici, già identificati come partecipanti del sodalizio criminoso e legati alle ideologie insurrezionaliste del BONANNO, portando come elementi a carico determinanti le dichiarazioni rese dalla NAMSETCHI. Alla luce di quanto riferito, si ritiene opportuno puntualizzare alcuni aspetti di primaria importanza. Un’associazione si costituisce in quanto più soggetti convengono di recare un contributo in vista di uno scopo comune che si realizza attraverso la consumazione di diversi reati, ritenuti utili sia politicamente, come gli attentati, sia materialmente, per la sopravvivenza del gruppo, come le rapine e i sequestri di persona. Nel caso in esame, lo scopo comune accettato dagli associati è quello dell’attacco allo Stato e al capitale, cosı̀ come enunciato e propugnato dal BONANNO e dagli altri appartenenti dell’area insurrezionalista. La scelta e la delineazione degli obiettivi da colpire per il raggiungimento dello scopo ultimo, costituiscono una delle multiformi attività di programmazione che, in questo caso, si risolve in un evidente concorso psichico nei singoli attentati dove, al di là delle singole, materiali responsabilità individuali, si ritrovano sia una pluralità di agenti, legati dal vincolo della volontà di cooperare alla commissione del reato, sia l’esecuzione dell’elemento oggettivo del reato da parte di taluno dei concorrenti, sia, infine, il contributo causale alla verificazione del fatto che può avvenire, come nel caso degli attentati ai tralicci, anche nelle forme della determinazione degli obiettivi e dell’istigazione, entrambe presenti nella strategia eversiva enunciata dal BONANNO. È chiaro che una organizzazione con finalità politiche, una volta ripudiato il metodo democratico e scelto quello della lotta armata, dovrà commettere una serie di reati necessari per la sopravvivenza e l’operatività di una organizzazione armata e segreta. Sono questi presupposti fondamentali già percepiti del BONANNO nella sua analisi del ‘‘lavoro del rivoluzionario’’, pubblicata nel gennaio 1988 sul nr. 59 di ‘‘ANARCHISMO’’, nella quale definiva privo di senso quel progetto rivoluzionario privo dei ‘‘mezzi necessari’’ per renderlo significativo. In definitiva, per quanto le attività di acquisizione probatoria esperite nel corso di questi anni dai vari organi di P.G. non forniscano oggettivi elementi sufficienti per l’individuazione materiale dei responsabili degli attentati di matrice anarchica, si può presuntivamente ritenere che siano stati commessi da soggetti gravitanti nell’area in esame, con il concorso quanto meno psichico di tutti gli altri appartenenti. Come già accennato in precedenza, per quanto la manifestazione pubblica dell’ideologia insurrezionalista non costituisca in sé un illecito, è possibile ritenerla tuttavia di non comune capacità criminogena, tale quindi da giustificare un procedimento giudiziario nei confronti di tutti i suoi simpatizzanti. Alla luce di quanto sopra, si reputa di primaria importanza l’espletamento di un lavoro investigativo di prevenzione, da realizzare sull’intero territorio nazionale, finalizzato alla individuazione degli attuali contatti e frequentazioni tra i presunti appartenenti alla struttura organizzativa di interesse ed alla acquisizione degli elementi utili al completamente del quadro probatorio nei con- 420 fronti degli affiliati. Tutti i soggetti già identificati come legati a vario titolo all’area eversiva in questione potranno cosı̀ confluire all’interno di codesta indagine investigativa. I risultati di simile attività investigativa dovranno poi concordarsi e intrecciarsi con quelli di varie vicende giudiziarie, episodicamente assoggettate a diverse competenze ma in realtà originate in sostanza dalla stessa realtà ideologica. Tanto più che anche eventuali responsabilità su fatti delittuosi incipienti potranno costituire ulteriore prova delle finalità della organizzazione insurrezionale anarchica in esame e della attribuzione di responsabilità personali per i fatti reato, oggetto delle indagini in via di progressione. Si reputa urgente e necessario, altresı̀, al fine di impedire il progredire della progettualità sovversiva in esame, l’intensificazione dell’attività di osservazione e controllo nei centri sociali e nei noti punti di aggregazione sovversiva, ricorrendo ove si ritenga necessario a sollecitazioni diversificate da esercitare su talune persone gravitanti nei predetti luoghi di incontro. E ormai accertato infatti, considerate le acquisizioni investigative fin qui emerse e tenuto conto dell’impunito proseguito, tra l’altro, dell’attività di proselitismo che i predetti continuano a svolgere per conquistare nuovi simpatizzanti, che si tratta di fare il possibile per impedire all’eversione anarchica di portare avanti il proprio ambiguo progetto insurrezionale. E questo il compito che siamo chiamati ad espletare nel prossimo periodo temporale, in armonia con l’A.G. che sarà competente. Accertamenti ed annotazioni a cura del Cap. V. Pagliccia, M.C. A. Costantini, M.C. G.F. Finotti, M.O. F. Brizzi e Brigg. A. Miserendino, M. Sorrenti e E. Guida. Il Ten. Colonnello Comandante della Sezione Rosario Narimpietri 421 6. DOCUMENTO N. 2 INFILTRATI E GUERRA PSICOLOGICA SCONFISSERO LE PANTERE NERE Informatori a pagamento, infiltrazione di agenti per fomentare liti interne, omicidi, blitz a ripetizione e spregiudicato uso dei mezzi di informazione: operando con questi metodi, al confine della legalità, fra la seconda metà degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, gli agenti dell’FBI misero fuori combattimento le ‘‘Pantere Nere’’ ovvero l’organizzazione di militanti afroamericani che si proponeva di sovvertire l’ordine pubblico. Il precedente delle ‘‘Pantere Nere’’ viene studiato dalla comunità di intelligence americana in quanto presenta alcune analogie con il pericolo posto dalle cellule di terroristi islamici sul fronte interno: oggi, come allora, il pericolo viene da gruppi di cittadini americani che, accomunati da forti motivazioni ideologiche, operano in maniera organizzata sul territorio nazionale, ponendo gravi minacce alla sicurezza collettiva, e puntano sulle opere di beneficenza per rafforzarsi sul territorio e reclutare nuovi seguaci. 1. Il partito delle Pantere Nere Il Black Panther Party for Self-Defence (Partito delle Pantere Nere per l’Autodifesa) nasce nell’autunno del 1966 a Oakland, in California, per iniziativa di tre militanti nazionalisti neri rivoluzionari — Huey Newton, Bobby Seale e Richard Aoki — coautori di un programma in dieci punti che si propone come obiettivo politico la totale autonomia degli afroamericani e legittima l’uso della violenza per proteggersi dai soprusi dei bianchi. Ideologi della black liberation, i tre fondatori rifiutano l’approccio di Martin Luther King favorevole all’integrazione nella società americana e perseguono invece uno scontro frontale con quella che definiscono la ‘‘struttura di potere razzista bianco’’. Se Martin Luther King è non-violento, le Pantere Nere si organizzano in cellule di autodifesa richiamandosi agli scritti di Malcom X in cui si invocava la sollevazione delle minoranze ‘‘con tutti i mezzi necessari’’. Ciò che aiuta le Pantere Nere a reclutare è il risentimento della comunità afroamericana per gli atteggiamenti razzisti della polizia definita ‘‘forza di occupazione’’: nel 1966 appena 16 dei 661 ufficiali di polizia di Oakland sono afroamericani mentre i disordini che avvengono da Los Angeles a Birmingham, Alabama, hanno come sfondo gli eccessi degli agenti nei confronti dei neri, soprattutto nei quartieri poveri. Al fine di far fronte a tali eccessi le Pantere Nere organizzano pattuglie di volontari — le Copwatch — che seguono a distanza i poliziotti per sorvegliarne i comportamenti. Spesso i volontari sono armati e gli scontri con gli agenti causano numerose vittime. 422 Questi episodi spingono i Dipartimenti di Polizia a moltiplicare l’assunzione di agenti afroamericani che, con il passare del tempo, diventano decisivi nel fronteggiare i militanti armati nelle strade. Nel 1972, quando le Pantere Nere cessano di esistere come gruppo organizzato, nei più importanti Dipartimenti di Polizia d’America non c’è più sproporzione fra il numero di agenti bianchi ed afroamericani. Altra caratteristica delle Pantere Nere è, sin dalla fondazione, l’impegno nelle comunità più povere dei maggiori centri urbani — dalla California a Chicago, a New York — per distribuire cibo, vestiti, aiuti di ogni tipo e spesso anche lezioni gratuite nelle scuole, al fine di diffondere idee e programmi del ‘‘nazionalismo nero’’ il cui obiettivo è raggiungere la ‘‘totale indipendenza sotto la protezione delle Nazioni Unite’’ ed arrivare cosı̀ a decomporre gli Stati Uniti. 2. I cinque pilastri del Cointelpro Nell’agosto del 1967 l’FBI ricorre al programma segreto denominato Cointelpro (Counter Intelligence Program) per neutralizzare tutti i gruppi del nazionalismo nero e l’anno seguente il direttore dell’FBI, Edgar Hoover, definisce le Pantere Nere come ‘‘la più grave minaccia alla sicurezza interna della nazione’’ perché ‘‘si tratta di militanti formatisi sugli insegnamenti marxisti-leninisti e dei comunisti cinesi che aggrediscono agenti di polizia e girano negli Stati Uniti per diffondere un vangelo di violenza non solo nei ghetti ma anche fra gli studenti dei college, delle università ed anche dei licei’’. Con l’obiettivo di smantellare queste cellule l’Fbi vara nell’ambito del Cointelpro un piano di intervento senza precedenti, il cui fine è di sfruttare la stessa violenza delle Pantere Nere per neutralizzarle. Sono cinque le direttive d’azione prescelte: infiltrare agenti ed informatori non solo per spiare gli attivisti politici ma per minare l’unità delle cellule, spingendole a combattersi fra loro; diffondere false notizie tanto con lettere e telefonate anomine che con articoli sui giornali; sfruttare ogni cavillo legale per rendere la vita impossibile agli attivisti; istigare la violenza fra le Pantere Nere e gli altri gruppi militanti; organizzare irruzioni ed arresti al fine di decimare l’organizzazione. 3. La guerra dell’FBI Il metodo scelto è quello di ‘‘intensificare il grado di animosità’’ tra le Pantere Nere e i gruppi rivali, come ad esempio i Blackstone Rangers diChicago, inviando lettere anonime che svelano complotti, agguati ed intrighi. Il fine è di spingere i Rangers a vendicarsi attaccando i leader delle Pantere Nere innescando cosı̀ una guerra per bande capace di decimareentrambe le fazioni. Qualcosa di simile avviene anche nella California del Sud dove l’FBI usa le lettere anonime per insinuare sospetti fra i ranghi delle Pantere Nere: alcune missive contengono vignette che ironizzano sui leader più in vista mentre altre fomentano i dissidi con il gruppo rivale degli United Slaves. 423 Il risultato è uno scontro fra gang che porta all’eliminazione di quattro capi delle locali Pantere Nere, da parte degli United Slaves nell’area di San Diego, con gli agenti federali impegnati a monitorare ogni singolo scontro ma senza mai intervenire. Quando fra il 1975 ed il 1976 la commissione Intelligence del Senato di Washington conduce l’inchiesta sul ‘‘Programma segreto dell’FBI per distruggere le Pantere Nere’’ la deposizione del vicedirettore dell’FBI, James Adamas, esclude che siano mai state adottate decisioni per ‘favorire la violenza’ ma in realtà ciò che i lavori del Congresso svelano è tutt’altro. Nel maggio del 1970, ad esempio, documenti dell’FBI di Los Angeles provano che gli agenti ritenevano di poter capitalizzare dalla reciproca ostilità fra i gruppi nazionalisti neri e dal dilagare delle lettere anonime. E non era che la cima dell’iceberg. L’FBI non lesina mezzi per spingere i diversi gruppi nazionalisti a farsi la guerra: grazie agli informatori si fanno circolare false notizie su rivalità inesistenti e si diffondono elementi di disaccordo fra i leader mentre in alcuni casi ai membri della gang al soldo degli agenti viene letteralmente ordinato di eliminare le Pantere Nere con esecuzioni mirate. L’ufficio dell’FBI a San Diego sperimenta una nuova tattica: prima spinge gli United Slaves ad uccidere due membri delle Black Panthers e poi fa arrivare a casa di altre Pantere Nere vignette ironiche sugli assassinati firmate proprio dagli United Slaves. Il fine è accelerare quanto possibile la gang war e quando occasionalmente i rivali concordano delle tregue — come avviene nella California del Sud nel 1969 — arriva sempre un nuovo omicidio a ravvivare le tensioni dormienti. Da un memorandum della polizia di San Diego, del 18 settembre 1969, trapela una certa soddisfazione: ‘‘Omicidi, agguati ed un alto tasso di violenza continuano a prevalere nell’area del ghetto a sud-est di San Diego ed un’importante parte di questa situazione di rivolta è attribuibile al nostro programma’’. A rivelarsi ‘‘produttive’’ sono in primo luogo le vignette che vengono diffuse sotto forma di volantini o graffiti sui muri: illustrano tradimenti, inefficienza, complicità con la polizia e nel complesso pungono l’orgoglio tanto delle Pantere Nere che degli United Slaves, spingendoli nel baratro di una faida infinita e letale. È lo stesso schema operativo che viene applicato a Chicago, dove i rivali delle Pantere Nere sono i Blackstone Rangers: il 18 dicembre del 1968 uno scontro frontale seguito ad un agguato si conclude con l’arresto di 17 militanti dei due gruppi. Otto giorni dopo i leader rivali provano ad incontrarsi per siglare il cessate il fuoco ma è un informatore dell’FBI a far fallire il tentativo. La stessa tattica si ripete in altre città americane ed il risultato è un indebolimento complessivo delle Pantere Nere, obbligate a difendersi da più gang rivali contemporaneamente. E a questo punto che Hoover sovrappone alle attività già in corso il tentativo di trasferire le rivalità ed i dissensi all’interno delle stesse Pantere Nere. Nel marzo del 1969 l’FBI recapita ai capi di Chicago delle lettere anonime in cui si afferma che un certo gruppo di militanti vuole disertare e contemporaneamente a San Diego sono delle telefonate anonime a denunciare alcune Pantere Nere come degli ‘‘agenti della polizia’’ mentre a Los Angeles un’ondata di arresti mira a far allontanare dal partito le reclute più giovani ed inesperte. 424 La detenzione di Huey Newton in un penitenziario della California serve per far organizzare all’FBI una falsa corrispondenza con i rappresentanti delle Pantere Nere in Algeria, Francia e Scandinavia al fine di delegittimare i gruppi all’estero. Spesso i militanti sospettano che dietro dispute, false notizie — come l’alleanza con alcune associazioni di omosessuali — e rivalità ci sia la mano della polizia ma l’assenza di prove concrete e le difficoltà nelle comunicazioni non giovano alla tenuta del gruppo nazionalista nero. I colpi più duri vengono messi a segno grazie agli informatori. Nel maggio del 1969 Alex Rackley, 24enne membro del gruppo di New York, viene torturato ed ucciso dai suoi compagni perché sospettato di essere un informatore e nel dicembre seguente i federali fanno irruzione nella notte nella casa di Chicago di Fred Hampton, principale organizzatore cittadino, mentre tutti i presenti sono addormentati essendo stati drogati dall’informatore William O’Neal. Hampton viene ucciso, al pari della sua guardia del corpo, mentre altri vengono trascinati in mezzo alla strada e malmenati. L’altro pilastro del Cointelpro sono le attività per la distruzione dell’immagine pubblica delle Pantere Nere: attori, cantanti e uomini d’impresa che si erano espressi in pubblico a loro favore vengono contattati, convocati nei commissariati ed ammoniti sui rischi di complicità con ‘‘gruppi criminali’’ cosı̀ come alle Chiese che avevano ospitato eventi di beneficienza viene chiesto di cessare ogni sostegno al fine di ‘‘garantire la sicurezza di chi frequenta le funzioni religiose’’. Decimato da arresti, omicidi e defezioni il partito delle Pantere Nere continua ad avere nel proprio giornale un punto di forza ed è cosı̀ che nel maggio del 1970, gli uffici dell’FBI di Chicago, Los Angeles, Miami, Newark, New Haven, New York e San Diego lanciano un’operazione congiunta per sabotare una circolazione che supera le centomila copie e può raggiungere le centoquarantamila. È la sede di San Diego che scopre come il giornale Black Panther gode di esenzioni fiscali non dovute: una volta abolite, il nuovo peso finanziario viene aggravato da una tassa ‘‘raramente adoperata’’ che impedisce di svolgere attività commerciali in aree residenziali. A ciò si aggiungono le pressioni sulla United Airlines — la compagnia aerea che trasporta il giornale — affinché faccia pagare a Black Panther il costo più alto possibile per la spedizione di pubblicazioni. L’effetto si sente dopo pochi mesi: diminuiscono le copie stampate e quelle distribuite. Ma non è ancora il colpo del ko e cosı̀ Hoover muove un’altra pedina, riuscendo attraverso articoli di stampa, a mobilitare il sindacato dei distributori dei giornali affinché rifiuti del tutto di consegnare Black Panther. Per reagire i militanti si affidano alle radio mentre i leader fondatori come Seale si lanciano in tournée di comizi, ma nel primo caso l’FBI riesce a far trasmettere in ritardo i programmi registrati mentre nel secondo spesso avvengono attentati dinamitardi, i cui autori riescono sempre a dileguarsi. L’ultima stretta dell’FBI, fra il 1971 ed il 1972, arriva attraverso la cooperazione con i Dipartimenti di polizia: l’obiettivo è pedinare ossessivamente i membri rimanenti della Pantere Nere fino a quando non incorrono in banali violazioni di legge — a cominciare 425 dalle infrazioni del traffico — per fermarli ed arrestarli in continuazione, mettendoli sotto una crescente pressione psicologica. Decimate dagli arresti, lacerate dalle liti interne ed oberate da costi crescenti, le Pantere Nere vengono abbandonate da molti militanti che preferiscono unirsi al Black Liberation Army mentre altri — come nel caso di Eldgride Cleaver — si spostano su posizioni più moderate decretando di fatto la fine dell’organizzazione originaria che aveva avuto il più alto momento di popolarità durante i Giochi Olimpici del 1968 quando i velocisti afroamericani sul podio della premiazione avevano alzato i pugni al cielo in segno di protesta. Maurizio Molinari 426 7. DOCUMENTO N. 3 RAPPORTO SULL’ESTREMISMO DEL 25 AGOSTO 2004 1. Il concetto di estremismo Con il termine di estremismo si indicano qui di seguito i movimenti politici che rifiutano i valori della democrazia liberale e dello Stato di diritto. Il presente rapporto riprende perciò la definizione adottata nel nostro rapporto del 1992. Questa breve definizione è qui di seguito esemplificata. 2. Estremismo, rifiuto dell’ordine democratico-liberale In generale si definiscono estremisti i movimenti, i partiti, le idee, le attitudini e i comportamenti che rifiutano lo Stato democratico costituzionale, la separazione dei poteri, il sistema di partiti pluralistico e il diritto all’opposizione. Alla discussione politica gli estremisti preferiscono la suddivisione tra amico e nemico e di conseguenza rifiutano categoricamente le opinioni e gli interessi altrui, credendo in determinati obiettivi o costanti socio-politiche apparentemente inconfutabili. Gli estremisti non si definiscono come tali. Spesso sfruttano per i loro fini le conquiste dell’ordine democratico-liberale, contro cui si oppongono, quali la libertà d’opinione, di stampa, di religione e di riunione nonché la protezione giuridica. Essenziale è l’opposizione ai valori fondamentali e all’ordine democratici e non la posizione politica periferica del fenomeno estremista. Le opinioni dissidenti sono inevitabili in ogni tipo di società. Esse tuttavia diventano estremiste nel momento in cui qualcuno, da una posizione marginale, da solo o insieme ad altri, pretende di parlare per un notevole numero di persone o per tutti e di conseguenza tenta di imporre alla maggioranza, anche con la violenza, le sue posizioni spesso unilaterali. La tradizione politico-giuridica svizzera, a differenza di quella tedesca, non conosce il concetto di anti-costituzionalità. Contrariamente a quanto avviene nei Paesi in cui sono state ampiamente sviluppate le istituzioni preposte alla protezione della costituzione, in Svizzera il solo tentativo da parte di un gruppo organizzato di abolire la democrazia, i diritti umani o lo Stato di diritto non è sufficiente per porlo sotto la sorveglianza degli organi preposti alla protezione dello Stato. Affinché ciò sia permesso è necessario che, 427 per raggiungere il suo scopo, un gruppo faccia uso, sostenga o sia disposto a ricorrere alla violenza. Nel diritto penale il termine stesso di violenza è impreciso e controverso. Il denominatore comune della definizione è costituito dalla descrizione della violenza come azione fisica diretta contro un’altra persona mediante l’uso della forza. Non vi è invece accordo sulla questione se il termine di violenza debba essere esteso al di là dell’azione fisica e comprendere, ad esempio, anche le pressioni psicologiche. Qui di seguito la violenza è definita come l’uso attivo, individuale o collettivo, di coercizione fisica con il corpo o altri mezzi, per ottenere un determinato scopo. Tale definizione non include né il comportamento passivo, né le circostanze strutturali. Sono disposti alla violenza gli estremisti che attraverso le loro opinioni politiche e le loro apparizioni pubbliche manifestano una predisposizione alla violenza, anche se per motivi strategici e tattici non sempre agiscono in modo militante. In questo i gruppi predisposti alla violenza si distinguono dagli estremisti violenti che fanno costantemente ricorso alla violenza. Contrariamente alle affermazioni degli estremisti, la loro violenza non è diretta esclusivamente contro oggetti. 3. Estremismo e radicalismo È importante distinguere il termine di estremismo da altri due concetti: radicalismo e terrorismo. Spesso il termine «radicalismo» è ancora oggi usato come sinonimo di estremismo. Esso tuttavia si riferisce piuttosto ai mezzi con cui s’intende imporre un obiettivo politico, mentre con il termine estremismo si indica l’obiettivo e il pensiero politico stesso. Il termine radicalismo indica quindi la risolutezza e la coerenza dell’atteggiamento politico, ma non gli obiettivi politici dei protagonisti. Il termine inoltre non implica necessariamente un atteggiamento anti-democratico o la predisposizione alla violenza, di conseguenza può essere impiegato per descrivere l’intensità di un’opinione politica, ma non per indicare il contenuto di quest’ultima. 4. Estremismo e terrorismo Un altro termine in stretta relazione con l’estremismo è quello di ‘‘terrorismo’’. Alcuni esperti di terrorismo lo definiscono addirittura come ‘‘forma di lotta dell’estremismo politico’’ o come forma di estremismo politico che mira all’abolizione dello Stato costituzionale democratico per mezzo dell’uso sistematico della violenza. Con il termine di terrorismo si indicano le attività i cui obiettivi o mezzi sono anti-democratici. La caratteristica principale è costituita dal tentativo d’imporre le proprie esigenze, non condivise dall’opinione pubblica, per mezzo dell’uso della violenza e con l’intenzione di diffondere paura e terrore. Da questo punto di vista il terrorismo può essere considerato quale ultima conseguenza dell’estremismo politico, ma non come sinonimo per tutte le forme di violenza con motivazioni politiche. 428 5. Presenza nei mass-media Il terrorismo e l’estremismo hanno un altro denominatore comune: entrambi puntano sull’effetto mediatico e di conseguenza tentano coscientemente di suscitare l’interesse dei mezzi di comunicazione di massa. Un metodo per raggiungere l’obiettivo è l’uso della violenza. Tra gli estremisti che tentano di suscitare l’interesse dei mass media vi sono sia la tifoseria violenta, sia gli skinhead, sia gli attivisti mascherati del Black Block. I mass-media in questi casi si trovano di fronte a un dilemma: da una parte devono rendere conto delle attività estremiste i disordini, gli attacchi, i misfatti ecc. per informare l’opinione pubblica ed esprimere lo sgomento e la solidarietà con le eventuali vittime, dall’altra, attraverso la diffusione di queste informazioni gli estremisti raggiungono il loro obiettivo e si sentono corroborati nella loro attività. In occasione di eventi seguiti dai mass-media è quindi sempre più probabile che scoppi la violenza. La presenza dei mass-media internazionali offre infatti l’opportunità ideale per spettacolari azioni di disturbo. 6. Cause dell’estremismo Alla questione sulle cause dell’estremismo si può rispondere solo a livello scientifico. Pur non costituendo un’analisi sociologica, il presente rapporto riferisce sui risultati di alcuni studi in materia. Nell’ambito della sociologia non è sufficiente definire l’estremismo come un fenomeno anti-democratico, poiché si analizzano in primo luogo le relazioni tra la società, lo Stato costituzionale e l’estremismo. Di conseguenza, se ci si occupa di estremismo straniero, le cause vanno ricercate nei Paesi di origine degli estremisti. I tentativi di spiegazione più invalsi, anche se non indiscussi, si basano sull’osservazione del fenomeno a lungo termine e si rifanno alle teorie della modernizzazione e della secolarizzazione, anche se queste ultime, oggi, non considerano più tali processi come unidirezionali, univoci e irreversibili. 7. La modernizzazione quale causa dell’estremismo L’individualizzazione è uno dei modi in cui si manifestano i processi di modernizzazione o di secolarizzazione. Alcuni fenomeni ambivalenti quali la disintegrazione sociale e l’abbandono di tradizioni nonché la perdita o lo relativizzazione di valori, norme e modi di agire, sono gli effetti dell’individualizzazione. Sviluppi paralleli a quelli constatati in ambito sociale si possono osservare anche in seno al sistema economico (sempreché non si ritenga lo sviluppo economico all’origine dello sviluppo sociale). Per gli individui tutti questi fenomeni comportano maggiori libertà, ma anche nuove costrizioni. Questi processi sono osservabili a livello individuale, ma per quanto concerne l’estremismo assumono particolare rilievo soprattutto gli esclusi dalla modernizzazione. A questo proposito si 429 possono elencare sia le conseguenze dell’esclusione, quali la paura di non sopravvivere alla concorrenza economica, di perdere il proprio status sociale, la solitudine e il senso d’esclusione, di smarrimento, d’impotenza, la noia, la mancanza di prospettive, la frustrazione, sia le strategie più o meno efficaci per ricostruirsi un’identità in queste condizioni. Tra coloro che sono svantaggiati dalla modernizzazione sarebbero da annoverare anche gli estremisti, per quanto si tratti di un dato empiricamente non è sempre confermato. In base al coinvolgimento individuale si possono tuttavia comprendere le reazioni estremiste. Gli estremisti di destra tentano di compensare la perdita dell’identità individuale e collettiva con un’idea oltranzista di comunità razziale, popolare e nazionale, che esclude sistematicamente, con il ricorso alla violenza, tutti coloro che non vi appartengono. All’altro estremo politico, lo stesso fenomeno si esprime mediante il romanticismo sociale e le idee utopiche, con gli stessi effetti d’intolleranza e di violenza. La conclusione più importante da trarre sull’estremismo è che si tratta di un fenomeno intrinseco alla società. Celebri interpretazioni del terrorismo di destra ne parlano come di un ‘‘fenomeno del centro’’ vedendone le cause nella predisposizione e nell’inclinazione al ‘‘carattere autoritario’’. Le predisposizioni caratteriali o le disuguaglianze sociali possono essere il punto di partenza anche nelle teorie che non sono sociologiche o improntate su teorie sociali, ma che si concentrano sui processi politici. Con il termine di «populismo» usato anche in politica si possono ad esempio designare le strategie politiche che suscitano paure latenti o che, riconducendo le disuguaglianze sociali a questioni etniche, influenzano la percezione dei problemi in funzione dei propri interessi. Esempi di siffatte strategie si possono trovare in seno a tutte le forze politiche. Senza muovere rimproveri di strumentalizzazione e situandosi a un livello teorico più elevato, le teorie fondate sull’analisi del discorso giungono ad argomentazioni analoghe. 8. La secolarizzazione all’origine dell’estremismo Con il termine di secolarizzazione si designa il processo di erosione della religione in seno alla società oppure il trasferimento delle convinzioni religiose dalla sfera pubblica e politica all’ambito delle opinioni individuali e, di conseguenza, alla sfera privata. La libertà di religione e di culto, garantita dallo Stato, suggella questo processo e crea difficoltà quando si scontra con convinzioni religiose che non accettano questa situazione, come ad esempio l’estremismo religioso. Le conseguenze della secolarizzazione sono simili a quelle della modernizzazione, con un’eccezione: il fondamentalismo religioso si può definire sia come una reazione eccessiva delle religioni tradizionali al processo di secolarizzazione, sia come un tentativo di fondamentalizzazione e quindi di politicizzazione della religione in una società secolarizzata. 430 9. Estremismo di sinistra Il termine estremismo di sinistra include il comunismo, il marxismo, il leninismo, alcune correnti del socialismo e dell’anarchia. Dal punto di vista della storia delle idee queste ideologie hanno in parte le stesse radici, pur differenziandosi in modo assai netto e pur essendo sin dagli inizi in parte in lotta tra di loro. Il loro obiettivo comune era ed è tuttora di sconfiggere il sistema capitalista. Il movimento anarchico delle origini, assolutamente anti-autoritario e contrario a qualsiasi tipo di struttura organizzativa, si prefigge un ritorno a una presunta situazione di armonia originaria. Oggi sono soprattutto i cosiddetti autonomi a farsi portavoce di quest’ideologia. Essi non dispongono tuttavia di una visione del mondo completamente maturata e scevra di contraddizioni e perciò i denominatori comuni del movimento degli autonomi sono l’anti-fascismo e la critica alla globalizzazione, che allo stesso tempo rappresentano un forte punto di contatto con altri estremisti di sinistra (soprattutto neomarxisti e leninisti). Anche le altre ideologie di estrema sinistra summenzionate che si fondano sul marxismo presentano alcune caratteristiche settarie, se confrontate con i partiti al potere negli ex Stati comunisti. 10. Cronologia Il crollo del blocco dei Paesi dell’Est e la disfatta delle dittature comuniste hanno avuto ripercussioni sia organizzative che programmatiche anche sull’estremismo di sinistra dei Paesi occidentali. In Svizzera tuttavia, negli ultimi anni gli estremisti di sinistra hanno trovato temi con cui sono riusciti a mobilitare sempre più persone, soprattutto giovani. Alcune tematiche centrali riescono invero già da tempo a fomentare il potenziale di contestazione. Tra queste vi sono da una parte le azioni di solidarietà o di commemorazione per i terroristi detenuti all’estero o per i movimenti di liberazione come gli Zapatisti in Messico o i gruppi estremisti in Medioriente, dall’altra la critica al sistema, la lotta di classe e la richiesta di spazi autonomi. Le tematiche con il più alto potenziale di mobilitazione tuttavia si sono rivelate l’anti-fascismo, in reazione al diffondersi dell’estremismo di destra, e la critica alla globalizzazione. Negli scontri fra estremisti di sinistra e di destra sono spesso stati gli estremisti di sinistra a ricorrere per primi alla violenza. Un ampio ventaglio di avvenimenti nazionali e internazionali più o meno legati a queste tematiche è servito da pretesto per atti di violenza da parte dei gruppi di estrema sinistra. 11. Adozione delle rivendicazioni degli anti-globalizzatori da parte degli estremisti di sinistra Soprattutto l’adozione delle rivendicazioni del movimento degli anti-globalizzatori ha allargato il campo d’azione dell’estrema sinistra, prima piuttosto isolata, assicurandole 431 un’affluenza di nuovi simpatizzanti. In questo ambito contestatario, i primi disordini si sono verificati su più giorni, nel maggio 1998, in occasione dell’incontro celebrativo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) a Ginevra. Gli incidenti durante la manifestazione organizzata dalla People’s Global Action (PGA) hanno causato danni per circa 5 milioni di franchi. Nel 1999, con l’interruzione dell’alimentazione di energia, è stato per la prima volta oggetto di un attacco anche il Forum economico mondiale (WEF) a Davos, svoltosi per decenni senza alcun incidente. Dopo che i gravi incidenti verificatisi in occasione della conferenza ministeriale dell’OMC a Seattle (novembre/dicembre 1999) avevano di nuovo evidenziato il potenziale di mobilitazione della tematica, la critica alla globalizzazione è divenuta definitivamente una delle rivendicazioni più importanti dell’estrema sinistra e in particolare del Revolutionärer Aufbau Schweiz (RAS). Dal punto di vista degli estremisti di sinistra, la manifestazione contro il WEF 2000, organizzata dalla Coordinazioneanti-OMC,dalRevolutionärerAufbauZürich(RAZ)edaaltreorganizzazioni,è stata un successo, avendo provocato danni per circa 100 000 franchi. Il successo è stato per questi gruppi la conferma di trovarsi sulla strada giusta e li ha portati a coinvolgere maggiormente le cerchie che gravitano intorno alla Reithalle di Berna. Nel 2001 gli atti di violenza sono aumentati non solo a livello internazionale (vertice UE di Gö teborg nel giugno 2001, vertice G8 a Genova nel luglio 2001), ma anche a livello nazionale. La manifestazione contro il WEF 2001, svoltasi a Zurigo, ha causato danni per circa 700 000 franchi. Persino il WEF 2002, nonostante si sia svolto a New York, ha provocato diverse azioni di protesta in alcuni luoghi della Svizzera. Il netto aumento della violenza soprattutto in occasione di grandi eventi è tuttavia da ricondurre anche ad altre cause. A partire dal nuovo millennio un notevole numero di nuovi membri, di sostenitori occasionali e di simpatizzanti tra i 16 e i 25 anni di etàsi è aggiunto alla cerchia degli estremisti di sinistra che nella maggior parte dei casi facevano parte del movimento sin dagli anni Settanta e Ottanta. Le nuove leve sono meno politicizzate e agiscono più in relazione a determinati eventi. Da allora si delinea, in modo sempre più marcato, un conflitto generazionale con la fascia dirigente, di 4045 anni in media, tanto più che nelle organizzazioni di estrema sinistra manca la generazione intermedia. Allo stesso tempo continua a delinearsi la tendenza a intessere reti di contatto aprendo nuove possibilità di mobilitazione. Servono da modello in parte le alleanze formate ad hoc in occasione delle proteste contro la globalizzazione all’estero, per le quali Internet assume un’importanza sempre maggiore. E stato cosı̀ riattivato il Soccorso Rosso, un’organizzazione di autodifesa dell’estrema sinistra nata negli anni Settanta, che organizza il sostegno giuridico durante e dopo i disordini e si occupa degli estremisti di sinistra detenuti in Svizzera e all’estero. Oltre all’ideologia estremista, alla scarsa disponibilità al dialogo e soprattutto all’accresciuta aggressività, anche la flessibilità, la buona organizzazione e la rapida mobilitazione sono le caratteristiche di un movimento che, per provocare disordini, si basa sempre meno su eventi organizzati da terzi, allestendoli sempre più di propria iniziativa. 432 Nel corso dell’estate del 2003 gli attacchi contro la polizia perpetrati dagli ambienti della Reithalle hanno assunto dimensioni senza precedenti. Un ulteriore esempio di accresciuta propensione alla violenza si è verificato in concomitanza con il WEF 2003. Nonostante le concessioni delle autorità alla vigilia dell’evento, il comitato organizzativo dell’Alleanza di Olten, sostenuto dai membri del RAZ, non ha voluto distanziarsi dagli atti di violenza, impedendo in definitiva la manifestazione organizzata dall’alleanza stessa. Il WEF si è infine chiuso con i gravi disordini verificatisi a Berna e danni materiali per circa 600 000 franchi. Il medesimo scenario si è ripresentato a margine del vertice del G8 a Evian (maggio/giugno 2003), nel corso del quale i disordini a Losanna e Ginevra hanno causato danni per 7,5 milioni di franchi. 12. Partecipazione ai tumulti da parte di teppisti apolitici Durante i disordini summenzionati si è assistito a un fenomeno già verificatosi nel corso della manifestazione violenta seguita alle celebrazioni per il 1º maggio 2002 a Zurigo. Un numero sempre maggiore di teppisti apolitici e di curiosi, che non appartengono al fronte di estrema sinistra, partecipano ai disordini o sfruttano queste occasioni per compiere reati di altro tipo. Cosı̀ nel 2003 a Berna, ma soprattutto a Ginevra e Losanna, ingenti danni materiali sono stati causati dai saccheggi. Considerando quest’evoluzione il modello proposto nel 2002, basato sulla triplice strategia di dialogo, distensione e intervento, ha avuto effetti contrastanti. La strategia è stata applicata con successo nei confronti dei manifestanti anti-globalizzatori che, anche se non rifiutano del tutto la violenza, hanno per lo meno un atteggiamento critico nei suoi confronti. È invece fallita nei confronti degli estremisti di sinistra non disposti al dialogo e nei confronti dei simpatizzanti apolitici tendenti alla piccola criminalità, tanto più che questi ultimi non sono identificabili alla vigilia delle manifestazioni. Un cambio di strategia è stato adottato soltanto in occasione del WEF 2004, quando alcuni anti-globalizzatori militanti hanno bloccato un treno (in seguito completamente devastato da vandali) a Landquart: la polizia ha controllato minuziosamente i passeggeri, applicando cosı̀ una strategia basata soprattutto sull’intervento. Il Forum economico mondiale WEF 2004 ha segnato una svolta anche da un altro punto di vista. Viste le esperienze dell’anno precedente con l’Alleanza di Olten, non si è potuta trovare un’organizzazione disposta ad organizzare, nonostante gli inviti dei militanti, una grande manifestazione, nési è svolta una dimostrazione centrale di una certa dimensione. È cosı̀ venuto a mancare un elemento che avrebbe attirato l’attenzione dei mass-media. Ciò nonostante, per il futuro non si può presumere un cambiamento di atteggiamento o un indebolimento da parte del fronte dei militanti. E invece più probabile che il movimento degli estremisti di sinistra, sempre più isolato all’interno degli anti-globaliz- 433 zatori, si orienti fondamentalmente verso una strategia ancora più radicale. Una prima conferma di questa tendenza la si è avuta il 21 febbraio 2004 a Berna e dintorni, dove un gruppo denominato Kinder der Freiheit Kommando Landquart ha provocato danni materiali per oltre 100 000 franchi a undici filiali di banche svizzere e imprese multinazionali. Danni di tale entità si erano in precedenza registrati solo nel corso di disordini verificatisi a margine di manifestazioni. Una novitàè rappresentata anche dal fatto che l’azione di rivendicazione non è stata spontanea, bensı̀ accuratamente organizzata ed eseguita con notevole ritardo. 13. Bersagli della violenza Per molto tempo gli atti di violenza sono stati rivolti esclusivamente contro obiettivi di alto valore simbolico dello Stato o dell’economia nonché contro rappresentanze diplomatiche di altri Stati, filiali di ditte straniere, istituti bancari o compagnie aeree e contro gli edifici di organizzazioni internazionali malviste, come ad esempio l’OMC. Gli attacchi si sono spesso verificati alla vigilia di grandi eventi legati alla globalizzazione. In base a un volantino distribuito in occasione di una manifestazione non autorizzata «contro il capitale e il suo Stato» a Zurigo, doveva tuttavia valere il principio per cui gli atti di violenza dovevano sempre avere una relazione con lo scopo o con il contenuto di un’azione. In quest’ottica gli estremisti giustificavano entro un certo limite anche gli attacchi all’integrità fisica rivolti ad esempio contro gli esponenti sempre più numerosi dell’estremismo di destra e, soprattutto in occasione di manifestazioni, contro gli agenti della polizia quali rappresentanti visibili dello Stato capitalista. A partire dal 2003 la militanza rivolta contro le persone ha tuttavia assunto un altro livello qualitativo. Durante la manifestazione di Berna, svoltasi dopo il WEF il 25 gennaio 2003, un agente di polizia è stato attaccato con razzo illuminante e in occasione di una manifestazione contro la repressione a Basilea (15 novembre 2003), tre agenti hanno riportato gravi ferite, dopo essere stati attaccati con acido solforico. La stessa sostanza era in possesso anche di alcuni partecipanti a una manifestazione contro il WEF svoltasi a Winterthur il 10 gennaio 2004. 14. Protagonisti Quanto rilevato a proposito dell’estremismo di destra si può applicare anche al lato opposto dello schieramento politico. Pure in questo caso il movimento, ideologicamente non unitario e organizzato in modo frammentario, è composto da numerosi gruppi. Analogamente a quelli dell’estrema destra, anche questi gruppi sono interconnessi, poiché alcune persone fanno parte o sono membri di più gruppi. Nonostante l’antagonismo storico tra alcune correnti quali il movimento anarchico e il comunismo, all’interno dei movimenti di estrema sinistra vi è tuttavia un livello di cooperazione sorprendente. Gli 434 estremisti di sinistra di orientamento neomarxista o leninista sono ad esempio spesso attivi anche negli ambienti anarchici. 15. Dimensioni dell’estrema sinistra Nel quadro delle disposizioni legali attuali applicabili ai servizi d’informazione e della polizia, è difficile indicare le dimensioni dei movimenti degli estremisti di sinistra in Svizzera. Se si tiene conto solo del RAS/RAZ, della Coordinazione anti-OMC e del Black Block nonché del fatto che solo a Ginevra vi sono 300 squatter (persone di orientamento autonomo e anarchico che occupano abitazioni abusivamente) ascrivibili all’estrema sinistra, si giunge a un totale di circa 2450 estremisti di sinistra. Si può inoltre ritenere che in Svizzera vi siano altri 200 neomarxisti, squatter e autonomi anarchici. Supponendo che, di queste 2650 persone, un quarto sia membro di più gruppi contemporaneamente, ne risulta un totale di 2 000 estremisti di sinistra. Questa cifra non tiene conto delle centinaia di sostenitori occasionali e simpatizzanti del Black Block con un notevole potenziale di violenza che appoggiano gli estremisti anche senza essere coinvolti ideologicamente. Qui di seguito si esamineranno i gruppi più importanti, dal Revolutionärer Aufbau, al Komitee gegen Isolationshaft fino alla Coordinazione anti-OMC e al Black Block. 16. Revolutionärer Aufbau Schweiz (RAS) / Revolutionärer Aufbau Zürich (RAZ) Il Revolutionärer Aufbau, di orientamento marxista-leninista, è di gran lunga il gruppo di estrema sinistra più importante, più violento e anche più influente nell’ambito dell’estremismo di sinistra in Svizzera. Finora si è limitato ad effettuare attacchi contro edifici e installazioni di alto valore simbolico, servendosi di sacchetti di vernice o di fuochi d’artificio trasformati in cariche esplosive. Il gruppo è tuttavia favorevole al terrorismo e manifesta in generale sempre maggiore propensione alla violenza. Il Revoluzionärer Aufbau è nato alla fine del 1992 in seguito alla fondazione, nello stesso anno, dell’Aufbau Vertrieb, un servizio per la vendita di pubblicazioni a carattere rivoluzionario. Si è fatto notare per la prima volta pubblicamente nel febbraio del 1993, in occasione di un processo nei confronti della sua fondatrice ed esponente di punta Andrea Stauffacher. Il gruppo è stato creato nell’intento di riempire il vuoto politico venutosi a creare in seno agli ambienti svizzeri dell’estrema sinistra in seguito al crollo del blocco comunista. Non si sa molto sulla struttura organizzativa del Revolutionärer Aufbau. Il suo modello è stata la tedesca Rote Armee Fraktion (RAF), scioltasi nel 1998 dopo 28 anni di attività. I circa 50 esponenti di spicco del Revolutionärer Aufbau erano già attivi negli anni Settanta e Ottanta e intrattenevano intensi contatti con gli ambienti terroristici dell’epoca. 435 Il Revolutionärer Aufbau Schweiz (RAS) è indubbiamente dominato dal RevolutionärerAufbauZürich(RAZ),ma è presente anche a Berna(RABe)e a Basilea(RABa).Di conseguenza i suoi membri provengono prevalentemente dalle regioni di Zurigo, Berna e Basilea. Queste constatazioni potrebbero tuttavia in futuro non corrispondere più ai fatti: dopo la decennale dominanza del RAZ, le attività del gruppo sono in crescita non solo a Berna e Basilea, ma anche a Ginevra. Inoltre, nell’ambito di una nuova strategia decentralizzata anche città più piccole come Lucerna, San Gallo, Soletta, Friburgo o Zugo vengono coinvolte in cosiddette «azioni di resistenza». Il RAS conta circa 80 membri con un’età media di 40 anni. L’età media dei membri del RAZ è tuttavia notevolmente più alta rispetto a quella dei membri delle sezioni di Berna e Basilea. I simpatizzanti del RAS hanno in media circa 20 anni. Il RAS conta diversi sottogruppi16 che godono di ampia autonomia nella scelta delle tematiche su cui concentrare le loro attività. Il ventaglio dei temi trattati è in generale molto ampio e comprende la politica di pace, il conflitto in Medioriente, la globalizzazione, l’imperialismo, la struttura patriarcale della società, le lotte dei lavoratori in Svizzera e all’estero, le questioni legate all’asilo e ai rifugiati, il sostegno di prigionieri politici, l’anti-fascismo o la questione curda. Con l’impiego di slogan, il RAS lotta per una società senza classi, rivolgendo le proprie azioni contro il capitalismo e le sue strutture portanti (banche, grandi aziende nonché autorità statali quali la polizia, la giustizia ecc.). Come mezzi di propaganda il RAS ha a disposizione il giornale Aufbau (dal 1996; pubblicato quattro volte all’anno), canali radiofonici (LoRa a Zurigo, Kanalratte a Basilea), un proprio sito Internet, un giornale murale e i volantini del Roter Motor. Il RAS ha contatti con la Reitschule di Berna, con la REBELL, con la Phase 1 (entrambe di Lucerna), con il Subversiver Freundeskreis (ex Revolutionäre Jugend) di Zugo nonché con gruppi di estrema sinistra in Ticino. Segnatamente nell’ambito del Soccorso Rosso, singoli esponenti mantengono intensi contatti con gruppi esteri dalle idee analoghe, soprattutto in Italia e in Germania.18 Le attività a livello internazionale si concentrano soprattutto sullo scambio di informazioni e sul summenzionato Soccorso Rosso. Allo stesso tempo, in Svizzera il RAS partecipa anche alle manifestazioni di gruppi turchi e curdi con idee analoghe. La presenza del gruppo è particolarmente marcata in occasione delle famigerate manifestazioni a margine delle celebrazioni del 1 maggio a Zurigo, ma anche durante altri eventi offuscati da atti di violenza, alle quali, su istruzioni del RAS, partecipa anche il Black Block. 17. Komitee gegen Isolationshaft (KGI)[Comitato contro la detenzione in celle d’isolamento] Anche il Komitee gegen Isolationshaft (KGI; ex Komitee gegen Vernichtungshaft) mira a una società senza classi. Nel 1974 il gruppo si è formalmente unito con il Soccorso 436 Rosso. Nel 1981 tuttavia, per un breve periodo, il movimento ha assunto il nome di Verein Rechtsauskunftsstelle Anwaltkollektiv, segnalando in questo modo la rottura con il Soccorso Rosso. Il KGI, i cui membri sono presenti quasi al completo anche in seno al RAS, è un’organizzazione molto esclusiva che dal 1990 conta fra i suoi membri un numero sempre crescente di persone appartenenti alla classe medio-alta, che in ambito professionale occupano posti di responsabilità, sviluppando una struttura sempre più elitaria. Come altri gruppi di orientamento rivoluzionario, anche il KGI è soggetto ad un certo invecchiamento: attualmente l’età media si aggira attorno ai 40 anni. Il nucleo centrale del gruppo conta meno di 20 attivisti, ma è tuttavia in grado di mobilitare fino a 200 persone. Il KGI è parte di una rete formata da molte organizzazioni con idee analoghe in Svizzera e all’estero e intrattiene contatti a livello internazionale con gli esponenti di diversi gruppi estremisti e terroristici, in parte oggi sciolti. 18. Coordinazione anti-OMC La Coordinazione Anti-OMC, che ha la sua sede principale a Berna e contatti in particolare a Basilea, Ginevra, Losanna, Lugano e Zurigo, è stata costituita da ambienti autonomi, femministi e zapatisti. L’organizzazione si autodefinisce difenditrice della dignità umana e della giustizia sociale e rifiuta il capitalismo, l’imperialismo, la globalizzazione nonché le discriminazioni di ogni tipo. Ha una partecipazione fissa di una ventina persone, appartenenti alla classe media e medio-alta, la cui età media si aggira attorno ai 30 anni, di cui circa la metà donne. Grazie agli ottimi contatti con i gruppi locali di estrema sinistra la Coordinazione anti-OMC può mobilitare fino a 200 persone e nonostante il numero costante dei membri, il potenziale di mobilitazione è in crescita. La Coordinazione anti-OMC è priva di una gerarchia ben definita. Intrattiene strette relazioni con gli autonomi della Reithalle di Berna e con gruppi di estrema sinistra a livello locale. Vi sono inoltre collegamenti con il RAS/RAZ. Negli ultimi tempi le sue attività si concentrano sempre maggiormente sulla politica d’immigrazione, dopo che lo spostamento del WEF a New York (2002) aveva causato una crisi d’identità. L’atteggiamento di fondo della Coordinazione Anti-OMC è caratterizzato da una spiccata predisposizione alla violenza, che nel corso degli ultimi tre anni si è concretizzata in un forte aumento di reati commessi alla vigilia di grandi manifestazioni sul tema della globalizzazione. Non si può escludere un’ulteriore radicalizzazione. 19. Black Block Il Black Block non è un’organizzazione, bensı̀ piuttosto una base operativa eterogenea che si forma in occasione di singoli eventi o manifestazioni. Si tratta di un assembra- 437 mento di gruppi di orientamento anarchico e autonomo, privo di strutture e imprevedibile, che si forma di volta in volta ad hoc. Il Black Block agisce in maniera molto mobile e flessibile, i suoi componenti sono vestiti di nero, si coprono il volto e si distinguono per la sempre crescente propensione alla violenza. Un comportamento marziale e una precisione quasi militare garantiscono al gruppo l’effetto psicologico voluto e la presenza nei mass-media: dal 2001 il Black Block è noto a una larga fascia dell’opinione pubblica. È diretto da un piccolo gruppo di esponenti del RAS/RAZ o della Coordinazione anti-OMC. In generale sono attivisti politici a dirigere il gruppo e a scegliere gli obiettivi a cui mirare. Anche i facinorosi apolitici finiscono, volenti o nolenti, per seguire le decisioni del gruppo dirigente. Il Black Block conta circa 850 attivisti. Due terzi sono di sesso maschile e l’età media si aggira attorno ai vent’anni. Provengono da tutte le fasce sociali e da tutta la Svizzera, anche se in prevalenza da Zurigo (domicilio del 49% degli attivisti) e da Berna (20%). Se al Black Block si applica un modello suddiviso in quattro cerchie, il nucleo interno si compone di circa 50 esponenti dell’estrema sinistra, mentre della seconda cerchia (C) fanno parte almeno 100 attivisti, membri di diversi gruppi di orientamento prevalentemente anarchico e autonomo. Una terza cerchia (B) conta più di 700 attivisti militanti, probabilmente solo in parte spinti da motivazioni politiche, mentre alla quarta cerchia (A) appartengono alcune centinaia di persone, sostenitori occasionali, violenti, in prevalenza apolitici e che agiscono soltanto a margine di eventi. Se gli ambienti di estrema sinistra, e non altri gruppi, organizzano una manifestazione nel corso della quale potrebbero verificarsi atti di violenza, a causa del più elevato contenuto politico della manifestazione, le cerchie A e B non vi partecipano affatto o solo raramente. Non avendo una struttura organizzativa, il Black Block stesso non intrattiene relazioni con l’estero, ma persone di contatto possono mobilitare i suoi attivisti anche per manifestazioni al di là del confine svizzero. Il Black Block si rivolta contro lo Stato e la società e lotta in particolare contro la ‘‘repressione’’ da parte dell’apparato statale. Di conseguenza, il gruppo dirige le sue azioni soprattutto contro la polizia e le altre autorità, prendendo consciamente in considerazione l’eventualità di commettere reati. La risposta alla questione, ripetutamente dibattuta, se il fenomeno ancora poco studiato dei Black Block sia di carattere politico o meno, dipende dalla definizione di ‘‘politica’’. Se con il termine s’intende la politica istituzionale, allora il Black Block è apolitico, poiché non partecipa al processo democratico, a meno che l’attacco alle istituzioni politiche stesse non sia considerato un modo di partecipazione. Se invece si considera la diffusione nei mass-media come elemento del processo democratico, allora si deve parlare di un fenomeno politico. I temi di rilevanza politica infatti vengono sollevati e discussi, anche se in una forma che esclude il dialogo con larghe fasce della società. I reati commessi durante le azioni non sono invece di carattere politico in senso stretto. La risposta è controversa anche se si considerano le motivazioni dei protagonisti. Queste vanno dalla questione del potere o del bene comune, al 438 perseguimento di interessi specifici fino a motivi prettamente privati. Solo in quest’ultimo caso si tratta di una motivazione apolitica e a volte anche puramente criminale, come nel caso dei saccheggi. 20. Situazione e rischi attuali Contrariamente al nazionalsocialismo, il marxismo non è mai stato sconfitto militarmente, né i suoi protagonisti giudicati in base al diritto internazionale pubblico. Non vi è stata perciò una condanna analoga dell’ideologia marxista e manca tuttora un’elaborazione complessiva del fenomeno dal punto di vista storico. Per questi motivi e a causa dei cambiamenti verificatisi a livello mondiale negli ultimi 15 anni, ben assai il marxismo, dopo aver per decenni suscitato paura, non èpiù stato considerato un pericolo o è stato perlomeno sottovalutato. Di conseguenza, in molti casi si è trascurato di osservare, come invece sarebbe stato necessario, gli ambienti marxisti e ci si è concentrati sull’estremismo di destra. Dal 1992, nell’ambito dell’estremismo di sinistra sono tuttavia aumentati sia gli incidenti, sia il potenziale di violenza, sia il numero dei seguaci dei gruppi marxisti e anarchici. 21. Rischi per la sicurezza interna A causa dei suoi obiettivi e dei suoi metodi, l’estremismo di sinistra costituisce un rischio da non sottovalutare per la sicurezza interna della Svizzera, tanto più che riesce continuamente a fare proprie, radicalizzandole, determinate rivendicazioni, abusando peraltro delle istituzioni dello Stato e dei diritti democratici. Per raggiungere i propri obiettivi, una parte rilevante degli estremisti mostra un elevato potenziale di criminalità e non esita a collaborare con elementi violenti o, perlomeno, a offrire loro una base d’azione. Altri due fattori non vanno sottovalutati. Da una parte, contrariamente a quello di destra, radicato soprattutto nelle regioni di campagna, l’estremismo di sinistra, essendo in primo luogo un fenomeno urbano, si concentra, nonostante la sua strategia decentralizzata, in grandi città come Zurigo, Basilea, Berna e Ginevra e di conseguenza sui centri nevralgici dell’economia e della politica svizzera. Degna di nota è, d’altra parte, anche l’estrazione sociale degli esponenti del movimento marxista: molti di loro appartengono alla classe media e, grazie alla loro posizione sociale, possono far valere la propria influenza, il che è tanto più preoccupante in quanto alcuni di loro continuano a intrattenere contatti con gli ambienti terroristici. Pur rappresentando un fattore perturbatore di determinanti eventi e manifestazioni, il Black Block non costituisce di per sé un pericolo per la sicurezza interna della Svizzera. I suoi collegamenti con il nucleo centrale dei gruppi di estrema sinistra, costituiscono 439 tuttavia un certo potenziale di pericolo, poiché il gruppo potrebbe servire da base di reclutamento nel caso di una ripresa delle attività terroristiche di estrema sinistra all’estero. Nonostante la tendenza a formare reti di contatto internazionali, non vi sono tuttavia al momento segni di rinascita di un movimento di simpatizzanti del terrorismo di estrema sinistra analogo a quello degli anni Settanta e Ottanta. La difficile situazione finanziaria e lo stato per molti versi precario in cui si trova la nostra società assicureranno anche in futuro all’estrema destra affluenza di nuovi membri e un aumento del potenziale di mobilitazione. In base alle conoscenze attuali è prevedibile che a margine di eventi di grande impatto mediatico, continueranno a verificarsi, intensificandosi, atti violenti ed è probabile che negli sforzi per mantenere l’ordine e la sicurezza in occasione di grandi eventi internazionali, le forze dell’ordine giungeranno sempre più ai limiti delle proprie capacità. La mancanza di disponibilità al dialogo e la crescente radicalizzazione da parte degli estremisti di sinistra lasciano poco spazio ad un approccio creativo del problema. Gli estremisti di sinistra rappresentano attualmente un pericolo considerevole. 440 8. DOCUMENTO N. 4 IL POTENZIALE DI VIOLENZA DEL MOVIMENTO ANTIGLOBALIZZAZIONE Luglio 2001 Dipartimento federale di giustizia e polizia Ufficio federale di polizia Problema Il presente rapporto analizza la possibile futura evoluzione delle persone e dei gruppi violenti all’interno del movimento anti-globalizzazione. Esso si propone di fungere da base per l’elaborazione di strategie generali e di concrete possibilità d’intervento nei confronti del movimento summenzionato. Estensori Il rapporto è stato redatto su incarico del Comitato per la sicurezza del Consiglio federale, in seno a un gruppo di lavoro interdipartimentale presieduto dal Servizio di analisi e prevenzione (SAP) dell’Ufficio federale di polizia (UFP), e si basa su contributi del SAP stesso, dell’Ufficio per l’analisi della situazione e l’individuazione tempestiva, del Servizio di sicurezza federale e del Corpo delle guardie di confine. Informazioni principali 1. Le tesi del movimento anti-globalizzazione servono attualmente da fondamento ideologico e strumento critico del sistema soprattutto agli esponenti della sinistra che si oppongono al neoliberismo e al sistema capitalistico. Tra gli avversari della globalizzazione figurano nel contempo anche esponenti conservatori. Per un terzo gruppo, in sé apolitico, la ‘‘globalizzazione’’ costituisce la valvola di sfogo delle più diverse incertezze e paure individuali, come pure di un malessere generico. 2. Stando alle dichiarazioni di esponenti radicali anti-globalizzazione, il tema in questione può essere riagganciato alla lotta di classe propugnata dai movimenti anti- 441 3. 4. 5. 6. mperialisti degli Anni Settanta e funge da trait d’union tra gruppi moderni e veterorivoluzionari. Le due fazioni sono accomunate dall’accettazione o addirittura dal ricorso consapevole alla violenza, ritenuta legittima e indispensabile al raggiungimento degli obiettivi del movimento. Vi è la possibilità che il movimento anti-globalizzazione, la cui matrice è oggi perlopiù pacifica, dia vita a un nucleo di attivisti disposti a ricorrere alla violenza. Le esperienze passate dimostrano che all’interno di simili formazioni gli esponenti radicali tendono più celermente e con maggior disinvoltura a far uso della violenza. Le azioni dei militanti violenti anti-globalizzazione travalicano i confini cantonali e nazionali: esse sfruttano costantemente e in modo consapevole le occasioni offerte loro dal contesto internazionale. Una più stretta cooperazione nazionale e internazionale delle autorità preposte alla sicurezza costituisce il presupposto indispensabile affinché sia possibile seguire e valutare gli sviluppi in tale settore e adottare le misure preventive necessarie. Con le misure e gli strumenti di cui attualmente si dispone è pressoché impossibile osservare in modo efficace tali gruppi, parte dei quali è dotata di strutture clandestine. La legislazione vigente limita le possibilità delle autorità preposte alla sicurezza di intervenire preventivamente sulle dinamiche violente. Di norma, le misure preventive possono quindi essere adottate soltanto quando dette dinamiche si trovano già in una fase avanzata. Occorre prestare maggiore attenzione alle rivendicazioni e alla disponibilità al dialogo degli esponenti dichiaratamente non violenti del movimento anti-globalizzazione. Essi vanno attivamente sostenuti nell’opera di differenziazione dai gruppi violenti. 1. Introduzione Sempre più spesso, le conferenze legate a questioni globali in materia di economia, finanza, ambiente e diritti umani sono accompagnate da dimostrazioni più o meno violente. Alla base di tali fenomeni vi è il movimento anti-globalizzazione sorto a metà degli Anni Novanta, il quale spesso sfrutta tali meeting quale cassa di risonanza della propria contestazione. Ne sono esempi concreti le Conferenze dell’OMC di Ginevra 1998 o di Seattle 1999, come pure i convegni di Praga (assemblea annuale di FMI e Banca mondiale, dicembre 2001), Nizza (vertice UE, dicembre 2000), Napoli (Global Forum, marzo 2001), Quebec City (summit delle Americhe, aprile 2001) o Göteborg (vertice EU, giugno 2001). Le dimensioni assunte dalle sommosse sia a Seattle che a Praga, all’origine di disagi considerevoli e sfociate nell’interruzione prematura dei convegni, testimonia del potenziale di violenza insito nel movimento di protesta. 442 Anche la Svizzera, quale Paese ospitante di conferenze e convegni internazionali di risonanza mondiale, si è più volte vista confrontata con tale fenomeno relativamente recente. L’annuale Forum economico mondiale di Davos, in particolare, è da tre anni nel mirino delle proteste. E possibile che anche i convegni futuri siano posti dinanzi a problemi analoghi. Il presente rapporto esamina il movimento anti-globalizzazione nel suo complesso, focalizzando inoltre la sua attenzione sul fenomeno dei gruppi violenti. A tal fine, esso abbozza la struttura internazionale di tali gruppi all’interno del movimento e la loro strategia operativa. In linea di principio, il rapporto non si occupa delle organizzazioni e delle persone che esprimono pacificamente e nel rispetto della legge il proprio dissenso nei confronti della globalizzazione; esso si limita tutt’al più a farne menzione. Non sono oggetto del presente esame neppure i gruppi di oppositori e di esiliati di Paesi specifici che in passato hanno sfruttato conferenze internazionali per i loro fini, ad esempio per sferrare attacchi contro i rappresentanti dei rispettivi Paesi d’origine. 2. Contestazione della globalizzazione 2.1. Origini Le radici dell’attuale movimento anti-globalizzazione vanno ricercate da un canto nella ribellione zapatista messicana, esplosa il 1º gennaio 1994 in concomitanza con l’entrata in vigore del Trattato di libero scambio nordamericano (NAFTA). I negoziati OCSE (1995-1998) circa l’accordo multilaterale sugli investimenti (MAI), divenuti di pubblico dominio soltanto nella primavera del 1997, provocarono dal canto loro un’ondata di protesta mondiale da parte delle organizzazioni ambientaliste e di sviluppo, come pure delle associazioni di consumatori e dei sindacati. 2.2. Definizione di globalizzazione secondo gli oppositori Per i suoi avversari, la globalizzazione consiste nell’estendere all’intero pianeta un ordinamento economico capitalista fondato sulla concorrenza e sulla massimizzazione dei profitti e in cui le grandi multinazionali esercitano il loro influsso per il tramite delle strutture statuali. Agli occhi degli oppositori, la concentrazione del potere economico e dei suoi profitti contrasta con la solidarietà sociale e con gli interessi dei singoli Stati, la cui economia è lasciata in balia di entità non governative (si vedano ad es. gli accordi commerciali sui prodotti del Terzo mondo). Nuova critica di sinistra al sistema e al capitalismo Numerosi attori del movimento anti-globalizzazione si inseriscono nella tradizione della nuova sinistra o dei neomarxisti attivi principalmente negli Anni Settanta. Per tali 443 persone, riveste primaria importanza soprattutto la globalizzazione del capitale e del capitalismo in quanto sistema economico e sociale. Per i movimenti della sinistra classica, il capitalismo era ed è tuttora considerato un sistema economico che calpesta gli interessi degli sfruttati affinché i privati possano appropriarsi delle ricchezze prodotte quale plusvalore. La classe dominante che beneficia di tali ricchezze starebbe cercando di conservare ed espandere costantemente tale sistema (identificato nel neoliberismo) al fine di mantenere le disparità e garantire il proprio profitto. Per tale fascia di oppositori, la globalizzazione costituisce un progetto messo deliberatamente in atto dalla classe dominante per accrescere l’appropriazione del plusvalore prodotto e garantire la stabilità del sistema. La contestazione della globalizzazione da parte di tali gruppi può quindi essere vista come una rivisitazione della vecchia critica anti-mperialista al sistema e al capitalismo, risalente ai tempi in cui il mondo era diviso in due blocchi ideologici contrapposti. A tal proposito va rilevato che il termine di ‘‘sfruttato’’ non comprende più soltanto la classe operaia, come prevedeva la teoria marxista classica. Tale nozione abbraccia ora, a seconda dell’orientamento tematico degli oppositori, anche le donne, i bambini, i Paesi in via di sviluppo, l’agricoltura, i perseguitati e gli oppressi (minoranze etniche, linguistiche e religiose, dissidenti politici, ecc.) o addirittura gli animali e la natura in generale. In sintesi, l’azione degli attivisti di sinistra anti-globalizzazione è diretta principalmente contro tre obiettivi: le organizzazioni economiche e finanziarie sovranazionali e internazionali (in particolare OMC, FMI, Banca mondiale, ma anche l’UE e, in misura minore, l’ONU), le conferenze internazionali (ad es. G8, WEF), le multinazionali (in particolare quelle statunitensi, ad es. i grandi istituti bancari e le grandi aziende dell’alimentazione o informatiche). Secondo gli avversari della globalizzazione, le organizzazioni sovranazionali, le conferenze internazionali e le multinazionali (come pure le autorità politiche e le istituzioni dei singoli Stati) sono strumentalizzate e controllate dalle élite dominanti. Il passaggio dalla contestazione del sistema a quella della globalizzazione non è riscontrabile solo sul piano ideologico e teorico, ma anche sul piano fisico; spesso tra gli attivisti anti-globalizzazione si ritrovano le stesse persone o gruppi - o i loro diretti successori - che negli Anni Settanta erano attivi nelle cerchie neomarxiste contestatarie. Anti-americanismo ed ecologia Per numerosi attivisti, la globalizzazione si traduce tra l’altro nell’acquisizione di aziende locali da parte dell’economia più sviluppata e forte sul piano finanziario, vale a dire l’economia statunitense, le multinazionali americane o le organizzazioni sovranazionali controllate dagli Stati Uniti. Ne deriverebbe una graduale americanizzazione, dal profilo economico, sociale e culturale, dei vari sistemi economici mondiali. In altri termini, la globalizzazione sarebbe una forma di imperialismo strisciante statunitense. 444 Tale critica mossa alla globalizzazione va certo intesa quale corrente particolare e contemporanea all’interno della critica classica nei confronti del sistema, del capitalismo e dell’imperialismo prodotta dalle sinistre. Vi sono tuttavia anche punti di contatto con la multiforme contestazione anti-globalizzazione proposta dalle fasce conservatrici (si veda la sezione corrispondente). Un’altra corrente particolare della critica al sistema teorizzata dalla sinistra ècostituita dagli ambientalisti anti-globalizzazione. Secondo tali attivisti, la globalizzazione consiste nella strumentalizzazione e nello sfruttamento spregiudicati della natura e delle scienze naturali a fini di profitto (leggasi ingegneria genetica, esperimenti sugli animali, ecc.). Autonomi / gruppi anarchici I partiti e i gruppi anarchici perseguono per definizione il crollo delle strutture esistenti. Poiché ai loro occhi la globalizzazione è divenuta una realtà di fatto e, di conseguenza, si è innegabilmente tramutata in una struttura immanente, correnti anarchiche sono individuabili anche all’interno del movimento anti-globalizzazione. Tali correnti non si ispirano alle classiche ideologie neomarxiste, bensı̀ chiedono una fondamentale ridiscussione di tutte le strutture e dei valori dominanti, liberando completamente l’individuo dalle costrizioni immanenti al sistema. Nel mirino della contestazione delle correnti anarchiche non vi sono dunque i potenti o le élite economiche, bensı̀ le organizzazioni sovranazionali, le conferenze internazionali e le multinazionali, rispettivamente la globalizzazione in sé, quale fenomeno astratto, elementi ritenuti strutture immanenti che, in quanto tali, vanno abbattute. Critica di stampo conservatore Anche alcune cerchie conservatrici appoggiano il movimento anti-globalizzazione fermo restando che, nel presente contesto, il termine ‘‘conservatore’’ abbraccia tutti gli esponenti dell’arena politica miranti alla conservazione. Per la destra, la globalizzazione è vista da un lato come l’annullamento e la distruzione — inconsapevoli o sistematici — dell’autonomia, dell’autodeterminazione, della democrazia, delle differenze culturali e delle tradizioni dello Stato (nazione), dall’altro del commercio e dell’agricoltura locali. La sinistra, invece, non paventa in sé una perdita dell’autonomia dello Stato (nazione), bensı̀ quella delle proprie possibilità di partecipazione. In Svizzera è stato raggiunto un grado elevato di partecipazione politica ed economica. Agli occhi di tali oppositori, sul piano sovranazionale tali possibilità sono quasi totalmente assenti. Secondo le cerchie conservatrici anti-globalizzazione, a prescindere dalla loro collocazione politica, le organizzazioni sovranazionali, le conferenze internazionali e le multinazionali minacciano la sovranità dello Stato (nazione), la democrazia, le differenze culturali e le tradizioni, come pure le possibilità locali di partecipazione politica ed economica. 445 Malcontento senza una matrice specifica In particolare le proteste di massa contro la conferenza dell’OMC di Seattle, nel novembre/dicembre 1999, coalizzarono non solo le fazioni più diverse, ma anche gruppi di persone non organizzati o addirittura individui in sé apolitici che spesso non avevano affatto idea di quali fossero i compiti, le strutture e le procedure dell’OMC. Per tali attivisti, la parola ‘‘globalizzazione’’ rappresenta in modo indifferenziato l’intera gamma dei mali e dei pericoli mondiali: povertà, fame, lavoro minorile, manipolazione genetica, distruzione dell’ambiente, tagli salariali, egemonia. A tali ingiustizie, designate specificamente, si sovrappone poi un’ulteriore dimensione: per tali persone, la parola ‘‘globalizzazione’’ è sinonimo di un sentimento generico e indefinito di insicurezza personale, di dipendenza e di impotenza nei confronti dei processi politici, economici e sociali. In tal caso, la globalizzazione è il capro espiatorio e la personificazione di un malessere personale. Ancor più difficile da comprendere è poi l’attuale elevata propensione dei giovani alla violenza. La violenza giovanile si manifesta spesso, inoltre, con accessi di rabbia apparentemente priva di senso e diretta contro oggetti oppure in forme di estrema aggressività nei confronti delle persone. Ne consegue — a prescindere dal retroterra politico o ideologico — un aumento degli atti di vandalismo perpetrati in occasione di eventi pubblici, quale che sia la natura di questi ultimi. 2.3. Obiettivi del movimento anti-globalizzazione La strategia degli avversari della globalizzazione, ammesso che si possa parlare di una strategia comune e consapevole nel vero senso della parola, può essere sintetizzata nel modo seguente: A breve termine, è necessario perturbare o addirittura impedire lo svolgimento di eventi specifici come conferenze, vertici o convegni di organizzazioni sovranazionali o di multinazionali. Occorre poi arrecare danno alle singole aziende, ad es. mediante il boicotto, il danneggiamento materiale o attacchi informatici da parte di hackers. A medio termine, si mira allo scioglimento o quantomeno alla riforma e alla democratizzazione, in uno dei sensi proposti e auspicati dagli attivisti anti-globalizzazione, delle organizzazioni sovranazionali o delle conferenze come l’OMC, il FMI o il WEF. Lo screditamento specifico di località o Paesi ospitanti può essere perseguito quale strumento atto al conseguimento di tali riforme o addirittura quale obiettivo in sé. A lungo termine, occorre istituire e sviluppare meccanismi di decisione sovranazionale alternativi, come pure ridimensionare o addirittura eliminare le disuguaglianze sociali, economiche ed ecologiche tra gli Stati e all’interno di essi. Gli specifici obiettivi di lungo termine dei singoli attivisti differiscono in modo più o meno consistente a seconda dell’orientamento politico e del campo d’attività. Detti obiettivi possono essere descritti soltanto in modo sommario; anche gli strumenti destinati al raggiungimento degli obiettivi sono raramente esposti con chiarezza e secondo una strategia coerente. 446 3. Composizione del movimento di protesta Gli attivisti anti-globalizzazione formano una ‘‘coalizione ad hoc dalla molteplice matrice ideologica’’, la cui base consensuale consiste nel rifiuto dell’attuale forma di globalizzazione economica. Una delle altre caratteristiche principali è costituita dall’interconnessione e dalla cooperazione sovranazionali. 3.1. Categorie In linea di principio, i rappresentanti del movimento provengono dai gruppi più diversi, i quali possono essere sommariamente inseriti nelle categorie seguenti. Una porzione significativa di essi si occupa principalmente del tema dei rapporti Nord-Sud (cooperazione allo sviluppo, gruppi di solidarietà a favore di Paesi dell’America latina o mediorientali). A causa della recessione e della crisi economica, sono coinvolti dall’oggetto della protesta anche i gruppi che si occupano di questioni sociali (associazioni di disoccupati, gruppi che s’impegnano a favore dei diritti della donna, cooperative locali). Sono universalmente rappresentati da diverse formazioni militanti anche le associazioni di protezione degli animali e dell’ambiente. Gli autonomi provenienti da centri locali autogestiti partecipano spesso anche alle dimostrazioni concernenti altri temi. I loro locali servono spesso da luogo di riunione per sedute di preparazione e fungono da luogo di incontro o di ritrovo per altri gruppi o singoli individui. Una porzione importante di partecipanti è reclutata all’interno di gruppi anti-fascisti di estrema sinistra. Nell’ambito di tali cerchie, l’uso della forza è spesso ritenuto un mezzo legittimo per il raggiungimento di un obiettivo (si veda più sotto). Gli anarco-sindacalisti recitano un ruolo di primo piano soprattutto nel resto d’Europa, dove la loro ideologia può vantare profonde radici storiche. I gruppi anti-globalizzazione ‘‘puri’’ si occupano principalmente della globalizzazione e delle sue ripercussioni negative. La loro fondazione risale perlopiù alla seconda metà degli Anni Novanta. 3.2. Forme di organizzazione All’interno del movimento anti-globalizzazione sono riconoscibili quattro strutture organizzative principali, le quali si distinguono per il diverso grado di coesione. I gruppi preesistenti e permanenti che, a fianco di altre problematiche, si occupano della globalizzazione in modo più o meno intenso, impegnandovisi di conseguenza. Rientrano in tale categoria in particolare i gruppi di estrema sinistra, i quali considerano la globalizzazione una nuova forma di oppressione e di sfruttamento capitalista. I gruppi sorti sulla scia dell’opposizione alla globalizzazione, spesso fondati in occasione di una conferenza corrispondente e da allora dotati di strutture permanenti. Tali associazioni costituiscono un’alleanza internazionale, dai legami perlopiù alquanto tenui, di organizzazioni preesistenti attive in Paesi diversi. Ai fini dell’adesione a tale ‘‘associa- 447 zione mantello’’, riveste importanza essenziale la presenza di un consenso minimo su determinati principi. Spesso, esse si servono di reti aperte, le quali offrono le infrastrutture necessarie alla comunicazione e al coordinamento. A volte si assiste alla costituzione di sezioni nazionali o regionali, le quali si esprimono sia in patria che all’estero sulle ripercussioni a loro dire negative della globalizzazione. Le reti ad hoc, che si attivano soltanto in occasione di eventi specifici o periodicamente e sono in parte composte di rappresentanti di altri gruppi permanenti. In occasione di un evento determinato, tali alleanze assolvono perlopiù compiti di coordinamento e logistici sul piano locale (viaggio, alloggio, organizzazione di centri di ritrovo presso i luoghi della protesta, raccolta di informazioni, ecc.). Nei restanti periodi dell’anno, spesso tali reti esistono soltanto virtualmente, sotto forma di sito Internet. I gruppi di lavoro ad hoc, costituiti in occasione di eventi determinati. Tali pool, denominati anche gruppi d’affinità, si costituiscono spontaneamente e adempiono a incarichi determinati all’interno della rispettiva organizzazione di protesta, ad esempio l’attività autonoma di contro informazione o l’informazione mirata di altri mass media, l’organizzazione della dimostrazione o di altre attività, ecc. 4. La questione della violenza La grande maggioranza degli attivisti anti-globalizzazione sostiene le proprie rivendicazioni in modo pacifico (esempio: il 21.4.2001 a Quebec City si sono contati oltre 30’000 dimostranti pacifici contro appena 2’000 teppisti). Il fatto che numerosi gruppi che agiscono principalmente o esclusivamente in modo pacifico non si distanzino in modo chiaro e coerente dall’uso della violenza non consente tuttavia di operare una chiara distinzione tra l’ampia maggioranza dei gruppi pacifici e l’esigua minoranza dei violenti. 4.1. Legittima difesa o addirittura strumento indispensabile? Le cause relative vanno ancora una volta ricercate nel retroterra neomarxista su cui poggia l’azione di una parte degli attivisti. Già secondo la nuova sinistra degli Anni Settanta, ciascuna azione diretta contro gli organi dello Stato, fosse essa pacifica o meno, era espressione di una reazione legittima alla violenza: la vera violenza originaria era infatti esercitata dall’apparato statale e dalla classe dominante (violenza strutturale). Gli odierni attivisti anti-globalizzazione ricorrono a un’argomentazione analoga: la violenza propriamente detta — nei confronti di individui svantaggiati, di fasce della società, di Stati o della natura — è opera delle organizzazioni sovranazionali, delle multinazionali e della classe dominante (sul piano economico e politico). Di conseguenza, il ricorso alla violenza nella lotta contro tali ingiustizie non sarebbe nient’altro che legittima difesa, logica e inevitabile conseguenza di un sistema in sé violento. Gli attivisti dell’ala anarchica, invece, non ricorrono ad argomentazioni analoghe — il 448 loro scopo principale è la liberazione dell’individuo da tutte le imposizioni del sistema e la lotta contro le strutture immanenti. Per poter raggiungere tali obiettivi e produrre in tal modo una società migliore, ogni mezzo è legittimo. In sé, anche il principio della non violenza e la morale politica predominante sarebbero poi parte delle strutture immanenti e quindi, secondo logica, il loro sovvertimento non solo è auspicabile, ma addirittura necessario. Per ragioni di solidarietà e di lealtà, altri gruppi moderati e sino ad ora pacifici non hanno sino ad oggi volutamente preso le distanze dal ricorso alla violenza in quanto, a detta di tali formazioni, i loro obiettivi sono gli stessi dei gruppi violenti e possono essere raggiunti soltanto con l’azione congiunta di tutti gli attivisti. Non ci si può quindi permettere che il fronte anti-globalizzazione si spacchi a causa di divergenze sulle modalità d’azione. 5. Modalità d’azione / modelli d’intervento Gli eventi che hanno fatto da cornice alle conferenze internazionali hanno dimostrato che le forme di protesta violenta sono organizzate e pianificate in modo professionale. In tale contesto, recitano un ruolo non trascurabile soprattutto i ‘‘professionisti delle dimostrazioni’’ che operano in loco quali ‘‘istruttori’’. Se si tralasciano alcuni dettagli, l’azione si svolge sempre secondo il modello seguente. 5.1. Preparazione in vista di un evento Per la mobilitazione gli attivisti anti-globalizzazione fanno capo ai mezzi di comunicazione moderni; mediante Internet e la posta elettronica, ad esempio, viene lanciato un appello a partecipare alla dimostrazione e a compiere azioni. A seconda dei casi, si organizzano incontri preparatori sul piano nazionale e internazionale già diversi mesi prima dell’evento ufficiale. Da un lato, tali convegni servono ad allacciare contatti tra i diversi gruppi, dall’altro consentono di assegnare in anticipo determinate funzioni mediante la suddivisione dei compiti. Agli incontri che hanno luogo poche settimane prima dell’evento sono spesso presenti istruttori specialisti, i quali assicurano la formazione dei futuri dimostranti, istruendoli sulle forme di protesta più efficaci dal profilo mediatico. Sono costituiti in anticipo anche piattaforme d’azione e gruppi di lavoro (gruppi d’affinità). Si tratta di norma dei gruppi seguenti: logistica (alloggio, finanze, procacciamento del materiale), media (informazione e influenza sui media), tattica e procedure (preparazione della dimostrazione e formazione relativa, altre azioni), consulenza giuridica (comportamento nei confronti della polizia, durante il viaggio e il passaggio della frontiera, assistenza giuridica in caso di necessità), manifestazioni generiche (eventi culturali, concerti, ecc.). Taluni team, soprattutto i responsabili dei rapporti con i media, danno inizio alle loro attività già svariate settimane prima dell’evento in questione, con l’obiettivo di dare all’informazione nazionale e internazionale un indirizzo a essi favorevole (cfr. appendice: struttura organizzativa tipo degli attivisti anti-globalizzazione). 449 Si procede infine alla creazione di centri di ritrovo e d’informazione (centri di convergenza). Tali centri offrono alloggio ai partecipanti alla protesta arrivati in loco in anticipo e fungono da centro di informazione e di coordinamento durante le dimostrazioni. È emerso che tali centri recitano un ruolo di primo piano in particolare per quel che concerne lo svolgimento di azioni di protesta con un’ampia partecipazione di dimostranti, flessibili e/o che si svolgono nell’arco di più giornate. Risulta invece arduo individuare e controllare l’organizzazione clandestina interna, la quale è assicurata mediante la posta elettronica e incontri segreti. In tale ambito le azioni violente vengono a volte discusse e pianificate già in una fase antecedente. Colui che intende prendere parte a tali incontri deve di norma identificarsi. A volte, tali pianificazioni segrete si tramutano in atti di sabotaggio o in altre azioni intimidatorie, le quali sono parte integrante della strategia di disturbo. In tal modo, si intende indurre il maggior numero possibile di rappresentanti a disdire la loro partecipazione alla conferenza, ridimensionando l’importanza di quest’ultima o provocandone l’annullamento. 5.2. Azioni durante l’evento Parallelamente all’evento ‘‘ufficiale’’, nei luoghi in cui questo si svolge o nelle immediate vicinanze hanno luogo i cosiddetti ‘‘Global Actions Days’’. Tali manifestazioni comprendono veglie di protesta, conferenze, concerti e altri happenings. I gruppi violenti sfruttano la protezione offerta dalla dimostrazione, in sé pacifica, per l’attuazione delle proprie scaramucce urbane. Un centro di ritrovo, sito nelle immediate vicinanze del luogo di protesta e munito di e-mail e telefoni cellulari, funge spesso da vera e propria centrale operativa preposta alla direzione delle singole cellule mobili (‘‘cluster’’). In tale contesto, si compiono azioni anche in aree più lontane il cui legame con l’evento vero e proprio è soltanto indiretto, il che rende difficilmente prevedibili le suddette azioni. Un elemento chiave della strategia degli attivisti anti-globalizzazione è costituito dall’attività di contro informazione. Tale attivitàè spesso garantita in modo permanente e in tempo reale, lungo tutto l’arco dell’evento, da un servizio stampa autonomo, tra le cui fila figurano a volte professionisti retribuiti. A seconda delle possibilità, si provvede inoltre anche a fornire ad altri media informazioni selezionate e materiale audio e video. Tale materiale, sfruttato a sostegno della posizione dei dimostranti, documenta la reazione della polizia alle provocazioni e scredita le misure di sicurezza adottate. Gli attivisti anti-globalizzazione ‘‘rimasti a casa’’ organizzano infine azioni dimostrative di solidarietà all’interno dei rispettivi Paesi. Tali proteste prendono spesso di mira edifici del Paese ospitante l’evento (rappresentanze diplomatiche, succursali di imprese, ecc.). 5.3. Nuove forme di azione Negli anni scorsi sono state riscontrate nuove forme di protesta: 450 ‘‘Tute Bianche’’: dimostranti in tute da lavoro bianche e muniti di spesse imbottiture che cercano di forzare il cordone di polizia caricandolo come un ariete. ‘‘Reclaim the Streets’’: le vie (di circolazione) pubbliche vengono occupate illegalmente per tenervi delle feste. ‘‘Free Train Actions’’: i dimostranti organizzano viaggi in treno fino al luogo della protesta senza pagare quanto dovuto per il trasporto. ‘‘Azioni su Internet’’: la rete offre nuove opportunità d’intervento. A fianco degli effettivi danni finanziari causati da tali azioni, non vanno sottovalutati i danni alla reputazione derivanti dalle lacune palesate nel dispositivo di sicurezza. Si tenta in tal modo di screditare organizzatori e organizzazioni. Attentati clandestini e atti di sabotaggio: in Svizzera hanno avuto luogo prevalentemente atti di sabotaggio contro infrastrutture. L’esempio delle azioni condotte dai militanti animalisti contro un’azienda di sperimentazione sugli animali in Gran Bretagna dimostra tuttavia che la cerchia degli oppositori è in grado di compiere azioni di più ampia portata. 6. Valutazione / possibilità di radicalizzazione 6.1. Su scala mondiale / internazionale Il potenziale di minaccia su scala mondiale va considerato stabile o in crescita. Per quel che concerne la capacità di mobilitazione, soprattutto in relazione con eventi che si svolgono periodicamente (ad es. l’assemblea primaverile del FMI e della Banca mondiale del 28./29.4.01), di recente si sono tuttavia avvertiti anche sintomi di affaticamento. 6.2. Rischio di radicalizzazione? Ci si chiede in sostanza con quale grado di probabilità e a quali condizioni i tumulti che fanno attualmente da cornice alle azioni di protesta pacifiche anti-globalizzazione potranno acuirsi o addirittura prendere la forma di un vero e proprio movimento terroristico. A tal fine, occorre operare una distinzione tra violenza pubblica, vale a dire i ben noti atti di teppismo, e violenza clandestina, in altri termini gli attentati terroristici in senso stretto, indipendenti da eventi concreti come conferenze o dimostrazioni. Nel presente caso, il rischio di una radicalizzazione consiste nella costituzione di uno zoccolo duro la cui azione assume i connotati della cospirazione. Movimenti terroristici di sinistra consolidati Taluni gruppi terroristici o estremisti attivi negli Anni Settanta si sono riciclati nella lotta anti-globalizzazione e prendono parte alle azioni di detto movimento. Ciò potrebbe avere conseguenze di due tipi: La contestazione della globalizzazione potrebbe fungere da nuovo fondamento ‘‘ideologico’’ e da giustificazione del loro programma, inducendoli a intensificare nuovamente l’azione. 451 Essi potrebbero mettere il loro know-how a disposizione di nuovi gruppi, dediti specificamente alla lotta anti-globalizzazione. Nuovi gruppi Si osserva una tendenza alla radicalizzazione di alcuni gruppi sorti dopo gli Anni Settanta con obiettivi politici distinti e di recente attivi anche in seno al movimento anti-globalizzazione. Un esempio è dato dall’Animal Liberation Front (ALF): la sua struttura, consistente in piccole cellule assai mobili e attive in numerosi Paesi dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, e la sua strategia di comunicazione ricordano quelle di talune formazioni terroristiche. Di fatto, l’ALF aveva già attirato su di sé l’attenzione negli Anni Ottanta, rendendosi protagonista di attentati dinamitardi professionali. Negli Anni Novanta, singoli esponenti europei e nordamericani hanno utilizzato mezzi ancor più radicali, come aggressioni fisiche, incendi e minacce sistematiche nei confronti di commercianti di pellicce, macelli, ristoranti, veterinari e istituti di ricerca medica. In sintesi, si può affermare che taluni gruppi sono dotati di una struttura che rammenta quella delle formazioni terroristiche. Detti gruppi sembrano inoltre essere in possesso del relativo know-how e, attraverso contatti diretti, potrebbe verificarsi un ulteriore trasferimento di conoscenze, esperienze e persone. Presupposti di un ulteriore radicalizzazione Alle condizioni seguenti, è possibile che si costituisca un nucleo di irriducibili disposti al ricorso alla violenza e all’utilizzo di strumenti terroristici: Gli attivisti anti-globalizzazione hanno la sensazione che le loro rivendicazioni continuino a godere di troppo scarsa considerazione, di modo che in essi si acuisce il sentimento di impotenza nei confronti del sistema politico, economico e sociale. La recessione mondiale in atto accresce le differenze di reddito (tra individui e/o Stati), la disoccupazione e lo sfruttamento delle risorse naturali, inasprendo le tensioni sociali e il sentimento generale d’insicurezza. Il ricorso alla violenza ai fini dell’affermazione di determinate rivendicazioni incontra sempre più il favore degli attivisti anti-globalizzazione pacifici e della popolazione o quantomeno è ritenuto meno riprovevole (tale tesi si afferma ad es. grazie all’argomento della legittima difesa). Il ventaglio di strumenti degli oppositori militanti continua a comprendere azioni di estremismo violento (tale evoluzione è probabile). Qualora tali condizioni dovessero realizzarsi, è possibile che nei prossimi 2-5 anni dagli esponenti di sinistra del movimento anti-globalizzazione scaturisca un nucleo di attivisti violenti - sia ciò il prodotto di un fenomeno a sé stante oppure il risultato di contatti con formazioni terroristiche di sinistra preesistenti e della loro ‘‘riattivazione’’. È invece meno probabile un’analoga evoluzione degli esponenti conservatori, poiché essi recitano un ruolo di secondo piano all’interno del movimento anti-globalizzazione e 452 hanno sempre rifiutato il ricorso alla violenza (tale affermazione non riguarda le formazioni di estrema destra, che il presente rapporto non si cura di analizzare più a fondo in quanto tali gruppi si occupano in modo tutt’al più marginale della critica alla globalizzazione). 6.3. Ripercussioni sulla sicurezza in Svizzera Alla luce del fatto che il movimento anti-globalizzazione travalica i confini nazionali, i meeting organizzati in Svizzera dovrebbero continuare a vedersi confrontati con tale fenomeno. I convegni nelle città maggiori o in zone di confine (Basilea, Berna, Ginevra, Zurigo) sottendono rischi supplementari a causa del ‘‘turismo delle dimostrazioni’’. 7. Possibilità d’azione / raccomandazioni 1. Occorre promuovere il dialogo con gli attivisti pacifici e prestare maggiormente e più seriamente attenzione alle loro rivendicazioni. Quale segno di buona volontà da parte della Confederazione, tale disponibilità al dialogo non dev’essere professata soltanto nei confronti dei gruppi che hanno chiaramente preso le distanze dal ricorso alla violenza, ma anche nei confronti delle formazioni che, pur non essendosi distanziate dall’uso della forza, non si sono tuttavia rese protagoniste di atti di violenza. 2. La radicalizzazione degli attivisti anti-globalizzazione va scongiurata mediante un aperto dibattito politico sulla problematica della globalizzazione. 3. La cooperazione nazionale e internazionale va intensificata al fine di scambiare informazioni e dati sulle organizzazioni e le attività degli attivisti violenti. 4. In caso di avvenimenti gravi, gli organi incaricati della salvaguardia della sicurezza (polizia, autorità preposte al controllo delle frontiere, giustizia) devono poter disporre di strumenti incisivi che permettano loro di procedere in modo efficace e, se possibile, preventivamente contro agitatori riconosciuti. Tali strumenti devono comprendere anche misure preventive contro gli appelli alla violenza o ad altri reati lanciati per il tramite di canali diversi (provvedimenti contro i gestori o gli offerenti di siti Internet nonché contro produttori e distributori di materiale propagandistico, ecc.). 5. In materia di estremismo politico violento, vale lo stesso principio applicabile al terrorismo: la contromisura più efficace è la prevenzione. Occorre pertanto istituire le basi legali e approntare le risorse necessarie a garantire una prevenzione efficace, e ciò prima che si sia costituito un nucleo di attivisti violenti. 453 9. DOCUMENTO N. 5 RELAZIONE SULL’ESTREMISMO ANARCO-COMUNISTA IN GERMANIA Left-Wing Extremist Endeavours I. Overview Left-Wing Extremist Developments The ultimate aim of left-wing extremists is to eliminate the existing legal and social order of the Federal Republic of Germany — which they defame as capitalist, imperialist and racist — and to replace it by a totalitarian socialist/communist society or by what they see as a society ‘‘free from rulers’’ — i.e. anarchy. Extreme left-wing political action is determined by revolutionary/Marxist or anarchistic ideologies. The action forms chosen by some groups range from public rallies and open agitation (with flyers, placards, periodicals, electronic communication media) to attempts at gaining influence in bodies and institutions of society and to participation in elections; other groups see infractions of the law, including acts of violence committed openly or covertly (e.g. vandalization, violent riotous assemblies, bodily injuries) as a way of achieving their political objectives.As compared to the previous year, the total number of acts of violence rose not insignificantly. Arson attacks which were covertly prepared and carried out, and the persistently large number of bodily injuries and breaches of the public peace are clear indications of the unbroken large violence potential of left-wing extremists. The public debate on how to fight extreme right-wing endeavours more effectively has not induced leftwing extremists to step up their activities against — actual or supposed — rightwing extremists; rather, the number of such acts of violence remained constant. As in previous years, the major part of militant actions were carried out by the ‘autonomist’ scene, a heterogeneous movement without a uniform ideological/strategic concept, but in agreement on their readiness to use violence, in accordance with their tactical assessment of the ‘‘scope for effectively mediating their intentions’’. However, the activities centred on the various issues of controversy/confrontation did not always trigger the expected response and mobilization. Despite problems due to structural differences, traditionally revolutionary-Marxist organizations, such as the Deutsche Kommunistische Partei (DKP — ‘‘German Communist Party’’) and the Marxistisch-Leninistische Partei Deutschlands (MLPD — ‘‘Marxist-Leninist Party of Germany’’), continued to focus on continuously pursued class struggle, to culminate in the revolutionary break with existing conditions, but their public effect and influence is almost nil.On the other hand, the Trotzkyite Linksruck-Netzwerk [‘‘Left-Swing Network’’] was very much in evidence, at least optically, during many protest actions and, on these occasions, succeeded in systemati- 454 cally recruiting young members. So far, the Partei des Demokratischen Sozialismus (PDS — ‘‘Party of Democratic Socialism’’) — adapted to the political party system in the Federal Republic of Germany and accepted in many cases — has not altered its ideological/ political profile. The new PDS Chairperson expressly spoke out against any ‘‘social-democratization’’ of the Party (cf. Chapter IV, no. 2.1, below) and against the ‘‘path of reconciliation with the powers that be’’. II. Overview in Statistics 1. Organizations and Members/Supporters In 2000, the structure and manifestations of organized left-wing extremism did not change much as compared to the previous year. Membership gains have not entirely set off the losses experienced by individual groups; the overall number of members/ supporters has slightly fallen.At the end of 2000, after deduction of multiple membership cases, about 33,500 persons (1999: 34,200) were reckoned among the membership of such organizations and other associations which are found to pursue left-wing extremist endeavours. This also includes supporters of the Kommunistische Plattform (KPF — ‘‘Communist Platform’’) of the ‘‘Party of Democratic Socialism’’ (PDS) who are estimated to number up to 2,000. The PDS, according to its own figures, has some 88,600 members (1999: 94,000). At the end of 2000, the spectrum of left-wing extremists willing to use force — mainly in groups of anarchistic orientation — comprised up to 7,000 persons, of whom about 6,000 usually identify themselves as ‘autonomists’. In the case of Marxist-Leninist, Trotzkyite and other revolutionary-Marxist associations, developments took a different course: some groups attracted new supporters while others had to face losses. Altogether, these organizations had about 27,000 members. In some sectors, they are supported by organizations under extreme left-wing influence, which numbered some 14,500 members at the end of that year. Groups Violence-in clined left-wing extremists **) Marxists-Leninists and other revolutionary Marxists ****) Core and subsidiary organizations influenced organizations Total Left-Wing Extremist Potential *) 1998 1999 Persons Groups Persons 66 7,000 65 43 28,400 44 34 143 35,400 18,000 34 18,000 143 455 7,000 ***) 61 27,700 34,700 Groups 43 18,000 34 18,000 138 2000 Persons 7,000 ***) 27,000 15,000 34,000 15,000 Groups After deduction of multiple membership cases 1998 Persons approx. 34,700 1999 Persons Groups approx. 13,500 approx. 34,200 Groups approx. 13,500 2000 Persons approx. 33,500 approx. 11,500 ‘‘Party of Demoapprox. approx. approx. cratic Socialism’’ 96,500 94,000 88,600 (PDS) *****) Some of these figures are estimated and rounded off. The statistics do not only include identified perpetrators or suspects, but also those left-wing extremists in whose case there are only indications suggesting their willingness to use violence. Included are only groups which have firmly established structures and have been active for some time. The mobilization potential of the ‘‘scene’’ includes an additional number of several thousands. Including the KPF (‘‘Communist Platform of the PDS’’). To these are added the members of other left-wing extremist groups within the PDS. On account of its ambivalent appearance, the PDS is listed separately in the above table. 2. Criminal Offences / Acts of Violence In 2000, left-wing extremists again committed criminal offences in order to attain their political aims; such offences included arson and property damage to the amount of millions of deutschmark. The number of criminal offences in which left-wing extremists were identified — or, in view of the circumstances of the given offences, were suspected — as the perpetrators or as accomplices, increased by 4% to 3,173 (1999: 3,055). These included 827 acts of violence (1999: 711); this represents an increase by about 16%. The number of militant actions against right-wing extremists, or supposed right-wing extremists, i.e. 300 actions, remained constant as compared to the previous year (299). The following overview only conveys an incomplete picture of the actual extent of extreme left-wing violence; on account of the often incomparable forms and targets of violence — street militancy on the part of left-wing extremists, while right-wing extremist attacks are often targeted against individuals — a comparison with criminal offences in the extreme right-wing area can be made to a limited extent only. Also, the penal provisions applying to left-wing extremism are not as far-reaching as those regarding so-called ‘propaganda offences’ committed in an extreme right-wing context. Overview of Acts of Violence and Other Criminal Offences with Proven or Suspected Left-Wing Extremist Background *) 1999 2000 Acts of violence: Homicide Attempted homicide Bodily injury Arson Causing a detonation by explosives Breach of public peace Dangerous interventions with railroad, air, ship and road traffic 0 0 215 68 0 269 19 456 0 4 260 58 1 321 44 1999 2000 Resistance to law enforcement personnel 140 139 Total Other criminal offences: Criminal damage to property Coercion/th reat Other offences 711 827 1,246 73 1,025 1,292 75 979 Total 2,344 2,346 Total number of offences 3,055 3,173 *) The figures are based on data provided by the Federal Office of Criminal Police (Bundeskriminalamt BKA) (as of 1 February 2001). This overview includes both committed and attempted offences. Each offence was counted only once. For instance, if during a breach of the public peace, bodily injury offences were committed at the same time, only the breach of the public peace is shown as an offence in the statistics. If several criminal offences were committed, only the more serious offence was counted. Acts of Violence with Proven or Suspected Left-Wing Extremist Background Targets — Total, of which: — left-wing extremism against right-wing extremism — anti-NPP campaign — other extremist targets [left column right column] 1 Jan. - 31 Dec. 1999 1 Jan. - 31 Dec. 2000 Acts of Violence with Proven or Suspected Left-Wing Extremist Background in the Länder — 1 Jan. - 31 Dec. 2000 — 1 Jan. - 31 Dec. 1999 Berlin Lower Saxony North Rhine/Westphalia Baden-Wurttemberg Hamburg Bavaria Saxony Hesse Brandenburg Saxony-Anhalt Thuringia Mecklenburg-Western Pomerania Bremen Rhineland-Palatinate Saarland Schleswig-Holstein Acts of Violence with Proven or Suspected Left-Wing Extremist Background per 100,000 inhabitants — by Land — 1 Jan. - 31 Dec. 2000 — 1 Jan. - 31 Dec. 1999 [replace commas in all figures by points, e.g. Berlin 11.65] Berlin Hamburg Schleswig-Holstein Lower Saxony Saxony Bremen Brandenburg 457 Saxony-Anhalt Thuringia Hesse Baden-Wurttemberg Mecklenburg-Western Pomerania North Rhine/Westphalia Bavaria Rhineland-Palatinate Saarland Overview of Acts of Violence committed by Left-Wing Extremists against Right-Wing Extremists or Supposed Right-Wing Extremists 1999 2000 Homicide 0 0 Attempted homicide 0 3 Bodily injury 141 177 Arson 20 22 Causing a detonation by explosives 0 1 Breach of public peace 108 81 Dangerous interventions with rail3 3 road, air, ship and road traffic Resistance to law enforcement personnel 27 13 total 299 300 *) The figures are based on data provided by the Federal Office of Criminal Police (Bundeskriminalamt — BKA) (as of 1 February 2001). III. Violent Left-Wing Extremism Also for the year 2000, it is to be noted that — since the dissolution of the ‘‘Rote Armee Fraktion’’ (RAF — ‘‘Red Army Faction’’) — no extreme left-wing/terrorist structures capable of action 139) have developed in Germany, which would have been able to plan and carry out serious attacks, including murder. However, the internal security of the Federal Republic of Germany continues to be threatened by violence-inclined leftwing extremists, especially from the anarchistically oriented ’autonomist’ scene. Within that scene, small groups have formed, which mostly — for reasons of protection against penal prosecution — no longer operate under a uniform ’trade-mark name’ and, instead, carry out attacks under constantly changing designations (’no-name’ militancy, ’noname’ terrorism; cf. no. 1.4 below). Structure: groups exist in almost all major cities, especially in the conurbations of Berlin, Hamburg and the Rhine-Main area, but also in smaller university cities like Göttingen Supporters: up to 7,000 (as in 1999) Publications: more than 50 scene publications; of particular importance are papers such as ‘‘INTERIM’’ (Berlin) and ‘‘RAZZ’’ (Hanover), but increasingly also ‘‘youth journals’’ which for the major part are distributed free of cost 458 1. ’Autonomists’ 1.1 Potential / Self-Perception / Action Forms / Media Autonomists: the largest potential of left-wing extremists prepared to use violence For years, the number of persons considered to belong to the militant ’autonomist’ scene — nationwide more than 6,000 — has remained at more or less the same level despite a slight decline in numbers; losses resulting from ‘‘withdrawal to private life’’ are largely set off. ’Autonomists’ continue to form the by far largest share of the overall potential in the field of violence-inclined leftwing extremism, and are responsible for the majority of acts of violence with left-wing extremist motives (including bodily injury and covertly prepared arson attacks). A pertinent characterization of the autonomists’ self-image was given by two former members of the scene which is a heterogeneous movement without a uniform ideological or strategic concept: ‘‘Autonomists represent a conglomerate mainly of Sponti and Italo hotch-potch groups. Catchphrases of the autonomist movement — which are given varying meanings and substance by the various sub-groups — are: self-determination, first-person politics, collective identity versus individual identity, solidarity, action takes priority over theory, no hierarchies, socialrevolutionary, everyday changes, independence ... and various anti-attitudes such as anti-imperialism and anti-Fascism. Positive attitudes are — more often than not — more difficult to define and refer to free spaces and to counterculture blueprints for the fields of music and arts, and for living and working together.’’ Agreement on the willingness to use violence ’Autonomists’ base their efforts on diffuse fragments of anarchistic and Communist ideology and propagandize resistance against public authorities, and disrespect of regulatory systems. An ‘‘anti-fascist’’, ‘‘anti-capitalist’’ and ‘‘anti-patriarchal’’ attitude is taken as the consensual basis. They find their ‘‘free private spaces’’, for instance, in flat-sharing communes of like-minded people, often in squats or ‘‘legalized’’ houses. Despite all differences: ’autonomists’ are agreed on the willingness to use violence in enforcing their political aims. This is justified as the allegedly required counter-violence against the ‘‘structural violence’’ of a ‘‘system of coercion, exploitation and oppression’’. This approach is illustrated very clearly by a ’position paper’ distributed in the spring of 2000 by a group describing itself as clandestine: ‘‘As we see it, the need for militant practice derives already from the ... political situation. ... By this, we don’t only refer to covert, militant actions but to all forms of protest and resistance which, in terms of both ideology and practice, largely reject any dialogue with the System’s representatives. ... In our view, political militancy is the basis and prerequisite of the development of a new left-radical awareness.’’ (‘‘INTERIM’’, no. 502, of 13 May 2000, pp. 13 seqq.). The paper goes on to say that a victory over the existing system could be achieved only with ‘‘non-integrable forms and concepts of politics’’. 459 Types of action by militant ’autonomists’ The forms of ’autonomist’ violence are many and various: it is directed against objects or persons (e.g. right-wing extremists, police officers, ‘‘henchmen’’ and ‘‘profiteers of the System’’), is either committed spontaneously or planned covertly on the long term, and ranges from destructive acts directed at cars and buildings, attacks on ‘‘Nazis’’ and their infrastructure, militant anti-NPP [‘‘nuclear power plants’’] actions and violent demonstrations involving use of stones and other missiles, to arson and bomb attacks. For ’autonomists’, an important criterion in selecting forms and targets of action basically is the extent to which the given action will ‘‘mediate their intentions’’. They often orient themselves by changing issues of controversy and confrontation; and they join current campaigns in order to bring the subject-matter of such campaigns to the centre of public awareness and to ‘‘accompany them with militant actions’’. In a round of talks on the ‘‘future of militant politics’’, an activist calling himself ‘‘Antonio’’, in placardstyle, described his own experience in this area: ‘‘We have had an active part in all sorts of issues, ranging from Antifa [anti-fascism] and anti-racist activities to antistate and anti-capitalist campaigns. ... Wherever there is a hotspot, wherever a lot is happening, wherever socialist movements and campaigns exist, there will be support rendered with militant means and intervention.’’ (‘‘INTERIM’’, no. 498, of 30 March 2000, p. 5) Street riots A special form of violence are street riots. On such occasions, ’autonomists’ often show up as so-called ‘‘black blocks’’, uniformly dressed in ‘‘combat gear’’ of martial appearance and wearing balaclavas [hatred hoods]. Street riots often are a sequel of protests against right-wing extremists and regularly occur in the course of demonstrations on the ‘‘Revolutionary 1st of May’’, especially in Berlin. In 2000, too, Berlin was the scene of major outrages. In the course of the riots following the demonstrations, police officers and operations vehicles were massively attacked with bottles, stones and fire crackers. Rowdies using ‘‘small groups’’ tactics erected barricades, set fire to containers, and vandalized bus stations. The clashes continued till late into the night.This ‘‘small groups’’ concept is seen by ’autonomist’ violent offenders as sound, time-tested tactics for causing the maximum of damage to property in the course of such street riots, with a minimum risk of being apprehended. In-scene ‘‘recommendations’’ state that inconspicuous groups of four or five could easily and quickly smash windows of banks and shops; and they could leave the scene of action long before the police would arrive there.When preparing for major militant demonstrations, ’autonomists’ increasingly make assessments beforehand of the relative strength of their own forces and those of the police. Thus, especially during protest actions against processions [meetings] of right-wing extremists, militant ‘‘Antifas’’ [‘‘anti-fascists’’] increasingly propagandize decentralized action concepts. By legal means, it is claimed, there practically was no way of preventing ‘‘Nazi rallies’’: Given the protection provided by the ‘‘cops’’, it was not possible during a demonstration to get at the ‘‘Nazis’’. Therefore, opportunities for effectively ‘‘becoming active’’ 460 often presented themselves only before or after rallies during the arrival and departure of participants. The aim was to cause as much material damage as possible to ‘‘Nazis’’, for instance damage to private cars or buses.‘‘Clandestine militant’’ action — i.e. attacks covertly prepared and carried out — is designed and planned much more methodically than mass militancy; such attacks — mostly directed against property — are often justified in letters claiming responsibility. Thus, in the night of 16/17 January, unidentified offenders who called themselves ‘‘militante zele’’ [‘‘militant cell’’] carried out an attack with incendiary devices, set for ignition time delay, on the power supply facility of an installation of the Bundesgrenzschutz (BGS — ‘‘Federal Border Police’’) in Berlin-Grunewald. The perpetrators stated that the reasons for their attack were the importance and function of the BGS in an increasingly insulated Europe; thus the BGS was a classical target of militant anti-racist politics: ‘‘The aim of our attack on a BGS structure is to make the violent nature of this racist institution visible and to identify it as such. We hope ... to have shown in this way that it is possible to put up resistance also to this project of the ruling establishment; moreover, the aim is to motivate others to take further action. Although these are times when little can be, or is, moved, militant interventions are an indispensable means for expanding left-radical experience and for implacably taking action against the ruling centres of power.’’ Media For communication purposes, the ’autonomist’ scene has always made use of its own media: in addition to the ‘‘time-tested’’ and, as before, most important methods of exchanging information the rough scene pu blications, i ntercon nected mailbox systems and ‘‘info shops’’ — ’autonomists’, of course, nowadays also make use of the Internet and of cellular phones. Modern information and cryptographic technologies — as well as the free-of-charge encryption software ’Pretty Good Privacy’ (PGP) — greatly benefit the largely clandestine activity of left-wing extremists, heighten their manoeuvrability, and make intelligence operations difficu lt for security authorities. 1.2 ‘‘Traditional’’ Autonomists The majority of militant ’autonomists’ can be assigned to the ‘‘traditional’’ category (as opposed to ‘‘organized’’, cf. no. 1.3 below). In line with their self-perception, ‘‘traditional’’ autonomists, as a matter of principle, display a hostile attitude towards hierarchies and organization; they reject authoritative decision-making bodies and powers to give instructions.Unlike most of the other left-wing extremist groups, ‘‘traditional’’ autonomists do not engage in specific recruitment of new members; newcomers to the scene must try on their own to make contacts and seek acceptance. In a discussion with militant comrades, a female activist pointed out the importance of new members/ supporters to the continued existence of the scene; she emphasized: 461 ‘‘that it is necessary to organize a transition, a ’change of the guards’; that political experience, structures and practical knowledge must be built up, but passed on as well. ... Only then will it be possible ... to pass the baton. This is the only way in which continuity of the basis can be ensured while further developing the underlying concepts.’’ (‘‘INTERIM’’, no. 498, of 30 March 2000, p. 10) However, the rejection of organization and hierarchies by this spectrum does not preclude violent action that is co-ordinated with regard to the targeted issues — and is deliberately ‘‘incalculable and uncontrollable’’. Often, on the sidelines or after the end of demonstrations, such eruptions of violence will occur where hooligans using ’small groups’ tactics cause considerable damage to property, e.g. to the buildings of banks and department stores (cf. no. 1.1 above). Lately, also the number of traditional ’autonomists’ increases who — in view of a phase of weakness, mainly in terms of concepts, undergone by the scene — advocate a more binding form of organization, especially as regards anti-fascist structures. Thus, a paper issued in September by the Leipzig ‘‘Bändnis gegen Rechts’’ [BgR — ‘‘Anti-Right Alliance’’] consisting of members of the ’autonomist’ scene stated: ‘‘If, as the BgR, we wish in the coming years to return to the past standard of involvement in politics, we will need a nationwide organization. ... In this way, we are renouncing our detached attitude towards the developments regarding the organization of nationwide Antifa’’. For the same reasons as well as for tactical reasons, increasing efforts are made to promote co-operation within alliances with other groups of society. Thus, in the scene paper ‘‘INTERIM’’ (no. 509 of 7 September, pp. 5 seqq.), ‘‘Autonome Traditions-Antifas’’ [‘‘Autonomous Tradition-Based AntiFascists’’] wrote: ‘‘If we could have an Antifa of our own design, it would be one working in continuous, responsive groups. ... Its tasks cover intensive youth work as well as nationwide networking and organization in order to bundle forces. Even though it is a wearisome and thankless job, the tasks of the Antifa include a permanent search for allies. ... In view of all these purposes, we consider militancy to be an indispensable instrument.’’ 1.3 ‘‘Organized’’ Autonomists AA/BO continues to be the most powerful organizational set-up Already in the early 90’s, criticism of the non-committal nature of ’autonomist’ structures and of the ephemeral approach taken by autonomist ‘‘politics’’ had led to intensive debates within the scene. Subsequently, various approaches were developed for testing so-called organizational models within the ’autonomist’ camp. While most other attempts very soon ended in failure, the organizational set-up which, until this day, has been the most important one is the militant ‘‘Antifaschistische Aktion/Bundesweite Organisation’’ (AA/BO — ‘‘Anti-Fascist Action/Nationwide Organization’’) founded in Wuppertal in the summer of 1992. The main organizational task as seen by the protagonists of this association was to 462 raise awareness of their tenets and positions. This included tactically motivated plans to make use of widecoverage media reporting, to issue press releases, to launch their own media activities (newspapers, events/meetings, broadcasting features) and to create a ‘‘counterculture’’ [alternative culture] intended to delineate alternatives for society in its entirety. At the end of 2000, AA/BO membership comprised seven groups, inter alia the ‘‘Antifaschistische Aktion Berlin’’ (AAB — ‘‘Anti-Fascist Action Berlin’’), the ‘‘Autonome Antifa (M)’’ from Göttingen, and the ‘‘Antifa Bonn/Rhein-Sieg’’. The AA/BO sees itself as a ’rally movement’ and as a ’counterbalance’ to the fragmentation of the left wing, and offensively propagandizes resistance against the existing ‘‘ruling system’’. Groups from the AA/BO, occasionally playing a prominent part, took part in many demonstrations, including violent ones. Thus, in November the AAB called upon supporters to participate in the Silvio Meier Demonstration143) which is held every year in Berlin — which in 2000 resulted in riots; this appeal included statements as the following: ‘‘We’ve had enough of it, and we won’t put up with the present state of affairs — not with Nazi terror and state — sponsored racism, not with Germany and, least of all, with capitalism! FOR a strong revolutionary youth movement! Together we own the future!’’ AA/BO ‘‘politics’’ continue to be characterized by ‘‘youth work’’ that reaches into schools. To this end, AA/BO makes use of ‘‘Jung-Antifa’’ [‘‘young anti-fascists’’] groups instructed by it and of publications under its influence.However, there are also many ’autonomists’ who disapprove of the AA/BO. One of the reasons in addition to the cadre-like structure is their behaviour which is perceived as a dominant manner. Often, they are reproached for patronizing and for monopolizing. In 2000, the AA/BO went through a distinct phase of weakness, which not only paralyzed its political work but also had an impact on its mobilization capability. The main reason for this development is the reproach made by parts of the ’autonomist’ Antifa scene to the AAB [‘‘Anti-Fascist Action Berlin] — one of the most important member groups of the AA/BO — for protecting a presumed rapist among their ranks and not having excluded him uncompromisingly. This ‘‘reproach with protection of an offender’’ triggered a policy debate on the subject of sexism, split the AA/BO into two camps, and in the meantime has resulted in the withdrawal of several groups from the Organization. At present, there is no telling whether this development will ultimately jeopardize the AA/BO’s continued existence, or whether the AA/BO will succeed in finding a way out of the crisis.An emerging organization existing side by side with the AA/BO, but with a less rigid orientation — the ‘‘Bundesweites Antifa-Treffen’’ (B.A.T. — ‘‘Nationwide Antifa Meetings’’) which was created in 1993 — failed, as in previous years, to become a significant alternative within the camp of organized ’autonomists’. 1.4 Autonomist Structures with Emerging Terrorist Elements In some areas within the ’autonomist’ camp, components have been active for years, which cross the line to terrorist violent action. These small groups operate clandestinely, 463 i.e. covertly, and from a basis of ‘‘legality’’ [instead of going underground]; the traces left by them after attacks seldom lend themselves to evaluation and analysis, and in order to protect themselves against penal prosecution, they give themselves constantly changing names in their letters claiming responsibility for actions.For them, militancy is the indispensable, direct expression of their antagonism toward the ‘‘System’’. Thus, in a letter claiming responsibility, a ‘‘militante autonome gruppe’’ [‘‘militant autonomist group’’] made the following statement with reference to an arson attack on the building of the Brandenburg Constitutional Court and of the Potsdam Administrative Court on 30 January: ‘‘For decades, there have been continuous repressive measures taken by the state against left-wing and left-radical structures in the FRG; but organized and militant resistance against such repression has been just as continuous. Therefore, we attacked ... an institution, which is representative of the state machinery and of its interest — legalized, as it were — in criminal prosecution, with an ignition-delayed incendiary device. ... In order to generate the required pressure, the various forms of resistance must key in with one another and mutually reinforce each other. A militant practice is an essential instrument in this undertaking.’’ (‘‘INTERIM’’, no. 493, of 10 February 2000, p. 18) In Hamburg, two ‘‘anti-racist’’ attacks were, within a period of a few days, committed against representatives of the ‘‘deportation machinery’’: — in the night of 9/10 March, unidentified perpetrators committed an arson attack on the car of a medical health officer who is responsible, inter alia, for assessing the eligibility of asylum-seekers for deportation; the car which was parked in the driveway to her house was gutted by the attack; her home was damaged; — in the night of 12/13 March, unidentified offenders threw stones and paint bottles at the home of the Chairman of the Board of [the German airline] Deutsche Lufthansa AG. In letters claiming responsibility — which obviously were written by the same persons — the victims were defamed as ‘‘accessories’’ and/or as profiteers of racist deportation practices; one of the letters goes on to say: ‘‘As long as they feel safe and stay undisturbed, they will lightheartedly continue to do their filthy job. ... One of the responses to the RZ/Rote Zora trial also is the continuation of militant attacks on the German refugees policy.’’(‘‘INTERIM’’, no. 497, of 23 March 2000, pp. 10 seq.) Year after year, attacks carried out by ’autonomist’ groups using a terrorist MO cause property damage and economic consequential loss to the tune of millions of deutschmark (arson and bomb attacks, sabotage against telecommunications and data networks and against high-voltage pylons, grapnel attacks on railway tracks of Deutsche Bahn AG [German Railways]). Such damage is regularly included by such perpetrators in their calculations. 464 2. Other Militant Left-Wing Extremists of Internationalist Orientation Action priorities: international networking concerning the ‘‘prisoner issue’’ In addition to the [militant] ’autonomists’, there is a second complex of violence-inclined left-wing extremists which comprises groups and individuals, mostly of anti-imperialist and internationalist orientation — mainly activists coming from structures once near to the ‘‘Rote Armee Fraktion’’ (RAF — ‘‘Red Army Faction’’), who see commitment to the cause of ‘‘political prisoners’’ and support for the Kurdish ‘‘liberation struggle’’ and also for the Kurdistan Workers’ Party (PKK) as their priorities for action. The set-up that for years has been the most active in this area is the initiative ‘‘Libertad!’’ which draws, inter alia, on the support of members of the Frankfurt group ‘‘Kein Friede’’ [‘‘No Peace’’]. As ‘‘Libertad!’’ sees it, the ‘‘prisoner issue’’ is the starting point for building an international network of ‘‘radical and revolutionary forces out of grassroots and liberation processes’’. In the summer of 2000, ‘‘Libertad!’’ — with a special issue of the newspaper ‘‘So oder So’’ [‘‘either this way or the other’’], the mouthpiece of the organization — launched a campaign against the introduction of ‘‘incommunicado detention and solitary confinement’’ prisons in Turkey. Under the motto ‘‘Kein Stammheim am Bosporus’’ [‘‘No Stammheim +) on the Bosporus’’], the article claims that, with the adoption of the European prison standard, political prisoners in Turkey were now faced with what ‘‘wellfortified democracy’’ in Germany — but also in France and Spain — has practised for quite some time already, i.e. maximum security wards, incommunicado detention and solitary confinement. ‘‘Libertad!’’ continues to say: ‘‘It is only by resistance and protest that solitary confinement can be prevented in Turkey. The special wards and incommunicado cells are, not least, inscribed in the revolts and struggles of the radical and militant left-wing movement of West Germany. ... The ‘Libertad!’ campaign calls upon all progressive-minded, democratic, left-wing initiatives and people to fight, with their ideas and capabilities, for the protection of prisoners and against incommunicado prisons.’’ ‘‘Kurdistan Solidarity’’ Another action priority — which continues to lose importance — in the anti-imperialist spectrum is support for the Kurdish liberation struggle and for the ‘‘Kurdistan Workers’ Party’’ (PKK). After the arrest of the PKK general chairman, Abdullah ALAN, in February 1999, the agitation and activities of German Kurdistan activists have been focussed on the death sentence passed against ALAN in Turkey and on his release. In local ‘‘Kurdistan Solidarity Groups’’ under the umbrella of Informationsstele Kurdistan (ISKU — ‘‘Information Office Kurdistan’’), militant left-wing extremists look after presumed PKK supporters detained in Germany, organize so-called human rights delegations to Turkey, and agitate against the Federal Government on account of its alleged support for Turkey in the fight against the PKK.Since the PKK’s policy shift which ALAN had pushed on from his prison — i.e. abandonment of the military option in favour of a political initiative - large segments of the German Kurdistan Solidarity 465 movement have undergone a ’crisis of meaning’ and an identity crisis. This applies, in particular, to those activists who — partly at a high personal risk — stayed in the Kurdish settlement area for training or combat operations with the PKK guerrilla; so far, the PKK has been their model for their own revolutionary struggle. On 28 November, a trial was opened by the Stuttgart Oberlan desgericht [Higher Regional Court of Appeal] against Andrea KLUMP who for many years had been on the wanted list as a presumed RAF member and had been arrested in Vienna on 15 September 1999. She is accused of membership in a terrorist association and of attempted murder. KLUMP previously — together with Horst Ludwig MEYER who also had been on the wanted list as an RAF member and who was killed during a shoot-out with police officers — had been apprehended by the police in Vienna. Since 17 October, two presumed former members of the Revolution Zelen (RZ — ‘‘Revolutionary Cells’’) 145) who had been arrested in 1999 and 1998, respectively, have been before the Frankfurt/Main Oberlandesgericht on charges of aiding and abetting murder and of jointly committed murder, respectively. The two were accused of having participated in the preparation and/or perpetration of the attack against the Conference of the oil ministers of the OPEC nations, held in Vienna in December 1975. In that incident, three security officers had been killed; the six-man terrorist command had been able to fly to Algeria, together with the OPEC Ministers as their hostages. 3. Traditional Anarchists Classical anarchistic ideas are propagandized, in particular, by groups of the — allegedly non-violent — ‘‘grassroots movement’’ and by the German section, Freie ArbeiterInnen Union (FAU — ‘‘Free Workers Union’’), of the internationally organized anarchosyndicalist Internationale ArbeiterInnen Assoziation (IAA — ‘‘International Workers Association’’ (IWA)). Membership of the grassroots spectrum — and of the FAU-IAA — is at present estimated to comprise about 180 persons. Regional focal points are Berlin, Hamburg and Hesse. Activities were initiated almost exclusively by the ‘‘grassroots movement’’. The ‘‘grassroots movement’’ comprises a large variety of socalled non-violent action groups, training collectives and other circles. The movement strives for ‘‘radical social upheaval’’ whereby ‘‘all forms of authority and dominion’’ are to be eliminated ‘‘by power from below’’. ‘‘Hierarchy and capitalism’’ are to be replaced by a ‘‘self-organized, socialist economic order’’. The state is to be replaced by a ‘‘federalist grassroots-democratic society’’. With the aim of destroying ‘‘state-authority and power structures’’, the movement’s supporters propagandize and practise the concept of ’civil disobedience’. While its activists in this context call themselves non-violent, they narrow the term of violence down to violence ‘‘causing injury to persons’’; acts of violence against property are considered legitimate.Priority subjects included the World Economic Summit in Prague (cf. Chapter V, no. 2, below), ‘‘anti-militarism’’ and resistance against peaceful nuclear activities (cf. Chapter V, no. 3, below).In the run-up to the campaign against the World Economic Summit, Internet items referred to the Europe-wide mobilization 466 of the European ‘‘grassroots movements’’. A ‘‘Prague Résumé’’ by a group which may be assumed to be part of the ‘‘grassroots movement’’ criticized the preparation and organization of the campaign and recommended the development of a nationwide network patterned on the U.S. ’Direct Action Network’ (DAN), and training ranging from ‘‘blockade and sabotage’’ to ‘‘communications guerrilla and Internet hacking’’. IV. Political Parties and Other Groupings 1. ‘‘German Communist Party’’ (DKP) and Periphery 1.1 Deutsche Kommunistische Partei (DKP — ‘‘German Communist Party’’) Founded: 1968 Headquarters: Essen (North Rhine/Westphalia) Chairman: Heinz STEHR Members: 4,500 (1999: 5,000) Publication: ‘‘Unsere Zeit’’ (UZ — ‘‘Our Times’’), circulation: 8,500; weekly 15 th Party Convention The most important event of the year for the DKP was its 15th Party Convention held in Duisburg-Rheinhausen on 2-4 June. The delegates endorsed the pre-Convention main motion submitted by the Party’s Executive Committee and entitled ‘‘Die DKP — Partei der Arbeiterklasse — Ihr politischer Platz heute’’ [‘‘The DKP — The party of the working classes — Its place in politics today’’] which was described by Nina HAGER, the subsequently elected new vice-chairperson, as an important building block for a new party programme. Another paper endorsed at the Convention is entitled ‘‘Handlungsorientierung: Widerstand gegen Kriegspolitik, Sozial-und Demokratieabbau’’ [‘‘Orientation for action: resistance against warmongering policies and against dismantling of the social system and of democracy’’] and, based on the ‘‘Thesen zur programmatischen Orientierung der DKP’’ [‘‘Propositions for programmatic guidance of the DKP’’] (1993) and on the 1996 ‘‘Action Programme’’, contains guidelines for political analysis and discussion in the near future. The positive response by foreign Communists, which as at preceding Party Conventions was considerable, is reflected by the participation of 33 ‘‘brother parties’’ and ‘‘liberation movements’’ from 30 countries; another 17 had sent messages of greeting. In — party tension — still experienced at the 14th Party Convention in 1998 - was no longer in evidence. The media took no notice of the event: the Party, which politically is largely isolated, has practically no place in public perception and awareness. The DKP has not changed its ideological orientation. In the endorsed main motion, it adheres to Marxism-Leninism as an action guideline and confirms its support for a revolutionary victory over the existing social order: 467 ‘‘The DKP’s aim is Socialism as the first step on the way to a classless communist society. It aims at the radical break with capitalist conditions of ownership and power, with the focus on the working classes as the decisive forces bringing about social change. The basis of the DKP’s action is the scientific theory of Marx, Engels and Lenin, which it develops further within the limits of its capabilities.’’ (‘‘DKP-Informationen’’, no. 3/00 — June 2000, p. 24) Further decrease in DKP membership Party membership continued to decrease. After the re-issue of party membership cards, the DKP has 4,500 members. As stated by the Party, the main reason for the negative trend is the members’ very high average age of 58 years as a result of the uneven age structure. The small number of new members — less than 1,000 since 1990 — is not enough to set off losses. The members of the DKP are organized in 280 party groups — of which 12 are established as groups at plants and companies — which in turn are grouped in 110 Kreis and 14 Bezirk organizations. In Mecklen burg-Western Pomerania, Saxony-An halt, Thuringia and Saxony, the small number of basic organizations are guided by ‘‘Coordination Councils’’. Finances As before, the DKP has problems with ensuring a balanced funding system. It repeatedly appealed to its members to be honest in paying their membership fees and to make donations more generously. In its Report and Statement of Account prepared in accordance with Section 23 of the Political Parties Act, it reported an income in 1999 to the amount of 2.7 million deutschmark, of which 1.1 million DM were donations. International relations In addition to the encounters during its 15th Party Convention, the DKP cultivated its relation with ‘‘brother parties’’ by many and various contacts on other occasions: DKP functionaries met for talks with representatives of the Communist Parties of Bohemia and Moravia, Greece, Hungary, Iraq, Israel, Italy, Japan, Kurdistan, Luxemburg, Spain and Yugoslavia .The DKP was represented at an international scholarly conference of the Czech Communists on the 10th anniversary of the foundation of the CP of Bohemia and Moravia: the focus of that conference was on problems of internationalism in view of ‘‘imperialist g lobalization strategies’’. The Party’s Chai rman took part in a meeting hosted in Athens on 23-25 June by the Greek CP for 60 Communist and Labour Parties from 52 countries on the subject of ‘‘Erfahrungen der Kommunisten mit Bündnissen und Zusammenarbeit’’ [‘‘Experience of Communists as regards alliances and co-operation’’]. Following long-standing tradition, DKP delegations visited party conventions and press parties of Communist and Socialist Parties, inter alia in Austria, Denmark, France, Greece, Portugal, Serbia, Spain, Japan, Russia and Cyprus. With regard to the issue of internationalism, the DKP continued to attach special importance to solidarity with Communist Cuba. Leading functionaries visited this country to prepare the fourth solidarity project which had been endorsed by the DKP Party Convention: to- 468 gether with the Cuban CP, a children’s clinic in Cardenas (Matanzas Province) is planned to be renovated and rebuilt in the year 2001. Close relations with the Sozialistische Deutsche Arbeiterjugend (SDAJ) Close co-operation continued to be maintained by the DKP with the ‘‘Sozialistische Deutsche Arbeiterjugend’’ (SDAJ — ‘‘Socialist German Workers’ Youth’’), with about 300 members. At the 15th National Congress of the SDAJ (in Gladbeck, on 29/30 January), the newly elected National Chairman Jürgen WANGLER stressed the point that the DKP was not just any ally among many but, on account of shared weltanschauung [world view; ideology], the commonly pursued socialist goal, shared history and multifarious experience, it held a special position within the spectrum. Nevertheless, the SDAJ was an autonomous and independent youth association and not a party-dependent youth organization.Like the DKP, the SDAJ calls for a ‘‘revolutionary break’’ with the existing social order. On this point, the SDAJ ‘‘Zukunftspapier’’ [‘‘Prospective Doctrine Paper’’] agreed by the 15th National Congress states the following: ‘‘The build-up of a socialist order of society can only be achieved by fighting the capital’s fierce resistance ... . It is only by conscious class struggle of the working classes that the capital’s power can be forced back and overcome. A revolutionary break with the capitalist conditions of ownership and power can only be achieved and maintained if the majority of the population are convinced of the need for such a revolution and, in addition, are also prepared to take an active part in it. In order to convince the majority of the working classes of the need for a revolutionary break, it will be necessary to ... repress the capital’s ideological influence and to spread class consciousness as well as findings of scientific socialism among the working classes. We see spreading of class consciousness as an essential task of the SDAJ.’’ (‘‘Zukunftspapier’’ [‘‘Prospective Doctrine Paper’’], of the SDAJ, p. 31) On 9-12 June, the SDAJ held its traditional ’Whitsuntide camp’ in Ahaus (North Rhine/Westphalia) on the premises of the citizens’ action group ‘‘Kein Atommül in Ahaus’’ [‘‘No nuclear waste in Ahaus!’’]. Participants heard presentations, and had discussions, on subjects such as imperialism, anti-fascism and policies regarding young workers. There was no notable response to the activities of DKP-oriented students with the aim of pursuing communist politics at colleges and universities through the Assoziation Marxistischer StudentInnen (AMS — ‘‘Association of Marxist Students’’) which has been active for about three years. 1.2 ‘‘Vereinigung der Verfolgten des Nazi-regimes - Bund der Antifaschistinnen und Antifaschisten’’ (VVN-BdA — ‘‘Union of Victims of Nazi Persecution — Alliance of AntiFascists’’) Founded: 1947 Headquarters: Frankfurt/Main (Hesse) National Executive Secretariat: Hanover (Lower Saxony) Members: about 5,000 (1999: 6,200) Publication: 469 The ‘‘Vereinigung der Verfolgten des Naziregimes — Bund der Antifaschistinnen und Antifaschisten’’ (VVN-BdA — ‘‘Union of Victims of Nazi Persecution — Alliance of Anti-Fascists’’) remained the association with the largest membership within the spectrum of extreme leftwing ‘‘anti-fascism’’. This Union continues to be essentially determined by a traditionally orthodox-Communist wing. Within its bodies and groupings, the political tone was set, as before, by active DKP members and by persons close to this Party. Regarding the VVN-BdA’s self-perception, a re-elected National Spokesman observed: ‘‘The VVN-BdA is, and continues to be, a pluralist alliance organization of anti-fascists of different origins and different views. Therefore, it should be possible to put up with fundamental differences of opinion to the extent that these will not prevent joint action against neo-fascism and war.’’ (‘‘antifa-rundschau’’, no. 44, OctoberDecember 2000). Ideological orientation of the VVN-BdA On 7-8 October, the VVN-BdA held their National Congress in Fran kfurt/Main, under the motto ‘‘Antifaschismus: Verpflichtung für die Zukunft — Gegen den Schlussstrich’’ [‘‘Anti-Fascism: A commitment for the future — Rejection of the demand for making a clean break’’]. By a vast majority, the 132 delegates adopted a pre-Congress main motion on ‘‘Erfordernisse des Kampfes gegen rechts’’ [‘‘Requirements of the fight against right-wingers’’] that rejected the anti-totalitarian consensus of the Basic Law — a consensus directed against both right-wing and left-wing extremism ali ke: ‘‘We are against any equation whatsoever of Nazi opponents, on the one hand, and of neoNazis and right-wing extremists, on the other. Any equation of Left and Right plays down right-wing violence, weakens the resistance forces and fosters neo-Nazism. ...The hotbed of right-wing extremism is constituted, in addition to the continued existence and revival of nationalism, racism and anti-Semitism, by rigorous capitalist market radicalism with its antisocial consequences and effects, and by neo-liberal strategies which promote rather than suppress right-wing extremism.The breeding ground of right-wing extremism is the contempt of the law as manifested by the CDU’s black money dealings — and the concomitant purchase of political power — as well as by the ruthless disregard for the Basic Law and for international law in the case of the war waged against Yugoslavia. ... The hotbed [for right-wing extremism] has evolved from issues and keywords pertaining to official politics. The cues and impulses for radical right-wing violence ultimately were provided by warnings against allegedly imminent ’foreignization’, against ’overburdening’ by refugees, against ’flooding’ by, and ’glutting’ with, foreigners, against the ’crowded boat’ , against ’criminal activity by foreigners’ and against ’useless’ people who must be ’quickly thrown out of the country’.’’ (‘‘antifarundschau’’, no. 44, October-December 2000) The delegates endorsed an initiative-related motion under which the ‘‘urgently needed merger’’ of the VVN-BdA with its East German partner organization Verband ehemaliger Teilnehmer am antifaschistischen Widerstand, Verfolgter des Naziregimes und Hinterbliebener — Bund der Antifaschisten (VVdN-BdA — ‘‘Association of Former 470 Participants in Anti-Fascist Resistance, Victims of Nazi Persecution, and Surviving Dependants — Alliance of Anti-Fascists’’, is to be pursued in the course of the year 2001. At the leadership level, joint initiatives, appeals and actions were agreed. Also, a Gemeinsame Arbeitsgruppe (GAG — ‘‘Joint Working’’) slogan ‘‘the boat is full’’ (referring to Germany as an immigration country) used in the context of the influx of asylum-seekers and refugees [Translator’s Note]Group’’) was established with the task of developing the necessary discussions and steps of the work programme for the creation of a ‘‘common all-German and all-generation organization of anti-fascists’’. Once more, the VVN-BdA confirmed its ‘‘open policy of alliances’’ in relation to extreme left-wing associations and violence-inclined Antifa groups. At a joint press conference with the VVdN-BdA on 21 August, the two organizations presented an ‘‘Initiative zur Untersttzung antirassistischer und antifaschistischer Arbeit vor Ort’’ [‘‘Initiative to support anti-racist and anti-fascist activities on the ground’’]. In that context, a VVNBdA national spokesman appeal-ed to the politically responsible leaders to seek co-operation with other groups, even though these might be politically troublesome; thus, also ’autonomist’ anti-fascists would have to be included in broad-based anti-right alliances. 158) Their partisanship for violence-inclined ’autonomist’ anti-fascists was confirmed by the VVN-BdA national spokespersons: ‘‘We feel solidarity with anti-fascist youth movements which, in their concern regarding ominous right-wing developments, do not confine their position-taking to mere verbal expressions of dismay, but take their anti-fascim to the streets — and, for this very reason, are increasingly being branded as criminals.’’ (‘‘antifarundschau’’, no. 43, July-September 2000, p. 9) In keeping with this line, VVN-BdA functionaries led a ‘‘Spontandemonstration eines breiten Bündnisses’’ [‘‘Spontaneous demonstration by a broad-based alliance’’] in Berlin on 9 January; this alli-ance included members of the militant Antifaschistische Aktion Berlin (AAB — ‘‘Anti-Fascist Action Berlin’’), of the DKP and of the ‘‘Party of Democratic Socialism’’ (PDS); the demonstration was directed against the ban imposed on the commemoration events notified for 9 January on the occasion of the 81st anniversary of the murdering of the KPD functionaries Rosa Luxemburg and Karl Liebknecht; violent excesses occurred in the course of the demonstration. On 5 February, members of the VVN-BdA and of the youth organization VVN-Jugend — formed as the so-called VVNBlock especially for this purpose — took part in a nation-wide demonstration held in Berlin under the motto ‘‘Für das Leben und die Freiheit von Mumia ABU-JAMAL und alen politischen Gefangenen. Abschaffung der Todesstrafe!’’ [‘‘For the Life and Freedom of Mumia ABU-JAMAL and of All Political Prisoners. Abolishment of the Death Penalty!’’]. The demonstration had been organized by ‘‘Mumia ABUJAMAL-Solidaritätsgruppen’’ coming from the ’autonomist’ and anti-imperialist spectrum. Participation, in addition to violence-inclined ’autonomists’, also included DKP and PDS members and foreign left-wing extremists. At the final rally, a presentation was given by a national spokesman of the VVN-BdA. In 1998, the Baden-Wurttemberg Land Association of the VVN-BdA had conferred honorary membership to Mumia ABU-JAMAL who had been convicted in the U.S. on the charge of having murdered a policeman. 471 1.3 Other Organizations 1.3.1 Marx-Engels-Stiftung e. V. (MES — ‘‘Marx-Engels Foundation (reg’d)’’) Founded: 1979 Headquarters: Wuppertal (North Rhine/Westphalia) Members: about 35 Chairman: Robert STEIGERWALD The Marx-Engels-Stiftung e. V. (MES — ‘‘Marx-Engels Foundation (reg’d)’’) continued to deal with the ‘‘research on the scholarly work of Karl Marx and Friedrich Engels and its historical effectiveness’’. Its ‘‘Promotional Association’’ had a membership of about 600 — mostly scholarly cadres of the Deutsche Kommunistische Partei (DKP — ‘‘German Communist Party’’) and of the Partei des Demokratischen Sozialismus (PDS — ‘‘Party of Democratic Socialism’’). The MES continued its co-operation with the DKP’s History Commission and with the Marxistischer Arbeitskreis zur Geschichte der deutschen Arbeiterbewegung bei der Historischen Kommission der PDS [‘‘Marxist Working Panel on the History of the German Labour Movement’’, of the PDS History Commission] by jointly hosting and organizing a number of meetings.In December, the Foundation elected the old-Communist Robert STEIGERWALD, a prominent party ideologist of the DKP, as its new Chairman. The former chairman had not stood for election. The Executive Secretary — who favoured a wider opening to the PDS — was not re-elected to the Executive Committee and lost his post. 1.3.2 Bundesausschuss Friedensratschlag (‘‘Federal Committee Peace Consultation’’) Founded: 1996 (as ‘‘Arbeitsausschuss Friedensratschlag’’ - AFriRA [‘‘Working Group Peace Consultation’’]) Headquarters: Kassel (Hesse) Members: 50 Publications: ‘‘Friedenspolitische Korrespondenz’’ (FRIKORR - ‘‘Peace Policy Correspondence’’) The Bundesausschuss Friedensratschlag [‘‘Federa l Committee Peace Consultation’’] continues to be decisively influenced by left-wing extremists. Its main activist Peter STRUTYNSKI (an Assistant Professor of Kassel University) and most of the other functionaries come from the ‘‘German Communist Party’’ (DKP) and from the DKP’s front organization Deutsche Friedensunion (DFU — ‘‘German Peace Union’’) which disbanded in the early 1990s. In its practical political work, it strives to continue the traditional Communist ’peace struggle’ 159). Such efforts manifested themselves, in particular, in the project of a ‘‘European Tribunal on NATO’s War in Yugoslavia’’ which was supported by the Bundesausschuss Friedensratschlag. In Berlin in October 1999, it held meetings in Hamburg on 16 April and in Berlin on 2-3 June 160) and on that occasion took sides with the Milosevic regime in Yugoslavia. The ‘‘accused’’ politicians of the Western defence alli-ance were branded as the instigators of a war of aggression and as war criminals. 472 2. Partei des Demokratischen Sozialismus (PDS - ‘‘Party of Democratic Socialism’’) Founded: 1989/90 (the former GDR party SED [‘‘Socialist Unity Party of Germany’’] was re-named ‘‘PDS’’ Headquarters: Berlin Party chairperson: Gabriele ZIMMER Members: about 88,600 (1999: about 94,000), of whom more than 4,000 in the West German Länder Publications: (selection) ‘‘DISPUT’’, month ‘‘Pressedienst’’, weekly; ‘‘Miteilungen der Kommunistischen Plattform der PDS’’, monthly; ‘‘Marxistisches Forum’’, published on an irregular basis; ‘‘PDS International’’, quarterly Even ten years after its adaptation and renaming as a consequence of German unity, the ‘‘Partei des Demokratischen Sozialismus’’ (PDS — ‘‘Party of Democratic Socialism’’) presents an ambivalent image: although the Party, in its outward appearance, does not present itself as a Marxist-Leninist party, actual indications do exist that it pursues extreme left-wing endeavours as defined in the Federal Act on the Protection of the Constitution [Act on the Co-operation of the Bund and the Länder with regard to Protection of the Constitution, and on the Federal Office for the Protection of the Constitution]. The existence of extremist trends/movements within the Party is also provided for in both the programme and the Statutes of the PDS. These groups are represented on important bodies (inter alia, on the Party’s Executive Committee, on the Party Council, and on the Programme Commission). Also, on the basis of a defined allocation formula, delegates are sent to Party Conventions. In addition, there is co-operation with other extreme left-wing organizations, including violence-inclined groups in Germany and abroad. Even though the PDS runs for elections and takes part in parliamentary work at all levels, it also stresses the requirement for ‘‘extra-parliamentary struggle’’ — and even accords priority to this form of activity. Overall, the Party’s attitude towards essential elements of the free democratic fundamental order continues to be ambivalent. 2.1 General Developments Party Conventions Notwithstanding the discussion on tactical-strategic matters, no changes were made to the Party’s basic programmatic policies either at the Party Convention in Monster (3rd session of the 6th Party Convention, on 7-9 April) or at the Cottbus Party Convention (1st session of the 7th Party Convention on 14/15 October).The ambivalence noted above is reflected by the fact that, on the one hand, the Party has inserted itself into the democratic social order, but that, on the other hand, it adheres to socialism and wishes to overcome the social order which it qualifies as capitalist. Yet, in view of its roots, its programmatic bases and, in particular, its conscious toleration of openly extremist forces within the Party (cf. no. 2.2 below), there has been no indication so far that the substance actually given by the Party to these aims is in line with the parameters laid down in the Basic Law and that the PDS, in its entirety, will pursue this aim as part of 473 democratic change.Thus, with reference to the Party’s programmatic debate, the ‘‘Rat der Alten beim Parteivorstand der PDS’’ [‘‘Council of Elders of the PDS Executive Committee’’] stated, inter alia: ‘‘As a Socialist Party, we must point out the System-immanent limits of ’modern capitalism’, i.e. the historical need for overcoming it. We subscribe to the basic values of socialism — as they were convincingly designed already in the 19th and 20th Centuries ... and, notwithstanding the deficiencies which are still open to criticism, have been applied in practice for decades.’’ (‘‘PDS-Pressedienst’’, no. 12, of 24 March 2000) Moreover, the spokesman of the PDS Party Council and National Executive Secretary, Dietmar BARTSCH, asserted, inter alia, that: ‘‘... the majority of the Programme Commission [of the PDS] have never denied that the threat to mankind’s civilization and culture has its causative origin in capitalism and that the power structures of the capitalist type, which have their roots in the existing conditions of ownership, must be overcome ...’’ (‘‘junge Welt’’, of 30 March 2000). As stated by André BRIE, who is a PDS Member of the European Parliament and for many years has been the Party’s election campaign manager, our society must be changed ‘‘in terms of quality, i.e. in a revolutionary sense’’. This also was explicitly stated by the Programme Commission of the PDS. Nor does the fact that the PDS stands in elections and, in some of the Länder, is a party in government imply any departure from the Party’s programmatic objectives. In an article in the daily paper ‘‘Neues Deutschland’’ which indirectly discussed the relationship of politics of the day [current affairs] and of the ultimate socialist goal, Judith DELLHEIM — who is a member of the Party’s Executive Committee — stated the following, inter alia: ‘‘Success at the polls and participation in governments cannot overthrow the generalet-up, but they must be used as a means of strengthening opposition against the powers that be and against the established social system.’’ (‘‘Neues Deutschland’’, of 2 March 2000) Extra-parliamentary struggle As stated in its party platform, the PDS sees the ‘‘extra-parliamentary struggle for social changes as a decisive factor’’ 165). That struggle continues to take precedence over parliamentary work. In this respect, Winfried WOLF — a member of the PDS parliamentary group in the German Bundestag — made the following comments, inter alia: ‘‘As a socialist force, the PDS knows ... that resistance must always come from below — from grassroots movements, ... from environmental initiatives and initiatives against genetic engineering, from anti-fascist associations and groups. However, this implies at the same time: Parliaments are our ’kicking leg’. Our ’pivot leg’ must be the extra-parliamentary movement and action. ... Only if we have this awareness of the primacy of extra-parliamentary action, will we gain — the all-important — access to young people who, at least in parts, also are rebellious in an anti-capitalist sense.’’ (‘‘Marxistisches Forum’’, no. 3 2/33, of September 2000) 474 The weekly paper ‘‘Jungle World’’ quoted the Party’s Vice-Chairman Diether DEHM as calling upon the West [German] comrades to use, as a matter of principle, ‘‘municipial parliaments as the platform for class struggle’’. 2.2 Extremist Structures within the PDS The programme and statutes of the PDS, as before, allow the formation of associations of varying orientation, including openly extremist groups, within the Party; the PDS sees this as ‘‘pluralism’’. Therefore, the PDS considers itself a ‘‘trend-rallying party’’. Study on ‘‘the development of PDS strategy’’ According to a study dated 2 June 2000, entitled ‘‘Die PDS-Strategiebildung im Spannungsfeld von geselschaftlichen Konfliktlinien und politischer Identität’’ [‘‘The development of PDS strategy in the field of tension of social conflict lines and of political identity’’], the Communist and orthodoxly Socialist forces within the Party were no longer able to obtain a majority, but had relatively great veto power. It was not possible to conduct inparty quarrels as an anti-Communist fight — i.e. against the Kommunistische Plattform der PDS (KPF — ‘‘Communist Platform of the PDS’’) or against the Marxistisches Forum der PDS [‘‘Marxist Forum of the PDS’’]. An attack against them would always be seen as an attack on the identity of the majority of members and would mobilize the latter against the party leadership. Changes to the identity of the PDS and to its external and domestic policy strategies would have to take account of this interplay of forces if the PDS did not want to risk its disintegration. The same note is struck in statements by leading functionaries of the PDS on the subject of extremist structures such as the KPF. Thus, at the Party Convention in Cottbus, the newly elected Chairperson Gabriele ZIMMER is quoted by the daily paper ‘‘Neues Deutschland’’ of 13/14 May as saying that she assumed most of the Party’s Communists to be democrats. In an interview with the newspaper ‘‘Tagesspiegel’’ of 4 April, the Party’s National Executive Secretary Dietmar BARTSCH said that he really did not see what could possibly be conceived as extremist about the KPF; within the PDS, there was room for Communists and Social-Democrats alike.Speaking to members of the KPF and of the Marxistisches Forum at the Party Convention in Cottbus, Gabriele ZIMMER called for the tracing of a path to Communist society: ‘‘I’m not deterred by the bugaboo which part of the media and of the political class make the KPF out to be. ... In our efforts to create a better society, we belong together as long as we do not move against one another within this Party.’’ (‘‘DISPUT’’) no. 10, of October 2000) Kommunistische Plattform der PDS (KPF) The ‘‘Communist Platform of the PDS’’ (KPF), which as before adheres to the revolutionary tradition of the labour movement, is represented on important Party bodies; thus, Sahra WAGENKNECHT, a member of the KPF’s National Co-ordination Council, was elected a member of the Party’s new Executive Committee by a majority of votes (more than 60%) at the Party Convention in Cottbus. As before, the KPF has its own structures in almost all of the Länder.. Commenting on the ‘‘Aufgaben der KPF nach dem 475 Monsteraner Parteitag’’ [‘‘Tasks of the KPF after the Party Convention in Monster’’] at the 3rd session of the 9th National Conference held in Berlin on 29 April, Friedrich RABE, one of the KPF spokespersons, offered his view that the Communist claim to bring about qualitative social change was over and done with — that it was unfounded. Capitalism was not capable of solving one single problem of mankind; no matter what happened, problems would become more critical. The fact that Socialists and Communists at present were not able to radically change this situation, did not relieve them of the duty to continue the struggle. Marxistisches Forum der PDS The Marxistisches Forum der PDS [‘‘Marxist Forum of the PDS’’] - a union of Communist-oriented members and sympathizers of the PDS -succeeded in consolidating its organizational structure. In December 1999, the Marxistisches Forum Sachsen [‘‘Marxist Forum of Saxony’’] was founded as a Land-wide working party affiliated to the Executive Committee of the Saxony Land PDS. Detlef JOSEPH, a member of the Forum and of the PDS Party Council, stood up for retaining the goal of ‘‘ultimately eliminating capitalist society and building up a socialist society’’. Neither did other members of the Forum make any secret of their fundamental antagonism toward parliamentary democracy; this included propagandization of the need for a revolutionary transition from capitalist to socialist society; thus, a member of the ‘‘Marxist Forum’’ stated: ‘‘The existing systems of parliamentary democracy conduct mankind straight to death. ... Bourgeois democracy is not a class-neutral institution. Another error yet is to expect to achieve socialism by democratic means. As if the bloodhounds Noske, Franco, Pinochet, and others, had not been enough to mark the trail. The victims of the Paris Commune, of the October Revolution and of the Sandinist Revolution ... clearly testify to the type of democracy which capitalism concedes to socialists.’’ (‘‘Marxistisches Forum’’, no. 25, of January 2000) Events organized by the Forum met with wider response within the PDS, as is evidenced by the respective numbers of participants. Thus, 165 persons attended a ‘‘scholarly’’ conference held by the ‘‘Marxist Forum’’ in Berlin on 16 September on the subject of ‘‘Zur Programmdebate der PDS. Positionen — Probleme — Polemik’’ [‘‘Regarding the PDS’s programme debate. Positions — Problems — Polemics’’]. Youth structures close to the Party[ solid], the youth organization close to the PDS, which was founded in mid —1999 — its name is an acronym of ‘‘sozialistisch, links und demokratisch’’ (‘‘socialist, left and democratic’’) — continues being built up; at present, it has its own structures in 14 Länder. Leading functionaries of the PDS launched an appeal for support of the youth organization. At the Party Convention in Cottbus in October, Lothar BISKY, who at that time was the Party’s Chairman, addressed the delegates: ‘‘Comrades! Having [ solid], we now have a youth organization with the PDS. This 476 gives great pleasure to all of us, but practical support is still missing. What I suggest, therefore, is that we should halve our joy and double our practical support for [ ‘solid] in the Kreise, Länder and at the federal level.’’ (‘‘DISPUT’’, no. 10, of October 2000). At this Party Convention, a member of the National Council of Spokespersons of [ solid] was elected a member of the PDS Executive Com mittee. [ solid] repeatedly supported anti-fascist alliance demonstrations, such as the rally ‘‘Freine antifaschistische Jugendkultur’’ [‘‘For an anti-fascist youth culture’’] in Königs-Wusterhausen (Brandenburg) on 17 June and the nationwide large-scale demonstration held in Berlin on 7 October under the motto ‘‘Gemeinsam gegen Rechts — Weg mit der NPD-Zentrale — Faschismus ist keine Meinung, sondern ein Verbrechen’’ [‘‘Join forces against the Right — Abolish the NPD headquarters — Fascism isn’t an opinion but a crime’’]; participants were, inter alia, the militant Antifaschistische Aktion Berlin (AAB — ‘‘Anti-Fascist Action Berlin’’). 2.3 Participation in Elections Landtag elections In the elections to the Schleswig-Holstein Landtag (27 February) and to the North Rhine/Westphalia Landtag (14 May), the PDS clearly missed its envisaged entry into a Parliament of a West German Land. The Party which in both elections ran for the first time got 1.4% and 1.1% of the votes in Schleswig-Holstein and North Rhine/ Westphalia, respectively. According to ‘‘Unsere Zeit’’, the party organ of the Deutsche Kommunistische Partei (DKP — ‘‘German Communist Party’’), 12 of the 37 direct candidates of the PDS in North Rhine/Westphalia were members of the DKP, including a former member of the Party’s Executive Committee local government elections During the local elections in Thuringia (14 May) — i.e. election of Länder [Landrat : chief executive official of a Kreis], chief burgomasters and mayors — the PDS, as in the 1994 local elections, obtained a Land-wide total of 12.5% of the votes. 2.4 Co-operation with German Left-Wing Extremists outside the Party Relationship with the DKP As before, the PDS’s relationship with the Deutsche Kommunistische Partei (DKP — ‘‘German Communist Party’’) has been characterized by a combination of critical attitudes and solidarity; its contacts with the DKP are many and various: they range from the participation in Party Conventions to talks, co-ordination of legislative proposals and electoral agreements. The report from the DKP’s point of view read as follows: ‘‘During the period under review, representatives of the [DKP] Executive Committee had talks with members of the PDS Executive Committee and reported about their talks in the UZ [the party paper ‘‘Unsere Zeit’’ — ‘‘Our Times’’]. There had been talks in the autumn of 1998 and in the spring and autumn of 1999. The DKP Chairman accepted the invitations ... to attend the PDS Party Conventions in Berlin in 1999 . ... During such talks, both sides show a high degree of political objectivity which prevails over the occasionally heated discus- 477 sions on various occasions.’’ (Progress Report of the Party’s Executive Committee to the 15th Party Convention of the DKP [held in Duisburg on 2-4 June, 2000]).The DKP Chairman Heinz STEHR took part as a guest in the PDS Party Convention in Cottbus (14/15 October) and — as reported by the DKP’s central organ ‘‘Unsere Zeit’’ [UZ — ‘‘Our Times’’] of 20 October — had a brief talk with the newly elected PDS Chairperson Gabriele ZIMMER: it had been agreed that the two parties would engage in fair and open co-operation and would have discussions within the framework of their respective Programme Commissions. Co-operation also with ’autonomists’ The PDS — individual representatives as well as sub-divisions or structures of the Party — co-operates with other left-wing extremists, including violence-inclined individuals. This was the case, in particular, with demonstrations — supported by so-called anti-fascist action alliances — against actual or assumed extreme rightwing activities. Thus, a member of the PDS parliamentary group in the Berlin Chamber of Deputies notified, to the competent authorities, an alliance demonstration under the motto ‘‘Smash Fascism! Fight Racism! Für eine antifaschistische revolution Jugendbewegung’’ [‘‘Smash Fascism! Fight Racism! For an anti-fascist youth movement’’] which was to be held in Berlin on 25 November; mobilization for this demonstration had mainly been pursued by ’autonomist’ fascists. Resolution ‘‘PDS und der Antifaschismus’’ At the Party Convention in Cottbus, the delegates adopted a Resolution on ‘‘PDS und der Antifaschismus’’ [‘‘PDS and Anti-Fascism’’] (cf. Chapter V, no. 1, below). The Resolution stated, inter alia, that neo-Nazism, far-right violence, xenophobia, racism and anti-Semitism have always been essential and more or less legal elements of the political system of the Federal Republic and, also in the GDR, have had their niches and scope for covert action. [It went on to say that] the PDS supported all efforts aimed at forging broad-based alliances at all levels. Praise was also due to those youth groups — obviously referring to the ’autonomist’ Antifa — who, while often left on their own and branded as criminals, in the street and in other ways put up resistance against neofascism and racism. It was the Party’s responsibility to give them solidarity-based political and financial support. ‘Autonomist’ Antifa as an important political force In the view of some PDS functionaries — such as the Vice-Chairman of the PDS Saxony Land Association — the groups of the ’Autonomist’ Antifa played a significant role in dealing with rightwing extremism.Angela MARQUARDT, a PDS Member of the German Bundestag, gave the following reason for her planned participation in the demonstration ‘‘Gemeinsam gegen Rechts — Weg mit der NPDZentrale — Faschismus ist keine Meinung, sondern ein Verbrechen’’ [‘‘Join forces against the Right — Abolish the NPD headquarters — Fascism isn’t an opinion but a crime’’] held in Berlin on 7 October in which also the militant Antifaschistische Aktion Berlin (AAB ‘‘Anti-Fascist Action Berlin’’) took part: ‘‘It [the Antifaschistische Aktion Berlin] is only one of many 478 anti-fascist groups branded as criminals ... Rather, this [antifascist] struggle will require on-site tedious painstaking detailed work as has been carried out by Antifa groups for decades. ... Until this day, they have been fighting for a society which will exclude racism and discrimination against minorities. Quite often, they will be maligned as anarcho-situationists.’’ (‘‘PDS-Pressedienst’’, no. 41, of 13 October 2000).Alliance policies and action forms within the framework of ‘‘antifascism work’’ were, however, subjects of controversial debate also within the Party. In addition to supporters of co-operation with left-wing extremists prepared to use violence, there also were party members who took a critical stance regarding such co-operation. 2.5 International Connections Conference of the ‘‘Communist Party of Bohemia and Moravia’’ According to the self-image of the PDS, internationalism is one of the Party’s roots; among the activities covered by internationalism are the participation of delegations in Party Conventions, participation in conferences, talks and encounters with foreign Communist Parties and attendance at press parties given by official party papers. The PDS Executive Committee regularly issues Party press reports about their international activities. Against the background of the political integration of European nations, a member of the ‘‘Arbeitsgemeinschaft Frieden und Internationale Politik beim Parteivorstand der PDS’’ [‘‘Working Group ‘Peace and International Politics’ of the PDS Executive Committee’’], at a conference held by the ‘‘Communist Party of Bohemia and Moravia’’ (CPBM — Komunistick Strana ech a Morava —) in the Czech Republic in May, explained the aims pursued with such co-operation: ‘‘The Socialist-Communist forces in Europe have ... good reasons for endorsing the further European unification. ... As a first step, it is essential to fight for a socialist future on the territory and within the framework of the capitalist system ... The outlook for a Socialist Europe will depend on how the left-wing — Socialist-Communist — forces will recover the political capacity to act, on a programmatic basis yet to be developed, so that they will put themselves in the position to exert a decisive influence on the further course of developments.’’ (‘‘PDS-International’’, no. 2/2000) Solidarity activities for Cuba The PDS maintains intensive contacts with the Parti Communiste Français (PCF) [‘‘French Communist Party’’ (FCP)]. Thus, in late March, a delegation led by the then Party Chairman BISKY attended the FCP’s 30th Party Convention. In May, the Chairmen of the two Parties had talks in Paris. Also, there were increasingly closer contacts with the KSM [‘‘Communist Party of Bohemia and Moravia’’], with which a Co-ordination Group for Cross-Border Cooperation had been set up in May at the suggestion of the PDS Honorary Chairman Hans MODROW. Also in 2000, support for Cuba which continues to adhere to Socialism was an important subject of PDS activities. The Vice-Chairman Diether DEHM took part in the [2nd] ‘‘World Solidarity with Cuba Conference’’ (Havana, 10-14 November). In his speech, he pointed out the poli- 479 tical importance of solidarity with Cuba, which was not a purely unselfish act of charity but would also provide measurable benefits to people working in our country in the ‘‘struggle against common enemies’’. To advance this struggle, he launched an appeal for the networking of resistance.Solidarity work within the Party is carried out mainly by the Arbeitsgemeinschaft Cuba SI beim Parteivorstand der PDS [shortle: AG Cuba SI — ‘‘Working Group ‘Cuba SI’ of the PDS Executive Committee’’]. During the debate at the Party Convention in Monster in April about the ‘‘Strategy and current tasks of the PDS in its struggle for overcoming the social-economic underdevelopment of ’Southern’ countries’’, a delegate of the AG Cuba SI took the view that internationalism was a commitment to international solidarity with the masses rising in rebellion throughout the world against political oppression and social exploitation. Also, he pleaded for acceptance of many and various forms of resistance, and also for the political and military struggle in Colombia. 3. Marxistisch-Leninistische Partei Deutschlands (MLPD - ‘‘Marxist-Leninist Party of Germany’’) Founded: 1982 Seat of the Central Committee: Gelsen kirchen (North Rhine/Westphalia) Chairman: Stefan ENGEL Members: less than 2,000 Publications: ‘‘Rote Fahne’’ (RF — ‘‘Red Flag’’), weekly; ‘‘Lernen und Kmpfen’’ (LuK — ‘‘Learning and Fighting’’), several issues per year; ‘‘Revolutionärer Weg’’ (‘‘Revolutionary Path’’), published on an irregular basis; ‘‘REBELL’’, magazine of the youth association ‘‘Rebel’’, monthly The Marxistisch-Leninistische Partei Deutschlands (MLPD - ‘‘Marxist-Leninist Party of Germany’’) which orients itself by Stalin and Mao Zedong, continued to be politically isolated and without any effect or influence even among the extreme left-wing spectrum.Nevertheless, after its VIth Party Convention in late 1999, this organization which has a segregated and sect-like structure, claimed that its [political] future would be excellent. The Party continued to subject its remaining cadres to periodic [political] cleansing and to make inexorable claims on their financial resources and on their spare time. Nevertheless, its activities diminished. It defined participation in the May elections to the North Rhine/Westphalia Landtag as one of its action priorities. In order to be able to launch the agitation — which in the Party’s view was called for, but which had completely bypassed public attention — it also employed cadres from other federal states. The result — less than 6,000 votes (0.1%) — had for weeks been celebrated by its official party organ ‘‘Rote Fahne’’ [‘‘Red Flag’’] as an outstanding electoral success.Also in its ‘‘internationalist work’’, the MLPD had to accept setbacks. In the summer of 2000, the Maoist-terrorist Communist Party of the Philippines (CPP) broke with the MLPD-dominated ‘‘Conference of Marxist-Leninist Parties and Organizations’’ after the ideological avantgarde claims of both the MLPD and the CPP had resulted in irreconcilable positions. 480 4. Trotskyite Groups Approximately 25 Trotskyite groups and circles are active in the Federal Republic; for the major part, they are directed by one of the numerous international umbrella organizations. On account of the small number of supporters and scarcity of resources, the majority of these groups kept a low profile. Overall, the membership — 2,350 persons — of German left-wing extremists organized within Trotskyite structures has stayed at the same level. The most active Trotskyite group with the largest membership is the Sozialistische ArbeiterGruppe (SAG — ‘‘Socialist Workers’ Group’’), the German section of the umbrella organization International Socialists (IS; headquarters in London). The SAG which also presents itself as the Linksruck-Netzwerk (LR — ‘‘Left-Swing Network’’), in agreement with the parameters set by the umbrella organization [IS], fancies itself to have a part in an upswing of revolutionary fights. It called for the build-up of a New Left and recommended the approaches of streamlined organization, revolutionary discipline and unity of action. In this context, it openly declared its support for anticonstitutional aims: ‘‘We intervene in the battles against the outgrowths of capitalism. We want to strengthen these fights by bundling them as a movement against the entire system. Linksruck tries to work from the experience with past and current resistance and to translate it into a theory. A theory - for explaining both the world in which we live and the ways of unhinging that world.’’ (‘‘Linksruck — Aktivisten-Handbuch’’ [‘‘Linksruck — Activists’ Manual’’), p. 4). On nearly all occasions of ‘‘left-wing’’ protest action, the LR made, at least optically, a massive appearance with banners of uniform design. However, the group used these public appearances primarily for the purpose of recruiting young people for its own organization. In order to be able to centrally control such recruitment which, in instances, had been criticized as obtrusive, the LR designated ‘‘recruitment officers’’ within its local groups. The main task of the latter is comprehensively to register and look after contacts and interested persons. The Organization did, indeed, draw new supporters. Some 1,200 supporters (1999: 1,000 to 1,100) are organized in 35 local groups. More than 15 groups operating under the name of ‘‘MOVE’’ engage in university-based and youth work.Democratic principles are not applied within this organization: political guidance is laid down by the umbrella organization and implemented by a ‘‘Bundeskoordination’’ [‘‘National Co-ordination Body’’] with headquarters in Hamburg. Internal discussions will, in the sense of ‘‘democratic centralism’’, be tolerated only for the purpose of presenting a uniform position to the outside. Thus,the LR ‘‘AktivistenHandbuch’’ [‘‘Activists’ Handbook’’] states that, without unity of action, discussion was only an end in itself: ‘‘Democracy will only come into being when it leads up to binding decisions — binding on all members of the organization’’. Deviations from the ‘‘line’’ would not be tolerated. Newly recruited members are fit into the centralist discipline, and heavy claims are made on their resources. With some 300 members, the Sozialistische Alternative Voran (SAV — ‘‘Socialist Alternative Forward’’) — which is the German section of the Committee for a Workers’ International (CWI; headquarters in London) — is the second largest Trotskyite formation in Germany. It has local groups in more than 20 towns and cities, with Rostock, Berlin, Siegen and Aachen as the focal points. In the second half of 2000, this organization moved its national headquarters from Cologne to Ber- 481 lin. The reason given was that Berlin was increasingly becoming the centre of protest; this was where political developments within the left-wing spectrum manifested themselves first. The Organization continued to have plant-based and trade-union work as one of its work priorities.The re-activation of the front organization Jugend gegen Rassismus in Europa (JRE — ‘‘Youth against Racism in Europe’’) proceeded sluggishly. The Union which has only some 60 members and supporters publishes the ’anti-fascist’ newspaper ‘‘No pasarn’’. In Germany, two groups are affiliated with the ‘‘IV. Internationale/Secrétariat Unifié’’ (with headquarters in Paris) which is the Trotskyite umbrella organization with the richest tradition: — the Vereinigung für sozialistische Politik (VSP — ‘‘Union for Socialist Politics’’) which, however, scarcely develops any activities of its own. Its few supporters are content with publishing the bi-weekly paper ‘‘Sozialistische Zeitung’’ (SoZ) and otherwise are committed to the Trotskyite-control led ‘‘anti-globilization’’ networks ‘‘Euro-March’’ and ATTAC 192); — the small Revolutionär-Sozialistischer Bund (RSB - ‘‘Revolutionary Socialist Union’’), which was founded in 1994 as a break-away group of the VSP, was more agile and active. It perceives plantbased and trade-union work as one of the priorities of its political endeavours to ‘‘build up a Socialist Workers’ Party’’. 5. Rote Hilfe e. V. (RH - ‘‘Red Aid (reg’d)’’) Founded: 1975 Headquarters: Göttingen (Secretariat) Members: about 4000 (1999: 3,500) Publications: ‘‘Die Rote Hilfe’’, quarterly Rote Hilfe e. V. (RH — ‘‘Red Aid (reg’d)’’) sees itself as a ‘‘left-wing protection and solidarity organization, independent of any party and cutting across various movements’’. It primarily assists supporters of the extreme left-wing scene who, in the context of political activities, have come into conflict with the law. As stated by RH, financial support such as subsidies to attorney’s and court fees and funding aid for fines amounted to a total of some 250,000 deutschmark in the years 1999/2000. Financial problems - which had given cause to internal differences about an allegedly too generous spending policy and finally had led to the resignation of the cash manager — seemed to have been overcome by the end of the year.Out of solidary with the detainees coming from the Rote Armee Fraktion (RAF — ‘‘Red Army Faction’’), the RH prepared a comprehensive documentation which, in addition to the RAF’s history and portraits of its members, covers the call for unconditional ‘‘release of political prisoners coming from the RAF’’. Also, as part of the campaign in favour of the Black Panther member Mumia ABU-JAMAL who in the U.S. was convicted for having murdered a policeman, the RH participated in activities around the 18th of March — which for several years has in extreme left-wing circles been commemorated ‘‘worldwide as the Day of Political Prisoners’’ — and took part in solidarity initiatives for detainees belonging to the groups around the Revolutionäre Zelen [RZ — ‘‘Revolutionary Cells’’]/Rote Zora. 482 6. Bund der Antifaschisten (Dachverband) e. V. (BdA — ‘‘Association of Anti-Fascists (Umbrella Organization), reg’d’’) Founded: 1990 Headquarters: Berlin Chairman: Heinrich FINK The Bund der Antifaschisten (Dachverband) e. V. (BdA — ‘‘Association of Anti-Fascists (Umbrella Organization (reg’d))’’), which was founded in 1990 in what then was still the GDR, relies on the tradition of orthodox-Communist anti-fascism. It confesses to adherence to the ‘‘anti-fascist and internationalist guiding models’’ of the GDR’s antifascism, and feels committed to keep the ‘‘anti-fascist heritage’’ alive in future generations. The BdA continued its efforts to establish an all-German ‘‘anti-fascist’’ organization. So far, it has managed to unite its member and grassroots organizations with the Land Associations of the Interessenverband ehemaliger Teilnehmer am antifaschistischen Widerstand, Verfolgter des Nazi-Regimes und Hinterbliebener e. V. (IVVdN — ‘‘Interest Association of Former Participants in Anti-Fascist Resistance, Persecutees of the Nazi Regime and Surviving Dependants (reg’d)’’) in Thuringia (October 1998), Saxony (March 1999) and in Mecklenburg-Western Pomerania (January 2000). An amalgamation at the central level was accomplished at the 5th Conference of Delegates of the IVVdN in Berlin on 25 March where a new umbrella organization was established with a joint executive committee. At the same time, the IVVdN adopted the name of the new umbrella organization, i.e. Verband ehemaliger Teilnehmer am antifaschistischen Widerstand, Verfolgter des Nazi-Regimes und Hinterbliebener e. V. (VVdN-BdA — ‘‘Association of Former Participants in Anti-Fascist Resistance, Persecutees of the Nazi Regime and Surviving Dependants — Alliance of Anti-Fascists’’). The delegates of both associations declared their intention that, by intensifying their co-operation, they would as soon as possible strive to bring about a merger with the Vereinigung der Verfolgten des Naziregimes — Bund der Antifaschistinnen und Antifaschisten (VVN-BdA — ‘‘Union of Victims of Nazi Persecution — Alliance of Anti-Fascists’’) (cf. no. 1.2 above).Also, the delegates pleaded for the integration of the militant ’autonomist’ Antifa movement; they underlined this position by adopting a unanimous resolution: ‘‘We are joined in solidarity with the anti-fascist youth movements who, in their concern regarding right-wing developments, do not confine themselves to verbal expressions of dismay, but take their anti-fascism to the streets — for which they are increasingly being criticized.’’ (‘‘antifa’’, no. 4/April 2000, published by the IVVdN — renamed VVdN-BdA as of 25 March 2000; see also no. 1.2 above). One of the vicechairpersons confirmed that this [movement] included ‘‘a number of quite young and autonomist anti-fascists as well’’: ‘‘These links do exist, and we’re trying to develop them further. The views as to the forms of struggle and the aims differ considerably. Thus, it is also essential that these differences in opinion be faced out.’’ (‘‘junge Welt’’, of 27 March 2000, p. 3). The BdA structures already include Antifa groups who call themselves ’autonomists’ or resemble ’autonomist’ Antifa associations. The BdA, in its turn, supported, or was part of, many ‘‘anti-fascist’’ allian- 483 ces such as ‘‘Antifa-Workcamps’’, ‘‘Antifaschistische/Antirassistische Ratschläge’’ [‘‘Anti-fascist/Anti-racist Consultation Groups’’], ‘‘Bündnisse gegen Rechts’’ [‘‘Alliances against the Right’’] and took part in rallies/demonstrations and appeals which also involved democrats in addition to groups belonging to, or influenced by, leftwing extremism. Together with the VVN-BdA, the BdA organized the ‘‘V. AntifaJugendtreffen’’ [‘‘Vth Antifa Youth Meeting’’] held in Berlin on 8 January on the key subject of ‘‘Antifaschismus nach dem Jugoslawienkrieg der NATO’’ [‘‘Anti-Fascism after NATO’s War in Yugoslavia’’]; as stated by the organizations, the meeting was attended by more than 200 persons, including participants from the ’autonomist’ spectrum, members of the VVN-BdA, the ‘‘Party of Democratic Socialism’’ (PDS), the ‘‘German Communist Party’’ (DKP), the Sozialistische Deutsche Arbeiterjugend (SDAJ — ‘‘Socialist German Workers’ Youth’’), the JungdemokratInnen/Junge Linke (JD/JL — ‘‘Young Democrats/Young Leftists’’) and the militant youth group ’R.O.T.K. .P.C.H.E.N.’ im und beim BdA [the youth organization of the BdA]. With BdA support and in co-operation with ’autonomist’ Antifa groups, ’R.O.T.-K. .P.C.H.E.N.’ organized — inter alia — the ‘‘12. Antifa-Workcamp’’ held at the Buchenwald Concentration Camp memorial site and attended by some 200 persons from all parts of the Federal Re-public and from Poland; among the participants were members of the ’autonomist’ and anti-imperialist scenes, of Rote Hilfe (RH — ‘‘Red Aid’’), the PDS, the VVN-BdA and the SDAJ. V. Fields of Operation 1. ‘‘Anti-Fascism’’ For groups in the area of left-wing extremism, ‘‘anti-fascism’’ increasingly has become a focus of action — also in the course of the public debate on the fight against right-wing extremism and xenophobia. The ultimate aim of the ‘‘anti-fascist struggle’’ of leftwing extremists, in the last analysis, is to abolish the free democratic constitutional order of society — maligned as a ‘‘capitalist system’’ — and thus to eliminate the presumed roots of fascism. The Partei des Demokratischen Sozialismus (PDS — ‘‘Party of Democratic Socialism’’), too, insinuated that neo-Nazism, far-right violence, anti-foreigner hostility [xenophobia], racism and anti-Semitism had ‘‘always been essential and, more or less, legal elements of the political system of the Federal Republic’’. As compared to the GDR, the FRG had made a less clear break with ‘‘the social bases and the Élites of the Nazi dictatorship’’. The PDS further claimed that the ‘‘billy club [sledgehammer argument] of totalitarianism’’ was used to equate the GDR with the Nazi regime in order to justify the intolerant ’settlement of accounts’ with the GDR’s anti-fascist heritage, and the repressive measures taken against active anti-fascists (cf. Chapter IV, no. 2.4, above). At the same time, the PDS — taking an approach similar to that of the associations of traditional anti-fascism which are also affiliated with the Deutsche Kommunistische Partei (DKP — ‘‘German Communist Party’’) (cf. Chapter IV, nos. 1.2 and 6.1) — advocated 484 the integration of the ’autonomist’ Antifa movement, and confirmed that it would give its solidarity-based support to the movement in political and financial terms.In the context of a renewed debate about the present state and prospects of ’autonomist’ Antifa politics, the Autonome Antifa (M), a member group of Antifaschistische Aktion/Bundesweite Organisation (AA/BO — ‘‘Anti-Fascist Action/Nationwide Organization’’) unequivocally stated in a pamphlet of August/September 2000: «A bourgeois state cannot effectively fight either racism or ’rightwing extremism’, but leads to the creation of both. Going against Nazis as manifestations of bourgeois society can only be done in the form of anti-state resistance. Only fighting the roots — from which not only the brown scum springs — will hold out a prospect of liberation — not from Nazis alone. ‘‘At the closing event of an ‘anti-fascist alliance demonstration’’ in Göttingen on 29 January, a — masked/hooded — activist of Autonome Antifa (M) was applauded for her claim that: ‘‘It is a must to fight fascists — with all means available. But it is just as urgently required to fight a State which has already resumed its practice of enforcing its interests in world politics by actively engaging in warfare; a State which shares the responsibility for torture, hunger and death worldwide ... a State which, by increasingly dismantling the social system, reduces more and more people to poverty and, at the same time, continues to develop its authoritarian police apparatus. ...Get organized in revolutionary Antifa groups! Put up resistance! Fighting fascism means fighting the capitalist system!’’. Parts of the ’autonomist’ Antifa scene see a chance for their own political work in the current debate carried on across all of society on the subject of right-wing extremism. Thus, an article in the scene paper ‘‘INTERIM’’ said that the current development actually was the best that could happen to the radical left; without having initiated that debate, the radical left could profit from it and could try to gain influence. Nevertheless, politicians of the democratic parties are reproached with hypocrisy and for staging a media spectacle; they are said to be exclusively interested in the reputation and attractiveness of Germany for business and as a production site; moreover, Nazi terror was a welcome pretext for further developing a fortified state.In practice, the direct fight against extreme right-wing political parties and other groups remained in the foreground of ‘‘revolutionary Antifa policies’’; in this regard, ‘‘Revolutionary Anti-Fascists’’ from Duisburg stated on the Internet . ‘‘This means that we will offensively oppose the Nazis and attack and smash their structures! To us, resistance in concrete terms means to fight them with all means and at all levels. This covers both militant confrontation where this is required, and showing that their ideology, characterized by contempt for human beings, is not liberating but is based on oppression and exploitation. ‘‘Priority targets were cars and meeting places of right-wing extremists, as well as ‘‘Faschokneipen’’ [‘‘Fascist beer joints’’] and ‘‘Nazi-Läden’’ [‘‘Nazi shops’’]. Actions ranged from graffiti to vandalism and serious arson attacks. Militant attacks were also directed against transport contractors and tour operators who take right-wing extremists to events. Thus, in Mhlheim (North Rhine/Westphalia) on 24 April, the windscreens of several coaches were smashed (causing material damage of more than 60,000 deutschmark). The unidentified perpetrators called the 485 targeted coach operator a ‘‘decisive wheel of the racist mechanism’’, and threatened not to let up until no operator would provide any more transport services. On the same day, fire was set to a coach in Alfdorf-Kapf (Baden-Wurttemberg); the material damage amounted to some 165,000 deutschmark. In a letter claiming responsibility, ‘‘autonomist Antifas’’ reproached the bus operator for favouring and aiding the spreading of right-wing extremism. The letter ended with the slogans: ‘‘Fight fascists and their supporters! ... Do away with the fucking system!’’ (‘‘INTERIM’’, no. 501, of 4 May 2000). Nor do militant Antifas stop at bodily assaults on presumed rightwing extremists. In instances, they will arm themselves for such attacks with striking weapons and proceed with great brutality, and accept the risk that their victims might suffer serious, permanent injuries.In Berlin on 12 March, a group of masked/hooded persons attacked three presumed right-wing extremists who planned to take part in a rally of the Nationaldemokratische Partei Deutschlands (NPD — ‘‘National-Democratic Party of Germany’’). The attackers sprayed their victims with an irritant gas and coshed them. One person suffered serious head injuries. On 29 July, unidentified offenders with truncheons attacked two persons who presumably were members of the extreme right-wing scene. The attackers aimed their blows at the heads of their victims and maltreated those lying on the ground by kicking them. On 12 August, a group of masked/hooded ’autonomists’ assaulted two presumed members of the extreme right-wing scene. The attackers maligned their victims as ‘‘Nazis’’ and attacked them with baseball bats and other striking implements. One of the victims suffered life-threatening injuries.The Berlin-based group AUTONOME MILIZ [‘‘Autonomous Militia’’] which in the past repeatedly claimed responsibility for militant actions, gave the following cynical and point-blank justification for violence against persons, including murder: ‘‘to us there is no doubt about it: this is a fascist state. this is also why we think that, in certain cases, bodily injury or killing a fascist functionary of the state may be considered legitimate. and what about the nazis. ... these fascist swine kill people. why then shouldn’t they, too, be attacked as persons, be injured, and even more???! is this not legitimate as well? self-protection in our view is self-defence.’’ (‘‘INTERIM’’, no. 501, of 4 May 2000). During demonstrations and mass rallies of extreme right-wing organizations, militant left-wing extremists often seek direct confrontation with ‘‘fascists in boots’’ in the street. Often, they will act as small militant groups so as to be incalculable and flexible.’Autonomist’ Antifas from Berlin declared that in their view, a concept was absolutely necessary, ‘‘which will enable us to get at the Nazis directly. Our strength is that we are incalculable. ... Everything is possible, provided that organized and purposeful groups are on the move.’’ (‘‘INTERIM’’, no. 499, of 6 April 2000). The calls for direct confrontation with right-wing extremists were also put into practice. Thus, in Berlin on 12 March, militant leftwing extremists protested, in part violently, against a march organized by the NPD. They threw stones at policemen, erected barricades and tried to crash through police barriers. A statement published in the scene paper ‘‘INTERIM’’ said that these protests could have been even more effective: ‘‘In addition, every rally should be as unattractive and expensive as possible — not only for 486 the Nazis, but also for the municipality. Thus there were many opportunities to smash the windows of suitable targets (banks, posh shops, chain stores, ...); but these opportunities were wasted. And nothing has (yet?) been heard of any attacks against Nazis.’’ (‘‘INTERIM’’, no. 497, of 23 March 2000). As part of a broad alliance formed by the entire spectrum of leftwing extremism, many ’autonomist’ groups and revolutionary-Marxist organizations as well as representatives and bodies of the PDS — in addition to non-extremist organizations — supported a demonstration ‘‘GEMEINSAM GEGEN RECHTS — Weg mit der NPDZentrale — Faschismus ist keine Meinung, sondern ein Verbrechen!’’ [‘‘JOIN FORCES AGAINST THE RIGHT — Abolish the NPD headquarters — Fascism isn’t an opinion but a crime’’] which took place in the Berlin district of Köpenick on 7 October (about 4,000 participants). During a demonstration at the ‘‘deportation clink’’, a group of demonstrators tried forcibly to gain access to the premises. Policemen were attacked by some 70 demonstrators with stones, bottles and pales. Prior to the concluding rally in the vicinity of the NPD headquarters, more stones were thrown at the task forces. 21 officers were injured. In a statement published on the Internet the militant Antifaschistische Aktion Berlin (AAB — ‘‘Anti-Fascist Action Berlin’’), the chief initiator of the demonstration, struck a positive balance: ‘‘The fact that, with this demonstration, so many participants clearly pointet out the link existing between neo-fascist terror and state-controlled racist policies, is a success of the alliance’s mobilization efforts ... . ‘‘Activities under the aspect of ‘anti-racism’ were not only directed against the State and its representatives (cf. Chapter III, no. 1.4,above) but, in particular, against the airline Lufthansa and its role in the deportation of rejected asylum seekers. Thus, groups and individuals from the ’autonomist’ scene took part in the campaign ‘‘Deportation class — gegen das Geschat mit Abschiebungen’’ [‘‘Deportation Class — no more profiteering by deportations’’] which had been initiated by the nationwide network ‘‘kein Mensch ist ilegal’’ [‘‘no person is illegal’’] which is sponsored mainly by democratic groups and organizations. A press release disseminated over the Internet called for suspension of deportations by Lufthansa planes, and the airline was reproached for making itself ‘‘the obsequious minion of the State’s savage deportation practice’’. In connection with the discussion about work permits [so-called ‘‘green cards’’] for foreign computer experts in Germany, left-wing extremists insinuated that politicians and public authorities would in future make permanent residence permits for foreigners conditional on the usefulness of these people for German industry. An appeal by ’autonomist’ groups to attend an anti-racist demonstration in Augsburg on 4 November stated: ‘‘The racist Nazi thugs divide people into categories of German and un-German — valuable and unworthy — lives. The racists within the Government agree on the basic approach, i.e. the exclusion of non-usable non-Germans from society.’’ 2. Protests against ‘‘Globalization’’ and ‘‘Neo-liberalism’’ IMF Summit in Prague A shared field of action of left-wing extremists were protests against the globalization 487 of world economy and the resultant social sequels. International institutions like the World Bank and the International Monetary Fund (IMF), but also summits of supranational unions like the European Union (EU), are seen as a symbol of worldwide capitalism. Thus, violent protests were also directed against the 55th IMF Meeting (18-30 September), the World Bank Meeting and the Annual Meeting of the IMF Board of Governors (25-28 September) in Prague. Anti-globalization activists had mobilized participants worldwide for these protests, modelled on the actions against the Ministerial Conference of the World Trade Organization (WTO) in Seattle (U.S.) in November 1999. Participants in the actions in Prague were, in particular, individuals from the ’autonomist’ scene and the anarchist ‘‘grassroots movement’’, and Trotskyites of the Linksruck network (the German section of the Trotskyite umbrella organization ’International Socialists’ with headquarters in London), members of the PDS and DKP, and action groups for development policy, initiatives of out-of-work persons, and students’ associations. An appeal distributed over the Internet by the Rote Antifaschistische Aktion Leipzig (RAAL — ‘‘Red Anti-Fascist Action Leipzig’’) stated, inter alia: ‘‘In global terms, capitalism has gained strength as never before in its history. The logical consequence are inhumane developments. But now more than ever, it is essential ... that the mechanisms be pointed out and attacked. ... Together, we can make sure that a ’second Seattle’ will focus on new lines in the heart of Europe. Resistance must at all events be taken to the streets. In this spirit: UP WITH INTERNATIONAL SOLIDARITY! ABOLISH CAPITALISM ! ‘‘global action day’’ According to press reports, a demonstration march in Prague on 26 September — propagandized worldwide as the ‘‘S26 — global action day’’ — drew a participation of temporarily up to 7,000 persons, including several hundred left-wing extremists from Germany. ’Autonomists’, anarchists and Trotskyites tried to force their way to the place of the Conference; they managed for some hours to prevent participants [in the Conference] from leaving the building. In the paper ‘‘junge Welt’’ of 6 October, an actively involved demonstrator (apparently using a pseudonym) reported about the clashes with the police: the Czech special units had been exposed to a volley of pales and a hail of hurriedly unburied stones. A number of Molotov cocktails had been thrown. Although water cannons and gas grenades had been used [by the police], the [demonstrators’] general mood had been unmarred, and the sporting spirit unbroken.The clashes continued until the evening hours in downtown Prague where considerable damage to property was caused. Although participation fell considerably short of the number of demonstrators expected by the organizers, and the desired broad effect failed to materialize among the extreme left-wing spectrum, the actions in Prague were celebrated as a success by some activists. An author using the pseudonym of Nepomuk wrote in the ‘‘GrossRaumzeitung’’: ‘‘Prague was different. What is important for the revolutionary idea is the experience that it is possible to organize things differently but just as effectively as the present 488 system. However, there were problems as well: the breakdown of the entire communications system (mass SMS, CB radio, pirate radio stations, etc.) in the afternoon of the global action day. This breakdown thwarted focused and purposive action. People just roamed around the downtown disctrict — throwing stones and Molotov cocktails. ... All things told, that day nevertheless was successful! Still, we should think about goals and networking structures and improve the existing ones. We are, after all, a movement from below, capable of accepting criticism, and able to learn. This is the advantage we have over the ruling system.’’ (‘‘GrossRaumzeitung’’, no. 1, of 16 October 2000) 3. Campaign by Left-Wing Extremists against Nuclear Energy and the Use of Genetic Engineering Opposition against peaceful uses of nuclear energy continued to be the most important action field for militant left-wing extremists. Despite the conclusion of the Agreement between the Federal Government and Power-Supply Companies of 14 June, the so-called Nuclear Energy Consensus, this focus of action has not changed. On the contrary, large segments of the extreme leftwing anti-NPP scene reject this Agreement; the Consensus was qualified as ’fraudulent labelling’ and as kowtowing by the Greens in complete deference to the pro-nuclear lobby, and a new phase of extra-parliamentary opposition was announced.In a flyer comprising several pages, the extreme left-wing Anti-Atom-Plenum (AAP — ‘‘Anti-Nuclear Plenary’’) of Berlin called upon the anti-nuclear movement to continue their resistance to the ‘‘nuclear State’’: ‘‘Enough has been said! Movement arises out of movement, and each day offers new and unexpected opportunities for putting one over on the nuclear state. ...No CASTORs, no resistance this notion was developed without [taking account of] the resistance put up at nuclear sites. And without considering the fact that also interim storage depots at such sites will, at some time or other, require new casks, namely empty containers. And these can be blocked by people just as well as filled containers. Therefore: get maps of Biblis, Philippsburg and Neckarwestheim; enter your names in the alert lists, and form bands! Get everything else — as usual — at the do-ityourself store.’’ Until September, however, a considerable degree of weakness in terms of organization and mobilization was to be noted among the structures of extreme left-wing orientation within the anti-) nuclear power plant NPP movement. This is corroborated by the fact that, for more than two years (since March 1998), there have not been any CASTOR transports which could have been exploited by leftwing extremists as points of crystallization and of reference and contact for the mobilization of resistance.Doomed to failure were attempts to achieve greater mobilization by starting a discussion on other aspects regarding peaceful uses of nuclear energy. Blockades against transports of uranium hexafluoride (UF6), inter alia to the uranium enrichment plant in Gronau (North Rhine/Westphalia), which had been announced by various anti-nuclear initiatives with the aim of at least disrupting the supply of the required nuclear fuel to nuclear power plants, either failed to come off or remained ineffective on account of the small number of participants. Nevertheless, militant anti-NPP activists preserved their ability and willingness to carry out attacks 489 — including covertly prepared action. Thus, in the night of 16/17 February, unidentified offenders removed the fixing screws on the access track to the Biblis (Hesse) nuclear power plant (NPP) over a length of about 50 m and raised part of the rails by about 90 cm. In a letter claiming responsibility and entitled ‘‘Sofortige Stilegung der Atomanlagen — Kapitalismus zerlegen’’ [‘‘Immediate decommissioning of nuclear installations! — Dismantle capitalism!’’], the offenders announced that they intended — by means of a ‘‘blockage strategy’’, i.e. a [nuclear waste] disposal emergency — to enforce the immediate phaseout of nuclear energy: ‘‘It is planned that in the summer one of the first CASTOR transports approved by the Red-Green coalition will go, via this spur line, to the Ahaus interim storage site for reactor fuel. ... Unlike the Red-Green camp, we see a blockage strategy, either legal or illegal, as a means to enforce the immediate phaseout of nuclear energy. The next CASTOR [train] will not reach its destination! ...Destruction of the CASTOR track underlines our determination not to stand by idly to watch the ongoing operation of nuclear installations for another thirty years and more. ‘‘Increased moblization took place after specific plans for the resumption of nuclear waste transports from the nuclear power plants (NPPs) in Philippsburg (Baden-Wurttemberg), Biblis (Hesse) and Stade (Lower Saxony) to the nuclear fuel reprocessing plant in La Hague (France) had become known.Following the declaration of the nationwide ‘‘CASTOR ALARM’’ by various anti-nuclear initiatives in early September, some 1,000 and about 500 anti-nuclear activists — including violence-inclined ’autonomists’ — demonstrated in the Philippsburg area on 15 October and 18 October, respectively. The attempt made by 30 to 50 demonstrators to make a hollow under the track to the NPP was stopped by the police.The developments regarding the extreme left-wing struggle against nuclear energy was parallelled by that of the commitment — which decreased as compared to previous years — of left-wing extremists within the movement against bio-engineering and genetic engineering, which is organized and supported mainly by non-extremist action groups. In this action field, too, left-wing extremists are trying to engage in agitation and action with regard to subjects of controversial public debate and thus to exploit these subjects for their anticonstitutional aims. Like their resistance to the use of nuclear energy, their resistance to genetic engineering — as acknowledged by them quite openly — is only a means serving the purpose of abolishing the political system in Germany. At the same time, however, the spectrum of extreme left-wing protest manifests a high degree of acceptance especially of forms of militant resistance against genetic engineering. Priority targets of militant opponents of genetic engineering continued to be — although on a decreasing scale — outdoor test fields which are difficult to safeguard, where property damage and economic consequential loss caused by the destruction of transgenic seeds and plants amounted, in individual cases, to several hundred thousands of deutschmark. Also, considerable material damage (about 1.5 million deutschmark) was caused by an arson attack committed against a mobile research laboratory in Gieflen in the night of 3/4 May. 490 4. ‘‘Fight against EXPO 2000’’ The ‘‘fight against EXPO 2000’’, the world exhibition (1 June - 31 October 2000) in Hanover, remained a focus of attention of leftwing extremists, but did not meet with the hoped-for response and did not result in the anticipated broad mobilization. In a ’postmortem’ review, they had to concede that — by contrast with the subjects of CASTOR transports and ‘‘fascist rallies’’ — they had not succeeded in presenting the world exhibition as a clearly outlined enemy stereotype. From January until November, a total number of 325 politically motivated offences were committed in Lower Saxony in connection with the world exhibition; during the same period, another 44 offences were committed in this context outside Lower Saxony. In Berlin-Tempelhof on 27 February, the group AUTONOME MILIZ [‘‘autonomist militia’’] (cf. no. 1, above) set fire to the private car (Daimler-Benz) of the EXPO Commissioner of Berlin Land. In a letter claiming responsibility, the perpetrators agitated that: EXPO 2000, behind the mask of progress and development, hid the absolute exploitation of man and of nature. The intention of its initiators was to boost acceptance of racism, human selection, destruction of the environment, and war. This disgusting mise en scène was pushed ahead by the EXPO Commissioner of the Land Before and at the opening day, disruptive actions and acts of sabotage occurred on an increasing scale In the night of 23/24 May, unidentified perpetrators carried out an action against a test field of genetically modified colza in Neustadt (Lower Saxony). They laid out cut-off plants over a large surface to write ‘‘EXPO NO!’’; this caused material damage to the tune of millions of deutschmark. In a letter claiming responsibility, the offenders wrote: ‘‘By mowing down this test field, we oppose the designs of the future which as of next week are planned to be presented at the EXPO 2000 exhibition under the motto ‘‘Mensch — Natur — Technik’’ [‘‘Humankind — Nature — Technology’’]. ... This is to encourage the participants in the Anti-EXPO Demonstration on 27 May and the activists of the action day ‘‘EXPO lahmlegen’’ [‘‘Paralyse the EXPO!’’] on 1 June!’’ On 27 May, about 1,000 persons, mostly from the extreme leftwing spectrum, took part in a demonstration held in Hanover under the motto ‘‘Die Beherrschung verlieren — EXPO NO!’’ [‘‘Losing control — EXPO NO!’’]. They expressed their protest on banners and with chanted slogans like ‘‘EXPO sabotieren’’ [‘‘Sabotage the EXPO!’’] and ‘‘Gentechnologen — EXPO-Strategen, wir werden euch das Handwerk legen’’ [‘‘Genetic engineers — EXPO strategists: we’ll put a stop to your game’’]. Apart from verbal attacks, the demonstration was peaceful. In the early hours of 1 June, unidentified persons blocked the Hamburg-Hanover and Göttingen-Hanover railway tracks with burning motor-car tyres. A grapnel hook was found in the supporting cable of the overhead system of a suburban fast train [commuter railways] in Hanover. During a train stop in Wedemark (Hanover Landkreis), unidentified persons blocked a current collector with barbed wire; this caused a short circuit (property damage: about 200,000 deutschmark). In the course of the day, there were several attempted blockades and demonstrations. In addition to bomb threats, there also were minor acts of sabotage in the Hanover city 491 area (inter alia, use of fast-setting glue to put ticket vending machines out of operation gluing up of light barriers in commuter railway carriages; activation of emergency brakes in trains). Fire was set to about 30 rubbish containers.In the night of 4/5 June, unidentified persons carried out a grapnel attack on the Hamburg-Hanover railway line near Celle (Lower Saxony) and against the line in the reverse direction; this attack caused considerable delays. In the same night, a grapnel attack was committed against the Hanover-Bielefeld railway line; the track was closed to traffic for two and a half hours. A letter by ’autonomist’ groups claiming responsibility, which was received by the German press agency dpa in Hanover on 6 June, obviously refers, inter alia, to these two offences: ‘‘We definitely see our action as a contribution to the actions to prevent the opening of the EXPO ... . Moreover, we want to give a warning to the railway company: the next Castor [train] is sure to arrive!’’ After the opening of EXPO 2000, the number of violent actions rapidly declined. In the scene paper ‘‘INTERIM’’ of 5 October, an antimperialistische aktion (aia — ‘‘anti-imperialistic action’’) claimed responsibility for having deposited an ignition-delayed incendiary device targeted against the power supply of the training centre of the Daimler Ch rysler AG in Ludwigsfelde-Genshagen (Brandenburg) during the night of 29/30 August. The unnamed authors agitated that: the EXPO, which was supported by the ‘‘war industry combine’’ Daimler Chrysler AG, was the ideological and symbolic point of crystallization of the various systems — presented in a humane cloak — for securing dominion. Projects like the EXPO fulfilled the role of procuring acceptance, among the masses, of the imperialist policies of the IMF/World Bank, the World Trade Organization (WTO) or EU summits: ‘‘It is this function which makes the Expo a truly ’successful enterprise’ and thus, reversing the argument, the central target of left-radical anti-imperialist resistance.’’ For the major part, the efforts of extreme left-wing anti-EXPO activists to preserve, beyond the duration of the world exhibition, the structures created during the campaign for exchanges of views on ‘‘emancipation policies’’ would seem to have come to nothing. VI. Propaganda and Communications Media 1. Publishers, Distribution Companies, and Periodic Publications In 2000, nearly 40 publishing houses and distribution companies serving a left-wing extremist audience disseminated newspapers, journals and books. The total number of their periodical publications — some 230 — and the total number of copies — about 8 million — have remained constant as compared to the previous year. 2. New Communications Media Left-wing extremists also make use of electronic communication media such as the 492 Internet and mailboxes for the purpose of disseminating their political concepts to as many addressees as possible, improving communication within the extreme left-wing scene, and accelerating the progress of the organization process.In addition to the WorldWideWeb (www), left-wing extremists make use of other services as well, such as E-mail, mailing lists and newsgroups. For internal communications, use continues to be made of mailbox systems. 2.1 Internet Almost the entire extreme left-wing spectrum is by now represented on the Internet. In addition to larger left-wing extremist organizations, such as the Kommunistische Partei Deutschlands (KPD — ‘‘Communist Party of Germany’’), Deutsche Kommunistische Partei (DKP — ‘‘German Communist Party’’), Assoziation Marxistischer StudentInnen (AMS — ‘‘Association of Marxist Students’’) or the Trotskyite Linksruck-Netzwerk (LR — ‘‘Left-Swing Network’’), also ’autonomist’ groups such as the Antifaschistische Aktion Berlin (AAB — ‘‘Anti-Fascist Action Berlin’’), the Autonome Antifa (M) of Göttingen or the Bündnis gegen Rechts Leipzig (BgR Leipzig — ‘‘Leipzig Anti-Right Alliance’’) exploit the opportunities provided by the Internet. The various homepages present their content in a rather austere form, but extremely professionally. In designing their Internet sites, left-wing extremists focus on the prompt dissemination of information and on the serviceability of the items offered, rather than on any ‘‘show effects’’. While the Internet sites of larger extreme left-wing organizations — especially political parties — mostly provide extensive information about the respective organization and about its programmatic concepts, etc., the sites of ’autonomist’ groups usually cover calls for participation in demonstrations, information on other events and information on (presumed) extreme right-wing organizations/ individuals, and many links to Internet sites mainly covering extreme left-wing subjects.The Internet projects ‘‘nadir’’, ‘‘Partisan.net’’ and ‘‘DIE LINKE SEI-TE’’ have developed as so-called information portals. Such portals provide for central collection of information, partly classed under headings such as specific subjects and focal issues, on the activities and perspectives of left-wing extremists, and make such information available to Internet users. Other portal sites, e.g. ‘‘P.u.K.’’ (‘‘Politik und Kultur’’ — ‘‘Politics and Culture’’) from Göttingen are being built up.The Internet was used mainly for the dissemination of reports and appeals for participation in demonstrations with reference to the subjects of ‘‘anti-fascism’’, ‘‘anti-racism’’, ‘‘anti-EXPO’’ and ‘‘anti-globalization’’. Also, the situation of political prisoners, the ‘‘Kurdish liberation struggle’’ and ‘‘disruptive action’’ against the public oath-taking ceremonies for recruits were subjects covered on the Internet. 2.2 Mailboxes A large number of left-wing extremist groups continue to use commercial mailbox systems, in addition to the Internet. These systems — especially when used as closed user networks — are, as before, of significance for the exchange of information among politically like-minded people. 493 10. DOCUMENTO N. 6 ASIMMETRIA E CONFLITTUALITÀ NON CONVENZIONALE NELL’ANTAGONISMO GANDHIANO E ANARCHICO * 1. Formes d’asymétries Les stratégies asymétriques visent davantage à influencer et à infléchı́r qu’à conquérir. Elles recherchent plutôt l’effondrement de systèmes et de processus, que la destruction des sociétés. allea nécessitent un solide ancrage dans l’espace humain et dans l’infosphère, où l’asymétrie peut s’exercer. Comme pour toute stratégie, les stratégies asymétriques utilisent une_combinaison interattive des trois dimensions vues plus haut : — la finalité, la manière et les moy. Les principales formes de guerres asymétriques utilisées dè facon indépendante ou en combinaison sont La non-violence La violence politique Le terrorisme ne partie de la guerre de l’information Dans la majeure partie des cas, on trouve une relation linéaire entre la forme et la finalité du conflit. La révolution marxiste en est sans doute la forme la plus élaborée, combinant plusieurs stratégies asymétriques, en un seul processus. Les moyens utı́lisés varient eux aussi selon la finalité du conflit. Il est ainsi relativement improbable qu’un mouvement séparatiste, ou qu’une organisation criminelle, utilise l’arme nucléaire contre son ‘‘pays-hôte’’. En revanche, des mouvements religieux d’obédience apocalyptique, comme la sette AUM Shinrı́ Kyo au Japon, n’ont pas de réticences concernant l’emploi d’armes de destruction massive, car elles ne font qu’accélérer un processus apocalyptique qu’elles considèrent inéluctable. 2. La non-violence La non-violence, non pas celle du pacifisme européen militant des années 80, prônant un naif désarmement général des démocraties face aux dictatures, mais la non-violence en tant que strategie d’action constitue l’archétype d’une stratégie asymétrique. * Tratto da Jacques Baud, La guerre asyimmetrique, editions Du Rocher, 2003, pp. 108-114. 494 Il ne s’agit pas ici de stratégie éthérée, mais d’unie réelle manière de combattre. Mise en oeuvre avec succès par Gandhi à la fin des années 40 en Inde, la non-violence est une stratégie qui transcende l’emploi de la violence et ‘‘désarme’’ littéralement l’adyersaire. Elle oppose la volonté aux armes et est vraisemblablement la ‘‘forme de combat asymétrique’’ la plus difficile à contrer. ‘‘La non-violence ne consiste pas à renoncer à toute lutte réelle contre le mal. La nonviolence est au contraire contre le mal une lutte plus attive et plus réelle que la loi du talion, dont la nature méme a pour effet de développer la perversité. J’envisage pour lutter contre ce qui est immoral une opposition mentale et par conséquent morale. Je cherche à émousser complètement l’épée du tyran, non pas en la heurtant avec un acier mieux effilé, mais en trompant son attente de me voir lui offrir une résistance physique. Il trouvera chez moi une résistance de l’ame qui échappera à son étreinte. Cette résistance d’abord l’aveuglera et ensuite l’obligera à s’incliner. Et le fait de s’incliner n’humiliera pas l’agresseur, mais l’élèvera’’ On se trouve dès lors dans une situation typique du conflit asymétrique, où à chaque action, l’adversaire ‘‘symétrique’’ détériore sa propre situation polı́tique. Pour étre efficace au pian stratégique, la non-violence ne doit pas constituer une ‘‘stratégie par défaut’’, mais l’une des stratégies disponibles pour répondre à une situation donnée. ‘‘La non-violence a pour condition préalable de pouvoir frapper. C’est un refrènement conscient et délibérédu désir de vengeance que l’on ressent. La vengeance est toujours supérieure à la soumission passive, efféminée et impuissante, mais la vengeance est aussi faiblesse. La non-violence n’est pas un masque pour les làches, mais la verta supréme des braves... La non-violence suppose la capacité préalable de pouvoir frapper.’’ Comme on le constate, il ne s’agit pas d’une stratégie de l’impuissance, mais une stratégie délibérée de non-emploi de la force. Trouvant ses racines dans les philosophies orientales, le refus délibéré d’appliquer une supériorité physique reste largement incompris en Europe, où la ‘‘non-violence’’ exclut cette ‘‘condition préalable de pouvoir frapper’’. Ceci s’explique également par le fait qu’en Europe, le lien ‘‘pacifisme — non-violence — désarmement’’ est un objectif en soi, et non une stratégie de résolution de problèmes, comme ce fut le cas pour Gandhi. La force de la non-violence comme méthode de guerre asymétrique réside dans la complexitéde la réponse à lui donner, car non seulement cette posture s’inscrit dans le temps, mais elle suppose que celai qui l’emploie accepte de tout perdre. Tout comme dans l’instruction à la violence, il faut apprendre l’art de tuer, dans l’instruction à la non-violence il faut apprendre l’art de mourir. Ce que l’on pourrait interpréter très rationnellement ici comme l’exploitation de la puissance médiatique pour fonder une stratégie — et qui pourrait d’ailleurs à notre époque fonctionner de cette manière — est, en faı́t, une dé marche philosophique plus 495 profonde ‘‘qui vient du cceur et ne saurait venir d’un appel de la raison’’. L’essence asymétrique de la non-violence peut étre résumée très simplement par: Il n’existe pas de défaite dans la non-violence. Ne cherchant pas à conquérir, la stratégie non-violente n’offre rien à perdre. On se trouve ainsi dans un jeu du type ‘‘qui perd gagne’’ qui défie les stratégies occidentales habituelles, mais qui s appuie sur une culture, des structures de société, une notion de la vie et surtout une perception du temps en inadéquation avec la ‘culture et là vision occidentales. C’est donc une stratégie difficilement transposable parce que pratiquement ı̀ı́grer dans la Weltanschauung’ occidentale. impossible ánte 3. Le Black Bloc Le Black Bloc illustre assez bien les manifestations contemporaines de la violence politique. Contrairement à une opinion largement répandue — et aux affirmations de certains services de renseignements — le Black Bloc n’est ni une structure, ni une organisation, ni un réseau, ni une idéologie. Elle représente une fonctionnalité au sein d’une manı́festation, associée à une stratégie d’action de nature asymetrigue. Située aux confine de l’‘‘incivilté’’, de la guérilla urbaine et du terrorisme, stratégié d’u Black Bloc a ses origmes s les manifestations des groupes autonomes des années 80 en Allemagne. Elle fai son apparition aux Etats-Unis lors de mànifestation contre la guerre du Golfe en 1991, et a été mise en oeuvre dans toutes les manifestations contre la mondialisation. L’appartenance de certains de ses théoriciens au mouvement Eugene créé aux ÉtatsUnis par Colin Clyde et John Zerzan’ tend à faire assimiler le Black Bloc à une idéologie anarchiste. Toutefois, ses artisans se recrutent parmi les divers mouvements d’extréme gauche, àutonomes écologistes ou anarchistes, et se défendent de représenter une idéologie particuliere. En fait, ile sont davantage un assemablàgé de mercenaires’’ provenant des divers mouvements anti-mondialisation préts à fonctionner comme groupe ‘‘de choc’’ au profit de l’ensemble de la manifestation. Le sommet de l’Organisation Mondiale du Commerce de Seattle (30 novembre 1999), la réunion du Fonds Monétaire International à Washington (16-17 avril 2000), la convention du Parti républicain à Philadelphie (1º-2 août 2000) et le sommet du G8 à Génes (21 juillet 2001) ont été quelques-unes des occasions qui ont permis au Black Bloc d’atteindre une notoriété mondiale. La gestion stratégique des Black Blocs est assurée à travers les chat-rooms (forums de discussion) sur Internet.Le regroupement des equipes et la stratégie sont discutés et fixés quelques heures avant l’actión. Lors du sommet du G8 àGénes, les tentatives de la police italienne de pénétrer les chat-rooms sous le pseudonyme de ‘‘Crudelia’’ afin d’intercepter les plans des Black Blocs ont été rapidement identifiées et immédiatement publiées sur le Net, accompagnées de fausses informations destinées à induire la police en erreur. 496 Sur le terrain, la stratégie du Black Bloc préconise l’engagement de petites cellules de 5-20 personnes qui, généralement, se connaissent et coordonnent leur présence et leur stratégie opérationnelle avant l’action. L’action tactique est décideé sur place quelques minutes avant le déclenchement de la manifestation. Masqués et vétus de noir, les ‘‘membrès’’ du ‘Black Bloc défilent avec drapeaux (noirs) et tambours, non sans rappeler des armées d’un autre temps. Leur présence au sein de la manifestation principale est organisée de manière théatrale et méthodique. Malgré une apparente désorganisation, les manifestations anti-mondialisation font l’objet d’une coordination et d’une conduite spontanée et efficàcés, malgré des modes d’action qui se renouvellent rapidement. Les prı́ncipes stratégiques sont identiques et seule la tactique diffère réellement. L’organisation à l’intérieur de la manifestation s’articule autour de fonctions (appelés ‘‘blocs’’) et non autour de groupes. A Prague, le Black Bloc était inséré dans le ‘‘Bloc Bleu’’ (ou ‘‘Blue Bloc’’), constitué d’éléments politiques ‘‘dure’’. A Génes, le Black Bloc était inséré dans la manifestation principale, entouré par des membres du ‘‘Bloc Rose’’ (ou ‘‘Pink Bloc’’) qui constituait pour l’occasion un groupe de ‘‘Tactical Frivolity’’, dont la fonction est de faire diversion et de favoriser la sortie et l’entrée du Black Bloc dans le cortège. Le Black Bloc ne fait qu’initier le chaos, puis se retire rapidement dès que la situation dégenere, laissant les autres membres de manifestation aux prises avec les forces de l’ordre Leurs actions sont enregistrées sur vidéo, afin d’étudier et d’améliorer les tactiques. Les ormes action changent au cas par cas, mais suivent une stratégie générale axée sur la création d’un esprit de solidarité, contre la répression policière,en créant une situation chaotique, qui sert de tremplin à la protestation. Par la provocation et une grande mobilité tactique, les ‘‘combattants’’ du Black Bloc cherchent à briser la cohésion des forces de police et à les entrainer dans des affrontements qui permettent au ‘‘gros de la manifestation’’ de se développer. Utilisant parfois - et méme souvent - la violence, la destruction et le saccage, parfois la violence verbale et la menace de violence, la stratégie change selon les lieux et les participants. Afin de s boliser son succès, le Black Bloc établit des ‘‘Zones autonomes temporaires’’ (ZAT) éphémères qui permettent simplement aux manifestants de matérialiser un objectif, méme si elles ont une valeur plus symbolique que territoriale. La simple destruction ou le saccage d’un magasin peut constituer un ZAT. Composantes du mouvement anti-mondialisation àGénes (juillet 2001) Bloc Rose Le ‘‘Bloc Rose’’, initialement formé par des mouvements homosexuels radicaux (comete Revolutionary Radical Queer), regroupe les forces non-violentes. Il se compose principalement du Réseau Lilliput, né en 1999 à 1’inı́tiative d’Alex Zanotalli qui comprend les groupes Consumatori Consapevoli Rlciclanti Compatibili Cooperazione Terzo Mondo, Nigrizia, Manitese, Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau, Pax Christi, Beati i costruttori di pace, Rete Radie Resch, WWF-Italia, Associazione Botteghe del Mondo, Bilanci di Giustizia, Centro Nuovo Modello di Sviluppo. 497 Bloc Jaune Le ‘‘Bloc Jaune’’ regroupe les forces de désobéissance civile, parmi lesquelles, principalement les Tenues Blanches,et Ya Bàsta!, qui soutient l’action de l’EZLN au Chiapas. Les Ténues Blanches, qui pronent le forcement des barrages policiers en ville de manière non-violente, se déploient avec casques, boucliers et masques à gaz. Dans une ‘‘Déclaration de guerre aux puissances de l’injustice et de la misère’’. Bloc Bleu Le ‘‘Bloc Bleu’’ regroupe les ‘‘inflexibles’’. En Italie, il se confon avec le Réseau pour es roats globaux et est associe à la Confédération Cobas et quelques centrales sociales du centre-sud du pays. Bloc Rouge Esentiellement composédu Réseau anti-impérialiste, il était représenté par des mouvements pronant la défense de Milosevic et du nàtionalismé serbe. Après l’engagement, Internet est également utilisé à des fins de manipulation ou de propagande, pour prolonger et exploiter l’action des Black Blocs. Peu après les violentes manifestations de Génes, la photo du jeune Carlo Giuliani, tué par un carabinier, est immédiatement publiée sur le Net, avec un film des événements. La vraie dimension asymétrique du Black Bloc est qu’il sert principalement les intéréts polı́tiques d’autres mouvements, qui revendiquent des méthodes pacifistes, en exploitant les ‘‘brutalités policières’’ provoquées par les ‘‘mercenaires’’ du Black Bloc. Ces derniers se ‘‘sacrifient’’ pour disloquer le dispositif policier et provoquer des brutalités policières indiscriminees, et en assumant la responsabilite de l’emploi de la violence. Les manifestants ‘‘pacifiques’’ sont ainsi victimisés. Brutalité et mondialisation péuvent arasi etre associéés et discréditer l’action du gouvernement. Ceci explique pourquoi méme les composantes ‘‘pacifistes’’ du mouvement contre la mondialisation acceptent et soutiennent le rôle du Black Bloc. La stratégie du Black Bloc est ainsi de créer des ‘‘martyrs’’, qui vont légitimer l’action anti-mondialisation. Des mouvements comme ATTAC et d’autres peuvent ainsi profiter de ce ‘‘paravent’’, critiquant la violence, mais évitant d’exclure les fauteurs de troubles avant les événements, afin de pouvoir stigmatiser lés violences policières par la suite et ainsi bénéficier e la sympathie de l’opinion. 498 11. DOCUMENTO N. 7 GUERRA PSICOLOGICA E ANTAGONISMO IN ATTAC * 1. La genèse d’Attac Dans un éditorial intitulé ‘‘désarmer les marchés’’, Ignacio Ramonet dénonce tour à tour le pouvoir des marchés financiers et des entreprises transnationales, ainsi que les grandes institutions telles le Fonds Monétaire International (FMI), l’Organisation pour la Coopération et le Développement Èconomique (OCDE), et l’Organisation Mondiale du Commerce (OMC). Succédant au GATT en 1995, cette dernière est devenue, selon l’auteur, une institution dotée de pouvoirs supranationaux et placée hors de tout contrôle de la démocratie parlementaire. Il fustige son autorité à légiférer au niveau mondial, en matière de droit du travail, d’environnement ou de sante publique. Il exige son abrogation car elle constitue une entrave manifeste à la liberté du commerce. Le second semestre de l’année 1997 marque le début de la crise financière qui frappe les pays émergents Gomme la Thaı̂lande puis la Corée du Sud. Le brusque retrait de capitaux par les investisseurs internationaux, précipite la chute de l’Asie orientale. En aoû´t 1998, les places financières internationales assistent à la plus grave crise économique depuis 1929. Ignacio Ramonet accuse les marchés et s’interroge sur les conséquences de cette déréglementation, ‘‘le désarmement du pouvoir financier doit devenir un chantier civique majeur’’. Son projet consiste à dissuader certains opérateurs de spéculer sur les devises à concurrence de 1800 milliards de dollars par jour, alors que les échanges de biens et de services réels s’élèvent à seulement 6000 milliards de dollars par an. A cet effet, il préconise l’introduction ‘‘d’un grain de sable’’ dans les transactions financières. Cela consisterait à taxer toutes les transactions sur le marché des changes afin de les stabiliser et de créer ainsi de nouvelles recettes pour la communauté internationale. Ce grain de sable s’appelle la taxe TOBIN. Prix Nobel d’économie, l’Américain James TOBIN avait constatédès les années 1970 que la bulle financière due àla spéculation allait se développer d’une manière exponentielle, il envisageait déjà d’appliquer une taxe de 0,05% à chaque transaction financière sur le marché des changes. Cette taxe contraindrait certains spéculateurs à restreindre fortement leurs fréquents échanges de monnaies et permettrait ainsi de constituer une épargne de quelques 170 milliards de dollars par an au profit des pays les plus dé favorisés. Outre l’aspect pédagogique de cette mesure dont, la mise en ceuvre serait d’après * Tratto dal volume Guerre economique et information, di Lucas/Tiffreau, Edition Elliples, 2001, pp. 159-172. 499 lui très aisée, I. Ramonet prónelacréation d’une ‘‘organisation non gouvernementale mondiale dont l’action serait articulée avec les organisations syndicales, les associations culturelles, sociales et écologiques ainsi que les partir politiques’’. Elle exercerait ainsi une forte pression civique auprès des gouvernements pour l’instauration de cette taxe: appelée ATTAC (Action pour une Taxe Tobin d’Afide aux Citoyens). L’objet de cette association consisterait rait à imposer cet ‘‘impôt mondial de solidarité’’. Créée officiellement le 3 juin 1998 l’association ATTAC s’oppose à la dictature des marchés, au nom d unge sociale et d’urie solidarité internationale refusant tonte pensée économique unique. et toute oligarchie financière. Pour son Président, Bernard Cassen, un remplacement progressif du pouvoir politique par le pouvoir financier est en train de s’opérer. Il importeo* donc que les citoyens s’initient au fonctionnement des marchés, aux mécanismes économiques pour s’arroger les moyens d’agir afin que l’économie ne soit plus une affaire d’experts car ‘‘les dirigeants craignent les citoyens informés’’. Constituée autour de cette taxe TOBIN, idée populaire puisqu’il s’agit de réduire les inégalités économiques et sociales, ses dirigeants réalisent rapidement que cette mesure est insuffisante pour freiner la mondialisation financière qui repose sur un système cohérent et structuré. L’association va rapidement élargir son champ d’action et s’immiscer dans les nouveaux debats de societes que constituent les organisme genetiquement modifies (OGM), les fonds de pensions, l’organisation mondiale du commerce (OMC),la dette des pays du tiers monde...L’ acronyme ATTAC est alors modifié et devient: ‘‘Association pour la Taxation des Transactions financières pour i l’Aide aux citoyens’’. Le but devient la Tutte par l’information et par l’action citoyenne, contre les multiples aspects de la domination de la sphère financière sur toutes les formes de l’activité humaine. En d’autres termes il s’agit de répondre à la ‘‘dictature des marchés par la réappropriation collective de l’avenir de notre monde.’’ 2. Les objectlfs La Tutte par l’information et par l’action citoyenne ne doit pas demeurer à l’état de doctrine; il convient dès lors d’assurer sa mise en ceuvre opérationnelle. L’action menée à Seattle lors de la conférence ministérielle de l’OMC en décembre 1999 a démontré que le réseau des citoyens existait; cependant cette victoire associative qui ‘‘témoigne de l’émergence d’alternatives internationale’’ — ne sera profitable à l’association ATTAC que si elle obtient le statut du ONG. Ce statut légitimerait en effet ses actions futures, et lui permettrait alors de devenir un interlocuteur privilegie des istitutions nationales et internationales. C’est pourquoi il importe en premieu lieu de: — Structurer le mouvement, — Rassembler les autres associations progressistes, — Susciter la confiance parmi les adhérents, 500 — Intéresser les hommes politiques, — Avôir un discóurs ‘‘citôyen’’ ét mobilisateur, — Associer des médias préalablement acquis aux nouveaux debats. 3. L’organisation Gràce à l’appui des relais associatifs et syndicalistes territoriaux et sous l’autorité d’une direction nationale assistée d’un conseil scientifique, Un structureen réseau à vocation internationale apparaı̂t et donne naissance a des comites locaux. ‘‘Profitez des subventions des collectivités locàles afin de vous constituer en associations; si vous constituez un bureau informel, contactez telle personne au siège’’; Cette création doit respecter plusieurs critères: — — — — — contacter les représentants régionaux afin de les associer à cette création, Nommer un coordinateur provisoire, Demander au siège national la liste des adhérents du secteur choisi Informer et former les adhérents Nommer des coordinateurs électroniques indispensables à la circulation des informations à tous les niveaux. Le conseil scientifique travaille en coordination avec des — groupes d’etudes et de reflexions afin d’elaborer une base documentaire et des dossiers thematiques necessaires a l’appui de manifestation ou de réunions publiques. Mouvement d ’éducation populaire, son financement est mis en piace loca ement, par le sı́ège national. Un auto-financement à base de badges ét de publications est encouragé.Cependant,le tresorier doit étre un représentant des structures fondatrices d’ATTAC. Les mots d’ordre ou les argumentaires édités par le siège sont diffusés gràce à ces groupes locaux qui deviennent alors des caisses de résonance. Les grandes écoles (Normal Sup, Ponts et chaussées, Sciences-PO les tmiversités (réteil Nanterre, Saint-Denis. .) adhérent à la coordination des comités étudiants et I ‘ycéens et possèdent leur petit journal ‘‘Attactique’’. L’àssociation comete aujourd’hui vingt deux mille adhérents, cent cinquanta comités locaux et cinquanta municipalités qui, après une délibération prise en Conseil municipal, ont décidé d’adhérer en versant une cotisation annuelle de mille francs. Le maillage actif et l’animation de ce réseau repose sur un site Internet dénommé Glocal,‘‘Bienienvenue sur. le site Glocal, ATTAC à la dimension locale’’. Le site http://www.attac.org, très bien documenté, offre aux internautes, diverses informations pratiques pour créer un groupe locai ou s’inscrire sur des listes de discussion francophones. Après une page d’accueil proposant en quelques lignes les grandes étapes de sa fondation, une chronique mensuelle intitulée ‘‘grain de sable’’ rassemble de nombreux textes d’actualités complétés par quelques brèves. (Un calendrier relata les différentes manifestations prévues au mois d’octobre 2000). Quatre rubriques Association, Économie, Mondialisation et Propositions presentent un grand nombre de themes sur 501 la vie de l’association, les mefaits de l’ideologie dominante sur l’economie,la captation de tous les champs de l’activitè hunaine par les enterprises transationales chantres de la mondialitation financiere et de la taxe Tobin qui animerait des logiques de résistance et redonnerait des marges de manoeuvre aux citoyens. Des dossiers thématiques ainsi qua des études de fond comme la finance contre les retraites ‘‘ou économie politique des OGM éf leurs enjeux’’ fournissent une documentation precise. Trois mille pages traduites en huit langues étrangères donnént la mesure des informations présentées ainsi aux adhérents et aux sympathisant.Les communications s’effectuent sur le reseau Associatif et Syndical. L’association, dont l’adhésion n’est possible que par cooptation (selon l’article 7 de ses statuts), a parfaitement cómpris l’intérét que soulève son réseau: c’est l’Internet du citoyen. Militant et solidaire, il met en ceuvre un niveau minimum de confidentialité impératif pour toutes les associations progressistesl. A cette fin, un certain nombres d’outils informatiques ont été installés permettant de garantir la teneur des messageries et des listes électroniques des pages situées dans la partie ‘‘provée’’ du R@S sont seules accessibles aux membres identifiés. Le cas échéant le recours à des courriers postaux classiques pourvoit à l’absence de liaison. 4. L’argumentaire La page d’accueil présente l’argument principal: ‘‘Les conséquences de la spéculation financière ne sont pas virtuelles, elles sont là dans de nombreux domaines proches de nous: budget et dette de votre commune, culture, services publics, les agriculteurs’’. Des liens hypertexte renvoient aux actes du colloque national organiséà Morsang sur Orge (Essonne) les 28 et 29 janvier 2000 sur le thème: ‘‘quand le locai est confronté à la mondialisation libérale. Les collectivités, ancrages du sursaut citoyen’’. L’argumentaire est reduit à sa plus simple expression: le danger est omniprésent — Il sous — tend une forte mobilisation et réclame un engagement dé tous les instants. 5. La propagande A l’issue de ce colloque, a été adoptée une déclaration en forme d’appel aux citoyens et à leurs élus mais aussi aux fonctionnaires territoriaux, syndicalistes et spécialistes de la politique de la ville.La mondialisation financière pèse sur le vie locale’’. ‘‘nous vivons la montee des ı́negalités et des ségregàtions, la mise à mal des principes d’égalité et de soldarité’’. Cette déclaration met en cause une entreprise francaise qui a profitéde sés-liéns privilégiés avec l’administration nationale et communautaire, pour s’arroger une situation quasi-monopolistique sur le marché de Feau. Il importe donc de rompre au plus vite avec la ‘‘marchandisation’’ de cet élément vital pour l’homme. ‘‘Face à une mondialisation marchande qui exclut de plus en plus d’individus et qui perpétue un état d’in- 502 fracitoyenneté du au sentiment de perte de contróle, d’impuissance, de fragmentation de l’existence, la culture et Part peuvent ètre des terrains privilégiés. Il est donc urgent [que] les villes mettent en place des activités et moyens favorisant la création-culturelle et artistique: ‘‘L’accent est donc mis sur une prise de conscience afin de développer une nouvelle democratie locale face a la mondialisation liberale. L’objectif initial, la taxe Tobin, qui aurait réfrénée une spéculation éhontée sur le marché des changes, a fait place à la taxation de toutes les transactions financières; à présent il s’agit de préserver les domaines de l’activité humaine des menaces engendrées par la domination de la sphère financière. Ce glissement d’une proposition de taxe vers une mobilisation de masse, renforce la motivation des adhérents dar — il — s’agit de leur propre avenir et de celui de leurs enfants. L’appel de Morsang est un appelà la mobilisation, un veritable discours de propagande, au sens premier du terme. 6. L’appel à la majorité plurielle Cette démarche s’inscrit dans les traditionnelles actions auprès des ‘‘groupes clés’’ qui revétent une importance stratégique ou tactique particulière. Il ne convient pas ici, de les dissocier ou de les paralyser, mais au contraire de les fédérer et les dynamiser. L’action envers la majorité plurielle s’inscrit donc dans ce cadre. Une pétition nationale lancée au premier semestre 1999 en direction des pouvoirs publics franqais et européens avait pour finalité d’interpeller les élus sur la nécessité d’instaurer la taxe Tobin. Lionel Jospin alors candidat aux élections présidentielles de 1995 avait plaidé pour l’instauration de cette taxe. En mai 1998 lors de la convention du parti socialiste français, cette mesure fut inscrite dans la plate-forme pour les élections européennes: ‘‘Plusieurs députés européens ont d’ailleurs deéposé un résolution allant dans ce sens au Parlement de Strasbourg. Globalément, la communautè polique de gauche etait favorable à l’instauration de cette taxe.Le 16 juin 1999, cinq députés de la majorité plurielle accompagnès par una soixantaine d’élus sympathisants, annoncaient la creation d’un comité ATTAC au sein de l’Assemblée nationalel. Sensibilisés à la taxe Tobin, ces parlementaires refusaient également de laisser l’économie mondialiseé aux mains des seuls experts d’autant que le 23 juin, était prévu un débat sur l’Organisation Mondiale du Commerce. Ces élus déposèrent un amendement au projet de ‘‘loi de Finances pour 2000’’, un article 985 bis au Code Général des Impôts instituant à compter du ler juillet 2000, ‘‘une taxe spéciale sur les opérations, au comptant ou à terme, portant sur les devises, dont le taux est fixéà 0,05%’’. Lors du débat parlementaire prévu le dimanche 24 octobre 1999 à 3 heures du matin, seuls onze députés sur les cent vingt quatre membres du comité ATTAC de l’Assemblée étaient présents alors que les ‘‘anti-Tobin’’ ne rassemblaient que dix sept des leurs; les députés partisans de la taxe Tobin manquèrent cette nuit là, une occasion unique de faire passer cet amendement. Finalement au mois d’août 2000, le ministre de l’Économie et des Finances, Laurent Fabius, annon ait officiellement que la taxe Tobin était très délicate à mettre en oeuvre, et ne pourrait atteindre les buts fixés. 503 7. Les relais mondiaux Si cette démarche de lobbying auprès des hommes politiques s’est avérée inopérante, elle a néanmoins permis un grand nombre de rencontres avec d’autres organisations internationales exprimant les mémes préoccupations. Ainsi, au mois de juin 1999, à l’occasion des journées mondiales de l’association ATTAC, un millier de militants venus de 80 pays se son retrouves à l’université de Paris VIII Saiı̂s Denis. Etàient présents des Equatoriens etc. — Cés derniers manifestaient contre la societè d’assurances francaises Axà qui ayant cree un joint venture en Coree refuse I’implantation de leur synadicat; de leurs cótés les Equatoriens critiquaient les pratiques du groupe pétrolier fran ais Elf. A l’issue du défilé parisien clôturant ces journées, Bernard Cassen déclarait ‘‘nous avons créé un vrai mouvement d’éducation populaire. Les journées mondiales Gomme la manifestation, c’est le passage à de nouvelles étapes’’. Après une première année d’existence, ATTAC devient de facto un organitation internationnale sans structure hierarcichiqye ni centre géographique. Elle est constituée .de réseaux indépendants et autonomes dont les objectifs convergent avec ceux des nòuvéaux mouvements tels ‘‘le Comité pour l’Annulation de la Dette des ays du i — onde’’ (CADTM), ‘‘le forum des alternatives’’, ‘‘la coordination contre l’accord multilatéral sur l’investissement’’ (AMI). Selon les dirigeants de l’association, les réseaux étrangers qui. développent leurs propres motifs d’oppositions au néolibéralisme (dette publique, plans d’ajustement structurel du FMI...) doivent trouver localement la réponse appropriée à leur combat; le Brésil par exemple s’est vu impose par le Fonda Monétaire Internatinnale (FMI), une augmentation des taux d’intérét de sa dette. Une coordination existe cependant afro de fédérer toutes les énergies populaires, citoyennes et démocratiquesl Gomme ce fut le Gas lors des négociations internationales de l’Organisation Mondiale du Commerce (OMC) à Seattle en décembre 1999. Etroitement associée à des organisations progressistes syndicales, culturelles, sociales et écologiques, souterrue par des élus appartenant majoritairement à la gauche plurielle francais,bien représentée auprès des collectivités-locales, ATTAC est une association activisi dont la vocation est devenir le fer de lance de la lutte contre la mondialisation. Jalouse de son indépendance et de son autonomie, e e se refuse à une quelconque récupération politique. En revanche elle exerce son influence sur les hommes politiques qui estiment que cette nouvelle société civile prendra à terme un essor ‘‘planétaire’’ selon l’expression dé Bernard Cassen. Un examen plus attentif des méthodes d’action de cette association nous rappelle celles du Komintern; peut étre faut il y voir le calque d’une idéologie Marxiste liee àux personnalités fondatrices, issues de milieux politisés de gauche unire d’extréme gàúche (Tliers-mondı̀sme, trotskisme, CGT). — Nous observons en effet que le discours présenté s’adresse principalement aux individua dont l’insertion dans la société actuelle s’avère très délicate: chómeurs en fin de droit, jeunes dont l’éducation est absente, intellectuels en rupture de ban. Ces catégories aux connaissances économiques souvent inexistantes, repre- 504 sentent un terreau favorabIe à cette propagande qui les éxhorte àse réapproprier l’auvenir du Monde. — Les ennemis sont ici identifiés et codndàmnés — ce n’est plus l’État bourgeois, ce sont les transnationales qui s’arroggent des droits régaliens, — Les comités locaux appuyés par des mouvements associatifs ou syndicaux territoriaux, sont chargés de diffuser les textes élaborés par le siège centrai, de recruter des sympathisants (fonctionnaires, élus des collectivités locales, élèves de grandes écoles et d’Universités), et de préparer les mouvements sociaux: ils s’apparentent aux sections de la IIIe Internatinnale placées auprès de chaque parti frère, chargées de missions identiques et gardiennes de l’orthodoxie socialiste. Léréseau Internet (dont l’information est filtrée par les dirigeànts) est au’ourd’hui le moyen le plus rapide de contacter tous les mouvements luttant contre cette mondialisation financière. La presse écritè et la publication d’ouvrages (Le Monde diplomatique, Le Monde libre) assurent l diffusion nationale de tous les textes. Finalement cette propagande s’accompagne d’un projet de rénovation de l’ensemble de la société actuelle: ‘‘Une démocratie locale forte et organiee permettra de creer une nouvelle societé civile planetaire temoignant de l’emergence d’alternatives internationales’’. L’ennemi d’aujourd’hui est clairement identifié, il s’agit de la mondialisation libérale, qti il importe de combattre en s’attaquant aux firmes multinationales. Ce florilège de bonnes intentions ne doit pas masquer la réalité: Un nouvel internationalisme est en train de naitre, très différent de celui des années soixante. Selon Christophe Aguitton Secrétaire Général de l’association, ‘‘il s’agit maintenant de changer le monde mais sur des objectifs concrets’’. L’esprit du parti mondial unifié et centralisé n’est peut étre pas si lointain ... Les évènements futurs nous éclaireront sur la viabilité des nouvelles formes de cultures subversives, ou au contraire si elles sont vouées à l’échec comme le furent les précédentes tentatives en la matière. 505 BIBLIOGRAFIA Sezione A Prima di passare all’elenco alfabetico dei volumi, cui quali abbiano fatto riferimento, ci corre l’obbligo per una questione di trasparenza ed onestà intellettuale chiarire che l’utilizzo di internet è stato fondamentale per la stesura dei seguenti argomenti: Parte prima (abbiamo utilizzato i testi in lingua inglese in formato pdf tratti dal sito della Rand Corporation relativi alla netwar); Parte seconda (l’analisi della documentazione su Porto Alegre è stata mutuata dal sito del WSF in lingua inglese); Parte quarta (le analisi relative all’ACC e all’IGC sono state possibili esclusivamente facendo riferimento ai rispettivi siti internet); Parte sesta (fondamentale è stato il contributo di internet per la stesura delle parti relative a Pax Christi e dei Beati); Parte ottava (relativamente ai networks USA l’utilizzo dei loro rispettivi siti internet è stato assolutamente decisivo); Parte decima (le informazioni sull’USPID, sul PUGWASH, sul CESP come quelle relative al Centro Gandhi e al Campo Anti-imperialista sono state interamente desunte dai rispettivi siti internet). Parte tredicesima (per Kubric abbiamo fatto riferimento al sito italiano di riferimento) Parte quindicesima (l’antagonismo verde è stato ricostruito partendo dai rispettivi siti internet e dai rapporti dell’intelligence americana e francese) Appendice seconda (le relazioni del SISDE,della Polizia federale svizzera e della BFV sono state desunte dai rispettivi siti internet) Sezione B R. Altieri, La rivoluzione non violenta, Ed. BFS, 2003. A.V., Ambiente e Guerra, Ed. Odradek, 2003. A.V., Politica e Zen, Feltrinelli, 2000. A.V., Affinità sovversive, Derive Approdi, 2005. A.V., Nuovo ordine internazionale Militare, Ega, 1993. A.V., Pratiche costituenti, Derive Approdi, 2005. A.V., Piccolo Dizionario della globalizzazione, Sperling & Kupfer, 2003. A.V., Rapporto sui diritti globali, Ediesse. 2003. A.V., A Sud. Il sangue della terra, Derive Approdi, 2006. 507 A.V., A.V., A.V., A.V., Global, no global e new global, Laterza, 2002. La democrazia dei movimenti, Rubettino, 2003. 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