Friendly
Progetto FRIENDLY
La conciliazione
fra responsabilità lavorativa e familiare
FSE 2000-2006 Obiettivo 3 POR Piemonte
Asse E Misura E1 Linea 3 Azione 3.1.4.
Hanno collaborato al progetto:
■ Per la Provincia di Torino:
Maria Pia Brunato, Presidente del Comitato Pari Opportunità
Barbara Alberico, Comitato Pari Opportunità
Elda Angiolini, Vice Presidente del Comitato Pari Opportunità
Silvana Grasso, Comitato Pari Opportunità
Ivana Melli, Consigliera di Parità Supplente
Paola Merlino, Consulente di Fiducia
Paola Paggiola, Comitato Pari Opportunità
Francesca Ricciarelli, Dirigente Servizio Relazioni Sindacali
e Gestione del Contenzioso
Maria Romanazzo, Comitato Pari Opportunità
Aurora Tesio, Presidente IX Commissione Consiliare
per le Pari Opportunità
Laura Vinassa, Responsabile Ufficio Pari Opportunità
■ Per S. & T.:
Elisabetta Donati, Responsabile della Ricerca
Paola Gargano, Responsabile della Progetto
e inoltre
Monica Andriolo
Federica Donna
Paola Ferrari
Giuseppe Fidone
Federica Gentile
Francesco Scavo
Nicoletta Sgroi
Alberta Pasquero
Francesca Platania
2
pag.
5
■ Il Comitato Pari Opportunità
pag.
6
■ Il progetto Friendly:
contenuti e metodologie
pag.
7
■ Il ruolo dei Fondi Strutturali
pag.
8
■ La conciliazione
fra responsabilità familiari e lavorative
pag. 10
■ La ricerca, l’indagine, i risultati
pag. 16
■ Un Set di iniziative
a favore della conciliazione
pag. 41
■ Focus Group
pag. 52
■ Leggere in un’ottica di genere
i documenti di indirizzo della Provincia di Torino
pag. 54
■ In Allegato
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
pag. 55
Sommario
Sommario
■ Introduzione
3
L’auspicio è che questo lavoro svolto in Provincia di Torino possa essere utile ad altri
enti ed istituzioni. Per quanto riguarda la Provincia di Torino, non v’è dubbio che i risultati
della ricerca e l’azione di sensibilizzazione condotta abbiano permesso da un lato di dare
una maggiore e meritata visibilità al Comitato Pari Opportunità, dall’altro abbiano consentito di individuare i passi successivi che sarà necessario mettere in atto per dare
attuazione al Piano di Azioni Positive che la Provincia ha adottato.
Certo, la Provincia di Torino non avvia oggi il suo impegno a favore delle pari opportunità:
molte sono le iniziative intraprese a favore delle donne e soprattutto delle più deboli,
quelle che più di altre hanno bisogno del sostegno delle istituzioni. Ma un’istituzione è
coerente se attua al proprio interno ciò per cui si impegna nei confronti del territorio.
Di qui la necessità e l’attualità del progetto Friendly, ovvero di avviare interventi che
non solo migliorino le condizioni di vita delle donne nel lavoro, ma consentano di valorizzare di più e meglio le competenze e permettano di aiutare le dipendenti nei momenti in cui hanno più bisogno di essere sostenute come per esempio al momento del rientro dalla maternità.
Si avverte in generale un’aspirazione al passaggio dalle dichiarazioni di intenti ai fatti
concreti: è in questa direzione che intende continuare ad operare il Comitato Pari Opportunità le cui componenti avranno sempre più il compito di rappresentare il desiderio di innovazione come parte essenziale delle politiche dell’ente e delle organizzazioni
sindacali.
Sarà così possibile dare concretezza a tutti gli impegni contenuti nel Piano di Azioni
Positive e favorire la crescita di un clima più favorevole alle donne, al loro valore professionale e alla carriera.
La Presidente del Comitato Pari Opportunitàdella Provincia di Torino
Maria Pia Brunato
Introduzione
Introduzione
Con il progetto Friendly la Provincia di Torino ha potuto realizzare un’iniziativa che le
ha consentito di cogliere, attraverso l’indagine svolta fra coloro che lavorano al suo
interno, quali misure potranno essere adottate per consentire una più “amichevole”
conciliazione fra responsabilità di lavoro e familiari che sono ancora oggi un problema
a carico delle donne ma che anche gli uomini cominciano a percepire in modo nuovo e
differente dal passato. Friendly è stato attuato con il sostegno dell’asse E del Fondo
Sociale Europeo del Piemonte: i risulatati potranno così essere condivisi attraverso il
coordinamento che la Regione Piemonte potrà mettere in atto.
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Il Comitato Pari Opportunità
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Il Comitato Pari Opportunità della Provincia di Torino istituito nel 1988, è presieduto
dall’Assessore alle Pari Opportunità e ne fanno parte, in misura uguale, rappresentanti
dell’Amministrazione e delle Organizzazioni Sindacali.
Il Comitato è un organismo propositivo e consultivo, previsto dal Contratto Collettivo
Nazionale di Lavoro degli Enti Locali, per diffondere i principi di parità e pari opportunità fra uomini e donne all’interno della Provincia.
È altresì il soggetto preposto, dal Contratto Nazionale, alla verifica delle iniziative
assunte per favorire le reali pari opportunità nelle condizioni di lavoro e di sviluppo
professionale.
Suo obiettivo primario, è quello di favorire le effettive pari opportunità fra donne e
uomini nell’ambito lavorativo e di sviluppo professionale, prendendo anche in considerazione la posizione delle lavoratrici in seno alla famiglia.
Al fine di perseguire tale obiettivo tra i compiti che si prefigge il Comitato, troviamo l’individuazione dei fattori che ostacolano le effettive pari opportunità nel lavoro, promuovendo iniziative atte al loro superamento e proponendo interventi idonei a conciliare il
lavoro e la vita familiare (orari di lavoro, sviluppo di forme di lavoro flessibile, part-time,
telelavoro ecc.), nonché tutelare la dignità delle persone nei luoghi di lavoro.
A tale proposito il Comitato Pari Opportunità ha attuato un’azione di grande rilevanza
attraverso l’adozione dell “Regolamento di attuazione del codice di comportamento per
la tutela della dignità sul lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori della Provincia di
Torino”. In esso vengono disciplinate le procedure di tutela dei dipendenti da comportamenti molesti o discriminatori; inoltre viene istituita la figura del Consulente di Fiducia,
nominato direttamente dal Presidente della Provincia, che svolge funzioni di assitenza e
consulenza ai/alle dipendenti provinciali che subiscono molestie sessuali o psicologiche. Il Consulente viene scelto tra le persone candidate, esterne o interne all’Ente, in
possesso di un’adeguata preparazione, esperienza e capacità professionale.
Tra le altre azioni sviluppate dal Comitato ci sono: i soggiorni estivi per i figli dei dipendenti dai 6 ai 17 anni; l’informazione e la divulagazione attraverso bollettini; seminari
sui temi di pari opportunità; l’inserimento di moduli di “pari opportunità’’ all’interno dei
corsi formativi di carattere generale per i dipendenti; la ricerca sulle condizioni di
lavoro nell’Ente.
La metodologia applicata per la realizzazione del progetto ha costituito un elemento
innovativo in quanto, grazie all’integrazione di strumenti quali da un lato l’indagine e la
ricerca in materia di conciliazione e dall’altro l’analisi dei documenti di programmazione dell’ente e l’individuazione della collocazione delle lavoratrici all’interno dell’organigramma, è stato possibile delineare un quadro dettagliato della struttura, sottolineando gli aspetti su cui concentrare il lavoro futuro del Comitato Pari Opportunità e
della Provincia nel suo complesso.
Il Progetto Friendly: contenuti e metodologie
contenuti e metodologie
Il Progetto Friendly:
Il progetto Friendly, promosso dal Comitato Pari Opportunità della Provincia di Torino,
finanziato sul FSE 2000-2006 Obiettivo 3 Misura E1 del Programma operativo Regionale
della Regione Piemonte ed attuato da S&T agenzia specializzata in progetti di pari
opportunità, ha avuto inizio nel maggio 2003 e si è concluso nel maggio 2004.
Il progetto inteso a promuovere la diffusione della cultura di pari opportunità e di buone prassi che migliorino il contesto lavorativo per renderlo più amichevole (friendly)
nei confronti delle lavoratrici, ha assunto come valore nuovo e praticabile la conciliazione fra responsabilità di lavoro e responsabilità familiari, anche nell’ottica di favorire
la progressione di carriera delle donne che lavorano nella Provincia di Torino. Per
identificare proposte concrete a favore della conciliazione, l’intera popolazione dell’ente provinciale è stata coinvolta in un’indagine volta ad individuare le esigenze
dei/delle dipendenti dell’ente in materia di conciliazione fra lavoro e vita privata, forme
flessibili degli orari e degli spazi di lavoro e servizi di conciliazione dalla quale è emerso un forte e soprattutto accresciuto interesse per gli argomenti trattati. Le tematiche
affrontate dall’indagine sono state approfondite con la ricerca svolta nei mesi successivi all’avvio del progetto.
Al fine di integrare le azioni previste da Friendly con le attività della Provincia di Torino
in materia di conciliazione, il Piano di Azioni Positive è stato implementato con elementi di flessibilità conciliativa per migliorare la qualità del lavoro e della vita delle
lavoratrici dell’ente, per far sì che questi elementi possano costituire un obiettivo prioritario per l’ente medesimo.
Il progetto Friendly ha costituito un momento importante di confronto su temi di grande
rilevanza: la conciliazione fra i tempi di vita e i tempi di lavoro, le nuove forme di lavoro
flessibile; ciò si è attuato attraverso una fase di ricerca, lo studio di esperienze analoghe, l’individuazione di un “set di iniziative” a favore della conciliazione e la predisposizione di uno studio di fattibilità per l’eventuale realizzazione di un nido aziendale in
Provincia di Torino. Questi elementi costituiscono una base solida per favorire l’avvio
di azioni positive volte a migliorare la qualità di lavoro e di vita delle lavoratrici dell’ente. Esiste dunque, e si intende rafforzare nel tempo, il legame fra i risultati del progetto
e il Piano di Azioni Positive già adottato: questo consentirà di dare valore aggiunto ai
risultati del progetto e incoraggiare la trasferibilità attraverso la diffusione che verrà
fatta coinvolgendo i Comitati Pari Opportunità di altri enti con cui sono già stati avviati
contatti nel corso del progetto.
Dato l’interesse manifestato dai/dalle dipendenti in merito alla possibile sperimentazione di forme di lavoro flessibile, è stato organizzato un incontro con i dirigenti della
Provincia di Torino. Il coinvolgimento dei vertici della struttura è stato ritenuto indispensabile per garantire continuità alle attività avviate con il progetto Friendly.
L’obiettivo infatti è quello di utilizzare gli elementi raccolti in questo anno di lavoro per
poter avviare sperimentazioni di forme di lavoro flessibile ed un progetto di servizio di
conciliazione fruibile dai/dalle dipendenti dell’ente. In questo modo la Provincia di
Torino potrebbe rappresentare un’esperienza di eccellenza fra gli enti pubblici, in grado di utilizzare la risorse rese disponibili a tal fine dalle norme nazionali e regionali in
materia.
7
Il ruolo dei Fondi Strutturali
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L’Unione Europea riconosce le pari opportunità tra donne e uomini come uno dei fattori
che concorrono alla promozione di uno sviluppo duraturo dell’Europa: per questo, l’impegno comunitario a favore dell’uguaglianza di opportunità è elemento essenziale delle
strategie per l’occupazione, che, di conseguenza, si propongono come esempio particolarmente valido di quali possono essere le conseguenze positive derivanti dall’inclusione della dimensione di genere nel più ampio contesto di sviluppo di un processo
economico coordinato di grande respiro. Occorrono notevoli risorse in termini di tempo,
risorse umane, esperienza per abbattere le barriere che si frappongono allo sviluppo di
una prospettiva di genere in tutti i campi e le attività: per questo, la stessa Commissione
Europea invita gli Stati membri a promuovere azioni ed eventi volti ad attuare il duplice
approccio del mainstreaming e della azione positiva, che sono le direttrici maestre individuate per una reale promozione dell’uguaglianza di opportunità.
L’approccio descritto costituisce una priorità all’interno dell’attuazione di iniziative
cofinanziate dai Fondi Strutturali, principale strumento comunitario fondato sui quattro
“pilastri” che sostengono la SEO - Strategia Europea per l’Occupazione (pari opportunità, occupabilità, imprenditorialità, adattabilità)-, che operano per promuovere la coesione, migliorare l’occupazione e l’integrazione a raggiungere uno sviluppo sostenibile
e, insieme, rappresentano un momento particolarmente importante per la definizione
delle strategie di parità e pari opportunità adottate dall’Unione. Essi costituiscono un
ambito concreto di applicazione del principio di mainstreaming di genere e, per il sessennio 2000-2006, esprimono la loro valenza in questo senso facendo del mainstreaming un obbligo, inserendo trasversalmente a tutte le tipologie di intervento le pari
opportunità come una delle tre tematiche considerate fondamentali nella strategia di
sviluppo dell’Unione (insieme a sviluppo locale e società dell’informazione).
Il contributo che l’insieme dei Fondi Strutturali ha dato a questi obiettivi può essere
considerato significativo ma ancora largamente migliorabile: è ciò che emerge dalla
lettura di genere della programmazione nazionale e regionale, dall’articolazione delle
direttive e dei bandi e dall’attuazione dei primi tre anni di programmazione 2000-2006.
In specifico, il Fondo Sociale Europeo è primario riferimento nella politica di promozione dell’uguaglianza di opportunità tra donne e uomini, in quanto strumento fondamentale per l’investimento sulle risorse umane perseguito dall’Unione: il suo scopo è infatti
quello di migliorare le prospettive di quanti incontrano le maggiori difficoltà – e tra questi le donne – nel trovare, mantenere o eventualmente riconquistare un posto di lavoro.
L’azione del Fondo Sociale si esplica in cospicui finanziamenti a favore di quelle azioni
che contribuiscono a sviluppare o a rigenerare l’occupabilità delle persone: questo
compito, di vitale importanza, è diretto a fornire alle persone le giuste competenze professionali, migliorando così la loro fiducia nelle proprie capacità e la loro adattabilità
al mercato del lavoro. Esso consente a milioni di persone in tutta l’Unione di ricoprire
una funzione più completa all’interno della società e, in tal modo, migliora la qualità
della vita dell’intera cittadinanza europea: con il suo potenziale, può allora essere uno
strumento vincente per creare un moderno mercato del lavoro in cui donne e uomini
possano veramente usufruire di uguali opportunità.
Risulta allora evidente come, in una prospettiva di promozione ad ampio spettro dalla
parità e delle pari opportunità per le donne, il Fondo Sociale Europeo costituisca strumento determinante nell’attenzione che le Istituzioni e i soggetti pubblici e privati che
operano a favore dello sviluppo del territorio possono e sono tenuti a dimostrare nei
confronti delle potenzialità della presenza femminile nel mondo lavoro.
La Commissione Europea richiama l’attenzione sul fatto che vengano promossi regimi
di congedi parentali, ma sottolinea altresì la necessità di prevenire gli effetti negativi
che questi possono determinare allorquando sia solo la donna ad allontanarsi dal
posto di lavoro in quanto, nel lungo periodo, potrebbero impoverirne le competenze o,
Il ruolo dei Fondi Strutturali
addirittura, non consentirne più il rientro. A livello nazionale si può, senza dubbio, rilevare un’attenzione maggiore verso la promozione di azioni specificamente dirette al miglioramento delle condizioni di vita per rispondere meglio ai bisogni delle donne, ma si rilevano ancora molte difficoltà nell’impostare tali interventi in una
logica di integrazione tra quelli predisposti in ambito FSE e gli interventi a valere sugli altri fondi strutturali,
tanto più in sinergia con gli interventi promossi con risorse nazionali e regionali dedicate allo sviluppo dell’occupazione e dei servizi. Il dato più preoccupante e, nel contempo, più significativo, che deve indurre a riflettere è la quasi completa assenza di progetti di conciliazione nei territori dell’Obiettivo 1, mentre nelle aree
Obiettivo 3 c’è stato un ricorso esclusivo alle risorse dell’Asse E del Fondo Sociale Europeo.
In ambito piemontese - tenendo conto delle problematiche individuate dalla Regione sul proprio territorio quali
la scarsa disponibilità di risorse giovanili e al basso tasso di occupazione degli adulti di entrambi i sessi, con
riferimento soprattutto alle donne tra i 40 e i 50 anni e agli uomini tra i 50 e i 60 anni – il Programma Operativo
Regionale si propone, tra i suoi obiettivi, di aiutare le donne adulte occupate a permanere sul mercato del
lavoro con continuità. Il riferimento è ai macro-obiettivi di conciliazione del lavoro e attività familiare e di compensazione degli svantaggi legati al genere nelle opportunità di occupazione e carriera professionale, oltre
che agli obiettivi trasversali di sostegno allo sviluppo locale e sviluppo della società dell’informazione.
Quello delle Pari Opportunità è l’obiettivo trova una sua specifica collocazione all’interno degli Assi d’intervento, che fanno riferimento alla strategia generale per il FSE, che “consiste nel contribuire ed accrescere l’occupabilità della popolazione in età lavorativa e la qualificazione delle risorse umane, anche attraverso l’imprenditorialità, l’adattabilità delle imprese e dei lavoratori e le pari opportunità tra uomini e donne. Consiste altresì
nel favorire i processi di ammodernamento e innovazione dei sistemi d’istruzione, formazione e lavoro”.
Nel Fondo Sociale Europeo l’Asse dedicato in maniera specifica alle pari opportunità tra donne e uomini è
l’Asse E, che prevede “misure specifiche intese a migliorare l’accesso e la partecipazione delle donne nel
mercato del lavoro, compreso lo sviluppo delle carriere e l’accesso a nuove opportunità di lavoro e all’attività
imprenditoriale, e a ridurre la segregazione verticale ed orizzontale fondata sul sesso nel mercato del lavoro”.
Tuttavia, poiché le pari opportunità sono anche obiettivo trasversale, in quanto parità nelle opportunità d’accesso al lavoro, alla formazione, alle possibilità di mobilità e di creazione di nuovi impieghi o imprese, il
Programma Operativo della Regione Piemonte assume l’impegno a garantire una presenza della popolazione
femminile che orientativamente rifletta le proporzioni presenti tra i destinatari delle diverse misure con cui gli
obiettivi specifici verranno perseguiti entro ogni Asse.
Risulta dunque evidente come, in una prospettiva di promozione ad ampio spettro dalla parità e delle pari opportunità per le donne, fattore determinante è l’attenzione che le Istituzioni possono e sono tenute a dimostrare nei
confronti delle potenzialità della presenza femminile quale forza culturale nel senso più ampio del termine.
La programmazione degli interventi sull’Asse E rientra appieno nella strategia diretta a migliorare e a potenziare la rete di servizi che possono garantire una maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro. Per
essere efficace, tuttavia, tale strategia dovrebbe essere rafforzata dall’intervento integrato dei Fondi al fine di
avviare un processo di mainstreaming delle politiche di sviluppo del territorio.
9
fra responsabilità familiari e lavorative
La Conciliazione
10
L’adozione di una strategia di conciliazione si fonda su una gestione innovativa delle
dinamiche sociali e culturali locali, si realizza in un rapporto di stretto legame con il
tessuto economico e sociale del territorio. In questa prospettiva, il tema della conciliazione esce dalla riduttiva ottica di ricerca di soluzioni per le esigenze personali delle
donne, divenendo, invece, elemento di innovazione dell’organizzazione sociale e del
sistema produttivo, in un sistema integrato di politiche sociali, territoriali, occupazionali maggiormente rispondenti ai bisogni di donne e uomini, nonché alle esigenze di
crescita e competitività del mondo del lavoro.
In questa direzione, esistono interventi rilevanti anche piuttosto recenti: norme sulle
politiche di conciliazione, sullo sviluppo dei servizi pubblici e privati, sulla flessibilizzazione del lavoro; tuttavia, i cambiamenti culturali sono lenti e la crescente partecipazione delle donne al mercato del lavoro non ha comportato modifiche nella distribuzione dei compiti familiari, giacché alle donne resta comunque attribuita la maggior parte
del lavoro di cura. Esiste ancora una marcata asimmetria di genere nella distribuzione
del lavoro familiare e di cura, anche se tra le nuove generazioni emergono segnali di
nuovi comportamenti da parte del genere maschile.
Gli studi sociologici ricordano che solo a partire dagli anni Novanta, con l’introduzione
di una prospettiva di genere nello studio della famiglia, l’attenzione si è spostata sugli
effetti di genere delle politiche sociali, ossia sul modo e sul grado in cui gli interventi
dello stato sociale contribuiscono a costruire e a consolidare specifici modelli di relazione tra i generi: è risultato, allora, che gli interventi di politica sociale non sono neutrali; ci si è più ampiamente interrogati su come e quanto l’introduzione di determinate
misure sociali o il mancato sviluppo di politiche pubbliche per l’infanzia potessero
riflettere assunti di genere rispetto a ruoli, responsabilità, ideologie familiari.
Il moderno stato sociale si è sviluppato, in forma più o meno accentuata, a partire da
un modello di famiglia fondato sul cosiddetto “male breadwinner”, che parte dall’idea
di una divisione del lavoro tra uomini e donne in cui all’uomo adulto è attribuito il ruolo
di procacciatore di risorse (“breadwinner”) e alla donna il lavoro di cura non retribuito
(“homemaking”). Alcuni sistemi di welfare state avrebbero poi successivamente sviluppato modelli di famiglia di tipo dual-earner o dual- breadwinner, in cui viene incoraggiata la compresenza di uomini e donne nel mercato del lavoro attraverso lo sviluppo di diritti sociali di tipo individuale.
Analisi di genere dei sistemi di welfare sono state favorite anche da ricerche e riflessioni sul lavoro di cura (“caring”), che, inizialmente, veniva fatto coincidere con l’attività non retribuita svolta dalla maggior parte delle donne in ambito familiare, ma che si
è poi allargato a comprendere anche l’azione svolta in forma remunerata nell’ambito di
servizi pubblici o privati o di rapporti di lavoro interpersonali.
Occuparsi del lavoro di cura significa quindi prestare attenzione a come le diverse tradizioni di sviluppo di welfare state hanno risolto e socializzato la “cura” in termini di
riconoscimento del valore di tale lavoro e conseguente sviluppo di un sistema di cura
formale pubblico e/o privato, sostitutivo o complementare a quello informale e non
retribuito svolto dalle donne.
Ciò ha messo in evidenza l’importanza che riveste per le donne la presenza di servizi
per l’infanzia e per gli anziani, servizi che, appunto, risultano cruciali per favorire l’accesso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, oltreché favorire una
migliore conciliazione tra attività lavorativa e vita familiare in assenza di una condivisione con il genere maschile.
Tenendo conto di questo quadro, è interessante osservare le rilevazioni ISTAT, da cui
emerge come, nonostante il peso di molteplici ruoli, la soddisfazione espressa dalle
lavoratrici in coppia con figli risulta maggiore rispetto a quella delle casalinghe e pari a
quella dichiarata dagli uomini in coppia con figli, mostrando come il lavoro extradome-
La Conciliazione fra responsabilità familiari e lavorative
stico sia componente essenziale nella vita delle donne e si riflette positivamente anche sulle relazioni familiari.
Infatti, il 78,6% (contro il 60,2% tra le casalinghe) si dichiara molto o abbastanza soddisfatta della dimensione
lavorativa, il 64,4% (contro il 51,4%) della condizione economica, l’88,6% delle condizioni di salute (contro il
77,4%), l’86,8% delle relazioni amicali (contro il 79,5%). Solo il tempo libero vede le casalinghe esprimere maggiore soddisfazione (62,3% contro il 56,4% delle donne occupate), mentre non si rilevano differenze significative
per quanto concerne le relazioni familiari (circa il 92% per entrambe le categorie). La soddisfazione per il lavoro
espressa dalle lavoratrici in coppia con figli risulta pari a quella dichiarata dagli uomini nella stessa condizione
(poco più del 79% per entrambi), senza significative differenze rispetto alla posizione professionale. Se si considerano in particolare le donne giovani (tra i 24 e i 34 anni) che lavorano e vivono in coppia con figli, l’81,5% si
dichiara molto o abbastanza soddisfatta del lavoro, contro il 59,6% delle casalinghe con lo stesso ruolo familiare. Invece, la maggioranza delle lavoratrici in coppia con figli (58,5%) si dichiara insoddisfatta del tempo libero,
rispetto al 49,7% delle casalinghe con le stesse caratteristiche.
Piuttosto, lo schiacciamento dei tempi di vita provocato dal carico di lavoro familiare accanto all’impegno professionale incide sulla percezione di non avere abbastanza tempo per sé. Questo vale per il 58,5% delle donne
lavoratrici con figli fino a 13 anni; ma anche nel caso di ricorso al part-time, dove il tempo liberato dal lavoro
professionale serve per la famiglia e la casa e non per sé: infatti, le donne single hanno spazio per sé al 24,2%
se lavorano a tempo pieno e al 41,4% se a part-time, mentre le donne in coppia con figli fino a 13 anni al 23%
se impegnate a tempo pieno e al 25% se a part-time.
I problemi di conciliazione tra professione e famiglia sono rilevanti e impongono alle donne di dotarsi di strategie di conciliazione: esse usano il part-time, la rete informale di aiuti, servizi pubblici e/o privati.
In particolare, in Italia le reti di aiuto informali hanno sempre avuto un ruolo di grande rilievo: milioni di persone si sono scambiate gratuitamente lavoro di cura, prestazioni sanitarie, prestiti economici, supporti nello studio e nel lavoro durante le diverse fasi della vita. Per decenni, il modello di welfare italiano si è basato sulla
disponibilità della famiglia a sostenere al suo interno e fuori dalle mura domestiche i soggetti più vulnerabili
(anziani, bambini, disabili, disoccupati, ecc.) e in particolare sul ruolo delle donne nel lavoro di cura.
Il coinvolgimento delle donne - come donanti e come riceventi all’interno di un rapporto reticolare di scambio è molto forte anche nella rete parentale, la cui quota maggiore di scambi è data in termini di servizi.
La studiosa inglese Janet Finch parla a questo proposito di “carriere morali” specifiche di genere. Le donne in
particolare, poiché la prevalente divisione del lavoro assegna loro compiti domestici e di cura, sviluppano
comportamenti e propongono immagini di sé tali che i loro familiari si aspettano da loro una maggiore disponibilità degli uomini a prestare aiuto in caso di bisogno. Tuttavia, all’interno di una determinata famiglia e rete
parentale ciò non avviene in modo omogeneo per tutte le donne e, viceversa, può riguardare anche qualche
uomo: dipende, appunto, da come nel corso della vita le scelte e le costrizioni hanno plasmato le “carriere
morali” dei singoli soggetti (Finch, 1989; Finch e Mason, 1993). Alla luce di queste considerazioni, si potrebbe
osservare la difficoltà in cui possono trovarsi un individuo o una famiglia privi di significativi rapporti di parentela, con la notazione che la parentela più “efficiente” è quella in cui sono presenti competenze sia maschili
che femminili, così come sono definite e allocate nella nostra società. Altra questione è poi il fatto che ciò corrisponda concretamente alla effettiva disponibilità (oggettiva e soggettiva) dei singoli. Questo tipo di attese
diversificate per sesso derivanti dagli scambi informali, specie fondati sulla rete parentale, è incorporato più o
meno esplicitamente anche in talune politiche sociali, in particolare in quelle riguardanti gli anziani.
La presenza femminile nel quotidiano, d’altra parte, se rafforza la femminilizzazione dei meccanismi di attivazione della rete di parentela, ne facilita una stereotipizzazione, in una singolare divisione non solo del lavoro,
ma anche del riconoscimento simbolico, per cui delle donne si dice l’affettività, celandone gli aspetti di lavoro
anche molto materiale e manuale e degli uomini si dice lo scambio o il contributo finanziario ed economico e si
cela la relazione affettiva.
Da un punto di vista sociologico, il sistema famiglia-lavoro nella società contemporanea è stato analizzato da
almeno quattro diversi punti di vista o livelli di analisi:
1. la famiglia come ambito di definizione dell’offerta di lavoro;
2. il lavoro domestico-familiare;
3. le interferenze tra tempi di lavoro remunerato, tempi di lavoro familiare, organizzazione della famiglia;
4. famiglia come consumatrice di beni e servizi.
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La Conciliazione fra responsabilità familiari e lavorative
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Sono percorsi di analisi che in larga misura si incrociano e in parte si sovrappongono, ma privilegiando ciascuno una dimensione del cosiddetto sistema famiglia-lavoro. Pertanto, essi risultano tutti di particolare interesse all’interno di una riflessione sulla conciliazione.
Si può considerare la famiglia come ambito di definizione dell’offerta di lavoro, in rapporto al tipo di domanda
proveniente dal mercato o dai mercati di lavoro nazionali e locali, nonché al tipo di bisogni propri della famiglia,
così come vengono definiti sia dalla fase del ciclo di vita, sia dai modelli culturali. L’attenzione, dunque, è rivolta
sia alla domanda di lavoro che alla divisione del lavoro all’interno della famiglia, tra i sessi e tra le generazioni.
In Italia, l’importanza della famiglia come ambito di definizione dell’offerta di lavoro è stata oggetto di attenzione e ricerca forse più che in altri Paesi. All’inizio degli anni Settanta, la presenza di uomini e donne sul mercato del lavoro veniva presentata come speculare alla loro diversa presenza nel lavoro familiare (May, 1973;
Paci, 1978). La “pienezza” della presenza maschile nel mercato del lavoro richiedeva una analoga “pienezza”
di presenza femminile nel lavoro familiare, almeno nelle fasi più esigenti di formazione della famiglia, ovvero in
presenza di figli piccoli, in età prescolare e scolare. Mancanza di servizi per l’infanzia, abitudini alimentari (il
pasto principale di mezzogiorno fatto a casa), assenza di mense scolastiche e aziendali confermavano e prolungavano questa necessità, variamente diffusa ed elaborata dalle donne e dalle loro famiglie.
In altri Paesi (come Stati Uniti e Inghilterra), negli stessi anni, questa interdipendenza tra piena partecipazione
maschile al mercato del lavoro e piena partecipazione femminile al casalingato assumeva una forma in parte
diversa: nel permanere della necessità del lavoro familiare, un’organizzazione parzialmente differente del mercato del lavoro (domanda di lavoro part-time più o meno qualificati e protetti) e dell’organizzazione della vita quotidiana e dei servizi (mense, tempo scolastico prolungato, abitudini alimentari diverse, ecc.) consentiva l’emergere
nella famiglia, accanto al lavoratore principale maschio-marito, anche di altre figure con lavoro remunerato, in
particolare di donne con carichi familiari. È rispetto a questo fenomeno che negli anni Cinquanta e Sessanta si
inizia a parlare di donne “con due ruoli”, di cui emerge il carico con grado maggiore o minore di compatibilità.
In Italia, il fenomeno delle “doppio-lavoratrici” è rimasto a lungo minoritario, anche se oggetto di alcuni interventi di protezione: modelli di genere rigidi, scarsa disponibilità di servizi, prevalenza di occupazioni a tempo
pieno nel mercato del lavoro ufficiale, elevati tassi di disoccupazione maschile in alcune regioni concorrevano
- e in parte tuttora concorrono - a contenere la partecipazione al mercato del lavoro delle donne sposate, specie se con figli (anche se molte donne sono presenti nell’economia informale e nel lavoro nero). Tuttavia,
anche in Italia, a partire dagli anni Ottanta, il progressivo aumento della scolarità femminile, l’indebolimento
del legame matrimoniale, la minor sicurezza dei posti di lavoro hanno condotto una progressiva crescita dell’occupazione femminile, coinvolgendo soprattutto la componente più giovane e in particolare le donne sposate con figli. Secondo gli ultimi dati, alla fine degli anni Novanta, la maggioranza relativa delle donne italiane
con figli piccoli è occupata (anche se con tassi di gran lunga inferiori a quelli francesi e scandinavi), benché
continui ad essere consistente il fenomeno di uscita dal mercato del lavoro dopo qualche anno.
La partecipazione al mercato del lavoro da parte dei vari membri della famiglia è condizionata non solo dalla
qualità della domanda di lavoro, ma anche dalla divisione del lavoro familiare e dai rapporti entro la famiglia, in
termini sia di responsabilità allocate, sia di potere e di definizione degli spazi di autonomia dei singoli. Mutamenti
interni alle relazioni familiari possono provocare mutamenti nell’offerta di lavoro (ad esempio, con donne che
cercano un’autonomia economica e/o una identità professionale); mutamenti nella domanda di lavoro possono a
loro volta produrre cambiamenti nell’offerta e nella stessa organizzazione familiare (ad esempio, la crescita di
domanda di lavoro femminile nei servizi negli anni Settanta e Ottanta ha prodotto profonde trasformazioni nei
comportamenti delle donne, in termini non solo di redistribuzione del tempo, ma anche di aspettative).
Le decisioni interne alla famiglia - più o meno forzate - su chi, quando, a che condizioni si deve o si può presentare sul mercato del lavoro ha conseguenze per la stessa domanda di lavoro; ciò, a sua volta, retroagisce sulle
possibilità occupazionali offerte agli stessi componenti della famiglia, in particolare giovani e donne, confermando l’interdipendenza tra organizzazione familiare e mercato del lavoro. In particolare, la partecipazione delle
donne con carichi familiari costituisce oggi un potente moltiplicatore di domanda di servizi, quindi della domanda
di lavoro in questo campo: servizi di cura, di manutenzione, ristorazione, tempo libero. Viceversa, la decisione di
internalizzare una serie di servizi, se consente alla famiglia di economizzare fruendo del lavoro gratuito delle
donne, tuttavia non solo indebolisce la capacità di produzione e di protezione del reddito delle donne e della
famiglia nel suo complesso, ma riduce anche la domanda di lavoro, aumentando il rischio di disoccupazione.
La Conciliazione fra responsabilità familiari e lavorative
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Si può effettuare una analisi del lavoro domestico-familiare, sia per valutarne la composizione e il valore economico, sia per comprenderne la collocazione nel sistema complessivo famiglia-lavoro. In questo caso, l’attenzione è rivolta a un particolare tipo o complesso di lavoro e al suo eventuale rapporto sia con l’organizzazione della famiglia, sia con l’allocazione di altri lavori.
A partire dagli anni Settanta, la condizione femminile è divenuta oggetto di ricerca soprattutto su due temi: la
partecipazione delle donne al mercato del lavoro (tema che ha portato ad interrogarsi sulle caratteristiche
dell’offerta di lavoro femminile e sulle cause familiari ed extrafamiliari della sua diversa collocazione entro il
mercato del lavoro) e il lavoro domestico come attività necessaria e di specifica competenza femminile.
Le indagini sul lavoro domestico-familiare e gli sforzi di concettaulizzazione che hanno prodotto mostrano la
famiglia contemporanea come ambito e prodotto di un lavoro continuo, capillare, diversificato effettuato per lo
più dalle donne adulte in quanto donne, madri, figlie.
Esiste una costanza negli anni sia della attribuzione alle donne della maggior parte del lavoro domestico, sia
della quantità di tempo da esso richiesto (con orari medi giornalieri che arrivano a 6/8 ore), pur nel variare delle condizioni materiali in cui viene effettuato: infatti, lo sviluppo tecnologico, pur liberando tempo e alleggerendo la fatica, sembra favorire l’emergere di nuove domande di lavoro domestico, di nuovi bisogni e di nuovi
standard, con una richiesta anche di competenze diverse che non vengono più trasmesse da madre a figlia,
ma si acquisiscono sul campo. Molte indagini effettuate in diversi Paesi mostrano come nel secondo dopoguerra il tenore di vita delle famiglie sia migliorato non solo grazie all’aumento dei salari reali, ma anche e
soprattutto per la crescente specializzazione delle donne adulte nelle attività di lavoro domestico. Fino agli
anni Settanta la professione in netta crescita è quella di casalinga, che è indicatore di benessere non nel senso che più mariti possono permettere alle loro mogli di stare a casa, ma nel senso che più famiglie hanno
accesso a una risorsa che integra col proprio lavoro non remunerato il reddito monetario guadagnato dal
marito. L’importanza economica di questo lavoro è stata di recente riconosciuta anche da organismi internazionali come l’ONU, che hanno raccomandato di inserirlo nella valutazione del prodotto nazionale lordo.
L’analisi del lavoro effettivamente svolto dalle mogli-madri all’interno della famiglia ha consentito di individuarne la
specificità nelle società contemporanee, costituendo un indicatore di mutamento sociale rispetto ai modelli di consumo, agli standard di adeguatezza individuale e familiare e anche rispetto ai rapporti e alla reciproche interferenze
tra organizzazione familiare e organizzazione sociale. Per questo il termine “lavoro domestico” è stato progressivamente abbandonato, soprattutto in Italia, a favore di quello di “lavoro familiare”, comprendendovi tutti i lavori
necessari alla riproduzione e creazione quotidiana della famiglia e degli individui che la compongono: dal lavoro
domestico in senso stretto, al “lavoro di cura” nei confronti di familiari non autosufficienti per età o per invalidità, al
“lavoro di consumo” che comprende non solo l’acquisto e la eventuale trasformazione di beni ma anche il lavoro
necessario per utilizzare adeguatamente i servizi pubblici e privati che oggi costituiscono una parte importante delle risorse familiari, al “lavoro di rapporto” che si riferisce all’attività di creazione e mantenimento dei rapporti, di
comunicazione nella famiglia, tra la famiglia e la rete parentale, tra la famiglia e un suo singolo membro e il sistema
di servizi. Il lavoro familiare è dunque un tipo di attività che fa sì che il suo prodotto sia diverso da ogni altro: esseri e
rapporti umani; per questo non è sempre e del tutto delegabile ai servizi e per questo presenta forti dosi di ambivalenza rispetto al suo contenuto sia in chi lo svolge, sia in chi ne fruisce. È anche il lavoro che gestisce l’interfaccia
tra individui, famiglia e società: dalla rete parentale e amicale, al sistema dei servizi, al mercato del lavoro.
Le analisi sul lavoro familiare come specificamente femminile hanno indicato come funzioni il sistema di genere della famiglia, ovvero come la divisione del lavoro sociale trovi un sostegno essenziale nel sistema di genere espresso dalla divisione del lavoro familiare. L’aumento notevole dalla partecipazione al lavoro remunerato
da parte delle donne sposate con figli avvenuto negli ultimi anni non ha comunque avuto come contropartita un
analogo aumento di partecipazione al lavoro domestico-familiare da parte degli uomini mariti e padri. Ciò sembra vero anche in Paesi a più lunga tradizione di lavoro femminile. Piuttosto, la diminuzione dell’orario di lavoro
domestico delle donne rilevata in molti casi è dovuta non tanto ad una maggiore collaborazione dei mariti, ma
ad una autoriduzione effettuata dalle donne stesse a fronte del carico derivante dal doppio lavoro (familiare e
professionale), tramite la riduzione del numero di figli e/o tramite mutamenti negli stili di vita, con trasformazioni
nelle abitudini familiari e nella stessa organizzazione della vita quotidiana.
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La Conciliazione fra responsabilità familiari e lavorative
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Si possono analizzare – primariamente in termini organizzativi - le interferenze tra tempi di lavoro remunerato,
tempi di lavoro familiare, organizzazione della famiglia. In questo caso, l’attenzione è rivolta ai bilanci del tempo individuali e familiari e alla famiglia come agenzia per la allocazione e la gestione dei tempi.
Il concetto di sistema famiglia-lavoro si riferisce alla interdipendenza tra organizzazione e richieste temporali
del lavoro remunerato e organizzazione e richieste temporali del lavoro familiare. La divisione del lavoro secondo cui l’uomo è impegnato prevalentemente sul fronte del lavoro professionale remunerato e la donna su quello
familiare e non remunerato rappresenta la soluzione a domande contrastanti e competitive sul tempo provenienti dai due sistemi. Laddove - secondo i funzionalisti - la distinzione dei ruoli era una risposta funzionale alla
necessità di evitare conflitti di status, si tratterebbe quindi di evitare conflitti tra domande di lavoro-tempo.
L’allocazione della responsabilità primaria per il lavoro in ciascun settore sulla base del sesso e del ruolo familiare, sostenuto dalla tradizione culturale e dai processi di socializzazione, oltreché dai meccanismi discriminatori dello stesso mercato del lavoro (salari più bassi e meno possibilità di carriera per le donne) costituisce
il modo più semplice per far fronte a questo possibile conflitto. Ne pagano il prezzo le donne che non possono
presentarsi a pieno titolo sul mercato del lavoro anche se lo desiderano; ne pagano il prezzo gli uomini che
non possono essere presenti sulla scena del lavoro e dei rapporti quotidiani familiari anche quando lo desiderano; ne pagano il prezzo uomini e donne e in generale le famiglie, per le quali questa divisione negli ambiti di
lavoro per sesso non è possibile (ad esempio, nei nuclei monoparentali o nelle famiglie in cui lavorano a tempo
pieno entrambi i genitori).
Poiché i vincoli maggiori alla possibilità di comporre i tempi dei due lavori derivano dalla rigidità non solo dei
tempi di lavoro remunerato, in termini di orari quotidiani, ma anche di quelli che si potrebbero definire “orari
delle carriere”, sarà difficile arrivare effettivamente ad una distribuzione paritaria tra i sessi di tutti i lavori se
questi non verranno cambiati.
I dati sulle differenze di orario di lavoro remunerato tra i due sessi mostrano come le donne, in particolare
quelle sposate e con carichi familiari, siano occupate in media con orari più brevi: perché impegnate a tempo
parziale, perché per lo più in professioni con orario breve (insegnamento, pubblica amministrazione, servizi),
perché prevalentemente occupate vicino a casa. Ciò indica l’esistenza di una strategia di composizione degli
orari di lavoro complessivi che, anche nel caso che la donna sia occupata, ne prevedono una maggiore presenza nel lavoro familiare rispetto all’uomo.
Molte ricerche effettuate sulle famiglie cosiddette a “doppia carriera” o a “doppio lavoro” o a “doppi lavoratori remunerati” hanno mostrato il grado di tensione a cui può essere sottoposto sia il sistema familiare, sia il
singolo individuo, quando entrambi i coniugi hanno un’attività professionale. Si può parlare di sovraccarico di
ruoli e di conflitti sul tempo, ovvero su come allocare il tempo - scarso - tra lavoro familiare e lavoro remunerato, tra rapporti con i figli e rapporti con il coniuge, tra tempo di lavoro, tempo per gli altri e tempo per sé. Da
queste ricerche emerge che, in caso di conflitto, le donne più facilmente riorganizzano le proprie priorità per
venire incontro alle richieste di tempo provenienti dalla famiglia, mentre gli uomini tendono a privilegiare le
richieste di tempo provenienti dal lavoro extrafamiliare. Naturalmente, donne collocate diversamente nella
stratificazione professionale possono elaborare (e finanziare) strategie alternative di sostituzione e integrazione del lavoro familiare che non possono effettuare personalmente. Il compito di trovare una soluzione e di
controllarne l’efficacia rimane comunque loro.
Si potrebbe dire che il lavoro remunerato costituisce una “interferenza” nel tempo di lavoro familiare e di relazione degli uomini, laddove il tempo di lavoro familiare costituisce una “interferenza” del tempo di lavoro remunerato e del tempo per sé delle donne. Molte ricerche hanno documentato come le donne occupate che hanno
carichi familiari gestiscano queste interferenze. Oggi, le donne adulte sembrano assumere sempre più come
normale, per scelta o per necessità, il modello di interferenza continua piuttosto che quello della separazione.
La metafora della doppia presenza, più ancora del concetto del doppio lavoro, segnala la presenza di novità di
esperienze femminili ormai ritmate dalle due strutture temporali diverse del lavoro remunerato (come tempo
quotidiano, ma anche come tempo della formazione e della carriera) e del lavoro familiare (come tempo della
cura, della routine e delle emergenze quotidiane).
Si può considerare la famiglia come consumatrice di beni e servizi, quindi anche come ambito di creazione di
domanda di lavoro.
Nelle società sviluppate la famiglia resta la principale fonte di redistribuzione sia di cura che di reddito: l’accesso al reddito e quindi il diritto al consumo avviene tuttora pressoché esclusivamente per il tramite della
partecipazione diretta al mercato del lavoro o per il tramite della appartenenza familiare. Poiché l’accesso al
reddito, quindi al consumo, è mediato dall’appartenenza familiare, la famiglia ha un ruolo centrale nella definizione non solo della collocazione sociale delle persone, ma anche del loro tenore di vita, a prescindere dalla
loro individuale collocazione professionale. Ciò vale sia per i percettori del reddito, sia per i consumatori non
percettori: infatti, quanto vale un reddito dipende anche da quanti sono coloro che di quel reddito devono
vivere o, viceversa, da quanti redditi si aggiungono nel bilancio familiare.
Indagini effettuate recentemente anche in Italia hanno mostrato come esistano modalità diverse di gestione
del denaro nelle coppie e nelle famiglie, modalità che rimandano ad una divisione non solo delle competenze,
ma anche dell’autorità e del potere. Tali modalità sono tanto più simmetriche o paritarie quanto più non è uno
solo a procacciare il denaro e i livelli di reddito individuale non sono troppo lontani.
Unità - non necessariamente ugualitaria - di reddito, la famiglia è anche unità di consumo e per questo è attore importante sul mercato sia dei beni sia dei servizi. È stata perciò la famiglia la grande protagonista - o,
meglio, mediatrice - delle trasformazioni non solo economiche ma anche culturali che vanno sotto il nome di
“società dei consumi” e che non possono essere lette semplicisticamente in chiave di adeguamento passivo
degli individui e delle famiglie alle offerte e alle pressioni del mercato.
Spendere e consumare implicano decisioni in termini di scelta, di istituzioni di gerarchie tra i bisogni: il gruppo
domestico diviene un’unità di pianificazione i cui orientamenti non sono solo monetari, dato che ogni decisione di spesa ha un risvolto affettivo (Segalen, 1981). Decidere quali siano i bisogni da soddisfare e come vadano soddisfatti ha a che fare con giudizi di valore, con modelli di rapporto (anche tra sessi, generazioni, età),
con immagini e progetti sul futuro individuale e familiare e quanto più le risorse per il consumo sono diversificate, tanto più emerge la possibilità di definizioni e riconoscimenti diversificati e quindi anche di disuguaglianze visibili tra famiglie e tra individui entro la famiglia, così come di negoziazioni e conflitti sulla allocazione delle risorse familiari. Non facilmente visibili sono queste negoziazioni e conflitti rispetto ai redditi dei coniugi,
anche se analisi approfondite su piccoli campioni mostrano come possa essere difficile per una donna distinguere tra spese familiari e spese per sé, anche quando il denaro speso è guadagnato da lei. Per alcuni studiosi, la definizione tra coniugi di come dividersi le spese e se e quanto avere in comune o, viceversa, diviso
implicherebbe modelli di rapporto di coppia in termini di potere e di responsabilità. In realtà, quella del potere
è un’area complicata delle relazioni familiari, che interseca tutte le dimensioni della vicenda familiare e non è
esauribile nell’indicatore su chi amministra il denaro e decide le spese; tuttavia, il denaro, il suo uso e la sua
distribuzione costituiscono un buon indicatore di molte dinamiche di potere e controllo dentro la famiglia.
Questi diversi percorsi di analisi, che in larga misura si incrociano e in parte si sovrappongono, mettono particolarmente in evidenza come in questi ultimi anni alla partecipazione femminile non abbia fatto seguito un corrispondente cambiamento nella distribuzione dei compiti familiari, né un mutamento dell’approccio culturale, anche se
le nuove generazioni dimostrano un più responsabile e forte impegno maschile nei confronti della famiglia.
Da questo quadro risulta evidente che la promozione e la valorizzazione delle donne sul luogo di lavoro non si
pongono in relazione soltanto ad una questione prettamente professionale, ma pongono in evidenza il problema della assunzione e della condivisione delle responsabilità familiari: tutto ciò, nella prospettiva di garantire
a donne e uomini una effettiva migliore qualità di vita personale e lavorativa, oltreché di rendere possibile l’accesso e la permanenza delle donne sul lavoro, nonché il raggiungimento da parte loro e il mantenimento di
posizioni professionali qualificanti in un soddisfacente percorso di carriera.
La Conciliazione fra responsabilità familiari e lavorative
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a cura di Elisabetta Donati
La ricerca, l’indagine e i risultati
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■ Premessa.
Un interessante quadro delle condizioni di sviluppo dell’eguaglianza fra i generi e degli
orientamenti di mainstreaming di genere nelle politiche dell’Unione Europea dal titolo:
“Report on equality between women and men” (febbraio 2004)1, è stato recentemente
presentato a Bruxelles.
Nelle ultime decadi, si legge nel rapporto, il percorso per il raggiungimento dell’eguaglianza fra donne e uomini, nei diversi campi dall’educazione, al lavoro, dall’inclusione sociale
alla ricerca, ha segnato diverse tappe positive. La crescita economica ed il generale progresso sociale hanno concorso a questo risultato. Tuttavia i cambiamenti non sono accaduti automaticamente, ma sono il risultato di precise strategie ed iniziative politiche avviate a livello comunitario e nei singoli paesi. Inoltre i progressi registrati non sono avvenuti in
modo uniforme in tutti i paesi che compongono l’Unione, e persistono significative differenze in molti campi delle politiche pubbliche. Il quadro di sintesi presenta pertanto molte
luci, ma anche diverse zone di ombra che l’Unione Europea si propone di affrontare come
ulteriori sfide per il pieno raggiungimento e l’affermazione dei diritti individuali dei cittadini.
Fra gli aspetti segnalati come cruciali per il raggiungimento di reali condizioni di eguaglianza fra i generi, si indica il tema del lavoro. Le strategie europee per l’occupazione
hanno contribuito ad inserire il tema dell’eguaglianza di genere nell’agenda politica e
strumenti, come i Fondi strutturali ed in particolare i Fondi Sociali Europei, hanno consentito ai paesi membri di implementare nuove politiche per l’occupazione, la formazione e l’inclusione sociale, volte a ridurre le disuguaglianze e i gap tuttora esistenti
fra donne e uomini. Tuttavia se consideriamo i dati relativi a questa stagione di politiche, si osserva che ancora molto lavoro resta da fare.
Il tasso di occupazione delle donne è cresciuto in Europa più di quello degli uomini, e
si attesta ora al 55,6%, quando era ancora inferiore al 50% nella prima metà degli anni
‘90; ma il gap fra donne e uomini nell’occupazione rimane alto (17,2% a vantaggio degli
uomini). In particolare sono le donne con figli piccoli ad avere livelli più bassi di occupazione, inferiori di 12,7% rispetto alle donne che lavorano senza figli. Mentre gli uomini con figli mostrano tassi di occupazione più alti di 9.5% rispetto a coloro che non
hanno figli. L’Italia, insieme alla Spagna e alla Grecia presenta tassi di occupazione
ben inferiori alla media europea (a gennaio 2003 il tasso di occupazione delle donne
italiane era del 42%) e ben lontano dagli obiettivi fissati dal Vertice di Lisbona che indica nel 60% il tasso di occupazione femminile previsto per il 2010.
Il gap retributivo rimane intorno ad una media europea del 16%, con valori decisamente più elevati nel settore privato rispetto a quello pubblico. I differenti livelli di partecipazione al mercato del lavoro, la segregazione occupazionale, la struttura delle carriere e delle retribuzioni, i modelli organizzativi di valutazione delle competenze professionali delle donne concorrono a disegnare il differenziale salariale fra donne e uomini
nell’Unione dei 15. Le donne sono tuttora le principali del lavoro domestico e familiare,
fattore che influenza i modelli di partecipazione al lavoro e ne limita le opportunità
occupazionali, in particolare per le donne con figli piccoli.
L’Italia, dal punto di vista della distribuzione del lavoro pagato e non pagato fra donne
e uomini, e di conseguenza la posizione delle donne nel mercato del lavoro, presenta
livelli molto poco rispondenti al criterio delle pari opportunità2.
Non a caso il Consiglio Europeo di Barcellona ha rinforzato l’attenzione sul tema delle
politiche di conciliazione come una delle strategie europee per le politiche del lavoro.
■ Le politiche di conciliazione.
La parola conciliazione indica l’interferenza che si origina fra gli impegni di cura familiari e gli impegni professionali e i relativi tempi da far coesistere, e nel contempo segnala le soluzioni e le strategie individuali e familiari di ricerca di un equilibrio.
Ovunque conciliare lavoro e famiglia è arduo. In tutta Europa, rileva il saggio di A. L. Zanatta3, la nascita dei
figli riduce la presenza delle donne nel mercato del lavoro, ma anche il contrario: per le donne, il fatto di lavorare tende a ridurre il numero dei figli/e che mettono al mondo (nonostante il desiderio sia diverso, come
emerso nell’Indagine sulle strutture e i comportamenti familiari dell’Istat, 1995).
In tutti i Paesi europei è mutata la composizione di genere della forza lavoro, tuttavia va rilevato l’influenza del
contesto familiare sulla propensione delle donne al lavoro. Da uno studio condotto da Eurostat risulta che,
considerando le donne nelle età centrali – 20-39 anni – sono proprio le particolare condizioni familiari a
influenzare il tasso di partecipazione femminile4.
Nello stesso tempo si assiste in tutta Europa ad un altro fenomeno di radicale trasformazione sociale: la coppia con
due percettori di reddito costituisce il modello di famiglia in continua crescita. La tradizionale divisione dei ruoli che
attribuisce all’uomo il compito di breadwinner e alla donna quello di homemaking viene diffusamente sostituito da
un modello in cui entrambi i partner hanno una occupazione retribuita, con o senza figli. In Italia nel 1992 il numero
di coppie con figli con due percettori di reddito rappresentava il 42% e nel 2000 è aumentata al 46%.
Ora, nonostante i cambiamenti nei comportamenti femminili nei confronti del lavoro retribuito non si è verificato un mutamento nella divisione di genere del lavoro di cura e familiare. Dai dati disponibili5 risulta che, salvo
tra i padri più giovani, non si assiste ad una equa ripartizione dei compiti familiari fra i partner.
Vi sono altre trasformazioni che stanno modificando la struttura della famiglia e la composizione sociale della
popolazione: ci riferiamo al fenomeno del calo della fecondità e all’invecchiamento della popolazione.
Se mettiamo insieme il calo della fecondità, l’invecchiamento della popolazione e la maggiore permanenza
delle donne nel mercato del lavoro, questi fattori concorrono a ridurre il numero di potenziali prestatrici di
cura e contemporaneamente aumentano il bisogno di tempi di cura delle famiglie.
Come osserva G. Esping-Andersen6 è controproducente per i welfare state contemporanei contare sulla disponibilità delle donne a restare a casa, a fare le madri a tempo pieno: se i tassi di occupazione femminile sono
bassi, lo è anche la base impositiva; se la fecondità è insufficiente, è a rischio la sostenibilità finanziaria futura.
“The success of policies to raise employment rates will depend on the possibility for both women and men to
achieve a balance between their professional career and family life. Reconciliation policy must non to be considered a women issue and a policy from which only women benefit. A major challenge is to focus on policies
to encourage men to tahe up family responsibilities”7.
Il tema della conciliazione fra vita professionale e vita familiare diviene un obiettivo specifico della legislazione europea già a partire dagli anni ‘808 e nel nostro paese il termine conciliazione è già contenuto nella legge
sulle azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro (legge n. 125/91) e troverà piena
espressione nella legge n. 53/2000 nota come legge dei congedi parentali.
È interessante rilevare che le politiche di conciliazione sono da sempre per l’Unione Europea e per la nostra
stessa legislazione strettamente coniugate con le politiche di pari opportunità nel lavoro, anzi divengono una
delle strategie per assicurare alle pari opportunità un passaggio da un piano formale ad uno sostanziale, compresa l’attenzione ai rapporti di genere nella sfera familiare.
Infatti i concetti più importanti sono:
 la conciliazione fra vita professionale e vita familiare non riguarda solo le donne (come ribadito nel documento del 2004) ma anche gli uomini;
 conciliazione riguarda una eguale distribuzione tra donne e uomini sia del lavoro retribuito che di quello
non retribuito;
 la maggiore partecipazione degli uomini alla vita familiare è un vantaggio e un diritto degli uomini.
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ Le azioni possibili.
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Le linee di intervento suggerite nei documenti ufficiali dell’unione sono:
a. una organizzazione più flessibile del mercato del lavoro, che tenga conto delle esigenze delle famiglie;
b. i congedi parentali per entrambi i genitori;
c. il potenziamento quantitativo e qualitativo dei servizi per l’infanzia e gli adulti non autosufficienti;
d. la promozione di una maggiore partecipazione degli uomini al lavoro di cura9.
In Italia da anni sono state avviate delle interessanti sperimentazioni10 che hanno consentito di dare evidenza
a quello che diversi studi organizzativi in materia di risorse umane sostengono: un ambiente di lavoro “friendly,
vivibile” che risponde alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici, permette una maggiore identificazione
con la missione aziendale e di conseguenza apporta migliori risultati anche sul piano della produttività.
Come indicato dalle “good practices” europee e nazionali, le politiche del personale orientate a mantenere un
legame positivo tra la lavoratrice madre ed il lavoratore padre ed il lavoro tendono a contrastare quei fenomeni di
marginalizzazione che spesso finiscono per saldarsi in un circolo vizioso con fenomeni di autoesclusione, andando a depotenziare risorse professionali e investimenti formativi spesso molto elevati e difficilmente sostituibili.
Nello stesso tempo, va sottolineato che le ricerche condotte sull’applicazione della legge n. 53 ci avvertono
che è una legge poco conosciuta e poco utilizzata (nel corso del 2002 sono stati presentati solo 39 progetti per
il finanziamento previsto e di questi solo 14 sono stati approvati. Dati ministero del Lavoro, 2003).
Molto lavoro informativo e culturale sembra indicato come necessario per fare emergere quel recinto di
comune buon senso che riguarda il benessere nei luoghi di lavoro, perseguito provando a contemperare le
esigenze delle imprese con le esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici. Inoltre, come indicato anche nel Piano
di Azioni Positive della provincia di Torino, le politiche di conciliazione e di flessibilità vanno saldate alle politiche di pari opportunità e di valorizzazione delle competenze femminili, per riuscire a “navigare prudentemente
fra due scogli entrambi pericolosi: di un parità tutta in salita, che si chiama omologazione al modello maschile
e quello di una differenza che esclude l’uno o l’altro sesso, come portatore di minor valore”11.
La rotta da tenere pare una paziente costruzione di un nuovo modello di cittadinanza organizzativa di gestione
delle risorse umane volta a rendere meno ostili i diversi tempi di vita, a riconoscere le flessibilità dell’identità
lavorativa fra impegni di lavoro, responsabilità di cura e interessi personali, liberando tempo e risorse per
aumentare l’efficacia di risposta dei soggetti sia alle esigenze aziendali, sia ai bisogni di cura e di benessere verso se stessi e gli altri. La guida alle buone prassi della Fondazione europea di Dublino suggerisce che il tema dell’invecchiamento della popolazione, compresa quella lavorativa, va affrontato favorendo una maggiore consapevolezza delle interdipendenze fra lavoro retribuito e lavoro familiare: promuovendo la salute, istituendo una cultura della formazione permanente (“lifelong learning”), articolando una diversa organizzazione del lavoro per ridefinire le carriere professionali e gestire le discontinuità non come penalizzazioni, ma come risorse per la vita12.
Una ulteriore indicazione per guardare alle risorse professionali e familiari dei lavoratori e delle lavoratrici come
patrimonio di conoscenza da promuovere per una ricerca di flessibilità favorevole ai soggetti e favorevole all’ente.
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ La ricerca.
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Il percorso della ricerca prende avvio connettendosi con due iniziative di pari opportunità avviate nell’ente.
Il primo riferimento è ad un Progetto di Fondo Sociale Europeo (Misura E1) dal titolo: “Famiglia oggi: le risorse
della legge 53/2000” promosso dalla Provincia di Torino nel 2002. Una delle azioni previste dal progetto era una
indagine conoscitiva sulla Legge di (allora) recente approvazione quale la legge n. 53/2000 conosciuta come
legge dei congedi parentali13. Obiettivo della ricerca era quello di rilevare le strategie di conciliazione fra impegni di lavoro e impegni di cura familiare, la divisione di genere del lavoro di cura familiare, le domande di flessibilità degli orari di lavoro e le esigenze di formazione.
L’indagine ha coinvolto l’universo del personale della Provincia insieme alla popolazione dell’Asl 2 di Torino.
Nelle osservazioni conclusive vengono sottolineati tre aspetti di rilievo:
 donne e uomini affrontano con diverso carico di impegno e di risorse la giornata lavorativa. Vi è un maggior
investimento delle donne, in termini sia di tempo che di responsabilità, nelle cure familiari rivolte ai figli/e, mentre si nota un maggior coinvolgimento maschile nell’assistenza verso parenti anziani o portatori di handicap;
 una cultura della flessibilità e dell’alternanza è la parola chiave per la conciliazione fra impegni professionali e impegni di cura familiari; l’alternanza fra tempi di lavoro, tempi di cura, tempo libero, tempo per la for-
mazione è una modalità coerente con le scelte di vita di molte donne ma anche di molti uomini e nel contempo una richiesta di composizione di questi tempi con minore ostilità e fatica;
 una non omogenea conoscenza degli strumenti legislativi e contrattuali in materia di maternità e congedi
parentali, in particolare le disposizioni a favore della padri che finora hanno scarsamente utilizzato il congedo
parentale e pertanto la necessità di promuovere una migliore informazione tra il personale della provincia.
Il secondo riferimento per la individuazione delle ipotesi della ricerca è stato il Piano di Azioni Positive della
provincia di Torino14.
Nella premessa al documento si legge:
“Le azioni rivolte al territorio sono dunque specchio di una cultura presente nell’ente, che può tuttavia essere
significativamente rafforzata da parte della Provincia di Torino attraverso l’adozione di iniziative che migliorino il
contesto lavorativo, lo rendano più amichevole nei confronti delle lavoratrici, che costituiscono il 53% dei dipendenti dell’ente, assumendo come valore nuovo e praticabile la conciliazione fra responsabilità di lavoro e responsabilità familiari, anche nell’ottica di favorire la progressione di carriera delle donne che lavorano nell’ente”.
Tra le azioni di sperimentazioni indicate si segnalano tre temi chiave per le politiche di conciliazione intese
come politiche di pari opportunità:
 la realizzazione di iniziative di sperimentazioni di azioni di conciliazione volte a promuovere la carriera delle
lavoratrici dell’ente;
 la promozione dell’accesso alla formazione;
 una “banca delle opportunità di carriera, conciliazione, flessibilità positiva e sostenibilità”.
La ricerca, l’indagine e i risultati
Il progetto Friendly15, entro cui si colloca l’azione di indagine presente, si pone, fra gli altri, l’obiettivo di “individuare formule organizzative di flessibilità per rendere evidente il legame fra conciliazione e carriera”. In particolare attraverso il progetto Friendly si “intende creare un contesto lavorativo più amichevole per le lavoratrici identificando formule organizzative e strumenti che consentano alle medesime di meglio conciliare la vita
lavorativa con quella familiare e personale senza pregiudicare le loro possibilità di carriera”.
Alla luce di questi elementi di sfondo, presenti nel contesto, l’indagine16, realizzata attraverso la somministrazione di un questionario, si propone di sondare i seguenti aspetti:
a. la presenza di pregiudizi per cui conciliazione e qualità del lavoro non sono possibili, in quanto uno è di
ostacolo all’altro;
b. se vi è progettualità lavorativa dopo la maternità e la paternità, e cosa la favorirebbe;
c. la percezione di discriminazione fra esigenze di conciliazione e percorsi di carriera, per donne e per uomini;
d. gli orientamenti verso soluzioni di flessibilità, informali o negoziate collettivamente;
e. in questa fase di ciclo familiare e della carriera lavorativa, quali forme di flessibilità sarebbero
disposte/disposti a sperimentare;
f. se esiste la percezione che conciliazione comporta la ricerca di strategie di reciproco vantaggio per dipendente e ente.
19
■ I risultati.
Al questionario, distribuito nel mese di dicembre 2003, hanno risposto 851 dipendenti, che rappresentano il
41.3% del personale presente nell’Ente (totale dipendenti n. 2058, dati Dotazione organica - 22.9.2003- ).
Totale
100
41,3
Risposta
Grafico 1
Campione
rispetto alla
popolazione
di riferimento
Sesso.
Le donne che hanno risposto al questionario rappresentano una percentuale maggiore rispetto agli uomini:
sono n. 543 pari al 63.8% del campione, mentre gli uomini sono n. 308, pari al 36.2%. La distribuzione di genere
del personale della Provincia segnala una prevalente presenza femminile, con n. 1069 unità, pari al 52,1%,
mentre la presenza maschile è di n. 979 unità, pari al 47,9%. La distribuzione rispecchia quasi fedelmente il
dato riferito alla realtà nazionale: tra il personale in servizio nelle province nell’anno 2000, le donne rappresentavano il 51,4% a fronte del dato maschile del 48,6%.
Tabella 1
Personale in servizio nel settore pubblico e nel settore statale secondo il comparto e il sesso al
31/12/2000 - ITALIA
La ricerca, l’indagine e i risultati
Settori/comparti
20
Enti pubblici non economici
Istituti ed enti di ricerca
Segretari comunali e provinciali
Servizio sanitario nazionale
Università
Regioni e Autonomie locali
Di cui Province
Maschi
N°
%
30.248
48,6%
9.248
62,4%
3.553
64,6%
279.152
41,3%
63.330
59,1%
309.851
54,6%
26.878
63,7%
Femmine
N°
%
31.961
51,4%
5.831
37,6%
1.948
35,4%
396.040
58,7%
43.738
40,9%
257.669
45,4%
15.349
36,3%
Totale settore pubblico
695.828
48,6%
737.187
51,4%
1.433.015
100%
Aziende autonome
Carriera diplomatica
Carriera prefettizia
Corpo di polizia
Forze armate
Magistratura
Ministeri
Scuola
Totale settore statale
34.685
857
898
297.649
124.647
6.720
139.768
236.596
841.820
89,8%
89,3%
55,5%
94,1%
100%
66,7%
52,7%
25,7%
50,1%
3.922
103
719
18.682
49
3.352
125.515
685.071
837.413
10,2%
10,7%
44,5%
5,9%
0,0%
33,3%
47,3%
74,3%
49,9%
38.607
960
1.617
316.331
124.696
10.072
265.283
921.667
1.679.233
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
1.537.648
49,4%
1.574.600
50,6%
3.112.248
100%
Totale settori pubblico e statale
Totale
N°
62.209
15.525
5.501
675.192
107.068
567.520
42.227
%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
Le lavoratrici che hanno compilato il questionario rappresentano una quota superiore rispetto alla popolazione di riferimento (il 63,8% nel campione, a confronto con il dato del 52,1% nella popolazione), segnalando un
maggiore interesse verso l’iniziativa rispetto alla componente maschile.
90%
80%
Uomini
70%
Donne
60%
63,80%
50%
40%
30%
47,90%
52,10%
Grafico 2
36,20%
Campione per sesso
confrontato
con popolazione
per sesso
20%
10%
CAMPIONE
POPOLAZIONE
Comparando questi primi dati con la ricerca svolta nell’anno 2001 in coincidenza con l’entrata in vigore della Legge n.
53/2000, si nota un aumento nelle percentuali di risposta: da un campione di 518 unità si è passati ad uno composto
da 851 unità. L’aumento è più evidente per la componente maschile, con un incremento di risposte quasi del 100%:
infatti il campione maschile nella precedente indagine era composto da n. 158 unità; nella presente rilevazione i lavoratori che hanno risposto al questionario sono risultati n. 308, pari al 31,4% della popolazione maschile di riferimento.
Età.
La maggioranza del campione – il 56.7% - ha una età compresa fra i 36 e i 50 anni, cui segue la fascia delle
persone più giovani, il 26.9% ha una età compresa fra i 20 e i 35 anni, e infine la fascia delle persone più adulte,
quelle con oltre 50 anni di età, che rappresentano il 16.4%. Più dell’80% del personale ha una età inferiore ai 50
anni. L’età media del personale in servizio alla Provincia di Torino è di circa 45 anni.
Le donne sono prevalenti nella fascia intermedia (59.1%) come pure la componente maschile (52.4%).
FASCIA INTERMEDIA
Uomini
52,4
Donne
Grafico 3
Distribuzione
del campione
per fasce
di età e sesso
Ci sono più uomini che donne fra il personale più giovane (28% a fronte del 26.9%) e lo stesso fra le persone
più adulte (19.5% contro il 14%).
PERSONALE ADULTO
19,5
PERSONALE GIOVANE
14
28
26,9
La ricerca, l’indagine e i risultati
59,1
21
Situazione familiare.
Il 68,3% del campione risulta coniugato. Fra questi troviamo il 64% del personale maschile ed il 70% di quello
femminile. La maggioranza della popolazione indagata vive in nuclei familiari composti dal coniuge e da figli/e:
il 57.4% a fronte del 42.6%. Sono soprattutto le dipendenti ad essere anche mamme, di un figlio/a (29.5%), di
due figli/e (28.2%), di più di due figli/e (3.2%). Fra gli uomini i padri di un figlio/a rappresentano il 23%, di due
figli/e il 23.3% e di oltre due figli/e il 4.7%.
I dipendenti che non sono padri sono il 49%, una quota di 10 punti superiore alla componente femminile, che
presenta un valore del 39%. Questo dato va considerato alla luce della distribuzione del tempo per i compiti
domestici presente nel nostro Paese, compiti che continuano ad essere prerogativa delle donne adulte.
Il dato che emerge dalle rilevazioni Istat è il forte scarto che esiste tra il tempo occupato dalle donne e dagli
uomini per i compiti domestici: considerando i soggetti oltre i 15 anni, le ore mediamente impiegate dalle donne sono 24 e quelle degli uomini 5. Il dato medio risente fortemente dell’appartenenza familiare: i soggetti
meno coinvolti sono gli uomini che vivono in famiglia in qualità di figli e coloro che vivono in coppia. L’unica
eccezione è rappresentata dai padri che vivono in nuclei monogenitori per i quali il tempo dedicata alle incombenze domestiche è di 14 ore alla settimana.
La ricerca, l’indagine e i risultati
Tabella 2. Ore settimanali mediamente impiegate per le attività familiari per genere e classi di età.
Elaborazione di C. Facchini su dati Istat. 2002
22
Classe di età
Genere
Ore di lavoro familiare
15-29
Uomo
Donna
2,6
11,7
30-44
Uomo
Donna
5,1
27,9
45-59
Uomo
Donna
5,6
32,1
60-74
Uomo
Donna
7,1
27,9
75 e +
Uomo
Donna
5,5
12,4
Totale
Uomo
Donna
5,0
23,7
La presente indagine non analizzava la distribuzione del tempo per le attività familiari, tuttavia va tenuto presente che lo scenario di riferimento in Italia, come ribadito dai dati Istat vede il lavoro domestico ancora “mal
diviso” fra i generi, con una forte titolarità femminile nei lavori domestici e di cura e un sostanziale esonero sia
degli uomini adulti, anziani e ancor più dei giovani (Istat, Come cambia la vita delle donne, 8 marzo 2004).
Titolo di studio.
Quasi l’85% del campione è in possesso di un livello di scolarizzazione medio-alto. Le persone con diploma di
qualifica e di scuola superiore rappresentano il 51.9%, e quelle con diploma di laurea il 31.9%; il rimanente
16.2% possiede la licenza media.
Uomini
Donne
60
50
57,2
40
30
42,7
Grafico 4
34,5
20
Campione per
titolo di studio
22,8
30,6
10
12,2
Laurea
Diploma
Scolarità
inferiore
Le donne si addensano fra coloro che possiedono un diploma: il 57.2% a fronte del dato maschile del 42.7%;
quasi un terzo possiede una laurea (30.6% a fronte del 34.5% del dato maschile) mentre fra il personale con
livelli di scolarità inferiore troviamo una preponderanza degli uomini (il 22.8% a fronte del 12.2% delle donne).
La distribuzione del personale con contratto di lavoro a tempo indeterminato (i dati sono incompleti per le altre
forme contrattuali) secondo il titolo di studio segnala che le dipendenti presentano livelli di scolarità più alti
rispetto ai dipendenti, dato che si accentua fra il personale più giovane.
Uomini
70,00%
Donne
60,00%
50,00%
Grafico 5
53,7%
30,00%
37,1%
36,5%
20,00%
10,00%
4,7%
1,3%
Licenza
elementare
12,5%
Licenza
media
14,5% 16,7%
15,8%
7,2%
Qualifica
Diploma
Distribuzione
personale a tempo
indeterminato
per sesso e
titolo di studio
Laurea
Le donne che lavorano alla provincia sono quindi titolari di migliori risorse formative, dato che rispecchia un
trend generale, frutto di un lungo processo di investimento femminile nella formazione che ha coinvolto il
nostro paese dagli anni ‘70 in avanti. Se nel 1950-51 si iscrivevano alle scuole superiori il 7,1% delle donne e
l’11,8% degli uomini, nel 2001-2002 le donne si trovano in una situazione di sostanziale parità rispetto agli uomini (89,8% e 89,5%- Istat, 2004). Come confermato dalle ricerche anche in altri contesti della pubblica amministrazione, il personale femminile è mediamente più scolarizzato di quello maschile: nella Provincia di Torino le
donne che lavorano a tempo indeterminato possiedono livelli più alti di scolarità, con un differenziale di quasi
20 punti rispetto alla componente maschile (il 70,4% delle donne possiede un diploma di scuola superiore e
una laurea a fronte del dato del 51,6% per gli uomini).
La ricerca, l’indagine e i risultati
40,00%
23
Situazione professionale.
La maggioranza del campione lavora in Provincia con un contratto di lavoro a tempo indeterminato: 81.1%. Fra
questi gli uomini sono l’82.1% e le donne l’80%, con uno scarto che va ad aumentare la presenza di genere
femminile fra coloro che hanno un contratto di lavoro a tempo determinato: il 19.8% a fronte del dato maschile
del 17.9%.
A questi dati che ci disegnano una fotografia di sostanziale equilibrio numerico, fanno da contraltare i valori
sulla distribuzione dei dipendenti per ciò che attiene alle mansioni e ai livelli di inquadramento.
Donne e uomini tuttora svolgono mansioni che risentono delle strutture di genere del mercato del lavoro: le
donne si concentrano nelle mansioni di tipo amministrativo – 79.6% e gli uomini in quelle di natura tecnica –
62.8%; nell’area dirigenziale gli uomini sono tre volte più numerosi rispetto alle donne (7.4% a fronte del 2.5%).
Uomini
100%
80%
Donne
79,6%
60%
62,8%
40%
20%
Grafico 6
29,9%
18%
Mansione
amministrativa
Mansione
tecnica
7,4%
2,5%
Distribuzione
del campione per
mansione e sesso
Mansione
dirigenziale
Anche la distribuzione del campione secondo i livelli di inquadramento traccia una collocazione di genere precisa: gli uomini sono più presenti nei livelli superiori, sia quello dirigenziale dove rappresentano il 72% del totale dei dirigenti (18 uomini contro 7 donne) e nella categoria D dove si trova il 36% del campione maschile.
In totale nella categoria D e fra i dirigenti gli uomini rappresentano il 42%, le donne si attestano al valore del 30%.
Uomini
70,00%
Donne
60,00%
61,3%
50,00%
40,00%
Grafico 7
30,00%
31,8%
20,00%
24,6%
10,00%
2,2%
6,3%
Categoria A
Categoria B
La ricerca, l’indagine e i risultati
1,6%
24
36,1%
28,9%
5,9%
Categoria C
Categoria D
1,3%
Dirigenti
Distribuzione
del campione
per categoria
professionale
e sesso
Le donne sono invece preponderanti nella categoria C, con valori quasi doppi rispetto ai colleghi (61.3% a
fronte del 31.8%), cui segue la Categoria D dove sono presenti con un valore pari al 28.9%.
Nella categoria B troviamo più uomini che donne (24.6% del campione maschile a fronte del 6.3% di quello
femminile) e nella categoria A la presenza sia maschile (1.6%) che femminile (2.2%) è molto esigua.
Se confrontiamo i dati del campione con la distribuzione del personale nelle categoria di inquadramento professionale possiamo notare che:
 nella categoria A donne e uomini si equivalgono
le donne sono n. 24, pari al 2,2% - gli uomini n. 22, pari al 2,2%;
 nella categoria B gli uomini sono prevalenti, con un distacco in valore percentuale di oltre 25 punti
le donne sono n. 89, pari al 8,3% - gli uomini n. 341, pari al 34,8%;
 nella categoria C si concentra la maggioranza del personale femminile
le donne sono n. 670, pari al 62,6% - gli uomini sono n. 299, pari al 30,5%;
 nella categoria D gli uomini superano le donne di 2 punti percentuali
le donne sono n. 271, pari al 25,3% - gli uomini n. 270, pari al 27,5%;
 tra i Dirigenti, gli uomini sono tre volti più rappresentati
le donne sono n. 15, apri al 1,4% - gli uomini sono n. 47, pari al 4.8%.
(ns elaborazione dati forniti dal personale)
La maggioranza del campione svolge un lavoro con un orario a tempo pieno (89.8%) ed il tempo parziale coinvolge poco più del 10% di chi ha risposto al questionario.
Il tempo parziale è una articolazione oraria più diffusa fra il personale femminile, con 77 lavoratrici, pari al
14,3% a fronte di soli 9 lavoratori, pari al 2,9%.
La domanda prevedeva diversi items volti a sondare la definizione della situazione da parte dei dipendenti della provincia, i soggetti chiamati in causa dalle esigenze di conciliazione e la distribuzione di genere delle
responsabilità.
La conciliazione è principalmente definita come un fatto organizzativo, che l’amministrazione deve assumere
per trovare soluzioni nuove e flessibili: lo afferma la maggioranza del campione (84%) con valori simili fra gli
uomini (82%) e fra le donne (85%).
Coloro che hanno risposto al questionario segnalano una preferenza verso un aspetto centrale della tematica
della conciliazione, ossia il fatto che la ricerca di un miglior equilibrio fra lavoro e vita personale è un obiettivo
sentito dalle persone, donne e uomini, come importante e desiderabile, ma fino ad oggi poco sostanziato da
interventi e significative sperimentazioni nei contesti lavorativi. Che chi lavora abbia anche una vita familiare
dovrebbe rappresentare un dato di normalità, in realtà il modello della prestazione lavorativa viene ancora definito secondo un paradigma di neutralità, anche rispetto alle responsabilità di cura familiari. Non basta la volontà
individuale per riuscire a reggere con sufficiente equilibrio le esperienze nei due mondi, quello produttivo e quello riproduttivo, storicamente e socialmente organizzati come ambiti di attribuzione di ruoli e di presenze distinti
fra donne e uomini. Gli ostacoli sono di natura organizzativa, strutturale ed anche culturale, e di conseguenza le
domande di conciliazione interrogano il cuore della vita delle persone e delle organizzazioni del lavoro.
In seconda istanza troviamo le risposte di coloro che ritengono che la conciliazione sia una esigenza delle
persone nei confronti delle responsabilità di cura di bambini come delle persone anziane (78.4%) con valori più
elevati tra la componente maschile (82%) rispetto a quella femminile del campione (75%).
In terzo luogo vengono chiamati in causa gli enti locali (nel nostro caso nella duplice funzione di datore di
lavoro e di ente erogatore di servizi e prestazioni nei confronti dei comuni) affinché dotino le realtà territoriali
di una rete di servizi integrati a supporto del lavoro di cura delle famiglie (74.7%). In questo caso le indicazioni
del campione femminile sono più insistenti (78%) rispetto a quelle espresse dagli uomini (67%).
Il tema della distribuzione fra i generi delle responsabilità di conciliazione sembra trovare gli uomini più cauti,
confermando quanto rilevano le indagini nazionali sulla distribuzione ancora ineguale dei carichi di lavoro
familiare e delle responsabilità in materia di conciliazione fra donne e uomini:
- da un lato i dipendenti sono convinti che la conciliazione non sia una esigenza delle donne, chiamate da sole
a trovare soluzioni adeguate (il 62% si dichiara contrario ad una responsabilità esclusiva delle donne)
- dall’altro la maggioranza degli uomini (il 57%) sembra non accorgersi che, seppure la conciliazione sia una
responsabilità che tutti dovrebbero assumere, nei fatti però viene delegata alle donne, dato invece che le donne riconoscono in modo diffuso e prevalente, come sostiene il 65% delle dipendenti.
Può essere d’interesse del Comitato Pari Opportunità approfondire e proporre iniziative che si confrontino con
questo dato contraddittorio che la tematica della conciliazione solleva, fra una esigenza percepita come diffusa
e importante per il benessere delle persone al lavoro, al punto da chiamare in causa sia le culture, sia le prassi
organizzative delle imprese, oltre che il ruolo degli enti locali per un supporto più efficace tramite servizi alle
famiglie, e una attribuzione di ruoli tradizionale in base al genere che confermerebbe, se non sul piano dei valori, ma certamente su quella dei fatti, una maggiore responsabilità da parte delle donne nel lavoro familiare17.
La vasta area dei congedi parentali (sia quelli obbligatori che facoltativi, retribuiti e non) rispecchia quella divisione delle responsabilità lungo l’asse del genere: sono soprattutto le donne che utilizzano i diversi dispositivi
contrattuali di legge e contrattuali che afferiscono al tema della cura verso i minori ed i familiari in genere.
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ La percezione della conciliazione fra lavoro e famiglia.
25
Solo nel caso dei congedi per motivi di studio troviamo che, tra coloro che ne hanno usufruito, gli uomini ne
rappresentano una percentuale maggiore (il 19% a fronte del dato femminile del 16%).
Nell’indagine precedentemente svolta in provincia è emerso che il numero di padri che hanno fatto uso dei
congedi era molto ridotto, anche in conseguenza di una insufficiente conoscenza della legge n. 53/2000.
Uomini
23
Altro congedo
Congedo malattia figlio fra 3 e 8 anni
Congedo non retrib. per malattia figli < 3 anni
Donne
38
11
46
2
39
Congedo retrib. per malattia figli < 3 anni
23
Congedi non retrib. per motivi familiari
26
144
102
100
Congedi retrib. per motivi familiari
Congedi per motivi di studio
Congedi parentali
210
51
Grafico 8
70
47
82
Congedi facolt. maternità
Congedi obbl. maternità
235
La ricerca, l’indagine e i risultati
50
26
Congedi
usufruiti
per sesso
193
100
150
200
250
La tappa della maternità e della paternità si colloca diffusamente ben oltre l’avvenuta maturità fisiologica e
legale. L’Italia registra negli ultimi ventenni un aumento dell’età media alle nozze di un anno, passando per le
nubili da 26 a 27 e per i celibi da 29 a 30; di conseguenza le donne diventano madri più tardi e di un numero
sempre inferiori di figli/e (1,43 per le donne nate nel 1965, Istat, 2004).
Anche nel nostro campione si osserva che la distribuzione dell’utilizzo dei congedi legati alla maternità, paternità e cure parentali si colloca nelle classi di età compresa fra i 36 e i 50 anni (72,6%) a fronte di valori minimi
fra il personale più giovane (14% per chi ha meno di 35 anni) e del 13,4% per quello più adulto (over 50).
Le trasformazioni nei modi e tempi di “fare famiglia” viene ad interrogare in modo molto diretto anche le scadenze e i tempi delle carriere lavorative, sovrapponendo nei corsi di vita di molti soggetti, nel decennio compreso fra i 30 e i 40 anni, sia le scelte di divenire madre e padre sia le opportunità di progressione professionale.
Il modello delle carriere in genere pare rimanere impermeabile ai mutamenti che hanno spostato in avanti i tempi di
inserimento nel mondo del lavoro, le scelte familiari e procreative nonché l’allungamento delle speranze di vita ed il
processo di invecchiamento della nostra società. Fra i 30 e i 40- 45 anni un individuo è chiamato a giocarsi le opportunità di affermazione e le conseguenti assunzione di responsabilità in ambito professionale e in quello familiare,
come se il periodo precedente fosse solo un lungo apprendistato e quello successivo un lento disinvestimento.
Come segnalano autorevoli ricerche in campo internazionale, questa ripartizione del corso della vita fra un
tempo da giovani dedicato alla formazione, uno da adulti per il lavoro e uno da vecchi per il riposo è oggi ormai
obsoleto e incapace di attivare risorse aggiuntive negli individui nelle loro diverse fasi del ciclo di vita.
Una delle raccomandazioni dell’Ilo, l’organismo dell’Onu che si occupa specificatamente di lavoro è quella di:
“superare la calendarizzazione fra una fase centrale della vita impegnata nel lavoro e una terza dedita al tempo
libero: è meglio proporre una scansione più flessibile di lavoro, tempo libero, apprendimento, responsabilità di cura
lungo tutto il corso della vita”18. Se e in che modo l’utilizzo dei congedi comporti delle ricadute di segno negativo
sulle opportunità di avanzamento e di progressione professionale è un tema molto importante e di difficile disamina.
La percezione del campione esprime una opinione di sostanziale disaccordo con questa possibilità: l’80% degli
uomini ed il 72% delle donne afferma che l’aver utilizzato uno o più dei congedi previsti non abbia influenzato
negativamente la propria carriera lavorativa. Vi è poi un’area minoritaria di dipendenti che dichiara di aver
subito delle discriminazioni a seguito dell’utilizzo di congedi: lo sostiene il 12.7% delle dipendenti (si tratta delle
lavoratrici con un livello medio di scolarità, inquadrate nella categoria C) ed il 5.8% dei loro colleghi. Infine
segnaliamo un’area di risposte incerte: un 14% di risposte maschili e un 15% di quelle femminili si riferiscono a
coloro che non sanno come valutare le conseguenze dell’utilizzo dei congedi sulla loro carriera lavorativa (tuttavia, come vedremo più avanti, la tappa del divenire madri e padri verrà generalmente segnalata come un
elemento di indebolimento delle opportunità di progressione professionale).
Per meglio comprendere questa area delle percezioni circa i modelli di valore più diffusi nel luogo di lavoro,
con cui si guarda alle esigenze di conciliazione, proprie ed altrui, ed i messaggi di supporto o di ostacolo provenienti dall’ente come risposta alle diverse domande di conciliazione, sono state proposte alcune affermazioni tratte dalla letteratura sull’argomento.
1
In termini numericamente meno significativi, si tratteggiano le opinioni che registrano il permanere di certi
stereotipi o forme di pregiudizio nei confronti di chi assume responsabilità di cura dei propri familiari:
 “chi si assenta per maternità e motivi familiari non ha la stessa motivazione al lavoro degli altri/e” ottiene
poco più del 10% di consensi dal campione (con valori al 13% per gli uomini e al 9% per le donne);
 “chi va in maternità è una risorsa persa” lo sostiene solo il 18% del campione (con una leggera prevalenza
nelle opinioni degli uomini 22% rispetto a quelle delle donne 15%);
 “per un padre è tuttora imbarazzante prendere permessi e congedi per stare con i figli/e”: è una affermazione condivisa da circa il 30% del campione, con valori simili far gli uomini e le donne.
Seppur i valori siano contenuti, crediamo sia utile prestare attenzione ai codici culturali che sono presenti nei
contesti lavorativi, codici che spesso risentono di quelle forme di cristallizzazione delle identità di genere che
impediscono l’affermarsi di nuove strategie e nuove opportunità per l’affermazione professionale delle donne,
ma anche per le scelte di paternità di molti lavoratori. Proprio le opinioni sugli ostacoli dei padri sono più rilevanti numericamente: quasi il 30% del campione sostiene che sia ancora poco legittimo per un lavoratore
assumere un ruolo paterno. In media in Europa solo il 5% dei padri usufruisce dei congedi parentali e in
Lombardia ci sono stati solo 40 casi su 17000 congedi nel 2003. È accaduto che alcuni dei 40 padri abbiano
dovuto fare ricorso all’intervento delle consigliere di parità per vedere affermato il loro diritto. La figura del
lavoratore orientato alle responsabilità di cura familiare stenta a trovare buone prassi di incentivazione. La
maternità sembra una forma di “virus” che può contagiare anche gli uomini, facendo prevalere nei contesti
organizzativi un’idea della paternità come segnale di minore affidabilità e professionalità, esattamente come
accade alle donne che diventano madri!
3
Le opzioni più rappresentative delle opinioni del personale che ha risposto al questionario sono riservate agli
aspetti di carattere organizzativo già in atto, a quelle modalità di “conciliazione informale” che, se meglio portati alla luce e compresi sia negli elementi di risorsa che nei punti di difficoltà, potrebbero indicare delle proposte ispirate a quel “buon senso” che la tematica della conciliazione richiede come principio ispiratore:
 “negli ultimi tempi più dirigenti investono sul lavoro delle donne anche se hanno esigenze di conciliazione”
è quanto viene espresso da circa il 48% del campione, con valori del 52% per la componente maschile e
del 46% per quella femminile;
 “spesso la disponibilità dei colleghi è una delle soluzioni di conciliazione fra famiglie e lavoro”, viene indi-
La ricerca, l’indagine e i risultati
2
Maggiore attenzione viene riservata alla dinamica che si verifica fra i comportamenti aziendali (di certi dirigenti e responsabili del personale) di chiusura e di minor investimento di chi ha responsabilità di cura e le forme di autoesclusione che spesso le donne (soprattutto quelle con minori risorse formative e inquadrate nei
livelli inferiori della carriera) mettono in atto come risposta alle fasi di maggiore complessità di gestione delle
loro condizioni di “doppia presenza”:
 “i dirigenti pensano che gestire una famiglia e garantire qualità del lavoro non sia possibile” è una opinione
per il 40% del campione, con il 33% di risposte maschili ed il 43% di quelle femminili;
 “gestire lavoro e famiglia è così oneroso che una donna si autoesclude dalla competizione per nuovi incarichi o possibilità di carriera” lo afferma il 45% del campione, con un accento molto più evidente fra le
dipendenti – 55%- a fronte del dato più contenuto dei dipendenti – 33%. Diversi studi hanno messo in risalto
il nesso che esiste fra comportamenti organizzativi in cui predomina il conflitto di ruolo e la qualità della
vita personale. Se le richieste di conciliazione fra ruoli lavorativi e ruoli familiari sono gestite in termini solo
conflittuali, le persone vedranno aumentare il grado di stress del lavoro e abbassare il senso di controllo
sulla loro situazione. In certe realtà lavorative, basta nominare la parola “maternità” per togliere valore al
lavoro delle donne, andando a depotenziare risorse professionali e investimenti formativi spesso molto elevati e difficilmente sostituibili.
27
cato dal 60% del campione, più dagli uomini (65) che dalle donne (56%);
 “nella vita di tutti i giorni si trovano soluzioni informali ai problemi di conciliazione ma non diventano mai
una competenza riconosciuta professionalmente” ottiene più dell’80% di consensi, con punte dell’84% fra
le dipendenti e del 75% fra i lavoratori;
 “mi piacerebbe che si parlasse di conciliazione non come problema delle donne ma come esigenza legata
ai cicli di vita familiari di tutti”, sembrerebbe lo slogan del campione, con percentuale del 94%, e valori
simili fra gli uomini e le donne.
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ Momenti critici della conciliazione.
28
Una batteria di domande si proponeva di individuare i momenti “critici”, le fasi considerate più delicate del
percorso in cui donne e uomini diventano madri lavoratrici e padri lavoratori e affrontano le responsabilità di
cura sia verso i figli che crescono.
Tra le varie tappe con cui si tratteggia il percorso di maternità e paternità nei luoghi di lavoro, la malattia dei
figli e la necessità di assentarsi improvvisamente risulta quella più critica, con circa l’80% di risposte affermative (sommando abbastanza 18%, molto, 20%, moltissimo 42%). Tra le dipendenti il valore raggiunge l’82% e fra
i colleghi poco più del 73%.
Altrettanto difficile è la fase del rientro dalla maternità e dal congedo parentale: la lavoratrice ed il lavoratore
faticano a ritrovare i ritmi ma soprattutto il legame con i vari aspetti del lavoro (il contenuto, il prodotto, i colleghi, gli utenti) come sostiene circa il 73% del nostro campione (con punte di maggior consenso fra le dipendenti: il 50% sceglie molto e moltissimo, a fronte di un 33% del dato maschile); la criticità è spesso enfatizzata
dal fatto che il rientro è un evento organizzativo che non viene governato, preparato ma affrontato come una
emergenza, un “imprevisto” lasciato alle varie e diverse iniziative dei dirigenti, come dei colleghi, come emerge dal 72% delle risposte del campione.
Persino l’annuncio dell’attesa di un figlio/a può generare le prime difficoltà, le incomprensioni, o mettere in
azione quei meccanismi di esclusione o di autoesclusione di cui si accennava prima: “cominciano a guardarti
tutti con minor simpatia”, lo sostiene il 53% di chi ha compilato il questionario.
Quali soluzioni potrebbero essere ragionevolmente proposte per ridurre il peso di questi fattori che se non
governati, finiscono per agire come elementi che stressano o irrigidiscono le richieste e le soluzioni di conciliazione, anziché disporre per la ricerca di strategie di maggior vantaggio reciproco?
Sono tre le leve considerate dalle risposte del campione:
 la leva degli orari, in particolare la proposta di articolare con maggiore flessibilità gli orari di lavoro, in considerazione delle caratteristiche del servizio e della tipologia di richieste di conciliazione che ne emergono86,1% con punte dell’88% fra le dipendenti e del 83% fra i lavoratori;
 la leva della formazione intesa sia come aggiornamento tecnico e legislativo rispetto ai cambiamenti che
interessano il settore di lavoro, sia come “riprogettazione” della propria carriera lavorativa: una richiesta di
sostegno per riposizionare la lavoratrice e il lavoratore rispetto al lavoro, ai suoi significati; promuovere
una analisi delle competenze, individuare le strategie di consolidamento e di crescita professionale, in concomitanza con la gestione degli impegni e delle lealtà verso la famiglia: 77%, con valore del 79% secondo le
lavoratrici e del 73% tra i lavoratori;
 la leva della comunicazione, ovvero la possibilità di mantenere un flusso comunicativo con la lavoratrice ed
il lavoratore in maternità e in congedo, per tenere e ridefinire il legame con il lavoro, con i contenuti del lavoro, ma anche con i colleghi ed i responsabili, prevedendo anche la possibilità di attivare dei colloqui orientativi al rientro con dei tutor aziendali per facilitare la ricerca di soluzioni di conciliazione specifiche alle
necessità del momento: rispettivamente 64% e 52%, con valori simili nel campione maschile e femminile.
Una batteria di domande si proponeva di rilevare le percezioni circa il grado di controllo del dipendente su
certi situazioni della vita lavorativa, per fornirci alcune tracce del tema del benessere sul lavoro. Il tema della
conciliazione interroga in modo diretto ed esplicito il benessere, sia nella vita familiare, andando ad interrogare le responsabilità e la forma delle obbligazioni di cura familiare, sia nei luoghi lavorativi, dove sempre più frequentemente la qualità del lavoro è associata alla possibilità di gestire le responsabilità di cura verso i propri
familiari senza sentirsi in situazione di precarietà o di esclusione.
Ne emerge un quadro composito, dove in sintesi sembrerebbero le dipendenti le persone che esprimono un
maggior grado di soddisfazione circa le proprie capacità e abilità nell’affrontare diverse situazioni lavorative.
A cominciare dalla capacità di gestire le emergenze e gli imprevisti, dove la maggioranza delle risposte delle
lavoratrici si collocano nelle risposte molto e moltissimo (68.8%) mentre i lavoratori sono in maggioranza fra
coloro che si dichiarano abbastanza e molto capaci (67,2%).
Le altre situazioni che vedono le dipendenti esprimere un punteggio di maggior soddisfazione riguardano la
capacità di “realizzare con successo ciò che l’Ente si aspetta” che ottiene un valore intorno all’80% (sommando molto e moltissimo), a fronte del dato maschile leggermente più contenuto (il 77%); e la capacità di “sentirsi
all’altezza delle responsabilità che vengono assegnate”, dove le lavoratrici indicano valori relativi a molto e
moltissimo, pari al 78% del totale delle preferenze, mentre fra gli uomini molto e moltissimo si attestano al 72%.
Per gli uomini del campione l’attività lavorativa risulta fonte di notevole soddisfazione, per quasi il 60%; quasi
con lo stesso valore troviamo le risposte degli uomini circa la loro capacità di “gestire l’impegno lavorativo
negli orari previsti dal contratto”. Tuttavia il valore autopercepito dagli uomini si ridimensiona quando il dipendente considera se “l’impegno lavorativo non sottragga tempo alla famiglia”: in questo caso solo il 34% dichiara un alto valore di soddisfazione, mentre il 57% associa all’orario di lavoro un senso di minore gratificazione e
di benessere.
A conferma vi sono le percentuali dei dipendenti che si dichiarano “capaci di portare avanti gli impegni del
lavoro insieme a quelli della famiglia”: fra gli uomini i molto soddisfatti sono il 46% mentre il dato fra le donne
raggiunge il 53%.
Forse come sostengono alcune ricerche, gli uomini fanno rilevare alcune “crepe” nella loro identità lavorativa:
si comincia a parlare di un conflitto fra doveri della famiglia e del lavoro, anche se avvertono, a differenza delle loro colleghe, l’inadeguatezza di non poter dire, forse del non riuscire a prendere l’ iniziativa per cercare
soluzioni di maggiore soddisfazione, per la diffidenza dei codici culturali, sia aziendali che sociali.
Per entrare nel dettaglio di alcune indicazioni di percorso utili al Comitato Pari Opportunità per sostenere o
riformulare il proprio piano di azioni, abbiamo voluto verificare il grado di conoscenza della legge sui congedi
parentali e sulle condizioni che ne rendono praticabile i dispositivi contenuti.
Il 75% del campione afferma di conoscere le condizioni per poter usufruire dei congedi parentali; è di interesse constatare che il 30% dei lavoratori dichiara di non saperne abbastanza o addirittura di non conoscere la
legge (rispettivamente il 21% ed il 9%); fra le donne la disinformazione è più contenuta (il 18% non ne sa abbastanza ed il 3% non sa nulla).
Potrebbe essere utile prevedere una azione informativa in grado di intercettare anche il personale maschile,
per portare a conoscenza i contenuti di una legge molto innovativa per ciò che riguarda la partecipazione
maschile alle responsabilità di cura familiare, e per diffondere messaggi culturali che incoraggino gli uomini a
riconoscere, con minor diffidenza e a comunicare con un linguaggio più rispettoso le loro esigenze di paternità.
■ Flessibilità degli orari.
Al momento della rilevazione, il 56.7% del campione si esprimeva interessato ad introdurre nell’ente nuove formule di flessibilità oraria, con valori rispettivamente del 52% e del 59% fra gli uomini e le donne; il 23% pareva
non interessato ed una quota del 21% non sapeva cosa rispondere.
Specificando le formule orarie che potrebbero rappresentare una soluzione, momentaneamente efficace, alle
esigenze di conciliazione, le risposte hanno tratteggiato le seguenti priorità:
 estensione della flessibilità negli orari di entrata ed uscita ➠ 28% (il 37.% espresso dagli uomini ed il 22.3%
dalle donne);
 part time di tipo orizzontale ➠ 13.5% ( con valori fra le donne del 17% e fra gli uomini del 6%);
 part time di tipo verticale ➠ 13.5% (con valori del 16% fra le dipendenti e del 7% fra i dipendenti);
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ Strategie per la conciliazione.
29






istituzione di una banca delle ore ➠ 12% (12% fra le donne e 11% fra gli uomini);
part time ciclici ➠ 10% (con valori simili del 10% fra lavoratori e lavoratrici);
orari ciclici ➠ 6,7%;
aumento della flessibilità dell’orario dell’intervallo ➠ 5.6%;
orari personalizzati in relazione alla mobilità territoriale e ai mezzi di trasporto ➠ 4.6%;
forme di job sharing ➠ 0.8%.
Incrociando le risposte con le variabili istruzione, età anagrafica e categoria di inquadramento otteniamo un
quadro più composito: per esempio fra il personale con bassi livelli di scolarità l’opzione più gradita è un
aumento della flessibilità oraria (42% ), per chi possiede una scolarità media, oltre alla flessibilità (25%) vengono indicate le preferenze per le varie tipologie di tempo parziale: il part time verticale (15%), quello più tradizionale, ovvero il part time orizzontale (15%) e quello ciclico (12%). Coloro che sono altamente secolarizzati
segnalano le preferenze, oltre che per una ulteriore flessibilizzazione degli orari (26%) anche la istituzione della banca delle ore (15%) e formule con orari ciclici (10%).
In relazione all’età anagrafica si evidenzia che il personale più giovane pare disposto a sperimentare formule più
innovative, quale job-sharing e part time ciclici; i più adulti si orientano in una richiesta di maggiore flessibilità
oraria e le persone nell’età di mezzo sono quelle che opterebbero anche per una formula di orari personalizzati.
Il personale inquadrato nelle categoria professionali inferiori (A e B) sarebbe interessato a sperimentare una
estensione della flessibilità oraria; chi si colloca nella categoria C gradirebbe le diverse formule di part time mentre fra la categoria D e i dirigenti troviamo le opzioni per la banca delle ore, gli orari ciclici e gli orari personalizzati.
La ricerca, l’indagine e i risultati
Le tipologie orarie proposte presentano diversi gradi di impatto sulla conciliazione fra esigenze di cura familiare e responsabilità lavorative, e probabilmente anche un diverso grado di conoscenza fra il personale che
lavora nell’ente; tuttavia crediamo sia utile per il Cpo non scartare, in fasi di progettazione di azioni positive,
nessuna delle formule di orario proposte in quanto rende più evidente che chi lavora non chiede solo di poter
scegliere la durata dell’orario, ma anche di avere margini di scelta sulla sua collocazione, prevedibilità, nonché la possibilità di programmare meglio il tempo extralavorativo.
30
Affinché sia possibile sperimentare l’introduzione di forme di maggiore flessibilità degli orari nell’ente, occorre
che si verifichino alcune specifiche condizioni, quali (in termini di maggiore consenso espresso):
 un primo sforzo dovrebbe essere avviato dalla Direzione dell’ente al fine di conoscere le reali necessità dei
dipendenti e promuovere delle soluzioni mirate ➠ 91%;
 un secondo requisito è rappresentato dalla maggiore disponibilità del personale al coinvolgimento nelle ricerca di nuove soluzioni, adottando atteggiamenti ispirati a maggiore cooperazione e responsabilità ➠ 78%;
 un terzo attore chiamato in causa è il sindacato, affinché rivolga una maggiore attenzione alla ricerca di nuovi
schemi di orari che agevolino una conciliazione di reciproco vantaggio, per l’ente e per chi vi lavora ➠ 68%;
 infine un ruolo significativo lo possono giocare i colleghi e le colleghe di lavoro, rendendosi disponibili a sperimentare formule orarie da studiare insieme all’ente, per trovare soluzioni flessibili e accessibili a tutti ➠ 67%.
■ Il telelavoro.
Ci si è inoltre soffermati su una delle leve di articolazione flessibile non solo del tempo lavorativo ma anche
dello spazio, come quella del telelavoro.
Circa il 55% del campione afferma di essere interessato alla possibilità di sperimentare forme di telelavoro,
con valori di poco superiori fra i dipendenti (57%) rispetto alle dipendenti (52%).
In particolare i tre quarti del campione (74.4%) sostiene che il 50% del lavoro che svolge attualmente potrebbe
essere gestito da una postazione remota, attraverso un computer installato nella propria abitazione.
Quali caratteristiche presentano i dipendenti e le dipendenti che esprimono interesse verso la modalità del
telelavoro?
Il personale con meno di 50 anni esprime un orientamento più positivo che negativo verso il telelavoro: tra i più
giovani, chi si dichiara interessato, rappresenta quasi il 60% delle risposte e fra coloro che hanno una età
compresa fra i 36 e i 50 anni il valore raggiunge circa il 55%. I più adulti sono i meno favorevoli: infatti il 57%
risponde di non avere interesse verso questa forma di flessibilità del lavoro.
SI
60%
50%
59,57%
45,65%
40,43%
30%
NO
56,69%
54,35%
40%
43,31%
Grafico 9
20%
Interesse
verso il
telelavoro
secondo
fasce di età
10%
Fra i
20 e i 35 anni
Fra i
36 e i 50 anni
Fra i
51 e i 65 anni
Il grado di interesse aumenta con il livello di scolarità: si passa da un orientamento positivo verso il lavoro a
distanza del 37,2% di chi possiede la licenza dell’obbligo, al 55,84% del personale con diplomi di scuola superiore fino al 58,82% dei laureati e delle laureate.
Incrociando i dati con il livello di inquadramento si osserva che fra le categorie C e D troviamo il personale più
interessato ad una possibile esperienza di telelavoro (rispettivamente il 57% ed il 60%).
Quali sono le ragioni di un diffuso interesse verso una forma di lavoro esercitato a distanza dall’azienda?
Come emerge dalle diverse esperienze, il telelavoro non include necessariamente una flessibilità dell’orario,
tuttavia, tranne casi specifici, consente in genere una certa flessibilità dell’orario giornaliero e settimanale.
Chi lo ha utilizzato sostiene di avere avuto un aumento delle possibilità di scelta sulla collocazione del proprio
tempo di lavoro (Progettare il tempo, 1999).
Uomini
100,00%
90,00%
Donne
96,8% 92,4%
80,00%
70,00%
60,00%
50,00%
63,1%
51,3%
69,9%
67,9%
63,1%
61,9%
56,8%
55,6%
37%
30,00%
33,1%
Grafico 10
20,00%
10,00%
Avere più
tempo libero
Conciliare
meglio
Organizzazione
più efficace
del lavoro
Aumenterebbe
occupazione
Lavorare
in modo
più autonomo
Diminuire
i costi
aziendali
Opzione
dei vantaggi
verso forme
di telelavoro
per sesso
Anche per il nostro campione il telelavoro potrebbe favorire forme di conciliazione fra impegni lavorativi e
impegni familiari più gestibili, come afferma il 95% di chi ha espresso interesse verso questa forma di flessibilità. Mettendo più armonia fra i vari registri temporali, l’organizzazione del lavoro potrebbe avvantaggiarsene
in termini sia di efficacia che in termini di autonomia, come sostiene il 65% dei dipendenti e delle dipendenti.
Consentirebbe anche di ritagliare una fetta maggiore di tempo libero, secondo il 53% delle risposte e potrebbe
comportare alcune conseguenze vantaggiose per l’ente: diminuire i costi del personale (58%) e favorire un
aumento dell’occupazione (34%).
La ricerca, l’indagine e i risultati
40,00%
31
Coloro che non esprimono un interesse verso la possibilità di sperimentare forme di telelavoro, la considerano
poco attuabile per il tipo di mansione che svolgono (82%), a rischio di deficit di informazione (76%) e pertanto
temono che comporterebbe una diminuzione dell’efficacia del lavoro svolto (62%). Infine alcuni dipendenti sottolineano i problemi di natura tecnologica, in relazione alla loro scarsa conoscenza e preparazione (13%) o a
causa degli oneri che ne deriverebbero a carico dell’ente (19%).
■ L’asilo nido nell’Ente.
Prima di sondare l’esigenza fra il personale, di un servizio specificatamente rivolto alla prima infanzia, quale
un nido aziendale, abbiamo formulato alcune domande per rilevare quali sono i servizi a supporto della famiglia attualmente utilizzati dai dipendenti e dalle dipendenti.
Pubblici
Privati
20,00%
18,00%
18,7%
16,00%
14,00%
14,4%
12,00%
10,00%
8,00%
6,00%
6,2%
4,00%
6,2%
4,7%
2,00%
2,6%
Servizi per
l’infanzia
2,7%
Assistenza
medica anziani
Uomini
Donne
1,8%
Assistenza
medica disabili
0,6%
0,5%
Grafico 11
Assistenza
domestica
Baby
Sitting
Grafico 12
Amici/Vicini
Grafico 13
Supporti per
lavoro di cura
per sesso
Volontariato
Totale
Familiari
200%
150%
Servizi utilizzati
4,1%
17%
35,5%
162
La ricerca, l’indagine e i risultati
100%
32
50%
74
Familiari
66
40
Amici-Vicini
11
14
Volontariato
Come sostiene A. L. Zanatta, non è azzardato dire che in Italia i nonni, o meglio le nonne rappresentino la principale risorsa per la conciliazione tra famiglia e lavoro. Anche per coloro che lavorano in provincia la rete familiare è il
principale “servizio” a cui fanno ricorso (35,5%), sia per l’infanzia che per la cura di altri familiari, si tratti di persone disabili o dei propri genitori. I servizi pubblici e quelli privati coprono le necessità per il 17% del campione.
Per quanto riguarda l’infanzia è noto che in Italia i servizi nella fascia 3-5 anni sono molto diffusi e coprono quasi
la totalità della domanda, mentre nella fascia 0-2 anni il tasso di copertura è solo del 7,4%. Come sappiamo anche
per l’esperienza negli altri paesi europei, i servizi per la primissima infanzia sono cruciali per rendere possibile la
conciliazione, ma in Italia molti genitori sono scoraggiati dal richiedere l’iscrizione dalla scarsità di posti e dalle
lunghe liste di attesa. Essendo servizi gestiti dai comuni, la loro distribuzione sul territorio è alquanto diversificata.
In molti casi, simili variabili finiscono per far preferire ai genitori altre soluzioni, come nonni e baby sitter.
Gli stessi orari dei servizi educativi e scolastici sono poco coordinati con quelli del lavoro dei genitori; se i nidi
hanno orari a tempo pieno, come quasi il 70% delle scuole materne, solo il 16% delle scuole elementari ha il
tempo pieno. Le famiglie con bambini in cui la madre è occupata, sono le principali destinatarie del flusso
degli aiuti informali, da parte soprattutto della popolazione anziana. Pertanto la rete familiare, il vicinato, le forme di aiuto e scambio fra amici, il volontariato diventano la risorsa neppure nascosta del nostro Welfare che
presuppone la famiglia come miglior risposta ai bisogni di cura e la donna come la principale titolare.
Per quanto riguarda l’assistenza alle persone anziane, in tutta Europa, sono principalmente le donne coloro
che offrono servizi informali di cura per gli anziani. Come sottolinea C. Saraceno, molti comuni negli ultimi anni
hanno introdotto, accanto ai servizi domiciliari e ai buoni servizio, qualche forma di rimborso del lavoro di cura
prestato a un parente, con l’esito spesso di disincentivare la presenza delle donne, nelle famiglie a basso reddito, nel mercato del lavoro. Il rischio è che una volta che saranno anziane, si troveranno anch’esse senza
risorse economiche.
Il 38 % dei dipendenti (37% dei lavoratori e 39% delle lavoratrici) afferma che l’apertura di un asilo nido interno
all’ente potrebbe rappresentare un effettivo aiuto nella direzione di facilitare le strategie di conciliazione. Per
la maggioranza del campione il nido non è più una risposta alla attuale esigenza di conciliazione fra impegni
professionali e impegni familiari (51,5%), a cui aggiungere un 10% di risposte di coloro che non presentano
alcun interesse verso questo servizio.
Ovviamente il dato va letto in relazione ad altre variabili, la più importante delle quali è l’età anagrafica, che ci
offre alcune indicazioni sulla fase del ciclo di vita non solo individuale e di quello familiare.
20/35 anni
80,00%
70,00%
63,1%
36/50 anni
68,7%
> 50 anni
60,00%
50,00%
51,6%
40,00%
Grafico 14
20,00%
19,2% 17,8%
10,00%
22,2%
17,8%
8,2% 10,2% 9,8%
7,4%
1,7%
Molto
Abbastanza
Per me non più
No
Interesse
per asilo nido
aziendale
per classi
di età
L’orientamento verso un servizio di asilo nido aziendale è prevalente per coloro che hanno un’età anagrafica
più giovane. Infatti coloro che esprimono un alto interesse sono proprio le lavoratrici ed i lavoratori più giovani: il 52%%, a fronte dei valori molto contenuti dei più adulti: il 19% di chi ha un’età compresa fra i 36 ei 50 anni
ed il 17% degli over 50. Gli adulti addensano la risposta che riconosce che il nido è un servizio utile, ma non più
per la loro vicenda familiare e lavorativa: il 68% degli over 50 ed il 63% degli adulti fra i 36 e i 50 anni.
L’asilo nido rappresenterebbe un concreto aiuto per conciliare meglio gli impegni professionali con quelli di
cura familiari per il personale con un maggior livello di scolarità, proprio i dipendenti e le dipendenti più giovani: un alto interesse verso il servizio è espresso dal 20% di chi possiede la licenza media e raggiunge quasi il
doppio (39,9%) fra coloro che possiedono un diploma di laurea. Inoltre è un servizio preferito da coloro che
sono inquadrati nelle categorie intermedie, con il 47,2% di preferenze nella categoria C ed il 26,3% nella D.
Quali i requisiti di un asilo nido capace di rispondere alle esigenze dei dipendenti dell’ente?
 la più importante garanzia è offerta dalla qualità del servizio ➠ 91%;
 al secondo posto si segnala la professionalità del personale ➠ 89%;
 la comodità degli orari ➠ 88%;
 la vicinanza del bambino/a ➠ 73%;
 i costi delle rette ➠ 70%.
La ricerca, l’indagine e i risultati
30,00%
33
■ Pari opportunità tra donne e uomini alla Provincia di Torino.
Alla domanda se ci sono oggi in Provincia le stesse opportunità di carriera e di sviluppo professionale tra donne e uomini, le risposte prevalenti si distribuiscono fra coloro che rispondono negativamente (31%) e chi sceglie un “non so” (21%). Il 47,9% è del parere che esistano condizioni di pari opportunità fra donne e uomini.
100%
Uomini
80%
Donne
60%
40%
63,8%
Grafico 15
39,1%
20%
37,8%
18,8%
La ricerca, l’indagine e i risultati
Si
34
17,4%
No
23,1%
Non so
Opinione su pari
opportunità nella
carriera per sesso
Sono le dipendenti le persone che esprimono un valore più alto di criticità verso le condizioni di effettiva parità
per ciò che attiene alla progressione di carriera: un dato più che doppio rispetto alle risposte maschili (37,8% a
fronte del 18,8%).
Fra gli uomini invece la risposta preponderante raccoglie la convinzione che esistano pari opportunità nella
carriera fra donne e uomini, con un valore pari al 63%.
Forse il valore cui riservare maggior interesse è rappresentato da coloro, sia donne che uomini, che non sanno come rispondere e valutare se esistano reali condizioni di pari opportunità nell’ente.
Si tratta in particolare dei dipendenti e delle dipendenti più giovani, tra i quali la percentuale di risposta “non
so” è la più rilevante: il 35% a fronte del 21% del personale fra i 36 e i 50 anni e del 24% degli over 50.
Come altre ricerche segnalano (Iard, 1998 e 2002) i lavoratori e le lavoratrici più giovani presentano mediamente
migliori risorse formative rispetto alle generazioni più adulte, ma sono più disinformati circa i loro diritti e meno
coinvolti dalle iniziative dei soggetti che agiscono nei contesti organizzativi per la difesa delle condizioni di lavoro
(le rappresentanze sindacali) o per la realizzazione delle pari opportunità fra donne e uomini (i comitati pari opportunità). In particolare le donne giovani paiono esposte quotidianamente ad un difficile processo di individuazione
come lavoratrici, in quanto le loro dotazioni formative e le loro aspirazioni professionali si scontrano duramente con
le realtà organizzative del lavoro che, se da un lato si aprono cautamente alla loro presenza anche nelle posizioni
medio-alte, soprattutto nei settori più innovativi, dall’altro richiedono loro un impegno fino a ieri riservato agli uomini
e pertanto poco compatibile con i loro progetti o esigenze familiari. Il più generale processo di affermazione sociale
delle donne si esprime entro i termini di una tensione fra richieste di eguaglianza e affermazioni della differenza che
se colte, nella dinamica sociale, come domande opposte e oppositive, impedisce alle donne di affermare il loro
svantaggio per timore di riconoscere la differenza come debolezza o peggio ancora sentirsi vittime19.
L’ente provincia è un mondo visto con occhi diversi dalle donne e dagli uomini quando si soffermano a considerare le dinamiche delle carriere, forse una delle strutture dell’organizzazione del lavoro più impermeabili ai mutamenti intervenuti nella società e in particolare nei comportamenti e nei valori delle donne nel nostro paese.
Crediamo sia di interesse osservare le dinamiche che tendono a produrre e soprattutto a perpetuare forme di
discriminazione a danno delle lavoratrici, come sostengono le dipendenti del campione, seppur in modo non
lineare ed esplicito.
Il principale ostacolo pare rappresentato dall’assegnazione dei compiti e delle mansioni, a svantaggio delle
donne, come afferma l’86% del campione, ma con quasi 30 punti percentuali di differenza fra le risposte
maschili e femminili (rispettivamente il 64% ed il 92%). Il tema risulta di grande spessore dato che ci troviamo
in presenza di un contesto organizzativo pubblico, dove la norma universalistica dovrebbe rappresentare un
requisito non solo di eguaglianza formale, ma anche di eguaglianza sostanziale. In realtà sostengono molte
dipendenti del campione, vi sono criteri che contrastano con le norme universalistiche e concorrono a privilegiare la professionalità degli uomini, attraverso l’assegnazione di compiti e mansioni sulla base di criteri
ascritti come il sesso a scapito di quelli legati alle performance professionali.
Il secondo aspetto che produce dinamiche di discriminazione è rappresentato proprio dalla scelta dei dipendenti di avere una famiglia e in particolare di divenire genitori. L’83% sostiene che gli ostacoli a svantaggio
delle donne sono legati alla maternità (lo afferma il 64% degli uomini ed il 91% delle donne). Al terzo punto si
segnala la fiducia accordata dai dirigenti: è a svantaggio delle donne per l’82% delle risposte del campione
(51% delle risposte maschili e 91% di quelle femminili).
Si tratta con molta probabilità di dinamiche ad effetto cumulativo, nel senso che avere una famiglia non è ancora considerato normale dalle aziende, la conciliazione non presenta ancora uno statuto di cittadinanza organizzativa, le esigenze di conciliazione sono tuttora guardate con sospetto, come segnali di inaffidabilità delle carriere femminili, seppure in presenza di segnali di inversione di rotta sia per quanto attiene ai comportamenti
procreativi delle donne, sempre più limitati ad un solo figlio/a, sia a certe coraggiose iniziative di responsabili o
dirigenti che vogliono garantirsi la continuità e la preparazione professionale delle loro collaboratrici, siano
esse madri o meno. È questo uno dei terreni su cui si gioca il reciproco vantaggio per le aziende di intraprendere azioni di conciliazione, soprattutto in realtà dove non è l’accesso il punto di difficoltà delle donne, ma il terreno appiccicoso delle carriere, dove oggi anche le donne gareggiano, come si stanno accorgendo diversi manager aziendali, con requisiti in termini di titoli, performance e orientamenti di affermazione espliciti.
Altri due aspetti segnalano i punti di svantaggio delle carriere femminili: i meccanismi premianti che tendono a
produrre discriminazioni a svantaggio delle donne per il 78% del campione, come sostiene circa il 90% delle
dipendenti e solo il 37% dei dipendenti; persino nelle retribuzioni si annidano forme di diverso trattamento, a
danno delle lavoratrici, come sostiene l’89% delle dipendenti.
Le diverse esigenze di conciliazione si innestano su un terreno non ancora consolidato, secondo il parere del
campione, per ciò che attiene alle reali opportunità di crescita e di sviluppo professionale delle donne: il
rischio è quello che la struttura organizzativa dell’ente non si avvantaggi delle dinamiche di evoluzione del
nostro paese, come la scolarizzazione e la propensione di molte donne all’affermazione professionale, presenti anche quando diventano madri, riproponendo schemi culturali e di gestione delle risorse umane non ripuliti
dai pregiudizi e dalle visioni cristallizzate delle attribuzioni di genere.
■ Le proposte.
100,00%
Uomini
90,00%
Donne
80,00%
70,00%
81,5%
77,1% 77,1%
71,6%
60,00%
64,7%
72,1%
69%
50,00%
68,5%
69,1%
75,2%
67%
56,8%
40,00%
30,00%
20,00%
Grafico 16
10,00%
Organiz. del
lavoro per
obiettivi
e progetti
Consulenza per
progettualità
lavorativa
Sensibiliz.
verso i
Comuni
Formazione al
rientro
maternità
paternità
Formazione
per neo
assunti su
conciliazione
Formazione al
management
Proposte di
azioni da parte
dell’ente
per supportare
la conciliazione
La ricerca, l’indagine e i risultati
Quali sono i percorsi che la Provincia potrebbe intraprendere o consolidare per supportare la crescita professionale e le responsabilità di cura familiari delle dipendenti e dei dipendenti?
Le proposte indicate nel questionario hanno trovato notevole rispondenza da parte di coloro che lo hanno
compilato: ne emerge una ipotesi di intervento di ampio raggio, dove l’organizzazione del lavoro viene interrogata in diversi aspetti del suo funzionamento affinché sia in grado di assumere una capacità di gestione innovativa in tema di conciliazione.
35
La ricerca, l’indagine e i risultati
36
Una prima indicazione riguarda proprio le modalità con cui il lavoro è organizzato: già nella pubblica amministrazione è in corso un processo di riforma per introdurre dei criteri di qualità non solo nei prodotti e servizi resi, ma
più in generale nel processo di erogazione di quei servizi, una qualità che richiede che il funzionamento per
adempimenti burocratici sia sostituito da una organizzazione del lavoro per obiettivi e progetti, che il processo di
lavoro sia reso più trasparente, la comunicazione ridondante, il lavoro in gruppo come presupposto per una
diversa efficacia delle prestazioni lavorative. Questo nuovo modo di organizzare il lavoro si presenta nelle opinioni del campione come un requisito utile per affrontare le esigenze di conciliazione non come deficit di attaccamento al lavoro o di competenza, ma come domande di benessere che veicolano esigenze collettive, necessarie
a cui l’ente pubblico è chiamato a contribuire in termini di corresponsabilità per dare sbocchi evolutivi a questi
nuovi bisogni. Più del 77% del campione mette l’accento su questo aspetto del problema: una organizzazione del
lavoro meno burocratica potrebbe rendere possibile avviare forme di sperimentazione di azioni “family friendly”.
In questa direzione occorre che anche il management sia messo nelle condizioni necessarie per conoscere e
gestire processi nuovi: le esigenze di conciliazione hanno facce molteplici, sono dinamiche nel tempo, possono
attivare leve plurime di strategie e di risorse, fra cui quelle possedute dai dipendenti sono tra le più cruciali.
Conciliare significa sostituire quadri di lettura rigidi e pregiudizialmente ostili con nuove pratiche alla ricerca di
una metodologia di progettazione accurata e attenta per cercare soluzioni di flessibilità utili ai soggetti ma anche
favorevoli per l’ente: un lavoro che consenta un plus per creare ambienti di lavoro più favorevoli al benessere.
Azioni di informazione e di formazione possono accrescere le competenze del management nel promuovere e
diffondere nuovi stili di gestione e favorire nuove responsabilità, come indica il 72,5% del nostro campione.
Il personale nel complesso va supportato con azioni che si propongano di promuovere e rafforzare la progettualità
lavorativa di coloro che affrontano la complicata gestione quotidiana per ricomporre tempi di lavoro e tempi di vita,
impegni professionali e impegni di cura familiare come strategie che concorrono a riconoscere e ad accrescere il
proprio bagaglio di competenze, di abilità, come capitale sociale che si traduce in termini di maggiore fiducia nelle
proprie capacità di rispondere ad esigenze complesse, set di competenze trasferibili nelle diverse situazioni di lavoro. Lo sostiene circa il 70% del campione, quando indica la necessità di introdurre dei servizi di consulenza che
supportino i dipendenti nel fare bilanci delle proprie competenze, ribadendo una indicazione precedente di dare
visibilità e valore a quelle micro azioni quotidiane di ricerca di equilibri di conciliazione come buone pratiche già diffuse, da tradurre come patrimonio individuale e collettivo a disposizione per trovare soluzioni più vantaggiose.
Una ulteriore indicazione di percorso è rappresentata dalle azioni di informazione (69%) e di formazione (68%)
ricorrenti, utili per dare una maggiore informazione ai neo assunti/te e a coloro che, pur in servizio da diverso tempo nell’ente, sostiene di non essere adeguatamente informato (30% del campione maschile e circa il 20% di quello
femminile) sulle nuove disposizioni di legge in materia di maternità e di congedi parentali. Diviene necessario
anche prevedere che nel piano della formazione si attivino delle iniziative di accompagnamento alle fasi del ciclo
di vita familiare, dal momento in cui il personale si assenta, a quando rientra dopo il congedo per facilitare la ripresa di quei legami con il lavoro che sono da supporto per la ricerca di soluzioni di conciliazione più efficaci. Una
informazione puntuale è garanzia di un uso corretto e responsabile delle leggi, di una capacità di esercitare i propri diritti, come quello alla crescita dei figli o alla cura dei genitori anziani, come risorsa a disposizione dei singoli
ma anche della collettività per aumentare il benessere sociale, come sostiene il Libro Bianco dell’Unione Europea.
Infine, richiamando il ruolo istituzionale della Provincia, si suggeriscono delle azioni di informazione e di sensibilizzazione verso l’utenza dell’ente ovvero i comuni (77%) affinché, pur nelle difficoltà in cui navigano i loro
bilanci, assumano una cultura della conciliazione come bussola per la progettazione e l’erogazione dei loro
servizi, promuovendone di specifici per supportare le attività le attività di cura e liberare tempo alle famiglie o
riprogettando quelli già esistenti alla luce del tema della “interdipendenza” fra le domande di cura individuali e
le risposte di benessere collettivo.
Quali vantaggi ne potrebbe trarre l’ente da una ricerca di flessibilità favorevole sia ai soggetti che alle esigenze aziendali? Soprattutto un maggiore benessere di chi lavora: l’ente da una politica che favorisca una miglior
conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro dei/delle propri/e dipendenti trarrebbe maggiore motivazione al
lavoro e quindi miglior rendimento e minore assenteismo – 91%-. Nello stesso tempo contribuirebbe a ridurre
lo stress dovuto alla necessità di trovare soluzioni alle domande di conciliazione – 90%.
Un maggior benessere veicolerebbe una maggiore disponibilità del personale a venire incontro alle esigenze
dell’ente -87%-, dato che viene confermato da tutte le esperienze e le buone prassi delle aziende che hanno
adottato l’orientamento familiy friendly delle loro politiche di gestione del personale. Una maggiore flessibilità
attenta alle esigenze del personale induce molti risultati positivi proprio in termine di riduzione dello stress, riduzione dell’assenteismo, maggiore partecipazione dei dipendenti agli obiettivi strategici dell’impresa. La ricaduta
che avrebbe sull’ente sarebbe una migliore efficacia dei servizi erogati e di riflesso un immagine esterna di rinnovamento e di attenzione alla qualità dei processi e dei prodotti, come indica il 70% delle risposte del campione.
Ci sembra di intuire dalle risposte del campione una comprensione, sufficientemente generalizzata, che la
tematica della conciliazione non riguardi misure di tutela a favore delle donne, ovvero di una popolazione professionalmente debole, ma interpreti bisogni diffusi e nuove domande di benessere.
Famiglia e lavoro sono stati per lungo tempo ambiti cui facevano capo soggetti diversi: il lavoro retribuito agli
uomini, il lavoro di cura alle donne; oggi il rapporto fra famiglia e lavoro può essere visto come un aspetto di
quella pluralizzazione degli ambiti di vita e di quella moltiplicazione dei ruoli, intorno a cui si costruisce l’identità individuale nella società contemporanea. Oggi donne e uomini si trovano coinvolti in una molteplicità di
centri di interesse, di punti di riferimento, tra cui non è possibile o desiderabile stabilire una gerarchia di valori. Famiglia e lavoro sono due sfere della vita che, seppur non esauriscono la totalità delle esperienze, donne e
uomini vogliono vivere e organizzare con pari valore e lealtà.
La possibilità di fare esperienza di entrambi questi mondi è una esigenza degli individui, ma anche una risposta che
le società devono saper attivare, per far fronte a quelle caratteristiche di complessità della vita contemporanea:
per questo non basta la volontà dei singoli, perché gli ostacoli sono di natura organizzativa, strutturale e culturale.
In secondo luogo, la conciliazione è percepita come un tema che investe l’organizzazione del lavoro in modo
complessivo, interrogandone sia la dimensione culturale che le prassi di gestione del personale e dei processi
di lavoro; pertanto le proposte di intervento richiedono interventi su diversi piani, non solo per trovare le soluzioni tecniche, seppure indispensabile per rispondere in modo tempestivo e preciso a esigenze reali e dinamiche, ma anche per innestare un processo di valorizzazione delle competenze e delle motivazioni al lavoro delle
donne e degli uomini tra responsabilità di lavoro, apprendimento e lavoro di cura.
Le politiche di conciliazione si avvantaggiano della cornice legislativa (il nostro paese possiede una legislazione molto avanzata in materia) ma si consolidano con la sperimentazione sul campo ed il monitoraggio delle
azioni intraprese, in accordo con i vari partner.
Gli studi più recenti sul rapporto individuo e organizzazione (rassegna in C. Piccardo) segnalano fra gli agenti di
stress proprio l’opposizione fra famiglia e lavoro, quando le richieste di ruolo sono affrontate secondo la teoria
del conflitto (Conflict theory). Una cultura “supportiva” tende invece a valorizzare l’integrazione fra lavoro e famiglia, abbassando il livello di conflitto e facendo aumentare nelle persone il senso di controllo sulla loro situazione. Una cultura che “supporta” gli individui nella ricerca di soluzioni di conciliazione fra impegni professionali e
impegni di cura familiare, dando fiducia per quella ricerca, innesterà quel processo di vantaggio reciproco che le
“best practices” hanno reso visibile come conseguenza di logiche favorevoli ai soggetti e favorevoli alle aziende.
Le politiche di conciliazione sono una espressione delle politiche di pari opportunità laddove si propongono di
promuovere un’organizzazione del lavoro attenta alla valorizzazione delle competenze e risorse professionali
delle donne e degli uomini.
La conciliazione riguarda il tema dell’equità fra i generi, dentro la famiglia e nel mercato del lavoro. Nel mondo del
lavoro sono presenti delle strozzature che impediscono di far fruttare l’investimento formativo delle donne, che
rappresenta il tratto di forte modernità del nostro paese. Come sostiene l’Istat, i brillanti successi registrati nello
studio e nella fruizione culturale non vengono adeguatamente ricompensati nel momento in cui le donne accedono al mondo del lavoro. Se rappresentano una risorsa per superare le barriere all’ingresso, non consentono alle
donne un lavoro adeguato e non diminuisce lo svantaggio sia in termini retributivi che di tipo di lavoro svolto.
Tuttora vi è una grande rigidità del mercato del lavoro, i modelli occupazionali sono maschili, il concetto di competenza aziendale è “assoluto”, ovvero dedita, che esclude altri ambiti di vita: spesso un tempo di facciata, in cui la
fedeltà si gioca sulla presenza, anche se risulta sempre più critico per le aziende corrispondere a questa fedeltà.
Non a caso si fa largo anche un disagio maschile rispetto ai criteri di fedeltà, gli uomini fanno rilevare delle crepe
nella loro identità lavorativa e avvertono la fatica di contemperare la cultura e la pratica della paternità.
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ Alcune considerazioni conclusive.
37
Il perseguire una organizzazione del lavoro con pari opportunità per donne e uomini rappresenta il primo gradino per quella valorizzazione delle differenze su cui innestare anche il riconoscimento di coloro che hanno
responsabilità di cura come parte di un percorso professionale e di un bagaglio di competenze: la vera risorsa
per una società della “conoscenza”.
Una concezione più flessibile, articolata dell’identità lavorativa in relazione al ciclo di vita e agli equilibri che si
possono creare fra impegni di lavoro, responsabilità di cura e interessi personali è divenuta una immagine più
coerente con le scelte di vita di molti uomini e donne, soprattutto giovani, una impronta su cui si vanno delineando nuove figure di lavoratori e di lavoratrici dell’economia post industriale.
Non è a caso che le indicazioni dei più importanti organismi internazionali in tema di invecchiamento delle nostre
società (Onu, Ocse, Ilo) pongano alla base di un’ “active society” proprio le politiche di pari opportunità e le politiche di conciliazione. Da un lato si sostiene che la maggior partecipazione delle donne sarà la fonte principale di
crescita della futura forza lavoro in numerosi stati membri (Conferenza europea “Toward a Europe for all ages”,
1999). Dall’altro si indica che occorre proporre una scansione più flessibile di lavoro e tempo libero, di apprendimento e di responsabilità di cura lungo il corso di vita, una miglior condivisione delle responsabilità familiari fra
gli uomini e le donne e l’adozione di politiche che facilitino le possibilità di carriera per chi si assume compiti di
cura (Ilo, Ageing of the labour force in Oecd Countries, economic and social consequences, 2002).
Si tratta crediamo di orientamenti di valore, di consapevolezze che il questionario ha contribuito a porre in
risalto e che il Comitato Pari Opportunità può raccogliere per farsi promotore di azioni di sensibilizzazione culturale e di richieste di impegni più sostanziali da parte dell’ente, per sollecitare una azione positiva volta a
conoscere e valorizzare l’ampia gamma di conciliazioni “informali” presenti nelle diverse realtà lavorative e
suggerire dinamiche evolutive alle esigenze emerse, di politiche di formazione “lifelong learning” nel segno di
una valorizzazione delle competenze professionali delle donne e di una reciproca convenienza per tutti.
Tale azione positiva potrebbe anche rappresentare per il Comitato un’importante tappa per consolidare la propria
presenza nell’ente e aumentare la visibilità delle proprie proposte: non va sottovalutato il dato che più dell’80% del
campione ammetta di non essere sufficientemente informato delle iniziative del Comitato Pari Opportunità.
Ancora una volta in grado di informazione si presenta particolarmente insufficiente per la popolazione più giovane, paradossalmente quella che dovrebbe essere più interessata alle tematiche della conciliazione fra tempi di lavoro e tempi di vita personale e familiare (il 55% dichiara di non essere informato a fronte del valore del
33% e del 32% delle altre fasce di età). Un’indicazione a considerare la valenza di “pari opportunità” di una
politica di informazione puntuale, precisa e accessibile a tutti.
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ Nota metodologica.
38
Il percorso di ricerca ha preso avvio a partire dai risultati di una precedente indagine20 e dagli obiettivi contenuti nel Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino cui il progetto Friendly fa esplicito riferimento21. L’obiettivo
della ricerca era quello di rilevare le esigenze di conciliazione fra tempi di lavoro e tempi di vita familiare e personale dei dipendenti e delle dipendenti dell’ente e di raccogliere gli orientamenti più diffusi sulle ipotesi di
intervento individuate dal Comitato Pari Opportunità: nuove forme di lavoro flessibile, azioni di accompagnamento al rientro dalla maternità e la realizzazione di un nido aziendale. Si è proceduto attraverso degli incontri
con il Comitato di Pilotaggio del progetto Friendly a mettere bene a fuoco gli obiettivi, a confrontare le prime
proposte di contenuto del questionario, realizzate dalla società di consulenza e a programmare i vari aspetti
metodologici della fase di rilevazione dei dati. Sono stati forniti dall’Area del Personale alcuni dati inerenti la
composizione del personale in servizio nel dicembre 2003 in termini di sesso, classi di età e titolo di studio. I dati
sono stati elaborati e commentati nel rapporto di ricerca. Il questionario è strutturato in diverse aree:
❚ una prima sezione è dedicata a raccogliere dati di carattere socio-demografico e dati della condizione professionale;
❚ una seconda sezione ha messo al centro il tema della conciliazione fra lavoro e vita personale e familiare per
osservare sia alcuni aspetti del versante organizzativo che alcune strategie di utilizzo dei servizi a sostegno
del lavoro familiare. In particolare si sono formulate domande per rilevare l’utilizzo dei congedi parentali e di
maternità/paternità previsti dalle leggi e dal contratto di riferimento, le opinioni sui momenti più delicati della
conciliazione nella carriera lavorativa e in tema di eguaglianza di opportunità fra donne e uomini nell’ente;
una terza sezione ha voluto indagare le indicazioni e i suggerimenti in merito ad alcune ipotesi di “flessibilità conciliativa” individuate dal Comitato Pari Opportunità come possibili risposte alle esigenze di conciliazione: tipologie di orario di lavoro flessibile, attivazione di un nido aziendale e sperimentazione di forme di
telelavoro; inoltre sono state formulate alcune domande sulla cultura della “reciproca convenienza” che è
alla base delle strategie di conciliazione nei contesti organizzativi, ovvero l’orientamento alla ricerca di
soluzioni che contemperino sia un vantaggio per l’azienda sia per chi vi lavora.
Il questionario è stato distribuito a tutto il personale nel mese di novembre 2003 con distribuzione a tutti i dirigenti della Provincia di Torino con preghiera di dare diffusione del questionario ai/alle loro dipendenti.
I questionari raccolti sono stati elaborati dalla società di consulenza: è stata effettuata una analisi statistica
delle frequenze di risposta e sono stati realizzati gli incroci dei dati con alcune variabili significative: sesso,
fasce di età, livelli di scolarità, categorie di inquadramento professionale.
❚
1
2
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4
5
6
7
8
9
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11
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14
15
16
17
18
19
20
21
Commission of the European Communities: Report on Equality between Women and Men, Report from the Commission to
the Council, The European Parliament, The European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions,
Brussels, 19.2.2004.
Istat: Come cambia la vita delle donne, Novità editoriale Famiglia e Società, 8 marzo 2004.
A. L. Zanatta: Conciliazione fra lavoro e famiglia, in Osservatorio nazionale sulle famiglie e le politiche locali di sostegno
alle responsabilità familiari: Famiglie: mutamenti e politiche sociali, vol.II, Il Mulino, Bologna, 2002.
In Italia il tasso di partecipazione delle donne senza figli/e è del 70.9%, scende a 57,3% in presenza di un figlio e arriva al
35,7% con tre figli.
Istat: Tempi diversi. L’uso del tempo di uomini e donne nell’Italia di oggi, Commissione Nazionale per la parità e le pari
opportunità, presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 1995.
G. Esping- Adersen: I fondamenti sociali delle economie post industriali, Il Mulino, Bologna, 2002.
Il successo delle politiche volte ad aumentare i tassi di occupazione dipenderà dalla possibilità che donne e uomini raggiungano un equilibrio fra le loro carriere professionali e la vita familiare. Le politiche di conciliazione non devono essere considerate come temi delle donne o politiche da cui solo le donne trarranno vantaggi. L’obiettivo importante da raggiungere è quello di incoraggiare gli uomini ad assumersi concretamente le responsabilità familiari. Report on Equality
between women and men, op. cit.
Per una breve ricognizione si fa riferimento alla Guida all’utilizzo della legge 5372000 della Consulta Regionale femminile
della Valle d’Aosta e di Pari e Dispari, maggio 2003.
A. L. Zanatta: Conciliazione fra lavoro e famiglia, op. cit.
La Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna ha predisposto un catalogo dei progetti di
conciliazione dal titolo: Per un nuovo equilibrio tra lavoro e vita. Una rete fra i progetti, 2002.
Intervento di Pina Madami al convegno promosso da Telecom Italia Spa a L’Aquila, settembre 2003.
Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino: Managing an ageing worforce. A
guide to good practice, Dublino, 1998.
Il rapporto di ricerca è stato curato da Laura Vinassa.
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino, a cura del gruppo per la predisposizione del Piano di Azioni Positive
della Provincia di Torino, Giugno 2003.
Progetto Friendly, promosso dal Comitato Pari Opportunità della Provincia di Torino, finanziato nell’ambito del FSE, ob.3
POR Piemonte, Asse E Misura E1.
Si rimanda alla nota metodologica per gli aspetti che riguardano il contenuto del questionario,le modalità di somministrazione, la lettura dei dati.
L’indagine condotta in Provincia sulla legge 53 segnala “la presenza di un forte gap non solo nella distribuzione dei carichi familiari tra donne e uomini, ma nella stessa suddivisione dei ruoli familiari, e dei profili di ruolo, che continuano ad
attestarsi su modelli tendenzialmente tradizionali”.
ILO: Ageing of the Labour Force in OECD Countries, Economic and Social Consequences, 2000.
Mobbing e lavoro femminile all’interno di una azienda sanitaria ospedaliera. Pari e Dispari, Progetto di azione positiva
legge 125/91 O.I.R.M. S. Anna di Torino, report di ricerca, 2002.
Progetto Famiglia oggi: le risorse della Legge n. 53/2000. Il report di ricerca è stato curato da Laura Vinassa.
Il progetto Friendly si propone di definire e diffondere il Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino approvato nel
2003 che contempla una attenzione specifica all’introduzione di elementi di “flessibilità conciliativa”.
La ricerca, l’indagine e i risultati
■ Note.
39
■ Bibliografia
La ricerca, l’indagine e i risultati
 Commission of the European Communities: Report on Equality between Women and Men, Report from the
Commission to the Council, The European Parliament, The European Economic and Social Committee and
the Committee of the Regions, Brussels, 19 febbraio 2004.
 Istat: Come cambia la vita delle donne, Novità editoriale Famiglia e Società, 8 marzo 2004.
 A. L. Zanatta: Conciliazione fra lavoro e famiglia, in Osservatorio nazionale sulle famiglie e le politiche locali di
sostegno alle responsabilità familiari: Famiglie: mutamenti e politiche sociali, vol.II, Il Mulino, Bologna, 2002.
 Istat: Tempi diversi. L’uso del tempo di uomini e donne nell’Italia di oggi, Commissione Nazionale per la
parità e le pari opportunità, presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 1995.
 G. Esping- Andersen: I fondamenti sociali delle economie post industriali, Il Mulino, Bologna, 2002.
 Guida all’utilizzo della legge 53/2000 della Consulta Regionale femminile della Valle d’Aosta e di Pari e
Dispari, maggio 2003.
 Per un nuovo equilibrio tra lavoro e vita. Una rete fra i progetti, Commissione nazionale per la parità e le
pari opportunità tra uomo e donna, Roma, 2002.
 Managing an ageing worforce. A guide to good practice, Fondazione Europea per il miglioramento delle
condizioni di vita e di lavoro di Dublino, Dublino, 1998.
 ILO: Ageing of the Labour Force in OECD Countries, Economic and Social Consequences, 2000.
 Inchiesta: Genere e vita quotidiana, n, 140, aprile –giugno 2003, Dedalo ed.
 C. Buzzi – A. Cavalli – A. de Lillo ( acura di): Giovani del nuovo secolo, Il Mulino, Bologna, 2002.
 C. Saraceno: Famiglia e lavoro: paradossi ed equilibri imperfetti, Polis, n, 2/2003, Il Mulino, Bologna.
 P. Piazza- A. Ponzellini- E. Provengano- A. Tempia: Riprogettare il tempo,manuale per la progettazione degli
orari di lavoro, Edizione Lavoro, Roma 1999.
 C. Piccardo- C. Ghisleri- M. Reynaudo: L’equilibrio fra lavoro e non lavoro: il contributo della psicologia,
Intervento al Convegno Nazionale ed Europeo “Che genere di conciliazione?Famiglia, lavoro e genere:
equilibri e squilibri”, Torino maggio 2003.
40
Il Comitato Pari Opportunità della Provincia di Torino, con il progetto Friendly, ha
voluto approfondire alcune tematiche ritenute prioritarie per garantire un miglioramento della qualità della vita delle lavoratrici e dei lavoratori della Provincia.
L’indagine, che ha coinvolto tutti/e i/le dipendenti della Provincia, si è concentrata
su conciliazione fra lavoro e vita privata, forme flessibili degli orari e degli spazi di
lavoro e servizi di conciliazione ed ha rilevato un forte interesse fra gli/le intervistati/e per le tematiche di conciliazione. È emerso che la conciliazione viene vissuta in primo luogo come un fatto organizzativo ed in seconda istanza come un’esigenza delle persone. La possibile sperimentazione di forme di lavoro flessibili nell’ambito della Provincia di Torino ha suscitato grande interesse fra gli/le intervistati/e, in particolare per quanto riguarda l’applicazione del Telelavoro e l’estensione
della flessibilità d’orario in entrata ed uscita, anche detto Flextime.
La Provincia di Torino ha già manifestato il proprio impegno per la realizzazione di iniziative di sperimentazione di azioni di conciliazione con l’approvazione del Piano di
Azioni Positive avvenuta il 17 giugno 2003. Proprio prendendo spunto dal Piano di
Azioni Positive, che ipotizzava l’introduzione di una “Banca delle opportunità di carriera, conciliazione, flessibilità positiva e sostenibilità’’ ed in considerazione delle esigenze emerse dall’indagine, è opportuno pensare alla creazione di strumenti in grado
di rispondere alle esigenze di un mercato del lavoro, quale quello odierno, sempre più
complesso e mutevole. Una delle ipotesi potrebbe essere la realizzazione di un servizio di consulenza personalizzata rivolto alle lavoratrici dell’ente ovvero uno strumento
di accompagnamento nel periodo di rientro dalla maternità - che nella maggior parte
del casi rappresenta uno dei momenti più difficili per la carriera lavorativa di una donna -, di consulenza per questioni legate alle forme di lavoro flessibili attuabili all’interno dell’ente e di informazione su corsi di formazione e aggiornamento.
■ Gli strumenti a favore della flessibilità e della conciliazione.
Secondo l’Unione Europea le misure di conciliazione sono tutte quelle facilitazioni
che sostengono la combinazione di lavoro pagato e responsabilità di cura, tutte le
strategie tese a conciliare le domande oppositive di tempo, al fine di rendere meno
drammatico il conflitto sul tempo nella vita quotidiana.
In particolare possiamo individuare:
■ Strumenti che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro
 job rotation
 job sharing
 part-time
 flex-time
 telelavoro o lavoro a distanza
 car sharing
 term-time
 banca delle ore
 flessibilità dell’orario
■ Strumenti che liberano tempo
 congedo di maternità obbligatorio
 congedo di paternità
 congedo parentale
 schemi di interruzioni di carriera
Un Set di iniziative a favore della Conciliazione
a favore della Conciliazione
Un Set di Iniziative
■ Un servizio innovativo a favore della conciliazione.
41
■ Supporti al lavoro di cura
 nidi nei luoghi di lavoro - Studio di fattibilità di un asilo nido per la Provincia di Torino
 servizi di supporto negli orari non coperti dalle attività educative e scolastiche
 vouchers di cura
 servizi alle famiglie
■ Strumenti che formano una diversa cultura del tempo
 servizio di consulenza personalizzata
- accompagnamento al rientro dalla maternità
- formazione e informazione
 coordinatori “work family” - Punti di competenza “work-family”
■ Strumenti che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro
Job rotation
Definizione.
La job rotation, modello nato e sviluppato in Danimarca dal 1989, consiste in un programma che consente di
ottimizzare i posti di lavoro e garantire la formazione costante dei/delle dipendenti. Semplice quanto innovativo questo modello occupazionale consiste nel formare giovani disoccupati/e da mettere a disposizione delle
imprese/enti pubblici che, per un periodo più o meno lungo, devono rinunciare ad un proprio/a dipendente
impegnato/a in corsi di riqualificazione professionale.
Un Set di iniziative a favore della Conciliazione
Legislazione di riferimento.
Non vi è una specifica regolamentazione legislativa.
42
Modalità di funzionamento.
A seconda della tipologia di mansione interessata, e delle competenze del “disoccupato/a”, l’azienda costruisce un percorso formativo che usualmente prevede una prima parte di formazione frontale ed un periodo di
apprendistato in affiancamento alla persona occupata.
Dopo questo periodo il disoccupato/a è pronto alla sostituzione consentendo così all’occupato di uscire dall’azienda per la sua riqualificazione senza fare soffrire quest’ultima di interruzioni del processo produttivo. Per il
disoccupato/a il periodo di sostituzione ha valenza di un’esperienza lavorativa di mercato in quanto svolge in
toto le mansioni del/della dipendente sostituito/a.
Vantaggi.
Questo meccanismo, facile e innovativo, favorisce lo sviluppo di iniziative di formazione continua e, al tempo
stesso, permette ai/alle giovani di svolgere un’esperienza di lavoro concreta.
 Esperienza lavorativa per il disoccupato/a in quanto svolge in toto le mansioni dell’addetto/a sostituto/a
“imparando così un mestiere”.
 Reingressi nel mercato del lavoro a seguito di disoccupazione di lunga durata.
 Nuovi ingressi in posizioni medio – basse che si liberano grazie agli avanzamenti di carriera degli/delle
dipendenti riqualificati/e.
 Turn over aziendale e mobilità anche esterna.
Buone Prassi.
In Italia la prima esperienza in tal senso è rappresentata dal progetto Arcidonna di Palermo, nato nel 1996 e
finanziato dal programma comunitario Adapt, che ha ottenuto ottimi risultati.
Se gli obiettivi in merito allo sviluppo di formazione continua sembrano raggiunti, anche i dati relativi alla crescita di nuova occupazione sono positivi: ben il 50% dei/delle giovani siciliani/e e che hanno partecipato all’iniziativa di job rotation sembra aver trovato un lavoro stabile. www.arcidonna.it/progeuro/adapt/982000.html
Job sharing (o lavoro ripartito o lavoro di coppia)
Definizione.
Job sharing (letteralmente Condivisione del lavoro) o lavoro ripartito, è un contratto atipico secondo il quale
due o più persone si spartiscono, in due o più fasce lavorative, un lavoro a tempo pieno.
Legislazione di riferimento.
Nel nostro Paese questo tipo di contratto è ancora giovane ed è stato introdotto dalla Circolare Ministeriale n.
43 del 7 aprile 1998, assieme ad altri provvedimenti presenti nel “pacchetto Treu”, al fine di agevolare la “flessibilità” del lavoro. La recente legge 14/2/2003 n. 30 prevede l’ammissibilità delle prestazioni ripartite per l’esecuzione di un’unica prestazione di lavoro (art. 4, comma 1-e).
Modalità di funzionamento.
Il contratto di job sharing vista la sua particolarità richiede una forma scritta. L’accordo permette ai due o più
lavoratori/trici di impegnarsi in solido nei confronti del datore di lavoro; ognuno dei/delle dipendenti è responsabile per intero del lavoro previsto nel contratto unico e quindi ha il dovere in caso di assenza del/della collega
partner, di sostituirlo/a nell’orario di lavoro previsto. Il contratto indicherà la percentuale di lavoro che ogni
lavoratore/trice dovrà svolgere in un tempo stabilito (settimana, mese, anno), mantenendo la possibilità, in caso
di sopravvenute esigenze di uno dei/delle partners, di modificare l’assetto di lavoro, con l’unico obbligo di informare preventivamente il datore di lavoro. Di norma non vengono superate le 30 ore di lavoro settimanali.
Vantaggi.
Una migliore gestione del tempo libero e da dedicare alla famiglia o allo studio
Buone Prassi.
“Formula Servizi” di Forlì Una grande cooperativa di servizi prevalentemente femminile ha applicato la prima
autogestione dell’orario di lavoro tra coppie di lavoratrici: il job sharing o lavoro ripartito.
www.regione.emilia-romagna.it/formazione/allapari/anno_1_numero_1/il_caso.htm
Definizione.
Il contratto di part-time è un contratto individuale, stipulato in forma scritta, nel quale deve essere contenuta
l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
Legislazione di riferimento.
Decreto Legislativo 25/2/2000 n. 61 e successive modifiche. La recente legge 14/2/2003 n. 30 riprende ed estendegli ambiti di applicazione di quella precedente, sostenendo il lavoro a tempo parziale quale forma contrattuale idonea a favorire l’aumento dell’occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro delle donne, dei
giovani e dei lavoratori con età superiore ai 55 anni (art. 3, comma 1).
Modalità di funzionamento.
Il contratto di lavoro a tempo parziale può essere stipulato contestualmente all’assunzione oppure successivamente. Il contratto di lavoro a tempo parziale (part-time) può essere di tre tipologie diverse:
Orizzontale: se la riduzione di orario viene effettuata all’interno dell’orario giornaliero (ad es. 4 ore anziché 8,
tutti i giorni).
Verticale: se la riduzione di orario viene effettuata nell’ambito di periodi concordati (settimana, mese, anno).
Ad esempio si concordano 3 giorni pieni a settimana.
Misto: è una combinazione delle due tipologie sopra descritte. Ad esempio, in alcuni periodi dell’anno si può
concordare una riduzione dell’orario di lavoro del 50%, in altri del 20%.
Vantaggi.
Il/la lavoratore/trice può far fronte a specifiche esigenze di tipo familiare e/o personale, non rinunciando ma
semplicemente modificando il proprio impegno lavorativo.
Un Set di iniziative a favore della Conciliazione
Part Time
43
Note.
A differenza degli altri strumenti presentati nelle schede, il part time è ormai entrato a pieno titolo nei modelli
di organizzazione del lavoro sia nel settore pubblico che nel privato. Esso rappresenta quindi uno strumento
testato e sperimentato che ha prodotto risultati significativi sia in termini di soddisfazione dei/lle lavoratori/trici
sia di produttività aziendale.
Flextime
Definizione.
Il concetto di flextime introduce un principio di elasticità nella gestione dell’orario di lavoro della persona
impiegata. Permette di modificare l’orario di inizio e di conclusione della giornata lavorativa, ma mantiene
intatto il numero complessivo di ore nell’arco della giornata di lavoro.
Legislazione di riferimento.
DPR n268/87 (art. 12), Decreto del Ministro del Lavoro G. U. 13.7.2001 (incentivi alle imprese che adottano l’orario flessibile) e Legge 14/2/2003 n. 30.
Modalità di funzionamento.
Il Flextime è regolato da accordo scritto siglato fra il/la lavoratore/trice e l’ente e consente flessibilità in entrata ed uscita, pur mantenendo fisso il monte ore totale.
Vantaggi.
 L’ente/azienda può far fronte con maggiore agilità a carichi di lavoro imprevisti.
 Agevola il/la dipendente a conciliare impegni di lavoro e impegni personali.
 Azzera o diminuisce il ricorso allo straordinario.
 Accresce la cooperazione e la produttività dei/delle dipendenti.
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Note.
In Italia il Flextime rappresenta uno strumento largamente diffuso nell’ambito dell’impiego pubblico.
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Telelavoro o lavoro a distanza
Definizione.
Con questo termine si intende la prestazione di lavoro eseguita in un luogo diverso dalla sede di lavoro
Legislazione di riferimento.
Il telelavoro è previsto e regolamentato nel pubblico impiego attraverso la Legge 16 giugno 1998, n.191 e prevede l’adozione di forme d’impiego flessibile delle risorse umane. Diventa concretamente operativo con il
D.P.R. 8 marzo 1999, n.70 che definisce il ricorso al telelavoro subordinato alla definizione di progetti di telelavoro in cui siano specificati numero di persone coinvolte, obiettivi, costi, ecc. È regolamentato, inoltre,
dall’Accordo quadro sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni.
Manca tuttora una regolamentazione per il telelavoro nel settore privato.
Modalità di funzionamento.
Il luogo di svolgimento del telelavoro deve essere idoneo allo svolgimento dell’attività e quindi dotato di strumenti tecnologici di informazione e comunicazione, che consentano il collegamento con la sede di lavoro.
Esso può ma non deve necessariamente coincidere con l’abitazione del “telelavoratore/trice”. Il “telelavoratore/trice” può svolgere tutto il suo lavoro o solo una parte di esso con le modalità del telelavoro.
Il telelavoro può essere svolto sia da lavoratori/trici dipendenti, lavoratori/trici autonomi/e e imprenditori/trici. I
lavoratori/trici dipendenti devono trovare un accordo con il proprio datore di lavoro per l’organizzazione dell’attività. Sono maggiormente adatte al telelavoro quelle tipologie di attività che richiedono un alto grado di
lavoro intellettuale; in generale può essere utilizzato per lo svolgimento di qualsiasi compito che non comporti
produzione di beni.
Vantaggi.
I principali vantaggi del telelavoro sono:
 gestione personalizzata dei tempi di lavoro;
 riduzione dello stress;
 minori costi per le aziende;
 riduzione del traffico;
 nuove possibilità di occupazione.
Alcuni esempi di buone prassi...
 Regione Toscana
La Regione Toscana ha avviato un progetto di telelavoro attualmente in corso di realizzazione. Il progetto
intende creare i presupposti tecnologici ed organizzativi per sperimentare il telelavoro come forma di flessibilità nell’organizzazione del lavoro della Regione Toscana ed ha coinvolto nella sua realizzazione un gruppo
composto da 17 lavoratori appartenenti a dodici unità organizzative diverse. www.regione.toscana.it
 Consiglio Regionale della Regione Veneto
La Regione Veneto ha promosso l’introduzione del telelavoro, optando per la modalità domiciliare allo scopo di
facilitare l’accesso al lavoro a coloro che hanno problemi di spostamento e che, in senso più ampio, intendono
razionalizzare il proprio lavoro in modo da non richiedere necessariamente la presenza in ufficio.
L’iniziativa intende contribuire al miglioramento della qualità della vita del dipendente e ha coinvolto un’unità
in telelavoro con formula di part-time verticale. Sono stati concordati 2 giorni di lavoro a casa (martedì e giovedì) e 1 in ufficio (mercoledì), con elementi di flessibilità in caso di impegni istituzionali particolari, come in
prossimità di sedute del Consiglio regionale, con conseguente aumento dei carichi di lavoro, 2 giorni in ufficio
e 1 a casa. Le attività oggetto di sperimentazione hanno riguardato l’elaborazione e gestione di documenti istituzionali (progetti di legge, atti ispettivi).
 Provincia di Biella
La Provincia di Biella, tenendo conto del fatto che all’interno della pubblica amministrazione, i principali fattori
di sviluppo del telelavoro sono legati all’innovazione dei servizi e dei processi (ad esempio la trasformazione
dei servizi tradizionali in servizi on line erogati con tecnologie multicanale)e che accentuerà la necessità di
utilizzare forme nuove di organizzazione del lavoro, ha inteso esplorare i vantaggi e gli svantaggi del telelavoro
avviando un progetto specifico. www.provincia.biella.it
 Provincia di Venezia
Il progetto, in corso di realizzazione, si propone di realizzare una corretta introduzione del telelavoro nella
Provincia di Venezia, al fine di conseguire obiettivi di aumento della produttività e della qualità del lavoro e, contestualmente, rispondere all’esigenza di tutela di quei lavoratori che, dovendosi recare quotidianamente sul
posto di lavoro, hanno problemi di mobilità e situazioni accertate di disagio. Inoltre, il telelavoro può rappresentare una forma efficace di prestazione del lavoro per i/le dipendenti portatori di handicap, in quanto particolarmente indicata a migliorarne la qualità della vita, riducendo anche l’assenteismo. www.provincia.venezia.it
 Provincia di Modena
Il progetto avviato nella Provincia di Modena ha previsto la sperimentazione di una iniziativa di telelavoro
come nuova modalità organizzativa dell’Amministrazione che intende sperimentare una modalità di lavoro
capace di rendere libere molte persone dalla schiavitù dei trasporti e del traffico urbano. Grazie all’ausilio di
un computer, un modem e una linea telefonica è possibile lavorare da casa. Le applicazioni future dell’iniziativa possono determinare effetti positivi non solo per i dipendenti ma anche per l’amministrazione.
Per ulteriori approfondimenti e ed informazioni su altre esperienze avviate: www.buoniesempi.it/telelavoro.aspx
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 Regione Emilia Romagna
La Regione Emilia-Romagna ha promosso l’avvio e la sperimentazione di rapporti di lavoro a distanza, coinvolgendo alcuni dipendenti in varie attività quali inserimento dati, ricerca attraverso fonti web, istruttoria e controllo di pratiche amministrative, attività redazionale e di ricerca, produzione di pagine web, ispezioni con relativa elaborazione di report. www.regione.emilia-romagna.it
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Car Sharing
Definizione.
Il Car Sharing, come forma organizzata di uso in comune dell’auto, ha fatto la sua prima comparsa in Svizzera
nel 1987 (con 2 veicoli e circa 30 utenti) per iniziativa di alcuni privati mossi da ideali ecologici e di risparmio
economico.
Legislazione di riferimento.
Il recente Decreto per la Mobilità sostenibile, emanato dal Ministero dell’Ambiente il 27 marzo 1998, ha posto
le basi per l’avvio di un programma di promozione e diffusione del CAR SHARING nelle città italiane interessate ad ampliare la gamma dei servizi di mobilità alternativi all’auto privata. In particolare, il Decreto attribuisce
ai Comuni il compito di incentivare associazioni o imprese ad organizzare e realizzare il servizio
Modalità di funzionamento.
Come dimostrato in precedenza, l’introduzione del Car Sharing consente a più persone di usare l’auto e questo,
solo per il tempo strettamente necessario, pur facendo affidamento su un servizio raggiungibile 24 ore su 24.
Le modalità di accesso sono molto semplici, ci si associa ad un circuito che eroga il servizio gestendo una
serie di veicoli di diversa tipologia e lo si ritira nell’area di parcheggio più vicina. Il costo globale è composto
da un onere fisso
Vantaggi.
 Benefici effetti sull’ambiente.
 Possibilità di muoversi senza sostenere i disagi e i costi fissi legati al possesso dell’automobile.
 Allenta la morsa del traffico veicolare nei centri urbani riduce i volumi di traffico e dello spazio necessario
alla sosta.
 Favorisce comportamenti individuali più razionali nell’uso dell’auto a vantaggio di mezzi eco-compatibili e a
bassa intensità energetica.
 Riduce il parco auto degli Enti locali ed i costi fissi derivanti dalla proprietà.
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Buone Prassi.
Attualmente il servizio attraversa una fase di pieno sviluppo, specie nei Paesi del Nord Europa, dove si è consolidata un’immagine di qualità ed affidabilità grazie ad un’organizzazione dell’offerta secondo criteri imprenditoriali.
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Term-Time
Tale modalità consiste nella possibilità di avere un congedo non pagato durante le vacanze scolastiche. Non è
riscontrabile in Italia, ma vi sono alcuni esempi in Inghilterra. Compagnie come Boots the Chemists, Price
Waterhous, Dixons, Marks and Spencer, ecc. offrono tale possibilità. In Italia recentemente è stata introdotta
in un’azienda la sperimentazione di permessi non retribuiti per facilitare il rientro periodico degli immigrati nei
paesi di origine.
Banca delle Ore
Il sistema della “banca delle ore” rappresenta la formula più avanzata della flessibilità annua degli orari e funziona come un accreditamento individuale delle ore lavorate in più, che possono essere trasformate in giornate o
ore di permesso. È un sistema che oppone i benefici temporali ai benefici monetari e in quanto tale ha visto anche nelle discussioni per la definizione di recenti contratti, sia dell’industria che del commercio - una sorta di
contrapposizione tra donne (più favorevoli) e uomini (più ostili). Non appare ancora come un sistema “collaudato”, ma potrebbe diventare un’ utile azione per la conciliazione, a patto che le richieste di recupero siano realmente evase. Alla Zanussi, ad esempio, nell’accordo contrattuale nazionale del ‘97, è prevista la possibilità di
una “Banca delle ore” che consente di accantonare le ore di straordinario effettuate in un apposito “conto ore”,
spendibile in qualsiasi momento a discrezione dell’interessato/a, sia per motivi personali che familiari.
Flessibilità dell’orario
Possibilità di usufruire di un orario di lavoro flessibile in entrata ed uscita, superando i limiti degli orari rigidi di
lavoro che limitano la conciliazione fra vita familiare e vita lavorativa. Strumento entrato a pieno titolo nei
modelli di organizzazione nel settore pubblico.
■ Strumenti che liberano tempo
Congedo di maternità obbligatorio
Congedo cui una donna ha diritto per un periodo continuativo concesso prima e/o dopo il parto conformemente alla legislazione e alle prassi nazionali (direttiva del Consiglio 92/85/CEE del 19/10/92, GU L 348/1).
Congedo di paternità
Congedo limitato nel tempo di cui può fruire il padre di un bambino/a al momento della nascita oppure periodi
di congedo di cui si può avvalere un padre alla cura dei figli/e su base annuale o pluriannuale.
Congedo parentale
Il diritto individuale, in linea di principio su base non trasferibile, a fruire di un congedo per tutti i lavoratori e le
lavoratrici dopo la nascita o l’adozione di un bambino/a per consentire loro di prendersene cura (direttiva del
Consiglio 96/34/CEE, del 19/06/96, GU L 145).
■ Supporti al lavoro di cura
NIDI NEI LUOGHI DI LAVORO Studio di fattibilità di un asilo nido per la Provincia di Torino
Il mercato del lavoro si è diversificato in modo significativo negli ultimi anni e ciò ha consentito una maggiore
partecipazione delle donne comportando un profondo mutamento nell’organizzazione della vita degli individui,
in particolare delle donne, su cui pesano in modo prevalente ancora oggi le problematiche legate alla conciliazione fra vita lavorativa e vita privata.
Le rigidità e nel contempo le esigenze di flessibilità dettate dal mercato del lavoro, hanno incrementato la
necessità di realizzare servizi di conciliazione in grado di venire incontro alle esigenze di coloro che ogni giorno devono confrontarsi con i problemi della conciliazione di vita e lavoro.
L’Italia (in applicazione della Direttiva Europea 96/34), l’8 marzo 2000 ha adottato la Legge 53 “Disposizioni per
Un Set di iniziative a favore della Conciliazione
Schemi di interruzioni di carriera
Questa forma di flessibilità rientra nella casistica “permessi, congedi, aspettative” con la quale si intende tutte
quelle possibilità di assenza dal lavoro (tranne malattia e infortunio che presentano norme specifiche) che
sono connesse a particolari situazioni personali/sociali, nei confronti delle quali si configura uno specifico
diritto per la lavoratrice ed il lavoratore e una specifica attenzione o tolleranza da parte del datore di lavoro.
Rappresentano una forma di flessibilità degli orari, non legati al giorno o alla settimana, ma nel lungo periodo:
vengono classificate come flessibilità del corso di vita.
Le situazioni in cui è possibile usufruire di permessi, congedi e aspettative riguardano la maternità, la presenza di figli piccoli, lo studio, la tossicodipendenza, la presenza di familiari con handicap o malattie, l’esercizio di
attività di volontariato.
Il tipo di beneficio legato a forme di permessi, congedi e aspettative non è legato alla possibilità di scelta della
durata del proprio orario ma nella possibilità di usufruire di diritti di assenza, retribuita o non.
Sono scarsi in Italia gli esempi di lunghi distacchi dal lavoro quali anni sabbatici. In Francia e in Belgio esistono schemi di interruzione di carriera per motivi familiari, anche per più anni, con la garanzia di ritrovare il
posto di lavoro (tratto da Riprogettare il tempo, a cura di M. Piazza, A. Ponzellini, E. Provengano, A. Tempia, Ed.
lavoro, 1999).
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il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei
tempi delle città”, che, oltre a dare disposizioni relativamente ai congedi per la cura e la formazione, affronta
in forma esplicita il tema della conciliazione tra vita privata e vita professionale, segnando il passaggio dalla
concezione della protezione della madre lavoratrice a quella della promozione della condivisione dei lavori di
cura tra i genitori e riconoscendo a ciascun genitore il diritto di astenersi dal lavoro per dedicarsi alla cura dei
figli, indipendentemente dalla posizione professionale dell’altro. La legge affronta il tema della conciliazione
anche in riferimento alle possibili forme di flessibilità dell’orario di lavoro, prevedendo sovvenzioni alle imprese che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilità di orario: si concretizza
quindi per le aziende pubbliche e private l’opportunità di sperimentare nuove forme di organizzazione del lavoro cercando un punto di equilibrio tra la necessità di conciliare tempi di vita e tempi di lavoro dei lavoratori e
delle lavoratrici e quella della gestione economica dell’impresa in modo che la flessibilità costituisca valore
aggiunto in termini di competitività, soprattutto per le aziende di piccole dimensioni. Infine, la legge riconosce
l’importanza del coordinamento dei servizi pubblici in funzione della messa a punto di piani territoriali in materia di orari, banche del tempo, sottolineando l’importanza della concertazione locale a questo scopo.
Conciliare significa trovare un equilibrio al meglio tra diversi ambiti, di vita e di lavoro, pubblici e privati, e pertanto è problema che riguarda sia le donne sia gli uomini. La conciliazione è, dunque, il problema da risolvere
per tutti coloro che per ragioni individuali, familiari, territoriali, demografiche, economiche, sociali, culturali, o
per qualunque altra ragione, partono da posizioni più svantaggiate per raggiungere la propria “normalità” di
vita, di studio, di lavoro.
Le donne come soggetto debole non possono diventare ugualmente forti se operano in solitudine, cioè se non
sono supportate da interventi volti a rendere il contesto in cui vivono e lavorano più “amichevole” e dunque
meno ostile nei loro confronti, creando le condizioni per vivere il territorio come risorsa in cui si integrano i
valori in una visione programmatica costruita per obiettivi condivisibili e concertati. Solo mettendo in atto una
strategia focalizzata su questo obiettivo sarà possibile dar luogo a politiche in grado di rimuovere e superare
queste condizioni di svantaggio.
In altre parole, la conciliazione del conflitto lavoro di cura-lavoro professionale non può essere messa in carico alle donne, non può essere una conciliazione soggettiva, individuale o di genere. Sono la famiglia, la
società, la cultura diffusa, il territorio a doversi strutturare e organizzare in modo tale da conciliare, loro,
oggettivamente, il lavoro di cura e il lavoro professionale e per questa via liberare le donne dai vincoli.
La conciliazione tocca, quindi, innumerevoli aspetti della vita delle persone, ed in particolare delle donne, sia in
quanto cittadine ovvero componenti di una collettività che esprime valori condivisi, e quindi titolari di diritti e
libertà, sia in quanto soggetti economici, dunque, confrontati con il mercato del lavoro e più in generale con il
sistema economico. Di conseguenza tutte le politiche generali sono chiamate in causa: da quelle culturali a
quelle dello sviluppo economico, territoriale ed ambientale, da quelle sociali a quelle del lavoro, a quelle fiscali.
A fronte di una grande diversificazione dei bisogni e delle domande di conciliazione, c’è necessità di mettere in
campo un complesso di politiche in grado di offrire risposte articolate e flessibili, capaci di corrispondere ad esigenze che si differenziano a seconda del ciclo della vita lavorativa e di relazione che le persone attraversano.
Per quanto riguarda l’infanzia è noto che in Italia i servizi nella fascia 3-5 anni siano molto diffusi e coprono
quasi la totalità della domanda, mentre nella fascia 0-3 anni il tasso di copertura è solo del 7,4% e concentrato
prevalentemente nel centro nord. Guardando all’esperienza degli altri paesi europei, i servizi per la primissima
infanzia sono cruciali per rendere possibile la conciliazione e dunque la permanenza delle donne nel lavoro,
ma la scarsità di posti e le lunghe liste di attesa costituiscono un ostacolo alla sua realizzazione. È ancora forte l’utilizzo da parte delle famiglie dei cosiddetti servizi informali (parenti e baby sitter) per ovviare al problema
della conciliazione, anche perché gli orari dei servizi all’infanzia non sempre corrispondono con quelli lavorativi dei genitori.
Le famiglie con bambini in cui la madre è occupata, sono le principali destinatarie del flusso degli aiuti informali, da parte soprattutto della popolazione anziana. Pertanto la rete familiare, il vicinato, le forme di aiuto e
scambio fra amici, il volontariato risultano essere la risposta ai bisogni di cura.
Volendo affrontare concretamente questa criticità, nei mesi di novembre – dicembre 2003 è stata svolta un’indagine fra i/le dipendenti della Provincia di Torino, ove veniva richiesto agli/alle intervistati/e di esprimere il
proprio interesse per la futura realizzazione di un asilo nido all’interno nella Provincia di Torino.
L’idea di realizzare un servizio specifico di conciliazione non solo in forma di asilo nido ma anche di servizi per
i genitori (councelling psico-pedagogico, punto informativo, luogo di ritrovo), nasce dal presupposto che una
partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini tanto al mercato del lavoro quanto alla vita familiare
costituisce un elemento di vantaggio e di valore aggiunto non solo per le donne ma anche per gli uomini e
quindi costituisce un elemento indispensabile per lo sviluppo della società.
Dalla ricerca condotta dall’Istat “Maternità e partecipazione delle donne al mercato del lavoro” si ricava che
sono sempre di più le donne che, decidendo di lavorare, rinviano nel tempo la scelta di fare figli e sono sempre
meno quelle che, dopo il primo, optano per il secondo figlio.
È noto come il primo e cruciale incrocio fra vita familiare e vita lavorativa si pone, per una parte consistente
della popolazione femminile, al momento di affrontare la scelta di avere dei figli. Le indagini che sempre più
numerose affrontano congiuntamente il fenomeno demografico, connotato dalla bassissima fecondità delle
donne italiane, e il mercato del lavoro femminile, dimostrano, pur senza spiegarla univocamente, la stretta
interazione fra la maternità e lavoro.
L’affidamento e la cura dei propri/e figli/e in età prescolare è, quindi, il primo problema che si pone alla neomadre che voglia rimanere o entrare nel mercato del lavoro. La creazione di servizi di conciliazione dunque
risulta fondamentale per garantire una piena libertà di scelta delle lavoratrici. I servizi di cura, se ben organizzati, consentono la conciliazione fra l’esercizio della professionalità ed il lavoro di cura della famiglia.
Esperienze in Italia e all’estero di servizi per l’infanzia.
Il tema dei servizi all’infanzia è attuale a livello nazionale, regionale e provinciale. Le Regioni e le Province, su
indicazioni nazionali hanno promosso l’utilizzo di finanziamenti per sostenere l’avvio di asili nido aziendali.
Sull’esempio del Ministero alle Pari Opportunità che ha realizzato un asilo nido per i/le figli/e dei dipendenti del
ministero, è stato inaugurato nel mese di aprile 2004 l’asilo interaziendale della Città di Vigevano aperto da una
Amministrazione Comunale direttamente all’interno della propria sede, utilizzabile dai dipendenti dell’ente
locale e dai lavoratori delle aziende del centro storico cittadino.
Il servizio avrà orari flessibili e i locali saranno provvisti di web-cam collegati via internet con le postazioni telematiche dei genitori all’interno dei loro uffici in Comune. Il valore positivo e innovativo del micronido, così organizzato
realizza l’incontro tra le esigenze dell’azienda e quelle dei lavoratori e delle lavoratrici e contribuisce al miglioramento del clima aziendale favorendo il rientro delle lavoratrici dalla maternità con un atteggiamento sereno.
Un Set di iniziative a favore della Conciliazione
Il 38 % degli/delle intervistati (37% dei lavoratori e 39% delle lavoratrici) ha affermato che l’apertura di un asilo
nido interno all’ente potrebbe rappresentare un effettivo aiuto nella direzione di facilitare le strategie di conciliazione. Ovviamente il dato deve essere letto in relazione alla variabile dell’età delle persone intervistate poiché l’argomento ha suscitato l’interesse degli/delle intervistati/e più giovani, che in considerazione della fase
del ciclo di vita in cui si trovano, sono maggiormente interessati/e a servizi di questo tipo.
In un contesto specifico come quello dell’ente provinciale si rende necessaria l’introduzione di misure in grado di supportare concretamente il lavoro di cura mediante l’erogazione di servizi di qualità capaci di apportare
un miglioramento alle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori; sono necessarie risposte che incrementino la flessibilità con l’intento di costruire una cultura, tra le donne e gli uomini, tali da permettere a
entrambi di vivere il doppio compito del lavoro e della responsabilità familiare come una componente positiva,
una risorsa della propria vita nei suoi risvolti pubblici e privati.
È essenziale promuovere la ricerca di soluzioni che rendano più efficaci e adattabili alle esigenze del “sistema
famiglia”, e in particolare delle donne, i servizi per favorire l’accesso e la permanenza delle donne sul mercato
del lavoro, garantendo al contempo le pari opportunità nella progressione in carriera. Il tema della flessibilità e
della nuova organizzazione del lavoro infatti si pongono come sfida per il futuro, nell’ottica di sviluppare un
sistema in grado di coniugare tempi di vita, tempi di lavoro e tempi per sé.
La ridefinizione del tempo è divenuta ormai una priorità nella società in cui viviamo. È importante focalizzare
l’attenzione sulla realizzazione di specifici servizi di conciliazione ricordando che le pratiche che favoriscono
la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro non devono essere legate al genere ma centrate sul ciclo di
vita di donne e uomini a tutti i livelli di professionalità, per evitare che l’organizzazione del lavoro finisca per
essere veicolo di una nuova segregazione per le donne.
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È da segnalare inoltre la futura realizzazione di un asilo nido presso la Provincia di Caserta.
Infine non sono da dimenticare le esperienze a livello universitario già presenti sul territorio nazionale
(Università La Sapienza di Roma, Università di Roma Tor Vergata, Università di Bologna, Università di Palermo,
Università di Milano Bicocca) ed internazionale (università dei Paesi anglosassoni – Inghilterra, Scozia,
Galles, USA, Canada, Australia – Svizzera, Francia Germania).
Elemento comune di questi servizi, in particolar modo negli Stati Uniti, è l’importanza data alla responsabilizzazione di entrambi i genitori, promuovendo un maggior contatto con i figli e le figlie e un forte coinvolgimento
anche dei padri.
Proposta.
L’idea da sviluppare è quella di realizzare un asilo nido per figli/e di dipendenti della Provincia di Torino, unitamente ad alcuni servizi rivolti ai genitori affinché possano partecipare attivamente alle fasi di crescita dei loro
figli/e ed avere spazi propri accanto al luogo di lavoro.
L’obiettivo è quello di offrire un servizio rispondente alle esigenze di flessibilità dei /delle dipendenti e dei/delle
loro figli/e, in grado di consentire una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nonché la possibilità di
partecipare a corsi di formazione e di aggiornamento, ovvero ad un progresso della vita lavorativa.
Metodologia.
Elemento centrale per la definizione del progetto sarà quello di individuare una metodologia di azione.
Pertanto potrà essere di utilità per l’amministrazione provinciale tenere in considerazione alcuni aspetti ed
alcune metodologie già applicate in altri contesti:
 costituzione di un gruppo di lavoro composto da esperti interni e/o esterni con specifiche competenze in
materia di servizi all’infanzia e da rappresentanti del Comitato Pari Opportunità della Provincia di Torino;
 coinvolgimento di attori interessati;
 analisi di esperienze analoghe in altri contesti da cui trarre spunto;
 utilizzo dei dati emersi dall’indagine svolta nell’ambito del progetto Friendly per individuare esigenze e problematiche dei/delle dipendenti;
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 redazione di un protocollo di intenti a conferma dell’impegno dell’amministrazione provinciale per la realizzazione del servizio all’infanzia;
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 monitoraggio da parte del gruppo di lavoro di:
- caratteristiche del servizio - aspetti psico-pedagogici;
- possibilità insediative della struttura;
- ricerca di finanziamenti per la realizzazione della struttura (a livello regionale, nazionale e comunitario);
- gestione della struttura.
Servizi di supporto negli orari non coperti dalle attività educative e scolastiche
Servizi di doposcuola, spazi gioco, servizi di integrazione dei periodi di vacanza.
Vouchers di cura
I voucher possono essere utilizzati quale strumento atto a facilitare l’accesso, in modo paritetico, sia alle donne che agli uomini, ad attività del sistema formativo, ovvero l’ingresso e la permanenza nel mondo del lavoro
attraverso la rimozione di ostacoli riconducibili alla gestione familiare.
Il voucher di conciliazione comprende buoni (pre-pagati) oppure rimborsi spesa o assegni servizio, da utilizzare per l’acquisto di una o più tipologie all’interno di una gamma di servizi, tutti finalizzati alla conciliazione,
direttamente o indirettamente rivolti alla cura di familiari e/o conviventi. Il servizio erogato può afferire a differenti tipologie di contenuto in cui si estrinseca il family care (cura, custodia, educazione, ricreazione, accompagnamento, trasporto, etc). In linea generale, l’utilizzo del voucher può avere modalità applicative differenti e
configurare diverse opzioni di applicazione.
Servizi alle famiglie
Fra i servizi alle famiglie si possono considerare:





info point sui servizi territoriali pubblici e privati presenti nel luogo di residenza o nel luogo di lavoro;
punto informativo sulle leggi in materia di congedi parentali e permessi usufruibili;
numero verde per avere accesso ad un elenco di baby sitter affidabili;
corsi di accompagnamento nel rientro dai periodi di maternità e paternità;
servizi di counselling psicologico per i genitori.
■ Strumenti che formano una diversa cultura del tempo
Servizio di consulenza personalizzata
Il periodo di rientro dalla maternità costituisce nella maggioranza dei casi un momento critico nel percorso
lavorativo delle donne. È opportuno pensare a dei servizi in grado di facilitare il rientro delle madri nel luogo di
lavoro e la sperimentazione di un servizio di consulenza personalizzata, in conformità con le normative vigenti,
potrebbe costituire una valida soluzione.
Per consulenza personalizzata si intende la realizzazione di un servizio in grado di rispondere alle esigenze
delle lavoratrici madri che, rientrando al lavoro, si trovano a dover affrontare problemi di conciliazione fra
lavoro e famiglia differenti rispetto al periodo di vita precedente. Occorre mettere in atto politiche in grado di
offrire risposte articolate e flessibili, capaci di rispondere alle esigenze che si differenziano a seconda del
ciclo di vita che le persone affrontano.
Il servizio di consulenza personalizzata, inserendosi in questo contesto, potrebbe costituire un strumento valido e
innovativo di sostegno alla conciliazione ove poter reperire informazioni su corsi di formazione ed aggiornamento, eventuali applicazioni di forme di lavoro flessibile corrispondenti alle esigenze delle lavoratrici madri, forme di
accompagnamento durante la fase di rientro e di consulenza per eventuali modifiche dell’orario di lavoro.
Obiettivo è dunque quello di realizzare non un semplice “infopoint”, ma un luogo accogliente di consulenza
personalizzata, scambio e supporto per le lavoratrici della Provincia di Torino.
Coordinatori “work family” - punti di competenza “work-family”
Queste misure non intervengono direttamente sulla flessibilità degli orari né forniscono assistenza e cura, ma
contribuiscono a rendere meno ostile la conciliazione fra lavoro e famiglia.
Si tratta di azioni di conciliazione volte a creare una competenza organizzativa in tema di conciliazione, istituendo delle figure professionali o dei servizi dedicati all’interno delle imprese.
I Punti di competenza o i coordinatori “work and family” sono chiamati a gestire con reciproca convenienza le
esigenze aziendali e le esigenze personali e familiari di chi lavora.
Una delle esperienze italiane più interessanti è il “punto di competenza personal-family friendly” istituito presso un grande ipermercato (Auchan di S. Rocco al porto in provincia di Lodi) operativo dal 2003 presso gli uffici
delle risorse umane, dove vi lavorano due operatrici, appositamente formate.
Il Punto offre:
 informazione su normative, legislazione, servizi territoriali;
 documentazione con un repertorio di ricerche, articoli, indirizzi degli organismi che si occupano del tema
della conciliazione;
 ascolto per mettere a fuoco esigenze e individuare soluzione di reciproco vantaggio;
 osservatorio che raccoglie dati sul personale ed aggiorna azienda e rappresentanze sindacali per trovare
risposte dinamiche e funzionali;
 borsa e scambio di oggetti e servizi di aiuto.
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Accompagnamento al rientro dalla maternità - formazione - informazione
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Focus Group
Nell’ambito del Progetto Friendly è stato organizzato un focus group, svoltosi il 19 maggio, volto ad approfondire le tematiche emerse dal lavoro di indagine: in particolare le
esigenze e le proposte di soluzione e di modifiche organizzative per migliorare la conciliazione fra vita familiare e vita professionale del personale che lavora in provincia di
Torino.
All’iniziativa hanno aderito 12 dipendenti (11 donne ed un uomo) della Provincia di
Torino che hanno espresso le loro opinioni in merito ai temi trattati.
È emerso un forte interesse dei partecipanti verso il Progetto Friendly poiché ha messo in luce delle tematiche cruciali per la vita professionale e personale dei/delle
dipendenti, e ha sollecitato un confronto a diversi livelli (fra il personale, i dirigenti, il
comitato promotore) sulle questioni che stanno al fondo di un evento organizzativo
che ancora stenta a trovare adeguata cittadinanza nella vita delle imprese, sia pubbliche che private.
I/le presenti hanno presentato alcune problematiche legate alla vita quotidiana, quali
la cura dei figli e delle persone anziane, le difficoltà di conciliare i tempi della carriera
con le altre appartenenze di vita, il rientro dal periodo di maternità che diviene spesso
un momento critico che può spingere la lavoratrice madre verso una forma di isolamento, di perdita di legami con il contenuto del proprio lavoro, con i colleghi, con l’ambiente più in generale.
È emersa una cultura fortemente “presenzialista” all’interno dell’ente, ovvero il riconoscimento del valore professionale si sintonizza sulla durata della presenza nel luogo di
lavoro, modello che limita le possibilità di carriera in particolar modo per coloro che,
donne e uomini, decidono di usufruire per motivi familiari e/o personali di forme di
lavoro flessibile. Manca dunque una valorizzazione delle competenze dei/delle dipendenti che prediliga la qualità del lavoro rispetto alla quantità.
La conciliazione deve essere intesa come un tema trasversale non legato solo alle
necessità, e soprattutto come esigenza delle donne, ma come domanda più generale
di benessere che cerca di comporre in equilibri meno oppositivi la responsabilità verso il lavoro e verso la vita personale e familiare; una forma di interdipendenza da non
guardare più come criterio di “inaffidabilità” ma anzi da riconoscere e valorizzare
come contenuto delle competenze.
Nella vita di tutti i giorni vengono già date individuate, sulla base delle specifiche esigenze, risposte di conciliazione, che però vengono erroneamente interpretate e percepite come risposte personali, provvisorie, volte a tamponare una emergenza e non
assunte come risposta organizzativa da consolidare e diffondere per favorire maggiori
omogeneità di trattamento.
Non a caso in diverse testimonianze è emersa la difficoltà di utilizzare gli strumenti di
flessibilità di cui l’ente dispone, a causa sia del sottodimensionamento dei servizi, ma
soprattutto per la mancanza di certezza nell’esercitare i propri diritti. Si tentenna nelle
richieste, si ha spesso anche una scarsa conoscenza degli strumenti contrattuali e di
legge e si finisce spesso per formulare richieste imprecise che sollecitano risposte
altrettanto indefinite e informali. Il tema della conciliazione staziona come un rumore
di fondo che spesso impedisce alle domande di emergere con maggiore precisione e
alle risposte di risultare efficaci.
Dalle esperienze delle persone presenti si è colto come il part time costituisca al tem-
52
po stesso una opportunità ed uno svantaggio poiché, se da una lato consente una migliore conciliazione dei
tempi di lavoro con i tempi di vita, dall’altro comporta quasi una automatica esclusione da certi processi ed
eventi lavorativi, con conseguenti difficoltà nel proporsi e nell’essere considerati ai fini della progressione di
carriera.
Il part time viene ancora visto, nonostante innumerevoli esperienze italiane ed europee ne riconoscano il
valore e la produttività, come una sottrazione di competenze e viene associato ad una percezione di inaffidabilità delle persone che lo richiedono.
È auspicabile un cambiamento di prospettiva, in particolare di quadri culturali per guardare alla flessibilità
lavorativa come una soluzione positiva, non solo per i/le lavoratori/lavoratrici ma anche per l’ente stesso; in
presenza di risposte, da parte dell’ente/datore di lavoro, a supporto delle loro esigenze di conciliazione, lavoratori e lavoratrici positive sono disposti a mettere in campo la propria professionalità in modo più propositivo e composito. È noto infatti che un maggior benessere dei/delle lavoratori/trici determini un miglior rendimento sul luogo di lavoro. La rigidità rischia di depauperare un ente delle competenze di cui dispone perché
le limita, irrigidendole in schemi di funzionamento e di lettura inadeguati e stereotipati. Occorre dunque una
valorizzazione delle competenze che tenga conto anche del lavoro di cura, affinché questo venga percepito
come un elemento di valore aggiunto.
Dal focus group sono emerse alcune proposte:
- definire una normativa interna relativa alla flessibilità in entrata e in uscita (attualmente da concordarsi con
il rispettivo/a dirigente)
- svolgere un’azione di sensibilizzazione nei confronti della dirigenza affinché il part- time sia considerato
come una esigenza, spesso temporanea, del dipendente, di cui conservarne e potenziarne gli elementi di professionalità
- coinvolgere maggiormente l’ufficio del personale alla ricerca di altre possibili soluzioni di flessibilità oraria
- introdurre un servizio di accompagnamento alle transizioni familiari, prevedendo colloqui o percorsi di formazione al rientro dalla maternità e dai congedi. per ricreare un legame positivo fra il/la dipendente ed il lavoro
- pensare all’introduzione di alcuni servizi a supporto di alcuni compiti familiari che potrebbero facilitare la
conciliazione fra vita e lavoro( servizi di pagamento bollette, ecc…)
Focus Group
La conciliazione è una strategia più ampia di gestione del tempo e di riconoscimento di competenze. È opportuno che l’ente tenga conto che le esigenze di conciliazione sono diverse e dinamiche, attrezzandosi, con un
maggior sforzo, di nuove risposte e di quadri di garanzia flessibili ma certi.
53
i documenti di indirizzo della Provincia di Torino
Leggere in un’ottica di Genere
54
Introdurre un’ottica di mainstreaming di genere nella definizione dei documenti di pianificazione strategica di un ente e più in generale nella definizione della sua agenda
politica richiede una lettura di genere che individui gli elementi di forza e di debolezza
che all’interno dei medesimi sono contenuti e faccia così emergere i modi critici su cui
concentrare l’azione.
A tal fine si è ritenuto utile procedere alla lettura di genere del PEG della Provincia di
Torino per rilevare come e quanto all’interno del medesimo sia contenuta la trasversalità pari opportunità.
Da questa emerge che, nonostante la Provincia di Torino sia nei fatti particolarmente
attiva in tal senso, a partire dalla stessa composizione paritaria della Giunta, nel documento di programmazione i richiami alle pari opportunità siano di fatto contenuti soltanto nel capitolo dedicato.
Colpisce in particolare la differenza con un’altra priorità che ha un effetto di mainstreaming sulle politiche, quella ambientale, che viene invece richiamata più volte e
nel corso di sviluppo dell’intero documento.
L’indicazione che se ne trae è che molte iniziative promosse a favore delle Pari
Opportunità nell’ambito della Provincia di Torino non sono rilevate e dunque valorizzate: il che significa che ancora oggi non vengono ritenute un elemento di immagine di
performance positiva dell’azione politica e programmatoria dell’ente.
Da questo punto di vista un contributo significativo potrebbe essere dato dall’attuazione di quella parte del Piano di Azioni Positive che non si limita a richiamare l’esigenza
della lettura di genere dei documenti, ma suggerisce che questi, e tutta l’azione di
comunicazione interna ed esterna, siano fortemente segnati dalla cultura di genere,
ovvero dal richiamo esplicito ad entrambe i sessi. Ciò significa adottare un piano di
comunicazione trasversale e promuovere un’azione di sensibilizzazione a tutti i livelli e
in tutte le aree facendo rilevare la positività di questo approccio.
È del tutto evidente che un’azione di questa natura svolta dalla Provincia di Torino
potrebbe avere un forte effetto positivo sul sistema degli enti locali, ovvero dei 315
comuni che la costituiscono.
Ma non solo: un po’ come avviene oggi per la rendicontazione sociale, questo consentirebbe di rilevare e dare più forte visibilità a quelle azioni che già sono attuate e che possono avere un impatto positivo sul miglioramento delle condizioni di vita delle donne.
Poiché il documento regolatore per eccellenza di un ente pubblico è costituito dal
bilancio, il frutto dell’azione di sensibilizzazione alle pari opportunità, potrà essere il
bilancio di genere della Provincia di Torino: la sua adozione potrebbe avere una ricaduta estremamente positiva su tutta l’azione programmatoria ed aiutare a mettere in
luce le differenti ricadute di ogni singola spesa sugli uomini e sulle donne.
Recentemente la Provincia di Torino ha aderito al protocollo di intenti adottato in tal
senso dalle Province di Genova, Siena e Modena, manifestando così il proprio concreto interesse a procedere in questa direzione.
Senza dubbio questo è il risultato di un’azione forte e diffusa condotta all’interno della
Provincia dall’Assessore alle Pari Opportunità e dalle istituzioni di parità operanti al
suo interno e fra queste dal Comitato Pari Opportunità.
La redazione del bilancio di genere potrà tradursi in una serie di indicazioni che saranno quindi contenute nei documenti di programmazione e avranno così la possibilità di
rendere più efficace, metodica e soprattutto trasversale l’azione a favore delle pari
opportunità.
Giugno 2003
a cura del gruppo per la predisposizione del
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
Premessa.
Nell’ambito delle iniziative promosse per una coerente applicazione degli obiettivi di
uguaglianza di opportunità nelle politiche, attività e scelte strategiche della Provincia
di Torino, si è inserito con una sua specifica proposta il Gruppo Tecnico interarea sulle
Pari Opportunità costituito da rappresentanti del Servizio Risorse Umane, P.O, CPO,
OO.SS, che ha avuto l’incarico di predisporre un documento di indirizzo che possa portare alla definizione del piano di Azioni Positive, che dovrà essere presentato al
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali conformemente a quanto disposto dal
Decreto Legislativo 196/2000.
Uno dei limiti tradizionali dei Piani di Azioni Positive è tuttavia quello di rischiare di
essere una raccolta formale di dichiarazioni di intenti. È possibile tuttavia superare
questo limite attraverso la definizione nel Piano stesso di una serie di attività che permettano di avviare concretamente azioni anche sperimentali di tipo integrato che possano produrre effetti significativi a favore delle lavoratrici dell’ente anche se realizzate
singolarmente e contestualmente sensibilizzare la componente maschile rendendola
più orientata alle pari opportunità.
Il gruppo per la predisposizione del Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
intende inoltre utilizzare le molteplici opportunità offerte dai finanziamenti regionali,
nazionali e comunitari per svolgere e implementare le sue funzioni istituzionali.
Al fine di promuovere e coordinare tali attività viene istituito un Comitato di Pilotaggio
composto dagli organismi di parità e coordinato dall’Assessore alle Pari Opportunità
della Provincia di Torino.
In particolare l’attenzione si rivolgerà alle misure di sostegno per interventi a favore
della conciliazione, della crescita professionale e di carriera delle donne, ma anche di
visibilità esterna di un ente attento alle politiche di genere e che dunque le assume
come valore nella propria pianificazione strategica.
La Provincia di Torino è un’amministrazione non solo particolarmente vocata alle
tematiche di pari opportunità, ma anche ad esse significativamente coerente sia a
livello politico che amministrativo. A livello politico infatti è da rilevare la forte presenza femminile nell’Esecutivo della medesima, che si collega sul piano amministrativo
alla attivazione di una serie di strumenti idonei a promuovere in modo coerente la cultura di pari opportunità come parte integrante e significativa della propria pianificazione strategica: si pensi alla presenza di un Assessore alle pari opportunità, alla nomina
del consulente di fiducia sulle pari opportunità, alla istituzione sin dal 1988 del
Comitato Pari Opportunità, all’attivazione dell’ufficio della Consigliera di parità, all’istituzione di una Commissione consiliare permanente composta da donne e uomini sulle
pari opportunità, all’adozione del documento di indirizzo delle attività dell’ente “Parità
in movimento”, all’attivazione del coordinamento delle Banche del Tempo, all’adozione
di protocolli di sostenibilità ambientale, sociale e di genere nell’ambito di Agenda XXI,
alla sottoscrizione di Protocolli di parità nell’ambito dei Patti Territoriali e alla attivazione di una “Rete di Parità nello Sviluppo Locale”, agli interventi nel campo delle scuole,
all’attivazione di progetti mirati all’intervento a favore delle donne vittime della tratta.
È proprio grazie a questa articolazione significativa sul piano istituzionale che è possi-
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
della Provincia di Torino
Piano di Azioni Positive
ALLEGATO
55
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
56
bile per ciascuno dei referenti delle singole iniziative operare contestualmente in modo specifico e in rete a
partire dall’anno 2001, grazie all’attivazione del progetto dal titolo “Parità in movimento”, che prende spunto e
offre contenuti alla stessa relazione previsionale programmatica che la Provincia di Torino predispone con
cadenza annuale, svolgendo una funzione sistematica di diffusione della cultura delle pari opportunità e delle
buone prassi sviluppate sul territorio provinciale. Le azioni rivolte al territorio sono dunque specchio di una
cultura presente nell’ente, che può tuttavia essere significativamente rafforzata da parte della Provincia di
Torino attraverso l’adozione di iniziative che migliorino il contesto lavorativo, lo rendano più amichevole nei
confronti delle lavoratrici, che costituiscono il 53% dei dipendenti dell’ente, assumendo come valore nuovo e
praticabile la conciliazione fra responsabilità di lavoro e responsabilità familiari anche nell’ottica di favorire la
progressione di carriera delle donne che lavorano nell’Ente. Il Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino,
si inserisce dunque all’interno di una strategia avviata per arricchirla di nuove iniziative, che promuovendo
un’attenzione specifica all’introduzione di elementi di “flessibilità conciliativa” e dunque di interventi innovativi
di organizzazione del lavoro (job sharing, part time, telelavoro, servizi di conciliazione, altre risorse di facilitazione come il car sharing) tali da favorire il miglioramento della qualità del lavoro e di vita delle lavoratrici definendo contestualmente da un lato strumenti di conciliazione fra responsabilità lavorative e familiari e dall’altro percorsi di pari opportunità ingegnerizzabili e trasferibili al sistema di enti locali che alla Provincia di Torino fanno
riferimento. A questo proposito, l’Italia, l’8 marzo 2000, ha adottato la Legge n. 53 “Disposizioni per il sostegno
della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle
città”, che, oltre a dare disposizioni relativamente ai congedi per la cura e la formazione, affronta il tema della
conciliazione in riferimento alle modalità di astensione dal lavoro e alle possibili forme di flessibilità di orario.
Prendendo spunto da queste linee di indirizzo discusse, approfondite e condivise dal gruppo per la predisposizione del Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino, PAP intende proporsi come studio organico ed articolato
di soluzioni di flessibilità, al fine di favorire la conciliazione fra lavoro/carriera e responsabilità familiari, come
studio di fattibilità per servizi di conciliazione, promuovere una condivisa cultura di pari opportunità e riconoscimento del valore e delle competenze femminili all’interno dell’ente, affinché vi sia un crescente grado di coerenza fra le azioni politiche dell’ente e le modalità di organizzazione interna del medesimo che dovrà risultare “gender oriented” nonché orientando ad un’ottica di genere la comunicazione interna ed esterna all’ente.
La definizione di proposte volte ad integrare obiettivi di pari opportunità nel Piano di comunicazione istituzionale dell’ente costituirà inoltre una delle Azioni del PAP a cui viene assegnato un elevato indice di priorità.
La Provincia di Torino lo identifica infatti nelle comunicazione un obiettivo di rilevanza strategica, poiché ad
una immagine esterna potrà più agevolmente corrispondere uno stile di comportamento interno, realizzando
così un circuito virtuoso e al tempo stesso innovativo.
L’azione di coordinamento sarà garantita dall’Assessore alle Pari Opportunità preposto.
Proposta.
In particolare, le iniziative su cui si concentrerà il Piano di Azioni Positive saranno le seguenti.
1. Lettura di genere della composizione del personale della Provincia di Torino.
Questa attività è indispensabile per delineare l’analisi del contesto in cui si propone di implementare il Piano di
Azioni Positive della Provincia di Torino. Realizzare una lettura di genere non significa limitarsi a distinguere
fra uomini e donne, ma anche raccogliere tutta la documentazione prodotta dalla Provincia e verificare dove
sia già presente una “sensibilità di genere” e dove questa possa essere introdotta.
Azioni:
1. lettura dei documenti di pianificazione e di comunicazione della Provincia di Torino;
2. individuazione di elementi di lettura di genere da proporre alla Provincia di Torino da introdurre nei documenti di pianificazione;
3. definizione e diffusione della metodologia adottata;
4. l’impegno a compilare le tabelle art. 9 L. 125/91 che saranno verificate dal CPO e trasmesse all’Autorità
competente.
2. Definizione del Piano di Azioni Positive: indicatori di valutazione.
La fase di definizione delle priorità del Piano di Azioni Positive consegue temporalmente e metodologicamente
alla fase 1 (lettura di genere) da cui trae le indicazioni sulla situazione esistente evidenziandone le criticità.
La definizione del Piano costituisce un intervento che è parte integrante della “pianificazione strategica” della
Provincia di Torino e quindi un atto di forte impatto sull’ente, sulla sua organizzazione, sulle sue modalità di
comunicazione interna ed esterna (che dovrà essere improntata al rispetto degli obiettivi di pari di opportunità
fra uomini e donne) e soprattutto potrà con atti successivi definire percorsi e modalità di applicazione, nonché
di monitoraggio e valutazione di efficacia nel tempo. Se dunque l’azione 1 costituirà la valutazione ex ante del
contesto, le azioni di monitoraggio e valutazione costituiranno la fase di valutazione in itinere, fase indispensabile per realizzare successivamente la valutazione ex post (ovvero di impatto e risultato) e dunque dell’efficacia del Piano di Azioni Positive medesimo.
Il PAP verrà dunque dotato di un sistema di indicatori che consentano di produrre i risultati previsti.
Azioni:
1. definizione di un sistema di indicatori di valutazione di coerenza con gli obiettivi di pari opportunità a partire dagli indirizzi operativi delle linee guida V.I.S.P.O., adottato dal dipartimento Pari Opportunità presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri;
2. azione di sensibilizzazione finalizzata all’adozione ed implementazione del set di indicatori;
3. lettura dell’attività dell’ente e valutazione da inserire nel Piano di valutazione dell’ente in un’ottica di mainstreaming di genere.
3. Definizione di un sistema di adozione, monitoraggio e valutazione del tasso di incremento di gender mainstreaming nelle politiche dell’ente e nei suoi strumenti di programmazione (Pianificazione Strategica,
Relazione Previsionale Programmatica, Piano di Sostenibilità Ambientale, Documento di Pianificazione
Territoriale, ecc.).
Azioni:
1. produzione di documenti che favoriscano una lettura di genere dei documenti di pianificazione programmazione.
4. Identificazione di azioni di sperimentazione/applicazione del Piano di Azioni Positive.
4.1. Promuovere un ambiente amichevole nei confronti delle donne e rispettoso della dignità di ciascuno.
Azioni:
1. promuovere la diffusione del Codice Etico adottato dal CPO della Provincia di Torino;
2. favorire la diffusione e la conoscenza dell’azione della Consulente di fiducia;
3. prevedere la diffusione di un report annuale sull’attività della Consulente di fiducia in collaborazione con
le istituzioni di parità provinciali.
4.2. “Banca delle opportunità di carriera, conciliazione, flessibilità positiva e sostenibilità”.
Le azioni di sperimentazione, finalizzate ad applicare il Piano di Azioni Positive, deriveranno dai risultati delle
fasi 1 e 2. Appare dunque prematuro indicare una scelta prioritaria (es.: diffusione del part-time, avvio di iniziative di telelavoro) poiché la gerarchia delle azioni dovrà emergere dalla fase di consultazione.
Data la complessità dell’Amministrazione provinciale e della sua organizzazione, sembra ad oggi assai più
convincente pensare ad una “Banca delle opportunità di carriera, conciliazione, flessibilità positiva e sostenibilità” che, adottando il modello della banca del tempo come buone prassi trasferibile, costituisca una sorta di
catalogo di iniziative, offerte, scambi, che viene messo a disposizione dei/delle dipendenti dell’ente e che
dovrebbe consentire di migliorare, rendere più “amichevole” il contesto di lavoro soprattutto per le donne.
Nel catalogo a cui attingere per le sperimentazioni potranno esserci indicazioni per scelte individuali (part-
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
Una delle attività indicate dal PAP, sarà quella di incoraggiare la diffusione del gender mainstreaming negli
strumenti di programmazione e Pianificazione ordinaria e strategica della Provincia di Torino, intervenendo
quindi con proposte puntuali che possano costituire un elemento di arricchimento nella redazione dei documenti sopra richiamati.
57
time) o di gruppo (job-sharing) con l’obiettivo di creare condizioni che soddisfino contemporaneamente esigenze individuali e dell’ente.
Azioni:
1. definizione del modello “Banca delle opportunità”;
2. costruzione del catalogo;
3. diffusione del catalogo tra le lavoratrici e i lavoratori dell’ente;
4. implementazione delle attività coerenti all’utilizzo del catalogo.
4.3. Realizzazione di iniziative di sperimentazione di azioni di conciliazione volte a promuovere la carriera delle
lavoratrici dell’ente.
La conciliazione fra responsabilità di lavoro e responsabilità familiari emerge come tema rilevante nell’affrontare il diritto alla carriera delle donne. Sono infatti ancora oggi gli impegni, le responsabilità familiari a condizionare la disponibilità femminile a proporsi in situazioni che potrebbero favorirle sul piano della promozione
nel lavoro dando luogo ad un fenomeno di scoraggiamento che va senza dubbio contrastato.
In tal senso è opinione diffusa che si debba passare dalle enunciazioni ad azioni concrete, efficaci e misurabili
e dunque alla messa in atto di iniziative all’interno dell’ente che sostengano questo diritto.
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
Azioni:
1. definizione di un “Piano di conciliazione”;
2. consultazione sul medesimo delle lavoratrici dell’ente;
3. adozione del “Piano di conciliazione”;
4. sperimentazione di iniziative sulla base degli esiti della consultazione:
4.1. rivolte alle singole lavoratrici (accompagnamento);
4.2. rivolte al contesto generale dell’ente (sensibilizzazione, introduzione di elementi di riorganizzazione del
lavoro in un’ottica di genere);
4.3. realizzazione del Progetto Friendly promosso dal CPO della Provincia di Torino e candidato a finanziamento nell’ambito dell’Asse E Misura E.1 del POR del Piemonte.
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4.4. Promozione dell’accesso alla formazione.
La diffusione della società della conoscenza costituisce un obiettivo fondamentale per il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione di ogni struttura organizzata.
Acquista particolare rilievo in tal senso la partecipazione femminile ad ogni iniziativa di formazione organizzata dalla Provincia di Torino sia in qualità di discente che di docente e in tal senso occorrerà promuovere azioni
di incoraggiamento volte ad incrementare il numero delle lavoratrici che vi possono partecipare.
Azioni:
1. analisi del Piano di formazione dell’ente;
2. verifica che al suo interno sia presente un’ottica di genere nelle modalità di erogazione e nei contenuti del
medesimo nonché nel coinvolgimento in qualità di docenti, progettisti, tutor di professionalità femminili
3. promozione di iniziative che favoriscano una partecipazione a percorsi formativi proporzionale alla presenza femminile nell’ente
4.5. Definizione e sperimentazione di azioni di car sharing.
Questa azione si inserisce insieme a quelle volte a favorire la diffusione iniziative di conciliazione nel quadro di
promozione della sostenibilità di genere indicata nel Piano di Agenda XXI della Provincia di Torino.
Azioni:
1. analisi di pratiche di car sharing sperimentate in altri contesti;
2. analisi del contesto della Provincia di Torino per definire le modalità di sperimentazione di pratiche di car
sharing;
3. definizione delle iniziative;
4. sperimentazione.
4.6. Promozione della presenza femminile negli enti partecipati della Provincia di Torino.
La Provincia di Torino è presente in un numero significativo di enti che fanno parte del suo territorio e che
sono impegnati nella realizzazione di politiche specifiche (ricerca, infrastrutture, finanza, sviluppo locale,
ecc.). La presenza femminile in questi enti, soprattutto in quelli che hanno ruoli di particolare rilievo, può essere ulteriormente incrementata per coerenza con gli obiettivi di pari opportunità perseguiti dall’ente.
In tal senso si intende promuovere un’azione di sensibilizzazione dell’esecutivo, in cui già oggi la presenza
femminile è particolarmente significativa e far sì che nei bandi per l’individuazione di nuovi curricula e disponibilità venga riportato esplicitamente il fatto che saranno particolarmente gradite le candidature femminili.
Azioni:
1. verifica della composizione per genere degli organi decisionali degli enti;
2. promozione di un’azione di sensibilizzazione volta ad incoraggiare la presenza femminile rivolta all’esecutivo e al territorio provinciale, al fine di sollecitare le candidature significative;
3. costruzione di un “albo delle competenze” che raccolga curricula di donne interessate ad impegnarsi in
enti di seconda nomina;
4. mettere in linea l’albo, al fine di farlo conoscere sia come buona prassi ripetibile da parte di altri enti, sia
come azione di marketing di competenze femminili.
Azioni:
1. realizzazione di un documento di diffusione del PAP della Provincia di Torino e degli elementi di metodologia per la trasferibilità al sistema degli Enti Locali, nonché degli enti partecipati dalla Provincia di Torino;
2. diffusione del documento nell’ambito della Provincia di Torino, anche attraverso i Tavoli di Parità costituiti
nell’ambito della “Rete di Parità per lo Sviluppo Locale”;
3. pubblicazione sul sito web “Parità in movimento”;
4. costituzione di uno “Sportello Azioni Positive” a cui accedere da parte di enti ed organismi interessati
attraverso l’implementazione dell’Ufficio Pari Opportunità.
6. Realizzazione di un opuscolo di informazione da diffondere tra i/le dipendenti dell’ente.
Il successo del PAP è legato al grado di conoscenza che ne avranno coloro che operano all’interno
dell’Amministrazione provinciale.
A tal fine occorre prevedere uno strumento accattivante di informazione che soprattutto indichi le opportunità
che dal PAP possono emergere, facendo derivare la realizzazione dell’obiettivo di pari opportunità dalla sensibilizzazione del contesto, da una diffusa condivisione di iniziative non solo di equità ma anche di modernizzazione dell’ente.
Azioni:
1. produzione di una brochure di informazione;
2. realizzazione di percorsi formativi finalizzati alla conoscenza degli obiettivi di pari opportunità e di azioni
concrete volte a sostenerli.
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
5. Definizione di un modello di trasferibilità del Piano di Azioni Positive al fine di renderlo disponibile per gli
altri enti locali.
La Provincia è un ente sovraordinato a cui la legge 142/90 assegna il compito di coordinamento nei confronti
degli enti locali che sono parte del suo territorio.
Immaginare dunque (ed impostare in modo conseguente) la trasferibilità della metodologia di costruzione e di
successo di un “Piano di Azioni Positive” costituirà parte integrante del PAP della Provincia di Torino. Al fine
di incrementare la conoscenza del PAP e la sensibilizzazione sulla utilità alla sua adozione, la Provincia di
Torino potrà avvalersi della “Rete di parità nello sviluppo locale”, costruita nel territorio provinciale e in grado
di garantire il coinvolgimento e la sensibilizzazione di enti locali e del partenariato sociale.
59
Conclusioni.
Le linee di indirizzo del PAP della Provincia di Torino così come delineato impegnano l’ente alla sua realizzazione e il CPO alla verifica puntuale della sua efficacia all’interno dell’ente.
Al fine di realizzare un monitoraggio del medesimo, sarà redatto un documento di confronto, approfondimento
e correzione di obiettivi e metodologie adottate con cadenza annuale.
Nell’azione di verifica saranno coinvolte tutte le Istituzioni di Parità Provinciali. Il documento sarà diffuso attraverso il sito della Provincia di Torino e il sito Parità in Movimento.
Il Piano di Azioni Positive così delineato avrà durata triennale.
Budget.
ATTIVITÀ
2003
ANNO
2004
2005
3.500
10.000
10.000
Azioni di sistema
(lettura di genere, definizione indicatori di valutazione,
esame piano formazione, lettura materiale prodotto dall’ente ecc.)
30.300
4.000
4.000
Azioni specifiche (Banca del tempo, albo,
produzione documenti di integrazione della prospettiva di genere)
9.486
20.000
20.000
10.000
60.000
70.000
Azioni di sensibilizzazione
Azioni sperimentali
(servizi di conciliazione, attivazione forme di flessibilità ecc.)
Piano di Azioni Positive della Provincia di Torino
Per affrontare il Piano economico, da ritenersi indicativo, si farà ricorso a cofinanziamento su fondi strutturali,
nazionali e regionali.
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