Progetto cofinanziato da pubblica accoglienza Rafforzamento delle Capacità istituzionali nell’erogazione dei servizi per l’integrazione degli immigrati Fondi FEI - 2012 - Az.7 “Capacity building” Linee guida per la riorganizzazione dei servizi in chiave interculturale Ambito penitenziario pubblica accoglienza PRESENTAZIONE I processi globali delle migrazioni hanno profondamente cambiato l’aspetto delle società moderne che sono oggi sempre più connotate dalla coesistenza di una pluralità di culture e di pluralismi sociali, culturali e politici. Davanti a un pubblico che si va trasformando, i servizi sono chiamati ad affrontare la sfida di una propria riorganizzazione in chiave interculturale, per assicurare agli stranieri quell’accesso su un piede di parità ed in modo non discriminatorio con i cittadini nazionali, che è elemento essenziale dell’integrazione (sesto dei Principi di Base Comuni per l’Integrazione dei Paesi Europei) ed è l’essenza stessa della esistenza dei Servizi Pubblici. Essi rappresentano, infatti, l’infrastrutturazione sociale che realizza sul territorio la rete di sostegno e di risposta ai bisogni, dai più elementari a quelli che sostanziano il percorso di cittadinanza, fondamentale soprattutto per le fasce deboli e marginali della popolazione, sia essa autoctona o immigrata. E’ proprio a partire da questa consapevolezza che Cidis Onlus, il Comune di Cassano all’Ionio e la Provincia di Cosenza, hanno dato vita al progetto FEI Pubblica Accoglienza, un intervento teso a migliorare i livelli di gestione ed erogazione dei Servizi Pubblici rivolti alla popolazione immigrata della Regione Calabria nei delicati settori penitenziario e sanitario. Questo piccolo opuscolo è il risultato del lavoro comune di collaborazione e confronto tra operatori penitenziari, mediatori culturali, immigrati ed esperti interculturali del Privato Sociale, promosso nell’ambito del progetto tra agosto 2013 e giugno 2014. Esso raccoglie sotto forma di Linee Guida i suggerimenti emersi per delineare, anche in ambito penitenziario, le caratteristiche di Servizi attenti alle differenze e non discriminatori e si rivolge a tutti coloro i quali operano, seppure in territori e con funzioni diverse, negli Istituti Penitenziari, Istituti di Reclusione, Uffici Penali di Esecuzione Esterna e quotidianamente affrontano le molteplici sfide per implementare Servizi dignitosi e rispettosi dei diritti, consapevoli che questo è l’unico modo per costruire davvero giustizia e coesione sociale nella società italiana. CIDIS ONLUS 1. INTRODUZIONE Negli ultimi anni si è assistito ad una continua crescita delle immigrazioni sul territorio del nostro Paese e, contemporaneamente, all'aumento delle presenze di detenuti stranieri all'interno degli Istituti Penitenziari. Questo fenomeno, soprattutto nel corso dell'ultimo decennio, ha portato le istituzioni deputate e, in particolare, il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ad una importante presa d'atto, rafforzando la consapevolezza che la presenza degli stranieri all'interno degli Istituti Penitenziari è un dato oggettivo di carattere durevole. Di conseguenza ha avuto inizio l'elaborazione di una strategia e di una programmazione a lungo termine che ha comportato una revisione dell'attenzione rivolta a questa fascia di popolazione detenuta che, come per la società libera, è sicuramente svantaggiata. Ed è in questo contesto che nasce la collaborazione tra l'Ufficio della Formazione del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione Penitenziaria e Cidis Onlus che ha permesso di elaborare una importante azione formativa rivolta al personale che opera all'interno degli Istituti Penitenziari della regione e, nello stesso tempo, sperimentare un modello di mediazione culturale. Fin dal primo approccio con gli operatori di Cidis Onlus si è potuto constare la grande professionalità e l'impegno. Due aspetti o, ancor meglio, due pregi che si sono confermati nel tempo apprezzando la loro idea e il loro pensiero che è anche il nostro, di come la storia di un essere umano non possa essere ridotta alle "azioni compiute e non compiute", ma come sia necessario sforzarsi per poter riconoscere l'altro come uomo, nella sua fragilità, nella sua vulnerabilità, cercando di lasciare "fuori dalla mente" ogni pregiudizio. Agli operatori di Cidis Onlus, ai mediatori culturali, ai direttori degli istituti Penitenziari e degli Uffici di esecuzione penale esterna della regione, ai funzionari giuridico-pedagogici, ai funzionari di servizio sociale, ai funzionari ed al personale della polizia penitenziaria va il nostro ringraziamento nella consapevolezza che, in un momento oggettivamente difficile per il nostro Paese, solo una fattiva attività sinergica e un'azione congiunta rivolta ad un obiettivo comune conducono a risultati ottimali. Dir. Ufficio Organizzazione, Relazioni del Personale e della Formazione P.R.A.P Dott. Rosario Tortorella Resp. Settore Formazione P.R.A.P Dott. Calogero Busuito 5 pubblica accoglienza 1.1. Il progetto Le linee guida nascono dall’esperienza acquisita con il progetto Pubblica Accoglienza realizzato da un partenariato composto da Comune di Cassano All’Ionio, Provincia di Cosenza e Cidis Onlus, grazie al cofinanziamento del Ministero dell’Interno (Fondi FEI - 2012 - Az.7 “Capacity building”). Pubblica Accoglienza ha agito in un contesto regionale del tutto particolare, la Calabria: una terra in cui l’incontro tra culture e identità diverse è inevitabile e dove l’immigrazione assume i volti dei braccianti, dei rifugiati giunti dal mare, degli stranieri che vivono nelle città. Dal proprio canto, la regione vive lo sforzo di ripensare le proprie politiche di accoglienza. E’ dunque inevitabile che, nel confrontarsi con una realtà complessa e in continua evoluzione, si incontrino difficoltà, ci siano momenti di rallentamento, si avvertano maggiormente le carenze in termini di coordinamento e collaborazione. Il progetto ha agito su diversi piani, attraverso un’azione sistemica, scegliendo due ambiti strategici di intervento: i settori socio-sanitario e penitenziario. L’intervento è stato articolato in una pluralità di azioni, in maniera da rispondere ai differenti bisogni emergenti: percorsi di aggiornamento per operatori pubblici, servizi di mediazione culturale, tavoli pubblici di dibattito e confronto, spazi virtuali di aggiornamento e scambio di informazioni, servizi innovativi di consulenza e supporto informativo/ normativo. Questo approccio ha rappresentato una modalità innovativa per l’ambito regionale, offrendo così l’occasione di sperimentare, condividere e valutare tecniche di comunicazione interculturale e nuove modalità di accoglienza. Soprattutto, il progetto ha consentito di rilevare i bisogni nel loro formarsi, attraverso un confronto continuativo con gli operatori dei servizi. In ambito penitenziario sono stati promossi, in collaborazione con il PRAP regionale tre percorsi di aggiornamento negli istituti “Sergio Cosmai” di Cosenza, “Nuovo complesso penitenziario di Vibo Valentia e “Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria che hanno permesso di riunire e incontrare oltre un centinaio tra assistenti sociali, funzionari della professionalità giuridico-pedagogica, agenti di polizia penitenziaria, assistenti carcerari, operatori sanitari, mediatori culturali, rappresentanti delle comunità di immigrati e del privato sociale della Calabria. E’ assieme ad essi che 6 sono stati costruiti e realizzati i percorsi di collaborazione, che hanno consentito uno scambio di know how e la condivisione di esperienze professionali, diffondendo le conoscenze e le competenze e accrescendo l’operatività e l’efficienza dei servizi. Pubblica Accoglienza ha inoltre messo a disposizione un innovativo servizio di consulenza e supporto: l’InfoPoint operativo tre giorni alla settimana. Esperti hanno risposto a dubbi su questioni normative/ legislative in materia di immigrazione e hanno fornito consulenza su come prevenire fraintendimenti e conflitti e favorire la corretta gestione del rapporto con lo straniero. Gli operatori pubblici che ne hanno avuto necessità, hanno potuto prenotare interventi di mediazione per la facilitazione linguistica e culturale presso il proprio servizio, potenziando così le dinamiche dell’accoglienza. E’ stata poi attivata, sul sito della Provincia di Cosenza, una Piattaforma virtuale che ha reso fruibili contenuti multimediali di aggiornamento, un archivio legislativo e la possibilità di scaricare strumenti di supporto all’aggiornamento professionale. Sono stati anche promossi e realizzati tre Tavoli pubblici, incontri organizzati per favorire il confronto tra stakeholders locali nei rispettivi settori di intervento, per promuovere la condivisione di esperienze nel settore delle politiche di inclusione della popolazione immigrata. Pubblica Accoglienza ha quindi rappresentato uno spazio di incontro, un punto di mediazione, un’occasione per mettere in moto un processo di miglioramento continuo su più livelli: individuale, associativo, istituzionale per il sostegno a reali politiche pubbliche di accoglienza. 1.2. Il contesto Secondo i dati del Ministero della Giustizia (31 maggio 2014), in Calabria ci sono 13 strutture detentive che accolgono 2.619 detenuti, pari al 4,4% del totale della popolazione internata in Italia. Complessivamente, i reclusi stranieri ospiti negli Istituti Penitenziari della Calabria sono poco meno di 300. Non è facile stabilirne sempre la provenienza, poiché i continui trasferimenti tendono a modificare il quadro complessivo. E’ possibile comunque affermare che tra di essi si trovino consistenti gruppi di romeni e maghrebini, aree dalle quali appartengono, peraltro, la maggioranza dei reclusi stranieri presenti in Italia, spia di una situazione 7 pubblica accoglienza di emarginazione e discriminazione che colpisce soprattutto determinati gruppi etnici. L’indice di affollamento è del 100%, vale a dire che è stata raggiunta la capienza massima regolamentare. In questo contesto di affollamento, la situazione dei detenuti immigrati, almeno secondo le statistiche, appare persino migliore rispetto alle altre regioni italiane. In Calabria, infatti, i non-italiani sono pari all’11,1% del totale della popolazione ristretta, si tratta della quota più bassa tra le regioni italiane, che vedono in cima alla graduatoria Trentino, Valle d’Aosta e Liguria dove i non italiani sono oltre la metà dei reclusi. La Calabria guida invece la graduatoria per il numero dei detenuti in attesa di primo giudizio, che sono il 28,3% degli internati, contro una media nazionale del 15,4%. Si tratta di un dato che influisce sull’elevata mobilità dei detenuti, spesso costretti a cambiare Istituto Penitenziario con il procedere del processo. Non si notano, invece, particolari differenze di trattamento tra italiani e stranieri che, rispetto al totale di coloro che sono in attesa di primo giudizio, mantengono l’incidenza media (11% circa). Gli Istituti Penitenziari, per definizione, sono luoghi chiusi sottoposti a regole rigide. Sia chi lavora all’interno delle carceri, sia chi vi è detenuto, vive una condizione di reclusione e di estremo isolamento. All’esterno, degli Istituti Penitenziari sono percepite come “ultima spiaggia” per persone che devono essere recluse per non turbare il normale svolgimento della vita sociale e per scontare la pena per comportamenti devianti. Sulle carceri, pertanto, si investe pochissimo. Ogni provvedimento legislativo in materia di detenzione è, quasi sempre, oggetto di aspre critiche da parte dell'opinione pubblica. Spesso si invocano trattamenti duri contro i detenuti e il sistema giudiziario è accusato di essere troppo condiscendente con chi commette un reato. Gli agenti di polizia penitenziaria, gli assistenti sociali e gli educatori sono anche essi immersi in questo clima. Il loro lavoro, pertanto, diviene fonte di frustrazione perché è incompreso all'esterno delle mura carcerarie. L'obiettivo di recuperare alla socialità i condannati, così, diviene sempre più lontano e se non ci fossero la drammaticità delle storie individuali, gli Istituti Penitenziari rischierebbero di trasformarsi completamente in luoghi disumani. Il sistema penitenziario italiano, non a caso, vanta alcuni tristi primati tra cui il numero di suicidi, tanto tra gli ospiti quanto tra gli agenti di polizia penitenziaria. L’Italia spicca inoltre per l’elevato tasso di carcerazione 8 (inferiore comunque a Spagna, Grecia e Regno Unito), il bassissimo ricorso alle pene alternative e ai cosiddetti percorsi di probation, e il sovraffollamento delle carceri. Altro aspetto peculiare è che spesso la carcerazione trasforma il detenuto nel reato, nel senso che i diversi padiglioni e i gruppi che si formano raccolgono soggetti con il medesimo profilo delinquenziale e, non di rado, della medesima origine etnica. Si creano così i padiglioni che ospitano coloro che hanno commesso reati contro il patrimonio e quelli riservati a coloro che hanno commesso reati contro la persona, celle che ospitano detenuti maghrebini e celle che accolgono solo rom. Il rischio è che all'interno della struttura penitenziaria si determinino conflitti e contrapposizioni tra gruppi di detenuti. Proprio la condizione dei detenuti migranti mette in evidenza alcune problematiche che rendono particolarmente penosa la situazione di chi è carcerato. La prima abnormità è che determinati reati, come quello di immigrazione clandestina, possono essere compiuti esclusivamente da non-italiani. E’ una fattispecie del tutto straordinaria per il sistema giudiziario italiano, fondato invece sui criteri della responsabilità oggettiva individuale e sull’atto commissivo (avere commesso un’azione antisociale) per la formulazione del giudizio di colpevolezza. Molti immigrati detenuti, inoltre, sono in attesa di giudizio. Tuttavia, la scarsa conoscenza della lingua e delle norme allungano notevolmente i tempi del giudizio. Spesso, i migranti hanno solo una vaga conoscenza dei sistemi penitenziari dei paesi di origine, circostanza che aggrava la condizione di angoscia e prostrazione in cui cadono durante i primi mesi di detenzione. Avviene così che si finisca in prigione senza avere consapevolezza né di cosa si è accusati, né di quanto tempo durerà la detenzione. Questa condizione ha una pesante ricaduta psicologica sul detenuto straniero, poiché l’isolamento e l’incertezza sono totali anche in ragione dell’assenza di contatti con parenti e visitatori che, provenendo dall’esterno, lo possano tenere informato di quanto accade. Di fatto, anche nei casi in cui la rete etnica solidaristica è abbastanza strutturata, il passaggio alla condizione di detenzione comporta l’abbandono da parte della comunità immigrata, che sceglie di separare il proprio destino da quello di chi è in prigione. In sintesi, il migrante che entra nella struttura penitenziaria si trova 9 pubblica accoglienza privo del sostegno delle reti familiari e/o etniche; privo di conoscenze linguistiche che gli consentano di comunicare con il sistema penitenziario e esprimere i suoi bisogni e le sue richieste; inconsapevole dei diritti e dei doveri che scaturiscono dalla condizione detentiva. Nel caso della Calabria, i mesi di collaborazione con educatori e agenti di polizia penitenziaria, hanno consentito di conoscere in maniera più approfondita le problematiche. Tra tutte, oltre all’affollamento e al degrado che colpiscono alcune strutture, è da segnalare il frequente e improvviso spostamento dei detenuti da una struttura all’altra. Anche sugli Istituti Penitenziari della Calabria, secondo quanto riferito dagli operatori, grava lo stigma di una condizione arretrata e quasi abbandonata a se stessa. Si lamentano l'assenza di assistenti sociali, di iniziative e percorsi che favoriscano il reinserimento sociale del detenuto, l’inadeguatezza delle strutture. Eppure, gli Istituti Penitenziari possono essere annoverate tra le strutture di accoglienza che intrattengono un rapporto prolungato e continuativo con gli ospiti. Per questo richiedono un’organizzazione complessa e il coinvolgimento attivo dei detenuti, fondamentale per il mantenimento di un clima sereno all’interno delle celle e degli spazi comuni. Se i reclusi sono consapevoli delle regole vigenti e comprendono che il loro rispetto assicura la sicurezza di tutti, allora saranno essi stessi a osservarle spontaneamente e a vegliare sul comportamento dei compagni. L'attività di mediazione è una delle strategie di gestione dell'intera struttura penitenziaria e non è limitata ai soli internati immigrati. Inoltre, proprio perché strategie e margini di azione sono limitati, diviene fondamentale sfruttarli per evitare che condizioni detentive degenerino fino a trasformare gli Istituti Penitenziari in enclave di anomia e anonimato. 2. LINEE GUIDA PER SERVIZI PENITENZIARI “INTERCULTURALI” E' a partire da questo contesto così complesso che sono state elaborate delle semplici Linee Guida, che suggeriscono sei tipologie di azione: a) monitorare i bisogni b) accoglienza e accompagnamento c) mediazione culturale d) fare rete 10 e) motivare e aggiornare il personale f) tutelare i diritti di chi vive nei penitenziari. 2.1. Monitorare i bisogni Di certo all’interno delle strutture detentive e dei servizi pubblici in generale le azioni di monitoraggio non mancano. Spesso, però, sono effettuate in base a sollecitazioni provenienti da organi e uffici gerarchicamente sovraordinati che perseguono obiettivi, in tutto o in parte, diversi da quelli del Istituto Penitenziario. Conoscere chi sono gli ospiti, quali lingue parlano, che religione praticano, da dove vengono, se abbiano o meno conoscenza di altre parti dell’Italia e, ancora, quali atteggiamenti e comportamenti manifestino durante la detenzione, è importante per progettare interventi efficaci, prevenire atti di autolesionismo, interpretare e rispondere ai bisogni di ciascuno. Può inoltre essere utilissimo individuare chi soffre di determinate patologie o accertare rapidamente se il migrante detenuto sia iscritto al Servizio Sanitario Nazionale e/o sia titolare di permesso di soggiorno. I dati devono essere raccolti e organizzati sinteticamente in modo che, nel rispetto della privacy, possano essere consultati e utilizzati per programmare le attività interne. E’ bene poi considerare che anche gli ospiti possano svolgere incarichi che contribuiscano alla serenità della vita comune. Per questo, raccogliere informazioni sul titolo di studio, sui lavori svolti e persino sugli hobby può essere prezioso. Sebbene in un primo momento possa suscitare diffidenza la richiesta di informazioni dettagliate, si tratta comunque di un gesto di interessamento. Per chi è detenuto, il tempo trascorso nella raccolta di dati e informazioni è l’occasione per raccontare una storia diversa di se stessi, non legata agli sbagli compiuti, ma agli studi, al lavoro, alle proprie passioni. E’ l’occasione per ricostruire un’immagine positiva. 2.2.Accoglienza e accompagnamento Lo straniero che entra nella struttura detentiva ha un’idea della carcerazione superficiale e elaborata sulla conoscenza, più o meno approssimativa, del sistema penitenziario del paese di origine. E' bene ricordare che, in diversi paesi del mondo, è prevista la pena capitale o la detenzione lunga, persino illimitata, se al termine del periodo di detenzione non si liquidano le sanzioni amministrative accompagnatorie. 11 pubblica accoglienza E' il caso, ad esempio, dei sistemi penitenziari di gran parte dell'Africa nera, ma anche di diversi paesi orientali. E’ fondamentale, dunque, che fin dall’ingresso, al detenuto vengano illustrate quali regole disciplinano la vita all’interno del Istituto Penitenziario, quali sono le persone a cui rivolgersi per le diverse necessità, quali siano i comportamenti da tenere e come si svolgerà la vita nei giorni immediatamente futuri, possibilmente illustrando gli orari delle diverse attività e i giorni in cui è possibile recarsi al parlatorio, incontrare gli assistenti sociali ecc. Quest'ultimo aspetto, quello della scansione del tempo, è particolarmente importante per evitare che il detenuto perda rapidamente la cognizione del tempo che passa. E’ dunque opportuno produrre opuscoli in più lingue che spieghino il funzionamento e le regole della struttura penitenziaria; utilizzare un'apposita cartellonistica per indicare i luoghi e gli orari in cui si svolgono le attività; far intervenire un mediatore linguistico/culturale al momento della fase di ingresso del detenuto immigrato nella struttura detentiva; dedicare tempo a parlare con il detenuto, nella consapevolezza che la paura e l’incertezza possono suscitare atteggiamenti aggressivi o depressi. Si tratta di produrre materiali con una certa attenzione all’uso delle lingue, dei colori, dei disegni. Una rappresentazione che, in una cultura, suscita immediatamente l’associazione con un luogo, un oggetto, un comportamento, può non avere lo stesso effetto per chi proviene da culture altre. Anche le traduzioni di frasi e parole non devono essere approssimative, lì dove diversi sono stati i casi riscontrati di errori di traduzione. E’ bene dunque ricordare che, l’accuratezza del linguaggio, ha un doppio significato: quello del rispetto, ma anche quello della conoscenza dell’altro e dell’attenzione alle pulsioni e ai comportamenti. Anche nei casi in cui, per motivi di sicurezza e di organizzazione interna, non siano previsti degli orari fissi, ad esempio per godere dell'ora d'aria, è comunque opportuno delineare per grandi linee il programma della settimana. Oltre a dare la dimensione temporale a chi vive all'interno della struttura detentiva, un programma settimanale della vita ordinaria consente di individuare i momenti critici e le finestre temporali più opportune per l'inserimento di altre attività. Per quanto attiene l'accompagnamento degli internati da parte degli operatori degli Istituti Penitenziari, è importante che tutti si presentino nella maniera più professionale possibile, che ricorrano all'italiano 12 standard, casomai facendo attenzione a non esagerare con i sinonimi e a non adoperare circonlocuzioni e una fraseologia troppo complessa. La formalità, infatti, semplifica la comunicazione e consente di identificare gli interlocutori come figure responsabili, informate e attente. 2.3.Mediazione culturale In Italia il tema della mediazione culturale è stato affrontato con grande ritardo rispetto agli altri paesi europei. Il rapido modificarsi del panorama migratorio internazionale e europeo ha condotto ad una riflessione più accurata. La mediazione culturale è stata distinta da quella linguistica e la terminologia è stata modificata e adoperata con maggiore cautela. La mediazione culturale (o interculturale), che nata in Messico è stata ripresa e rielaborata in Francia e Regno Unito si fonda sul principio che il processo di integrazione è bidirezionale, coinvolgendo tanto la società di accoglienza, quanto l’immigrato. Nel caso della società di accoglienza, si tratta di un cambiamento di attitudini e comportamenti che investe sia la dimensione della vita individuale, sia la dimensione della vita sociale e organizzata. La mediazione culturale è, infatti, tipica di uno stato democratico e di un contesto globale, nel quale c’è bisogno di trovare, giorno dopo giorno, soluzioni a problematiche nuove, nella salvaguardia delle identità individuali. Anche in ambito comunitario, il concetto di “mediazione interculturale” sembra avere trovato una sua definizione nei Common Basic Principles on Integration dove si precisa che “l’integrazione è un processo dinamico bidirezionale di reciproco adattamento da parte di tutti gli immigrati e dei residenti degli Stati membri”. La mediazione culturale, dunque, è l’agire strategico che mette in rete servizi e destinatari, in un processo di scambio e di confronto che consente di individuare e interpretare i bisogni e formulare risposte adeguate all’identità e all’individualità di ciascuno, con un migliore utilizzo delle risorse già esistenti. In questa prospettiva, il mediatore culturale è una figura di supporto che, per quanto importante e definita da competenze e compiti, non può esistere svincolata da un sistema di servizi. Le sue competenze linguistiche sono solo un aspetto, nemmeno tra i più importanti, della sua azione. Occorre, infatti, considerare che in Italia i paesi rappresentati sono circa 190 e ancora di più sono le lingue parlate. Non ha senso cercare di intervenire con azioni di interpretariato o con la 13 pubblica accoglienza traduzione dei documenti in tutte le lingue. D’altronde, in determinate situazioni in cui il disagio psicologico è marcato e la terminologia è specialistica (come la detenzione) l’uso di una lingua terza risulta poco efficace. Per questo, il mediatore più che un traduttore è un comunicatore. E’ capace di mettersi nei panni del migrante ma conosce bene il paese di accoglienza. Comprende le difficoltà di approccio culturale e trova i canali e le forme per una comunicazione efficace. Il mediatore culturale è, dunque, fondamentale nel suggerire le strategie migliori per affrontare una o più fasi della presa in carico dell’internato straniero. In questo senso, non è detto che debba necessariamente lavorare a contatto con i migranti, ma svolge un ruolo prezioso nel migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi prestati. Il mediatore non può nemmeno essere un esperto della normativa in materia di immigrazione, sebbene ne debba conoscere i principi generali e debba tenersi aggiornato sulle modifiche. Sarebbe illusorio pensare che si possa essere esperti di tutta la legislazione sociale in una situazione come quella italiana. Mediatore e mediazione non sono la medesima cosa. La mediazione implica un’azione consapevole e il coinvolgimento dei vari livelli del sistema dei servizi nell’assumere coscientemente una strategia di intervento capace di abbassare la soglia di accesso ai servizi e garantire pari condizioni di accesso ai medesimi. Il mediatore è una risorsa preziosa per implementare tale strategia. Nelle strutture penitenziarie, il compito del mediatore diviene essenziale nella fase si accoglienza, quando è necessario intervenire per facilitare l’adattamento del detenuto alla nuova situazione, ma anche in quella di accompagnamento, quando è importante monitorare i comportamenti, informare progressivamente il recluso sull’iter processuale, orientarlo verso attività che possano rendere meno penosa la detenzione. 2.4.Fare rete Le risorse riservate alle strutture penitenziarie, purtroppo, sono spesso insufficienti. E’ importante, dunque, fare rete con le altre strutture territoriali di servizio, eventualmente sottoscrivendo dei protocolli di intesa, e con le associazioni di volontariato e del terzo settore. Le esperienze in Italia non sono numerose, ma alcune hanno riscosso importanti successi. L’inerzia, infatti, determina uno stato di prostrazione 14 e di sfiducia e rende insopportabile la condizione detentiva. La possibilità di lavorare, viceversa, offre una prospettiva di miglioramento e la possibilità di organizzare diversamente le giornate. Soprattutto tra i condannati in via definitiva si registra una diminuzione dell’autostima che può minare ogni desiderio di riscatto e di ripresa della vita sociale. E’ invece decisivo offrire occasioni per dimostrare a ciascun detenuto che si è in grado di fare qualcosa di diverso e di socialmente apprezzato. I progetti esistenti in Italia sono diversissimi tra di loro. Alcuni si basano sulla cucina. Nel carcere minorile di Nisida, ad esempio, i giovani detenuti preparano i pasti che poi saranno distribuiti dai volontari della Comunità di Sant’Egidio ai senza fissa dimora della città. A Volterra, nel carcere di massima sicurezza, è stato creato un vero e proprio ristorante che organizza serate di gala. Altrove, però, sono stati realizzati laboratori di falegnameria o di sartoria, spettacoli teatrali, piccole fabbriche per la tostatura e l’impacchettamento di caffè. Anche nel “fare rete” la figura del mediatore culturale può essere preziosa per individuare associazioni con le quali stringere accordi e promuovere le iniziative tra i detenuti, indirizzando in particolare coloro che sembrano accusare maggiori sintomi di isolamento e frustrazione. In ogni caso, è importante notare che dove è stato possibile, ad esempio, avviare dei percorsi di scolarizzazione, si registrano un basso numero di suicidi e di atti di autolesionismo. Fare rete, inoltre, consente di proporre alla comunità territoriale un’immagine diversa del Istituto Penitenziario e di rendere gratificante il lavoro degli operatori e meno penosa l’esperienza degli ospiti. 2.5.Motivare e aggiornare il personale Il personale è la risorsa principale di tutte le strutture che si confrontano quotidianamente con un’utenza. Da questo punto di vista, le strutture penitenziarie non fanno eccezione. Anzi, è possibile affermare che proprio negli Istituti Penitenziari ci sia una maggiore necessità di momenti di aggiornamento e di confronto per evitare di interpretare i momenti di difficoltà come fallimenti personali. L’aggiornamento può rappresentare esso stesso una forma di motivazione, a patto che non sia ridotto alla sterile comunicazione dell’ultima normativa o dell’ultimo provvedimento ministeriale. Ogni operatore si scontra con 15 pubblica accoglienza una realtà complessa, nella quale si intersecano più piani: comunicativo, antropologico, psicologico, normativo, esistenziale. E’ essenziale che tutti i diversi aspetti abbiano la loro dignità. D’altro canto, gli stessi testi normativi, soprattutto le leggi di rango più elevato, scaturiscono da una riflessione complessiva sulla condizione umana. E’ importante che i momenti di aggiornamento rappresentino anche occasioni per ridefinire i confini della deontologia professionale. Ogni professione, infatti, non resta mai identica a se stessa ma, con il trascorrere degli anni, si modifica. Oggi, nelle carceri, oltre a tanti migranti si trovano anche moltissimi soggetti marginalizzati e vittime di esclusione sociale. In questo senso, gli Istituti Penitenziari, anche attraverso un’adeguata valorizzazione e formazione del personale, possono recuperare il senso della propria mission. 2.6.Tutelare i diritti di chi vive nei penitenziari La tutela dei diritti degli internati e dei condannati è una questione che, in Italia, si scontra con un’insufficienza cronica di risorse che origina condizioni di sovraffollamento e di vita tali che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per tortura (sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013)1. Evidentemente, nel caso dei migranti, la tutela dei diritti passa attraverso una diffusa consapevolezza, da parte degli operatori, di quali siano tali diritti e quali siano i percorsi di accesso ai medesimi. Nel caso dei servizi sociali, spesso le strutture erogano prestazioni in maniera del tutto disarticolata rispetto al beneficiario. Negli Istituti Penitenziari, ma l’esempio vale anche, per le strutture sanitarie, il recluso perde lo status di uomo, donna, padre, madre, lavoratore per acquisire esclusivamente quello determinato dal reato e dalla condanna. Tuttavia, le normative prevedono a buona ragione interventi individualizzati e consentono, in base alla condizione sociale e economica di ciascun internato, di godere di benefici differenti. 1 Tra i ricorrenti, oltre a Fermo Mino Torreggiani, compaiono anche due cittadini marocchini, un albanese e un ivoriano. La Corte ha condannato l’Italia per avere infranto l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che recita “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. 16 3. PICCOLA BUSSOLA NELL’OCEANO NORMATIVO Negli Istituti Penitenziari spesso ci si dimentica che i migranti devono essere iscritti al Servizio Sanitario Nazionale o che hanno la possibilità, 60 giorni prima o dopo della scadenza, di produrre istanza per il rinnovo del permesso di soggiorno. Il rischio, insomma, è che si ripeta stancamente sempre la stessa routine, senza distinguere tra condizioni e storie personali. Tra i diritti tutelati rientra anche la libertà religiosa, ribadita dalla L. 633/1986 e dal DPR 230 del 30 giugno 2000. In molti casi, questa dimensione all’interno delle strutture detentive è sottovalutata, anche perché si teme che la pratica cultuale possa istigare atti violenti. E’ il caso soprattutto dei fedeli islamici, fatti oggetto di una campagna mediatica di disinformazione. Così, quando tutto va bene, ci si limita a rispettare che le tabelle vittuarie tengano conto, nella misura del possibile, di quanto previsto dalle prescrizioni delle singole religioni. E’ invece opportuno condurre una riflessione un po’ più approfondita sull’importanza della pratica religiosa nelle carceri che, si ricorda, non può mai essere imposta. Contenuti trasversali in tutte le grandi religioni sono i concetti di purificazione, redenzione, peccato, pena, perdono. Nel caso dell’Islam, ad esempio, il ramadan corrisponde ad un periodo di digiuno e purificazione, quello in cui, insomma, si chiede il perdono dei peccati commessi e la festa conclusiva (la principale festività islamica) è quello in cui i fedeli ricevono il perdono. Ricevere il perdono è la condizione indispensabile per poter intraprendere un percorso diverso, per ricominciare a vivere rettamente. E’ dunque evidente come consentire di celebrare il ramadan significhi offrire ai credenti dell’Islam la possibilità di riacquistare un equilibrio psicologico, di rielaborare il male compiuto e scegliere di cambiare comportamento. Anche il caso del Natale è significativo. Nato come festa pagana, il Natale è festeggiato in ogni parte del mondo, indipendentemente dalla religione professata, come momento nel quale si compie il bene (è il cosiddetto “spirito natalizio”). Proprio nelle case circondariali, la cura di questi aspetti psicologici è fondamentale per restituire ad ogni recluso una prospettiva differente, di accettazione e non di esclusione sociale. Per aiutare il compito degli operatori dei penitenziari, viene qui offerta una sintetica tabella su alcuni aspetti normativi che è bene conoscere e mettere in pratica. 17 Gratuito Patrocinio DPR 115/2002 - titolo I; Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà civili fondamentali, art. 6, comma3 lettera C. Diritti e dei doveri DPR 30 giugno 230; dei detenuti e Decreto del Ministro della degli internati Giustizia 5 dicembre 2012 Approvazione della "Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati". Norma di riferimento Procedura La carta contiene: informazioni relative all'ingresso dalla libertà; diritti esercitabili nella vita quotidiana; norme relative a istruzione, attività ricreative, lavoro, compenso e trasferimenti; rapporti con la società esterna; permessi; liberazione anticipata; misure alternative alla detenzione; regimi di detenzione speciali; norme relative a detenute gestanti, madri puerpere e madri con figli; dismissione. Per quello che riguarda i detenuti stranieri, la Carta riconosce loro • il diritto di chiedere che le autorità consolari siano o meno informate dell'arresto; • di ricevere l’estratto delle norme nella propria lingua; • di effettuare telefonate e colloqui con l’ausilio di un interprete; • di soddisfare le proprie abitudini alimentari e le loro esigenze di vita religiosa e spirituale. Hanno inoltre il diritto a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno entro i termini previsti dalla legge. Tre sono le condizioni per essere ammessi al gratuito patrocinio: Reddito, Tipo di controversia, Ragioni non manifestatamente infondate. L'ammissione può essere richiesta per ogni grado e per ogni fase del processo. La domanda si presenta presso l'ufficio del Magistrato davanti al quale pende il processo e quindi: alla cancelleria del GIP se il procedimento è nella fase delle indagini preliminari; alla cancelleria del giudice che procede, se il procedimento è nella fase successiva; alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato se il procedimento è davanti alla Corte di Cassazione. Descrizione sintetica La Carta è consegnata a ciascun detenuto al suo ingresso in istituto. Consente il migliore esercizio dei suoi diritti ed assicura la maggiore consapevolezza delle regole del carcere. La Carta è messa a disposizione per la consultazione nella sala colloqui di ogni singolo istituto ed è messa a disposizione anche dei familiari dei detenuti sul sito internet del Ministero della Giustizia. Deve essere tradotta nelle lingue degli stranieri. Il gratuito patrocinio è un istituto che consiste nel riconoscimento dell'assistenza legale gratuita, ovvero a carico dello stato, a chi non ha i redditi necessari per potersi permettere un avvocato. Messaggistica interna del Ministero dell’Interno n. 2007070314262316984 relativa alle procedure di presentazione delle istanze di rinnovo/richiesta del permesso di soggiorno degli stranieri ospitati presso Istituti religiosi o ristretti in istituti penitenziari. Testo Unico sull'Immigrazione di seguito "TUI" (Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286) Rinnovo del permesso di soggiorno Allontanamento obbligatorio dall’Italia Il cittadino straniero è ALLONTANATO dal territorio italiano se: non ha i requisiti per entrare in Italia; non ha i requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno; commette reati per i quali è prevista come misura alternativa o sostitutiva o accessoria l’uscita dall’Italia Se il detenuto straniero è titolare di permesso di soggiorno, e la sua intenzione è quella di restare in Italia al fine pena, 60 giorni prima della scadenza del proprio titolo di soggiorno può chiederne il rinnovo. È possibile richiedere il rinnovo anche entro i 60 giorni successivi alla data di scadenza del permesso di soggiorno (termine ordinatorio e non perentorio). I provvedimenti con cui lo Stato italiano dispone l’allontanamento dal suo territorio dei cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e degli apolidi che non hanno titolo per soggiornarvi, si suddividono in due grandi categorie: i respingimenti e le espulsioni (per le rispettive procedure vedere i riquadri seguenti). Le richieste dovranno essere inoltrate corredate di idonea documentazione attestante lo stato di detenzione, presso l’ufficio postale più vicino alla struttura; le domande dovranno essere presentate a cura di un operatore penitenziario appositamente individuato dalla struttura. La questura competente può: a) tenere la pratica in sospeso fino al fine pena; b) può emettere subito un decreto di rifiuto. Nel secondo caso si può attivare il ricorso al T.A.R. competente entro 15 giorni, chiedendo la sospensione della decisione fino a fine pena, momento in cui sarà possibile esaminare in concreto la condizione di pericolosità sociale del detenuto, anche alla luce della condotta tenuta in carcere e dei percorsi di reinserimento avviati. Se oltre il rifiuto del rinnovo del permesso viene notificata al detenuto un’espulsione amministrativa, si deve presentare ricorso, entro 10 giorni dalla notifica del decreto di espulsione, al Giudice di Pace dello stesso luogo della Questura che ha emesso l’espulsione. Le espulsioni sono i provvedimenti, scritti e motivati, con cui viene disposto l’allontanamento dal territorio dello Stato degli stranieri che non hanno, o hanno perso, il diritto di soggiornarvi. Tale provvedimento obbliga lo straniero a lasciare il territorio dello Stato e a non farvi rientro per un periodo minimo di 3 anni, fino ad un massimo di 5 anni, salvo periodo maggiore per soggetti pericolosi. Le espulsioni hanno diverse TUI, artt. 10 e 19 TUI, artt. 13 e 14 Allontanamento obbligatorio dall’Italia Casi di divieto di respingimento Allontanamento obbligatorio dall’Italia Espulsione Allontanamento obbligatorio dall’Italia Respingimento I respingimenti possono essere di due tipi: a) Respingimento alla frontiera; b) Respingimento disposto dal questore. Nel primo caso, la Polizia di Frontiera respinge lo straniero che si presenta ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti per l’ingresso nello Stato, mentre nel secondo caso lo straniero pur sottraendosi ai controlli di frontiera, viene momentaneamente ammesso per motivi di soccorso. Il respingimento non si applica nei casi di richiesta di asilo, di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione temporanea per motivi umanitari. In nessun caso può disporsi il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, ovvero possa essere rinviato verso altro Stato in cui non possa essere protetto dalla persecuzione. TUI, artt. 10 e 19; D.lgs.vo 30/2007 (per i soli cittadini comunitari) L’espulso può rivolgere istanza di rientro al Ministero dell’Interno ed essere autorizzato a rientrare prima del termine (art.13 co.13 TUI). Avverso il provvedimento di espulsione può essere presentato entro 60 giorni ricorso al Giudice di Pace del luogo ove ha sede l’Autorità che l’ha disposta. In questo caso si procede con l'iter ordinario relativo alle modalità previste dalla legge per la richiesta dell'asilo politico. Il respingimento alla frontiera è un provvedimento scritto, motivato e tradotto (nel caso lo straniero non comprenda la lingua italiana) adottato dalla polizia di frontiera. I provvedimenti di respingimento non comportano il divieto di reingresso. La legge prevede inoltre che agli stranieri respinti sia fornita l’assistenza necessaria presso i valichi di frontiera, senza però alcuna ulteriore specificazione. Prevede altresì che il respingimento di persone vulnerabili sia effettuato con modalità compatibili con le specifiche condizioni personali, ove siano debitamente accertate. Manifestazione della libertà religiosa e di pratiche di culto Allontanamento obbligatorio dall’Italia Casi di divieto di espulsione Questa legge indica nella professione della propria religione e nella pratica dei culti, veri e propri diritti dei detenuti. L'individuazione del trattamento rieducativo si avvale della libertà riconosciuta ai detenuti stranieri di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto secondo il principio di uguaglianza e di parità di trattamento. Legge 26 luglio 1975 n. 354, art. 26. (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà); DPR 30 giugno 2000. di • La legge prevede dei veri e propri divieti di espulsione nei seguenti casi: stranieri che abbiano presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale; • stranieri che rischiano di essere perseguitati; • stranieri minori di età; • stranieri coniugi o parenti fino al secondo grado conviventi con cittadino italiano; • donne incinta o che abbiano partorito da meno di sei mesi il figlio. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può inoltre stabilire le misure di protezione temporanea da adottare, anche in deroga alle disposizioni del TUI, per rilevanti esigenze umanitarie (potere discrezionale del questore). modalità Legge 26 luglio 1975 n. 354, art. 26. (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà); DPR 30 giugno 2000. tipologie, presupposti, esecuzioni ed effetti. I detenuti hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto. A tal fine possono far richiesta alla direzione dell'istituto di avvalersi di tale diritto. La direzione, al fine di assicurare ai detenuti e agli internati che ne facciano richiesta l'istruzione e l'assistenza spirituale, nonché la celebrazione dei riti delle confessioni diverse da quella cattolica, si avvale dei ministri di culto indicati da quelle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato italiano sono regolati con legge; si avvale altresì dei ministri di culto indicati a tal fine dal Ministero dell'interno. E’ un provvedimento con ampia discrezionalità, privo di controllo giurisdizionale, salva la possibilità successiva di presentare ricorso al giudice amministrativo. A differenza dell’espulsione, non impedisce un nuovo ingresso regolare nel territorio dello stato. Dopo la consegna del provvedimento, si appone un timbro di ingresso, poi barrato con una croce, ovvero si appone la dicitura “annullato” sul visto di ingresso. pubblica accoglienza 4. UN MONDO POSSIBILE? E’ lecito porsi la domanda se le presenti linee guida siano praticabili all’interno delle case circondariali e siano conformi ai criteri di legge. Ebbene, già a partire dalla riforma del sistema penitenziario introdotta dalla L. 354 del 1975 (quasi 40 anni fa!) prendono avvio tutta una serie di cambiamenti tesi a incidere profondamente sulla condizione dei detenuti2. Tutto il titolo I della L. 354 è dedicato al trattamento penitenziario e l’articolo 1 si apre con un esplicito richiamo agli art. 3 e 27 della Costituzione, cioè ai principi di dignità e umanità. E’ la lettura del c. 6, però, a dare un’importante indicazione operativa. Recita, infatti, il comma: “Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda anche, attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”. Si ritrovano, dunque, nel comma due delle indicazioni delle presenti linee guida: il contatto con l’esterno (fare rete) e il criterio di individualizzazione (tutelare i diritti della persona). Questa impostazione normativa è stata ulteriormente rafforzata dal DPR 230 del 30 giugno 2000. In particolare, la normativa prevede “l’accertamento dei bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali” e l’acquisizione e la valutazione “di dati giudiziari e penitenziari, clinici, psicologici e sociali” (art. 27). Insomma, il DPR prevede già un attento monitoraggio dei bisogni, consigliato anche dalle presenti linee guida e l’articolo 28 è interamente dedicato all’osservazione della personalità mentre il 35, seppure bevemente, indica alcuni diritti dei “detenuti e internati stranieri”. Infine, è del 6 giugno 2007 la CM dedicata ai “detenuti provenienti dalla libertà” che detta le regole di accoglienza e le linee di indirizzo. Si tratta di un testo normativo di grande rilievo, poiché con estrema sintesi, indica le azioni da compiere soprattutto con riguardo ai nuovi giunti. L’intento dichiarato è quello di attenuare gli effetti della carcerazione e ridurre il rischio suicidario, autolesionistico o eterolesionistico. 2 L. 354 del 26 luglio 1975 recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà” 22 La presenti Linee Guida e l’intero progetto Pubblica Accoglienza sono in profonda sintonia con le linee di indirizzo ministeriali. Si richiama innanzitutto la necessità di costituire una équipe multiprofessionale. Tra le figure esplicitamente richiamate ci sono, oltre agli agenti di polizia penitenziaria, agli assistenti sociali e agli educatori, medici, infermieri, psicologi, psichiatri, specialisti del terzo settore e mediatori culturali. La proposta, esplicita, è quella di case circondariali che si aprono alla relazione con le strutture del pubblico e del volontariato, attraverso l’adozione di un nuovo modello organizzativo. L’attenzione si focalizza soprattutto sulla fase di accoglienza e, per i nuovi giunti stranieri, è previsto l’intervento dell’educatore e del mediatore culturale, la formazione degli agenti di polizia penitenziaria, la produzione e diffusione di materiale informativo tradotto nelle lingue maggiormente diffuse tra la popolazione detenuta. Le presenti linee guida, dunque, non rappresentano forse uno strumento particolarmente innovativo. Intendono però offrire uno spunto di riflessione a tutti coloro che lavorano all’interno delle case circondariali, nella convinzione che proprio agli agenti, agli educatori e agli assistenti sociali spetti il compito di cambiare le condizioni di vita dei detenuti e educare la società a guardare al sistema penitenziario come ad un’opportunità e non uno scandalo. E’ questa la prospettiva in cui ha agito il progetto Pubblica Accoglienza. Del resto, il quadro delle case circondariali della Calabria contiene ombre ma anche luci. L’interesse e la disponibilità degli operatori e degli agenti di polizia penitenziaria ne sono una prova ulteriore. 23 pubblica accoglienza Ringraziamenti Le linee guida sono state realizzate da CIDIS Onlus nell’ambito del Progetto Pubblica Accoglienza e curate da Dario Spagnuolo, Debora La Rocca, Laura De Rosa e Maurizio Alfano. Un particolare ringraziamento va alle istituzioni che hanno partecipato alle attività previste dal progetto, il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria e gli Istituti Penitenziari “Rosetta Sisca” di Castrovillari, “Ugo Caridi” di Catanzaro, “Sergio Cosmai” di Cosenza, Crotone, “Luigi Daga” di Laureana di Borrello, Locri, “Filippo Salsone” di Palmi, Paola, Reggio Calabria “Arghillà”, “Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria, Rossano, Vibo Valentia e gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna di Catanzaro, Cosenza, e Reggio Calabria. Siamo inoltre riconoscenti, in particolare, al Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Dott. Salvatore Acerra, al Direttore dell’Ufficio dell’Organizzazione, delle Relazioni del Personale e della Formazione Dott. Rosario Tortorella, al Responsabile del Settore della Formazione Dott. Calogero Busuito, ai Direttori e agli operatori penitenziari delle strutture che ci hanno accolto il Dott. Filiberto Benevento Direttore della Casa Circondariale “Sergio Cosmai” di Cosenza, la Dott. ssa Maria Carmela Longo Direttore della Casa Circondariale “Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria e il Dott. Mario Antonio Galati Direttore della Casa Circondariale di Vibo Valentia. Vogliamo esprimere la nostra gratitudine anche a tutti gli operatori e i mediatori coinvolti nelle attività di aggiornamento e sperimentazione previste dal progetto, che hanno collaborato con disponibilità e professionalità. Sono questi, soprattutto, il volto della Pubblica Accoglienza. 24