ENRICO BARNI
-~
..
L'ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO
E L'ARCHEOLOGIA CHIUSINA
nelle lettere del
CANONICO ANTONIO MAZZETTI
PREMESSA
A
circa
tre
anni dalla
pubblicazione del volume
"Archeologia e Antiquaria a Chiusi nell'Ottocento - Storie di
eruditi,
collezionisti,
mercanti e scavatori",
offro un
ulteriore contributo alla storia archeologica di Chiusi e
della Val di Chiana .
Spero che esso aggiunga elementi interessanti ed utili a
chiarire il fenomeno culturale che l'archeologia fece sorgere
in questa zona,
oltre a mettere in risalto uno spaccato del
costume locale del secolo scorso .
Si tratta,
in pratica,
del diario di un canonico, tenuto
mediante le sue lettere agli archeologi tedeschi di Roma, che
mette in luce tutti
i suoi entusiasmi,
dubbi e
le
delusioni.
na il volumetto illustra anche una parte assai
interessante della vita dell'Istituto Archeologico Germanico,
allora Instituto di Corrispondenza Archeologica.
In appendice,
pubblico per la prima volta una grande
pianta degli scavi di Poggio Gaiella eseguita nel 1841 dal
canonico Luigi Dei,
che porta nuovi elementi utili a
decifrare le caratteristiche della famosa necropoli .
Ho il dovere di
ringraziare il dottor Horst Blanck
dell ' Istituto
Archeologico Germanico di
Roma,
che con
infinita cortesia mi ha permesso di esaminare le carte di
Antonio ftazzetti e di valermene per questa pubblicazione .
Enrico BARNI
Roma, aprile 1988
Indice
- Premessa
L'Istituto Archeologico Germanico e l'Archeologia Chiusina
nelle lettere del Canonico Antonio ftazzetti
- Appendice: La pianta degli scavi di Poggio Gaiella eseguita
nel 1841 da Luigi Dei
Abbreviazioni usate nel testo
- ADAIR
Roma, Deutsche& archaologisches Institut Archivio
Ann.
-
Bul l.
Inat.
Inat.
11.A.L.
Annali dell'lnstituto
cheologica
di Corrispondenza Ar-
Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza
Archeologica
Memorie dell'Accademia Nazionale dei Lincei
ENRICO BARNI
L'ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO E L'ARCHEOLOGIA CHIUSINA
nelle lettere del
CANONICO ANTONIO MAZZETTI
A Roma,
nel
ricco Archivio dell'Istituto Archeologico
Germanico,
esiste un fascicolo denso ed interessantissimo,
nel quale sono raccolte le lettere che un socio-corrispondente dell'Istituto,
il canonico chiusino Antonio ftazzetti,invi6 tra il 1829 ed il 1869.
Sono 120 lettere,
contenenti per lo più segnalazioni di
scavi e scoperte, ma anche accordi commerciali per la vendita
de i repert i .
Esse rappresentano una vera e propria miniera, perché, oltre ad illustrare ampiamente le ricerche archeologiche che
vennero fatte a Chiusi nel
periodo di maggiore intensità
degli scavi, forniscono una serie di notizie relative all'attività dei segretari dell'Istituto nell'Etruria settentrionale .
Il carteggio-ftazzetti pu6, dunque, essere preso a campione
dell'attività dell'Istituto,
coprendo il quarantennio che va
dall'inizio della sua attività alle trasformazioni dell'ultimo quarto del secolo scorso.
Il vero ideatore e fondatore dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica fu Edoardo Gerhard <1>,
che venne a Roma
sin dal 1822 e che nel
1824 e
1825 visit6 con grande
accuratezza il territorio dell'antica Etruria.
Durante questi
viaggi egli ebbe modo di conoscere tutta
una serie di eruditi locali che da alcuni anni si impegnavano
ad effettuare ricerche archeologiche nei territori delle loro
comunità .
Si trattava , per.lo più,
di nobili, di Gonfalonieri <i
Sindaci dei nostri tempi>, di canonici, facilitati nelle loro
esplorazioni dall'essere i maggiori proprietari terrieri.
I viaggi di Gerhard furono assai importanti, perché prepararono il terreno per quella che sarebbe stata la rete dei
soci corrispondenti del futuro Istituto, oltre a consentirgli
di raccogliere sin da allora una certa quantità di disegni di
materiale archeologico appena scoperto.
<1>
- Eduard Gerhard <Poznan 1795 - Berlino 1867) visito per
la prima volta l'Italia nel 1820, giungendo sino in Sicilia e
tornando in patria col vivo desiderio di
ripetere presto
quell'esperienza.
Era venuto in Italia proprio per cercare
di curare una grave malattia agli occhi che l'aveva colpito
giovanissimo.
A Roma collaboro col Bunsen e col pittore
Platner all'importante "Descrizione della città di Roma"
(1826).
Fu autore di
varie opere ed opuscoli di carattere
archeologico tra cui vanno ricordate le "Figurazioni vascolari scelte"
<1839-47>, "Specchi etruschi" <1839) e "Mitologia
greca" <1854- 55).
2
Oltre a Edoardo Gerhard, rafforzarono quei rapporti oon
gli eruditi locali lo Stackelberg <2> ed Ermanno Keatner <3>,
che effettuarono diversi viaggi, soprattutto a Tarquinia• a
Chiusi <4> .
Vediamo coal riunito, a metà degli anni •venti dal secolo
acorao,
il gruppo dai tre maggiori fondatori dell'lnatituto
di Corrispondenza Archeologica.
Edoardo Gerhard ara, dai tre, il più dotato di comunicativa, anche perchè sin dal suo arrivo a Roma aveva cercato di
immergerai in quell'ambiente, curando in maniera particolare
i rapporti con la gente.
Nel tracciare la storia dell'Istituto, nel 1879, il Kichaelis coal ricord6 Edoardo Gerhard: <<Caldamente interessato
per l'Italia e per i suoi abitanti, affatto famigliarizzato
col carattere e cogli usi del popolo, padrone della lingua italiana fino alle sue finezze.>> <5>.
Pu proprio nel corso dei auoi viaggi in Etruria,
intorno
<2>
Il barone Otto Magnus Stackelberg era membro di una
società
internazionale
che
dal
1810
aveva
operato
proficuamente, in campo archeologico, in Grecia. Nel 1816 si
stabili a Roma.
<3> - Augusto Kestner, amico dello Stackelberg, dal 1817 era
addetto all'ambasciata di "Annovera" a Roma.
<4> - Nel 1827 furono scoperte, a Tarquinia, le tombe dipinte
del
"Barone" e delle "Bighe".
Lo Stackelberg si recò a
Tarquinia e copiò i disegni dei dipinti.
L'anno prima era
stata scoperta, a Chiusi, la tomba dipinta di
"Poggio al
Moro", o "Dei",che il Kestner visitò nella primavera del 1828
e descrisse <Ann.
Inst., 1829, p.101>. I dipinti delle tombe
tarquiniesi furono copiati su lucido da Carlo Ruspi, tra il
1832 e il 1835, per incarico dell'Instituto di Corrispondenza
Archeologica. Essi sono stati recentemente esposti nella mostra "Pittura Etrusca.
Disegni e documenti del XIX secolo
dall'archivio dell'Istituto Archeologico Germanico", Roma,
1986.
I primi disegni della tomba chiusina di "Poggio al Moro" furono realizzati, nel 1826, dal giovane pittore senese
Domenico Monti e furono poi pubblicati da Giuseppe Micali
nell'opera "Storia degli antichi popoli italiani", Firenze,
1832, tavv.
LXIX, LXX, LXXII e CII4. Altri disegni della
tomba vennero pubblicati nell'"Etrusco Museo Chiusino", 1833,
vol. II, tavv. CXXII - CXXXII.
<5>
A.
Michaeli&,
"Storia
Germanico", Roma, 1879, p. lo.
dell'Instituto Archeologico
3
al 1825, che Gerhard conobbe a Chiusi
il canonico Antonio
ftazzetti (6) . Questi aveva, allora, 35 anni, ma già da tempo
si
interessava di archeologia, certamente da quando, n~l
1818,era stata scoperta la "Tomba del Granduca" <7>,che aveva
sollecitato gli interessi degli eruditi locali.
A quei tempi Chiusi possedeva già un ricercatore importante, Pederigo Sozzi <8>, che aveva fatto dell'archeologia la
sua maggiore occupazione.
La città sarebbe divenuta, di 11 a poco, e per oltre un
ventennio,
il maggiore centro d'attrazione, in campo archeologico, della Toscana intera.
In essa, appena uscita dai tempi bui dello spopolamento e
della malaria, il giovane canonico era stato uno dei primi ad
interessarsi di antiquaria e possedeva già una collezione di
una certa importanza (9).
Co& l , quando i 1 gruppo romano deg 1 i "I per bo re i ·~ dee i se di
fondare l' Instituto di Corrispondenza Archeologica (11)), fu
naturale accoglierlo nella cerchia dei primi soci corrispondenti.
La prima lettera scritta da ftazzetti a Gerhard reca la
data del 20 maggio 1829 e si rliferisce alla segnalaz-ione di
un vaso della collezione di Pietro Bonci Casuccini, ·che si
era da poco costituita.
I primi approcci con l'ambiente chiusino facevano già intravedere a Gerhard i possibili sviluppi di quei rapporti ed
(6) - Antonio Mazzetti <Chiusi 1791) - 1871)), canonico chiusi no e, successivamente, Vicario della Diocesi di Chiusi e
Pienza,
fu uno dei protagonisti della grande stagione
dell'archeologia chiusina. Sulla sua figu~a, ved. E. Barni G. Paolucci, "Archeologia e Antiquaria a Chiusi nell'Ottocento", Firenze, 1985, pp. 29-32.
<7>
- G.B. Vermiglioli, "Sepolcro chiusino illustrato nelle
sue epigrafi.
Edizione con l'aggiunta di una memoria di Del
Rosso sulla parte architettonica dello stesso monumento",
1819.
(8)
E.
Barni, op. c., pp. 38-44, ove viene messa in luce
la figura politica del Sozzi.
<9>
Sull'ambiente chiusino dell ' epoca, ved.
c. ,pp. 12-21.
E. Barni, op.
(li)) - L'Instituto di Corrispondenza Archeologica fu fondato
il 21 aprile 1829, giorno del Natale di ·Roma.
Il programma
col manifesto associativo era uscito sul finire del gennaio
1829.
4
egli si mostrava premuroso nei confronti dei soci che a Chiusi, come in tanti altri piccoli centri, inviavano relazioni a
Roma.
Presto gli &i pre&ent6 l'occasione per mostrare tutta la
sua stima verso l'ambiente chiusino. Era iniziata, infatti,la
stampa dei primi fascicoli dell'"Etru&co l'lu&eo Chiusino", un'
opera ideata dallo &tesso l'lazzetti, dal Sozzi, dal Ca&uccini
e da Francesco Dei <11>.
La società editrice chiusina era partita con grandi ambizioni, rivolgendosi alla Stamperia Granducale di Firenze, che
&tamp6 i due primi fascicoli. Ma l'impresa ri&chi6 ben presto
di fallire e la &alv6 Francesco Inghirami, che intervenne con
tutto il peso della sua erudizione e con la sua "Poligrafia
Fiesolana" <12> .
Gerhard non &i
la&ci6 &fuggire l'occasione, ~ebbene non
fosse convinto della bontà dell'iniziativa, che do~ette certo
apparirgli frettolosa e priva di un saldo supporto culturale .
Egli,
tuttavia, s'incaric6 di provvedere alla vendita di
20 copie dell'opera, oltrechè di acquistarne una personalmente ed un'altra per l'Istituto <l3>.
Provvide a darne pubblicità sul "Bullettino", anche se in
seguito non le risparmi6 alcune critiche <14>.
Era accaduto
quello che spesso avviene quando le iniziative sono viziate
dall'improvvisazione.
I soci chiusini avevano cominciato a non andare daccordo
con lo stesso Inghirami, il quale a sua volta se l'era presa,
non a torto,
con Domenico Valeriani ed i suoi "Ragionamenti"
che acéompagnavano l'opera.
L'atteggiamento del Valeriani
aveva suscitato persino l'ira di Giovan Battista Vermiglioli,
che inizialmente era stato incaricato della parte epigrafi-
<11) - E. Barni, op. c., pp. 45-48.
<12>
F.
Inghirami <Volterra 1772 - Fiesole 1846>, fu uno
dei maggiori eruditi della prima metà dell ' Ottocento.
Tra le
sue opere maggiori,
i
"Monumenti Etruschi"
<1821-26> e la
"Storia del 1 a Toscana" <1843-46>. Nel 1819 fondò 1 a F'ol i grafi a
Fiesolana, con la quale stampò le sue opere più importanti.
<13>
ADAIR, carte Mazzetti, a Gerhard,lettere dell'8.10 e
4.12.1830; del 23.1, 4.4, 26.4, 7.6, 29.6 e 7.12.1831;del
12.4 e 8.5.1832;del 7.1 e del 9.2.1834.
<14)
Bull. Inst., 1830, pp. 37-38.
5
ca <15> .
Pu il primo screzio tra l'ambiente romano ed i corrispondenti chiusini, e Gerhard e Kestner giunsero persino a
minacciare di interrompere l'associazione all'opera <16). fta,
fortunatamente per i Chiusini, essa era ormai al suo
compimento, in quanto doveva uscire soltanto l'ultimo fascicolo .
Il giro lungo e tortuoso che le copie dei
fascicoli del1 '"Etrusco ftuseo Chiusino" dovevano compiere per giungere a
Roma aiuta a capire quella che fu una delle principali
difficoltà che Gerhard ed i suoi collaboratori si trovarono
di fronte nello svolgimento del proprio lavoro.
Le comunicazioni avvenivano, allora attraverso i corrieri
postali e frequenti erano i disservizi che si verificavano,
con ritardi e smarrimenti delle lettere e dei pacchi con i
disegni.
Comunicare con Chiusi , poi, era un caso a sé. Si trattava,
certo,
di mettersi
in contatto tra due Stati, seppur
confinanti,
ma la cittadina toscana, sebbene si trovasse ai
confini con lo Stato Pontificio, era isolata all'interno dello stesso Granducato di Toscana.
Infatti, le lettere che partivano da Chiusi dovevano passare prima per ftontepulciano e di qui essere smistate a Radicofani, dove giungeva il servizio postale con la diligenza .
Ben presto sia i Chiusini, sia i membri dell'Istituto si
accorsero che non era quello il canale migliore da utilizzare
per far passare la corrispondenza, anche perché, nel commercio, il tempo è denaro!
Se la via toscana era troppo lunga, ce n'era un'altra, a
due passi da Chiusi, che assicurava un collegamento molto più
rapido . Era quella èhe passava per Perugia e Città della Pieve, due centri dello Stato Pontificio.
Cosi, i fascicoli dell'"Etrusco rluseo Chiusino" arrivavano
alla "legazione" di Perugia,
dove tale signor Cecchetti li
recapitava a Roma (due copie per l'Istituto e venti a Pietro
Capobianchi,
impiegato postale,
per il recapito agli altri
acquirenti>.
La corrisvondenza normale passava, invece, per Città della
Pieve, tramite certo maestro ftarcolini .
(15)
Una ricca documentazione delle polemiche che l'opera
suscitò tra gli autori
e tra F.Inghirami
e
gli
editori si
trova in ADAIR, carte Inghirami, lettere a Gerhard del 17.4 e
:::.o. 5. 1830; 4. 2. 1831.
Domenico Valeriani era arrivato a sostenere che gli Etruschi
avevano inventato l'alfabeto e lo avevano insegnato ai Greci.
<16> - ADAIR, carte Mazzetti, 3.5.1834.
6
A conferma di ci6, sul retro della quasi totalità delle
lettere giunte a Roma da Chiusi esiste il timbro postale
"Città della Pieve". Più volte Antonio ftazzetti ricord6 questo accorgimento a Gerhard, come quando, nel 1834, gli scrisse: <<Tutte le volte che Ella mi onorerà dei suoi graditi caratteri, farà grazia d'impostar la lettera tra quelle dello
Stato Romano, dicendo nella sopraccarta = Al Can.co Ant.o
Mazzetti di Chiusi Città della Pieve =>> <17>.
Nelle prime lettere scambiate da ftazzetti con Gerhard è
spesso nominato un personaggio a quell'epoca assai attivo
nell'ambiente romano,
frequentemente incaricato di disegnare
per l'Istituto il materiale archeologico sparso per l'antica
Etruria.
Si trattava di Carlo Ruspi, artista-archeologo molto apprezzato a Roma per la sua particolare tecnica di copiare su
"lucido" i monumenti <18> .
Edoardo Gerhard aveva scritto a ftazzetti, nel maggio del
1829, avvisandolo che presto si sarebbe recato a'Chiusi
insieme al Ruspi, che avrebbe avuto il preciso inca~ico di
disegnare vari oggetti <19>.
Lo stesso canonico chiusino, in una sua lettera del giugno
successivo, afferm6 di essere in contatto diretto con l'artista romano <20>. Sicuramente Ruspi aisegn6, dunque, vario materiale chiusino.
Nel frattempo, i primi articoletti di Antonio ftazzetti apparvero sul "Bullettino" dell'Istituto, negli anni 1829-30-31
<21) .
Si trattava ancora di brevi cenni, quasi timidi, che il
canonico indirizzava a Roma e che si riferivano,
per lo più,
agli scavi intrapresi da Pietro Bonci Casuccini, il nobile
chiusino che più degli altri cercava di ampliare il museo di
famiglia, che tanto gli stava a cuore.
<17> - La situazione muto soltanto con l'arrivo a Chiusi della ferrovia "Centrale Senese" nel 1862, che venne nel 1865
prolungata ad Orvieto e nel 1874 ad Orte.
<18>
- Sull'op"era del Ruspi <Roma 1786 - 1863> ved. C. Weber
Lehmann, in "Pittura Etrusca" cit.,pp. 13-20 e F. Buranelli,
ibidem, pp. 21-25.
<19>
ADAIR, carte Mazzetti, a Gerhard, 10.6.1829.
<20) - Ibidem, 21.6.1829.
<21> - Bull. Inst., 1829,pp.70-71; 1830,pp. 62-64; 1831,p. 9.
7
Inizi6 anche l'acquisto,
da parte di Gerhard, di reperti
archeologici. Nelle sue ultime visite a Chiusi aveva
pe~fe­
zionato alcuni acquisti pre&&o il Sozzi, e il materiale doveva essere direttamente inviato a Berlino.
Pu ftazzetti, non essendo ancora Pederigo Sozzi socio del1 'Istituto, a mantenere per lui i contatti con Roma,
informando Gerhard che le casse con gli oggetti erano partite per
Livorno, dove sarebbero &tate imbarcate <22> .
Intanto , con molta modestia il canonico chiusino, che insieme al vicario della diocesi Giovan Battista Pasquini (23)
inviava regolari rapporti a Roma, parlava delle propria opinioni in campo archeologico e delle proprie iniziative di
&cavo, in società col nobile Ristoro Paolozzi.
Nel 1832 Gerhard torn6 in Germania e vi rimase per vario
tempo,
cominciando a distaccarsi dall'ambiente che
lo aveva
occupato cosi intensamente per vari anni,con risultati par la
verità assai fecondi.
Nella sua patria avvenne un fatto molto importante par il
futuro di molti preziosi reparti che di ll a poco sarebbero
stati tratti dal suolo chiusino. Gerhard fu nominato,nal marzo del 1833,
Archeologo del ftusao di Berlino, istituzione al
cui accrescimento avrebbe dedicato ogni sua energia.
A Roma aveva lasciato a sostituirlo il danese Olau& Kellermann ed Enrico Abeken, cappellano della legazione prussiana.
Sino al 1834 ftazzetti non ricevette lettere dall'Istituto.
Questo dimostra la rilevanza che ebbe par l'l&tituto,in quei
primi anni di vita, l'opera di Gerhard, instancabile nel mantenere i contatti con tutti i soci periferici,
conscio dell'
importanza che essi rivestivano .
Se ftaometto non si recava più alla montagna, fu Kazzetti a
recarsi a Roma, all'inizio del 1833, dove conobbe Kellarmann.
Pinalmente, nel novembre del 1833, Edoardo Gerhard torn6 a
Roma, portando con sé un giovane che aveva conosciuto a ftonaco l'anno prima: Emil Braun <24> .
Si premur6 subito di riallacciare i contatti con l'ambiente chiu&ino,che stava divenendo fondamentale per il progredire della scienza archeologica.
Pochi mesi prima,
infatti,
Pietro Bonci Casuccini aveva
scoperto la tomba dipinta del Colle, la seconda tomba dipinta
scavata a Chiusi nel XIX secolo .
<2 21 - ADAIR, carte Maz z etti, a Gerhard, 18.7.1830.
(231
E. Barni, op. c., p.29.
<24) - A. Michaelis, op. c., p. 49.
8
Gerhard chiese notizie della tomba a ftazzetti, che gli rispose che era inutile ripetere quanto era già stato detto e
illustrato in proposito nel fascicolo XVI dell' " Etru&co ftu&eo
Chiusino".
Colse, per6, l'occasione per narrargli la storia
della scoperta di due monete d'oro, avvenuta a Chiusi poco
prima :
<<Furono parimente trovate accaso da un pover'uomo,due monete d'oro del peso di 4 denari per ciascheduna, una delle
quali apparteneva a Giulio Maiorano,
l ' altra a Zenone. Senta
adesso in che modo furon trovate. Passando,una mattina di Festa, due poveri Braccianti intorno le mura della città, giunti che furono dietro la Cattedrale,si misero a raccontare come un fanciullo,
tempo fa, avea trovate sul greppo di questa
strada due monete d'oro appartenenti a Maurizio,quando uno di
questi, invidiando la sorte del fanciullo, si mise a gu~rdare
il posto, ove furono trovate le altre, ed ecco che essq pure
vide risplender un nonsocchè tra la terra, ed eran due
monete. >><25> .
Pare incredibile, ma il raccontino, abbastanza improbabile, della &coperta delle due monete ~·oro, &e~brava rivestire
per ftazzetti maggiore importanza della scoperta della tomba
dipinta del Colle.
·
fta trapela, dalle sue parole, quella pietà tutta cristiana
che &i compiaca di veder premiato un poveraccio dalla onnipresente provvidenza divina .
A Roma, dal settembre 1834, Emil Braun aveva preso saldamente le redini dell'Istituto,dopo aver sostituito Kellermann
nell'incarico di bibliotecario e sottoarchivi&ta .
Edoardo Gerhard, consapevole della gravità della malattia
che lo aveva colpito agli occhi, aveva scelto il suo successore.
Dal punto di vista dei contatti con il vasto ambiente dei
soci corrispondenti italiani la scelta non avrebbe potuto essere migliore. Emil Braun era l'uomo adatto a quell ' incarico ,
essendo capace di lavorare instancabilmente per curare i rapporti con tutti gli eruditi locali, senza trascurare alcuno.
Anzi,
in questo la sua abilità fu anche superiore a quel la
dal suo maestro .
La prima lettera scritta da ftazzetti a Braun è datata 8
ottobre 1834 e tratta degli scavi effettuati in quel periodo
dal nobile chiusino Giuseppe Paolozzi con la &coperta, tra l'
altro , di una importante &tatua-cinerario, purtroppo rinvenuta mutilata in più parti <26>.
<25>
ADAIR, carte Mazzetti, 7.1.1834
<26>
Ibidem, 8.10.1834. Bull. Inst., 1834, p.230 sg ••
9
Proprio negli anni 1834-35 il canonico chiusino invi6 varie relazioni che riguardavano quasi sempre gli scavi Paolozzi, famiglia cui ftazzetti era particolarmente legato <27> .
Edoardo Gerhard torn6 a Roma nel settembre 1836 e vi trascorse tutto l'inverno, ripartendo nel marzo del
1837. Si
premur6 subito di scrivere a Mazzetti, che considerava uno
dei soci più fedeli all'Istituto .
Il suo interesse stavolta non era rivolto esclusivamente
ad avere notizie da pubblicare sul
"Bullettino". Egli aveva
invece intenzione di accrescere la collezione etrusca del ftuseo di Berlino. A chi rivolgersi, se non all'ambiente chiusino che stava diventando il più importante di tutta l'Etruria ? (28>
Proprio per questo egli chiese al fido ftazzetti di descrivergli la sua collezione.
Il canonico non si fece pregare e,
con una lettera del 23 novembre 1836, gliela elenc6 <29>. Essa era composta da una statuetta in pietra calcarea fetida,
seduta e con un pomo nella mano sinistra, alta <<due palmi e
mezzo>>.
C27>
In una lettera a Gerhard, del 26.8.1834, segnalò
l'altro un'urnetta di pietra tufacea, inviando un disegno
soggetti rappresentati.
In un'altra, sempre a Gerhard,
28.9.1834, segnalo alcune urne trovate in zona Valdacqua,
iscrizioni etrusche e romane.
tra
dei
del
con
C28>
- Facevano, allora, "concorrenza" al territorio chiusino,
in quantità e qualità dei ritrovati, soltanto Tarquinia
per le sue tombe dipinte e Vulci per i suoi vasi.
ADAIR, carte Mazzetti,a Gerhard,
23.11.1836. Nella
Mazzetti
faceva
anche
riferimento
ad
una
statua-cinerario trovata da Pietro Bonci Casuccini.
Essa
rappresentava Proserpina ed era della stessa "grandezza,
materia e forma" di un'altra trovata dal Sozzi ed acquistata
da Gerhard, che annotò sulla lettera:
<<Nel
Museo R. di
Berlino> >.
Mazzetti accenno· ad un vaso a "campana" ,trovato
in pezzi,<<di color rosso con figure nere, ove, per quanto si
può raccapezzare,
è espressa una figura muliebre con corona,
che presenta un fanciullo a Minerva, che io ho supposto,
esser Teti col
piccolo Achille, presso questa v'è altra
figura con tenaglie,
che io credo Vulcano,
ed altra
figurazione che non si può per ora conoscere, se sia Nettuno,
ovvero un Tritone >>.
Gerhard annoto di suo pugno, in fondo
alla pagina1
<<Erittonio! E' manifesto che quella dipintura
rappresenti il soggetto d'Erittonio.>>.
<29>
le~tera,
IO
Interessante la descrizione che il canonico fece di un'
altra &tatua-cinerario in suo possesso: <<Possiedo parimenti
un monumento unico fin qui, di cui Ella avrà inteso parlare,
giacché ne mandai a Roma un breve ragguaglio,
e adesso Le ne
mando un disegnaccio, che feci fare da un ragazzo,
per mancanza di disegnatori.
Questo rappresenta una figura virile
della grandezza naturale d'un uomo giacente, e col gomito sinistro appoggiato su due cuscini, e precisamente nella stessa
positura delle figure poste sopra i coperchi delle urne, colla destra abbraccia un genio alato che gli siede sopra le anche: Verso i piedi v'è un fanciullo ritto con un cane appresso. Sopra le cosce v'è piegata a più doppi la metà della coltre,
giacché per metà sta nudo, e sopra detta coltre v'è una
buca rotonda con suo coperchio,
per dove forse mettev~nsi le
ceneri, essendo nell ' interno tutto vuoto. Questo pure~ della
solita pietra calcarea fetida,
ed era in vari
pezzi, ma è
stato ben risarcito. Mancano le mani del fanciullo,che non fu
possibile ritrovarle.
lo pure sostituii, come fece il Sozzi,
una testa, antica si, ma di terra c~tta, alla propria che · era
stata derubata.>> C30> .
Gerhard chiedeva soprattutto notizie di urne e bronzi e la
collezione Mazzetti ne poteva elencare una serie abbastanza
importante:
<<Di bronzi ritengo una tigre di
belle forme, e
conservatissima, della grandezza di sette dita, un idoletto
ben conservato alto sei dita con suo piedistallo parimenti di
bronzo antico, ed altro Idolo grande, cui manca un braccio, e
i piedi come rileverà dal disegno, che Le invio. Uno strigile
ben conservato.
Due specchi sani,
in uno de' quali v'è una
figura muliebre alata di bello stile, con ai piedi un delfino
da una parte, e dall'altra un fiore, che pare di loto ••• >>.
Inoltre,
Mazzetti possedeva vari vasi di bronzo e altri
oggetti minori .
Quanto ad oggetti d'oro,
non è che la sua collezione fosse di prim'ordine, ma comprendeva una bella fibula rappresentante un cavallo alato,
di cui il canonico abbozz6 un disegno, e due orecchini di cui uno formato da due teste d'ariete,
l'altro da due ghiande lavorate a filigrana.
Alcuni accenni fatti da Mazzetti in una lettera del marzo
1837, fanno pensare che tra Gerhard a Berlino e Braun a Roma
&i fosse instaurata una certa concorrenza.
Da una parte
Gerhard &i era votato anima e corpo al Museo di Berlino e ve-
<30)
La descrizione del Mazzetti conferma quanto è stato
indicato da M.
Cristofani, relativamente al restauro del monumento, in "Statue-cinerario chiusine di età classica",Roma,
1975, p. 46.
11
deva ogni suo rapporto con l ' Italia indirizzato in tal senso .
Dall'altra Braun era ben presto entrato in contatto con
l'ambiente dei collezionisti· romani e dei mercanti d'arte,
tra i quali si distinguevano il Baseggio,
il Capranesi e il
Depolett i .
Il commercio dei reperti ebbe in quegli anni un grande
sviluppo a Roma, il cui mercato d'arte non era mai sazio delle novità che provenivano dall'Etruria . Cosi, mentre in Germania si proseguiva ad incrementare, saggiamente, le collezioni pubbliche,
in Italia ci si avviava irrimediabilmente
verso la dispersione del materiale archeologico in mille rivoli.
Ben presto Emil Braun divenne il consulente dei maggiori
collezionisti romani, che si rivolgevano a lui con ansia, sapendo su quali estesi contatti potesse contare l'Istituto .
Questa concorrenza, se cosi pu6 essere chiamata, è evidente nelle parole del "azzetti, che si vedeva chiedere notizie
da Emil Braun,
nonostante le avesse fornite poco prima a
Gerhard:
<<In replica poi alla di Lei gentilis.ma dirò, che
non senza ragione Ella si lagna di me;
ma se ho mancato per
qualche tempo di scriverLe, non è già derivato, né da mancanze commesse verso di me, né da circostanze variate ••. Laragione notissima, per tanto, ed unica, si è perchè non mi si è
presentata da gran tempo occasione di darLe conto di cosa alcuna ritrovata, ed appena rinvenuto qualche oggetto, che meritasse un poco, non mancai di accennarlo d Gerhard, persuaso
che fosse lo stesso di avvisare uno invece dell'altro.>><31>.
Da quando Emil Braun era giunto a Roma, nel 1833, non aveva trovato ancora il tempo per compiere un viaggio in Italia
e soprattutto in Etruria.
Al contrario di Edoardo Gerhard,
che amava recarsi sui luoghi di scavo per conoscere personalmente i propri corrispondenti, Emil Braun aveva sino ad allora lavorato nel chiuso del suo ufficio,
per impadronirsi di
ogni segreto dell'Istituto.
L ' occasione di lasciare Roma gli venne nel 1837, quando,
probabilmente spinto dalla comparsa di una grave epidemia di
colera che fece migliaia di vittima, tra cui lo stesso Kellermann,
intraprese un viaggio nell'Italia settentrionale che
dur6 alcuni mesi.
Tuttavia, egli non si rec.6 a Chiusi, limitandosi a toccare
la vicina Perugia .
Proprio per questo "azzetti, punto nell'orgoglio, quando
ricevette l'ennesima richiesta di Braun che lo invitava a segnalargli le ultime scoperte avvenute a Chiusi e a descrivergli i pezzi migliori della sua collezione, rispose quasi sec-
<31> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 12.3.1837.
12
cato che sarebbe stato meglio se egli personalmente si Co.se
recato a Chiusi da Perugia, <<da dove si viene in mezza giornata>> (32>.
Nella stessa lettera, poi,
il canonico ripetè la descrizione della sua collezione, già Catta a Gerhard l'anno precedente.
Perchè, dunque, Emil Braun assunse questo atteggiamento
quasi di noncuranza nei conCronti dell'antica città di Porsenna ?
Eppure dal suo territorio erano già stati estratti
oggetti di notevole importanza e grande pregio.
Con ogni probabilità non si era ancora reso conto del Cervore archeologico che animava i nobili e i canonici chiusini,
anche perchè sino ad allora egli non aveva trattato personalmente alcun acquisto con i soci chiusini.
L'unico ad aver
acquistato reperti era stato proprio Gerhard.
fta la grande stagione dei commerci con la gente di Chiusi
era alle porte.
Per Carsi perdonare la sua mancata visita Emil Braun invi6
a ftazzetti, come anche a Sozzi col quale ultimo cominci6 dal
1838 una Citta corrispondenza, una copia della sua illustrazione di un vaso siculo <33>.
Proprio dalle relazioni di scavo del capitano Pederigo
Sozzi,che alla fine degli anni 'trenta si fecero fitte e pregevoli per la descrizione della scoperta di importantissime
tombe,
Emil Braun si convinse che il territorio chiusino doveva essere trattato con maggior riguardo .
Sul "Bullettino" dell'Istituto apparvero,
tra il 1836 ed
il 1839, tre articoli del ftazzetti e tre del Sozzi. Quest'ultimo si segnal6 per la scoperta della tomba di Vignagrande e
per le fortunate campagne di scavo nei dintorni di Cetona e
Sarteano <34)_ .
La quantità e qualità dei reperti erano notevolissime. Ai
rapporti dei ricercatori chiusini si aggiunsero quelli di Enrico Guglielmo Schulz, che visit6 a lungo l'Italia, e di Anselmo Peuerbach (35) . Ad aggiungere legna su questo Cocolaio
<32> -
lbibem, 17.12.1837
<33> - ADAIR, carte Sozzi, a Braun, 8.3.1838.
(34>
Bull.
Inst.,
1838,p. 73; 1839, p.49.
1836,
pp.25
e
35;1837, pp.21,193;
<35> - Per la relazione dello Schulz, ved. Bull. lnst., 1840,
p.43. Per il Feuerbach, Bull.Inst.,1840,p.123 e 1841,p.6.
13
già robusto pens6 l'anziano Pietro Bonci Casuccini, con la
scoperta della necropoli di Poggio Gaiella.
Antonio ftazzetti, quasi cinquantenne, volle dare anche lui
un segnale a Braun, con una lettera del 23 giugno 1840 nella
quale spiegava che,
oltre ai ritrovati del Sozzi,
un altro
collezionista chiusino,
Antonio Lucioli C36>, possedeva una
bella urna di marmo e circa 100 vasi di bucchero, oltre ad
uno straordinario vaso di bronzo, <<I cui manubrii son formati di due figure di sesso virile di buon disegno,
presso le
mani delle medesime, che sostengon la bocca d~ d.o vaso, si
scorgono quattro leoncini, che servon ~i ornamento,ed altrettanti piccoli arieti son situati ai loro piedi.>> C37>.
La collezione Mazzetti si era giovata degli ultimi scavi,
ed egli segnalava che tra le ultime accessioni c'era una bella ara di pietra fetida, .<<Due olle di terra cotta alte un
palmo e mezzo con figurine a basso rilievo a due zone,un cratere della stessa altezza con due Baccanti di
color giallastro in fondo nero, una delle quali tiene il tirso in ~ano, e
l'altra l ' ha fisso in terra,
avanti al quale sono le doppie
tibie,
più tre vasi grandi parimenti coloriti con danze, ed
altre rappresentanze bacchiche,
varie tazze frammentate, ed
altro vaso con manichi a colonnine parimenti in pezzi, ove,se
non m'inganno,vien rappresentato Ercole.>> C38).
Il canonico diceva di possedere anche 20 monete appartenenti all'aes grave, di varie forme e rappresentazioni.
Probabilmente,
prima che questa lettera giungesse a Roma,
Emil Braun si era già messo in viaggio per ChiuGi insieme al
fido compagno Ludovico Gruner,
un incisore a lui molto vicino.
La visita del territorio chiusino colpi profondamente
Braun, che si rese conto con i propri occhi dell'importanza e
della ricchezza dei ritrovamenti.
Egli fece ritrarre dall'abile Gruner i dipinti della stanza principale della tomba del Colle C39)
e visit6 tutte le
principali collezioni private di Chiusi e dei
paesi vicini,
secondo un "tour" che da allora sarebbe divenuto consueto per
tutti i visitatori che si sarebbero recati nella zona.
Ma uno dei risultati più importanti di quella spedizione
C36)
E. Barni, op.e., pp. 49-50.
C37>
ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 23.6.1840.
C38>
Ibidem.
C39)
Bull.
Inst., 1840, pp. 145-146.
Buccheri della collezione di Luigi Dei
(Disegni in ADAIR)
15
fu l'opportunità di conoscere personalmente tutti gli eruditi
locali, allacciando con loro proficui contatti.
Non a caso fu proprio in quest'occasione che un altro canonico chiusino, Luigi Dei <40>, si merit6 di essere annoverato tra i soci corrispondenti dell'Istituto, e dal novembre
successivo cominci6 ad inviare frequenti rapporti a Roma
(41) .
Emil Braun credette poi opportuno pubblicare, sul "Bullettino" dell'Istituto del settembre 1840, un lungo re&oconto
della sua visita a Chiusi e dintorni, intitolandolo "Rapporto
chiusin·o" <42> e profondendo lodi ed approvazione per tutto
ci6 che aveva visto, oltre a sottolineare con grande rilievo
i nomi dei collezionisti incontrati.
fta non fu, il suo, solo un viaggio di studio.
Proprio nelle carte del canonico ftazzetti, infatti,si trova tutta la documentazione dagli acquisti fatti nell'occasione da Braun, che non comparve certo nelle pubblicazioni ufficia! i .
E' un capitolo assai importante per la stessa storfa dell'
Istituto, oltreché par quella dell'archeologia chiu&ina. Per
la prima volta Braun si rivolgeva a Chiusi per fare acquisti
importanti e quello fu il primo episodio di un commercio
fittissimo che dur6 per circa sei 'nni.
Gli oggetti acquistati da lui a dal Grunar sono elencati
in una lettera del
7 agosto 1840, con la quale Antonio
ftazzet t i comuni ca.v a di aver spedito a Roma, a mezzo di un
vetturale, <<3 casse di oggetti antichi, un frammento di
cippo di pietra calcarea ed uno stipetto di legno appartenente al Sig.
Gruner >> <43>.
Ed ecco il contenuto dalle casse:
<< Nella prima l'ara, il leoncino, il daino, la testa di
terra cotta, ed alcuni vasetti di Gruner.
Nella seconda, l'
urna del Paolozzi ristaurata da Don Luigi Dei con le altre
due che Ella prese dal Doganiere, il vaso del Borselli, gli
altri tre miei colla tazza, ed il vaso .in pezzi, la testina
di terra cotta, ed alcuni vasucci del Doganiere. Nella terza
<40> - Su questo personaggio, ved. E. Barni, op.e., p.32.
<41> - Nell'archivio dell'Istituto Archeologico Germanico esistono 17 lettere scritte da Luigi Dei a Braun ed 1 a Gerhard. Esse coprono il periodo 26.11.1840 - 13.11.1845.
<42> - Bull.
<43>
Inst., 1840, pp. 145-155 •
ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 7.8.1840
Stipetto d'avorio intarsiato appartenuto a
Ettore Borselli di Sarteano e segnalato
nel 1842 dal Mazzetti (Disegno in ADAIR)
17
vi è la sola urna del Capitan Cecchini, che pesa sopra mille
1 ibbre. >>·
Nella lettera c'era anche il resoconto delle spese necessarie per effettuare la spedizione:
<<Per n. 3 casse dato al Falegname
L
26.
13. 4.
Per fieno, paglia, stoppa e spago
2.
6.
a.
Per imballatura, e per pesare le suddette
casse
3.
6.
a.
Per mancia data alla Guardia di Dogana, che
si portò a visitare e verificare gli oggetti
indicatigli
Per scapito fatto nel cambio di 2 doppie per
le sudd.e spese, avendo il Giulietti pagato
in questa moneta, valutatami da Esso paoli
32 ed un baiocco ciascuna, mentre in Toscana
vale paoli 31
L.
Equivalente scudi
13. 4.
1.
9.
4.
34.
9.
4.
5. 13.17.».
L'ultima finca di &pesa &i riferiva al sistema usato per i
pagamenti.
Anche qul il Segretario dell'Istituto &i trov6 in
difficoltà, perchè &i trattava di effettuare il pagamento tra
due Stati, ove erano in uso monete diverse.
Pu ftazzetti ad avere, allora, un'idea che &i dimostr6 valida anche per i successivi affari che Braun e Gerhard conclusero con i collezionisti chiusini.
Approfittando della circostanza che un nobile chiusino,
Felice Giulietti, aveva preso in affitto la tenuta di Carnaiola, di proprietà del romano o. Vincenzo Colonna, con&igli6
a Braun di pagare la somma necessaria per l'acquisto dei reperti proprio al Colonna, che gli avrebbe rilasciato regolare
ricevuta a favore del Giulietti il quale,
a sua volta, avrebbe provveduto a pagare i suoi concittadini <44> .
Oggi potrà apparire un sistema contorto, ma tramite e&&o,a
quel tempo,
pass6 la maggior parte degli acquisti dell'Istituto dal territorio chiusin~.
I problemi,
tuttavia,
non si esaurirono con ci6. Per il
<44> -
Ibidem, 12.7.1840.
18
doganiere di Chiusi bastava una mancia, ma a Città della Pieve erano molto più severi, ~ ftazzetti, in due lettere del luglio 1840, raccomand6 a Braun di preparare accuratamente le
carte necessarie a far passare le casse senza problemi.
Il vetturale, per il compenso di 9 scudi, partl lentamente
da Chiusi,
il 7 luglio 1840, portando con sé due barrocci
pieni di antichiti: destinazione Roma .
fta Emil Braun non si era mosso da Roma solo per fare
acquisti di antichità etrusche .
Edoardo Gerhard, direttore
della R. Galleria di Berlino, gli aveva dato un incarico specifico: doveva recarsi a Pirenze, per esaminare ed eventualmente acquistare un quadro attribuito a Raffaello, da poco
scoperto, rappresentante il gentiluomo Giovanni Della Casa .
Pederigo Sozzi, l'instancabile ricercatore chiusino, aveva
offerto il quadro in vendita alla R. Galleria di Berlino, per
conto di un suo amico fiorentino, che ne era in possesso.
Sozzi non manc6 di ricordare l'affare a Braun,con due lettere da Pirenze del giugno 1840 .
Emil Braun gli fece sapere
che si sarebbero conosciuti di ll a poco, perchè egli si sarebbe recato appositamente a Pirenze <45>.
Tutto ci6 dimostra che Gerhard non si
limitava a trattare
l'acquisto dei pezzi archeologici, ma teneva sotto osservazione qualsiasi segnalazione relativa all'arte, che potesse
consentirgli di incrementare la R. Galleria di Berlino . Quale
differenza con il comportamento di chi reggeva,
nello stesso
periodo, le sorti delle Gallerie Granducali!
Il viaggio di Braun a Chiusi port6 alla scoperta, da parte
del mondo degli studiosi, di quello che poteva essere l'avvenimento archeologico del secolo.
Quel poggio caratteristico
nelle vicinanze del piccolo lago di Chiusi aveva dato l'idea
sin dal 1838, anno in cui il Casuccini vi aveva cominciato a
scavare, di una necropoli principesca. Subito si era affacciato, nelle menti dei più,
il fantasma della mitica tomba
del re Porsenna .
In effetti, la complessità dell'intreccio delle camere sepolcrali poteva far pensare ad un labirinto che, in qualche
maniera, ricordava la fantasiosa descrizione di Plinio <46).
La località, chiamata il Poggione di Gagliella o Gaiella,
nel 1840 stava riservando ancora sorprese,
in quanto vi si
continuavano a fare scoperte interessanti.
Emil Braun fu talmente colpito dalla vista degli scavi di
Poggio Gaiella che medit6 immediatamente di scrivere qualcosa
su quei sepolcri .
<45> - ADAIR, carte Sozzi, 31.5, 16.6 e 23.6.1840.
(46) - Plinio, N.H., XXXVI, 19, 4.
19
Incaric6 Lodovico Gruner di diaegnare una pianta delle
tombe sino ad allora scoperte e alla aua partenza .preg6 il
canonico Luigi Dei di tenerlo informato &u tutte le novità
che avrebbero riguardato la zona.
Braun aveva una gran fretta di portare a compimento un suò
opuacolo su Poggio Gaiella. fta la sua ansia, più ohe al desiderio di annunciare al mondo degli studiosi l'importante &coperta, era dovuta alla necessità di completare un'opera da
dedicare al nuovo re di Prussia, Guglielmo IV, che sarebbe
stato incoronato di ll a poco. Ed era quanto mai utile dedicare un'opera dell'Istituto al nuovo sovrano, poich• egli ne
era stato sempre il protettore ed ora che le finanze degli
archeologi tedeachi erano piuttosto &carne, c'era bisogno più
che mai di sovvenzioni cospicue .
In tutta fretta Emil Braun invi6 a Chiusi
il disegnatore
Ascani, per ritrarre i reperti migliori usciti da Poggio
Gaiella.
Tra le altre cose,
l'Ascani ritrasse una delle s~lngi che
vi erano state dissepolte, anche se Luigi Dei, in una lettera
del 26 novembre 1840, avvisava Emil Braun che <<La Sfinge di segnata dal Sig.
Ascani è la peggiore di quattro, ma quella
meno mutilata delle altre.>> <47>:
La situazione degli scavi di Gaiella era in continua evoluzione, poichè nel frattempo Pietro Bonci Casuccini li aveva
ripresi. fta non si poteva attendere oltre. Pu dato il via alla stampa del volume, che venne intitolato : "Il laberinto di
Porsenna comparato coi sepolcri di Poggio-Gaiella, pubblicati
e dichiarati dall'In&tituto di corrispondenza archeologica in
occasione della festa pel natale e per l'avvenimento al trono
avito di S . ft . Pederico Guglielmo IV Re di Prussia, protettore
di esso ln&tituto, le idi di ottobre 1840".
Il libro, stampato in gran formato presso l'editore romano
ftonaldi, aveva un notevole pregio estetico, che per6 non corrispondeva alla validità del contenuto .
La fretta, come sempre cattiva consigliera, aveva fatto sl
che il lavoro fo&&e piuttosto approssimativo e non riuscisse
a dimostrare granchè.
Servi, comunque, ai due scopi per i
quali era stato composto: farne un omaggio al protettore del1 ' l&tituto e aprire il dibattito circa la sua somiglianza col
mitico sepolcro di Porsenna.
Emil Braun sapeva benissimo che quel lavoro aveva notevoli
limiti, soprattutto per ci6 che riguardava l'individuazione
precisa delle innumerevoli tombe che il "Poggione" conteneva.
Incaric6, dunque, Luigi Dei di fare una pianta aggiornata
<47) - ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 26.11.1840.
J/ J7;~
ldt>4 ./ ,0:m_,/;._ ·./{_,,)
/t d'
a/./
y-~fZn,
~t;"'~ <.: /.._J_,,..,;:{:_._#_./ ~uM•-zT"...J ,,[;-,~,1 _c1'4-f7~
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~..... . _ ( )
./lo/.'l'i /.---
,._' ..1.,·,_~ ~.d,.."v.
Carta dei possedi•enti di Pietro Bonci Casuccini
eseguita nel 1841 lDisegno in ADAIR)
21
degli &cavi di Gaiella, man mano che e&&i proseguivano.
fta il canonico, nel novembre 1841,pur scrivendogli di aver
preparato una pianta che ~orreggeva in vari punti quella
stampata dall'Istituto, riconobbe di essere incapace a realizzare gli spaccati architettonici <48).
Antonio ftazzetti, che nel frattempo &i era dato un gran da
fare per recapitare all'Istituto un "lucido" della &te&&a zona, nelle lettere che all'inizio del 1841 invi6 a Braun dimo&tr6 un certo disinteresse per gli scavi del Casuccini, giustificandolo con gli scempi che vi si stavano compiendo:
<<Don Luigi Dei Le darà anche le belle nuove dello scavo di
Poggio Gaiella. Io non ne dirò nulla,perchè forse direi troppo; Le dirò solo,che non vado altrimenti a detto scavo perché
troppo soffrirei nel veder le cose che colà si
fanno, senza
poterlo impedire.>> <49>.
Il buon canonico era ormai convinto che l'archeologia era
ben altra cosa, rispetto allo &cavare fosse. Dalle sue parole
possiamo capire che il penoso stato attuale della necropoli è
in parte dovuto all'atteggiamento dei suoi scopritori.
Nel ftazzetti ara già maturata l'idea di disfarsi di gran
parte della sua collezione, che in un primo tempo sarebbe dovuta passare a Gruner.
L'11 marzo 1841 invi6 a Roma,col solito vetturale con barroccio, un cippo che aveva ritrovato in pezzi ed una cassa
contenente quattro "canopi" (due lisci e due con bassorilievi> venduti a Braun da Antonio Luaioli, un altro ricercatore
chiusino particolarmente fortunato in quegli anni.
I "canopi" costarono a Braun il prezzo di dieci "doppie" <50> .
D'improvviso ricomparve sulla scena Edoardo Gerhard, il
quale, spinto dalle notizie che gli arrivavano, abbandon6 la
sua patria puntando direttamente su Chiusi che era in quel
momento, senza ombra di dubbio, la località toscana, e forse
del 1' rtal ia intera, che offriva le maggiori attrattive dal
punto di vista archeologico.
Gerhard,
informato da Braun dell'importanza della collezione di Ettore Borselli, si rec6 a Sarteano, un paese a pochi chilometri da Chiusi, dove acquist6 vario materiale di
(48) - Ibidem, 20.11.1841. Sulla pianta di Poggio Gaiella disegnata da Luigi Dei ved. l'Appendice al volume.
(49)
ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 11.3.1841.
<50)
Ibidem.
22
pregio, completando i suoi acquisti a Chiusi, attingendo soprattutto dalle collezioni di Antonio Mazzetti e Antonio Lucioli <51>.
Per tutti questi acquisti il sistema di pagamento fu sempre il solito, tramite Vincenzo Colonna e Pelice Giulietti il
quale, tuttavia, stavolta fece delle difficoltà, a causa del1 'entità della somma .
Edoardo Gerhard, che compr6 reparti anche per il collezionista bolognese <allora resid~nte a Milano> Pelagio Palagi,
acqui&t6 pressochè tutto ci6 ohe c'era di una certa rilevanza sul mercato antiquario locale, a prezzi che, nel caso degli acquisti-Borselli, risultarono molto elevati.
Le caase con il materiale gli furono spedite a Berlino il
2 maggio 1841 . Come sempre, esse erano dirette in primo luogo a Livorno , dove il signor Grabau, "Console generalè di Annovera" nella città labronica, provvide per l'imbarco:
Come avviene in qualsiasi mercato, gli alti prezzi pagati
da Gerhard fecero salire l• pretese dei collezionisti chiusini . Del resto, se egli aveva pagat9 cifre salate per l ' acquisto dei reperti del Borselli, non' poteva meravigliarsi che
anche gli altri alzassero il tiro .
Pu il caso di un "canopo" in terra cotta, su trono, scoperto nella zona di Sarteano da un altro nobile di quella
cittadina, Ferdinando Panelli, che chiese, a giudizio di
Braun e di Gerhard, un prezzo troppo alto <52>.
Mazzetti si prest6 a fare da mediatore .
Lui, che aveva
venduto gran parte della sua collezione, rimase impressionato
dalla piega che le cose stavano prendendo . Tutta quella smania commerciale non la condivideva perchè , da buon cristiano,
vedeva che alcuni collezionisti si stavano spingendo oltre
ogni limite lecito .
Nel luglio del 1841 scrisse a Braun questa lettera:
<<Mi dispiace doverle dire, che il proprietario delle note
anticaglie Cil Fanelli, possessore del "canopo" su trono e di
altri oggetti> non vuole altrimenti rilasciarle per questi
prezzi, poiché ha inteso dal Borselli, che Gerhard gli pagò
cinquanta scudi il Canopo sul trono, che ei possedeva. Io ho
fatte le mie lagnanze, ma non posso costringerlo, tanto più,
che non lo avevo fissato perché aspettavo la di Lei risposta.
<51> - Ampie notizie sugli acquisti di Gerhard si trovano in
AA.VV.,
"Pelagio Palagi artista e collezionista", Bologna,
1976, dove é anche l'elenco, in appendice, degli oggetti spediti al Palagi dal Gerhard.
<52> - ADAIR, carte Mazaetti, a Braun, 4.7.1841.
23
Sicchè ci vorrà pazienza.
lo sempre più mi trovo contento.di
essermi sbrogliato di tutto, come da qualche tempo desideravo
poichè così scanserò qualche disgusto, che sarebbe stato inevitabile se avessi continuato ad ' acquistar antichità>> . (53).
Tuttavia, anche il vaso antropomorfo del Panelli finl per
essere acquistato dagli archeologi tedeschi, mercè uno sconto
sul prezzo, dovuto alla mediazione del Mazzetti.
Il ricordo dei prezzi pagati da Gerhard rimase a lungo come pietra di paragone tra i collezionisti chiusini, e anche
don Luigi Dei non manc6 di ricordarlo a Braun:<<Se debbo io
regolarmi coi prezzi lasciati da Gerhard nell'acquistare l'
antichità, e segnatamente nell'acquisto d'una tazza del Borselli,
qual kyli x ritraeva
<se non erro>
il med~simo fatto
che sta dipinto nel mio stamnos, non posso esigerne meno di
cinquanta francescani, giacchè il kyli x fu pagato quaranta.>>
(54) .
Ma un'amara sorpresa attendeva Gerhard . I reperti che aveva acqui&tat9 da Ettore Bor&el l~i di Sarteano,
tra cui i vasi
antropomorfi, per i quali egli aveva una particolare predilezione, arrivarono a Berlino in pezzi, irriconoscibili .
Braun,
il 10 settembre del 1841, scrisse al canonico una
lettera che ne chiedeva spiegazione,
avanzando l:ipote&i che
qualcuno avesse tolto dalle casse i pezzi migliori,&o&tituendoli con dei frammenti.
Era una accusa assai grave, che rischiava di inquinare i rapporti tra i Chiusini e gli archeologi tedeschi.
Mazzetti, che come sempre si era preso la responsabilità
di sovrintendere al tutto,
rispose il 19 settembre con una
lunga lettera nella quale non solo &cagionava &é e gli altri
da ogni responsabilità,
ma contrattaccava accusando neanche
troppo velatamente Gerhard di scarsa perizia nell'acquisto
dei reperti del Borselli:
<<Ho inteso con gran dispiacere il tristo caso da Lei narratomi colla Sua gent.ma del 10 corrente,e molto più mi dispiace per non aver da suggerirle alcun consiglio, conforme Ella
mi richiede, che consolar la possa. Quello che, con tutta ingenuità posso dirle, si
è questo:
primieramente che i vasi
furono incassati dai Lucioli Padre, e Figlio, con tutta l ' esattezza possibile, poichè io, per compiacer il Cav. Gerhard,
vi assistei in persona, che a detto incasso fu sempre presente, oltre ad un certo Pietro Foscoli, anche la prima Guardia
di
questa Dogana, cui
interessava veder gli oggetti, che
(53) -
Ibidem, 25.7.1841.
<54)
ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 17.8.1841.
24
s'incassavano, onde poterne rilasciar l'opportuno manifesto,
ed'apporre i Sigilli in dette casse, come difatti fu esegltito.
Questa sola prova, come Ella ben vede, sarebbe più che
sufficiente, ancorchè non ve ne fossero altre, per smentire
quanto è stato immaginato: cioè, che potessero essere stati
tolti i migliori oggetti, ~sostituitovi dei frammenti. Furono quindi dette casse trasportate a Livorno da Barrocciai capaci, e sperimentati, ed'accompagnate dallo stesso Ant.o Lucioli,
il quale le consegnò ai Signori Grabau, e Comp. dai
quali io ne ricevei l'opportuno riscontro, che tuttora conservo.
Sino a Livorno le cose andarono bene, ma del rimanente viaggio chi ne fa testimonianza? Chi rimaneva responsabile
di ciò che sarebbe accaduto in seguito? Io nò certamente che
assai mi son pentito d'essermici impicciato,sebbene lo facessi forzato dall'amicizia, ma che mai più men'occuperei in eterno, giacchè per certi piaceri che· si fanno si hanno per
ricompensa dei
dispiar.eri non piccoli, per chi cura il
solletico,
questo male per tanto, spiacemi doverlo dire, ma
pure convien dirlo,
è stato fatto dal
Cav.
Gerhard
coll'acquistar dei vasi mal conci e peggio restaurati quali
appunto erano quei del Borselli, e specialmente i Canopi, che
eran tutti crepolati.
Questi vasi eran così ben conosciuti
allo stesso padrone, che, dopo la partenza di Gerhard li
mandò a Chiusi non sopra un barroccio, o sopra bestia,ma
sulle spalle di alcuni uomini
onde non si disfacessero,
sebbene si trattasse di un tragitto di sole 3 miglia. Lascio
adunque considerare a Lei se potevan questi resistere ad'un
lunghissimo viaggio,
in cui non si avrebbe certamente avuto
il riguardo che n'ebbe Borselli.
Appena io vidi
questi mi
pentii d'aver data parola d'assister al loro incasso, ne
scrissi però,
l'occorrente a Gerhard, come gliene avea anche
scritto Don . Luigi Dei, che li avea prima di me osservati, ma
né ad esso, né a me ne diede alcuna risposta.
Io posso assicurarla, che moltissime sono state le spedizioni fatte di qui in vari luoghi lontani, senza che sia mai
accaduto ciò che è avvenuto adesso.
Sempre nuovi motivi per
maggiormente consolidare il mio proposito fatto.>> (55).
L'amaro sfogo del canonico non convinse appieno Gerhard e
Braun, e da allora i sospetti e le incomprensioni si fecero
sempre più frequenti.
Prattanto,tutta la corrispondenza tra Roma e Chiusi continuava a passare attraverso Città della Pieve, tramite Alessandro Taccini, collezionista anche lui di antichità.
<55> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 19.9.1841.
Grande lastra a chiusura di una to•ba
scoperta nel 1843 da Luigi Dei (Disegno in ADAIR)
26
Nel novemre 1841 Abeken si rec6 a Chiusi e a lui Razzetti
consagn6 un piccolo oggetto d'oro, che Braun aveva acquistato
in precedenza <56> .
E venne il 1842, anno in cui i ricercatori chiusini si
dettero parecchio da fare,
scoprendo un gran numero di monumenti.
Antonio Razzetti aveva già.dimenticato i suoi propositi
che, l'anno prima, lo avevano consigliato di lasciar stare la
antichità.
La sua passione lo convinse a tentare ulteriori
scavi e ad acquistare reperti da altri Chiusini.
Pietro Bonci Casuccini era morto, ma Sozzi, Lucioli, Razzetti e gli altri due canonici Luigi Dei e Ferdinando Galanti
non lo fecero certo rimpiangere, impegnandosi in una girandola di scavi che port6 qualcuno di loro <Luigi Dei>, anche se
con scarsa fortuna, persino in Raremma (57> .
Tra la fine del febbraio 1842 e l'inizio del giugno dello
stesso anno Razzetti invi6 a Braun tre lettere, nelle quali
elenc6 alcuni oggetti di cui era entrato in possesso <58>.
Si trattava di buccheri che recavano figure di sfingi alata; · alcuni scarabei, di cui uno in corniola assai bello,
con una incisione che Razzetti aveva interpretato per Achille
che piange sull'urna di Patroclo; una piccola secchia di ~ama
tutta cesellata• senza restauri;
un gran vaso di bucchel'O a
3 anse, con teste di guerriero e di bue; un bellissimo specchio bronzeo con <<Elena sedente, e quasi nuda da un lato, in
mezzo Menelao in piedi, ed'esso· pure nudo, ad eccezi.one del
berretto, e dei coturni, e nell'~ltro lato doveva esservi altra figura, ma per la mala sorte non si scorgono che i piedi.
Ciascuna di queste portava sopra scritto a caratteri Etruschi il suo nome>>; un'urna di terracotta (alta due palmi e
lunga tre), con in bassorilievo 10 figure e sul coperchio altra figura;
alcuni vasi con figure gialle su fondo nero; un
candelabro con un gallo sul fusto ed una piccola tazza nella
sommità.
Tra i ritrovamenti effettuati da altri ricercatori,Razzetti dette un'importante indicazione.
In un bosco di proprietà
(56> -
Ibidem, 18.11.1841.
(57> - ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 11.3.1842: "Di ritor ·no dalla Maremma, ove andai a fare dei Saggi di Scavazione
con esito infelicissimo •••• ".
<58> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, fine febbraio, 7 marzo
e 2 giugno 1842.
.A· :i.'
11
Oreficerie etrusche in possesso del Sozzi
e del Nazzetti nel 1842 (Disegno in AOAIR)
I
~
28
del Regio Conservatorio erano state trovate ben 16 urne ciqerarie di alabastro ed una di terracotta.
La maggior parte
conservava colori assai vivi.
Vi erano scolpite la caccia di
fteleagro,
la caduta d'Ippolito, Eteocle e Polinice, Echeteo,
mostri marini, combattimenti.
In uno stesso sepolcro 5 urne
avevano epigrafi. che recavano il nome della famiglia CVPSNA
(59).
Tuttavia,
i pezzi pregiati in possesso del canonico erano
il frutto di una società che egli aveva formato con Sozzi e
provenivano probabilmente dalla zona di Cetona.
Si trattava di due straordinari diademi d'oro, che Sozzi
fece disegnare ed invi6 poi a Braun. L'affare lo tratt6 proprio Pederigo Sozzi, senz'altro più incline del canonico al
commercio, anche perchè ftazzetti aveva sempre un certo pudore
nel trattare con i suoi amici tedeschi.
Braun e Gerhard erano rimasti "scottati" dagli ultimi affari,
a causa di quei "canopi" che erano giunti in pezzi in
Germania.
Si era inoltre diffuso il sospetto, nell'ambiente
romano,
verso le oreficerie etrusche, dopo che più d'un collezionista si era trovato in mano gioielli abilmente contraffatti in epoca moderna.
Il mercante d'arte romano Capranesi aveva messo in guardia
Emil Braun,
dicendogli di aver visto,
nella zona di Chiusi,
alcuni gioielli falsificati.
Pederigo Sozzi cerc6 di allontanare il sospetto dall'animo
di Braun indicandogli,
in un foglietto allegato ad una sua
lettera del 19 marzo 1842,
le parti dei diademi che erano
state restaurate con l'aggiunta di pezzi moderni. Scrisse,
inoltre: <<Se il Sig.re Capranesi ha veduto delle oreficerie
false sarà avvenuto per parte di Città della Pieve ove sta un
tale orefice Renelli bravo non solo per imitare gli ori antichi, ma anche i bronzi, e molti in questi luoghi siamo stati
da Esso ingannati,
in oggi
per altro non gli sarebbe sì
facile.>>.
Il prezzo dei due splendidi gioielli era di 62
francescon i <60 > .
A quel punto Emil Braun, memore del precedente fruttuoso
viaggio che aveva fatto a Chiusi nel 1840, non potè che dirigersi di nuovo alla cittadina toscana e, ristabilitosi da una
breve malattia che lo aveva colpito,
nel luglio del 1842 arriv6 a Chiusi.
Dopo i suoi acquisti del 1840 e quelli di Gerhard nel
<59>
Ibidem, 2.6.1842
(60>
ADAIR, carte Sozzi, a Braun, 19.3.1842.
29
1841, fu questa la terza grossa acquisizione di ~~eperti
chiusini, da parta dell'Istituto .
Non è facile,
in questo caso, ricostruire gli oggetti acquistati da Braun, poichà non ne esiste un elenco nelle carte
ftazzetti, che per6 dovrebbe trovarsi nelle carte ftigliarini,
a Firenze .
Di sicuro gli furono vendute alcune urne di Antonio Lucioli, di cui una di marmo assai grande, rotta in tre parti; un
cippo di marmo del canonico Carducci; una piccola tazza di
vetro, sempre da Lucioli; una ca&&a di vasi vari da ftazzetti,
ohe gli invi6 anche un orecchino d'oro ed una strana statuetta di pietra verniciata, rappresentante una figura in ginocchio ohe abbraccia un'ara; alcune pietre provenienti da ftontepulciano <61> .
Stavolta le difficoltà per la spedizione a Roma delle casse contenenti le antichità furono quasi insuperabili .
ftazzetti,
come sempre incaricato di predisporre la &pedizione,ebbe il suo da fare per superare tutti gli ostacoli che
gli &i paravano davanti. Le urne di Antonio Lucioli erano pesantissime ed occorreva un barroccio soltanto per loro. Era
anche difficile trovare un barrocciaio che si assumesse quel1' incarico.
fta,
oltre alle difficoltà che derivavano dagli
imballi e dallo &tesso Lucioli, che non vedeva l'ora di liberare il locale dove erano deposte le urne, poichè gli serviva
da cantina , se ne aggiunse una che ri&chi6 di far &altare
ogni cosa .
ecco quanto scrisse ftazzetti, in una lettera del 17 novembre 1842: <<Sempre nuovi motivi di disguidi a cagione di queste antichità. Confesso, però che li merito per non aver mantenuti i propositi che feci nell'anno scorso. Parlando, gior ni sono, a questo Doganiere della visita che doveva fare a
queste antichità da mandarsi a Roma, mi rispose, che fin dal
primo del corrente anno sono state richiamate alla primiera
osservanza le antiche leggi, che proibiscono l'estradizione
degli oggetti antichi dallo Stato: però senza il permesso del
Direttore del R.
Museo di Firenze Ella non può estrarle. Saputosi ciò dal Lucioli, ha detto di voler fare una protesta a
me,
come incaricato da Lei per i danni, che potesse risentire, giacchè avea trovato, ei dice, da venderle a Rusca per un
prezzo anche maggiore: Sicchè La prego a volermi dispensare
dal trattar più con Barrocciai, Doganieri, Guardie, ~d'~ltri,
tanto più, che per gelosia, e malignità di altre Persone ho
dovuto avere ed'ho tuttora dei dispiaceri, che a suo tempo Le
<61) - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 8.12.1842.
30
faro sapere il tutto, per cui mi son tirato fuori affatto
dalle antichità.>> (62).
L'ostacolo fu superato, come consigliato da Luigi Dei a
Braun, tramite Antonio Mazzetti, che a mezzo della sua cpnoscenza col Migliarini ottenne in breve il permesso di esportazione delle antichità.
A quel punto rimaneva da trovare chi portasse a Roma le
casse •, dopo vari tentativi,
fu un commerciante orvietano,
tale Perriol i, a farle trasportare. Era ·i 1 15 febbraio 1843,
ben sette mesi dopo la visita a Chiusi di Braun.
E' curioso che da allora in poi quasi tutte le spedizioni
passarono per il Perrioli, che aveva a Roma un negozio di vini, una "Piaschetteria", alla Palombella. In tal modo il vino
si spos6 alle antichità.
Quando Emil Braun aveva lasciato Chiusi, era riuscito a
concludere solo una parte degli acquisti che gli stavano a
cuore.
Nel tempo che pass6 tra la sua partenza ~ la spedizione degli oggetti a Roma, port6 a termine altri · importanti
acquisti, tramite la mediazione del canonico Luigi Dei e di
un certo Brilli, che era lo spedizioniere chiusino che si assumeva sempre l'incarico di pr~disporre le casse con le antichità.
Brilli acqui&t6 per lui <<Il Priapo, il focolo e gli altri
dei quali era stato da Lei commissionato>> <63>, mentre Luigi
Dei tratt6 per Braun l'acquisto di due importanti sarcofagi
che si trovavano presso le monache di un convento.
A Chiusi Emil Braun aveva conosciuto anche Vincenzo Monni,
che si occupava del restauro delle antichità. Da lui acquist6
uno "scarabeo". Sozzi gli invi6, invece, un cippo sepolcrale
che aveva trovato, in pezzi, in una tomba.
Anche stavolta fu Mazzetti ad ottenere, a Pirenze, il permesso per l'esportazione degli oggetti (il
loro elenco dovrebbe essere nelle carte del Migliarini) .
Questa terza spedizione di oggetti antichi fatta dai Chiusini a Roma, per conto di Braun, ebbe delle conseguenze che
inquinarono definitivamente, per diversi anni, i rapporti tra
loro e l'Istituto.
Pu proprio il cippo sepolcrale del Sozzi la pietra dello
scandalo. Il cippo, che era di straordinaria grandezza, giunse a Roma in pezzi .
Poichè, come abbiamo visto, non era la
prima volta che si verificava un fatto del genere, Braun si
<62> -
Ibidem, 17.11.1842.
(63>
ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 24.3.1843.
31
risenti.
Ci6 che gli era più dispiaciuto, a parte di aver trovato
il cippo in pezzi,
fu che esso era stato restaurato in malo
modo, con pezzi ad esso non pertinenti. Per tutto ci6 rimprover6 aspramente Sozzi.
Questi cerc6 di giustificarsi, addossando la colpa dell'accaduto al vetturale, che <<Per rinfrescare senza spesa i
suoi cavalli avesse tolto per via il fieno del
quale consigliai di fare abbondante letto a quella cassa>>, oppure al
Brilli, che <<E '
un buon uomo ma non ha tutta la esperienza
che occorre.>> <64>.
Patto sta che Braun non si quiet6, ricordando a Sozzi, in
una lettera del giugno 1844, che avrebbe dovuto gettare molte
della antichità arrivategli da Chiusi .
Da allora Emil Braun divenne molto più freddo nei suoi
rapporti con i Chiusini, trascurando spesso di rispondere alle lettere che gli arrivavano dalla cittadina toscana.
Lo stesso ftazzatti, che tutto sommato non aveva colpe per
.ci6 che era avvenuto, per lungo tempo non vide giungere alcuna risposta da Roma ad alcune sue lettere .
Ecco, dunque, spiegata la ragione della crisi dei rapporti
tra l'Istituto e l'ambiente chiusino .
Gli archeologi tedeschi, oltre a non scrivere ai Chiusini,
fecero una continua
propaganda negativa nei confronti dell'antica patria di Porsenna, descrivendola come terra di speculatori e di falsari e
sconsigliando agli studiosi di comprenderla nei loro viaggi .
Il clima che si era creato lo possiamo capire ancor meglio
in una lettera che Luigi Dai invi6 a Roma, 1'8 luglio 1845:
<<Sono ora quattro o cinque anni da che più non vedansi in
Chiusi amatori od intendenti d ' Archeologia ad acquistare Antichità.
Sento fischiarmi all'orecchio che verso la mia Patria nessuno più si volge per essere stati troppo ingannati dagli
speculatori di Chiusi col vendere oggetti imitati, od occultando il restauro, ed altri difetti e mancanze col restauro
stesso mascherate; Fino qui non dO il torto a chi abbia ragione di dolersene, ma io che vengo dopo questi, a possedere
varie antichità quali hanno pregio e mi propongo di nulla occultare a chi voglia acquistarle, risento un danno che non mi
sono procurato.
Perchè meglio risplenda la onestà mia nel
vendere le antichità penso (qualora Braun me lo approvi)
adottare il sistema di non perfezionare il restauro delle
stoviglie, ma incollarle soltanto; cosi gli acquirenti son
<64) - ADAIR, carte Sozzi, a Braun, 9.6.1843.
32
più che sicuri di non essere ingannati; quando poi sia fissato il prezzo dell'oggetto, se piacerà il metodo di restauro
se ne perfezionerà con molta discretezza.
Gradirei sapere se
piaccia all'Amico Braun tal metodo; ed in caso affermativo la
prego a manifestarlo a chi si astenga da venire quà per tal
causa,
aggiungendo che le mie antichità non le tengo nel magazzino pubblico aperto di recente ove essendo oggetti di più
Padroni non so se tutti siano stati
veridici nel manifestare
lo stato di
conservazione delle proprie antichità,
ma nella
propria abitazione.>> <65> .
fta la frattura tra Emil Braun ed i collezionisti chiusini
era ormai tale da non consentire un riavvicinamento, e il segretario dell'Istituto ricominci6 a trattare qualche affare
soltanto alla fine del 1845, escludendone comunque Sozzi .
Nel frattempo era giunto a Roma, sin dal 1842, Guglielmo
Henzen, il futuro successore di Emil Braun.
Proprio in una lettera scritta ad Henzen,
il 14 settembre
1849, Sozzi cerc6 di chiarire che non aveva alcuna colpa per
ci6 che era accaduto:
<<Giacché per Sua gentilezza Ella si duole del mio silenzio,
sincero come sono francamente Le dirrò che mi era proposto di
guardarlo per sempre, a ciò indotto da alcune lagnanze che
verso di me sortirono da codesto Instituto delle quali confidenzialmente fui qui avvertito, ed avvalorò quella confidenza
il contegno di Lorsignori poiché non fui neppur più onorato
di vedermi indirizzata Persona.
Ecco il fatto.
Quando il degniss~mo Sig.
D. Braun si recò
in Chiusi Io possedeva un ammasso di
frammenti appartenenti
ad un cippo di straordinaria grandezza,
piacquero al Med.o,
ed Io glieii cedei;
amò per altro che facessi restaurare d.o
cippo, e pregò in proposito, non ignorando Io che restauri di
cose si
materiali non possano farsi ..che al
posto ove deve
collocarsi l'oggetto, mi ricusai osservando le difficoltà che
vi erano, Esso insisté; ed essendo in mia casa il Restauratore Sig.
Canonico Fossi incoraggiò ad assumere l'incarico. Fu
dunque da d.o Fossi restaurato,
e mancando dei pezzi
vi sostituì dei
nuovi;
il fatto sta che questa mole pel proprio
peso si decompose per la strada, e giunse in Roma, come intesi in pessimo stato.
Il prelodato Sig.
Dr.
Braun per delicatezza, od incuranza
appena mi fece travedere .il suo dispiacere,
ed io mi giusti-
<65)
ADAIR, carte Luigi Dei, 8.7.1845. Il Dei si riferì al
negozio di antichità aperto a Chiusi,
nel 1845, da Federigo
Sozzi e Angelo Galanti.
33
ficai con pari urbanità.
In seguito pero emersero delle lagnanze in proposito da codesto Instituto, ed in confidenza mi fu riferito che altaménte era spiaciuto non solo il ricevere in pessimo stato quel!'
oggetto,
ma l'avervi trovati ancora dei pezzi nuovi inevitabili per reggere gli altri, che sovrastavano.
Spiacente che con Altri più che con me si
fosse parlato
credei della convenienza di pormi in un silenzio che un giorno sarebbe stato loquace come oggi avviene.>> (66) .
Gli anni
'quaranta,
important i&&imi
per l'archeologia
chiu&ina per i
preziosi ritrovamenti che vi
fece Alessandro
Prançoi&,
portarono una serie di amarezze ad Antonio ftazzett i.
Sin dal 1841 egli aveva manifestato l'intenzione di tirarsi
fuori dalle antichità,
ma il continuo
intere~&amento di
Braun lo aveva più volte convinto a tornare sui suài passi.
In effetti, egli &i dimo&tr6 in varie occasioni utilissimo
per l'Istituto,
sia nella segnalazione dalle &coperte, sia
come mediatore di affari.
Dei vari soci corrispondenti chiusini egli era quello più affezionato all'Istituto, e più volte dimo&tr6 che le sue &orti gli stavano particolar.mente a
cuore.
Come quando, nel maggio del 1841, &egnal6 che, recandosi a
Gubbio, aveva conosciuto il conte Prance&co Ranghia&ci,<<Persona molto culta,ed ' amante di
cose antiche>>. I( Ranghia&ci
aveva &coperto un antico mosaico policromo, che aveva sistemato nel pavimento di un suo salotto.
ftazzetti scrisse di averlo spronato a fare altre ricerche
e ad inviare disegni dei reperti all'Istituto (67>.
Nella &te&&a lettera,
il canonico chiusino preg6 Braun di
annoverare il Ranghia&ci tra i soci corrispondenti dell'Istituto, cha ne avrebbe tratto sicuramente vantaggio.
Analogo comportamento ftazzetti
&egul in occasione della
morte di Pietro Bonci Ca&uccini,
all'inizio del 1842. La sua
importante collezione pas&6 al figlio Prance&co, che risiedeva a Siena (68) .
Al canonico &embr6 utile, sia per Chiusi che per l'I&titu-
<66>
ADAIR, carte Sozzi, a Henzen, 14.9.1849.
<67)
ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 23.5.1841.
<68)
- Sulle vicende della collezione di Pietro Bonci Casuccini, dopo la sua morte, ved. E. Barni, op. c., pp. 25-27.
34
to, che egli fosse annoverato tra i soci onorari <69). Tra l'
altro, gli &cavi di Poggio Gaiella dovevano essere ancora
completati e avevano bisogno di essere conservati.
fta soltanto nel 1845 questo desiderio venne appagato.
Il cattivo esito di alcune delle spedizioni di antichità
effettuate a Berlino e a Roma lo convinse sempre più a mettersi da parte.
Inoltre, aveva dovuto subire alcuni dispiaceri anche in
patria quando, acquistato uno specchio bellissimo <probabilmente quello con Elena e ftenelao),
che lo stesso antiq~ario
romano avvocato Rusca gli aveva valutato 100 "francesconi",fu
coinvolto in una lunga vicenda giudiziaria.
In una lettera dell'8 dicembre 1842 ftazzetti spieg6 l'accaduto a Braun: <<Narrerò adesso a Lei pure la storia del mio
bello specchio scritto. Erano già scorsi 10 mesi da che io lo
avea acquistato insiem con'altri oggetti, che erano stati veduti da altri e che erano anche entrati in contratto, quando
venuto qualcuno in cognizione che li avevo acquistati io,
senza la malignità, fecero credere ad'un Signore, che eran
questi stati trafugati dai suoi scavi fatti nell'anno scorso,
e quindi venduti a me. Ricorse di fatto, al Tribunale il preteso derubato, io fui dal vicario interrogato da chi li avevo
acquistati, fui pregato a depositarli fino a che non si fosse
venuti in chiaro della verità del fatto, e tuttora sono in
Tribunale.
lo non temo nulla poiché so di certo esser falso
quanto si dice, ma frattanto chi sa quando si ultimerà quest'
affare.>> (70).
<69>
- ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 18.1.1842: <<Il dì 13
del corrente circa le ore 2 pomeriaiane cessò di vivere il
Sig. Pietro Casuccini Socio onorario di codesto Istituto Archeologico.
Il motivo principale per cui Le dò questa notizia, si é, che succedendo a questo il di Lui Figlio Sig.
Francesco, Persona assai culta, ed anche geniale di queste
cose antiche, crederei cosa assai utile pell'archeologia il
farlo Socio Onorario dell'Istituto; sembrandomi questo un
mezzo assai efficace per . impegnarlo a proseguire li scavi, a
conservare, ed aumentare questo suo museo. Siccome poi Esso
conosce il disegno, potrebbe, trovando oggetti interessanti,
cavarne da per sé i disegni, ed inviarli all'Istituto medesimo.
Io l'ho indotto a visitare il suo Poggio Gaiella, e
questa visita ha portato subito un vantaggio, giacché ha
immediatamente ordinato che si facciano i cancelli per
chiuderne le porte.>>.
(70>
-
ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 8.12.1842.
35
Il canonico torn6 di il a poco in posse&&o dello specchio,
finchè esso non fu acquistato da Edoardo Gerhard par il Museo
di Berlino e Braun, che tramite Henzen lo aveva richiesto nel
febbraio del 1848, &i sentl rispondere che era arrivato tardi
<71) .
Anche Arcangiolo ftichele ftigliarini procur6 un dispiacere
a Mazzetti.
Egli si rec6 a Chiusi &ul finire del gennaio
1845, per osservare quel meraviglioso vaso che avrebbe poi
preso il nome del suo scopritore,
il fiorentino Alessandro
Prançois .
Nella relazione che ne fece illustr6 dettagliatamente, per
il Sovrintenden~e alle Gallerie Granducali,
le varie figure
che apparivano nel ciclo pittorico del vaso. La sua relazione
l'aveva ripresa da uno studio che proprio Antonio Mazzetti
aveva dedicato al vaso, su incarico del Prançois. Questi l'aveva data al Migliarini, che l'aveva fatta sua aggiungendovi
qualche con&iderazione <72> .
Antonio Mazzetti non si era mai ritenuto un archeologo, ma
un dilettante, come più volte aveva scritto a Braun. Tuttavia
gli dispiaceva che Migliarini approfittasse del frutto delle
&ue fatiche.
L'amarezza del canonico è evidente nelle parole
che Luigi Dei scrisse, nel luglio del 1845, a Braun:
<<Il Canonico Mazzetti (omissis> mi fa conoscere aver inteso
che il Professor Migliarini si fa autore dell'illustrazione
dell'Anfora a Volute di François illustrazione ad Esso
passata da François a cui richiesta il Canonico fece siccome
resulta dal Carteggio fra François ed Esso Mazzetti. Dice il
Canonico che le spiacerebbe se il Migliarini quale si fa
bello di
tale illustrazione in Firenze la partecipasse
all'Istituto come propria mentre di proprio vi ha due o tre
osservazioni di poca importanza ed una anche errata, non tanto le spiacerebbe per quel merito che sele deve per tal lavoro, ma perché trovandosi all'Istituto due relazioni equalissime si crederebbe che non Migliarini ma Mazzetti si sia appropriato l'altrui fatiche.>> <73> .
<71> -
Ibidem, 2.3.1848.
<72>
- Le due relazioni sono riportate da M.G. Marzi in <<Il
Vaso
François>>,
Bollettino
d'Arte
serie
speciale, Roma,
1981, pp. 33-35 e 36-37. Sulla figura del Migliarini, ved. N.
Nieri, << A.M. Migliarini <1779 - 1865> Etruscologo ed Egittologo >>, in M.A.L. VI.III.VI., Roma, 1931.
<73) - ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 8.7.1845.
3fi
Da quando,
nel 1844, Alessandro Prançoi& cominci6 a scavare, con profitto, nella zona di Chiusi, formando una società col capitano Pederigo Sozzi,
la relazioni dei Chiusini si
fecero meno frequenti risentendo, come abbiamo visto, del gelo che era calato tra Braun e alcuni di loro <74> .
Non mancarono, tuttavia, da parte di Mazzetti, segnalazioni di scoperte importanti.
Nel maggio del 1846 egli scrisse di un eccezionale ritrovamento effettuato da Claudio Paolozzi in un suo podere vicino a Chiusi. Il Paolozzi aveva trovato, in una tomba, una seria di bellissimi bronzi, tra cui 2 busti di grifoni (che il
canonico abbozz6 in un disegno>, 4 busti di cavallo, due uccelli e una salamandra che faceva da manico ad un~olovina­
rio <75> .
Il 2 marzo 1848 fu la volta di 10 urne di terracotta e 4
di marmo trovate nei beni della Mensa Vescovile. Le epigrafi
le facevano appartenere alla famiglia CVMNISA (76>.
Nel
1849 accaddero a Roma f~tti
importanti. Le so•mos&e
che si scatenarono fecero fuggire il Papa, mentre si instaurava la Repubblica Romana . Anche Emil Braun rischi6 di essere
cacciato via.
Il 18 aprile 1849 Mazzetti fece un accenno a que.lla situazione, che lo costringeva a rivolgersi a Braun indirizzando
la lettera <<Al Cittadino Dottor Emilio Braun>> <77).
Di li a poco Braun, nel giugno dello stesso anno, parti da
Roma e si rec6 in Inghilterra, dove rimase a lungo .
Lasci6 a Roma Guglielmo Henzen ed Enrico Brunn.
Il primo
divenne il nuovo segretario dell ' Istituto.
La corrispondenza di Mazzetti continu6, molto meno fitta
che in passato, con Guglielmo Henzen. Del resto il canonico,
che ormai aveva più di 60 anni ed era divenuto Vicario della
Diocesi di Chiusi e Pienza, aveva sempre meno tempo per occuparsi delle antichità.
Anche da Roma i segnali che venivano erano molto timidi .
L'Istituto era in crisi. I soci èrano molto diminuiti. I mag-
<74> - Per l'attività del François a Chiusi e per i suoi rapporti con Federigo Sozzi, ved. E. Barni - G. Paolucci, op.e.,
Appendici I-II-III-IV-V.
(75>
ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 24.5.1846.
<76) -
Ibidem, 2.3.1848.
<77)
Ibidem, 18.4.1849.
37
giori mercanti d'arte romani,
il Baseggio, il Capranesi, il
Depolatti, morirono in quegli anni.
L'attenzione per l'arte antica era molto scemata e con essa quella per l'archeologia . La situazione politica era grave
e allontanava da Roma i forestieri e gli affari .
Anche a Chiusi l'interesse per l'archeologia era molto calato. All'inizio degli anni 'cinquanta le uniche segnalazioni
inviate da Kazzetti ad Henzen riguardavano gli scavi fatti in
società dal Vescovo G.B . Ciofi e dal Prançois. I reperti furono visionati direttamente da Henzen, che nel 1850 effettu6 un
viaggio in molte parti d'Etruria,
giungendo a Chiusi e conoscendo personalmente Kazzetti <78> .
L'anno dopo il canonico gli invi6 un disegno di una splendida collana d'oro trovata a Cetona da Prancasco Kinutelli
(79) .
Il disegno, eseguito da Angelo Galanti (80>, un abile
artista di cui si avvalevano i collezionisti chiusini , rendeva bene l'idea dello sple~dore del gioiello .
E, poco tempo
dopo, la collana fini a Berlino.
Gran parte del tempo Kazzetti
lo dedicava, allora, alle
catacombe di s. Caterina, scoperte nel 1848 (81>.
Proprio esse portarono ad un altro momento di polemica con
gli archeologi dell'Istituto. Questi, infatti, misero in dubbio la cristianità delle catacombe, argomentando la loro opinione con la presenza, nel cimitero, della iscrizione dedicatoria O. K. = Diis Kanibus, che mal si conciliava con il Cri-
(78> - Sugli scavi Sozzi-François nei terreni vescovili, ved.
E. Barni - G. Paolucci, op. c . , Appendice V.
<79>
ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 8.7.1851.
<80)
Su questo personaggio, ved. E. Barni, op.c.,p.17 e 21.
<81 >
D. Bartol ini, "Le nuove Catacombe di Chiusi recentemente scoperte nella contrada che appellasi S.Caterina",
Roma, 1853. Il Bartolini scrisse, a p.36, riferendosi ai dub bi che erano stati sollevati dagli archeologi tedeschi: <<Ond'é che mi gode assai l ' animo d ' essere io stato fortunatissimo di descrivervi un primitivo cemeterio cristiano integro in
tutte le sue parti con i sepolti ognuno al suo posto, fra i
quali distinguesi il martire dal semplice fedele che chiuse i
suoi giorni con morte naturale, distinzione che effettuasi
col vasello del sangue, e con gl'ist r umenti del martirio
cheche ne dicano cento razionalisti del secolo nostro che su
di tutto sporgono dubbiose tenebre. >> .
38
stianesimo.
Inoltre,
le ampolle col sangue dei martiri, a
differenza delle catacombe romane, si trovavano a contatto
dei corpi, anzich• fuori dei sepolcri.
Antonio Mazzetti, la cui fede cristiana lo aveva portato a
commettere il grave errore di cancellare alcuni graffiti con
motti epicurei che erano stati tracciati sulle pareti delle
catacombe da antichi profanatori, si senti in dovere di intervenire nella questione, con una lunga lettera scritta ad
Henzen il 26 aprile 1853 .
Il suo intervento fu molto critico e polemico nei confronti dell'Istituto.
Egli giunse a dire: <<Ci consola il sapere
come questi dubbi non muovano da Persone Cattoliche, ma da
Protestanti: e per dir il vero la ragione del dubitare ci ~
apparsa così strana, che non possiamo a meno di confessare
trovarci nella impossibilita di conciliare codesti dubbi co'
principi dell'archeologia sacra.>> <82).
Nella lettera Mazzetti sostenne, giustamente, che il fatto
che l'ampolla col sangue fosse stata posta a contatto del
corpo del martire non escludeva la cristianità, essendo stati
anche in passato trovati altri simili esempi.
Lo sfogo del canonico ebbe il risultato di raffreddare ancor più i rapporti con l'Istituto.
Guglielmo Henzen non aveva certo quelle doti di comunicativa che tanto erano state utili ai suoi due predecessori.
Inoltre, la situazione di estremo disagio, anche finanziario,
in cui l'Istituto si trov6 in quegli anni, non contribui certo a chiarire le varie opinioni <83> .
Le comunicazioni tra i Chiusini a gli archeologi tedeschi
vennero troncate .
Soltanto nel gennaio del 1858 Guglielmo Hanzen si rifece
vivo, chiedendo a Mazzetti un resoconto delle ultime scoperta .
La ripresa dei contatti tra Roma e Chiusi faceva parte
dalla politica di rilancio dell'Istituto, tentata con successo da Henzen e da Enrico Brunn, a cominciare dal 1857 (84) .
L'anno prima, 1'11 settembre 1856, era morto Emil Braun.
<82) - ADAIR, carte Mazzetti, a Henzen, 26.4.1853. Il canonico si riferiva ad un articolo apparso sul Bull.Ist.,1853, pp.
50-51, scritto da Henzen.
(83)
Per la crisi dell'Istituto,
op.c.,pp. 114-118.
<84> -
Ibidem, p. 125 e sg ••
ved.
A.
Michaelis,
39
I due archeologi cercarono di ritessere la tela dei soci
corrispondenti, ormai ridoiti ad una sparuta schiera. ftazzetti poteva essere considerato tra i soci più fedeli, perchè da
éirca 30 anni, cioè dall'origine del'lstituto, non aveva mancato di collaborare .
Quando egli rispose ad Henzen,
il 16 febbraio 1858, aveva
comunque poco da raccontare, poichè a Chiusi,come ovunque, la
crisi degli interessi archeologici si era fatta acuta <85).
Dalla fine del novembre 1858 al maggio 1862 Antonio ftazzetti entr6 in corrispondenza con Enrico Brunn. Ancora una
volta fu il contatto diretto e personale a far nascere quella
collaborazione.
Brunn visit6 Chiusi nel 1858 a conobbe Antonio ftazzetti,
che era il "veterano" dell'archeologia chiusina .
La crisi dell'Istituto aveva fatto si che il canonico non
avesse ricevuto i "Bul lettini" dal 1 •apri le del 1850. Brunn si
offri di colmare la lacuna <86), e il gesto contribui a far
rinascere l'entusiasmo archeologico nell'animo di ftazzetti.
All'archeologo tedesco interessava parecchio avere un corrispondente come ftazzetti, che conosceva ogni segreto della
sua terra e poteva aprirgli la porta dei maggiori collezionisti della zona,in quanto egli cominciava a raccogliere il materiale per la pubblicazione della sua opera monumentale sulle urne etrusche <87>.
E Chiusi, anche se in un momento di
stasi' del le ricerche, poteva comunque offrirgli soggetti assai interessanti.
Nel marzo del 1859 ftazzetti gli segnal6 una scoperta fatta
da Giovanni Paolozzi, un nobile chiusino che sarebbe risultato assai
importante per l'archeologia nell'ultima parta del
secolo, che consisteva in vasi di bronzo e di terracotta e
due orecchini d'oro <<a botticino di grazioso lavoro a filigrana>> (88).
Una notizia interessante per capire il clima che si viveva
nei paesi della Toscana all'indomani dell'annessione al Pie-
<85>
Sulla crisi archeologica di metà secolo ved. G. Paolucci, op. c., pp. 78-80.
(86)
ADAIR, carte Mazzetti,a Brunn, 28.11.1858 e 19.5.1859.
(87)
E.
Brunn, "I rilievi delle urne etrusche", 1870. Il
secondo volume uscì, a cura di G. l(orte, nel 1896.
<88) - ADAIR, carte Mazzetti, a Brunn, 11.3.1859. Sul Paolozzi, ved. G. Paolucci, op. c., pp. 112-115.
40
monte, è data da ftazzetti in una lettera scritta a Brunn il
20 1ug1 i o 1860 .
Il canonico era stato preavvisato dall'archeologo tedesco
che presto sarebbe tornato a Chiusi.ftazzetti rassicur6 Brunn,
scrivendogli:
<<E così spero di rivederLa, a Dio piacendo, e
discorrere un poco insieme, né crederei che le attuali circostanze dovessero in alcun modo servir di ostacolo al di Lei
viaggio, avendo specialmente il Passaporto in regola.>> (89).
Inoltre, il canonico gli preannunci6 di aver avvisato Perdinando Panelli, a Sarteano,
perchè gli facesse visitare la
sua collezione.
A Chiusi,
invece,
le cose non dovevano
essere molto tranquille, perchè comunic6 che il ftuseo Paolozzi non era visitabile in quanto, dato il momento politico,gli
oggetti di più facile trasporto erano stati allontanati dalla
città <90> .
Nel
1865 Enrico Brunn parti da Roma e fu sostituito da
Wolfgang Helbig. Due anni dopo mori Edoardo Gerhard, divenuto
cieco da tempo.
Pino al 1868 ftazzetti non comunic6 più con l'Istituto. Ci
vollero alcune straordinarie scoperte perchè si decidesse a
riallacciare i contatti con Henzen col quale, a dire il varo,
non aveva mai avuto una gran confidenza.
In un rapporto, che fu poi pubblicato sul "Bullettino",
egli dava notizia della scoperta di un'anfora a
figure nere,
trovata da~ canonico ftanciati di San Casciano dei Bagni, ove
era rappresentato Tereo re di Tracia che insegue Progne.
Inoltre dava notizia di due manici di vaso ·di bronzo, scoperti dal sindaco di Chiusi,conte Pietro Ottieri Della Ciaia,
sui quali si facevano ammirare alcune figure che ftazzetti interpretava come rappresentanti, da una parte ftirra e il padre
Cinira re di Cipro, dall'altra Epopea re di Lesbo e Nittimene.
Nello stesso rapporto c'era la descrizione degli stupendi
bronzi (91) di Chianciano, oggi al ftuseo di Pirenze, scoperti
da Vincenzo Casuccini.
La grafia del Mazzetti era assai incerta, e il canonico se
ne scusava per la grave età (aveva, ormai, 77 anni).
Le scoperte segnalate da ftazzetti erano veramente importanti,
ma quest'ultimo suo rapporto fu per lui causa di un'
ulteriore, ed ultima amarezza .
<891
ADAIR, carte Mazzetti, a Brunn, 20.7.1860.
<90)
Ibidem.
<91)
ADAIR, carte Mazzetti, a Henzen, 27.6.1868.
41
Henzen gli annunci6 che, nel pubblicare il suo rapporto;
lo Schlie, altro socio corrispondente, avrebbe interpretato
in maniera più consona le raffigurazioni incise sui due manici del conte Pietro Ottieri.
ftazzetti rispose che non aveva
nulla in contrario, anche perchè non aveva mai avuta la presunzione di considerarsi archeologo <92>.
fta quando lesse l'interpretazione dello Schlie non potè
fare a meno di prendere in mano, per l'ultima volta, la penna
e scrivere a Henzen.
La sua lettera, del 17 luglio 1869, fu
anche l'ultima della serie, in quanto mori di li a poco, all'
inizio del 1870 .
In essa il pensiero del canonico non è sempre chiaro e
preciso, cercando egli di dimostrare che la spiegazione delle
raffigurazioni su quei manici era da ricercarsi m'glio nel
pensiero del loro autore, che aveva voluto rappresentare due
situazioni diverse, piuttosto che nella semplice espressione
di due scene erotiche, quali aveva visto lo Schlie.
La lettera è un po' il testame~to spirituale del ftazzetti,
che durante la sua lunga esistenza ne aveva viste tante · e poteva ora permettersi di
insinuare il dubbio nella merita di
chi pensava di aver compreso tutto.
La conclusione della sua lettera è, al riguardo, significativa: <<Ciò che io Le ho detto è stato unicamente 'per manifestarle la mia opinione e non già per provocare una quistione archeologica che io onninamente abborrisco.>> (93>.
Dopo qualche mese Antonio ftazzetti mori,
portando con sé
una parte della storia della sua terra e anche di quella del1' Istituto Archeologico Germanico .
<92> - Ibidem, 17.9.1868
<93> - Ibidem, 17.7.1869. L'articolo dello Schlie era apparso
sul Bull.Inst.,1868, pp. 206-207.
A P P E N D I C E
La pianta degli scavi di Poggio Gaiella eseguita nel 1841 da
Luigi Dei
Il canonico Luigi Dei fu il direttore degli scavi di
Poggio Gaiella.
Invi6 a Roma,
nel novembre del 1841, una
grande pianta da lui eseguita sugli scavi di Poggio Gaiella,
insieme ad una pianta catastale dei terreni di proprietà del
Casuccini.
Della pianta degli scavi di Luigi Dei si persero ben presto le tracce.
Essa doveva servire per una seconda edizione
del libro del Braun che non venne mai realizzata.
Quando,
nel nostro secolo,
Ranuccio Bianchi Bandinelli
affront6 le fatiche della sua tesi di, laurea sul territorio
di Chiusi, vide la pianta di Luigi Dei, ma non potè giovarsene perchè era troppo tardi per studiarla ed inserirla nella
sua opera.
Egli err6, comunque, nell'accenno che ne fece attribuendola a Pederigo Sozzi.
La carta è tuttora esistente nell'Archivio dell'Istituto
Archelogico Germanico ed è particolarmente interessante perchè corregge in vari punti quella stampata nell'opera del
Braun, realizzata dal Gruner.
E'
molto dettagliata e dà un quadro preciso, pur nell'ingenuità della realizzazione, dello stato avanzato degli scavi
di Poggio Gaiella nell'autunno 1841 . Dobbiamo del resto considerarla il documento su Poggio Gaiella più vicino alla
realtà,
perché fu realizzata di propria mano da colui che
stava dirigendo i lavori.
In verticale, sulla destra della grande carta, Luigi Dei
scrisse la sua relazione per Braun, intitolandola "Varie note
da aggiungersi alla Relazione fatta sui sepolcri di Poggio
Gaiella dal Sig. Lodovico Gruner" .
In essa il canonico chiusino dimostra una grande precisione e una non trascurabile capacità di deduzione, come del resto conferm6 il suo raggio di ricerche che negli anni 'quaranta lo port6 anche in ftaremma.
Il documento pu6 essere di grande aiuto agli stessi studiosi moderni in quanto il poggio, già depredato all'atto
della scoperta, subl successivamente ulteriori modifiche, per
non parlare delle cave che pericolosamente si avvicinano sempre più alla sua area.
Vi compaiono elementi non presenti
nella carta del Gruner. Ne voglio citare solo alcuni:
a)
viene messa in evidenza tutta l'area immediatamente ad
ovest della grande stanza rotonda con colonna centrale, con
il fitto intrecciarsi degli ambienti e dai cunicoli;
b)
viene indicata la dislocazione delle tombe poste verso
la base del poggio;
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Pianta della necropoli di Poggio Gaiella
disegnata nel 1841 da Luigi Dei (Disegno in ADAIR)
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è trabciato il percorso del muraglione
poggio.
che cingeva il
Numerose sono le riflessioni che Luigi Dei fa nella sua
descrizione, come quando spiega l'interruzione del muraglione
di confine nella parte posteriore del poggio con una probabile frana che lo tagli6 in tempi remoti, o quando indica il
luogo di ritrovamento di alcuni reperti.
E' mia opinione che la pianta disegnata da Luigi Dei dovrà
essere presa a base per la definitiva decifrazione della
grande necropoli.
Scarica

Barni, E. (1988), L`Istituto Archeologico Germanico e