ENRICO FURIA
Valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Enrico Furia
Introduzione alla
Valutazione e Gestione del
Rischio nelle Imprese
Il rating aziendale nelle Procedure Standard e IRB
Dell’Accordo sui Capitali di Basilea 2
Indice
Dieci regole semplici per la gestione del rischio
Introduzione
Parte I
Definizione di rischio ed elementi di matematica dell’incertezza
1.1 – Definizioni di rischio
1.2 – Categorie di rischio ed indici di misurazione
1.3 – Elementi di matematica dell’incertezza (probabilità, definizione assiomatica di probabilità,
frequenza, aspettativa, calcolo combinatorio)
1.4 – Insieme e sottoinsiemi di business
1.5 – Definizione e logica di business
1.6 - Motivi di successo ed insuccesso delle imprese
1.7 – Considerazioni di risk management
1.8 – Rischio assicurabile e non assicurabile
Parte II
I metodi di calcolo nell’applicazione del Basilea 2
2.1 – Introduzione ai meccanismi di valutazione delle imprese
2.2 – I Pilastri di Basilea 2
2.2.a - Il Nuovo Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali
2.3 – Il Metodo Standard
2.4 – Il Metodo Internal Rating Based (IRB) di base
2.5 – Il Metodo Internal Rating Based avanzato
2.6 – Leggi e provvedimenti nazionali per obiettivo
2.7 – Il processo di controllo prudenziale
2.8 – La disciplina di mercato
Parte III
Il Rischio operativo o rischio di management
3.1 – Definizioni
3.2 – Il rischio operativo o di management
3.2.1 – La SWOT analysis
3.3 – Il rischio di marketing
3.3.1 – Il Piano preliminare di marketing
3.3.2 – La preparazione della specifica commerciale
3.3.3 – Istruzioni per completare la specifica commerciale
3.3.4 – Il rischio commerciale
3.4 – Il rischio di ricerca e sviluppo e di ingegnerizzazione
3.4.1 – Controllo di un prodotto esistente. Proposta di un nuovo prodotto
3.4.1.1 – Disegno del prodotto
3.4.1.2 – Tecnologia del prodotto
3.4.1.3 – Descrizione del programma di sviluppo
3.4.1.4 – Stato della specifica tecnica
3.4.1.5 – Nuove capacità e facilities richieste
3.4.1.6 – Problemi e rischi tecnici significativi
3.4.1.7 – Brevetti, Licenze, Royalties
3.4.1.8 – Informazioni di pianificazione – Attività e scadenze tecniche
3.5 – Il rischio di gestione della qualità totale
3.5.1 – La gestione della qualità totale
3.5.2 – Gli strumenti per la gestione della qualità totale
3.5.3 – Il processo di controllo statistico
3.5.4 – Control Charts
3.5.5 – Analisi costo/qualità
3.5.6 – Vicino al cliente
3.6 – Il rischio di gestione delle risorse umane
3.6.1 – La pianificazione delle risorse umane
3.7 – Il rischio di gestione del sistema informativo
3.7.1 – Dati contro informazioni
3.7.2 – La gestione del sistema informativo
3.7.3 – Il matrimonio tra l’informazione e la tecnologia della comunicazione
3.8 – Il rischio di produzione
3.8.1 – Tipi di processo e tipi di prodotti
3.8.2 – Pianificazione delle operazioni
3.8.3 – Controllo di un prodotto esistente. Produzione di un nuovo prodotto
3.9 – Rischi di amministrazione e finanza
3.9.1 – Il ruolo dei managers finanziari
3.9.2 – Gli scopi del finanziamento
3.9.3 – Il bilancio profitti e perdite
3.9.4 – I documenti finanziari
3.9.5 – Il bilancio di gestione
3.9.6 – Il rischio della gestione finanziaria
3.9.7 – La valutazione del rischio di bilancio
3.10 – Considerazioni sui principali indici finanziari
3.11 – La programmazione aziendale
3.11.1 – Le schede di bilancio
3.11.2 – Abbandono del prodotto
3.12 – Le 14 Tesi UBS sulla gestione del rischio
3.13 – Criteri generali riassuntivi sulla valutazione della capacità di credito delle piccole e medie
imprese
Parte IV
Il rischio di mercato
4.1 – Pubblicità richiesta alle informazioni bancarie
4.2 – Rilevanza e frequenza delle informazioni pubblicate
4.3 – Informazioni esclusive e confidenziali
4.4 – Requisiti di trasparenza delle informazioni e ambito d’applicazione
4.5 – Elenco degli intermediari BEI – Banca Europea per gli Investimenti
Parte V
La formazione al risk management
Parte VI
Le certificazioni del rischio e le relative procedure
6.1 – La certificazione del rischio
6.2 – Introduzione al rating
6.3 - Il rating di bilancio
6.4 - Il rating d’impresa
6.5 – Le tabelle di rating
Parte VII
Il banking delle imprese non bancarie
7.1 - Le premesse storiche
7.2 - Il patrimonio e la ricchezza
7.3 - Il credito e la credibilità
7.4 - L’accesso diretto al mercato dei capitali.
7.5 – L’Ente pubblico ed il suo patrimonio.
7.5.1 - La gestione dell’ente in forma pubblica.
7.5.2 - La gestione dell’ente in forma privata.
7.6 – L’esempio dei Consorzi di Garanzia Fidi.
7.7 - La raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche.
7.8 - Fonti normative dei nuovi strumenti di debito.
7.9 - Definizioni.
7.10 - Conclusioni.
Parte VIII
L’accesso diretto al mercato dei capitali per
le società miste pubblico-private ed i Consorzi di Garanzia Fidi
Allegati
Allegato I
Riferimenti per numeri di marketing
Allegato II Riferimenti per numeri d’ingegnerizzazione, r&s
Allegato III Riferimenti per numeri di produzione
Allegato IV Riferimenti per numeri finanziari
Fogli di lavoro programmati
(su richiesta)
01 – Bilancio Profitti e Perdite
02 – Profitti e Perdite di Prodotto (Preventivo)
03 – Revisione e Approvazione
04 – Sommario di Bilancio P&P di Prodotto
05 – Flusso di cassa attualizzato (Impianti)
06 – Flusso di cassa attualizzato (Dettaglio alimentare)
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
INTRODUZIONE
1
“Banking is essential to the modern economy, whilst banks are not”
(Le operazioni bancarie sono essenziali per l’economia moderna, le banche no.)
L’impresa deve cominciare a considerare la banca come ogni altro fornitore, per cui questi può
trovarsi dietro l’angolo o all’altro capo del mondo. Mentre fino a qualche anno fa era essenziale
trovare la banca dietro l’angolo, oggi è sufficiente trovarla in Internet: basta cercarla e farsi
conoscere, come si fa con qualsiasi altro fornitore.
Con l’adozione dell’Accordo di Basilea è tornato di stringente attualità la valutazione e la
gestione del rischio, in tutte le sue forme ed espressioni.
Il rischio di credito, la probabilità di default (non restituzione) di soldi ottenuti in banca deve
oggi essere valutata con metodi più razionali e meno empirici. La trasparenza delle informazioni
sulla gestione d’impresa è indispensabile non solo nei rapporti con le banche, ma anche con tutti gli
altri mercati finanziari in generale, e soprattutto con i clienti.
Mentre nel passato l’impatto ambientale di un business era nullo o poco sentito, oggi può
diventare essenziale per il successo di un’impresa.
La qualità “etica” dell’imprenditoria è indice di lunghe vedute, che sa dove e come può
arrivare con una gestione più appropriata nei confronti della società e dell’ambiente.
Il marketing, omai vera e propria filosofia di business può decretare il successo o il
fallimento di qualsiasi prodotto, anche d’elevata qualità.
La strategia d’impresa, forse l’arma più potente per la penetrazione di vecchi e nuovi
mercati, richiede all’azienda di aver delineato obiettivi a breve, medio e lungo termine, credibili ed
affidabili.
L’innovazione tecnologica è il nuovo biglietto di presentazione d’ogni business, dove
innovare non significa solo generare nuove tecniche di prodotto, ma soprattutto generare nuove idee
globali.
I rapporti con i finanziatori, con i dipendenti e con i clienti costringe l’impresa a dotarsi di
codici etici che, se appropriatamente costituiti, possono diventare il decalogo del successo
d’impresa.
Un’amministrazione trasparente ed accorta è essenziale, dopo anni piuttosto bui dive il
principale obiettivo era quello di “occultare” per tanti motivi, piuttosto che mostrare.
Pertanto, se la gestione d’impresa è condotta con metodi corretti ed affidabili, il rapporto col cliente
diventa quasi di irrisoria facilità: vendere non è più un dramma. Il maggior profitto del produttore
diventa anche maggior profitto per il consumatore.
Nello svolgimento del nostro lavoro non cercheremo di calcolare il rischio di default, non ne
siamo capaci, ma siamo capaci di calcolare il rischio di non-default (di successo), vale a dire il suo
complementare, attraverso le procedure di business che metteremo in atto.
La valutazione del rischio basata sull’analisi di bilancio ha un qualche senso solo se siamo
alla presenza di un ambiente di business statico e non innovativo in un contesto di “old economy”.
In tale situazione ha estrema importanza la valutazione dell’aspetto patrimoniale e della
capitalizzazione dell’impresa. Il bilancio riclassificato costituisce la “Bibbia” dell’impresa e dei
Ronald J. Ebert e Ricky W. Griffin, Business Essentials, 3° ed., 2000, pag. 414, Prentice Hall Inc., Upper Saddle
River, New Jersey.
1
suoi finanziatori. Gli indici di bilancio (patrimoniali, finanziari, economici, raggruppati in modo
omogeneo costituiscono altrettanti termometri sull’efficienza delle singole funzioni aziendali.
In questo contesto, come in ogni altro contesto di old economy si lavora sotto ben precise premesse
definite tecnicamente ceteris paribus, che gli Statunitensi traducono con “other things equal” e noi
traduciamo con “ipotesi statica”. Sotto queste premesse, due variabili sono tra loro dipendenti in
maniera determinabile con un semplice calcolo di matematica analitica.
Noi attualmente non ci troviamo in un ambiente di business statico, bensì in continuo
cambiamento, in un ambiente di “new economy”.
In tale contesto l’inferenza statistica del passato non ha che poco o nessun valore, per questo
l’aspetto patrimoniale concepito in maniera “tradizionale” ha poco o punto risalto, e i dati di
bilancio più disastrati possono invertire la loro tendenza in qualsiasi momento, purché l’azienda sia
supportata dall’idea giusta al momento giusto. In un ambiente di new economy non è strategico
gestire il patrimonio inteso in termini monetari o immobiliari, ma è strategico gestire il patrimonio
“clientela”. L’impresa con la clientela giusta può aspirare a qualsiasi risultato, per cui gode della
massima “credibilità finanziaria”.
Entrambe le teorie soffrono di sovrastima e di buona dose di falsità.
Non esiste nessun ambiente di business in cui funzioni la premessa “ceteris paribus”, perché il
beneficio del consumatore varia con logica non conforme a quella concepita dall’economia classica,
quindi, il rapporto costo/beneficio segue un andamento analizzabile più con la matematica
dell’incertezza che con quella del determinismo.
Inoltre, troppe “intuizioni” giuste al momento giusto hanno soffiato sul fuoco della speculazione
finanziaria, creando bolle che al momento della loro esplosione, non solo hanno generato sconforto,
ma anche tanta incredulità sulla dabbenaggine dei perdenti.
Non ci sembra, pertanto, che il rischio operativo di un’impresa si possa analizzare solo con dati
quantitativi di bilancio (che peraltro in troppi casi non corrispondono a verità piena) ma, bisogna
ricorrere all’analisi d’ogni singola funzione (marketing, ricerca, relazioni esterne, ecc.) per giungere
ad una valutazione attendibile.
In alcuni casi, poi, occorre investigare anche negli angoli nascosti della psiche umana, se non si
vuole lasciare spazio ai cosiddetti “rischi invisibili”. A nostro umile avviso, infatti, non esistono
rischi invisibili, ma solo analisti ciechi.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
DIECI REGOLE SEMPLICI PER LA GESTIONE DEL RISCHIO
1) Si ha rischio quando ci si accosta il più possibile al pericolo per aver maggior vantaggio
2) Non v’è vantaggio senza rischio
3) Se conosci il pericolo puoi limitarne i danni
4) L’esperienza calcola le frequenze e le aspettative; la razionalità calcola le probabilità
5) La razionalità individuale può essere molto diversa da quella collettiva
6) Nell’innovazione non ti fidare dell’esperienza, ma della razionalità
7) In ambienti caotici segui sempre gli attrattori imponderabili
8) Un vero imprenditore partecipa solo a giochi a somma non-zero
9) Se non vuoi assolutamente perdere hai una sola possibilità: scommettere sul rischio e sul suo
complemento allo stesso tempo
10)Determinismo, senso comune, esperienza e diversificazione non esistono in nessun ambiente
incerto.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Parte I
Definizioni di rischio ed elementi di matematica dell'incertezza
1.1– DEFINIZIONI DI RISCHIO
1.1.1 – Rischio
L’origine della parola rischio non è mai stata esaurientemente spiegata.
Il termine è probabilmente di origine marinara e potrebbe indicare il significato di “navigare
pericolosamente vicino agli scogli”. Alcuni tentativi di spiegazioni hanno cercato di legare la parola
al termine greco rhiza “scoglio” ed al verbo latino resegare “tagliare corto”, da cui possono
discendere altri termini quali “risicare” e “rosicchiare”.
Il termine è entrato nel linguaggio del business per indicare due condizioni essenziali:
i.
tutte quelle situazioni in cui, chi si avvicina maggiormente al limite di zona pericolosa,
ne trae i maggiori vantaggi, perché frequenta un mercato più redditizio dove riescono ad
arrivare meno concorrenti:
oppure
ii.
tutte quelle situazioni in cui per inavvedutezza, per incapacità, od incuria si corre il
pericolo di perdere.
1.1.2 – Valutazione
Il termine deriva dal Latino valère ed indica “essere di valore”. Nella lingua inglese il termine ha
prodotto parole del tipo avail “beneficio, profitto, vantaggio” e available, che originariamente
indicavano il significato di “vantaggioso”, e che fu usato nel senso di “disponibile all’uso” solo
dopo il 19° secolo.
1.1.3 – Gestione
La parola deriva dal termine latino gerere, che indica “agire”, “comportarsi”, “amministrare”.
In lingua inglese il termine italiano è tradotto con la parola management, che deriva dal Latino
manus agere “manipolare”, “trattare con le mani”, “trasformare con le mani”.
1.1.4 – Rating
Parola inglese di origine latina rata “calcolata”, “prefissata”, così come usata in espressioni del tipo
pro rata parte “proporzionalmente”, “secondo parte prefissata”., è il femminile di ratus, il participio
passato del verbo reri “pensare”, “calcolare”, da cui la lingua inglese deriva ratio, ration, reason,
ecc.
Nel nostro lavoro i termini suddetti vengono usati sia nel loro significato etimologico (derivazione
del termine), sia nel loro significato semantico (che cosa rappresentano nella sostanza e nella
forma).
In conclusione, il termine rischio indica un limite invalicabile al di qua del quale vi è vantaggio
(finanche enorme), ed al di là del quale vi è perdita (finanche mortale).
La valutazione di questo limite costituisce atto di attribuzione di valore (quanto vale avvicinarsi
sempre più a questo limite senza mai valicarlo).
La gestione indica come accostarsi sempre più al limite, conoscendo il più attendibilmente possibile
la distanza.
Il termine Rating indica quanta parte di rischio si è in condizione cosciente di correre senza pericolo
di default.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
1.2 - CATEGORIE DI RISCHIO E RELATIVE UNITA’ DI MISURA
Categorie di Rischio
Unità di misura del rischio
1) Probabilità
2) Frequenza
3) Aspettative
4) Spazio degli eventi elementari
= P (%/razionale/decimale)
= F (%/razionale/decimale)
= E (%/razionale/decimale)
= P (%/razionale/decimale)
Principali Teorie di calcolo del rischio
- Determinismo
- Teoria dei giochi (gioco a somma zero, o a somma non-zero)
- Teoria del Caos (definizione dello strange attractor)
- Teoria assiomatica della probabilità (definizione di spazio elementare dell’evento)
a) Determinismo = UM (Unità di misura pertinente). Rischio = ~0
b) Teoria dei giochi
i. Gioco a somma zero = 0 Rischio; 0 Creazione di nuova ricchezza
ii. Gioco a somma non zero = UM, P, F, E (come pertinenti)
c) Strange Attractor del Caos = Prevedibilità probabilistica sia di rischio sia di tempo
d) Spazio degli eventi complementari = Probabilità assiomatica
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
1.3 – ELEMENTI DI MATEMATICA DELL’INCERTEZZA
PROBABILITA’ TEORICA
La probabilità di un evento in un esperimento è data dal rapporto tra il numero di casi favorevoli ed
il numero di casi possibili, purché questi siano equiparabili.
Casi favorevoli
Probabilità di un evento = ------------------Casi possibili
Problema
E’ più facile indovinare l’ordine di arrivo in una gara in cui partecipano 4 atleti sconosciuti, o
indovinare la seconda lettera della 347° parola del terzo Cap. de “I Promessi Sposi”?
Soluzione
I possibili ordini di arrivo sono: 4! = (4x3x2x1) = 24
Infatti gli ordini di arrivo in cui A è il primo sono 6: ABCD; ABDC; ADBC; ADCB; ACBD;
ACDB.
Mentre per la lettera misteriosa ci sono solo 21 possibilità (quante sono le lettere dell’alfabeto
italiano).
Problema
Nel lancio di due monete qual è la probabilità dell’evento “uscita di due teste”?
Soluzione
2.1 – Probabilità di uscita “testa” su una moneta = #
2.2 – Probabilità di uscita “testa” su due monete = $ Infatti possiamo avere: TT; TC; CT; CC.
Problema
Nel lancio di due monete qual è la probabilità dell’evento uscita di “una testa ed una croce”?
Soluzione
= 1/3 oppure = #
PROBABILITA’ PRATICA (o FREQUENZA)
La frequenza di un evento in un esperimento è data dal rapporto tra il numero di esperimenti
effettuati con esito favorevole ed il numero complessivo di esperimento effettuati.
Esperimenti effettuati con esito favorevole
Frequenza di un evento = --------------------------------------------------Numero complessivo di esperimenti
Problema
Qual è la probabilità che il primo dell’anno a Milano nevichi?
Soluzione
Se negli ultimi 30 anni ha nevicato 18 volte, si conclude che la probabilità che nevichi è: 18/30 =
3/5, ovvero il 60%, oppure lo 0,6.
PROBABILITA’ SOGGETTIVA (o ASPETTATIVA)
L’Aspettativa statistica di un evento è data dal rapporto tra la puntata sul realizzarsi dell’evento e la
somma delle puntate.
Puntata sul realizzarsi dell’evento
Aspettativa di un evento = ----------------------------------------Somma delle puntate
Affermazione
Un broker offre 4 a 3 la vittoria della Juve sul Milan. Pertanto, punta 4 su un totale di 7, e
attribuisce quindi a tale evento la probabilità 4/7 (circa il 57%).
DEFINIZIONE ASSIOMATICA DELLA PROBABILITA’
Il concetto base sul quale si fonda la teoria assiomatica è quella di spazio “S” degli eventi
elementari, inteso come l’insieme dei possibili risultati di un esperimento.
Se si lancia un dado, lo spazio degli eventi è: S = {1, 2, …., 6}, mentre se si osserva il tempo
intercorrente fra due chiamate successive ad un centralino, si ha: S = {x:x ! 0}. Nel primo esempio
lo spazio è un insieme discreto e contiene un numero finito di punti; nel secondo esempio lo spazio
è un insieme continuo.
EVENTO SEMPLICE
Siano E1 ed E2 due eventi incompatibili (nel senso che se occorre il primo non si può verificare il
secondo e viceversa); la probabilità che occorri
1 o E2 è data dalla somma delle probabilità dei
singoli eventi.
Problema
Se si lancia un dado qual è la probabilità che esca 1 oppure 6?
Soluzione
P(1, 6) = 1/6 + 1/6 = 1/3
EVENTO COMPLESSO
La probabilità di un evento complesso, a partire dalle probabilità degli eventi elementari che lo
compongono, è dato dal prodotto delle probabilità dei singoli eventi elementari.
p (A e B) = p(A) x p(B) *
Problema
La probabilità che quello che dico sia capito è del 50%; la probabilità che quello che dico venga
anche accettato è del 10%.
Qual è la probabilità che quello che dico sia capita ed anche accettata?
Soluzione
50% x 10% = 5% (oppure 0,5 x 0,10 = 0,05)
PRODOTTO LOGICO DI DUE EVENTI INDIPENDENTI
Dati due eventi tra loro indipendenti, la probabilità dell’evento A e B (che si definisce l’evento
prodotto logico dei due eventi) è il prodotto tra la probabilità d A e la probabilità di B =
P(A e B) = p(A) x p(B)
(*)
Problema
Quali probabilità ha Maria di trovare un fidanzato che abbia come segno zodiacale un segno di
terra, e gli occhi chiari?
Premesse:
a) segni di terra (toro, vergine, capricorno)
b) in città 1/3 dei ragazzi hanno occhi chiari; 1/3 occhi azzurri; 1/3 occhi verdi.
Quindi, Probabilità occhi chiari = 2/3
Soluzione
3/12 x 2/3 = 6/36
Problema
Qual è la probabilità di fare 12 lanciando due dadi?
Soluzione
1/6 x 1/6 = 1/36 (meno del 3%)
Problema
Qual è la probabilità di fare 7 lanciando due dadi?
Soluzione
3/6 x 3/6 = 9/36 (25%)
Problema
Qual è la probabilità di fare 13 al Totocalcio?, giocando a caso?
Soluzione
1/3 (Probabilità della prima partita)
1/3 (Probabilità della seconda partita)
1/3 (Probabilità della terza partita), ecc……
= 1/1.594.323 (0,00006%)
EVENTO COMPLEMENTARE
Due eventi A e B si dicono complementari se: o si verifica l’evento A, o si verifica l’evento B; è
escluso che gli eventi si verifichino entrambi.
Probabilità Complementare
n-m
n
Usando le percentuali: se la probabilità di E è del x%, la probabilità dell’evento complementare è di
(100 – x)%.
Usando i decimali: se la probabilità di E è 0,3, la probabilità dell’evento complementare è 0,7
Problema
E’ più probabile ottenere almeno un 6 lanciando quattro volte un dado, oppure ottenere un 12
lanciando ventiquattro volte due dadi?
(Quesito posto nel 1654 dal nobile Antoine Gambaud a Blaise Pascal e Pierre Fermat)
Soluzione
1.a
– Evento complementare: 5/6 (non ottenere un sei in un lancio)
- Probabilità di non ottenere neanche un sei in quattro lanci = 5/6 x 5/6 x 5/6 x
x 5/6 = 625/1296 = 0,48 (48%). Probabilità complementare = 52%
1.b
– Evento complementare: 35/36 (non ottenere un 12 in un lancio)
- Probabilità di non ottenere neanche un 12 = 35/36 per 24 volte = 0,49%.
- Probabilità complementare = 51%
PRODOTTO LOGICO DI DUE EVENTI QUALSIASI
La formula P(A e B) = p(A) x p(B) è valida solo se gli eventi A e B sono indipendenti, cioè se il
realizzarsi dell’uno non influisce sul realizzarsi dell’altro.
Se invece i due eventi A e B non sono indipendenti, la formula corretta è la seguente:
P(A e B) = p(A) x p(B/A)
Dove p(B/A) è la probabilità di B condizionata al verificarsi di A. Ad esempio, nel sottostante
problema del borsellino, essendo A l’evento prima moneta pescata da 500 ed essendo B l’evento
seconda moneta pescata da 500, la probabilità della pesca di entrambe le monete da 500 è data,
come abbiamo visto, dal prodotto tra Dove p(A) (probabilità che la prima moneta pescata sia da
500), che vale 2/3, e p(B/A) (probabilità che, avendo prima pescato una moneta da 500, la seconda
moneta pescata sia da 500), che vale #.
Non è dunque possibile trovare una formula
Problema
Qual è la probabilità di pescare a caso due monete da un borsellino che contiene due monete da 500
ed una da 100?
Soluzione
a) situazione iniziale
probabilità di pescare un moneta da 500 = 2/3
b) dopo la presa di una moneta
probabilità di pescare una moneta da 500 = #
Dunque l’evento atteso ha probabilità = 2/3 x # = 2/6 (33,33….%)
Commento: se la moneta viene reintrodotta, allora l’evento è INDIPENDENTE e la sua probabilità
è 2/3 x 2/3 = 4/9 (44%)
eventi indipendenti
eventi dipendenti
P(A e B) = p(A) x p(B)*
P(A e B) = p(A) x p(B/A)**
ELEMENTI DI CALCOLO COMBINATORIO
Possibili ordinamenti di un insieme composto di n oggetti
Numero delle permutazioni su n oggetti = n!
Problema
Qual è la probabilità per uno scommettitore di indovinare l’esatto ordine di classifica in una gara
con dieci concorrenti, non avendo nessuna notizia sulle capacità dei singoli partecipanti?
Soluzione
10! (10 x 9 x 8 x 7 x 6 x 5 x 4 x 3 x 2 = 3.628.800
Quindi la probabilità statistica dell’evento atteso è (1/10 x 1/9 x 1/8 …. X # = 1/3.628.800
(qualcosa meno dello 0,00003%).
Commento
Sotto l’aspetto probabilistico, il calcolo delle probabilità, quindi, più che consentire la soluzione di
nuovi problemi, offre la possibilità di utilizzare una metodologia più semplice (soprattutto quando il
numero dei casi favorevoli e dei casi possibili è grande) per pervenire agli stessi risultati.
Tale metodologia consiste essenzialmente nel calcolare casi favorevoli e casi possibili relativi ad un
evento complesso attraverso formule del calcolo combinatorio senza bisogno di ricorrere alle
formule per il calcolo delle probabilità d’eventi complessi.
Possiamo dunque concludere che il numero delle disposizioni d’ordine k su n oggetti è il prodotto di
k fattori, di cui il primo è n e gli altri sono i k-1 immediati predecessori di n.
Possibili scelte di k elementi ordinati in un insieme composto di n oggetti
Problema
In una gara partecipano alla finale 8 atleti. Quelli che saliranno sl podio sono solo 3. Il telecronista
ha deciso, per non farsi trovare impreparato, di preparare un breve commento per ciascuna possibile
configurazione (terna ordinata di atleti vincenti) di podio.
Quanti diversi commenti dovranno essere predisposti dal telecronista?
Soluzione
Il ragionamento fatto a proposito delle permutazioni ci è di grande aiuto: già sappiamo che ci sono 8
scelte possibili per la prima casella, 7 per la seconda, e 6 per la terza.
8 scelte 7 scelte 6 scelte
Pertanto, le possibilità ordinate su 8 elementi sono 8 x 7 x 6 = 336, e sono, dunque, i diversi
commenti che il nostro coscienzioso telecronista deve predisporre. La probabilità di indovinare
perfettamente la classifica del podio è appena 1/336, circa lo 0,3%.
Inoltre, denominata disposizione di ordine 3 su 8 oggetti ogni terna costituita scegliendo tre
oggetti in un determinato ordine all’interno di un insieme di 8 oggetti, registriamo che abbiamo
stabilito che il numero delle disposizioni di ordine 3 su 8 oggetti è il prodotto di 3 fattori, di cui il
primo è 8 e gli altri sono i più immediati predecessori di 8 (dunque il numero delle disposizioni di
ordine 3 su 8 oggetti è il prodotto di 8 per i suoi due immediati predecessori).
Possiamo dunque concludere che il numero delle disposizioni d’ordine k su n oggetti è il prodotto di
k fattori, di cui il primo è n e gli altri sono i k-1 immediati predecessori di n.
Numero delle disposizioni di ordine k su n oggetti = .n(n – 1)….. per un totale di k fattori.
La nozione di disposizione è più generale di quella di permutazione, ovvero la permutazione è un
caso particolare di disposizione.
Infatti, quando i premiati sono tanti quanti i concorrenti, il problema del “chi e in che ordine” si
riduce al problema del “in che ordine”, e le disposizioni da calcolare sono quelle d’ordine n su n
oggetti, quindi le permutazioni su n oggetti. D’altra parte, la formula per il calcolo del numero delle
disposizioni è:
n . (n-1)…. = n. (n-1). ……. 1 = n!
questa è la formula per il calcolo del numero di permutazioni.
Problema
In una lotteria il primo premio è costituito da un’automobile, il secondo premio da un computer, il
terzo premio da una videocamera ed il quarto premio da una macchina fotografica.
Sono stati venduti 1900 biglietti a 1900 diversi partecipanti. Quante sono le possibili quaterne di
vincitori? Le quaterne Rossi-Bianchi-Verdi-Abate e Abate-verdi-Bianchi-Rossi sono considerate
come due quaterne diverse, giacché non è la stessa cosa vincere un premio o un altro.. Pertanto,
quelle che vogliamo conteggiare sono quaterne ordinate.
Soluzione
Abbiamo una disposizione di ordine 4 su 1900 oggetti e, dunque, le quaterne ordinate di possibili
vincitori sono 1900 x 1989 x 1988 x 1987 = 13.000 miliardi.
Pertanto, le probabilità che i quattro fratelli Bruni vincano rispettivamente il computer, la macchina
fotografica, la videocamera e l’automobile sono appena di 1 su 13.000 miliardi.
Possibili scelte di k elementi ordinati (con eventuali ripetizioni)
in un insieme composto di n oggetti
Problema
In un plotone di 25 soldati il caporale ne sorteggia ogni giorno un soldato per montare la guardia.
Qual’è la probabilità che nei prossimi sei giorni il soldato Martini monti la guardia ogni giorno?
25 scelte 25 scelte 25 scelte 25 scelte 25 scelte 25 scelte
6
Ci sono, dunque, 25 x 25 x 25 x 25 x 25 x 25 = 25
= 244.140.625 sestine ordinate possibili, e tra
queste una sola presenta il nome Martini ripetuto sei volte. Quindi la probabilità che il povero
Martini monti di guardia tutti i giorni è abbastanza esigua: 1/244.140.625 (corrispondente
all’incirca allo 0,000004%).
Commento
Per determinare la probabilità che Martini monti la guardia tutti i giorni abbiamo dovuto calcolare
quante sono le possibili sestine ordinate di nomi estratti da un insieme di 25 soldati. Ma questa volta
abbiamo dovuto conteggiare anche le sestine in cui si presentavano delle ripetizioni) montare di
guardia un giorno non esclude la possibilità di montare anche in giorni successivi; ovvero, la scelta
di un elemento non diminuisce il numero d’elementi su cui si compie la scelta successiva.
Abbiamo così introdotto una nuova nozione: quella di disposizione con ripetizioni ed abbiamo
verificato il conteggio del numero delle disposizioni di questo tipo.
Una disposizione con ripetizioni d’ordine k su n oggetti, dunque, è una scelta di k oggetti,
eventualmente ripetuti, presi in un determinato ordine all’interno di un insieme di n oggetti.
Per le disposizioni con ripetizioni vale, come abbiamo visto, la seguente formula:
Numero delle disposizioni con ripetizioni d’ordine k su n oggetti = .n.n.….n k volte = nk
a) una disposizione con ripetizioni di ordine k su n oggetti è una sequenza di k oggetti
(con eventuali ripetizioni) in un determinato ordine scelti all’interno di un insieme di
n oggetti:
k
b) il numero delle disposizioni con ripetizione di ordine k su n oggetti
. èn
Possibili scelte di k elementi in un insieme composto di n oggetti
Numero delle combinazioni d’ordine k su n oggetti = numero delle combinazioni d’ordine n-k
su n oggetti.
Problema
Alla selezione finale di personale di un’azienda sono stati ammessi 9 uomini e 7 donne. Saranno
assunti solo 5 dipendenti. Qual è la probabilità che siano assunti 2 uomini e 3 donne?
Soluzione
A (numero dei casi possibili = 5)
B (Insieme degli oggetti = 16)
C (Numero di casi possibili = tanti quante le combinazioni di ordine 5 su 16 oggetti)
ovvero
16 x 15 x 14 x 13 x 12
524.160
----------------------------- = ---------- = 4368
5!
120
Il numero di casi favorevoli è dato dal prodotto tra il numero delle possibili scelte di 2 uomini su 9
ed il numero delle possibili scelte di 3 donne su 7 (ogni coppia di uomini prescelti può essere
associata ad una qualsiasi delle terne di donne prescelte, quindi il numero delle possibili terne di
donne). Dunque il numero di casi favorevoli è il prodotto tra il numero di combinazioni di ordine 2
su 9 oggetti e il numero di combinazioni di ordine 3 su 7 oggetti, ovvero
9x8
------ x
2!
7 x 6 x5
---------3!
72
= ---- x
2
210
----- =
6
36 x 35
=
1260
La probabilità che siano assunti 2 uomini e 3 donne è quindi 1260/4368 = 105/363, all’incirca il
29%.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
1.4 – INSIEME E SOTTOINSIEMI DI BUSINESS
DEFINIZIONE DELL’INSIEME DI BUSINESS
E = f {C, D, P, R}
"
"
"
"
"
"
E = Evento economico (business)
f = Indicazione di funzione (tra le variabili esiste una relazione)
C = Cultura
D = Domanda
P = Prodotto
R = Rischio
DEFINIZIONE DEI SOTTOINSIEME DI BUSINESS
Insieme Cultura: C = f {ed, ne, si, ta, }
"
"
"
ed
ne
si
= Educazione
= Bisogno
= Reddito spendibile
sottoinsiemi di cultura
"
ed
= Educazione
! uk = conoscenza acquisita (reale o presunta)
! mk = conoscenza mentale
Insieme Domanda: D = f {ne, si, ta, cp}
"
"
"
"
ne
si
ta
cp
= Bisogno
= Reddito spendibile
= Gusto
= Efficienza del prodotto/Profitto del consumatore
sottoinsiemi di domanda
ne = bisogno
su = sopravvivenza
re = riproduzione
so = scambio o socializzazione
fr = libertà
kn = conoscenza (ricerca, innovazione)
si = Reddito spendibile
mi = reddito monetario
cr = credibilità o capacità di credito, garanzia
bc = capacità di baratto o permuta
ta = Gusto
cu = cultura
fa = moda
cp = Efficienza del prodotto/Profitto del consumatore
pa = applicazioni o usi del prodotto
cb = rapporto costo/beneficio
Insieme Prodotto: P = f {en, im la, tc, fc,}
"
"
"
"
"
en
im
tc
fc
la
= Ambiente
= Imprenditoria
= Capitale Tecnologico
= Capitale Finanziario
= Lavoro
Commento:
Capitale tecnologico, capitale finanziario, e lavoro sono elementi che possono appartenere alla
imprenditoria nei casi di piccole e piccolissime imprese.
sottoinsiemi di prodotto
"
"
en
im
= Ambiente
! an = ambiente naturale
= Imprenditoria
!
is = imprenditoria singola
ia = imprenditoria associata
o ma = marketing
o pr = ingegnerizzazione/produzione
o bm = amministrazione (business management)
o qu = qualità totale
o sa = vendita
o as = assistenza dopo-vendita
"
tc
r&d = ricerca e sviluppo
" fc
= Capitale finanziario
! cr = capitale di rischio
"
"
"
"
ro
rf
rm
cr
au = ambiente umano
= Capitale tecnologico
ta = tecnologia acquisita
cf = capitale di finanziamento
Insieme Rischio: D = f {ro, rf, rm, cr}
= Rischio operativo, o rischio di management
= Rischio finanziario
= Rischio di mercato
= Rischio del consumatore
sottoinsiemi di rischio
"
ro = Rischio operativo, o rischio di management
! er = rischio d’impresa
" nr = rischio naturale
" fm = rischio da forza maggiore
ar = rischio ambientale
rs = rischio sociale
rt = rischio tecnologico
rp = rischio di profitto
rf = Rischio finanziario
sr = rischio speculativo
pr = rischio puro
"
"
"
"
"
rm = Rischio di mercato
! rsp = rischio di struttura patrimoniale
! rap = rischio di adeguatezza patrimoniale
! rdc = rischio di credito
" rdc1 = rischio di credito su portafogli soggetti al metodo standard e
ponderazioni di rischio prudenziali nei sistemi IRB
reb = rischio di esposizione bancaria
rcb = rischio di cartolarizzazione bancaria
rms = rischio di modello standard
rirb = rischio di modello IRB
rti = rischio di tasso di interesse nel banking book
"
cr = Rischio del consumatore
! ar = rischio ambientale
! rt = rischio tecnologico
! rp = rischio di profitto
Caratteristiche degli insiemi descritti:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
L’insieme di business è un insieme finito.
C ! D = {so, fr, kn, si, gu, cp}; (con livello culturale superiore al normale)
oppure
2.1 - C è contenuto in D;
(con livello culturale normale)
C ! P = {en, im, tc, fc, la};
P ! D = {si, la, kn, en};
R ! P = {im, fc};
R ! D = {cp};
La nozione di “business” è stata da noi collocata all’interno di quello che è stato definito il capitolo
zero della matematica, nonché la premessa ed il fondamento della sua intera costruzione (la teoria
degli insiemi) perché solo con questo strumento si riesce a descrivere abbastanza compiutamente la
struttura complessa del business, che può essere considerato come la funzione più ampia dell’intero
comportamento umano.
Excursus storico
All’inizio dell’umanità l’uomo è solo consumatore, giacché trova il soddisfacimento totale dei suoi
bisogni dalla Natura. Questa è produttrice di tutto quanto l’umanità possa avere bisogno, e l’uomo
si comporta da “raccoglitore” o “cacciatore” di quanto la natura offra. Con l’incremento dei bisogni
umani e soprattutto perché la produzione naturale è incostante, con l’avvento del Neolitico, l’uomo
si trasforma da puro consumatore a produttore dei beni di cui ha bisogno.
L’allevamento e l’agricoltura diventano le prime forme di attività produttiva mentre, per rendere più
efficiente il suo lavoro, inventa e costruisce attrezzi artigianali che lo aiutano nelle sue operazioni.
A questo punto dello stadio evolutivo, l’uomo ha già sviluppato tutti i moderni elementi di business,
tranne il capitale finanziario, giacché gli scambi avvengono ancora tramite baratto (merce contro
merce).
Dal momento, però, che molte merci non sono perfettamente divisibili, sono deperibili, e non facili
trasportare, nasce il bisogno di inventare qualcosa che abbia valore perfettamente divisibile, sia
facilmente trasportabile, e che non sia deperibile. E’ la nascita della moneta, che diventerà la base
del capitale finanziario.
L’insieme di business
In principio c’è l’insieme che si presenta privo di struttura, anche se perfettamente funzionante.
Il passaggio successivo consiste nel dare una struttura di qualche tipo a questo generico insieme,
che ci serve da modello per i nostri ragionamenti. E’ di questo passaggio, legato a Georg Cantor e
fondamentale nella moderna teoria degli insiemi, che ci occupiamo nelle righe seguenti.
Dare una struttura ad un insieme significa considerare delle relazioni su di esso.
Se consideriamo l’insieme delle relazioni d’ordine, l’insieme acquista una precisa forma,
presentandosi al nostro occhio ben ordinato.
Se consideriamo le relazioni d’equivalenza, produrremo una strutturazione dell’insieme stesso in
termini di suddivisione in classi dei suoi elementi.
Se, infine, prendiamo in considerazione le operazioni che coinvolgono i suoi elementi, l’insieme
prende la sua forma definitiva.
Nello schema sopraindicato, l’insieme di business e i relativi sottoinsiemi sono riportati secondo le
relazioni d’ordine e quelle d’equivalenza, pertanto, gli elementi sono indicati in ordine di sequenza
e di classe d’appartenenza.
Ora è tempo di comporre i diversi insieme in relazione alle operazioni che coinvolgono i loro
elementi.
Dalla relazione d’ordine dell’insieme di business emerge che la domanda nasce prima della
produzione, giacché è utile produrre solo ciò che è necessario, e nella quantità richiesta.
La teoria della massimizzazione del profitto induce, inoltre, a stabilire che se si produce in più di
quanto richiesto, la produzione invenduta genera costi non recuperabili che vanno ad incidere sul
profitto. Del resto se si produce in quantità insufficiente si genera una perdita da mancato profitto.
Pertanto si può concludere che le operazioni che guidano gli elementi dell’insieme possano essere
contemplate nella formula seguente:
(1)E = (PC) – (DC) ! 0
R
dove
E = evento economico
C = cultura
P = produzione
D = domanda
Questa formula afferma che, affinché sia il profitto del produttore, sia quello del consumatore sia
massimo, tutta la domanda potenziale deve essere soddisfatta, e tutta la produzione potenziale deve
essere prodotta. Infatti, lasciare insoddisfatta una parte di domanda rappresenta una perdita per
mancato profitto, e lasciare insoddisfatta la produzione significa non produrre a costi unitari
minimi. Del resto, la produzione non deve mai eccedere la capacità d’assorbimento della domanda
per non lasciare prodotto invenduto.
Il rischio, nella forma di rischio del consumatore o del produttore, sempre presente in ogni evento
economico, può essere apprezzato sia come indicato sotto la formula (1), oppure nella formula:
(2)
! 0
E = (PC/ro) - (DC/cr)
dove
E = evento economico (business)
PC/ro = produzione influenzata dalla cultura divisa per il rischio operativo (rischio di management)
DC/cr = domanda influenzata dalla cultura divisa per il rischio del consumatore
Entrambe le formule evidenziano come sia la funzione di produzione che la funzione di domanda
siano inversamente proporzionali al rischio e direttamente proporzioni alla cultura. In effetti, il
rischio rappresenta un costo quando noi ci assicuriamo per correrlo senza danni, e rappresenta,
quindi, un vantaggio quando lo corriamo senza danni.
Per quanto concerne l’insieme di domanda, poiché tutti gli elementi sono essenziali alla sua
esistenza, e giacché nessuna domanda è ipotizzabile senza bisogno, o senza reddito, o senza
esprimere nessuna scelta (gusto), o senza rischio, le operazioni immaginabili sono del tipo:
(quando la cultura è contenuta nell’insieme domanda)
(3)D = a + (bSU + cRE + dSO + eFR + fKN).1(gMI
a + hCR + iBC) . a2 (lCU + mFA) .
. a3(nPA + oCB) . 1/pCR
dove i numeri a, b,c, ecc., che descrivono la forma della funzione, sono parametri, e SU, RE, ecc.
sono variabili.
Così pure per l’insieme di prodotto, dove è inconcepibile poter produrre senza risorse naturali,
imprenditoria, lavoro, tecnologia, capitali finanziari, ed escludendo il rischio di management, le
operazioni immaginabili che legano gli elementi dell’insieme sono del tipo:
(4)P = a + bEN . cIM . dTC . dFC . eLA . 1/fRO
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
1.5 – DEFINIZIONE E LOGICA DI BUSINESS
Business può essere definito come un’organizzazione che fornisce beni e servizi per il
raggiungimento del profitto, dove per profitto s’intende la differenza fra costi e ricavi reali o
presunti.
Come ogni organizzazione un business può essere “reale” o “virtuale”.
Un business è reale quando è essenzialmente basato su beni immobili, dipendenti organizzati in un
luogo di lavoro, attrezzature ubicate in luoghi fisici,
Un business è virtuale quando una persona fisica o giuridica scambia beni o servizi senza il bisogno
di strutture fisiche, tranne che quelle per la comunicazione.
Il business reale è statico e di scarsa flessibilità, mentre quello virtuale è estremamente dinamico e
flessibile, nel senso che può facilmente modificarsi ed adattarsi ai cambiamenti di mercato.
Mentre in passato si è concepito solo il business reale, con l’avvento delle teorie di new economy, il
business è diventato sempre più virtuale, dinamico e flessibile. A conferma di quanto diciamo,
possiamo considerare che Virgin Group, che opera in tutto il mondo con aerei, bibite,
comunicazione e divertimenti, nel suo quartiere generale negli Stati Uniti ha solo cinque dipendenti
fissi.
Il business virtuale, quindi, è l’essenza stessa dell’organizzazione, i cui compiti sono solo quelli di
programmare, dirigere e controllare.
Ma, per poter concepire un business virtuale, ci deve essere a supporto una serie di business reali
che producano fisicamente beni o servizi da mettere a disposizione dei consumatori. Ed è proprio
questo il punto che oggi caratterizza i mercati correnti: abitualmente il business reale genera
prodotti a basso valore aggiunto, mentre il business virtuale produce prodotti ad alto valore
aggiunto.
Mentre il business reale è soggetto a norme e vincoli locali, il business virtuale è soggetto a norme
soprannazionali che disciplinano i rapporti con i fornitori e con i distributori, mentre è soggetto a
norme locali per quanto riguarda il rapporto con i consumatori finali.
Nel prosieguo del nostro lavoro questa distinzione è fondamentale, e la possibilità di trasformare un
business reale in uno virtuale rimane sempre l’aspirazione di un’impresa moderna.
La logica è il metodo del buon (corretto) ragionamento. In lingua inglese il termine è indicato anche
con la parola “rationale” proprio per indicare il riferimento alla razionalità, alla correttezza del
ragionamento.
La logica focalizza la sua attenzione sullo studio degli “argomenti”.
Un argomento è una sequenza di affermazioni (chiamate premesse) che portano a delle risultanze
(chiamate conclusioni) attraverso le regole (connettivi e quantificatori) della logica.
Ogni argomento può essere ritenuto valido se le conclusioni derivano dalle premesse; in altri
termini, se un argomento è valido e tutte le premesse sono vere, le conclusioni sono
necessariamente vere; se un argomento è valido e le premesse sono false, le conclusioni sono false;
se un argomento non è valido, il ragionamento (conclusione), qualora possibile, non ha senso, a
prescindere dalla verità o meno delle premesse.
La logica di business muove essenzialmente da tre teorie (premesse) economiche:
a) il rapporto costo beneficio
b) la teoria dei costi
c) la massimizzazione del profitto
La teoria del rapporto costo/beneficio si può rappresentare in modo molto semplice come segue:
1) Prezzo Unitario (PU) – Costo Unitario (CU) = Profitto del produttore
2) Costo Unitario (PU) – Utilità Marginale (UM) = Profitto del consumatore
Il prezzo unitario di vendita equivale al costo unitario del consumatore, per cui per quest’ultimo è
essenziale che il prezzo di vendita del prodotto da acquistare sia sempre inferiore al benefico che
n’ottiene. Il beneficio del consumatore può essere “reale” o “presunto”; in entrambi i casi costui è
l’unico giudice del beneficio. In molti casi, però, il consumatore non è in grado di evidenziare il o i
benefici che un prodotto può arrecargli, quindi è compito del produttore fare in modo tale che il
consumatore possa identificarli, e quindi giustificare l’acquisto ed il prezzo di vendita.
La teoria dei costi afferma che i costi unitari (CU) sono decrescenti in funzione dell’aumento delle
unità prodotte, perché l’incidenza dei costi fissi diminuisce proporzionalmente con queste, fino al
punto limite della massima capacità produttiva.
La teoria della massimizzazione del profitto stabilisce che in ogni business è razionale soltanto il
raggiungimento del massimo profitto, sia da parte del produttore sia del consumatore.
Pertanto, possiamo concludere che in ogni trattativa è razionale che il produttore cerchi di vendere
la maggiore quantità possibile al prezzo unitario maggiore (massimo profitto), mentre il
consumatore compri la quantità maggiore al costo unitario (prezzo unitario) minore.
Inoltre, è razionale che il compratore non riveli mai i benefici che può ottenere dall’acquisto del
prodotto al venditore, mentre è razionale che questi faccia di tutto per rivelare al consumatore ogni
beneficio che costui possa identificare come “reale”, o solo “presunto” dalla transazione.
La logica di business, classificata con la Teoria dei Giochi, è un gioco a “somma non-zero”, il che
significa che in ogni transazione commerciale tutte le parti hanno un profitto, chi in misura
maggiore, chi in misura minore (ma che nessun altro che l’interessato può conoscere), e che genera
nuova ricchezza per tutti.
Tutte le volte che ci troviamo di fronte ad un “ipotetico” business che segua logiche diverse (gioco a
somma zero), questo può essere identificato come “lotteria”, “truffa”, “raggiro”, “imposizione di
potere”, ma certamente non “business”.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
1.6MOTIVI DI SUCCESSO ED INSUCCESSO DELLE IMPRESE
Negli Stati Uniti il 60% di tutte le nuove imprese non supera il settimo anno d’età. I motivi per i
quali alcune imprese falliscono mentre altre hanno successo non sono facilmente classificabili,
(altrimenti si sarebbe trovata la panacea di tutti i mali). Quello che però possiamo fare è di mettere
in evidenza quali sono i principali motivi di successo o di insuccesso.
RAGIONI DI INSUCCESSO
"
Innamoramento della propria idea.
L’imprenditore o il manager che ha ideato un bene, un servizio, o un’idea è certamente
innamorato del proprio prodotto, in molti casi lo ritiene geniale. E’ talmente tanto sicuro di
quello che sta facendo che neanche si preoccupa di verificare le sue idea con una semplice
indagine di marketing.
In realtà tanti prodotti sono idee geniali che però non trovano accoglienza nel mercato
perché sono prematuri, oppure troppo costosi, oppure non rispondenti alle richieste della
clientela. Certamente quello che può essere geniale per l’imprenditore o il manager può
essere di nessun apprezzamento per il mercato.
"
Incompetenza o inesperienza .
Se l’imprenditore o il manager non sanno come prendere le decisioni essenziali di business,
è molto improbabile che abbiano successo nel medio-lungo periodo.
"
Negligenza.
Avviare una nuova impresa o gestirne una esistente richiede impegno totale. Nessuna
impresa può essere gestita a tempo perso.
"
Controllo debole.
Se il sistema di controllo non segnala tempestivamente i problemi pendenti, l’azienda può
essere in guai seri prima che questi cadano pesantemente sotto i loro occhi.
"
Capitale insufficiente.
Ogni impresa, sia essa appena nascente oppure consolidata, deve avere capitale sufficiente
per poter operare. La sottocapitalizzazione richiede un continuo ricorso all’intervento
bancario, con aggravio di costi e perdita di tempo.
RAGIONI DI SUCCESSO
!
Impegno e dedizione.
Ogni imprenditore deve aspirare e volere il successo, e deve mettercela tutta per realizzarlo.
!
Domanda di mercato.
Quello che stiamo facendo deve essere richiesto dal mercato. Solo così le nostre idee
acquisiscono valore. Qualsiasi genialità che non sia voluta da nessuno non vale niente.
Un’analisi accurata delle condizioni di mercato può certamente aiutare a valutare le
possibilità di accoglimento dei prodotti nel mercato.
!
Competenza.
Gli imprenditori ed i managers devono avere competenza. Questa affermazione vale sia per
l’impresa multinazionale che per il piccolo negozio sotto casa. Troppo spesso si spendono
tanti soldi per aprire un “negozietto” per il figlio o la moglie, per poi vederlo chiudere entro
un anno o due. Questo non è investire: è solo buttar soldi.
!
Fortuna
Si, anche la signora Fortuna gioca un ruolo molto importante. Se il successo fosse dovuto
solo a bravura e capacità professionale, certamente ci sarebbe meno ingiustizia, ma non è
così.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
1.7– CONSIDERAZIONI DI RISK MANAGEMENT
I rischi finanziari non sono i soli rischi che un’azienda (e individui) devono fronteggiare. In questa
sezione esamineremo vari altri tipi di rischio che un business deve affrontare, ed analizzeremo
alcuni dei modi in cui questi si possono gestire.
Ogni business abitualmente ha a che fare con due tipi essenziali di rischio (ovvero di incertezze su
eventi futuri):
I Rischi speculativi, come ad es. investimenti finanziari, comportano le probabilità di guadagnare o
perdere. I Rischi puri comportano invece le sole probabilità di perdere, o non perdere. Progettare e
distribuire un nuovo prodotto, ad es., è un rischio speculativo: il prodotto, in effetti, potrebbe avere
successo e guadagnare molti soldi, oppure potrebbe fallire. Al contrario, la probabilità che un
magazzino prenda fuoco è puro rischio.
Per un’impresa sopravvivere e prosperare comporta la gestione di entrambi i tipi di rischio in
maniera efficiente. pertanto, potremmo ulteriormente raffinare la nostra definizione di rischio
dicendo che il processo di risk management conserva il potere dell’impresa di generare utili e potere
riducendo i pericoli di perdita dovuti ad eventi incontrollabili. In ogni azienda i manager devono
vigilare i rischi all’impresa ed il loro impatto sui profitti.
Il processo di gestione del rischio abitualmente si compone di cinque steps:
STEP 1: identificazione dei rischi e delle possibili perdite
I managers analizzano i rischi dell’impresa per identificare possibili perdite. Ad es., un’impresa con
una flotta di camion per il trasporto può aspettarsi che uno di loro abbia un incidente che possa
procurare danni a persone o a cose, nonché a se stesso ed al suo autista.
STEP 2: misurare la frequenza e la gravità delle perdite
Per misurare la frequenza e la gravità di eventuali perdite, i managers devono considerare sia la
storia passata che le attività correnti. Quanto sovente può l’azienda aspettarsi che l’eventi si
verifichi? Qual è la dimensione probabile della perdita espressa in termini monetari? Ad es., la
nostra impresa con la flotta di camion può aver avuto due incidenti l’anno nel passato, ma se
aggiunge un nuovo camion alla flotta, può ragionevolmente ritenere che la frequenza degli incidenti
aumenti.
STEP 3: valutare le possibili alternative e scegliere le tecniche che meglio permettono di
maneggiare le perdite
Se hanno identificato e misurato le potenziali perdite, i managers sono in posizione migliore per
decidere come gestirli. Con questo terzo passo essi hanno generalmente quattro possibilità di scelta:
Evitare il rischio. Un’impresa sceglie di evitare il rischio scegliendo se accettare o declinare
l’invito alla partecipazione di un rischio. Ad es., l’impresa con i camion potrebbe evitare ogni
rischio di danno fisico a cose o persone, scegliendo di abbandonare il suo servizio di spedizione
diretto. Similarmente, un’industria farmaceutica potrebbe ritirare dal mercato un prodotto per paura
di procedimenti penali.
Controllare il rischio. Tutte le volte che evitare un rischio non è possibile o augurabile, l’impresa
può decidere di controllarlo attraverso l’utilizzo di pratiche e procedure di prevenzione delle perdite
in modo da minimizzare la frequenza. Un servizio di spedizione, ad es., può prevenire perdite
istruendo i suoi autisti su tecniche di guida sicura, scegliendo rotte meno pericolose, e facendo una
manutenzione accurata dei suoi veicoli.
Assumere il rischio. Quando le perdite non possono essere eliminate né controllate, l’impresa ne
deve subire le conseguenze. Qualora tali perdite fossero gestibili e prevedibili si può decidere di
coprirli con fondi propri. In questo caso, quindi, si afferma che l’impresa “assume” o “ritiene” le
conseguenze finanziarie della perdita: di qui la pratica conosciuta come “ritenzione del rischio”.
Ad es., la nostra azienda con la flotta di camion, verificando che i suoi veicoli soffrono il fenomeno
del vandalismo per un importo da 100 a 500 Euro l’anno, potrebbe trovare più conveniente pagarne
in proprio le riparazioni, piuttosto che proporre una richiesta di risarcimento alla propria
assicurazione.
Trasferire il rischio. Quando grandi rischi non possono essere né evitati, né controllati, i manager
devono per forza optare per il trasferimento del rischio, trasferendolo ad un’altra azienda: una
compagnia di assicurazione. Trasferendo il proprio rischio ad un’altra impresa, l’azienda paga una
somma che si chiama “premio”, e la compagnia d’assicurazione emette una polizza d’assicurazione,
un accordo formale sul pagamento di una somma convenuta nel caso di certe perdite. Pertanto, la
nostra ipotetica impresa può comprare una assicurazione per proteggersi contro il furto, danni fisici
a mezzi o persone.
STEP 4: Implementazione del programma di risk management
I mezzi per potenziare le decisioni di risk management dipendono sia dalle tecniche scelte sia dalle
attività che devono essere gestite. Ad es., evitare il rischio in certe attività equivale ad acquistare
quelle stesse attività da terzi. Il controllo del rischio può essere potenziato attraverso una migliore
formazione professionale dei dipendenti o progettando nuovi metodi e strumenti di lavoro. Per
situazioni in cui l’assunzione del rischio è preferibile, è necessario e possibile accantonare riserve
destinate a questi scopi. Quando invece è assolutamente necessario trasferire il rischio, gli strumenti
di potenziamento delle decisioni consistono nelle scelte più avvedute per acquistare le polizze
giuste dall’assicurazione giusta.
STEP 5: Monitoraggio dei risultati
Giacché il risk-management è un’attività dinamica, il suo continuo controllo è essenziale. Nuovi tipi
di rischio emergono con il cambio di clienti, attrezzature, dipendenti e prodotti. Le regole
d’assicurazione possono cambiare e nuove polizze assicurative diventare disponibili. Di
conseguenza, i managers devono monitorare continuamente i rischi dell’azienda, valutare di nuovo i
metodi già usati per gestirli, e rivederne le procedure, se necessario.
Il contratto d’assicurazione inteso come risk management
Quando hanno a che fare con un rischio, sia le imprese sia gli individui possono scegliere di
acquistare uno o più prodotti offerti dalle compagnie d’assicurazione per eliminarlo.
Gli operatori economici trovano l’assicurazione molte allettante per la ragione che in cambio di una
relativamente modesta spesa sono protetti da rischi che in alcuni casi potrebbero essere devastanti
per la loro impresa. In questo senso, quindi, un contratto di assicurazione può essere inteso come
una prima operazione di risk management.
Per definire l’assicurazione come un’attività di gestione del rischio dobbiamo, dunque, ampliare il
nostro concetto di risk management dicendo che questi è “lo sviluppo ed il perfezionamento logico
di un programma che controlli le perdite casuali”. Attraverso l’assicurazione, quindi, persone
giuridiche o fisiche condividono il rischio contribuendo ad un fondo dal quale sono pagate tutte
quelle entità che subiscono una perdita.
Ma perché le compagnie d’assicurazione accettano i rischi d’altre imprese? Perché esse fanno
profitto dal momento che i premi pagati sono superiori alle somme spese in risarcimenti, e la
spiegazione di questo aspetto è relativamente molto semplice: benché molti assicurati pagano il
premio per uno stesso tipo di assicurazione, in nessun modo tutti insieme soffriranno il medesimo
danno.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
1.8 – RISCHIO ASSICURABILE E NON ASSICURABILE
Come ogni altra impresa le compagnie d’assicurazione devono evitare certi rischi. Per questo
motivo gli assicuratori dividono i rischi in rischio assicurabile e rischio non assicurabile.
Ovviamente essi emettono polizze solo per rischi assicurabili.
Benché vi siano delle eccezioni un rischio assicurabile deve rispondere almeno ai seguenti requisiti:
Prevedibilità .
L’assicuratore usa strumenti statistici per prevedere la probabilità di perdita. Ad es., un assicuratore
di automobili conosce il numero d’incidenti negli anni passati e su questi può stimare il numero di
incidenti atteso per gli anni futuri. Con queste conoscenze l’assicuratore può tradurre il numero
previsto ed i tipi di incidenti in previste perdite monetarie, con le quali calcolano gli importi dei
premi degli assicurati.
Casualità.
Una perdita deve derivare da un incidente, e non da atto intenzionale dell’assicurato. In caso di
frode l’assicuratore può rifiutarsi di pagare i danni quando questi non possono essere attribuiti ad un
evento fortuito.
Non correlazione.
Un danno deve essere casuale e deve avvenire in maniera indipendente da qualsiasi altro danno.
Nessun assicuratore è disposto ad emettere polizze ad assicurati che siano al contempo la
maggioranza dei danneggiati per lo stesso rischio. Ad es., nessun assicuratore emetterebbe polizze
d’assicurazione per coprire tutti i danni di uragano nelle città di Miami, come nessuno farebbe
emetterebbe una polizza per coprire tutti i danni da terremoto a Los Angeles. Solo scegliendo con
molta attenzione i rischi che assicura una compagnia d’assicurazione può ridurre le possibilità di
grandi perdite, finanche di bancarotta.
Verificabilità
Infine, le perdite assicurate devono essere verificabili quanto a cause, tempo, luogo, ed ammontare.
Un dipendente assicurato è affetto da enfisema polmonare per aver inalato sostanze chimiche nel
luogo di lavoro, o perché ha fumato abitualmente 40 sigarette al giorno negli ultimi trent’anni?
Sono in generale assicurabili tutti i rischi “calcolabili”, “con un rischio complementare” ed “a
somma non-zero”.
Sono rischi calcolabili tutti quelli per i quali si possa stabilire una frequenza oppure una probabilità
teorica, tenendo ben presenti alcuni accorgimenti.
Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, l’attribuzione di probabilità ad un certo evento può
scaturire da almeno tre definizioni diverse di probabilità, ciascuna delle quali può portare ad una
valutazione differente.
Già la sola determinazione frequentistica può condurre a stime diverse della probabilità di un evento
secondo il numero di rilevazioni analoghe effettuate.
La probabilità che lanciando una moneta esca croce è di ! (50%) per chi adotta la probabilità
teorica, mentre potrebbe essere di 280/500 (56%) per un misuratore di frequenza piuttosto pigro nel
numero di rilevazioni, oppure di 505/1000 (50,5%) per un rilevatore di un maggior numero
d’eventi, oppure di 400/1000 per un risultato di rilevazione piuttosto raro.
La consapevolezza di questa situazione ha spinto gli studiosi della probabilità a ridefinire il senso e
lo scopo della propria ricerca, abbandonando l’obiettivo di attribuire un valore univoco e assoluto
alla probabilità di un singolo evento, e spostando l’attenzione sul calcolo delle probabilità di eventi
complessi, supposte note le probabilità degli eventi più elementari che li compongono.
Come brillantemente rileva Giuliano Spirito 1 “Il passaggio che abbiamo delineato (dalla
problematica della probabilità del singolo evento alla problematica della probabilità di un evento
complesso in funzione della probabilità degli eventi elementari che lo compongono) segna il
passaggio da un approccio ingenuo ad un approccio maturo e consapevole della teoria della
probabilità”.
Qualcosa d’analogo è avvenuto per molti altri segmenti della matematica: all’inizio lo sforzo è
concentrato sulla precisazione delle caratteristiche dei singoli “oggetti” della teoria (la geometria,
ad esempio, si cimenta con la messa a punto delle nozioni di punto, retta, piano, ecc.). Tali nozioni,
però, più giocano un ruolo fondamentale rispetto alla teoria, più risultano sfuggenti e di difficile
definizione. Ecco allora che l’attenzione si sposta progressivamente dai singoli “oggetti” ai legami
che intercorrono tra essi (Hilbert, grande matematico vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento,
giungeva a dire paradossalmente che, in un trattato di geometria, si possono sostituire le parole
punto, retta, ecc., con parole quali bicchieri, tazze, ecc: quel che conta non è la natura dei singoli
oggetto ma la relazione che li lega reciprocamente). ……..
Dunque, nello studio della logica l’attenzione si è spostata dalla verità e falsità assolute ad una sorta
di verità e falsità relative (verità o falsità condizionata ad altre verità o falsità).
Analogamente nel problema della determinazione della probabilità l’attenzione si è progressivamente concentrata sulla valutazione di probabilità relative, che dipendono dalla valutazione delle
probabilità di eventi elementari.
I prodotti assicurativi
Le compagnie di assicurazione spesso si distinguono proprio per il particolare tipo di assicurazione
che offrono. Mentre alcune offrono solo un’area di copertura (assicurazione vita, ad es.), altre
offrono coperture più generali. In questa sezione descriviamo le quattro principali categorie
d’assicurazione: responsabilità, proprietà, vita, salute
Assicurazione sulla responsabilità.
In questo caso il termine “responsabilità” indica qualsiasi perdita derivante da danni a persone o
proprietà in cui l’assicurato è giudicato responsabile.
Ad es., ogni azienda è responsabile per qualsiasi danno causato ad un dipendente quando il danno
derivi da una causa di servizio. Negli Stati Uniti le imprese versano (per lo più ad assicuratori
pubblici) circa 60 miliardi di dollari l’anno per il “worker’s compensation coverage”.
Assicurazione sulla proprietà.
Gli assicurati comprano polizze assicurative sulla proprietà per cautelarsi da danni o perdita delle
proprietà immobiliari o personali.
I danni alla proprietà possono derivare da: incendio, vento, inondazione, esplosione, vandalismo,
ecc. Le sole perdite per incendio negli Stati Uniti ammontano a circa 10 miliardi di dollari l’anno.
In molti casi le perdite subite dalla proprietà sono minime in confronto alle perdite subite dal
reddito. Uno stabilimento, ad es., può essere costretto a restare inattivo per tutto il tempo necessario
al suo ripristino dopo un incendio. Per tutto quel tempo l’azienda non produce reddito, mentre tante
spese corrono come costi fissi (tasse, stipendi, premi assicurativi, ecc.). Negli USA è possibile
coprire tali spese acquistando un “business interruption assurance”.
1
Giuliano Spirito, Matematica dell’incertezza, Newton Compton, Roma, 1995
La “Property Law” di diritto statunitense divide il concetto di proprietà in quattro categorie:
a) Tangible real property: la terra e qualsiasi altra cosa ad essa ancorata (una casa, una
fabbrica, ecc.).
b) Tangible personal property: qualsiasi bene mobile che possa essere posseduto, comprato,
venduto, o affittato, automobili, barche, stereo, macchine fotografiche, ecc).
c) Intangible personal property: bene intangibile che esiste in virtù di un documento scritto
(polizze assicurative, conti bancari, azioni e bonds, segreti commerciali)
d) Intellectual property: creata attraverso attività creative personali (libri, articoli, canzoni,
dipinti, software per computers, ecc.).
Assicurazione sulla vita.
L’assicurazione può proteggere anche il patrimonio umano aziendale. Come elemento contrattuale
molte aziende acquistano polizze vita per i loro dipendenti. Le compagnie d’assicurazione accettano
i premi in cambio di della promessa di pagare i beneficiari in caso di morte dell’assicurato.
Una parte del premio è usata per le spese dell’assicurazione, mentre l’altra è investita
essenzialmente in borsa.
Molte aziende acquistano “assicurazioni vita di gruppo”, che sono sottoscritte per interi gruppi
aziendali, piuttosto che per singoli beneficiari. In questo caso, le previsioni di perdita da parte
dell’assicuratore sono basate su quelle del gruppo come unità, piuttosto che su quelle d’ogni singolo
partecipante al gruppo.
Assicurazione sanitaria.
Copre le spese derivanti da cure mediche e ospedaliere, nonché la perdita di reddito derivante da
incidenti o malattie.
Assicurazione sull’invalidità e vecchiaia.
Prevede uno schema di pensione ed uno schema di protezione del reddito in caso di invalidità,
parziale o totale.
Altre forme speciali di assicurazione.
Negli Stati Uniti esistono almeno altre due forme di assicurazione che concernono le dimissioni o la
morte di dipendenti strategici:
a) Key Person Insurance
: molte aziende scelgono di proteggersi contro la perdita di dipendenti
di talento, o strategici. Ad es., se un venditore che vende qualche milione di dollari lascia
l’azienda, questa subisce un danno considerevole, e deve sostenere nuovi costi per la
selezione e l’addestramento di un sostituto. La Key Person Insurance è prevista per coprire
sia la perdita di reddito sia le spese addizionali.
b) Business Continuation Agreements
: chi controlla l’azienda se un socio muore? Molto spesso
i soci sopravvissuti hanno a che fare con eredi inesperti, che non sono certo d’aiuto per
l’azienda. Questa eventualità può essere gestita con un Business Continuation Agreement in
cui i proprietari fanno programmi per acquistare la proprietà del defunto dagli eredi. Il
valore della proprietà è stabilito al momento dell’accordo iniziale, mentre polizze speciali
possono fornire ai sopravvissuti i fondi necessari per l’acquisto.
Assicurazione sui crediti all’esportazione
SACE http://www.sace.it s.p.a. - Servizi Assicurativi Commercio Estero è la società italiana di
assicurazione dei crediti all’esportazione, succeduta all’Istituto per i Servizi Assicurativi del
Commercio Estero con decorrenza 1° gennaio 2004, per effetto del Decreto Legge 30 settembre
2003, n° 269, convertito in Legge 326 del 24 novembre 2003.
Il capitale sociale è sottoscritto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che nomina altresì i
componenti degli organi sociali d’intesa con i ministeri competenti.
SACE assume in assicurazione e riassicurazione i rischi di carattere politico, economico e
commerciale a cui sono esposti gli operatori italiani nelle loro transazioni internazionali, facendo
sostegno all’internazionalizzazione dell’economia italiana.
I rischi e le operazioni assicurabili sono quelli definiti dalla delibera CIPE (Comitato
Interministeriale per la Programmazione Economica) n° 93 del 9 giugno 1999, in virtù della quale
SACE assicura gli esportatori contro i rischi di cui all’Art. 1, se ed in quanto causati da uno o più
degli eventi generatori di sinistro (EGS) elencati dall’Art. 2, nello svolgimento di una delle
operazioni previste dall’Art. 3.
I seguenti sono i contratti tipici previsti tra l’azienda e la SACE:
Polizza Individuale
- La polizza individuale, meglio conosciuta come polizza di "credito fornitore", è lo strumento
con il quale le imprese italiane possono garantirsi contro uno o più rischi cui vanno incontro
nell'esportazione di merci, nelle prestazioni di servizi o nell'esecuzione di lavori all'estero. La
domanda di copertura assicurativa deve essere presentata prima di avviare l'esecuzione del
contratto.
Più dettagliatamente, è possibile ottenere le seguenti coperture:
- rischio di produzione: l'Assicurato viene rimborsato dei costi sostenuti per
l'esecuzione della commessa in caso di sospensione della stessa o del mancato ritiro
delle merci da parte dell'Acquirente estero, per eventi sia di natura politica sia di
natura commerciale. L'impresa può optare tra chiedere di ammettere in garanzia un
importo determinato sulla base di una sua autonoma valutazione della curva di
rischio o l'intero valore del contratto. In questa seconda ipotesi usufruisce di uno
sconto sul costo assicurativo;
- rischio del credito: l'Assicurato è garantito dalla mancata riscossione, derivante da
eventi di natura politica e commerciale, dei pagamenti previsti contrattualmente nelle
diverse modalità di regolamento (contestuali e/o dilazionati sia a breve sia a
medio/lungo termine). Per i crediti fino a 24 mesi, non sono assicurabili gli eventi
generatori di sinistro di natura commerciale, se il debitore o garante appartiene ad un
Paese dell'Unione Europea, nonché Australia, Canada, Giappone, Islanda, Nuova
Zelanda, Norvegia, Stati Uniti e Svizzera. Qualora il credito sia rappresentato da
promissory-notes o da bills of exchange, l'Assicurato può scontare presso una banca
tali titoli con la formula "pro-solvendo", cedendo contestualmente i diritti di polizza
all'Istituto scontante, o "pro-soluto", con voltura di polizza all'Istituto scontante, che
diventa Assicurato a tutti gli effetti. La procedura per la voltura di polizza –
recentemente rivista alla luce dei suggerimenti raccolti da SACE negli incontri con
ABI e Confindustria – è ampiamente illustrata in un’apposita nota divulgativa;
- rischio di escussione di fideiussioni:
l'Assicurato è garantito dall'escussione
indebita da parte dell'Acquirente di fideiussioni "a prima richiesta" che è tenuto a
prestare per la partecipazione ad aste o appalti (bid bond) o in relazione ai termini
contrattuali a fronte di anticipi ricevuti (advance payment bond), per la buona
esecuzione del contratto (performance bond) o in sostituzione di trattenute a garanzia
(retention money bond). La domanda di copertura assicurativa deve essere presentata
non oltre 30 giorni dall'emissione della fidejussione;
- rischio di mancata restituzione di cauzioni, depositi e anticipazioni: l'Assicurato
è garantito contro la mancata restituzione di somme versate a termini di contratto per
le causali sopra indicate. Gli Eventi Generatori di Sinistro sono gli stessi previsti per
il rischio del credito;
- rischio di distruzione, requisizione, confisca: l'Assicurato è garantito contro tali
rischi relativamente ai beni esportati in temporanea per la tentata vendita o
strumentali per l'esecuzione di una commessa.
La polizza è costituita dalle Condizioni Generali di Polizza (CGP) applicabili a tutte le operazioni,
dalle Condizioni Speciali di Polizza (CSP) specifiche dei singoli rischi assicurati e dalle Condizioni
Particolari di Polizza (CPP) relative all'operazione assicurata.
La copertura assicurativa massima concedibile è del 95%.
Speciale PMI
SACE, al fine di sostenere le esportazioni delle piccole e medie Aziende italiane, si è impegnato nel
corso di questi ultimi anni ad intervenire in modo fattivo, diversificato e con la maggiore
economicità possibile per gli Esportatori.
Per facilitare l'accesso alla garanzia assicurativa, SACE ha focalizzato la sua attività su due strategie
basate sulla possibilità lasciata alle Imprese di scegliersi il genere di rapporto da instaurare con
SACE medesimo: diretto, oppure indiretto e in pratica mediato da Banche e/o Società assicurative
private.
Nella prima ipotesi, tra i vari strumenti assicurativi disponibili, spicca quello delle "Polizze
Globali", destinato alle Società che hanno rapporti commerciali continuativi con vari debitori esteri.
Per accedere anche a tale forma di garanzia, queste Aziende sono esentate dalle spese di "apertura
dossier".
Nella seconda ipotesi, al fine di abbracciare tutto il territorio nazionale nella sua capillarità e di
favorire lo sviluppo di queste Imprese, sono stati studiati dei prodotti assicurativi che rispondono in
modo adeguato alle esigenze più svariate; tali strumenti, non solo limitano al minimo i tempi di
risposta per gli Esportatori, ma consentono loro di beneficiare altresì degli effetti dell'intervento
assicurativo, rivolgendosi direttamente alle Banche e/o alle Società assicurative private garantite da
SACE, senza ulteriori adempimenti burocratici.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Parte II
I metodi di calcolo nell'applicazione del Basilea II
2.1 – Introduzione ai meccanismi di valutazione delle imprese
La proposta del Comitato di Basilea rappresenta una delle possibili risposte delle Autorità di
Vigilanza all’inadeguatezza non solo dell’attuale sistema nel prevenire i rischi di “default” (non
restituzione) ma anche dell’intero sistema basato sul capitale finanziario.
Se da un lato il Basilea 2 ha posto dei vincoli di affidabilità alle imprese in base al loro rating
(credibilità), noi poniamo ulteriori limiti concedendo un rating solo a:
i.
ii.
iii.
Imprese che impiegano il loro credito per la creazione di “nuova ricchezza reale”,
escludendo da questo concetto tutte le operazioni finanziarie basate sulla
“ridistribuzione” di ricchezza. In altre parole, la nostra certificazione di rating si limita a
tutte quelle operazione che nella Teoria dei Giochi possono essere classificate come
“non a somma-zero”.
Imprese che pianificano ogni singolo prodotto
Imprese che includono il piano d’ogni singolo prodotto nel loro piano di business.
Questi concetti si applicano sia alle grandi imprese sia alle microimprese individuali, perché
rappresentano la filosofia stessa del business, che anche il singolo imprenditore deve avere in mente
ed attuare, sia pure nella limitatezza dei suoi mezzi.
Quando l’imprenditore è convinto che le sue analisi sono corrette, orientate al profitto e verificate,
solo allora egli è credibile, ed il suo piano diventa la sua bibbia.
Una semplice innovazione di prodotto, se appropriata, può cambiare radicalmente le sorti di
un’intera impresa, anche se in stato disastroso. A questo punto il suo passato conta poco, mentre il
suo futuro è essenziale. La filosofia di New Economy di tipo statunitense ha addirittura portato
quasi ad ignorare i dati di bilancio aziendale, focalizzando l’attenzione solo sul futuro di ogni
singola impresa, di ogni singola sua idea.
Il concetto di rating come espressione del rischio di default è una delle novità più importanti
introdotte dal documento di Basilea, perché costringe banche ed imprese a lavorare in funzione del
merito creditizio. Nell’economia classica il concetto di sviluppo è stato troppo spesso legato a
quello di capacità monetaria, mentre l’economia moderna aggancia lo sviluppo più alla capacità di
generare idee che a quella di generare credito finanziario. Troppi imprenditori hanno creduto che le
loro idee avessero solo bisogno di “soldi” (preferibilmente d’altri) per affermarsi, mentre in molti
casi esse non solo non erano verificate, ma mancavano in molti casi anche del benché minimo
supporto di marketing. In sintesi, hanno platealmente e volutamente confuso il capitale di rischio
(venture capital) con il capitale di finanziamento (financial capital). Le imprese vedono ancora la
banca come uno sportello pubblico che deve dare risorse senza entrare nella condivisione del
1
progetto, che si basa unicamente sull’autorevolezza personale dell’imprenditore
Basilea 2, pertanto, non solo definisce le variabili necessarie per il calcolo del rischio di credito ed i
criteri con cui devono essere misurate, ma anche i meccanismi che legano il rischio al requisito
patrimoniale.
1
Francesco Bellotti, Il Sole 24 Ore, giugno 2004, pag. 3
Con la nuova normativa, definito il grado d’affidabilità di un’azienda, il requisito patrimoniale
applicato all’esposizione può variare in maniera rilevante rispetto al livello predefinito previsto
attualmente per qualsiasi finanziamento che vede come controparte un’impresa.
Il nuovo schema di ponderazioni proposto dal Comitato, consentendo di distinguere tra diversi
livelli d’affidabilità delle controparti, richiede accantonamenti di patrimonio differenziati per
ognuna di loro.
La sua applicazione si basa su tre fondamentali approcci alla misurazione del rischio di credito: un
metodo standard, e due metodi basati sui rating interni (IRB), nell’ambito dei quali si distinguono
un approccio base ed uno avanzato, in funzione del diverso grado di sofisticazione.
Al crescere della sofisticazione del sistema impiegato, crescono per le banche i costi connessi alla
sua implementazione, ma anche i vantaggi in termini operativi e patrimoniali che ne derivano. In
generale, saranno probabilmente le banche maggiori a costruirsi sistemi interni di valutazione del
rischio, mentre è probabile che quelle più piccole preferiranno il metodo standard.
Inoltre, il nuovo accordo sul capitale introduce nel processo di valutazione del rischio di controparte
anche un insieme di norme relative ai cosiddetti attenuatori del rischio, regole volte a considerare
l’impatto prodotto sul rischio di credito dalla presenza di garanzie e di derivati creditizi.
Su questo argomento vi è molto da studiare, e l’ingegneria finanziaria può essere di notevole
supporto.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
2.2 – I Pilastri di Basilea 2
(Cfr. Nuovo Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali)
L’accordo è un insieme (inscindibile) di tre parti:
i.
le regole per la quantificazione del rischio
ii.
i nuovi principi guida per la supervisione
iii.
il ricorso alla disciplina di mercato
I tre pilastri costituiscono un insieme che concorre ad accrescere la sicurezza e la solidità del
sistema finanziario, per questo l’Accordo non può essere considerato attuato pienamente se non
sono operanti tutti e tre i pilastri.
1
Con efficace espressione Francesco Metelli
rileva come “La nuova regolamentazione intende
stabilire una più stretta correlazione tra le valutazioni dell’adeguatezza patrimoniale e i principali
elementi di rischio insiti nell’attività bancaria, oltre a fornire incentivi alle banche affinché
potenzino le loro capacità di misurazione e gestione del rischio”.
In effetti, se l’impresa è sottocapitalizzata (la larga maggioranza delle imprese italiane), e ricorre al
capitale di finanziamento come sostituto del capitale di rischio, trasferisce alle banche l’onere del
rischio.
Per questo motivo il primo pilastro dell’accordo è anche il più consistente ed importante, e
contempla una lunga serie di indicazioni metodologiche dettagliate che riguardano il calcolo del
rischio, vale a dire del capitale che le banche devono detenere a fronte del rischio assunto per ogni
operazione di impiego.
La novità di Basilea 2 in definitiva è quella di contemperare le esigenze pubbliche di
regolamentazione con quelle di valorizzazione delle forze di mercato, in coerenza con il percorso
evolutivo che “ha portato il modello di vigilanza delle banche da un approccio strutturaleamministrativo (controllo diretto da parte dell’Authority) ad uno di tipo prudenziale maggiormente
2
orientato alla disciplina di mercato (controllo diretto)” afferma Metelli
.
Il nuovo Accordo di Basilea sul Capitale (il Nuovo Accordo) si applica su base consolidata alle
banche aventi operatività internazionale. Inoltre, l’ambito di applicazione dell’accordo verrà esteso
fino ad includere su base consolidata anche le società holding a capo di gruppi bancari per
assicurare che vengano rilevati i rischi presenti a livello di gruppo.
Le partecipazioni significative di minoranza in società mobiliari e altre entità finanziarie in cui non
vi siano posizioni di controllo sono escluse dal capitale del gruppo bancario mediante deduzione dei
relativi investimenti in azioni e altri strumenti di patrimonializzazione. In alternativa, e a ben
determinate condizioni, a tali investimenti potrà essere applicato il consolidamento proporzionale
(“pro-quota”). Pertanto “Il Comitato riafferma l’impostazione espressa nell’Accordo del 1988,
secondo cui le partecipazioni bancarie incrociate volte a gonfiare artificiosamente la consistenza dei
fondi propri delle banche dovranno essere dedotte ai fini del calcolo dell’adeguatezza
patrimoniale”3
Una banca che possiede un’affiliata assicurativa ne sopporta appieno il rischio imprenditoriale e
deve rilevare a livello di gruppo i rischi connessi con l’attività di tutte le consociate.
“Le partecipazioni significative di minoranza e di maggioranza in una impresa commerciale, che
eccedono determinati livelli di rilevanza saranno portate in deduzione dal patrimonio della banca
Francesco Metelli, Il Sole 24 Ore, giugno 2004, pag. 16
ditto
3
Cfr. Accordo sui Capitali, Parte 1, C10.
1
2
4
partecipante”.
I livelli di rilevanza sono stabiliti in base alla prassi contabile e/o prudenziale
nazionale.
La deduzione degli investimenti operata ai sensi della presente Parte 1 relativa all’ambito di
applicazione ammonterà al 50% del patrimonio di base (“tier 1”) e al 50% del patrimonio
5
supplementare (“tier 2”).
4
5
Cfr. Accordo sui Capitali, Parte 1, E16.
Cfr. Accordo sui Capitali, Parte 1, F18.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
2.3 – Il Metodo Standard
“L’approccio standard nell’Accordo di Basilea 2 consiste in una versione riveduta del metodo
previsto dall’Accordo del 1988 per il rischio di credito, secondo il quale, avarie tipologie di
controparte sono assegnati differenti coefficienti di ponderazione.
In questo modo, la percezione del rischio di credito cambia in base alle caratteristiche del singolo
debitore e non, come avviene attualmente, in funzione della sola tipologia di controparte (impresa,
1
paese, banca, ecc.); ovvero senza differenziare tra i soggetti appartenenti ad una
classe.”
Nell’approccio standard è previsto che l’analisi del merito creditizio (rating) sia fornita da istituti
esterni come Standard & Poor’s, Mody’s, o altri soggetti selezionati dalle Autorità di Vigilanza.
L’adozione di tale approccio, pertanto, implica per le banche l’utilizzo di rating esterni, in altre
parole, di giudizi assegnati alle imprese dalle agenzie internazionali nella valutazione del rischio
della controparte.
_____________________________________________________________________________
Nell’approccio standard il rating è calcolato in base alla seguente formula:
Esposizione x
Coefficiente di ponderazione
x
8%
= Requisito patrimoniale
(fornito dalle agenzie di rating)
________________________________________________________________________________
Con la normativa corrente, un prestito ad es. di 10.000 Euro verso un’impresa priva di rating,
comporterebbe per la banca, data la ponderazione del 100%, ed un requisito patrimoniale dell’8%,
un assorbimento di capitale di:
10.000 x
100% x 8% = 800
mentre lo stesso prestito classificato col rating AAA, beneficiando di una ponderazione del 20%
richiederebbe un accantonamento di capitale pari a:
10.000 x 20% x 8% = 160
La riduzione di costo, come capitale assorbito, di cui beneficia la banca in presenza di una
controparte con elevato rating, porta a ritenere valida (e giusta, secondo lo scrivente)
l’interpretazione che vede un incremento del costo del credito per le imprese prive di rating o con
basso rating (tipicamente il caso delle PMI italiane), anche se esiste una serie di fattori (attenuatori
di rischio)in grado di condizionare la relazione diretta tra rating e pricing.
In effetti, come potrebbe un’impresa senza o con scarso rating procurarsi attenuatori di rischio se
non può ottenere credito? Come può offrire garanzie reali o personali se non può avere rating?
A nostro sommesso avviso, questa ipotesi di distorsione del dettato dell’Accordo, è lo strumento più
innovativo e più efficace del Basilea 2.
Infatti, proprio per mancanza di rating un’impresa può cominciare ad intraprendere quel percorso
innovativo che per anni non ha attuato: distinguere tra venture capital e financial capital.
Tutte le volte che l’impresa ha bisogno di venture capital non deve ricorrere alla banca
commerciale, bensì alla merchant bank, oppure al mercato acquisendo azionisti o soci. Finalmente
la fatidica frase tutta italiana “le società devono essere in numero dispari minore di tre”, che tanta
improvvisazione ha portato sul mercato, è spazzata via da una norma che sembra implacabile verso
1
Francesco Metelli, Il Sole 24 Ore, giugno 2004, pag. 28
le PMI, ma che invece si comporta solo come un medico non pietoso. Finalmente è ora di insufflare
aria nuova nel mercato italiano. Solo le aziende con buone idee e buona amministrazione possono
avere un buon rating.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
2.4 – Il Metodo Internal Rating Based (IRB) di base
La differenza tra i metodi interni di rating e quello standard è notevole, considerando che ciascuna
banca può misurare il rischio di credito del singolo impiego in funzione del proprio portafoglio
clienti. Attraverso la valutazione di rischio del prenditore, dell’operazione e del portafoglio, la
banca è in grado di calcolare l’assorbimento del capitale prodotto dai singoli impieghi e dal
portafoglio nel suo complesso.
Le componenti di rischio d’inadempienza dell’impresa utilizzate con l’approccio dei rating interni
(IRB) sono quattro:
a) La probabilità d’insolvenza (Probability of Default, PD). Indica il rischio sulla capacità
di restituzione del debitore, probabilità valutata sull’arco temporale di un anno.
b) Il tasso di perdita in caso d’insolvenza (Loss Given Default, LGD), che esprime in
termini percentuali il grado di perdita potenziale subita dalla banca sull’ammontare del
prestito al termine dell’operazione di recupero nei confronti del debitore insolvente.
c) L’esposizione al rischio d’insolvenza (Exposure at Default, EAD), che stima la
dimensione dell’esposizione della banca al momento dell’insolvenza del debitore
d) Maturità delle esposizioni (Maturity, M). Nella versione base si fa riferimento ad una
maturità media di due anni e mezzo, mentre nella versione avanzata la maturità del
credito va calcolata sulla singola esposizione, e gioca un ruolo fondamentale nella
determinazione dei pesi da attribuire al credito concesso.
Queste quattro componenti di rischio devono tenere in considerazione un altro elemento essenziale:
e) Il grado di diversificazione (Granularity, G) del portafoglio impieghi di una banca.
Definito un portafoglio di riferimento, le banche devono valutare se il proprio
portafoglio presenta un grado di diversificazione migliore o peggiore rispetto al
benchmark:
- nel primo caso sono previsti “sconti” sui requisiti da applicare alla somma degli
attivi del portafoglio bancario;
- nel secondo caso sono previste delle penalità
________________________________________________________________________________
Calcolo del Requisito Patrimoniale secondo il metodo IRB
{EAD x PD x LGD x M +/- Granularity} x 8% = Requisito Patrimoniale
________________________________________________________________________________
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
2.5 – Il Metodo Internal Rating Based (IRB) avanzato per le banche
Rispetto all’insieme di variabili necessarie per alimentare un sistema di rating interno,
Basilea 2 prevede, nel caso dell’approccio base, la misurazione diretta della sola probabilità di
default da parte delle banche e l’utilizzo di valori predefiniti delle Autorità per tutte le altre
componenti.
Con l’approccio avanzato, invece, le banche possono misurare con le proprie metodologie tutti i
profili di rischio previsti.
Le proposte di Basilea II sull’Accordo per l’Adeguamento del Capitale richiederanno a molte
banche di adottare un approccio al risk management basato sugli internal ratings.
Per la prima volta le banche, che rispondono a certi requisiti minimi, hanno la possibilità di
evidenziare la valutazione interna del loro rischio di credito nel processo di regolamentazione del
collocamento dei loro impieghi. Questo è stato uno dei maggiori successi raggiunti dal Basilea 2,
che si proponeva proprio di aumentare la trasparenza del processo di collocamento della raccolta nel
settore bancario.
Il legislatore vuole incoraggiare le banche a proseguire gli sforzi per migliorare il loro
processo d’ordinamento del risk management, giacché questo è uno dei principali argomenti che
possano salvaguardare l’intero sistema bancario.
Uno dei requisiti principali per implementare un approccio internal rating-based (IRB) è
che le banche devono avere un robusto sistema d’internal rating supportato da statistiche efficaci sul
“default” (inadempienza) e sul “loss-given default” (affidamento): le banche devono essere in grado
di convalidare il loro internal rating. Le banche che possono dimostrare al legislatore di poter
accuratamente predire la “probabilità di default” (PD), vale a dire la loro probabilità di sbagliare
(insolvenza), sono ammesse ad usare la metodologia “foundation” nel loro approccio IRB.
Elementi di un sistema genuino d’internal rating system bancario.
Ancora non c’è una definizione univoca su quello che possa essere un buon sistema d’internal
rating. Il Comitato di Basilea sta ancora raffinando meglio la teoria su questo argomento, ma ci
sono, tuttavia, alcuni fattori comuni che possono caratterizzare un buon sistema interno di rating,
che sono:
! L’I.R.R. deve dimostrare un livello appropriato di granularità per il tipo di business a cui la
banca partecipa. Ad es., se un’impresa ha bisogno di sapere solo se i suoi fornitori sono
affidabili e, di conseguenza, in grado di emettere ordinativi periodici, probabilmente è
sufficiente un I.R.R. che abbia solo alcune gradazioni. Ma se, invece, una banca usa un suo
sistema che, tra l’altro, permetta, ad es., di prendere decisioni sul prezzo, allora è certamente
necessario un sistema che possa fare distinzioni più raffinate.
! Il sistema deve distinguere tra affidabilità dell’obbligato e affidabilità della transazione.
! Il sistema deve essere applicato con una certa consistenza da tutta l’organizzazione cosicché:
- il sistema sia ben documentato ed aggiornato, e il personale coinvolto ben addestrato
al suo utilizzo;
- dal momento che l’attività di credito può essere sia un’arte che una scienza, il
sistema deve certamente fornire uno schema preordinato, ma anche sufficientemente
flessibile ad un mix di giudizi quantitativi e qualitativi sul risk management;
- il sistema, inoltre, deve prevedere specifiche metodologie di tipo “industriale” che
siano come un’estensione di una più generale metodologia di credito.
!
Un sistema affidabile deve acquisire una buona esperienza sulle inadempienze e sulle
perdite, per usare queste informazioni per interpolazioni periodiche del sistema, in modo da
garantirsi che le esperienze correnti su inadempienze e perdite di determinate imprese
ribattano con gli affidamenti passati emessi a favore della stessa categoria d’impresa.
Apprezzamento di un sistema d’internal rating bancario.
L’apprezzamento di un buon I.R.R. bancario è basato su tre elementi chiave:
a) Revisione periodica del processo e delle procedure dell’I.R.R.
Consiste in un continuo aggiornamento delle metodologie di credito, che assicuri come tutti
i principali fattori di rischio di determinate imprese siano opportunamente considerati e
ponderati. I processi di perfezionamento delle metodologie creditizie devono essere
periodicamente rivisti per stabilire se ci sia completezza ed integrità nella valutazione degli
affidamenti. Queste mosse permettono di stabilire se la banca abbia o no uno schema certo
per analizzare i suoi affidamenti.
b) Revisione del portafoglio e comparazione delle prestazioni degli affidamenti.
Il secondo elemento è la determinazione sull’appropriatezza degli affidamenti. Questo passo
verifica che siano identificati appropriate distinzioni nel risk management, e che appropriate
procedure e politiche di credito siano applicate con una certa consistenza a tutto l’intero
portafoglio. Ogni qualvolta è possibile avere la cronistoria dei risultati, gli errori e le
esperienze possono essere analizzati attraverso test statistici delle matrici bancarie, in modo
da determinare se il comportamento del singolo affidato si discosti o no da quello dell’intera
categoria merceologica, temporale, o di bilancio d’appartenenza. Comportamenti non
difformi confermano che i ratings vengono emessi con affidabilità.
c) Benchmarking della scala d’internal rating bancario opposto ad una scala di rating di terze
parti, o di un’agenzia di rating affidabile.
Questo sforzo di mappatura aiuta le banche a convogliare la qualità del loro portafoglio in
una direzione comune, oltre ad avere ovviamente tanti altri benefici.
L’esercizio di mappatura può facilitare la capacità della banca ad usare passate esperienze di
terzi da impiegare nella propria scala d’internal rating system.
Come conciliare l’internal rating della banca con quello di agenzie esterne.
Sistemi d’internal rating, che tipicamente mancano di trasparenza, hanno limitato il loro uso
esterno all’organizzazione stessa. E’ veramente importante usare un linguaggio quanto più
universale per comunicare il rischio di credito, per diversi motivi. Primo, perché gli istituti hanno
bisogno di un metodo di convogliamento della qualità del loro portafoglio a terzi interessati, quali
gli investitori ed i legislatori. Secondo, perché una qualche specie di standardizzazione, o di scala
comune, è pur sempre necessaria agli istituti per misurare e comparare la qualità del loro portafoglio
con quella dei loro concorrenti. Terzo, perché una scala comune facilita l’integrazione all’interno
dell’industria dei servizi finanziari sempre in più rapido consolidamento.
La maggior parte delle banche ha una qualche idea di come le loro scale d’internal rating si
confrontano con le scale di agenzie esterne di rating. Queste scale possono essere basate su analisi
estensive, giudizi soggettivi, o esperienze di fatti.
L’approccio certamente più pertinente è di mettere assieme sia le analisi quantitative sia quelle
qualitative, in modo da consentire:
- maggiore trasparenza per investitori, amministratori e legislatori;
- l’identificazione dei punti deboli e forti del sistema di internal rating;
- l’uso di fonti esterne supplementari e contrastare le possibilità d’errore di un sistema interno
di rating.
Esercizi di mapping costituiscono un importante passo per analizzare l’efficienza di un sistema di
internal rating. Se un particolare rating non combacia strettamente con una specifica categoria di
business, di affidamento, o settore geografico, può significare che esistono sostanziali differenze
nella metodologia, nelle prospettive economiche, o nell’esecuzione dell’affidamento.
Le banche che decidono di effettuare un approccio IRB secondo le direttive del Basilea 2,
devono accettare probabilità d’errore nel loro internal rating system. Se gli internal ratings sono
stati felicemente descritti ad agenzie di rating, allora un’attuazione esterna di rating può essere una
buona testimonianza nell’assegnare probabilità d’insolvenza in un sistema di internal rating.
L’appropriatezza della mappatura
Per valutare efficacemente due scale di mappatura, il rating deve misurare gli stessi oggetti.
Le domande essenziali sono:
! I ratings misurano la qualità del credito in un tempo determinato, o per la durata di un ciclo?
! Viene misurata la probabilità di insuccesso, il prospetto di recupero del denaro, o una
opportuna combinazione di entrambi gli elementi?
! E’ misurata la qualità del credito dell’obbligato, o il rating si riferisce ad una facility
specifica?
! Le scale di rating contengono la stessa definizione d’insolvenza?
! I ratings sono applicati con una buona consistenza ai libri contabili?
! I dati di performance del rating sono memorizzati ed analizzabili?
Ad es., il termine “default” (insolvenza) per gli scopi di Standard & Poor include qualsiasi
situazione in cui il mutuatario sia incapace di effettuare pagamenti contrattualmente programmati
del capitale e/o dell’interesse. Questo concetto, pertanto, include anche la bancarotta nonché ogni
ristrutturazione consensuale, emendamenti ai termini di rimborso del credito, e rifinanziamento
dello stesso, in modo da dare al mutuatario maggior tempo per il pagamento del mutuo.
I risultati della mappatura possono essere difficili da interpretare, qualora un qualche
elemento di essa differisca dalle scale di rating con le quali deve essere paragonato. Se un elemento
qualsiasi di questi causa una differenza sistematica nel rating (quale ad es. l’innalzamento di un
grado di rating a seguito di una collaterale), i risultati della mappatura possono essere aggiustati per
riflettere tale differenza.
L’approccio alla mappatura
Standard & Poor’s Risk Solutions usa, ad es., un procedimento di tipo passo-passo per
stabilire con efficacia una mappatura tra l’internal rating di una banca e quello di un’agenzia di
rating.
A Standard & Poor’s l’approccio quantitativo principale alla mappatura delle scale di rating
di una banca viene paragonato ad una serie sufficientemente grande di organismi valutati dalla
stessa. Ad es., se una banca usa un punteggio di valutazione da 1 a 10, ci deve essere per forza un
numero statisticamente significativo di ratings della Standard & Poor’s per ognuno dei singoli
punteggi della banca, se si vuole avere successo con questo metodo.
Il numero minimo di ratings che devono comparire nel punteggio di un istituto dipende dal numero
dei clienti in portafoglio e dalla dispersione dei ratings di Standard & Poor’s all’interno dello stesso
punteggio.
Standard & Poor’s lavora assieme alla banca per analizzare il portafoglio e stabilire se vi sia un
numero statisticamente significativo di ratings presente nella mappatura del portafoglio.
Nella maggior parte dei casi, la casistica esistente non è sufficientemente ampia, o ben distribuita,
per permettere una mappatura con appropriato grado di confidenzialità. In questi casi è necessario
aumentare il numero d’istituti comunemente affidati, selezionando un campione rappresentativo di
aziende in portafoglio e fornendo una stima della qualità del credito (sulla scala dell’agenzia di
rating) di ogni elemento del campione. Anche quando il campione appare sufficientemente grande
può essere desiderabile preparare stime di credito degli organismi non-rated, considerando che un
rating su vasta scala può essere immesso nel processo d’internal rating proprio per superare i
pregiudizi di una mappatura basata solamente su entità normalmente apprezzate.
Considerazioni sulla campionatura della mappatura
La natura del campione d’apprezzamento del credito o “shadow rating” d’entità non
apprezzate varia in dipendenza dell’uso finale della mappatura. Un campione più grande dà
certamente una maggiore sicurezza che questi rappresenti più strettamente il suo universo, ma il
tempo e i costi abitualmente limitano la possibilità di lavorare su campioni più grandi.
La dimensione del campione, inoltre, varia con le dimensioni del portafoglio di una banca. Ad es.,
le dimensioni standard per analizzare il portafoglio di una banca tipica dovrebbe almeno includere:
- le linee di business (ad es., produzione o distribuzione);
- il tipo di industria;
- la regione di produzione;
- l’internal rating.
Il tipo di credito affidato dipende, inoltre, dallo scopo della mappatura. Standard & Poor’s Risk
Solutions ha un numero elevato di strumenti e metodologie che possono essere usate per fornire
stime private di affidamento. Questi strumenti spaziano dalla creazione di stime private di “shadow
ratings” all’uso di modelli di credito e di ratings impliciti. Nel decidere come ottenere i ratings, non
sempre l’analisi del rapporto costo/benefici è facile. Ad es., i ratings più accurati sono ottenuti
effettuando un esame privato sulla “credibilità” d’ogni credito, usando le stesse procedure e lo
stesso lavoro analitico che si fa per un rating pubblico. Questo tipo di approccio è comunque il più
dispendioso, sia in termini di tempo che di costo. Tuttavia, i risultati che si possono ottenere
producono, molto probabilmente, una mappatura più accurata, che possa ad es. tradursi in una
struttura di capitale più efficiente, se usata in transazioni d’obbligazioni con debito collaterale.
L’efficienza del “capital structure” può controbilanciare di molte volte i costi delle stime
nascoste di rating. Pertanto, anche se richiedono tempo e denaro, le stime di shadow rating possono
produrre i risultati più efficienti. Di contro, usare un modello di credito, o altre forme di delega, può
essere più efficace dal punto di vista dei costi iniziali, ma poiché questi ratings possono essere più
dispersi, l’esercizio di mappatura potrebbe produrre risultati meno precisi, dando luogo ad una
struttura più inefficiente e costosa. A causa di questo, è importante valutare le differenti opzioni, i
risultati similari e ogni rapporto costo/beneficio associato con ognuno di essi.
La probabilità massima nell’approccio alla mappatura.
Il primo obiettivo è quello di stabilire una mappatura iniziale paragonando il rating di
imprese presenti nel portafoglio bancario con quelle che sono contemporaneamente affidate da
Standard & Poor’s.
La relazione esistente deve essere quindi adattata in modo da riflettere una progressione lineare
della scala di rating e una media ponderata delle probabilità d’errore. La tabella che segue riporta la
mappatura di un campione di IRR a Standard e Poor’s.
MAPPATURA DI SISTEMI D’INTERNAL RATING
Internal rating scale
S& P Scale
1
2
1
AAA
AA
A
BBB
BB
B
CCC
2
3
4
1
1
1
5
4
5
1
2
3
6
1
2
6
2
4
5
2
4
Stima di
Performing
Rate usando
Metodologia
Standard &
Poor’s
!
1
S&P
PD
AAA
0
2
AA
0,02
3
A
0,04
4
BBB
0,19
5
BB
0,88
6
B
5,44
CCC
23,76
Un punto di debolezza della mappatura secondo il criterio di metodologia di “massima
probabilità” è dovuto al fatto che un significativo livello di dispersione dei ratings, corrispondenti di
Standard & Poor’s per una specifica categoria di rating bancario, può rendere difficile interpretare i
risultati. Ad es., se gli eventi comuni previsti da una banca includessero 50 osservazioni a livello
“5” di rating, ed il corrispondente rating S&P fosse 8 a BBB, 20 a BBB, e 22 a BB, a quale di questi
dovrebbe corrispondere il rating mappato a “5”?
Per minimizzare il problema della dispersione, Standard & Poor’s Risk Solutions determina le
probabilità storiche di inadempienza per ogni categoria di rating bancario, e le paragona alle
probabilità di inadempienza di ogni categoria di rating di Standard & Poor’s.
Dal momento che le probabilità di inadempienza delle categorie di rating di Standard & Poor’s non
sono ritenute come perfettamente combacianti con le probabilità assegnate ad ogni categoria di
rating bancario dell’universalità dei casi, questa metodologia, comunque, permette a Standard &
Poors Risk Solutions di stabilire quando i ratings bancari cadono nella scala di Standard & Poor’s.
Nel nostro esempio, la probabilità di errore della banca per un rating interno di “5” equivale ad un
rating BB, anche se non esistono osservazioni a questo livello. In termini matematici essa è la
somma di (8x6,08% + 20x10,22% + 0x13,63% + 0x16,69% + 22x25,19) /50 oppure /16,14, che è
più vicino alle probabilità di inadempimento associate con il rating BB.
I modelli di mappatura del punteggio dei mutui bancari al rating di Standard & Poor’s nelle
transazioni CBO/CLO.
Un metodo alternativo di mappatura dei punteggi bancari tende, ad es., ad aggiustare la
dimensione con la distribuzione. Questo metodo è basato su una teoria campionatoria, e stima lo
scopo reale del punteggio di credito che deve essere mappato, facendo ricorso a tutte le
informazioni ottenibili dai dati numerici.
Il primo passo di questo approccio per campione è quello di assegnare rate di inadempienza
ai mutui già valutati, come nell’esempio discusso precedentemente. A questo punto Standard &
Poor’s calcola l’indice medio delle inadempienze e la varianza per ogni punteggio. Infine, stima la
media dell’universo sommando un numero d’errori standard della media a quella del campione per
arrivare ad un intervallo d’affidabilità del 95%. Il rischio è “unilaterale” giacché per quel che ne
concerne non si va oltre un eccesso d’ottimismo sulla stima del tasso d’insolvenza, la qual cosa
dovrebbe spingere ad un maggiore pessimismo sulla mappatura.
Usando questo metodo, si ottengono buoni risultati di carattere generale. Per quanto riguarda
campioni più grandi c’è maggiore ottimismo nella valutazione, e si aggiungono solo alcuni errori
standard alla media del campione stesso. Al contrario, campioni più piccoli richiedono un numero
maggiore d’errori standard per raggiungere lo stesso livello di rispondenza.
In pratica ci potrebbe essere un numero maggiore di mutui con il rating dentro un determinato
punteggio, ma se complessivamente (a livello di portafoglio) la proporzione dei mutui con rating è
bassa, il portafoglio complessivo è aggiustato a causa dell’incertezza. Al contrario, ci potrebbe
essere un enorme trattamento di informazioni sul portafoglio complessivo, ma solo pochi mutui con
rating dentro un determinato punteggio, e ancora una volta, quindi, i due fattori si bilancerebbero
l’uno con l’altro.
In conclusione possiamo quindi dire che più conosciamo del portafoglio e di quanto ci sia dentro un
punteggio di rating, più abbiamo maggior certezza dell’affidabilità della nostra stima.
Comparazione delle prestazioni dei ratings storici che verificano a ritroso i sistemi di internal rating
bancario.
Lo strumento principale per verificare l’efficienza di un sistema d’internal rating bancario è
l’analisi dei comportamenti dei ratings storici dell’intero portafoglio. La costruzione di matrici delle
transizioni annuali medie permette ai test statistici di determinare se il comportamento delle
operazioni segua uno schema logico (e, quantomeno, atteso).
Tests di consistenza dovrebbero essere eseguiti sui dati di transizione del rating delle banche, su
libri contabili e straordinari. Questi test potrebbero comprendere:
- ognuno dei libri bancari contrapposti alla media delle matrici degli altri libri;
- ogni libro contrapposto ad ognuno degli altri libri;
- il comportamento delle transizioni di ogni categoria di rating attraverso tutti i libri;
- ognuna delle aziende contrapposte alla media di tutte le altre aziende;
- la comparazione accoppiata di ogni azienda contrapposta ad ognuna delle altre aziende;
- il comportamento del rating di transizione di ogni anno.
Conclusione
Il Basilea 2 offre sfide e benefici alle banche di tutto il mondo.
Anche le banche più sofisticate dovranno rivalutare e documentare i loro procedimenti di credito
come mai prima d’ora, ed in particolare quelle banche che cercano di applicare l’approccio
avanzato basato sull’internal rating.
In ogni modo, l’applicazione dell’accordo ricompenserà quelle banche che danno maggiori garanzie
e più stretti controlli, fornendo al contempo nuovi spazi di fiducia per i direttori e gli azionisti.
2.7 – IL PROCESSO DI CONTROLLO PRUDENZIALE
“Il processo di controllo prudenziale del Nuovo Accordo è inteso non solo a garantire che le banche
dispongano di capitale adeguato a sostenere tutti I rischi connessi con la loro attività, ma anche a
incoraggiarle nell’elaborazione e nell’uso di tecniche migliori per monitorare e gestire tali rischi.
Il processo di controllo prudenziale riconosce la responsabilità della direzione bancaria nello
sviluppare processi interni di valutazione del capitale e nel fissare obiettivi patrimoniali
commisurati al profilo di rischio della banca e al suo sistema di controlli. Nel Nuovo Accordo le
direzioni continuano ad avere la responsabilità di assicurare che la banca disponga di un capitale
adeguato a fronteggiare I propri rischi anche al di là dei livelli minimi richiesti.
Ci si attende che le autorità di vigilanza valutino la capacità delle banche nel determinare il proprio
fabbisogno di capitale in relazione ai rischi incorsi e di intervenire ove necesario. Questa
interazione è intesa a promuovere un attivo dialogo tra banche e autorità di vigilanza, affinchè al
manifestarsi di carenze possano essere presi provvedimenti rapidi ed efficaci per ridurre il rischio o
ripristinare i livelli patrimoniali. Di conseguenza, le autorità di vigilanza potranno adottare un
approccio maggiormente focalizzato sulle istituzioni il cui profilo di rischio o la cui esperienza
operativa giustifichino tale particolare attenzione.
Il Comitato riconosce la relazione esistente tra l’ammontare del capitale detenuto da una banca a
fronte dei rischi assunti e la forza/efficacia della gestione del rischio e dei processi interni di
controllo dell’azienda. Tuttavia, l’aumento del patrimonio non dovrebbe essere considerato come
l’unica opzione con cui far fronte ai maggiori rischi in cui incorre una banca. Devono essere presi in
considerazione anche altri mezzi, quali il rafforzamento della gestione del rischio, l’applicazione di
limiti interni, l’innalzamento del livello di accantonamenti e riserve, il miglioramento dei controlli
interni. Inoltre, il patrimonio non dovrebbe essere concepito come uno strumento per compensare
processi di controllo o di gestione del rischio fondamentalmente inadeguati.
Vi sono tre ambiti principali che porebbere essere particolarmente consoni al trattamento previsto
nel secondo pilastro: i rischi rientranti nel primo pilastro che non siano interamente colti dai
processi attinenti ai requisiti patrimoniali minimi (ad esempio, rischio di concentrazione del
credito); i fattori non considerati nell’ambito del primo pilastro (ad esempio, rischio di tasso
d’interesse nel “banking book”, rischio settoriale (“business risk”) e rischio strategico); i fattori
esterni alla banca (ad esempio, effetti del ciclo economico). Un altro aspetto importante del secondo
pilastro è la valutazione della conformità ai requisiti minimi e a quelli di informazione previsti dai
metodi più avanzati del primo pilastro, in particolare lo schema IRB per il rischio di credito e I
modelli avanzati di misurazione (“Advanced Measurement Approachs” – AMA) per il rischio
operativo. Le autorità di vigilanza devono assicurarsi che questi requisiti siano rispettati come
criteri di idoneità, ma anche su base continuativa.
I QUATTRO PRINCIPI CHIAVE NEL CONTROLLO PRUDENZIALE
Principio 1 – Le banche dovrebbero disporre di un procedimento per determinare l’adeguatezza
patrimoniale complessiva in rapporto al loro profilo di rischio e di una strategia per il mantenimento
dei livelli patrimoniali.
Principio 2 – Le autorità di vigilanza dovrebbero riesaminare e valutare il procedimento interno di
determinazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche e le connesse strategie, nonchè la loro
capacità di monitorarne e assicurarne la conformità con I requisiti patrimoniali obbligatori. Le
autorità di vigilanza dovrebbero adottare appropriate misure prudenziali qualora non siano
soddisfatte dei risultati di tale processo.
Principio 3 – Le autorità di vigilanza auspicano che le banche operino con una dotazione
patrimoniale superiore ai coefficienti minimi obbligatori, e dovrebbero avere la facoltà di richiedere
alle banche di detenere un patrimonio superiore a quello minimo regolamentare.
Principio 4 – Le autorità di vigilanza dovrebbero cercare di intervenire in una fase precoce per
evitare che il patrimonio di una determinata banca scenda al di sotto dei livelli compatibili con il
suo profilo di rischio e dovrebbero esigere l’adozione di pronte misure correttive se la dotazione di
patrimonio non è mantenuta o non viene ripristinata.
ALTRI ASPETTI DEL CONTROLLO PRUDENZIALE
Dal momento che la scienza bancaria non è una scienza esatta, all’interno del suo processo di
controllo prudenziale, elementi di discrezionalità appaiono proprio inevitabili.
Le autorità di vigilanza devono aver cura di svolgere il loro compito con trasparenza e
responsabilità al massimo grado. In effetti, dovrebbero rendere pubblicamente noti I criteri utilizzati
nelle analisi delle valutazioni patrimoniali effettuate dalle banche al loro interno. Nel caso in cui
un’autorità di vigilanza decida di fissare soglie di intervento o di obiettivo in termini di coefficienti
patrimoniali, ovvero di stabilire categoria a fronte delle quali mantenere un margine prudenziale
aggiuntivo rispetto alla dotazione minima regolamentare, dovrebbero essere pubblicizzati I fattori
che potrebbero essere presi in considerazione nell’operare tali scelte. Laddove una singola
istituzione si veda imporre requisiti patrimoniali superiori a quelli minimi richiesti
, sarà opportuno che le autorità di vigilanza spieghino alla banca le peculiari caratteristiche di
rischio che le hanno indotte ad assumere quel provvedimento, le ragioni per cui quei rischi non sono
adeguatamente colti nelle prescrizioni del primo pilastro, la misua in cui ciascuna delle
caratteristiche di rischio individuate ha concorso all’imposizione del margine aggiuntivo e le
motivazioni alla base di ogni altra misura correttiva eventualmente resasi necessaria.
2.8 – LA DISCIPLINA DI MERCATO
SCOPI
Scopo della disciplina di mercato è quello di integrare i requisiti patrimoniali minimi ed il processo
di controllo prudenziale.
Il Comitato di Basilea incoraggia la disciplina di mercato, mettendo a punto una serie di requisiti
informativi che consentano agli operatori di valutare informazioni fondamentali sull’ambito di
operatività, il patrimonio, le esposizioni a rischio, i processi di valutazione del rischio e, di
conseguenza, l’adeguatezza patrimoniale delle istituzioni.
Nelle opinioni del Comitato, tali requisiti assumono una particolare rilevanza nel Nuovo Accordo, il
quale, dando ampio risalto alle metodologie interne, conferisce alle banche una maggiore
discrezionalità in sede d valutazione dell’adeguatezza patrimoniale.
Oltre alle generali misure di intervento sopra citate, il Nuovo Accordi prevede anche la possibilità
di ricorrere a provvedimenti specifici. Nel caso in cui l’informativa al pubblico rientra nei criteri di
idoneità del primo pilastro, alla cui osservanza è subordinato l’ottenimento di ponderazione di
rischio più basse e/o l’impiego di specifiche metodologie, sono previste sanzioni dirette (nella
fattispecie, divieto di applicare la ponderazione o la metodologia richieste).
La direzione bancaria dovrebbe esercitare la propria discrezionalità per determinare i mezzi e gli
ambiti più appropriati per la diffusione delle informazioni. Qualora queste ultime siano notificate
per esigenze contabili o per soddisfare i criteri di ammissione al listino stabiliti dagli organi di
regolamentazione mobiliare, le banche possono avvalersi di tali informazioni per rispondere alle
attese del terzo pilastro al riguardo. In queste situazioni le banche dovrebbero spiegare le differenze
rilevanti che intercorrono tra l’informativa fornita a fini contabili, o ad altri scopi, e quella prevista a
fini prudenziali, senza peraltro scendere fino al raccordo puntuale delle singole poste oggetto di
segnalazione.
FREQUENZA
Le segnalazioni previste nel terzo pilastro dovrebbero essere rese con cadenza semestrale, fatte
salve le seguenti eccezioni.
a) Le informazioni qualitative che offrono una sintesi generale di politiche, obiettivi, sistemi di
“reporting” e definizioni in materia di gestione del rischio di una banca possono essere
pubblicate con cadenza annuale.
b) Le grandi istituzioni attive a livello internazionale e le altre banche principali (comprese le
loro maggiori filiazioni bancarie), in considerazione dell’accresciuta sensibilità al rischio del
Nuovo Accordo, nonché della diffusa tendenza verso una maggiore frequenza delle
segnalazioni riscontrata sui mercati dei capitali, devono notificare su base trimestrale i
propri coefficienti patrimoniali di base e totali, unitamente ai rispettivi elementi che li
compongono (patrimonio di base, patrimonio complessivo, e patrimonio totale
obbligatorio). Inoltre le banche dovrebbero segnalare in ugual modo su base trimestrale,
allorché le informazioni sulle esposizioni sl rischio o su altre voci sono suscettibili di rapidi
cambiamenti. In ogni caso, le informazioni rilevanti vanno pubblicate non appena si
rendono disponibili (per alcune banche di piccole dimensioni, con stabili profili di rischio,
possono essere accettate segnalazioni annuali. Una banca che pubblica informazioni
unicamente su base annuale deve precisare le ragioni per cui ritiene appropriata tale
cadenza).
INFORMAZIONI ESCLUSIVE E CONFIDENZIALI
Sono esclusive quelle informazioni (ad es. su prodotti o sistemi) che, ove rese note alla concorrenza,
rischiano di diminuire il valore dell’investimento di una bamca in tali prodotti o sistemi, intaccando
in tal modo la sua posizione competitiva. Le informazioni sulle controparti sono spesso
confidenziali, perchè ricevute nell’ambito di un accordo contrattuale o di un rapporto di clientela.
Tutto ciò influisce sia sul contenuto delle informazioni pubblicabili dalle banche riguardo alla loro
base di clienti, sia sui dettagli circa le loro politiche e procedure interne, ad es. in materia di
metodologie impiegate, stime dei parametri, dati, ecc. Il Comitato ritiene che I requisiti diseguito
descritti contemperino in modo appropriato la necessità di pubblicare informazioni significative con
le esigenze di protezione delle informazioni esclusive e confidenziali.
In casi eccezionali, la diffusione di talune voci richieste nel terzo pilastro potrebbe arrecare grave
pregiudizio alla posizione della banca indotta a rendere note informazioni esclusive e confidenziali.
In tale evenienza la banca potrà evitare di notificare queste voci specifiche impegnandosi, tuttavia a
trasmettere quelle di natura più generale attinenti al requisito in oggetto, e precisando, altresì, la
propria decisione ed I motivi per cui non sono state communicate quelle particolari voci specifiche.
Questa limitata esenzione non vuole, peraltro, porsi in conflitto con gli obblighi di trasparenza
previsti dagli standard contabili.
REQUISITI DI TRASPARENZA DELLE INFORMAZIONI
Le banche devono dotarsi di una formale strategia di informazione al pubblico approvata dal
Consiglio di Amministrazione in cui venga esplicitato l’approccio seguito dall’istituto per la
determinazione delle informazioni da pubblicare e dei controlli interni da effettuare lungo l’intero
iter informativo. Le banche, inoltre, devono porre in atto meccanismi per valutare l’adeguatezza
delle loro segnalazioni anche in termini di certificazione e di frequenza.
AMBITO DI APPLICAZIONE
Il terzo pilastro si applica, ai gruppi bancari destinatari dell’Accordo su base consolidata a livello di
vertice (come indicato nella Parte 1 – Ambito di applicazione). La pubblicazione di informazioni
relative alle singole banche interne al gruppo non è in genere soggetta ai requisiti di trasparenza, ad
eccezione della pubblicazione dei coefficienti patrimoniali di base e totali da parte del vertice
dell’entità consolidata, per la quale risulta invece appropriata un’analisi delle singole banche
appartenenti al gruppo. Tale analisi è volta a suffragare la necessità delle banche di conformarsi al
richiamato Accordo sui requisiti patrimoniali e alle altre limitazioni applicabili al trasferimento di
fondi o capitale all’interno del gruppo.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Parte III
Il Rischio operativo o rischio di management
3.1 – DEFINIZIONI
Management
Il management è il processo di pianificazione, organizzazione, direzione e controllo delle risorse
finanziarie, fisiche, umane e d’informazione di un’organizzazione per il raggiungimento dei suoi
obiettivi. Pertanto il management si riferisce all’intero complesso delle operazioni che un’impresa
svolge durante il suo funzionamento. Con il termine “rischio operativo” s’intende proprio il rischio
di management, in altre parole il rischio insito nell’intero complesso della gestione delle operazioni
di un’impresa.
Il rischio di management non è assicurabile nel suo insieme, perché non risponde ai requisiti
sopradescritti (Para. 1.7) per i seguenti motivi:
a) Prevedibilità:
il rischio di management non è prevedibile nel senso che il suo andamento non ricade né sotto
inferenze statistiche, né sotto analisi deterministica. In effetti, il management è un’operazione
complessa in continuo cambiamento in cui solo una buona ed accurata organizzazione può condurre
al successo. Molti dei rischi coinvolti sono assicurabili, ma il management di business in sé non lo
è.
b) Casualità:
il rischio assicurabile è basato sulla casualità, cioè proprio sulla mancanza di influenza della volontà
umana; il management non è affatto casuale, ma è tutto basato sulla razionalità umana.
Ogni management è buono se supportato dalla determinazione e capacità dei suoi managers.
c) Nesso di non-correlazione:
mentre il rischio assicurabile deve essere casuale e deve avvenire in maniera indipendente da ogni
altro danno, il rischio di management non può mai essere casuale (ciò indicherebbe irrazionalità o
negligenza dei managers) ed ha sempre un nesso di correlazione con un qualsivoglia altro danno
aziendale.
d) Verificabilità:
così come il danno derivante da rischio assicurabile deve essere verificabile in quanto a cause di
tempo, luogo, ed ammontare, altrettanto il danno derivante da rischio di management è verificabile,
ma non è assicurabile perché mancate dei presupposti precedenti.
Pianificazione
Il planning indica il processo di management che determina i bisogni di un’organizzazione e il
miglior modo per soddisfarli.
Il processo di planning ha tre componenti essenziali: inizia quando i managers determinano i goals
dell’azienda; continua con la formulazione di un’appropriata strategia per il raggiungimento dei
goals e, una volta che la strategia è definita sono disegnati piani tattici ed operativi per
l’implementazione della strategia. Pertanto il planning si compone dei seguenti piani:
!
!
!
Piani strategiciche riflettono le decisioni circa la distribuzione delle risorse, le priorità della
impresa, nonché i passi da seguire per raggiungere i goals aziendali. Sono formulati dal
Consiglio di amministrazione o dal top management.
Piani tattici che, a più corto raggio, servono per implementare specifici aspetti dell’azienda,
e che coinvolgono una base più vasta di dipendenti.
Piani operativiche, sviluppati da manager di prima linea servono per il raggiungimento di
obiettivi giornalieri, settimanali, o mensili. Mac Donald’s, ad esempio, stabilisce piani
operativi quando spiega ai franchisees come esattamente i Big Macs devono essere cotti,
riscaldati e serviti.
Organizzazione
E’ il processo di management per determinare come impiegare al meglio le risorse e le attività di
un’organizzazione in una struttura coerente.
Direzione
Processo di management per guidare e motivare i dipendenti per il raggiungimento degli obiettivi
aziendali
Controllo
Processo di monitoraggio dei risultati di un’organizzazione per verificare ogni eventuale
scostamento dai risultati attesi.
Il suindicato processo di management è abitualmente eseguito in “aree di management” da dirigenti,
quadri e impiegati. Nella maggior parte delle imprese, queste aree di management vengo distinte in:
marketing, ricerca e sviluppo, ingegnerizzazione e produzione, qualità, amministrazione e finanza,
personale, informatizzazione, vendite e assistenza post-vendita, ecc.
Ovviamente la pianificazione, l’organizzazione, la direzione ed il controllo di ognuna di queste aree
di management comporta l’assunzione di rischi particolari che diventano rischi generali a livello di
direzione generale. In quest’ottica noi affrontiamo l’analisi dei rischi operativi di un’azienda,
cercando di evidenziarne la pericolosità (fino a quella mortale per l’azienda), ed il modo di gestirli
(risk management).
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.2 – IL RISCHIO OPERATIVO (DI MANAGEMENT)
3.2.1 -La SWOT analysis
Strenght (Punti di forza)
Weakness (Punti di debolezza)
Opportunities (Opportunità)
Treads (Pericoli)
Negli Stati Uniti con questa analisi si mettono in evidenza i vantaggi che si godono, e i pericoli che
si corrono, affrontando determinati rischi per ridurre i punti di debolezza aziendali e per utilizzare i
punti di forza in modo da sfruttare al meglio tutte le opportunità che il mercato offre.
Il nostro lavoro di definizione gestione del rischio è essenzialmente imperniato su questa analisi, e
tutto il lavoro di raccolta e collezione di informazioni è finalizzato alla compilazione finale di una
SWOT analisi dell’azienda.
Abbiamo definito il management come “il processo di pianificazione, organizzazione, direzione e
controllo delle risorse finanziarie, fisiche, umane e d’informazione di un’organizzazione per il
raggiungimento dei suoi obiettivi” (Cfr. 3.1), quindi del massimo profitto che, in base alla logica di
business (Cfr. 1.5), non deve mai essere un gioco a somma zero. Questo significa che il profitto
deve esistere sia dalla parte del produttore sia del consumatore, anche se in proporzioni dissimili.
Usando il linguaggio matematico, possiamo descrivere l’insieme di management con la seguente
funzione:
Mgt = f (et, rs, sa, mp, co, cc, cu, cc, cr)
dove
et
= Etica d’impresa (Company Ethics)
- Adottando codici scritti
- Formulando programmi etici
rs
= Responsabilità sociale (Social Responsability)
- Responsabilità verso l’ambiente umano
o Cultura
o Educazione
o Mutualità
- Responsabilità verso l’ambiente naturale
o Inquinamento dell’aria
o Inquinamento dell’acqua
o Inquinamento del suolo
! Rifiuti tossici
! Riciclaggio
- Responsabilità verso i clienti
o Prodotti di qualità
o Prezzi appropriati
-
-
o Diritti dei Consumatori a:
! Prodotti sani
! Informazioni sugli aspetti rilevanti dei prodotti
! Ascolto dei suggerimenti
! Diritto alla scelta
! Etica pubblicitaria
Responsabilità verso i dipendenti
o Motivazione sul luogo di lavoro
! Denaro
! Irresponsabilità naturale
! Responsabilità e automotivazione
! Dei bisogni umani
! Teoria dei due fattori
! Teoria delle aspettative
! Teoria dell’equità
o Strategie di motivazionali e di soddisfazione
! La modificazione comportamentale
! Direzione per obiettivi
! Comportamento partecipativo (Team Management)
! Arricchimento e reingegnerizzazione del lavoro
! Modifica dell’orario di lavoro
! L’ufficio virtuale
! Il telelavoro
Responsabilità verso gli investitori
o Gestione finanziaria sincera
o Evitare di far circolare assegni prima dell’incasso
o Insider trading
sa
= Strategia d’impresa (Strategy Formulation)
- Formulazione degli obiettivi
o Di lungo termine
o Di medio termine
o Di breve termine
- Mission Statement
- Formulazione della strategia
o Formulazione degli obiettivi strategici
o Analisi dell’organizzazione e dell’ambiente
o Convergenza dell’organizzazione con il suo ambiente
o Gerarchia della pianificazione
! Piani strategici
! Piani tattici
! Piani operativi
mp
= Processo di direzione (Management Process)
- Organizzazione
o Specializzazione
o Departimentalizzazione per tipologia di:
! Cliente
! Prodotto
! Processo produttivo
! Geografica
-
-
-
! Funzionale
Organizzazione
di processo
o
o La funzione decisionale
! Responsabilità e autorità
! Autorità di linea
! Autorità di dipartimento
! Autorità dell’esperto
! Squadre di autorità
! Delega ed affidabilità
! Centralizzazione o decentralizzazione
! Ampiezza del controllo
Direzione
o Struttura organizzativa
! Organizzazione funzionale
! Organizzazione divisionale
! Organizzazione matriciale
! Organizzazione internazionale
! Organizzazione informale
! Imprenditoria
Controllo
Leadership
Stili di direzione
o Autocratico
o Democratico
o Consultivo (fre-rein style)
Capacità del Management
o Tecniche
o Di Relazioni umane
o Concettuali
o Decisionali
o Di impiego del proprio tempo
o Di globalizzazione
o Di Cultura d’impresa
cu
= Cultura d’impresa (Corporate Culture)
- Esperienze, storie, credo e norme che caratterizzano l’impresa
co
= Comunicazione (Communication)
- Comunicare la cultura d’impresa
- Dirigere il cambiamento
cc
= Catena di comando (Chain of Command)
- Organigramma
- Relazioni interaziendali
cr
= Rischio Paese (Country Risk) (see The Economist)
- Struttura politica
- Struttura economica
- Dati dell’anno in corso
- La scena politica
- Politica economica
ae
Economia nazionale
Commercio con l’estero e pagamenti
= Assicurazione commercio estero
- Assicurazione pubblica del commercio estero (SACE)
- Operazioni di swap
- Assicurazione privata
- Contratti con garanzie bancarie
Gli elementi dell’insieme di management sopradescritti sono tutti essenziali per il raggiungimento
di un adeguato livello di management. Le aziende che non prevedono alcuni di questi elementi nella
loro gestione devono avere giustificazioni accettabili, senza le quali il loro è un business a rischio
per carenze di direzione.
Cerca sul web:
www.irmi.com/
(Risk management and insurance information resource. ... Your practical and reliable source for
Risk Management and Insurance information. ... )
www.rmahq.org/
(RMA— The Risk Management Association Serving the Financial Services Industry One Liberty
Place 1650 Market Street, Suite 2300 Philadelphia, PA 19103 Phone: 1 ...)
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.3 – IL RISCHIO DI MARKETING
Il responsabile di risk management trova in questa guida una serie di domande alle quali dovrà
rispondere con la massima accuratezza. Per alcuni, probabilmente, i quesiti possono risultare nuovi,
mentre altri possono averli sviluppati solo mentalmente, senza verifica sul campo, o senza una
compilazione scritta. Questa, allora è una buon’occasione per iniziare.
Non è richiesta una risposta per tutte le domande, ma solo per quelle per cui se ne abbia una. Non è
importante se rispondete per la prima volta a questo tipo di domanda: rispondete solo con sincerità e
dando prova (anche solo mentale e non documentale) di quello che si afferma.
3.3.1 - Piano di marketing preliminare
I seguenti punti devono essere esaminati quando si prepara un piano di marketing preliminare.
Devono essere fornite tutte le informazioni pertinenti ed utili al prodotto ed al management.
3.3.1.1 - Ampiezza del mercato e identificazione delle tipologie di clienti
Calcolate nel modo più accurato possibile l’ampiezza del vostro mercato sia in termini geografici
che quantitativi di cifra totale d’affari. Descrivete per singolo prodotto o per classe merceologica la
lista dei prodotti presenti sul vostro mercato, nonché l’elenco dei concorrenti, e la caratteristica di
ognuno di loro. Elencate i vostri clienti attuali o probabili, per nome o per classe di utenza. Indicate
perché il vostro prodotto è vendibile.
3.3.1.2 - Piano per la verifica sul campo
Elencate i dati programmati e le persone presso cui il prodotto sarà testato.
3.3.1.3 - Piano di Merchandising (include almeno le seguenti attività)
Programmi per: - Opuscoli illustrativi (Internet incluso)
- Pubblicità
- Promozione delle vendite
- Imballaggio
- Relazioni con la stampa
- Punto di esposizione del prodotto (Point of purchase display)
3.3.1.4 - Canali di distribuzione
Elencate i vostri canali di distribuzione, e giustificatene il motivo per ognuno di loro.
3.3.1.5 - Strategia di prezzo
Elencate la vostra strategia di prezzo, per ogni prodotto o classe di prodotto, incluso l’affitto, il
leasing, o l’acquisto a rate. La strategia di prezzo include, inoltre, dati quantitativi sugli sconti
quantità, gli abbuoni annuali, ecc.
3.3.1.6 - Previsioni di vendita
Fate un’analisi di previsione di vendita per canale di distribuzione su base mensile, o almeno
trimestrale. Questo aspetto include le stime della concorrenza, le valutazioni prezzo/prestazione, gli
argomenti di vendita, ecc.
3.3.1.7 - Addestramento del personale di vendita
Descrivete il processo di formazione seguito dal vostro personale interno ed esterno.
3.3.1.8 - Garanzia e assistenza post-vendita
Servizio manutenzione, liste e magazzino pezzi di ricambio, manuali di installazione. Gestione del
magazzino.
3.3.2 - Preparazione della specifica commerciale
La specifica commerciale è un documento preparato e controllato dal Marketing, che contiene tante
informazioni sui clienti e sulle loro richieste, nonché tutte le caratteristiche ed i possibili utilizzi del
prodotto in modo da mettere il servizio tecnico in condizione di studiare e preparare una specifica
tecnica.
In altre parole, la specifica commerciale indica come il prodotto deve essere in termini qualitativi e
quantitativi per poter entrare nel mercato.
L’importanza essenziale della specifica commerciale richiede che essa sia continuamente aggiornata
e rivista tutte le volte che si notino cambiamenti sensibile nel rapporto con la clientela.
Ogni cambiamento importante nella specifica commerciale deve comportare una revisione di tutto il
Business Plan.
Una specifica commerciale richiede la preparazione e l’approvazione del Servizio Marketing,
nonché la controfirma del Servizio Tecnico, Produzione e Qualità. L’ultima copia della specifica
commerciale va allegata al Business Plan (se esiste).
La specifica commerciale deve includere almeno i seguenti aspetti:
(Nota. Usate tanti fogli aggiunti quanti sono necessari per documentare questa informazione)
a.
Richieste del mercato
Descrivete perché il vostro cliente tipo chiede il vostro prodotto, e quando questi potrebbe
essere immesso sul mercato.
b.
Uso ed applicazioni del prodotto
Indicate se il prodotto è o deve essere nuovo, oppure il miglioramento di un prodotto già
esistente. Descrivetene brevemente l’uso, i componenti e l’intero sistema.
Descrivete i principali aspetti competitivi del vostro prodotto.
c.
Caratteristiche del prodotto
Rilevate le caratteristiche fisiche, elettriche ed operative in termini di prestazioni,
configurazioni ed aspetto.
3.3.3 - Istruzioni per completare la specifica commerciale
Applicazioni
Definire di quanto il prodotto deve almeno soddisfare le funzioni richieste.
Questa categoria include voci quali:
- Caratteristiche tecniche, quali efficienza, sensitività, raggio di applicazione,
accuratezza, capacità ed affidamento, dati d’ingresso ed uscita.
- Costi operativi
- Affidabilità
- Durata
- Condizioni ambientali
- Tolleranze ammesse
- Consumo
Caratteristiche
Aspetti del prodotto che non sono essenziali per le prestazioni delle funzioni, ma che ne
possono aumentare le possibilità di vendita.
Caratteristiche tipiche possono essere:
- Caratteristiche fisiche quali dimensioni, peso, forma, finitura
- Facilità d’installazione e manutenzione
- Possibilità di funzioni speciali
- Accessori
- Intercambiabilità
- Tipo e dislocazione dei controlli operativi
- Dettagli di montaggio
Aspetto – Disegno
Aspetti del prodotto che fanno appello ai sensi o al buon gusto, quali:
- Styling, forma, struttura, colore, ecc.
- Compatibilità con l’ambiente circostante
- Evidenza di solidità e buona costruzione
Livello qualitativo
- Materiali
- Sicurezza
- Protezione ambientale
Obiettivi o fattori del rapporto costo/prezzo
- Indicate gli obiettivi di costo di produzione e di quantità da produrre
- Indicate la durata prevista del design
- Obiettivo di entrata in produzione
- Elasticità ai dati di volume e di target.
3.3.4 – Il Rischio Commerciale
Mercati commerciali
- Industriale
- Rivenditori
- Istituzionale
Tipo di prodotto
- Tangibile
- Intangibile
Ambiente di mercato
(fattori esterni che influenzano i programmi di marketing, ponendo opportunità o minacce)
- Ambiente politico e giuridico
- Ambiente culturale e sociale
- Ambiente tecnologico
- Ambiente economico
- Ambiente della concorrenza
- Ambiente di reddito spendibile
-
-
-
-
Comportamento dei consumatori
Influenze sul comportamento dei consumatori
Processo d’acquisto dei consumatori
o Ricognizione del bisogno/problema
o Ricerca delle informazioni
o Valutazione delle possibilità alternative
o Decisione d’acquisto
o Valutazioni dopo l’acquisto
Organizzazione del mercato e dei comportamenti d’acquisto
Organizzazione dei mercati
o Mercato industriale
o Mercato dei rivenditori
o Mercato istituzionale
Organizzazione del comportamento degli acquirenti
o Differenziazioni della domanda
! Domanda derivata
! Elasticità della domanda
° Differenze nei consumatori
° Differenze nella relazione venditore/acquirente
Obiettivi di Marketing e segmentazione del mercato
Segmenti di mercato
o Variabili geografiche
o Variabili demografiche
o Variabili psicologiche
o Variabili di uso del prodotto
-
Il Marketing Mix
Caratteristiche del prodotto
Promozione
Luogo di vendita
Prezzo
-
Il Marketing Mix Internazionale
Prodotto internazionale
Prezzo internazionale
Promozione internazionale
Distribuzione internazionale
Il marketing mix del business al minuto
-
Prodotto
Prezzo
Promozione
Distribuzione
Classificazione di prodotto
Prodotti di consumo
o Prodotti di convenienza
o Prodotti di larga distribuzione
-
-
-
-
-
-
-
o Specialità di prodotto
Prodotti industriali
o Prodotti costosi
o Prodotti di investimento
Il mix di prodotto
o Linee di prodotto
Sviluppo di nuovi prodotti e gestione del ciclo di vita
Processo di sviluppo del nuovo prodotto
o Mortalità del prodotto
o Velocità di vendita
o Ciclo di vita del prodotto
o Fasi del ciclo di vita del prodotto
! Introduzione
! Crescita
! Maturità
! Declino
Aggiustamento della strategia di marketing durante il ciclo di vita
Estensione della vita del prodotto come alternativa ad un nuovo prodotto
! Estensione del prodotto
! Adattamento del prodotto
! Reintroduzione
Il marchio
! Nazionale
! In licenza/concessione
! Privato
Imballaggio
! Packaging
! Costo
Strategia di prezzo per il raggiungimento degli obiettivi di business
! Obiettivi di massimizzazione del profitto
! Obiettivi di divisione del mercato Market
! Altri obiettivi della strategia di prezzo
Strumenti Per la definizione del prezzo
! Prezzo basato sul costo
! Analisi del punto di pareggio: relazione costo-volume-profitto
Strategia di prezzo
! Comparato a quello di prodotti esistenti
! Inferiore a quello di mercato
! A o prossimo a quello di mercato
! Prezzo di nuovo prodotto
! Price Skimming (prezzo iniziale elevato per coprire costi di
avviamento più profitto)
! Prezzo per penetrazione di mercato
Tattiche di prezzo
! Price Lining (numero di prezzi limitati per certe categorie di prodotto
! Prezzo psicologico
! Odd-even Pricing (prezzatura al paio)
! Scontato
-
-
-
-
-
-
-
Prezzo internazionale
! Basato sull’andamento del reddito e della spesa
! Dumping
! Sotto costo
Promozione
Obiettivi Promozionali
o Comunicazione d’informazione
o Posizionamento di prodotto
o Valore aggiunto
o Controllo del volume di vendita
Strategie promozionali
o Pull Strategy (contatto diretto col cliente)
o Push Strategy (contatto col rivenditore)
Mix promozionale
o Promozione e processo decisionale del compratore
o Pubblicità, promozioni
! Strategia pubblicitaria
! Mezzi pubblicitari
! Il mix dei media
Promozioni per vendite personali
o Evasione ordini
o Vendita creativa
o Missionary Selling (ad es. Informatori medico-scientifici)
Promozioni di vendita
o Coupons
o Point-of-purchaise-display (POP)
o Premium
o Trade Show
o Pubblicità
o Relazioni pubbliche
Strategie di promozione internazionale
o Emergenza di una prospettiva complessiva
o Messaggi universali e variazioni regionali
Pratiche promozionali nello Small Business
o Small Business Advertising
! Mercati locali
! Mercati Nazionali
! Mercati internazionali
o Il ruolo della vendita personale nello Small Business
Distribuzione
Il mix di distribuzione
o Intermediari e canali di distribuzione
! Ingrosso
! Dettaglio
! Department Stores
! Supermercati
! Ipermercati
! Negozi specializzati
!
!
!
-
-
-
! Bargain Retailers
! Discount Houses
! Off-price Stores
! Catalog Showrooms
! Spaccio aziendale
! Wharehouse Club (or Wholesale Club)
! Convenience Store
Nonstore Retailing
! Mail Marketing
! Mail Order (or Catalog Marketing)
! Video Marketing
! Telemarketing
! Electronic Shopping
! Vendita diretta
Distribuzione diretta
Agenti o brokers
Distribuzione fisica
Operazioni d’immagazzinamento
o Magazzini pubblici
o Magazzini privati
o Magazzini di accumulo
o Centri di distribuzione
Operazioni di trasporto
Modalità di trasporto
o Camions
o Ferrovia
o Aereo
o Nave
o Conduttura
o Modalità dedicate
o Trasporti intermodali
o Containerizzazione
o Information Technology nel trasporto
Programmazione finanziaria
Product/Business Planning
Bilancio preventivo
Discounted Cash Flow
Previsione d’abbandono del prodotto
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.4 – IL RISCHIO DI RICERCA E SVILUPPO E D’INGEGNERIZZAZIONE
Le nuove tecnologie hanno effetto sul marketing in diversi modi: creano nuovi beni (satelliti) e
servizi (acquisti da casa via computer). I nuovi prodotti, naturalmente, rendono obsoleti molti di
quelli in commercio (i compact disks hanno rimpiazzato le videocassette), e molti di loro riescono a
modificare i nostri valori ed il nostro stile di vita. A turno stimolano spesso nuovi beni e servizi non
direttamente collegati alla nuova tecnologia. I telefoni cellulari, ad es., non solo facilitano le
comunicazioni d’affari, ma liberano ulteriore tempo per ricreazione e divertimento. Le nuove
tecnologie di comunicazione hanno invaso interi nuovi sentieri per gli operatori turistici. La facile
accessibilità di Internet, ad es., fornisce un nuovo strumento di compravendita e finanche di
distribuzioni di prodotti da casa vostra a clienti in tutto il mondo.
Con queste premesse riteniamo opportuno che l’azienda verifichi con una certa frequenza la
obsolescenza tecnica e di mercato dei suoi prodotti, cercando di innovarli continuamente o finanche
di rinnovarli o sostituirli completamente con nuovi prodotti, seguendo ovviamente le specifiche
commerciali dettate dal marketing.
3.4.1. - Controllo di un prodotto esistente - Progettazione di un nuovo prodotto
Di seguito riportiamo una serie di domande tecniche alle quali l’azienda deve rispondere per
verificare la correttezza tecnica dei suoi prodotti correnti, o di qualsiasi nuovo prodotto. La lista è
puramente indicativa e l’utilizzatore può aggiungere qualsiasi ulteriore argomentazione ritenga
opportuna.
INFORMAZIONI TECNICHE
3.4.1.1 DISEGNO DEL PRODOTTO
Indicate una delle voci seguenti che riflettono con maggior appropriatezza lo sforzo dell’idea di
prodotto:
- Trasferimento di un (nuovo) esistente prodotto da un altro gruppo aziendale
- Modificazione di un prodotto già esistente in un altro gruppo aziendale
- Modificazione di un prodotto proprio
- Trasferimento di un prodotto non appartenente all’azienda
- Modificazione di un prodotto non appartenente all’azienda
- Nuovo prodotto
3.4.1.2 TECNOLOGIA DEL PRODOTTO
Scegliete una delle voci seguenti che più propriamente riflettono la tecnologia del prodotto
- Tecnologia consolidata e conosciuta nell’unità di ricerca/produzione
- Tecnologia consolidata, ma nuova per l’unità di ricerca/produzione
- Significativa nuova tecnologia
3.4.1.3 DESCRIZIONE DEL PROGRAMMA DI SVILUPPO
Descrivete in breve le principali attività del programma di sviluppo. La descrizione può essere
eseguita per fasi, oppure per tempi di sviluppo
3.4.1.4 STATUS DELLA SPECIFICA TECNICA
Commentate brevemente le seguenti domande:
a) La specifica è completa? Se si, fornite la data di emissione, il numero di specifica ed il
titolo. Se non è ancora completa, indicate la data possibile di completamento.
b) La specifica tecnica soddisfa o supera le richieste della specifica commerciale?
c) Qualora la specifica tecnica non soddisfi le richieste della specifica commerciale, datene
giustificati motivi.
3.4.1.5 NUOVE PROFESSIONALITA’ E FACILITAZIONI RICHIESTE
Considerate le professionalità tecniche e le facilitazioni non presenti in azienda; se possibile,
indicate:
a) Il tipo ed il livello di professionalità richiesta, la tempistica e la fonte. Indicate se e quando
la progettazione esterna è necessaria.
b) Tipo ed estensione delle facilitazioni, costi stimati, tempistica e fonti (acquisto, affitto,
acquisizione da altri, proveniente da altri gruppi aziendali, ecc.). Indicate la classe d’asset, il
costo e la previsione di ammortamento.
c) Indicate eventuali richieste per consulenze speciali, collaborazioni con centri di ricerca,
università, ecc.
3.4.1.6 PROBLEMI E RISCHI TECNICI SIGNIFICATIVI
La seguente checklist (parziale) deve essere adeguatamente commentata, così come altri problemi o
rischi notevoli che possano essere identificati:
- La specifica definisce adeguatamente le caratteristiche critiche?
- Tutte le specifiche di richiesta sono incluse nel presente stato dell’arte?
- In caso contrario, quale altro passo significativo è necessario e qual’è la sua fattibilità?
- Qual è la probabilità di rispondere ai costi richiesti e le facilitazioni disponibili per
assicurare il successo del programma di sviluppo?
- Qual’è il tempo necessario per acquisire ulteriori professionalità, attrezzature o
facilitazioni tecniche, qualora fossero necessarie?
- Quale potenzialità di obsolescenza tecnica a breve termine esiste per il prodotto?
- Ci sono stati in azienda precedenti sviluppi in prodotti correlati che possano essere
applicati al programma di sviluppo in esame?
3.4.1.7 BREVETTI/LICENZE/ROYALTIES
In collaborazione con il responsabile brevetti rispondete con appropriati commenti alle seguenti
domande:
a) Elencate i brevetti aziendali, quelli pendenti, o le proposte di brevetto che possano essere
correlate al prodotto. Discutete brevemente l’estensione della copertura relativa al
prodotto, nonché i possibili superamenti dei brevetti da parte di altri.
b) Esistono brevetti d’aziende concorrenti che potrebbero inficiare il prodotto?
c) In caso positivo, possiamo progettare ugualmente, oppure è necessario fare domanda di
licenza? A quali condizioni e costi una licenza è ottenibile?
d) Il nostro concetto è brevettabile, o può produrre ulteriori idee brevettabili? Se non lo è,
quale protezione abbiamo verso la concorrenza che utilizzi i risultati di ricerca della
nostra azienda? Se non esiste protezione, di quanto tempo ha bisogno la concorrenza per
utilizzare i nostri risultati, e con quali potenziali risultati?
e) Esistono eventuali riserve per adeguarsi a rischi straordinari di brevetto?
3.4.1.8 PIANIFICAZIONE DELLE INFORMAZIONI
ATTIVITA’ E SCADENZE TECNICHE
Elencate le principali attività e scadenze tecniche maggiormente rappresentative del programma
tecnico di questo prodotto e le loro rispettive date di inizio e fine, come necessario. Si ricorda che
un’attività ha sia una data d’inizio, sia una di fine,mentre una scadenza ha solo una data di fine.
Esse devono essere le attività e scadenze chiave prese dalla programmazione PERT di questo
prodotto.
La lista seguente fornisce alcuni esempi di attività e scadenze chiave. Le voci elencate devono
essere rappresentative dell’intero programma tecnico del prodotto. (Nota: i punti 1, 4, 5, e 10
devono assolutamente avere una risposta).
1. Data d’inizio dello sviluppo del prodotto
2. Completamento della valutazione di fattibilità
3. Completamento delle specifiche di progettazione ed ingegnerizzazione
4. Completamento e verifica finale del prototipo
5. Revisione finale completa del progetto
6. Emissione delle specifiche di produzione e test finale
7. Supporto alla produzione pilota
8. Tests finali
9. Qualifiche di test completate
10.Specifica completa d’ingegnerizzazione consegnata alla produzione.
Allegate, inoltre, lo schedule (oppure il programma PERT o il GANTT) che rappresenti il
programma completo e che mostri la data d’inizio, la durata e le date di completamento delle
attività principali.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.5 – IL RISCHIO DI GESTIONE DELLA QUALITÀ TOTALE
3.5.1 - Il Total Quality Management (TQM) include tutte quelle attività necessarie per avere sul
mercato beni e servizi di alta qualità.
Il TQM deve prendere in considerazione tutte le parti aziendali, inclusi i clienti, i fornitori, e i
dipendenti. Jah Kay, Direttore della School of Management dell’Università di Oxford afferma:
“Non potete guidare un’impresa con successo se non vi prendete cura dei clienti e dei dipendenti, o
se sistematicamente siete scorbutico con i fornitori”.
Il TQM coinvolge la programmazione, l’organizzazione, la direzione, ed il controllo.
Programmare la qualità.
La programmazione della qualità comincia ancor prima che inizi la progettazione o la
riprogettazione del prodotto. Per assicurarsi che i bisogni dei clienti non siano trascurati, l’azienda
può invitarli a partecipare al processo di pianificazione. Nella fase di pre-progettazione i managers
devono definire gli obiettivi che vogliono raggiungere sia per quanto concerne le prestazioni che
l’affidabilità della qualità, dove i “risultati” di qualità si riferiscono alle prestazioni del prodotto.
I risultati di qualità sono correlati alla “affidabilità di qualità” del prodotto, vale a dire alla
“consistenza” di qualità di ogni singola unità di prodotto.
Nel settore automobilistico, ad es, tutte le singole vetture devono possedere la stessa qualità, ed in
caso contrario (Mercedes classe A) vengono sostituite e finanche ritirate dal mercato. Nel settore
del vino è impossibile assicurare la stessa qualità a tutte le bottiglie (i francesi, in effetti, invitano a
vendere per singola bottiglia), e questo il consumatore esperto lo sa.
Organizzare la qualità
Probabilmente il concetto principale relativo alla qualità è il credere fermamente che questa richiede
lo sforzo di tutte le parti di un’azienda. Avere un reparto qualità separato non è più sufficiente.
Tutti, dal Direttore Generale fino all’ultimo dei dipendenti e dei collaboratori esterni devono
lavorare con il concetto di assicurare la qualità. Lo scrivente ha verificato di persona come in Texas
Instruments ognuno fosse autorizzato e responsabilizzato a prendere iniziative per soddisfare i
bisogni dei clienti.
Benché tutti debbano prendere parte in azienda per produrre qualità, le responsabilità per aspetti
specifici di TQM sono spesso affidate ad un singolo ufficio formato di esperti in qualità. Queste
persone sono spesso chiamate proprio per contribuire a risolvere problemi di qualità d’altri settori o
dipartimenti, che tengono aggiornati su nuovi metodi e tecniche di qualità, monitorando, al
contesto, tutte le attività per segnalare eventuali spazi di miglioramento.
Dirigere la qualità.
Dirigere la qualità significa che i managers devono motivare i dipendenti al raggiungimento degli
obiettivi di qualità. Costoro, inoltre, devono aiutare i dipendenti a verificare come la qualità
condiziona l’azienda ed il loro stesso lavoro. E’ ormai un classico della gestione della qualità quanto
John F. Welch fece per promuovere la qualità totale in General Electric con grandi displays
luminosi in azienda dove promuoveva i concetti di qualità totale. Così come Welch, i managers
devono promuovere continuamente ed alimentare l’orientamento alla qualità con formazione ai
dipendenti, incoraggiandone il coinvolgimento aziendale, e dando ricompense per il lavoro di
qualità. Idealmente, se l’azienda ha successo, i dipendenti accettano il principio della quality
ownership, l’idea che la qualità appartiene ad ogni persona che la crea col suo lavoro.
Controllare la qualità.
Con il monitoraggio di ogni prodotto l’azienda può identificare gli errori e correggerli. Prima, però,
i managers devono definire i criteri e le misurazioni di qualità. Ad esempio, un controllo di qualità
del servizio di cassa in una banca può prevedere che specifici supervisori controllino periodicamente il lavoro dei cassieri, valutandolo con un’opportuna lista di specifiche tecniche. I risultati devono essere rivisti con i cassieri stessi sia per confermare il loro buon risultato, sia per apportare
tutte le migliorie del caso.
3.5.2 Gli strumenti per la gestione della qualità
Molte aziende fanno affidamento su strumenti verificati di gestione della qualità.
Spesso le idee per migliorare sia il prodotto che il processo produttivo di qualità vengono proprio
dall’analisi di prodotti concorrenti. Ad es. FIAT potrebbe analizzare un pari modello Peugeot (o
qualunque altro) e, con i risultati ottenuti, aiutare i suoi managers a decidere quali particolari del
prodotto FIAT siano soddisfacenti, quali debbano essere migliorati, e quali processi produttivi
debbano essere modificati. In questo paragrafo indaghiamo proprio su tre dei più usati strumenti per
la gestione della qualità:
a) il controllo con procedimenti statistici
b) l’analisi costo/qualità
c) i metodi per stare il più vicino possibile al cliente.
3.5.3 Il controllo con procedimenti statistici.
E’ chiaro che ogni azienda vorrebbe un processo uniforme di qualità, ma questo non è possibile nei
fatti. Ogni impresa ha delle unità che producono meno bene di altre, quindi possono controllare
meglio il raggiungimento della qualità interpretando gli scostamenti che ogni unità ha dagli
standards.
Il controllo con processi statistici (SPC) si riferisce ai metodi per cui i dipendenti raccolgono
informazioni ed analizzano le variazioni per determinare quali e quanti aggiustamenti sono richiesti.
Circa il 40% delle industrie cartarie del nordamerica usano questo metodo, con grande risparmio di
scarti e aumento della produttività durante la produzione.
3.5.4 Le schede di controllo (Control Charts).
Uno dei metodi più comuni di SPC è quello basato sulle control charts. Sapere che un determinato
processo possa generare qualità standard non sufficiente. I managers devono anche monitorare il
processo produttivo per prevenire che si discosti dalle specifiche di produzione dettate.
Per identificare ogni eventuale scostamento, i dipendenti possono controllare la produzione
periodicamente e riportare i dati su una control chart. Tre o quattro volte al giorno, ad es.,
l’operatore alla pesatura di un pastificio può pesare alcune scatole di pasta per verificarne il peso
medio, riportandone i risultati su una control chart semplificata del seguente tipo:
Scheda di controllo del processo
*
550
Peso
delle
500
scatole
(grammi) 450
8,00
9,00
10,00 11,00
12,00 13,00
Limite superiore
*
*
*
*
*
*
Peso medio
*
*
!
14,00
!
15,00
!
!
Limite inferiore
!
!
!
!
16,00
orario
!
!
La figura sopraindicata mostra la scheda di controllo per la macchina impacchettatrice A del
pastificio XY. Come si può notare, la scheda indica che fino alle 13,00 la macchina ha funzionato
piuttosto bene, perché i pesi rilevati sono molti vicini al peso medio. Dopo di tale ora il processo
non è più attendibile, per cui la macchina doveva essere arrestata almeno alle 14,00 per una verifica.
La fase di controllo si può considerare terminata quando il problema è risolto ed il processo è stato
riportato alla normalità.
3.5.5 L’analisi qualità/costo
I controlli basati su processi statistici aiutano a mantenere le operazioni dentro le possibilità di
controllo. Tuttavia, in un ambiente competitivo come quello corrente, le imprese devono
continuamente migliorare la loro qualità, ed ogni miglioramento di prodotto o di processo significa
costi addizionali, sia per la necessità di nuove attrezzature, addestramento del personale, o altre
innovazioni. Pertanto i managers devono scegliere le innovazioni che offrono i maggiori vantaggi
con i costi minori. L’analisi qualità/costo è utile perché non solo permette di identificare i costi
correnti dell’impresa, ma perché possono rilevare anche aree in cui è ancora possibile ottenere una
riduzione di costi. I costi per la qualità sono spesso associati col trovare, riparare, o prevenire
prodotti difettosi, e questi costi dovrebbero essere analizzati nell’analisi qualità/costo.
Nelle industrie elettroniche il controllo del materiale in ingresso (Incoming Quality) è estremamente
importante, perché un componente elettronico difettoso genera un prodotto finito difettoso (che
costa molto più del componente stesso). Inoltre, prima di essere immessi sul mercato i prodotti
devono sostenere un controllo finale (Outgoing Quality) per verificare i possibili difetti interni. Se
questo aspetto non viene preso in considerazione ed il prodotto raggiunge il cliente con difetti,
questi difetti vengono scoperti fuori della fabbrica, ed i costi per mettervi riparo (rimborso al
cliente, sostituzione, perdita d’immagine, ecc) sono molto maggiori di quelli che si sarebbero
sostenuti in fabbrica con un semplice outgoing test.
3.5.6 Stare più vicino al cliente
Come qualcuno ha correttamente definito “I clienti rappresentano il più sicuro asset dell’impresa”.
Questi non sono riportati in bilancio, ma ci dovrebbero essere. Il tema essenziale di questo
paragrafo è che troppo spesso le aziende perdono di vista il cliente quale forza guida d’ogni attività
economica. Troppo spesso le imprese spendono risorse per progettare prodotti che i clienti non
gradiscono; ignorano le reazioni verso prodotti correnti, o non si adeguano ai mutati gusti dei
consumatori. Al contrario, le imprese di successo sanno bene cosa vogliono i loro clienti ed i
prodotti che amano consumare.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.6 – IL RISCHIO DI GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
La gestione delle risorse umane è lo sviluppo e l’amministrazione di programmi per promuovere la
qualità ed i risultati delle persone che lavorano in un’organizzazione. I managers delle risorse
umane, chiamati anche “direttori del personale” sono impiegati soprattutto dalle grandi imprese, ma
lo stesso lavoro deve essere svolto dal direttore generale nelle piccole e medie imprese, e dal titolare
nelle ditte individuali.
Il responsabile di questo servizio assume, addestra e sviluppa i dipendenti; fornisce valutazioni e
programmi di ricompense. Nella realtà, in ogni modo, tutti i managers hanno a che fare con le
risorse umane: i responsabili della contabilità, del marketing, della finanza, ad es., contribuiscono a
selezionare e formare il loro personale, e a valutare i loro risultati. Sotto quest’aspetto sono due gli
elementi che i managers devono tenere presente:
! Job relatedness – La relazione con la funzione di lavoro
! Person-job matching – La persona giusta al posto giusto
Job relatedness.
E’ il fondamento della gestione delle risorse umane. Questo principio richiede che tutte le decisioni
di assunzione siano basate sulle necessità della posizione. I criteri usati nelle assunzioni, valutazioni
e ricompense del personale devono essere strettamente collegate alla posizione che deve essere
ricoperta. Ad esempio, una politica aziendale in cui tutti i capiufficio debbano essere donne o
uomini violerebbe la job relatedness perché il genere è irrilevante nella gestione di un ufficio.
Al contrario, assumere solo ragazze giovani e carine come modelle per vestiti per teen-agers è
pratica corretta ed in armonia con una buona gestione delle risorse umane.
Strettamente correlato al principio di job-related vi è quello del Person-job matching (la persona
giusta al posto giusto). I buoni managers delle risorse umane fanno combaciare le capacità, gli
interessi ed i temperamenti personali con le specifiche richieste d’ogni posto di lavoro. Quando i
dipendenti ed i posti di lavoro sono ben combinati, i benefici aziendali si sentono e come: elevate
prestazioni, soddisfazione del personale, basso assenteismo, elevato rendimento.
3.6.1 La Pianificazione delle risorse umane.
Così come la pianificazione dei macchinari, anche la pianificazione d’ulteriori risorse umane è
cruciale per un’impresa. Le basi per la pianificazione delle future risorse umane è data dalla Job
Analysis.
Job Analysis
Indica l’apprezzamento dei compiti e delle qualità richieste in un posto di lavoro.
Nell’analisi di lavori semplici e ripetitivi, i managers possono chiedere ai dipendenti di compilare
un semplice elenco dei loro compiti e l’importanza di ognuno di loro, mentre nell’analisi di lavori
più complessi essi devono dialogare con i singoli dipendenti per individuare i compiti esatti svolti, e
chiedere loro di memorizzare il più possibile la natura del loro lavoro. Dalla job analysis si sviluppa
la Job Description.
Job Description
Indica gli obiettivi, i compiti e le responsabilità di un posto di lavoro. La job description indica,
inoltre le condizioni alle quali il lavoro viene svolto, il modo in cui questo si relaziona con altre
posizioni, e le capacità richieste per ricoprire quel posto.
Job analysis e description insieme forniscono utili strumenti per ricoprire specifiche posizioni, che
si comportano come guide operative, sia per definire programmi di training, sia per definire
appropriati livelli di remunerazione. In definitiva queste permettono ai managers di prendere
decisioni basate sulle caratteristiche di ogni singolo posto di lavoro. I due programmi, combinati
insieme, di solito confluiscono in un terzo programma definito Job Specifications.
Per ricoprire una nuova posizione si può ricorrere a nuove assunzioni (external staffing), oppure
allo sviluppo di personale interno (internal staffing).
External Staffing
Una nuova assunzione può essere, in molti casi, più interessante, anche se più costosa, in quanto
permette di entrare in contatto con gente che potrebbe portare nuove idee o esperienze, ed è
essenziale quando non vi siano candidati interni per la posizione da coprire.
Una nuova assunzione richiede due passaggi distinti: il reclutamento e la selezione.
Nel reclutamento l’azienda deve mettere assieme un numero di persone interessate al posto. Per far
questo molte volte ci si rivolge a scuole, università, collocatori, sindacati, ecc. Una volta che il pool
è stato reclutato, inizia la selezione. La selezione serve per scegliere i candidati migliori per il tipo
di lavoro. In aggiunta ai diversi criteri di selezione che ogni impresa può utilizzare, vorremmo
mettere in risalto come alcune aziende (Procter & Gamble, Merck, Southwest Airlines) facciano
ricorso anche all’aiuto di loro dipendenti per incontrare ed intervistare i nuovi candidati e per
determinare quanto questi siano appropriati per l’azienda e per il lavoro con loro futuri colleghi.
Internal Staffing.
Sia che un’azienda abbia assunto nuovo personale, sia che intenda sviluppare personale interno,
deve far acclimatare i nuovi arrivati col nuovo posto di lavoro, provvedendo la giusta formazione.
Training.
Nell’addestrare il personale si può procedere in maniere differenti, secondo le necessità. Sono
concepiti essenzialmente tre tipi principali di addestramento:
On-the-job: è un tipo d’addestramento che si svolge sul luogo di lavoro. Molto spesso è informale
(quando un dipendente mostra ad un altro come fare un lavoro), oppure è formale quando un
istruttore spiega ad un dipendente il lavoro da svolgere.
Off-the-job: avviene in posti esterni a quelli di lavoro. Questo tipo di addestramento permette di
controllare l’ambiente in cui si interviene e di concentrarsi sullo studio senza interruzione.
Vestibule training: è quello che chiamiamo addestramento al simulatore. Tutte le line aeree, ad
esempio, usano questo tipo d’addestramento per i loro piloti, prima di farli provare su un aereo
vero.
3.6.2 La valutazione delle prestazioni di lavoro.
In molte imprese piccole o individuali, una valutazione della prestazione di lavoro si ha quando il
titolare dice ad un suo dipendente: “Stai facendo un buon lavoro”. In aziende più grandi le
valutazioni delle prestazioni di lavoro devono mostrare con più precisione quanto il dipendente stia
lavorando bene.
Il processo di valutazione comincia quando un manager definisce gli standards di prestazione per
ogni posto di lavoro. Pertanto, se gli standards sono chiari, il manager non dovrebbe avere difficoltà
nel verificare se un determinato dipendente le stia rispettando o meno. Per alcuni lavori, una scheda
di valutazione generale come quella riportata nella tabella che segue può essere utile. Per una
valutazione più accurata sulla puntualità, sulla capacità d’iniziativa, o sulla pulizia ovviamente
occorre costruire una scheda diversa. In ogni modo, le comparazioni riportate su tali schede
formano la base per la valutazione scritta e per ogni eventuale decisione di promozione,
ricompensa, o licenziamento.
Beslito s.p.a. – Impresa di Costruzioni
Scheda di Valutazione
Dipendente: ________________________
Supervisore: _____________________
Iniziativa
1
2
3
4
5
_______________________________________________________________
Non fa niente
se non
comandato
Gestisce cose
semplici
da solo
Gestisce tutte
le mansioni
senza aiuto
Puntualità
1
2
3
4
5
_______________________________________________________________
E’ quasi sempre
in ritardo
Qualche volta
è in ritardo
Non è mai
in ritardo
Pulizia
1
2
3
4
5
_______________________________________________________________
Il posto di lavoro
è sempre
sporco
Il posto di lavoro
generalmente è
pulito ed inordine
Gestisce tutte
le mansioni
senza aiuto
Nota: si prega di compilare l’aggiunto modulo di valutazione a pagina 2
3.6.3 Sistema di compensazione
Il sistema di compensazione indica il pacchetto totale offerto da un’azienda ad un dipendente come
ricompensa per il suo lavoro.
La maggior parte dei lavoratori aspetta determinati benefici dall’azienda, ed uno dei principali
elementi per trattenere dipendenti validi è proprio il “sistema di compensazioni” dove, oltre che allo
stipendio, sono inclusi anche incentivi e benefici.
Programmi di incentivazione.
Un programma di incentivazione è un programma disegnato per motivare elevate prestazioni, che
possono essere su base individuale o aziendale.
Gli incentivi individuali possono essere costituiti in bonuses, che sono pagamenti speciali oltre il
salario che il dipendente ottiene ad es. per il raggiungimento di un obiettivo di vendita, di
produzione, ecc., mentre i merit salary systems sono riferiti a prestazioni non collegate alla vendita
(i giocatori di basket, negli Stati Uniti, ricevono un salary merit se sono nominati “Most Valuable
Player”). I dirigenti ricevono, abitualmente, un pacchetto di azioni come incentivo, oppure l’uso
della macchina aziendale, vacanze per la famiglia, ecc.
Una nuova forma di incentivo negli USA è costituita dal pay for performance, o variable pay.
Il numero dei variable pay negli USA è cresciuto considerevolmente nell’ultimo decennio, e molti
esperti predicono che continuerà a crescere in popolarità. Questa forma di retribuzione, tuttavia,
deve essere considerata più come un costo fisso, che come un costo variabile. In effetti, questo
pagamento è aggiunto allo stipendio base ed aumentano la base contributiva per i versamenti delle
pensioni.
Gli incentivi aziendali.
Alcuni programmi di incentivi si applicano a tutti i dipendenti. Con il profit sharing plan, negli
USA ad es., i profitti maturati sopra un predeterminato livello sono distribuiti ai dipendenti. Inoltre,
i gain-sharing plans distribuiscono bonuses ai dipendenti quando I costi aziendali sono ridotti per
mezzo di una maggiore efficienza del lavoro. Infine, i pay-for-knowledge plans incoraggiano I
dipendenti ad apprendere nuove tecniche ed ad essere esperti in differenti posti di lavoro: ricevono
incentivi per ogni ulteriore lavoro che riescono a coprire.
I benefit programs.
In generale il termine benefit indica una qualsiasi forma di compenso in aggiunta allo stipendio
base. Assicurazioni sulla vita, programmi pensione, mensa aziendale, servizio sanitario, ecc.
Giacché l’utilizzo dei benefits è molto cresciuto negli USA, le aziende cercano di contenere questi
nuovi costi in maniera anche abbastanza innovativa. Ad es., a causa dell’enorme incremento dei
costi sanitari, molte aziende hanno creato un loro circuito di medici. Costoro convengono con le
aziende di contenere le loro pretese perché sanno di poter contare su un certo numero di pazienti, ed
in maniera continua, quindi di avere un lavoro costante e garantito.
Pari opportunità
Con questi termini si intende un obbligo di legge (ed anche di pratico vantaggio) nel non
discriminare il lavoro in base alla razza, al credo, al sesso, o all’origine.
Per molto tempo questa discriminazione, basata più su presupposti che su validità pratica, gli
uomini di razza bianca europea hanno avuto privilegi sul posto di lavoro. E’ stato necessario che gli
Stati emanassero normative nazionali stringenti per ridurre questo pregiudizio, prima che il business
capisse spontaneamente i vantaggi che una tale innovazione potesse apportare.
Molestie sessuali.
La molestia sessuale è una forma di comportamento da parte del datore di lavoro, o del
management, che ricade sotto la categoria della discriminazione sul posto di lavoro. Questa forma
di discriminazione pone a rischio l’impresa in quanto genera certamente mancanza di fiducia,
demotivazione e, quindi, inefficienza e mancato raggiungimento degli obiettivi.
Affirmative Action.
Sia negli USA sia in molti Stati europei vigono leggi che obbligano le imprese che ricevono
commesse di lavoro da parte del Governo ad assumere dipendenti qualificati o qualificabili
provenienti gruppi di lavoratori sottorappresentati per sesso, razza, e provenienza etnica.
Parità salariale.
Dal punto di vista giuridico non esistono più dubbi sulla parità salariale, anche se nella pratica
questo ancora avviene abbondantemente.
Nella tabella sottostante riportiamo le differenze salariali che ancora esistono negli USA tra lavoro
maschile e femminile.
OCCUPAZIONE PER SESSO E SALARIO (stipendio medio settimanale tempo pieno)
OCCUPAZIONE
Uomini
Donne
Amministrazione e controllo
$868
$605
Amministratori e funzionari della pubblica amministrazione
876
653
Responsabili finanziari
991
660
Dirigenti marketing, pubblicità e relazioni pubbliche
1.059
736
Contabili e auditors
791
590
Specializzazioni professionali
883
662
Ingegneri
994
837
Matematici ed esperti di computers
994
837
Fisici
1.220
946
Nurse professioniste
778
705
Farmacisti
1.129
907
Lavoratori del sociale e del tempo libero
558
502
Avvocati
1.267
959
Disegnatori
792
514
Autori e fotografi
769
606
Specialisti della salute
553
466
Programmatori di computers
869
742
Occupati nella vendita
603
352
Agenti immobiliari
685
523
Agenti finanziari
858
550
Venditori al minuto e di servizi alla persona
392
266
Supporto all’amministrazione, compreso gli operatori ai computers
514
403
Impiegati amministrativi
526
422
Spedizionieri e di servizio postale
446
418
Assicurativi
691
610
Polizia e detective
655
473
Camerieri
628
547
Cuochi
328
268
Pulizie
300
245
Meccanici e riparatori
330
275
Vendite immobiliari
570
475
Metalmeccanica di precisione
538
445
Operatori di macchine, assemblatori e ispettori
597
399
Autisti di camion
449
313
Lavoratori agricoli
276
247
Fonte: R.J. Erbert, R.W. Griffin, Business Essentials, 3d Ed., Prentice Hall, Upper Saddle River, New Jersey
07458, Pag. 219.
Sicurezza sul posto di lavoro
Ormai anche quest’aspetto è ampiamente garantito dalla legge nella maggior parte dei paesi
industrializzati. Con la globalizzazione dei mercati, il problema si ripresenta con i paesi in crisi
economica o in via di sviluppo, dopo una lacunosa legislazione (se non la completa assenza) rende
la competizione pressoché nulla proprio per la mancanza di costi in questo settore.
Come dirigere la diversità della forza lavoro
Un insieme estremamente importante nella gestione delle risorse umane è la sfida della diversità
della forza lavoro, ovvero delle diverse attitudini, valori, credenze e comportamenti dei lavoratori
che differiscono per razza,sesso, e provenienza etnica. Inoltre, molto spesso la forza lavoro è
caratterizzata da lavoratori di età e capacità diversa. Nel passato le imprese preferivano
omogeneizzare la loro forza lavoro, in modo che tutti pensassero e si comportassero alla stessa
maniera.
60
50
40
White males
White females
30
Blacks
Hispanics
20
Asian & Others
10
0
198019932005
Fonte: R.J. Erbert, R.W. Griffin, Business Essentials, 3d Ed., Prentice Hall, Upper Saddle River, New Jersey 07458,
Pag. 220.
Oggi le imprese riconoscono che non solo devono trattare tutti con maggiore equità, ma che devono
valorizzare le individualità di ogni dipendente, e che la diversità può essere un vantaggio per
sviluppare una migliore forza lavoro. Quest’aspetto può apportare una maggiore quantità
d’informazioni per il marketing dei prodotti ad un più vasto raggio di consumatori.
Il training alla diversità
Un altro aspetto importante per le aziende è come usare il training per le diverse forze lavoro.
Benché non vi sia università di consenso su come condurre tali programmi, si possono certamente
evidenziare alcune ripercussioni su questo approccio. Du Pont, ad es., offre un corso per managers
su come ricercare ed usare più inputs sulle diversità, prima di prendere decisioni di marketing.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.7 – IL RISCHIO DI GESTIONE DEL SISTEMA INFORMATIVO
3.7.1 - Dati contro informazioni
In dipendenti sono troppo spesso bombardati da fatti e tabelle. Le comunicazioni moderne
permettono di ricevere al minuto informazioni da località, filiali ed uffici vendite finanche sperduti.
Per trovare le informazioni giuste che servono per prendere decisioni, i managers devono spesso
sottostare a valanghe virtuali di rapporti, memos, giornali e telefonate. Ma com’è possibile avere
l’informazione giusta per la persona giusta?
Molte aziende custodiscono le loro informazioni come una risorsa privata, un asset che pianificano,
sviluppano e proteggono. Non è sorprendente, quindi, che le aziende abbiano un responsabile
dell’informazione, così come hanno responsabili per la produzione, il marketing, ecc.
La gestione delle informazioni è un’operazione interna che determina i risultati di business.
Benché i dipendenti si lamentino spesso di avere troppe informazioni, quello che realmente hanno è
solo una gran mole di dati. I dati sono fatti e tabelle; l’informazione è un’utile interpretazione dei
dati. Se, ad esempio, raccogliessimo tutti i dati (giuridici e tecnici) sulla protezione dell’ambiente,
certamente potremmo costruire prodotti ai quali nessuno pensa proprio per mancanza di
informazioni utili.
3.7.2 - Management Information System
Una risposta a questa sfida è stata la creazione del “management information system” (MIS), un
sistema per trasmettere e trasformare dati in utili informazioni che possano essere utilizzate per
prendere decisioni. Il sistema deve dapprima capire quale tipo di informazioni è richiesto; poi deve
raccogliere i dati e convertirli nelle informazioni desiderate, e controllare che il flusso di
informazioni arrivi solo alle persone che ne hanno bisogno. Le informazioni fornite a impiegati e
dirigenti variano in conformità a fattori funzionali quali l’area aziendale d’appartenenza
(contabilità, marketing, ecc.), ed i livelli di management che occupano. La qualità delle
informazioni a tutti i livelli dipende sulle risorse tecniche dell’azienda e sulle persone che le
gestiscono. In questo paragrafo discutiamo l’evoluzione della tecnologia che elabora le
informazioni e che si pone il problema della richiesta di informazioni nelle organizzazioni odierne.
3.7.3 – Il matrimonio tra informazione e tecnologia della comunicazione
Nonostante la tecnica dei computers sia in continua evoluzione, alcuni elementi fondamentali sono
stati ben definiti:
o Intelligenza artificiale
o Sistemi esperti
o Sistemi d’informazioni operative
o Reti di comunicazione dati
o Sistemi di comunicazione multimediale.
Il veicolo più potente per utilizzare questi elementi nella loro piena capacità è il matrimonio tra
computers e tecnologie della comunicazione. Grazie a costi decrescenti, a reti a maggiore capacità,
l’unione tra computers, comunicazione e strumenti di massa è già nelle sue prime fasi. Questo
matrimonio promette di cambiare il futuro del business, e della società stessa. “I personal
computers” ha detto Bill Gates, “sono un qualcosa di molto diverso da quello che era
precedentemente il computing. I progressi nella comunicazione creeranno nuovi modi di usare la
comunicazione per l’apprendimento, l’educazione, ed il commercio, che vanno molto oltre ogni
cosa fatta fino ad oggi”.
Intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale (AI) può essere definita come la costruzione e la programmazione di
computers per imitare la mente umana. Nello sviluppo dei componenti e dei programmi per AI, gli
scienziati stanno cercando di progettare computer capaci di ragionare, cosicché i computer, invece
degli umani, potranno fare cose utili.
La Robotica è una delle categorie di AI. Con la loro capacità di ragionare i robots possono
apprendere procedimenti ripetitivi come dipingere, mettere insieme parti, ed avvitare viti. Inoltre,
essi possono evitare errori di ripetizione col “ricordare” le cause di errori precedenti.
Gli scienziati, inoltre, stanno progettando sistemi di AI che posseggono sensori (la vista con sistemi
laser, così come l’udito e l’odorato). Inoltre, poiché le macchine diventano sempre più affidabili
nell’analisi dei linguaggi naturali, gli umani potranno dare comandi vocali ai computers.
Sistemi esperti.
In una forma particolare di programmi d’intelligenza artificiale, i sistemi esperti cercano di imitare
il comportamento di umani in settori specializzati. Un sistema esperto applica le regole che un
esperto applicherebbe ad uno specifico tipo di problema. In effetti, questi aiutano gli utilizzatori di
tutti i giorni con “esperienze immediate”.
Socrate Quick Quote di General Electric, ad es., mette un pacchetto di conoscenze tecniche sulle
transazioni immobiliari nelle mani di agenti immobiliari sulla rete privata di GE. Un sistema
chiamato Magic incorpora ben 6.000 regolamenti governativi per servizi sociali e relative agenzie.
Il MOCA (Maintanance Operations Center Advisor) programma la manutenzione ordinaria per
l’intera flotta dell’American Airline.
Sistemi di informazioni operative.
La tecnologia dei computers ha un sempre maggior impatto sulla produzione e sulla fabbricazione
attraverso l’uso di sistemi di informazioni operative, che includono il computer-aided design
(CAD), il computer-aided manufacturing (CAM) e computer di controllo operativo. Il CAD assiste
nella progettazione di prodotti simulando il prodotto reale riproducendolo in modo tridimensionale.
MicroScribe-3D d’Immersion (http://www.immerse.com) utilizza uno strumento a forma di penna
per rilevare la superficie di un qualsiasi oggetto tridimensionale e lo trasforma in un disegno
tridimensionale. Prodotti, che vanno dai telefoni cellulari ai componenti automobilistici, sono
disegnati attraverso il CAD, che genera disegni più velocemente ed a costo più basso di quanto
possa fare la mano umana.
Il CAM è uno strumento molto simile, ma è usato per progettare macchine e sistemi di produzione,
nonché piante di stabilimenti per facilitare i flussi produttivi e la redditività.
I computer di controllo operativo si riferiscono a qualsiasi sistema per la gestione quotidiana di
attività produttive di beni o servizi. Gli ospedali usano computers per programmare i pasti dei
pazienti, proprio come un produttore fa per costruire automobili, orologi, o prodotti di carta.
Reti di comunicazione dati.
Incrementando sempre più la sua popolarità sia a casa sia sul lavoro, i computers sono reti
pubbliche e private di comunicazione dati, vale a dire reti globali che trasportano flussi di dati
digitali avanti ed indietro in modo economico e veloce su sistemi di telecomunicazione.
Le due reti prominenti di comunicazione dati, il Web e l’Internet sono emersi come tecnologie
veramente potenti di comunicazione.
L’Internet è una rete globale di comunicazione dati che permette agli utilizzatori di mandare
messaggi elettronici ed informazioni in maniera molto economica e veloce.
Il World Wide Web è un sottosistema di computers che fornisce accesso all’Internet e offrono
capacità di collegamenti multimediali.
Sistemi di comunicazione multimediale.
Oggigiorno i sistemi d’informazione comprendono non solo i computers, ma anche sistemi di
comunicazione multimediali. Questi sistemi sono strumenti di comunicazione connessi tra loro
come televisori, fax, strumenti sonori, telefoni cellulari, stampanti, fotocopiatrici, che possono
altresì essere collegati con mass media come stazioni radio e televisive, notiziari, librerie.
Non sorprende, quindi, come questi collegamenti stiano cambiando il modo in cui viviamo.
La tecnologia multimediale fa sì che i computers si espandano molto rapidamente. I programmi
includono suoni, animazioni, e fotografia, così come grafici e testi ordinari.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.8 – IL RISCHIO DI PRODUZIONE
3.8.1 – Tipi di processo e tipi di prodotto
Sia esso un imprenditore oppure un dipendente responsabile della produzione, costui deve sempre
controllare il processo con il quale egli produce.
Come più ampiamente definito in seguito (Cfr. 3.10), un processo di operazioni è un insieme di
metodi e tecnologie usate nella produzione di beni o servizi. I processi di produzione possono
essere classificati in base al tipo di tecnologia di trasformazione usata durante il processo
produttivo.
Abitualmente i produttori usano i seguenti tipi di procedimenti di produzione per trasformare
materie prime in prodotti finiti.
a) Nei procedimenti chimici le materie prime subiscono un’alterazione chimica. Tali tecniche
sono comuni nei processi dell’alluminio, acciaio, fertilizzanti, petrolio, medicine, ecc.
b) Nei processi di fabbricazione avviene un’alterazione meccanica delle forme e dimensione
di base di un prodotto. La fabbricazione ha luogo nei processi di formazione dei metalli, nei
lavori in legno, e nelle industrie tessili.
c) Nei processi d’assiemaggio si mettono insieme componenti diversi. Queste tecniche sono
comuni all’elettronica, all’industria automobilistica ed a quella dei beni durevoli e di
consumo.
d) Nei processi di trasporto i prodotti acquisiscono utilità quando vengono spostati da un
posto ad un altro.
e) Nei lavori d’ufficio si trasforma l’informazione.
Tipi di mercati commerciali
- Industriale
– Rivenditori
- Istituzionale
Tipo di prodotto
- Tangibile
- Intangibile
-
- Produzione di beni tangibili
Chimica
Meccanica
Elettronica
Processi di fabbricazione
Processi d’assemblaggio
Trasporti
Processi impiegatizi (Clerical Processes)
-
Intangibilità
Customization
Non immagazzinabilità
High-Contact Process
Low-Contact Process
- Produzione di beni intangibili
3.8.2 - La pianificazione delle operazioni (Operation Planning)
Pianificazione della capacità di produzione di beni (Capacity Planning for Producing Goods)
o Pianificazione dell’engineering (Engineering Planning)
o Pianificazione dell’ubicazione (Location Planning)
o Planning di mappatura (Layout Planning)
! Mappatura del processo (Process Layout Planning)
! Mappatura del prodotto (Product Layout Planning)
! Mappatura cellulare (Cellular Layout Planning)
- Pianificazione della qualità (Quality Planning)
- Pianificazione dei metodi (Methods Planning)
o Miglioramento dei metodi nei prodotti (Methods Improvement in Goods)
- Schedatura delle operazioni (Operation Scheduling)
o Schedatura delle operazioni per prodotto (Scheduling Goods Operations)
- Controllo delle operazioni (Operation Control)
o Addestramento dei dipendenti (Worker Training)
o Sistemi di produzione just-in-time (Just-in-Time Production Systems)
o Pianificazione richiesta materiali (Material Requirement Planning)
o Controllo qualità (Quality Control)
o Gestione materiali e standardizzazione (Materials Management&Standardization)
! Trasporti (Transportation)
! Immagazzinamento (Warehousing)
! Acquisti (Purchaising)
! Selezione dei fornitori (Supplier Selection)
! Controllo dell’inventario (Inventory Control)
!
Pianificazione della capacità di produzione di servizi (Capacity Planning for Producing Services)
o Pianificazione dell’engineering (Engineering Planning)
o Pianificazione dell’ubicazione (Location Planning)
o Planning di mappatura (Layout Planning)
! Mappatura del processo (Process Layout)
! Mappatura del prodotto (Product Layout)
! Mappatura cellulare (Cellular Layout)
- Programmazione qualità (Quality Planning)
- Pianificazione dei metodi (Methods Planning)
o Miglioramento dei metodi nei servizi (Methods Improvement in Services)
o Schema per contatto clienti nei servizi (Design for Customer Contact in Services)
- Schedulatura delle operazioni (Operation Scheduling)
o Operazioni dalla schedulatura di servizi (Scheduling Service Operations)
- Controllo delle operazioni (Operation Control)
o Addestramento dei dipendenti (Worker Training)
o Sistemi di produzione just-in-time (Just-in-Time Production Systems)
o Pianificazione richiesta materiali (Material Requirement Planning)
o Controllo qualità (Quality Control)
o Gestione dei materiali e standardizzazione (Materials Management &
Standardization)
! Trasporti (Transportation)
! Immagazzinamento (Warehousing)
! Acquisti (Purchaising)
! Selezione dei fornitori (Supplier Selection)
! Controllo dell’inventario (Inventory Control)
!
Miglioramento della qualità (Quality Improvement)
- Direzione della qualità totale (Total Quality Management) (TQM)
- Squadra per il miglioramento qualità (Quality Improvement Team)
- Pianificazione della qualità (Planning for Quality)
- Organizzazione della qualità (Organizing for Quality)
- Direzione della qualità (Directing for Quality)
- Controllo della qualità (Controlling for Quality)
- Strumenti per la gestione della qualità (Tools for Quality Management)
o Controllo del processo statistico (Statistical Process Control) (SPC)
! Schema di controllo (Control Chart)
Quality/Cost Studies
3.8.3 - Controllo di un prodotto esistente. Produzione di un nuovo prodotto
1. ESPERIENZA E FACILITIES RICHIESTE
Prendete in considerazione esperienze e facilitazioni non presenti in azienda. Se possibile, indicate:
"
a) Tipo e livello d’esperienze richieste; come ottenerle ed i tempi necessari per ottenerle.
Indicate se è possibile ottenerle in subappalto.
"
c) Richiesta d’apparecchiature particolari, indicandone la classe di prodotto, il ciclo di vita
ed il relativo PAR.
"
d) Indicate se gli strumenti per garantire la qualità del prodotto sono adeguati.
2. PROBLEMI E RISCHI SIGNIFICATIVI
Analizzate in questa sezione qualsiasi problema o area a potenziale alto rischio che si possa
identificare. La seguente lista parziale è rappresentativa delle voci che hanno bisogno di un
eventuale commento.
" Sensibilità dei costi e degli obiettivi di produzione ad eventuali scostamenti.
" Descrivete lo stato dell’arte corrente.
" Ragionevolezza dei costi e degli obiettivi di produzione ad adeguarsi ai volumi previsti
" Adeguatezza del ciclo programmato ad acquisire ulteriori impianti e attrezzature per
incrementare la capacità di produzione e di qualità.
" Impatto di eventuali caratteristiche geografiche o di mercato sul lavoro d’officina, sulla
dislocazione delle facilities, ecc.
" Necessità di immagazzinamento di prodotto per soddisfare le consegne ai costi
programmati. Analizzate l’esposizione degli inventari.
" Obsolescenza di significativi stock di inventario (prodotto, attrezzature, componenti,
materiali, ecc.)
" Eventuali problemi sindacali relativi all’assunzione o al trasferimento di lavoratori, ed
analisi dell’incidenza del lavoro nei concorrenti.
"
"
"
"
Fattibilità delle specifiche di produzione. (Nota: qualora si estenda l’analisi allo stato
dell’arte della produzione, si deve includere anche una breve analisi del trend e dello
sviluppo delle attività).
Analisi dei livelli di consegna e di inventario, o dei cicli di turnover ponderati ai prodotti
correnti.
Eventuale vulnerabilità se i componenti essenziali provengono da unica fonte.
Commentate la sensibilità dei costi di produzione agli scostamenti di volume (usate volumi
al 50% e al 70%).
3. INFORMAZIONI DI PLANNING – SCADENZE E ATTIVITA’ DI PRODUZIONE
Riportate le principali scadenze e attività di produzione relative al prodotto in programma e le
rispettive date di inizio e fine attività, come richiesto.
Notate che un’attività ha sia una data d’inizio sia una di fine, mentre una scadenza ha solo una data.
Queste rappresentano le scadenze/attività chiave prese dal diagramma PERT della Divisione
Produzione per questa attività La lista seguente fornisce alcuni esempi di scadenze/attività chiave.
(Nota: ai punti 4, 7 e 8 bisogna rispondere assolutamente). Le voci selezionate devono essere
rappresentative dell’intero programma di produzione del prodotto.
!
!
!
!
!
!
!
!
- 1. Disponibilità della stima dei costi di produzione
- 2. Accordi di produzione, acquisto o subappalto decisi
- 3. Verifica del prototipo
- 4. Consegna dei disegni completi di produzione
- 5. Acquisto dei materiali
- 6. Riattamento dell’officina
- 7. Produzione iniziale avviata
- 8. Produzione iniziale consegnata
Allegate il diagramma GANTT o il programma PERT che rappresenti il programma completo del
prodotto con la data d’inizio, la durata, e la data di completamento di tutte le principali attività.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.9 – RISCHI D’AMMINISTRAZIONE E FINANZA
3.9.1 – Il ruolo del responsabile finanziario
Indipendentemente dalla classe di fatturato sono considerate PMI tutte le società di capitali.
Sono “retail” le ditte individuali, le persone fisiche e le società di persone.
L’attività di finanza d’impresa tipicamente comprende quattro responsabilità fondamentali:
# Determinare gli investimenti a lungo termine dell’impresa
# Ottenere fondi per finanziare gli investimenti
# Condurre le attività finanziarie quotidiane dell’impresa
# Aiutare a gestire i rischi che l’impresa assume.
Ogni impresa può avere bisogno finanziario per:
a) capitale di rischio (capitale fisso per immobilizzazioni)
b) capitale di finanziamento (capitale di giro per sfasamento tra incassi e pagamenti)
I due tipi di capitale si possono suddividere nelle seguenti classi:
CAPITALE FISSO (Immobilizzazioni)
# Capitale proprio
o Capitale sociale
o Finanziamento conto soci
o Emissione obbligazionaria
o Quotazione in borsa
Capitale di terzi (medio/lungo)
- Mutuo
- Pegno
- Leasing
- Lease-back
- Leveredged buy-out
- Crediti agevolati dello Stato
- Assicurazione alle esportazioni
- Project Financing
- Merchant Banking
CAPITALE DI GIRO (sfasamento tra incassi e pagamenti)
Principali contratti bancari
#
#
#
#
#
#
#
#
#
#
scoperto di conto corrente
cartolarizzazione dei diritti di credito
anticipazione su contratto
anticipazione su fattura
sconto cambiario
mutuo
factoring
pegno
mutuo ipotecario
Emissione obbligazionaria
# Swap
L’Accordo di Basilea ha previsto nel nuovo schema d’ordinamento del capitale il riconoscimento di
sconti sui requisiti patrimoniali da applicarsi alle esposizioni, quali le garanzie di natura personale o
reale.
Le garanzie personali sono considerate modificative della probabilità di insolvenza (PD), mentre
quelle reali (finanziarie o immobiliari) impattano sulle perdite al momento di insolvenza (LGD).
Nel contesto delle garanzie riveste, inoltre, particolare importanza l’azione svolta dai Consorzi di
Garanzia Fidi, di cui ci occuperemo in seguito.
3.9.2 - Scopi per i quali si chiedono finanziamenti
Certamente una precisa ed esaustiva informativa consente al finanziatore di individuare la natura e
l’origine dei fabbisogni finanziari dell’impresa e quindi di studiare ed erogare finanziamenti “su
misura” atti a soddisfare nella maniera più adeguata le sue esigenze.
Riportiamo di seguito elenchi e definizioni delle principali operazioni finanziarie richieste a
copertura delle diverse esigenze aziendali.
a - Situazione Corrente
o Liquidità di cassa
" per riduzione costi
" per sviluppo fatturato
" per esigenze temporanee
o Finanziamento del capitale circolante operativo
" Scorte di magazzino
o Modifica della struttura delle fonti di finanziamento
o Finanziamento di operazioni straordinarie
o Altro
b - Sviluppo
o
o
o
o
o
o
o
Innovazione di prodotto
Innovazione tecnologica
Innovazione di gestione
Fusione
Acquisizione
Quotazione in borsa
Globalizzazione
c - Liquidazione
o Volontaria
o Giudiziale
d - Phase-out di prodotto
o Ammortamento
o Maturità
o Obsolescenza
o Cessione di ramo d’impresa
e - Start-up di prodotto
o Dall’inizio
o Da acquisizione di prodotto esistente
f - Start-up d’Impresa
o Da zero
o Da acquisizione o fusione
g - Cessione d’impresa
La cessione d’impresa può richiedere finanziamenti nel caso si voglia o si debba consegnare
l’azienda in maniera convenuta con l’acquirente, tale che si debbano fare dei disinvestimenti,
anticipi di ammortamento, ecc.
h - Crisi di mercato
o Politica
o Sociale
o Religiosa
i – Contabilità di bilancio
- Attività correnti
Attività destinate a tramutarsi nel breve termine in liquidità. Sono riconducibili a:
o la gestione operativa: crediti commerciali, altri crediti operativi, magazzino;
o la gestione finanziaria: cassa e altre attività liquide
- Capitale circolante operativo
Differenza tra attività e passività correnti operative.
Rappresenta il fabbisogno finanziario a breve termine dell’impresa, che origina dallo
sfasamento temporale tra incassi e pagamenti.
- Capitale proprio
Detto anche capitale di rischio o patrimonio netto, è l’insieme delle risorse finanziarie
che l’imprenditore o i soci hanno investito nell’impresa. Comprende:
o Il capitale sottoscritto o conferito dai soci
o Le riserve derivanti da utili realizzati e non distribuiti
o Eventuali altre riserve.
- Covenants
Accordi tra finanziatore e impresa finalizzati a ridiscutere le modalità di finanziamento
nel caso di inosservanza di alcuniparametri o impegni economici o giuridici.
- Crediti commerciali
Crediti verso la clientela, maturati e non ancora incassati
- Debiti finanziari
Rappresentano il contributo di terzi finanziatori, di solito banche, al fabbisogno
finanziario dell’impresa.
- Flussi di cassa
Differenza tra le entrate e le uscite monetarie dell’impresa
- Grado di indebitamento
E’ dato dal rapporto fra debiti finanziari e capitale proprio ed è un’importante misura
dell’equilibrio e della solidità della struttura patrimoniale/finanziaria in quanto identifica
il contributo dei soci e dei terzi finanziatori alla gestione dell’impresa.
- Immobilizzazioni nette
Sono le attività dell’impresa destinate all’utilizzo pluriennale:
o Immobilizzazioni immateriali: brevetti, marchi, licenze, software, etc.
o Immobilizzazioni materiali: immobili, impianti, macchinari, etc.
o Immobilizzazioni finanziarie: partecipazioni societarie, etc.
- Margine di struttura
L’eccedenza del capitale proprio rispetto all’impegno di capitale nelle immobilizzazioni
-
Operazioni straordinarie
Operazioni di natura non ricorrente, quindi, estranee per natura o dimensioni all’attività
caratteristica (ordinaria) dell’impresa.
Passività correnti
Debiti cui l’impresa dovrà fare fronte nel breve termine. Sono riconducibili:
o Alla gestione operativa: debiti verso fornitori o altri debiti operativi
o Alla gestione finanziaria: debiti verso banche ed altri finanziatori a breve.
3.9.4 – Documenti finanziari
- Bilancio sociale (Balance Sheets)
o Attività (Assets)
" Correnti (Current)
" Fisse (Fixed)
" Intangibili (Intangible)
Disponibilità liquide (Liquid Assets)
" Obbligazioni commerciabili (Marketable Securities)
Disponibilità non liquide (Nonliquid Assets)
" Crediti (Account Receivable)
" Inventario fisico (Merchandise Inventory)
" Costi prepagati (Prepaid Expenses)
o Passività (Liabilities)
" Correnti (Current)
" A lungo termine (Long Term)
o Valore azionario (Owner’s Equity)
- Profitti e perdite (Income Statement)
o Incassi (Revenue)
o Costo dei beni venduti (Cost of Goods Sold)
o Spese operative (Operating Expenses)
o Reddito operativo e netto (Operating and Net Income)
o Profitto lordo (Gross profit)
- Analisi finanziaria di bilancio (Analysis of Financial Statements)
o Indici di solvibilità a breve (Short-Term Solvency Ratios)
" Indice corrente (Current Ratio)
Indice
di solvibilità a lungo termine (Long-Term Solvency Ratios)
o
" Indice di indebitamento verso i soci (Debt-to-Owners’ Ratio)
Indici
di redditività (Profitability Ratios)
o
" Ritorno per azione (Return on Equity)
" Utile per azione (Earning per Share)
o Indice di attività (Activity Ratios)
" Indice di movimentazione del magazzino (Inventory Turnover Ratio)
3.9.5 – Contabilità di direzione
In ogni impresa, si distinguono due diversi settori di contabilità, quella finanziaria e quella di
management, per i diversi usi ed i differenti utilizzatori previsti.
Come abbiamo visto sopra, è indice di utilità ed accuratezza distinguere gli utilizzatori di
informazioni contabili tra utilizzatori interni ed esterni all’azienda. Questa stessa distinzione ci
permette di distinguere il sistema contabile aziendale in due categorie: finanziario e di management.
Contabilità finanziaria.
Il sistema aziendale di contabilità finanziaria si relaziona con utilizzatori esterni di informazioni,
quali sindacati, azionisti, uffici fiscali. Questo tipo di contabilità prepara e pubblica sia il bilancio
aziendale a intervalli di tempo regolari, sia altre informazioni finanziarie per gli azionisti e per il
pubblico. Tutti questi documenti concentrano la loro attenzione sulle attività dell’azienda nel loro
insieme, piuttosto che analizzare singoli uffici o dipartimenti.
Contabilità d’impresa.
La contabilità d’impresa, al contrario di quella finanziaria, serve solo per usi interni. I managers di
ogni livello e grado hanno bisogno di informazioni per prendere decisioni per i loro dipartimenti ed
uffici, per monitorare i progetti in corso e per pianificare le attività future. Inoltre, tutti gli altri
dipendenti hanno bisogno di informazioni: gli ingegneri hanno bisogno di conoscere i costi di
produzione e dei materiali per migliorare eventualmente processi e prodotti; i venditori hanno
bisogno di conoscere i dati di vendita per regioni geografiche; l’ufficio acquisti usa le informazioni
sui costi dei materiali per negoziare condizioni migliori con i fornitori, ad esempio.
3.9.6 – Rischi di gestione finanziaria
- Rischi sui finanziamenti (Funding Risk)
o Mutui personali (Personal Loan)
o Mutui ipotecari (Mortgage Loan)
o Pegno (Pawn)
o Obbligazioni (Debentures)
o Azioni (Shares)
o Cartolarizzazione (Securitization)
o Altri strumenti finanziari (Other Financial Instruments)
- Rischio sul credito (Credit Collection Risk)
- Rischi sui pagamenti (Payment Risk)
- Rischi sul trasferimento di denaro (Money Transfer Risk)
- Rischi di frode finanziaria (Financial Frauds Risk)
- Rischi per tangenti e corruzione (Bribery and Corruption Risk)
- Rischio di cambio (Currency Risk)
3.9.7 – La valutazione del rischio di bilancio
La valutazione del rischio di bilancio è il calcolo degli indici di redditività finanziaria di un’impresa
che non garantisce la veridicità dei dati di bilancio. Questa può garantirla solo la certificazione di
bilancio, che tende ad appurarne la verità e la realtà senza però giudicarli dal punto di rischio della
profittabilità e del rischio. Pertanto, valutazione del rischio di bilancio e certificazione del bilancio
sono due attività distinte e separate e con finalità ben distinte tra loro.
La valutazione del rischio effettuato solo su dati di bilancio hanno significato, a nostro sommesso
parere, solo quando ci si è accertati che tutti i rischi operativi non sono tali da inficiare l’analisi di
rischio da bilancio. In effetti il bilancio potrebbe essere esente da rischio, ma l’impresa potrebbe
essere afflitta da rischio mortale di marketing, di ricerca e sviluppo, da gestione delle risorse umane,
ecc, senza che questi possano minimamente comparire nei dati di bilancio. Soprattutto, secondo le
ultime teorie, la qualità dei rapporti con la clientela, o lo stato di obsolescenza dei prodotti sono dati
che dovrebbero (e non compaiono) sui dati di bilancio.
Nel nostro lavoro proponiamo i seguenti schemi molto semplici, ma efficaci, di analisi di rischio
dallo studio del bilancio:
! Analisi dello stato patrimoniale
con la sua versione inglese Balance Sheet Risk Analysis
! Analisi profitti e perditecon la sua versione inglese Income Statement Risk Analysis
! Relazione di Rating di bilancio.
(nella versione italiana ed inglese).
I fogli Excel di analisi dello stato patrimoniale e di profitti e perdite sono fogli di programma, che
vanno compilati solo nelle colonne di ingresso dati, e che ottengono il calcolo immediato nelle celle
dei risultati. Ad ogni modifica di un dato il nuovo risultato si ottiene in tempo reale in tutte le
caselle di calcolo interessate dal cambiamento.
Enrico Furia
Considerazioni su principali
INDICI FINANZIARI
Indice
1) Analisi Marginale
2) Costo Marginale
3) Costo Marginale dei Finanziamenti
4) Formazione dei Prezzi Basata sul Costo Marginale
5) Disutilità Marginale
6) Efficienza Marginale Del Capitale
7) Pianificazione dell’Efficienza Marginale del Capitale
8) Efficienza Marginale dell’Investimento
9) Schedule dell’Efficienza Marginale dell’Investimento
10)Criterio del Quoziente Marginale di Reinvestimento Per Capita
11)Prodotto Fisico Marginale
12)Prodotto Marginale
13)Propensione Marginale al Prelievo
14)Tasso Marginale di Sostituzione
15)Tasso Marginale di Trasformazione
16)Ricavo Marginale
17)Ricavo Marginale del Prodotto
18)Utilità Marginale
19)Utilità Marginale del Reddito, o della Moneta
20)Valore Attuale Netto (Npv)
21)Flusso di Cassa
22)Indice di Rimborso
23)Capitale d’Esercizio
24)Indice del Capitale d’Esercizio
25)Indice del Patrimonio a Pronta Disposizione
26)Tasso di Restituzione
27)Ritorno sull’investimento
28)Ritorno sugli Assets
29)Return on Equity
30)Dividendo per Azione
1)
ANALISI MARGINALE
L’analisi marginale è una teoria economica che usa il metodo di approccio generale e le tecniche
dei marginalisti economici d’inizio 1800, o economisti neo-classici.
Il termine neo-classico deriva dalla visione del creatore della cosiddetta “rivoluzione marginalista”,
che si estendeva e si perfezionava sulle fondazioni di base degli economisti classici come D.
Ricardo e J.S Mill.
I fondatori del sistema neo-classico, J.M. Clark, F.Y. Edgeworth, I. Fisher, A. Marshall, V. Pareto,
L. Walras and K. Wicksell usavano l’analisi marginale (i concetti d’utilità marginale e produttività
marginale) per analizzare il prezzo dei beni, dei servizi e dei fattori di produzione in un mercato
concorrenziale. Costoro evidenziarono come i prezzi di mercato fossero correlati alla loro scarsità.
In particolare, studiarono la possibilità di un insieme di prezzi di mercato che assicurassero la
qualità di domanda e offerta in ogni mercato. L’idea di un’economia perfettamente qualitativa in
equilibrio, che può essere soprattutto attribuita a Walras, è centrale nello schema neo-classico.
L’approccio macroeconomico nella descrizione economica è una caratteristica distintiva di questa
teoria neo-classica. I prezzi delle commodities, derivanti dal comportamento razionale massimalista
dei mercati, distinguono questo approccio sia da quello dell’economia classica che da quello
dell’economia keynesiana.
Mentre l’economia classica era in relazione con lo sviluppo delle economie di lungo periodo nel
loro complesso, in particolare la relazione tra la distribuzione del surplus economico e lo schema di
sviluppo, la teoria del valore neo-classica divenne essenzialmente una teoria di ripartizione della
scarsità di risorse in una economia statica. Gli economisti classici del diciannovesimo secolo, in
comune con molti teorici classici, accettarono l’idea che esistono delle frze di mercato che tendono
a mantenere il pieno impiego.
Questi contrasti stridono con la visione keynesiana che una disoccupazione involontaria possa
esistere anche a dispetto delle forze di mercato. Si può considerare che i moderni economisti neoclassici possano aver incorporato la maggior parte delle idee centrali dei loro fondatori.
2) COSTO MARGINALE
Rappresentano i costi ulteriori della produzione di un’unità ulteriore. Algebricamente questo si può
scrivere come:
!C
MC = -----!X
dove! indica “variazione”, C rappresenta il costo totale, ed X è il valore immesso.
Nel breve periodo la curva del costo marginale aumenta a ragione della legge dei ritorni
decrementali. Si noti, inoltre, come i costi marginali non possano essere influenzati dal livello dei
costi fissi.
Molto semplicemente, se si produce un’unità ulteriore di produzione, i costi fissi non cambiano,
pertanto qualsiasi ulteriore costo fisso supposto deve essere uguale a zero. Ne segue che i costi
marginali sono determinati solo dai costi variabili. Nel lungo periodo i costi marginali possono
aumentare, diminuire o rimanere costanti in funzione della presenza di economie o diseconomie di
scala.
3)
COSTO MARGINALE DEI FINANZIAMENTI
E’ il programma che dettaglia il costo reale del capitale finanziario di un’impresa. In un mercato di
capitali imperfetto il costo reale è certamente superiore al costo d’interesse. Le imprese possono
raccogliere denaro per finanziare i loro investimenti da molte fonti e il costo finanziario varierà con
la relativa fonte. La fonte finanziaria meno cara può essere costituita dall’accantonamento dei
profitti o dal fondo di svalutazione. Molto più cari sono certamente sia il diritto ad emettere, o la
nuova emissione di azioni, sia il prestito ad interesse fisso.
4)
FORMAZIONE DEI PREZZI BASATA SUL COSTO MARGINALE
E’ questa una prassi seguita sia da imprese private che pubbliche in cui il prezzo è uguale al costo
marginale. Date le curve di costo e di profitto, queste implicano che il prezzo si forma nel punto in
cui la curva di domanda incontra la curva del costo marginale. Le condizioni di mercato prevalenti
nella concorrenza perfetta garantiscono la formazione dei prezzi sul costo marginale quando i ricavi
medi e marginali sono uguali. Quindi, l’obiettivo della massimizzazione del profitto in cui il costo
marginale è uguale al ricavo marginale, significa che il prezzo uguaglia il costo marginale. Nella
concorrenza imperfetta, tuttavia, i profitti non vengono massimizzati con i prezzi uguali ai costi
marginali se non quando i ricavi medi eccedono il ricavo marginale. Quindi, la formazione dei
prezzi basata sui costi marginali può avvenire attraverso un qualche schema amministrativo o
fiscale. Nel settore pubblico le imprese nazionalizzate sono indirizzate ad usare la formazione dei
prezzi basata sui costi marginali, dacché la razionalità di questa prassi si basa sulla massimizzazione
dell’economia sociale.
5)
DISUTILITA’ MARGINALE
La disutilità marginale è la non-utilità ulteriore che deriva da un cambiamento in qualche variabile.
6)
EFFICIENZA MARGINALE DEL CAPITALE
E’ il tasso di sconto che rende il valore attuale netto del ritorno netto atteso da un capital asset
proprio uguale al suo prezzo d’offerta quando non c’è aumento nel prezzo d’offerta dell’asset.
Il termine ha origine con Keynes ed è anche conosciuto impropriamente come internal rate of
return (tasso interno di ritorno). Quest’ultimo concetto s’identifica in ciò che tiene in specifico
conto il fatto che il prezzo d’offerta del capital asset possa aumentare nel breve periodo quando tutte
le imprese simultaneamente cercano di aumentare la dimensione del loro capitale.
7)
PIANIFICAZIONE DELL’EFFICIENZA MARGINALE DEL CAPITALE
Indica il grafico che dettaglia la relazione d’equilibrio di lungo periodo tra lo stock di capitale
desiderato ed il tasso d’interesse. In ogni punto di questo prospetto l’efficienza marginale del
capitale è proprio uguale al tasso d’interesse. Il grafico ha andamento decrescente e riflette le
diminuzioni incrementali dei ritorni sullo stock di capitale.
A livello d’impresa spesso si considera che questo grafico possa rappresentare la curva di domanda
di capitali. Comunque, non si può fare così quando il concetto di efficienza marginale del capitale
non tiene conto dell’aumento del prezzo d’offerta del capital asset che l’impresa incontra nel breve
periodo.
8)
EFFICIENZA MARGINALE DELL’INVESTIMENTO
Conosciuta anche come Internal Rate of Return (Tasso interno di ritorno), indica il tasso di sconto
che rende il valore attuale netto del ritorno atteso dall’investimento uguale al prezzo
d’offerta dove quando si riconosce che il prezzo aumenti nel breve periodo.
9)SCHEDULE DELL’EFFICIENZA MARGINALE DELL’INVESTIMENTO
E’ la curva di domanda dell’investimento.
Il prospetto dettaglia la relazione tra l’efficienza marginale dell’investimento e il tasso d’interesse.
L’investimento viene proseguito fino a questo punto nel breve periodo, mentre nel lungo periodo
l’equilibrio della consistenza del capitale è data dal punto di eguaglianza dell’efficienza marginale
del capitale ed il tasso d’interesse. In contrasto con l’efficienza marginale dello schedule di
capitale, questo schedule descrive un flusso e non una relazione di giacenza.
10)
CRITERIO DEL QUOZIENTE MARGINALE DI REINVESTIMENTO PER CAPITA
E’ un criterio d’investimento avente lo scopo di massimizzare il reddito a testa ad una data futura.
Stabilisce che il miglior collocamento delle risorse viene raggiunto uguagliando il quoziente
marginale capitale di reinvestimento per capita in ognuno dei suoi usi. Si assume che i profitti siano
reinvestiti ed i salari spesi. La produttività lorda per dipendente meno il consumo per dipendente
determina il totale lordo per dipendente disponibile per reinvestimento. Questo criterio favorisce i
progetti ad alti profitti. L’obiettivo di sviluppo sottolinea come il criterio sia stato criticato come
non realistico. I governi preferiscono favorire il consumo per promuoverlo nel futuro immediato
come obiettivo prioritario.
11)
PRODOTTO FISICO MARGINALE
Si definisce come l’addizione di una unità addizionale di lavoro al totale delle uscite derivanti
dall’impiego, e può essere derivato dalla funzione di produzione, mantenendo invariati
gli altri fattori. Il prospetto del prodotto fisico marginale può essere inteso come la
curva di domanda del lavoro. Il lavoro è impiegato fino al punto in cui il pagamento
dell’ultima unità impiegata è uguale alla quantità di prodotto generata dall’ultima unità
di lavoro. E’ più consueto, per mezzo di una semplice modifica di scala, convertire il
prodotto fisico marginale in valore di prodotto fisico marginale, moltiplicando il primo
per il prezzo di questi (Cfr. reddito marginale del prodotto). Se c’è un aumento o una
diminuzione in stipendi e salari, allora il numero di unità di lavoro impiegato diminuirà
o crescerà in funzione dell’andamento del valore/prodotto fisico marginale dello
schedule del prodotto fisico marginale. Nel lungo periodo la domanda di lavoro sarà
sempre determinata dal prodotto fisico marginale anche se in maniera più complessa.
Un aumento di stipendi e salari, ad esempio, avrà un effetto di sostituzione negativo quando
l’impresa sostituisce il capitale con lavoro più costoso, riducendo di conseguenza la quantità di
lavoro richiesta. Ci sarà anche un effetto a scala negativa quando un aumento di stipendi e salari
conduce ad un maggior costo marginale di produzione che, a sua volta, riduce la spesa ottimale
dell’impresa e, di conseguenza, la domanda derivata di lavoro.
I due effetti si rafforzano l’uno con l’altro per condurre ad una chiara relazione inversa tra stipendi e
salari la domanda derivata di lavoro. Questa curva di domanda è più elastica della domanda a breve
termine.
12)
PRODOTTO MARGINALE
L’output extra ottenuto dall’impiego di una unità ulteriore di un input dato (fattore di produzione).
Inoltre, il termine dovrebbe essere qualificato rispetto all’input in questione, cioè il prodotto
marginale del lavoro, il prodotto marginale del capitale, ecc.
13)
PROPENSIONE MARGINALE AL PRELIEVO
Indica il cambiamento nei prelievi (W) quale risultato di una unità addizionale di reddito (Y), che
possiamo scrivere come:
!W
MPW = -----!Y
E’ la porzione di ogni unità ulteriore di reddito che non è trasferita nel flusso circolare del reddito.
14)
TASSO MARGINALE DI SOSTITUZIONE
Nella teoria della domanda di consumo il tasso marginale di sostituzione si riferisce alla domanda
di un bene, diciamo Y, che è richiesto per ricompensare il consumatore della richiesta di un altro
prodotto, diciamo X, tale che il consumatore ha lo stesso livello di benessere (utilità) di prima.
Nell’analisi della curva di indifferenza questi rappresenta, di fatto, l’andamento della curva di
indifferenza che è uguale al rapporto delle utilità marginali dei due beni in questione, cioè:
MU x
MRS = -----MU
Il termine deriva da J.R. Hicks’ Value and Capital (Oxford University Press, 1939).
Altri scrittori preferiscono una terminologia differente, e il MRS è spesso riferito al tasso personale
di sostituzione, o tasso di sostituzione della commodity.
15)
TASSO MARGINALE DI TRASFORMAZIONE
Il valore numerico dell’andamento della frontiera delle possibilità di produzione. Il tasso marginale
di trasformazione del bene A nel bene B è la caduta nel tasso di produzione del bene A che permette
una unità addizionale del bene B da produrre. E’ uguale al quoziente del costo marginale del bene B
sul costo marginale del bene A.
16)
RICAVO MARGINALE
Indica il cambiamento nei ricavi totali proveniente dalla vendita di una unità addizionale di
prodotto. Nella concorrenza perfetta il ricavo marginale uguaglia il prezzo di vendita
giacché l’impresa fronteggia una curva di domanda infinitamente elastica, vale a dire
che può vendere una unità addizionale di produzione ad un prezzo di mercato
prevalente. Dentro strutture di mercato di tipo concorrenza perfetta l’impresa affronta
una curva di domanda ad andamento decrescente e quindi per vendere una unità
ulteriore di produzione deve ridurre il prezzo su tutte le ulteriori unità che vende. Il
ricavo marginale deve pertanto essere uguale al nuove prezzo meno la caduta in ricavo
di quelle unità che avrebbe altrimenti venduto a maggior prezzo. Il ricavo marginale è
un concetto importante nell’analisi d’impresa. Una condizione necessaria per
l’equilibrio della massimizzazione del profitto è che il ricavo marginale sa uguale al
costo marginale.
17) RICAVO MARGINALE DEL PRODOTTO
E’ il prodotto fisico marginale moltiplicato per il ricavo marginale derivante dalla vendita di una
unità addizionale di produzione, che deriva a sua volta dall’impiego di una unità
addizionale di produzione. In condizioni di mercato perfetto il prezzo è uguale al ricavo
marginale, per cui possiamo scrivere:
MRP = MPP.P
Dove MPP è il prodotto fisico marginale, e P è il prezzo.
In condizioni di mercato imperfetto,tuttavia, il prezzo non è uguale al ricavo marginale, per cui è
necessario modificare l’equazione come segue:
MRP = MPP.MR
Dove MR è il ricavo marginale associato con la vendita di una unità addizionale di produzione.
18) UTILITA’ MARGINALE
E’ l’utilità addizionale ottenuta da una unità addizionale di un prodotto.
Può essere espressa con la seguente formula:
!U
MU = -------!X
dove U indica l’utilità, X l’ammontare del bene, !e” “il cambiamento.
19) UTILITA’ MARGINALE DEL REDDITO, O DELLA MONETA
Indica il tasso al quale l’utilità individuale aumenta quando il reddito individuale aumenta di una
unità (£1, $1, etc.). Quando il consumatore massimizza l’utilità accade che l’utilità marginale di un
bene acquistato è uguale al suo prezzo moltiplicato per l’utilità della moneta. In senso stretto, il
termine può essere meglio definito come utilità marginale del reddito, dal momento che la moneta
come tale possiede particolari attributi che influenzano l’utilità che può apportare a chiunque la
possieda.
Marshall assumeva che l’utilità marginale della moneta è costante, cioè che non varia col variare del
prezzo. Questo giudizio era ritenuto ragionevole fino a quando questo costituiva solo una piccola
parte del reddito del consumatore, mentre non lo era negli altri casi.
20) VALORE ATTUALE NETTO (NPV)
E’ la risultante quando il valore attualizzato del costo previsto di un investimento è dedotto dal
valore attualizzato dei ritorni attesi. In effetti, se il tasso attualizzato è r , il ritorno espresso in anni
è R1, ed il ritorno al primo anno è1,Ce così via,allora il valore attuale netto è dato dalla formula:
t=T
NPV =
Rt - C t
" ------t=0
(1 + r)t
Se il valore attuale netto è positivo, il progetto in questione è potenzialmente profittevole. La regola
precisa per l’accettazione o il rigetto, comunque, dipende dal metodo di classifica di tutte le opzioni
disponibili che hanno valore attuale netto positivo, la qual cosa può richiedere l’uso di tecniche di
programmazione. In macroeconomia l’approccio al valore attuale netto può essere trovato
nell’approccio classico alla valutazione dell’investimento creato da Irving Fisher. Keynes, di contro,
adottò l’approccio all’efficienza marginale del capitale, che essenzialmente inizia allo stesso modo,
ma non richiede l’uso di un tasso attualizzato per la finalità di sconto. Piuttosto ci si chiede quale
tasso di attualizzazione possa uguagliare i due flussi attualizzati dei ritorni e dei costi. Il risultato,
quindi, deve essere comparato con quale tasso di interesse (Cfr.
Efficienza marginale
dell’investimento).
21) FLUSSO DI CASSA
Rappresenta la somma tra gli utili non distribuiti e gli accantonamenti per svalutazione fatti
dall’impresa. Come tale, esso rappresenta la fonte dei fondi di lungo periodo generati internamente,
e disponibili per l’impresa. In altre parole, è il flusso di entrate e uscite dei pagamenti in denaro fatti
e ricevuti dall’azienda in un determinato periodo che possono essere utilizzati per investimenti dopo
aver dedotto tutti i costi di business.
22) INDICE DI RIMBORSO
E’ il rapporto tra l’investimento totale in capitali ed il flusso di cassa.
Il suo calcolo può essere definito in termini reali come il numero di anni occorrenti affinché il
flusso di cassa che viene dal prodotto ripaghi l’investimento totale di capitali (spese totali di capitali
+ costi di sviluppo differiti + asset totali trasferiti al prodotto) ed il capitale operativo netto
marginale.
23) CAPITALE D’ESERCIZIO
Si riferisce generalmente all’ammontare del patrimonio corrente finanziato da risorse finanziarie di
lungo periodo. Il capitale lordo d’esercizio è in alternativa definito come la somma dell’intero
patrimonio corrente, mentre il capitale netto d’esercizio è l’ammontare per il quale il patrimonio
corrente supera le passività correnti. La dimensione del capitale d’esercizio è un indicatore della
liquidità e della solvibilità dell’azienda, in particolar modo quando è messo in relazione con altri
indicatori finanziari nelle varie forme di indici finanziari
24) INDICE DEL CAPITALE D’ESERCIZIO
Si calcola dividendo le passività correnti per il patrimonio corrente, come misura della liquidità di
un’impresa. Se l’indice è superiore all’unità, l’azienda può onorare le proprie passività correnti
quando queste giungono a scadenza. L’indice può frequentemente indurre in errore, dal momento
che i numeri che lo costituiscono sono presi dal bilancio dell’impresa. In effetti, i dati di bilancio
sono solo valori del passato e non rappresentano il presente, né l’informazione è presentata al tempo
reale degli incassi e dei pagamenti (Cfr. 25).
25) INDICE DEL PATRIMONO A PRONTA DISPOSIZIONE
E’ l’indice tra il patrimonio liquido e le passività correnti. Il patrimonio liquido è rappresentato dalla
cassa, la maggior parte degli investimenti che possono essere realizzate subito, e le attività contabili
in cui vi è un fondo di ammortamento per cattivi pagatori. La quota azionaria non è inclusa in
quanto non è immediatamente liquidabile. Questo concetto rappresenta un miglioramento dell’
indice del capitale d’esercizio, ma ancora non rappresenta una raffigurazione aggiornata della
situazione corrente. Inoltre, esso ignora le entrate e le uscite di cassa che sono della massima
importanza per la liquidità aziendale.
26) TASSO DI RESTITUZIONE
E’ un concetto generale che si riferisce ai rendimenti degli investimenti di capitali, dove i
rendimenti sono espressi in proporzione alla spesa d’investimento. Il termine si applica ad una vasta
gamma di situazioni economiche, e può essere riferito ai rendimenti di investimenti di capitale
fisico, capitale monetario, e anche di
capitale umano; è frequentemente applicato alla
remunerazione derivante dall’investimento di capitale fisico. La definizione impiegata varia di
molto, però, tra i vari utilizzatori. Contabili ed imprenditori hanno avuto per tradizione definizioni
diverse da quelle degli economisti, anche se oggi c’è tendenza ad accettare la definizione degli
economisti. L’approccio tradizionale di imprenditori e contabili è quello di definire il termine come
(
tasso di profitto per capitale impiegato. I diversi tipi di profitto sono stati definiti in diverso modo
allo scopo, ma quello più sensibile è di profitto netto dopo le tasse ed il deprezzamento.
Il profitto può essere riferito ai profitti dell’anno d’inizio, o alla media della vita del progetto. I
profitti dell’anno d’inizio possono essere non rappresentativi, mentre il profitto medio è molto più
sensibile. Il capitale è stato definito sia come spesa di capitali iniziale di un progetto, incluso il
capitale d’esercizio, oppure come capitale medio impiegato sulla vita di un progetto, dove
quest’ultima definizione sembra essere migliore. I numeri di profitto espressi come percentuale dei
numeri di capitale danno il tasso di restituzione del capitale impiegato, e lo si paragona con il costo
del capitale dell’azienda.
Gli economisti non trovano il suddetto concetto molto utile nel calcolare la remunerazione
dell’investimento del capitale. Questo approccio non tiene in considerazione la tempistica del flusso
di cassa. In effetti, un progetto, che genera un determinato reddito un numero di anni prima di un
altro, è certamente più redditizio: i fondi possono essere reinvestiti per produrre ulteriore reddito.
Per questo motivo gli economisti preferiscono il concetto meglio conosciuto come “tasso interno di
restituzione”. Questo concetto tiene esplicitamente conto della tempistica del flusso di cassa di un
progetto. In effetti, è il tasso attualizzato che rende il valore attuale netto d’un progetto uguale a
zero, ed è convenzionalmente noto come la soluzione di r nell’equazione che segue:
i=n
C= " V i
i = 1 (1+r)2
dove C si riferisce alla spesa iniziale di capitali nel periodo di tempo iniziale, e V si riferisce al
flusso di cassa netto del progetto in qualsiasi momento della sua vita. Se la soluzione di r è 10%,
questo indica che il costo del capitale può essere recuperato e che un ritorno del 10% sul bilancio
del capitale è stato raggiunto alla fine del tempo di durata. Il tasso interno di restituzione va
comparato col costo dei capitali dell’impresa per determinare se il progetto proposto debba essere
accettato o meno. Questo metodo di valutazione dei progetti ha anche lui qualche inconveniente, in
quanto non da indicazione alcuna dell’ammontare della ricchezza generata dal progetto (questo è
meglio indicato dall’uso del metodo del valore attuale netto). Inoltre, a volte si presentano tassi
multipli di restituzione. Questo può accadere quando v’è più d’un cambiamento di segno nello
schema del flusso di cassa durante la vita del progetto. Il tasso interno di restituzione è talvolta
conosciuto come rendimento del flusso di cassa attualizzato, e rendimento dell’investitore. Il tasso
di restituzione calcolato non è sempre una misura del ritorno del capitale in un business, dal
momento che non è possibile separare i ritorni per ogni fattore di produzione (Cfr. Valore Attuale
Netto).
27) RITORNO SULL’INVESTIMENTO
Si calcola come segue:
Profitto netto medio dopo le tasse
R.O.I. = -------------------------------------------------------------------------------------------------!(Spese di capitali + assets trasferiti + valore degli assets residui)
+ capitale
:2
circolante medio
28) RITORNO SUGLI ASSETS
Si calcola come segue:
Profitto netto dopo le tasse del periodo annualizzato x 100
R.O.A. = -------------------------------------------------------------------
Assets totali alla fine del periodo
29) RETURN ON EQUITY
E’ il ritorno finanziario dell’impresa e corrisponde all’indice seguente:
Profitto netto dopo le tasse
-------------------------------Capitale circolante netto
30) DIVIDENDO PER AZIONE
Rappresenta la misura degli utili totali di un’impresa per le sue azioni ordinarie, e viene calcolato
dividendo il reddito netto per il numero di azioni ordinarie. Il reddito netto va inteso come reddito
lordo meno le deduzioni per deprezzamenti, pagamento di interessi, dividendi per azioni privilegiate
e passività dovute a tassazione.
Il guadagno per azione nella maggior parte dei casi è superiore al dividendo perché l’impresa in
generale preferisce distribuire solo una parte di questi (profitti distribuiti), che rappresenta quella
parte di profitto netto emesso dall’impresa in forma di pagamento ai proprietari di capitale
azionario.
Il dividendo di un’impresa rappresenta il compenso ai suoi azionisti, in contanti o con altre azioni.
Un dividendo in contanti è un pagamento fatto con i profitti aziendali al netto delle tasse e degli
interessi debitori. Il dividendo delle azioni privilegiate è pagato prima di quello delle azioni
ordinarie, quindi il rischio per quest’ultime è più elevato.
Il dividendo è espresso generalmente come percentuale del valore nominale di un’azione ordinaria,
e negli anni recenti (con maggiore sensibilità) come valore assoluto per azione. Il dividendo (script
o bonus) non prevede nessun movimento per contanti, giacché il possessore può liquidare vendendo
le azioni sul listino di borsa.
Le azioni possono essere quotate “cum dividend” quando l’acquisto dell’azione comprende anche il
pagamento del dividendo, o “ex dividend” quando l’azione è venduta senza il prossimo dividendo.
Copertura del dividendo indica l’indice tra il profitto per azione ordinaria ed il suo dividendo
lordo.
Maggiore è l’indice, maggiore è il numero di volte che l’ultimo guadagno a riporto ha superato
l’ultimo dividendo pagato. La definizione di guadagno nel calcolo di questo indice è reso piuttosto
complicato nel diritto americano (Advance Corporation Act) dalla definizione di tassa sul reddito
d’impresa dove qualche volta la norma non può essere equivalente alla tassa effettiva. Il concetto di
“massimo” guadagno è applicato, quando non v’è un abuso di normativa, su base a “dividendo
zero” incassato al lordo dell’indice di attribuzione del credito (che equivale all’indice standard di
tassa sul reddito). Qualora vi fosse abuso normativo il numero applicato è il dividendo incassato al
lordo dell’attribuzione di credito più i guadagni trattenuti.
Quota di utile distribuito indica la proporzione del totale dei profitti riconosciuti dal pagamento
del dividendo.
Il rendimento del dividendo esprime il dividendo per azione in percentuale sul prezzo di mercato
dell’azione. Quando i dividendi sono espressi come percentuale del valore nominale dell’azione la
formula è:
Percentuale del dividendo x valore nominale dell’azione
-------------------------------------------------------------------- x 100
100 x prezzo di mercato dell’azione
Il rendimento del dividendo indica la percentuale ottenibile da un investitore a prezzi di mercato.
I dividendi sono pagati in base al profitto al netto delle tasse sul reddito d’impresa e, dal punto di
vista di un’azienda che emette nuove azioni, il rendimento del dividendo è uno dei principali
componenti di costo per tali capitali.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.10 – LA PROGRAMMAZIONE AZIENDALE
3.10.1 – Le schede di bilancio
Le schede di bilancio allegate sono fogli di calcolo programmati e non, che possono aiutare alla
raccolta ed elaborazione dei dati essenziali per l’analisi del rischio d’impresa.
Nella compilazione delle schede considerate i seguenti accorgimenti:
! Non inserite alcuna informazione nelle righe evidenziate in giallo, che è riservata ai calcoli
di programma.
! La scheda è pre-programmata, ed ogni volta che inserite un nuovo dato, questa aggiorna
immediatamente i risultati.
! Prima di iniziare la compilazione, analizzate in dettaglio i dati che vi vengono richiesti, e
discuteteli prima di sottoporli all’analisi della scheda di programma.
La scheda di Bilancio Profitti e Perdite
è un documento richiesto in forma preventiva all’inizio della fase di sviluppo di un prodotto, e tutte
le volte che si voglia verificare con l’analisi SWOT la correttezza delle scelte aziendali. E’ precompilata in parte solo a fini illustrativi,e per evidenziare come i numeri in uscita vanno immessi
preceduti dal segno negativo. Per ogni informazione sul significato dei termini, servitevi degli
Allegati riportati, consultando le indicazioni fornite.
Per utilizzo internazionale si riporta la scheda anche in versione inglese (Profit & Loss Bidding
Estimate)
La scheda di Profitti e Perdite di Prodotto (Preventivo) rappresenta una forma più dettagliata di
bilancio preventivo di prodotto, con analisi più dettagliata delle voci di imputazione.
La scheda di Bilancio P&P di Prodotto serve anche per la raccolta di informazioni che vanno
apprezzate dall’analista. I dati raccolti (di marketing, tecnici, e di produzione) forniscono
all’impresa informazioni inferenti la conduzione passata del prodotto, e le aspettative sul mercato a
breve e medio termine del prodotto.
La scheda di Bilancio P&P di Prodotto consente all’azienda di esaminare sia un singolo prodotto
che l’insieme di business aziendale. E’ programmata come la scheda di Bilancio Profitti e Perdite,
per cui anche per questa l’utilizzatore non deve imputare dati sulle righe e colonne evidenziate in
giallo. Unita alle altre schede contribuisce ad aggiungere informazioni sull’andamento aziendale
che vi consentono di prendere con maggiori informazioni le vostre decisioni aziendali.
Nella versione inglese Product P&L Statement la scheda riporta gli stessi dati che nella versione
italiana.
La scheda di Revisione e Approvazione, nella versione inglese Review and Approval, è un foglio
di lavoro non programmato, da usare solo per la raccolta di informazioni per la revisione di ogni
attività di prodotto, sia nuovo o da revisionare.
La scheda Sommario di Bilancio P&P di Prodotto, nella versione inglese Product P&L, è
anch’esso un foglio non programmato da usare solo per la raccolta di informazioni.
La scheda Flusso di cassa attualizzato (Impianti), in versione inglese Discounted Cash Flow
(Implant) è un foglio di lavoro programmato per l’analisi di flusso cumulato di capitali di aziende
impiantistiche.
Nella sua compilazione l’utilizzatore inserisce i dati in entrati ed in uscita esattamente secondo il
loro flusso temporale, senza tener particolare conto della ripartizione della loro natura o funzione.
Questa scheda analizza il flusso di cassa per evidenziare quando e di quanto l’azienda ha bisogno
per alimentare i sui bisogni di cassa. L’utilizzatore esperto può apportare modifiche migliorative che
possono essere anche più utili, con la raccomandazione di non modificare la disposizione delle
righe con aggiunta o cancellazione di alcune di esse, in quanto questo aspetto annulla il corretto
procedimento di calcolo.
La scheda Flusso di cassa attualizzato (Dettaglio alimentare), in versione inglese Discounted
Cash Flow (Consumer Food) è, come la precedente, un foglio di lavoro programmato per l’analisi
del flusso di cassa di un negozio (di qualsiasi dimensione) alimentari, o generi vari.
3.10.2 – Abbandono del prodotto (Product Phase-Out)
INTRODUZIONE
Il sommario per la fase d’abbandono del prodotto va usato per documentare la strategia ed i
programmi per eliminare il prodotto dalla gamma aziendale, e per documentare l’impatto che questo
può avere sui clienti, sui contratti ancora in essere e sulle risorse aziendali, incluse le facilities, la
forza lavoro, i capitali, ecc. L’unità interessata deve tenere in considerazione, inoltre, le
implicazioni legali, brevettali, e le relazioni pubbliche e fiscali che possono derivare dall’abbandono
del prodotto, documentandone i potenziali problemi e rilevanze essenziali.
Il responsabile del product planning deve cominciare a preparare il Sommario d’Abbandono del
Prodotto non appena si decida di abbandonare il prodotto.
Le vendite, i dati finanziari dettagliati per la fase d’abbandono del prodotto vanno ancora
documentati tramite il bilancio Profitti e Perdite di Prodotto, oppure tramite la Scheda d’Analisi
Finanziaria del Prodotto. Il Documento di Revisione e Approvazione va utilizzato per far circolare
le informazioni del Sommario d’Abbandono e del Bilancio Profitti e Perdite di Prodotto. Questi
documenti vanno aggiornati almeno una volta l’anno.
INFORMAZIONI RICHIESTE
Le seguenti informazioni sono essenziali per il Sommario d’Abbandono del Prodotto.
1. Motivi per l’abbandono del prodotto
Elencate e commentate le ragioni che giustificano l’abbandono del prodotto.
Ad esempio:
a) Il prodotto sta diventando obsoleto e sarà rimpiazzato da un altro di nuova
generazione.
b) Mercato e profitto sono in declino. Usiamo le risorse altrove.
c) Non possiamo competere con prodotti similari sul mercato.
2. Impatto sulle risorse aziendali
Commentate appropriatamente l’impatto sulle seguenti risorse:
a) Capitali
b) Forza lavoro
c) Programmi di ricerca e sviluppo
d) Impianti e facilities
e) Immobili
f) Inventari
Cosa viene fatto con le risorse liberate dall’abbandono del prodotto?
3. Impatto finanziario
a) Descrivere i costi d’abbandono per i prossimi tre anni
b) Descrivere tutti i costi continui che non vengono abbandonati o assorbiti
c) Indicate se i costi continui saranno assorbiti da operazioni correnti o da nuovi
prodotti.
d) Indicate lo schema di stabilimento dopo l’abbandono o la vendita.
4. Impatto sui clienti e sui contratti
Valutate l’impatto, se esiste, sulle relazioni con i clienti e sui contratti.
5. Relazioni pubbliche e fiscali, implicazioni giuridiche, brevetti
Documentate le principali considerazioni o problemi che possono sorgere nell’area
giuridica, dei brevetti, e delle relazioni pubbliche e fiscali a seguito dell’abbandono del
prodotto.
6. Strategia e pianificazione d’abbandono
Basandovi sulle considerazioni suesposte, elaborate la vostra strategia d’abbandono del
prodotto.
7. Tappe ed attività per l’abbandono
Indicate le tappe e le attività del piano d’abbandono con le relative date d’inizio e fine.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
3.13 – CRITERI GENERALI RIASSUNTIVI SULLA VALUTAZIONE
DELLA CAPACITÀ DI CREDITO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
3.13.1 – L’impresa ed il suo business
Il finanziatore vuole comprendere la capacità competitiva dell’impresa acquisendo, assieme ad essa,
tutte le possibili informazioni sul marketing, sulla produzione, sulla ricerca e sviluppo di nuovi
prodotti, sulla commercializzazione, sulla finanza, e sulla qualità totale dell’impresa, tenendo in
stretta considerazione le caratteristiche del settore e della dinamica della concorrenza e del
consumo. Ad es.:
! Natura giuridica dell’impresa
! Struttura proprietaria
! Settore di attività
! Analisi di marketing
! Beni o servizi
! Principali concorrenti
! Canali di vendita
! Analisi tecnica
! Analisi finanziaria
! Analisi di qualità totale
3.13.2 – Le finalità del finanziamento
Una informazione precisa e completa consente al finanziatore di individuare la natura e l’origine dei
fabbisogni finanziari dell’impresa e quindi di studiare ed erogare finanziamenti personalizzati atti a
soddisfare nella maniera più adeguata le sue esigenze. Ad esempio:
! Finanziamento del capitale circolante per colmare la differenza che esiste tra incassi e
pagamenti connessi con la gestione corrente.
! Il finanziamento di investimenti destinati ad accrescere o a modificare la capacità produttiva
dell’impresa o di investimenti sostitutivi di impianti o macchinari
! La sostituzione di finanziamenti in essere con altri più congeniali alla struttura patrimoniale
e alla dinamica finanziaria dell’impresa (finanziamenti a breve con finanziamenti a
medio/lungo termine in coerenza con la durata degli attivi).
3.13.3 – La capacità di rimborso dell’impresa
L’analisi della capacità di rimborso permette al finanziatore di verificare l’esistenza delle condizioni
economiche e finanziarie per il successo dell’iniziativa ed il rimborso del capitale prestato, che
supportino la decisione di finanziamento. Ad esempio:
! Per finanziamenti a breve termine legati all’operatività corrente, quali l’anticipo o lo sconto
di crediti volti a coprire il fabbisogno finanziario del circolante commerciale, le banche si
basano su metodologie consolidate fondate sulla valutazione della capacità dell’impresa di
produrre flussi di cassa nel breve termine e dell’equilibrio della sua situazione finanziaria e
patrimoniale.
! Per finanziamenti a medio/lungo termine le banche conducono un’analisi che punta a
valutare la capacità prospettica dell’impresa di rimborsare negli anni futuri il prestito,
facendo prevalere lo studio e l’interpretazione dei flussi economici che l’impresa sarà in
grado di generare.
3.13.4 – Il capitale investito dai soci o dall’imprenditore (capitale finanziario e capitale
tecnologico).
Il capitale investito dall’imprenditore o dai soci rappresenta l’insieme delle risorse finanziarie che
questi destinano al finanziamento dell’impresa. Di fronte a nuove iniziative o ad iniziative nuove il
capitale di rischio rappresenta per le banche un importante indicatore di fiducia dell’imprenditore e
dei soci, e quindi del rischio che gli stessi assumono a proprio carico.
Le banche, comunque, non sanno tener conto delle risorse umane ed intellettuali che l’imprenditore
o gli imprenditori investono nelle loro iniziative.
E’ buona norma dell’imprenditore saper e voler dimostrare il valore anche finanziario delle risorse
umane ed intellettuali profuse nell’iniziativa.
Questa è certamente l’aspetto preponderante del capitalismo del futuro: saper ragionare non solo in
termini di valere finanziario, ma anche di valore tecnologico.
3.13.5 – Le garanzie per la mitigazione del rischio
Le garanzie rilasciate dal debitore sono gli strumenti che attenuano il rischio finanziario cui si
espone un finanziatore erogando credito, che consentono all’impresa di accedere ai finanziamenti
anche quando vi possano essere elementi di incertezza circa il suo merito di credito. Queste
garanzie, quindi, non modificano il profilo di rischio economico-finanziario dell’iniziativa
finanziata, ma pongono questo rischio interamente a carico di specifiche quote del patrimonio
aziendale, o più genericamente, a carico del patrimonio di terzi interessati. A nostro sommesso
avviso, un credito mitigato da collaterali non è credito, bensì “anticipo pro solvendo”.
3.13.6 – Il sistema delle relazioni tra finanziatore ed impresa
L’analisi delle relazioni tra finanziatore e finanziato risulta di importanza quasi essenziale, in
quanto la conoscenza diretta fondata sui rapporti avuti in passato in termini di trasparenza e
tempestività fornisce indicazioni sulla solvibilità, capacità e volontà di fare fronte ai propri impegni
nei confronti del finanziatore e costituisce, quindi, un importante elemento di valutazione del
rischio di credito all’impresa.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Parte IV
Il rischio di mercato
4.1 – Pubblicità delle informazioni bancarie
L’analisi del rischio di mercato è il terzo pilastro su cui si fonda l’Accordo di Basilea.
In poche parole, mentre nel pilastro del requisito patrimoniale è la banca che analizza il rischio
dell’azienda, nel terzo pilastro è questa che analizza il rischio della banca.
“Il Comitato ritiene che le motivazioni su cui si fonda il terzo pilastro siano sufficientemente solide
da giustificare l’introduzione di requisiti di informativa al pubblico per le banche che utilizzano il
Nuovo Accordo (Cfr. Parte IV – Nuovo Accordo di Basilea sui Requisiti Patrimoniali). Le autorità
di vigilanza dispongono di una serie di misure per richiedere alle banche il rispetto di tali requisiti.
Alcuni di loro fungeranno da criteri d’idoneità per l’impiego di talune metodologie o il
riconoscimento di particolari strumenti e operazioni” Questo è quanto afferma il documento
dell’Accordo di Basilea nel primo paragrafo delle Considerazioni generali relative al terzo pilastro,
e significa, come stabilito nel paragrafo successivo, che “il pubblico” è autorizzato a richiedere tutte
le informazioni previste dall’Accordo per verificare la solidità della banca.
Questa, pertanto, deve consentire agli operatori di valutare informazioni fondamentali per quanto
concerne operatività, patrimonio, processi di valutazione ed esposizione al rischio e, di
conseguenza, la sua adeguatezza patrimoniale. In effetti, nell’opinione del Comitato di Basilea tali
requisiti assumono una particolare rilevanza giacché il Nuovo Accordo, concedendo risalto alle
metodologie interne, concede alle banche una maggiore discrezionalità in sede di valutazione
dell’adeguatezza patrimoniale.
Le autorità di vigilanza hanno la potestà di chiedere alle banche di fornire informazioni nell’ambito
delle periodiche segnalazioni di vigilanza, e possono decidere di rendere disponibili alcune (o tutte)
le informazioni contenute in queste segnalazioni. Queste, inoltre, possono assicurare il rispetto dei
requisiti di trasparenza con meccanismi che vanno dalla “moral suasion”, che opera attraverso il
dialogo con le direzioni bancarie volto a modificare i comportamenti di queste ultime, fino ai
richiami ed alle sanzioni pecuniarie. Oltre alle misure generali sopra descritte, il Nuovo Accordo
prevede anche la possibilità di ricorrere a provvedimenti specifici. “Nei casi in cui l’informativa al
pubblico rientra nei criteri di idoneità del primo pilastro alla cui osservanza è subordinato
l’ottenimento di ponderazioni di rischio più basse e/o l’impiego di specifiche metodologie, sono
previste sanzioni dirette (nella fattispecie, divieto di applicare la ponderazione o la metodologia
richieste).
4.2 – Rilevanza e frequenza delle informazioni pubblicate
Ogni informazione si considera “rilevante” se la sua omissione o errata affermazione può
modificare o influenzare il giudizio o le decisioni degli utenti che si affidano ad essa. Il Comitato
riconosce la necessità di disporre di parametri qualitativi per stabilire se, in particolari circostanze,
un operatore che impieghi informazioni finanziarie allo scopo di assumere decisioni considererebbe
l’ informazione in questione rilevante o meno (“user test”). (Cfr. Parte IV – Nuovo Accordo di
Basilea sui Requisiti Patrimoniali).
Dal momento che esistono difficoltà di determinazione e rischi di possibili manipolazioni, il
Comitato di Basilea non ha fissato specifiche soglie di trasparenza, e ritiene che lo “user test”
costituisca un utile parametro per conseguire un livello adeguato di informazione.
“Le segnalazioni previste dal terzo pilastro dovrebbero essere note con cadenza semestrale, fatte le
seguenti eccezioni. Le informazioni qualitative che offrono una sintesi generale di politiche,
obiettivi, sistemi di “reporting” e definizioni in materia di gestione del rischio di una banca possono
essere pubblicate con cadenza annuale. In considerazione dell’accresciuta sensibilità al rischio del
Nuovo Accordo, nonché della diffusa tendenza verso una maggiore frequenza delle segnalazioni
riscontrata sui mercati dei capitali, le grandi istituzioni attive a livello internazionale e le banche
principali (comprese le loro maggiori filiazioni bancarie) devono notificare su base trimestrale i
propri coefficienti patrimoniali di base e totali, unitamente ai rispettivi elementi che li compongono.
Inoltre, le banche dovrebbero parimenti segnalare su base trimestrale allorché le informazioni sulle
esposizioni al rischio o su altre voci sono suscettibili di rapidi cambiamenti. In ogni caso, le
informazioni rilevanti andrebbero pubblicate non appena si rendono disponibili.
4.3 – Informazioni esclusive e confidenziali
Sono da considerare esclusive, secondo l’Accordo, ad es., “quelle informazioni su prodotti o sistemi
che, ove rese note alla concorrenza, rischiano di diminuire il valore dell’investimento di una banca
in tali prodotti o sistemi, intaccando in tal modo la sua posizione competitiva. Le informazioni sulle
controparti sono spesso confidenziali, perché ricevute nell’ambito di un accordo contrattuale o di un
rapporto di clientela. Tutto ciò influisce sia sul contenuto delle informazioni pubblicabili dalle
banche riguardo alla loro base di clienti, sia sui dettagli circa le loro politiche e procedure interne,
ad esempio in materia di metodologie impiegate, stime dei parametri, dati, ecc. Il Comitato ritiene
che i requisiti di seguito descritti contemperino in modo appropriato la necessità di pubblicare
informazioni significative con le esigenze di protezione delle informazioni esclusive e confidenziali.
In casi eccezionali, la diffusione di talune voci richieste nel terzo pilastro potrebbe arrecare grave
pregiudizio alla posizione della banca indotta a rendere note informazioni a carattere esclusivo o
confidenziale. In tali evenienze, la banca potrà evitare di notificare queste voci specifiche,
impegnandosi tuttavia a trasmettere quelle di natura più generale attinenti al requisito in oggetto,
precisando altresì la propria decisione e i motivi per cui non sono state comunicate quelle particolari
voci specifiche. Questa limitata esenzione non vuole peraltro porsi in conflitto con gli obblighi di
1
trasparenza previsti dagli standard contabili”.
4.4 – Requisiti di trasparenza delle informazioni e ambito d’applicazione
Le banche dovrebbero dotarsi, secondo il Comitato, di “una strategia documentata di informazione
al pubblico, ed approvata dal Consiglio di Amministrazione, in cui “sia esplicitato l’approccio
dell’azienda nella determinazione delle informazioni da pubblicare e dei controlli interni da
2
effettuare lungo l’intero processo informativo”
.
Per quanto concerne l’ambito di applicazione, va rilevato che il terzo pilastro si applica a livello di
vertice su base consolidata ai gruppi bancari destinatari dell’Accordo, e che la pubblicazione di
informazioni relative alle singole banche interne al gruppo non è in genere soggetta ai requisiti di
trasparenza di seguito riportati, ad eccezione della pubblicazione dei coefficienti patrimoniali di
base e totali del vertice dell’entità consolidata, per la quale risulta invece appropriata un’analisi
delle singole banche appartenenti al gruppo. Tale analisi è volta a suffragare la necessità delle
banche di conformarsi all’Accordo sui requisiti patrimoniali, nonché alle altre limitazioni
applicabili al trasferimento di fondi o capitale all’interno del gruppo.
Di seguito elenchiamo i requisiti di trasparenza previsti dal terzo pilastro:
!
!
Ambito d’applicazione
Struttura patrimoniale
Cfr. Il Nuovo Accordo, Para. 768, Terzo Pilastro, pag. 138 (Cfr. Parte IV – Nuovo Accordo di Basilea sui Requisiti
Patrimoniali).
2
Cfr, ditto, pag. 139
1
!
!
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!
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!
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!
!
Adeguatezza patrimoniale
Rischio di credito: informazioni generali per la totalità delle banche
Rischio di credito: informazioni su portafogli soggetti al metodo standard e ponderazioni di
rischio prudenziali nei sistemi IRB
Rischio di credito: informazioni su portafogli soggetti ai metodi IRB
Esposizioni bancarie: informazioni sulle posizioni del “banking book”
Mitigazione del rischio di credito: informazioni per metodi standard e IRB
Cartolarizzazione d’attività: informazioni per metodi standard e IRB
Rischio di mercato: informazioni per le banche che usano il metodo standard
Rischio di mercato: informazioni per le banche che utilizzano il metodo dei modelli interni
(“internal models approach” – IMA) per i portafogli di negoziazione
Rischio operativo
Rischio di tasso d’interesse nel “banking book”
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Parte V
La formazione al Risk Management
Il Corso di Apprezzamento e gestione del rischio, in versione inglese Corse on Risk Assessment
and Management può essere di supporto a quanti vogliano approfondire gli argomenti trattati in
questo lavoro
Per ogni eventuale chiarimento, o per ulteriori informazioni l’autore rimane a disposizione del
lettore, che può inviare richiesta di informazioni a [email protected]
Parte VI
Le certificazioni del rischio e le relative procedure
6.1 - La certificazione del rischio
In un contesto di business globalizzato caratterizzato dalla tendenza all’unificazione dei
mercati, l’efficienza dell’impresa si fonda sempre più su parametri “obbligati” per tutte le realtà
in essa impegnate: know-how, innovazione, flessibilità e, soprattutto, organizzazione, gioca un
ruolo primario l’assunzione del rischio quale strumento in grado di generare “differenza” tra le
imprese e orientare le preferenze da parte del consumatore.
Occorre progettare e costruire un buon Sistema di Rischio a misura della propria azienda e
delle sue specifiche esigenze.
Una volta implementato e testato in chiave applicativa il Sistema Rischio, la certificazione
dell’azienda diventa una naturale conseguenza.
I risultati di un buon Sistema Rischio possono essere:
# Diminuzione dei costi e aumento del profitto del produttore e del consumatore
# Migliori rapporti con la clientela
# Aumento della fiducia dei finanziatori
# Aumento della responsabilità e del rispetto sociale
La Certificazione del Rischio
Occorre che l’imprenditore scelga l’Organismo di Certificazione secondo i seguenti parametri
fondamentali:
o Riconoscibilità e visibilitàinternazionale dell’Organismo di Certificazione
o Numero di aziende certificate
o Modalità, costi e tempidella documentazione, verifica ispettiva, rilascio del certificato e
visite periodiche di mantenimento.
Sarà opportuno fare una prima selezione restringendo la rosa degli Organismi , quindi richiedere a
ciascuno di loro una documentazione completa ed un preventivo dettagliato (si può fare anche per
telefono o fax). Esaminate attentamente le varie proposte e, scelta la più opportuna, sarà necessario
definire esattamente tutti i dettagli contrattuali.
L’Analista esterno
Nelle PMI si svolgono le stesse operazioni di controllo del rischio che si svolgono nelle grandi
multinazionali, con la sola differenza che nelle piccole e medie imprese e, finanche in quelle
individuali, queste funzioni sono svolte dal titolare con processi mentali e abbreviati, ma che
portino alle stesse rilevazioni di quelle delle grandi imprese.
Ove necessario, la scelta del “giusto analista” si presenta come un aspetto di vitale importanza al
fine dell’ottenimento dei migliori risultati e, pertanto, va effettuata con ponderatezza, razionalità, ed
affidabilità.
Con questo non vogliamo dire che l’imprenditore debba essere necessariamente un esperto per
scegliere il partner analista più adatto. Sarà semplicemente opportuno che egli segua alcune regole
di buon senso, esattamente come fa quando deve assumere un nuovo collaboratore, acquistare un
macchinario o accettare un nuovo cliente.
Le regole per la scelta dell’analista
! Raccogliere una serie di nominativi presso fonti affidabili (la propria associazione di
categoria, un’associazione di analisti di rischio, un conoscente di fiducia che abbia già un
rapporto con l’Organismo da scegliere, ecc.)
! Contattare l’analista chiedendo una presentazione della propria ditta, dei servizi offerti e
delle referenze.
! Ridurre i candidati ad un numero minimo e sulla base della loro documentazione richiedere
il preventivo.
! Mettere a confronto le offerte migliori e approfondire i dettagli con colloqui separati (anche
l’impatto umano dell’analista ha la sua importanza)
! Scegliere finalmente il partner analista preoccupandosi di mettere a punto nei minimi
dettagli il contratto, soprattutto per ciò che riguarda i parametri fondamentali (ore di
intervento da erogare e con quale frequenza; eventuale programma di formazione;durata
dell’intervento finalizzato all’ottenimento di una certificazione.
! Una volta finalizzato l’intervento, monitorare periodicamente l’operato; il buon analista
pianifica e programma gli obiettivi di ogni seduta di analisi, stila un rapporto su quanto è
stato svolto, sui “compiti” che l’azienda dovrà effettuare prima della prossima seduta e, se
del caso, informa tempestivamente di eventuali ritardi sul programma.
Otto principi di gestione del rischio
" ORGANIZZAZIONE ORIENTATA AL CLIENTE
" LEADERSHIP
" COINVOLGIMENTO DEL PERSONALE
" VISIONE SISTEMICA DELLA GESTIONE AZIENDALE
" MIGLIORAMENTO CONTINUO
" DECISIOONI BASATE SU DATI ED ELEMENTI ATTENDIBILI E RAZIONALI
" RAPPORTO DI RECIPROCA UTILITA’ CON I CLIENTI
Le regole d’oro per le piccole e medie imprese
a) Capire che creare un Sistema Rischio costa denaro e fatica, e perciò deve tradursi in uno
strumento di sviluppo aziendale. La Proprietà deve crederci e partecipare attivamente a tutte
le sue fasi.
b) Evitare di avere come obiettivo principale il Certificato: occorre progettare e costruire un
buon Sistema Rischio, esattamente a misura della singola azienda e delle sue specifiche
esigenze. Una volta che questo sarà implementato e realmente applicato, la sua
Certificazione rappresenterà una conseguenza naturale, sia per il suo valore d’immagine e di
impatto commerciale sia per la possibilità di far valutare il lavoro svolto da un ente terzo (la
banca) indipendente e riconosciuto.
c) Scegliere bene l’Organismo esterno che dovrà supportare il lavoro dell’azienda attraverso
una selezione accurata di più offerte.
d) Individuare un responsabile interno in possesso di elevata conoscenza del modo di lavorare
dell’azienda e dei processi interni, che dovrà interfacciarsi con l’analista esterno e con tutto
il personale. Questi dovrà ricevere dalla proprietà le opportune responsabilità e deleghe a
disporre di capacità relazionali, sufficienti a favorire la creazione di uno spirito di gruppo fra
tutti i dipendenti.
e) Progettare il Sistema Rischio in funzione della specifica realtà aziendale e delle sue precise
esigenze. Il sistema non deve essere semplicemente conforme a delle norme di riferimento,
bensì il più possibile semplice e applicabile, meno ridondante e burocratico possibile.
f) Motivare e coinvolgere tutto il personale: la costruzione del Sistema Rischio deve essere
frutto del lavoro di tutti e la sua Certificazione deve rappresentare il raggiungimento di un
obiettivo di gruppo, condiviso da tutti. Non dimentichiamo che il controllo del rischio senza
la responsabilità degli uomini non si può ottenere.
g) La Certificazione è solo un primo obiettivo parziale, un po’ come un diploma di maturità.
Un primo step dal quale avviare la totale applicazione del Sistema Rischio e il suo continuo
miglioramento.
6.2 – Introduzione al rating
Il termine “rating” indica una valutazione, un giudizio. Valutazione o giudizio sull’impresa nella
sua capacità ad avere successo, quindi a generare il profitto necessario al pagamento dei suoi oneri
finanziari verso i soci e verso i creditori per l’acquisizione dei fattori produttivi.
Il rating è quindi orientato a definire quanto e quale rischio (visibile/occulto, assicurabile/non
assicurabile, ecc.) l’impresa stia correndo, e se la stessa è in rado di correre quel rischio.
In accordo col Basilea 2, e con le principali agenzia di rating internazionali, usiamo una scala
ordinale suddivisa in 10 classi di merito, come definito dalla tabella sottostante:
Classe di rating
Aspetto A
AAA
AA
A
BBB
BB
B
CCC
C
C
D
*
Aspetto B
Aspetto C
Aspetto ….n
*
*
*
Un rating di tipo A, o superiore, implica una valutazione di scarso o quasi nullo rischio, mentre un
rating di tipo C indica un elevato livello di rischio, ed una valutazione di tipo D un default molto
probabile.
6.3 - Il rating di bilancio
Nel rating di bilancio la valutazione si limita ad osservare la logica e la congruenza dei dati di
bilancio mediante la sua riclassificazione. Nessun altro giudizio viene espresso, se non quello che
deriva dall’analisi dei dati e dalla loro comparazione..
Per tutti gli operatori che non hanno l’onere del bilancio formale, forniamo una scheda per la
compilazione del flusso di cassa annuale, dal quale ricaviamo un bilancio formale da sottoporre a
valutazione.
Il rating di bilancio può essere certificato con due documenti distinti:
- La riclassificazione del bilancio
- L’analisi degli indici di bilancio, che deve include anche la sua riclassificazione.
A nostro sommesso avviso, un’analisi di rischio con la sola analisi dei dati di bilancio non può
raccontare tutta la verità, né può garantire di raccontarla.
Troppi eventi recenti hanno dimostrato come le agenzie di rating più qualificate abbiano preso
solenni cantonate finanche con imprese multinazionali che mai avrebbero fatto intendere quello che
poi si è verificato. D'altronde, l’Accordo di Basilea 2 è nato proprio per dare una mano alla finanza
per arginare fenomeni di questo tipo.
6.4 - Il rating d’impresa
Nel rating d’impresa, attraverso un’analisi dettagliata di tutte le funzioni aziendali, si possono
evidenziare tutti i momenti di rischio, e decidere con il management se il rischio va eliminato,
trasferito, oppure gestito.
I settori d’impresa sui quali va riferita un’analisi di rischio abitualmente sono:
- direzione d’impresa
- Marketing
- R&S ed ingegnerizzazione
- Ambiente
- Risorse umane
- Qualità Totale
- Amministrazione e finanza
- Vendite
- Produzione
Oltre che all’analisi totale di rischio si possono prevedere interventi molto più localizzati ed
approfonditi, per intervenire in settori molto specialistici che possono riguardare sia le grandi che le
piccole e piccolissime impresi.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Parte VI
Le certificazioni del rischio e le relative procedure
6.1 - La certificazione del rischio
In un contesto di business globalizzato caratterizzato dalla tendenza all’unificazione dei
mercati, l’efficienza dell’impresa si fonda sempre più su parametri “obbligati” per tutte le realtà
in essa impegnate: know-how, innovazione, flessibilità e, soprattutto, organizzazione, gioca un
ruolo primario l’assunzione del rischio quale strumento in grado di generare “differenza” tra le
imprese e orientare le preferenze da parte del consumatore.
Occorre progettare e costruire un buon Sistema di Rischio a misura della propria azienda e
delle sue specifiche esigenze.
Una volta implementato e testato in chiave applicativa il Sistema Rischio, la certificazione
dell’azienda diventa una naturale conseguenza.
I risultati di un buon Sistema Rischio possono essere:
# Diminuzione dei costi e aumento del profitto del produttore e del consumatore
# Migliori rapporti con la clientela
# Aumento della fiducia dei finanziatori
# Aumento della responsabilità e del rispetto sociale
La Certificazione del Rischio
Occorre che l’imprenditore scelga l’Organismo di Certificazione secondo i seguenti parametri
fondamentali:
o Riconoscibilità e visibilitàinternazionale dell’Organismo di Certificazione
o Numero di aziende certificate
o Modalità, costi e tempidella documentazione, verifica ispettiva, rilascio del certificato e
visite periodiche di mantenimento.
Sarà opportuno fare una prima selezione restringendo la rosa degli Organismi , quindi richiedere a
ciascuno di loro una documentazione completa ed un preventivo dettagliato (si può fare anche per
telefono o fax). Esaminate attentamente le varie proposte e, scelta la più opportuna, sarà necessario
definire esattamente tutti i dettagli contrattuali.
L’Analista esterno
Nelle PMI si svolgono le stesse operazioni di controllo del rischio che si svolgono nelle grandi
multinazionali, con la sola differenza che nelle piccole e medie imprese e, finanche in quelle
individuali, queste funzioni sono svolte dal titolare con processi mentali e abbreviati, ma che
portino alle stesse rilevazioni di quelle delle grandi imprese.
Ove necessario, la scelta del “giusto analista” si presenta come un aspetto di vitale importanza al
fine dell’ottenimento dei migliori risultati e, pertanto, va effettuata con ponderatezza, razionalità, ed
affidabilità.
Con questo non vogliamo dire che l’imprenditore debba essere necessariamente un esperto per
scegliere il partner analista più adatto. Sarà semplicemente opportuno che egli segua alcune regole
di buon senso, esattamente come fa quando deve assumere un nuovo collaboratore, acquistare un
macchinario o accettare un nuovo cliente.
Le regole per la scelta dell’analista
! Raccogliere una serie di nominativi presso fonti affidabili (la propria associazione di
categoria, un’associazione di analisti di rischio, un conoscente di fiducia che abbia già un
rapporto con l’Organismo da scegliere, ecc.)
! Contattare l’analista chiedendo una presentazione della propria ditta, dei servizi offerti e
delle referenze.
! Ridurre i candidati ad un numero minimo e sulla base della loro documentazione richiedere
il preventivo.
! Mettere a confronto le offerte migliori e approfondire i dettagli con colloqui separati (anche
l’impatto umano dell’analista ha la sua importanza)
! Scegliere finalmente il partner analista preoccupandosi di mettere a punto nei minimi
dettagli il contratto, soprattutto per ciò che riguarda i parametri fondamentali (ore di
intervento da erogare e con quale frequenza; eventuale programma di formazione;durata
dell’intervento finalizzato all’ottenimento di una certificazione.
! Una volta finalizzato l’intervento, monitorare periodicamente l’operato; il buon analista
pianifica e programma gli obiettivi di ogni seduta di analisi, stila un rapporto su quanto è
stato svolto, sui “compiti” che l’azienda dovrà effettuare prima della prossima seduta e, se
del caso, informa tempestivamente di eventuali ritardi sul programma.
Otto principi di gestione del rischio
" ORGANIZZAZIONE ORIENTATA AL CLIENTE
" LEADERSHIP
" COINVOLGIMENTO DEL PERSONALE
" VISIONE SISTEMICA DELLA GESTIONE AZIENDALE
" MIGLIORAMENTO CONTINUO
" DECISIOONI BASATE SU DATI ED ELEMENTI ATTENDIBILI E RAZIONALI
" RAPPORTO DI RECIPROCA UTILITA’ CON I CLIENTI
Le regole d’oro per le piccole e medie imprese
a) Capire che creare un Sistema Rischio costa denaro e fatica, e perciò deve tradursi in uno
strumento di sviluppo aziendale. La Proprietà deve crederci e partecipare attivamente a tutte
le sue fasi.
b) Evitare di avere come obiettivo principale il Certificato: occorre progettare e costruire un
buon Sistema Rischio, esattamente a misura della singola azienda e delle sue specifiche
esigenze. Una volta che questo sarà implementato e realmente applicato, la sua
Certificazione rappresenterà una conseguenza naturale, sia per il suo valore d’immagine e di
impatto commerciale sia per la possibilità di far valutare il lavoro svolto da un ente terzo (la
banca) indipendente e riconosciuto.
c) Scegliere bene l’Organismo esterno che dovrà supportare il lavoro dell’azienda attraverso
una selezione accurata di più offerte.
d) Individuare un responsabile interno in possesso di elevata conoscenza del modo di lavorare
dell’azienda e dei processi interni, che dovrà interfacciarsi con l’analista esterno e con tutto
il personale. Questi dovrà ricevere dalla proprietà le opportune responsabilità e deleghe a
disporre di capacità relazionali, sufficienti a favorire la creazione di uno spirito di gruppo fra
tutti i dipendenti.
e) Progettare il Sistema Rischio in funzione della specifica realtà aziendale e delle sue precise
esigenze. Il sistema non deve essere semplicemente conforme a delle norme di riferimento,
bensì il più possibile semplice e applicabile, meno ridondante e burocratico possibile.
f) Motivare e coinvolgere tutto il personale: la costruzione del Sistema Rischio deve essere
frutto del lavoro di tutti e la sua Certificazione deve rappresentare il raggiungimento di un
obiettivo di gruppo, condiviso da tutti. Non dimentichiamo che il controllo del rischio senza
la responsabilità degli uomini non si può ottenere.
g) La Certificazione è solo un primo obiettivo parziale, un po’ come un diploma di maturità.
Un primo step dal quale avviare la totale applicazione del Sistema Rischio e il suo continuo
miglioramento.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
6.2 – Introduzione al rating
Il termine “rating” indica una valutazione, un giudizio. Valutazione o giudizio sull’impresa nella
sua capacità ad avere successo, quindi a generare il profitto necessario al pagamento dei suoi oneri
finanziari verso i soci e verso i creditori per l’acquisizione dei fattori produttivi.
Il rating è quindi orientato a definire quanto e quale rischio (visibile/occulto, assicurabile/non
assicurabile, ecc.) l’impresa stia correndo, e se la stessa è in rado di correre quel rischio.
In accordo col Basilea 2, e con le principali agenzia di rating internazionali, usiamo una scala
ordinale suddivisa in 10 classi di merito, come definito dalla tabella sottostante:
Classe di rating
Aspetto A
AAA
AA
A
BBB
BB
B
CCC
C
C
D
*
Aspetto B
Aspetto C
Aspetto ….n
*
*
*
Un rating di tipo A, o superiore, implica una valutazione di scarso o quasi nullo rischio, mentre un
rating di tipo C indica un elevato livello di rischio, ed una valutazione di tipo D un default molto
probabile.
6.3 - Il rating di bilancio
Nel rating di bilancio la valutazione si limita ad osservare la logica e la congruenza dei dati di
bilancio mediante la sua riclassificazione. Nessun altro giudizio viene espresso, se non quello che
deriva dall’analisi dei dati e dalla loro comparazione..
Per tutti gli operatori che non hanno l’onere del bilancio formale, forniamo una scheda per la
compilazione del flusso di cassa annuale, dal quale ricaviamo un bilancio formale da sottoporre a
valutazione.
Il rating di bilancio può essere certificato con due documenti distinti:
- La riclassificazione del bilancio
- L’analisi degli indici di bilancio, che deve include anche la sua riclassificazione.
A nostro sommesso avviso, un’analisi di rischio con la sola analisi dei dati di bilancio non può
raccontare tutta la verità, né può garantire di raccontarla.
Troppi eventi recenti hanno dimostrato come le agenzie di rating più qualificate abbiano preso
solenni cantonate finanche con imprese multinazionali che mai avrebbero fatto intendere quello che
poi si è verificato. D'altronde, l’Accordo di Basilea 2 è nato proprio per dare una mano alla finanza
per arginare fenomeni di questo tipo.
6.4 - Il rating d’impresa
Nel rating d’impresa, attraverso un’analisi dettagliata di tutte le funzioni aziendali, si possono
evidenziare tutti i momenti di rischio, e decidere con il management se il rischio va eliminato,
trasferito, oppure gestito.
I settori d’impresa sui quali va riferita un’analisi di rischio abitualmente sono:
- direzione d’impresa
- Marketing
- R&S ed ingegnerizzazione
- Ambiente
- Risorse umane
- Qualità Totale
- Amministrazione e finanza
- Vendite
- Produzione
Oltre che all’analisi totale di rischio si possono prevedere interventi molto più localizzati ed
approfonditi, per intervenire in settori molto specialistici che possono riguardare sia le grandi che le
piccole e piccolissime impresi.
6.5 – Le principali agenzie di rating
- Standard &Poor Pag. 2 Pag 3
- Moody’s
- Fitch Pag. 2 Pag. 3 Pag. 4
- GBS
Rappresentano in Italia le principali agenzie di rating.
L’agenzia di rating è una unità indipendente tra finanziatore ed impresa che esprime un giudizio
personale sul rischio quantitativo e qualitativo dell’impresa, riportato su una tabella convenzionale
che lista il livello di rating da “AAA” (massimo) fino a “D” (insolvenza)
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
6.6 – TABELLE DI RATING
I crediti emessi hanno diverso rischio di essere rimborsati a scadenza: si va dalla sostanziale
certezza di rimborso per crediti emessi a imprese a basso rischio di insolvenza, ad imprese con la
probabilità di insolvenza.
L’affidabilità delle imprese è misurata dal giudizio espresso dalle banche con le loro procedure
interne, o da soggetti specializzati indipendenti che sono le agenzie di rating.
Questi giudizi sono espressi da un voto chiamato rating. A rating peggiori si associa un rischio di
mancato rimborso più alto e quindi accantonamenti bancari maggiori e costi di interessi maggiori.
S&P
AAA
AA+
AA
AAA+
A
ABBB+
BBB
BBBBB+
BB
BBCCC
CC
SD/D
Moody’s
Aaa
Aa1
Aa2
Aa3
A1
A2
A3
Baa1
Baa2
Baa3
Ba1
Ba2
Ba3
Caa (1-3)
Ca
C
Il significato dei Ratings
Classificazione di solvibilità
Rating eccellente - Solvibilità massima
Rating da ottimo a buono – Elevata solvibilità
Rating da buono a discreto - Solvibilità adeguata
Rating da discreto a sufficiente – Solvibilità accettabile
Rating sufficiente – Solvibilità sufficiente
Rating Insufficiente – Solvibilità a rischio elevato
Inadempiente
Parte VII
Il banking delle imprese non bancarie
7.1 - La premessa storica.
Ogni investimento ha bisogno di denaro, vale a dire di “qualsiasi mezzo che possa essere
accettato e scambiato da tutti per operazioni economiche”.
Il denaro è controllato ed emesso dalla Banca Centrale attraverso i biglietti di banca che
hanno “forza di legge”, (lo Stato ne forza la circolazione e ne garantisce il pagamento). Oltre ai
biglietti di banca si possono classificare come denaro i metalli preziosi (che hanno un corso di
mercato) e tutti quegli strumenti finanziari basati su una promessa di pagamento (titoli del tesoro,
titoli di banca, obbligazioni, etc.). Questi strumenti, al contrario dei biglietti di banca, sono
semplicemente titoli di “credito” garantiti dalla credibilità dell’emittente.
Un’adeguata emissione di denaro è indispensabile in ogni società civile. Possiamo fare a
meno di molte altre cose, ma senza denaro l’economia si ferma.
Nel 1929 gli Stati Uniti non mancavano di capacità industriale, né di aziende agricole, né di
lavoratori esperti; le comunicazioni tra gli Stati e le diverse città erano le migliori al mondo, ed
utilizzavano telefoni, teletype, radio ed il miglior sistema postale al mondo. Nessuna guerra li aveva
colpiti, nessuna pestilenza minacciava la popolazione, né tantomeno erano colpiti dalla fame.
Nel 1929 gli Stati Uniti avevano solo una grave mancanza: un’adeguata emissione di denaro per
sostenere l’economia ed il commercio. I banchieri, la sola fonte di denaro e credito, deliberatamente
rifiutarono mutui alle industrie, alle aziende agricole e al commercio, chiedendo la restituzione dei
prestiti in corso. In questo modo il denaro sparì molto presto dalla circolazione e, benché le merci
erano disponibili, l’economia entrò in una profonda fase di depressione.
La seconda guerra mondiale mise fine a questa “depressione”. Gli stessi banchieri che negli
anni 30 non concedevano mutui per case, cibo e vestiti in tempo di pace, trovarono infiniti miliardi
per costruire baracche militari, uniformi e razioni K. Una nazione che nel 1934 non riusciva a
produrre cibo da vendere, improvvisamente fu capace di produrre bombe da mandare in Germania e
in Giappone. Con l’incremento della massa monetaria, i disoccupati furono rioccupati, le fabbriche
tornarono a lavorare su due turni, le miniere riaprirono e la “Grande Depressione” finì.
In poche parole, la semplice immissione di nuovo denaro creò nuova ricchezza.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
Capitolo VII
Il banking delle imprese non bancarie
7.1 - La premessa storica.
Ogni investimento ha bisogno di denaro, vale a dire di “qualsiasi mezzo che possa essere
accettato e scambiato da tutti per operazioni economiche”.
Il denaro è controllato ed emesso dalla Banca Centrale attraverso i biglietti di banca che
hanno “forza di legge”, (lo Stato ne forza la circolazione e ne garantisce il pagamento). Oltre ai
biglietti di banca si possono classificare come denaro i metalli preziosi (che hanno un corso di
mercato) e tutti quegli strumenti finanziari basati su una promessa di pagamento (titoli del tesoro,
titoli di banca, obbligazioni, etc.). Questi strumenti, al contrario dei biglietti di banca, sono
semplicemente titoli di “credito” garantiti dalla credibilità dell’emittente.
Un’adeguata emissione di denaro è indispensabile in ogni società civile. Possiamo fare a
meno di molte altre cose, ma senza denaro l’economia si ferma.
Nel 1929 gli Stati Uniti non mancavano di capacità industriale, né di aziende agricole, né di
lavoratori esperti; le comunicazioni tra gli Stati e le diverse città erano le migliori al mondo, ed
utilizzavano telefoni, teletype, radio ed il miglior sistema postale al mondo. Nessuna guerra li aveva
colpiti, nessuna pestilenza minacciava la popolazione, né tantomeno erano colpiti dalla fame.
Nel 1929 gli Stati Uniti avevano solo una grave mancanza: un’adeguata emissione di denaro per
sostenere l’economia ed il commercio. I banchieri, la sola fonte di denaro e credito, deliberatamente
rifiutarono mutui alle industrie, alle aziende agricole e al commercio, chiedendo la restituzione dei
prestiti in corso. In questo modo il denaro sparì molto presto dalla circolazione e, benché le merci
erano disponibili, l’economia entrò in una profonda fase di depressione.
La seconda guerra mondiale mise fine a questa “depressione”. Gli stessi banchieri che negli
anni 30 non concedevano mutui per case, cibo e vestiti in tempo di pace, trovarono infiniti miliardi
per costruire baracche militari, uniformi e razioni K. Una nazione che nel 1934 non riusciva a
produrre cibo da vendere, improvvisamente fu capace di produrre bombe da mandare in Germania e
in Giappone. Con l’incremento della massa monetaria, i disoccupati furono rioccupati, le fabbriche
tornarono a lavorare su due turni, le miniere riaprirono e la “Grande Depressione” finì.
In poche parole, la semplice immissione di nuovo denaro creò nuova ricchezza.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
7.2 - Il patrimonio e la ricchezza.
In termini generali, la ricchezza è l’equivalente degli “assets” che ogni entità (fisica o
giuridica) possiede. Il termine asset è di derivazione francese (assez), quindi latina, ed equivale al
corrispondente anglosassone “enough”. Inizialmente usata al singolare, la parola è oggi usata al
plurale più per enfasi che per corrispondenza effettiva al reale. Assets, quindi sono il corrispettivo
equivalente e sufficiente a compiere o garantire un’operazione economica o finanziaria.
Nei manuali di economia tradizionale gli assets si suddividono in “financial assets” e “real assets”,
dove i primi indicano valori mobiliari e i secondi valori immobiliari, mobiliari registrati, industriali,
ecc.
Sono valori mobiliari, o beni mobili, tutti quelli che non sono ancorati stabilmente al terreno,
non vincolati ad un territorio, oppure soggetti a vincoli permanenti, quindi sono spostabili,
trasportabili, movibili e facilmente scambiabili senza che il loro valore sia sostanzialmente alterato
(denaro, credito, metalli preziosi, pietre, ecc.).
Sono valori immobiliari o beni immobili tutti quelli che sono fissati stabilmente ad un
terreno (edifici, impianti industriali fissi, porti, ecc.) vincolati ad un territorio (attrezzature tecniche
di trasmissione o trasporto), oppure soggetti a vincoli permanenti, e che non sono movibili o
trasportabili se non con un cambiamento radicale del loro valore.
Entrambe le categorie di beni sono pienamente scambiabili ed il loro valore di mercato in economia
classica è inversamente proporzionale l’uno all’altro, perché vengono considerati (a ragione o a
torto) valori alternativi tra loro. In effetti, quando il valore di mercato dei titoli mobiliari tende ad
aumentare, abitualmente quello dei valori immobiliari scende, e viceversa.
Accanto a queste due categorie si è soliti affiancarne una terza: quella dei beni mobili registrati
(navi, automobili, treni, aerei, etc.). Questa categoria di beni, pur avendo la caratteristica della
mobilità, viene considerata come bene industriale o di consumo durevole.
Nell’economia moderna, da quando si è resa sempre più seguita la teoria monetarista, e da
quando la ricchezza finanziaria ha preso la mano a quella reale, con il termine di financial “assets”
si è inteso indicare solo la capacità monetaria. Quando questa si è rivelata insufficiente o incapace
ad innescare operazioni di produzione di ricchezza reale, ci si è resi conto che la definizione che si
dava ai financial assets era quantomeno restrittiva, se non errata.
A sommesso avviso dello scrivente quella teoria è errata, soprattutto perché non considera che lo
scambio tende, per disposizione di natura, a riposizionarsi sul credito, sulla credibilità, quella che
con linguaggio anglosassone è definita “creditworthiness”, piuttosto che sulla capacità monetaria di
pagamento.
L’economia corrente distingue il termine finanza da quello di economia, in quanto lo riferisce solo
ad una particolare attività regolata dalla legge bancaria, assicurativa, di borsa e finanziaria.
In questo contesto il valore mobiliare subisce una serie di attacchi che possono essere classificati in
modo non limitativo o restrittivo attraverso i seguenti fenomeni: falsificabilità; duplicabilità;
trafugabilità; riciclabilità; inconsistenza.
L’unico fenomeno che il legislatore non riesce ad evitare è quello dell’inconsistenza del valore,
perché questo è un fenomeno naturalmente sempre presente in ogni transazione finanziaria
mobiliare, la quale non è basata sul presupposto di prodotto tangibile o reale, bensì sulla credibilità,
sulla accettabilità e sulla circolabilità del valore (i Titoli del Tesoro ne sono una dimostrazione
evidente).
I mercati borsistici, espressione tipica dei financial assets, dimostrano sempre più di appartenere
alla categoria dei giochi, piuttosto che a quella dell’economia, dove appare vieppiù evidente che i
guadagni non sono generati dalla creazione di nuova ricchezza, bensì da corrispondenti perdite di
altri operatori. Da questo scenario risulta chiaro che, volenti o nolenti, le condizioni del mercato
finanziario tenderanno nel medio termine a riposizionarsi verso una tendenza più naturale, una volta
che si è esaurita l’euforia del condizionamento e l’attrattiva del gioco.
Lo scambio, inteso come impulso di natura, vale a dire come un fenomeno d’interesse e
convenienza reciproca, è basato su due elementi essenziali e paralleli: la credibilità e la parità.
Uno scambio è credibile quando, pur non verificandosi una condizione di parità immediata, vi è la
consapevolezza (reale o presunta) che l’equità dello scambio si rilevi nel tempo ed in quantità anche
maggiore di quella della parità immediata (intento speculativo). Uno scambio è alla pari quando vi è
la soddisfazione (reale o presunta) del bisogno che ha portato allo scambio.
Uno scambio credibile è basato esclusivamente sul credito, scambio che può essere del tutto
avulso dalla moneta (che n’è solo un mezzo, uno strumento), e che si basa essenzialmente sulla
credibilità e sulla fiducia delle parti. Uno scambio alla pari è basato sulla consapevolezza (presunta
o reale) che, qualsiasi prodotto si sia scambiato a qualsiasi prezzo, il vantaggio che n’è derivato è
stato pari al sacrificio supportato per lo scambio (prezzo).
A questo punto si può concludere che le differenze che l’economia poneva tra i diversi tipi di
valori e di prodotti (mobiliari e immobiliari) non è più identificabile, in quanto lo scambio avviene
sul credito, oppure (quando non è coercitivo) avviene dietro la consapevolezza di esserne
soddisfatti.
Vi è allora la necessità di riconcepire le funzioni ed i valori della ricchezza mobile ed immobile.
Che cosa può oggi determinare il valore di un asset, sia esso financial o real?
Certamente le condizioni reali del mercato e le volontà o la credibilità degli operatori. Ma queste
volontà o questa credibilità da che cosa può essere condizionato, remunerato o punito?
In un mercato “trasparente” governato da un sistema di “common law” ogni operatore riesce a
conoscere, prima di intervenire, quali sono le condizioni presenti sul mercato e quali saranno quelle
future, per cui la sua volontà ha la possibilità di manifestarsi secondo ragione (razionalità
economica), ed egli può ben valutare le condizioni di convenienza con le quali opera. Questo
avviene perché il mercato trasparente (vale a dire non inficiato da monopoli o rendite di posizione)
gli permette di scegliere l’opzione a lui più favorevole, mentre la common law che lo governa
(imperniata su usi e consuetudini consolidate) gli consente di stabilire con certezza che la sua
operazione non verrà sminuita da nessun “peso legislativo” futuro.
Purtroppo oggi un simile mercato non esiste più in nessuna parte del mondo in quanto l’intervento
legislativo tende a penalizzare il profitto (condizione di natura) con accorgimenti che rendono ogni
scambio di difficile valutazione immediata sulla convenienza futura. Ne consegue che lo scambio
non è più basato sulla razionalità ma sulla speculazione, in altre parole sulla sensazione (reale o
presunta) che si sia fatto o che si possa fare un “affare”, vale a dire che si possa trarre un vantaggio
maggiore di quello che ne può trarre la controparte. Questo rappresenta la negazione della
condizione naturale di scambio.
Il bene immobile (di facile identificazione), in quanto tale, è stato il primo a verificare
l’inattendibilità della legge dello Stato, che lo ha colpito con pesi e vincoli (imposizione fiscale,
ecc.), vincoli che lo hanno reso non competitivo con il bene mobile (di difficile identificazione) più
difficile da colpire. Quest’ultimo, dopo aver goduto di lunghi benefici, soffre oggi di minore
affidabilità, non solo per i motivi sopra indicati (contraffazione, inconsistenza, ecc.), ma soprattutto
perché il credito, la credibilità non ha per nulla bisogno di lui.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
7.3 - Il credito e la credibilità.
Il credito può essere “personale” o “reale”.
Il credito personale è concesso contro il valore espresso dalla persona che lo ottiene, la quale
lo garantisce con la sua imprenditorialità, con le sue capacità personali. Il credito personale è
concesso quando vi è la certezza (reale o presunta) che il debitore abbia la possibilità di creare col
credito ottenuto altrettanta ricchezza capace di restituire il credito e di remunerarlo al contempo. In
questo caso il credito non è altro che il conferimento di uno strumento di lavoro di nessun valore
intrinseco che consente al debitore di avere immediata credibilità da tutti. Ma non è il credito a
conferire valore all’investimento, bensì la capacità di questo di creare valore reale dal credito.
Si concede credito reale o contro garanzia reale, allorquando il creditore non crede alla bontà
dell’investimento, per cui scambia il suo credito (bene tangibile presunto o reale) contro un altro
bene tangibile (immobile). Se il debitore non è capace di onorare il montante del credito, il creditore
trattiene il corrispettivo dello scambio (l’immobile), che diviene parte dei suoi assets, del suo
patrimonio.
Appare allora evidente che differenza sostanziale non esista tra un valore mobile ed uno immobile,
e che le due tipologie di beni siano caratterizzati solo da una diversa forma. Che la differenza sia
solo formale è documentato dal fatto che le attività a forte concentrazione mobiliare tendano a
trasformare parte di essa in attività immobiliari (immobilizzo), e che forti concentrazioni
immobiliari scontino o abbiano credito sull’immobile (smobilizzo).
Gli assets hanno due tipi generali di valore:
! un valore di credito (credibilità dell’investimento;
! un valore di risparmio (accumulo di ricchezza).
Ora, se si osserva questa apparente dicotomia senza paraocchi, salta subito in evidenza che le due
valutazioni non sono altro che due affermazioni di un’unica verità: gli assets non hanno un valore
intrinseco, ma lo acquisiscono nella quantità ritenuta congrua dallo scambio; qualunque tentativo di
attribuzione di valore intrinseco agli assets (real o financial) è finora fallito in malo modo, come è
fallito ogni tentativo di attribuzione di valore al credito.
Comunque, il bisogno di stimare un asset rimane una necessità essenziale allo scambio, per
cui è necessario elaborare un metodo che permetta almeno di avere un’idea del valore che si pone in
scambio.
Tecnicamente il valore può essere stimato sulla base di alcune variabili essenziali, tra cui:
valore di costo; comparazione con un prodotto concorrente o succedaneo; valore di netto ricavo;
valore di uso.
In questa sede, per motivi di spazio, riteniamo utile soffermarci solo sul valore di uso, o valore
aggiunto, che è il valore più facilmente raggiungibile in una transazione.
Il valore d’uso, o “aggiunto” è quello che ottiene il richiedente (o consumatore) dall’avere a
disposizione il prodotto. Questo valore è di solito conosciuto solo dal compratore, ed è il valore sul
quale egli basa il suo scambio, mentre il venditore tende a basare il prezzo di vendita sul costo. Il
valore di uso è (in un mercato trasparente) il solo vero valore reale di un prodotto, e proprio per
questo è tenuto strettamente riservato dal compratore. E’ vero che ogni prodotto ha in sé un valore
intrinseco dettato dal costo, dalla concorrenza, dal netto ricavo, etc., ma questo può essere anche
completamente misconosciuto, se non corrisponde al suo valore d’uso. Un palazzo d’epoca a Roma
ha certamente un valore di costo molto maggiore di un palazzo d’epoca a Londra, ma oggi il
palazzo d’epoca a Londra si vende molto meglio di uno a Roma, perché il suo valore d’uso è
certamente maggiore. A Londra oggi il valore d’uso di un palazzo d’epoca è certamente maggiore
che a Roma perché li vi circola una cultura migliore di quella di Roma, che spinge gli acquirenti a
stabilire i propri interessi più a Londra che a Roma.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
7.4 - L’accesso diretto al mercato dei capitali.
In generale, l’accesso diretto al mercato dei capitali indica la possibilità di acquisire capitali
di rischio o di finanziamento senza l’intervento d’intermediatori finanziari (banche, Tesoro).
Per mercato dei capitali si intende un “luogo ideale” dove si possa acquisire sia strumenti finanziari,
sia credibilità intesa come credito finanziario, che possano portare al compimento di un’impresa
economica.
L’impresa, o attività, è da intendere come economica, quando dimostra la capacità di restituzione
del credito o delle facilitazioni anticipate su fiducia. Qualsiasi altro tipo d’attività, per portare a
termine il suo intervento, non può contare sul finanziamento, bensì su altre forme di contribuzione
che possono essere definite di volta in volta come “liberalità, donazioni, elargizioni, tassazione,
imposizione, carità”: tutte operazioni che non possono essere definite di tipo economico.
L’ente pubblico economico può stare sul mercato sia sotto la forma d’organizzazione pubblica che
privata; pertanto, secondo la forma giuridica scelta, questi potrà fare ricorso ad opportune
possibilità finanziarie.
7.5 – L’Ente pubblico ed il suo patrimonio.
Il patrimonio pubblico, immobiliare, commerciale, artistico, naturalistico, residenziale, etc.,
che appartiene alle pubbliche amministrazioni non è quasi mai classificato come un “asset”
(attività), ma di solito come una liability (passività), perché non genera un profitto, ma piuttosto
necessita di fondi da tassazione per il suo mantenimento.
Dimostrato che un real asset ha lo stesso valore di un financial asset, ne deve conseguire che un
patrimonio immobiliare (pubblico o privato) deve avere un rendimento pari, o tendenzialmente pari
a quello di un equivalente patrimonio mobiliare: quindi deve costituire un’attività e non una
passività di bilancio.
Affinché un ente pubblico possa trasformare il suo patrimonio immobiliare in “attività” di bilancio,
quindi in assets, deve trasformarsi in “ente economico”, per accedere direttamente al mercato dei
capitali.
7.5.1 - La gestione dell’ente in forma pubblica.
L’ente gestito sotto la forma giuridica d’organizzazione pubblica può accedere al mercato dei
capitali con le seguenti opportunità:
emissione di obbligazioni
emissione di carte prepagate
contratti di concessione.
L’emissione di obbligazioni è regolata dalla legge 23 dic. 1999 n. 724, che all’art. 35
(emissione di titoli obbligazionari da parte di enti territoriali) stabilisce che le province, i comuni e
le unioni di comuni, le città metropolitane, i comuni di cui all’art 17 e segg. Della legge 8 giugno
1990 n. 142, le comunità montane, i consorzi tra enti locali territoriali, e le regioni possono
deliberare l’emissione di prestiti obbligazionari destinati esclusivamente al finanziamento degli
investimenti.
Per le regioni resta ferma la disciplina di cui all’art. 10 della legge 16 maggio 1970 n. 281,
come modificato dall’art. 9 della legge 26 aprile 1982 n. 181, per cui è fatto divieto di emettere
prestiti obbligazionari per finanziare spese di parte corrente.
Le unioni di comuni, le comunità montane e i consorzi tra enti locali devono richiedere agli
enti locali che ne fanno parte l’autorizzazione all’emissione, la quale s’intende negata qualora non
sia espressamente concessa entro novanta giorni dalla richiesta.
Per le emissioni obbligazionarie si applicano le disposizioni di cui all’art. 46 del D.L.vo 30
dic. 1992 n. 504 e successive modifiche ed integrazioni. Il costo del monitoraggio previsto nel
succitato articolo 46 è a carico dell’ente emittente.
L’emissione delle obbligazioni è subordinata alle seguenti condizioni:
a) che gli enti territoriali, anche nel caso in cui partecipino a consorzi o unioni di comuni, non si
trovino nella situazione di dissesto o in situazioni strutturalmente deficitarie, come definito
dall’art. 45 del D.L.vo 30 dic. 1992 n. 504;
b) che le regioni non abbiano proceduto al ripiano di disavanzi di amministrazione ai sensi dell’art.
20 del D.L.vo 18 gennaio 1993 n. 8, convertito con modificazioni della L.19 marzo 1993 n. 68.
Nessun prestito può essere comunque emesso, se dal conto consuntivo del penultimo esercizio
risulti un disavanzo di amministrazione e se non sia stato deliberato il bilancio di previsione
dell’esercizio in cui è prevista l’emissione del prestito.
Il prestito obbligazionario deve essere finalizzato ad investimenti e deve essere pari al valore
del progetto esecutivo a cui fa riferimento. La durata del prestito non può essere inferiore a cinque
anni.
In base all’art 37 della legge 23 dic. 1994 n. 724, in deroga a quanto stabilito dall’art. 35 comma
2 lettera a) della stessa legge, gli enti territoriali possono procedere all’emissione di prestiti
obbligazionari purché:
a) abbiano registrato un avanzo di amministrazione nei conti consuntivi relativi all’ultimo e al
penultimo esercizio precedente quello di emissione del prestito;
b) abbiano interamente ripianato gli eventuali disavanzi di gestione dei servizi pubblici gestiti a
mezzo di aziende municipalizzate, provincializzate, o speciali, nonché gli eventuali disavanzi di
consorzi per la quota a carico del singolo ente interessato. I disavanzi da assumere a riferimento
sono quelli risultanti da conti consuntivi del servizio pubblico relativi all’ultimo e al penultimo
esercizio precedente quello di emissione del prestito.
Per gli enti locali dissestati, che si trovino nelle condizioni sopra stabilite, cessano i limiti di
assunzione di mutui disposti dall’art. 25 comma 9 del D.L.vo 2 marzo 1989 n. 144. I conti
consuntivi da assumere a riferimento per l’applicazione del presente articolo non possono in ogni
caso interessare gli esercizi precedenti a quello per il quale è stata approvata l’ipotesi di bilancio
riequilibrato.
Emissione di carte prepagate: (vedi oltre).
Contratti di concessione: (vedi oltre).
7.5.2 - La gestione dell’ente in forma privata.
L’ente può essere gestito anche sotto la forma giuridica privata della società per azioni
(S.p.a.), in cui le azioni possono essere possedute dall’ente in quote di maggioranza o di minoranza
In questa veste le possibilità di accesso diretto al mercato dei capitali aumentano, giacché, pur
conservando l’ente la capacità di emettere obbligazioni, in base al disposto della legge 23 dic. 1994
n. 724, esso può inoltre emettere obbligazioni sociali in base al capitale versato, nonché ricorrere a
tante altre opportunità che verranno in questo paragrafo analizzate singolarmente in modo da
verificarne le possibilità d’impiego.
Premesso che l’analisi che conduciamo non vuole essere esaustiva, le principali figure
finanziarie che permettono ad una società per azioni di accedere direttamente al mercato dei capitali
sono così configurabili:
! raccolta o aumento di capitale sociale con conferimenti mobiliari o immobiliari;
! raccolta di risparmio
! tra il pubblico:
!
!
!
!
!
!
!
!
!
emissione di obbligazioni
emissione di cambiali finanziarie
emissione di certificati di investimento
emissione di prodotti finanziari derivati
presso i soci:
emissione di carte prepagate
contratti di conto corrente
promissory notes e collaterals trading sul mercato internazionale
project financing.
Nella raccolta di capitale sociale la sottoscrizione delle azioni deve risultare per atto pubblico o
da scrittura privata autenticata. Se nell’atto costitutivo della società non è stabilito diversamente, il
conferimento deve farsi in denaro (art. 2342 c.c.). Per il conferimento di beni in natura e di crediti si
osservano le disposizioni degli artt. 2254 e 2255 c.c. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti
devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. Non possono formare oggetto
di conferimento le prestazioni di opera o di servizi.
Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto
designato dal presidente del tribunale, contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, il
valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l’attestazione che il valore
attribuito non è inferiore al valore nominale, aumentato dell’eventuale sovrapprezzo delle azioni
emesse a fronte del conferimento. La relazione deve essere allegata all’atto costitutivo.
Gli amministratori e i sindaci devono nel termine di sei mesi dalla costituzione della società
controllare le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistono
fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono
state controllate, le azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare
depositate presso la società. Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di
oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre
il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte.
Oltre all’obbligo di conferimento, l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di eseguire
prestazioni accessorie (2478 c.c.) non consistenti in denaro, determinandone il contenuto, la durata,
le modalità, il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso d’inadempimento. Nella
determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per
oggetto le stesse prestazioni. Le azioni alle quali è connesso l’obbligo delle succitate prestazioni
devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori. Se non
espressamente previsto dall’atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo dispositivo non possono
essere modificati senza il consenso di tutti i soci.
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
7.6 – L’esempio dei Consorzi di Garanzia Fidi.
Come abbiamo visto sopra, un ente privato si distingue dall’ente pubblico non per la forma
giuridica, ma solo per gli scopi sociali.
Ma che dire d’organismi pubblici che hanno per scopo sociale la mutualità, il fine non lucrativo, o
la reciproca assistenza tra gli associati, quali Consorzi di Garanzia Fidi, Società Cooperative di
Lavoro, Soc. Cooperative di Mutualità, ecc.?
Dopo aver analizzato al punto 7.5.2. le possibilità di accesso diretto al mercato dei capitali di una
società per azioni, analizziamo il banking di un Consorzio di Garanzia Fidi, impresa tipicamente
non bancaria, che con l’entrata in vigore dell’Accordo di Basilea 2 potrebbe diventare banca a tutti
gli effetti pratici, considerando che può essere chiamata a rispondere a prima domanda ad ogni
situazione debitoria di un suo associato verso una banca.
Il Codice Civile agli artt. 2602 e segg. Disciplina l’attività dei consorzi per il coordinamento della
produzione e degli scambi, definendo il consorzio come: “I contratti tra più imprenditori, esercenti
una medesima attività economica, o attività economiche connesse, i quali hanno per oggetto la
disciplina delle attività stesse mediante un’organizzazione comune”.
Il consorzio può essere con attività interna, oppure esterna.
Mentre il primo tipo non ha bisogno di formalità alcuna se non quella della forma scritta del
contratto, il secondo deve sottostare alla registrazione al registro delle imprese.
I contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile.
Per la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo, e i creditori
particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo [2270, 2305,
2531].
Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i
terzi possono far valere i loro diritti sul fondo consortile. Per le obbligazioni stesse rispondono
inoltre illimitatamente e solidalmente [1292 s.] le persone che hanno agito in nome del consorzio
[38, 2267, 2317, 2331, 2449, 2508].
Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono
questi ultimi solidalmente col fondo consortile [1705, 2339].
In caso d’insolvenza, nei rapporti tra i consorziati, il debito dell’insolvente si ripartisce tra tutti in
proporzione delle quote [1299, 2280]”
1
7.7 - La raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche
.
L’art. 11 del D. L.vo n. 385 del 1 sett. 1993, nel ribadire il principio in virtù del quale la
raccolta del risparmio presso il pubblico è vietata (in generale) ai soggetti diversi dalle banche,
riconosce a tali soggetti alcune possibilità di raccolta.
La raccolta di risparmio tra il pubblico è consentita entro il limite del capitale sociale versato
e delle riserve. Essa può essere effettuata sia dalle società ed enti quotati, sia dalle altre imprese. Per
queste ultime si richiede un risultato di bilancio positivo negli ultimi tre esercizi e la sussistenza per
ciascuna emissione di titoli di garanzia rilasciata da un intermediario vigilato.
Oltre che con lo strumento obbligazionario la raccolta può essere effettuata mediante
“cambiali finanziarie”, ex lege 43/94, con durata compresa fra tre e dodici mesi. Il taglio minimo di
entrambi i titoli viene fissato in misura (100 milioni) idonea per selezionare dal lato della domanda
gli investitori in grado di valutare il rischio di impresa.
1
Cfr. Circ. Banca d’Italia n. 4 del 29 marzo 1988 n. 115. Aggiornamento del 2.2.94.
Per quanto concerne la raccolta presso soci, essa può essere effettuata senza alcun limite
2
purché rivolta a soggetti che detengano una partecipazione almeno pari al 2% del capitale
. sociale
Il Comitato per la Tutela del Risparmio ha confermato il divieto alle società finanziarie di
raccogliere risparmio tra il pubblico mediante cambiali finanziarie e certificati d’investimento. In
deroga a tale ultimo principio alle società finanziarie vigilate viene consentita la raccolta con nuovi
strumenti di debito.
2
Per le cooperative con più di 50 soci viene introdotto un limite quantitativo rapportato al patrimonio, riferito al complesso della
raccolta sociale. Tale limite viene elevato, in caso di prestiti garantiti, in misura almeno pari al 30%, da soggetti vigilati, ovvero
quando la cooperativa aderisca ad uno schema di garanzia dei prestiti sociali che fornisca una adeguata tutela agli investitori:
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
7.6 – L’esempio dei Consorzi di Garanzia Fidi.
Come abbiamo visto sopra, un ente privato si distingue dall’ente pubblico non per la forma
giuridica, ma solo per gli scopi sociali.
Ma che dire d’organismi pubblici che hanno per scopo sociale la mutualità, il fine non lucrativo, o
la reciproca assistenza tra gli associati, quali Consorzi di Garanzia Fidi, Società Cooperative di
Lavoro, Soc. Cooperative di Mutualità, ecc.?
Dopo aver analizzato al punto 7.5.2. le possibilità di accesso diretto al mercato dei capitali di una
società per azioni, analizziamo il banking di un Consorzio di Garanzia Fidi, impresa tipicamente
non bancaria, che con l’entrata in vigore dell’Accordo di Basilea 2 potrebbe diventare banca a tutti
gli effetti pratici, considerando che può essere chiamata a rispondere a prima domanda ad ogni
situazione debitoria di un suo associato verso una banca.
Il Codice Civile agli artt. 2602 e segg. Disciplina l’attività dei consorzi per il coordinamento della
produzione e degli scambi, definendo il consorzio come: “I contratti tra più imprenditori, esercenti
una medesima attività economica, o attività economiche connesse, i quali hanno per oggetto la
disciplina delle attività stesse mediante un’organizzazione comune”.
Il consorzio può essere con attività interna, oppure esterna.
Mentre il primo tipo non ha bisogno di formalità alcuna se non quella della forma scritta del
contratto, il secondo deve sottostare alla registrazione al registro delle imprese.
I contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile.
Per la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo, e i creditori
particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo [2270, 2305,
2531].
Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i
terzi possono far valere i loro diritti sul fondo consortile. Per le obbligazioni stesse rispondono
inoltre illimitatamente e solidalmente [1292 s.] le persone che hanno agito in nome del consorzio
[38, 2267, 2317, 2331, 2449, 2508].
Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono
questi ultimi solidalmente col fondo consortile [1705, 2339].
In caso d’insolvenza, nei rapporti tra i consorziati, il debito dell’insolvente si ripartisce tra tutti in
proporzione delle quote [1299, 2280]”
1
7.7 - La raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche
.
L’art. 11 del D. L.vo n. 385 del 1 sett. 1993, nel ribadire il principio in virtù del quale la
raccolta del risparmio presso il pubblico è vietata (in generale) ai soggetti diversi dalle banche,
riconosce a tali soggetti alcune possibilità di raccolta.
La raccolta di risparmio tra il pubblico è consentita entro il limite del capitale sociale versato
e delle riserve. Essa può essere effettuata sia dalle società ed enti quotati, sia dalle altre imprese. Per
queste ultime si richiede un risultato di bilancio positivo negli ultimi tre esercizi e la sussistenza per
ciascuna emissione di titoli di garanzia rilasciata da un intermediario vigilato.
Oltre che con lo strumento obbligazionario la raccolta può essere effettuata mediante
“cambiali finanziarie”, ex lege 43/94, con durata compresa fra tre e dodici mesi. Il taglio minimo di
entrambi i titoli viene fissato in misura (100 milioni) idonea per selezionare dal lato della domanda
gli investitori in grado di valutare il rischio di impresa.
1
Cfr. Circ. Banca d’Italia n. 4 del 29 marzo 1988 n. 115. Aggiornamento del 2.2.94.
Per quanto concerne la raccolta presso soci, essa può essere effettuata senza alcun limite
2
purché rivolta a soggetti che detengano una partecipazione almeno pari al 2% del capitale
. sociale
Il Comitato per la Tutela del Risparmio ha confermato il divieto alle società finanziarie di
raccogliere risparmio tra il pubblico mediante cambiali finanziarie e certificati d’investimento. In
deroga a tale ultimo principio alle società finanziarie vigilate viene consentita la raccolta con nuovi
strumenti di debito.
2
Per le cooperative con più di 50 soci viene introdotto un limite quantitativo rapportato al patrimonio, riferito al complesso della
raccolta sociale. Tale limite viene elevato, in caso di prestiti garantiti, in misura almeno pari al 30%, da soggetti vigilati, ovvero
quando la cooperativa aderisca ad uno schema di garanzia dei prestiti sociali che fornisca una adeguata tutela agli investitori:
Parte VIII
L’accesso diretto al mercato dei capitali per
le società miste pubblico-private ed i Consorzi di Garanzia Fidi
Indice
Prefazione
Premesse
- La necessità di cambiamento.
- Evasione fiscale e lavoro nero.
- La contraddizione logica dell'intervento pubblico.
- La gerarchia degli ordinamenti giuridici e la sovranità nazionale.
Capitolo I
L'Ente pubblico
1.1– Definizioni
1.2– Autonomia e autarchia
1.3– Categorie di enti pubblici
1.4– L’azionariato di Stato
1.5 – Il diritto dell’Unione Europea
Capitolo II
Gli Enti Pubblici Locali
2.1 - Principi generali
2.2 - Il Comune
2.3 - La Provincia
2.4 - Le Aree Metropolitane
2.5 - I servizi pubblici locali
2.5.1 - La gestione in economia
2.5.2 - La concessione a terzi
2.5.3 - L'azienda speciale
2.5.4 - L'istituzione.
2.6 - Le forme associative e gli accordi di programma
2.6.1 - I consorzi
2.6.2 - Le unioni di comuni
2.6.3 - Gli accordi di programma
2.6.4 - Le comunità montane
Capitolo III
I poteri d’imprenditorialità degli enti locali
3.1 - I poteri d’imprenditorialità dei Comuni e delle Province
3.2 - Principi generali d’imprenditorialità
3.3 - Il nuovo rapporto pubblico-privato
1
3.3.1 - La legge 23 dicembre 1992 n. 498
3.3.2 - Il D.L. 31 gennaio 1995 n. 26
3.3.3 - Il D.P.R. 16 settembre 1966 n. 533
3.3.4 - Estimo del territorio come patrimonio collettivo e individuale
3.3.5 - L'interazione nei mercati finanziari
3.3.6 - La legge economica dell'inverso dell'utilità marginale.
3.4 - La capacità d’investimento degli enti pubblici territoriali
Capitolo IV
I Consorzi di Garanzia Fidi
4.1– La natura giuridica dei Consorzi di Garanzia Fidi.
4.2– La natura operativa dei Consorzi di Garanzia Fidi
4.3– L’accesso diretto al mercato dei capitali
Capitolo V
L'Accesso diretto al mercato dei capitali
5.1 - Generalità
5.2 - La gestione dell'ente in forma pubblica
5.2.1 - L'emissione di obbligazioni
5.2.2 - L'indebitamento degli enti locali dissestati
5.2.3 - L'emissione di carte pre-pagate
5.2.4 - I contratti di concessione
5.3 - La gestione dell'ente in forma privata
5.3.1- La raccolta di capitale sociale
5.3.2 - Il conferimento mobiliare e immobiliare
5.3.3 - Generalità sulle azioni e sulle nuove emissioni
5.4 - La raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche
5.4.1 - Premessa
5.4.2 - Fonti normative
5.4.3 – Definizioni
5.4.4 - Destinatari della disciplina
5.5 - La raccolta di risparmio tra il pubblico
5.5.1 – Premessa
5.5.2 - Le obbligazioni
5.5.3 - Le cambiali finanziarie
5.5.4 - I certificati di investimento
5.5.5 - Obblighi di trasparenza
5.5.6 - I fogli informativi analitici
5.6 - La raccolta di risparmio presso i soci
5.6.1- Società diverse dalle cooperative
5.6.2 - Società cooperative
5.6.3 - Schemi di garanzia dei prestiti sociali
5.6.4 - Gli obblighi di trasparenza
5.6.5 - I fogli informativi analitici
5.6.6 - La forma dei contratti.
5.7 - La raccolta nell'ambito dei gruppi di imprese.
- Generalità.
- La lettera di "patronage", o "comfort letter".
2
5.8 - La disciplina transitoria.
5.9 - Operazioni bancarie attive, servizi bancari e garanzie.
- L'apertura di credito "allo scoperto" e "garantita".
- L'apertura di credito documentario.
- L'anticipazione bancaria.
- Il negozio di credito.
- Il negozio di garanzia.
- Lo sconto bancario.
- Il factoring.
- L'accettazione bancaria.
- Il rimborso di banca.
- Il conto corrente di corrispondenza.
- La convenzione di corrispondenza.
- Il giroconto o bancogiro
- Le garanzie bancarie:
- ipoteca;
- pegno;
- fideiussione omnibus;
- girata;
- avallo.
Capitolo VI
Il Financial Trading
6.1 - Definizione.
6.2 - Lo sconto di garanzie bancarie.
6.3 - L'investimento di depositi bancari:
- L'apertura di un'operazione tra banche.
- Contratto d’investimento nel financial trading.
Capitolo VII
Il Project Financing
7.1 - Definizione.
7.2 - Il Business Plan.
7.3 - Il finanziamento a capitale garantito.
7.4 - Il contratto di leasing/leasing back. - Il contratto di mutuo.
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PREFAZIONE
Il lavoro si rivolge a professionisti, imprenditori, e amministratori pubblici che vogliano approfondire
la conoscenza sulle potenzialità dell’imprenditoria pubblico-privata, e sulle nuove opportunità che si
sono aperte con l’introduzione delle riforme della pubblica amministrazione del 1990/94, nonché con
quelle offerte da un sistema finanziario profondamente innovato dalla liberalizzazione dei mercati e
dall’avvento di nuove tecnologie di comunicazione.
L’esempio delle s.p.a. pubblico-private e dei Consorzi Garanzia Fidi è emblematico di come stia
evolvendo il sistema imprenditoriale e quello finanziario nel contesto corrente di globalizzazione dei
mercati.
Il lavoro analizza le possibilità d’accesso diretto ai mercati dei capitali, vale a dire fare “banking” senza
bisogno delle banche, sia per entità orientate al profitto, sia per entità d’utilità sociale.
E’ fornita una descrizione del ambiente economico corrente e delle necessità di cambiamento.
Un’analisi giuridico-economica degli enti pubblici ne evidenzia come il servizio pubblico basato sulla
imposizione fiscale possa essere più utile quando venga basato sull’imprenditorialità e sull’efficienza
del servizio stesso che, nel nostro caso, non è più ricompensato con imposizione fiscale, bensì con
retribuzione basata sul rapporto costo/benefici.
Si analizzano innanzitutto le fonti normative e le disposizioni della Banca d’Italia sulla raccolta del
risparmio da parte di soggetti diversi dalle banche, e si identificano i destinatari della disciplina.
Si rivolge, quindi, l’attenzione alla raccolta di risparmio presso soci per società diverse dalle
cooperative e per società cooperative. Si illustrano gli schemi di garanzia dei prestiti sociali, gli
obblighi di trasparenza, i fogli informativi analitici, e la forma dei contratti.
Infine ci si occupa della raccolta nell’ambito di gruppi di imprese, analizzando il significato delle
lettere di “patronage” (comfort letter).
Si analizzano poi le operazioni bancarie attive, i servizi bancari e le garanzie.
L'apertura di credito "allo scoperto" e "garantita". L'apertura di credito documentario. L'anticipazione
bancaria. Il negozio di credito. Il negozio di garanzia. Lo sconto bancario. Il factoring. L'accettazione
bancaria. Il rimborso di banca. Il conto corrente di corrispondenza. La convenzione di corrispondenza.
Il giroconto o bancogiro Le garanzie bancarie (ipoteca; pegno; fideiussione omnibus; girata; avallo).
Queste operazioni vengono sinteticamente analizzate nella loro natura giuridica e di business.
Per ultimo si discute sul financial trading e sul project financing, come possibilità di operare non più
“sotto casa” com’era d’uso fino a pochi anni fa, ma nel contesto mondiale, per accedere sia al capitale
di rischio che di finanziamento.
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PREMESSE
La necessità del cambiamento.
E' convinzione dell'autore che la gestione della cosa pubblica sia di fronte ad una evoluzione radicale
che porterà ad uno cambiamento più o meno silenzioso e che, comunque questa evoluzione si conclu
il passaggio alla fase successiva non può che essere vantaggioso per il cittadino.
Ormai si è constatato da qualche tempo che l'imposizione fiscale, così com’è oggi concepita, non è pi
in grado né di dare gettito che effettivamente serva a gestire il patrimonio comune, nè di ridistribuire
reddito dai più ricchi ai più poveri, giacché la stessa politica di spesa pubblica porta in sé una
contraddizione logica che impoverisce sempre più quelli che dovrebbero esserne i beneficiari.
La necessità di cambiamento non è sentita soltanto nel nostro paese, bensì nell'intero contesto
mondiale. Dopo il crollo dell'U.R.S.S. è mancato alla politica dirigista occidentale il capro espiatorio di
un modo di fare che, benché fosse simile a quello dirigista sovietico, si opponeva ad esso in nome di
una sedicente democrazia che operava nell'interesse di tutti, contro il socialismo di Stato sovietico.
In effetti, i due sistemi erano perfettamente simili, in quanto imponevano al business le regole della
politica, mentre questi è costruito per funzionare con le sue regole.
Il dirigismo occidentale ha posto la causa di tutti i mali sul concetto di inflazione dei prezzi generato da
mancanza di regolamentazione dei mercati, mentre l'inflazione era causata solo dai monopoli di diritto
o di fatto che il dirigismo imponeva o proteggeva. Nessuno ha visto, o ha voluto vedere le cause
dell'inflazione, giacché questa era alimentata da una serie di privilegi (piccoli, o grandi), che
accontentavano (in grande, o in piccolo) una serie innumerevole di persone.
Il business gestito con le regole della politica ha portato ad un debito pubblico sconsiderato, che avrà
conseguenze durevoli anche per la prossima generazione, e che ha creato un distacco profondo tra
economia reale ed economia di Stato.
Nel contempo, l'internazionalizzazione dei mercati e la libera circolazione di persone, beni e servizi
voluta dall'Unione Europea e dal G.A.T.T. (General Agreement on Trade and Tariffs), gestito oggi
dall'O.M.C. (Organizzazione Mondiale per il Commercio), ha consentito agli operatori economici di
usufruire di una maggiore libertà di scelta dei mercati, liberandoli dai legami degli Stati nazionali.
Inoltre, l’innovazione tecnologica nelle telecomunicazioni ha permesso di unire tutto il mondo,
riducendo enormemente i costi di contatto e di comunicazione, e liberando l’operatore dal risiedere
fisicamente in un posto stabilito.
Queste opportunità permettono di scegliere l'ordinamento giuridico più favorevole a cui sottomettersi
nell'impiego dei propri investimenti, rendendo d'un sol colpo inefficaci tutte le barriere protettive
nazionali. Oggi è possibile investire in impianti produttivi in India, ad es., per poi collocare i prodotti in
Italia, o altrove, senza che le barriere doganali possano imporre tariffe o contingentamenti, che non
siano state precedentemente concordate con L’OMC. Purtroppo non tutti gli operatori economici sono
perfetta conoscenza di questi meccanismi, per cui ancora molti di loro sono in sofferenza perché
subiscono le imposizioni degli Stati nazionali, che continuano con prelievi fiscali molto spesso
esagerati e senza molta considerazione.
Evasione fiscale e lavoro nero.
Di fronte ad una politica fiscale che tende a superare i limiti del sopportabile, è regola di natura che il
5
cittadino tenda a difendersi con le uniche armi che conosce: l'evasione del tributo, l’elusione, oppure
l'alienazione dal contesto sociale, quindi il cosiddetto "lavoro nero".
La conseguenza di questi comportamenti è l'impoverimento continuo del gettito fiscale, e con esso di
ogni risorsa pubblica, che sempre più verrà a languire fino alla bancarotta dello Stato.
Purtroppo, da più parti oggi si identificano l’elusione o l'evasione fiscale come necessità vitali per la
sopravvivenza di quelle attività economiche minori che vivono sulla marginalità del prodotto, quindi su
utili molto contenuti. L'altro aspetto della reazione, vale a dire l'emarginazione, può essere paragonato
al fenomeno del mimetismo in natura dove l'essere più debole, non potendo contrastare in alcun mod
l'essere il più forte, tende a nascondersi, a non farsi identificare.
Nel contesto economico questo comportamento è classificato col termine di lavoro nero, cioè attività
svolta di nascosto, non alla luce, non visibile. Questo comportamento è giudicato criminoso da parte d
quanti vivono del prelievo fiscale, mentre è giudicata l'unica fonte di sopravvivenza da parte di quanti
vivono del proprio lavoro.
Anche nel mondo animale il predatore trova fastidioso che la preda abbia così tante possibilità e risors
mimetiche, e che rendono a lui la vita estremamente difficile, eppure questo è un fenomeno di natura,
quindi vero e reale. Ma, nonostante questo enorme spirito di competizione e di sopraffazione, nessuno
si sogna di giudicare il predatore in natura essere inutile, giacché anche costui svolge una funzione
essenziale nella catena ecologica: quella di selezione, quella di pulizia, quella di fertilizzazione, quella
di ridistribuzione delle risorse, ecc. Nel contesto sociale umano nessuno si sognerebbe di giudicare
inutile la funzione pubblica se questa si comportasse almeno come il predatore in natura. Purtroppo, l
condotta della cosa pubblica nel contesto umano è oggi anche peggiore del semplice comportamento
del predatore, in quanto essa preleva senza apportare il benché minimo beneficio a nessuno nella cat
sociale.
Di fronte a questa conclusione l'evasore fiscale non può essere biasimato più di tanto, in quanto egli
non trova nessun corrispettivo alla sua contribuzione, quindi nessun significato economico alla sua
spesa. Ancora più considerazione forse merita l'alienato economico, colui che opera al di fuori
dell’ambiente giuridico di riferimento, giacché costui produce nuova ricchezza senza chiedere nulla né
allo Stato né tantomeno alla comunità. Certamente egli usufruisce gratuitamente di servizi e di
prestazioni che per lui sono invisibili, ma che per la comunità hanno un costo di produzione, ed in
questo ambiente egli è un fruitore illegittimo di prestazioni economiche, quindi è da condannare.
In molti casi, comunque, quello che noi definiamo un alienato, vale a dire un qualcuno che si allontana
dal contesto economico ufficiale, è piuttosto un emarginato, vale a dire un qualcuno che viene escluso
dal contesto economico ufficiale, quindi un individuo che è costretto a costruirsi un suo spazio vitale in
cui operare e sopravvivere.
Uno sguardo all’occupazione
Le statistiche ufficiali indicano in circa 3.000.000 di persone il numero di disoccupati nel nostro Paese
pari a circa l'11% della forza lavoro, mentre nel Regno Unito (Paese che ha una popolazione pari a
quella italiana) il numero assoluto di disoccupati è di 3.600.000 unità, con un tasso di disoccupazione
pari a circa il 9%. I numeri riportati sono esatti, quindi se i conti non tornano, vuol dire che c'è un
inghippo, un qualcosa che non funziona nella definizione dell'intero processo. In effetti, in Italia si
intende "disoccupato" colui che è provvisoriamente senza lavoro, ed è iscritto all'Ufficio di
Collocamento.
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La TAB.1 indica la condizione numerica del livello di occupazione in Italia e nel Regno Unito.
Descrizione
Popolazione Totale (1997)
Occupati
Disoccupati
Non occupati
Pensionati e ragazzi
Tab. 1 – fonte: Eurostat, 6° edizione
Italia
58.150.000
23.250.000
3.000.000
8.250.000
23.650.000
Regno Unito
57.285.500
31.400.000
3.600.000
1.500.000
20.750.000
La condizione drammatica in Italia non è rappresentata dai disoccupati, il cui indice sembra essere in
linea con quello d’altri Paesi con lo stesso livello di sviluppo, bensì dai “mai occupati”, vale a dire di
coloro che non entrano mai nel mondo del lavoro. Costoro sono completamente ignorati da qualsiasi
organismo istituzionale, giacché né il governo, né gli enti locali, né tantomeno i sindacati ne parlano
mai.
Quest’esercito di persone, che è pari ad un terzo dell'intera forza lavoro nazionale, per le istituzioni no
esiste; costoro potrebbero morire di fame, d'inedia, o di noia, senza che nessuna istituzione ne faccia
menzione. Ma queste persone non hanno alcuna voglia di morire, per cui si danno da fare per
sopravvivere, adattandosi a condizioni di mercato non trasparente, quindi certamente non sano. Tutti
loro, imprenditori o dipendenti, lavorano in "nero", e tutti, proprio tutti, si alienano in altre forme
associative diverse dallo Stato, perché da questi sono emarginati.
Alienazione ed emarginazione sono due facce di una stessa medaglia, quella dell’inefficienza della
gestione pubblica basata sull'imposizione di tributi per soddisfare esigenze ed interessi generali, senz
che a questa imposizione corrisponda un effettivo vantaggio per i contribuenti.
Nella volontà dello Stato e più generalmente della Pubblica Amministrazione l’imposizione di tasse e
tributi ha lo scopo di fornire servizi e interventi economici che i privati, per la natura stessa della loro
struttura, non possono attuare. Questo concetto è tuttora alla base dell'operato della pubblica
amministrazione, e dal momento che la sua attuazione è imperniata su una base impositiva ed
obbligatoria, non ha trovato critiche e reazioni razionali, ma solo emotive e istintive quali l'evasione e
l'alienazione.
Compito del nostro lavoro è quello di dimostrare come l’attuale intervento pubblico in economia sia
completamente al di fuori d'ogni regola di business (dove ogni azione deve comprendere il concetto d
minimo sforzo contro il massimo rendimento) quindi fuori da ogni contesto scientifico.
La contraddizione logica dell'intervento pubblico in economia.
Uno dei nostri primi lavori di indagine nella formulazione di questa proposta è stato quello di
analizzare la capacità di innesco di accelerazione economica e di accelerazione di impiego in alcune
delle principali e più comuni opere pubbliche attuate dallo Stato e dalle Pubbliche Amministrazioni sul
territorio, per verificare quanta nuova ricchezza e quanta nuova occupazione di lunga durata si possa
generare a seguito dell'iniezione di denaro pubblico.
La conclusione è stata terrificante: nuova ricchezza = zero; nuova occupazione di lunga durata = zero
la qual cosa giustifica anche l'incapacità, dopo anni d’intervento pubblico di bilanciare le condizioni tra
aree più ricche ed aree più povere del paese.
Per concretezza d’esposizione ci limitiamo a riportare solo le conclusioni più evidenti, in modo da dare
al lettore l'idea dell’abnormità del fenomeno.
7
Nel 1999, per il rifacimento di un acquedotto in un capoluogo di provincia del Mezzogiorno d'Italia
dove lo Stato ha stanziato un contributo di trenta miliardi, si è proceduto a gara pubblica "ope legis". L
gara è stata vinta da una ditta non locale, la quale ha completato il lavoro in poco più di un anno, ha
consegnato il lavoro in perfetta regola d'arte, onorando quindi il suo impegno contrattuale.
Questo intervento ha avuto le seguenti caratteristiche economiche:
a) Trasferimento di ricchezza reale in loco:
b) Accelerazione economica locale:
c) Nuova occupazione di lungo periodo:
LIT. 10 miliardi
~200 milioni per due anni
zero
In termini discorsivi questi dati indicano che:
1.
Dei trenta miliardi che lo Stato ha speso per l'opera pubblica sul territorio, soltanto meno del
trenta per cento della spesa è stato trasferito realmente sul territorio (il valore reale
dell'impianto), mentre i due terzi sono stati trasferiti (quale valore aggiunto) in altre parti,
certamente più ricche.
2. Il fenomeno ha generato solo 200 milioni di accelerazione economica per due soli anni, il che
significa che la ditta appaltatrice ha acquistato sul territorio solo sabbia e breccia.
3. L'intervento non ha generato nessun nuovo impiego di lungo termine, il che significa che, anch
se della mano d'opera locale è stata utilizzata per la costruzione dell'impianto, a fine lavoro
questa è stata totalmente dismessa.
L'amara conclusione di questo piccolo esempio è che la politica dei lavori pubblici affidata
all'intervento pubblico ha un effetto catastrofico secondo le regole economiche, giacché arricchisce
sempre più chi è gia ricco ed impoverisce sempre più chi è povero. Il fatto che nessuna impresa locale
fosse in grado di partecipare alla gara di appalto, che nessuna ditta fosse in grado di fornire materiale
locale alla costruzione dell'acquedotto, e che nessun lavoratore abbia trovato stabile collocamento, fa
capire come, secondo le regole economiche, lo Stato avrebbe fatto meglio a regalare l'importo della
commessa ai residenti del luogo invitandoli a provvedere da loro, piuttosto che provvedere lui secondo
le regole giuridiche dell'appalto pubblico. In quel caso, l'intera iniezione di fondi pubblici sarebbe
rimasta nel territorio, ed avrebbe certamente generato un acceleratore economico tale che avrebbe
messo i destinatari dei fondi nella condizione di costruirsi da soli l'acquedotto con uno sviluppo
economico certamente superiore a quello generato dall'appalto pubblico.
Di questi esempi la politica economica dello Stato è traboccante, ed è simile alla politica di sostegno o
di cooperazione con i Paesi poveri o emergenti, dove la maggior parte dell'aiuto finanziario lascia il
paese di destinazione assieme all'esecuzione degli interventi previsti, volatilizzandosi in sedicente
valore aggiunto.
Lo Stato è ormai consapevole di questa logica fallimentare da tanti anni, e dal 1990 ha emanato
disposizioni di legge che favoriscano una maggior cooperazione tra Enti pubblici locali e privati nella
realizzazione e nella gestione di opere d’interesse collettivo. Compito del nostro lavoro è quello di
fornire al lettore i riferimenti legislativi e le regole economiche che permettono la compartecipazione
pubblico-privato nelle opere di interesse pubblico. I riferimenti giuridici sono aggiornati sia nella parte
di diritto amministrativo, sia in quella di diritto finanziario e societario, supportati da tutte quelle fonti
normative che oggi impegnano l'ordinamento giuridico nazionale.
8
La gerarchia degli ordinamenti giuridici e la sovranità nazionale.
A quanti si lamentano e si disperano per la triste condizione di prerogativa perduta raggiunta dalla
limitata sovranità nazionale appare utile ricordare, o forse per alcuni enunciare per la prima volta, la
corretta gerarchia delle fonti normative in ogni ordinamento giuridico e il corretto procedimento da
seguire quando una norma superiore appare eccessivamente punitiva nei confronti di una fattispecie
locale. Pertanto, “Quid iuris?” quando una norma di diritto nazionale contrasta con una di diritto
comunitario?
La Corte di Giustizia di Lussemburgo è riuscita ad imporre il principio della preminenza del diritto
comunitario, indispensabile per la sopravvivenza dell’ordinamento giuridico della Comunità (ora
Unione Europea), nonostante la resistenza di alcuni Stati membri. In tal modo essa ha definito il
secondo elemento dell'ordinamento giuridico dell’Unione Europea, che insieme con l’applicabilità
diretta ha consentito di rafforzare le basi di tale ordinamento.
Alcuni anni dopo la sentenza “Van Gend & Loos”, un giudice milanese sottopose alla Corte di
Giustizia un quesito concernente l’interpretazione del Trattato CEE, che le permise di risolvere in
maniera definitiva il problema del contrasto degli ordinamenti giuridici.
Nel 1962 l’Italia aveva nazionalizzato la produzione di energia elettrica, e ne aveva affidato
l’amministrazione all’ENEL. Un azionista della società Edison Volta vide in questa nazionalizzazione
una lesione dei propri diritti, e rifiutò di pagare il canone per la fornitura che ammontava a poche
centinaia di lire. Davanti al conciliatore di Milano egli giustificò il proprio comportamento affermando,
fra l’altro, che la legge sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica contravveniva al Trattato CEE.
Dato che la decisione di tale controversia dipendeva dall’interpretazione di diversi articoli del Trattato,
il giudice si rivolse alla Corte di Giustizia della Comunità. Nella sua decisione la Corte ha pronunciato
due importanti principi in merito ai rapporti tra il diritto comunitario e gli ordinamenti nazionali:
Gli Stati hanno rinunciato definitivamente ai loro diritti di sovranità sugli enti pubblici da essi
costituiti; tali diritti non possono essere revocati con misure unilaterali che violino le norme
comunitarie.
2. Il Trattato CEE sancisce il principio che nessuno Stato membro può opporsi all’applicazione
uniforme del diritto comunitario su tutto il territorio della Comunità. Ne consegue che le norme
comunitarie, che sono state emanate nell’esercizio dei poteri previsti dai Trattati, prevalgono su
ogni disposizione nazionale contraria.
1.
La normativa comunitaria prevale, non solo sulle disposizioni nazionali vigenti, ma osta altresì
all’emanazione successiva di disposizioni nazionali con essa incompatibili. Di conseguenza la Corte d
Giustizia, pur astenendosi dall’esprimere un giudizio di merito sulla nazionalizzazione dell’energia
elettrica in Italia, ha decisamente affermato il diritto della preminenza della norma comunitaria anche
1
nei rapporti con il diritto costituzionale degli Stati membri
.
Giurisprudenza: Cfr. L’ABC del Diritto Comunitario: Ufficio delle Pubblicazioni Ufficiali delle Comunità Europee, 1986,
CB-NC-86-002-IT-C, pag. 57. Sulla “Natura giuridica e preminenza del Diritto Comunitario” si confronti:
- Causa 26/62 - Van Gend & Loos - Raccolta 1963, 1-61 (natura giuridica del diritto comunitario e doveri dei
singoli).
- Causa 6/64 - Costa/ENEL - Raccolta 1964, 1251-1306 (natura giuridica del diritto comunitario; applicabilità
diretta, preminenza del diritto comunitario).
- Causa 14/68 - Walt Wilheim e altri - Raccolta 1969, pag. 1 (natura giuridica del diritto comunitario; preminenza del
diritto comunitario).
- Causa 106/67 - Simmenthal - Raccolta 1978, 629-658 (diritto comunitario; applicabilità diretta; preminenza).
- Causa 83/78 - Pigs Marketing - Raccolta 1978, 2347 (preminenza del diritto comunitario).
- Causa 826/79 - Mireco - Raccolta 1980, 2559 (preminenza del diritto comunitario).
1
9
Dopo qualche esitazione iniziale, i tribunali nazionali hanno aderito in linea di massima al punto di
vista della Corte di Giustizia.
Nei Paesi Bassi, in ogni caso, non potevano porsi problemi, poiché nella Costituzione olandese (Artt.
67 e 68) è sancita esplicitamente la preminenza dei Trattati nei confronti del diritto nazionale.
Negli altri Stati membri il principio della preminenza del diritto comunitario nei confronti delle leggi
nazionali è già stato riconosciuto dai Tribunali nazionali.
Le Corti Costituzionali della Repubblica Federale di Germania e della Repubblica Italiana, tuttavia,
stabiliscono una deroga a tale principio nel caso in cui il diritto comunitario entri in conflitto con la
tutela dei diritti fondamentali prevista nelle rispettive Costituzioni. In tali casi, finora rimasti teorici, a
parere di tali Corti, un eventuale conflitto va risolto a favore del diritto nazionale. La disputa è ancora
aperta ed attende una soluzione.
Per quanto concerne la gerarchia della normativa dell'O.M.C., la “querelle” è gia stata risolta
dall’Unione Europea, la quale nella formulazione della seconda direttiva sulla liberalizzazione dei
lavori pubblici, si preoccupò di rivederne il contenuto giacché ritenuto in contrasto con la normativa su
GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) che allora regolava la questione, prima dell'istituzione
dell'O.M.C.
In tale normativa si afferma la completa libertà (a parità di condizione con le imprese domiciliate sul
territorio in cui l'appalto pubblico si svolge) di partecipazione agli appalti per le imprese domiciliate nei
Paesi aderenti al GATT, secondo le proprie normative nazionali.
Quest’innovazione, probabilmente ancora poco attuata perché sconosciuta, comporta che una impres
nazionale che si senta penalizzata dalla propria normativa di riferimento, possa domiciliarsi nella
giurisdizione più favorevole di un qualsiasi Paese aderente all'O.M.C., per poi tornare a partecipare al
gare del suo Paese in regime di lavoro temporaneo, se si tratta di appalti di lavori, o senza nessun'altr
preoccupazione alcuna, qualora si tratti di appalti di servizi che possono essere forniti a distanza.
Un esempio di quest'ultima conclusione è la fornitura di servizi di telecomunicazione, assicurativi,
bancari, previdenziali, e di fornitura di qualsiasi bene mobile.
Per quanto concerne la risoluzione del contenzioso tra la norma nazionale e quella europea, la Corte
Giustizia dell'U.E. ha disposto e ribadito più volte che il giudice nazionale ha il diritto dovere di
giurisdire, potendo ricorrere al parere della Corte solo in caso di interpretazione della norma europea.
Possono adire direttamente la Corte solo gli Stati membri per dirimere il contenzioso tra Stati, e la
Commissione per dirimere questioni interne o con gli Stati membri.
Per quanto concerne la risoluzione di contenzioso concernente una disposizione dell'O.M.C.,
quest'ultima è riuscita a dotarsi di una tale autorevolezza (del tutto giustificata e auspicata) che riesce
dirimere contenziosi tra Stati (i soli autorizzati ad adirla) che il vecchio accordo del GATT non lasciava
nemmeno sperare.
10
CAPITOLO I
L'ENTE PUBBLICO
- Definizioni.
Secondo il Mortati2, l'ente può essere definito come "l'organizzazione che nasce dall’esigenza di
soddisfare bisogni che rimangono affidati alla cura di differenti gruppi sociali, che parimenti entrano a
comporre l'ordinamento generale dello Stato inteso nell'accezione più ampia.Ognuna di queste
organizzazioni assume il carattere d’ordinamento giuridico, che vive di vita propria e che può essere
anche preesistente allo Stato. La distinzione fra ordinamento privato e ordinamento pubblico si effettu
sulla base della soddisfazione degli interessi, nel senso che il primo è orientato alla sfera degli interes
individuali, il secondo a quello degli interessi generali”.
1.1
1.2 – Autonomia e autarchia
Per caratterizzare le entità considerate, la legge impiega due termini essenziali (autonomia e autarchi
dei quali bisogna precisare il significato se si vuol dare senso compiuto al discorso.
Il termine autonomia, richiamato da varie disposizioni costituzionali (art. 115 "le regioni sono costituite
in enti autonomi"; art. 116 "alla Sicilia........ sono attribuite condizioni di particolare autonomia"; art.
118 "le regioni hanno autonomia finanziaria"; art. 128 "le province e i comuni sono autonomi"), in base
al suo significato etimologico greco (autos = sé stesso; nemein = governare) indica la libertà di
determinazione consentita ad un soggetto, che si estrinseca nel potere di darsi una regola della propr
azione, o più particolarmente, la potestà di provvedere alla cura di interessi propri, quindi di possedere
e di disporre dei mezzi necessari. L'autonomia, quindi, presuppone l'indipendenza da altri poteri e ha
valore nell'ambito della sua estensione.
Qualora l'indipendenza sia massima, il termine coincide con quello di sovranità, così come essa venne
intesa in origine. Quando, in seguito, l'attribuzione sovrana venne attribuita allo Stato, il termine
autonomia venne a significare il potere di autodeterminazione esercitabile in maniera indipendente ne
limiti consentiti dalla legge dello Stato.
Il termine autarchia nel suo significato etimologico greco (autòs = se stesso; arkè = comando, potere)
indica autosufficienza, una delle esigenze dell'autogoverno.
Gli enti ai quali l'ordinamento giuridico attribuisce i poteri d’autonomia e d’autarchia sono certamente
di natura pubblicistica, così come è per gli enti territoriali.
Ma, quando l'espresso riconoscimento di siffatti poteri manca, o quando qualcuno di essi risulti esclus
quali possono essere gli elementi costitutivi per poter giungere alla determinazione della figura
pubblicistica o privatistica dell'organizzazione?
Considerando che nessuno dei criteri elaborati soddisfa l'universalità dello scopo, appare evidente co
la pubblicità dell'organo debba essere dedotta dal trattamento giuridico riservato all'ente, tenendo
presente che gli elementi assunti per caratterizzarlo devono essere essenziali ad esso e che, quindi,
questi non possono venir meno senza che l'ente stesso modifichi la sua natura, secondo le
caratteristiche di un insieme logico matematico. Così l'elemento del controllo appare necessario
all'attività pubblicistica, mentre è accessorio all'attività privatistica, giacché può cessare in ogni
momento senza determinare mutamento giuridico dell'organizzazione.
1.3 – Categorie di enti pubblici
L'analisi finora condotta si può concludere proponendo tre categorie generali di enti tra le numerose
2
Costantino Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Pagg. 777 e segg. Cedam, Padova, 1969.
11
articolazioni esterne alla presenza dello Stato.
Nella prima categoria rientrano gli enti che sono posti in essere dalla norma costituzionale, o
da legge ordinaria. Sono in posizione d’indipendenza dallo Stato e sono forniti di un minimo di poteri
autoritari per realizzare i loro fini istituzionali.
Questa categoria può essere suddivisa in:
! enti a fini generali (quali quelli a competenza territoriale come il comune, per i quali vige il
principio di appartenenza di quanti risiedono sul suo territorio di pertinenza)
! enti a fini particolari (come gli enti di beneficenza e assistenza, oppure gli organi
semiprofessionali per i quali vale il principio di appartenenza degli esercenti la professione).
Nella seconda categoria sono da collocare gli organismi collegati direttamente con lo Stato e creat
per l'adempimento di compiti spettanti allo Stato, ma che sono esercitati in nome proprio dagli enti, ch
appunto sono designati come "enti strumentali".
La strumentalità di questi enti, per quanto concerne la soddisfazione degli interessi perseguiti, è
assicurata attraverso due tipi di controllo:
! quello sugli organi (attraverso il potere di nomina dei dirigenti e di scioglimento degli organi
direttivi);
! quello sull'attività o sugli atti (potere di ispezione, obbligo dei dirigenti a riferire, potere di
imporre direttive).
Nella terza categoria vi si includono gli enti i quali sono tenuti istituzionalmente (e quindi non in
via accessoria) a conseguire i fini loro assegnati dallo Stato, giovandosi dei mezzi consentiti dal diritto
privato. Queste organizzazioni sono persone giuridiche pubbliche istituite per l'esercizio d’attività
imprenditoriali e che assumono il nome di "enti di gestione, o economici", tenuti ad operare secondo
criteri di economicità. A questa categoria appartengono gli enti controllati dal Ministero per i Lavori
Pubblici (IRI ed ENI), nonché l'ente elettrico nazionale (ENEL).
I rapporti con i terzi vengono esplicati secondo le norme del diritto privato, e di tipo privatistico è
anche il rapporto con i dipendenti. Pertanto, l'unico elemento pubblico invocabile è quello desunto
dall'obbligo di esplicare l'attività loro affidata e dal divieto di disporre o anche solo di subire la
cessazione dell'attivitàˆ stessa, tant'è che nei loro confronti non è applicabile né la legge fallimentare n
alcuna procedura concorsuale applicabile alle aziende commerciali in dissesto.
Una volta costituito, l'ente gode di un proprio diritto alla continuità, pertanto, qualsivoglia revoca
del riconoscimento o scioglimento non può essere arbitrario, ma deve essere giustificato dalla
cessazione del fine da conseguire o da situazioni tali che ne rendano impossibile il loro conseguiment
1.4 – L’azionariato di Stato
La forma più diffusa di intervento della mano pubblica nella gestione di imprese produttive è
quella del cosiddetto "azionariato di Stato", vale a dire la partecipazione del potere pubblico in società
per azioni gestite secondo le norme del diritto privato ed in gestione comune con soggetti privati.
L'assetto imponente raggiunto in Italia da tale forma di gestione trae la sua origine in parte dalla
strategicità dei mercati (fonti d’energia per quanto concerne la costituzione di ENI ed ENEL) ed in
parte dal salvataggio d’imprese bancarie o industriali (IRI). Per la maggior parte delle società a
partecipazione pubblica si è dato vita ad "enti autonomi di gestione" sottoposti al potere di direzione
del Ministero dei LL.PP. e da un comitato interministeriale che, tuttavia, dovrebbe essere esercitato in
modo da non far venir meno la loro autonomia.
Il più importante ente di gestione è l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) che controlla una
serie di società bancarie, la radiotelevisione, l'Alitalia, le autostrade, e cinque finanziarie per distinti
12
settori d’attività (telefonico, armatoriale, siderurgico, meccanico e cantieristico), mentre secondo per
importanza è l'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) cui seguono enti minori. La situazione, come si può
vedere, è ibrida e non priva di difficoltà e di schematizzazione teorica, ma anche di funzionamento
pratico.
Differiscono dagli enti di gestione gli "enti pubblici economici", che realizzano una gestione diretta
pubblicistica d’imprese, le quali appunto, perché rivolte all'esercizio di servizi pubblici (e in molti casi
in regime di monopolio), si propongono la soddisfazione degli interessi generali a questi connessi,
senza alcun fine di lucro che, invece, rimane il contrassegno degli enti di gestione.
La situazione analizzata finora descrive lo status giuridico degli enti pubblici gestiti dallo Stato nella
condizione iniziale, cioè al momento della loro costituzione.
Nel tempo questi enti hanno ricevuto cambiamenti radicali, giacche sono stati tutti trasformati in
Societàˆ per Azioni, pur conservando la loro natura pubblicistica. Pertanto, se la situazione era ibrida e
non priva di difficoltà di schematizzazione teorica e di funzionamento pratico, come affermava
Costantino Mortati, con la loro trasformazione in società di diritto privato (S.p.a.), la confusione
giuridica è aumentata, mentre il criterio della loro presenza in un mercato di libera competizione lascia
addirittura strabiliati. Infatti, mentre l'E.N.I. opera in un mercato vigilato, l'I.R.I. opera in mercati liberi
e vigilati, l'ENEL e le F.S. operano in regimi di monopolio giuridico.
Inoltre, proprio la conduzione dei monopoli giuridici di Stato hanno comportato e continuano a
comportare i più disastrosi dissesti economici, giacché questi organismi non hanno nessun interesse a
migliorare la loro efficienza in quanto essi o ottengono dal Governo aumenti tariffari, oppure ottengono
continui aumenti di capitale sociale per pareggiare le perdite, oppure ottengono contribuzioni di
differente natura. Il comportamento del nostro Governo è stato più volte riprovato dalla Commissione
dell'Unione Europea, che però non si è mai data peso più di tanto del dissesto della gestione di questi
enti, dal momento che altri Stati membri europei come ad es. la Francia amano il dirigismo di Stato,
anche se bisogna puntualizzare che la loro amministrazione è molto più efficiente di quella italiana.
Alcuni monopoli giuridici, quale ad es. quello telefonico, non è stato smobilitato "ope legis", bensì ad
opera delle nuove tecnologie che, nonostante la barriera monopolistica, ha reso possibile l'utilizzo di
reti telefoniche di altri gestori attraverso l'ingresso nelle loro reti tramite numeri verdi di accesso
gratuito.
Pertanto, non è stata la volontà dello Stato ad abolire alcuni monopoli, quanto il progresso tecnologico
che li ha resi inutili tramite la comunicazione telematica.
Quest’argomento è pertinente anche per le banche, dal momento che gli strumenti telematici
permettono di eseguire transazioni in tempo reale in tutte le piazze finanziarie del mondo. Solo
un'assurda politica di controllo statale si ostina ad ostacolare l'ingresso delle banche nazionali nel
contesto del mercato finanziario internazionale, senza considerare che in questo modo i nostri istituti
perdono qualsiasi capacità di competizione, con il risultato finale che saranno sempre più abbandonat
dalla clientela economica, quella che produce ricchezza reale.
Le nostre banche oggi sono solo dei grandi magazzini di servizi finanziari (ricevono pagamenti,
vendono titoli di stato, promuovono attività turistiche), ma non sanno fare il mestiere di banca, che
viene esercitato da altri organismi, con o senza presenza sul territorio nazionale.
La teoria del Mortati ha resistito e resiste ad ogni innovazione giuridica ed organizzativa, in quanto è
una teoria scientifica, ovvero basata sulla razionalità dell'impostazione, dove il termine razionalitàˆ
corrisponde, in questo caso, al termine "efficienza".
Per fortuna che, dopo i guasti di due guerre mondiali, abbiamo potuto fare affidamento su alcuni enti
pubblici che hanno contribuito a risollevare le sorti del Paese, organizzazioni che ci hanno invidiato e
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copiato molti Paesi in Europa e nel mondo. Ricordo come da studente a Firenze negli anni sessanta,
l'Istituto Cesare Alfieri ospitava periodicamente conferenzieri e statisti di molti Paesi venuti
espressamente in Italia per osservare ed imitare i nostri enti pubblici di gestione.
Quindi, un grazie di cuore a Costantino Mortati per aver così efficacemente descritto e classificato le
categorie delle organizzazioni pubbliche e private, e le mie scuse per aver troppo abusato del suo lavo
per semplificare il mio.
1.5 – Il diritto dell’Unione Europea
Le teorie fin qui enunciate vanno oggi vagliate alla luce della normativa dell'Unione Europea (E.U.) e
dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (O.M.C.), soprattutto per quanto concerne le regole di
concorrenza e la liberalizzazione degli appalti pubblici di lavori e servizi.
Le regole di concorrenza dell'U.E. e dell'O.M.C. prescrivono che i mercati debbano essere accessibili
tutti, e che i monopoli non debbano più sussistere per tutte le attivitàˆ a "valenza economica". Il termin
di valenza economica ha purtroppo una definizione piuttosto ambigua, giacché vorrebbe indicare tutte
quelle attivitàˆ non finalizzate al profitto, senza riuscirci minimamente. In effetti, quando nel 1993 M.
Poucet, sindacalista di Parigi, pose il quesito alla Corte di Giustizia dell'U.E. sulla liceità del Servizio
Sanitario Nazionale francese in base alla normativa comunitaria sulla concorrenza, la Corte si
pronunci˜ affermando che quel servizio era escluso dalla concorrenza perché non aveva valenza
economica. Questo significa che il servizio sanitario nazionale francese era, ed è, un servizio senza
finalità di lucro. Ebbene, che dire, allora, delle Organizzazioni Non Governative (O.N.G.) che operano
senza fini di lucro? Anche queste possono sfuggire alle regole di concorrenza?
Inoltre, gli enti pubblici di gestione, vale a dire quegli organismi che devono gestirsi con le loro risorse,
possono continuare ad operare in regime di monopolio giuridico, o debbono aprirsi alla concorrenza?
Malauguratamente, troppi esperti continuano a confondere la concorrenza con la privatizzazione e
arrecano un danno incalcolabile all'economia. Una qualsiasi organizzazione, che operi in regime di
monopolio, può essere tollerata e giustificata solo se riveste la figura di ente pubblico, sia sotto la
forma di organizzazione di diritto pubblico che sotto quella di diritto privato. Se invece questa stessa
organizzazione viene privatizzata, si ha l'aberrazione del monopolio privato instaurato di diritto.
Inoltre, che dire della liberalizzazione degli appalti pubblici? Se questi enti devono gestirsi in
economia, quindi con le proprie risorse, a che serve sottoporre i loro lavori a gara pubblica, quando
qualsivoglia impresa privata, quale essi devono cercare di imitare, sottopone ogni suo fornitore a
preliminari di offerta rigidi e accurati? E ancora, se queste attività vengono privatizzate, che destino
subirà la normativa sugli appalti pubblici? Vedete, queste problematiche non sono futili: sono ormai
inutili. L'unico rimedio ad uno stato di diritto che ormai non riesce più a sopportare nemmeno la mole
del suo organismo è quello di farlo drasticamente dimagrire, altrimenti collassa. Gli enti pubblici
collegati direttamente allo Stato, o quelli di gestione, hanno costituito una cura estremamente efficace
immediatamente a ridosso dei due conflitti mondiali, giacché hanno risollevato le sorti economiche de
nostro Paese meglio di chiunque altro. Ma da quelle date ad oggi la tecnologia ha trasformato il nostro
modo di operare e di vivere, dimostrando che il centralismo dirigista è solo limitativo di ogni sviluppo
economico e culturale. L'economia ha bisogno di libertà di manovra per esprimere tutto il suo
potenziale, per cui questi enti debbono ridurre al minimo la loro presenza e, soprattutto confrontarsi
con la realtà del nonprofit privato che alla data della loro istituzione non esisteva nemmeno. Per
rendere agevole e più comprensibile il lavoro del lettore, è opportuno considerare come l'ordinamento
giuridico nazionale è stato riconsiderato dopo l'avvento dell'Unione Europea e la formalizzazione
dell'O.M.C.
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CAPITOLO II
GLI ENTI PUBBLICI LOCALI
2.1 - Principi generali.
Ai sensi dell'art. 117, primo e secondo comma, e dell'art. 118, primo comma, della Costituzione, le
regioni organizzano l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le
province.
A tali fini, le leggi regionali si conformano ai principi stabiliti dalla Legge 8 giugno 1990, n. 142, (1) in
ordine alle funzioni del comune e della provincia, identificando nelle materie e nei casi previsti dall'art.
117 della Costituzione gli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della
popolazione e del territorio.
La legge regionale disciplina la cooperazione dei comuni e delle province tra loro e con la regione, al
fine di realizzare un efficiente sistema delle autonomie locali al servizio dello sviluppo economico,
sociale e civile.
La regione determina gli obiettivi generali della programmazione economico-sociale, e su questa base
ripartisce le risorse destinate al finanziamento del programma d’investimenti degli enti locali.
Comuni e province concorrono alla determinazione degli obiettivi e dei contenuti nei piani e nei
programmi dello Stato e delle regioni e provvedono, per quanto di propria competenza, alla loro
specifica attuazione. La legge regionale stabilisce forme e modi della partecipazione degli enti locali
alla formazione dei piani e programmi regionali e degli altri provvedimenti della regione.
La legge regionale, inoltre, fissa i criteri e le procedure per la formazione ed attuazione degli atti e deg
strumenti della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale dei comuni e delle
province rilevanti ai fini dell'attuazione dei programmi regionali. La legge regionale disciplina, altresì,
con norme di carattere generale, modi e procedimenti per la verifica della compatibilità fra gli
strumenti di cui al comma 7 e i programmi regionali, ove esistenti.
I comuni e le province adottano il proprio statuto nell'ambito dei principi fissati dalla legge, che
stabilisce le forme generali e fondamentali per l'organizzazione dell'ente ed in particolare determina le
attribuzioni degli organi, l'ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme della collaborazione
fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell'accesso dei cittadini alle
amministrazioni ed ai procedimenti amministrativi
Glia statuti sono deliberati dai rispettivi consigli comunali con il voto favorevole dei due terzi dei
consiglieri assegnati. Dopo l'espletamento del controllo da parte del competente organo regionale, lo
statuto è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione, affisso all'albo pretorio dell'ente per trenta
giorni consecutivi ed inviato al Ministero dell'Interno per essere inserito nella raccolta ufficiale degli
statuti. Lo statuto entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nel Bollettino
Ufficiale della Regione.
Nel rispetto della legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti per
l'organizzazione ed il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il
funzionamento degli organi e degli uffici e per l'esercizio delle funzioni
I comuni valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione dei
cittadini all'amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione. I rapporti di tali forme
associative con il comune sono disciplinati dallo statuto
Nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per
l'ammissione d’istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere
15
interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere altresì determinate la garanzia pe
il loro tempestivo esame. Possono essere previsti referendum consultivi anche su richiesta di un
adeguato numero di cittadini. Le consultazioni e i referendum devono riguardare materie d’esclusiva
competenza locale e non possono accadere in coincidenza con altre operazioni di voto.
Ciascun elettore può far valere innanzi alle giurisdizioni amministrative le azioni ed i ricorsi che
spettano al comune. Il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti del comune. In
caso di soccombenza le spese sono a carico di chi ha promosso l'azione o il ricorso.
Tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati
per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindac
del presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a quanto previsto dal
regolamento, perché la loro diffusione possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei
gruppi o delle imprese.
Il regolamento assicura ai cittadini, ai singoli e associati il diritto di accesso agli atti amministrativi e
disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; individua, con norme di
organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei procedimenti; detta le norme necessarie per
assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull'ordine di esame di
domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di
accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione.
Al fine di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all'attività dell'amministrazione, gli enti locali
assicurano l'accesso alle strutture ed ai servizi agli enti, alle organizzazioni di volontariato e alle
associazioni.
Gli statuti comunali e provinciali possono prevedere la figura del difensore civico, il quale svolge il
ruolo di garante dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o
provinciale, segnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le mancanze ed i ritardi
dell'amministrazione nei confronti dei cittadini. Lo statuto disciplina l'elezione, le prerogative ed i
mezzi del difensore civico nonché i suoi rapporti con il consiglio comunale o provinciale.
CFR DL
CFR DL
CFR DL
CFR DL
CFR DL
CFR L
CFR DTL
CFR DPR
MODL
CFR DM
CFR L
CFR OPCONS
CFR OPCONS
CFR OPCONS
CFR OPCONS
CFR OPCONS
CFR DL
MOD DL
CFR L
CFR L
24.07.1990 n. 199
28.09.1990 n. 268
13.11.1990 n. 324
13.03.1991 n. 76
13.05.1991 n. 152
24.02.1992 n. 224
27.04.1992 n. 282
24.08.1993 n. 378
02.11.1993 n. 436
16.11.1993
24.12.1993 n. 537
11.02.1994
10.03.1994
31.03.1994
08.11.1994
08.11.1994
16.11.1994
16.01.1995 n. 9
26.10.1995 n. 447
26.10.1995 n. 447
Art. 18
Art. 14
Art. 14
Art. 20
Art. 2
Art. 7
Art. 6
Art. 2
Art. 2
Art. 2
Art. 2
Art. 2
Art. 2
Art. 2
Art. 4
Art. 5
16
2.2 - Il Comune.
Spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio
comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell'assetto ed utilizzazione del
territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti
dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Per l'esercizio delle sue funzioni in
ambiti territoriali adeguati, il comune attua forme sia di decentramento, sia di cooperazione con altri
comuni e con la provincia.
Il comune gestisce, inoltre, i servizi elettorali, di anagrafe, di stato civile, di statistica e di leva militare.
Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo. Ulteriori funzioni
amministrative per servizi di competenza statale possono essere affidate ai comuni dalla legge che
regola anche i relativi rapporti finanziari, assicurando le risorse necessarie.
A norma degli artt. 117 e 133 Cost., le regioni possono modificare le circoscrizioni territoriali dei
comuni, sentite le popolazioni interessate, nelle forme previste dalla legge regionale. Salvo i casi di
fusione tra più comuni, non possono essere istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore ai 10.000
abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri comuni scendano sotto tale limite.
Le regioni predispongono programma di modifica delle circoscrizioni comunali e di fusione dei piccoli
comuni, e lo aggiornano ogni cinque anni, tenendo conto delle unioni costituite ai sensi dell'art. 26
della Legge 8 giugno 1990 n. 142. La legge regionale che istituisce comuni mediante fusione di due o
più comuni contigui, prevede che alle comunità di origine, o ad alcune di esse, siano assicurate
adeguate forme di partecipazione e di decentramento dei servizi. Al fine di favorire la fusione di
comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti anche con comuni di popolazione superiore, oltre
agli eventuali contributi della regione, lo Stato eroga, per i dieci anni successivi alla fusione stessa,
appositi contributi straordinari commisurati ad una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni
che si fondono. Nel caso di fusione di due o più comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, tali
contributi straordinari sono calcolati per ciascun comune. Nel caso di fusione di uno o più comuni con
popolazione inferiore ai 5.000 abitanti con uno o più comuni di popolazione superiore, i contributi
straordinari sono calcolati soltanto per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti ed iscritti
nel bilancio del comune risultante dalla fusione, con obbligo di destinarne non meno del 70% a spese
riguardanti esclusivamente il territorio ed i servizi prestati nell'ambito territoriale dei comuni soppressi,
aventi popolazione inferiore a 5.000 abitanti.
La legge regionale può prevedere l'istituzione di municipi nei settori delle comunità con il compito di
gestire i servizi di base, nonché altre funzioni delegate dal comune. Lo statuto del comune regola
l'elezione, contestualmente al consiglio comunale, di un pro-sindaco e di due consultori da parte dei
cittadini residenti nel municipio, in conformità a liste concorrenti e tra candidati ivi residenti ed
eleggibili a consigliere comunale. Sono eletti i candidati della lista che ottiene il maggior numero di
voti.
Il comune capoluogo di provincia ed i comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti articolano
il loro territorio per istituire le circoscrizioni di decentramento, quali organismi di partecipazione, di
consultazione e di gestione di servizi di base, nonché d’esercizio delle funzioni delegate dal comune.
L'organizzazione e le funzioni delle circoscrizioni sono disciplinate dallo statuto comunale e da
apposito regolamento. I comuni con popolazione tra i 30.000 ed i 100.000 abitanti possono articolare
loro territorio comunale per istituire le circoscrizioni di decentramento. Il consiglio circoscrizionale
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rappresenta le esigenze della popolazione della circoscrizione nell'ambito dell'unità del comune ed è
eletto a suffragio diretto secondo le norme stabilite per l'elezione dei consigli comunali con
popolazione superiore a 5.000 abitanti. Il consiglio circoscrizionale elegge nel suo ambito un
presidente. E' abrogata la Legge 8 aprile 1976, n. 278 e successive modifiche e integrazioni.
2.3 - La Provincia.
Spettano alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardano vaste zone
intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori:
a) difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell'ambiente e prevenzione delle calamità:
b) tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche;
c) valorizzazione dei beni culturali;
d) viabilità e trasporti;
e) protezione della flora, della fauna, dei parchi e delle riserve naturali;
f) caccia e pesca nelle acque interne;
g) organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale; rilevamento, disciplina e
controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore;
h) servizi sanitari, d’igiene e profilassi pubblica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
g) compiti connessi all’istruzione secondaria di secondo grado ed artistica ed alla formazione
professionale, compresa l'edilizia scolastica, attribuiti dalla legislazione statale e regionale;
l) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
La provincia, in collaborazione con i comuni ed in conformità a programmi ben precisi, promuove e
coordina attività nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale, sia nel settore economico,
produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo. La gestione di tali attività
ed opere avviene attraverso le forme previste dalla Legge 8 giugno 1990, n. 142, per la gestione dei
servizi pubblici.
La provincia ha i seguenti compiti di programma:
a) raccoglie e coordina le proposte avanzate dai comuni ai fini della programmazione economica,
territoriale ed ambientale della regione;
b) concorre alla determinazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani
regionali secondo norme dettate dalla legge regionale;
c) formula ed adotta, con riferimento alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di
sviluppo, propri programmi pluriennali, sia di carattere generale che settoriale, e promuove il
coordinamento dell'attività programmatoria dei comuni.
La provincia, inoltre, predispone ed adotta il piano territoriale di coordinamento che, ferme restando le
competenze dei comuni, ed in attuazione della legislazione e dei programmi regionali, determina
indirizzi generali di assetto del territorio e, in particolare, indica:
a) le diverse destinazioni del territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;
b) la localizzazione di massima delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;
c) le linee di intervento per la sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico forestale ed in genere pe
il consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;
d) le aree nelle quali sia opportuno istituire parchi o riserve naturali.
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I programmi pluriennali e il piano territoriale di coordinamento sono trasmessi alla regione, ai fini di
accertarne la conformità agli indirizzi regionali della programmazione socioeconomica e territoriale.
La legge regionale detta le procedure di approvazione nonché norme che assicurino il concorso dei
comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani territoriali di coordinamento.
Ai fini di coordinamento e di approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale predisposti dai
comuni, la provincia esercita le funzioni ad essa attribuite dalla regione ed ha, in ogni caso, il compito
di accertare la compatibilità di detti strumenti con le previsioni del piano territoriale di coordinamento.
Gli enti e le amministrazioni pubbliche, nell'esercizio delle rispettive competenze, si conformano ai
piani territoriali di coordinamento delle province e tengono conto dei loro programmi pluriennali.
In relazione all'ampiezza e peculiarità del territorio, alle esigenze della popolazione ed alla funzionalità
dei servizi, la provincia può disciplinare nello statuto la suddivisione del territorio in circondari e, sulla
base di essi, organizzare gli uffici, i servizi e la partecipazione dei cittadini.
Per la revisione delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province, i comuni esercitano
l'iniziativa di cui all'art. 133 della costituzione, tenendo conto dei seguenti criteri ed indirizzi:
a) ciascun territorio provinciale deve corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte
dei rapporti sociali, economici e culturali della popolazione residente;
b) ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale per ampiezza, entità demografica, nonché
per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello sviluppo che
possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e regionale;
c) l'intero territorio di un comune deve far parte di una sola provincia;
d) l'iniziativa dei comuni, di cui all'art. 133 della costituzione, deve conseguire l'adesione della
maggioranza dei comuni dell'area interessata, che rappresentino in ogni modo la maggioranza dell
popolazione complessiva dell'area stessa, con delibera assunta a maggioranza assoluta dei
consiglieri assegnati;
e) di norma, la popolazione delle province risultanti dalle modificazioni territoriali non deve essere
inferiore a 200.000 abitanti;
f) l'istituzione di nuove province non comporta necessariamente l'istituzione di nuovi uffici provinciali
delle amministrazioni dello Stato e degli altri enti pubblici;
g) le province preesistenti debbono garantire alle nuove, in proporzione alla popolazione ed al territori
trasferiti, personale, beni, strumenti operativi e risorse finanziarie adeguate.
Ai sensi del secondo comma dell'art. 117 della costituzione, le regioni emanano norme intese a
promuovere e coordinare l'iniziativa dei comuni di cui alla lettera d) del comma 2.
2.4 - Le Aree Metropolitane.
Ai sensi della Legge 8 giugno 1990 n. 142, art. 17, sono considerate aree metropolitane le zone
comprendenti i Comuni di Torino, Milano, Venezia, Bologna, Genova, Firenze, Roma, Bari, Napoli e
gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività
economiche, ai servizi essenziali della vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche
territoriali.
La regione procede alla delimitazione territoriale di ciascuna area metropolitana, sentiti i comuni e le
province interessate, entro un anno dalla entrata in vigore della suddetta legge.
Quando l'area metropolitana non coincide con il territorio di una provincia si procede alla nuova
delimitazione delle circoscrizioni provinciali o all'istituzione di nuove province ai sensi dell'art. 16
della Legge 8 giugno 1990, n. 142, considerando l'area metropolitana come territorio di una nuova
19
provincia.
Nell'area metropolitana la provincia si configura come autorità metropolitana con specifica potestà
statutaria ed assume la denominazione di "città metropolitana".
In attuazione dell'art. 43 della Legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (statuto speciale per la
Sardegna), la regione Sardegna può con legge dare attuazione a quanto previsto nel presente dettato
delimitando l'area metropolitana di Cagliari.
Nell'area metropolitana l'amministrazione locale si articola su due livelli:
a) città metropolitana;
b) comuni.
Alla città metropolitana si applicano le norme relative alle province, in quanto compatibili, comprese
quelle elettorali fino all’emanazione di nuove norme.
Sono organi della città metropolitana:
! - il consiglio metropolitano;
! - la giunta metropolitana;
! - il sindaco metropolitano, che presiede il consiglio e la giunta.
La legge regionale, nel ripartire fra i comuni e la città metropolitana le funzioni amministrative,
attribuisce alla città metropolitana, oltre alle funzioni di competenza provinciale, le funzioni che di
norma vengono affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovraccomunale o debbono, per
ragioni di economicità o efficienza, essere svolte in forma coordinata nell'area metropolitana, nell'
ambito delle seguenti materie:
$ a) pianificazione territoriale dell'area metropolitana e dell'ambiente;
$ b) viabilità, traffico e trasporti;
$ c) tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell'ambiente;
$ d) difesa del suolo, tutela idrogeologica, tutela e valorizzazione delle risorse idriche,
smaltimento dei rifiuti;
$ e) raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche;
$ f) servizi per lo sviluppo economico e grande attribuzione commerciale;
$ g) servizi d’area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e
degli altri servizi urbani di livello metropolitano.
Alla città metropolitana competono le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi ad essa attribuiti.
Ai comuni dell'area metropolitana restano le funzioni non attribuite espressamente alla città
metropolitana.
Entro diciotto mesi dalla delimitazione dell'area metropolitana, la regione, sentiti i comuni interessati,
provvede al riordino delle circoscrizioni territoriali dei comuni dell'area metropolitana. A tal fine la
regione provvede anche all’istituzione di nuovi comuni per scorporo da aree di intensa urbanizzazione
o per fusione di comuni contigui, in rapporto al loro grado di autonomia, di organizzazione o di
funzionalità, così da assicurare il pieno esercizio delle funzioni comunali, la razionale utilizzazione dei
servizi, la responsabile partecipazione dei cittadini, nonché un equilibrato rapporto tra dimensioni
territoriali e demografiche.
I nuovi comuni enucleati dal comune che comprende il centro storico conservano l'originaria
denominazione alla quale aggiungono quella più caratteristica dei quartieri o delle circoscrizioni che li
compongono. Ai nuovi comuni sono trasferiti dal comune preesistente, in proporzione agli abitanti ed
al territorio, risorse e personale, nonché adeguati strumenti immobili e mobili.
Il Governo è delegato ad emanare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della present
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legge, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, appositi decreti legislativi per la
costituzione, su proposta delle rispettive regioni, delle autorità metropolitane nelle aree di cui all'art. 17
della Legge 8 giugno 1990 n. 142.
I decreti, tenendo conto della specificità delle singole aree, si conformeranno ai criteri della suddetta
legge. In mancanza o ritardo della proposta regionale il Governo provvede direttamente.
Qualora la regione non provveda agli adempimenti di cui all'art. 2 della suddetta legge, il Governo con
deliberazione del Consiglio dei ministri invita la regione ad adempiere. Trascorsi inutilmente sei mesi,
il Governo è delegato a provvedere con decreti legislativi, osservando i criteri di cui all'art. 20, sentiti i
comuni interessati e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
2.5 - I servizi pubblici locali.
I comuni e le province, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi
pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a
promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. I servizi riservati in via esclusiva ai
comuni e alle province sono stabiliti dalla legge.
I comuni e le province possono gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:
% a) in economia: quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia
opportuno costituire un’istituzione o un'azienda;
% b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunità
sociale;
% c) a mezzo d’azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed
imprenditoriale;
% d) per mezzo d’istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;
% e) per mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda
opportuna la partecipazione d’altri soggetti pubblici o privati, in relazione alla natura del
servizio da erogare.
2.5.1- La gestione in economia
è la forma più immediata di gestione di una qualsiasi attività da parte dell'ente locale, ma anche la più
difficile e rigida, quando l'attività da svolgere riveste una certa importanza e complessità. In questa
forma tutte le attività sono a carico del bilancio comunale e seguono le disposizioni di legge che
disciplinano l'attività dell'ente locale in tutti suoi aspetti e le sue forme.
2.5.2 - La concessione a terzi
è la forma più sbrigativa per togliersi un problema che può solo aggravare i compiti dell'ente locale. La
figura della concessione consiste nel "concedere" ad un terzo la possibilità di costruire e gestire un
impianto, una struttura, o un servizio e di ripagarsi con i profitti della gestione. Il contratto di
concessione è soggetto a gara, tranne che nei casi di innovazione tecnologica previsti dalle leggi in
materia.
2.5.3 – L’azienda speciale
è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, d’autonomia imprenditoriale e di
proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale.
2.5.4 - L'istituzione
è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio dei servizi sociali, dotato d’autonomia
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gestionale.
Organi dell'azienda e dell'istituzione sono il consiglio di amministrazione, il presidente, e il direttore, al
quale compete la responsabilità gestionale. Le modalità di nomina e revoca degli amministratori sono
stabilite dallo statuto dell'ente locale.
L'azienda e l'istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed
hanno l'obbligo del pareggio del bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi,
compresi i trasferimenti.
Nell'ambito della legge, l'ordinamento ed il funzionamento delle aziende speciali sono disciplinati dal
proprio statuto e dai regolamenti, mentre quelli delle istituzioni sono disciplinati dallo statuto e dai
regolamenti dell'ente locale da cui dipendono.
L'ente locale conferisce il capitale di dotazione, determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti
fondamentali, esercita la vigilanza, verifica i risultati delle gestioni, provvede alla copertura degli
eventuali costi sociali. Il collegio dei revisori dell'ente locale esercita le sue funzioni anche nei
confronti delle istituzioni. Lo statuto dell'azienda speciale prevede un apposito organo di revisione,
nonché forme autonome di verifica della gestione.
2.6 - Le forme associative e gli accordi di programma.
Al fin di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, i comuni e le province possono
stipulare tra loro apposite convenzioni. Queste devono stabilire i fini, la durata, le forme di
consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie. Per la
gestione a tempo determinato di uno specifico servizio o per la realizzazione di un'opera, lo Stato e la
regione possono prevedere forme di convenzione obbligatoria fra i comuni e le province, previa
statuizione di un disciplinare tipo.
2.6.1 - I consorzi.
I comuni e le province possono costituire un consorzio, per la gestione associata di uno o più servizi,
secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all'art. 23 della Legge 8 giugno 1990, n. 142, i
quanto applicabili.
A tal fine, i rispettivi consigli approvano, a maggioranza assoluta dei componenti, una convenzione ai
sensi dell'art. 24, legge citata, unitamente allo statuto del consorzio. In particolare la convenzione dev
prevedere la trasmissione agli enti aderenti degli atti fondamentali del consorzio. L'assemblea del
consorzio è composta dai rappresentanti degli enti consorziati nella persona del sindaco, del presiden
della giunta provinciale, o di un loro delegato, ciascuno con responsabilità pari alla quota di
partecipazione fissata dalla convenzione e dallo statuto. L'assemblea elegge il consiglio di
amministrazione e ne approva gli atti fondamentali previsti dallo statuto. Tra gli stessi comuni e
provincia non può essere costituito più di un consorzio. In caso di rilevante interesse pubblico, la legge
dello Stato può prevedere la costituzione di consorzi obbligatori per l'esercizio di determinate funzioni
e servizi. La stessa legge ne demanda l'attuazione alle leggi regionali.
2.6.2 - Le unioni di comuni.
In previsione di una loro fusione, due o più comuni contermini, appartenenti alla stessa provincia,
ciascuno con popolazione non superiore a 5.000 abitanti, possono costituire una unione per l'esercizio
di una pluralità di funzioni o di servizi. Può far parte dell'unione non più di un comune con popolazione
fra i 5.000 e i 10.000 abitanti.
L'atto costitutivo ed il regolamento dell'unione sono approvati con unica deliberazione dai singoli
consigli comunali a maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati.
Sono organi dell'unione: il consiglio; la giunta ed il presidente, che sono eletti secondo le norme di
legge relative ai comuni con popolazione pari a quella complessiva dell'unione. Il regolamento può
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prevedere che il consiglio sia espressione dei comuni partecipanti all'unione e ne disciplina le forme.
Il regolamento dell'unione contiene l'indicazione degli organi e dei servizi da unificare, nonché le
norme relative alle finanze dell'unione ed ai rapporti finanziari con i comuni.
Entro dieci anni dalla costituzione dell'unione deve procedersi alla fusione, a norma dell'art. 11, legge
citata. Qualora non si pervenga alla fusione, l'unione è sciolta.
All'unione di comuni competono le tasse, le tariffe e i contributi sui servizi della stessa gestiti.
Le regioni promuovono le unioni di comuni ed a tal fine provvedono alla erogazione di contributi
aggiuntivi a quelli normalmente previsti per i singoli comuni. In caso di erogazione di contributi
aggiuntivi, dopo dieci anni dalla costituzione, l'unione di comuni viene costituita in comune con legge
regionale, qualora la fusione non sia stata deliberata prima di tale termine su richiesta dei comuni
dell'unione.
2.6.3 Gli accordi di programma.
Per la definizione e l'attuazione di opere, di interventi, o di programmi di intervento, che richiedano per
la loro completa realizzazione l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di
amministrazioni statali e di altri oggetti pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il
presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza
primaria o prevalente sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la
conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per
assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento ed
ogni altro connesso adempimento.
L'accordo può prevedere, altresì, procedimenti di arbitrato, nonché interventi surrogatori di eventuali
inadempienze dei soggetti partecipanti.
Per verificare la possibilità di concordare l'accordo di programma, il presidente della regione o il
presidente della provincia o il sindaco convoca una conferenza tra i rappresentanti di tutte le
amministrazioni interessate. L'accordo, consistente nel consenso unanime delle amministrazioni
interessate, è approvato con atto formale del presidente della regione e del presidente della provincia
del sindaco ed è pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione.
Qualora l'accordo venisse adottato con decreto del presidente della regione, produce gli effetti
dell'intesa di cui all'art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1997, n. 616,
determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le
concessioni edilizie, sempre che vi sia l'assenso del comune interessato. Ove l'accordo comporti
variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del sindaco allo steso deve essere ratificata dal
consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza.
La vigilanza sull'esecuzione degli accordi di programma e gli eventuali interventi sostitutivi sono svolti
da un collegio presieduto dal presidente della regione o dal presidente della provincia o dal sindaco e
composto da rappresentanti degli enti locali interessati, nonché dal Commissario del Governo nella
regione o dal prefetto nella provincia interessata se all'accordo partecipano amministrazioni statali o
enti pubblici nazionali.
Allorché l'intervento o il programma di interventi comporti il concorso di due o più regioni limitrofe, la
conclusione dell'accordo di programma è promossa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, a cui
spetta convocare la conferenza di cui al comma 3, legge citata. Il collegio di vigilanza è in tal caso
presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri ed è composto dai
rappresentanti di tutte le regioni che hanno partecipato all'accordo. La Presidenza del Consiglio dei
ministri esercita le funzioni attribuite al commissario del Governo ed al prefetto.
Questa disciplina si applica a tutti gli accordi di programma previsti da leggi vigenti relativi ad opere,
interventi o programmi di intervento di competenza delle regioni, delle province o dei comuni, salvo i
casi in cui i relativi procedimenti siano già formalmente iniziati alla data di entrata in vigore della
23
legge. 8 giugno 1990, n. 142.. Restano salve le competenze di cui all'art. 7 della L. 1 marzo 1986, n. 6
2.6.4 - Le comunità montane.
Le comunità montane sono enti locali costituiti con leggi regionali tra comuni montani e parzialmente
montani della stessa provincia, allo scopo di promuovere la valorizzazione delle zone montane,
l'esercizio associato delle funzioni comunali, nonché la fusione di tutti o parte dei comuni associati.
Le comunità montane hanno autonomia statutaria nell'ambito delle leggi statali e regionali e non
possono, di norma, avere una popolazione inferiore a 5.000 abitanti. Dalle comunità montane sono
comunque esclusi i comuni di popolazione complessiva superiore a 40.000 abitanti e i comuni
parzialmente montani nei quali la popolazione residente nel territorio montano sia inferiore al 15%
della popolazione complessiva. Detta esclusione non priva i rispettivi territori montani dei benefici e
degli interventi speciali per la montagna stabiliti dall'Unione Europea o dalle leggi statali e regionali.
La legge regionale può prevedere l'esclusione della comunità montana di quei comuni parzialmente
montani che possono pregiudicare l'omogeneità geografica o socio-economica; può prevedere, altres
l'inclusione di quei comuni confinanti con popolazione non superiore a 20.000 abitanti, che siano parte
integrante del sistema geografico e socio economico della comunità. Al fine della graduazione e
differenziazione degli interventi di competenza delle regioni e delle comunità montane, le regioni
possono con propria legge provvedere ad individuare nell'ambito territoriale delle singole comunità
montane fasce altimetriche di territorio, tenendo conto dell'andamento orografico, del clima, della
vegetazione, delle difficoltà nell'utilizzazione agricola del suolo, della fragilità ecologica, dei rischi
ambientali e della realtà socio economica.
La comunità montana può essere trasformata in unione di comuni, ai sensi di quanto disposto dall'art.
26 della Legge 8 giugno 1990, n. 142, anche in deroga ai limiti di popolazione.
Spettano alle comunità montane le funzioni attribuite loro dalla legge, e gli interventi speciali per la
montagna stabiliti dall'Unione Europea o dalle leggi statali e regionali.
L'esercizio associato di funzioni proprie dei comuni o a questi delegate dalla regione spetta alle
comunità montane. E', inoltre, di spettanza della comunità montana l'esercizio di ogni altra funzione ad
esse delegata dai comuni, dalla provincia e dalla regione.
Le comunità montane adottano piani pluriennali di opere ed interventi ed individuano gli strumenti
idonei a perseguire gli obiettivi dello sviluppo socio economico, ivi compresi quelli previsti
dall'Unione Europea, dallo Stato e dalla regione, che possono concorrere alla realizzazione dei
programmi annuali operativi di esecuzione del piano.
Le comunità montane, attraverso le indicazioni urbanistiche del piano pluriennale di sviluppo,
concorrono alla formazione del piano territoriale di coordinamento.
Il piano pluriennale di sviluppo socio economico ed i suoi aggiornamenti sono adottati dalle comunità
montane, ed approvati dalla provincia secondo le procedure previste dalla legge regionale.
Le regioni provvedono, mediante gli stanziamenti di cui all'art. 1 della Legge 23 marzo 1981, n. 93, a
finanziare i programmi annuali operativi delle comunità montane sulla base del riparto di cui al numero
3) del quarto comma dell'art. 4 della Legge 3 dicembre 1971, n. 1102, ed all'art. 2 della citata Legge n
93 del 1981.
Sono abrogati:
a) l'art. 1 della Legge 25 luglio 1952, n. 991, come sostituito dall'articolo unico della Legge 30 luglio
1957, n. 657, ed il secondo comma dell'art. 14 della citata Legge n. 991 del 1952;
b) gli articoli 3, 5, e 7 della Legge 3 dicembre 1971, n. 1102.
24
CAPITOLO III
I POTERI D’IMPRENDITORIALITË DEGLI ENTI LOCALI
3.1 - I poteri d’imprenditorialità dei comuni e delle province.
Ai sensi dell'art. 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142:
"2 - I comuni e le province, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei
servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e
promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
3 - I servizi riservati in via esclusiva ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge".
Da questo enunciato si evince che province e comuni hanno il compito di gestire la produzione di ben
e servizi a fini sociali, nonché il compito di promuovere lo sviluppo economico e civile nell'ambito del
proprio territorio.
Alcuni di questi servizi sono loro riservati "ope legis" in via esclusiva, quindi in regime di monopolio
legale (questo significa che la gestione di questi servizi è un dovere).
Quali sono questi servizi riservati in via esclusiva dalla legge a comuni e province?
Certamente quelli elencati nell'art. 19 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e poi quelli elencati nell'art. 9
per il comune e nell'art. 14 per le province.
Comunque, in via definitiva riteniamo di poter affermare che comuni e province possano intervenire in
tutte le attività economiche purché queste non abbiano una esclusiva finalità privatistica.
Inoltre, l'art. 22 della stessa legge continua: "..... 3 - I comuni e le province possono gestire i servizi
pubblici nelle seguenti forme:
a) in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia
opportuno costituire una istituzione o un'azienda;
b) in concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche d'opportunità sociale;
c) a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed
imprenditoriale;
d) a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale;
e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda utile, in
relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di soggetti pubblici o privati".
Questi poteri imprenditoriali dettati dalla legge consentono a comuni e province di entrare nel mercato
come soggetti pubblici, o privati. In entrambi i casi essi sono soggetti imprenditoriali e stanno sul
mercato in ragione della validità dei loro interventi.
Inoltre, in base all'art. 24 della stessa legge, gli enti locali possono:
"1. Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, i comuni e le province
possono stipulare tra loro opportune convenzioni".
3.2 - Principi generali d’imprenditorialità.
Da quanto enunciato si evince che aree metropolitane, province e comuni, con tutte le loro forme
possibili di associazione e cooperazione, hanno il compito di gestire la produzione di beni e servizi a
fini sociali, nonché il compito di promuovere lo sviluppo economico e civile nell'ambito del proprio
territorio.
Alcuni di questi servizi sono loro riservati "ope legis" in via esclusiva, quindi in regime di monopolio
legale, il che significa che la gestione di questi servizi è un dovere, e che benché la forma di gestione
sia privatistica, l'organismo costituito in s.p.a. debba considerarsi comunque ente pubblico economico
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Quali sono questi servizi riservati in via esclusiva dalla legge a comuni e province?
Certamente quelli elencati nell'art. 19 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e poi quelli elencati nell'art. 9
per il comune e nell'art. 14 per le province.
A nostro avviso riteniamo di poter affermare che gli enti locali possano intervenire in tutte le attività
economiche purché queste non abbiano esclusiva finalità privatistica.
Questi poteri imprenditoriali dettati dalla legge consentono agli enti locali di entrare nel mercato come
soggetti pubblici, o misti. In entrambi i casi essi sono soggetti imprenditoriali e stanno sul mercato in
ragione della validità dei loro interventi.
Giacché l'ente locale può dotarsi di enti di gestione, o di enti economici, o di enti privati misti a
partecipazione azionaria di maggioranza (o di minoranza), appare chiaro che la gestione di un qualsia
ente pubblico debba tendere alla "economicità", cioè debba tendere ad avere un profitto, anche se
questo non deve costituire l'obiettivo primario come lo è nelle società per azioni commerciali.
Certo è che se l'ente pubblico crea una s.p.a. chiamando a parteciparvi degli investitori privati, costoro
debbono avere una remunerazione al loro investimento, altrimenti si altera ogni logica giuridica ed
economica della s.p.a.
A nostro avviso, l'ente pubblico deve tendere al pareggio di bilancio quando si trovi ad operare nella
figura dell'ente di gestione o economico, oppure nella figura dell'istituzione o della gestione in
economia. Quando, invece, si trova ad operare nella figura giuridica di s.p.a., allora deve tendere al
raggiungimento del massimo profitto per remunerare al meglio l'investimento degli investitori,
riservandosi, dal suo canto, di reinvestire i suoi proventi di gestione in altre attività pubbliche o in
settori d’attività che per loro natura non presentano utili di gestione.
Impiegare la figura della s.p.a. con capitale misto per avere l'obiettivo del pareggio di bilancio significa
destinare, per definizione, l'impresa al fallimento.
In effetti, qualsiasi attività finora gestita dagli enti pubblici locali è stata antieconomica non per sua
natura, bensì per volontà politica.
Gli acquedotti, per es., sono ancora antieconomici perché sono concepiti male e gestiti ancora peggio
Il servizio idrico erogato è finalizzato ad un solo uso, quello potabile, e le tariffe di utenza sono legate
ad un concetto anacronistico, antieconomico ed antiecologico.
Basta poco per rendersi conto che l'uso dell'acqua è comune a tutte le attività umane, siano esse di
produzione o di consumo. E' evidente che se l'acqua viene captata ad una quota maggiore di quella d
erogazione ha una forza che può essere sfruttata per produrre energia. E' semplice capire che l'uso
potabile dell'acqua è diverso e di disuguale valore di quello ad uso sanitario, agricolo o industriale.
E' antieconomico e antiecologico non recuperare l'acqua o cederla a prezzi inferiori al costo di
produzione. E' antieconomico e sciocco produrre acqua a costi abnormi, solo perché nessuno si
preoccupa di sfruttare meglio il suo ciclo di produzione.
Inoltre, è incredibile, ad es., considerare il patrimonio immobiliare di un ente locale o di una comunità
locale come una passività, un costo, piuttosto che come un’attività, un valore da poter investire sul
mercato finanziario in modo da avere disponibilità da impiegare in attività puramente mutualistiche e
sociali. Purtroppo, per una concezione errata della gestione della cosa pubblica, e soprattutto per una
concezione malata e faziosa del concetto di profitto, le attività produttive d’ambito sociale sono state
gestite come un costo da addebitare al reddito, e non piuttosto come una possibilità di creare reddito.
Uno Stato piuttosto cialtrone ed incapace ha costretto l'ente locale a gestire le sue attività solo median
le rimesse del Tesoro (provenienti dal prelievo fiscale), senza curarsi minimamente se queste attività
avessero o meno una valenza economica (qualcosa che serve, quindi che ha un valore, e come tale v
remunerato).
26
L'avere svolto attività inutili non ha giovato a nessuno, quindi non ha prodotto nessuna ricchezza,
nessun reddito.
Uno sciocco e demagogico spirito di assistenzialismo ha portato a prelevare ricchezza dal circuito
economico per impiegarlo nel circuito degli investimenti "politici", senza nessun calcolo di
convenienza e redditività, anzi accusando il profitto (indice unico di redditività) di tutte le perversioni,
imposizioni, condizionamenti e remunerazioni sociali.
Con il drastico cambiamento tecnologico, e soprattutto delle condizioni della finanza pubblica, agli ent
locali viene imposta la necessità di un agire "economico", e di diventare essi stessi imprenditori in
prima persona, cioè creatori di nuova ricchezza, di nuovi posti di lavoro.
Per poter adempiere questo è stato identificato un modello di valorizzazione e sviluppo del potenziale
endogeno locale, così com’è appresso definito.
3.3 - Il nuovo rapporto PUBBLICO-PRIVATO.
La nuova gerarchia delle fonti normative impone (per disposizione U.E. nei territori comunitari, e per
disposizione O.M.C. in tutti i Paesi aderenti) che vi sia la liberta di partecipazione agli appalti pubblici
di lavori, forniture e di prestazione di servizi. Ad es., ditte americane, europee, australiane, etc.,
possono partecipare a gare pubbliche in Italia senza risiedervi stabilmente.
Così, se un Ente Pubblico territoriale decide di fare un investimento, non ha la certezza che i fondi
spesi abbiano una ricaduta economica (acceleratore economico) sul suo territorio, giacché l'appalto p
essere aggiudicata ad una ditta, ad es. australiana, che terminati i lavori abbandona e torna nel suo
paese di origine. Solo investimenti pubblici di piccola entità possono essere concessi a trattativa
privata, quindi con la certezza che producano reddito per imprese locali.
Inoltre, la mancanza di capacità finanziaria dello Stato porta ad emanare attribuzioni di spesa di
"competenza", mentre l'attribuzione di "cassa" potrebbe anche non arrivare mai. Questa prassi è oggi
sempre più vigente in considerazione dell'enorme debito pubblico statale.
Dal momento che le due suddette condizioni limitano l'investimento pubblico, e considerando che ben
precise disposizioni di legge autorizzano e stimolano a farlo, è indispensabile ripensare l'investimento
fatto dal solo ente pubblico, e costituire un organismo di diritto privato (s.p.a.) che, permettendo la
partecipazione di organismi anche non pubblici, eviti i vincoli sopraccitati dell'appalto pubblico, ed in
più apporti capacità finanziarie ed imprenditoriali del privato stesso.
Che questa sia la più probabile soluzione ai problemi siamo in tanti a ritenerlo; quello che sconcerta è
di prevedere come questo semplice strumento possa risolvere la complessità del caso.
3.3.1 - La Legge 23 dicembre 1992 n. 498,
all'art. 12, comma I, della Legge 23 dicembre 1992, n. 498 (Interventi urgenti in materia di finanza
pubblica) stabilisce che le province e i comuni possono, per l'esercizio dei servizi pubblici e per la
realizzazione delle opere necessarie al corretto svolgimento del servizio, nonché per la realizzazione d
infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, che non rientrino ai sensi della vigente legislazione
statale e regionale nelle competenze istituzionali di altri enti, costituire apposite società per azioni,
anche mediante gli accordi di programma di cui al comma 9, senza il vincolo della proprietà
maggioritaria di cui al comma 3, lettera e), dell'art. 22 della Legge 8 giugno 1990, n. 142, ed anche in
deroga a quanto previsto dall'art. 9, primo comma, lettera d) della Legge 2 aprile 1968, n.475, come
sostituita dall'art. 10 della Legge 8 novembre 1991, n. 362.
Gli enti interessati provvedono alla scelta dei soci privati e all'eventuale collocazione dei titoli azionari
27
sul mercato con le procedure d’evidenza pubblica. L'atto costitutivo delle società deve prevedere
l'obbligo dell'ente pubblico di nominare uno o più amministratori e sindaci. Nel caso di servizi pubblici
locali una quota delle azioni può essere destinata all'azionariato diffuso e resta comunque sul mercato
3.3.2 - Il D.L. 31 gennaio 1995, n. 26,
convertito con modificazioni della Legge 29 marzo 1995, n. 95 (Disposizioni urgenti per la ripresa
delle attività imprenditoriali), afferma che, al fine di favorire l'immediato avvio di operatività delle
disposizioni di cui all'art. 12 della Legge 23 dicembre 1992, n. 498, concernente la costituzione di
società miste con la partecipazione non maggioritaria degli enti locali, per l'esercizio di servizi pubblici
e la realizzazione di opere pubbliche, si provvede con regolamento da adottarsi ai sensi dell'art. 17,
comma 2, della Legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla base dei principi e dei criteri di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto nel rispetto della normativa comunitaria.
3.3.3 - Il Decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1966, n. 533,
prescrive che per l'esercizio di servizi pubblici e per la realizzazione delle opere accessorie connesse,
necessarie al loro svolgimento, la costituzione delle società di cui all'art. 12, comma 1, della legge 23
dicembre 1992, n. 498, ed all'art. 4 del decreto-legge 31 gennaio 1995, n. 26, convertito con
modificazioni dalla L. 29 marzo 1995, n.95, è promossa da uno o più enti locali.
Di tali società possono essere soci:
! - le regioni;
! - altre amministrazioni pubbliche anche statali;
! - società a partecipazione pubblica.
Il capitale di queste società non può essere inferiore ad un miliardo di lire. L'atto costitutivo e lo statuto
debbono riservare all'ente promotore un partecipazione non inferiore ad un quinto del capitale sociale
Nel caso di più enti promotori, tale clausola riguarda almeno uno di essi.
La partecipazione azionaria di maggioranza delle società, non inferiore al cinquantuno per cento, è
assunta da imprenditori individuali o da società, singolarmente o raggruppati per lo scopo. Il socio
privato di maggioranza è scelto dall'ente o dagli enti promotori mediante una procedura di concorso
ristretta, assimilata all'appalto concorso di cui al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, con le
specificazioni ed integrazioni disposte dagli articoli del D.P.R. 16.09.1996 n. 533.
All'azionariato diffuso è riservata una quota determinata del capitale sociale. I soci pubblici e il socio
privato di maggioranza definiscono di comune accordo, dopo la costituzione della società, la misura
della predetta quota e le modalità del suo collocamento. All'uopo si applicano le norme del codice
civile e delle leggi speciali vigenti in materia.
Il testo degli articoli da 12 a 17 e dell'allegato 4, lettera C, del succitato decreto legislativo n. 157/1995
è il seguente:
"Art. 12 (Esclusione dalla partecipazione alle gare)
1) Fermo il disposto del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490 e successive modificazioni ed
integrazioni, per le imprese stabilite in Italia l'applicazione delle disposizioni sull'esclusione
dalla partecipazione alle gare contenute nell'art. 11 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n.
358, è estesa agli appalti di cui all'allegato 1 del presente decreto.
2) Le persone giuridiche che, in base alla legislazione dello Stato membro in cui sono stabilite,
sono autorizzate a svolgere la prestazione del servizio di cui si tratta, non possono essere
escluse dalla gara sulla base di disposizioni nazionali che non consentano l'esecuzione di tale
prestazione da parte delle medesime; tuttavia, può essere ad esse richiesto di indicare
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nell'offerta o nella domanda di partecipazione il nome e le qualificazioni professionali delle
persone che effettuano la prestazione del servizio stesso."
"Art. 13 (Capacità economica e finanziaria)
1) L'applicazione delle disposizioni concernente il possesso delle capacità economiche e
finanziarie contenute nell'art. 13 del decreto legislativo 24 luglio 1992, n. 358, è estesa agli
appalti di cui all'allegato 1 al presente decreto e tiene conto dei servizi esperiti dalle imprese
concorrenti".
"Art. 14 (Capacità tecnica)
1. La dimostrazione delle capacità tecniche dei concorrenti negli appalti di cui all'allegato 1 può essere
fornita mediante:
!
a) l'elenco dei principali servizi prestati negli ultimi tre anni con l'indicazione degli importi,
delle date e dei destinatari pubblici o privati dei servizi stessi; se si tratta di servizi prestati a
favore d’amministrazioni e enti pubblici, essi sono provati da certificati rilasciati e vistati dalle
amministrazioni o dagli enti medesimi; se si tratta di servizi prestati a privati, l'effettuazione
effettiva della prestazione è dichiarata da questi o, in mancanza, dallo stesso concorrente;
! b) l'elenco dei titoli di studio e professionali dei prestatori di servizi, o dei dirigenti dell'impresa
concorrente e, in particolare, dei soggetti concretamente responsabili della prestazione di
servizi;
! c) l'indicazione dei tecnici e degli organi tecnici facenti direttamente capo o meno al
concorrente, e in particolare di quelli incaricati dei controlli di qualità;
!
d) l'indicazione del numero medio annuo di dipendenti del concorrente e il numero di dirigenti
impiegati negli ultimi tre anni;
! e) la descrizione delle attrezzature tecniche, dei materiali, degli strumenti, compresi quelli di
studio e di ricerca utilizzati per la prestazione del servizio e delle misure adottate per garantire
la qualità;
!
f) il controllo effettuato dall'amministrazione o, per suo incarico, da un organismo ufficiale
competente del Paese in cui è stabilito il concorrente, allorché il servizio da prestare sia
complesso o debba rispondere eccezionalmente a uno scopo determinato; il controllo verte sul
capacità di produzione e, se necessario, di studio e di ricerca del concorrente e sulle misure
utilizzate da quest'ultimo per il controllo della qualità;
! g) l'indicazione della quota d’appalto che il concorrente intenda eventualmente subappaltare.
2. L'amministrazione aggiudicatrice precisa nel bando di gara o nella lettera d’invito quali dei
suindicati documenti e requisiti devono essere presentati o dimostrati.
3. Le informazioni di cui all'art. 13 e quelle di cui al comma 1 non possono eccedere l'oggetto
dell'appalto; l'amministrazione deve comunque tener conto dei legittimi interessi del concorrente
relativi alla protezione dei segreti tecnici e commerciali.
4. Qualora le amministrazioni aggiudicatrici richiedano la presentazione dei certificati rilasciati da
organismi indipendenti, attestanti che il concorrente osserva determinate norme in materia di garanzia
della qualità, esse devono fare riferimento ai sistemi di garanzia della qualità basati sulle pertinenti
serie di norme europee EN 29000, certificati da organismi conformi alla serie di norme europee EN
45000.
Le amministrazioni aggiudicatrici riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in
altri Stati membri; esse ammettono parimenti altre prove relative all'impiego di misure equivalenti di
garanzia della qualità qualora il concorrente non abbia accesso a tali certificati o non possa ottenerli n
termini richiesti.
29
Se i concorrenti ad un appalto pubblico di servizi debbono, nello Stato membro in cui sono stabiliti,
essere in possesso di una particolare autorizzazione o appartenere a una particolare organizzazione a
fini della prestazione del servizio in quello Stato, l'amministrazione aggiudicatrice può richiedere loro
la prova del possesso di tale autorizzazione ovvero dell'appartenenza a tale organizzazione.
"Art. 16 (Completamento e chiarimento dei documenti presentati)
1. Nei limiti previsti dagli art. 12 comma 1, 13, 14 e 15 le amministrazioni aggiudicatrici invitano, se
necessario, i concorrenti a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati,
documenti e dichiarazioni presentati".
"Art. 17 (Elenchi ufficiali di prestatori di servizi)
1. I concorrenti iscritti in elenchi ufficiali di prestatori di servizi possono presentare all'amministrazione
aggiudicatrice, per ogni appalto, un certificato d'iscrizione indicante le referenze che hanno permesso
l'iscrizione stessa e la relativa classificazione.
2. L'iscrizione di un prestatore di servizi in uno degli elenchi di cui al comma 1, certificata dall'autorità
che ha istituito l'elenco, costituisce per le amministrazioni aggiudicatrici presunzioni di idoneità alla
prestazione dei servizi corrispondente alla classificazione del concorrente iscritto, limitatamente a
quanto previsto dagli articoli 14, comma 1, lettera b7, e 15 del presente decreto, nonché degli articoli
11, comma 1, lettere a), b) e c), e 13, comma 1 lettere b) e c), del decreto legislativo 24 luglio 1992, n.
358, estesi agli appalti di cui all'allegato 1 in virtù degli articoli 12 e 13 che precedono.
3. I dati risultanti dall'inscrizione in uno degli elenchi di cui al comma 1 non possono essere contestati
tuttavia, per quanto riguarda il pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali può essere
richiesta ai concorrenti iscritti negli elenchi una apposita certificazione aggiuntiva.
4. I cittadini di altri Stati membri debbono potersi iscrivere negli elenchi ufficiali di cui al comma 1 alle
stesse condizioni stabilite per i prestatori di servizi italiani; a tal fine non possono, comunque, essere
richieste prove o certificazioni diverse da quelle previste dagli articoli da 12 a 15 le amministrazioni o
gli enti che gestiscono tali elenchi comunicano agli altri Stati membri nome e indirizzo degli organismi
presso i quali possono essere presentate le domande d'iscrizione.
5. I concorrenti agli appalti pubblici di servizi debbono poter partecipare alle gare indipendentemente
dalla loro iscrizione in elenchi di prestatori di fiducia eventualmente costituiti dalle singole
amministrazioni aggiudicatrici.
MODELLI DI BANDI E AVVISI DI GARA
C. Procedure ristrette.
$
$
$
$
1. Nome, indirizzo telegrafico, numeri di telefono, telex e telefax dell'amministrazione.
2. Categoria di servizio e descrizione. Numero di riferimento CPC.
3. Luogo di esecuzione.
4.
i. Eventuale indicazione del fatto che la prestazione del servizio sia riservata ad
una particolare professione in forza di disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative;
ii. riferimenti alle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative in causa;
iii. menzione di un eventuale obbligo per le persone giuridiche di indicare il nome e
le qualifiche professionali delle persone incaricate della prestazione del servizio;
30
$
$
$ 5. Eventuale indicazione della facoltà per i prestatori dei servizi di presentare offerte per
$
una parte dei servizi in questione.
$ 6. Numero previsto dei prestatori di servizi, eventualmente indicando un massimo ed un
minimo, che verranno invitati a presentare offerte.
7. Eventuale divieto di varianti.
8. Durata del contratto o termine per il completamento del servizio.
$ 9. Eventualmente, forma giuridica che dovrà assumere il raggruppamento di prestatori d
servizi al quale sia aggiudicato l'appalto.
$ 10.
o a) Se del caso, motivazione del ricorso alla procedura accelerata;
o b) termine ultimo per la presentazione delle domande di partecipazione;
o c) lingua o lingue in cui le domande devono essere redatte.
$ 11. Termine entro il quale saranno inviati gli inviti a presentare offerte.
$ 12. Se del caso, cauzioni ed altre forme di garanzia richieste.
$ 13. Informazioni relative alla posizione dei prestatori di servizi, nonché informazioni e
formalità necessarie per valutare le condizioni minime di carattere economico e
tecnico che devono soddisfare.
$ 14. Criteri per l'aggiudicazione dell'appalto e, se possibile, loro classificazione in ordine
d'importanza, qualora tali informazioni non figurino nell'invito a presentare offerte.
$ 15. Altre informazioni.
$ 16. Data d'invio del bando.
$ 17. Data di ricevimento del bando da parte dell'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali
dell'U.E.
Ai sensi del testo dei commi 1 e 2 dell'art. 22 del citato D. Lgs n. 157/1995,
"1. Nella licitazione privata, nell'appalto concorso e nella trattativa privata, l'amministrazione
aggiudicatrice sceglie tra i candidati in possesso dei requisiti prescritti dagli articoli da 12 a 17 quelli da
invitare per la presentazione delle offerte, ovvero per la trattativa; l'amministrazione si basa sulle
informazioni ricevute in merito alla situazione del prestatore di servizi, nonché sulle informazioni
minime di natura economica e tecnica che devono essere soddisfatte.
2. Nella licitazione privata e nell'appalto concorso l'amministrazione aggiudicatrice può prevedere,
facendone menzione nel bando di gara, i numeri minimo e massimo di prestatori di servizi che intende
invitare; i limiti sono definiti in relazione alla natura del servizio da prestare, fermo restando che il
numero minimo non deve essere inferiore a cinque, e quello massimo, almeno di norma, a venti
prestatori di servizi; in ogni caso, il numero di candidati invitati a presentare offerte deve essere
sufficiente a garantire una concorrenza effettiva."
Il bando di selezione è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea. In ogni caso, un
estratto del bando è pubblicato in almeno due quotidiani a larga diffusione nazionale e in due a
diffusione locale.
Il bando dovrà indicare:
1. i contenuti essenziali dello statuto della costituenda società, con particolare riferimento alle
clausole che attribuiscono speciali diritti e facoltà agli enti pubblici partecipanti, nonché del
contratto di società, precisando, in ogni caso, l'importo del capitale sociale e la quota di esso
riservata agli enti pubblici, con l'indicazione dei beni eventualmente conferiti a questo titolo;
2. i contenuti essenziali dell'eventuale disciplina integrativa concernente i rapporti tra l'ente
31
promotore ed il socio privato di maggioranza;
la natura del servizio o dei servizi pubblici e delle eventuali opere necessarie allo svolgimento
del servizio oggetto della società da costituire; le modalità di effettuazione, con riferimento agli
ambiti territoriali interessati; la durata della società, non inferiore a dieci anni;
4. i modi ed i termini per la presentazione delle richieste di invito, nonché la documentazione e le
informazioni da allegare ai fini della scelta dei concorrenti da invitare, con riferimento agli
articoli da 12 a 17 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157;
5. i criteri che saranno seguiti in sede di valutazione e comparazione delle offerte;
6. ogni altro elemento di cui all'allegato 4, lettera C), al decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157,
in quanto applicabile.
3.
Per la scelta dei soggetti da invitare alla procedura ristretta, l'ente o gli enti promotori si avvalgono di
una commissione tecnico-amministrativa composta da esperti nelle materie pertinenti all'oggetto
sociale della costituenda società, applicando i commi 1 e 2 dell'art. 22 del decreto legislativo 17 marzo
1995, n. 157.
La lettera d'invito indicherà, in ordine decrescente d'importanza, gli elementi che dovranno essere
riportati nell'offerta e che saranno presi in considerazione ai fini della scelta del contraente, con
particolare riferimento ad un piano economico-finanziario, esteso all'intero arco temporale indicato nel
bando nel quale siano specificate, fra l'altro, le caratteristiche tecniche del servizio, le condizioni
economiche che saranno praticate all'utenza (eventualmente anche sotto forma di tariffe differenziate
per fasce) all'utenza, nonché gli eventuali servizi accessori.
Alla lettera di invito deve essere allegato lo schema del contratto di società e dello statuto della societ
da costituire. Con la lettera di invito è richiesto agli offerenti la presentazione di un progetto tecnico
concernente la gestione del servizio.
La commissione preposta all'esame delle offerte formula la graduatoria degli offerenti sulla base degli
elementi e dei criteri sopraccitati e la comunica all'ente o agli enti promotori per la costituzione della
società con il soggetto la cui offerta sia stata valutata la migliore.
L'ingresso di altri enti in una società mista giˆ costituita avviene mediante un corrispondente aumento
del capitale sociale.
L'atto costitutivo della società deve prevedere che la nomina di almeno un componente del consiglio d
amministrazione dell'eventuale comitato esecutivo e del collegio dei revisori sia riservata all'ente o agl
enti pubblici promotori. Deve escludere, fino al 31 dicembre del quinto anno dalla data di costituzione
della società, atti di cessione di azioni, costituzione di diritti reali sulle stesse ed ogni altro atto idoneo
determinare la perdita della posizione di maggioranza del socio privato. Deve prevedere che, decorso
termine suindicato, il socio privato di maggioranza può effettuare atti di cessione delle azioni,
costituzione di diritti reali sulle azioni, e ogni altro atto idoneo a determinare la perdita della sua
posizione di maggioranza, a condizione che l'ente o gli enti pubblici partecipanti esprimano il loro
parere preventivo motivato. Nel caso di pluralità di enti è sufficiente il gradimento di quelli che
detengono la maggioranza del capitale pubblico. Sulla richiesta di gradimento, presentata dall'azionist
privato per il tramite degli amministratori della società, ciascun ente si pronuncia motivatamente entro
sessanta giorni dalla ricezione. Decorso tale termine, in mancanza di deliberazione contraria o di
giustificata richiesta di informazioni aggiuntive, si intende dato l'assenso.
I rapporti tra l'ente o gli enti pubblici e i soci privati sono regolati all'atto della costituzione della
società, o con apposite convenzioni, in modo da assicurare il corretto svolgimento del servizio e la
permanente verifica della conformità dell'assetto societario all'interesse pubblico nella gestione del
servizio, prevedendo anche clausole di risoluzione o scioglimento del vincolo sociale. La convenzione
deve attribuire all'ente concedente gli opportuni strumenti di verifica dell'economicità della gestione e
32
della qualità dei servizi, anche in relazione alle esigenze dell'utenza.
Ai trasferimenti dei beni destinati a pubblico servizio da parte di province e comuni in favore di società
costituite ai sensi dell'art. 22, comma 3, lettera e), della Legge 8 giugno 1990, n. 142, e dell'art. 1",
comma 1, della Legge 23 dicembre 1992, n. 498, nonché delle aziende speciali e dei consorzi in cui,
rispettivamente agli articoli 23 e 25 della Legge £ giugno 1990, n. 142, non si applicano le disposizion
relative alla cessione dei beni patrimoniali degli enti pubblici territoriali.
Gli enti locali devono adeguare l'ordinamento delle aziende speciali alle disposizioni dell'art. 23 della
Legge 8 giugno 1990, n. 142, entro il 30 settembre 1995. Entro i novanta giorni successivi gli enti
iscrivono, per gli effetti di cui al primo comma dell'art. 2331 del codice civile, le aziende speciali nel
registro delle imprese. A questo scopo, ai sensi della suddetta legge, sono fondamentali i seguenti atti
o a) il piano-programma, comprendente un contratto di servizio che disciplini i rapporti tra
ente locale ed azienda speciale;
b)
i bilanci economici di previsione pluriennale ed annuale;
o
o c) il conto consuntivo;
o d) il bilancio di esercizio.
Al fine di favorire l'occupazione o la rioccupazione di lavoratori, i comuni e le province sono
autorizzati a costituire società per azioni con la GEPI s.p.a., anche per la gestione di servizi pubblici
locali. Per le medesime finalità di cui al comma 6 della citata legge, i comuni e le province possono
consentire, mediante appositi aumenti di capitale, l'ingresso della GEPI s.p.a in società da essi
partecipate. In conformità alle disposizioni che ne disciplinano l'attività, le partecipazioni azionarie
detenute dalla GEPI S.p.a. nelle società devono essere cedute entro il termine di cinque anni mediant
gara pubblica.
La Cassa Depositi e Prestiti, su autorizzazione del Ministro del Tesoro, può partecipare al capitale di
società finanziarie o di servizi la cui attività sia prevalentemente volta al supporto di amministrazioni
ed enti pubblici, anche territoriali, nonché di imprese in relazione ad iniziative ammissibili ai
cofinanziamenti comunitari.
3.3.4 - Estimo del territorio come patrimonio collettivo e individuale.
Le voci seguenti possono essere identificate come le principali (anche se non le sole) fonti di risorse
patrimoniali di un ente territoriale, che possono essere trasformate in risorse finanziarie tramite
alienazione, pegno, ipoteca, garanzia, ecc.
RISORSE NATURALI
Valore economico legato allo sfruttamento del suolo, del sottosuolo,
delle risorse idriche, dei cicli naturali e produttivi.
BELLEZZE NATURALI
Valore aggiunto prodotto dalla bellezza del territorio
ATTRATTIVA CULTURALE
Valore aggiunto generato dal livello culturale di una popolazione
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RISORSE CULTURALI
Valore economico generato dalle capacità imprenditoriali di una popolazione
PLAYGROUND
Valore aggiunto generato dall'amenità dei luoghi in cui si vive
Risorse immobiliari
Valore economico generato dalla trasformazione del patrimonio immobiliare in patrimonio mobiliare e
del suo conseguente impiego nei circuiti finanziari internazionali.
Abbiamo elencato solo le categorie principali del patrimonio di un territorio. Questo patrimonio è in
parte di proprietà privata ed in gran parte di proprietà pubblica. Escludendo le attività tipiche produttive
(manifattura industriale, artigianale, agricoltura, commercio, artigianato, servizi), che sono facilmente
identificabili come produttrici di reddito, ma che sono in crisi per mancanza di liquidità e per
impossibilità a reggere il ritmo dell’innovazione tecnologica, che tra l'altro sono di quasi esclusiva
competenza privata, fermiamoci ad analizzare il patrimonio sopraccitato, per cercare di analizzare
come impiegarlo a fini produttivi.
Risorse naturali
Sono state per decenni la principale ricchezza di un territorio, e in molti casi lo sono ancora (petrolio,
gas naturale), mentre in altri non più (materie prime ferrose, carbone).
Esistono ancora risorse naturali d’incommensurabile valore che purtroppo per incuria e per mancanza
di innovazione tecnologica non sono assolutamente considerate.
La prima di queste risorse è l'acqua, bene indispensabile sia nel ciclo di produzione che di consumo.
Eppure nessuno prende l'ardire di costruire o rinnovare un acquedotto o un sistema idrico secondo i
canoni delle correnti innovazioni tecnologiche.
Come abbiamo avuto modo di accennare poco sopra, un sistema idrico che capti l'acqua ad una quot
superiore a quella di consumo ha in sé una forza di natura data dalla gravità. Questa forza ! facilment
trasformabile in energia (meccanica, elettrica, chimica). Inoltre, prendersi cura di una risorsa idrica,
significa (o almeno dovrebbe) prendersi cura di un intero territorio (sistemazione idrogeologica,
rimboschimento, prevenzione delle frane e delle calamità naturali in generale).
Nel Mezzogiorno esistono delle aziende forestali quali:
- SARFOR in Sardegna;
- SICILFOR in Sicilia;
- CALFOR in Calabria
- LUCAFOR in Basilicata e Campania
che avevano in gestione circa 10.000 ha. di bosco per la coltivazione ed il rimboschimento.
A causa di una gestione certamente poco oculata, queste aziende sono finite tutte in liquidazione
(tranne SARFOR che è stata rilevata dalla Regione Sardegna) e sono a carico del Tesoro che ne ha s
costi per attività di vigilanza e protezione antincendio.
Se noi ci prendessimo la briga di vedere quanto queste attività possono rendere con il solo sfruttamen
del ciclo produttivo del legno, ci renderemmo conto della quantità del fenomeno.
CALFOR ! un'azienda che gestisce ca. 2.500 ha. di bosco in Calabria.
Considerando che:
- un bosco di quercia può˜ produrre fino a 300 q.li/ha con il solo taglio culturale;
- il potere calorifero di 1 Kg. di quercia ! quasi pari a quello del petrolio (8.000 KCal.);
- quindi 2.500 ha. di bosco possono produrre fino a 1.750.000 q.li di legname, che può produrre fino a
17.500.000 kW/h di energia elettrica, con un ciclo decennale di sola pulizia del bosco, senza taglio
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distruttivo, allora, credo, ci prenderemmo l'incomodo di riconsiderare l'attività di gestione del bosco e
delle risorse forestali in generale.
Bellezze naturali
Sono un valore economico aggiunto prodotto dalla bellezza del territorio. In effetti, una casa a Capri
vale più di una uguale casa di Rimini, perché Capri è più bella di Rimini.
Attrattiva culturale
Rappresentano un valore aggiunto generato dal livello culturale di una popolazione.
Un qualsiasi patrimonio immobiliare, commerciale, turistico, industriale, etc., situato a Firenze ha
molto pi valore di un uguale e corrispondente patrimonio situato a Teramo, perché il livello culturale
di Firenze è molto più elevato di quello di Teramo.
Risorse culturali
Sono un valore economico aggiunto generato dalle capacitˆ imprenditoriali di una popolazione.
Le attuali risorse culturali dei Veneti producono più valore economico aggiunto di quanto non lo
producano gli Abruzzesi.
Playground
Il Playground è il luogo in cui si passa la propria vita. Conferisce un valore economico aggiunto
generato dall'amenità dei luoghi in cui si vive, e dalla loro piacevolezza. Il Playgrond richiama gente
per motivi turistici, imprenditoriali, d’investimento immobiliare, ecc.
In un recente studio l’A.T. Kearny, una delle maggiori multinazionali di consulenza strategica,
anticipato sulla "Repubblica" del 17 maggio 1998, a cura di Giorgio Lonardi, se gli stranieri snobbano
il nostro Sud, la colpa non è del costo del lavoro, ma dei servizi. Afferma Lonardi:
"Toglietevi dalla testa che sia tutta colpa del costo del lavoro. Se le multinazionali non investono nel
Sud ma preferiscono l'Irlanda, il Galles o il Portogallo, il motivo va cercato anche altrove.
Eccolo il primo, parziale risultato dell'ambiziosa ricerca sul Mezzogiorno in pieno svolgimento (la
chiusura è prevista entro l'estate, il costo è di 3 miliardi e mezzo di lire, sono stati mobilitati economist
e consulenti in tutto il mondo) lanciata da A.T. Kerney, una delle maggiori società internazionali di
consulenza strategica all'alta direzione: un'indagine che coinvolgerà i top manager di 35-40 grandi
gruppi americani, giapponesi ed europei che non hanno investito nel nostro Sud, ma anche uno sforzo
originale di analisi "dalla parte delle imprese" cui guarda con attenzione lo stesso Presidente del
Consiglio. Meglio non farsi condizionare dai luoghi comuni, dunque. Da anni, ad esempio, un gruppo
come Mc Donald’s è ben contento di essere presente in tutta Italia, Mezzogiorno compreso. La
multinazionale USA, infatti, continua ad espandersi ed assumere anche al Sud, "Come ci ha spiegato
James Cantalupo, il gran capo della Mc Donald's", osserva Roberto Crapelli, amministratore Delegato
della A.T. Kearney Italia, "la loro azienda ha azzerato i problemi tipici dell'Italia e del Sud come
burocrazia, costo del lavoro, scarsa flessibilità, affidandosi al franchising". E allora? "Gli studi
effettuati finora sul Mezzogiorno", risponde Crapelli, "non si sono mai posti nell'ottica interna delle
imprese. In passato, dunque, ! mancato il tentativo di indagare la logica concreta dei colossi
internazionali alle prese con i loro investimenti strategici. Cosa ha spinto, ad esempio, il Signor
Toyoda, padre-padrone della Toyota, a scegliere la Francia per la sua nuova fabbrica d’auto senza
nemmeno prendere in considerazione il nostro Sud? E perché multinazionali americane come Intel o
Microsoft si orientano su Gran Bretagna e Irlanda snobbando Puglia o Sicilia? Eppure le facilitazioni
offerte da contratti d'area come quello di Manfredonia (incentivi in conto capitale fino al 60 per cento e
uno sconto sul costo del lavoro del 20-30 per cento) qui da noi sono giudicate molto buone. Dov'è
l'errore? Perché, se non capiamo bene quali sono le molle che spingono i manager a scegliere un pos
35
piuttosto che un altro, il Sud rimane al palo. Una forte dinamica degli investimenti esteri potrebbe
innescare un circolo virtuoso d’altre iniziative. Ecco perché vogliamo offrire al governo e alle parti
sociali un documento rigoroso e completo che consenta di discutere dell'argomento".
Certo, la ricerca coordinata dal professor Carlo Mario Guerci non si occuperò solo delle multinazionali
infatti l'indagine coinvolge anche le aziende dell'Italia del Nord oltre a vagliare lo stato dell'arte
esaminando i più recenti studi economici. Tuttavia è proprio dall'analisi delle richieste dei vertici delle
multinazionali che potranno arrivare i suggerimenti più preziosi.
A questo proposito il primo elemento emerso dallo studio è quello di non sottovalutare o desideri e le
attese dei managers di secondo livello. Sono loro quelli che detengono le istruttorie, a volte semplici
direttori di stabilimento, a far pendere la bilancia da una parte o dall'altra. Basta la descrizione critica d
un'area sottoposta al vaglio del “gran capo” per mettere definitivamente fuori combattimento la
localizzazione d’investimenti plurimiliardari.
Al manager di 'secondo livello', ad esempio, non piacciono i posti dove non ci sono le scuole inglesi
per i figli. Perché sa benissimo che per un dirigente americano (ma anche giapponese, tedesco,
sudamericano) si tratta di un problema serio. E che quindi sarà più difficile reclutare managers
internazionali per quella località. Lo stesso discorso vale per le città prive di buone attrezzature sportiv
e culturali (teatri, biblioteche, cinema in lingua) o per i centri troppo inquinati. Come rilevano all’A.T.
Kearney non si tratta di folklore. Ma di problemi da affrontare e risolvere seriamente. Per i managers
scandinavi dell'Ikea, ad esempio, la qualità dell'ambiente (smog, traffico, verde) è una questione
serissima. Perché è anche sulla base di questo parametro che si possono attirare in una località le
migliori risorse umane disponibili a livello internazionale."
3.3.5 – L’interazione nei mercati finanziari
Troppe pubbliche amministrazioni considerano il patrimonio immobiliare (edifici pubblici, case,
stabilimenti produttivi, musei, boschi, teatri, ecc.) come passività, che hanno bisogno di costi di
manutenzione, un qualcosa su cui si devono pagano tasse per tenerli, senza considerare che questi b
se opportunamente impiegati, costituiscono la ricchezza (il patrimonio) del loro proprietario.
In termini generali la ricchezza è equivalente al valore degli assets che ogni entità (fisica o giuridica)
possiede. Il termine assets è di derivazione francese (assez), quindi latina, ed equivale al corrisponde
anglosassone “enough”. Inizialmente usata al singolare, la parola oggi è usata al plurale più per enfas
che per corrispondenza effettiva al reale. Assets, quindi, sono il corrispettivo equivalente e sufficiente
compiere o garantire un’operazione economica o finanziaria
Nei manuali d’economia tradizionale gli assets si suddividono in “financial assets” e “real assets”, dove
i primi indicano valori mobiliari, mentre i secondi valori immobiliari.
Sono valori mobiliari o beni mobili tutti quelli che non sono ancorati al terreno (elettrodomestici,
denaro, metalli, manufatti, titoli finanziari, crediti, etc.), vincolati
n
ad un territorio, n soggetti ad un
vincolo permanente, quindi sono spostabili, trasportabili, mobili senza che il loro valore venga
sostanzialmente alterato.
Sono valori o beni immobili tutti quelli che sono ancorati permanentemente ad un terreno (edifici,
impianti industriali, porti, aeroporti, ferrovie, strade, etc.), vincolati ad un territorio (attrezzature
tecniche di trasmissione o trasporto), oppure soggetti a vincoli permanenti, e che non sono muovibili o
trasportabili se non con un cambiamento radicale del loro valore.
Entrambe le categorie di beni sono pienamente scambiabili ed il loro valore di mercato in economia
classica è inversamente proporzionale l’uno all’altro, perché vengono considerati (a ragione, o a torto)
valori alternativi tra di loro. In effetti, quando il valore di mercato dei titoli mobiliari tende ad
aumentare, abitualmente quello dei valori immobiliari tende a scendere.
Accanto a queste due categorie si è soliti affiancarne una terza: quella dei beni mobili registrati (navi,
aerei, automobili, treni, ecc.). Questa categoria di beni, pur avendo tutte le caratteristiche di mobilita
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dei beni mobiliari, dal momento che è iscritta in pubblici registri, la si considera come valore mobiliare
(ad elevato ammortamento).
Nell’economia moderna, da quando si è resa sempre più seguita la teoria monetarista, e da quando la
ricchezza “finanziaria” ha preso la mano a quella “reale”, con il termine di financial assets si è teso
indicare solo la capacità monetaria. Quando questa si è rivelata insufficiente o incapace ad innescare
operazioni di produzione di ricchezza reale, ci si è resi conto che la definizione che si dava ai “financia
assets” era restrittiva ed anche errata.
Era errata soprattutto perché non si considerava che lo scambio tende, per fenomeno di natura, a
riposizionarsi sul credito, sulla credibilità, quella che con linguaggio anglosassone è chiamata
“creditworthness”, piuttosto che sulla capacità monetaria di pagamento.
Nell’economia corrente il termine finanza si distingue da quello d’economia, perché la prima si
riferisce solo ad una particolare attività economica regolata dalla legge bancaria, assicurativa, di borsa
finanziaria.
In questa situazione il valore mobiliare subisce un’ulteriore serie d’attacchi che possono essere
classificati ed elencati in modo orientativo e non restrittivo attraverso i seguenti fenomeni:
! falsificabilità
! duplicabilità
! trafugabilità
! riciclaggio
! inconsistenza.
Ad evitare tutte queste possibili ipotesi di raggiro, le transazioni mobiliari richiedono ormai sempre la
dichiarazione da parte della banca dell’emittente che i fondi siano “buoni, chiari, puliti e d’origine non
criminale”.
L’unico fenomeno che la dichiarazione non riesce a risolvere è quello dell’inconsistenza del valore,
perché questa è potenzialmente sempre presente in ogni transazione finanziaria mobiliare, la quale no
è basata sul presupposto di prodotto tangibile o reale, bensì sull’attendibilità, sull’accettabilità e sulla
circolazione del valore mobiliare (i titoli del Tesoro ne sono una dimostrazione evidente).
I mercati borsistici, espressione tipica dei financial assets, dimostrano sempre più di appartenere alla
categoria dei giochi, piuttosto che a quella dell’economia, dove appare vieppiù evidente che i guadagn
non sono generati dalla creazione di nuova ricchezza, bensì da corrispondenti perdite d’altri operatori.
Da questo scenario appare evidente che, volenti o nolenti, le condizioni del mercato finanziario
tenderanno nel medio termine a ritornare verso una tendenza più naturale, una volta esauritasi l’eufor
del condizionamento e l’attrattiva del gioco.
Lo scambio, inteso come istinto di natura, vale a dire come un fenomeno d’interesse e convenienza
reciproca, è basato su due elementi essenziali e alternativi: la credibilità, o la parità.
Uno scambio è credibile quando, pur non verificandosi una condizione di parità immediata, vi è la
consapevolezza (reale o presunta) che l’equità dello scambio si rilevi nel tempo ed in quantità anche
maggiore a quella della parità immediata (intento speculativo).
Uno scambio è alla pari quando vi è la soddisfazione (reale o presunta) del bisogno che ha portato all
scambio.
Il primo tipo di scambio è basato esclusivamente sul credito, il quale può essere completamente avuls
dalla moneta (che è solo un mezzo, uno strumento), e che si basa essenzialmente sull’impegno
reciproco dei contraenti.
Il secondo tipo di scambio è basato sulla consapevolezza (presunta, o reale) che qualsiasi prodotto si
scambiato a qualsiasi prezzo, il vantaggio che n’è derivato è stato capace di soddisfare il bisogno che
aveva spinto allo scambio.
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A questo punto si può concludere che le differenze che l’economia poneva tra i diversi tipi di valori e d
prodotti (mobiliari e immobiliari)) non è più identificabile, in quanto lo scambio avviene sul credito,
oppure (quando non è coercitivo) avviene dietro la consapevolezza di esserne soddisfatti. Pertanto, vi
la necessità di riconcepire le funzioni ed i valori dei beni mobili ed immobili.
Che cosa oggi può determinare il valore di un asset, sia esso finanziario o reale?
Certamente le condizioni reali del mercato e le volontà o il credito degli operatori. Ma queste volontà o
questo credito da che cosa può essere condizionato, remunerato o punito?
In un mercato “trasparente” governato da una “common law” ogni operatore riesce a conoscere prima
di intervenire quali sono le condizioni presenti nel mercato e quali saranno quelle future, per cui la sua
volontà ha la possibilità di manifestarsi secondo ragione (razionalità economica) ed egli può ben
valutare le condizioni di convenienza con le quali opera. Questo avviene perché il mercato trasparente
(vale a dire non inficiato da monopoli o rendite di posizione) gli permette di scegliere l’scelta a lui più
favorevole, mentre la common law che lo governa, imperniata su usi e consuetudini consolidate, gli
consente di stabilire con certezza che la sua operazione non sarà sminuita da nessun “peso legislativ
futuro.
Purtroppo oggi un simile mercato non esiste da nessuna parte in quanto l’intervento legislativo tende a
penalizzare il profitto (cioè un istinto di natura) con accorgimenti che rendono ogni scambio di difficile
valutazione immediata sulla convenienza futura. Ne consegue che lo scambio non è più basato sulla
razionalità, ma sulla speculazione, cioè sulla sensazione (reale, o presunta) che si sia fatto o che si
possa fare un “affare”, vale a dire che si possa trarre un vantaggio maggiore di quello che ne può trarr
la controparte. Questo rappresenta la negazione dello scambio naturale.
Il bene immobile (di facile identificazione) in quanto tale è stato il primo a verificare l’inaffidabilità
della legge dello Stato, che lo ha colpito con pesi e vincoli (imposizione fiscale ecc.) che lo hanno reso
non competitivo con il bene mobile (di difficile identificazione) più difficilmente colpibile.
Quest’ultimo, dopo aver goduto di un lungo beneficio, soffre oggi di minore affidabilità, non solo per i
motivi sopra indicati (contraffazione, riciclaggio, inconsistenza, ecc.), ma soprattutto perché il credito,
la credibilità, non ha per nulla bisogno di lui.
Il credito può essere “personale”, o “reale”.
Il credito personale è concesso contro il “valore” espresso dalla persona che lo ottiene, la quale lo
garantisce con la sua imprenditorialità, con le sue capacità. Il credito personale è concesso quando vi
la certezza (reale, o presunta) che il debitore abbia la possibilità di creare col credito ottenuto altrettan
ricchezza reale capace di restituire il credito e di remunerarlo al contempo. In questo caso il credito no
è altro che il conferimento di uno strumento di lavoro, di un mezzo che consenta al debitore di avere
immediata credibilità da tutti. Ma non è il credito a dare valore all’investimento, bensì la bontà di
questi a dare valore al credito.
Si concede, invece, credito reale, o contro “garanzia reale” quando il creditore non crede alla bontà
dell’investimento, quindi scambia il suo credito (bene tangibile presunto o reale) contro un altro bene
tangibile (immobile). Se il debitore non è in grado di onorare il montante del credito, il debitore
trattiene il corrispettivo dello scambio (immobile), che diviene parte dei suoi assets, del suo patrimonio
Appare evidente, allora, che differenza sostanziale non esiste tra un valore mobile ed uno immobile, e
che i due beni sono caratterizzati solo da una forma diversa. Che la differenza sia solo formale è
documentato dal fatto che le attività a forte concentrazione mobiliare tendino a trasformare parte di
essa in attività immobiliari, e che forti concentrazioni immobiliari scontino o abbiano credito
sull’immobile.
Quindi, considerando che la differenza è solo formale, perché le quotazioni tra loro oscillano, perché i
loro rapporto di valore non è costante? Proprio perché l’intervento normativo impositivo altera
costantemente e volutamente il valore dei due tipi di bene.
38
Come si fa a stimare il valore degli assets?
L’interazione nei mercati finanziari tra valori mobiliari ed immobiliari è una caratteristica del mercato
ed è stimolata dalla domanda.
La domanda è il bisogno (reale, o presunto) supportato da una capacità di spesa. Il bisogno non
supportato da reddito non ha valenza economica, quindi non può essere soddisfatto da uno scambio,
solo da carità (prestazione senza contropartita).
Quindi, affinché i valori mobiliari ed immobiliari interagiscano tra loro, è necessario che esista bisogno
di scambio ed un reddito capace di soddisfarlo. Se il reddito è nullo, la domanda è nulla, qualunque si
l’intensità del bisogno. Se la domanda è nulla, la produzione è nulla, e con essa è nullo qualsiasi asse
Pertanto, per attivare o far crescere un mercato, è indispensabile che si generi o si incrementi un redd
(reale, o presunto).
E’ il livello di reddito “spendibile” che conferisce valore ad un qualsiasi asset, giacché il reddito è un
elemento del mercato che è generata naturalmente dall'imprenditoria e dal lavoro, ed artificiosamente
dal credito o da provvedimenti impositivi.
Gli assets hanno, quindi, due valori:
! - un valore di credito (attendibilità dell’investimento);
! - un valore di risparmio (soddisfazione del bisogno mediante accumulo di ricchezza).
Ora, se si osserva questa dicotomia senza paraocchi, salta subito in evidenza che le due valutazioni n
sono altro che due affermazioni di un’unica verità. Gli assets non hanno un valore intrinseco, ma lo
acquisiscono, se e solo se, e nella quantità ritenuta congrua, dallo scambio.
Qualunque tentativo d’attribuzione di valore intrinseco agli assets (real o financial) è finora fallito in
malo modo, come fallirˆ anche l’attribuzione di valore intrinseco che si dà oggi al credito, com’è fallito
ogni tentativo di scuola marxista di dare valore economico ad un bisogno privo di reddito spendibile.
Il valore degli assets è una qualità non preesistente, ma che è conferita di volta in volta (in un mercato
libero e trasparente) dalle attese e dalle volontà delle parti che entrano nello scambio, mentre in un
qualsiasi mercato protetto è conferita ope legis.
Ogni affermazione contraria è retorica politica, non teoria economica.
Comunque, il bisogno di stimare un asset rimane una necessitˆ essenziale allo scambio, per cui è
necessario trovare un metodo che permetta almeno di avere un’idea del valore che si pone in offerta.
Tecnicamente il valore può essere stimato sulla base di alcune variabili essenziali, tra cui:
! - valore di costo
! - valore d’uso
! - valore di un prodotto concorrente o succedaneo
! - valore di netto ricavo
IL VALORE DI COSTO.
E' dato dalla somma dello shop cost (costo d’officina nel caso di un manufatto), (costo di cantiere nel
caso di costruzioni) e dei costi A&G (costi amministrativi e generali).
Nel caso di servizi, o di prodotti intangibili, lo shop cost rappresenta il costo sostenuto per rendere il
prodotto offribile al richiedente.
Lo shop cost è un costo al lordo delle tasse sul reddito ed equivale allo "sforzo" compiuto dal
produttore per immettere quel prodotto sul mercato.
Il valore di costo, per˜ò, è una qualitàˆ che poco o nulla può˜ interessare al richiedente.
39
IL VALORE DI USO, O VALORE AGGIUNTO.
E' il valore che ottiene il richiedente, o consumatore, dall'avere a disposizione il prodotto.
Questo valore di solito è conosciuto solo dal compratore, ed è il valore sul quale egli basa la sua offer
di prezzo, mentre il venditore tende a basare il prezzo di vendita sul valore di costo.
Il valore d’uso è il solo vero valore reale di un prodotto, e proprio per questo è tenuto strettamente
riservato dal compratore.
E' la contrattazione tra le parti, che tende a portare il prezzo di vendita il più vicino possibile (in più o
in meno) al valore d’uso.
IL VALORE DI UN PRODOTTO CONCORRENTE O SUCCEDANEO.
A prescindere dalle due precedenti variabili, sia il compratore sia il venditore possono basare la loro
offerta sul prezzo noto ed ampiamente accettati di un prodotto concorrente o succedaneo.
Un prodotto è concorrente quando presenta le stesse identiche caratteristiche di uno stesso prodotto
corrente sul mercato. E' succedaneo quando pur avendo caratteristiche diverse può sostituire
accettabilmente un altro prodotto.
Il valore del prodotto concorrente o succedaneo può favorire, o restringe l'ingresso nel mercato del
prodotto in questione, per cui può condizionarne il prezzo di vendita.
Un prodotto concorrente ad un immobile è un altro immobile, situato nella stessa zona, della stessa
tipologia e rifinitura, mentre un prodotto succedaneo può essere l'affitto dello stesso, o l'acquisto di un
servizio alberghiero o similare.
IL VALORE DI NETTO RICAVO.
Rappresenta il valore o utile netto che si ricava dalla compravendita di un prodotto.
Ogni prodotto può essere gravato da una tassa sulla vendita (IVA), o da una tassa sull'acquisto (ritenu
alla fonte), o da una tassa sul reddito prodotto (tassa sul reddito o sulle plusvalenze finanziarie).
Il valore di netto ricavo indica il valore al netto di queste possibili tassazioni, presenti o future.
L'interazione nei mercati finanziari.
Dopo aver descritto il pi sinteticamente possibile i criteri teorici di valorizzazione di assets mobiliari
ed immobiliari, passiamo ora ad analizzare come si comportano concretamente i mercati nella
trattazione dei diversi prodotti, ma con una premessa essenziale.
Londra è oggi l'unica grande città europea uscita dalla depressione economica degli anni '90.
Cos’ come in altre città, l'attività manifatturiera non è più da qualche tempo il motore della città.
L'industria immateriale della comunicazione e dei servizi in generale danno lavoro all'intera città.
Londra ha riaffermato negli ultimi venti anni le proprie tradizioni al pragmatismo commerciale
rinnovandosi dall'interno e riproponendosi come leader delle nuove tendenze etniche, finanziarie,
culturali, editoriali, in una parola: nell'innovazione.
A Londra vive la comunità professionale italiana più numerosa.
Le banche d’investimento internazionali, i centri di servizi finanziari, i servizi d’informazione
economica, i gestori di fondi pensione occupano diverse migliaia di professionisti italiani.
Gli aeroporti di Londra sono ormai quattro e dopo la privatizzazione della British Airways il flusso di
visitatori è andato aumentando in modo consistente (+100% nel 1997 rispetto al 1987). Minori prezzi e
maggiori investimenti promozionali hanno lanciato Londra come "città evento", luogo da non mancare
pera costantemente al centro dell'attenzione e di nuove innovazioni, nuove tendenze.
L'atmosfera effervescente della città ne ha risollevato le sue quotazioni immobiliari.
40
Dal 1994 la crisi di sovrofferta iniziata alla fine degli anni '80 si può dire superata. Da metà '96 i prezzi
sono tornati ad aumentare in maniera sporadica, ed in concomitanza con l'aumento dei valori mobiliar
(tanto per sconfessare la teoria di quella che viene definita economia classica), mentre dal 1997 ques
sono aumentati più decisamente, specialmente nei quartieri semicentrali in cui maggiori sono gli effett
delle nuove attività terziarie.
Nell'attesa la City si va ristrutturando ancora di più, sia da un punto di vista fisico (spostando molti dei
suoi back-office nelle torri dei Docklands), sia dal punto di vista organizzativo (con l'impiego
massiccio delle tecnologie telematiche e l'utilizzo sistematico di risorse umane internazionali).
Ora, mentre Londra fa questo e si rivalorizza, Berlino è in una profonda crisi economica generata
dall'enorme massa di invenduto immobiliare, proprio per l'assoluta mancanza di "effervescenza".
Parigi, dopo aver visto scomparire o sciogliersi gli investitori giapponesi dei primi anni '90 (proprio
quando Londra era già in crisi), oggi non dà segni di ripresa.
Milano ha tanto invenduto, e nonostante una discreta domanda, non riesce a recuperare proprio perch
l'offerta è completamente diversa da quello che la domanda vuole.
Roma è la solita città di pellegrini dove, finita la spinta della spesa pubblica, non si muove più nulla.
Allora, che cosa si può concludere?
E' vero che ogni prodotto ha un valore intrinseco, ma questi può essere anche completamente
misconosciuto se non corrisponde al suo valore d'uso.
Un palazzo d'epoca a Roma ha certamente un valore di costo molto maggiore di un pari palazzo a
Londra, ma mentre quest'ultimo è venduto o locato con ottima remunerazione, quello di Roma non
trova né locatori, né compratori, perciò il suo presunto valore rimane solo teorico.
Il valore d'uso è una creazione della fantasia, dell'ingegno umano, in una parola della cultura.
A Londra il valore d'uso è oggi più elevato che a Roma perché vi circola una cultura migliore di quella
di Roma. E a Londra il valore d'uso della ricchezza, sia essa "financial" o "real", è superiore a quello
della ricchezza di Roma, sia essa financial o real.
3.3.7 - La legge economica dell'inverso dell'utilità marginale.
La teoria economica dell'utilità marginale afferma che se un individuo è assetato, affamato, o senza
scarpe, conferisce un valore molto elevato alla prima dose di bene economico (un bicchiere d'acqua,
pezzo di pane, un paio di scarpe), e valori sempre più decrescenti alle dosi successive. In effetti,
l'assetato troverà il primo bicchiere d'acqua (dose) di valore "vitale", poiché può morire di
disidratazione, se non beve. Il secondo bicchiere d'acqua è senz'altro ancora necessario, ma non
indispensabile come il primo. Il terzo, il quarto, ecc., sono ancora benvenuti, ma non indispensabili, se
non addirittura fastidiose, mentre un’ulteriore offerta d'acqua la troverà riluttante, se non addirittura
disposto a buttarla addosso a chi gliela offre.
Così è il discorso per chi è a piedi scalzi. Il primo paio di scarpe è indispensabile, il secondo è
gradito, ma il terzo può essere addirittura un peso, o un pessimo affare, giacché costui preferisce
spendere i suoi soldi in beni più necessari delle scarpe. Quindi il valore reale che le successive paia d
scarpe hanno per costui è decrescente.
Nel caso di intervento sul territorio l'attribuzione di valore alle singole "unità di intervento" (dosi)
s’inverte, giacché più si realizza, più aumenta il valore reale delle quote individuali (un immobile
ubicato in un ambiente degradato vale certamente meno di un pari immobile ubicato in un ambiente
piacevole, ben servito e raffinato).
In questi casi, Il valore economico reale e finanziario aumenta in ragione più che proporzionale al
valore dell'unità di intervento.
41
Se un ambiente urbano di valore iniziale (x), riceve una miglioria di valore finanziario pari a (y), il
valore finale del contesto urbano non è pari a (x+y), ma si attesta su un valore del tipo (ax + y) dove (a
assume valori che vanno da >1 a " max.
La sola condizione per raggiungere questo risultato è che l'intervento sia migliorativo e non distruttivo.
Nel settore del turismo la comprensione e l'applicazione di questa teoria è essenziale per il
raggiungimento di risultati duraturi, giacché è solo con il miglioramento globale del posto da godere
"playground", o delle attrattive globali, quali i trasporti, le telecomunicazioni, i servizi sanitari, ecc. che
si riesce a fornire un servizio turistico qualitativo.
La gestione finanziaria delle risorse territoriali nel modello
"Innovazione del territorio"
Se
W = f(Rn, Bn, Ac, Pg, Ri)
Allora
W= (Rn + Bn + Ac + Pg + Ri +) I/B
in cui
%
%
%
%
%
%
%
%
W = Ricchezza reale
Rn = Risorse naturali
Bn = Bellezze naturali
Ac = Attrattiva culturale
Pg = Piacevolezza del luogo da vivere
Ri = Risorse immobiliari
I = Coefficiente annuo di moltiplicazione finanziaria
B = Coefficiente di trasformazione da valore immobile a valore mobile
Quindi, se
W = (Ri +) I/B
in cui Ri = 2.000.000.000
B = 90%
I = 40% d’interesse semplice o composto annuo
si ha:
a) in un anno: 2.000.000.000 x 0,90 x 1,40 = 2.520.000.000 (ad interesse semplice);
b) in due anni: 2.000.000.000 x 0,90 x 1,40 x 1,40 = 3.528.000.000 (ad interesse composto).
3.4 - La capacità finanziaria di investimento degli enti pubblici territoriali.
La legge 23 dicembre 1994, n. 724, art. 35, stabilisce che gli enti pubblici territoriali possano emettere
42
obbligazioni per finanziare i loro investimenti produttivi.
Questa norma consente all'ente locale d’autofinanziare i propri investimenti senza ricorrere né al
finanziamento bancario (estremamente costoso), né a quello statale (estremamente improbabile).
Ma questa non è l'unica fonte possibile di finanziamento.
Nel successivo Capitolo IV - "L'accesso diretto al mercato dei capitali", forniamo una descrizione
dettagliata di tutte le possibili fonti di finanziamento in base alla normativa vigente. In questo paragrafo
era nostra premura anticiparne solo l'opportunità.
Questa è la grande opportunità che viene offerta all'ente pubblico territoriale, forse anche come ultima
possibilità, di trasformare la gestione della cosa pubblica da attività improduttiva e fonte di imposizione
fiscale in attività produttiva che può attrarre l'attenzione dell'investimento privato e forse anche una
nuova partecipazione dei cittadini all'amministrazione locale.
Ci rendiamo conto che mettere in atto un simile processo potrebbe essere molto difficile sia per
l'amministratore pubblico (al quale, tutte le volte che si chiede un "fare", si chiede di addossarsi
responsabilità in più che egli non cerca di certo), sia per il privato, il quale diffida della lentezza, della
burocrazia e dell’irresponsabilitàˆ del pubblico.
Nonostante tutto questo, la rivoluzione silenziosa è avviata, e tutti speriamo che abbia successo, per i
bene di tutti, in modo da poter dare nuovo slancio all’imprenditorialità, la sola attività capace di
generare nuova ricchezza.
Pertanto, se l'ente pubblico territoriale riesce a comprendere ed ad attivare la propria capacità
imprenditoriale, allora la sfida col futuro è vinta; mentre, se l'ente pubblico territoriale, vinto ancora
una volta dalla cieca gestione politica, si chiuderà a riccio di fronte al cambiamento, allora saremo
ricacciati di trent'anni indietro, con prospettive molto buie per noi, e devastanti per le prossime
generazioni.
Tutti abbiamo sotto gli occhi la gestione del tesoro, così condizionata dall'enorme debito pubblico, e
tutti dobbiamo fare qualcosa per uscire fuori da questa trappola mortale.
Nessuno può dire la cosa non mi interessa, perché questo significa condannare la maggior parte dei
cittadini italiani, soprattutto i deboli, ad una sopravvivenza durissima ed incerta.
L'ente pubblico non può fare più da tappo allo sviluppo economico, perché questi è il solo fattore di
sviluppo capace d’alimentare lo sviluppo culturale e sociale. La povertà non crea cultura, al più crea
santità.
E' inutile continuare a ripetere con piglio carismatico che l'ambiente si protegge col non fare, col
proibire, col vietare. Intanto i boschi bruciano perché non sono sfruttati; gli acquedotti cittadini sono a
secco perché le acque non sono captate, e le condutture non sono rinnovate; i disastri naturali
colpiscono pesantemente perché il territorio è abbandonato alla concessione edilizia, e non è
programmato da una corretta gestione scientifica. Tutti questi danni devono essere pagati da una
sempre più pesante imposizione fiscale, mentre un corretto sfruttamento delle risorse naturali potrebb
evitare le catastrofi, ed apportare profitti da investire in attività collettive al momento meno redditizie.
Insomma, noi riteniamo che la gestione della cosa pubblica è arrivata al limite della rottura
rivoluzionaria: o si cambia modo di fare, o la gente si rifiuterà di obbedire. Non si creda che il rifiuto si
attuerà con manifestazioni di piazza, tipo vecchio stile; il rifiuto sarà silenzioso. La gente comincerà ad
alienarsi dal contesto pubblico per crearsi degli spazi associativi propri che consenta loro di procurars
quei servizi che servono al soddisfacimento dei loro bisogni. Questa è stata una delle premesse
introduttive al nostro lavoro, ed è un'idea che lo pervada dappertutto
43
CAPITOLO IV
I CONSORZI DI GARANZIA FIDI
4.1 – La natura giuridica dei Consorzi di Garanzia Fidi.
Come abbiamo visto sopra, un ente privato si distingue dall’ente pubblico non per la forma giuridica,
ma solo per gli scopi sociali.
Ma che dire di organismi pubblici che hanno per scopo sociale la mutualità, il fine non lucrativo, o la
reciproca assistenza tra gli associati, quali i Consorzi di Garanzia Fidi, le Società Cooperative di
Lavoro, le Soc. Cooperative di Mutualità, ecc.?
Questi sono organismi senza finalità di lucro, il cui scopo sociale è quello di aiutare la collettività
sociale consistente nei soci aderenti. Pertanto, la loro natura giuridica è a finalità pubblica, non certo
privata.
In effetti, ad es., le Province, “oltre che alle funzioni obbligatorie, possono facoltativamente assumere
compiti di utilità pubblica (non riservati ad altri enti) e così per es., alla pari dei comuni possono essere
3
autorizzate alla gestione diretta di pubblici servizi interessanti la popolazione di ciascuno”
4.2 - La natura operativa dei Consorzi di Garanzia Fidi
Un consorzio garanzia fidi con attività esterna va registrato presso la CCIAA con il suo numero di
codice fiscale e di partita IVA. A tutti gli effetti, questi può operare sia con i soci che per conto dei soci.
Prestare fideiussioni è il suo mestiere, onorando le insolvenze dei suoi associati con il proprio capitale
Pertanto, questi può raccogliere fondi tra i soci come capitale sociale (fondi che non vengono
remunerati), oppure può chiedere ai suoi associati prestiti a titolo oneroso. In quest’ultimo caso, tra
l’associato ed il consorzio si instaura un contratto finanziario, che può essere di conto corrente, di
mutuo, di cartolarizzazione, o di tanti altri tipi.
Tra il consorzio ed il singolo associato (o gruppo di associati) si instaura un rapporto di banking in cui
non v’è nessun bisogno della banca.
4.3 – L’accesso diretto al mercato dei capitali
Dopo aver analizzato al punto 7.5.2. le possibilità di accesso diretto al mercato dei capitali di una
società per azioni, analizziamo il banking di un Consorzio di Garanzia Fidi, impresa tipicamente non
bancaria, che con l’entrata in vigore dell’Accordo di Basilea 2 potrebbe diventare banca a tutti gli
effetti pratici, considerando che può essere chiamata a rispondere a prima domanda ad ogni situazion
debitoria di un suo associato verso una banca.
Il Codice Civile agli artt. 2602 e segg. Disciplina l’attività dei consorzi per il coordinamento della
produzione e degli scambi, definendo il consorzio come: “I contratti tra più imprenditori, esercenti una
medesima attività economica, o attività economiche connesse, i quali hanno per oggetto la disciplina
delle attività stesse mediante un’organizzazione comune”.
Il consorzio può essere con attività interna, oppure esterna.
Mentre il primo tipo non ha bisogno di formalità alcuna se non quella della forma scritta del contratto,
il secondo deve sottostare alla registrazione al registro delle imprese.
I contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile.
Per tutta la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo, e i creditori
particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo [2270, 2305, 2531].
3
C. Mortati, ditto, pag. 930.
44
Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i ter
possono far valere i loro diritti sul fondo consortile. Per le obbligazioni stesse rispondono inoltre
illimitatamente e solidalmente [1292 s.] le persone che hanno agito in nome del consorzio [38, 2267,
2317, 2331, 2449, 2508].
Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondono
questi ultimi solidalmente col fondo consortile [1705, 2339].
In caso d’insolvenza, nei rapporti tra i consorziati, il debito dell’insolvente si ripartisce tra tutti in pro
porzione delle quote [1299, 2280]”
4.3 – La natura operativa dei Consorzi di Garanzia Fidi.
Compito essenziale di un Consorzio di Garanzia Fidi è agevolare l’accesso a breve e medio termine a
piccole e medie imprese per stimolarne la trasformazione, l’ammodernamento e lo sviluppo.
Per il raggiungimento degli scopi, un consorzio può compiere (purché previsto nello statuto) ogni
operazione di natura mobiliare, immobiliare, commerciale e finanziaria (ivi compresa l’assunzione o la
prestazione di garanzie), nonché l’assunzione di partecipazione in enti o società collegate.
Nella prestazione di garanzie finanziarie, ogni consorzio si è comportato finora come un normale
garante di diritto civile italiano. In altre parole, la sua garanzia entra in vigore quando il creditore ha
espedito ogni mezzo per riscuotere il credito dal debitore.
Ma che succede se l’Accordo di Basilea chiederà ai consorzi di rispondere a prima domanda delle loro
garanzie? Semplice! Non sarà più la banca a fare banking, bensì il consorzio. A questo punto la banca
fungerà solo da tesoreria (qualora fosse necessario).
Ma se è il consorzio a fare banking, allora dobbiamo mettere questi nella condizione di poter entrare
nel mercato dei capitali direttamente, senza intermediari finanziari di nessun’altra natura.
Tutto questo è possibile nell’attuale ordinamento giuridico nazionale? Certamente.
Nel successivo paragrafo V viene illustrato in dettaglio come e perché secundum legem società per
azioni e società cooperative possono fare banking, sia in fase di raccolta che di erogazione
di capitali. Orbene, anche se la normativa giuridica non ne fa espressa menzione, a nostro
sommesso avviso, né formalmente, né sostanzialmente, il caso di un Consorzio Garanzia
Fidi può essere considerato diverso da quello di una Società Cooperativa.
Pertanto è da ritenere che il consorzio, limitatamente al rapporto con i suoi associati, ha accesso diret
al mercato dei capitali.
45
CAPITOLO V
L'ACCESSO DIRETTO AL MERCATO DEI CAPITALI
5.1 - GENERALITÀ
In generale, l'accesso al mercato dei capitali indica la possibilità di acquisire capitali di rischio o di
finanziamento per condurre un’impresa a contenuto economico. L'accesso diretto, indica, in particolar
la possibilità di reperire questi capitali senza l'intervento di nessun intermediatore finanziario.
Per mercato dei capitali s’intende, quindi, un luogo ideale dove si possa acquisire sia strumenti
finanziari, sia credibilità intesa come credito finanziario o come fiducia nel concedere qualsiasi
facilitazione che possa portare al compimento dell'impresa economica.
L'impresa è da ritenere economica quando dimostra la capacità di restituzione del credito o delle
facilitazioni anticipate su fiducia.
Ogni altra impresa non economica, per portare a termine il suo intervento non può contare su un
finanziamento, bensì su altre forme di contribuzione che possono essere definite come liberalità,
donazioni, elargizioni, contributo, carità, etc., che però non possono essere considerate attività
economiche.
Un ente pubblico può stare sul mercato sia sotto la forma di organizzazione pubblica che sotto la form
di organizzazione privata. Quindi, a seconda della forma organizzativa scelta, questi potrà avere le
relative opportunità di ricorso al mercato dei capitali.
L'essenziale è che l'ente conduca delle operazioni economiche.
Ogni ente pubblico, sia esso a finalità economica o non, deve condurre operazioni economiche, con la
sostanziale differenza che l'ente economico deve in esse trovare un margine contributivo per sostener
mentre l'ente non economico è sostenuto dall'intervento di un organismo superiore che ne garantisce
sostentamento. In ogni altro caso, bisogna supporre di trovarsi di fronte ad una gestione non
appropriata dell'ente.
Quando l'ente pubblico sta sul mercato nella forma di organizzazione privata, può assumere solo la
forma giuridica di società per azioni, a partecipazione completamente pubblica, o mista.
Quando l'ente sta sul mercato nella forma di organizzazione pubblica può assumere la forma di
gestione in economia (quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia
opportuno costituire un’istituzione o un'azienda), oppure di azienda speciale (quando si tratta di gestir
uno o più servizi di rilevanza economica).
Nella forma d’istituzione, l'ente non intraprende un'attività economica, bensì solo sociale, quindi senza
rilevanza imprenditoriale, mentre nella forma di gestione a concessione, l'ente rinuncia a gestire
l'operazione a favore di un terzo, perdendo, quindi, ogni imprenditorialità.
5.2 - LA GESTIONE DELL'ENTE IN FORMA PUBBLICA
L'Ente gestito sotto la forma giuridica d’organismo pubblico può accedere al mercato della raccolta de
capitali con le seguenti opportunità:
" - emissione di obbligazioni
" - emissione di carte prepagate
" - contratti di concessione.
5.2.1 - L'emissione di obbligazioni
E' regolata dalla legge 23 dicembre 1994 n. 724, che all'art. 35 "Emissione di titoli obbligazionari da
parte di enti territoriali" stabilisce che le province, i comuni e le unioni di comuni, le città
46
metropolitane e i comuni di cui agli artt. 17 e seguenti della legge 8 giugno 1990, n. 142, le comunità
montane, i consorzi tra enti locali territoriali, e le regioni, possono deliberare l'emissione di prestiti
obbligazionari destinati esclusivamente al finanziamento degli investimenti.
Per le regioni resta ferma la disciplina di cui all'art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come
modificato dall'art. 9 della legge 26 aprile 1982, n. 181, per cui è fatto divieto di emettere prestiti
obbligazionari per finanziare spese di parte corrente.
Le unioni di comuni, le comunità montane e i consorzi tra enti locali devono richiedere agli enti locali
territoriali che ne fanno parte l'autorizzazione all'emissione, la quale s’intende negata qualora non sia
espressamente concessa entro novanta giorni dalla richiesta.
Per le emissioni obbligazionarie si applicano le disposizioni di cui all'art. 46 del D.L.vo 30 dicembre
1992 n. 504 e successive modificazioni ed integrazioni. Il costo del monitoraggio previsto nel succitato
articolo 46 è a carico dell'ente emittente.
L'emissione delle obbligazioni è subordinata alle seguenti condizioni:
" a) che gli enti locali territoriali, anche nel caso in cui partecipino a consorzi o unioni di comuni,
non si trovino in situazione di dissesto o in situazioni strutturalmente deficitarie, come definito
dall'art. 45 del D. L.vo 30 dicembre 1992, n. 504;
" b) che le regioni non abbiano proceduto al ripiano di disavanzi d’amministrazione ai sensi
dell'art. 20 del D. L. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 19 marzo
1993, n. 68.
Nessun prestito può, comunque, essere emesso se dal conto consuntivo del penultimo esercizio risult
un disavanzo di amministrazione, e se non sia stato deliberato il bilancio di previsione dell'esercizio in
cui è prevista l'emissione del prestito.
Il prestito obbligazionario deve essere finalizzato ad investimenti e deve essere pari al valore del
progetto esecutivo cui fa riferimento.
Gli investimenti ai quali è finalizzato il prestito obbligazionario devono avere un valore di mercato,
attuale o prospettico (calcolato alla data di realizzazione), almeno pari all'ammontare del prestito.
Gli interessi sui prestiti obbligazionari concorrono a tutti gli effetti alla determinazione del limite di
indebitamento stabilito dalla normativa vigente per le rispettive tipologie di enti emittenti.
La durata del prestito non può essere inferiore a cinque anni.
#
In caso di prestiti emessi da un'unione di comuni, o da consorzi tra enti locali territoriali, la data
di estinzione non può essere successiva a quella in cui è previsto lo scioglimento dell'ente.
Qualora si proceda alla fusione di comuni prima della scadenza del termine di dieci anni, ai
sensi degli artt. 11 e 26 della legge 8 giugno 1990, n. 142, il complesso dei rapporti giuridici
che derivano dall'emissione del prestito è trasferito al nuovo ente.
#
Le obbligazioni possono essere convertibili, oppure con warrant in azioni di società possedute
dagli enti locali.
#
Il prestito obbligazionario deve essere collocato alla pari e gli interessi possono essere
corrisposti con cedole annuali, semestrali, o trimestrali, a tasso fisso o variabile.
#
Il rendimento effettivo al lordo dell'imposta per i sottoscrittori del prestito non dovrà essere
superiore (al momento dell'emissione) al rendimento lordo dei titoli di Stato di pari durata,
emessi nel mese precedente, maggiorato di un punto. Ove in tale periodo non vi fossero state
emissioni della stessa specie, si farà riferimento al rendimento dei titoli di Stato esistenti sul
47
mercato con vita residua più vicina a quella delle obbligazioni da emettere, maggiorato di un
punto.
I titoli obbligazionari devono essere al portatore.
!
Sono spendibili in anticipazioni presso la Banca d'Italia e possono essere ricevuti in
pegno per anticipazioni da tutti gli enti creditizi.
!
Gli enti emittenti devono operare una ritenuta del 12,50% a titolo d’imposta sugli
interessi, premi o altri frutti corrisposti ai possessori (persone fisiche o giuridiche) e a
titolo d’anticipo d'imposta per i soggetti tassati in base all'IRPEG.
! Il gettito della ritenuta rimane di competenza degli enti emittenti che dovranno iscrivere
la somma in apposito capitolo di bilancio al netto di una percentuale dello 0,1% - una
tantum - calcolato sul valore del prestito obbligazionario, da attribuire all'entrata del
bilancio dello Stato quale contributo alle spese relative ad atti autorizzativi.
! E' fatto divieto di accedere alla Cassa Depositi e Prestiti per nuovi mutui nel periodo
amministrativo in cui il prestito è stato sottoscritto.
!
La delibera d’approvazione del prestito deve indicare l'investimento da realizzare,
l'importo complessivo, la durata e le modalità di rimborso, e deve essere corredata dal
relativo piano di ammortamento finanziario.
!
Il rimborso anticipato del prestito, ove previsto, può essere effettuato esclusivamente
con fondi provenienti dalla dismissione di cespiti patrimoniali disponibili.
!
Per il collocamento del prestito, l’ente emittente si avvale d’intermediari autorizzati
dalla normativa nazionale e comunitaria, ferme restando le disposizioni che ne
disciplinano l'attività.
L'erogazione del ricavato del prestito obbligazionario sarà effettuata dall'emittente con le modalità di
cui all'art.19 della legge 3 gennaio 1978, n. 1. Il tesoriere dell'ente emittente deve provvedere al versa
mento presso l'ente o gli enti creditizi dei fondi occorrenti per il pagamento delle cedole, al netto delle
ritenute fiscali, e per il pagamento del capitale, secondo il piano di ammortamento predisposto. L'ente
gli enti creditizi rappresentano i possessori dei titoli obbligazionari nei rapporti con gli enti emittenti.
Il rimborso del prestito è assicurato attraverso il rilascio delle delegazioni di pagamento di cui all'art. 3
della legge 21 dicembre 1978, n. 843.
Il rimborso del prestito emesso dalle regioni è assicurato dall'iscrizione in bilancio con impegno della
regione a dare mandato al tesoriere ad accantonare le somme necessarie. E' vietata ogni forma di
garanzia a carico dello Stato. E' vietata, altresì, ogni forma di garanzia delle regioni per prestiti emess
da enti locali.
Alle emissioni obbligazionarie si applicano, in quanto compatibili, le norme relative alla gestione
cartolare dei BOT, di cui al decreto del Ministro del Tesoro del 25 luglio 1985.
Le emissioni obbligazionarie sono sottoposte al benestare preventivo della Banca d'Italia, che deve
essere espresso entro sessanta giorni dalla richiesta, nei limiti fissati dalla stessa ai sensi dell'art. 129
del D.L.vo 1 settembre 1993, n. 385.
I titoli obbligazionari possono essere quotati sui mercati regolamentati ai sensi della normativa vigente
e possono essere riacquistati dall'emittente esclusivamente con mezzi provenienti da economie di bi
lancio.
48
Con apposito regolamento da emanare entro il 30 giugno 1995, il Ministro del Tesoro determina le
caratteristiche dei titoli obbligazionari, nonché i criteri e le procedure che gli enti emittenti sono tenuti
ad osservare per la raccolta del risparmio, definisce l'ammontare delle commissioni di collocamento
che dovranno percepire gli intermediari autorizzati, e definisce altresì i criteri di quotazione sul mercato
secondario.
A tal fine possono anche essere previste modificazioni ed integrazioni delle certificazioni di bilancio di
cui all'art. 44 del D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 504.
5.2.2 - L'indebitamento degli enti locali dissestati.
In base all'art. 37 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, in deroga a quanto stabilito dall'art. 35, comm
2, lettera a) della stessa legge, gli enti locali territoriali possono procedere alla emissione di prestiti
obbligazionari, purché:
$ a) abbiano registrato un avanzo di amministrazione nei conti consuntivi relativi all'ultimo e al
penultimo esercizio precedente quello dell'emissione del prestito;
$ b) abbiano interamente ripianato gli eventuali disavanzi di gestione dei servizi pubblici gestiti a
mezzo di aziende municipalizzate, provincializzate e speciali, nonché gli eventuali disavanzi di
consorzi per la quota a carico del singolo ente locale interessato. I disavanzi da assumere a
riferimento sono quelli risultanti dai conti consuntivi del servizio pubblico relativi all'ultimo e al
penultimo esercizio precedente quello dell'emissione del prestito.
$ Per gli enti locali dissestati che si trovino nelle condizioni sopra stabilite, cessano i limiti di
assunzione di mutui disposti dall'art. 25, comma 9, del D.L. 2 marzo 1989, n.144. I conti
consuntivi da assumere a riferimento per l'applicazione del presente articolo non possono in
ogni caso interessare gli esercizi precedenti quello per il quale è stata approvata l'ipotesi di
bilancio riequilibrato.
5.2.3 - L'emissione di carte prepagate.
Quella dell'emissione delle carte prepagate è una forma contrattuale di natura privatistica che consen
al fornitore di un bene o di un servizio di "abbonare" il consumatore al suo prodotto, ricevendone un
pagamento anticipato rispetto alla fruizione del prodotto stesso.
Per il produttore la convenienza è lampante in quanto egli si assicura un pagamento garantito
(prepagato) ed una fonte di finanziamento di incomparabile valenza economica.
Di contro il consumatore ha il vantaggio, con una spesa minima, di avere un servizio garantito, senza
fastidio di dover pagare ogni volta, o di dover onorare bollette ed onorari vari.
L'emissione di carte prepagate può rivestire sia la forma d’abbonamento, che quella di carta di credito
di debito.
L'emissione di carte prepagate da parte di un fornitore di beni e servizi, si applica ugualmente bene al
finanziamento di un'attività economica di un ente pubblico.
Questa forma di finanziamento è consentita dalle disposizioni della Circolare della Banca d'Italia n. 4
del 29.3.88, il cui contenuto è riportato nella discussione del paragrafo relativo alle società per azioni,
cui si rimanda.
5.2.4 - I contratti di concessione.
Il contratto di concessione è l'accordo tra un organismo pubblico che concede ad un organismo privat
la possibilità di soddisfare un bisogno collettivo a condizioni convenute e concesse al privato
dall'organismo pubblico che ne detiene la titolarità.
Il contratto di concessione è una figura giuridica esistente da molto tempo in Italia, ma che ha trovato
una fattiva applicazione solo in tempi recenti.
Le reticenze iniziali, solo di natura politica, hanno trovato superamento negli ultimi anni ottanta,
49
quando l'intervento diretto degli organismi pubblici nelle attività economiche ha cominciato a mostrare
tutte le sue inadeguatezze.
Oggigiorno questo tipo contrattuale appare superato dalle nuove forme di partecipazione mista al
soddisfacimento dei bisogni collettivi, perciò noi prevediamo un uso molto marginale di questa figura
contrattuale.
5.3 - LA GESTIONE DELL'ENTE IN FORMA PRIVATA.
L'ente può essere anche gestito sotto la forma giuridica della società per azioni (s.p.a).
In questa veste le possibilità di accedere direttamente al mercato della raccolta dei capitali aumentano
per l'ente pubblico, perché, pur conservando la capacità di emettere obbligazioni (quale ente pubblico
territoriale, in base al disposto della legge 23 dicembre 1994 n. 724), esso può inoltre emettere
obbligazioni sociali in base al capitale sociale versato, nonché ricorrere a tante altre opportunità che
verranno in questo paragrafo analizzate singolarmente, in modo da verificarne l'opportunità d’impiego
Premettendo che l'analisi che noi conduciamo non vuole essere esaustiva, ma solo indicativa, le
principali figure finanziarie che permettono ad una società per azioni di accedere direttamente al
mercato della raccolta dei capitali sono così state identificabili:
% - raccolta di capitale sociale
% - conferimento mobiliare o immobiliare
% - raccolta di risparmio:
o - tra il pubblico:
" - emissione di obbligazioni
" - emissione di cambiali finanziarie
" - emissione di certificati d’investimento
" - emissione di prodotti derivati;
presso
i soci;
o
% - emissioni di carte prepagate
% - contratti di conto corrente;
% - promissory notes and collaterals trading su mercato internazionale
% - project financing;
5.3.1 - La raccolta di capitale sociale.
La raccolta di capitale sociale è l'operazione che permette ad una società di capitali di raccogliere
capitale di rischio per finanziare le proprie attività.
Il capitale di rischio può essere raccolto per la costituzione della società, o per l'aumento del suo
capitale sociale, una volta che la società è già costituita.
La raccolta di capitale di rischio è illimitata e può essere spinta al limite di credibilità della e delle
iniziative dei proponenti.
Proprio il concetto di "credibilità" è alla base di questa operazione finanziaria, giacché non ci sono altr
limitazioni di tipo giuridico o tecnico. La credibilità delle operazioni è data dal piano economico che le
supporta, mentre quella dei proponenti è data da qualità imponderabili quali il carisma, la popolarità, il
potere finanziario ed altro di cui il proponente gode.
Un'attività gestita nella forma pubblica (ente pubblico), non può raccogliere capitali di rischio perché
non può remunerarlo, e l'ente viene pertanto dotato di mezzi finanziari (tassazione, tariffazione, o altro
che gli consentano il perseguimento del suo fine.
50
Nella forma giuridica privata, invece, per intraprendere una qualsiasi attività economica vi è bisogno d
reperire capitali di rischio attraverso la sottoscrizione dei soci, vale a dire di coloro che vogliono
partecipare a quella determinata attività, oppure di capitali di finanziamento.
Mentre nell'ordinamento giuridico italiano la raccolta di capitale sociale è anteriore e ostativa alla
formazione della società, in altri ordinamenti (ad es. quello statunitense) è successiva, per cui forse
l'operazione è più semplice e più trasparente.
Davvero simile alla raccolta è l'aumento di capitale sociale, il quale non sottostà a nessuna limitazione
economica, perché ad ogni nuova azione emessa si può attribuire un valore reale e un sovrapprezzo
rende in sostanza illimitata la portata dell'operazione. L'unico limite appare sempre e solo quello della
credibilità, cioè del credito che si riesce ad ottenere con le proprie proposte.
La raccolta e l'aumento di capitale sociale è regolato dal disposto del codice civile che agli artt. 2327 e
seguenti ne disciplina la forma e la procedura.
In base all'art. 11 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, la società per azioni deve costituirsi con un
capitale non inferiore a duecento milioni. La società deve costituirsi per atto pubblico, e per procedere
alla sua costituzione è necessario:
1. che sia sottoscritto per intero il capitale sociale
2. che siano versati presso un istituto di credito almeno i tre decimi dei conferimenti in danaro
3. che sussistano le autorizzazioni governative e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali
per la costituzione della società, in relazione al suo particolare oggetto.
La costituzione di società per azioni e in accomandita per azioni con capitale superiore a dieci
miliardi, nonché gli aumenti di capitale non gratuiti e le emissioni di obbligazioni, ancorché deliberati o
da effettuarsi in più riprese, che superino nel complesso i dieci miliardi, sono soggetti ad autorizzazion
del Ministero del Tesoro, secondo le modalità di cui all'art. 21, L 4 giugno 1985, n. 281.
Le somme depositate per la costituzione della società non possono essere consegnate agli
amministratori, se questi non provano l'avvenuta iscrizione della società nel registro delle imprese.
L'istituto di credito è responsabile nei confronti della società e dei terzi per l'inosservanza del presente
divieto.
Se entro un anno dal deposito l'iscrizione non ha avuto luogo, le somme depositate devono
essere restituite ai sottoscrittori.
In base all'art. 2333 cc, la società può essere costituita anche per mezzo di sottoscrizione pubblica su
base di un programma che ne indichi l'oggetto ed il capitale, le principali disposizioni dell'atto
costitutivo, l'eventuale partecipazione che i promotori si riservano agli utili, ed il termine entro il quale
deve essere stipulato l'atto costitutivo.
Il programma con le firme autenticate dei promotori, prima di essere reso pubblico, deve essere
depositato presso un notaio.
Le sottoscrizioni delle azioni devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. L'atto
deve indicare il cognome e nome, il domicilio o la sede del sottoscrittore, il numero delle azioni
sottoscritte e la data della sottoscrizione.
Raccolte le sottoscrizioni, i promotori, con raccomandata o nella forma prevista dal programma,
devono assegnare ai sottoscrittori un termine non superiore ad un mese per fare il versamento prescr
per la costituzione della società. Decorso inutilmente questo termine, è in facoltà dei promotori di agire
contro i sottoscrittori morosi o di scioglierli dall'obbligazione assunta. Qualora i promotori si avvalgano
di quest'ultima facoltà, non può procedersi alla costituzione della società prima che siano collocate le
azioni che quelli avevano sottoscritto.
Salvo che il programma stabilisca un termine diverso, i promotori nei venti giorni successivi al termine
51
fissato per il versamento prescritto, devono convocare l'assemblea dei sottoscrittori mediante
raccomandata da inviarsi a ciascuno di essi almeno dieci giorni prima di quello fissato per l'assemblea
con l'indicazione delle materie da trattare.
L'assemblea dei sottoscrittori accerta l'esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della
società, delibera sul contenuto dell'atto costitutivo, delibera sulla riserva di partecipazione agli utili
fatta a proprio favore dai promotori, e nomina gli amministratori e i membri del collegio sindacale.
L'assemblea è validamente costituita con la presenza della metà dei sottoscrittori. Ciascun sottoscritto
ha diritto ad un voto, qualunque sia il numero delle azioni sottoscritte, e per la validità delle
deliberazioni si richiede il voto favorevole della maggioranza dei presenti.
Tuttavia, per modificare le condizioni stabilite nel programma è necessario il consenso di tutti i
sottoscrittori. Eseguito quanto è prescritto, gli intervenuti all'assemblea, in rappresentazione anche de
sottoscrittori assenti, stipulano l'atto costitutivo, che deve essere depositato per l'iscrizione nel registro
delle imprese a norma dell'art. 2330 cc.
Sono promotori coloro che nella costituzione per pubblica sottoscrizione hanno firmato il programma a
norma del secondo comma dell'art. 2333 cc.
I promotori sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte per costituire la
società. La società è tenuta a rilevare i promotori dalle obbligazioni assunte e a rimborsare loro le spe
sostenute, sempreché siano necessarie per la costituzione della società o siano state approvate
dall'assemblea. Se per qualsiasi ragione la società non è costituita, i promotori non possono rivalersi
verso i sottoscrittori delle azioni.
I promotori sono solidalmente responsabili verso la società e verso i terzi:
! a) per l'integrale sottoscrizione del capitale sociale e per i versamenti richiesti per la
costituzione della società (2327, 2329, 2 333, 2334 cc);
! b) per l'esistenza dei conferimenti in natura in conformità della relazione giurata indicata
nell'art. 2343 cc;
! c) per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico per la costituzione della società
(2621 cc).
Sono del pari responsabili solidalmente verso la società e verso i terzi coloro per conto dei quali i
promotori hanno agito (1705 cc). I promotori possono riservarsi nell'atto costitutivo, in modo
indipendente dalla loro qualità di soci, una partecipazione non superiore complessivamente ad un
decimo degli utili netti risultanti dal bilancio e per un periodo massimo di cinque anni (2335). Essi non
possono stipulare a proprio vantaggio altro beneficio. Queste disposizioni si applicano anche ai soci
che nella costituzione simultanea (2338 cc) o in quella per pubblica sottoscrizione (2333 ss. cc)
stipulano l'atto costitutivo.
5.3.2 - Il conferimento mobiliare e immobiliare
Se nell'atto costitutivo della società non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in danaro
(Art. 2342 c.c.) Per il conferimento di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli artt.
2254 e 2255 cc. Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al
momento della sottoscrizione. Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni d’opera o
servizi.
Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal
presidente del tribunale contenente la descrizione dei beni o dei crediti conferiti, il valore a ciascuno d
essi attribuito, i criteri di valutazione seguiti, nonché l'attestazione che il valore attribuito non è
inferiore al valore nominale, aumentato dell'eventuale sovrapprezzo delle azioni emesse a fronte del
conferimento. La relazione deve essere allegata all'atto costitutivo.
All'esperto nominato dal presidente del tribunale si applicano le disposizioni dell'art. 64 del codice di
52
procedura civile.
Gli amministratori e i sindaci devono nel termine di sei mesi dalla costituzione della società controllare
le valutazioni contenute nella relazione indicata nel primo comma e, se sussistono fondati motivi,
devono procedere alla revisione della stima. Fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le
azioni corrispondenti ai conferimenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la società.
Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui
avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le
azioni che risultano scoperte. Tuttavia, il socio conferente può versare la differenza in denaro o
recedere dalla società (Cfr. anche art. 4 D.L. 7 maggio 1948, n. 1057 - agevolazioni fiscali per le
fusioni e le concentrazioni di società, e norme per la registrazione degli aumenti di capitale derivanti d
rivalutazione monetaria.
L'acquisto da parte della società, per un corrispettivo pari o superiore al decimo del capitale sociale, d
beni o di crediti dei promotori, dei fondatori, dei soci o degli amministratori, nei due anni dalla
iscrizione della società nel registro delle imprese, deve essere autorizzato dall'assemblea ordinaria.
L'alienante deve presentare la relazione giurata di un esperto designato dal presidente del tribunale,
contenente la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuito, i criteri di
valutazione seguiti, nonché l'attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo, che deve
comunque essere indicato. La relazione deve essere depositata nella sede della società durante i
quindici giorni che precedono l'assemblea. I soci possono prenderne visione. Entro trenta giorni
dall'autorizzazione, il verbale dell'assemblea, corredato dalla relazione dell'esperto designato dal
presidente del tribunale, deve essere depositato a cura degli amministratori presso l'ufficio del registro
delle imprese; del deposito deve essere fatta menzione nel Bollettino Ufficiale delle Società per Azioni
e a Responsabilità Limitata.
Le disposizioni della presente affermazione non si applicano agli acquisti, che siano stati effettuati a
condizioni normali nell'ambito delle operazioni correnti della società, né a quelli che avvengono in
borsa o sotto il controllo dell'autorità giudiziaria o amministrativa.
Se il socio non esegue il pagamento delle quote dovute, gli amministratori, decorsi quindici giorni dalla
pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, possono far vendere le
azioni a suo rischio e per suo conto, a mezzo di un agente di cambio o di un istituto di credito (2477,
2524 cc). Qualora la vendita non possa avvenire per mancanza di compratori, gli amministratori
possono dichiarare decaduto il socio, trattenendo le somme riscosse, salvo il risarcimento dei maggio
danni (1223 cc). Le azioni non vendute, se non possono essere rimesse in circolazione entro l'eserciz
in cui fu pronunciata la decadenza del socio moroso, devono essere estinte con la corrispondente
riduzione del capitale. Il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto.
Oltre l'obbligo dei conferimenti, l'atto costitutivo può stabilire l'obbligo dei soci di eseguire prestazioni
accessorie (2478 cc) non consistenti in denaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità, il
compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del
compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse
prestazioni. Le azioni alle quali è connesso l'obbligo delle suscitate prestazioni devono essere
nominative e non sono trasferibili senza il preventivo consenso degli amministratori. Se non è
diversamente stabilito dall'atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo dispositivo non possono
essere modificati senza il consenso di tutti i soci.
Il conferimento, o l'aumento di capitale sociale costituisce la prima fonte di finanziamento per le
società di capitali. Se solo si avesse la pazienza e l'accortezza di formare buone società queste
53
potrebbero avere capacitˆ finanziaria decisamente superiore alle loro necessità, e operare con i loro
flussi finanziari positivi sui mercati finanziari.
Molti enti pubblici sono dotati di un formidabile patrimonio immobiliare che molto spesso, più che
costituire un’attività (asset) di bilancio, costituisce una passività, giacché questo ha bisogno di notevol
spese di manutenzione e produce pochi o nulli profitti di locazione, o d'altra natura. Conferire questi
patrimoni come capitale sociale può comportare la costituzione di una solida società di capitali, quand
la mancanza di solidità delle nostre società è una delle loro mancanze più gravi. Come vedremo nel
successivo capitolo dedicato al finanziario, porre sul mercato il patrimonio immobiliare di un ente può
essere un "atout" che può facilitare la soluzione di molti problemi operativi.
5.3.3 - Generalità sulle azioni e sulle nuove emissioni.
Le azioni sono indivisibili e non possono essere emesse per somma inferiore al loro valore nominale.
Nel caso di comproprietà di un'azione i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un
rappresentante comune. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da es
derivanti.
Le azioni devono essere d’uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti. Si possono
tuttavia creare categorie di azioni fornite di diritti diversi con l'atto costitutivo o con successive
modificazioni di questo.
In caso d’assegnazione straordinaria di utili ai prestatori di lavoro dipendenti dalla società, possono
essere emesse, per un ammontare corrispondente agli utili stessi, speciali categorie di azioni da
assegnare individualmente ai prestatori di lavoro con norme particolari riguardo alla forma, al modo di
trasferimento e ai diritti spettanti agli azionisti. Il capitale sociale deve essere aumentato in misura
corrispondente.
Ogni azione attribuisce il diritto a una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto
risultante dalla liquidazione, salvi i diritti stabiliti a favore di speciali categorie d’azioni a norma degli
articoli precedenti. Ogni azione attribuisce il diritto di un voto.
5.4 - LA RACCOLTA DEL RISPARMIO DEI SOGGETTI DIVERSI DALLE BANCHE.
Dalla Circolare della Banca d'Italia n. 4 del 29 marzo 1988 - 115¡ Aggiornamento del 2.12.94, si rileva
quanto segue.
5.4.1 - Premessa.
L'art. 11 del d.lgs. n. 385 del 1 settembre 1993, nel ribadire il principio in virtù del quale la
raccolta del risparmio presso il pubblico è vietata - in generale - ai soggetti diversi dalle banche,
riconosce a tali soggetti talune possibilità di raccolta.
La raccolta di risparmio tra il pubblico è consentita entro il limite del capitale versato e delle riserve.
Essa può essere effettuata sia dalle società ed enti quotati, sia dalle altre imprese. Per queste ultime
richiede un risultato di bilancio positivo negli ultimi tre esercizi e la sussistenza per ciascuna emissione
di titoli di garanzia rilasciata da un intermediario vigilato.
Oltre che con lo strumento obbligazionario la raccolta può essere effettuata mediante "cambiali
finanziarie", ex lege 43/94, con durata compresa fra tre e dodici mesi e "certificati di investimento" con
durata superiore a dodici mesi. Il taglio minimo di entrambi i titoli è fissato in misura (100 milioni)
idonea per selezionare dal lato della domanda gli investitori in grado di valutare il rischio di impresa.
Per quanto concerne la raccolta presso soci, essa può essere effettuata senza alcun limite purc
rivolta a soggetti che detengano una partecipazione almeno pari al 2% del capitale sociale.
Per le cooperative con più di 50 soci è introdotto un limite quantitativo rapportato al patrimonio,
54
riferito al complesso della raccolta sociale. Tale limite è elevato in caso di prestiti garantiti, in misura
almeno pari al 30%, da soggetti vigilati ovvero quando la cooperativa aderisca ad uno schema di
garanzia dei prestiti sociali che fornisca un’adeguata tutela agli investitori.
Il Comitato per la tutela del risparmio ha confermato il divieto alle società finanziarie cooperative di
raccogliere risparmio presso soci ed in generale alle altre finanziarie di raccogliere risparmio tra il
pubblico mediante cambiali finanziarie e certificati d’investimento. In deroga a tale ultimo principio,
alle societàˆ finanziarie "vigilate" è consentita la raccolta con i nuovi strumenti di debito.
5.4.2 - Fonti normative.
La materia è regolata dai seguenti articoli del d.lgs. n. 385 del 1 settembre 1993 (Testo unico delle leg
in materia bancaria e creditizia, di seguito denominato T.U.):
$ - art. 11, commi 2,3,4 (lett. c,d,e) e 5, che, nel sancire il divieto di raccogliere risparmio tra il
pubblico ai soggetto diversi dalle banche, definiscono le deroghe al divieto stesso e individuano
le fattispecie che non costituiscono raccolta di risparmio tra il pubblico;
$ - art. 115, comma 2, secondo il quale il Ministro del Tesoro può individuare, in considerazione
dell'attività svolta, altri soggetti - diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari - da
sottoporre alle norme sulla trasparenza delle condizioni contrattuali;
$ - art. 117, comma 8, che riconosce alla Banca d'Italia il potere di prescrivere che determinati
contratto o titoli, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici
criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico o determinato;
$ - art. 130 e 131, che assoggettano a sanzione penale l'attività di raccolta del risparmio tra il
pubblico effettuata in violazione dell'art. 11 sopra citato;
e inoltre
$ - dalla legge 13 gennaio 1994, N. 43, che disciplina le cambiali finanziarie;
$ - dalla delibera CICR del 3 marzo 1994, attuativa dell'art. 11 del T.U.;
$ - dal decreto del Ministro del Tesoro del 7 ottobre 1994 che individua le caratteristiche delle
cambiali finanziarie e dei certificati d’investimento.
5.4.3 - Definizioni.
Ai fini della presente disciplina si definisce "raccolta di risparmio tra il pubblico", l'attività di
acquisizione di fondi con obbligo di rimborso.
Ai fini della presente disciplina non è "raccolta di risparmio tra il pubblico":
$ a) il reperimento di risorse effettuato sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti,
per i quali tale operazione si inserisce, di norma, in una gammaampia
pi
di rapporti di natura
economica con il soggetto finanziato. Nel contratto deve comunque risultare la natura di
"finanziamento" del rapporto stesso (tale esclusione riguarda ovviamente i soli finanziamenti e
non altre operazioni come, ad es., l'attività di gestione di valori mobiliari le quali, anche se
effettuate sulla base di trattative personalizzate, costituiscono "raccolta di risparmio tra il
pubblico"). In ogni caso, il reperimento di risorse in tal modo effettuato non deve presentare
connotazioni tali (ad esempio, numerosità e frequenza delle operazioni) da configurare, di fatto
una forma di raccolta;
$ b) l'acquisizione di fondi connessa con l'emissione e la gestione, da parte di un fornitore di ben
o servizi, di carte prepagate utilizzabili esclusivamente presso lo stesso;
$ c) l'acquisizione di fondi con obbligo di rimborso presso i seguenti soggetti:
o - banche autorizzate in Italia e banche comunitarie di cui all'art.1, comma 2, lett. b) e d)
T.U.
55
o
o
o
o
o
o
o
o
o
o
- società finanziarie iscritte nell'elenco speciale di cui all'art. 107 del T.U.
- società finanziarie capigruppo dei gruppi bancari di cui all'art. 61 del T.U.
- imprese ed enti d’assicurazione mobiliare iscritte all'albo di cui all'art. 3, L. 2.1.91, n. 1
- società di intermediazione mobiliare iscritte nell'albo di cui all'art. 3, L. 2.1. 91, n. 1
- società fiduciarie iscritte all'elenco di cui all'art. 17, comma 2, L. 2.1.1991, n.1
- fondi comuni d’investimento in valori mobiliari di cui alla L. 23 marzo 1983, n. 77
- fondi comuni d’investimento mobiliare chiusi di cui alla L. 14 agosto 1983, n. 77
- fondi comuni d’investimento mobiliari chiusi di cui alla L. 14 agosto 1993, n. 344
- SICAV iscritte all'albo di cui all'art. 2 del d.lgs. 25 gennaio 1992, n. 84
- fondi pensione iscritti all'albo di cui all'art. 4, comma 6, d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124.
Nei confronti di tali soggetti resta ferma, ovviamente, l'applicazione di norme specifiche che ne
regolino l'attività;
"raccolta di risparmio presso soci", l'attività di acquisizione di fondi con obbligo di rimborso
effettuata presso i soci. L'offerta degli strumenti nei quali tale forma di raccolta si sostanzia, prevista
nel disegno imprenditoriale della società, deve essere rivolta indiscriminatamente a tutti i soci.
Ai fini della presente disciplina non costituiscono "raccolta di risparmio presso i soci" le singole
operazioni di finanziamento a favore della società che uno o più soci decidano di effettuare, sempre c
tali operazioni non si configurino, di fatto, come forme di raccolta;
"società finanziarie", gli intermediari finanziari esercenti le attività indicate dall'art. 106, comma 1, e i
soggetti indicati dall'art. 113, comma 1, del T.U., ad eccezione delle "società di partecipazione" che
detengono partecipazioni prevalentemente nel settore industriale, con lo scopo di coordinare l'attività
delle imprese partecipate;
"società finanziarie vigilate", le società finanziarie iscritte nell'elenco speciale dell'art. 107, del T.U.;
"soggetti vigilati", banche autorizzate in Italia e banche comunitarie indicate dall'art. 1, comma 2, lett.
b) e d) del T.U., le società finanziarie iscritte nell'elenco speciale dell'art. 107 del T.U. e le società ed
enti di assicurazione autorizzati ai sensi delle leggi 10 giugno 1978, n. 295 e 22 ottobre 1986, n. 742;
"raccolta a vista", la raccolta che può essere ritirata da parte del depositante in qualsiasi momento
senza preavviso o con un preavviso di 24 ore, fatte salve ulteriori clausole più restrittive.
Non si considera "a vista", la raccolta connessa con l'emissione e la gestione, da parte di un fornitore
beni o servizi, di carte prepagate utilizzabili esclusivamente presso lo stesso;
"attività finanziaria", le attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto
qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento o di intermediazione in cambi, così come
specificate nel decreto del Ministro del Tesoro del 6 giugno 1994;
"emissione e gestione di mezzi di pagamento", l'attività di intermediazione finanziaria esercitata
mediante:
o incasso o trasferimento di fondi;
o trasmissione o esecuzione di ordini di pagamento, anche tramite addebiti o accrediti, effettuati
con qualunque modalità;
o compensazione di debiti e crediti;
56
o emissione e gestione di carte di credito, di debito o di altri mezzi di pagamento.
Non rientrano nella prestazione di servizi di pagamento l'attività di recupero crediti, di trasporto e
consegna valori, di emissione e gestione - da parte di un fornitore di beni e servizi - di carte prepagate
utilizzabili esclusivamente presso lo stesso.
5.4.5 - Destinatari della disciplina.
Le presenti istruzioni si rivolgono ai soggetti residenti in Italia. (Sia ai soggetti residenti in Italia, sia a
quelli non residenti, si applicano le disposizioni di cui al capitolo XIII delle Istruzioni di vigilanza
"Emissioni in Italia di valori mobiliari").
5.5 - LA RACCOLTA DI RISPARMIO TRA IL PUBBLICO
5.5.1 - Premessa
I soggetti diversi dalle banche raccolgono risparmio tra il pubblico mediante l'emissione di
obbligazioni, di certificati di investimento e di cambiali finanziarie. Nel seguito sono definite le
caratteristiche dei titoli e i limiti previsti per tali forme d’indebitamento.
5.5.2 - Le obbligazioni
Raccolgono risparmio mediante l'emissione di obbligazioni le società per azioni e accomandita per
azioni, nel rispetto del limite previsto dall'art. 2410 del codice civile. Tale limite è elevato sino
all'ammontare del capitale versato ed esistente e delle riserve risultanti dall'ultimo bilancio approvato
per le seguenti società con titoli negoziati in un mercato regolamentato:
% - società per azioni e in accomandita per azioni non finanziarie
% - società finanziarie vigilate.
Nella TAB. A si riporta il quadro riepilogativo delle possibilità di raccolta mediante lo strumento
obbligazionario.
TAB. A - RACCOLTA DI RISPARMIO MEDIANTE LO STRUMENTO OBBLIGAZIONARIO
EMITTENTI
CARATTERISTICHE DEGLI EMITTENTI
S.p.a. e S.a.p.a. “quotate
Non finanziarie - Finanziarie vigilate
S.p.a. e S.a.p.a. “quotate
Non finanziarie - Finanziarie non vigilate
S.p.a. e S.a.p.a. “non quotate”
Non finanziarie – Finanziarie vigilate
S.p.a. e S.a.p.a. “non quotate”
Finanziarie non vigilate
LIMITI ALL’EMISSIONE
Entro il patrimonio
Entro il capitale sociale
Entro il patrimonio
Entro il capitale versato
5.5.3 - Le cambiali finanziarie.
( Si rammenta che il CICR con delibera del 3 marzo 1994 ha stabilito che, in relazione alle proposte d
revisione del trattamento fiscale delle rendite finanziarie, l'emissione di cambiali finanziarie è
temporaneamente preclusa alle banche).
(Si rammenta che le società di intermediazione mobiliare non possono, ai sensi dell'art. 2 della legge
gennaio 1991, n. 1, raccogliere risparmio con strumenti diversi dalle obbligazioni).
Raccolgono risparmio mediante cambiali finanziarie e certificati d’investimento:
% - le società e gli enti con titoli negoziati in un mercato regolamentato (la quotazione deve
riferirsi alle azioni della società, ovvero ad altri titoli purché la scadenza degli stessi sia
57
successiva alla scadenza delle cambiali finanziarie e dei certificati di investimento che si
intendono emettere).
% - le altre società purché i bilanci degli ultimi tre esercizi siano in utile. I titoli devono inoltre
essere assistiti da garanzia in misura non inferiore al 50% del loro valore di sottoscrizione
rilasciata da soggetti vigilati.
L'identità del garante e l'ammontare della garanzia prestata devono essere indicati sui titoli (le garanz
devono essere esplicite e non assoggettate a condizioni). La raccolta mediante cambiali finanziarie e
certificati di investimento è preclusa alle società finanziarie non vigilate.
Le cambiali finanziarie presentano le seguenti caratteristiche:
! - sono titoli di credito all'ordine emessi in serie;
! - hanno durata compresa fra 3 e 12 mesi;
! - hanno un valore nominale unitario non inferiore a lire 100 milioni.
Sulla cambiale finanziaria, oltre agli elementi di cui all'art.100 del R.D. n. 1669/33, va indicato:
% - la denominazione "cambiale finanziaria";
% - la promessa incondizionata a pagare una somma determinata;
% - l'indicazione della scadenza;
% - l'indicazione del luogo di pagamento;
% - il nome di colui al quale o all'ordine del quale deve farsi il pagamento;
% - l'indicazione della data e del luogo in cui il vaglia cambiario è emesso;
% - la sottoscrizione di colui che emette il titolo.
Devono essere inoltre indicati:
% - la denominazione;
% - l'oggetto e la sede dell'impresa emittente, con l'indicazione dell'ufficio delle imprese presso il
quale essa è iscritta;
% - il capitale sociale dell'impresa, versato ed esistente, al momento dell'emissione; (le società
cooperative possono indicare il capitale sociale versato come risultante dall'ultimo bilancio
approvato);
% - l'ammontare complessivo dell'emissione di cui la cambiale fa parte;
% - in caso di garanzia, l'identità del garante e l'ammontare della garanzia stessa.
5.5.4 - I certificati d’investimento.
I certificati d’investimento presentano le seguenti caratteristiche:
% - hanno durata minima superiore a 12 mesi;
% - hanno un valore nominale unitario non inferiore a 100 milioni.
I certificati d’investimento offerti in serie sono tra loro fungibili. In tal caso essi devono avere uguali
caratteristiche di durata, di rendimento, di valute di denominazione e, se a tasso variabile,
d’indicazione.
Sui certificati di investimento devono essere chiaramente indicati:
% - la denominazione, l'oggetto e la sede dell'impresa emittente, con l'indicazione dell'ufficio del
registro delle imprese presso il quale essa è iscritta;
% - il capitale sociale dell'impresa versato ed esistente al momento dell'emissione, mentre le coop
possono indicare il capitale sociale versato come risultante dall'ultimo bilancio approvato;
58
% - il valore nominale di ciascun certificato, gli elementi necessari per la determinazione della sua
remunerazione del prestito, le modalità di rimborso;
% - ove emessi in serie, l'ammontare complessivo dell'emissione di cui il certificato fa parte;
% - in caso di garanzia, l'identità del garante e l'ammontare della garanzia.
5.5.5 - Limiti all'emissione.
Le imprese emettono cambiali finanziarie e certificati di investimento per un importo che, unitamente a
quello delle obbligazioni emesse, non eccede il capitale versato e le riserve risultanti dall'ultimo
bilancio approvato.
Nella TAB B si riporta il quadro riepilogativo delle possibilità di raccolta mediante cambiali finanziarie
e certificati di investimento.
TAB. B - RACCOLTA DI RISPARMIO MEDIANTE CAMBIALI FINANZIARIE E CERTIFICATI D’INVESTIMENTO
EMITTENTI
CARATTERISTICHE
POSSIBILITA’ D’EMETTERE ULTERIORI VINCOLI
DEGLI EMITTENTI
ED EVENTUALI LIMITI
- Società ed Enti
- Non finanziarie
- Si, entro il patrimonio
- Nessuno
“ quotati”
- Finanziarie vigilate
- Si entro il patrimonio
- Nessuno
- Finanziarie non vigilate - No
- Nessuno
- Non finanziarie
- Si entro il patrimonio
- L’emittente deve avere gli
ultimi tre bilanci in utile.
- Società ed Enti
“non quotati”
- Finanziarie vigilate
- Si entro il patrimonio
- L’emissione deve essere
garantita (almeno per il 50%)
da altri soggetti.
- Finanziarie non vigilate - No
- Nessuno
5.5.6 - Obblighi di trasparenza
I soggetti, che raccolgono direttamente risparmio tra il pubblico (la disciplina indicata si applica ai
soggetti diversi dalle banche e dalle società finanziarie che nelle operazioni di collocamento di
obbligazioni, certificati di investimento e cambiali finanziarie non si avvalgono di intermediari
specializzati), mettono a disposizione della clientela, nei locali in cui si svolge tale attività, i fogli
informativi analitici di cui al successivo paragrafo 4.1.
Gli annunci pubblicitari e le offerte effettuate con qualsiasi mezzo da tali soggetti contengono, anche
mediante il rinvio a fogli analitici, le informazioni sui tassi e sulle altre condizioni indicate
precedentemente.
5.5.7 - Fogli informativi analitici.
I fogli informativi analitici contengono dettagliate informazioni sul tasso annuo nominale d’interesse e
sul tasso annuo di riferimento effettivo lordo e al netto della ritenuta fiscale, sul prezzo e su ogni altro
onere o condizione economica relativi alle emissioni offerte.
Per tutte le operazioni è specificato se per il calcolo degli interessi si fa riferimento all'anno civile,
ovvero a quello commerciale.
Per le emissioni a tasso variabile i rendimenti calcolati secondo il criterio d’indicizzazione previsto
applicando gli ultimi valori assunti dai parametri di riferimento e ipotizzando la costanza dei parametri
medesimi.
59
Tali fogli possono essere prodotti avvalendosi di procedure elettroniche, e una loro copia è conservata
per cinque anni agli atti; essi ne costituiscono offerta al pubblico a norma dell'art. 1336 del C.C.
5.6 - LA RACCOLTA DEL RISPARMIO PRESSO SOCI
5.6.1 - Società diverse dalle cooperative
Le società diverse dalle cooperative possono effettuare senza alcun limite raccolta di risparmio presso
propri soci a condizione che (in assenza delle citate condizioni possono, ovviamente, raccogliere
risparmio tra il pubblico con le modalità e nei limiti previsti nella sezione II):
! - tale facoltà sia prevista nello statuto;
!
- la raccolta sia rivolta a soggetti iscritti nel libro dei soci da almeno tre mesi, che detengano
una partecipazione di almeno il 2% del capitale sociale risultante dall'ultimo bilancio approvato.
Nelle società di persone (soc. semplice, soc. in nome collettivo e soc. in accomandita semplice con
riferimento ai soli soci accomandatari) tali condizioni non sono richieste.
La raccolta presso soci non può avvenire con strumenti "a vista" o collegati all'emissione o alla
gestione di mezzi di pagamento.
Nella TAB C si riporta un riepilogo delle possibilità di raccogliere risparmio presso soci per le società
diverse dalle cooperative.
TAB. C - RACCOLTA DI RISPARMIO PRESSO SOCI
CARATTERISTICHE
POSSIBILITA’ DI RACCOLTA ULTERIORI VINCOLI
DELLE SOCIETA’
ED EVENTUALI LIMITI
- Non finanziarie
- Si, senza alcun limite (purché i - I sottoscrittori devono essere
sottoscrittori siano soci con
soci da almeno tre mesi.
- Società non cooperative
almeno il 2% del capitale.
SOCIETA’
- Finanziarie
- Non finanziarie con
meno di 50 soci
-Si
-Si, senza alcun limite
- Previsione statutaria
- I sottoscrittori devono essere
soci da almeno tre mesi.
- Previsione statutaria
- Società Cooperative
- Non finanziarie con più -Si, nel limite di 3 volte il
di 50 soci
patrimonio.
- Finanziarie
- No.
- Modalità di raccolta indicate
negli appositi regolamenti
==
% a) E' comunque preclusa la raccolta con strumenti "a vista" o collegati ai mezzi di pagamento.
% (b) Il limite viene elevato a 5 volte il patrimonio quando:
o - il complesso dei prestiti sociali è garantito (almeno per il 30%) da banche, da
finanziarie vigilate o da assicurazioni;
o - le società cooperative aderiscono a uno schema di garanzia dei prestiti sociali che
fornisca una adeguata tutela agli investitori.
5.6.2 - Società cooperative
Le società cooperative che non svolgono attività finanziaria possono effettuare raccolta di risparmio
presso i propri soci purché tale facoltà sia prevista nello statuto. L'ammontare complessivo dei prestiti
sociali non deve eccedere il limite del triplo del patrimonio (capitale versato e riserve) risultante
60
dall'ultimo bilancio approvato (nel patrimonio può essere computato un ammontare pari al 50% della
differenza tra il valore di carico in bilancio degli immobili di proprietà ad uso residenziale e il valore
degli stessi considerato ai fini di determinazione dell'imposta comunale sugli immobili. Di tale ultimo
valore deve essere pubblicata notizia nella documentazione di bilancio delle cooperative).
Tale limite è elevato fino al quintuplo del patrimonio qualora:
% a) il complesso dei prestiti sociali sia assistito, in misura almeno pari al 30%, da garanzia
rilasciata da soggetti vigilati;
ovvero
% b) la società cooperativa aderisca ad uno schema di garanzia dei prestiti sociali con le
caratteristiche di cui al successivo para. 2.1.
I limiti patrimoniali sopra indicati non si applicano alle società cooperative con meno di 50 soci.
Le modalità di raccolta presso i soci e l'eventuale adesione ad uno schema di garanzia devono essere
indicati nei regolamenti delle cooperative. Inoltre, la rilevanza che l'attività di raccolta presso soci
assume nell'ambito della complessiva operatività delle cooperative comporta che l'ammontare dei
prestiti sociali e delle eventuali garanzie, nonché l'entità del rapporto tra prestiti e patrimonio, siano
evidenziati nella nota integrativa al bilancio delle stesse.
In ogni caso, la raccolta presso soci non può avvenire con strumenti "a vista" o collegati alla emission
o alla gestione di mezzi di pagamento; la raccolta presso soci non è consentita alle società finanziarie
cooperative.
5.6.3 - Schemi di garanzia dei prestiti sociali.
Gli schemi di garanzia dei prestiti sociali devono essere promossi dalle associazioni di categoria.
Tali schemi prevedono in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa o concordato
preventivo della società cooperativa, il rimborso dei prestiti effettuati dai soci in misura almeno pari al
30%. Nell'ambito di ciascun schema di garanzia è necessario che l'ammontare totale dei prestiti socia
delle cooperative aderenti (non garantiti da soggetti vigilati) non superi un limite pari a tre volte la
somma dei patrimoni delle cooperative medesime.
5.6.4 - Gli Obblighi di trasparenza
Le società cooperative con almeno 50 soci, che raccolgono il risparmio presso i propri soci, mettono a
disposizione nei locali in cui svolgono tale attività i fogli informativi analitici di cui al paragrafo 3.1.
Al socio è fornita, a scadenza contrattuale, e comunque almeno una volta l'anno, comunicazione
completa e chiara in merito allo svolgimento del rapporto, contenente ogni elemento necessario per la
comprensione del rapporto medesimo.
Il socio ha diritto di ottenere a proprie spese, entro un congruo termine e in ogni modo non oltre
novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi
dieci anni.
Gli interessi sui versamenti di denaro sono conteggiati con la valuta del giorno in cui è effettuato il
versamento e sono dovuti fino a quello di prelevamento.
5.6.5 I fogli informativi analitici
I fogli informativi analitici contengono dettagliate informazioni sui tassi di interesse, sui prezzi, sulle
spese per le comunicazioni e su ogni altra condizione economica relativa alle operazioni effettuate.
Per tutte le operazioni è specificato se per il calcolo degli interessi si fa riferimento all'anno civile o a
quello commerciale.
61
Tali fogli possono essere prodotti avvalendosi di procedure elettroniche e una loro copia ! conservata
per cinque anni agli atti; essi non costituiscono offerta al pubblico a norma dell'art. 1336 del C.C.
5.6.6 - La forma del contratto.
I contratti utilizzati per la raccolta del risparmio sono redatti a pena di nullità per iscritto, e un loro
esemplare è consegnato al socio.
I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati.
La possibilità di variare in senso favorevole al socio il tasso di interesse e ogni altro prezzo e
condizione devono essere espressamente indicati nel contratto con clausola approvata specificament
dal socio.
Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione
dei tassi d’interesse e d’ogni altro prezzo e condizione praticati, nonché quelle che prevedono tassi,
prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati.
In caso d’inosservanza del contenuto, o di nullità delle predette clausole, si applicano:
!
a) il tasso nominale massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari
eventualmente indicati dal Ministro del Tesoro, emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione
del contratto;
!
b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati nel corso della durata del rapporto per le
corrispondenti categorie di operazioni; in mancanza di pubblicità, nulla è dovuto.
Le variazioni contrattuali sfavorevoli al socio riguardanti tassi d’interesse, prezzi e altre condizioni
devono essere comunicate a pena di nullità presso l'ultimo domicilio reso noto. Non sono soggette ad
alcun obbligo di comunicazione le variazioni di tasso conseguenti a variazioni di specifici parametri
prescelti dalle parti e la cui determinazione è sottratta alla volontà delle medesime.
Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione, il socio ha diritto di recedere dal contratto
senza penalità, e di ottenere in sede di liquidazione del rapporto l'applicazione delle condizioni
precedentemente praticate.
5.7 - LA RACCOLTA NELL'AMBITO DEI GRUPPI DI IMPRESE
Non è sottoposta ad alcun vincolo, in quanto non costituisce raccolta di pubblico risparmio tra il
pubblico, la raccolta effettuata presso società controllanti, controllate o collegate ai sensi dell'art 2359
del codice civile e presso controllate da una stessa controllante.
Sono considerate società controllate:
!
1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemble
ordinaria;
!
2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare influenza dominante
nell'assemblea ordinaria;
!
3) le società che sono sotto influenza dominante di altre società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) si computano anche i voti spettanti alle società controllate, a
società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole.
L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei vo
ovvero un decimo, se la società ha azioni quotate in borsa.
La società controllata non può acquistare né sottoscrivere azioni o quote della società controllante, se
non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio
62
regolarmente approvato. Possono essere acquistate soltanto azioni interamente liberate.
La società controllata da altra società non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee di questa.
Le azioni/quote acquistate, sottoscritte o possedute in violazione del primo comma devono essere
alienate entro sei mesi dall'approvazione del bilancio dal quale risultano. Qualora ci˜ non sia avvenuto
il tribunale, su richiesta del collegio sindacale, ordina la vendita delle azioni o quote a mezzo di un
agente di cambio o di un'azienda o istituto di credito.
Queste disposizioni si applicano anche agli acquisti fatti per tramite di società fiduciarie o per
interposta persona.
E' vietato alle società di costituire o di aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azion
anche per tramite di società fiduciarie o per interposta persona.
L'assunzione di partecipazione in altre imprese, anche se prevista genericamente nell'atto costitutivo,
non è consentita, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente
modificato l'oggetto sociale determinato dall'atto costitutivo.
Nel caso i cui più soggetti di natura cooperativa partecipino congiuntamente al capitale di una società
esercente attività finanziaria, la raccolta di risparmio effettuata da tale società presso le cooperative no
è sottoposta ad alcun vincolo purché i finanziamenti della partecipata siano rivolti in via esclusiva alle
cooperative partecipanti, e la complessiva operatività della società medesima sia riservata in via
prevalente ai rapporti con le cooperative (tali limiti dell'oggetto devono risultare dallo statuto della
società partecipata).
5.7.1 - Le lettere di "patronage" o "comfort letters"
Garanzia bancaria atipica utilizzata nel fenomeno di gruppo sono le cosiddette lettere di patronage o,
come pure sono denominate, lettere di conforto o di agreement. Con codeste lettere, che assumono in
pratica formulazioni diverse esprimenti un impegno più o meno intenso , la società capogruppo
dichiara al destinatario, (generalmente una banca, che la società che usufruisce del credito è una sua
società controllata ; che essa capogruppo non ne trasferirà la partecipazione senza previo avvertimen
che la società controllata è in condizione di mantenere gli impegni finanziari assunti e che comunque
essa capogruppo controllerà che questo avvenga e adotterà i provvedimenti necessari a tal fine.
Sembra doversi escludere che tali lettere si inquadrino nella fideiussione: una volontà in tal senso in
esse manca, mentre una volontà espressa è richiesta dall'Art. 1937 c.c.
Sembra altresì doversi escludere che l'operazione si inquadri nel mandato di credito, dato che il
destinatario della lettera non si impegna nei confronti della capogruppo a far credito alla società
controllata.
Tuttavia, è anche da escludere che la lettera di patronage sia priva di rilievo sul piano giuridico. A part
la possibilità di configurare una responsabilità extracontrattuale basata sulla violazione dei principi di
correttezza e di buona fede nell’ipotesi in cui la capogruppo non mantenga il comportamento permess
la lettera di patronage ben può configurare nelle sue formulazioni più impegnative una promessa del
fatto del terzo e nelle sue formulazioni meno impegnative l'assunzione di un obbligo di comportamento
nei confronti del destinatario, il cui inadempimento importa una responsabilità contrattuale.
5.8 - DISCIPLINA TRANSITORIA
L'adeguamento alla presente disciplina deve avvenire entro il 31 dicembre 1997.
Le società cooperative svolgenti attività diversa da quella finanziaria, che aderiscono a schema di
garanzia di cui alla sezione III, para. 2.1, possono avvalersi di un periodo transitorio più lungo (sino al
31 dicembre 1999) purché le stesse predispongano un piano di riallineamento che dovrà essere
63
approvato dai rispettivi organismi di categoria.
Le società cooperative finanziarie, alla presenza del divieto di raccogliere risparmio presso i soci,
devono -entro il 31 dicembre 1997- dismettere progressivamente le operazioni in essere, astenendosi
ogni modo dall'instaurare nuovi rapporti di deposito.
Si rammenta che il mancato rispetto della normativa emanata ai sensi dell'art. 11 del T.U., compresa la
disciplina transitoria, è sanzionato dagli art.130 (chiunque svolge l'attività di raccolta del risparmio tra
il pubblico in violazione dell'art. 11 è punito con l'arresto da sei mesi a tre anni e con l'ammenda da lire
venticinque milioni a lire cento milioni), e 131 del T.U. medesimo (chiunque svolge l'attività di raccolta
del risparmio tra il pubblico in violazione dell'art. 11 ed esercita il credito è punito con la reclusione da
sei mesi a quattro anni e con la multa da lire quattro milioni a venti milioni).
Si precisa, infine, che la presente disciplina non si occupa della raccolta del risparmio presso i
dipendenti per la quale la CICR, con delibera del 3 marzo 1994, ha fatto riserva di emanare, con
ulteriore delibera, una specifica regolamentazione.
5.9 - OPERAZIONI BANCARIE ATTIVE, SERVIZI BANCARI E GARANZIE
Prima di analizzare il financial trading internazionale, quale strumento d’impiego dei capitali finanziari,
riteniamo opportuno soffermarci sulla definizione delle principali operazioni e servizi bancari, che
interessano le nostre attività, nonché le forme di garanzia concedibili quando un credito non è conces
allo scoperto.
L'apertura di credito bancario, l'anticipazione bancaria e lo sconto bancario sono operazioni attive di
banca ben determinate dalla legge. Queste operazioni non esauriscono il campo delle operazioni attiv
della banca, giacché ad esse se ne possono aggiungere altre, tra le quali la principale è il mutuo.
Tuttavia esse formano oggetto di una nostra analisi congiunta, in quanto sono considerate operazioni
cha hanno avuto origine prettamente bancaria, ed alla banca sono strettamente legate.
L'apertura di credito è il contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell'altra part
una somma di denaro per un dato periodo, o a tempo indeterminato (Art. 1842 c.c.). Se non è
convenuto altrimenti, l'accreditato può utilizzare in più volte il credito, secondo le forme d’uso, e può
con successivi versamenti ripristinare la sua disponibilità.
Salvo patto contrario, i prelevamenti e i versamenti si eseguono presso la sede della banca dove è
costituito il rapporto, e la banca non può recedere dal rapporto anteriormente alla scadenza del termin
se non per giusta causa. Se l'apertura del credito è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può
recedere dal contratto mediante preavviso nel termine stabiliti dal contratto, dagli usi, o in mancanza,
quello di quindici giorni.
5.9.1 – L’apertura di credito “allo scoperto” e “garantita”
L'apertura di credito è essenzialmente di due tipi:
% a) apertura di credito semplice;
% b) apertura di credito in conto corrente;
che a loro volta possono essere concesse
% "allo scoperto" o
% "dietro garanzia".
Nell'apertura di credito semplice, l'accreditato ha il diritto di utilizzare il credito una sola volta, anche
se con successivi prelevamenti parziali.
Nell'apertura di credito in conto corrente, l'accreditato ha, inoltre, il diritto di effettuare rimborsi totali o
parziali e di utilizzare nuovamente il credito cos“ reintegrato.
64
L'apertura di credito in conto corrente è regolata dalle disposizioni che regolano le operazioni bancarie
in conto corrente, pertanto si applicano a questo contratto le disposizioni degli Artt. 1852 e segg. c.c.
Per alcuni autori esso rimane un contratto assolutamente distinto dal contratto di conto corrente
regolato dagli Artt. 1823 e segg. c.c., poiché mancherebbe quella reciprocità di rimesse e quella
inesigibilità del saldo fino alla chiusura del conto, le quali costituiscono i caratteri essenziali di quel
contratto.
A nostro avviso il rapporto di conto corrente è unico, sia che i contraenti siano imprese commerciali,
istituti finanziari, o privati cittadini. Pertanto, qualora e ove sussiste un rapporto paritario di scambio tra
dare e avere, si ha una figura di conto corrente, "che corre in ambo i versi", con le prescrizioni degli
Artt. 1823-1833 c.c., prescrizioni che se venissero applicate potrebbero far tremare i polsi a qualsiasi
istituto bancario.
L'apertura di credito differisce dal mutuo in quanto con essa non si ha passaggio di proprietà delle
somme, così come si verifica nel mutuo, ma solo una messa a disposizione di somme che rimangono
nel patrimonio della banca, confuse con le altre somme di sua pertinenza. In effetti, in mancanza di un
specificazione, il contratto avente per oggetto una cosa generica non può importare trasferimento di
proprietà, e neppure può importare l'attribuzione di un potere di disposizione. Di disponibilità della
somma da parte dell'accreditato si può parlare soltanto in senso economico: l'accreditato ha delle
affidabilità disponibili, vale a dire un credito che per lui è liquido ed esigibile, ma che può non essere
tale per la banca.
A nostro avviso, la differenza che intercorre tra l'apertura di credito ed il mutuo, espressa con un
paragone estrapolato dal mercato tecnologico, è la stessa che passa in un contratto telefonico tra l'av
un numero telefonico e tra l'avere una linea telefonica. Un'azienda telefonica può vendere 20.000.000
di numeri ed avere a disposizione solo 10.000.000 di linee, giacché sa che è statisticamente impossib
che tutti gli utenti telefonino allo stesso momento, quindi ognuno di loro va ad utilizzare la linea libera
al momento in cui chiama. Però, se vende una linea, che viene in questo caso definita "dedicata" ad u
utente, questa è dell'utente, e nessun altro può utilizzarla. Pertanto, a 20.000.000 di linee vendute
devono corrispondere 20.000.000 di linee esistenti.
"L'apertura di credito allo scoperto" è l'operazione in cui la banca mette a disposizione la somma senz
pretendere altra garanzia se non quella della restituzione; "apertura di credito garantita" è invece quel
nella quale la banca richiede garanzia specifica (reale o personale).
"L'apertura di credito documentale o a favore di terzi" indica il rapporto che viene ad instaurarsi in
un’operazione commerciale (vendita su documenti) e per il cui effetto la banca interviene per conto de
compratore e a favore del venditore, in modo da consentire al venditore di esigere il prezzo della merc
dietro consegna alla banca dei documenti pattuiti.
In alcuni casi la banca interviene per pagare, come avviene ad es. nell'ipotesi in cui la vendita sia
pattuita con clausola "documenti contro pagamento" (D/P); altre volte, invece, la banca interviene per
accettare la tratta su di essa spiccata, come avviene nella vendita con clausola "documenti contro
accettazione" (D/A). Talora l'intervento della banca ! dovuto soltanto nei confronti del proprio cliente,
mentre nessun obbligo è assunto dalla banca nei confronti del venditore; altre volte, invece, la banca
assume un obbligo diretto nei confronti del venditore.
Nel caso che sussista un obbligo diretto della banca nei confronti del venditore (giacché questo obblig
si assume su base di una lettera di conferma), si parla di apertura di credito confermato o irrevocabile
In dottrina si potrebbe dubitare se in quest’ipotesi l'espressione apertura di credito sia usata in senso
tecnico e proprio, giacché:
! a) non vi sarebbe un'operazione di credito nei confronti del venditore, dato che questi, poiché
riceve la somma come prezzo, non assume nessuna obbligazione di restituzione;
!
b) non vi sarebbe necessariamente, d'altra parte, un’operazione di credito a favore di colui che
compra, dato che l'intervento della banca, oltre che in base ad un rapporto d’apertura di credito
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potrebbe basarsi su un rapporto di deposito bancario o invece su un rapporto di mandato con
assunzione d'obbligo da parte del mandatario di anticipare i mezzi necessari per l'esecuzione d
mandato, com’è possibile a norma dell'art. 1719 c.c. Il dubbio non appare giustificato perché,
anche se una concessione di credito non sempre esiste a favore del compratore, vi è pur semp
la creazione di una disponibilità a favore del venditore. Si tratta di una disponibilità subordinata
al verificarsi di determinate condizioni (consegna dei documenti convenuti), e questo non è
incompatibile con l'apertura di credito.
5.9.2 – L’apertura di credito documentario
In base alle Regole Uniformi per i Crediti Documentari della C.C.I. Camera di Commercio
Internazionale di Parigi, il credito, se non è dichiarato espressamente irrevocabile, è considerato
revocabile, mentre, quando è irrevocabile genera un impegno inderogabile della banca ordinante nei
confronti del beneficiario.
L'anticipazione bancaria è un'espressione usata con riferimento a due operazioni diverse:
! - anticipazione semplice;
! - anticipazione in conto corrente.
La prima operazione comporta da parte della banca la datazione effettiva d'una somma di denaro con
l'obbligo della controparte di restituirla alla scadenza stabilita, ma con onere di restituzione, totale o
parziale, anche prima della scadenza. La seconda operazione comporta da parte della banca la mess
disposizione di una somma con facoltà della controparte di prelevarla a sua discrezione in una o più
volte, di ricostituire mediante versamenti l'originaria disponibilità, di procedere a nuovi prelevamenti
nei limiti della disponibilità, e così via fino alla scadenza del contratto, con obbligo di restituzione delle
somme, di cui egli sia eventualmente debitore, entro i termini contrattuali.
Nell'una o nell'altra ipotesi, l'espressione "anticipazione" è riservata a quelle operazioni in cui la
datazione effettiva o la messa a disposizione delle somme è in funzione di costituzione in pegno di
titoli, di merci o di danaro, a garanzia del credito attuale o eventuale della banca e in cui l'ammontare
della somma data o messa a disposizione si commisura in ogni momento del rapporto, con criterio di
scrupolosa e in conformità a decurtazione proporzionale sul valore del pegno. L'operazione, vale a dir
si basa su un rapporto tra somma anticipata e valore del pegno, che assume valore caratteristico tra l
parti, e che deve rimanere costante per tutta la durata del contratto. Nel corso del contratto può variar
il complesso dei beni costituiti in garanzia e corrispondentemente l'ammontare dell'anticipazione,
purché il rapporto rimanga quello originariamente fissato (Art. 1849 c.c.).
5.9.2 - Il negozio di credito
può assumere, come si è rilevato, la natura giuridica del mutuo (così come avviene nell'anticipazione
semplice), o quella d’apertura di credito (così come avviene nell'anticipazione in conto corrente).
Saranno pertanto applicabili, secondo le ipotesi, le disposizioni che regolano l'uno o l'altro contratto.
Rispetto al negozio di credito, infatti, la normativa dettata per l'anticipazione bancaria non contiene
principi particolari. Deve pertanto necessariamente farsi ricorso a questo proposito alla disciplina
propria dei contratti, di cui nelle singole ipotesi l'anticipazione bancaria ripete la natura giuridica.
5.9.3 - Il negozio di garanzia
si caratterizza per la natura e l'oggetto della garanzia. La garanzia è essenzialmente di natura mobilia
(precisamente un pegno), e deve essere necessariamente costituita da titoli, merci, o depositi di dena
(Artt. 1846 e 1851 c.c.).
La limitazione in ordine all'oggetto della garanzia è conseguente allo stesso congegno tecnico
dell'operazione, poiché l'ammontare del credito si determina inizialmente, e per la durata del rapporto,
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sulla base dello scarto in relazione al valore del pegno, il presupposto dell'operazione è che il valore d
pegno possa essere agevolmente determinato, la qual cosa può avvenire soltanto rispetto a beni che
abbiano un prezzo di mercato, o un prezzo corrente, o che siano esattamente individuati come quanti
monetaria.
5.9.4 - Lo sconto bancario
è il contratto col quale, in base all'art. 1859 c.c., la banca, previa deduzione dell'interesse, anticipa al
cliente l'importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon fine, d
credito stesso.
Se lo sconto avviene mediante girata di cambiale o d’assegno bancario, la banca nel caso di mancato
pagamento, oltre ai diritti derivanti dal titolo, ha anche il diritto alla restituzione della somma
anticipata. Sono salve le norme delle leggi speciali relative alla cessione della provvista nello sconto d
tratte non accettate o munite di clausola "senza accettazione". V.R.D.L. 21 settembre 1933 n. 1345,
sulla cambiale tratta garantita mediante cessione di credito derivante da fornitore.
Lo sconto è un'operazione complessa che risulta dalla combinazione di un'operazione di credito
(mutuo) con un negozio di garanzia (trasferimento pro solvendo di un diritto di credito).
Particolare interesse rappresenta lo sconto di crediti cambiari, che costituisce una delle ipotesi più
frequenti di sconto. In questa figura giuridica il trasferimento del credito si attua mediante
trasferimento del titolo e nelle forme di circolazione dello stesso. Il credito trasferito è soltanto il
credito cartolare, e non il credito sorgente dal rapporto sottostante, eccetto che lo sconto della cambia
non si attui anche con la cessione della provvista in quelle ipotesi in cui dalla legge è ammessa. Poich
il trasferimento della cambiale o dell'assegno bancario avviene mediante girata, lo scontatario viene a
assumere, per effetto della girata, obbligazione cambiaria in via di regresso. In forza dell'art. 1859 c.c.
alla banca compete, in aggiunta ai diritti che derivano dal titolo cambiario, il diritto alla restituzione
delle somme anticipate sulla base del contratto di sconto. Quindi, nell'ipotesi di sconto cambiario, la
banca ha nei confronti del terzo debitore l'azione diretta (ove naturalmente questi abbia accettato) e n
caso di tratte accettate o senza accettazione, ma con cessione della provvista, l'azione in base al
rapporto di provvista.
5.9.5 - Il factoring
E’ un'operazione di origine statunitense, che si differenzia dallo sconto bancario in base a due
caratteristiche fondamentali.
In effetti, a differenza dello sconto bancario, in cui la cessione del credito avviene a scopo di garanzia
vale a dire una cessione pro solvendo, nel factoring la cessione può avvenire anche pro soluto ad in ta
caso il factor assume su di sé l'alea degli adempimenti del debitore. Inoltre, mentre lo sconto bancario
riguarda singoli crediti, il factoring è un'operazione totale che può riguardare tutti i crediti
dell'imprenditore, beninteso solo quelli graditi al factor.
5.9.6 - L'accettazione bancaria
E’ un'operazione di finanziamento diffusa anche in Italia è quella relativa alla negoziazione di tratte
emesse da un imprenditore ed accettate da una banca. Si tratta d’operazione complessa che implica
ordini di rapporti: uno tra imprenditore e banca; l'altro tra l'imprenditore ed una società finanziaria.
Il rapporto con la banca si sostanzia in un credito di firma, giacché la banca si limita ad accettare un
dato numero di cambiali tratte emesse dall'imprenditore all'ordine proprio, con ammontare e scadenza
predeterminati, e a stabilire il numero delle emissioni che sono consentite.
L'imprenditore s'impegna a pagare alla banca una commissione e a provvedere con tempestività alla
rimessa dei fondi necessari per il pagamento alla scadenza.
Il rapporto con la società finanziaria si sostanzia, invece, in un finanziamento che si attua sulla base
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della negoziazione mediante girata del complesso delle accettazioni bancarie alle condizioni
previamente stabilite.
Risulta chiaro con ciò che la banca non fa nessun finanziamento e si limita ad apporre una firma
d’accettazione che, in mancanza di un precedente rapporto con l'imprenditore, si concreta, in effetti, in
una firma di favore. Proprio perché si tratta di una firma di favore, l'accettazione della cambiale non è
destinata a produrre effetti finché rimane in mano dell'imprenditore. Questi non può vantare nessuna
pretesa nei confronti della banca sulla base dell'accettazione bancaria, ma è tenuto, nel caso che l'ab
negoziata, ad apprestare le somme necessarie per il pagamento della stessa alla scadenza.
La firma della banca assume invece rilievo, come appunto accade per la cambiale in favore, per effett
della girata della società finanziaria, nei confronti della quale non può essere eccepito che la firma sia
stata apposta senza che esistesse un rapporto fondamentale. La società finanziaria, come terzo porta
della cambiale, sa di poter contare sull’obbligazione cambiaria della banca e, pertanto, diventano
irrilevanti nei suoi confronti le vicende economiche e finanziarie dell'imprenditore. Queste assumono
rilievo solo nei confronti della banca, pertanto, è compito dell'imprenditore documentare alla banca
tutte le informazioni che fossero ritenute necessarie di volta in volta.
L'accettazione bancaria funziona cioè come una garanzia della banca all'operazione di prestito posta
essere con la società finanziaria
Citando la dottrina del Ferri (Manuale di Diritto Commerciale, 8a ed., UTET 1991, pag 906 e segg.),
particolare importanza assumono nella pratica i servizi bancari relativi all’esecuzione di pagamenti per
conto del cliente.
5.9.7 – Il rimborso di banca
Sovente nella prassi contrattuale si stabilisce che il pagamento debba avvenire per mezzo di rimborso
di banca: in questo caso, a parte gli eventuali rapporti di finanziamento, esiste un mandato del cliente
alla banca di provvedere ad un pagamento secondo le sue istruzioni.
L'importanza del rimborso di banca o del trasferimento a mezza banca è oggi enfatizzato dalla necess
di accertare la provenienza dei fondi che si vogliono trasferire, per motivi di prevenzione del
riciclaggio di denaro. Accertare la provenienza del denaro significa che la banca emittente deve
dichiarare che, per sua conoscenza, i fondi sono chiari, buoni, puliti e d'origine non criminale.
Nell'eseguire le operazioni, la banca deve attenersi alle istruzioni e provvedere a quei controlli e a
quelle operazioni che sono stati posti come condizione del pagamento (ad es. controllare la regolarità
farsi consegnare i documenti, se è stabilito che il pagamento debba avvenire contro documenti).
Il mandato alla banca può essere revocato fin a quando il pagamento non sia avvenuto, oppure può
essere convenuta l’irrevocabilità del mandato. La banca può rimanere una pura e semplice mandatari
del compratore o può assumere un’obbligazione diretta nei confronti del venditore, mediante la
dichiarazione di conferma del credito.
Questi servizi, normalmente sono accessori a operazioni di finanziamento quali apertura di credito e
anticipazioni, anche se ci˜ non si verifica necessariamente dal momento che il cliente può aver
preventivamente approntato le risorse ad essi necessarie.
5.9.8 – Il conto corrente
Il conto corrente è il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in conto i crediti derivanti da
reciproche rimesse, considerandoli inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del conto.
Il saldo del conto è esigibile alla scadenza stabilita (1831 cc). Se non è richiesto il pagamento, il saldo
si considera quale prima rimessa di un nuovo conto e il contratto s’intende rinnovato a tempo
indeterminato (1833, 1852 cc; 78 L. fall.).
Sono esclusi dal conto corrente i crediti che non sono suscettibili di compensazione (1243, 1246 cc).
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La compensazione occorre solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una
quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili. Se il debito
opposto in compensazione non è liquido, ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può dichiarare
la compensazione per la parte del debito che riconosce esistente, e può anche sospendere la condan
per il credito liquido fino all'accertamento del credito opposto in compensazione.
La compensazione accade qualunque sia il titolo dell'uno o dell'altro debito, eccettuati i casi:
! 1) di credito per la restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato;
! 2) di credito per la restituzione di cose depositate o date in comodato;
! 3) di credito dichiarato impignorabile;
! 4) di rinuncia alla compensazione fatta preventivamente dal debitore;
! 5) di divieto stabilito dalla legge (447, 1248, 1272 ss., 2271; 56 L. fall.).
Qualora il contratto intervenga tra imprenditori (2082 cc), s'intendono esclusi dal conto i crediti
estranei alle rispettive imprese. E' imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.
Sulle rimesse decorrono gli interessi nella misura stabilita dal contratto o dagli usi, ovvero, in
mancanza, in quella legale. L'esistenza del conto corrente non esclude i diritti di commissione (1731
cc) ed il rimborso delle spese per le operazioni che danno luogo alle rimesse. Tali diritti sono inclusi
nel conto, salvo convenzione contraria.
L'inclusione di un credito nel conto corrente non esclude l'esercizio delle azioni ed eccezioni relative
all'atto da cui il credito deriva. Se l'atto è dichiarato nullo, annullato, rescisso o risoluto, la relativa
partita si elimina dal conto.
Se il credito incluso nel conto è assistito da una garanzia reale (1960, 2784, 2808 cc) oppure persona
(1936 cc), il correntista ha diritto di valersi della garanzia per il saldo esistente a suo favore alla
chiusura del conto e fino alla concorrenza del credito garantito.
La stessa disposizione si applica se per il credito esiste un co-obbligo solidale (1292 cc).
Se non risulta una diversa volontà delle parti, l'inclusione nel conto di un credito verso un terzo si
presume fatta con la clausola "salvo incasso". In tal caso, se il credito non è soddisfatto, il ricevente h
la scelta di agire per la riscossione o di eliminare la partita del conto reintegrando nelle sue ragioni
colui che ha fatto la rimessa. Può eliminare la partita dal conto anche dopo avere infruttuosamente
esercitato le azioni contro il debitore (1267 cc).
Se il creditore di un correntista ha sequestrato o pignorato l'eventuale saldo del conto spettante al suo
debitore, l'altro correntista non può, con nuove rimesse, pregiudicare le ragioni del creditore (2917 cc)
Non si considerano nuove rimesse quelle fatte in dipendenza di diritti sorti prima del sequestro o del
pignoramento. Il correntista presso cui è stato eseguito il sequestro o il pignoramento deve darne
notizia all'altro. Ciascuno di loro può recedere dal contratto (1833; 546, 670 c.p.c.).
La chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite dal contratto o dagli
usi e, in mancanza, al termine di ogni semestre, computabile dalla data del contratto (1823, 1833 cc.)
L'estratto conto trasmesso da un correntista all'altro s’intende approvato, se non è contestato nel
termine pattuito o in quello usuale, o altrimenti nel termine che può ritenersi congruo secondo le
circostanze. L'approvazione del conto non preclude il diritto di impugnarlo per errore di scritturazione
o di calcolo, per omissioni o per duplicazioni. L'impugnazione deve essere proposta, sotto pena di
decadenza (2964 cc), entro sei mesi dalla data di ricezione dell'estratto conto relativo alla liquidazione
di chiusura, che deve essere spedito per mezzo di raccomandata.
Se il contratto è a tempo indeterminato (1823 cc), ciascuna delle parti può recedere dal contratto a og
chiusura del conto, dandone preavviso almeno dieci giorni prima.
In caso d’interdizione (414 cc), d’inabilitazione (415 cc), d’insolvenza o di morte di una delle parti,
ciascuna di queste o gli eredi hanno diritto di recedere dal contratto.
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Lo scioglimento del contratto impedisce l'inclusione nel conto di nuove partite, ma il pagamento del
saldo non può richiedersi che alla scadenza del periodo stabilito dall'art. 1831 cc. (78 L. fall.).
5.9.9 – Il conto corrente di corrispondenza
Altra operazione accessoria molto diffusa e di notevole importanza pratica è quella che si attua con
l'apertura di un conto corrente di corrispondenza.
Si tratta di un'operazione piuttosto complessa risultante dal collegamento di un contratto di deposito
bancario, o d’apertura di credito in conto corrente con un contratto di mandato.
Sulla base del conto corrente di corrispondenza la banca, infatti, provvede all’esecuzione degli
incarichi conferiti dal correntista e che rientrino nelle sue specifiche funzioni, con l'intesa che le
risultanze delle singole operazioni in tal modo compiute saranno annotate in un unico conto.
E' dubbio se la banca possa rifiutare l’esecuzione degli incarichi affidati dal cliente, anche quando
questi rientrino nella categoria di quelli consentiti dall’organizzazione propria di quella banca.
Secondo il Ferri, il dubbio sembra doversi risolvere in senso affermativo sulla base dell'art 19 delle
norme uniformi bancarie sui c.c. di corrispondenza e servizi connessi, il quale dispone che è facoltà
dell'azienda di credito assumere o meno gli incarichi del cliente.
Tuttavia questa facoltà deve ritenersi consentita alla banca soltanto rispetto a quegli incarichi che
esulino dalle forme di utilizzazione delle disponibilità esistenti nel conto; qualora si rientri in questo
ambito e si tratti di ordini di pagamento, di accreditamento o di giroconto, l'esecuzione dell'ordine non
può essere rifiutata. Al di fuori di quest’ambito vi è la possibilità d'apprezzamento da parte della banca
e la possibilità di un rifiuto. Tuttavia, la mancanza di un obbligo giuridico vero e proprio assume in
pratica limitato rilievo, siccome l'esecuzione d’incarichi è nell'interesse stesso della banca, e siccome
questa non può ispirarsi nello svolgimento della sua attività professionale a criteri arbitrari.
5.9.10 – La convenzione di corrispondenza
Fenomeno simile a quello dei conti correnti di corrispondenza sono le convenzioni di corrispondenza.
Si tratta sostanzialmente di conti correnti di corrispondenza che intercorrono non più tra banca e
cliente, bensì tra banca e banca, e nei quali gli incarichi sono oltremodo più complessi e più frequenti.
Sulla base delle convenzioni di corrispondenza, non soltanto le banche si obbligano per lo più
reciprocamente alla esecuzione dei servizi normalmente richiesti dalla clientela, ma altresì al
compimento di tutte le operazioni che rientrano nella normale attività bancaria su piazza e fuori piazza
compreso il servizio di informazioni commerciali.
5.9.11 – Il giroconto o bancogiro
Il giroconto o bancogiro è l'accreditamento di una somma nel conto d'un correntista (beneficiario)
operato da una banca su ordine di altro correntista (ordinante) mediante addebito della stessa somma
nel conto corrente di questo. L'operazione prende il nome di postagiro se si attua tra due correntisti
attraverso l'amministrazione postale (Artt. 110-111 cod. post. approvato con R.D. 27 gennaio 1936, n.
645; Artt. 130-132 del relativo regolamento, approvato con R.D. 30 maggio 1940, n. 775).
L'operazione può attuarsi tra correntisti di una stessa banca o anche tra correntisti di banche diverse.
entrambi i casi, considerando la particolare struttura organizzativa delle banche italiane, la sostanza
dell'operazione non cambia, giacché si tratta sempre di un trasferimento da un sito telematico ad un
altro. In ogni caso, però, pur trattandosi soltanto di un'operazione contabile eseguita attraverso una se
di annotazioni, essa assume rilevanza giuridica sia nei rapporti tra ordinante e banca, sia in quelli tra
ordinante e beneficiario.
Il rapporto ordinante-banca origina dall'ordine di giro e trova la sua ragione in un conto corrente di
corrispondenza in base al quale la banca è tenuta all’esecuzione degli ordini di pagamento o di giro
(ordine di accreditamento) che il correntista ritenga di impartire, naturalmente nei limiti delle somme
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per lui disponibili in conto. Gli ordini di pagamento (per lo più mediante assegno) e gli ordini di giro
costituiscono, infatti, le forme normali d’utilizzo delle sue disponibilità esistenti nel conto.
Come acutamente osserva il Ferri (op. cit.), la natura dell'ordine di giro corrisponde, nella sostanza, a
quella dell'assegno da accreditare (Art. 42 L. assegni), con la sola differenza che l'ordine di giro non è
incorporato, come lo è nell'assegno, in un titolo di credito il che influisce non soltanto sulla
circolazione, ma anche in ordine alla revocabilità dell'ordine. Mentre, infatti, l'ordine contenuto in un
assegno non può essere validamente revocato durante il termine di presentazione (l’eventuale revoca
effetto esclusivamente per il periodo successivo - Art. 35 L. assegni, l'ordine di giro può essere
revocato validamente fino a quando l'ordine non sia stato eseguito, vale a dire fino a quando non sia
intervenuto l'accreditamento nel conto beneficiario.
Il rapporto beneficiario-banca sorge per effetto dell'accreditamento nel conto, e di norma
all'accreditamento fa seguito una comunicazione della banca al beneficiario dell'accredito stesso, anc
se il credito del beneficiario sorge già per effetto dell’annotazione stessa e non richiede espressament
anche la comunicazione. Anche a questo riguardo gioca il rapporto di conto corrente di corrispondenz
per il cui effetto, il diritto del correntista, che è quello di utilizzare le somme disponibili, sorge per il
fatto stesso che si crei una certa disponibilità di conto.
Dal momento che la disponibilità si crea con l'accredito in conto, cioè con annotazione contabile della
rimessa, non con la sua comunicazione, tanto meno appare necessaria una accettazione dell'accredit
parte del beneficiario.
L'ordine di giro nei rapporti tra ordinante e beneficiario trova la sua ratio in un rapporto di diritto
sostanziale, che crea un debito a carico dell'ordinante e un credito del beneficiario. Come il pagament
anche l'accredito è un atto neutro, vale a dire un atto che può mettersi in relazione a negozi giuridici
aventi una causa diversa. Questa causa è irrilevante nei confronti della banca, mentre assume rilievo
decisivo nei rapporti tra ordinante e beneficiario. Nei rapporti tra questi soggetti il bancogiro
costituisce, come il pagamento, un atto di adempimento di un negozio tra loro intercorrente, il quale,
nei loro rapporti reciproci è determinante non soltanto ai fini della giustificazione causale
dell'accredito, ma altresì al fine di stabilire l'esattezza dell'adempimento. Deriva da ciò la necessita di
un’accettazione e l'applicabilità delle regole che vigono per il pagamento, del quale produce gli effetti.
Mentre, quindi, nel rapporto tra banca e beneficiario il diritto sorge con l'accreditamento e vale a dire
con l'annotazione contabile, nei rapporti tra beneficiario e ordinante gli effetti derivano
dall'accettazione dell'accreditamento, accettazione che può essere espressa o tacita, ma che in ogni c
deve sussistere.
Essendo l'accreditamento un surrogato del pagamento, e forse più esattamente una forma di pagame
il beneficiario potrà rifiutare l'accreditamento nelle stesse ipotesi in cui potrebbe rifiutare il pagamento,
come ad es. nell'ipotesi in cui il pagamento sia tardivo o non corrisponda alla prestazione dovuta,
perché ad es., sia stato fatto per un ammontare inferiore o in moneta non uguale a quella pattuita.
Da parte sua l'ordinante potrˆ ripetere nei confronti del beneficiario le somme che egli abbia fatto
accreditare in conto, qualora queste fossero non dovute o in eccesso. A queste vicende è completame
estranea la banca, in quanto essa si limita a dare esecuzione all'ordine attraverso le operazioni di
accredito o di addebito e nei suoi confronti il negozio di base tra ordinante e beneficiario rimane del
tutto irrilevante, qualora la banca abbia dato puntuale esecuzione all'ordine, provvedendo
all'accreditamento nel tempo e secondo le modalità fissate nell'ordine.
5.10 – LE GARANZIE BANCARIE
Come brillantemente evidenziato dal Ferri (op. cit.), le garanzie bancarie vengono a
caratterizzarsi non tanto per la loro tipologia (pegno, ipoteca, fideiussione, avallo), quanto per i
particolari atteggiamenti che questi tipi assumono nel sistema bancario in funzione dei principi che lo
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ispirano e delle esigenze del suo funzionamento. Fondamentale a questo riguardo è il principio della
considerazione unitaria della posizione del cliente pur nella molteplicità e varietà dei rapporti che si
instaurano fra lui e la banca. Unitarietà di posizione che trova già la sua affermazione nella legge
bancaria (Art. 35, lett. b), quando si attribuisce all'organo di vigilanza la facoltà di determinare limiti
massimi dei fidi concedibili al singolo cliente, ed espressamente viene ribadito nell'Art. 1853 c.c., che
prevede la reciproca compensabilità salvo patto contrario dei saldi attivi e passivi dei vari conti e
rapporti che sussistono tra banca e cliente, anche se in monete differenti.
L'unitarietà della posizione del cliente nei confronti della banca è appunto alla base di quella generalit
della garanzia, e in pratica della sua operatività a favore di tutti i crediti vantati direttamente o
indirettamente dalla banca, la quale costituisce uno degli atteggiamenti delle garanzie bancarie, ad
esclusione naturalmente dell'avallo che garantisce esclusivamente il credito portato dalla cambiale su
cui è posto. Questa generalità delle garanzie trovava di già il suo riconoscimento esplicito negli statuti
delle banche pubbliche (Art. 43, 3¡ comma, dello statuto del Banco di Sicilia; Art. 7, 3¡ e 4¡ comma,
dello statuto del Banco di Napoli; Art. 8, 2¡ comma, dello statuto della Banca Nazionale del Lavoro;
Art. 37, 3¡ comma dello statuto del Banco di Sardegna; Art. 10, 2¡ comma, dell'Istituto Bancario San
Paolo di Torino; Art. 31, 2¡ comma, dello statuto del Monte dei Paschi di Siena) ed in quelli delle
banche di interesse nazionale (Art. 5, 3¡ comma, dello statuto della Banca Commerciale Italiana; Art. 5
3¡ comma, dello statuto del Credito Italiano; Art. 5, 2¡ comma, dello statuto del Banco di Roma), nei
quali è riscontrabile la disposizione secondo la quale "tutti i crediti vantati direttamente o
indirettamente dalla banca verso lo stesso contraente, anche se non liquidi ed esigibili, si intendono
garantiti di pieno diritto da tutti i beni e valori di proprietà del debitore esistenti a qualunque titolo
presso la banca o costituiti in garanzia a favore della banca".
L’unitarietà di posizione del cliente nei confronti della banca emerge altresì dalle Norme Uniformi
Bancarie, che regolano le operazioni bancarie in conto corrente, nelle quali è previsto pure che
"l'azienda di credito, in garanzia di qualunque suo credito presente o futuro verso il correntista, anche
se non liquido ed esigibile, ed anche se cambiario, è investita del diritto di pegno e del diritto di
ritenzione su tutti i titoli o valori di pertinenza del correntista che siano comunque e per qualsiasi
ragione detenuti dall'azienda di credito o pervengono successivamente ad essa.
In particolare, le cessioni di credito e le garanzie pignoratizie a qualsiasi titolo fatte o costituite a favore
dell'azienda di credito stanno a garantire con l'intero valore anche ogni altro credito in qualsiasi
momento sorto, pure se non liquido ed esigibile, dell'azienda di credito verso la stessa persona.
Tuttavia, questa generalità delle garanzie, se pure affermata in queste diverse disposizioni, non viene
senz'altro riconosciuta.
Per quanto riguarda l'ipoteca l'art. 285" c.c. consente certamente l'iscrizione anche con
riferimento ai crediti condizionali o futuri, ma questo purché si tratti di crediti derivanti da un rapporto
già esistente e individuato.
La garanzia costituita con riferimento ad uno dei rapporti posti in essere con la banca non può quindi
essere estesa ad altri rapporti che vengano ad instaurarsi con la stessa; né al riguardo assume rilievo
unitarietà di posizione del cliente.
Per quanto riguarda il pegno, che è l'ipotesi considerata negli statuti delle banche pubbliche e d
interesse nazionale e nelle norme bancarie uniformi, si è ritenuto che gli statuti delle banche possano
bensì contenere norme giuridiche rilevanti per i terzi disciplinando i fini, i mezzi di azione,
l'organizzazione ed i poteri degli organi rappresentativi, ma non possono interferire, modificandoli, coi
principi inderogabilmente posti dalla legge nella disciplina degli istituti e quindi non possono
interferire sulla disciplina posta con riferimento al pegno nell'art. 2787 c.c., il quale postula a tutela dei
terzi creditori l'inderogabile esigenza di una sufficiente indicazione del credito e della cosa e non
consente una generale espansione della garanzia pignoratizia, risolvendosi questa in un evidente
pregiudizio dei terzi. La stessa legge del resto prevede (Art. 2794, 2¡ comma, c.c.) che la costituzione
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d’ulteriori rapporti col debitore possa solo attribuire al creditore pignoratizio un diritto di ritenzione, e
ciò purché il pegno sia prestato dallo stesso debitore. Naturalmente questi principi valgono anche di
fronte alle norme bancarie uniformi o alle disposizioni pattizie, che prevedono un’espansione della
garanzia pignoratizia costituita con riferimento ad un rapporto singolo rispetto agli ulteriori rapporti
che s’instaurino con la banca. Anche in questo caso può funzionare il diritto di ritenzione nei confronti
del debitore costituente il pegno, ma non può funzionare il diritto di prelazione nei confronti degli altri
creditori.
Diversa è la situazione per quanto riguarda le garanzie personali rispetto alle quali la generalità della
garanzia, e cioè la sua operatività, con riferimento a tutti i rapporti intercorrenti tra cliente e banca, è
generalmente ammessa su base pattizia: in quest’ipotesi, determinandosi effetti solo tra le parti
contraenti, non sussiste il pericolo di un pregiudizio dei terzi; la fideiussione per obbligazioni future e
condizionali è ammessa d'altronde senza limiti (Art. 1938 c.c.). Parte della dottrina e della
giurisprudenza di merito prospetta evidente invalidità della fideiussione generale (nella prassi
fideiussione omnibus) sotto il profilo dell'indeterminatezza dell'oggetto, ma non può certo considerarsi
come indeterminato l'oggetto di un contratto, il quale prevede che la garanzia si estenda a tutti i credit
che sorgano tra banca e cliente nel periodo intercorrente tra la stipulazione del contratto e la
dichiarazione di recesso del fideiussore, come non è considerato indeterminato l'oggetto del contratto
somministrazione in cui la prestazione debba attuarsi secondo il fabbisogno del somministrato (Art.
1560 c.c.). Né ci si può preoccupare della rilevante onerosità che viene a gravare sul fideiussore in
conseguenza della fideiussione generale, perché da un lato il fido concedibile al singolo non è
illimitato, ma trova precisi limiti nelle direttive dell'organo di vigilanza, e perché, inoltre, essendo la
fideiussione generale consentita soltanto dietro patto, il fideiussore è pienamente consapevole
dell'onere che con essa viene ad assumere. E neppure ci si può preoccupare del fatto che con la
fideiussione generale si rendano anche possibili abusi da parte del debitore e della banca, perché anc
rispetto alla fideiussione generale sono applicabili in sede di esecuzione del contratto i principi della
correttezza e della buona fede (Art. 1175 e 1375 c.c.).
Accanto agli atteggiamenti particolari, che si concentrano nella generalità della garanzia, occorre
considerare quegli atteggiamenti particolari che conseguono alle esigenze di funzionamento delle
garanzie nel sistema bancario, che si concretano, da un lato nella autonomizzazione del rapporto di
garanzia dal rapporto principale relativo al debito garantito, e cioè nella eliminazione di quel rapporto
di accessorietà che nella disciplina legislativa costituisce elemento caratterizzante della fideiussione
(Artt. 1939, 1941 e 1945 c.c.), d'altro lato, nella modificazione della disciplina relativa alla estinzione
della fideiussione per fatto del creditore (Artt. 1355, 1956, 1957 c.c.).
L'autonomizzazione del rapporto di garanzia non accade più, a seguito di recenti modifiche delle norm
bancarie uniformi, con riferimento a fideiussioni ricevute dalle banche. Essa si verifica, di base, nel
commercio internazionale e rispetto alle garanzie prestate dalla banca, con riferimento all'offerta
(bidding bonds) o all'esecuzione dei lavori (performance bonds) o al rimborso degli acconti (repaiment
bonds), le quali garanzie s’intende funzionino a semplice richiesta scritta, anche nel caso in cui
l'obbligazione principale sia dichiarata invalida.
Nei confronti del creditore estero quella che conta è l'obbligazione di garanzia della banca, la quale
deve pertanto funzionare in modo immediato e autonomo e cioè, a prescindere da quelle che possono
essere le vicende nei rapporti tra contraenti. Soltanto in caso di evidente abuso da parte del creditore
estero nell’utilizzazione della garanzia prestata dalla banca, normalmente si avvale del provvedimento
di urgenza ex Art. 700 c.p.c.
Questa autonomizzazione della garanzia era prevista anche nelle fideiussioni attive (quelle cioè in cui
la banca assume la posizione di creditore garantito), ma nella normalità delle ipotesi i moduli bancari s
73
preoccupano ora di derogare a quelle norme (Artt. 1956 e 1957 c.c.) le quali prevedono la liberazione
del fideiussore conseguente a determinati comportamenti del creditore.
Orbene, mentre generalmente si riconosce validità, purché naturalmente sussistano i requisiti formali,
cioè l’esistenza dell’approvazione specifica per iscritto, richiesta dall'Art.1341 c.c., alle clausole
contenute nei formulari bancari che siano dirette a derogare alle norme degli articoli 1956 e 1957 c.c.,
si discute circa la validità delle clausole che rendano autonoma ed esigibile a semplice richiesta scritta
la garanzia.
Si ritiene, infatti, che l'accessorietà costituisca un carattere essenziale e perciò insopprimibile dalla
fideiussione e si dubita altresì che nel nostro ordinamento sia ammissibile un contratto autonomo di
garanzia destinato ad essere utilizzato in alternativa al contratto di fideiussione. Il problema è
certamente delicato.
Il modello fideiussorio nella configurazione legislativa ! indubbiamente basato sul principio
dell'accessorietà: questo si ricava inequivocabilmente non solo dall'Art. 1939, ma altresì dagli Artt.
1941 e 1945 c.c. Sembra quindi difficile ammettere che questo principio essenziale dell'accessorietà
possa sostituirsi con il principio opposto, quello dell'autonomia e, tuttavia, possa parlarsi ancora di
fideiussione. Si ritiene, pero che, pur non potendosi parlare di fideiussione, sia pensabile nel nostro
ordinamento giuridico un contratto di garanzia autonoma. Già un tipo di garanzia autonoma è
riscontrabile nell'avallo cambiario. D'altra parte l'autonomia privata può, a norma dell'Art. 1322 c.c.,
creare contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché realizzino
interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.
E non è dubbio che almeno nel commercio internazionale sia meritevole di tutela anche l'interesse de
contraente estero di avere di fronte la banca come mediato e diretto obbligato.
E' questa, del resto, la posizione condivisa dalla prevalente e più affermata dottrina. D'altra parte la
clausola con la quale la banca si obbliga a soddisfare il creditore su semplice richiesta del medesimo
(clausola particolarmente frequente nel commercio internazionale) configura una valida espressione d
autonomia negoziale pur assegnando alla fideiussione carattere di atipicità in ordine al principio di
accessorietà, in quanto non fa venir meno, come pur di recente hanno affermato le sezioni unite della
Corte di Cassazione, la stretta connessione tra rapporto di garanzia e rapporto principale e ciò sia al f
della giurisdizione del giudice italiano nei confronti del convenuto straniero ai sensi dell'Art. 4, n. 3,
c.p.c., sia al fine di assoggettare il creditore straniero all'azione di rivalsa ove si sia già verificato
l'adempimento dell'obbligazione garantita da parte del debitore principale, sia al fine di ottenere tramit
un provvedimento d'urgenza ex Art. 700 c.p.c., quando ne ricorrano gli estremi, l'anticipazione degli
effetti della decisione di merito nel giudizio di rivalsa.
La girata, nel diritto cambiario, oltre alla normale funzione in ordine al trasferimento del titolo
di credito, ha funzione di promessa cambiaria. Stabilisce, infatti, l'Art. 19 della legge cambiaria che il
girante, se non vi sia clausola contraria, risponde dell'accettazione nonché del pagamento della
cambiale nei confronti del portatore della cambiale. Si tratta di obbligazione indiretta (in via di
regresso) e non anche di obbligazione diretta, proprio perché il girante non promette il fatto proprio, m
promette il fatto del terzo, come afferma il Ferri (op. cit. pag. 720) quindi la responsabilità sorge
soltanto in quanto il terzo non ponga in essere il fatto promesso.
Questa garanzia propria della girata cambiaria assume in pratica notevole rilevanza: tuttavia essa può
essere eliminata con la clausola "senza garanzia" o altra equivalente, o può essere limitata nei confro
del giratario diretto mediante una clausola che importi divieto di successiva circolazione del titolo
(girata non all'ordine).
La funzione di garanzia non sussiste nella girata per l'incasso o per procura, non avendo in questo ca
il giratario un diritto proprio; sussiste, invece, nella girata di garanzia, perché in questa ipotesi il
giratario ha un diritto autonomo. Del pari non sussiste la funzione di garanzia nella girata posteriore al
protesto per mancato pagamento o, dopo spirato il termine per levare il protesto (Art. 24 L. cambiaria)
74
producendo in questi casi la girata gli effetti di una cessione ordinaria, la garanzia dovuta dal girante !
soltanto quella prevista nell'Art. 1266 c.c.
La girata come promessa cambiaria non può essere condizionata; tuttavia, se la condizione sia oppos
questa non determina la nullità della girata, ma giuridicamente è irrilevante: si considera, cioè, come
non scritta. Nulla è, invece, la girata parziale (Art. 16 L. cambiaria).
La girata deve essere scritta sulla cambiale o sul foglio d’allungamento, e va sottoscritta dal girante. L
girata può essere anche in bianco, e cioè non indicare il nome del beneficiario; in questo caso essa è
valida soltanto se scritta sul tergo della cambiale, o sull'allungamento (Art. 17 L. cambiaria).
La girata al portatore vale come girata in bianco (Art. 16 u.c. L. cambiaria).
Le obbligazioni cambiarie possono, al pari d'ogni altra obbligazione, essere assistite da garanzie
personali. La garanzia può essere prestata nelle forme ordinarie della fideiussione, cioè fuori dal
documento cambiario, o può essere prestata in forma cambiaria, e cioè sulla cambiale mediante l'ava
L'avallo è, appunto, un’obbligazione cambiaria di garanzia, e come tale, costituisce una
obbligazione accessoria rispetto alla obbligazione cambiaria garantita. Quest’accessorietà si regola
secondo i principi del diritto cambiario e, soltanto in quanto con questi compatibili, sui principi del
diritto comune. La prima conseguenza è che l'obbligazione cambiaria di garanzia non viene meno se
non quando l'obbligazione garantita non esista se non come obbligazione cambiaria, e cioè se non
quando sussista un vizio di forma che ne determini la nullità secondo i principi cambiari (Art. 37 L.
cambiaria). Quando l'obbligazione esiste come cambiaria, l'avallo è valido, anche se l'obbligazione
garantita sia intrinsecamente nulla. Non è questa conseguenza del principio di autonomia proprio delle
obbligazioni cambiarie, perché questo principio molto difficilmente potrebbe essere richiamato dato il
rapporto di accessorietà che sussiste tra l’obbligazione dell'avallante e quella dell'avallato, quanto
piuttosto la conseguenza del fatto che l'accessorietà è accessorietà cambiaria, e quindi da valutarsi
essenzialmente sulla base dei criteri formali che sono propri del diritto cambiario.
Dall'essere l'avallo un’obbligazione accessoria derivano particolari conseguenze e limiti quali:
!
l'obbligo per l'avallante, nello stesso modo in cui è obbligato colui per il quale l'avallo è dato:
l'avallante è, cioè, obbligato diretto o in via di regresso, a seconda che obbligato diretto o in via
di regresso sia l'avallato.
!
L'avallante che paga la cambiale acquista i diritti cambiari contro l'avallato e rispetto a coloro
che erano obbligati nei confronti di quest'ultimo (obbligati anteriori) e, ancor prima di aver
pagato, può agire in rilievo nei confronti dell'avallato a norma dell'Art. 1953 c.c., quando ne
ricorrono gli estremi. L'avallante che paga non si surroga peraltro al creditore cambiario, ma
assume quei diritti che gli competono sulla base del nesso cambiario. Il problema di cui all'Art.
1955 c.c. non si pone pertanto nei confronti dell'avallante, né si può ipotizzare una
menomazione dei diritti dell'avallante nei confronti degli obbligati anteriori, perché o l'avallante
garantisce obbligo di regresso, e allora per agire nei suoi confronti sarà necessario il
compimento di quegli atti che sono necessari per conservare l'azione di regresso; o garantisce
un obbligato diretto, e allora, non essendo necessario il compimento di particolari atti, nessun
pregiudizio della sua posizione è possibile.
!
L'obbligazione dell'avallante si estingue, se si estingue l'obbligazione dell'avallato, con la
conseguenza che l'avallante potrˆ opporre al portatore della cambiale l’estinzione del debito
dell'avallante, qualunque ne sia la causa (pagamento, remissione del debito, compensazione,
prescrizione). E' dubbio invece se l'avallante possa opporre al creditore eccezioni opponibili
dall'avallato. Il problema è risolto per lo più negativamente sulla base dell'Art. 37 legge
cambiaria, ma secondo il Ferri (op. cit. pag. 722), sembra che questa disposizione, benché
certamente limiti l'applicazione dell'Art. 1945 c.c., non ne preluda addirittura l'applicabilità.
L'Art. 37 L. cambiaria esclude che l'avallante possa opporre le eccezioni che attengono alla
75
esistenza dell'obbligazione cambiaria dell'avallato (cosi, ad es. la falsità della sottoscrizione, la
mancanza di volontà, l'incapacità, il difetto di rappresentanza), ma non esclude affatto
l'opponibilità di quelle eccezioni che, ferma la esistenza dell'obbligazione cambiaria dell'
avallato, sono dirette a paralizzare la pretesa di pagamento del portatore sulla base di rapporto
con questo intercorrente. L'Art. 37 della L. cambiaria sancisce soltanto che l'avallante resta
obbligato cambiariamente, anche se non vi è obbligazione cambiaria dell'avallato, ma non
sancisce affatto che quando l'obbligazione cambiaria di questo vi sia, l'avallante non possa
paralizzare l'azione del portatore con quelle stesse eccezioni con cui l'avrebbe potuto fare
l'avallato.
Seguendo la dottrina dominante, si arriverebbe secondo il Ferri all'assurdo che, dal momento che
l'avallante deve pagare anche quando l'avallato non vi fosse tenuto, il portatore cambiario possa esige
dall'avallante, questi possa ripetere dall'avallato la somma pagata, e l'avallato a sua volta possa ripete
dal portatore la somma indebitamente pagata dall'avallante. D'altronde, quando la legge precisa che
l'avallante è obbligato nello stesso modo di colui per cui l'avallo è dato, evidentemente fa riferimento
non soltanto alla posizione che l'avallante assume nel nesso cambiario, ma anche alla posizione che
l'avallato ha nei confronti del possessore in base ai rapporti correnti con questi, salvo naturalmente il
caso in cui manchi addirittura un'obbligazione dell'avallato.
L'avallo è prestato mediante la formula "per avallo" o altra equivalente apposta sulla cambiale o sul
foglio di allungamento e sottoscritta dall'avallante. Si considera avallo, anche in mancanza della
formula, la sottoscrizione di persona diversa dall'emittente, o dal trattario, apposta sulla faccia anterior
della cambiale.
L'avallo deve indicare la persona per la quale è dato, senza di che deve ritenersi dato per il traente ne
cambiale tratta e per l'emittente nella cambiale diretta (Art. 36 L. cambiaria).
E' dubbio se l'indicazione della persona possa risultare indirettamente dalla collocazione dell'avallo.
Alcuni autori, tra i quali il Ferri, propendono per la soluzione negativa, giacché il rigoroso formalismo
cambiario e che la presunzione legale deve necessariamente prevalere sulla semplice presunzione
hominis.
L'avallo può essere prestato da un terzo estraneo al nesso cambiario, o da un firmatario stesso della
cambiale; può essere prestato per l'intero o per una parte della somma portata dal titolo stesso (Art. 3
L. cambiaria).
Anche se la legge non si pronuncia circa la possibilità di apporre condizioni all'avallo, sembra che non
si possa adottare la soluzione seguita in altre dichiarazioni cambiarie, anche per la diversità di
regolamento adottato con riferimento alla girata ed alle altre dichiarazioni cambiarie. Inoltre, non
essendo espressamente vietata l'apposizione di condizioni, e comminata l'invalidità della dichiarazion
o l'inefficacia della determinazione accessoria, l'unica soluzione appare quella di ammettere la validità
di un avallo condizionato e la efficacia della apposizione della condizione.
Commento
Appare meritevole di poche parole commentare come una società per azioni possa surrogare la intera
serie di operazioni bancarie, in base alle norme nazionali vigenti.
Del resto, da una analisi accurata della legislazione nazionale ed internazionale, appare evidente che
una società commerciale può fare (qualora ne abbia la capacitˆ economica) tutto quello che fa una
banca, eccetto quello di usare il termine "banca" nel suo nome o in qualsiasi qualifica delle sue
operazioni.
76
CAPITOLO VI
IL FINANCIAL TRADING.
6.1 - DEFINIZIONE.
Finora abbiamo indicato come una società per azioni (ma lo stesso vale per qualsiasi altra entità
giuridica) possa entrare senza intermediari finanziari autorizzati nel mercato dei capitali per la raccolta
e per l'impiego secondo le norme di diritto nazionale.
In questo paragrafo ci occuperemo di individuare come una società di capitali possa impiegare i capita
raccolti in operazioni di investimento nel mercato internazionale, tramite operazioni che vengono
comunemente definite di "financial trading".
Il termine anglosassone trading corrisponde al termine italiano di commercio. Come il trading di grano
petrolio, zucchero, tecnologia, indica scambio, commercializzazione di quei prodotti, in quanto v'è chi
ha bisogno di venderli e chi ha bisogno di comprarli, contro la remunerazione del prezzo, così, il
trading finanziario indica lo scambio di "strumenti finanziari" tra chi ha bisogno di credito e chi può
vendere credito, o tra chi ha bisogno di raccogliere risparmio e tra chi vuole investire risparmio.
In effetti, la finanza ha due soli prodotti: credito (inteso come credibilità, fiducia) e risparmio, che
vengono pagati con una loro formula di remunerazione chiamata "interesse". Questi due prodotti non
possono essere venduti (per loro natura), per cui devono essere "locati", prestati. E' un po' la stessa
differenza che passa tra l'automobile che si acquista e quella che si affitta. Grano, petrolio, ecc.
corrispondono all'auto che si acquista; credito e risparmio corrispondono all'auto che si affitta, eccetto
l'ipotesi di mutuo in cui il capitale, da un punto di vista giuridico, è ceduto.
Nel caso dell'auto che si acquista, la preoccupazione principale del venditore è la certezza di essere
pagato del suo prezzo. Nel caso dell'auto che si affitta, la preoccupazione principale del noleggiatore è
innanzi tutto, quella di riavere indietro l'auto, così com’era stata consegnata, non danneggiata, giacche
in una qualsiasi altra ipotesi, il nolo che gli sarebbe corrisposto non ripagherebbe che in minima parte
danno di non riavere l'auto. Ad evitare questi rischi, il noleggiatore si assicura con una polizza
assicurativa "kasko" che copre tutti i danni, i cui costi sono ripartiti sui noli.
All'incirca la stessa cosa avviene con il trading finanziario, dove la prima preoccupazione del
finanziatore non ! quella di avere l'interesse convenuto, bensì di riavere indietro il capitale investito.
Così come il noleggiatore di automobili, anche il "noleggiatore di capitali" si assicura innanzitutto
contro la mancata restituzione, attraverso le "garanzie" di cui abbiamo parlato in dettaglio nel capitolo
precedente.
Perché vi è gente che trova conveniente affittare un'auto?
Probabilmente perché non c'è l'ha. Oppure perché, anche se ne ha una, non trova conveniente portar
appresso, oppure perché la sta usando qualcun altro per conto suo. Ma, in ogni caso, lo trova
conveniente perché sa che, impiegandola, riesce a guadagnarsi di che pagare il nolo.
Solo un perditempo affitterebbe una macchina solo per andarci a passeggio; ma a costui il buon
noleggiatore chiede di provargli la capacità immediata di pagare; ogni altra condizione sarebbe una
intollerabile leggerezza da parte del noleggiatore.
Perché vi è gente che trova conveniente affittare capitali?
Per lo stesso motivo di chi trova conveniente affittare un'auto o qualsiasi altra cosa. Utilizzando capita
si producono attività economiche che generano redditi capaci di restituire i capitali avuti in prestito e d
remunerarli con l'interesse convenuto.
Il financial trading è un'attività di supporto ai commerci mondiali che negli ultimi anni ha avuto il
riconoscimento ed il supporto da parte delle maggiori istituzioni finanziarie, giacché si è dimostrato
77
sempre più affidabile ed indispensabile.
La sua affidabilità deriva dalla maggiore affidabilità ottenuta nei pagamenti delle transazioni
commerciali attraverso una maggiore diffusione ed accettazione delle lettere di credito (che nelle due
principali configurazioni "stand-by" e "commercial" offrono la garanzia del pagamento), ed attraverso
una maggiore diffusione delle assicurazione dei trasporti e delle incognite economiche che, garantend
le parti da tutti i rischi, tranne solamente quelli di forza maggiore, e ripartendoli in una serie
innumerevole, riduce il rischio di tutti al minimo.
Con questi presupposti il financial trading ha suscitato fantasia e immaginazione degli operatori per
"innovare" il mercato con prodotti sempre più redditizi e sicuri. Operare nel financial trading oggi è
molto meno rischioso che acquistare titoli di Stato, ed è molto più redditizio.
Le principali operazioni di trading finanziario possono essere così riassunte:
% a) sconto di garanzie bancarie;
% b) investimenti di depositi bancari;
% c) investimenti su safekeeping bancari.
6.2 - LO SCONTO DI GARANZIE BANCARIE.
Una delle necessità primarie per operare nei mercati internazionali è quella d’avere disponibilità di
cassa, che si acquisisce attraverso la disponibilità di risparmio, oppure attraverso l'acquisizione di
credito. Operare al di fuori di quest’ambiente, in molti casi può configurare l'ipotesi di reato.
Il risparmio implica nella sua definizione la disponibilità immediata di liquidità, sia nella forma di
depositi bancari, oppure in quella d’anticipazioni bancarie, mentre non sempre la disponibilità di
credito comporta un'altrettanto immediata capacità di liquidità.
Molti operatori, pur avendo credibilità, non riescono per ragioni di politica monetaria ad avere
liquidità, oppure non hanno l'opportunità di averla nella valuta di cui hanno bisogno.
Molte banche, soprattutto quelle di paesi ad economia emergente, pur avendo buona credibilità ed un
buon rating internazionale, hanno estremo bisogno di liquidità da iniettare nei loro mercati, per cui
operano scontando proprie garanzie presso altre banche, o sul libero mercato.
Lo sconto di garanzie, come si è visto nel capitolo precedente, avviene mediante l'anticipo contante
della somma da scontare, meno l'interesse convenuto.
Esistono sul mercato finanziario internazionale garanzie bancarie di banche di paesi ad economia
emergente che, avallate da primarie banche occidentali, sono scontate al cinquanta per cento del valo
facciale. Una volta immessi nel circuito del trading finanziario, questi titoli riescono a produrre un
interesse sul loro valore facciale di molto superiore a qualsiasi impiego alternativo.
6.3 - INVESTIMENTI DI DEPOSITI BANCARI.
I depositi bancari possono essere sia titoli di credito, che di debito per l'investitore, senza che questo
cambi minimamente la sua posizione di investitore nel mercato finanziario internazionale.
La legge bancaria italiana prevede una centrale rischi che analizza una per una tutte le posizioni di
debito/credito bancario di ogni investitore, per cui chi è già esposto in misura superiore a quella che
viene considerata la sua credibilità, non può essere ulteriormente affidato. In sintesi, quello che
dovrebbe essere un rapporto di rischio tra la banca ed il suo cliente, diventa un "affare" di Stato, con l
conseguenze che ne seguono.
Gli investimenti su depositi bancari possono essere fatti in contanti o su depositi in titoli o valori
mobili.
I depositi contanti possono essere investiti anche senza movimentazione delle somme (sono sempre
78
costose) e, se i rapporti intercorrono tra banche che si riconoscono un rating affidabile e appropriato
alla transazione, le somme possono essere tenute bloccate, e le banche si scambiano garanzie con le
quali si garantiscono l'un l'altra della certezza dell'operazione.
Una delle procedure più semplici per l'apertura di un’operazione tra banche, in caso di depositi
contanti, è quella riportata nella TAB D della pagina seguente. Ovviamente queste operazioni
richiedono l'uso della lingua inglese.
TAB. D - CONFIRMATION OF RESERVED CASH
(to be sent as a bank communication only
)
(Letterhead)
Banca ...(confirming bank)......
..................................................
SWIFT Code: ..............
date: ...................
to: Bank .......(receiving bank)...........
Att.: (Name of Bank Officer/Office)
......................................................
SWIFT Code: ..............
TRANSACTION CODE (if any): ...................
We, _______Name of confirming bank________,hereby confirm with full bank responsibility that ou client _____Name of
account holder_____, holder of the account nr._________, has on deposit in this bank funds in the form of cash deposit tha
this bank has no reason to believe are not good, clean, and cleared funds of non criminal origin, and are free from any liens
and encumbrances, in the amount of _____sum in US dollars written-out_____ (US$ sum in arabic numbers__).
We further confirm that on ____________ the said funds can be assigned and irrevocably reserved in favor of you for the
expressed use and benefit of an account in your bank by name and number as shall be designated by ____(name of the At
torney)____.
The above identified and described funds are assigned and transferred only under the condition as hereinafter setforth for
the sole purpose of conducting acceptable legal bank transaction as are identified by the above transaction codes.
Expiration of this document shall be one year and one banking day, following the effective date of this instruments unless
extended in writing by the undersignied.
Said funds shall remain free and clear of any notice to or claim upon by us or liens and/or encumbrances of any kind or
nature from any source. These funds are expressely reserved and first priority encumbered by and for the above named
bank's account for the identified transaction.
In this regards under this document these funds shall only be S.W.I.F.T. wire transferred upon first demand for release in ex
change for assignable, negotiable, and transferable bank guarantee issued by S&P "AA" rated top 25 western European ac
ceptable bank or banks.
This confirmation is assignable, divisible, and transferable. Any communication between banks and all documents that relate to this transaction shall clearly reference the above transaction codes. Said codes shall not be altered or changed for
the duration of this transaction, including all extension, additions, rollovers.
Confirmation of Reserved Cash. Operative Instrument of _____Name of confirming bank_____
This confirmation of reserved cash certificate is an operative instrument subject to the Uniform Customs and Practices fo
Documentary Credits (ICC Publication Number 500), and can be verified bank to bank.
For and on behalf of________Name of confirming bank________
_______________________________
______________________________
(Name and Title of Bank Officer)
(Name and Title of II Bank Officer)
79
Quando, invece, la transazione deve avvenire con valori mobiliari o immobiliari, che non possono o
non è conveniente movimentare, le banche possono aprire le operazioni con una lettera di fondi
bloccati, o "safekeeping receipt".
Il safekeeping receipt è una garanzia che impegna la banca a rispondere del valore assegnato ai beni
bloccati nei confronti di terze parti.
In TAB. E riportiamo il testo di un safekeeping.
TAB. E - CALLABLE LETTER OF BLOCKED ASSETS
(Safe-keeping Receipt)
We hereby confirm that Mr./Ms.______________________________________, with account number
____________________, currently has on deposit in our security vaults the following documents:
...........................................
............................................
..............................................
Let all men know by these presents that this certificate will be held for ..............................
from the date of this "safe-keeping receipt" with our clear and firm resolve to protect these documents
being entrusted for their care with the understanding that no one outside of...........
................... has the right or ability to move, attach, pledge or encumber, or hypothecate the bonds.
Further removal can only be achieved by presentment and surrender of original "safe-keeping receipt"
issued to...........................
date:....................
Authorized signature:............................
Title:...........................
80
CAPITOLO VII
IL PROJECT FINANCING
7.1 - Definizione.
E' con una certa simpatia e curiosità che, nel corso dell'attività accademica e professionale, ho
verificato come sia stato accolto il concetto di project financing da parte di studenti ed operatori
economici nel contesto operativo: come il mago delle favole, cioè come un qualcuno o qualcosa di cu
molti parlano, ma di cui nessun sa granché, o ha visto mai nulla, considerato che l'ultimo grande proje
financing, di cui io abbia notizia in Italia, è stato fatto tra ERG e alcune banche statunitensi e svizzere
per la centrale elettrica di Priolo, e a cui nessuna banca italiana è stata capace di partecipare.
Il project financing non è una formula matematica che riesca a risolvere i problemi di un imprenditore
o di un'impresa, né é un procedimento o uno schema di produzione che ci permetta di costruire quel c
ci passa per la mente. Non è neanche una tecnica che ci permetta di fare affari con chi ci pare e con
quel che ci pare.
Il project financing è l'investimento di capitali (finanziari e tecnologici) in un’attività preparata e
condotta con criteri economici. Più esattamente il project financing è l'investimento in un progetto,
dove si possono investire materie prime, lavoro manuale o intellettuale, idee, brevetti, prodotti finiti,
oppure rischio. Questo è, in effetti, un project financing.
Pertanto, se ho un progetto che riesce a convincere qualcuno che possa fare soldi, costui anche se n
ha una lira da investire, cercherà di mettersi a disposizione per partecipare con quello che ha (lavoro,
prodotti suoi, idee sue, ecc.).
Ma perché costui si butta a capofitto? Perché ha capito che il progetto è valido (realmente o
presuntivamente), e che per lui è conveniente partecipare.
Quindi, la prima condizione per costruire un processo di project financing è quello di costruire un
progetto valido (reale o presunto) che sia in grado di attirare l'attenzione di qualcuno. Allora, oltre che
essere valido, il progetto deve essere credibile. Se un imprenditore non ha niente da proporre, almeno
lo proponga bene. In economia i risultati non si vedono subito, i fallimenti non sono immediati, gli
errori non sono puniti subito, e molti operatori dicono male quel niente che hanno da dire.
L'imprenditore nostrano, invece, è colui che per atavica cultura non si è mai preoccupato di
comunicare, ma si è tirato su le maniche e, addossandosi tutti i rischi, approntando in prima persona
tutti i capitali, facendosi prestare, se del caso, le materie prime e, lavorando di persona o con i suoi
membri familiari ha tirato su il suo prodotto, lo ha venduto, lo ha innovato, ed ha chiuso la sua carriera
con lui.
Questi sono stati i tempi eroici dell'imprenditoria, quando bastava produrre qualunque cosa per avere
successo, giacché vi era bisogno di tutto. Adesso, purtroppo, o per fortuna, i tempi sono cambiati, e n
basta solo produrre. Oggi bisogna capire, soddisfare, interpretare, presagire i bisogni del consumatore
se si vuole vendere, e dopo si può ipotizzare di produrre qualcosa. Oggi per avviare una qualsiasi
attività produttiva vi è bisogno di un ammontare di capitali, di lavoro e di rischio molto superiori a
quelli di qualche anno fa.
La concorrenza è molto elevata in alcuni contesti produttivi, mentre in altri esistono delittuosi
monopoli che impediscono del tutto la competizione.
Dalla documentazione in nostro possesso, abbiamo estratto, proprio per ipotesi di studio, tre proposte
project financing indirizzataci da alcuni tra i principali gruppi di merchant bank statunitensi, di cui
riportiamo di seguito il testo originale dei principali aspetti contrattuali.
81
7.2 - Il Business Plan.
Il business plan è l'attività che coordina e disciplina tutte le funzioni aziendali e che permette di
formulare programmi di investimento basati sulla costruzione di nuovi prodotti, sul perfezionamento di
prodotti esistenti, sull'acquisizione di nuova tecnologia o di nuove capacitˆ produttive o di mercato, o
sull'abbandono di prodotti esistenti per sostituirli con altri di nuova generazione.
Il business planning è strettamente legato alla formulazione dei singoli product plan e, analizzandoli
criticamente ottiene le migliori strategie aziendali per produrre maggiori profitti.
Il profitto è l'indice più importante per misurare l'efficienza dell'impresa in un mercato libero e
trasparente. Un'impresa con scarsi o nulli profitti è un'attività che, non essendo capace di gestirsi da
sola, fa ricadere i suoi costi sulle spalle della collettività.
Il business plan, analizzando le attività aziendali di marketing, legali, d’ingegneria, di produzione, di
qualità, di vendita, e di rischio, minimizza gli sforzi e massimizza i risultati.
Ogni programma di business plan, pertanto, deve sempre analizzare tutte queste funzioni per poter
formulare qualsiasi piano di ristrutturazione, nuovi prodotti, abbandono di prodotti, introduzione di
nuove tecnologie, ed altro.
Il business plan è, inoltre, il documento che permette di elaborare un computo preventivo di profitti e
perdite, nonché di analizzare il flusso di cassa necessario per lo svolgimento d’ogni singola attività
aziendale. Esso è il documento con il quale l'azienda s’impegna nei confronti dei terzi in ogni ipotesi d
project financing, quindi, oltre che essere accurato e reale, deve contenere la traccia di ogni
affermazione in esso riportata, in modo tale che l'interlocutore ha un’immediata possibilità di verificare
la corrispondenza delle informazioni in esso contenute.
7.3 - Il finanziamento a capitale garantito.
Come abbiamo avuto modo di affermare sopra, in un programma di finanziamento, la preoccupazione
principale del finanziatore non è tanto quella di ottenere un buon tasso di rendimento, quanto quella d
riavere indietro il capitale anticipato. Alcune merchant bank statunitensi propongono un contratto di
finanziamento con la restituzione del solo interesse, non perché non sappiamo farsi i conti, ma proprio
perché hanno trovato la formula per garantire la restituzione del capitale.
La proposta si riassume nei seguenti termini:
- Capitale di finanziamento richiesto:
US$ 10.000.000
- Finanziamento concesso:
US$ 20.000.000
di cui: 50% erogato
50% bloccato a rendimento garantito
- tasso d’interesse passivo: 6% per dieci anni su US$ 20 M. =US$ 12.000.000
- tasso d’interesse attivo: 6% per dieci anni su US$ 10 M. =US$
6.000.000
E' vero che in apparenza il mutuatario paga un interesse doppio, però non ha problemi di finanziamen
e può dedurre l'intero importo del mutuo dagli oneri fiscali, cosa che non avrebbe potuto fare in caso d
restituzione di un montante (interesse più quota capitale).
Il mutuante ha la sicurezza di essere ripagato del capitale siccome ha un rendimento garantito per die
anni, tale che alla fine dell'investimento raddoppia, quindi copre anche la parte di capitale prestata al
mutuatario.
7.4 - Il contratto di joint-venture.
82
Il termine "joint-venture" è usato nel linguaggio giuridico internazionale per riferirsi ad accordi volti
alla realizzazione di varie forme di collegamento ed integrazione di comune interesse. Nei casi più
interessanti e più estremi, lo stesso tipo di accordo si può raggiungere per ottenere il finanziamento di
un progetto, come vedremo in seguito.
Le joint-venture ebbero in origine per oggetto rapporti economici di interesse internazionale, di solito
con durata limitata nel tempo, ma ormai la stessa espressione riflette pure operazioni compiute nei
singoli mercati nazionali e con più estesa validità temporale. Il campo d’accordo delle joint-venture è
talmente vasto e va sempre più estendendosi al punto che risulta problematico farne una classificazio
appropriata.
Nel diritto USA si distinguono le "joint-venture corporations" dalle "unincorporated", o "contractual
joint-ventures". Le prime indicano società di capitali con responsabilità limitata, aventi per oggetto
un'attività congiunta fra diverse imprese "co-venturers", mentre le seconde corrispondono ad una
fattispecie di tipo contrattuale non implicante la costituzione di un ente separato rispetto ai partecipant
co-venturers, i quali, con il contratto, perseguono un fine congiunto.
delle joint-ventures vengono fatte diverse classificazioni allo scopo di definirne le varie caratteristiche
Si distinguono, infatti, le joint-ventures operative , che hanno in genere per scopo la realizzazione di u
investimento congiunto per la gestione durevole fra i "co-venturers" di tale investimento, rispetto alle
joint-ventures strumentali , che consistono nell'accordo tra pi
imprese per disciplinare e organizzare
congiuntamente la gestione e l'esecuzione di determinati contratti complessi.
Ancora si distinguono le equity joint-venture dalle non-equity joint-venture, ove l'elemento
differenziale consiste nella presenza, nella prima forma, di partecipazione di capitali dei co-venturers,
nella seconda, di altri tipi di contributi. Si parla anche di equity, non-equity joint-ventures quando, oltre
all'apporto di capitali per l'affare congiunto, i co-venturers devono contrattualmente eseguire altre
prestazioni concordate.
L'esigenza economica delle imprese di creare accordi agili del tipo che, mutuando il termine del diritto
statunitense, si possono denominare joint-venture è stata recepita in vario modo in altri Pesi.
Sono però poche le altre legislazioni nazionali che prevedono in modo così ampio, come gli Stati Uniti
la regolamentazione degli accordi di cui si discute. Parzialmente possono essere riferite al fenomeno
economico joint-venture le figure giuridiche della partnership inglese, la "società semplice" del diritto
tedesco e svizzero, "momentanè de droit belge", la "groupation temporale de empresas" spagnola,
adottata anche in Portogallo, il "groupment d'interet économique" francese, ecc. E' recente anche la
previsione per la Comunità Europea dell'istituzione del Gruppo Europeo d’Interesse Economico.
In taluni Paesi socialisti (Jugoslavia, Romania, Cina, ecc.) sono previste forme giuridiche di
cooperazione fra imprese occidentali ed enti locali, riconducibili alle joint-ventures, che consentono gli
investimenti occidentali in questi paesi. In Italia non è prevista una particolare figura giuridica
assimilabile esplicitamente alla joint-venture, benché in dottrina si parli di "impresa comune" o
"congiunta" con riferimento al fenomeno di cui si discute.
In campo legislativo si è assistito a diversi interventi specifici per la regolamentazione di particolari
rapporti, quali la disciplina del contratto di co-assicurazione (Artt. 1910-1911 c.c.), di trasporto
cumulativo (Artt. 1682-1700 c.c.), di deposito con pluralità d’imprese depositarie (Art. 1772 c.c.), di
coproduzione cinematografica (L. 4 Nov. 1965, n. 1213), in tema di ricerca e coltivazione di
idrocarburi liquidi e gassosi (L. 21 luglio 1967, n. 613).
Di particolare interesse risultano, invece, i più recenti interventi legislativi che hanno introdotto le
figure giuridiche dei "raggruppamenti temporanei d’imprese" per la partecipazione ad appalti pubblici
(Art. 20 e 23bis della L. 8 agosto 1977, n. 584 contenente norme di adeguamento della procedura di
aggiudicazione di appalti pubblici dell'Unione Europea. Tali norme sembrano avere adottato entrambe
un quadro normativo comune, come sostiene il Propersi (Le Joint-ventures, 1987, Buffetti Editore, pag
83
4), assimilabile alla joint-venture, avendo previsto a base del rapporto un mandato collettivo ad uno de
partecipanti per il coordinamento e la rappresentanza negli stessi confronti dell'ente pubblico. Al di
fuori di queste previsioni, i concreti accordi di joint-venture sono stipulati adattando alcuni strumenti
previsti dalla legislazione corrente allo scopo, che i co-venturers vogliono conseguire. Tali accordi
possono quindi assumere forme diverse quali le intese riservate restrittive della concorrenza, la
costituzione di società di capitali, la formazione di associazioni in partecipazioni, la costituzione di
consorzi e società consortili.
Col presente lavoro s’intende delineare caratteri delle richiamate iniziative economiche, senza peraltro
pretendere di definire compiutamente un fenomeno cos“ ampio, diversificato in evoluzione, ma con
l'obiettivo di inquadrarne gli aspetti comuni e di individuarne talune problematiche aperte e suscettibili
di ulteriori approfondimenti. S’intende, quindi, esaminare le joint-ventures nella convinzione che esse
si possano ormai considerare alla stregua di istituti operanti in modo unitario nel contesto economico,
che presentano caratteri di gestione "comuni"
Si accennerà anzitutto a taluni campi e settori in cui si presentano joint-ventures, esaminando gli
elementi generalmente ricorrenti nei contratti in discussione; si realizzeranno, quindi, in modo
completo, le tipologie di contratti di joint-venture che possono essere stipulati in Italia e nella realtà
internazionale.
La genesi della joint-venture è da ricercarsi nella tendenza, che le imprese hanno sempre manifestato
fin dal loro sorgere, di creare intese e collegamenti al fine di conseguire reciproci vantaggi per un loro
economico svolgimento. Tale tendenza rientra nel più generale fenomeno della concentrazione
aziendale, che, con le joint-ventures, si presenta nella forma più blanda.
Con il termine concentrazione ci si riferisce a tutti quei fenomeni che portano all'accrescimento delle
dimensioni aziendali.
Si può avere un processo di crescita " a generazione interna" all'impresa, cioè derivante dallo sviluppo
delle strutture produttive aziendali originato dalla gestione dell'impresa stessa, o a "generazione
esterna" all'impresa, cioè derivante da acquisizione di altre aziende, a fusione con altre società, alla
stipulazione di accordi di joint-venture.
Gli accordi fra imprese di cui si discute hanno avuto storicamente per oggetto la regolazione di
reciproci rapporti di concorrenza. Si parlava, frattanto di "coalizioni economiche", soprattutto con
riferimento alle varie intese fra aziende giuridicamente autonome, aventi per oggetto prevalente il
miglioramento delle condizioni del mercato di sbocco.
Negli ultimi decenni si è assistito in sede internazionale, e di riflesso anche in Italia, ad
un’accelerazione del cambiamento, sia nel sistema di mercato, che in generale, nell'ambiente in cui
l'impresa si trova ad operare. Tale cambiamento è suscitato dalla dinamica dei mercati e dell'ambiente
ove i problemi di acquisizione dei fattori produttivi e di collocamento dei prodotti mutano
continuamente in relazione all'evolversi dei progressi scientifici e tecnologici, delle esigenze dei
consumatori, delle peculiari caratteristiche della domanda di ciascun settore, della carenza di materie
prime, che caratterizza l'economia di alcuni Paesi, dello sviluppo delle imprese e dei gruppi
multinazionali, delle variabili condizioni economiche, politiche e sociali dei diversi Pesi, ecc.
A fronte di questa situazione di dinamicità dell'ambiente esterno e di variabilità delle proprie condizion
interne, le imprese hanno reagito in vario modo, adeguando nel tempo la propria strategia gestionale.
Fra i vari strumenti adottati per fronteggiare i rischi sempre crescenti, si è assistito negli ultimi decenni
alla creazione di varie forme di coalizioni fra le imprese, che sono geneticamente denominate "jointventures". Esse non hanno più solamente l'obiettivo di regolare rapporti di concorrenza, ma si
prefiggono ulteriori scopi, quali ad es., la realizzazione congiunta di complessi progetti industriali, di
appalti, di forniture, la gestione congiunta di ricerche minerarie, di attività di cooperazione fra i
partecipanti, ecc.
84
Si può sostenere che in fondo, indirettamente, tali accordi realizzino sempre l'obiettivo di regolare la
concorrenza fra produttori che insieme realizzino progetti, appalti, forniture, etc., ma sta di fatto che,
data la complessità delle strutture attivate con le joint-ventures, tali fenomeni produttivi assumano una
dimensione diversa, con problematiche gestionali, sia tecniche che economiche e giuridiche, le quali
presentano elementi di novità.
Il termine "joint-venture" è stato in origine utilizzato in campo internazionale per riferirsi ai apporti fra
imprese appartenenti ai Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo in merito all'assistenza tecnica,
alla cessione di licenze, brevetti, know-how, alla ricerca e allo sfruttamento di materie prime, alla
realizzazione di opere su appalto, ecc. Successivamente l'utilizzo del termine joint-venture si è esteso
come si è detto, ai vari rapporti fra imprese tanto in campo internazionale, quanto nell'ambito
internazionale, dove è stato visto come lo strumento per risolvere taluni problemi gestionali delle
imprese associatesi.
Anche in Italia, pur non essendo prevista una regolamentazione specifica, si sono avuti sporadici
interventi legislativi, e, di fatto, gli operatori, per risolvere i problemi di gestione di cui si discute, fanno
ricorso, di volta in volta, a diversi strumenti operativi, quali la costituzione di apposite società, il
ricorso all'istituto consortile, la stipulazione di contratti di associazione in partecipazione, o di altri
contratti atipici, incontrando comunque numerosi limiti e problemi giuridico-amministrativi.
Come si è precedentemente affermato, la joint-venture è uno degli strumenti che consentono
l'attuazione di concentrazioni e di integrazioni aziendali, che possono essere realizzate con diverse
graduazioni attraverso altri istituti economici e giuridici (acquisizione di aziende, aggruppamento di
aziende sotto lo stesso soggetto economico, fusioni). Ne consegue che occorre risalire alle motivazion
della concentrazione per individuare le cause dello sviluppo delle joint-venture.
E' fenomeno caratteristico per le comprese moderne la tendenza all'espansione delle loro dimensioni;
l'espansione è perseguita con il precipuo obiettivo di migliorare la redditività aziendale ampliando il
divario costi-ricavi che tale redditività determina.
Ampliando le dimensioni aziendali, anche a livello multinazionale, l'impresa realizza l'obiettivo di
ridurre i costi aziendali, prevalentemente attraverso la riduzione dei coti fissi unitari sui prodotti, e di
consolidare i ricavi attraverso la diversificazione e l'ampliamento dei mercati. Si realizzano, in tal
modo, le economie di scala, denominate anche economie di dimensione e di sviluppo.
L'espansione delle dimensioni aziendali comunque comporta anche un ampliamento dei rischi di
impresa, in quanto rende più rigida la dimensione aziendale. L'ampliamento delle dimensioni di
un'impresa non può essere perseguito come fine in sé della gestione, senza prescindere dalla
considerazione dei rischi relativi. Per ciascun’impresa, infatti, esiste una dimensione ottima, al di là
della quale non si presentano necessariamente economie di scala. Si verificano, infatti, e si presentan
molti casi manifesti in questi anni, che talune imprese superano la loro dimensione ottima e, come
conseguenza, per vari motivi, si manifestano una serie imprevista di fenomeni (supero di produzione
collocabile sul mercato, inefficienza organizzativa, burocratizzazione, carenze manageriali, crisi
finanziaria, ecc.) che palesano l'esistenza anche di diseconomie di scala.
Ecco che in tale ottica le imprese, allo scopo di contenere il rischio connesso all'ampliamento
dimensionale, non si sono limitate a realizzare l'espansione con le due forme tradizionali di
concentrazione, cioè l'espansione a "generazione interna" mediante l'ampliamento delle proprie
strutture produttive e di mercato o l'espansione mediante l'acquisizione d’altre imprese funzionanti.
Esse hanno usato sempre più nuove forme di concentrazione da realizzare mediante accordi con altre
imprese, che manifestano il principale pregio di conferire elasticità alle strutture aziendali interessate.
Infatti, si può dire che, in generale, gli accordi di joint-venture hanno avuto un successo notevole in
relazione alla flessibilità che essi consentono alla gestione delle imprese partecipanti. Tale flessibilità s
manifesta sia dal punto di vista economico e tecnico, che da quello organizzativo e finanziario, in
85
relazione all'oggetto d’attività delle joint-venture. La limitatezza e la precisa definizione degli impegni
stipulati fra i co-venturers fa sì che le imprese possano reciprocamente integrarsi nelle pur diverse
economie, senza che i singoli partecipanti alla joint-venture debbano da soli assumere i rischi
dell'attività o iniziativa intrapresa, beneficiando delle disponibilità economiche, di mezzi finanziari, di
organizzazione e di tecnologia, che le varie imprese insieme posseggono.
Volendo sintetizzare le motivazioni che hanno determinato e sempre più determineranno il successo
della joint-venture, si può affermare che esse s’individuano nelle seguenti, anche combinate fra loro:
% 1) l'obiettivo di realizzare economie di scala con processi di razionalizzazione produttiva e
riduzione di costi di produzione;
% 2) l'obiettivo, connesso a quanto indicato sub 1), di non irrigidire la struttura aziendale, ma di
renderla sempre più flessibile.
% 3) l'esigenza di ricorrere in modo continuo e crescente a investimenti di ricerca e sviluppo;
% 4) lo sviluppo di tecnologie complesse e costose, che possano essere utilizzate da più soggetti
% 5) i rischi crescenti della ricerca e dell'innovazione tecnologica;
% 6) gli obiettivi aziendali e dei gruppi aziendali di ampliare la propria dimensione attraverso
l'integrazione verticale e orizzontale, anche a livello internazionale;
% 7) gli obiettivi aziendali e di gruppi aziendali di diversificare la propria produzione, anche a
livello internazionale;
% 8) la presenza di legislazioni e comportamenti protezionistici nei Paesi ove le imprese
intendono estendere la propria attività;
% 9) l'incertezza sull'andamento economico nei vari Paesi d’interesse dell'impresa, con cicli
economici alterni differenziati per settori produttivi.
7.5 - Il contratto di leasing/leasing back. Il contratto di mutuo.
Il "lease" è un contratto mediante il quale un agente ottiene l'uso di una qualche proprietà, posseduta
un altro agente, per un dato periodo al prezzo di un interesse convenuto, che deve essere pagato con
rate periodiche. Alla scadenza contrattuale il contraente può restituire la proprietà o può riscattarla ad
un prezzo convenuto, computando le rate gia pagate per il leasing.
Il Leasing, differisce dal noleggio poiché in quest'ultima ipotesi non vi è la possibilità di riscatto del
bene, mentre per tutte le altre condizioni i due contratti sono simili.
Il contratto di leasing può essere applicato a qualsiasi prodotto o patrimonio reale, mentre in questi
ultimi tempi si sta diffondendo sempre più la pratica di cedere in leasing anche prodotti finanziari quali
i certificati di deposito, i certificati di investimento, ecc.
Il" lease back"è un contratto mediante il quale un agente vende una sua proprietà ad un altro agente,
per poi riprenderla in leasing dallo stesso agente. Si ricorre a questo tipo contrattuale per fini di
finanziamento, soprattutto quando si opera con beni immobili o mobili registrati.
Il contratto di leasing è una figura giuridica di diritto anglosassone, anche se la sua origine è francese,
nel nostro ordinamento giuridico è sostituito degnamente dal contratto di mutuo, ma la differenza tra i
due contratti è sostanziale, come vedremo.
Il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro o di
altre cose fungibili e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.
Le cose date a mutuo passano di proprietà del mutuatario.
Salva la diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante. Per la
determinazione degli interessi si osservano le disposizioni dell'art. 1284 c.c. Se sono convenuti interes
usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale.
Il termine della restituzione si presume stipulato a favore di entrambe le parti e, se il mutuo è a titolo
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gratuito, a favore del mutuatario.
Se non è stabilito un termine per la restituzione, questo è stabilito dal giudice, avuto riguardo alle
circostanze. Se è stato convenuto che il mutuatario paghi solo quando potrà, il termine per il pagamen
è pure fissato dal giudice.
Se sono state mutuate cose diverse dal denaro, e la restituzione è divenuta impossibile, o notevolmen
difficile per causa non imputabile al debitore, questi è tenuto a pagare il valore, avuto riguardo al temp
e al luogo in cui la restituzione si dovrà eseguire.
Se è stata convenuta la restituzione rateale delle cose mutuate e il mutuatario non adempie l'obbligo d
pagamento, anche di una sola rata, il mutuante può chiedere, secondo le circostanze, l'immediata
restituzione dell'intero.
Se il mutuatario non adempie l'obbligo del pagamento degli interessi, il mutuante può chiedere la
soluzione del contratto.
Il mutuante è responsabile del danno cagionato al mutuatario per i vizi delle cose date in prestito, se
non prova di averli ignorati senza colpa. Se il mutuo è gratuito, il mutuante è responsabile solo nel cas
in cui, conoscendo i vizi, non ne abbia avvertito il mutuatario.
Chi ha promesso di dare a mutuo può rifiutare l'adempimento della sua obbligazione, se le condizioni
patrimoniali dell'altro contraente sono divenute tali da rendere notevolmente difficile la restituzione, e
non gli sono offerte idonee garanzie.
Come si può notare, la differenza sostanziale tra il contratto di leasing e quello di mutuo è il passaggio
di proprietà del bene, che nel mutuo avviene dal mutuante al mutuatario (per questo vi è bisogno di
solide garanzie di restituzione), mentre la proprietà non passa nel contratto di leasing, per cui vi è
bisogno di minori garanzie, basate esclusivamente sulla onorabilità dell'impegno contrattuale.
Il contratto di leasing è stato una pratica comune con i terreni e gli immobili per lungo tempo, mentre
attualmente altre proprietà quali macchinari, aerei e automobili sono più richiesti in leasing. Il maggior
vantaggio per le aziende nel rapporto di leasing è quello di evitare grandi investimenti di capitali, da
una parte, mentre dall'altra è quella di contenere il rischio dell'affidamento, dal momento che continua
detenere la proprietà del bene.
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Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
7.8 - Fonti normative dei nuovi strumenti di debito.
La materia è regolata dai seguenti artt. Del d. lgs. N. 385 del 1 sett. 1993 Testo Unico delle leggi
in materia bancaria e creditizia, di seguito denominato T.U.:
! art. 115, commi 2,3,4 (lett. C, d, e) e 5 che, nel sancire il divieto di raccolta di risparmio tra il
pubblico ai soggetti diversi dalle banche, definiscono le deroghe al divieto stesso e individuano
le fattispecie che non costituiscono raccolta di risparmio tra il pubblico;
! art. 115, comma 2, secondo il quale il Ministero del Tesoro può individuare, in considerazione
dell’attività svolta, altri soggetti (diversi dalle banche e dagli intermediari finanziari) da
sottoporre alle norme sulla trasparenza delle condizioni contrattuali;
! art. 117, comma 8, che riconosce alla Banca d’Italia il potere di prescrivere che determinati
contratti o titoli, individuati sulla base di una particolare denominazione o sulla base di specifici
criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico o determinato;
! art. 130 e 131, che assoggettano a sanzione penale l’attività di raccolta del risparmio tra il
pubblico effettuata in violazione dell’art. 11 sopra citato;
e inoltre:
! dalla legge 13 gennaio 1994 n. 43, che disciplina le cambiali finanziarie;
! dalla delibera CICR del 3 marzo 1994, attuativa dell’art. 11 del T.U.;
! dal decreto del Ministero del tesoro del 7 ott. 1994 che individua le caratteristiche delle cambiali
finanziarie e dei certificati di investimento.
7.9 - Definizioni.
Ai fini della presente disciplina si definisce "raccolta di risparmio tra il pubblico", l'attività
di acquisizione di fondi con obbligo di rimborso.
Ai fini della presente disciplina non costituisce "raccolta di risparmio tra il pubblico":
a) il reperimento di risorse effettuato sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, per
i quali tale operazione si inserisce, di norma, in una gamma più ampia di rapporti di natura
economica con il soggetto finanziato. Nel contratto deve comunque risultare la natura di
"finanziamento" del rapporto stesso (tale esclusione riguarda ovviamente i soli finanziamenti e
non altre operazioni come, ad es., l'attività di gestione di valori mobiliari le quali, anche se
effettuate sulla base di trattative personalizzate, costituiscono "raccolta di risparmio tra il
pubblico").In ogni caso, il reperimento di risorse in tal modo effettuato non deve presentare
connotazioni tali (ad es., numerosità e frequenza delle operazioni) da configurare, di fatto, una
forma di raccolta;
b) l'acquisizione di fondi connessa con l'emissione e la gestione, da parte di un fornitore di beni o
servizi, di carte prepagate utilizzabili esclusivamente presso lo stesso;
c) l'acquisizione di fondi con obbligo di rimborso presso i seguenti soggetti:
- banche autorizzate in Italia e banche comunitarie di cui all'art.1, comma 2, lett. b) e d)T.U.;
- società finanziarie iscritte nell'elenco speciale di cui all'art. 107 del T.U.;
- società finanziarie capigruppo dei gruppi bancari di cui all'art. 61 del T.U.
- imprese ed enti di assicurazione mobiliare iscritte nell'albo di cui all'art. 3 della L. 2.1.91, n. 1;
- società di intermediazione mobiliare iscritte nell'albo di cui all'art. 3 della L. 2.1.91, n. 1
- società fiduciarie iscritte all'elenco di cui all'art. 17, comma 2, della legge 2.1. 1991, n.1;
- fondi comuni di investimento in valori mobiliari di cui alla legge 23 marzo 1983, n. 77;
- fondi comuni di investimento mobiliare chiusi di cui alla legge 14 agosto 1983, n. 77;
- fondi comuni di investimento mobiliari chiusi di cui alla legge 14 agosto 1993, n. 344;
- SICAV iscritte all'albo di cui all'art. 9 del d. lgs. 25 gennaio 1992, n. 84;
- fondi pensione iscritti all'albo di cui all'art. 4, comma 6 del d. lgs. 21 aprile 1993, n. 124.
Nei confronti di tali soggetti resta ferma, ovviamente, l'applicazione di norme specifiche che ne
regolino l'attività;
"raccolta di risparmio presso soci", l'attività di acquisizione di fondi con obbligo di rimborso
effettuata presso i soci. L'offerta degli strumenti nei quali tale forma di raccolta si sostanzia,
prevista nel disegno imprenditoriale della società, deve essere rivolta indiscriminatamente a tutti i
soci.
Ai fini della presente disciplina non costituiscono "raccolta di risparmio presso i soci" le singole
operazioni di finanziamento a favore della società che uno o più soci decidano di effettuare, sempre
che tali operazioni non si configurino, di fatto, come forme di raccolta;
"società finanziarie", gli intermediari finanziari esercenti le attività indicate dall'art. 106, comma
1, e i soggetti indicati dall'art. 113, comma 1, del T.U., ad eccezione delle "società di
partecipazione" che detengono partecipazioni prevalentemente nel settore industriale, con lo scopo
di coordinare l'attività delle imprese partecipate;
"società finanziarie vigilate", le società finanziarie iscritte nell'elenco speciale dell'art. 107, del
T.U.;
"soggetti vigilati", le banche autorizzate in Italia e le banche comunitarie indicate dall'art. 1,
comma 2, lett. b) e d) del T.U., le società finanziarie iscritte nell'elenco speciale dell'art. 107 del
T.U. e le società ed enti di assicurazione autorizzati ai sensi delle leggi 10 giugno 1978, n. 295 e 22
ottobre 1986, n. 742;
"raccolta a vista", la raccolta che può essere ritirata da parte del depositante in qualsiasi momento
senza preavviso o con un preavviso di 24 ore, fatte salve ulteriori clausole più restrittive.
Non si considera "a vista", la raccolta connessa con l'emissione e la gestione, da parte di un
fornitore di beni o servizi, di carte prepagate utilizzabili esclusivamente presso lo stesso;
"attività finanziaria", le attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti
sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento o di intermediazione in cambi, così
come specificate nel decreto del Ministro del Tesoro del 6 giugno 1994;
"emissione e gestione di mezzi di pagamento", l'attività di intermediazione finanziaria esercitata
mediante:
a) incasso o trasferimento di fondi;
b) trasmissione o esecuzione di ordini di pagamento, anche tramite addebiti o accrediti, effettuati
con qualunque modalità;
c) compensazione di debiti e crediti;
d) emissione e gestione di carte di credito, di debito o di altri mezzi di
pagamento.
Non rientrano nella prestazione di servizi di pagamento l'attività di recupero crediti, di trasporto e
consegna valori, di emissione e gestione - da parte di un fornitore di beni e servizi - di carte
prepagate utilizzabili esclusivamente presso lo stesso.
Destinatari della disciplina.
Le presenti istruzioni si rivolgono ai soggetti residenti in Italia. (Sia ai soggetti residenti in Italia, sia
a quelli non residenti, si applicano le disposizioni di cui al capitolo XIII delle Istruzioni di vigilanza
"Emissioni in Italia di valori mobiliari").
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
7.10 - Conclusioni.
Ogni Ente Territoriale (Comune, Area Metropolitana, Unione di Comuni, Consorzi,
Province, Regioni, ATER, ecc.) ha un patrimonio immobiliare disponibile che può impegnare come
capitale di rischio per la costituzione di una S.p.A., che abbia lo scopo di sviluppare le attività
istituzionali dell’ente stesso. La S.p.A., pur acquisendo la forma giuridica privata, conserva la
natura di “ente pubblico economico”, e può essere costituita anche con la partecipazione
maggioritaria di capitali privati.
Una volta costituita, la S.p.A. può ricorrere al mercato diretto dei capitali tramite l’emissione
di obbligazioni, di cambiali finanziarie, ecc. A questo scopo la garanzia del patrimonio immobiliare
può, e certamente è una garanzia reale imbattibile, che le permette di accedere con facilità ed
interesse ai mercati finanziari internazionali. La S.p.A. può avere tra i soci un numero pressoché
illimitato di azionisti, che possono essere scelti tra i residenti nel territorio e tra i maggiori operatori
finanziari.
Con questo strumento giuridico l’Ente può porsi sul mercato come una vera e propria
“Holding Finanziaria” e finanche svolgere attività di banking.
Nessun traguardo le è precluso per ragioni finanziarie, a patto che i suoi programmi siano
corretti e remunerativi. Possono essere soddisfatti anche gli scopi sociali, dal momento che la
redditività delle operazioni economiche trova il giusto profitto da destinare ad attività non lucrative.
Con uno spirito così rinnovato, la teoria esposta nel precedente paragrafo della premessa
storica trova una conferma evidente: “la semplice immissione di nuovo denaro creò nuova
ricchezza”.
Questo denaro è giacente nei patrimoni degli enti, anche se questi non ne sono a conoscenza.
E’ tempo che venga opportunamente impiegato.
A tal proposito ci viene in mente il patrimonio immobiliare di città come Venezia, o come Assisi
che, assillate da problemi locali di risanamento e di ricostruzione, continuano a fare affidamento
sulle rimesse dello Stato, mentre potrebbero tranquillamente procedere da soli nella ricerca di
copertura finanziaria. La laguna veneta è un patrimonio artistico e culturale “mondiale”, che tutti
sono interessati a trasformare anche in patrimonio finanziario. Manca solo la volontà degli
organismi responsabili. Questo non significa mercificare la cultura, ma nobilitare la finanza.
Ogni ente privato ha denaro dei suoi associati giacente nelle banche o in attività immobiliari molto
spesso infruttifere. E’ tempo che venga opportunamente impiegato.
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ALLEGATI
Gli allegati servono da guida per la compilazione delle tabelle, definiscono i termini tecnici e ne
spiegano il loro significato.
Le lettere numerate, riportate sul margine sinistro corrispondono alle lettere che nelle diverse tabelle
definiscono i termini da usare.
"Allegato I.doc" Allegato I.doc – descrive e spiga il contenuto dei numeri di marketing.
"Allegato II.doc" Allegato II.doc – illustra i numeri di riferimento relativi agli aspetti tecnici.
"Annex III.doc" Annex III.doc – descrive e spiega il contenuto dei numeri di produzione.
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Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
ALLEGATO I
NUMERI DI RIFERIMENTO DI MARKETING
M1
Previsione della dimensione del mercato interno in migliaia d’Euro.
Dimensione del mercato. Agli scopi del product plan, “Dimensione del mercato” indica la
somma del mercato interno e del mercato di esportazione. “Mercato interno” è la
sommatoria delle importazioni più la produzione nazionale per consumi interni. “Mercato
d’esportazione” indica il totale del mercato mondiale meno il mercato nazionale. Il “Mercato
Totale” è la sommatoria del mercato interno più il mercato d’esportazione.
La previsione numerica della “Dimensione del mercato” deve essere qualificata tramite una
spiegazione nel testo del documento, giacché il termine è soggetto a diverse interpretazioni.
Specificare, ad es., se si fa riferimento al mercato penetrabile da altri prodotti appartenenti
alla stessa classe del proprio prodotto, oppure se il prodotto può penetrare il mercato dietro
opportune modifiche o ulteriori sviluppi, oppure se il mercato è completamente nuovo, ecc.
M2
Previsione di vendita in “Numero medio di unità” per il mercato nazionale, se è possibile ed
essenziale farlo.
Numero medio di unità. Questa espressione deve essere ben definita nel testo del
documento. Quando il numero medio di unità non è lo stesso in anni differenti, ad es. per un
incremento del product mix, questo deve essere ben specificato per non invalidare altrimenti
ogni eventuale confronto. In piani di prodotto che prevedono dei sistemi, bisogna stabilire
una configurazione ben specifica per “Numero medio di unità”
M3
Riportate il prezzo medio di vendita del mercato nazionale (incluso il costo medio
dell’installazione, dell’engineering, e di altre entrate quando queste fanno parte del prezzo di
vendita), se possibile ed essenziale.
M4
Questo rigo viene calcolato moltiplicando M” per M3, e rappresenta le vendite totali del
“Mercato interno”
M5
Vendite del mercato interno quale percentuale del mercato totale. Si calcola dividendo M4
per M1 moltiplicato cento.
M6
Previsione degli ordinativi del mercato interno.
M7
Previsione del mercato esportazione in migliaia di Euro.
M8
Previsione analoga di M2 per il mercato d’esportazione.
M9
Previsione analoga di M3 per il mercato d’esportazione.
M10
Vendite sul mercato esportazione, calcolate moltiplicando M8 per M9.
M11
Vendite sul mercato esportazione come percentuale del mercato totale. Si calcola dividendo
M10 per M7 moltiplicato cento.
M12
Previsione di ordini per il mercato d’esportazione
M13
Previsione del mercato totale (rigo M1 più M7)
M14
Vendite totali dell’intero mercato (rigo M4 più M10).
M15
Ordinativi totali (rigo M6 più M12)
M16
Riportare le vendite di prodotti correlati o di servizi che ci si attende di attivare in funzione
dello sviluppo del prodotto.
Questa voce potrebbe includere pezzi di ricambio, unità di sostituzione, software,
installazione (quando questa non è stata presa in considerazione come elemento di vendita
nei righi M3 ed M9), assistenza dopo-vendita, contratti, sistemi di leasing, progetti chiavi in
mano, ecc. Il rigo M16 è definito “Valore totale delle vendite” di questi prodotti e servizi
correlati.
M17
Costi di Marketing indica il totale dei costi operativi di marketing, e dei costi di avviamento
di marketing:
- Costi operativi di marketing includono: il totale delle compensazioni (salari, stipendi,
commissioni a propri dipendenti ed altri benefit associati al fattore lavoro); costi di trasporto
e simili (incluso l’affitto di automezzi); commissioni conferite a terzi; addestramento;
pubblicità e promozione vendite; costi di acquisto (affitto) di autoveicoli; acquisizione
tecnologica (engineering, produzione, altri); trasferimento tecnologico; e tutti gli altri costi
caricati o trasferiti al Marketing.
I costi d’avviamento di marketing includono: ricerche speciali di mercato, pianificazione e
sviluppo particolari del mercato, pubblicità e promozioni particolari, costi particolari di
vendita, nonché tutti gli altri costi particolari per l’avviamento del marketing.
-
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
ALLEGATO II
RIFERIMENTI PER NUMERI D’INGEGNERIZZAZIONE, R&S
T1
Sviluppo Generale da parte dell’impresa – include tutti i costi di sviluppo del prodotto che ci
si aspetta siano finanziati dall’azienda o da terzi
T2
Costi locali di sviluppo – include tutti i costi di sviluppo del prodotti coperti dallo sponsor.
T3
Costi totali di sviluppo – è la somma di T1 più T2.
T4
Oneri di job cost – includono tutti i costi attribuibili ai job costs di prodotto (rigo P6 dei
numeri di riferimento di Produzione)
T5
Assistenza ad altri dipartimenti – copre tutti gli oneri di marketing, produzione, o di altri
dipartimenti, che necessitano in funzione del prodotto ma che non possono essere attribuiti
al job cost o al programma di sviluppo.
Questi oneri derivano dai servizi richiesti da altri dipartimenti che sono in aggiunta al
supporto normale fornito dal servizio tecnico. Un esempio potrebbe essere quello di un
ingegnere incaricato di assistere un venditore in una vendita molto tecnica.
T6
Varianza (in eccesso) in difetto dell’engineering – rappresenta lo scostamento (in eccesso) in
difetto dei costi di engineering attraverso l’applicazione di tassi di attribuzione standard.
T7
Costi totali di Ricerca, Sviluppo ed Ingegnerizzazione – è la sommatoria da T3 a T6
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
ALLEGATO III
RIFERIMENTI PER NUMERI DI PRODUZIONE
P1
Costi totali di avviamento della produzione, come riportato nel Manuale del Controller (se
esiste), includendo almeno le seguenti voci:
Sviluppo della produzione – definibile come ogni costo particolare per l’avviamento dello
sviluppo sostenuto dalla produzione, che non sono coperti dai costi di ricerca, sviluppo ed
ingegnerizzazione. Questa voce può includere i costi per la programmazione e lo sviluppo di
macchinari, nuove tecniche, verifiche di apparecchiature e processi operativi per la
produzione del prodotto.
Formazione – Questi sono costi sostenuti per l’avviamento della formazione, che può
risultare dall’introduzione di nuovi macchinari, o dal trasferimento di operazioni da una
fabbrica all’altra.
Ristrutturazione della fabbrica – include i costi di avviamento ed “una tantum”, che derivino
dalla preparazione di facilities per la produzione del prodotto.
Attrezzature speciali (non capitalizzate) – includono tutte le attrezzature particolari richieste
dal prodotto, che non sono capitalizzate a causa del loro basso costo unitario o per la loro
breve durata.
Perdita d’officina durante il periodo di avviamento – Questo rigo contiene i costi di tutte le
inefficienze (scostamenti) dallo standard per ragioni di aggiustamenti e di apprendimento.
Include, inoltre, i costi sostenuti per la preparazione delle verifiche.
Altro – Copre tutti i costi d’avviamento per le miscellanee non previsti altrove. Se possibile,
includere qui i costi d’avviamento per le installazioni.
P2
Costi di progetto in conto capitale (Produzione) – da compilarsi in conformità con le
procedure del Controller:
I costi di progetto in conto capitale è il netto di:
Somma al lordo di:
1) Acquisizione di nuovi assets
2) Principali cambiamenti e ristrutturazioni
meno: recuperi, cioè, rivendite o recuperi di scarti degli impianti sostituiti
più: costi relativi al progetto
Su un foglio allegato fornire i dettagli delle attrezzature da acquistare, quali: tipo, costo,
durata, ecc.
P3
Assets trasferiti al prodotto – sommatoria degli assets, che hanno una qualche altra utilità
corrente (es., spazio che potrebbe essere affittato), che sono invece trasferite al prodotto
piuttosto che costruire o acquistare altre attrezzature o facilities.
P4
Svalutazione consistente in due componenti principali:
1.
Svalutazione di nuovi investimenti di capitali, e di assets trasferiti al prodotto.
2.
Svalutazioni incluse in oneri diversi e in costi amministrativi e generali
P5
Costi totali standard – comprendono i seguenti costi:
Lavoro diretto – include tutto il lavoro diretto attribuibile al prodotto. Deve altresì essere
preso in considerazione ogni cambiamento sull’incidenza del lavoro sulla vita del prodotto.
Materiale diretto – include tutto il materiale diretto attribuibile al prodotto. Va considerato
ogni cambiamento sull’incidenza del costo dei materiali dovuto a sconti sulle quantità
acquistate o ai prezzi unitari durante la vita del prodotto.
Altri costi diretti – Elencare tutte le altre voci di costo diretto quali: royalties ed altri costi
diretti di produzione che possano essere considerati costi standard dalle procedure aziendali.
Includere, inoltre, ogni eventuale costo di installazione classificabile come standard.
Accertarsi che non vi siano duplicazioni contabili di voci incluse in questo rigo. (Questi
costi dovrebbero essere attribuibili agli incassi corrispondenti inclusi nel rigo M-14)
Oneri – devono essere valutati dal Controller per ogni centro di costo.
P6
Job costs ed altri costi di produzione – includono i costi di prodotto non classificabili come
standard come al rigo P5. Include, inoltre, altri costi quali aggiustamenti d’inventario, costi
di garanzia, royalties, tasse ed accise, ed oneri d’installazione classificabili come job costs.
Trasferite dal foglio riferimenti per numeri d’ingegnerizzazione, r&s (Allegato II) i costi
riportati nel rigo T4, nonché la porzione del rigo T5 che può essere considerata come
assistenza alla produzione.
P7
Scostamenti, tranne quelli di ingegnerizzazione – si riferisce ai costi di avviamento, ed
include le differenze tra i costi standard e quelli attuali per materiali diretti, lavoro diretto, e
oneri applicabili all’attività di produzione ed installazione, ma non all’ingegnerizzazione.
P8
Inventario totale – include materie prime, componenti e parti acquistate, semilavorati e
prodotti finiti che non vengono fatturati al cliente
Enrico Furia
Introduzione alla valutazione e gestione del rischio nelle imprese
ALLEGATO IV
RIFERIMENTI PER NUMERI FINANZIARI
FINANCIAL REFERENCE NUMBERS
F1
Margine standard – Questo rigo è la differenza netta tra il rigo M14 “Vendite”, il rigo P5
“Costi standard”, ed il rigo P6.
F2
Aggiustamenti d’inventario – Questo valore è calcolato dal Controller, ed include la
differenza tra valore d’inventario contabile e fisico, nonché le rivalutazioni quali quelle
dell’inventario al valore standard o a quello di mercato, nonché la cancellazione degli
aggiustamenti d’inventario obsoleto o in eccesso. Gli aggiustamenti sono normalmente
applicati al costo dei prodotti aziendali come costi d’inventario, ma sono cancellati nel
momento i cui si verificano.
F3
Altri Costi – Si includono quei costi che normalmente non sono applicati al costo dei
prodotti e dei servizi aziendali come costi diretti o oneri, ma sono caricati direttamente al
costo delle vendite. Include voci quali: costi di royalties, costi di garanzia e vendita, uso,
accise, e tasse di produzione ed assunzione.
F4
Margine d’officina – E’ la differenza netta tra il rigo F1, “Margine standard”, meno le righe
P7, “Scostamenti ecc...), F2, “Aggiustamenti d’inventario), e F3, “Altri costi”.
F5
Valutazione di R&D (Ricerca e sviluppo) – Questo rigo include la valutazione della ricerca a
livello globale nonché lo sviluppo del prodotto secondo in General Relations Agreement.
E’ calcolato come percentuale delle vendite del prodotto in accordo con le diverse
percentuali di linea di prodotto della procedura del controller.
Indicate la percentuale usata nello spazio a fianco.
F6
Profitto lordo – E’ il risultato della differenza tra il rigo F4, “Margine d’officina”, meno i
righi F5, “Valutazione di ricerca e sviluppo), T2 “Sviluppo locale”, e T6 “Scostamenti
dell’engineering”.
F7
Commissioni, Royalties, altri redditi operativi - Questo rigo va compilato dal controller
dell’unità ed include commissioni e royalties derivanti all’azienda dal prodotto e ogni
eventuale reddito del prodotto dal corso normale delle operazioni, che non può essere
normalmente incluso in altre voci di reddito.
F8
Margine dinamico – Differenza fra il rigo F6, “Profitto lordo”, il rigo F7, “Commissioni,
Royalties, altri redditi operativi”, ed il rigo M17 “Costi di Marketing”.
F9
Costi amministrativi e generali – Compilato dal controller, include tutte le spese
amministrative e generali caricate sul prodotto.
F10
Contract service charge - Compilato dal controller, include l’ammontare del contract service
charge pagabile all’azienda.
F11
Profitto operativo netto – Differenza tra il rigo F8 “Margine dinamico”, meno F9 “Costi
amministrativi e generali”, e F10, “
F12
(Profitto) Costi non-operativi – Compilato dal controller consiste nei costi (profitto) non
operativi.
F13
Interessi ed oneri finanziari totali – Compilato dal controller include tutti gli interessi e gli
oneri finanziari caricati al prodotto.
F14
Reddito netto (prima delle tasse e dei cambi) – E’ la risultanza della differenza tra il rigo F12
“(Profitto) Costi non-operativi”, e F13 “Interessi ed oneri finanziari totali), dal rigo F11
“Profitto operativo netto”
F15
Perdita (profitto) nei cambi – Calcolato dal controller, questo rigo riporta l’esposizione o la
copertura netta. Si applica solo ai dati in dollari.
F16
Tasse sui redditi – Compilato dal controller, e calcolato al tasso standard prevalente per
l’unità che effettua l’intervento, si dia effetto al credito sull’investimento e a forme similari
d’incidenza fiscale. Indicate, inoltre, l’aliquota effettiva nella casella a fianco.
F17
Reddito (perdita) netto – Questa voce è la risultanza netta del rigo F14 “Reddito netto (prima
delle tasse e dei cambi)”.
Reddito netto ricalcolato per costi (F22) di sviluppo
Costi e spese rilevanti relativi alla produzione di reddito in anni successivi possono essere
posticipati e caricati alle operazioni nei periodi in cui l’azienda ne beneficia, dietro
approvazione del controller. Normalmente questi costi sono posticipati al periodo della prevendita ed ammortizzati nei successivi tre anni.
F18
Inserire qui l’ammontare del reddito netto (perdita) come definito sopra al rigo F17.
F19
Costi d’avviamento della produzione procrastinati – Determinare la porzione di costi
d’avviamento della produzione, rigo P1, che fanno capo al periodo di pre-vendita.
F20
Sviluppo locale procrastinato – Determinare la parte dei costi d’avviamento di produzione
(come definito sub M17) che competono al periodo di pre-vendita.
Se i costi sub F18, F19, e F20 non sono stati capitalizzati nel libro giornale, aggiungeteli al
reddito netto, come riportato nei righi F18, F19, e F20 per il periodo di pre-vendita, e
riportatene l’ammortamento nei piani successivi.
F21
Effetto della tassazione sui righi F18, F19, e F20 – Questo rigo è compilato dal controller e
concerne l’effetto della tassazione delle procrastinazioni suesposte. Questo rigo dovrebbe
totalizzare zero.
F22
Riformulazione del reddito netto – E’ questo il reddito netto di rigo F17 aggiustato come
indicato nei righi F18, 19, 20, e 21.
F23
Totale dei costi di avviamento – sono la somma di P1, T2, e dei costi di avviamento di
marketing (come incluso in M17).
F24
Spese totali di progetto – La somma di rigo P2 e di quanto indicato appresso.
Spese totali di progetto (Marketing) – Su un foglio allegato fornite i dettagli delle
attrezzature da acquistare (tipo, prezzo, deprezzamento, ecc). La casella di testa deve
contenere il numero di PAR (Project Approval Number), Numero di Approvazione del
Progetto.
Spese totali di progetto (Ricerca e Sviluppo) - Su un foglio allegato fornite i dettagli delle
attrezzature da acquistare (tipo, prezzo, deprezzamento, ecc), e relativo PAR.
Spese totali di progetto (Installazione) - Su un foglio allegato fornite i dettagli delle
attrezzature da acquistare (tipo, prezzo, deprezzamento, ecc), e relativo PAR
F25
(Bisogno) eccesso di cassa – La somma del “Reddito (perdita) netto “F17”, “Reddito netto
(prima delle tasse e dei cambi)”, e “Costi di sviluppo procrastinati, capitale circolante
incrementale e deprezzamento e ammortamento”, come definito sotto:
NOTA: non duplicate i cost d’avviamento che sono contenuti in F17 e che possono essere
anche inclusi in F24 come spese correlate di progetto.
Costi di sviluppo procrastinati – si riferiscono all’ammontare d’avviamento procrastinati nel
giornale (eventualmente). Questo numero deve essere riportato tra parentesi.
Capitale circolante incrementale – Riportate l’aumento o diminuzione del capitale circolante
dal periodo precedente. Un aumento corrisponde ad un bisogno di cassa e deve essere
indicato tra parentesi; una diminuzione deve essere indicata come numero positivo (senza
parentesi). Il capitale circolante netto totale è definito come l’ammontare dei crediti correnti,
dell’inventario, della cassa, e di altre attività, meno i pagamenti ed incrementi relativi, e
meno i debiti ed i mutui bancari, necessari alla fine dell’anno per sostenere il volume di
vendite annuali del prodotto. Se il bisogno alla fine dell’anno appare distorto per ragioni
cicliche, calcolate l’ammontare incrementale dalle cifre del capitale circolante netto medio.
Deprezzamento e ammortamento– Inserite qui il deprezzamento e l’ammortamento
applicabile alle spese di capitale relative al prodotto caricati sul reddito netto, come
riportato, dei costi d’avviamento procrastinati nel libro giornale.
Come già affermato, i costi di deprezzamento sono convertiti al cambio in cui gli assets
erano stati precedentemente acquistati, e non al tasso netto attuale. e questa procedura inficia
il reddito netto di più del 10% l’anno, annotatene l’effetto in una nota del bilancio.
F26
Rientro (in anni) – Questo calcolo può essere definito come il numero di anni necessari
affinché il flusso di cassa ripaghi l’ammontare dell’investimento (spese totale di progetto più
costi di sviluppo procrastinati, più assets totali trasferiti al prodotto) e l’incremento del
capitale circolante netto, o il punto in cui rigo F25 cambia da negativo in positivo
considerato dalla data della prima spesa significativa.
F27
Ritorno dell’investimento – Si calcola come segue:
Reddito netto medio dopo le tasse
ROI = ----------------------------------------------------------------------------------------------(spese capitali, più assets trasferiti, più valore degli assets residui)
per !, più capitale circolante medio.
Reddito netto medio dopo le tasse – Sommare il reddito o perdita netta (rigo F17) di tutti gli
anni e dividere il totale per il numero di anni dall’anno della prima spesa significativa fino
alla data di abbandono del prodotto.
Capitale circolante netto medio – La somma delle richieste di capitale circolante netto per il
numero di tutti gli anni dalla prima spesa significativa fino alla data di abbandono del
prodotto.
F28
Ritorno degli Assets – Si calcola come segue:
Reddito netto dopo le tasse per il periodo annualizzato moltiplicato 100
ROA =-------------------------------------------------------------------------------------Assets totali alla fine del periodo
F29
Reddito netto esclusi interessi e oneri finanziari – devono riflettere il reddito netto dopo le
tasse che viene espresso a rigo F17 se gli interessi e gli oneri finanziari di rigo F13 sono
esclusi,
F30
Assets totali trasferiti al prodotto – Consistono nel valore contabile netto di assets
improduttivi o in uso in altri prodotti, che non sono dedicati esclusivamente al nuovo
prodotto. Includono assets di marketing e tecnici trasferiti al prodotto ed il rigo F3 “Assets
trasferiti alla produzione del prodotto”.
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ENRICO FURIA Valutazione e gestione del rischio nelle imprese