ENRICO BARNI -~ .. L'ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO E L'ARCHEOLOGIA CHIUSINA nelle lettere del CANONICO ANTONIO MAZZETTI PREMESSA A circa tre anni dalla pubblicazione del volume "Archeologia e Antiquaria a Chiusi nell'Ottocento - Storie di eruditi, collezionisti, mercanti e scavatori", offro un ulteriore contributo alla storia archeologica di Chiusi e della Val di Chiana . Spero che esso aggiunga elementi interessanti ed utili a chiarire il fenomeno culturale che l'archeologia fece sorgere in questa zona, oltre a mettere in risalto uno spaccato del costume locale del secolo scorso . Si tratta, in pratica, del diario di un canonico, tenuto mediante le sue lettere agli archeologi tedeschi di Roma, che mette in luce tutti i suoi entusiasmi, dubbi e le delusioni. na il volumetto illustra anche una parte assai interessante della vita dell'Istituto Archeologico Germanico, allora Instituto di Corrispondenza Archeologica. In appendice, pubblico per la prima volta una grande pianta degli scavi di Poggio Gaiella eseguita nel 1841 dal canonico Luigi Dei, che porta nuovi elementi utili a decifrare le caratteristiche della famosa necropoli . Ho il dovere di ringraziare il dottor Horst Blanck dell ' Istituto Archeologico Germanico di Roma, che con infinita cortesia mi ha permesso di esaminare le carte di Antonio ftazzetti e di valermene per questa pubblicazione . Enrico BARNI Roma, aprile 1988 Indice - Premessa L'Istituto Archeologico Germanico e l'Archeologia Chiusina nelle lettere del Canonico Antonio ftazzetti - Appendice: La pianta degli scavi di Poggio Gaiella eseguita nel 1841 da Luigi Dei Abbreviazioni usate nel testo - ADAIR Roma, Deutsche& archaologisches Institut Archivio Ann. - Bul l. Inat. Inat. 11.A.L. Annali dell'lnstituto cheologica di Corrispondenza Ar- Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica Memorie dell'Accademia Nazionale dei Lincei ENRICO BARNI L'ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO E L'ARCHEOLOGIA CHIUSINA nelle lettere del CANONICO ANTONIO MAZZETTI A Roma, nel ricco Archivio dell'Istituto Archeologico Germanico, esiste un fascicolo denso ed interessantissimo, nel quale sono raccolte le lettere che un socio-corrispondente dell'Istituto, il canonico chiusino Antonio ftazzetti,invi6 tra il 1829 ed il 1869. Sono 120 lettere, contenenti per lo più segnalazioni di scavi e scoperte, ma anche accordi commerciali per la vendita de i repert i . Esse rappresentano una vera e propria miniera, perché, oltre ad illustrare ampiamente le ricerche archeologiche che vennero fatte a Chiusi nel periodo di maggiore intensità degli scavi, forniscono una serie di notizie relative all'attività dei segretari dell'Istituto nell'Etruria settentrionale . Il carteggio-ftazzetti pu6, dunque, essere preso a campione dell'attività dell'Istituto, coprendo il quarantennio che va dall'inizio della sua attività alle trasformazioni dell'ultimo quarto del secolo scorso. Il vero ideatore e fondatore dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica fu Edoardo Gerhard <1>, che venne a Roma sin dal 1822 e che nel 1824 e 1825 visit6 con grande accuratezza il territorio dell'antica Etruria. Durante questi viaggi egli ebbe modo di conoscere tutta una serie di eruditi locali che da alcuni anni si impegnavano ad effettuare ricerche archeologiche nei territori delle loro comunità . Si trattava , per.lo più, di nobili, di Gonfalonieri <i Sindaci dei nostri tempi>, di canonici, facilitati nelle loro esplorazioni dall'essere i maggiori proprietari terrieri. I viaggi di Gerhard furono assai importanti, perché prepararono il terreno per quella che sarebbe stata la rete dei soci corrispondenti del futuro Istituto, oltre a consentirgli di raccogliere sin da allora una certa quantità di disegni di materiale archeologico appena scoperto. <1> - Eduard Gerhard <Poznan 1795 - Berlino 1867) visito per la prima volta l'Italia nel 1820, giungendo sino in Sicilia e tornando in patria col vivo desiderio di ripetere presto quell'esperienza. Era venuto in Italia proprio per cercare di curare una grave malattia agli occhi che l'aveva colpito giovanissimo. A Roma collaboro col Bunsen e col pittore Platner all'importante "Descrizione della città di Roma" (1826). Fu autore di varie opere ed opuscoli di carattere archeologico tra cui vanno ricordate le "Figurazioni vascolari scelte" <1839-47>, "Specchi etruschi" <1839) e "Mitologia greca" <1854- 55). 2 Oltre a Edoardo Gerhard, rafforzarono quei rapporti oon gli eruditi locali lo Stackelberg <2> ed Ermanno Keatner <3>, che effettuarono diversi viaggi, soprattutto a Tarquinia• a Chiusi <4> . Vediamo coal riunito, a metà degli anni •venti dal secolo acorao, il gruppo dai tre maggiori fondatori dell'lnatituto di Corrispondenza Archeologica. Edoardo Gerhard ara, dai tre, il più dotato di comunicativa, anche perchè sin dal suo arrivo a Roma aveva cercato di immergerai in quell'ambiente, curando in maniera particolare i rapporti con la gente. Nel tracciare la storia dell'Istituto, nel 1879, il Kichaelis coal ricord6 Edoardo Gerhard: <<Caldamente interessato per l'Italia e per i suoi abitanti, affatto famigliarizzato col carattere e cogli usi del popolo, padrone della lingua italiana fino alle sue finezze.>> <5>. Pu proprio nel corso dei auoi viaggi in Etruria, intorno <2> Il barone Otto Magnus Stackelberg era membro di una società internazionale che dal 1810 aveva operato proficuamente, in campo archeologico, in Grecia. Nel 1816 si stabili a Roma. <3> - Augusto Kestner, amico dello Stackelberg, dal 1817 era addetto all'ambasciata di "Annovera" a Roma. <4> - Nel 1827 furono scoperte, a Tarquinia, le tombe dipinte del "Barone" e delle "Bighe". Lo Stackelberg si recò a Tarquinia e copiò i disegni dei dipinti. L'anno prima era stata scoperta, a Chiusi, la tomba dipinta di "Poggio al Moro", o "Dei",che il Kestner visitò nella primavera del 1828 e descrisse <Ann. Inst., 1829, p.101>. I dipinti delle tombe tarquiniesi furono copiati su lucido da Carlo Ruspi, tra il 1832 e il 1835, per incarico dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica. Essi sono stati recentemente esposti nella mostra "Pittura Etrusca. Disegni e documenti del XIX secolo dall'archivio dell'Istituto Archeologico Germanico", Roma, 1986. I primi disegni della tomba chiusina di "Poggio al Moro" furono realizzati, nel 1826, dal giovane pittore senese Domenico Monti e furono poi pubblicati da Giuseppe Micali nell'opera "Storia degli antichi popoli italiani", Firenze, 1832, tavv. LXIX, LXX, LXXII e CII4. Altri disegni della tomba vennero pubblicati nell'"Etrusco Museo Chiusino", 1833, vol. II, tavv. CXXII - CXXXII. <5> A. Michaeli&, "Storia Germanico", Roma, 1879, p. lo. dell'Instituto Archeologico 3 al 1825, che Gerhard conobbe a Chiusi il canonico Antonio ftazzetti (6) . Questi aveva, allora, 35 anni, ma già da tempo si interessava di archeologia, certamente da quando, n~l 1818,era stata scoperta la "Tomba del Granduca" <7>,che aveva sollecitato gli interessi degli eruditi locali. A quei tempi Chiusi possedeva già un ricercatore importante, Pederigo Sozzi <8>, che aveva fatto dell'archeologia la sua maggiore occupazione. La città sarebbe divenuta, di 11 a poco, e per oltre un ventennio, il maggiore centro d'attrazione, in campo archeologico, della Toscana intera. In essa, appena uscita dai tempi bui dello spopolamento e della malaria, il giovane canonico era stato uno dei primi ad interessarsi di antiquaria e possedeva già una collezione di una certa importanza (9). Co& l , quando i 1 gruppo romano deg 1 i "I per bo re i ·~ dee i se di fondare l' Instituto di Corrispondenza Archeologica (11)), fu naturale accoglierlo nella cerchia dei primi soci corrispondenti. La prima lettera scritta da ftazzetti a Gerhard reca la data del 20 maggio 1829 e si rliferisce alla segnalaz-ione di un vaso della collezione di Pietro Bonci Casuccini, ·che si era da poco costituita. I primi approcci con l'ambiente chiusino facevano già intravedere a Gerhard i possibili sviluppi di quei rapporti ed (6) - Antonio Mazzetti <Chiusi 1791) - 1871)), canonico chiusi no e, successivamente, Vicario della Diocesi di Chiusi e Pienza, fu uno dei protagonisti della grande stagione dell'archeologia chiusina. Sulla sua figu~a, ved. E. Barni G. Paolucci, "Archeologia e Antiquaria a Chiusi nell'Ottocento", Firenze, 1985, pp. 29-32. <7> - G.B. Vermiglioli, "Sepolcro chiusino illustrato nelle sue epigrafi. Edizione con l'aggiunta di una memoria di Del Rosso sulla parte architettonica dello stesso monumento", 1819. (8) E. Barni, op. c., pp. 38-44, ove viene messa in luce la figura politica del Sozzi. <9> Sull'ambiente chiusino dell ' epoca, ved. c. ,pp. 12-21. E. Barni, op. (li)) - L'Instituto di Corrispondenza Archeologica fu fondato il 21 aprile 1829, giorno del Natale di ·Roma. Il programma col manifesto associativo era uscito sul finire del gennaio 1829. 4 egli si mostrava premuroso nei confronti dei soci che a Chiusi, come in tanti altri piccoli centri, inviavano relazioni a Roma. Presto gli &i pre&ent6 l'occasione per mostrare tutta la sua stima verso l'ambiente chiusino. Era iniziata, infatti,la stampa dei primi fascicoli dell'"Etru&co l'lu&eo Chiusino", un' opera ideata dallo &tesso l'lazzetti, dal Sozzi, dal Ca&uccini e da Francesco Dei <11>. La società editrice chiusina era partita con grandi ambizioni, rivolgendosi alla Stamperia Granducale di Firenze, che &tamp6 i due primi fascicoli. Ma l'impresa ri&chi6 ben presto di fallire e la &alv6 Francesco Inghirami, che intervenne con tutto il peso della sua erudizione e con la sua "Poligrafia Fiesolana" <12> . Gerhard non &i la&ci6 &fuggire l'occasione, ~ebbene non fosse convinto della bontà dell'iniziativa, che do~ette certo apparirgli frettolosa e priva di un saldo supporto culturale . Egli, tuttavia, s'incaric6 di provvedere alla vendita di 20 copie dell'opera, oltrechè di acquistarne una personalmente ed un'altra per l'Istituto <l3>. Provvide a darne pubblicità sul "Bullettino", anche se in seguito non le risparmi6 alcune critiche <14>. Era accaduto quello che spesso avviene quando le iniziative sono viziate dall'improvvisazione. I soci chiusini avevano cominciato a non andare daccordo con lo stesso Inghirami, il quale a sua volta se l'era presa, non a torto, con Domenico Valeriani ed i suoi "Ragionamenti" che acéompagnavano l'opera. L'atteggiamento del Valeriani aveva suscitato persino l'ira di Giovan Battista Vermiglioli, che inizialmente era stato incaricato della parte epigrafi- <11) - E. Barni, op. c., pp. 45-48. <12> F. Inghirami <Volterra 1772 - Fiesole 1846>, fu uno dei maggiori eruditi della prima metà dell ' Ottocento. Tra le sue opere maggiori, i "Monumenti Etruschi" <1821-26> e la "Storia del 1 a Toscana" <1843-46>. Nel 1819 fondò 1 a F'ol i grafi a Fiesolana, con la quale stampò le sue opere più importanti. <13> ADAIR, carte Mazzetti, a Gerhard,lettere dell'8.10 e 4.12.1830; del 23.1, 4.4, 26.4, 7.6, 29.6 e 7.12.1831;del 12.4 e 8.5.1832;del 7.1 e del 9.2.1834. <14) Bull. Inst., 1830, pp. 37-38. 5 ca <15> . Pu il primo screzio tra l'ambiente romano ed i corrispondenti chiusini, e Gerhard e Kestner giunsero persino a minacciare di interrompere l'associazione all'opera <16). fta, fortunatamente per i Chiusini, essa era ormai al suo compimento, in quanto doveva uscire soltanto l'ultimo fascicolo . Il giro lungo e tortuoso che le copie dei fascicoli del1 '"Etrusco ftuseo Chiusino" dovevano compiere per giungere a Roma aiuta a capire quella che fu una delle principali difficoltà che Gerhard ed i suoi collaboratori si trovarono di fronte nello svolgimento del proprio lavoro. Le comunicazioni avvenivano, allora attraverso i corrieri postali e frequenti erano i disservizi che si verificavano, con ritardi e smarrimenti delle lettere e dei pacchi con i disegni. Comunicare con Chiusi , poi, era un caso a sé. Si trattava, certo, di mettersi in contatto tra due Stati, seppur confinanti, ma la cittadina toscana, sebbene si trovasse ai confini con lo Stato Pontificio, era isolata all'interno dello stesso Granducato di Toscana. Infatti, le lettere che partivano da Chiusi dovevano passare prima per ftontepulciano e di qui essere smistate a Radicofani, dove giungeva il servizio postale con la diligenza . Ben presto sia i Chiusini, sia i membri dell'Istituto si accorsero che non era quello il canale migliore da utilizzare per far passare la corrispondenza, anche perché, nel commercio, il tempo è denaro! Se la via toscana era troppo lunga, ce n'era un'altra, a due passi da Chiusi, che assicurava un collegamento molto più rapido . Era quella èhe passava per Perugia e Città della Pieve, due centri dello Stato Pontificio. Cosi, i fascicoli dell'"Etrusco rluseo Chiusino" arrivavano alla "legazione" di Perugia, dove tale signor Cecchetti li recapitava a Roma (due copie per l'Istituto e venti a Pietro Capobianchi, impiegato postale, per il recapito agli altri acquirenti>. La corrisvondenza normale passava, invece, per Città della Pieve, tramite certo maestro ftarcolini . (15) Una ricca documentazione delle polemiche che l'opera suscitò tra gli autori e tra F.Inghirami e gli editori si trova in ADAIR, carte Inghirami, lettere a Gerhard del 17.4 e :::.o. 5. 1830; 4. 2. 1831. Domenico Valeriani era arrivato a sostenere che gli Etruschi avevano inventato l'alfabeto e lo avevano insegnato ai Greci. <16> - ADAIR, carte Mazzetti, 3.5.1834. 6 A conferma di ci6, sul retro della quasi totalità delle lettere giunte a Roma da Chiusi esiste il timbro postale "Città della Pieve". Più volte Antonio ftazzetti ricord6 questo accorgimento a Gerhard, come quando, nel 1834, gli scrisse: <<Tutte le volte che Ella mi onorerà dei suoi graditi caratteri, farà grazia d'impostar la lettera tra quelle dello Stato Romano, dicendo nella sopraccarta = Al Can.co Ant.o Mazzetti di Chiusi Città della Pieve =>> <17>. Nelle prime lettere scambiate da ftazzetti con Gerhard è spesso nominato un personaggio a quell'epoca assai attivo nell'ambiente romano, frequentemente incaricato di disegnare per l'Istituto il materiale archeologico sparso per l'antica Etruria. Si trattava di Carlo Ruspi, artista-archeologo molto apprezzato a Roma per la sua particolare tecnica di copiare su "lucido" i monumenti <18> . Edoardo Gerhard aveva scritto a ftazzetti, nel maggio del 1829, avvisandolo che presto si sarebbe recato a'Chiusi insieme al Ruspi, che avrebbe avuto il preciso inca~ico di disegnare vari oggetti <19>. Lo stesso canonico chiusino, in una sua lettera del giugno successivo, afferm6 di essere in contatto diretto con l'artista romano <20>. Sicuramente Ruspi aisegn6, dunque, vario materiale chiusino. Nel frattempo, i primi articoletti di Antonio ftazzetti apparvero sul "Bullettino" dell'Istituto, negli anni 1829-30-31 <21) . Si trattava ancora di brevi cenni, quasi timidi, che il canonico indirizzava a Roma e che si riferivano, per lo più, agli scavi intrapresi da Pietro Bonci Casuccini, il nobile chiusino che più degli altri cercava di ampliare il museo di famiglia, che tanto gli stava a cuore. <17> - La situazione muto soltanto con l'arrivo a Chiusi della ferrovia "Centrale Senese" nel 1862, che venne nel 1865 prolungata ad Orvieto e nel 1874 ad Orte. <18> - Sull'op"era del Ruspi <Roma 1786 - 1863> ved. C. Weber Lehmann, in "Pittura Etrusca" cit.,pp. 13-20 e F. Buranelli, ibidem, pp. 21-25. <19> ADAIR, carte Mazzetti, a Gerhard, 10.6.1829. <20) - Ibidem, 21.6.1829. <21> - Bull. Inst., 1829,pp.70-71; 1830,pp. 62-64; 1831,p. 9. 7 Inizi6 anche l'acquisto, da parte di Gerhard, di reperti archeologici. Nelle sue ultime visite a Chiusi aveva pe~fe zionato alcuni acquisti pre&&o il Sozzi, e il materiale doveva essere direttamente inviato a Berlino. Pu ftazzetti, non essendo ancora Pederigo Sozzi socio del1 'Istituto, a mantenere per lui i contatti con Roma, informando Gerhard che le casse con gli oggetti erano partite per Livorno, dove sarebbero &tate imbarcate <22> . Intanto , con molta modestia il canonico chiusino, che insieme al vicario della diocesi Giovan Battista Pasquini (23) inviava regolari rapporti a Roma, parlava delle propria opinioni in campo archeologico e delle proprie iniziative di &cavo, in società col nobile Ristoro Paolozzi. Nel 1832 Gerhard torn6 in Germania e vi rimase per vario tempo, cominciando a distaccarsi dall'ambiente che lo aveva occupato cosi intensamente per vari anni,con risultati par la verità assai fecondi. Nella sua patria avvenne un fatto molto importante par il futuro di molti preziosi reparti che di ll a poco sarebbero stati tratti dal suolo chiusino. Gerhard fu nominato,nal marzo del 1833, Archeologo del ftusao di Berlino, istituzione al cui accrescimento avrebbe dedicato ogni sua energia. A Roma aveva lasciato a sostituirlo il danese Olau& Kellermann ed Enrico Abeken, cappellano della legazione prussiana. Sino al 1834 ftazzetti non ricevette lettere dall'Istituto. Questo dimostra la rilevanza che ebbe par l'l&tituto,in quei primi anni di vita, l'opera di Gerhard, instancabile nel mantenere i contatti con tutti i soci periferici, conscio dell' importanza che essi rivestivano . Se ftaometto non si recava più alla montagna, fu Kazzetti a recarsi a Roma, all'inizio del 1833, dove conobbe Kellarmann. Pinalmente, nel novembre del 1833, Edoardo Gerhard torn6 a Roma, portando con sé un giovane che aveva conosciuto a ftonaco l'anno prima: Emil Braun <24> . Si premur6 subito di riallacciare i contatti con l'ambiente chiu&ino,che stava divenendo fondamentale per il progredire della scienza archeologica. Pochi mesi prima, infatti, Pietro Bonci Casuccini aveva scoperto la tomba dipinta del Colle, la seconda tomba dipinta scavata a Chiusi nel XIX secolo . <2 21 - ADAIR, carte Maz z etti, a Gerhard, 18.7.1830. (231 E. Barni, op. c., p.29. <24) - A. Michaelis, op. c., p. 49. 8 Gerhard chiese notizie della tomba a ftazzetti, che gli rispose che era inutile ripetere quanto era già stato detto e illustrato in proposito nel fascicolo XVI dell' " Etru&co ftu&eo Chiusino". Colse, per6, l'occasione per narrargli la storia della scoperta di due monete d'oro, avvenuta a Chiusi poco prima : <<Furono parimente trovate accaso da un pover'uomo,due monete d'oro del peso di 4 denari per ciascheduna, una delle quali apparteneva a Giulio Maiorano, l ' altra a Zenone. Senta adesso in che modo furon trovate. Passando,una mattina di Festa, due poveri Braccianti intorno le mura della città, giunti che furono dietro la Cattedrale,si misero a raccontare come un fanciullo, tempo fa, avea trovate sul greppo di questa strada due monete d'oro appartenenti a Maurizio,quando uno di questi, invidiando la sorte del fanciullo, si mise a gu~rdare il posto, ove furono trovate le altre, ed ecco che essq pure vide risplender un nonsocchè tra la terra, ed eran due monete. >><25> . Pare incredibile, ma il raccontino, abbastanza improbabile, della &coperta delle due monete ~·oro, &e~brava rivestire per ftazzetti maggiore importanza della scoperta della tomba dipinta del Colle. · fta trapela, dalle sue parole, quella pietà tutta cristiana che &i compiaca di veder premiato un poveraccio dalla onnipresente provvidenza divina . A Roma, dal settembre 1834, Emil Braun aveva preso saldamente le redini dell'Istituto,dopo aver sostituito Kellermann nell'incarico di bibliotecario e sottoarchivi&ta . Edoardo Gerhard, consapevole della gravità della malattia che lo aveva colpito agli occhi, aveva scelto il suo successore. Dal punto di vista dei contatti con il vasto ambiente dei soci corrispondenti italiani la scelta non avrebbe potuto essere migliore. Emil Braun era l'uomo adatto a quell ' incarico , essendo capace di lavorare instancabilmente per curare i rapporti con tutti gli eruditi locali, senza trascurare alcuno. Anzi, in questo la sua abilità fu anche superiore a quel la dal suo maestro . La prima lettera scritta da ftazzetti a Braun è datata 8 ottobre 1834 e tratta degli scavi effettuati in quel periodo dal nobile chiusino Giuseppe Paolozzi con la &coperta, tra l' altro , di una importante &tatua-cinerario, purtroppo rinvenuta mutilata in più parti <26>. <25> ADAIR, carte Mazzetti, 7.1.1834 <26> Ibidem, 8.10.1834. Bull. Inst., 1834, p.230 sg •• 9 Proprio negli anni 1834-35 il canonico chiusino invi6 varie relazioni che riguardavano quasi sempre gli scavi Paolozzi, famiglia cui ftazzetti era particolarmente legato <27> . Edoardo Gerhard torn6 a Roma nel settembre 1836 e vi trascorse tutto l'inverno, ripartendo nel marzo del 1837. Si premur6 subito di scrivere a Mazzetti, che considerava uno dei soci più fedeli all'Istituto . Il suo interesse stavolta non era rivolto esclusivamente ad avere notizie da pubblicare sul "Bullettino". Egli aveva invece intenzione di accrescere la collezione etrusca del ftuseo di Berlino. A chi rivolgersi, se non all'ambiente chiusino che stava diventando il più importante di tutta l'Etruria ? (28> Proprio per questo egli chiese al fido ftazzetti di descrivergli la sua collezione. Il canonico non si fece pregare e, con una lettera del 23 novembre 1836, gliela elenc6 <29>. Essa era composta da una statuetta in pietra calcarea fetida, seduta e con un pomo nella mano sinistra, alta <<due palmi e mezzo>>. C27> In una lettera a Gerhard, del 26.8.1834, segnalò l'altro un'urnetta di pietra tufacea, inviando un disegno soggetti rappresentati. In un'altra, sempre a Gerhard, 28.9.1834, segnalo alcune urne trovate in zona Valdacqua, iscrizioni etrusche e romane. tra dei del con C28> - Facevano, allora, "concorrenza" al territorio chiusino, in quantità e qualità dei ritrovati, soltanto Tarquinia per le sue tombe dipinte e Vulci per i suoi vasi. ADAIR, carte Mazzetti,a Gerhard, 23.11.1836. Nella Mazzetti faceva anche riferimento ad una statua-cinerario trovata da Pietro Bonci Casuccini. Essa rappresentava Proserpina ed era della stessa "grandezza, materia e forma" di un'altra trovata dal Sozzi ed acquistata da Gerhard, che annotò sulla lettera: <<Nel Museo R. di Berlino> >. Mazzetti accenno· ad un vaso a "campana" ,trovato in pezzi,<<di color rosso con figure nere, ove, per quanto si può raccapezzare, è espressa una figura muliebre con corona, che presenta un fanciullo a Minerva, che io ho supposto, esser Teti col piccolo Achille, presso questa v'è altra figura con tenaglie, che io credo Vulcano, ed altra figurazione che non si può per ora conoscere, se sia Nettuno, ovvero un Tritone >>. Gerhard annoto di suo pugno, in fondo alla pagina1 <<Erittonio! E' manifesto che quella dipintura rappresenti il soggetto d'Erittonio.>>. <29> le~tera, IO Interessante la descrizione che il canonico fece di un' altra &tatua-cinerario in suo possesso: <<Possiedo parimenti un monumento unico fin qui, di cui Ella avrà inteso parlare, giacché ne mandai a Roma un breve ragguaglio, e adesso Le ne mando un disegnaccio, che feci fare da un ragazzo, per mancanza di disegnatori. Questo rappresenta una figura virile della grandezza naturale d'un uomo giacente, e col gomito sinistro appoggiato su due cuscini, e precisamente nella stessa positura delle figure poste sopra i coperchi delle urne, colla destra abbraccia un genio alato che gli siede sopra le anche: Verso i piedi v'è un fanciullo ritto con un cane appresso. Sopra le cosce v'è piegata a più doppi la metà della coltre, giacché per metà sta nudo, e sopra detta coltre v'è una buca rotonda con suo coperchio, per dove forse mettev~nsi le ceneri, essendo nell ' interno tutto vuoto. Questo pure~ della solita pietra calcarea fetida, ed era in vari pezzi, ma è stato ben risarcito. Mancano le mani del fanciullo,che non fu possibile ritrovarle. lo pure sostituii, come fece il Sozzi, una testa, antica si, ma di terra c~tta, alla propria che · era stata derubata.>> C30> . Gerhard chiedeva soprattutto notizie di urne e bronzi e la collezione Mazzetti ne poteva elencare una serie abbastanza importante: <<Di bronzi ritengo una tigre di belle forme, e conservatissima, della grandezza di sette dita, un idoletto ben conservato alto sei dita con suo piedistallo parimenti di bronzo antico, ed altro Idolo grande, cui manca un braccio, e i piedi come rileverà dal disegno, che Le invio. Uno strigile ben conservato. Due specchi sani, in uno de' quali v'è una figura muliebre alata di bello stile, con ai piedi un delfino da una parte, e dall'altra un fiore, che pare di loto ••• >>. Inoltre, Mazzetti possedeva vari vasi di bronzo e altri oggetti minori . Quanto ad oggetti d'oro, non è che la sua collezione fosse di prim'ordine, ma comprendeva una bella fibula rappresentante un cavallo alato, di cui il canonico abbozz6 un disegno, e due orecchini di cui uno formato da due teste d'ariete, l'altro da due ghiande lavorate a filigrana. Alcuni accenni fatti da Mazzetti in una lettera del marzo 1837, fanno pensare che tra Gerhard a Berlino e Braun a Roma &i fosse instaurata una certa concorrenza. Da una parte Gerhard &i era votato anima e corpo al Museo di Berlino e ve- <30) La descrizione del Mazzetti conferma quanto è stato indicato da M. Cristofani, relativamente al restauro del monumento, in "Statue-cinerario chiusine di età classica",Roma, 1975, p. 46. 11 deva ogni suo rapporto con l ' Italia indirizzato in tal senso . Dall'altra Braun era ben presto entrato in contatto con l'ambiente dei collezionisti· romani e dei mercanti d'arte, tra i quali si distinguevano il Baseggio, il Capranesi e il Depolett i . Il commercio dei reperti ebbe in quegli anni un grande sviluppo a Roma, il cui mercato d'arte non era mai sazio delle novità che provenivano dall'Etruria . Cosi, mentre in Germania si proseguiva ad incrementare, saggiamente, le collezioni pubbliche, in Italia ci si avviava irrimediabilmente verso la dispersione del materiale archeologico in mille rivoli. Ben presto Emil Braun divenne il consulente dei maggiori collezionisti romani, che si rivolgevano a lui con ansia, sapendo su quali estesi contatti potesse contare l'Istituto . Questa concorrenza, se cosi pu6 essere chiamata, è evidente nelle parole del "azzetti, che si vedeva chiedere notizie da Emil Braun, nonostante le avesse fornite poco prima a Gerhard: <<In replica poi alla di Lei gentilis.ma dirò, che non senza ragione Ella si lagna di me; ma se ho mancato per qualche tempo di scriverLe, non è già derivato, né da mancanze commesse verso di me, né da circostanze variate ••. Laragione notissima, per tanto, ed unica, si è perchè non mi si è presentata da gran tempo occasione di darLe conto di cosa alcuna ritrovata, ed appena rinvenuto qualche oggetto, che meritasse un poco, non mancai di accennarlo d Gerhard, persuaso che fosse lo stesso di avvisare uno invece dell'altro.>><31>. Da quando Emil Braun era giunto a Roma, nel 1833, non aveva trovato ancora il tempo per compiere un viaggio in Italia e soprattutto in Etruria. Al contrario di Edoardo Gerhard, che amava recarsi sui luoghi di scavo per conoscere personalmente i propri corrispondenti, Emil Braun aveva sino ad allora lavorato nel chiuso del suo ufficio, per impadronirsi di ogni segreto dell'Istituto. L ' occasione di lasciare Roma gli venne nel 1837, quando, probabilmente spinto dalla comparsa di una grave epidemia di colera che fece migliaia di vittima, tra cui lo stesso Kellermann, intraprese un viaggio nell'Italia settentrionale che dur6 alcuni mesi. Tuttavia, egli non si rec.6 a Chiusi, limitandosi a toccare la vicina Perugia . Proprio per questo "azzetti, punto nell'orgoglio, quando ricevette l'ennesima richiesta di Braun che lo invitava a segnalargli le ultime scoperte avvenute a Chiusi e a descrivergli i pezzi migliori della sua collezione, rispose quasi sec- <31> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 12.3.1837. 12 cato che sarebbe stato meglio se egli personalmente si Co.se recato a Chiusi da Perugia, <<da dove si viene in mezza giornata>> (32>. Nella stessa lettera, poi, il canonico ripetè la descrizione della sua collezione, già Catta a Gerhard l'anno precedente. Perchè, dunque, Emil Braun assunse questo atteggiamento quasi di noncuranza nei conCronti dell'antica città di Porsenna ? Eppure dal suo territorio erano già stati estratti oggetti di notevole importanza e grande pregio. Con ogni probabilità non si era ancora reso conto del Cervore archeologico che animava i nobili e i canonici chiusini, anche perchè sino ad allora egli non aveva trattato personalmente alcun acquisto con i soci chiusini. L'unico ad aver acquistato reperti era stato proprio Gerhard. fta la grande stagione dei commerci con la gente di Chiusi era alle porte. Per Carsi perdonare la sua mancata visita Emil Braun invi6 a ftazzetti, come anche a Sozzi col quale ultimo cominci6 dal 1838 una Citta corrispondenza, una copia della sua illustrazione di un vaso siculo <33>. Proprio dalle relazioni di scavo del capitano Pederigo Sozzi,che alla fine degli anni 'trenta si fecero fitte e pregevoli per la descrizione della scoperta di importantissime tombe, Emil Braun si convinse che il territorio chiusino doveva essere trattato con maggior riguardo . Sul "Bullettino" dell'Istituto apparvero, tra il 1836 ed il 1839, tre articoli del ftazzetti e tre del Sozzi. Quest'ultimo si segnal6 per la scoperta della tomba di Vignagrande e per le fortunate campagne di scavo nei dintorni di Cetona e Sarteano <34)_ . La quantità e qualità dei reperti erano notevolissime. Ai rapporti dei ricercatori chiusini si aggiunsero quelli di Enrico Guglielmo Schulz, che visit6 a lungo l'Italia, e di Anselmo Peuerbach (35) . Ad aggiungere legna su questo Cocolaio <32> - lbibem, 17.12.1837 <33> - ADAIR, carte Sozzi, a Braun, 8.3.1838. (34> Bull. Inst., 1838,p. 73; 1839, p.49. 1836, pp.25 e 35;1837, pp.21,193; <35> - Per la relazione dello Schulz, ved. Bull. lnst., 1840, p.43. Per il Feuerbach, Bull.Inst.,1840,p.123 e 1841,p.6. 13 già robusto pens6 l'anziano Pietro Bonci Casuccini, con la scoperta della necropoli di Poggio Gaiella. Antonio ftazzetti, quasi cinquantenne, volle dare anche lui un segnale a Braun, con una lettera del 23 giugno 1840 nella quale spiegava che, oltre ai ritrovati del Sozzi, un altro collezionista chiusino, Antonio Lucioli C36>, possedeva una bella urna di marmo e circa 100 vasi di bucchero, oltre ad uno straordinario vaso di bronzo, <<I cui manubrii son formati di due figure di sesso virile di buon disegno, presso le mani delle medesime, che sostengon la bocca d~ d.o vaso, si scorgono quattro leoncini, che servon ~i ornamento,ed altrettanti piccoli arieti son situati ai loro piedi.>> C37>. La collezione Mazzetti si era giovata degli ultimi scavi, ed egli segnalava che tra le ultime accessioni c'era una bella ara di pietra fetida, .<<Due olle di terra cotta alte un palmo e mezzo con figurine a basso rilievo a due zone,un cratere della stessa altezza con due Baccanti di color giallastro in fondo nero, una delle quali tiene il tirso in ~ano, e l'altra l ' ha fisso in terra, avanti al quale sono le doppie tibie, più tre vasi grandi parimenti coloriti con danze, ed altre rappresentanze bacchiche, varie tazze frammentate, ed altro vaso con manichi a colonnine parimenti in pezzi, ove,se non m'inganno,vien rappresentato Ercole.>> C38). Il canonico diceva di possedere anche 20 monete appartenenti all'aes grave, di varie forme e rappresentazioni. Probabilmente, prima che questa lettera giungesse a Roma, Emil Braun si era già messo in viaggio per ChiuGi insieme al fido compagno Ludovico Gruner, un incisore a lui molto vicino. La visita del territorio chiusino colpi profondamente Braun, che si rese conto con i propri occhi dell'importanza e della ricchezza dei ritrovamenti. Egli fece ritrarre dall'abile Gruner i dipinti della stanza principale della tomba del Colle C39) e visit6 tutte le principali collezioni private di Chiusi e dei paesi vicini, secondo un "tour" che da allora sarebbe divenuto consueto per tutti i visitatori che si sarebbero recati nella zona. Ma uno dei risultati più importanti di quella spedizione C36) E. Barni, op.e., pp. 49-50. C37> ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 23.6.1840. C38> Ibidem. C39) Bull. Inst., 1840, pp. 145-146. Buccheri della collezione di Luigi Dei (Disegni in ADAIR) 15 fu l'opportunità di conoscere personalmente tutti gli eruditi locali, allacciando con loro proficui contatti. Non a caso fu proprio in quest'occasione che un altro canonico chiusino, Luigi Dei <40>, si merit6 di essere annoverato tra i soci corrispondenti dell'Istituto, e dal novembre successivo cominci6 ad inviare frequenti rapporti a Roma (41) . Emil Braun credette poi opportuno pubblicare, sul "Bullettino" dell'Istituto del settembre 1840, un lungo re&oconto della sua visita a Chiusi e dintorni, intitolandolo "Rapporto chiusin·o" <42> e profondendo lodi ed approvazione per tutto ci6 che aveva visto, oltre a sottolineare con grande rilievo i nomi dei collezionisti incontrati. fta non fu, il suo, solo un viaggio di studio. Proprio nelle carte del canonico ftazzetti, infatti,si trova tutta la documentazione dagli acquisti fatti nell'occasione da Braun, che non comparve certo nelle pubblicazioni ufficia! i . E' un capitolo assai importante per la stessa storfa dell' Istituto, oltreché par quella dell'archeologia chiu&ina. Per la prima volta Braun si rivolgeva a Chiusi per fare acquisti importanti e quello fu il primo episodio di un commercio fittissimo che dur6 per circa sei 'nni. Gli oggetti acquistati da lui a dal Grunar sono elencati in una lettera del 7 agosto 1840, con la quale Antonio ftazzet t i comuni ca.v a di aver spedito a Roma, a mezzo di un vetturale, <<3 casse di oggetti antichi, un frammento di cippo di pietra calcarea ed uno stipetto di legno appartenente al Sig. Gruner >> <43>. Ed ecco il contenuto dalle casse: << Nella prima l'ara, il leoncino, il daino, la testa di terra cotta, ed alcuni vasetti di Gruner. Nella seconda, l' urna del Paolozzi ristaurata da Don Luigi Dei con le altre due che Ella prese dal Doganiere, il vaso del Borselli, gli altri tre miei colla tazza, ed il vaso .in pezzi, la testina di terra cotta, ed alcuni vasucci del Doganiere. Nella terza <40> - Su questo personaggio, ved. E. Barni, op.e., p.32. <41> - Nell'archivio dell'Istituto Archeologico Germanico esistono 17 lettere scritte da Luigi Dei a Braun ed 1 a Gerhard. Esse coprono il periodo 26.11.1840 - 13.11.1845. <42> - Bull. <43> Inst., 1840, pp. 145-155 • ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 7.8.1840 Stipetto d'avorio intarsiato appartenuto a Ettore Borselli di Sarteano e segnalato nel 1842 dal Mazzetti (Disegno in ADAIR) 17 vi è la sola urna del Capitan Cecchini, che pesa sopra mille 1 ibbre. >>· Nella lettera c'era anche il resoconto delle spese necessarie per effettuare la spedizione: <<Per n. 3 casse dato al Falegname L 26. 13. 4. Per fieno, paglia, stoppa e spago 2. 6. a. Per imballatura, e per pesare le suddette casse 3. 6. a. Per mancia data alla Guardia di Dogana, che si portò a visitare e verificare gli oggetti indicatigli Per scapito fatto nel cambio di 2 doppie per le sudd.e spese, avendo il Giulietti pagato in questa moneta, valutatami da Esso paoli 32 ed un baiocco ciascuna, mentre in Toscana vale paoli 31 L. Equivalente scudi 13. 4. 1. 9. 4. 34. 9. 4. 5. 13.17.». L'ultima finca di &pesa &i riferiva al sistema usato per i pagamenti. Anche qul il Segretario dell'Istituto &i trov6 in difficoltà, perchè &i trattava di effettuare il pagamento tra due Stati, ove erano in uso monete diverse. Pu ftazzetti ad avere, allora, un'idea che &i dimostr6 valida anche per i successivi affari che Braun e Gerhard conclusero con i collezionisti chiusini. Approfittando della circostanza che un nobile chiusino, Felice Giulietti, aveva preso in affitto la tenuta di Carnaiola, di proprietà del romano o. Vincenzo Colonna, con&igli6 a Braun di pagare la somma necessaria per l'acquisto dei reperti proprio al Colonna, che gli avrebbe rilasciato regolare ricevuta a favore del Giulietti il quale, a sua volta, avrebbe provveduto a pagare i suoi concittadini <44> . Oggi potrà apparire un sistema contorto, ma tramite e&&o,a quel tempo, pass6 la maggior parte degli acquisti dell'Istituto dal territorio chiusin~. I problemi, tuttavia, non si esaurirono con ci6. Per il <44> - Ibidem, 12.7.1840. 18 doganiere di Chiusi bastava una mancia, ma a Città della Pieve erano molto più severi, ~ ftazzetti, in due lettere del luglio 1840, raccomand6 a Braun di preparare accuratamente le carte necessarie a far passare le casse senza problemi. Il vetturale, per il compenso di 9 scudi, partl lentamente da Chiusi, il 7 luglio 1840, portando con sé due barrocci pieni di antichiti: destinazione Roma . fta Emil Braun non si era mosso da Roma solo per fare acquisti di antichità etrusche . Edoardo Gerhard, direttore della R. Galleria di Berlino, gli aveva dato un incarico specifico: doveva recarsi a Pirenze, per esaminare ed eventualmente acquistare un quadro attribuito a Raffaello, da poco scoperto, rappresentante il gentiluomo Giovanni Della Casa . Pederigo Sozzi, l'instancabile ricercatore chiusino, aveva offerto il quadro in vendita alla R. Galleria di Berlino, per conto di un suo amico fiorentino, che ne era in possesso. Sozzi non manc6 di ricordare l'affare a Braun,con due lettere da Pirenze del giugno 1840 . Emil Braun gli fece sapere che si sarebbero conosciuti di ll a poco, perchè egli si sarebbe recato appositamente a Pirenze <45>. Tutto ci6 dimostra che Gerhard non si limitava a trattare l'acquisto dei pezzi archeologici, ma teneva sotto osservazione qualsiasi segnalazione relativa all'arte, che potesse consentirgli di incrementare la R. Galleria di Berlino . Quale differenza con il comportamento di chi reggeva, nello stesso periodo, le sorti delle Gallerie Granducali! Il viaggio di Braun a Chiusi port6 alla scoperta, da parte del mondo degli studiosi, di quello che poteva essere l'avvenimento archeologico del secolo. Quel poggio caratteristico nelle vicinanze del piccolo lago di Chiusi aveva dato l'idea sin dal 1838, anno in cui il Casuccini vi aveva cominciato a scavare, di una necropoli principesca. Subito si era affacciato, nelle menti dei più, il fantasma della mitica tomba del re Porsenna . In effetti, la complessità dell'intreccio delle camere sepolcrali poteva far pensare ad un labirinto che, in qualche maniera, ricordava la fantasiosa descrizione di Plinio <46). La località, chiamata il Poggione di Gagliella o Gaiella, nel 1840 stava riservando ancora sorprese, in quanto vi si continuavano a fare scoperte interessanti. Emil Braun fu talmente colpito dalla vista degli scavi di Poggio Gaiella che medit6 immediatamente di scrivere qualcosa su quei sepolcri . <45> - ADAIR, carte Sozzi, 31.5, 16.6 e 23.6.1840. (46) - Plinio, N.H., XXXVI, 19, 4. 19 Incaric6 Lodovico Gruner di diaegnare una pianta delle tombe sino ad allora scoperte e alla aua partenza .preg6 il canonico Luigi Dei di tenerlo informato &u tutte le novità che avrebbero riguardato la zona. Braun aveva una gran fretta di portare a compimento un suò opuacolo su Poggio Gaiella. fta la sua ansia, più ohe al desiderio di annunciare al mondo degli studiosi l'importante &coperta, era dovuta alla necessità di completare un'opera da dedicare al nuovo re di Prussia, Guglielmo IV, che sarebbe stato incoronato di ll a poco. Ed era quanto mai utile dedicare un'opera dell'Istituto al nuovo sovrano, poich• egli ne era stato sempre il protettore ed ora che le finanze degli archeologi tedeachi erano piuttosto &carne, c'era bisogno più che mai di sovvenzioni cospicue . In tutta fretta Emil Braun invi6 a Chiusi il disegnatore Ascani, per ritrarre i reperti migliori usciti da Poggio Gaiella. Tra le altre cose, l'Ascani ritrasse una delle s~lngi che vi erano state dissepolte, anche se Luigi Dei, in una lettera del 26 novembre 1840, avvisava Emil Braun che <<La Sfinge di segnata dal Sig. Ascani è la peggiore di quattro, ma quella meno mutilata delle altre.>> <47>: La situazione degli scavi di Gaiella era in continua evoluzione, poichè nel frattempo Pietro Bonci Casuccini li aveva ripresi. fta non si poteva attendere oltre. Pu dato il via alla stampa del volume, che venne intitolato : "Il laberinto di Porsenna comparato coi sepolcri di Poggio-Gaiella, pubblicati e dichiarati dall'In&tituto di corrispondenza archeologica in occasione della festa pel natale e per l'avvenimento al trono avito di S . ft . Pederico Guglielmo IV Re di Prussia, protettore di esso ln&tituto, le idi di ottobre 1840". Il libro, stampato in gran formato presso l'editore romano ftonaldi, aveva un notevole pregio estetico, che per6 non corrispondeva alla validità del contenuto . La fretta, come sempre cattiva consigliera, aveva fatto sl che il lavoro fo&&e piuttosto approssimativo e non riuscisse a dimostrare granchè. Servi, comunque, ai due scopi per i quali era stato composto: farne un omaggio al protettore del1 ' l&tituto e aprire il dibattito circa la sua somiglianza col mitico sepolcro di Porsenna. Emil Braun sapeva benissimo che quel lavoro aveva notevoli limiti, soprattutto per ci6 che riguardava l'individuazione precisa delle innumerevoli tombe che il "Poggione" conteneva. Incaric6, dunque, Luigi Dei di fare una pianta aggiornata <47) - ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 26.11.1840. J/ J7;~ ldt>4 ./ ,0:m_,/;._ ·./{_,,) /t d' a/./ y-~fZn, ~t;"'~ <.: /.._J_,,..,;:{:_._#_./ ~uM•-zT"...J ,,[;-,~,1 _c1'4-f7~ .- /,.J r;d.:..-!._,,= 7: ..~;.__.t.._... uo/-_._),,./._' )}.}~--.) aV/..J ~..... . _ ( ) ./lo/.'l'i /.--- ,._' ..1.,·,_~ ~.d,.."v. Carta dei possedi•enti di Pietro Bonci Casuccini eseguita nel 1841 lDisegno in ADAIR) 21 degli &cavi di Gaiella, man mano che e&&i proseguivano. fta il canonico, nel novembre 1841,pur scrivendogli di aver preparato una pianta che ~orreggeva in vari punti quella stampata dall'Istituto, riconobbe di essere incapace a realizzare gli spaccati architettonici <48). Antonio ftazzetti, che nel frattempo &i era dato un gran da fare per recapitare all'Istituto un "lucido" della &te&&a zona, nelle lettere che all'inizio del 1841 invi6 a Braun dimo&tr6 un certo disinteresse per gli scavi del Casuccini, giustificandolo con gli scempi che vi si stavano compiendo: <<Don Luigi Dei Le darà anche le belle nuove dello scavo di Poggio Gaiella. Io non ne dirò nulla,perchè forse direi troppo; Le dirò solo,che non vado altrimenti a detto scavo perché troppo soffrirei nel veder le cose che colà si fanno, senza poterlo impedire.>> <49>. Il buon canonico era ormai convinto che l'archeologia era ben altra cosa, rispetto allo &cavare fosse. Dalle sue parole possiamo capire che il penoso stato attuale della necropoli è in parte dovuto all'atteggiamento dei suoi scopritori. Nel ftazzetti ara già maturata l'idea di disfarsi di gran parte della sua collezione, che in un primo tempo sarebbe dovuta passare a Gruner. L'11 marzo 1841 invi6 a Roma,col solito vetturale con barroccio, un cippo che aveva ritrovato in pezzi ed una cassa contenente quattro "canopi" (due lisci e due con bassorilievi> venduti a Braun da Antonio Luaioli, un altro ricercatore chiusino particolarmente fortunato in quegli anni. I "canopi" costarono a Braun il prezzo di dieci "doppie" <50> . D'improvviso ricomparve sulla scena Edoardo Gerhard, il quale, spinto dalle notizie che gli arrivavano, abbandon6 la sua patria puntando direttamente su Chiusi che era in quel momento, senza ombra di dubbio, la località toscana, e forse del 1' rtal ia intera, che offriva le maggiori attrattive dal punto di vista archeologico. Gerhard, informato da Braun dell'importanza della collezione di Ettore Borselli, si rec6 a Sarteano, un paese a pochi chilometri da Chiusi, dove acquist6 vario materiale di (48) - Ibidem, 20.11.1841. Sulla pianta di Poggio Gaiella disegnata da Luigi Dei ved. l'Appendice al volume. (49) ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 11.3.1841. <50) Ibidem. 22 pregio, completando i suoi acquisti a Chiusi, attingendo soprattutto dalle collezioni di Antonio Mazzetti e Antonio Lucioli <51>. Per tutti questi acquisti il sistema di pagamento fu sempre il solito, tramite Vincenzo Colonna e Pelice Giulietti il quale, tuttavia, stavolta fece delle difficoltà, a causa del1 'entità della somma . Edoardo Gerhard, che compr6 reparti anche per il collezionista bolognese <allora resid~nte a Milano> Pelagio Palagi, acqui&t6 pressochè tutto ci6 ohe c'era di una certa rilevanza sul mercato antiquario locale, a prezzi che, nel caso degli acquisti-Borselli, risultarono molto elevati. Le caase con il materiale gli furono spedite a Berlino il 2 maggio 1841 . Come sempre, esse erano dirette in primo luogo a Livorno , dove il signor Grabau, "Console generalè di Annovera" nella città labronica, provvide per l'imbarco: Come avviene in qualsiasi mercato, gli alti prezzi pagati da Gerhard fecero salire l• pretese dei collezionisti chiusini . Del resto, se egli aveva pagat9 cifre salate per l ' acquisto dei reperti del Borselli, non' poteva meravigliarsi che anche gli altri alzassero il tiro . Pu il caso di un "canopo" in terra cotta, su trono, scoperto nella zona di Sarteano da un altro nobile di quella cittadina, Ferdinando Panelli, che chiese, a giudizio di Braun e di Gerhard, un prezzo troppo alto <52>. Mazzetti si prest6 a fare da mediatore . Lui, che aveva venduto gran parte della sua collezione, rimase impressionato dalla piega che le cose stavano prendendo . Tutta quella smania commerciale non la condivideva perchè , da buon cristiano, vedeva che alcuni collezionisti si stavano spingendo oltre ogni limite lecito . Nel luglio del 1841 scrisse a Braun questa lettera: <<Mi dispiace doverle dire, che il proprietario delle note anticaglie Cil Fanelli, possessore del "canopo" su trono e di altri oggetti> non vuole altrimenti rilasciarle per questi prezzi, poiché ha inteso dal Borselli, che Gerhard gli pagò cinquanta scudi il Canopo sul trono, che ei possedeva. Io ho fatte le mie lagnanze, ma non posso costringerlo, tanto più, che non lo avevo fissato perché aspettavo la di Lei risposta. <51> - Ampie notizie sugli acquisti di Gerhard si trovano in AA.VV., "Pelagio Palagi artista e collezionista", Bologna, 1976, dove é anche l'elenco, in appendice, degli oggetti spediti al Palagi dal Gerhard. <52> - ADAIR, carte Mazaetti, a Braun, 4.7.1841. 23 Sicchè ci vorrà pazienza. lo sempre più mi trovo contento.di essermi sbrogliato di tutto, come da qualche tempo desideravo poichè così scanserò qualche disgusto, che sarebbe stato inevitabile se avessi continuato ad ' acquistar antichità>> . (53). Tuttavia, anche il vaso antropomorfo del Panelli finl per essere acquistato dagli archeologi tedeschi, mercè uno sconto sul prezzo, dovuto alla mediazione del Mazzetti. Il ricordo dei prezzi pagati da Gerhard rimase a lungo come pietra di paragone tra i collezionisti chiusini, e anche don Luigi Dei non manc6 di ricordarlo a Braun:<<Se debbo io regolarmi coi prezzi lasciati da Gerhard nell'acquistare l' antichità, e segnatamente nell'acquisto d'una tazza del Borselli, qual kyli x ritraeva <se non erro> il med~simo fatto che sta dipinto nel mio stamnos, non posso esigerne meno di cinquanta francescani, giacchè il kyli x fu pagato quaranta.>> (54) . Ma un'amara sorpresa attendeva Gerhard . I reperti che aveva acqui&tat9 da Ettore Bor&el l~i di Sarteano, tra cui i vasi antropomorfi, per i quali egli aveva una particolare predilezione, arrivarono a Berlino in pezzi, irriconoscibili . Braun, il 10 settembre del 1841, scrisse al canonico una lettera che ne chiedeva spiegazione, avanzando l:ipote&i che qualcuno avesse tolto dalle casse i pezzi migliori,&o&tituendoli con dei frammenti. Era una accusa assai grave, che rischiava di inquinare i rapporti tra i Chiusini e gli archeologi tedeschi. Mazzetti, che come sempre si era preso la responsabilità di sovrintendere al tutto, rispose il 19 settembre con una lunga lettera nella quale non solo &cagionava &é e gli altri da ogni responsabilità, ma contrattaccava accusando neanche troppo velatamente Gerhard di scarsa perizia nell'acquisto dei reperti del Borselli: <<Ho inteso con gran dispiacere il tristo caso da Lei narratomi colla Sua gent.ma del 10 corrente,e molto più mi dispiace per non aver da suggerirle alcun consiglio, conforme Ella mi richiede, che consolar la possa. Quello che, con tutta ingenuità posso dirle, si è questo: primieramente che i vasi furono incassati dai Lucioli Padre, e Figlio, con tutta l ' esattezza possibile, poichè io, per compiacer il Cav. Gerhard, vi assistei in persona, che a detto incasso fu sempre presente, oltre ad un certo Pietro Foscoli, anche la prima Guardia di questa Dogana, cui interessava veder gli oggetti, che (53) - Ibidem, 25.7.1841. <54) ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 17.8.1841. 24 s'incassavano, onde poterne rilasciar l'opportuno manifesto, ed'apporre i Sigilli in dette casse, come difatti fu esegltito. Questa sola prova, come Ella ben vede, sarebbe più che sufficiente, ancorchè non ve ne fossero altre, per smentire quanto è stato immaginato: cioè, che potessero essere stati tolti i migliori oggetti, ~sostituitovi dei frammenti. Furono quindi dette casse trasportate a Livorno da Barrocciai capaci, e sperimentati, ed'accompagnate dallo stesso Ant.o Lucioli, il quale le consegnò ai Signori Grabau, e Comp. dai quali io ne ricevei l'opportuno riscontro, che tuttora conservo. Sino a Livorno le cose andarono bene, ma del rimanente viaggio chi ne fa testimonianza? Chi rimaneva responsabile di ciò che sarebbe accaduto in seguito? Io nò certamente che assai mi son pentito d'essermici impicciato,sebbene lo facessi forzato dall'amicizia, ma che mai più men'occuperei in eterno, giacchè per certi piaceri che· si fanno si hanno per ricompensa dei dispiar.eri non piccoli, per chi cura il solletico, questo male per tanto, spiacemi doverlo dire, ma pure convien dirlo, è stato fatto dal Cav. Gerhard coll'acquistar dei vasi mal conci e peggio restaurati quali appunto erano quei del Borselli, e specialmente i Canopi, che eran tutti crepolati. Questi vasi eran così ben conosciuti allo stesso padrone, che, dopo la partenza di Gerhard li mandò a Chiusi non sopra un barroccio, o sopra bestia,ma sulle spalle di alcuni uomini onde non si disfacessero, sebbene si trattasse di un tragitto di sole 3 miglia. Lascio adunque considerare a Lei se potevan questi resistere ad'un lunghissimo viaggio, in cui non si avrebbe certamente avuto il riguardo che n'ebbe Borselli. Appena io vidi questi mi pentii d'aver data parola d'assister al loro incasso, ne scrissi però, l'occorrente a Gerhard, come gliene avea anche scritto Don . Luigi Dei, che li avea prima di me osservati, ma né ad esso, né a me ne diede alcuna risposta. Io posso assicurarla, che moltissime sono state le spedizioni fatte di qui in vari luoghi lontani, senza che sia mai accaduto ciò che è avvenuto adesso. Sempre nuovi motivi per maggiormente consolidare il mio proposito fatto.>> (55). L'amaro sfogo del canonico non convinse appieno Gerhard e Braun, e da allora i sospetti e le incomprensioni si fecero sempre più frequenti. Prattanto,tutta la corrispondenza tra Roma e Chiusi continuava a passare attraverso Città della Pieve, tramite Alessandro Taccini, collezionista anche lui di antichità. <55> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 19.9.1841. Grande lastra a chiusura di una to•ba scoperta nel 1843 da Luigi Dei (Disegno in ADAIR) 26 Nel novemre 1841 Abeken si rec6 a Chiusi e a lui Razzetti consagn6 un piccolo oggetto d'oro, che Braun aveva acquistato in precedenza <56> . E venne il 1842, anno in cui i ricercatori chiusini si dettero parecchio da fare, scoprendo un gran numero di monumenti. Antonio Razzetti aveva già.dimenticato i suoi propositi che, l'anno prima, lo avevano consigliato di lasciar stare la antichità. La sua passione lo convinse a tentare ulteriori scavi e ad acquistare reperti da altri Chiusini. Pietro Bonci Casuccini era morto, ma Sozzi, Lucioli, Razzetti e gli altri due canonici Luigi Dei e Ferdinando Galanti non lo fecero certo rimpiangere, impegnandosi in una girandola di scavi che port6 qualcuno di loro <Luigi Dei>, anche se con scarsa fortuna, persino in Raremma (57> . Tra la fine del febbraio 1842 e l'inizio del giugno dello stesso anno Razzetti invi6 a Braun tre lettere, nelle quali elenc6 alcuni oggetti di cui era entrato in possesso <58>. Si trattava di buccheri che recavano figure di sfingi alata; · alcuni scarabei, di cui uno in corniola assai bello, con una incisione che Razzetti aveva interpretato per Achille che piange sull'urna di Patroclo; una piccola secchia di ~ama tutta cesellata• senza restauri; un gran vaso di bucchel'O a 3 anse, con teste di guerriero e di bue; un bellissimo specchio bronzeo con <<Elena sedente, e quasi nuda da un lato, in mezzo Menelao in piedi, ed'esso· pure nudo, ad eccezi.one del berretto, e dei coturni, e nell'~ltro lato doveva esservi altra figura, ma per la mala sorte non si scorgono che i piedi. Ciascuna di queste portava sopra scritto a caratteri Etruschi il suo nome>>; un'urna di terracotta (alta due palmi e lunga tre), con in bassorilievo 10 figure e sul coperchio altra figura; alcuni vasi con figure gialle su fondo nero; un candelabro con un gallo sul fusto ed una piccola tazza nella sommità. Tra i ritrovamenti effettuati da altri ricercatori,Razzetti dette un'importante indicazione. In un bosco di proprietà (56> - Ibidem, 18.11.1841. (57> - ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 11.3.1842: "Di ritor ·no dalla Maremma, ove andai a fare dei Saggi di Scavazione con esito infelicissimo •••• ". <58> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, fine febbraio, 7 marzo e 2 giugno 1842. .A· :i.' 11 Oreficerie etrusche in possesso del Sozzi e del Nazzetti nel 1842 (Disegno in AOAIR) I ~ 28 del Regio Conservatorio erano state trovate ben 16 urne ciqerarie di alabastro ed una di terracotta. La maggior parte conservava colori assai vivi. Vi erano scolpite la caccia di fteleagro, la caduta d'Ippolito, Eteocle e Polinice, Echeteo, mostri marini, combattimenti. In uno stesso sepolcro 5 urne avevano epigrafi. che recavano il nome della famiglia CVPSNA (59). Tuttavia, i pezzi pregiati in possesso del canonico erano il frutto di una società che egli aveva formato con Sozzi e provenivano probabilmente dalla zona di Cetona. Si trattava di due straordinari diademi d'oro, che Sozzi fece disegnare ed invi6 poi a Braun. L'affare lo tratt6 proprio Pederigo Sozzi, senz'altro più incline del canonico al commercio, anche perchè ftazzetti aveva sempre un certo pudore nel trattare con i suoi amici tedeschi. Braun e Gerhard erano rimasti "scottati" dagli ultimi affari, a causa di quei "canopi" che erano giunti in pezzi in Germania. Si era inoltre diffuso il sospetto, nell'ambiente romano, verso le oreficerie etrusche, dopo che più d'un collezionista si era trovato in mano gioielli abilmente contraffatti in epoca moderna. Il mercante d'arte romano Capranesi aveva messo in guardia Emil Braun, dicendogli di aver visto, nella zona di Chiusi, alcuni gioielli falsificati. Pederigo Sozzi cerc6 di allontanare il sospetto dall'animo di Braun indicandogli, in un foglietto allegato ad una sua lettera del 19 marzo 1842, le parti dei diademi che erano state restaurate con l'aggiunta di pezzi moderni. Scrisse, inoltre: <<Se il Sig.re Capranesi ha veduto delle oreficerie false sarà avvenuto per parte di Città della Pieve ove sta un tale orefice Renelli bravo non solo per imitare gli ori antichi, ma anche i bronzi, e molti in questi luoghi siamo stati da Esso ingannati, in oggi per altro non gli sarebbe sì facile.>>. Il prezzo dei due splendidi gioielli era di 62 francescon i <60 > . A quel punto Emil Braun, memore del precedente fruttuoso viaggio che aveva fatto a Chiusi nel 1840, non potè che dirigersi di nuovo alla cittadina toscana e, ristabilitosi da una breve malattia che lo aveva colpito, nel luglio del 1842 arriv6 a Chiusi. Dopo i suoi acquisti del 1840 e quelli di Gerhard nel <59> Ibidem, 2.6.1842 (60> ADAIR, carte Sozzi, a Braun, 19.3.1842. 29 1841, fu questa la terza grossa acquisizione di ~~eperti chiusini, da parta dell'Istituto . Non è facile, in questo caso, ricostruire gli oggetti acquistati da Braun, poichà non ne esiste un elenco nelle carte ftazzetti, che per6 dovrebbe trovarsi nelle carte ftigliarini, a Firenze . Di sicuro gli furono vendute alcune urne di Antonio Lucioli, di cui una di marmo assai grande, rotta in tre parti; un cippo di marmo del canonico Carducci; una piccola tazza di vetro, sempre da Lucioli; una ca&&a di vasi vari da ftazzetti, ohe gli invi6 anche un orecchino d'oro ed una strana statuetta di pietra verniciata, rappresentante una figura in ginocchio ohe abbraccia un'ara; alcune pietre provenienti da ftontepulciano <61> . Stavolta le difficoltà per la spedizione a Roma delle casse contenenti le antichità furono quasi insuperabili . ftazzetti, come sempre incaricato di predisporre la &pedizione,ebbe il suo da fare per superare tutti gli ostacoli che gli &i paravano davanti. Le urne di Antonio Lucioli erano pesantissime ed occorreva un barroccio soltanto per loro. Era anche difficile trovare un barrocciaio che si assumesse quel1' incarico. fta, oltre alle difficoltà che derivavano dagli imballi e dallo &tesso Lucioli, che non vedeva l'ora di liberare il locale dove erano deposte le urne, poichè gli serviva da cantina , se ne aggiunse una che ri&chi6 di far &altare ogni cosa . ecco quanto scrisse ftazzetti, in una lettera del 17 novembre 1842: <<Sempre nuovi motivi di disguidi a cagione di queste antichità. Confesso, però che li merito per non aver mantenuti i propositi che feci nell'anno scorso. Parlando, gior ni sono, a questo Doganiere della visita che doveva fare a queste antichità da mandarsi a Roma, mi rispose, che fin dal primo del corrente anno sono state richiamate alla primiera osservanza le antiche leggi, che proibiscono l'estradizione degli oggetti antichi dallo Stato: però senza il permesso del Direttore del R. Museo di Firenze Ella non può estrarle. Saputosi ciò dal Lucioli, ha detto di voler fare una protesta a me, come incaricato da Lei per i danni, che potesse risentire, giacchè avea trovato, ei dice, da venderle a Rusca per un prezzo anche maggiore: Sicchè La prego a volermi dispensare dal trattar più con Barrocciai, Doganieri, Guardie, ~d'~ltri, tanto più, che per gelosia, e malignità di altre Persone ho dovuto avere ed'ho tuttora dei dispiaceri, che a suo tempo Le <61) - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 8.12.1842. 30 faro sapere il tutto, per cui mi son tirato fuori affatto dalle antichità.>> (62). L'ostacolo fu superato, come consigliato da Luigi Dei a Braun, tramite Antonio Mazzetti, che a mezzo della sua cpnoscenza col Migliarini ottenne in breve il permesso di esportazione delle antichità. A quel punto rimaneva da trovare chi portasse a Roma le casse •, dopo vari tentativi, fu un commerciante orvietano, tale Perriol i, a farle trasportare. Era ·i 1 15 febbraio 1843, ben sette mesi dopo la visita a Chiusi di Braun. E' curioso che da allora in poi quasi tutte le spedizioni passarono per il Perrioli, che aveva a Roma un negozio di vini, una "Piaschetteria", alla Palombella. In tal modo il vino si spos6 alle antichità. Quando Emil Braun aveva lasciato Chiusi, era riuscito a concludere solo una parte degli acquisti che gli stavano a cuore. Nel tempo che pass6 tra la sua partenza ~ la spedizione degli oggetti a Roma, port6 a termine altri · importanti acquisti, tramite la mediazione del canonico Luigi Dei e di un certo Brilli, che era lo spedizioniere chiusino che si assumeva sempre l'incarico di pr~disporre le casse con le antichità. Brilli acqui&t6 per lui <<Il Priapo, il focolo e gli altri dei quali era stato da Lei commissionato>> <63>, mentre Luigi Dei tratt6 per Braun l'acquisto di due importanti sarcofagi che si trovavano presso le monache di un convento. A Chiusi Emil Braun aveva conosciuto anche Vincenzo Monni, che si occupava del restauro delle antichità. Da lui acquist6 uno "scarabeo". Sozzi gli invi6, invece, un cippo sepolcrale che aveva trovato, in pezzi, in una tomba. Anche stavolta fu Mazzetti ad ottenere, a Pirenze, il permesso per l'esportazione degli oggetti (il loro elenco dovrebbe essere nelle carte del Migliarini) . Questa terza spedizione di oggetti antichi fatta dai Chiusini a Roma, per conto di Braun, ebbe delle conseguenze che inquinarono definitivamente, per diversi anni, i rapporti tra loro e l'Istituto. Pu proprio il cippo sepolcrale del Sozzi la pietra dello scandalo. Il cippo, che era di straordinaria grandezza, giunse a Roma in pezzi . Poichè, come abbiamo visto, non era la prima volta che si verificava un fatto del genere, Braun si <62> - Ibidem, 17.11.1842. (63> ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 24.3.1843. 31 risenti. Ci6 che gli era più dispiaciuto, a parte di aver trovato il cippo in pezzi, fu che esso era stato restaurato in malo modo, con pezzi ad esso non pertinenti. Per tutto ci6 rimprover6 aspramente Sozzi. Questi cerc6 di giustificarsi, addossando la colpa dell'accaduto al vetturale, che <<Per rinfrescare senza spesa i suoi cavalli avesse tolto per via il fieno del quale consigliai di fare abbondante letto a quella cassa>>, oppure al Brilli, che <<E ' un buon uomo ma non ha tutta la esperienza che occorre.>> <64>. Patto sta che Braun non si quiet6, ricordando a Sozzi, in una lettera del giugno 1844, che avrebbe dovuto gettare molte della antichità arrivategli da Chiusi . Da allora Emil Braun divenne molto più freddo nei suoi rapporti con i Chiusini, trascurando spesso di rispondere alle lettere che gli arrivavano dalla cittadina toscana. Lo stesso ftazzatti, che tutto sommato non aveva colpe per .ci6 che era avvenuto, per lungo tempo non vide giungere alcuna risposta da Roma ad alcune sue lettere . Ecco, dunque, spiegata la ragione della crisi dei rapporti tra l'Istituto e l'ambiente chiusino . Gli archeologi tedeschi, oltre a non scrivere ai Chiusini, fecero una continua propaganda negativa nei confronti dell'antica patria di Porsenna, descrivendola come terra di speculatori e di falsari e sconsigliando agli studiosi di comprenderla nei loro viaggi . Il clima che si era creato lo possiamo capire ancor meglio in una lettera che Luigi Dai invi6 a Roma, 1'8 luglio 1845: <<Sono ora quattro o cinque anni da che più non vedansi in Chiusi amatori od intendenti d ' Archeologia ad acquistare Antichità. Sento fischiarmi all'orecchio che verso la mia Patria nessuno più si volge per essere stati troppo ingannati dagli speculatori di Chiusi col vendere oggetti imitati, od occultando il restauro, ed altri difetti e mancanze col restauro stesso mascherate; Fino qui non dO il torto a chi abbia ragione di dolersene, ma io che vengo dopo questi, a possedere varie antichità quali hanno pregio e mi propongo di nulla occultare a chi voglia acquistarle, risento un danno che non mi sono procurato. Perchè meglio risplenda la onestà mia nel vendere le antichità penso (qualora Braun me lo approvi) adottare il sistema di non perfezionare il restauro delle stoviglie, ma incollarle soltanto; cosi gli acquirenti son <64) - ADAIR, carte Sozzi, a Braun, 9.6.1843. 32 più che sicuri di non essere ingannati; quando poi sia fissato il prezzo dell'oggetto, se piacerà il metodo di restauro se ne perfezionerà con molta discretezza. Gradirei sapere se piaccia all'Amico Braun tal metodo; ed in caso affermativo la prego a manifestarlo a chi si astenga da venire quà per tal causa, aggiungendo che le mie antichità non le tengo nel magazzino pubblico aperto di recente ove essendo oggetti di più Padroni non so se tutti siano stati veridici nel manifestare lo stato di conservazione delle proprie antichità, ma nella propria abitazione.>> <65> . fta la frattura tra Emil Braun ed i collezionisti chiusini era ormai tale da non consentire un riavvicinamento, e il segretario dell'Istituto ricominci6 a trattare qualche affare soltanto alla fine del 1845, escludendone comunque Sozzi . Nel frattempo era giunto a Roma, sin dal 1842, Guglielmo Henzen, il futuro successore di Emil Braun. Proprio in una lettera scritta ad Henzen, il 14 settembre 1849, Sozzi cerc6 di chiarire che non aveva alcuna colpa per ci6 che era accaduto: <<Giacché per Sua gentilezza Ella si duole del mio silenzio, sincero come sono francamente Le dirrò che mi era proposto di guardarlo per sempre, a ciò indotto da alcune lagnanze che verso di me sortirono da codesto Instituto delle quali confidenzialmente fui qui avvertito, ed avvalorò quella confidenza il contegno di Lorsignori poiché non fui neppur più onorato di vedermi indirizzata Persona. Ecco il fatto. Quando il degniss~mo Sig. D. Braun si recò in Chiusi Io possedeva un ammasso di frammenti appartenenti ad un cippo di straordinaria grandezza, piacquero al Med.o, ed Io glieii cedei; amò per altro che facessi restaurare d.o cippo, e pregò in proposito, non ignorando Io che restauri di cose si materiali non possano farsi ..che al posto ove deve collocarsi l'oggetto, mi ricusai osservando le difficoltà che vi erano, Esso insisté; ed essendo in mia casa il Restauratore Sig. Canonico Fossi incoraggiò ad assumere l'incarico. Fu dunque da d.o Fossi restaurato, e mancando dei pezzi vi sostituì dei nuovi; il fatto sta che questa mole pel proprio peso si decompose per la strada, e giunse in Roma, come intesi in pessimo stato. Il prelodato Sig. Dr. Braun per delicatezza, od incuranza appena mi fece travedere .il suo dispiacere, ed io mi giusti- <65) ADAIR, carte Luigi Dei, 8.7.1845. Il Dei si riferì al negozio di antichità aperto a Chiusi, nel 1845, da Federigo Sozzi e Angelo Galanti. 33 ficai con pari urbanità. In seguito pero emersero delle lagnanze in proposito da codesto Instituto, ed in confidenza mi fu riferito che altaménte era spiaciuto non solo il ricevere in pessimo stato quel!' oggetto, ma l'avervi trovati ancora dei pezzi nuovi inevitabili per reggere gli altri, che sovrastavano. Spiacente che con Altri più che con me si fosse parlato credei della convenienza di pormi in un silenzio che un giorno sarebbe stato loquace come oggi avviene.>> (66) . Gli anni 'quaranta, important i&&imi per l'archeologia chiu&ina per i preziosi ritrovamenti che vi fece Alessandro Prançoi&, portarono una serie di amarezze ad Antonio ftazzett i. Sin dal 1841 egli aveva manifestato l'intenzione di tirarsi fuori dalle antichità, ma il continuo intere~&amento di Braun lo aveva più volte convinto a tornare sui suài passi. In effetti, egli &i dimo&tr6 in varie occasioni utilissimo per l'Istituto, sia nella segnalazione dalle &coperte, sia come mediatore di affari. Dei vari soci corrispondenti chiusini egli era quello più affezionato all'Istituto, e più volte dimo&tr6 che le sue &orti gli stavano particolar.mente a cuore. Come quando, nel maggio del 1841, &egnal6 che, recandosi a Gubbio, aveva conosciuto il conte Prance&co Ranghia&ci,<<Persona molto culta,ed ' amante di cose antiche>>. I( Ranghia&ci aveva &coperto un antico mosaico policromo, che aveva sistemato nel pavimento di un suo salotto. ftazzetti scrisse di averlo spronato a fare altre ricerche e ad inviare disegni dei reperti all'Istituto (67>. Nella &te&&a lettera, il canonico chiusino preg6 Braun di annoverare il Ranghia&ci tra i soci corrispondenti dell'Istituto, cha ne avrebbe tratto sicuramente vantaggio. Analogo comportamento ftazzetti &egul in occasione della morte di Pietro Bonci Ca&uccini, all'inizio del 1842. La sua importante collezione pas&6 al figlio Prance&co, che risiedeva a Siena (68) . Al canonico &embr6 utile, sia per Chiusi che per l'I&titu- <66> ADAIR, carte Sozzi, a Henzen, 14.9.1849. <67) ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 23.5.1841. <68) - Sulle vicende della collezione di Pietro Bonci Casuccini, dopo la sua morte, ved. E. Barni, op. c., pp. 25-27. 34 to, che egli fosse annoverato tra i soci onorari <69). Tra l' altro, gli &cavi di Poggio Gaiella dovevano essere ancora completati e avevano bisogno di essere conservati. fta soltanto nel 1845 questo desiderio venne appagato. Il cattivo esito di alcune delle spedizioni di antichità effettuate a Berlino e a Roma lo convinse sempre più a mettersi da parte. Inoltre, aveva dovuto subire alcuni dispiaceri anche in patria quando, acquistato uno specchio bellissimo <probabilmente quello con Elena e ftenelao), che lo stesso antiq~ario romano avvocato Rusca gli aveva valutato 100 "francesconi",fu coinvolto in una lunga vicenda giudiziaria. In una lettera dell'8 dicembre 1842 ftazzetti spieg6 l'accaduto a Braun: <<Narrerò adesso a Lei pure la storia del mio bello specchio scritto. Erano già scorsi 10 mesi da che io lo avea acquistato insiem con'altri oggetti, che erano stati veduti da altri e che erano anche entrati in contratto, quando venuto qualcuno in cognizione che li avevo acquistati io, senza la malignità, fecero credere ad'un Signore, che eran questi stati trafugati dai suoi scavi fatti nell'anno scorso, e quindi venduti a me. Ricorse di fatto, al Tribunale il preteso derubato, io fui dal vicario interrogato da chi li avevo acquistati, fui pregato a depositarli fino a che non si fosse venuti in chiaro della verità del fatto, e tuttora sono in Tribunale. lo non temo nulla poiché so di certo esser falso quanto si dice, ma frattanto chi sa quando si ultimerà quest' affare.>> (70). <69> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 18.1.1842: <<Il dì 13 del corrente circa le ore 2 pomeriaiane cessò di vivere il Sig. Pietro Casuccini Socio onorario di codesto Istituto Archeologico. Il motivo principale per cui Le dò questa notizia, si é, che succedendo a questo il di Lui Figlio Sig. Francesco, Persona assai culta, ed anche geniale di queste cose antiche, crederei cosa assai utile pell'archeologia il farlo Socio Onorario dell'Istituto; sembrandomi questo un mezzo assai efficace per . impegnarlo a proseguire li scavi, a conservare, ed aumentare questo suo museo. Siccome poi Esso conosce il disegno, potrebbe, trovando oggetti interessanti, cavarne da per sé i disegni, ed inviarli all'Istituto medesimo. Io l'ho indotto a visitare il suo Poggio Gaiella, e questa visita ha portato subito un vantaggio, giacché ha immediatamente ordinato che si facciano i cancelli per chiuderne le porte.>>. (70> - ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 8.12.1842. 35 Il canonico torn6 di il a poco in posse&&o dello specchio, finchè esso non fu acquistato da Edoardo Gerhard par il Museo di Berlino e Braun, che tramite Henzen lo aveva richiesto nel febbraio del 1848, &i sentl rispondere che era arrivato tardi <71) . Anche Arcangiolo ftichele ftigliarini procur6 un dispiacere a Mazzetti. Egli si rec6 a Chiusi &ul finire del gennaio 1845, per osservare quel meraviglioso vaso che avrebbe poi preso il nome del suo scopritore, il fiorentino Alessandro Prançois . Nella relazione che ne fece illustr6 dettagliatamente, per il Sovrintenden~e alle Gallerie Granducali, le varie figure che apparivano nel ciclo pittorico del vaso. La sua relazione l'aveva ripresa da uno studio che proprio Antonio Mazzetti aveva dedicato al vaso, su incarico del Prançois. Questi l'aveva data al Migliarini, che l'aveva fatta sua aggiungendovi qualche con&iderazione <72> . Antonio Mazzetti non si era mai ritenuto un archeologo, ma un dilettante, come più volte aveva scritto a Braun. Tuttavia gli dispiaceva che Migliarini approfittasse del frutto delle &ue fatiche. L'amarezza del canonico è evidente nelle parole che Luigi Dei scrisse, nel luglio del 1845, a Braun: <<Il Canonico Mazzetti (omissis> mi fa conoscere aver inteso che il Professor Migliarini si fa autore dell'illustrazione dell'Anfora a Volute di François illustrazione ad Esso passata da François a cui richiesta il Canonico fece siccome resulta dal Carteggio fra François ed Esso Mazzetti. Dice il Canonico che le spiacerebbe se il Migliarini quale si fa bello di tale illustrazione in Firenze la partecipasse all'Istituto come propria mentre di proprio vi ha due o tre osservazioni di poca importanza ed una anche errata, non tanto le spiacerebbe per quel merito che sele deve per tal lavoro, ma perché trovandosi all'Istituto due relazioni equalissime si crederebbe che non Migliarini ma Mazzetti si sia appropriato l'altrui fatiche.>> <73> . <71> - Ibidem, 2.3.1848. <72> - Le due relazioni sono riportate da M.G. Marzi in <<Il Vaso François>>, Bollettino d'Arte serie speciale, Roma, 1981, pp. 33-35 e 36-37. Sulla figura del Migliarini, ved. N. Nieri, << A.M. Migliarini <1779 - 1865> Etruscologo ed Egittologo >>, in M.A.L. VI.III.VI., Roma, 1931. <73) - ADAIR, carte Luigi Dei, a Braun, 8.7.1845. 3fi Da quando, nel 1844, Alessandro Prançoi& cominci6 a scavare, con profitto, nella zona di Chiusi, formando una società col capitano Pederigo Sozzi, la relazioni dei Chiusini si fecero meno frequenti risentendo, come abbiamo visto, del gelo che era calato tra Braun e alcuni di loro <74> . Non mancarono, tuttavia, da parte di Mazzetti, segnalazioni di scoperte importanti. Nel maggio del 1846 egli scrisse di un eccezionale ritrovamento effettuato da Claudio Paolozzi in un suo podere vicino a Chiusi. Il Paolozzi aveva trovato, in una tomba, una seria di bellissimi bronzi, tra cui 2 busti di grifoni (che il canonico abbozz6 in un disegno>, 4 busti di cavallo, due uccelli e una salamandra che faceva da manico ad un~olovina rio <75> . Il 2 marzo 1848 fu la volta di 10 urne di terracotta e 4 di marmo trovate nei beni della Mensa Vescovile. Le epigrafi le facevano appartenere alla famiglia CVMNISA (76>. Nel 1849 accaddero a Roma f~tti importanti. Le so•mos&e che si scatenarono fecero fuggire il Papa, mentre si instaurava la Repubblica Romana . Anche Emil Braun rischi6 di essere cacciato via. Il 18 aprile 1849 Mazzetti fece un accenno a que.lla situazione, che lo costringeva a rivolgersi a Braun indirizzando la lettera <<Al Cittadino Dottor Emilio Braun>> <77). Di li a poco Braun, nel giugno dello stesso anno, parti da Roma e si rec6 in Inghilterra, dove rimase a lungo . Lasci6 a Roma Guglielmo Henzen ed Enrico Brunn. Il primo divenne il nuovo segretario dell ' Istituto. La corrispondenza di Mazzetti continu6, molto meno fitta che in passato, con Guglielmo Henzen. Del resto il canonico, che ormai aveva più di 60 anni ed era divenuto Vicario della Diocesi di Chiusi e Pienza, aveva sempre meno tempo per occuparsi delle antichità. Anche da Roma i segnali che venivano erano molto timidi . L'Istituto era in crisi. I soci èrano molto diminuiti. I mag- <74> - Per l'attività del François a Chiusi e per i suoi rapporti con Federigo Sozzi, ved. E. Barni - G. Paolucci, op.e., Appendici I-II-III-IV-V. (75> ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 24.5.1846. <76) - Ibidem, 2.3.1848. <77) Ibidem, 18.4.1849. 37 giori mercanti d'arte romani, il Baseggio, il Capranesi, il Depolatti, morirono in quegli anni. L'attenzione per l'arte antica era molto scemata e con essa quella per l'archeologia . La situazione politica era grave e allontanava da Roma i forestieri e gli affari . Anche a Chiusi l'interesse per l'archeologia era molto calato. All'inizio degli anni 'cinquanta le uniche segnalazioni inviate da Kazzetti ad Henzen riguardavano gli scavi fatti in società dal Vescovo G.B . Ciofi e dal Prançois. I reperti furono visionati direttamente da Henzen, che nel 1850 effettu6 un viaggio in molte parti d'Etruria, giungendo a Chiusi e conoscendo personalmente Kazzetti <78> . L'anno dopo il canonico gli invi6 un disegno di una splendida collana d'oro trovata a Cetona da Prancasco Kinutelli (79) . Il disegno, eseguito da Angelo Galanti (80>, un abile artista di cui si avvalevano i collezionisti chiusini , rendeva bene l'idea dello sple~dore del gioiello . E, poco tempo dopo, la collana fini a Berlino. Gran parte del tempo Kazzetti lo dedicava, allora, alle catacombe di s. Caterina, scoperte nel 1848 (81>. Proprio esse portarono ad un altro momento di polemica con gli archeologi dell'Istituto. Questi, infatti, misero in dubbio la cristianità delle catacombe, argomentando la loro opinione con la presenza, nel cimitero, della iscrizione dedicatoria O. K. = Diis Kanibus, che mal si conciliava con il Cri- (78> - Sugli scavi Sozzi-François nei terreni vescovili, ved. E. Barni - G. Paolucci, op. c . , Appendice V. <79> ADAIR, carte Mazzetti, a Braun, 8.7.1851. <80) Su questo personaggio, ved. E. Barni, op.c.,p.17 e 21. <81 > D. Bartol ini, "Le nuove Catacombe di Chiusi recentemente scoperte nella contrada che appellasi S.Caterina", Roma, 1853. Il Bartolini scrisse, a p.36, riferendosi ai dub bi che erano stati sollevati dagli archeologi tedeschi: <<Ond'é che mi gode assai l ' animo d ' essere io stato fortunatissimo di descrivervi un primitivo cemeterio cristiano integro in tutte le sue parti con i sepolti ognuno al suo posto, fra i quali distinguesi il martire dal semplice fedele che chiuse i suoi giorni con morte naturale, distinzione che effettuasi col vasello del sangue, e con gl'ist r umenti del martirio cheche ne dicano cento razionalisti del secolo nostro che su di tutto sporgono dubbiose tenebre. >> . 38 stianesimo. Inoltre, le ampolle col sangue dei martiri, a differenza delle catacombe romane, si trovavano a contatto dei corpi, anzich• fuori dei sepolcri. Antonio Mazzetti, la cui fede cristiana lo aveva portato a commettere il grave errore di cancellare alcuni graffiti con motti epicurei che erano stati tracciati sulle pareti delle catacombe da antichi profanatori, si senti in dovere di intervenire nella questione, con una lunga lettera scritta ad Henzen il 26 aprile 1853 . Il suo intervento fu molto critico e polemico nei confronti dell'Istituto. Egli giunse a dire: <<Ci consola il sapere come questi dubbi non muovano da Persone Cattoliche, ma da Protestanti: e per dir il vero la ragione del dubitare ci ~ apparsa così strana, che non possiamo a meno di confessare trovarci nella impossibilita di conciliare codesti dubbi co' principi dell'archeologia sacra.>> <82). Nella lettera Mazzetti sostenne, giustamente, che il fatto che l'ampolla col sangue fosse stata posta a contatto del corpo del martire non escludeva la cristianità, essendo stati anche in passato trovati altri simili esempi. Lo sfogo del canonico ebbe il risultato di raffreddare ancor più i rapporti con l'Istituto. Guglielmo Henzen non aveva certo quelle doti di comunicativa che tanto erano state utili ai suoi due predecessori. Inoltre, la situazione di estremo disagio, anche finanziario, in cui l'Istituto si trov6 in quegli anni, non contribui certo a chiarire le varie opinioni <83> . Le comunicazioni tra i Chiusini a gli archeologi tedeschi vennero troncate . Soltanto nel gennaio del 1858 Guglielmo Hanzen si rifece vivo, chiedendo a Mazzetti un resoconto delle ultime scoperta . La ripresa dei contatti tra Roma e Chiusi faceva parte dalla politica di rilancio dell'Istituto, tentata con successo da Henzen e da Enrico Brunn, a cominciare dal 1857 (84) . L'anno prima, 1'11 settembre 1856, era morto Emil Braun. <82) - ADAIR, carte Mazzetti, a Henzen, 26.4.1853. Il canonico si riferiva ad un articolo apparso sul Bull.Ist.,1853, pp. 50-51, scritto da Henzen. (83) Per la crisi dell'Istituto, op.c.,pp. 114-118. <84> - Ibidem, p. 125 e sg •• ved. A. Michaelis, 39 I due archeologi cercarono di ritessere la tela dei soci corrispondenti, ormai ridoiti ad una sparuta schiera. ftazzetti poteva essere considerato tra i soci più fedeli, perchè da éirca 30 anni, cioè dall'origine del'lstituto, non aveva mancato di collaborare . Quando egli rispose ad Henzen, il 16 febbraio 1858, aveva comunque poco da raccontare, poichè a Chiusi,come ovunque, la crisi degli interessi archeologici si era fatta acuta <85). Dalla fine del novembre 1858 al maggio 1862 Antonio ftazzetti entr6 in corrispondenza con Enrico Brunn. Ancora una volta fu il contatto diretto e personale a far nascere quella collaborazione. Brunn visit6 Chiusi nel 1858 a conobbe Antonio ftazzetti, che era il "veterano" dell'archeologia chiusina . La crisi dell'Istituto aveva fatto si che il canonico non avesse ricevuto i "Bul lettini" dal 1 •apri le del 1850. Brunn si offri di colmare la lacuna <86), e il gesto contribui a far rinascere l'entusiasmo archeologico nell'animo di ftazzetti. All'archeologo tedesco interessava parecchio avere un corrispondente come ftazzetti, che conosceva ogni segreto della sua terra e poteva aprirgli la porta dei maggiori collezionisti della zona,in quanto egli cominciava a raccogliere il materiale per la pubblicazione della sua opera monumentale sulle urne etrusche <87>. E Chiusi, anche se in un momento di stasi' del le ricerche, poteva comunque offrirgli soggetti assai interessanti. Nel marzo del 1859 ftazzetti gli segnal6 una scoperta fatta da Giovanni Paolozzi, un nobile chiusino che sarebbe risultato assai importante per l'archeologia nell'ultima parta del secolo, che consisteva in vasi di bronzo e di terracotta e due orecchini d'oro <<a botticino di grazioso lavoro a filigrana>> (88). Una notizia interessante per capire il clima che si viveva nei paesi della Toscana all'indomani dell'annessione al Pie- <85> Sulla crisi archeologica di metà secolo ved. G. Paolucci, op. c., pp. 78-80. (86) ADAIR, carte Mazzetti,a Brunn, 28.11.1858 e 19.5.1859. (87) E. Brunn, "I rilievi delle urne etrusche", 1870. Il secondo volume uscì, a cura di G. l(orte, nel 1896. <88) - ADAIR, carte Mazzetti, a Brunn, 11.3.1859. Sul Paolozzi, ved. G. Paolucci, op. c., pp. 112-115. 40 monte, è data da ftazzetti in una lettera scritta a Brunn il 20 1ug1 i o 1860 . Il canonico era stato preavvisato dall'archeologo tedesco che presto sarebbe tornato a Chiusi.ftazzetti rassicur6 Brunn, scrivendogli: <<E così spero di rivederLa, a Dio piacendo, e discorrere un poco insieme, né crederei che le attuali circostanze dovessero in alcun modo servir di ostacolo al di Lei viaggio, avendo specialmente il Passaporto in regola.>> (89). Inoltre, il canonico gli preannunci6 di aver avvisato Perdinando Panelli, a Sarteano, perchè gli facesse visitare la sua collezione. A Chiusi, invece, le cose non dovevano essere molto tranquille, perchè comunic6 che il ftuseo Paolozzi non era visitabile in quanto, dato il momento politico,gli oggetti di più facile trasporto erano stati allontanati dalla città <90> . Nel 1865 Enrico Brunn parti da Roma e fu sostituito da Wolfgang Helbig. Due anni dopo mori Edoardo Gerhard, divenuto cieco da tempo. Pino al 1868 ftazzetti non comunic6 più con l'Istituto. Ci vollero alcune straordinarie scoperte perchè si decidesse a riallacciare i contatti con Henzen col quale, a dire il varo, non aveva mai avuto una gran confidenza. In un rapporto, che fu poi pubblicato sul "Bullettino", egli dava notizia della scoperta di un'anfora a figure nere, trovata da~ canonico ftanciati di San Casciano dei Bagni, ove era rappresentato Tereo re di Tracia che insegue Progne. Inoltre dava notizia di due manici di vaso ·di bronzo, scoperti dal sindaco di Chiusi,conte Pietro Ottieri Della Ciaia, sui quali si facevano ammirare alcune figure che ftazzetti interpretava come rappresentanti, da una parte ftirra e il padre Cinira re di Cipro, dall'altra Epopea re di Lesbo e Nittimene. Nello stesso rapporto c'era la descrizione degli stupendi bronzi (91) di Chianciano, oggi al ftuseo di Pirenze, scoperti da Vincenzo Casuccini. La grafia del Mazzetti era assai incerta, e il canonico se ne scusava per la grave età (aveva, ormai, 77 anni). Le scoperte segnalate da ftazzetti erano veramente importanti, ma quest'ultimo suo rapporto fu per lui causa di un' ulteriore, ed ultima amarezza . <891 ADAIR, carte Mazzetti, a Brunn, 20.7.1860. <90) Ibidem. <91) ADAIR, carte Mazzetti, a Henzen, 27.6.1868. 41 Henzen gli annunci6 che, nel pubblicare il suo rapporto; lo Schlie, altro socio corrispondente, avrebbe interpretato in maniera più consona le raffigurazioni incise sui due manici del conte Pietro Ottieri. ftazzetti rispose che non aveva nulla in contrario, anche perchè non aveva mai avuta la presunzione di considerarsi archeologo <92>. fta quando lesse l'interpretazione dello Schlie non potè fare a meno di prendere in mano, per l'ultima volta, la penna e scrivere a Henzen. La sua lettera, del 17 luglio 1869, fu anche l'ultima della serie, in quanto mori di li a poco, all' inizio del 1870 . In essa il pensiero del canonico non è sempre chiaro e preciso, cercando egli di dimostrare che la spiegazione delle raffigurazioni su quei manici era da ricercarsi m'glio nel pensiero del loro autore, che aveva voluto rappresentare due situazioni diverse, piuttosto che nella semplice espressione di due scene erotiche, quali aveva visto lo Schlie. La lettera è un po' il testame~to spirituale del ftazzetti, che durante la sua lunga esistenza ne aveva viste tante · e poteva ora permettersi di insinuare il dubbio nella merita di chi pensava di aver compreso tutto. La conclusione della sua lettera è, al riguardo, significativa: <<Ciò che io Le ho detto è stato unicamente 'per manifestarle la mia opinione e non già per provocare una quistione archeologica che io onninamente abborrisco.>> (93>. Dopo qualche mese Antonio ftazzetti mori, portando con sé una parte della storia della sua terra e anche di quella del1' Istituto Archeologico Germanico . <92> - Ibidem, 17.9.1868 <93> - Ibidem, 17.7.1869. L'articolo dello Schlie era apparso sul Bull.Inst.,1868, pp. 206-207. A P P E N D I C E La pianta degli scavi di Poggio Gaiella eseguita nel 1841 da Luigi Dei Il canonico Luigi Dei fu il direttore degli scavi di Poggio Gaiella. Invi6 a Roma, nel novembre del 1841, una grande pianta da lui eseguita sugli scavi di Poggio Gaiella, insieme ad una pianta catastale dei terreni di proprietà del Casuccini. Della pianta degli scavi di Luigi Dei si persero ben presto le tracce. Essa doveva servire per una seconda edizione del libro del Braun che non venne mai realizzata. Quando, nel nostro secolo, Ranuccio Bianchi Bandinelli affront6 le fatiche della sua tesi di, laurea sul territorio di Chiusi, vide la pianta di Luigi Dei, ma non potè giovarsene perchè era troppo tardi per studiarla ed inserirla nella sua opera. Egli err6, comunque, nell'accenno che ne fece attribuendola a Pederigo Sozzi. La carta è tuttora esistente nell'Archivio dell'Istituto Archelogico Germanico ed è particolarmente interessante perchè corregge in vari punti quella stampata nell'opera del Braun, realizzata dal Gruner. E' molto dettagliata e dà un quadro preciso, pur nell'ingenuità della realizzazione, dello stato avanzato degli scavi di Poggio Gaiella nell'autunno 1841 . Dobbiamo del resto considerarla il documento su Poggio Gaiella più vicino alla realtà, perché fu realizzata di propria mano da colui che stava dirigendo i lavori. In verticale, sulla destra della grande carta, Luigi Dei scrisse la sua relazione per Braun, intitolandola "Varie note da aggiungersi alla Relazione fatta sui sepolcri di Poggio Gaiella dal Sig. Lodovico Gruner" . In essa il canonico chiusino dimostra una grande precisione e una non trascurabile capacità di deduzione, come del resto conferm6 il suo raggio di ricerche che negli anni 'quaranta lo port6 anche in ftaremma. Il documento pu6 essere di grande aiuto agli stessi studiosi moderni in quanto il poggio, già depredato all'atto della scoperta, subl successivamente ulteriori modifiche, per non parlare delle cave che pericolosamente si avvicinano sempre più alla sua area. Vi compaiono elementi non presenti nella carta del Gruner. Ne voglio citare solo alcuni: a) viene messa in evidenza tutta l'area immediatamente ad ovest della grande stanza rotonda con colonna centrale, con il fitto intrecciarsi degli ambienti e dai cunicoli; b) viene indicata la dislocazione delle tombe poste verso la base del poggio; ·+· . . .... ~ ·: .. . . . . :. :. '! ~ Pianta della necropoli di Poggio Gaiella disegnata nel 1841 da Luigi Dei (Disegno in ADAIR) e> è trabciato il percorso del muraglione poggio. che cingeva il Numerose sono le riflessioni che Luigi Dei fa nella sua descrizione, come quando spiega l'interruzione del muraglione di confine nella parte posteriore del poggio con una probabile frana che lo tagli6 in tempi remoti, o quando indica il luogo di ritrovamento di alcuni reperti. E' mia opinione che la pianta disegnata da Luigi Dei dovrà essere presa a base per la definitiva decifrazione della grande necropoli.