SOMMARIO IMPORTANTE SOLTANTO GLI ASSOCIATI AGLI AMICI DELLA FONDAZIONE GIULIETTI POTRANNO RICEVERE LA RIVISTA La quota di iscrizione annuale è di € 20,00 (€ 50,00 «sostenitori»; € 100,00 «fedelissimi della Fondazione Giulietti»); da versarsi sul C/C postale n. 70343140 intestato alla «Fondazione Giulietti» - Via dei Cairoli 16/C 50131 Firenze.m Codice IBAN IT 57 X 01005 02802 000000007746 CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Sostieni anche tu la «Fondazione Giulietti» Civiltà della scrittura n. 21, gennaio/marzo 2011 già «Rivista degli Stenografi» fondata a Firenze nel 1877 Organo trimestrale della Fondazione Francesco e Zaira Giulietti di cultura stenografica, calligrafica, grafica e linguistica Redazione ed Amministrazione Via dei Cairoli 16/C - 50131 Firenze Tel. 339.4262820 www.fondazionegiulietti.it E-mail: [email protected] Direttore responsabile Paolo A. Paganini Direttore editoriale Nerio Neri Hanno collaborato a questo numero: Francesco Ascoli Indro Neri Patrizia Pedrazzini Sergio Sapetti Gian Paolo Trivulzio Anna Maria Trombetti Stampa Pegaso s.n.c. - Firenze Copia non commerciabile C/C postale N. 70343140 IBAN IT57X0100502802000000007746 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 3604 del 22/7/1987 –––––––––––– Fondazione Francesco e Zaira Giulietti per lo studio, la promozione e la divulgazione delle scritture comuni e della stenografia Gabelsberger-Noe Riconosciuta con D.P.R. n. 310 del 19-1-1983 Sede legale Via dei Cairoli 16/C - 50131 Firenze Tel. 339.4262820 Codice fiscale 94010970484 Trib. Firenze Reg. P.G. n. 75 Consiglio di Amministrazione Presidente Prof. Paolo A. Paganini Vice Presidente Dr. Gianluca Formichi Segretario Nerio Neri Consiglieri Prof. Giorgio Spellucci Dr. Federico Sposato Prof.ssa Anna Maria Trombetti Collegio Revisori Dr.ssa Cristina Dattoli Dr. Gianluca Borrani Dr. Enzo Rook 1 Paolo A. Paganini Le generose battaglie di Andrea Innocenzi contro i mulini a vento dell’ignoranza 6 Gian Paolo Trivulzio Il gabelsbergeriano Mario Boni amato più dai “nemici” che dagli amici 9 Paolo A. Paganini Scritte erotiche e libertine dai graffiti di Pompei alla Legge Merlin 14 Paolo A. Paganini Andar per mostre e libri 16 Patrizia Pedrazzini Il rischio dei media: anestetizzare con la mediocrità. Ma la vita non è un reality 19 Anna Maria Trombetti Piccoli segni per grandi idee. E la Stenografia diventa Stenokalokagathia 22 Francesco Ascoli La Calligrafia nella scuola italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale (parte prima) 26 Sergio Sapetti Sotto la lente del grafologo anche la stenografia va in analisi (parte prima) 29 Paolo A. Paganini Fuori la lingua 31 L’angolo dei giochi 32 Indro Neri Navigando. Miniere elettroniche La collaborazione è aperta a tutti. I manoscritti e le fotografie non si restituiscono in nessun caso. Gli articoli firmati riflettono le opinioni dei loro autori: non necessariamente queste coincidono con le opinioni della Direzione. La Direzione si riserva di apportare eventuali tagli agli articoli ricevuti, per motivi di spazio. Le generose battaglie di Andrea Innocenzi contro i mulini a vento dell’ignornza di PAOLO A. PAGANINI Sabato 15 gennaio è mancato, all’età di 94 anni, Andrea Innocenzi. Era nato a Foligno il 7 aprile 1917. Dopo il diploma di perito elettronico conseguito a Fermo, si era laureato in Economia e Commercio a Perugia. Fu insegnante di materie tecniche e Direttore nelle scuole di Avviamento professionale industriale. Studioso di grafia, ha pubblicato saggi e libri sulla stenografia e sulla scrittura comune, interessandosi anche strenuamente della prevenzione degli incidenti stradali. Scrisse nel 2001 un libro storico biografico di successo, “L’Alleato – Il valore e la fedeltà degli italiani nella Campagna d’Africa 1940-42”, un commosso e tragico diario di guerra. E CIVILTÀ DELLA SCRITTURA ro legato ad Andrea Innocenzi da mezzo secolo di consuetudini stenografiche e amicali, sempre l’un contro l’altro armati e sempre, infine, vinti nella rappacificante tenerezza d’un abbraccio (Peccato che ci si debba “punzecchia- 1 re”, quando potremmo e dovremmo collaborare per il trionfo della Stenografia…, concludeva in uno scritto del 1996). Era Socio fondatore della Fondazione “Francesco e Zaira Giulietti” e presidente onorario della stessa. Per oltre venticinque anni ci siamo confrontati, nell’ambito della Fondazione, su molte e complesse problematiche organizzative e programmatiche, sempre da lui sostenute con una passione a volte scontrosa, altre volte puntigliosa, ma sempre leale e coerente. Da qualche anno, l’età e problemi di salute l’avevano costretto a lunghe e, poi, a definitive assenze. Ed era venuta meno una presenza attiva, dinamica, dialettica, passionale, trascinatrice e irriducibile nella difesa ad oltranza delle proprie idee. Mentalità laica e pragmatica, guardava con realistica e pugnace determinazione ad alcuni punti fermi, che considerava cardini inalienabili di una coerente fede culturale, come vedremo più avanti. Nell’ambito della Fondazione e in pubblici consessi ha sempre combattuto, lui gabelsbergeriano, un certo bigottismo gabelsbergeriano, del quale denunciava quell’intrinseco immobilismo dovuto a un conservatorismo della Scuola che, secondo Innocenzi, paralizzava ogni spinta La pagina introduttiva di “Stenografia culturale” (1968) riformista, di semplificazione e di adeguamento ai nuovi tempi. CIVILTÀ DELLA SCRITTURA C 2 oerentemente con un ideale di fervorose innovazioni, amico personale e fedele di Francesco Giulietti (strenuo e granitico difensore d’ufficio del sistema Gabelsberger-Noe), Innocenzi aveva pubblicato una pregevole grammatica semplificata del sistema G.N., Stenografia culturale, 1968, alla quale seguirono, nel 1961 e nel 1978, due eleganti edizioni di Stenografia per l’autodidatta; e, nel 1971, un prezioso trattato di tecnica e di didattica stenografica, Unità della scrittura; nel 1991, La stenografia dei posteri. Sulla spinta di un indomito entusiasmo culturale, con un’insistenza molto prossima all’accanimento (quando piantava un chiodo, non demordeva), si era poi prodigato perché venissero conosciute tutte le carte ancora inedite di Francesco Giulietti, in particolare una imprevedibile grammatica semplificata, “Studio per una nuova espressione della stenografia corsiva GabelsbergerNoe”. Opera tanto più sconcertante in quanto il noto studioso, fedele e riconosciuto custode del sistema Gabelsberger-Noe, si era sempre opposto, tutta la vita, a ogni proposta o ipotesi di riforma e di semplificazione del sistema. In realtà, a onor del vero, lo studio di Giulietti risultava in un certo senso una geniale sperimentazione di laboratorio (come ammetterà), quasi a voler dimostrare a se stesso l’impossibilità di met- ter mano all’edificio gabelsbergeriano, senza distruggerlo, tanto che, come prefatio allo “Studio”, volle chiarirne appunto le intenzioni, non come proposta di riforma, ma come esperimento. E la tenne chiusa nel cassetto fino alla morte. Innocenzi, fedele alla consegna morale di valorizzare le opere del Maestro, tanto insistè che infine vinse ogni resistenza del Consiglio d’amministrazione della Fondazione. E lo “Studio”, insieme con altri scritti inediti del Giulietti, venne giustamente pubblicato e commentato sulla nostra rivista, non come CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Alcuni esempi di script, raffrontati con analoghe scritture europee (1997) 3 opera eversiva, ma come innegabile contributo alla conoscenza del Maestro Giulietti. E ppure Innocenzi (e non solo lui) ne rimase poi sconcertato. La Scuola e i cultori della stenografia gabelsbergeriana neanche si accorsero dell’avvenimento editoriale. Una totale mancanza d’interresse. Non una polemica, nemmeno una critica, tanto meno un cenno di consenso. Una generale indifferenza al pur rivoluzionario “Studio”. L’indifferenza, sappiamo, è stato il CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Un altro studio di Andrea Innocenzi, rivolto a una scrittura abbreviata con una macchina per scrivere sillabica 4 cancro che ha intaccato nel profondo le radici stesse della cultura italiana. A ndrea Innocenzi non si è mai rassegnato all’indifferenza. Era anzi capace di vibranti indignazioni, cercando sempre nuove spinte propulsive per aprire varchi nell’accidioso muro dell’indifferenza. E, fra le tante, aprì una nuova bellicosa campagna contro l’ignoranza di Stato a difesa della scrittura comune, conscio che una nuova barbarie di selvaggi tecnocrati multimediali aveva forse definitivamente affossato il gusto e il piacere della cosiddetta bella scrittura. Ebbene, male per male, pensava probabilmente Innocenzi, tanto valeva accet- tarne le conseguenze cercando di imporre, dal di dentro, nuove regole grafiche. Si dedicò, così, a una intensa pubblicistica a favore del cosiddetto “script”, cioè lo stampatello, maiuscolo e minuscolo, ormai universalmente adottato, o tollerato, dalla stessa scuola d’ogni ordine e grado in virtù d’un presunto facilismo grafico e d’un equivoco senso della libertà personale. Con rigore scientifico, pubblicò, sull’argomento, La scrittura Leonardo, per promuovere una scrittura per mancini (1979), La scrittura dei posteri (1991), Scrittura sillabica, come contributo alla celerità di scrittura e rapidità di lettura (1995), e poi La scrittura script per destrimani e mancini (1997). E, inoltre, un’infinità di saggi, di progetti e di Quaderni. Sempre a proprie spese. CIVILTÀ DELLA SCRITTURA M 5 Il Consiglio di Amministrazione della Fondazione Giulietti si associa, commosso, al cordoglio dei familiari per la scomparsa del prof. dott. Andrea Innocenzi, illuminato uomo di cultura e appassionato cultore delle scritture veloci, socio fondatore della Fondazione e suo Presidente onorario. a la degenerazione della scrittura, sia come bello scrivere sia come applicazione corretta e sistematica dello script, dopo lo scempio di Stato con la soppressione della Calligrafia, è stata inarrestabile e gli studi dell’Innocenzi, che peraltro avevano i caratteri di una illuminata preveggenza, risalendo fin dagli anni Sessanta (incoraggiati dallo stesso Giuseppe Aliprandi, con articoli su “Studi Grafici”), finirono anch’essi nel dimenticatoio dell’ignoranza e dell’indifferenza. E i giovani continuarono a scrivere male. E a morire. La morte dei giovani sulle autostrade è stata un’altra delle angosciose campagne di Andrea Innocenzi a qualsiasi livello istituzionale, statale e ministeriale, scrivendo al Ministero dei Lavori Pubblici (6 agosto 1988; 16 gennaio 1990; 5 novembre 1993; 2 febbraio 1995; 5 giugno 1996; 6 ottobre 2000) e allo stesso Presidente della Repubblica (9 gennaio 2002). Studi sulla velocità, sulle incongruenze del Codice della Strada, sui diagrammi di frenata in caso di tamponamento, sulle diverse condizioni del terreno eccetera, sono stati un’altra martellante campagna con i toni sinceri e ispirati di una guerra santa. Ma tutti continuarono a correre. E a morire. Sull’argomento ha lasciato intensi e meticolosi scritti tecnici, come Coefficiente di sicurezza dei viaggi (1992), Per non morire sulla strada (1993), Mancanze imperdonabili (1996), con il risultato di lasciare, da una parte, le autorità competenti nel limbo di una cinica indifferenza e, dall’altra, il suo ingenuo e poetico entusiasmo nel proseguire, senza tentennamenti, nella sua indomita e sbigottita campagna contro le tragedie della strada. Alcuni anni fa, nel 1997, dopo un ennesimo “scambio di opinioni”, mi scriveva: “Ieri, a Firenze, mi ha fatto piacere sentirti dire: Non ce l’ho con te… In quanto alla mia stima nei tuoi confronti, non credo che tu possa avere dei dubbi. Solo mi duole che tu sia contrario ad ogni “innovazione” del sistema G.N... Vorrei, almeno, che tu apprezzassi il lavoro da me compiuto da molti anni…” Ora, Andrea Innocenzi, moderno, generoso Don Chisciotte contro i mulini a vento dell’ignoranza, dell’indifferenza, della grettezza intellettuale, dei tabù culturali, delle viltà ideologiche, delle ammuffite conventicole, delle ipocrite piccinerie morali, non è più. Mi rimane il rimorso di non avergli voluto bene con altrettanta generosità. Non importa. Questa volta non se la prenderà. Lui, ora, sta già polemizzando con i cari compagni di tante lotte, con Aliprandi, con Giulietti, con Rodriguez, con tutti gli altri Maestri che l’hanno preceduto. Ma, probabilmente, ora sarà anche in pace con se stesso. Lassù, non c’è niente da innovare, da riformare. Il sistema è perfetto... Il gabelsbergeriano Mario Boni amato più dai “nemici” di GIAN PAOLO TRIVULZIO che dagli amici CIVILTÀ DELLA SCRITTURA S 6 ul n. 20 di Civiltà della scrittura, Paolo Paganini ha tracciato una piccola storia delle riforme. Le riforme di cui parla sono quelle relative al Sistema Gabelsberger-Noe. E i miei ricordi mi portano ai primi anni ’60, in occasione della cerimonia di inaugurazione dei corsi al Magistero stenografico di Milano, quando, dopo la seduta d’apertura e i discorsi inaugurali, la giornata si concludeva con un pranzo. Tali incontri conviviali erano, come sempre, l’occasione per nuove conoscenze, per scambi di idee. In una di esse mi ritrovai a fianco a un signore che non era stato presentato durante la cerimonia, sia pure salutato da molti dei presenti anche se avevo notato con un certo distacco. Ci presentammo e quando udii il nome, Mario pranzo e decidemmo di incontrarci ancoBoni1, mi venne spontaneo dire: “I suoi ra. A questo secondo incontro ne seguilibri mi hanno molto aiutato a capire il rono alcuni altri, io lo invitai ad una consistema Gabelsberger Noe”. Abbastanza ferenza da me tenuta per insegnanti a Tomeravigliato mi chiese quali libri avessi rino, alla quale diedi il titolo di ‘Velocità, letto e gli dissi che il prof. Rodriguez per imperativo della tecnica e della didattica la mia preparazione agli esami di abilita- stenografica’. Analogo invito avevo indizione all’insegnamento mi aveva regala- rizzato a diverse altre persone del nostro to la Grammatica ragionata e Trattato mondo di allora, e non mi attendevo completo di abbreviazione logica (v. pag. francamente una presenza, ma ebbi il a lato). Entrambi mi furono molto utili. piacere di vederlo comparire. Il prof. Arrivando dall’apprendimento non su- Cima, che era pure presente, lo salutò perficiale del sistema Cima, che ha una con calore e lo presentò ai presenti. Durante i colloqui ebbi modo di mestruttura semplice e lineare, mi ero infatti trovato a disagio nel compulsare i vari glio comprendere la sua personalità e, da manuali dell’epoca, tutti corposi e pieni un certo punto di vista, capire il suo di sottigliezze che, francamente, non mi ‘dramma’ personale. Occorre qui ricorinvitavano ad una approfondita medita- dare che il prof. Mario Boni fu giornalizione. I libri di Boni invece, pur nella sta stenografo, dapprima a Roma poi a loro completezza, seguivano un ottimo Milano dove raggiunse la carica molfilo logico ed in particolare per quanto riguarda l’abbreviazione logica mi aveva- 1 Mario Boni (1886-1970) ha iniziato l’esercizio no consentito di capire il pensiero che della professione presso “La Tribuna” di Roma aveva generato quella tecnica abbreviati- nel 1907, poi al “Corriere della Sera” (1909-1913 e 1926-1945), al “Resto del Carlino” e all’Agenva. zia Stefani(1914-1919), all’ “Ambrosiano” e “SeÈ da tener presente che i due libri ci- colo” (1920-1926). Nel 1910, a Cremona, si clastati risalivano agli anni ’20 e quindi non sificò secondo al campionato italiano di velocità erano più reperibili in commercio. Con- stenografica a 180 parole al minuto e, nel 1914, a versammo piacevolmente durante il Milano, primo assoluto a 180 parole. Prefazione CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Da 8 anni vado predicando e affermando ad amici, colleghi e allievi a voce e in scritto o addirittura stampando o facendo stampare, che la terza parte delle mie “lezioni di Stenografia”, Abbreviazione Logica, è in preparazione, di imminente pubblicazione o addirittura in corso di stampa. Ma alla fine… tanto tuonò che piovve. Esprimo soltanto e per me stesso e per la Scuola tutta, 2 desideri, anzi 2 fervidi auguri: che i miei Colleghi gabelsbergeriani non ne dicano troppo male; che i seguaci degli altri Sistemi non ne pensino troppo bene. Mario Boni Milano, il Natale 1914 7 CIVILTÀ DELLA SCRITTURA 8 IL LIBRO MANUALE DI STENOGRAFIA G/N 25a EDIZIONE 1994 DI ENRICO NOE IN OFFERTA SPECIALE AI SOCI SI PUÒ RICHIEDERE ALLA FONDAZIONE TELEFONANDO AL NUMERO 339.4262820 to prestigiosa di capo stenografo al Corriere della Sera. Aveva partecipato a diverse gare stenografiche raggiungendo le famose 180 parole al minuto. Per le sue capacità si fece rapidamente notare all’interno della Scuola gabelsbergeriana e grazie anche alla sua profonda conoscenza dei problemi stenografici, da un punto di vista tecnico e didattico, e alla sua vasta pubblicistica, divenne segretario generale della scuola Gabelsberger-Noe e Presidente (tra l’altro) del Consiglio superiore per gli Studi stenografici (organo tecnico della Magistrale alla quale erano stati affidati i compiti di apportare modificazioni alle forme di scrittura del sistema) e fu tra i principali artefici dell’azione (che oggi chiameremmo di lobby) per far definire il suo sistema quale sistema unico per l’insegnamento nelle scuole pubbliche (1929). Il Boni aveva ovviamente alta stima dell’opera di Gabelsberger e di Noe, ma si rendeva conto che la teoria del sistema era molto complessa e difficilmente apprendibile nel limitato tempo (due ore la settimana) a cui era dedicato lo studio nelle scuole di avviamento (frequentate da allievi simili a quelli delle attuali medie) o nei primi anni degli istituti tecnici e si dedicò quindi ad una intensa attività di proposte per la semplificazione che doveva essere didattica, ma anche tecnica. Troppo lungo sarebbe ripercorrere le aspre discussioni (che sono ben presentate dal Boni stesso nella presentazione al ‘Manuale ufficiale per il pubblico insegnamento ed il Pubblico impiego’ da lui redatto e pubblicato dall’Associazione Stenografica Magistrale Italiana nel 1934), esse videro Mario Boni con l’aiuto importante di Marchesa Rossi (che era latinista di fama all’Università di Torino) osteggiato da molte persone importanti della sua scuola, a partire dal caposcuola Guido Du Ban (che tenne in diverse occasioni un atteggiamento pilatesco) e dal prof. Francesco Giulietti, che sempre votò contro. Durante gli incontri con me il Boni infatti mise costantemente l’accento sulle motivazioni tecniche e pratiche per cui occorreva a suo giudizio riformare il sistema e non riusciva a capacitarsi come mai lui non fosse riuscito ad aver successo nella sua iniziativa, nonostante le approvazioni ufficiali avvenute in molte occasioni ma alle quali non seguirono poi fatti concreti. L’ultimo atto, non indicato nella necessariamente stringata storia riportata da Paganini, fu un’azione anche qui di lobby per far emanare (ai primi anni ’40) una circolare da parte del Ministero che vietava l’insegnamento del sistema Gabelsberger semplificato in quanto ci si doveva attenere al Manuale Ufficiale. Q uesto ostracismo lo portò a disertare le riunioni del suo sistema e soltanto in poche occasioni fu presente, come capitò in quella in cui ebbi la fortuna di incontrarlo. Nel frattempo, e questo l’ho scoperto solo recentemente, lui aveva collaborato ad un manuale pubblicato in Austria di adattamento della Stenografia Unitaria tedesca per la lingua italiana. Si trattava di un manuale completo per gli stenografi che volessero riprendere bene nella nostra lingua e come tale utilizzato poi nelle scuole dell’Alto Adige2. La sua attività pubblicistica riprese su invito del prof. Mario Marchesi che iniziò una collana di Studi stenografici a cui chiamò a collaborare personalità di varia estrazione. Mario Boni tradusse e commentò molti pensieri di Gabelsberger, da lui definito ‘colui che tutto previde’ fornendo anche consigli per gli insegnanti. Alla sua morte scrissi un ricordo per il Corriere Stenografico ed il prof. Giuseppe Farulli, all’epoca Presidente dell’Eusi che era rimasto in costante contatto con Boni, mi onorò con una lettera di ringraziamento nella quale ricordava che Boni spesso ripeteva con tristezza di essere stato apprezzato più da quelli che all’epoca potevano essere definiti ‘nemici’ che dai suoi amici sistematici. 2 In Germania, il Ministro di Stato Schultz rese obbligatorio, con decisione del 17 ottobre 1924, un sistema unificato nazionale (Deutsche Einheitskurzschrift), elaborato dai rappresentanti delle maggiori scuole, Gabelsberger e Stolze-Schrey. Uno studio di applicazione di questo sistema alla lingua italiana fu pubblicato da Mario Boni in “Scienza Stenografica” (Milano), di cui era direttore, nel 1931. Un’altra applicazione della Stenografia Unitaria Tedesca applicata alla lingua italiana (Deutsche Italienische Kurzschrift) fu pubblicata nel 1950 da Lang-Tipple-Boni. c21pagan Scritte erotiche e libertine dai graffiti di Pompei alla Legge Merlin di PAOLO A. PAGANINI P CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Tariffario postribolo 9 ubblichiamo due curiosi manifestini-tariffario del secolo scorso come spregiudicato esempio ed eloquente documentazione delle cosiddette “case di piacere”. I due scritti, quello della Sora Gemma del 1932 e quello di Madama Cesara del 1938 dell’era fascista, sono il simbolo di un’epoca cosiddetta morale. Oggi, si sa, quelle “case”, definitivamente “chiuse”, hanno consentito di rivalutare una generale moralità pubblica e privata. Leggasi: sacralità della famiglia custode dei valori morali, ripristino del decoro e del pudore, rispetto dei giovani, difesa della dignità della donna, esemplarità degli uomini politici, pubblicità ovunque irreprensibili, edicole che più non esibiscono locandine scollacciate, marciapiedi ripuliti da Le stesse prostitute, se non “benemeritrans e prostitute. Oggi, insomma, con te”, erano viste con liberistica simpatia una società moralmente ineccepibile, e di normale e “onesta” frequentazione. Dante non lancerebbe più la sua invetti- Il sesso e le sue gioie erano indicate in va: “Ahi serva Italia… non donna di scritte propiziatorie perfino sugli ingressi delle abitazioni, addirittura con eloprovincia, ma bordello!”. quenti rappresentazioni iconografiche O no? Eppure il più vecchio mestiere del come simbolo di prosperità e benessere. mondo ha avuto momenti di gloriose ce- Gli esempi storicamente più famosi, sullebrazioni pagane. Nell’antichità, l’ero- le case private e sui lupanari, sono raptismo era vissuto non come licenziosità, presentati dalle testimonianze più o nel senso dispregiativo che diamo noi, meno sboccate e sessualmente elogiative cioè come offesa della morale sessuale. ed esaltatorie dei graffiti di Pompei, in un’epoca disinibita e avvezza ai piaceri della carne (prima dell’eruzione del Vesuvio – 79 d.C. – si contavano almeno venticinque lupanari). Hic habitat felicitas, prometteva una scritta. E i clienti testimoniavano la loro soddisfazione in accorati graffiti, come questo: “Candida me docuit nigras odisse puellas; odero si potero, si non invitus amabo” (Una fanciulla dalla carnagione chiara mi istruì alla ripulsa per le ragazze dalla pelle scura; le ignorerò se mi riuscirà, e se no a malincuore le amerò). E un altro, pratico e commerciale: “Eutichide, greca, di maniere garbate, costa solo due assi”. CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Avviso ai clienti 10 Un altro ancora, ispirato: “Quisquis amat valeat pereat qui nescit amare bis tanto pereat quisquis amare vetat (Chi ama prosperi, muoia chi non sa amare; due volte tanto, poi, muoia chi impedisce d’amare.) E un altro, tronfio: Restitutus multas decepit saepe puellas (Restituto ha sedotto spesso molte fanciulle). E un altro, minaccioso e intimidatorio: Aser, ab amonae loco (Papero, smamma di torno alla mia bella). E un altro, entusiasta: Mea vita, meae deliciae, ludamus parumper: hunc lectum campum, me tibei equom esse putamus (Vita mia, voluttà mia, diamo corso per un po’ a questo gioco. Sia questo letto un campo e sia io per te un destriero). Scritta pompeiana E per finire, un cliente, offeso e minaccioso: Niycherate, vana succula, que amas Felicione et at porta deduces, illuc tantu in mente abeto (Nicherate, infida zoccola, che ami Felicione e te lo porti in camporella, ricordati soltanto di quello). I graffiti pompeiani, vecchi di duemila anni, conservati sotto la coltre protettiva di lava, polveri e lapilli, nella loro semplicità popolare forniscono un interessante spaccato sulla vita dell’epoca e riassumono i vari aspetti della vita quotidiana. Anche da un punto di vista linguistico. Avere la possibilità di vedere le parole di un individuo comune, che altrimenti sarebbe totalmente dimenticato, costituisce uno dei richiami di Pompei. Questi graffiti sono redatti generalmente in latino volgare e forniscono numerose notizie sociali e linguistiche, come il livello di alfabetizzazione della popolazione. In questi testi sono presenti errori di ortografia o di grammatica, come ne testimoniano i molti graffiti licenziosi, specie in presenza dei lupanari. Ma grazie alla presenza di questi errori è stato possibile avere indizi preziosi circa il modo in cui il latino era pronunciato dai suoi locutori. Un esempio notevole è il seguente distico elegiaco “Quisquis ama valia, peria qui nosci ama[re] / bis [t]anti peria, quisquis amare vota”: un inno alla vita e ai suoi piaceri trascritto in versi metricamente regolari, ma in una lingua fortemente volgareggiante (una versione latinamente corretta sarebbe stata la seguente: “Quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare; / bis tanti pereat quisquis amare vetat”, ovvero “Evviva chiunque ama, abbasso chi non sa amare; due volte abbasso chiunque si oppone all’amore”). P oi, nel tempo, il sesso, sappiamo, nelle sue allegre forme di piacere, e gli stessi luoghi dove veniva celebrato a pagamento, pur tollerati e regolamentati, sono stati condannati agli inferi della disapprovazione, come disdicevoli ricettacoli di incontinenza sessuale e di deformazioni morali, con frequentatori ritenuti viziosi o pervertiti (pur con la presenza di rispettabili e illustri personalità della politica e della letteratura, celibi o spo- Affresco erotico a Pompei sati, senza remore morali, da Mario Soldati a Salvatore Quasimodo, da Giuseppe Marotta a Raffaele Carrieri, ad Alfonso Gatto). La stessa terminologia diventa allusiva o dispregiativa nelle sue variegate definizioni, spesso sottintendendo, in toni e perifrasi, giudizi di condanna morale nei confronti di questi luoghi del peccato, che ogni fanciulla dabbene e giovanotto di buona famiglia si sarebbero ben guardati perfino dal nominare: casa di prostituzione, o (anche ironicamente) casa di delizie, casa di piacere, il già citato lupanare (dal latino lupa = prostituta), oppure casino, bordello, postribolo (fino a diventare, ai giorni nostri, espressione comune, con altro significato: Che casino! Che bordello, per dire Che confusione! Che caos!). Fino a un certo punto della nostra storia anche recente, tutti questi “luoghi di perdizione” rappresentarono un florido commercio, tutti fornendo (come nei manifestini da noi citati e riprodotti) ammiccanti promesse di indimenticabili esperienze erotiche, con diversi trattamenti e nelle varie forme di benessere, per ricchi e “per tutte le borse”, dalla lussuosa casa di piacere per benestanti allo squallido e sozzo postribolo per “quindicine” di ragazze povere e derelitte a disposizione di giovani reclute o squattrinati studenti, sia in eleganti quartieri residenziali sia in suburbi maleodoranti e di malaffare, purché tutte queste abitazioni tenessero, per legge, le finestre ben chiuse, per non dare spetta- Il ricordo d’un giovane militare (che alla casa chiusa preferì l’aria aperta) CIVILTÀ DELLA SCRITTURA F 11 u il 20 maggio 1955 che, arruolato in aeronautica, partii per il Centro Addestramento Reclute di Siena. Trenta giorni di “Car” neanche tanto traumatici. Riuscii ad evitare molte marce di addestramento entrando a far parte della banda musicale che stavano predisponendo per il giuramento. “Chi di voi conosce la musica?”, chiese il maresciallo. Io mi dichiarai. “Cosa sai suonare?”. “Il violino”, risposi. “Hai mai visto una banda coi violini?” e ne uscì una risata generale... E così feci parte dei tre tamburini! Durante il periodo senese ho avuto modo di incontrare il presentatore Corrado Mantoni, sul palco di un teatro di Siena, durante una trasmissione radiofonica della Rai. Mi sembra che il programma si chiamasse “Campanile sera” e in quell’occasione si alternavano al microfono i militari di stanza in quella città e il teatro era gremito di commilitoni che assistevano alle esibizioni. Verso la fine il presentatore comunicò di avere a disposizione ancora diversi minuti, invitando sul palco quattro persone che si sentissero di dare sfoggio delle proprie capacità canore. Un primo, poi un secondo, poi un terzo protesero il braccio. Corrado scrutò ancora in sala e, nel brusio, spuntò il mio. Salimmo sul palco. Chiese i nomi di ciascuno poi il primo fece il suo esordio, lo fece il secondo, lo fece il terzo. Non mi ricordo se e quanti applausi seppero meritarsi. E il quarto? In quanto a me Corrado mi disse di essere dispiaciuto, ma che il tempo a disposizione era terminato. E mi congedò (dal palco!). In quell’anno erano ancora aperte le case chiuse! Questo possibile gioco di parole si concluderà nel 1958 con la “Legge Merlin”, che aboliva le case di prostituzione. Ma a Siena, una sera, con alcuni amici commilitoni, andai in una di queste “case chiuse”. Fu la prima e l’ultima occasione. Salimmo al piano superiore e ci accolsero come se fossero arrivati i principi azzurri, forse per la divisa che si avvicinava a quel colore. Una “signora”, che era alla cassa, ci fece accomodare e, sfoggiando un po’ di latino, si rivolse a noi dicendoci “Carpe diem”. Ci sedemmo. Intanto dal fondo di un corridoio giungevano le “donnine” che ci passavano davanti per farsi ammirare e proporsi. La loro età poteva variare tra i venticinque e i quarant’anni, piacevoli ma non bellissime. Sempre sorridenti, tutte molto svestite, sebbene indossassero dei veli, quasi per mitigare la seminudità. Per controbattere il latino della signora si poteva pensare alla massima Castigat ridendo mores! Ma, dopo aver corretto i costumi ridendo, una decina di minuti dopo ci accordammo per uscire. Fuori l’aria era calda, ma meno opprimente. (f.a.) colo a dirimpettai o guardoni. Donde il termine “case chiuse”. Nei testi che pubblichiamo, sono riportate le testimonianze di un giovane militare di leva (a pag. 11), che ricorda, in uno spaccato d'epoca, una fugace esperienza con i commilitoni in una di quelle case, prima che, nel 1958, venissero chiuse per davvero, con la famosa Legge Merlin 1 , e un’altra celebre testimonianza (introdotta, qui sotto, da A. M. Trombetti) dello storico e letterato Leone Caetani 2, assiduo frequentatore di postriboli. 1 Il termine Legge Merlin indica convenzionalmente la legge n. 75 – approvata il 20 febbraio 1958 dal Parlamento italiano ed entrata in vigore sette mesi dopo (il 20 settembre a mezzanotte) – che aveva come prima firmataria la senatrice Lina Merlin. Con questa legge veniva decisa l’abolizione della regolamentazione della prostituzione. Contestualmente, veniva avviata la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui e, conseguentemente, veniva decisa la soppressione delle case di tolleranza. 2 Orientalista di fama internazionale, Leone Caetani (nato a Roma nel 1869, morto in Canada, nel 1935) scrisse testi fondamentali per la conoscenza dell’impero islamico. CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Quella stenografia osée nel Diario dell’“esuberante” Leone Caetani 12 Roma, Via Capo le Case (Rione III e IV, Colonna e Campo Marzio) in origine costituiva l’ultimo tratto della lunghissima Via di Porta Pinciana, o meglio la sua prosecuzione verso la parte nuova della città, tutta ancora da costruire. Il nome, derivato da “ad caput domorum”, indica infatti che, al tempo in cui l’olandese Gaspar Van Wittel (1685 e il 1690), detto Gaspare Vanvitelli, ne dipingeva i palazzi periferici e il fondo stradale ancora parzialmente sterrato, lì finivano le abitazioni e cominciava la campagna. Nei due secoli successivi il piano urbanistico aveva trasformato i due contigui rioni inglobando sempre più strade e larghi di derivazione semirurale e, alla fine dell’Ottocento, il luogo dove era sorta la Fontana del Tritone, commissionata nel 1642 dal Papa Urbano VIII Barberini a Gian Lorenzo Bernini per abbellire il cortile privato antistante la sua nuova residenza, non era più la zona campestre alla periferia dell’Urbe, ma si avviava a diventare la celebre piazza che conosciamo. Come tutte le strade secolari di Roma e del mondo, anche Via Capo le Case ha perso nel tempo una parte dei suoi antichi connotati. Alcuni caratteri non le appartengono più se non nella memoria che se ne conserva e tramanda e che ormai si avvia a diventare già leggenda. Ecco, allora, dalle cronache ottocentesche o dai diari3 e dalle annotazioni personali, emergere traffici, frequentazioni e commerci in tutta la loro colorita e caleidoscopica vivezza, comprese quelle “particolari” attività. A Via Capo le Case sono molti gli artisti che vi alloggiano e, agli alberghi di varia categoria, si affiancano postriboli dove le cocottes offrono le loro diuturne prestazioni a clienti di tutte le specie. In uno di questi si reca di frequente anche il ventiquattrenne Don Leone Caetani, che, come molti altri rampolli dell’alta società, non si sottrae alle costumanze sessuali della sua epoca e ai concetti di virilità mascolina associata alla frequentazione delle case di piacere: frequentazione che nel suo caso diventa ossessiva, lo snerva, gli fa perdere la bella padronanza degli istinti acquistata durante i sei mesi del Viaggio scientifico in Persia, di recente compiuto. È un personaggio irriconoscibile, questo che si autodescrive nelle 26 pagine di appendice al suo stenografico Diario4. Di esse diamo solo un piccolo stralcio nell’ambito della presente ricerca5 (v. pag. 13), non ritenendo di destinare alla pubblicazione questa parte esulante in toto dagli aspetti del reportage condotto dallo stesso Caetani per motivi di studio nelle principali terre del Medioriente palestinese, arabo, turco, iraniano e curdo. Anna Maria Trombetti 3 La più illustre, diaristica testimonianza, ci viene da “La Storia di un’anima” di Santa Teresa del Bambino Gesù e del Volto santo, dove la stessa ricorda il suo viaggio a Roma nel 1887, che la vide ospite, nell’ “Albergo del Sud”, al civico 56, insieme a un gruppo di pellegrini francesi richiamati nell’urbe dal giubileo sacerdotale di papa Leone XIII. Di questa presenza femminile d’eccezione, che all’epoca dei fatti era solo una quattordicenne (al secolo Teresa Martin) e il cui progetto era di chiedere personalmente al Papa il permesso di farsi carmelitana a quindici anni, Via Capo le Case espone un busto ed una lapide. 4 “Diario di Viaggio. Persia 1894”. Autografia stenografica di Leone Caetani, decodifica di A. M. Trombetti. Cfr. “Civiltà della Scrittura”, nn. 13 e 19. 5 Nella trascrizione, i puntini di sospensione sostituiscono alcune parole particolarmente spinte, non pubblicabili. Nella figura: Gaspar Van Wittel (1652-1736) - Via Capo le Case Olio su tela, cm. 98×49 CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Traduzione dello stenoscritto di Leone Caetani 13 6 Luglio. Venerdì. 168 giorno Arrivo a Roma improvvisamente alle ore 12 ¾. Sbrigo numerosi affari, pranzo con Ninì Grazioli e la sera vado dalla contessa Bobrinski. Ritornando a casa mi fermo a Capo le Case: due con ritardo (B. 6). 7 Luglio. Sabato. 169 giorno La mattina sbrigo altri affari; colazione con i Bobrinski; pomeriggio a casa occupato. La sera pranzo con Zia Ersilia. Vado alla stazione a salutare i Bobrinski che partono. Ritornando a casa, passo per Capo le Case e mi lavoro una bolognese di nome Nerina (C. 8). 10 Luglio. Martedì Arriviamo a Parigi, scendiamo al “Grand Hotel”. Al nostro seguito è il cuoco di bordo. Giro a piedi per la città per fare qualche commissione. Visita alla Zia Thaida: fresca come sempre! Ritorno a casa dopo colazione a casa di Duval. Esco solo, termino le mie commissioni e, ritornando, passo per la rue Chaban e ... una danese molto simpatica (D. 10). La sera andiamo al Théatre dei “Menus Plaisirs”, ma io casco dal sonno e lascio Livio al teatro. 11 Luglio. Mercoledì Partenza per Londra. Mare pessimo sulla Manica. Arrivo a Londra alle 4 ¾: papà, mamma e Nella alla stazione. Pranzo in casa Crawford. Al teatro con papà e mamma: Pagliacci e Cavalleria rusticana al “Covent Garden”. Io scendo al Langhome Hotel. 12 Luglio. Giovedì Arriva Roffredo. Faccio dei giri in città con papà. Riesco ad uscire da solo soltanto nel pomeriggio. Ordino dei libri da Quaritch e ritiro dei quattrini da Coutts. La sera, dopo il pranzo in casa Crawford (faccio del baccano con Evelyn e Nella sulle misure delle ...!) vado all’”Empire” e trovo una certa Flora tanto simpatica; (...) andiamo a cena al “Globe”, poi andiamo a casa sua: me la ... saporitamente un paio di volte. (E. 12). c21mostre Andar per mostre a cura di PAOLO A. PAGANINI disegni grotteschi di Leonardo sono stati senz’altro alla base della cultura di questo stravagante artista “surrealista”. La mostra, divisa in nove sezioni, introduce, tra l’altro, il visitatore nella Milano cinquecentesca, in un percorso di disegni, pitture e oggetti d’arte usciti dalle botteghe artigianali milanesi (all’epoca rinomatissime). Fino al vivo della mostra, nella sezione “Arcimboldo a Milano”. Per informazioni: tel. 02.92800375. E fu così che l’opera di Arcimboldo venne considerata di “scuola leonardesca” Il Rinascimento lombardo al Castello Visconteo di Pavia o straordinario artista milanese Giuseppe Arcimboldo, celebrato nelle più grandi Corti europee del Cinquecento per i suoi “capricci e bizzarrie”, è in mostra al Palazzo Reale di Milano (10 febbraio - 22 maggio) in collegamento con la National Gallery of Art di Washington. L’opera di Arcimboldo (fonte peraltro di ispirazione per l’arte contemporanea) è stata curiosamente etichettata in passato come “Scuola di Leonardo”. La definizione trae origine dal fatto che i famosi l 2011 è stato dichiarato, dai governi d’Italia e Russia, “Anno delle cultura e della lingua russa in Italia e della cultura e della lingua italiana in Russia”. In questo ambito la città di Pavia ha organizzato, in collaborazione con l’Ermitage di San Pietroburgo, al Castello Visconteo, dal 20 marzo al 10 luglio, una mostra dedicata ai “Leonardeschi”, con ventidue capolavori del Rinascimento lombardo presenti nelle collezioni russe e con altrettanti dipinti della scuola di Leonardo, provenienti dalle collezioni civiche pavesi. Saranno presenti, tra le molte altre, opere di Cesare da Sesto (Sacra Famiglia con Santa Caterina), di Francesco Melzi (Flora), del Giampietrino (Maria Maddalena penitente), di Bernardino Luini (San Sebastiano), e inoltre di Vincenzo Foppa, del Borgognone. Un percorso di straordinarie suggestioni tra i famosi sfumati delle atmosfere leonardesche. Per ulteriori e più dettagliate informazioni: www. musei civici.pavia.it/leonardeschi L Giuseppe Arcimboldo: L’Acqua (1556), olio su legno di ontano, cm 66,5×50,5 Wien, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie I La cultura dell’Etruria tra l’Arno e il Tevere CIVILTÀ DELLA SCRITTURA A 14 Francesco Melzi: Flora, olio su tela, cm 76×63 San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage Cortona (presso il Maec-Museo, dal 5 marzo al 3 luglio), eccezionale esposizione di opere etrusche del Louvre, a testimonianza della civiltà e della cultura dell’Etruria, tra l’Arno e il Tevere. Quaranta oggetti, tra cui alcuni capolavori, di una delle collezioni d’arte etrusca più importanti d’Europa esposti in Italia, nel cuore dell’Etruria. L’Arianna (busto femminile in terracotta di 61 cm., del III secolo, proveniente da Falerii Novi) pervenuta al Museo del Louvre nel 1863 insieme a una consistente parte della cele- bre collezione Campana, sarà l’opera “simbolo” dell’importante mostra in programma, che prevede un’esposizione di oltre quaranta opere. Per informazioni: www.cortonamaec.org e libri CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Henry Holiday, Dante e Beatrice (1883), del pittore preraffaellita Henry Holiday, che immagina l’incontro fra Dante e Beatrice (con il vestito bianco). Dalla copertina di “Io Ghibellino esagerato”, di Maria Grazia Caruso 15 La vita romanzesca di Dante negli scrittori dell’Ottocento L a calabrese Maria Grazia Caruso, giovane ricercatrice laureata in Italianistica, già affermatasi nel panorama della pubblicistica con notevoli saggi critici e con due fondamentali volumi monografici su aspetti anche poco conosciuti della nostra letteratura, ha sempre rivelato due caratteristiche di peculiare originalità. La Caruso sa infatti affrontare i delicati argomenti della ricerca letteraria con l’autorevole sicurezza di una raffinata competenza filologica e, soprattutto, con l’amorosa sensibilità d’una accuratezza critica, tesa a disvelare e a restituire i risvolti rivelatori e spesso segreti della più intima personalità dei personaggi da lei affrontati. L’ultima sua fatica ne è un’ulteriore dimostrazione, con l’aggiunta di una capacità divulgatrice semplice e coinvolgente. Io ghibellino esagerato, uscito per i tipi di Manni (Lecce, 2010), porta un sottotitolo che subito chiarisce l’ambito della ricerca: “La vita di Dante in alcuni racconti dell’Ottocento italiano”. Gli autori ottocenteschi di questi racconti, Gaetano Buttafuoco, Erasmo Pistolesi, Agostino Verona, Cesare Scartabelli, Luigi Capranica, Ausonio Vero, Fedele Luxardo, Pietro Selvatico e Cesare Da Prato, in una scrittura tra il racconto storico e la realtà romanzesca, sono ignoti ai più. La certosina, affettuosa ricerca della Caruso li riporta fuori dal cono d’ombra dell’oblio, pubblicandone antologicamente i testi e facendone un’esegesi critica, che rappresenta l’apparato più interessante dell’operazione. Nell’asfittico panorama critico-filologico della letteratura italiana contemporanea, i più sensibili osservatori del giornalismo italiano ne hanno subito fiutato l’originalità e se ne sono appropriati nelle competenti pagine di cultura dei nostri giornali. Eccone alcuni. Maurizio Cucchi su Avvenire (21 dicembre 2010) scrive tra l’altro: “I loro scritti (degli autori ottocenteschi, n.d.r.) costituiscono un piccolo patrimonio da considerare soprattutto per due ragioni: la conferma ulteriore del diffusissimo amore per Dante e il suo valore di figura esemplare e centralissima nella costruzione dell’identità nazionale…” Giuseppe Amoroso, su Il Tempo (5 dicembre 2010): “Libro di indagine critica capace di coniugare felicemente una rigorosa documentazione con l’estro di una lettura che carpisce tutte le pieghe dei più riposti significati…” e su La Gazzetta del Sud (28 ottobre 2010): “… si può con certezza riconoscerne la straordinaria efficacia degli obiettivi raggiunti, il loro ventaglio di sempre nuove illuminazioni…” Mario Grasso, su La Sicilia (17 gennaio 2011): “Basterà leggere il corposo e illuminante saggio introduttivo per farsi un’idea della messe di materiale studiato…” Armida Parisi, su Roma (7 gennaio 2011): “Pagine da riscoprire e assaporare, soprattutto per la passione autentica che ne traspare. Pagine su un’Italia sognata e mai realizzata, in cui si ritrovano impressionanti precognizioni di presente…” c21pedra Il rischio dei media: anestetizzare con la mediocrità Ma la vita non è un reality di PATRIZIA PEDRAZZINI L’ CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Il tavolo dei relatori. Al centro il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano 16 Italia? Una nazione in preda a una sorta di isteria permanente. Fatta di personalizzazioni, esasperazioni, drammatizzazioni. Comunque, di eccessi. Senza i quali, evidentemente, la vita di tutti i giorni, il banale, insipido “quotidiano”, nemmeno meriterebbe di essere raccontato. Questa, per l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, la poco entusiasmante immagine che gli attuali mezzi di comunicazione – giornali o televisioni che siano – offrono del Paese. Intervenendo, come da tradizione l’ultimo sabato di gennaio, all’annuale incontro con la stampa in occasione della ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti (che cade il 24 del mese), l’alto prelato non ha usato mezzi termi- ta a lungo e finisce per generare assueni. “Se ogni pioggia è un diluvio, se tut- fazione”. ti gli immigrati sono delinquenti, se Per non parlare della terza conseogni politico è un corrotto, se ogni in- guenza di questo singolare modo di fare fluenza è una pandemia”, si è chiesto, giornalismo, ancora più grave e pesante chi salverà l’abituale fruitore di giornali delle prime due: la rassegnazione. “Sono e tv dall’ansia provocata da questo stile tante – ha detto Tettamanzi – le persone fuorviante? O, peggio ancora, chi o che che si stanno rassegnando alla mediocosa gli impedirà di ritrovarsi pressoché crità. Assistiamo all’eccessiva esibizione anestetizzato davanti a ciò che gli acca- del privato in pubblico. Troppi programde intorno? Perché “se è sempre emer- mi sono fondati sull’esposizione oltre genza, non sarà mai emergenza”, men- misura dell’intimità delle persone. Una tre “la tensione non può essere sostenu- tendenza che, andando oltre i reality, sta contagiando ogni campo della comunicazione. E non sempre è un privato esemplare quello che viene mostrato: spesso è stereotipato, caricaturale, se non addirittura patologico e grottesco. Anzi, se fosse normale, non sarebbe interessante mostrarlo”. Quasi si volesse diffondere l’idea, non esaltante ma tanto comoda, che “così fan tutti”. Da un lato allora banalità e mediocrità, dall’altro enfasi e spettacolarizzazione. E la colpa, questa volta, non è, come ormai siamo abituati a raccontarci, di internet. Anche se, a ben guardare, un po’ di responsabilità le moderne tecnologie e i moderni canali di comunicazione se la devono prendere anche qui. Ma CIVILTÀ DELLA SCRITTURA La testata del prestigioso giornale americano. A sinistra del titolo: “All the News That’s Fit to Print” (Tutte le notizie che vale la pena di stampare) 17 solo un po’. “Oggi – ha detto all’incontro milanese il direttore de “La Stampa” Mario Calabresi – i giornali sono rimasti praticamente gli ultimi a dare le notizie. Oggi l’informazione è ovunque. Basta aprire un computer, basta una chiavetta, e si è travolti da una massa enorme di notizie. Certo, si tratta di una ricchezza, ma quanto tempo ci lascia, questa ricchezza, per farci un’opinione? Quando gli stimoli sono troppi, la confusione è dietro l’angolo. E il giornalismo non è pubblicare tutto, non è scaricare sul lettore qualunque cosa, bella o brutta, utile o inutile, quasi a dirgli: tieni, arrangiati”. “All the News That’s Fit to Print”: “Tutte le notizie che vale la pena di stampare”. È la scritta che accompagna la testata del “New York Times”, e dovrebbe dirla lunga su che cosa dovrebbe essere un giornale. Ma di questi tempi, o quanto meno da noi, un simile, anglosassone invito alla misura e alla responsabilità non sembra trovare molti simpatizzanti. Troppa fatica vagliare, scegliere, prendersi la responsabilità di rinunciare a sparare in prima pagina un fatto solo perché fa vendere, dare delle chiavi di lettura. Molto più facile scavalcarlo, il senso delle proporzioni, e puntare tutto sulla facile, e per l’appunto facilmente “vendibile”, spettacolarizzazione. “Un tempo – è stata l’amara riflessione di Calabresi – sul morto si stendeva un lenzuolo. Oggi quello stesso lenzuolo lo si solleva. Siamo andati troppo oltre”. “Oggi – gli ha fatto eco il direttore di “Famiglia Cristiana” Antonio Sciortino – non importa che i fatti siano veri. È sufficiente che siano verosimili. Va così. I media, più che per informare, vengono utilizzati come strumenti di consenso per battaglie politiche e di potere, come armi mediatiche per distruggere qualcuno. Oggi, se tu dici qualcosa, non ti si risponde nel merito: ti si attacca personalmente per delegittimarti. Questo non è da Paese civile”. Una barbarie grazie alla quale, quasi senza far rumore, si è passati dai dossier di approfondimento al dossieraggio, finalizzato a colpire e ad affondare la vittima di turno. In gergo, si chiama “Metodo Boffo” (dal nome del direttore di “Avvenire” costretto alle dimissioni nel 2009 a seguito della pubbli- cazione, sulle colonne de “il Giornale”, di una serie di attacchi personali per un presunto caso sessuale). Ma va benissimo anche la definizione di Sciortino: killeraggio mediatico. “Che i giornalisti facessero i giornalisti, e basta”. E cco allora l’invito, scaturito da più parti durante l’incontro, a fermarsi davanti al dolore, a non trattare le tragedie umane come se si fosse tutti al “Grande Fratello”, a non calpestare la dignità delle persone. E a guardarsi anche dagli infidi, solo apparentemente veniali, peccati di omissione. “Siamo ancora agli stereotipi, ai luoghi comuni – ha sottolineato il direttore di “Famiglia Cristiana” – Quante volte, in un servizio sugli immigrati, troviamo per esempio scritto che gli stranieri concorrono per il 10% alla ricchezza del Paese? Non è sulla libertà della stampa che dovremmo farci domande, ma su quella del giornalista”. Libertà e informazione: un binomio oggi più che mai sofferto: “La gente ci considera sempre al servizio di qualcuno o di qualcosa. E noi stessi abbiamo un po’ perso l’iniziale trasporto per la ricerca della verità, abbiamo ceduto all’omologazione, abbiamo anteposto il gossip al racconto delle guerre dimenticate. Non è questa la strada”. “Prendiamo – ha detto nel suo intervento il direttore del Tg de «La7» Enrico Mentana – il caso di Avetrana e della povera Sarah Scazzi. Che cosa si è fatto in quell’occasione? Si è preso un fatto di sangue e lo si è trasformato in un reality. Niente, e nessuno, è stato risparmiato. Secondo la vecchia logica contadina per la quale, del maiale, non si butta via nulla. Ora, vada anche che la crisi economica dell’informazione possa costringere i giornali ad adeguarsi alla realtà e alle esigenze commerciali, ma il nostro ruolo non è mettere in piedi dei reality. È scegliere, è dare le notizie. È raccontare senza faziosità, e magari anche senza curarsi del fatto che le notizie che si danno siano a vantaggio o a svantaggio di qualcuno”. Ma non va proprio così. “So bene – ha commentato il cardinale Tettamanzi – che le notizie che hanno il sapore della normalità raramente troveranno posto sui giornali e nelle te- levisioni. Ma, mi chiedo, che cosa è «normale» oggi? Dai mezzi di comunicazione emerge, per esempio, una classe politica che tende a mettere al centro della propria azione le vicende personali dei suoi più diversi protagonisti. Certo, nessuno chiede di tacere episodi, fatti, denunce, indagini che riguardano quanti sono chiamati ad animare e a guidare il Paese e dai quali tutti attendono esemplarità, nel pubblico e nel privato. Ma, mi domando ancora: giornali e tv contribuiscono davvero a costruire e a promuovere la pubblica opinione quando si lasciano contagiare dal clima avvelenato e violento causato da una politica che dimentica o sottovaluta i bisogni reali e concreti delle persone?”. Di qui l’appello, non certo a tacere gli scandali, veri o presunti non fa differenza, ma nemmeno a esaurirsi nel racconto degli scandali stessi. Tornando magari a osservare e ad analizzare un Paese reale che è sempre meno raccontato con onestà e intelligenza. Rifiutandosi di fare da cassa di risonanza di qualcosa o di qualcuno. E sollevandolo, quel famoso lenzuolo bianco. Ma non per indugiare sulla morte e sull’orrore. Bensì per far venire alla luce, e far conoscere a tutti, la corruzione, la criminalità, l’omertà. Quelle sì “notizie che vale la pena di stampare”. RINNOVA L’ISCRIZIONE 2011 CIVILTÀ DELLA SCRITTURA SOLTANTO GLI ASSOCIATI AGLI AMICI DELLA FONDAZIONE GIULIETTI POTRANNO RICEVERE LA RIVISTA 18 La quota di iscrizione è fissata in euro 20,00 euro 50,00 «sostenitori», euro 100,00 «fedelissimi» da versarsi sul C/C postale n. 70343140 oppure con versamento bancario codice IBAN IT 57 X 01005 02802 000000007746 intestato alla «Fondazione Giulietti» Via dei Cairoli 16/C - 50131 Firenze Piccoli segni per grandi idee E la Stenografia diventa Stenokalokagathia di ANNA MARIA TROMBETTI CIVILTÀ DELLA SCRITTURA S 19 ono molte le definizioni che sono state coniate in epoca antica e moderna, della Stenografia, intese ad evidenziarne, quando le prerogative funzionali di sinteticità e velocità, quando il binomio ontologico di arte e di scienza, quando ancora le correlazioni culturali, disciplinari e di sociale impiego con le esigenze di fissazione dei discorsi in questo o quell’ambito in cui tali esigenze abbiano a rivelarsi: persino il settore bellico delle comunicazioni, meno di cento anni or sono, fece uso del mezzo stenografico raccogliendo l’incitamento del generale Cadorna a portare “la Stenografia sui campi di battaglia”. Da ciascuna definizione, a qualunque contesto temporale appartenga, traspare un quid di considerazione immensa per le potenzialità di quali Francesco Crispi – i quali vedono questa modalità scrittoria affidata unica- nella Stenografia “uno spauracchio demente ai virtuosismi della mano e, come gli uomini di poco ingegno” o “il flageltale, dotata di perfetta autonomia, di lo dei cattivi oratori”. Qualche decennio estrema duttilità alle circostanze di ripre- dopo Vittorio Emanuele III di Savoia, sa, di immediatezza e praticità d’uso e, evidentemente riflettendo sugli storici non ultimo importante requisito, di eco- corsi e ricorsi che ne avevano segnato le nomia di mezzi e di costi. alterne vicende (caduta dell’impero roQualche volta, la celebrazione delle mano d’occidente, imbarbarimento della sue lodi è avvenuta in forma indiretta, o lingua latina, parentesi medievale, ripremagnificando la valentia degli stenografi sa rinascimentale e diffusione su larga di portarne ad eccellenza l’arte sopraffi- scala a seguito della nascita dei parlana, o stigmatizzandone gli effetti “nega- menti e dell’attività giornalistica), inditivi” collaterali. Nel primo caso sono da vidua una stretta relazione tra il suo ricordare, tra i tanti esempi, l’epigramma “brillare” e il “progresso dei popoli”. 218 (libro XIV) di Marziale “Corran Con l’affermarsi ed il progredire depure le parole; la mano è più veloce di gli studi linguistici, che tanto favore e quelle... Non ancora la lingua (le ha pro- sviluppo hanno incontrato nel secolo nunciate) che la mano ha compiuto la trascorso, aprendosi a tutto campo alle sua opera” e l’ode di Decimo Magno indagini storico-sociologiche e geneAusonio (IV secolo): “O abile scritto- rando nuove visioni e riproposizioni re…con semplici segni tu esprimi un lun- della struttura e della didattica grammago discorso come fosse una sola paro- ticale, la riflessione si è fatta più la…Vorrei che la mia mente fosse tanto profonda e la Stenografia – là dove si è veloce nel concepire i pensieri quanto è arrivati a superarne il concetto meraveloce la tua mano nel prevenire le mie mente tecnicistico o economico/utilitaparole…”; nel secondo caso, – e siamo a ristico che in un recente passato ha prequindici circa secoli di distanza – fa ri- valso presso gli editori di testi didattici flettere la caustica ammonizione conte- e le scuole elargitrici di lezioni private – nuta nelle parole di Giulio Verne e di al- è stata riconosciuta di essere essa stessa cuni personaggi che gli fanno eco – tra i una “linguistica applicata”. E mentre CIVILTÀ DELLA SCRITTURA 20 Tavola sinottica dei 4 sistemi stenografici ufficiali da “Dattilografia e elaborazione testi” Le Monnier, Firenze 1990, p. 173, di Maria Fiumetti e Leonarda Amadesi una sconsideratissima riforma scolastica, e la non meno perniciosa riforma giudiziaria, ne escludevano sia l’insegnamento pubblico che l’inserimento tra gli strumenti contemplati dal codice di procedura penale per la verbalizzazione nei tribunali (con ciò dando prete- sto alla stessa Camera dei deputati di allinearsi anch’essa sulla medesima direttrice), la consapevolezza della dignità e dell’importanza sempre attuale della “Stenografia, Signora della comunicazione” (titolo scelto per l’ultimo Congresso ANISDEC del 1992) non abban- IL LIBRO CIVILTÀ DELLA SCRITTURA STORIA DELLE SCRITTURE VELOCI 21 DI FRANCESCO GIULIETTI IN OFFERTA SPECIALE SI PUÒ RICHIEDERE ALLA FONDAZIONE TELEFONANDO AL NUMERO 339.4262820 donava il campo e riorganizzava le fila per trasferire al Terzo Millennio il prezioso deposito culturale accumulato. Oggi, nuovi studi, nuove giovani presenze si sono fatte strada nel nome di una logica certezza: finché durerà la scrittura manuale, vi sarà avvenire per la “Regina delle scritture”, insuperabile nel suo mix di tradizione e di futuro. E si giustificheranno ulteriori approfondimenti ad ampio raggio sui caratteri tipologici dei singoli sistemi, tanto diversi tra loro eppure dotati di una propria, distinta validità strutturale (non s’intende, qui, un’equipollenza tout court, ma il fatto che la funzionalità costitutiva di ogni metodo stenografico è in grado di essere padroneggiata a livelli ottimali da coloro che lo utilizzano); sulla superiore flessibilità della scrittura stenografica rispetto a qualunque altra forma di grafia manuale e non (questione nient’affatto pleonastica o retorica, ma che consente di ricavare una previsione empiricamente verificabile di sopravvivenza maggiore rispetto a metodologie legate a questa o quella apparecchiatura); sull’immenso accumulo di materiale documentario costituitosi nei secoli e che necessita di essere reperito ed indagato; sul problema della formazione; su molti concetti complessi e ancora poco esperiti. Ed ecco un’interessante e originale traccia di approfondimento conoscitivo proposta dallo studioso Massimiliano Motti, stenografo, resocontista, germanista, membro dell’ASMI e collaboratore di Scripturae Munus, il quale scopre, nel Gabelsberger-Noe, “una sorta di realizzazione di kalokagathia”, cioè di “quell’ideale ellenico di perfezione che fonde etica ed estetica”. Ed indicandoci una prima fonte di riferimento per la nostra acculturazione, riporta quanto segue: “Kalokagathia è l’adattamento di un’espressione greca (καλòς ’ καγαθóς, kalòs kagathòs, crasi di ’ καλòς και αγαθóς, kalòs kai agathòs). Il termine kalokagathia esprime come sostantivo astratto il concetto condensato nella coppia di aggettivi καλóς καγαθóς (“kalòs kagathòs” è la crasi di καλóς και αγαθóς), la cui polirematica significa, letteralmente, bello e buono. Con questi termini si indicava nella cultura ellenica l’ideale di perfezione umana: l’unità nella stessa persona di bellezza e valore morale, un principio che coinvolge dunque la sfera etica ed estetica ed estende la propria influenza anche sull’arte ellenica. Oltre a questo la kalokagathia in senso lato indica la reale fusione, per la cultura greca antica, di etica ed estetica; per cui ciò che è bello deve necessariamente essere anche buono”. È un concetto antico che il platonismo allargò ad una terza qualità morale: il “vero”, e che ritorna costantemente ai nostri giorni. Come non ricollegarsi agli studi che Benedetto Croce inserì nella sua “Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale”? Non è stato lui a classificare “sentimento” l’attività spirituale concomitante di ogni altra forma di attività? A sostenere che “la scoperta di una verità… produce una gioia che fa vibrare tutto il nostro essere”? Tesi, questa, pienamente comprovata dal trasporto che è nelle parole di Massimiliano Motti: “Oggi il gabbiano1 ha voluto compiere un volo interstenografico inoltrandosi nella sua biblioteca privata, curiosando fra gli scaffali e aprendo quel libro di dattilografia che utilizzava durante il corso di studi superiore. Ed ecco emergere un bellissimo esempio di lettera commerciale redatto nei quattro sistemi. Lo voglio inviare condividendo con chi lo riceverà la gioia nell’osservare i quattro sistemi a confronto e tutti relativamente allo stesso testo. Lo trovo un magnifico esempio di confronto visivo, di critica comparata, di vera bellezza…” La lista delle qualifiche della nostra Disciplina scrittoria si è dunque arricchita di una nuova denominazione: basta premettere “Steno” a “kalokagathia”… Quale inestinguibile fonte d’ispirazione non è questa “permanente compagna” dei nostri pensieri! Sarebbe da immaginare una luminescente insegna pubblicitaria con queste cinque brevi parole: “Piccoli segni per grandi Idee”... Da tempo, il termine “gabbiano” è considerato la forma contratta di “gabelsbergeriano”, cioè GAB(B)... IANO. 1 Calligrafia La nella scuola italiana dall’Unità alla Seconda guerra mondiale (parte prima) di FRANCESCO ASCOLI Il presente excursus è un estratto dell’importante studio, che il Prof. Francesco Ascoli, uno dei massimi esperti e storici della Calligrafia, ha pubblicato, nel 2010, in lingua inglese, sulla rivista History of Education & Children’s Literature. Introduzione I nsegnare a scrivere fu per molto tempo una prerogativa della tradizione calligrafica. Questa materia entrò a far parte del cursus studiorum a pieno titolo attraverso l’esperienza francese napoleonica da una parte e quella austriaca dall’altra. Tuttavia il dibattito sull’insegnamento CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Uno storico manuale del 1786 22 della lettura e della scrittura, avviatosi con l’avocazione allo Stato della questione educativa, aveva aperto a sperimentazioni e a riformulazioni nuove: il mutuo insegnamento, l’insegnamento simultaneo di lettura e scrittura furono questioni nelle quali la calligrafia non ebbe diritto di accesso. Non mancarono iniziative di singoli maestri di scrittura che proposero nuove soluzioni e nuove metodologie pedagogiche, tutt’altro; ma il loro contributo non riuscì ad incidere sul dibattito pedagogico in maniera significativa, specialmente in Italia dove la tradizione calligrafica si era interrotta o quanto meno significativamente ridimensionata già da molto tempo. Non si ritenne più necessario un insegnamento di tipo calligrafico per le scuole primarie. I programmi dell’Italia unita mettono in guardia i maestri dall’esagerare con la calligrafia. Famosa è la formulazione: “Non è ufficio delle scuole elementari il formare dei calligrafi” recitavano i programmi del 1867. D’altra parte, non si poteva nemmeno pretendere che i nuovi maestri fossero anche dei calligrafi, spesso sapevano loro stessi a mala pena leggere e scrivere. Ciò nonostante, almeno per un certo periodo di tempo, alcuni grossi comuni come Milano o Torino si permisero di assumere un professore di calligrafia nelle scuole elementari, e rimasero comunque adottati metodi calligrafici anche per quelle scuo- le. La tradizione calligrafica invece assunse a pieno il suo ruolo nelle scuole secondarie, cioè nelle tecniche e nelle normali, dove l’allievo imparava i vari stili, a metterli insieme, a saperli dosare e utilizzare in varie dimensioni e per gli scopi più diversi. CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Nell’illustrazione: Il trattato con il quale Giovanni Colombini sosteneva, nel 1902, la bontà della “scrittura diritta” 23 La calligrafia nelle scuole primarie Nei programmi Casati del 1860 la calligrafia entra a far parte del curriculum a partire dal secondo anno con laconici “esercizi progressivi”, aggiungendo, nelle istruzioni ai maestri relativa alla seconda classe, che “[il maestro] eserciterà specialmente gli alunni nella scrittura fina e spedita”, senza per altro specificare in che cosa consistesse esattamente questo tipo di scrittura. Molti calligrafi argomenteranno infatti che non è possibile, per dei bambini di quell’età, riuscire a tracciare caratteri minuti e rapidamente. I programmi del 1888 prevedevano il procedimento di lettura e scrittura contemporanea. Anche qui i programmi indicano che gli allievi debbano scrivere “il corsivo ordinario in modo nitido e spedito”. Tuttavia, erano i maestri, non i professori di bella scrittura, a dovere insegnare nelle scuole primarie e non era pertanto più interesse di questi ultimi occuparsene. Si sentì comunque presto anche la preoccupazione di dover dotare gli insegnanti di sussidi didattici anche per l’insegnamento della scrittura. Uno dei metodi più diffusi a tal proposito fu ad opera di due maestri A. e C., Guida teorico pratica per l’insegnamento e la correzione della scrittura, pubblicata nel 18691. Ad ogni modo, non furono pochi i calligrafi che pubblicarono metodi anche per le scuole elementari, sia perché si sentivano moralmente e responsabilmente investiti di quel compito, sia perché i manuali rappresentavano comunque una fonte di guadagno, ancorché non grande. Giovanni Thevenet era uno di questi insegnanti che svolgeva la sua missione sia nelle civiche scuole elementari di Milano sia nelle locali scuole tecniche. Autore di diverse pubblicazioni, scrisse, fra l’altro, un opuscoletto dal titolo: “La scrittura nella prima classe elementare” pubblicato a Milano nel 1878 in cui critica sia l’insegnamento simultaneo della lettura e della scrittura, sia l’abitudine di molti maestri di far iniziare l’insegnamento della scrittura con asteggi di dimensioni esagerate. Dopo che si era affacciata alla ribalta delle questioni pedagogiche l’insegnamento simultaneo della lettura e della scrittura, i metodi fonematici o sillabici, un altro fantasma verso la fine del secolo XIX cominciò a disturbare i sonni dei calligrafi: la questione della scrittura diritta/inclinata. In Francia, in alcuni congressi nel 1862 e nel 1879, medici e igienisti condannarono la scrittura inglese pendente, considerata fonte di danni agli occhi e alla schiena. Il dibattito sulla scrittura inglese diritta o pendente fu acceso e serrato. La questione fu ripresa e discussa nel primo congresso nazionale degli insegnanti di calligrafia tenutosi a Roma nel dicembre 1901. Uno dei relatori, Giovanni Colombini, direttore del periodico Scuola Fiorentina, ne traccia la storia sostenendo la scrittura diritta e le Sotto la sigla A. e C. si celavano in realtà due fratelli delle Scuole Cristiane, frate Genuino Andorno e frate Silvestro Cathiard, prolifici autori di testi scolastici. 1 Una tavola con gli esempi del Corsivo inglese CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Qui invece sono indicati i caratteri della “Scrittura rotonda” 24 sue ragioni mentre inizia e continua l’ostracismo verso la classica scrittura inglese pendente. Scrive il Colombini nella sua relazione: “La Società di Medicina di Parigi con voto unanime nel 1879 condannò la scrittura pendente. Nel 1882 un simile voto fu espresso dal Congresso internazionale d’igiene di Ginevra”. Nel 1881 il dottor Emile Javal nella “Revue Scientifique” segnala come causa del diffondersi della miopia la scrittura inclinata e suggerisce la conseguente adozione della scrittura diritta seguendo il mot- to di George Sand: “Ecriture droite, papier droit, corps droit”. Seguirono numerose iniziative medico-scientifiche e pedagogiche. Il congresso d’igiene di Londra e l’Accademia di medicina si schierarono a favore della scrittura diritta. Un’inchiesta presieduta da Ferdinand Buisson, Emile Javal e altri stabiliva che la scrittura diritta era preferibile a quella inclinata. La differenza fra l’ipotesi francese e italiana era quella che mentre qui la scrittura verticale era, in sostanza, un’inglese raddrizzata, per i francesi si CIVILTÀ DELLA SCRITTURA 25 TI SEI RICORDATO DI RINNOVARE L’ISCRIZIONE AGLI AMICI DELLA FONDAZIONE? trattava di voler ritornare alla scrittura in voga prima dell’adozione dell’inglese, la vecchia ronde. In ogni caso, i calligrafi dovettero schierarsi per l’una o l’altra e non furono pochi quelli che, indignati, propugnavano accanitamente la scrittura inclinata. Prosegue il Colombini enumerando numerosi esperimenti al riguardo in cui magnificava con toni trionfalistici il successo della scrittura diritta ovunque. Nel 4 gennaio 1899 il dott. prof. Uberto Dutto, incaricato dal ministro Baccelli, presentò una favorevole relazione sul metodo Colombini della scrittura diritta. Detto metodo fu presentato anche a Napoli nell’anno seguente ad un congresso internazionale di Educazione fisica. Seguirono vari altri “esperimenti” di scrittura diritta, a Firenze, Lucca, Napoli. A Trieste, ancora austriaca, Lorenzo Gonan, maestro elementare e direttore della rivista “Raccoglitore Scolastico” invece fallì nel suo tentativo di introdurre la scrittura diritta; tuttavia il fatto è spiegato dal maestro a causa di un opuscolo guida scritto in tedesco che aveva creato confusione e anche un certo moto di ribellione: “Se tutti i docenti fossero stati obbligati – scrive il maestro triestino – a fare l’esperimento ed avessero ricevute le istruzioni nella propria lingua, il resultato sarebbe stato, secondo me, l’adattamento della scrittura verticale”. Il convegno dei calligrafi concluse riguardo questa questione che la scrittura diritta non aboliva quella pendente, ma si affiancava a questa e che quindi potevano convivere tranquillamente. I programmi scolastici recepirono gradatamente queste istanze, a partire dai programmi Orlando del 1905 che iniziarono a suggerire accanto al corsivo la scrittura diritta, raccomandandola successivamente sempre di più fino ad ammetterla nel 1955 come unica forma di scrittura. La calligrafia nelle scuole primarie ebbe quindi vita breve e contrastata. Fino alla legge Daneo-Credaro, la scuola primaria era avocata ai comuni e solo quindi quelli più importanti, come Milano o Torino, potevano permettersi di avere maestri qualificati o di pagare un incaricato per l’insegnamento che potesse coadiuvare i maestri nel loro difficile compito. La calligrafia vera e propria era materia di scuole secondarie e normali. Con la rifor- ma Gentile del 1923, la calligrafia nelle scuole primarie fu sostituita dalla “bella scrittura” associata al disegno. Come era nello spirito della legge, i programmi raccomandavano poco dal punto di vista metodologico, specialmente per la scrittura, per la quale si raccomandavano degli esercizi preparatori. Tuttavia, nelle disposizioni relative alla seconda classe elementare si parla ancora di esercizi di calligrafia “diversi per i singoli alunni o gruppi di alunni, a seconda della loro capacità e dei difetti da loro contratti”. I programmi precisavano inoltre che “Gli esercizi di bella scrittura saranno facoltativi ed eseguiti non tanto su modelli calligrafici a stampa, quanto su modelli tracciati dal maestro alla lavagna.” N on furono quindi più pubblicati manuali di scrittura per le elementari; questo compito fu demandato ai sillabari, nei quali generalmente si consigliavano i metodi fonici o sillabici. Tuttavia, questo vuoto pedagogico fu in parte riempito da diverse pubblicazioni che venivano in aiuto ai maestri e che suggerivano diversi approcci e metodologie. A questa esigenza strettamente pedagogica, il regime reagì con una risposta tutta politica, dapprima con l’istituzione della commissione per l’esame dei libri di testo fra il 1923 e il 1928 e successivamente con l’adozione del testo unico. Le annotazioni sull’argomento sono tuttavia scarse, sintetiche e tutto sommato poco significative, limitandosi alla costatazione che l’autore nel suo testo ha scelto la scrittura diritta o il metodo fonico sillabico. Della commissione, diretta da Giuseppe Lombardo Radice, faceva parte anche Alessandro Marcucci, ispettore scolastico, direttore delle scuole dell’Agro Romano e autore di testi didattici fra cui uno dedicato alla scrittura “La bella scrittura nelle scuole elementari” pubblicato nel 1928. In questo libro si espone un alfabeto simile a quello delle nuove proposte didattiche coeve in ambito germanico; non a caso la pubblicazione è curata da Heintze e Blanckertz di Berlino, noti fabbricanti di pennini ma anche editori scolastici e che hanno una loro rappresentanza milanese. 1 - Continua Sotto la lente del anche la stenografia va in analisi grafologo di SERGIO SAPETTI (parte prima) S ergio Sapetti, che i nostri lettori conoscono per le profonde ed esaurienti lezioni di Grafologia, scritte a quattro mani con Riccardo Bruni, pubblicate in molte puntate sulla nostra rivista (l’ultima è apparsa sul numero scorso), aveva promesso agli appassionati una gradita sorpresa. Ha mantenuto la promessa. Si tratta, come diciamo subito, di una singolare iniziativa editoriale. A cominciare da questo numero, pubblicheremo uno studio, a puntate, su un campo finora inesplorato: la grafologia applicata alla stenografia, o, meglio, la scrittura corsiva degli stenografi (professionisti, insegnanti, alunni di rilievo ecc) comparata con la loro scrittura steno- lati aggressivi si tramutarono in melangrafica (in vari sistemi stenografici, pre- conici guaiti. Il lupo primitivo si evolse valentemente però cimani). Il lavoro, ad in cane, servo fedele di quella scimmia opera di Sergio Sapetti, è vecchio di che divenne uomo, grazie alla sua abilità qualche anno, ma ciò non toglie sapore di utilizzare strumenti e di comunicare i di originalità e attualità a questo sua pensieri del singolo a tutta la comunità. ponderosa fatica, che – per la storia – è Essa divenne uomo per la destrezza dei la “Tesi di ricerca”, presentata dallo movimenti fini delle mani (proprio quelli stesso Sapetti all’I.S.F.E.S., Istituto Su- che ci permettono di scrivere) e per la periore Formazione Esperti di Scrittura capacità di comunicare con sempre magdi Torino, nell’anno accademico 1994- giore dovizia grazie all’uso di un lin1995, per conseguire l’attestato di guaggio orale prima, quindi basato sulla “grafologo”. memoria personale, e scritto poi, perciò a noi disponibile ancor oggi a millenni di distanza dalla stesura dei primi pitton giorno di tanti, tanti, anni or grammi rupestri. Il grafologo può comsono, un lupo primitivo decise di prendere “tra le righe” quale sia la persoazzannare una scimmia primitiva, ricorse nalità del soggetto scrivente perché con a tutte le sue abili astuzie, le balzò im- la comunicazione scritta noi estrinseprovvisamente addosso e ... si prese una chiamo tutte quelle doti che ci hanno tremenda bastonata sul naso che lo fece permesso di evolverci sempre più rapidatornare sconfitto alla tana. Sorpreso dallo mente nel corso della nostra storia, colstrano strumento utilizzato dalla scim- lettiva e individuale. Quando il commermia, il lupo non si diede per vinto, con- cio e la politica sono divenuti il fulcro vinse il proprio branco a seguirlo e, con del mondo civilizzato, si è sentita sempre la perfetta tattica tipica dei lupi, si ripeté più l’esigenza di scrivere con celerità e l’improvviso assalto alla famosa scim- comprendere con immediatezza, si sono mia armata di bastone. Purtroppo per gli perciò poste le basi della stenografia, assalitori, da funzionali nascondigli sbu- sviluppatasi parallelamente alla cultura carono numerose altre scimmie, ognuna greca e latina, infine perfezionatasi, armata con la sua terribile clava e gli ulu- dopo la stasi medioevale, nei recenti si- CIVILTÀ DELLA SCRITTURA U 26 CIVILTÀ DELLA SCRITTURA 27 stemi basati sulle abbreviazioni fonetiche e logiche del corsivo moderno. La vita moderna è sempre più veloce e frenetica, nel mondo della comunicazione molti giornalisti registrano le interviste, parecchie segretarie richiamano dalla memoria di un elaboratore elettronico i prestampati necessari per il loro lavoro, esistono macchine in grado di trascrivere automaticamente dal linguaggio orale; ma, proprio per questi motivi, così come il cittadino che conduce una vita sedentaria ha la necessità di svolgere un periodico allenamento fisico sotto il controllo del medico e dell’istruttore, anche il professionista che desideri mantenere in perfetta forma la mente, deve eseguire dei razionali esercizi che ne sviluppino e potenzino l’elasticità, per far fronte alle sempre più dinamiche tecnologie moderne. Sostituendo l’essenzialità alla formalità, studenti universitari e professionisti, appartenenti alle più svariate categorie commerciali e sociali, adottano una scrittura notevolmente personalizzata per prendere appunti durante le lezioni o durante conferenze e assemblee; molti di loro, con intuito più o meno proficuo, creano un proprio codice di sigle per rendere celere la scrittura. La STENOGRAFIA è il metodo più razionale per evitare perdite di tempo durante la scrittura, essa adotta i meccanismi idonei per collegare, nel più breve tempo possibile, due punti dello spazio, facendo salva l’esattezza di decodificazione. Quando si stenografa, si incide il foglio con dei tratti più o meno premuti a seconda del significato dei simboli e si ritiene sconveniente scrivere un tracciato ascendente con pressione pesante. Tutti i segni hanno obbligatoriamente dimensioni proporzionate fra loro, inoltre il punto deve essere un punto, perché se è un piccolo accento assume un significato diverso; per lo stesso motivo la pendenza delle aste non può essere invertita rispetto alla norma. Gli angoli ottusi rallentano il dinamismo, quindi sono ridotti al minimo, la distanza tra le parole è breve. Nell’antichità, Marco Tullio Tirone, prima schiavo poi amico e tachigrafo di Cicerone, codificò per la prima volta i concetti razionali per l’abbreviazione della scrittura ordinaria (Compendio di Cultura Stenografica - prof. Luigi Chiesa - ed. Alpine, Bergamo 1954, pag. 29); col passare dei secoli queste regole generali furono adattate alle scritture moderne. Anche ai nostri giorni i più validi sistemi stenografici sono originati dalla sintesi della scrittura corsiva e tutti si basano sulle stesse regole di fonetismo, frequenza delle lettere, attrito del mezzo scrivente sul foglio, abbreviazione in base al senso della frase ecc. H o eseguito l’analisi grafologica della scrittura corsiva di numerosi stenografi, comparandola con le corrispondenti stenoscrizioni. La ricerca evidenzia che lo “stenografo tipo” ha un carattere eclettico e dinamico, capace di inserirsi con duttilità nei più svariati ambienti culturali: infatti si può ridurre del sessanta per cento il linguaggio scritto solo se si sa comunicare in modo forbito e chiaro (la completa documentazione al riguardo è reperibile presso il Centro di Scienze umane “Piemonte”, A.P.E.S. di Torino: “L A SCRITTURA DELLO STENO GRAFO analisi del corsivo e comparazione con lo stenoscritto” Sergio Sapetti, Torino 1995). Lo “stenografo tipo” possiede una pregevole essenzialità e concretezza nell’agire, organizza il proprio lavoro con autonomia e creatività, ma anche nel pieno rispetto delle esigenze dell’Ente per il quale presta servizio, la sua agilità di pensiero è unita alla tenacia necessaria per raggiungere gli obiettivi programmati; ecco perché con queste caratteristiche lo si può paragonare a un di- rigente che sul lavoro debba prendere delle rapide e responsabili decisioni (riferimento a “La selezione del personale nelle aziende” Anna Maria Carena Acino, Centro di Scienze umane “Piemonte”, A.P.E.S. Torino 1994). PROFILO GRAFOLOGICO DELLO STENOGRAFO Sulla base dei suddetti impegni operativi, dal carattere dello stenografo dovrebbero trasparire i seguenti tratti grafici ricavabili dalla scrittura corsiva normale: – Velocità: rapida, fluida, parca, punti i avanzati; – Capacità di rapida sintesi: legata, calma; – Sinergia con l’équipe di lavoro: filetti sottili, curvilineità, interlettera nella norma; – Intelligibilità: chiara, calma, buon livello di forma, punti i non omessi; – Concretezza: radicata, parca, robusta; – Cultura: buon livello di forma, ortografia e sintassi corrette; – Ecletticità: variabile, fluida, oscillante; – Empatia: oscillante, occhielli variamente angolosi, interlettera larga, festoni, filetti sottili, predominio di aste rette e curve; – Senso di responsabilità: radicata, aste erette e premute, larga tra parole, divaricata, piccola o nella norma, interlettera nella norma; – Elasticità: elastica, fluida; – Comprensione dei concetti: chiara, divaricata, legata, lieve contorta; – Gestione delle risorse psicofisiche: chiara, radicata, robusta e incisiva; – Interesse per l’aggiornamento: elastica, fluida, dinamica, occhielli variamente angolosi, personalizzazione del tracciato, scattante, lievemente ascendente, oscillante, divaricata, fluida, dinamismo verticale, antimodello; – Apertura mentale e rispetto delle idee altrui: variabile, interlettera larga, festoni, scarse ritorsioni e segni di rigidità, non parallela; – Decisionalità: eretta, incisiva, robusta, aderente, radicata, chiara, parca, elastica con prevalente tesa, ricci dell’indipendenza; – Contatti sociali: oscillante, interlettera larga, slanciata, fluida, festoni; – Capacità intellettuali: buon livello di forma, armonica e estetica ma personalizzata, divaricata, parca, scattante, lieve ascendente, larga tra parole, radicata, piccola ma dinamica, occhielli variamente angolosi, raggruppata, aderente; – Precisione: chiara, robusta, eretta, piccola, ritmo omogeneo. 1 – Continua CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Il Gruppo Editoriale Giunti ha messo a disposizione della Fondazione le copie del volume 28 FRANCESCO GIULIETTI STORIA DELLE SCRITTURE VELOCI pp. 514 Chiunque fosse interessato a richiedere una copia può mettersi in contatto con la segreteria della Fondazione telefonando al numero 339.4262820. Tagliamo la testa al “loro” U CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Fuori la lingua di PAOLO A. PAGANINI 29 n lettore ci ha scritto: “I giornali non dovrebbero dare cittadinanza agli strafalcioni d’uso comune. Se il parlato ne giustifica l’uso, una scrittura meditata dovrebbe essere più rispettosa delle leggi della grammatica. Mi riferisco al titolone su due righe, riportato da la Reppublica del 2 gennaio 2010, pag. 10, cioè: L’allarme di Napolitano per i giovani / “Dargli un futuro o democrazia in scacco. La forma esatta dovrebbe essere: Dar loro un futuro ecc…” Sono d’accordo con il lettore, quando sostiene che una scrittura meditata dovrebbe essere più rispettosa delle leggi della grammatica. Eppure, a malincuore, e mandando giù questo e tanti altri rospi linguistici, devo dare parziale giustificazione al titolo di Repubblica. La regola grammaticale è di per sé chiara, ma non impositiva. Il pronome maschile di terza persona singolare, gli, si usa per il complemento di termine, con il significato di: a lui. Così recitano le buone grammatiche. Per esempio: Ho visto Antonio e gli ho detto quello che pensiamo (Vincenzo Ceppellini, Dizionario grammaticale – 1962). Ma poi prosegue (e notate la data, mezzo secolo fa!): “Nell’uso familiare e parlato gli sostituisce le e loro. Es. Vidi Elena e gli domandai cosa facesse; Se vedrò i tuoi amici, gli porterò i tuoi saluti. Per quanto contrario alle buone regole grammaticali, questo uso del pronome tende a estendersi e a diventare normale”. In epoca più recente, l’uso si è consolidato, anche se a un orecchio ben educato, continua ad essere stridente. Nella Garzantina, Italiano, di Luca Serianni (2006), si legge, tra l’altro: “L’uso di gli per maschile e femminile (...) è largamente attestato nel corso della nostra storia linguistica, (ma) si tratta di una forma di livello popolare, non tollerata nello scritto, che è opportuno evitare anche nell’uso orale...”. Ma, in un’altra nota, osserva: “Gli per loro è largamente accettato e, anzi, è raccomandabile nel registro colloquiale. Oltre al frequente impiego degli scrittori, antichi e moderni, c’è da tener conto di una ragione strutturale: tutti gli altri pronomi personali atoni si presentano come monosillabi anteposti al verbo (mi parli, ci parli, vi parlo ecc.); solo loro è bisillabo e posposto al verbo (parlo loro), e ciò contribuisce a ridurne l’uso”. Ancora sulla virgola U n altro affezionato lettore (e collaboratore), F. A., mi ha mandato la seguente nota. – Se in un dialogo, in un discorso, le inflessioni di voce danno un colore e un’interpretazione alle parole che si pronunciano, in un’esposizione letteraria è la punteggiatura che dà precisione, risalto e ritmo del pensiero alle espressioni. Il giorno in cui ho ricevuto “Civiltà della scrittura” n. 20, e ho letto con interesse quell’erudita chiosa, nella rubrica “Fuori la lingua”, sulla virgola, avevo già annotato due errori, seppure veniali, ma di un certo peso, riguardanti questo segno di interpunzione, sul fondo de “il Giornale” del 7 e del 9 gennaio. Il professor Francesco Forte scrive: “Giulio Tremonti ha fatto due affermazioni che, a prima vista convincenti, non lo sono.” Non v’è dubbio che l’inciso sarà “a prima vista” con la virgola prima di convincenti. Quindi “…che, a prima vista, convincenti non lo sono.” E, poco più avanti, ...“Ora per iniziativa di Angela Merkel, è stato instituito il Fondo europeo di stabilità…” Qui, dopo “Ora”, una virgola ci vuole! (“Ora, per iniziativa di Angela Merkel,...”). Il giorno 9 è il direttore Alessandro Sallusti che, dopo una decina di righe, scrive: “Tanto per cambiare il pallino ce l’hanno ancora una volta in mano i giudici, quelli appunto dell’Alta Corte...”. Ironicamente, quel “tanto per cambiare” vuole evidenziare che le cose non sono cambiate ma, senza la virgola dopo cambiare, sembra che sia il pallino ad essere cambiato! (Perciò…“Tanto per cambiare, il pallino…”). Mi permetto di fare una chiosa critica a quanto scrive F. A. Sono d’accordo, quasi su tutto, anche se, talvolta, l’angoscia della punteggiatura, e della virgola in specie, diventa un’ossessione di perfezionismo molto prossima alla nevrosi (parlo ovviamente per me stesso). Spiego il mio quasi. Mi riferisco, in particolare, alla prima frase riportata, quella di Tremonti. Ritengo che sia giusta com’è scritta nell’originale, perché nella seconda ipotesi, suggerita dalla correzione di F. A., cioè con la virgola dopo le parole “a prima vista”, verrebbe a indebolire il pensiero di Francesco Forte, che invece vuol ribadire con forza che le due affermazioni sembrano convincenti solo a prima vista, ma invece non lo sono. Infatti, è il pronome lo che giustifica la presenza della virgola e quindi la sua correttezza. Il pronome si riferisce a convincenti. Proviamo allora a sostituirlo. La frase suonerebbe così: Giulio Tremonti ha fatto due affermazioni che, a prima vista convincenti, convincenti non sono. E, in questo e nell’altro caso, la virgola diventa ampiamente giu- stificata. Per quanto il lettore si riferisce alle altre frasi, niente da eccepire. Il nostro consigliere Spellucci nonno per la terza volta Il 9 febbraio, Maria Elena è arrivata far compagnia ai fratellini Maria Giulia ed Enrico Maria, nonché ai genitori, Maria Claudia Spellucci, figlia di Giorgio, nostro stimato Consigliere, e Pierfrancesco Macrì. Auguri vivissimi da parte della redazione di “Civiltà della scrittura” e dei membri del Consiglio della Fondazione Giulietti. Sono più che triplicati nel 2010 i titoli italiani per e-book S ono più che triplicati nel 2010 i titoli di e-book disponibili sul mercato italiano: è quanto emerge dai dati presentati dall’Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori (AIE). L’offerta di titoli e-book arriva a coprire l’1,5% dei titoli – Secondo le elaborazioni su dati IE-Informazioni Editoriali, sono oggi 5.900 i titoli e-book in italiano disponibili (esclusi articoli di riviste scientifico-accademiche), e arrivano a coprire l’1,5% dei titoli “commercialmente vivi”. Per un confronto, a gennaio 2010 erano 1.619, pari allo 0,4%. CIVILTÀ DELLA SCRITTURA I generi: in base alle elaborazioni dell’Ufficio studi AIE su 5.135 campionamenti, il 70% dei titoli riguarda la narrativa adulti italiana, seguiti a distanza dai classici (11,5% dei titoli) e dai gialli (8,4% dei titoli), dalla fantascienza e fantasy (4,1%) e dalla narrativa rosa (3,7% dei titoli). 30 IL LIBRO DIDATTICA DELLA STENOGRAFIA DI UGO ZUCCHERMAGLIO IN OFFERTA SPECIALE AI SOCI SI PUÒ RICHIEDERE ALLA FONDAZIONE TELEFONANDO AL NUMERO 339.4262820 Il mercato: si confermano le stime: 0,1% del mercato del libro – Si conferma il dato di stima presentato a metà anno: oggi l’e-book vale in Italia lo 0,1% del mercato trade (3.440.000 euro). Per un confronto, secondo l’Association of American Publishers, negli Stati Uniti le vendite degli e-book si prevede supereranno a fine anno il 9% delle vendite complessive di libri. Acquirenti di e-book: sono 665 mila nell’ultimo anno – L’1,3% degli italiani (pari a 665mila persone) negli ultimi 12 mesi ha acquistato un e-book, come emerge dalle elaborazioni dall’Osservatorio permanente contenuti digitali. Esistono forti correlazione con genere (1,7% uomini rispetto allo 0,9% donne) e titolo di studio (2,3% tra i laureati rispetto allo 0,7% licenza media). Lettura su e-book: interessa già oltre 1 milione di italiani – Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio permanente, la lettura (e l’abitudine a leggere) su schermi digitali continua a crescere: più o meno è triplicata rispetto al 2006. Riguarda oggi oltre 2 milioni di italiani (con più di 14 anni), che si percepiscono lettori anche se il supporto non è più la pagina ma internet, il computer, etc etc. Di questi, il 2,1% (e parliamo di oltre un milione di italiani – 1.091.000 persone per la precisione) afferma di aver letto un e-book. E i piccoli? Pubblicano già il 6% dei loro titoli in formato e-book - Sono 131 le case editrici italiane che hanno in catalogo “almeno un titolo” in formato ebook in lingua italiana. Di queste, 94 sono piccole case editrici, con un catalogo medio di e-book di 16 titoli. Complessivamente il “catalogo” che sviluppano è di 1.472 e-book corrispondente al 6% di titoli che la piccola editoria ha proposto (tra novità e ristampe). giochi L’angolo dei A hinoi, cari amici, il numero dei partecipanti ai nostri giochi sta calando paurosamente, tanto da mettere in dubbio la sopravvivenza di questa nostra pagina. Sono troppo difficili? Si sta anchilosando nei nostri concorrenti il piacere della competizione? Che altro mai? Eppure gli enigmi sono sempre stati una indiscutibile prerogativa dei cultori della stenografia (vecchi Maestri, come Ada Beltrami e Giuseppe Capezzuoli ne erano accaniti appassionati). Forse è soltanto la formula di questa nostra pagina che risente della stanchezza e non è più capace di solleticare il piacere e la curiosità dei nostri vecchi amici? Scriveteci, avanzate delle proposte, dateci un segno di interesse. Il nostro campo d’azione sono i rebus, le crittografie e gli indovinelli (ché altro non potremmo fare, vista l’esiguità degli spazi). Avete qualche idea da suggerirci per modificarne l’ordine, le proporzioni, le scelte? Scrivete alla Redazione. Saremo felici di prendere in considerazione le vostre proposte. Intanto, dopo le solite curiosissime “Crittografie dantesche” fuori gara, troverete i nostri soliti giochi in concorso. La soluzione esatta o della Crittografia o di tutti e sei gli Indovinelli vi farà meritare uno storico libro di stenografia. Coraggio, dunque. CRITTOGRAFIE DANTESCHE (Soluzioni qui sotto capovolte) 1 – Questi che guida in alto gli occhi miei (Purgatorio XXI – 143) 2 – Per l’aer nero e per la nebbia folta (Inferno IX – 6) 3 – Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci (Purgatorio XIII – 19) 4 – Diverse voci fan giù dolci note (Paradiso VI – 124) 31 1 – Sestante 2 – Smog 3 – Sole 4 – Coro CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Soluzioni CRITTOGRAFIA IN CONCORSO (Soluzione sul prossimo numero) RICOSTITUENTE (di Alessandro) INDOVINELLI IN CONCORSO (Soluzioni sul prossimo numero) 1 – Abiti da ballo Varia il colore ma son tutti a coda; di massima attrattiva per gli amanti sono stati e saran sempre di moda. Nelle vetrine se ne vedon tanti! Il Valletto 2 – Mia moglie, la medicina e la TV Quando non voglio prender certe gocce che son sempre nel bagno, allora l’apro: lo faccio solamente perché questa è una cosa che mi son messo in testa. Il Nano Ligure 3 – Una moglie gelosa Io che sto fra l’incudine e il martello ne sento delle belle a destra e a manca; ma se continua a fare con me il duro un corno glielo metto di sicuro. Odean 4 – Così vivo, se vi pare Pur se la mia cultura un po’ ristretta mi fa toccare il fondo, non saprei farne a meno e, fra tante buone cime, faccio i cavoli miei. Marienrico 5 – I miei collaboratori Pur se talora ne ho le tasche piene, per ora farne a men non mi conviene: con tipi così in gamba, senza fallo, sono, per mo’ di dir, sempre a cavallo. Il Maggiolino 6 – L’appuntamento Paziente attendo per l’abboccamento: ecco un prete che passa, non mi cale. Qualche occhiata mi sfugge, poco male. Ma ecco Alice arrivar; sono sincero: l’amo, sì, l’amo e solo in questo spero. Penna Nera Premi – A quanti risolveranno la Crittografia o i sei Indovinelli in concorso sarà inviato uno storico libro di stenografia. Le soluzioni di questo numero dovranno pervenire in Redazione entro la fine di maggio. SOLUZIONI DEL N. 20 Indovinelli 1 – Il naso 2 – Il naufrago 3 – La nave 4 – Il neonato 5 – La notte 6 – Gli occhiali Crittografia Incontri pari Rebus Colla RI nodi D I A manti = Collarino di diamanti VIETATO L’ACCESSO AI NON AUTORIZZATI? L CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Miniere navig@ndo elettroniche di INDRO NERI 32 Il poster del film americano del 1983 intitolato “WarGames Giochi di guerra” nel quale un giovane “smanettone”, grazie ad una parola d’ordine facilmente intuibile, riesce ad introdursi nel supercomputer del Pentagono rischiando di scatenare la terza guerra mondiale. e reti sociali, o social networks – ovvero i siti elettronici come Facebook tanto per citare il più famoso – sono diventati nel giro degli ultimi anni vere e proprie realtà alternative con le quali si interagisce quotidianamente. Recenti statistiche indicano che i cinquecento milioni di utenti di Facebook pubblicano circa settecento aggiornamenti al secondo (!) e caricano in linea duecento milioni di fotografie al giorno. Una massa di informazioni difficile da afferrare nella sua totalità ma che è indicativa di un aumento esponenziale di dati privati messi allegramente a disposizione nel cyberspazio. Ed aggiornamenti, curiosità personali, foto identificabili associate alle proprie generalità, date di nascita, nomi di amici, familiari, luoghi, scuole frequentate, possono tutti diventare indizi preziosi nelle mani di malintenzionati, vere e proprie miniere di dettagli riservati da usare per guadagnare accesso ad un profilo elettronico (“account”). Ogni giorno migliaia di account vengono violati a causa di una protezione inadeguata basata sull’uso di una parola d’ordine (“password”) banale, facilmente intuibile o esplicitamente contenuta nei propri aggiornamenti come ad esempio il nome del proprio figlio. Ed è proprio una parola d’ordine troppo semplice che permette al giovane David Lightman di Seattle – il protagonista del film americano “WarGames - Giochi di guerra” del 1983 – di introdursi nel supercomputer del Pentagono rischiando di scatenare la terza guerra mondiale. I siti di social network sono strutturati in modo da facilitare la condivisione delle informazioni personali, e maggiore è il numero di dati che uno mette a disposizione, maggiore è il valore che costui rappresenta per il sito. Sfortunatamente, questi servizi dimostrano di avere un livello minimo di sicurezza: il più delle volte non incoraggiano gli utenti all’utilizzo di parole d’ordine complesse o con scadenza, e quindi da modificare dopo un certo numero di settimane. Questo non sarebbe di per sé un problema se le parole d’ordine venissero utilizzate solo in questi contesti sociali. Succede invece che le medesime password vengano il più delle volte usate anche per accedere a molti altri profili, da quello del sito interno della propria ditta, a quello del proprio servizio di banca online, una vera e propria chiave passpartout che potrebbe dare pericolosamente accesso a tutta la propria vita digitale. I l recente attacco sferrato alla banca dati di un noto sito sociale ha dimostrato quanto poco sicure possano essere le parole d’ordine scelte dall’utente medio. Gli autori dell’incursione informatica hanno usato un punto debole del sistema per impossessarsi di trentadue milioni di password e le hanno rese note su Internet. Questa enorme quantità di dati ha messo subito alla luce interessanti statistiche che hanno permesso agli esperti di sicurezza informatica di stilare una classifica delle parole d’ordine più comunemente usate. Al primo posto “123456” ma nella lista compaiono anche “iloveyou”, “abc123”, e “qwerty”. I cybercriminali usano principalmente tre modalità di attacco. La prima è detta “Force brute attack” (metodo di forza bruta) ed è basata sul cercare di indovinare “a freddo” la parola d’ordine dell’utente utilizzando dapprima le password più banali, e se questo riservate siano state divulgate nella pagina, e può essere seriamente ostacolato qualora il sito Internet sotto attacco disponga o meno di meccanismi per la prevenzione di collegamenti automatici, come il servizio chiamato Captchas, che viene utilizzato per distinguere se dall’altra parte del monitor vi sia una persona vera e propria o un programma di computer. La terza modalità invece affronta il problema dalla parte opposta: i cybercriminali cercano di indovinare non tanto la parola d’ordine quanto la risposta precedentemente inserita dall’utente al momento della registrazione alla domanda di controllo che dovrebbe servire per resettare la propria password. Un classico esempio di domanda di controllo è “Qual è il cognome da nubile di tua madre?”, CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Un poster informativo americano realizzato dall’Università dell’Indiana appositamente disegnato per richiamare alla mente le locandine dei film dell’orrore di serie B. Sul manifesto si legge “L’invasione dei ladri di password” e più sotto “E voi credevate che la vostra parola d’ordine fosse segreta!”. non funziona, procedere ad eliminazione basandosi sulle informazioni personali della vittima reperibili in rete ed usando un algoritmo che verifica tutte le soluzioni teoricamente possibili fino ad imbattersi in quella effettivamente corretta. Più è larga la base degli utenti di un sito (anche senza dover arrivare al mezzo miliardo di utenti di Facebook), più le possibilità che un attacco vada a buon fine aumentano in maniera esponenziale. L a seconda modalità è detta “Dictionary attack” (attacco del dizionario) e fa uso di programmi per computer che raccolgono in maniera automatica le parole da una pagina elettronica (per esempio una pagina personale su Facebook) per riordinarle in una lista che ne analizza la frequenza (tag cloud). Selezionando i termini più utilizzati, i malintenzionati possono cercare di indovinare la parola d’ordine con un force brute attack più efficace. Il successo di questo sistema assistito di incursione elettronica dipende soprattutto dall’accuratezza dell’elenco, ovvero da quante informazioni Non è solo scoprendo la parola d’ordine magica che i cybercriminali possono trarre vantaggio dalle informazioni su Internet. Il sito PleaseRobMe.com (PerPiacereDerubami.com) ha recentemente sollevato l’indignazione dell’opinione pubblica perché collegandosi automaticamente ai profili di numerosi siti di social networking ed analizzando lo stato degli utenti e la loro attuale posizione geografica (segnalata tramite telefonino) rispetto all’indirizzo dell’abitazione (presente nel profilo), compila una lista di case presumibilmente vuote, facilitando non poco il lavoro di possibili malviventi. Il responsabile di PleaseRobMe.com ha poi detto che il servizio vuole mettere in guardia chi lascia trapelare troppi dettagli personali in rete. oppure “Di che colore era la tua prima automobile?” oppure ancora “Come si chiama la tua maestra preferita?” tutte informazioni queste che molte volte possono essere ripescate senza troppo sforzo leggendo gli aggiornamenti sulla pagina della vittima. Se a questa pericolosa disponibilità di dettagli personali si aggiunge che generalmente i siti di social networking si limitano a richiedere parole d’ordine di solo sei caratteri, e senza che vi siano so- A sinistra: La rivista “2600”, una pubblicazione americana rivolta agli hacker di cui qui vediamo riprodotta una delle copertine, qualche numero fa riportava un articolo che metteva in guardia dai rischi dovuti all’utilizzo combinato di informazioni pubblicamente accessibili in rete. Avendo per caso ascoltato una ragazza che forniva ad una amica il numero di telefono dei suoi genitori, l’autore dell’articolo era riuscito a risalire tramite una semplice ricerca su Internet all’indirizzo dell’abitazione. Usando la tecnologia delle mappe satellitari di Google ed inserendo via e numero civico aveva poi potuto notare che la casa non aveva recinti di protezione e che quindi avrebbe potuto rappresentare un facile bersaglio. Collegandosi su Facebook aveva infine scoperto che la ragazza sarebbe andata in Messico con i suoi la settimana successiva. fisticati controlli anti-intrusione, ecco che la situazione non è delle più rosee. Ovviare è possibile: i rischi di un attacco al proprio profilo possono essere mitigati usando parole d’ordine complesse, che contengano lettere, numeri, caratteri speciali e che siano lunghe almeno dodici caratteri (più lunghe sono, più sicure sono). L CIVILTÀ DELLA SCRITTURA Qui sotto: Una tag cloud basata sulle parole di questo articolo. I cybercriminali utilizzano programmi specifici che raccolgono in modo automatico le parole da una pagina elettronica (per esempio una pagina personale su Facebook) per riordinarle in una lista che ne analizza la frequenza (tag cloud). Selezionando i termini più utilizzati, possono poi cercare di indovinare la parola d’ordine con un force brute attack più efficace. e password utilizzate non dovrebbero poi essere facilmente collegabili alle informazioni personali pubblicate sul proprio profilo ed è buona regola utilizzare parole d’ordine differenti per ciascun servizio utilizzato, ovvero una per la banca, una per la posta elettronica, una per Facebok e via dicendo. Meglio ancora se le parole d’ordine diventano invece frasi (“passphrases”) che sono facili da ricordare e meno suscettibili ad essere indovinate fortuitamente. Per esempio, una frase come “Ogni settimana mi piace stenografare almeno tre volte al giorno” può essere usata per esteso oppure condensata usando solo le iniziali “0smpSa3v@g” mescolando lettere dell’alfabeto, sia maiuscole che minuscole, a numeri e caratteri speciali. Una raccolta di approfondimenti su questo articolo, incluso il trailer originale di “WarGames – Giochi di guerra” e l’elenco delle 20 parole d’ordine più comuni, si trova all’indirizzo www.nerisatellite.com/navigando selezionando il link “Miniere elettroniche”.