FTM REDUX Studio sull’ultimo Marinetti Patrizio Ceccagnoli Submitted in partial fulfillment of the requirements for the degree of Doctor of Philosophy in the Graduate School of Arts and Sciences COLUMBIA UNIVERSITY 2011 © 2011 Patrizio Ceccagnoli All rights reserved ABSTRACT FTM REDUX. Studio sull’ultimo Marinetti [F(ilippo) T(ommaso) M(arinetti) Redux: A Study of Late Marinetti] Patrizio Ceccagnoli This full-length survey of late Marinetti aims to contribute to the study of the Italian twentieth-century avant-garde by recovering unpublished literary texts and bringing them to the attention of international critics and the general public. The result is an “F. T. Marinetti Redux,” which I aimed to bring out of the “American manuscripts” preserved at the Beinecke Library at Yale University in order to trigger a critical revival of the last, and least studied, creative phase of Marinetti’s career. The novelty of my approach lies in the combination of psychoanalytical methods and rhetorical analysis. In my study, I argue that personification is the master trope of Marinetti’s writing. I define the Marinettian poetics of personification in terms of an ideological clash between organic and inorganic, in which the writer’s recurrent inclination to humanize inert matter prevails over his better-known aspiration to mechanize the “new futurist man.” I then use the Freudian notion of fetish, as understood through Giorgio Agamben’s Stanze, to re-conceptualize the relationship between the Italian avant-garde and the tradition of the past. From a broader perspective, my most innovative contribution deals with the relation between the living body and the inorganic world, the system of objects and its representation in the arts. Chapter one analyzes the stylistic and rhetorical use of personification, prosopopeia and anthropomorphism, emphasizing the epistemological implications of this recurrent trope against the critical commonplace that sees Marinetti as the perfect emblem of a dangerous tendency toward reification and alienation in modern life. Chapter two examines how Marinetti elaborates the discourse of war in his late autobiographical writings. This analysis starts with a close reading of Originalità russa di masse distanze e radiocuori, posthumously rediscovered in the Beinecke archive. In this autofictional work, completed after his return from the Russian front, Marinetti indulges in a partially autobiographical war report, a genre he had explored in earlier works like L’alcòva d’acciaio and 8 Anime in una bomba, both centered around events that took place during World War I. Drawing on an analysis of the unpublished novel Venezianella e Studentaccio, in chapter three I consider the metaphor of destruction and reconstruction of a city as an essential “architectural” image in Marinetti’s iconoclastic poetics of regeneration. The loved and hated Venice is the main polemical target of this Marinettian metafictional master metaphor, from the early manifesto Contro Venezia passatista to the late Venezianella. Investigating how this utopian and equally fetishistic architectural mythopoeia relies on the futurist metropolitan ideology, I also explore the development of a Venetian imaginary in Marinetti’s body of works. In the appendix I have included the critical edition of Marinetti’s unpublished poem, Il Poema di Fiume. Indice iii Ringraziamenti v Elenco delle Illustrazioni FTM REDUX. Studio sull’ultimo Marinetti 1 Introduzione Capitolo I La prosopopea della materia: la personificazione in Marinetti 13 1.1 “Necrofilia” e fortuna postuma 21 1.2 Frankestein e Pigmalione 28 1.3 Figure della personificazione 54 1.4 Marinetti, l’oggetto e il postumano Capitolo II Marinetti in Russia: guerra e memoria 61 2.1 Autobiografia, autoreferenzialità e propaganda 75 2.2 Le unghie di Marinetti: la giovinezza del vecchio svecchiatore 89 2.3 Marinetti e la Russia i Capitolo III Feticismo e avanguardia 112 3.1 Il feticcio di Venezia nell’opera marinettiana 130 3.2 L’antica e “Nuova Venezia” 149 3.3 L’inedito Venezianella e Studentaccio 157 Epilogo 162 Bibliografia Appendice 182 Il Poema di Fiume ii Ringraziamenti Vorrei esprimere la mia riconoscenza in primo luogo a tutti gli eredi Marinetti per la collaborazione e l’autorizzazione a divulgare gli inediti. In particolare, vorrei ricordare le tre figlie del poeta, Vittoria, Ala e soprattutto Luce, recentemente scomparsa. Ringrazio Francesca Barbi, per la sua fresca e franca amicizia, e il Conte Leonardo Clerici, per la sua elegante ospitalità presso l’Istituto di Skriptura a Bruxelles. La mia gratitudine va quindi a tutto il personale della Beinecke Library di New Haven, in particolare al Direttore Frank Turner, che non ho mai incontrato prima della sua scomparsa ma a cui rimango debitore, e al Responsabile della sezione Modern Books and Manuscripts, Kevin Repp. Sono grato al Dipartimento di Italiano della Yale University per l’accoglienza ricevuta durante il mio semestre in Connecticut, in particolare alla Professoressa Millicent Marcus e al mio amico e collega Mattia Acetoso. Sono inoltre grato al Direttore della Rare Book and Manuscript Library della Columbia University, Michael Ryan per aver agevolato la mia ricerca d’archivio. Desidero qui, inoltre, ringraziare il mio mentore in Italia, Franco D’Intino, Susan Stewart e Luca Somigli, grazie al cui paziente lavoro editoriale ho inaugurato le mie pubblicazioni sul Futurismo. Ma a conclusione del mio ciclo di studi presso la Columbia University, voglio in primis ricordare tutti i miei docenti: Jo Ann Cavallo, Flora Ghezzo, Andrea Malaguti, Luciano Rebay e Barbara Spinelli. In particolare, sono grato ad Elizabeth Leake, arrivata da poco ma già in grado di avere un impatto sulla mia ricerca; a Nelson Moe, con cui ho cominciato a scrivere saggi su Marinetti durante il mio primo anno di corsi newyorkesi; e a Teodolinda Barolini, che per me è sempre stata un costante riferimento dentro e fuori delle aule di Columbia. Ringrazio tutti i miei colleghi, in iii particolare: Steve Baker, Humberto Ballesteros, Davide Bolognesi, Savannah CooperRamsey, Akash Kumar, Valentina Nocentini, Silvia Stoyanova, Maddalena Vaglio Tanet e Julie Van Peteghem, che di me sapeva tutto. Ringrazio i miei amici, quasi tutti colleghi, compagni di distrazione e più tolleranti compagni quando lo studio si faceva più disperato: Valentino Baldi, Elisabetta Brozzi, Elena Crocetti, Paolo di Leo, Lodovica Guidarelli, Erica Moretti, Giulia Paoletti, Mark Seto ed Elisa Vignali. Non avrei, infine, mai scritto questa tesi senza la vicinanza rassicurante e maieutica di Paolo Valesio, che con me è stato “duce”, nel senso dantesco e non marinettiano della parola, ma soprattutto signore e maestro. Grazie ad Angela e Alessia, che m’amano m’ameranno e m’amerebbero lo stesso. iv Elenco delle illustrazioni I. F.T. Marinetti a Venezia sul Canal Grande con Alberto Viviani. (Beinecke Library) II. F.T. Marinetti, disegno di Pannaggi, da T.T. Marinetti, Scatole d’amore in conserva, Firenze, Vallecchi, 2002. III. Filippo Tommaso Marinetti, Santa Unica torturata da Santa Velocità e Santa Simultaneità (Sainte Unique torturée par Sainte Vitesse et Sainte Simultanée), da in «Noi», serie 2, n.1, aprile 1923, pp. 14-15. v Ad Aldo, Anna e Umberto vi and the fact that you move so beautifully more or less takes care of Futurism Frank O’Hara, Having a Coke with You vii 1 Introduzione Cominciò ch’era finita Carmelo Bene, Autografia d’un ritratto, V Questo saggio è un’indagine sull’ultima fase della carriera di Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del Futurismo e dell’avanguardia storica italiana. Il mio studio si colloca in posizione speculare rispetto a Il primo Marinetti di Gaetano Mariani, il cui contributo alla preistoria del movimento fu concepito in una fase ancora iniziale del revival di studi sul futurismo1. Soltanto due anni prima, infatti, nel 1968, Luciano De Maria aveva curato un’ampia antologia di testi marinettiani, Teoria e invenzione futurista2, che, come rileva Luigi Baldacci, «ha segnato un evento preciso nella critica e nei tentativi di sistemazione storiografica di una materia […] ancora fluida e scottante». Quella pubblicazione, aggiunge Baldacci, «è stata una cartina di tornasole per la nostra coscienza di lettori»3; sicché nel 1983, ripubblicando il libro, questa volta nella collana dei «Meridiani», De Maria potè affermare che, forse, Marinetti aveva finalmente vinto «la sua battaglia postuma»4. La canonizzazione editoriale che ha inserito Marinetti ufficialmente tra i classici del Novecento, inizialmente grazie al lavoro meritorio di De 1 Cfr. G. MARIANI, Il primo Marinetti, Firenze, Le Monnier, 1970. 2 F.T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano, Arnoldo Mondadori Editore (“Opere di Filippo Tommaso Marinetti”), 1968. 3 4 L. BALDACCI, Novecento passato remoto. Pagine di critica militante, Milano, Rizzoli, 1999, p. 53. F.T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano, Mondadori (I Meridani), 1983, Avvertenza, p. XI. 2 Maria, sembrava aver infranto l’ostracismo, i fraintendimenti e l’ignoranza che avevano eclissato la figura dello scrittore. Eppure, a due anni di distanza dalle celebrazioni internazionali per il centenario del Futurismo, se i molteplici contributi e le svariate iniziative hanno documentato un vivo interesse per la storia del movimento italiano, un aspetto in particolare attende ancora un pieno recupero storico-critico: quello della letteratura futurista e, dunque, in primo luogo, di Marinetti5. Nonostante le riedizioni delle opere più note dello scrittore, molte altre rimangono tuttora disponibili soltanto in rare edizioni prime e sono spesso introvabili o dimenticate. La fase finale del movimento, il cosiddetto Secondo Futurismo, poi, rappresenta ancora il periodo meno studiato e che dunque richiede una maggiore attenzione da parte degli studiosi. Concentrandosi, dunque, sugli anni ’40 e sugli ultimi prodotti creativi di Marinetti, morto a Bellagio nel dicembre del 1944 poco prima di compiere sessantotto anni, questo saggio si è proposto di contribuire ad una più sistematica ricognizione dell’epilogo del Futurismo che non potrà prescindere dalla riscoperta di alcuni testi ancora inediti. Di essi, in particolare del romanzo Venezianella e Studentaccio, ma lo stesso dicasi del Poema di Fiume, la cui edizione critica è per la prima volta divulgata in appendice, si è fornita una prima lettura critica. L’opportunità di lavorare sul Fondo Tommaso Marinetti della Beinecke Library di New Haven6, la possibilità di pubblicare 5 Cfr. L. TONDELLI, Futurista senza futuro: Marinetti ultimo mitografo, Firenze, Le Lettere, 2009, p. 5: «Eppure c’è un aspetto del movimento futurista che, malgrado l’incessante sforzo di rivalutazione, non riesce ad uscire dal cono d’ombra: è il futurismo letterario, e Marinetti ne è il principale animatore». 6 Per lo stato degli archivi futuristi si rimanda a Futurismo. Dall’avanguardia alla memoria, Atti del Convegno internazionale di studi sugli archivi futuristi, Rovereto, Mart, 13-15 marzo 2003, a cura di V. GIROUD e P. PETTENELLA, Milano, Skira, 2004. 3 inediti e di parlarne essenzialmente per la prima volta motivano la scelta del mio campo d’indagine e sostanziano questo avvio per una storia dell’ultimo futurismo sul quale ancora molto rimane da scrivere. Vinta una naturale repulsa per gli aspetti più controversi e aggressivi della sua provocatoria ideologia, ma anche per la peculiarità del suo stile, il fatto che Marinetti sia «un personaggio scomodo, complesso, contraddittorio»7 deve essere un motivo per accostarsi al suo studio piuttosto che evitarlo pregiudizialmente. Insomma, seppure sia affermazione assai poco “futurista”, in questo caso, un nutrito «verminaio di glossatori»8 sarebbe quanto mai ancora auspicabile per accrescere la conoscenza di uno dei pochi autori italiani del Novecento che seppe abilmente ritagliarsi un profilo internazionale. Soprattutto nel mondo anglosassone si è sviluppato un cosiddetto discourse of lateness, che nato in ambito musicale (si pensi alle riflessioni sulla novità dell’ultimo Beethoven, ma lo stesso potrebbe dirsi per il Falstaff di Verdi) si è, ad esempio, soffermato sullo stile tardo di scrittori preferibilmente monumentali, ad esempio Shakespeare9. Il dibattito critico sorto intorno a simili autori ha quindi interrogato la 7 L. DE MARIA, Marinetti costruttore, in Id., La nascita dell’avanguardia: saggi sul futurismo italiano, Venezia, Marsilio, 1986, p. 13. 8 Cfr. F.T. MARINETTI, La «Divina Commedia» è un verminaio di glossatori, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., p. 267. 9 Il riferimento più ovvio è quello allo studio, tardo e postumo, del noto critico E. SAID, On Late Style: Music and Literature Against the Grain, New York, Vintage Books, 2006, ora disponibile anche in traduzione italiana: E. SAID, Sullo stile tardo, Milano, il Saggiatore, 2009. Lo studio di Said, discendente dall’interpretazione dell’ultimo Beethoven fatta da Adorno, prende in considerazione solo un particolare tipo di stile tardo, vale a dire quello che rappresenta una radicalizzazione, un’estremizzazione dello stile e della creatività di un dato artista: «I would like to explore the experience of late style that involves a nonharmonious, nonserene tension, and above all, a sort of deliberately unproductive productiveness going aginst….», p. 7. Cfr. T. W. ADORNO, Beethoven: The Philosophy of Music. Fragments and Texts, a cura di 4 stessa idea di lateness, facendone un discorso interdisciplinare e sovra-individuale che prescinde dal singolo caso. In altre parole, non si tratta più di studiare un determinato periodo nella vita e nella produzione artistica di un certo autore, ma piuttosto di indagare, più in generale, la costruzione ideologica e retorica che interviene nella ricezione di certe opere, sulla base di alcune aspettative e strategie ricorrenti dettate dalla conoscenza che quelle opere furono le ultime nella produzione di un dato artista10. Va anche detto che se lo stile tardo di un autore non corrisponde necessariamente alla sua produzione della vecchiaia, si pensi al caso di Mozart o Leopardi morti trentenni. Per Marinetti invece lo stile dell’ultima fase della sua scrittura corrisponde alla sua senilità e, direi, anche ad una chiara percezione della prossimità della morte. In altre parole, l’Altersstil (“lo stile della vecchiaia”) e lo Spätstil (“lo stile tardo”) in Marinetti corrispondono. Lo stile tardo di un autore può essere un’attività borderline, liminale, di confine, con una chiara valenza apotropaica ed escatologica. In Marinetti si è a lungo sottolineato il ritorno del rimosso ma in realtà si può continuare a parlare tranquillamente di rimozione: rimozione della vecchiaia, della morte, della sconfitta. Questo si è tradotto in una risposta di grande prolificità e creatività artistica. Marinetti, in fondo, non fa che partecipare alla repressione della vecchiaia tipica della cultura occidentale moderna. Tuttavia, nel suo caso, una componente, forse edipica, certamente legata ad una storica battaglia generazionale segna una veemente esaltazione R. Tiedemann, traduz. di E. Jephcott, Cambridge, Polity, 1998. Un’ottima sistemazione critica intorno al concetto di late style si trova in G. MCMULLAN, Shakespeare and the Idea of Late Writing: Authorship in the Proximity of Death, Cambridge, Cambridge University Press, 2007. Si ricordi, infine, la definizione di «old-age» style in K. CLARK, The artist grows old, Cambridge, Cambridge University Press, 1973, dove si sottolinea un «sense of isolation, a feeling of holy rage, developing into what I called transcendental pessimism; a mistrust of reason, a belief in instinct». 10 Cfr. G. MCMULLAN, Shakespeare and the Idea of Late Writing, cit., p. 7. 5 della giovinezza specie nella produzione degli esordi. Lo stile tardo di Marinetti è caratterizzato da una sorta di reazione, una negazione dell’insorgere della vecchiaia, dell’incombenza della morte. La fine della propria esistenza corrisponde al drammatico epilogo del regime fascista al quale Marinetti per sua fortuna non ha dovuto assistere. A lungo Marinetti non è sopravvissuto al suo passato fascista: è questo il senso della «battaglia postuma» di cui parlava De Maria. Ora però i tempi sono maturi per una più distesa analisi di quegli anni, senza che questo comporti un’adesione ideologica né un’assoluzione di certe responsabilità storiche e politiche. Come scrive Gordon McMullan a proposito di un genio meno contestabile come Shakespeare, la morte viene per tutti noi, la vecchiaia per i più fortunati, ma uno stile tardo è qualcosa di riconoscibile e attribuibile solo a pochi autori, in genere patentati con l’appellativo di “geni”11. Ora, è lecito chiedersi se l’ultimo Marinetti, se la sua produzione degli ultimi anni, anni di vecchiaia e malattia, sia una produzione che definisce una nuova fase nell’ambito della carriera dell’autore. Lo stile tardo di Marinetti in cosa e quanto differisce dallo stile del primo Marinetti e da quello del Marinetti maturo? In che modo si colloca rispetto alla produzione precedente: contrastiva e antifrastica o come una pacifica continuità? C’è una progressione, un’evoluzione o piuttosto un’involuzione verso una stanca ripetizione di maniera? Senza esprimere giudizi di valore, questo studio si propone in primo luogo una rassegna descrittiva, evitando sia quella naturale tendenza all’apoteosi come normale conclusione di una carriera di successo sia la condanna aprioristica per l’esplicito contenuto di propaganda fascista presente in alcune delle opere esaminate. Parlare però di 11 Cfr. G. MCMULLAN, Shakespeare and the Idea of Late Writing, cit., p. 10. 6 un tardo stile marinettiano rappresenta di per sé una dichiarazione di estetica, una dichiarazione ermeneutica. Mi spiego. Attribuire e riconoscere all’ultimo Marinetti la specificità di uno stile comporta l’oltrepassamento dell’annosa distinzione tra un primo Futurismo avanguardistico e una degenerata fase declinante del movimento, secondo una cronologia e una terminologia (“futurismo eroico” vs. “secondo futurismo”) che a lungo si è imposta in sede critica. A lungo ha dominato tra gli studiosi un’attenzione prevalentemente rivolta agli anni che precedono la prima guerra mondiale o al distacco con il gruppo della rivista fiorentina «Lacerba». Né si dovrà dimenticare che i principali rappresentanti del movimento in campo pittorico e architettonico, Umberto Boccioni e Antonio Sant’Elia, morirono al fronte durante il conflitto12. Per molti dunque il Futurismo si concludeva nella sua prima fase, pre-bellica e quindi pre-fascista: era quello il futurismo “eroico”, e virtuoso13. Una simile periodizzazione però esclude molti interessanti esiti artistici sia in campo teatrale, pittorico che musicale. Si pensi soltanto all’aeropittura i cui manifesti uscirono nel 1928 e 1931. Di fatto, al di là della distinzione polemica “papiniana” tra futurismo e marinettismo, per molti, compreso De Maria il movimento inizia una fase decadente a partire dalla connivenza col fascismo14. È però oramai invalsa una cronologia 12 Cfr. R. BARILLI, I Futuristi pro e contro Venezia, in «il verri», a. LV, n. 42, febbraio 2010, p. 99: «[…] bisogna dichiarare con energia che i Futurismi furono due, e che il movimento deve risultare spezzato dall’evento traumatico della morte di Boccioni, nel 1916». 13 Così ad esempio, seppure con giustificazioni eminentemente estetiche («Nessuno di questi artisti [Balla, Boccioni, Russolo, Carrà e Severini] avrebbe mai più raggiunto un livello qualitative paragonabile a quanto dipinto tra il 1910 e il 1918»), anche nel catalogo della grande mostra, che a metà degli anni ’80 ha segnato un nuovo grande interesse di pubblico per il Futurismo, Futurismo & Futurismi, Palazzo Grassi, Venezia, curata da P. HULTEN, non si prende il considerazione la produzione futurista successiva al 1930. 14 Cfr. L. D E MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in Teoria e invenzione futurista, cit., p. XXXI. 7 che fa coincidere la fine del movimento con la morte del suo creatore: 1909-194415. Il soggetto di studio di questo saggio non è, però, il concetto astratto di stile tardo, così come emerge da una ricognizione dell’“esemplare Marinetti”, quanto piuttosto un’analisi di una fase negletta e trascurata di uno scrittore tanto discusso quanto ignorato. In primo luogo, (primo caveat), questa ricognizione critica non è, non è soltanto, uno studio di stilistica, scritto con lo scopo di definire alcune opere e analizzarne le caratteristiche formali. Il primo capitolo dedicato allo stilema della personificazione si basa su una ravvicinata analisi stilistica che però non esaurisce gli obiettivi di questo saggio. In secondo luogo, (secondo caveat), il mio lavoro non si propone di definire uno stile tardo marinettiano come fine ultimo. Il mio è ancora uno studio sul late Marinetti (sul tardo Marinetti) e non esattamente sul late style di Marinetti (sullo stile tardo di Marinetti). Troppo ancora si dovrà parlare di stile marinettiano prima di raggiungere conclusioni definitive sulla fase terminale di una carriera ancora mal conosciuta nella sua interezza. La mia impostazione non è tanto dovuta ad una personale inclinazione per così dire spitzeriana, che preferisce andare dal particolare al generale piuttosto che il contrario, quanto alla reale necessità di divulgare e discutere una serie di opere, ancora inedite o in ogni modo trascurate dalla critica, per andare a completare un quadro d’assieme sulla personalità artistica e intellettuale del padre dell’avanguardia italiana. Si potrà, infatti, discutere sul carattere autobiografico della Tempesta di Shakespeare o sull’omissione dell’Enrico VIII nel dibattito critico sull’ultimo Shakespeare, così come in 15 Per ulteriori questioni di cronologia si veda M. V ERDONE, Il futurismo, Newton & Compton, Roma 2003, pp. 109-110. Contro una «riduzione del movimento al primo decennio» si dichiara anche F. PIAZZONI MARINETTI, in Marinetti=Futurismo, in F.T. Marinetti=Futurismo, a cura di L. SANSONE, Milano, Federico Motta Editore, 2009, p. 13. 8 ambito italiano, Walter Binni, ad esempio, ha insistito su un ultimo Leopardi e una nuova poetica dell’autore16; ma un simile atteggiamento nel caso di Marinetti costituirebbe una sorta di hysteron proteron visto lo stato dell’esegesi che lo riguarda e soprattutto considerando lo stesso stato testuale delle sue ultime opere. Solo una volta garantita la materiale reperibilità dell’ultimo Marinetti, infatti, si potrà tentare una riuscita valutazione d’assieme di quel periodo e una sua sistemazione critica nel quadro complessivo dell’evoluzione artistica dello scrittore. Questa piena leggibilità dell’ultimo Marinetti dovrà essere dunque il frutto combinato, da un lato, di un recupero filologico dei testi ancora inediti e, dall’altro, di uno sforzo ermeneutico che elabori nuove categorie critiche per definire la peculiarità di quelle opere e della poetica dell’autore. In questo studio la scelta delle opere degli ultimi anni è derivata dalla concreta possibilità di consultare inediti databili a quel periodo, a partire soprattutto dal romanzo Venezianella e Studentaccio, e comunque discende dall’opportunità di studiare una fase a cui gli studiosi non si sono quasi accostati, se non con riluttanza, a causa delle evidenti implicazioni col regime fascista, per di più in una sua fase tragicamente declinante. Si tratta invece di un periodo straordinariamente produttivo e vitale nella carriera dello scrittore morente. Come ha osservato Giordano Bruno Guerri nella sua biografia marinettiana: «Nell’ultimo anno Effetì scrisse moltissimo, più del solito, benché nella sua vita avesse riempito migliaia e migliaia di pagine»17. Se ci limitiamo ad un rapido excursus relativo alle maggiori composizioni di quel periodo, non si può non rimanere sorpresi dinanzi alla mole e alla varietà delle opere 16 17 Cfr. W. BINNI, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1997. G.B. GUERRI, Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario, Milano, Mondadori, 2009, p. 275. 9 concepite da un vecchio Accademico d’Italia che, per di più, a sessantasei anni aveva persino deciso di ritornare a combattere andando su uno dei fronti notoriamente meno ospitali, quello russo. Nel giugno 1940, mentre l’Italia entra con un anno di ritardo dal suo inizio nella Seconda Guerra Mondiale, Marinetti pubblica presso Mondadori, casa ufficiale degli Accademici del Regno, Il Poema non umano dei tecnicismi, un’opera dove l’umanizzazione della materia sembra inaugurare una nuova poetica basata paradossalmente sull’uso della personificazione. Nel maggio 1942, sempre presso Mondadori, esce l’ultimo volume pubblicato in vita, Canto eroi e macchine della guerra mussoliniana. Nell’estate di quell’anno Marinetti va in Russia e da quella esperienza uscirà postumo Originalità Russa di Masse Distanze Radiocuori, probabilmente composto già nel 1942. Trasferitosi a Venezia nel 1943, Marinetti scrive una serie di opere che rimasero inedite fino a molti anni dopo la sua morte. Pronto per la stampa presso Mondadori nel 1944, rimase in realtà inedito fino al 1992 il libro scritto a quattro mani con Alberto Viviani, Firenze biondazzurra sposerebbe futurista morigerato. Una medesima vena memorialistica alimenta la scrittura di altri due testi anch’essi pubblicati postumi: La grande Milano tradizionale e futurista e Una sensibilità italiana nata in Egitto. Rimase inedito fino agli anni Novanta anche quello che si può considerare il testamento spirituale dell’autore: L’Aeropoema di Gesù. Infine, resta tuttora inedita, un’altra opera “veneziana”: il già ricordato «aeroromanzo» Venezianella e Studentaccio. Lo studio dell’ultimo Marinetti si presta, inoltre, a fungere come una sorta di lente d’ingrandimento per analizzare a ritroso aspetti che hanno caratterizzato in misura seppure minore l’intera sua produzione letteraria. Delimitata approssimativamente da una cornice temporale assai significativa, vale a dire gli anni che corrispondono alla 10 partecipazione italiana alla Seconda Guerra Mondiale, questa monografia si pone l’obiettivo si mettere in luce alcuni elementi dello stile tardo dell’autore per analizzarne, in realtà, l’intera produzione. Le opere dell’ultimo Marinetti, in effetti, enfatizzano alcune caratteristiche dello stile e della scrittura che da sempre hanno contraddistinto la personalità letteraria del padre del Futurismo. Più in particolare, l’uso della personificazione e una connessa relazione chiastica tra l’organico e l’inorganico, discussi nel primo capitolo, rappresentano lo stilema fondamentale dell’ultima fase della carriera di Marinetti; ma a ben guardare, varie forme di personificazione definiscono l’intera opera marinettiana sin dagli esordi, almeno quelli futuristi, vale a dire dal 1909 in poi. Allo stesso modo, il tema del rapporto feticistico con la tradizione e il passato, messo in luce in questo saggio a partire dall’analisi del romanzo inedito Venezianella e Studentaccio, analizzato soprattutto nel terzo capitolo, può servire retrospettivamente per chiarire questo nodo centrale nella poetica e nell’ideologia futurista-marinettiana. Infine, una tendenza memorialistica “terminale”, per così dire, testamentaria, se vogliamo, caratterizza una serie di opere scritte durante l’infermità successiva alla partecipazione al conflitto sul fronte russo a ben sessantasei anni di età. Questo autobiografismo estremo, che si muove nei due orizzonti della memorialistica di guerra e del versante privato, non fa che confermare accentuandola una tendenza all’autoreferenzialità autopromozionale che da sempre ha contraddistinto la personalità ingombrante dell’autore. Ed ecco che l’araldo dell’abolizione dell’io in letteratura, della distruzione della storia, del rifiuto del passato, si rifugia nella personificazione, nell’autobiografia e nel feticcio, tre aspetti a cui sono dedicati i tre capitoli del saggio. 11 A livello teorico, in favore di una nuova estetica dell’effimero, Marinetti aveva bandito il «desiderio del capolavoro immortale e imperituro» in polemica coi padri simbolisti: «Noi [futuristi] consideriamo invece che nulla sia basso e meschino quanto il pensare all’immortalità nel creare un’opera d’arte, più meschino e più basso della concezione calcolata e usuraia del paradiso cristiano […] Bisogna semplicemente creare, perché creare è inutile, senza ricompensa, ignorato, disprezzato, eroico in una parola. […] Alla concezione dell’imperituro e dell’immortale, noi opponiamo, in arte, quella del divenire, del perituro, del transitorio e dell’effimero»18. Sul piano reale, però, Marinetti non abbandonò mai un’indefessa prassi scrittoria, poligrafica e grafomane. È dunque forte la tentazione di attribuire a quest’ultimo Marinetti la disposizione psicologica di uno dei suoi personaggi. E il pensiero va allora alla conclusione dell’opera teatrale Il suggeritore nudo, del 1929, in cui il personaggio del moribondo esclama: «Rinuncio a morire oggi! Devo prima inchiodarti nella mia opera»19, dove la boutade finale stabilisce un esplicito legame tra la scrittura e la vita. Ma Marinetti non scrive per l’immortalità, scrive per non morire, perché vivere per lo scrittore non può che darsi creando. Come nella parabola ideale di ogni grande autore morente, Marinetti continuò a scrivere fino all’ultimo dei suoi giorni. Nella notte del 2 dicembre 1944, il poeta sveglia 18 F.T. MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 302-303. 19 F.T. MARINETTI, Teatro, a cura di J. Schanpp, Milano, Mondadori, 2004, vol. I, p. 396. 12 l’amata moglie Benedetta: «Scusami. Già sveglio ho voluto lavorare troppo intensamente»20. Le sue ultime parole in poesia furono: «oblio eterno»21. Illustrazione n. 1. Marinetti a Venezia sul Canal Grande con Alberto Viviani. (Beinecke Library) 20 Cfr. la Prefazione di Benedetta Marinetti a F.T. MARINETTI, Quarto d’ora di poesia della X Mas, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 1197-1199. 21 F.T. MARINETTI, Quarto d’ora di poesia della X Mas, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., p. 1202. 13 Capitolo I La prosopopea della materia: la personificazione in Marinetti 1.1 “Necrofilia” e fortuna postuma L’idea della morte non preoccupava nessuno Filippo Tommaso Marinetti, L’alcòva d’acciaio, 20 Marinetti non era un “necrofilo”. Non lo era ovviamente nel senso comune del termine, ma nemmeno nell’accezione concepita da Erich Fromm nel suo studio dedicato all’aggressività umana. In The Anatomy of Human Destructiveness, Fromm giunse a sostenere che il Manifesto del Futurismo rappresentasse la prima manifestazione letteraria di quella forma di aggressività maligna che definiva «necrofilia»22. Tale concetto è da intendersi non come la perversione sessuale a cui comunemente il termine è associato, ma piuttosto come una disposizione caratteriale che dimostra un esclusivo interesse a distruggere per semplice amore di distruzione, una pulsione puramente meccanica che si manifesta nel desiderio di fare a pezzi ogni forma di vita23. Stabilita una connessione tra venerazione della tecnologia (il termine usato è in realtà «technique») e distruzione, Fromm cita il Manifesto del Futurismo del 1909 e quello che lui chiama «[t]he second Futurist Manifesto»24 del 1916 per documentare la 22 E. FROMM, The Anatomy of Human Destructiveness, New York-Chicago-San Francisco Holt, Rinehart and Winston, 1973, p. 10. 23 24 Cfr. ivi, p. 332. Il secondo manifesto citato da Fromm reca il titolo di La nuova religione-morale della velocità nell’edizione degli scritti di F.T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano, Mondadori, 1983 (19681). Nella Nota ai testi, p. CXXVIII, De Maria precisa che l’opera era già apparsa 14 sua tesi con un’esplicita testimonianza della suddetta equazione25; vi sono rintracciati, quasi per assioma, i caratteri essenziali della presunta “necrofilia” marinettiana: il culto della velocità e della macchina, la glorificazione della guerra, la distruzione della cultura, la misoginia, ecc. In maniera fin troppo sbrigativa Luciano De Maria ha sdegnosamente liquidato queste riflessioni di Fromm su Marinetti relegandole ad una nota della Postfazione alla seconda edizione del volume fondamentale Teoria e invenzione futurista nella collana dei “Meridiani” del 198326. Discutendo il tema assai controverso della polemologia marinettiana, De Maria riprende la conclusione di Das Kunstwerk im Zeitalter Seiner Technischen Reproduzierbarkeit di Walter Benjamin, tacciando il noto saggio di eccessiva astrattezza, per quindi infierire su Fromm, accusato di acriticità e di una conoscenza inadeguata dell’ampia produzione letteraria di Marinetti. Alle prese con le medesime problematiche, anche Claudia Salaris ha respinto le conclusioni di Fromm che, ricordiamolo, finiva per associare in modo indiscriminato Marinetti, Hitler, le guardie dei campi di concentramento e i membri della polizia segreta stalinista27. La Salaris risponde a Fromm relativizzando la polemologia marinettiana attraverso il tentativo di una contestualizzazione che si richiama, da un lato, alla nella rivista «L’Italia Futurista», I, 1, 1o giugno 1916 col titolo di La nuova religione della velocità e col sottotitolo di Manifesto futurista di Marinetti. 25 Cfr. E. FROMM, The Anatomy of Human Destructiveness, cit., pp. 344-345. Cfr. L. DE MARIA, Postfazione, in F.T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, cit., n.1, p. 1212. I riferimenti bibliografici al volume Teoria e invenzione futurista da ora in avanti saranno indicati con la sigla TIF. 26 27 Cfr. C. SALARIS, Marinetti. Arte e vita futurista, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 163. 15 tradizione letteraria dell’epica e, dall’altro, al pensiero filosofico che va da Eraclito a Marx, passando per Hegel, fino a Proudhon e alla prima guerra mondiale28. Per quanto mi riguarda, negando la “necrofilia” marinettiana non intendo in alcun modo riabilitare Marinetti dalle responsabilità storiche e morali che discendono dalle sue posizioni ideologiche né dalle implicazioni di quell’estetizzazione della politica, quindi della guerra, che ha notoriamente evidenziato il saggio di Benjamin appena ricordato; e del resto, come osservava Benjamin stesso, a Marinetti non mancava certo il dono dell’esplicitezza29. Non si tratta, dunque, di riscrivere la storia apologeticamente quanto piuttosto di superare l’impasse di una critica troppo preoccupata di trovare nei testi letterari la conferma documentaria ai suoi assunti teorici, più o meno pregiudiziali che essi siano. Negare la “necrofilia” marinettiana per me significa oltrepassare il luogo comune, quindi già stabilito, del Marinetti fascista, militarista e cantore della macchina; sorpassarlo non perché falso o inattuale ma perché appunto già stabilito, dato già acquisito. Perché la critica marinettiana possa invece progredire, sulla scia di Paolo Valesio che auspica addirittura la realizzazione di un’edizione nazionale30, propongo semplicemente di ritornare ai testi, a quel Marinetti “inedito” di cui parlava lo stesso De 28 Analoghe argomentazioni nel saggio di G. ACCAME, L’economista e il politico, in C. SALARIS, a cura di, F. T. Marinetti. Arte-Vita, Atti del convegno Filippo Tommaso Marinetti, Roma, febbraio 1995, Roma, Fahrenheit 451, 2000, p. 49. 29 Cfr. W. BENJAMIN, Illuminations. Essays and Reflections, a cura di Hannah Arendt, trad. ingl. di Harry Zohn, New York, Schocken Books, 1969, p. 242. 30 Cfr. P. VALESIO, Gli anni colorati, in Arte d’avanguardia e società. L’esperienza futurista nel pensiero sociale e culturale contemporaneo, a c. di Ilaria Riccioni, Roma, L’albatros, 2006, p. 35. 16 Maria sin dal 196831. Ancora oggi, Marinetti rimane, infatti, doppiamente inedito: in primo luogo perché alcune sue opere non sono mai state ancora pubblicate; penso, ad esempio, al romanzo lirico Venezianella e Studentaccio, da me utilizzato in questo saggio, ma anche a tutti gli altri testi già elencati nella bibliografia di Domenico Cammarota32. In secondo luogo perché molte delle opere edite rimangono scarsamente accessibili poiché disponibili soltanto in rare edizioni prime (è il caso, ad esempio, del romanzo scritto a quattro mani con Enif Robert, Un ventre di donna, ma anche del Poema Africano della Divisione “28 Ottobre”, su cui presto ritorneremo). Infine, sempre d’accordo con De Maria33, va ribadito come a tutt’ora scarso rimane l’apporto della critica letteraria sul Marinetti scrittore, soprattutto per quanto attiene al cosiddetto secondo futurismo, nonostante validi contributi come quello di Cinzia Sartini Blum, The Other Modernism, che ha iniziato a colmare questa lacuna in una prospettiva prevalentemente psicoanalitica e di studi di gender34. 31 Cfr. L. D E MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in TIF, pp. XCIII. 32 Cfr. D. CAMMAROTA, Filippo Tommaso Marinetti. Bibliografia, Milano, Skira, 2002, pp. 119-123. 33 Cfr. L. D E MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in TIF, n. 1, p. XCIII. 34 Sulla scorta del richiamo di De Maria, C. SARTINI BLUM ha dedicato il sesto capitolo del suo libro, “Transformations in the Futurist Mythopoeia”, in The Other Modernism: F.T. Marinetti’s Futurist Fiction of Power, Berkeley, University of California Press, 1996, p. 125-62, all’ultima e più negletta fase della produzione letteraria marinettiana. Anche G. SILINGARDI, Alcuni modi della metafora marinettiana in Zang Tumb Tumb, da Il Verri 24.13/16 (1979), pp. 222-54, nel suo studio sulla metafora in Zang tumb tumb, aveva denunciato «una sospetta carenza di analisi dei procedimenti della scrittura marinettiana e futurista» (p. 222). Lo stesso M. CALVESI, Importanza di Marinetti 1964, in Le due avanguardie. Dal Futurismo alla Pop Art, Roma, Laterza, 2008, p. 174, già nel 1964 osservava che «mentre si moltiplicano gli studi sul futurismo figurativo, nessuno di essi prende in esame l’apporto centrale della poetica di Marinetti». P. VALESIO, infine, a partire sin dal titolo dantesco “The Most Enduring and Most Honored Name”. Marinetti as Poet, nel suo saggio di postfazione dell’antologia americana F.T. MARINETTI, Selected Poems and Related Prose, a cura di Luce Marinetti, trad. ingl. di E.R. Napier e B.R. Studholme, New Haven, Yale UP, 2002, ha rivendicato la necessità di riconsiderare Marinetti primariamente come un poeta. Non sarà, poi, 17 Sbaglia in ogni caso De Maria quando sottovaluta l’importanza della ricezione dell’opera letteraria, sempre utile in funzione ermeneutica sia pure a partire da uno studio di natura socio-psicoanalitica come quello di Fromm, il quale tra l’altro non fa che appoggiarsi ad una vulgata che continua in pratica l’immagine dell’«Omero motorizzato»35, dell’idolatra della modernità tecnologica, un’immagine che Marinetti stesso aveva promosso e che nell’anniversario del centenario della nascita del Futurismo (1909-2009) molti hanno rispolverato, quasi a consolatoria condanna della società antidemocratica fascista di allora e dei rischi del consumismo capitalistico e antilibertario dei giorni nostri36. Sul valore della ricezione e sulla necessità di un ritorno ad uno studio filologico ed ermenuetico dei testi marinettiani, mi sia concessa un’eloquente digressione a partire dal paradosso che segue. In uno scenario internazionale, l’opera marinettiana più nota, o forse un caso, che le due ultime edizioni delle opere marinettiane uscite presso Mondadori, siano state curate da due italianisti che vivono e lavorano negli Stati Uniti d’America; mi riferisco ovviamente a Ballerini che ha curato la riedizione di Mafarka il futurista, dopo l’edizione del romanzo Gli Indomabili, e ai due volumi del Teatro di Marinetti curati da Schnapp. 35 Cfr. F.T. MARINETTI, Canto eroi e macchine della guerra mussoliniana, Milano, Mondadori, 1942, p. 26: «Da un pubblico genovese scatta fuori anche questo – Ma tu canti gli Eroi come Omero / Sono forse un Omero motorizzato poichè “le sue divinità facevano azzuffare i popoli perchè i poeti avessero qualcosa da cantare”; F.T. MARINETTI, Firenze biondazzurra sposerebbe futurista morigerato, Palermo, Sellerio, 1992, p. 24: «[…] Marinetti soffriva un po’ nel vedere i giornali insistere sulla “vita allegra dell’Omero al volante” tanto più che erano autentiche fandonie le chiacchiere riguardanti fastose dame milanesi […]» e ivi, p. 240: «Marinetti […] sudò freddo vedendo giungere un vecchietto affettuoso che gli disse “Sono il padre di Omero” e così Marinetti diventò l’Omero motorizzato». 36 Un tipico esempio dell’insistenza posta sul cosiddetto “mito della macchina”, si può riscontrare nell’articolo di Ingo Bartsch, L’uomo meccanizzato nell’ideologia del futurismo, a sua volta debitore degli studi di Enrico Crispolti. Bartsch conclude ricorrendo alla teoria dell’“estetizzazione della politica” di Walter Benjamin, onde bollare l’ideologia futurista come «falsa coscienza morale». Cfr. I. BARTSCH, “L’uomo meccanizzato nell’ideologia futurista”, in Futurismo 1909-1944. Arte, architettura, spettacolo, grafica, letteratura…, a cura di E. CRISPOLTI, Milano, Mazzotta, 2001, pp. 25-31. Cfr. E. CRISPOLTI, Il secondo futurismo, Torino 1961; Il mito della macchina e altri temi del futurismo, Trapani, 1969; La macchina mito futurista, Roma, 1986. 18 almeno più letta, non è tanto il Mafarka, processato per oltraggio al pudore, né il testo parolibero di Zang Tumb Tumb, con la sua copertina arancione e la rivoluzione tipografica in bella mostra. Il Marinetti più letto è un Marinetti di seconda mano e di dubbia provenienza, quello citato nell’epilogo del saggio di Benjamin, qui più volte ricordato, che è stato indubbiamente uno degli studi più influenti e popolari del secondo Novecento. Nella classica edizione americana degli scritti di Benjamin, Illuminations, a cura di Hannah Arendt, il brano estratto dal presunto «manifesto on the Ethiopian colonial war» non merita nemmeno una nota che cerchi di identificare il testo marinettiano37. Anzi, nell’indice dei nomi a fine volume, Marinetti è colpito da una sorta di damnatio memoriae, se intenzionale o frutto dell’incuria in fondo poco importa, per cui lo scrittore è elencato col nome anagrafico di Emilio, Emilio Marinetti38, e non con quel nome con cui diverrà celebre e che, come scrive Claudia Salaris, ha impresso nelle sue stesse iniziali la paternità del movimento: FuTurisMo39. La recente edizione antologica americana del lavoro di Benjamin, uscita nel maggio del 2008, The Work of Art in the Age of Its Technological Reproducibility, and Other 37 Cfr. W. BENJAMIN, Illuminations. Essays and Reflections, a cura di Hannah Arendt, trad. ingl. di Harry Zohn, New York, Schocken Books, 1969, pp. 241-242. 38 39 Ivi, p. 275. Cfr. C. SALARIS, Marinetti. Arte e vita futurista, cit., p. 5. Sulla questione del nome si veda anche la biografia di G. AGNESE, Marinetti: una vita esplosiva, Milano, Camunia, 1990, p. 8, e quella di G. LISTA, F. T. Marinetti. L’anarchiste du futurisme, Paris, Séguier, 1995, p. 13. Entrambe confermano l’incertezza sul passaggio dal nome di battesimo registrato dal Consolato italiano in Egitto (Emilio Angelo Carlo), al nome usato in famiglia (Tom o Thomas) e quindi a quello, che tutti conosciamo, adottato sin dagli esordi per siglare la propria attività poetica. Nessuna novità sostanziale a tal riguardo neppure nel volume di G.B. GUERRI, Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario, Milano, Mondadori, 2009, p. 14. 19 Writings on Media40, non diversamente dalle edizioni italiane presso Einaudi, menziona un’annotazione in cui Benjamin stesso scrisse di aver letto il brano marinettiano sulla Stampa di Torino, senza specificazione alcuna della data, tanto è vero che nella medesima nota si riporta il parere degli editori tedeschi dei Gesammelte Schriften, dove il saggio in questione è ristampato postumo dopo l’uscita originaria in rivista nel 193641; vi si ipotizza che Benjamin possa più probabilmente aver letto Marinetti in un giornale francese piuttosto che sulla Stampa come da lui stesso annotato. Ora, se è più difficile stabilire dove effettivamente Benjamin possa aver letto il brano che cita, vista la diffusa prassi marinettiana di riutilizzare in abili quanto disinvolte riprese scritti già anticipati in diverse sedi42, è certo che il passo che leggiamo in Benjamin fu pubblicato da Marinetti in uno spazio liminale del Poema Africano della divisione “28 Ottobre”, uscito per Mondadori nel 1937 e accolto anche da una recensione 40 Cfr. W. BENJAMIN, The Work of Art in the Age of Its Technological Reproducibility, and Other Writings on Media, a cura di Michael W. Jennings, Brigid Doherty e Thomas Y. Levin, trad. ingl. di Edmund Jephcott, Rodney Livingstone, Howard Eiland et al., Cambridge, The Belknap Press of Harvard UP, 2008. 41 Cfr. W. BENJAMIN, Gesammelte Schriften, a cura di Rolf Tiedemann, Hermann Schweppenhäuser, et al. 7 voll., Frankfurt, Suhrkamp, 1972-1989, n. 38, p. 55. Il saggio Das Kunstwerk im Zeitalter Seiner Technischen Reproduzierbarkeit apparve originariamente in Zeitschrift für Sozialforschung 5.1, 1936.. Nell’edizione italiana, W. BENJAMIN, Opere complete - Vol. VI - Scritti 1934-1937, a cura di Enrico Ganni con la collaborazione di Hellmut Riediger, Torino, Einaudi, 2004, che contiene la prima stesura del saggio, si veda la nota a pagina 302. Lo stesso rimando alla Stampa di Torino è riportato in nota a pagina 330 anche in W. BENJAMIN, Opere complete - Vol. VII - Scritti 1938-1940, a cura di Enrico Ganni con la collaborazione di Hellmut Riediger, Torino, Einaudi, 2006, dove del testo di Benjamin è presentata una seconda stesura. Stessa annotazione anche nel volume W. BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, con la traduzione di E. Filippini, Torino, Einaudi, 2000. Per un approfondimento della questione si rimanda all’erudizione di M. D’AMBROSIO, Futurismo e altre avanguardie, Napoli, Liguori, 1999, n.11, p. 41. D’Ambrosio precisa che il Manifesto Estetica futurista della guerra uscì sulla «Gazzetta del Popolo» di Torino, il 27 ottobre 1935, p. 3; quindi in «Stile Futurista», II, n. 13-14, Torino, nov. 1935, p. 9; e in «Oratori del giorno», X, n. 2, Roma, febbraio, 1936, pp. 12-14. 42 Un discorso analogo vale anche per il Manifesto del Futurismo di cui tutti celebriamo l’anniversario della fondazione sulla base della pubblicazione su Le Figaro di Parigi il 20 febbraio 1909, ma in realtà anche il Manifesto era già stato pubblicato almeno su La Gazzetta dell’Emilia in data 5 febbraio 1909, cfr. G. LISTA, F. T. Marinetti. L’anarchiste du futurismo, cit, p. 79. 20 di Giacomo Debenedetti con la sua teoria delle «tre contromarce»43. Ne cito due brani che torneranno utili ai fini del mio studio: 2) la guerra ha una sua bellezza perchè realizza l’uomo meccanico perfezionato dal muso antigas dal megafono terrorizzante dal lanciafiamme o chiuso nel carro armato che stabilisce il dominio dell’uomo sulla macchina 3) la guerra ha una sua bellezza perchè incomincia la sognata metallizzazione del corpo umano44. Ammessa pure l’esistenza di possibili varianti tra la versione letta da Benjamin e quella pubblicata in volume nel 1937, resta altamente significativo dello stato degli studi marinettiani, della loro parzialità e del disinteresse verso la letteratura futurista, il fatto macroscopico, eppure fin qui ignorato, che si debba leggere Marinetti attraverso Benjamin, addirittura ritraducendolo dal tedesco45. Da qui l’evidente necessità di un ritorno ai testi. 43 Cfr. G. DEBENEDETTI, Il «Poema Africano» di Marinetti, in ID., In Saggi, a cura di A. Berardinelli, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1999, p. 580. Come è puntualmente registrato in D. CAMMAROTA, Filippo Tommaso Marinetti. Bibliografia, cit., p. 86, la prima edizione del Poema Africano uscì in data 15 febbraio 1937, un anno dopo il saggio di Benjamin, cfr. F.T. MARINETTI, Poema Africano della divisione “28 Ottobre”, Milano, Mondadori, 1937. Il poema era però già uscito col titolo di Il poema della “28 Ottobre” sulla Gazzetta del Popolo nei numeri del 6 e 27 febbraio, del 1 aprile e del 1 maggio 1936. Sempre secondo Cammarota, il volume conteneva due manifesti: Invito alla Guerra Africana. Manifesto agli scrittori e agli artisti d’Italia e, per l’appunto, Estetica futurista della guerra. Nella copia della seconda edizione del maggio 1937 in mio possesso, però, il testo commentato da Benjamin compare anepigrafo a pagina 27-29. 44 45 F.T. MARINETTI, Poema Africano della divisione “28 Ottobre”, cit., pp. 27-28. Sull’importanza di Benjamin come tramite, non solo quindi come testimone del testo marinettiano ma piuttosto come interprete della sua ideologia, si vedano almeno gli studi di E. SANGUINETI, La guerra futurista del 1968, confluito in ID., Ideologia e linguaggio, a cura di E. Risso, Milano, Feltrinelli, 2001 (19651), pp. 35-39, e La parola futurista del 1997, oggi disponibile in ID., Il chierico organico. Scritture intellettuali, a cura di E. Risso, Milano Feltrinelli, 2000, pp. 190-97. 21 1.2 Frankenstein e Pigmalione Un paso más, y la democracia humana se verá rodeada por la democracia de las cosas (Leo Spitzer, La enumeración caótica en la poesía moderna, 76) Le cose si sformano in aspetti strani: occhi che guardano, orecchi che sentono, braccia che si tendono, un ghigno sarcastico e una minaccia in tutte le cose (Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, 57) La vita — questa prosopopea della materia (Emil Mihai Cioran, Sillogismi dell’amarezza, 76) All’inizio del suo studio, ancora decisivo, sui rapporti tra il futurismo italiano e quello russo, Cesare De Michelis avanza una distinzione fondamentale sulla base di un opposto atteggiamento nei confronti degli oggetti, un discrimine che chiama «dissimiglianze dei somiglianti»: In Marinetti, ma in generale nei testi del futurismo italiano, è ricorrente l’ossessione della “vita della materia”. La sensazione assillante che gli oggetti, al pari dell’archetipo umano, vivano una loro esistenza psicofisica: e quando l’oggetto interrogato (come spesso avviene) è una macchina, allora sorge la ‘speranza’, che è metafora e utopia al tempo stesso, che l’uomo si adegui nel futuro alle norme della vagheggiata ‘repubblica delle cose’. Anche il futurismo russo, in particolare Chlebnikov e Majakovskij, è percorso dal sospetto che gli oggetti vivano di una loro vita, che macchine e ninnoli abbiano particolari capacità intelettive [sic] e operative: ma nelle “moine delle cose” è sentito non già il preannuncio dell’avvento di un “tipo non umano e meccanico”, bensì la minaccia di una incombente rivolta contro l’uomo e l’umano, la ribellione devastatrice degli oggetti46. 46 C. G. DE MICHELIS, Per una storia del futurismo italiano in Russia, in ID., Il futurismo italiano in Russia 1909-1929, De Donato, Bari, 1973, p. 11. Sul medesimo soggetto, si veda anche M. COLUCCI, Futurismo russo e futurismo italiano: qualche nota e qualche considerazione, in «Ricerche slavistiche», XII, 1964, pp. 145-178, consultabile anche nel volume M. COLUCCI, Tra Dante e Majakovskij. Saggi di letterature comparate slavo-romanze. Introduzione e cura di R. Giuliani, Carocci, Roma, 2007, pp. 123-163, e V. P. LAPŠIN, Marinetti e la Russia. Dalla storia delle relazioni letterarie e artistiche negli anni dieci del XX secolo, Skira, Milano, 2008. 22 Nell’acuta sintesi di De Michelis l’enfasi posta sul ruolo della macchina, come oggetto privilegiato – quale di fatto esso è – nell’estetica del futurismo italiano, finisce però per risultare fuorviante ai fini della comprensione della poetica marinettiana della personificazione. Nella scrittura di Marinetti, questa ideologia poetica è alla base della rappresentazione della “vita della materia” e i suoi presupposti sono assai più complessi di quanto non lasci pensare l’utopica fiducia futurista nel progresso tecnologico o l’abolizione della psicologia umana dalla letteratura, promossa dallo scrittore nel Manifesto tecnico del 1912. Certamente nell’animus marinettiano manca un senso di minaccia delle cose, proprio perché l’attribuzione di un quid umano, appunto attraverso varie forme di personificazione, addomestica i timori del soggetto pensante. L’oggetto, la materia organica e inorganica, la macchina ma non solo, subisce un processo di umanizzazione in virtù del quale non si ribella né minaccia, diviene anzi comprensibile, comunicabile e comunicativo. È attraverso l’antica figura della personificazione che, infatti, Marinetti dà voce alla nuova poesia dei tecnicismi con cui ambisce a rappresentare la società industriale e tecnologica del XX secolo. L’antitesi messa in rilievo da De Michelis è in qualche modo riconducibile al bipolarismo che introduce gli archetipi fondanti dello studio di Barbara Johnson in Persons and Things47. Nel prologo del suo libro dedicato al rapporto tra persone e cose, la Johnson descrive due modalità fondamentali di relazionarsi agli oggetti: il “sogno” di Pigmalione, che sarebbe poi l’atteggiamento del futurismo italiano, in cui l’oggetto dei desideri prende vita e diventa una persona in carne e ossa, diventa umano; e l’“incubo” di 47 Cfr. B. JOHNSON, Persons and Things, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, e Londra, 2008, p.1. 23 Victor Frankenstein, in cui l’oggetto prende vita ma per ribellarsi contro il soggetto creatore. Sfuggendo ad ogni controllo, la “cosa” apre gli occhi e così facendo trasforma il soggetto nell’oggetto del proprio sguardo; un archetipo che, nella lettura di De Michelis, corrisponderebbe invece all’atteggiamento del futurismo russo. Questa contrapposizione può essere a sua volta associata a quella concepita da Luciano De Maria che nel suo saggio, già ricordato e tuttora indispensabile per gli studi sul futurismo, Marinetti poeta e ideologo, parla di una fase “prometeica” in antitesi ad una dimensione “orfica” che si imporrebbe nell’ultimo periodo della carriera dello scrittore48. Secondo lo studioso, proprio a partire dalla soglia degli anni ’40, Marinetti giunge ad una nuova poetica, accostata alla fenomenologia lirica del poeta francese Francis Ponge, che nel 1942, presso Gallimard, pubblicò un libello dal titolo emblematico: Le parti pris des choses49. Nel giugno del 1940, in concomitanza con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, a sessantaquattro anni, Marinetti pubblica per Arnoldo Mondadori Il Poema non umano dei tecnicismi50. Il volume, che consta di nove poesie “simultanee” parolibere, è dedicato alla compagnia chimica SNIA Viscosa, un’azienda attiva nella produzione di fibre tessili che dal 1937 aveva cominciato a commercializzare la Lanital, una fibra tratta dalla caseina, la proteina del latte. L’opera è introdotta da due testi 48 L. DE MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in TIF, pp. XCVI-XCIX. 49 Cfr. ivi, p. XCVI. 50 F. T. MARINETTI, Il Poema non umano dei tecnicismi, Mondadori, Collana “Lo Scrigno”, Milano, 1940; ora anche in TIF, pp. 1139-1194. Cfr. D. CAMMAROTA, Filippo Tommaso Marinetti. Bibliografia, cit.,, pp. 91-92. 24 metaletterari secondo una inveterata prassi autoriale: l’Invito ai lettori spregiudicati e l’Estrazione sistematica di nuovi splendori e nuove musiche dai tecnicismi51. Nell’Invito Marinetti si preoccupa di chiarire il senso del titolo, ed è evidente sia l’intento apologetico rispetto all’autarchia dell’Italia fascista, colpita dalle sanzioni economiche dopo la Guerra d’Etiopia (1935-1936), sia la volontà di realizzare uno svecchiamento dei repertori poetici tradizionali più frequentati: Ora vi consiglio di leggere questo Poema che io chiamo “non umano” poiché vuole fare a meno del dramma umano e vi convincerete che si può oggi commuovere divertire e istruire descrivendo lo sforzo patetico di un latte che smania per acquistare spessore e consistenza tagliabile […]. Mentre tutti i poeti della terra continuano più o meno a tornire e impreziosire nostalgie e disperazioni sui versi di Leopardi Baudelaire o Mallarmé da molti anni il Movimento Futurista Italiano esalta nei suoi poeti e nei suoi artisti la speranza di creare una poesia e delle arti “non umane” cioè estranee alla umanità mediante una sistematica estrazione di nuovi splendori e nuove musiche dai tecnicismi della civiltà meccanica52 Anche parlando di un’opera come Il Poema non umano dei tecnicismi, De Maria, in ogni modo, manca di elencare tra gli stilemi tipici dell’ultimo Marinetti proprio la personificazione, la cui centralità non ha rilevato nemmeno per Spagna veloce e toro futurista53. Lo studioso lodando la riuscita realizzazione estetica dell’opera, non 51 Questo secondo testo introduttivo corrisponde di fatto al manifesto Poesia e Arti Corporative, uscito sulla «Gazzetta del Popolo», il 10 aprile del 1937, cfr. F.T. MARINETTI, TIF, cit., pp. CLXIV. Col titolo La poesia dei tecnicismi questa dichiarazione di poetica sarà ripubblicata, scorciata, anche come introduzione a FRANCA MARIA CORNELI, L’aeropoema futurista dell’Umbria, Edizioni futuriste di «Poesia» della Galleria Nazionale d’Arte Futurista e Aeropittura di guerra, Roma, 1943, cfr. F.T. MARINETTI, Collaudi futuristi, per cura, introduzione e note di G. Viazzi, Guida, Napoli, 1977, p. 297-298. 52 F.T. MARINETTI, Il Poema non umano dei tecnicismi, in TIF, pp. 1141-1142. È raro e singolare che nello stesso luogo Marinetti continui attenuando il significato polemico delle sue dichiarazioni sempre provocatorie: «[Il Movimento Futurista] Non voleva né vuole però anche oggi distruggere gli antichi motivi ispiratori umani ma arricchire e immensificare la sensibilità dei creatori mediante motivi assolutamente vergini da portare per lo meno allo stesso piano dei motivi impiegati fin’ora», ivi, p. 1142. 53 Cfr. L. D E MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in F.T. MARINETTI, TIF, p. XCVIII. Tra gli stilemi dell’ultimo Marinetti vengono ricordati: «[…] le “zuffe di tempi” nell’uso dei verbi, la tendenza alla 25 menziona l’insistito ricorso alla personificazione benché citi passi come il seguente tratto dalla Poesia simultanea dei canneti Arunda Donax, il secondo componimento del Poema: «Foste graziose troppo graziose canne degli immensi canneti di Porto Buso […] Ma continuare continuerebbero senza fine continuino continuino le vostre gare di saluti inchini moine cerimoniose e le svenevoli leggiadrie di donne molto bruciavano si svestono con pudori e levigate spudoratezze di brilli queste soavi canne d’amore»54. Notando la contravvenzione alle premesse teoriche del Manifesto tecnico, sui cui presto ritorneremo, De Maria sottolinea invece come nel Poema non umano i «drammi della materia» siano umanizzati: «Il poema è non umano solo perché lo sguardo è rivolto alla natura, alla materia e ai suoi drammi; ma viene meno in esso la hybris prometeica e la brutalità del primo Marinetti. […]»; l’opera segnerebbe una nuova sorprendente svolta poetica in cui il «ritorno del rimosso» convoglia «una nuova considerazione della natura e dei processi cui l’uomo la sottopone. […] Nel passi più intensi, alla figura di Prometeo si sostituisce, nella mitologia del futurismo spirante, la figura di Orfeo, cantore della natura riconciliata con l’uomo»55. A tal riguardo, sempre a proposito di questa opera dell’ultimo periodo marinettiano, Sartini Blum recupera, ma soltanto nel titolo di un capitoletto, l’idea di “pathetic fallacy”, elaborata da John Ruskin in Modern Painters, per definire una fase formazione di parole composte […] e l’impiego di sostantivi come complementi di una proposizione e, al contempo, soggetti della proposizione seguente». 54 F.T. MARINETTI, Il Poema non umano dei tecnicismi, in TIF, pp. 1151-1152. 55 L. DE MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in F.T. MARINETTI, TIF, p. XCVIII. 26 tarda che secondo la critica è contraddistinta dal recupero di «comforting, feminineconnoted themes of memory, nature, and love»56. Anche Sartini Blum sottolinea un diverso modo di rappresentare la natura e una discrepanza tra le dichiarazioni teoriche e i risultati di certe poetiche “non umane”: «Rather than celebrate the productivity of national industry, it presents the plight of humanized nature: the lament of “heroic reeds” condemned to destruction by the “Goddess Geometry.” The recurrent use of apostrophe and personification confers human status on the reeds that are to be sacrificed»57. Citando il passo sulle «soavi canne d’amore», sopra riportato, Sartini Blum rileva come in genere l’uso della personificazione o della prosopopea, tra cui non fa alcun distinguo, sia caratterizzato dall’attribuzione di sensualità e femminilità58; il che è vero ed è un dato che andrebbe più ampliamente studiato, anche nel quadro generale di una storia dello stilema nel panorama di tutta la carriera dello scrittore e della tradizione letteraria a cui egli appartiene. Tuttavia, una distinzione troppo netta, da sembrare quasi manichea, nel ricostruire una presunta nuova modalità di rappresentazione della natura, e dunque una nuova poetica, quale emerge dall’interpretazione di De Maria e di Sartini Blum, non tiene in realtà conto della coesistente personificazione della materia e della macchina da guerra, anch’essa umanizzata. Nell’ultimo componimento del Poema, la Poesia simultanea di 56 C. SARTINI BLUM, The Other Modernism, cit., p. 140. 57 Ibidem. 58 Ibidem. 27 una finta battaglia, ad esempio, le bombe si trasformano in piccioni59 e, nell’immagine conclusiva, gli aerei da caccia diventano ubriachi a zonzo60. Attraverso la metafora e l’apostrofe, come nel primo caso, o mediante semplici similitudini, come nel secondo, assistiamo sovente a forme di antropomorfismo alternate a frequenti metamorfosi in cui la poesia, che si vorrebbe “non umana”, include invece l’umanizzazione della materia e della macchina. Per Sartini Blum nei primi testi futuristi si attua un meccanismo di difesa: il soggetto si identifica con l’oggetto tecnologico, in realtà temuto, e così lo esorcizza (=la meccanizzazione dell’umano); mentre in una fase successiva, si attuerebbe una sorta di rovesciamento in virtù del quale la natura umanizzata diverrebbe un’eroina vittima della crudele tecnologia materialistica61 (=pathetic phallacy). A ben guardare, però, non c’è una chiara separazione tra una fase prometeica e una orfica, tra una metallizzazione del corpo e una propensione necrofila, da una parte, e una riconciliata umanizzazione della natura, ma anche della macchina, dall’altra. Come finisce per ammettere anche De Maria, 59 Cfr. F.T. MARINETTI, Il Poema non umano dei tecnicismi, in TIF, pp. 1192-1193: «Ma sono bombe […] O bei piccioni di neve ermellino e buon inverno nessun filosofo saprà né potrà spiegarmi perché mettete un così fluido garbo mansueto a volare da giardino a giardino per colpire qualcuno di buona morte». 60 Cfr. ivi, p. 1194: «Ogni aeroplano da caccia volare quasi a capriccio come un cappello brigantesco sghimbescio La loro squadriglia pare una comitiva di ubriachi aerei non però da osteria a osteria ma da battaglia a battaglia barcollanti e sicuri». 61 Cfr. C. SARTINI BLUM, The Other Modernism, cit., pp. 139-141. 28 non c’è in realtà vera antitesi, mutua esclusione, tra la fase “prometeica” dell’epoca eroica degli esordi futuristi e quella “orfica” del tardo stile di Marinetti62. In questo capitolo, incentrato sulla poetica della personificazione marinettiana, cercherò di dimostrare come proprio lo studio di questo stilema, centrale nell’ultima fase della carriera dello scrittore ma ugualmente presente in tutta la sua opera, ci permetta di riconsiderare, all’interno della produzione letteraria di Marinetti e quindi di una parte importante del modernismo italiano63, il rapporto tra soggetto e oggetto, tra l’uomo e la natura, l’organico e l’inorganico. 1.3 Figure della personificazione [...] li poete ànno parlato alle cose inanimate sì come se avessero senso o ragione, e fattele parlare insieme; e non solamente cose vere, ma cose non vere (Dante Alighieri, Vita Nova, 16, 8) Torniamo ora per un momento a Erich Fromm, da cui eravamo partiti nel primo capitolo. Viste le argomentazioni da lui adoperate – penso soprattutto al passo in cui le manifestazioni di una tendenza necrofila sono individuate nell’attaccamento che molti uomini del mondo industrializzato provano per le proprie automobili ancor più che per le 62 Cfr. L. D E MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in F.T. MARINETTI, TIF, pp. XCVIII-XCIX: «O meglio, all’elemento prometeico, insopprimibile nell’uomo per la sua stessa sopravvivenza sulla terra, si accompagna l’elemento orfico esplicantesi nella contemplazione della natura e degli stessi processi lavorativi». 63 Sulla storia del modernismo italiano in letteratura, si veda P. VALESIO, Gli anni colorati, in Arte d’avanguardia e società, a cura di Ilaria Riccioni, l’albatros, Roma, 2006, pp. 29-58. Dello stesso Valesio si veda la premessa al volume Italian Modernism, a cura di M. MORONI e L. SOMIGLI, Toronto University Press, Toronto, 2004, pp. ix-xxiii. 29 rispettive mogli64 – per restare all’interno della produzione marinettiana, ancora più appropriato sarebbe stato citare un brano da quel collage di testi polemici uscito nel 1915 col titolo, darwininano e scandalosamente inaccettabile, di Guerra sola igiene del mondo. Nel capitolo “L’uomo meccanico e il Regno della macchina” Marinetti per primo, auspicando l’«identificazione dell’uomo col motore»65, fa notare la sostituzione, già in atto, tra l’umano e il meccanico (il non umano): «Non avete mai osservato un macchinista quando lava amorevolmente il gran corpo possente della sua locomotiva? Sono le tenerezze minuziose e sapienti di un amante che accarezzi la sua donna adorata. […] Come mai uno di questi uomini avrebbe potuto ferire o uccidere la sua grande amica fedele e devota, dal cuore ardente e pronto: la sua bella macchina d’acciaio che tante volte aveva brillato di voluttà sotto la sua carezza lubrificante?»66. Al centro del processo di eroticizzazione della macchina su cui torneremo in seguito, il sintagma «il corpo della locomotiva», dal punto di vista retorico, prima ancora che farsi catacresi è indubbiamente una personificazione67. Si attribuiscono alla locomotiva delle qualità umane, in questo caso, una fisicità, una corporeità in grado di provare «voluttà». La personificazione non finisce qui: la macchina è, infatti, capace di 64 Cfr. E. FROMM, The Anatomy of Human Destructiveness, cit., pp. 342-343. 65 F.T. MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 299. 66 Ivi, p. 298. 67 Analizzando l’antropomorfizzazione della macchina nel romanzo marinettiano L’Alcova d’acciaio, S. LAMBIASE, nel suo saggio Da l’alcova liberty a L’Alcova d’acciaio nel volume a cura dei collaboratori della rivista ES, Marinetti futurista, Guida, Napoli, 1977, pp. 163-74, propone un confronto con le locomotive in sembianze umane del romanzo À rebours di Huysmans (Ivi, pp. 166-67). Lambiase rileva come il rapporto tra l’uomo e la macchina si presenta in Marinetti «come rapporto pacificato, come tranquilla acquisizione del nuovo» (ivi, p. 169). 30 amicizia, per di più è «fedele» e «devota», possiede un «cuore ardente». L’immagine nel suo insieme è più complessa di quanto potrebbe sembrare. Utilizzando la personificazione, Marinetti attua quel processo di sostituzione tra l’umano e il non umano, la «donna adorata» e la «locomotiva», dunque, per dirla con Fromm, una sostituzione tra la vita e la morte68; ma, proprio perché interviene una personificazione, cioè l’attribuzione di prerogative della persona, tra cui anche quella della vita, la sostituzione non è semplicemente tra una donna e una macchina, ma tra una donna e una macchina che ha le caratteristiche di una donna. Il quadro si complica con l’aggettivo «lubrificante», a conclusione del brano citato e riferito alla «carezza», dunque, per metonimia, alla mano del macchinista. Pur rimanendo in un contesto chiaramente metaforico, l’uomo partecipa della natura ibrida della macchina umanizzata e acquisisce caratteristiche più che umane, che lo spingono nella sfera del meccanico. C’è dunque un’ambiguità di fondo, una interscambiabilità, una transitività se si preferisce, che non si muove però in un’unica direzione, cioè dall’umano al meccanico, ma anche in quella inversa, vale a dire dal meccanico all’umano69. Non basta però dire che in Marinetti per ogni uomo meccanizzato c’è una macchina umanizzata, sebbene si sarebbe anzi sorpresi dal constatare come queste ultime, le macchine antropomorfizzate, siano persino prevalenti sul piano numerico. C’è semmai una propensione alchemica verso la metamorfosi, bivalente e continua, che va meglio 68 69 Cfr. E. FROMM, The Anatomy of Human Destructiveness, cit., p. 343. Nell’introduzione al suo volume antologico, Futurismo in poesia, G. VIAZZI scrive: «Basata com’è sull’Erlebnis, [l’esperienza futurista] si dispone in fitto gioco tra dissoluzione e ricomposizione, opera per annullamento dell’Io nel materico e assunzione del materico come Io […]», in I poeti del Futurismo, a cura di G. Viazzi, Milano, Longanesi, 1978, p. 7. Viazzi quindi osserva come sia una specifica modalità futurista quella di un «reversibile rapporto con l’esistente, fondata sull’interscambio tra cose e persone» (ivi, p. 7). 31 indagata e che non si limita al culto della macchina e all’importanza della tecnologia nell’idea di modernità che il Futurismo amplifica retoricamente ad arte70. Quello che mi preme qui sottolineare è un aspetto tecnico con ampie implicazioni extralinguistiche, vale a dire la centralità della figura della personificazione nella scrittura marinettiana. Ma prima un passo indietro, ancora in dialogo con Fromm. Prendiamo il caso limite di una celebre opera degli esordi futuristi e limitiamoci al titolo: Uccidiamo il Chiaro di Luna!. In questo caso sarebbe forse una forzatura parlare di personificazione stricto sensu, eppure è in atto un procedimento analogo a quello che sottende alla personificazione della macchina. L’esortazione polemica esaltata dalla violenza esibita del linguaggio («uccidiamo») si riversa contro un termine astratto, o per lo meno inafferrabile, qual è la luce, la luminosità del «chiaro di luna», e si regge su una ipostatizzazione dell’oggetto. All’interno di un linguaggio profondamente lirico, “uccidere”, che qui vale ‘eliminare, abolire, cancellare’, ha senso soltanto se questa metaforica privazione della vita presuppone al contempo un’ipostasi, una materializzazione del chiaro di luna. Soltanto questa sostanzializzazione, questo passaggio dall’incorporeo al corporeo che concretizza l’astrattezza del chiaro di luna, rende plausibile la virulenza del verbo “uccidere”. In altre parole, c’è qualcosa che non va nella semplicistica contrapposizione morte/vita introdotta da Fromm, perché anche in questo caso, la scelta retorica a favore di un linguaggio che incita alla “morte” implica una precedente attribuzione delle prerogative della “vita”, ivi inclusa una qualche forma di corporeità. 70 Nel profilo della sua antologia dedicato a Marinetti, G. VIAZZI individua nell’opera dell’autore, accanto ad un’«epica guerriera del macrocosmo», «un’epica del microcosmo pure, quell’attenzione alla vita molecolare, atomica della materia, che forse più che significazione soltanto scientifica […] par avere una connotazione alchemica. […]». In accordo con le fondamenta filosofiche del simbolismo, Viazzi sottolinea un influsso di certe teorie alchemiche, «l’universo come ‘animale vivente’, che in lui [Marinetti] diventa l’universo come ‘materia vivente’», in I poeti del Futurismo, cit., p. 51. 32 Lasciandoci finalmente alle spalle la questione pretestuosa e pre-testuale della necrofilia di Marinetti, passiamo ad una trattazione più specifica, senza per questo ambire ad essere esaustivi, di quello che ritengo uno stilema addirittura cruciale per una piena comprensione dell’opera marinettiana. Benché sottovalutato dalla critica71, il ruolo della personificazione è fondamentale nella produzione letteraria di Marinetti che non ne teorizza mai esplicitamente l’importanza, ma ne fa un impiego costante, sempre più frequente e addirittura predominante in opere tarde come il romanzo inedito Venezianella e Studentaccio e l’Aeropoema di Gesù, scritto pubblicato postumo e anch’esso risalente all’ultimo soggiorno veneziano tra l’ottobre 1943 e il luglio del 1944. Le centralità del tropo è macroscopica anche in opere come il già ricordato Poema non umano dei tecnicismi, pubblicato nel 1940, e in Spagna veloce e toro futurista del 1931; basti dire che questa ultima opera si apre con il testamento del toro parlante del titolo, vero protagonista, insieme alla sierra spagnola umanizzata, di questo divertissement tragico. Un inusuale ricorso alla personificazione potrebbe dunque dirsi un elemento caratteristico dello stile dell’ultimo Marinetti, ma, in realtà, pur limitandoci all’esame della produzione futurista (quella successiva al 1909), non è difficile constatare come l’autore ne abbia sempre fatto un uso considerevole, sintomatico di una propensione a risolvervi in termini stilistici l’irrisolta questione del rapporto dell’io con la materia, degli uomini con le cose, non soltanto le macchine. 71 Prima dei miei studi, mancava una trattazione monografica sull’argomento. Il già ricordato G. VIAZZI, in I poeti del Futurismo, cit., pp. 49-51, parla di una divinizzazione della materia nelle opere tarde, mentre ascrive soltanto alla produzione marinettiana «prima maniera» un «disteso antropomorfismo, […] la tendenza metamorfica, la plurivalenza dei caratteri delineata come coesistenza organica dei contrari». S. BRIOSI, in Marinetti e i futurismo, Lecce, Micella, 1986, p. 21, riconosce una «violenta riduzione del mondo entro i confini di una rappresentazione antropomorfica la cui origine viene però trovata nel mondo stesso: l’io deve ‘morire’, per Marinetti, ma per rinascere […] nella ‘vita della materia’». 33 Marinetti aspira a un «tipo non umano e meccanico»72 che trova la sua corrispondenza nell’«ossessione lirica della materia», enunciata al punto 11 del Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912: 11. Distruggere nella letteratura l’«io», cioè tutta la psicologia. L’uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno. Dunque, dobbiamo abolirlo nella letteratura, e sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l’essenza a colpi d’intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici. Sorprendere attraverso gli oggetti in libertà e i motori capricciosi la respirazione, la sensibilità e gli istinti dei metalli, delle pietre, del legno, ecc. Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia. Guardatevi dal prestare alla materia i sentimenti umani, ma indovinate piuttosto i suoi differenti impulsi direttivi, le sue forze di compressione, di dilatazione, di coesione, e di disgregazione, le sue torme di molecole in massa o i suoi turbini di elettroni. Non si tratta di rendere i drammi della materia umanizzata. […] La materia fu sempre contemplata da un io distratto, freddo, troppo preoccupato di sé stesso, pieno di pregiudizi di saggezza e di ossessioni umane. […] Le intuizioni profonde della vita congiunte l’una all’altra, parola per parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di una psicologia intuitiva della materia73. Sempre a proposito della «Morte dell’io letterario», Marinetti era quindi intervenuto anche nel “manifesto tecnico” del 1913, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili - Parole in libertà: «Il mio manifesto tecnico combatteva l’ossessione dell’io che i poeti hanno descritto, cantato, analizzato e vomitato fino ad oggi. Per sbarazzarsi di 72 73 F.T. MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 298. F.T. MARINETTI, Manifesto tecnico della letteratura futurista, in TIF, pp. 50-52. Il brano del Manifesto presenta, inoltre, sorprendenti affinità con la conclusione dell’ultima Lezione americana di Italo Calvino, quella sulla molteplicità: «[…] magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica… Non era forse questo il punto di arrivo cui tendeva Ovidio nel raccontare la continuità delle forme, il punto d’arrivo cui tendeva Lucrezio nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose?» (I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988, p. 120). 34 questo io ossessionante, bisogna abbandonare l’abitudine di umanizzare la natura attribuendo passioni e preoccupazioni umane agli animali, alle piante alle acque, alle pietre, alle nuvole. Si deve esprimere invece l’infinitamente piccolo […] io voglio introdurre nella poesia l’infinita vita molecolare»74. Come ha già notato Fausto Curi, però, «quando si aprono le opere “creative” di Marinetti si trovano scarse tracce dell’“infinitamente piccolo”»75. Giacomo Debenedetti, pensando al motto «marciare non marcire», usò il termine «contromarce»76. Nel suo saggio già ricordato, uno dei migliori mai scritti sull’argomento, il critico biellese parlava di Marinetti come di «un curioso Galileo che abbia continuamente bisogno di far ricorso al sistema tolemaico»77. In effetti, da un lato, l’«ossessione lirica della materia» del Manifesto tecnico della letteratura futurista sembra propugnare il superamento dell’antropocentrismo in letteratura78. D’altra parte, proprio l’impiego massiccio di 74 F.T. MARINETTI, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili - Parole in libertà, in TIF, pp. 73-74. Ma si veda anche quanto affermato un anno dopo nel “terzo manifesto tecnico”, Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica, in TIF, p. 100: «Noi distruggiamo sistematicamente l’Io letterario perché si sparpagli nella vibrazione universale, e giungiamo ad esprimere l’infinitamente piccolo e le agitazioni molecolari. 75 F. CURI, Marinetti, il soggetto, la materia, in «Annali di Italianistica», vol. 27, 2009, a cura di F. LUISETTI e L. SOMIGLI, p. 299. 76 G. D EBENEDETTI, Il “Poema Africano” di Marinetti, in I D., Saggi, a cura di A. Berardinelli, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1999, pp. 580. 77 78 Ivi, p. 581. Nel rileggere il futurismo marinettiano in termini di una continuità mai veramente spezzata con la poetica simbolista e post-simbolista, R. LUPERINI, nel suo saggio La tradizione di Marinetti, in ID., L’allegoria del moderno. Saggi sull’allegorismo come forma artistica del moderno e come metodo di conoscenza, Roma, Editori Riuniti, pp. 123-31, osserva come lo scrittore futurista abbia messo in questione «non solamente la psicologia individuale, ma l’antropomorfismo, vale a dire un punto centrale della poetica simbolista» (ivi, p. 124). A tale scopo Luperini cita un brano dal già citato manifesto del 1913, Distruzione 35 personificazioni reintroduce nelle opere marinettiane un abbondante, direi sovrabbondante, antropomorfismo. La mia analisi retorico-stilistica di questo stilema marinettiano si propone di trarne alcune riflessioni di carattere generale piuttosto che presentarne una pur auspicabile descrizione di linguistica sincronica. Il primo ricorso alla figura della personificazione in un testo futurista risale al documento della Fondazione del movimento stesso che accompagna il Manifesto del 1909. L’eccezionalità dei futuristi, in veglia per tutta la notte, è messa in risalto da una contrapposizione di matrice simbolista in cui le stelle occupano il ruolo del bersaglio polemico che avevano già impersonato nell’opera prefuturista La conquête des étoiles del 1902: «Un immenso orgoglio gonfiava i nostri petti, poiché ci sentivamo soli, in quell’ora, ad esser desti e ritti, come fari superbi o come sentinelle avanzate, di fronte all’esercito delle stelle nemiche, occhieggianti dai loro celesti accampamenti».79 In questo caso, la personificazione si sviluppa nel campo semantico della guerra suggerendo della sintassi: «Invece di umanizzare animali, vegetali, minerali (sistema sorpassato) noi potremmo animalizzare, vegetalizzare, mineralizzare, elettrizzare, o liquefare lo stile, facendolo vivere della stessa vita della materia. Es. Per dare la vita di un filo d’erba, dico: “sarò più verde domani”». Ho aggiunto alla citazione l’esempio finale perché sia evidente come Marinetti non persegua un processo di “necrofila” disumanizzazione; al contrario, il suo fine è quello di «introdurre nella poesia l’infinita vita molecolare che deve mescolarsi, nell’opera d’arte, cogli spettacoli e i drammi dell’infinitamente grande, poiché questa fusione costituisce la sintesi integrale della vita» (F.T. MARINETTI, Distruzione della sintassi, in TIF, pp. 73-74). Il saggio di Luperini era precedentemente apparso in francese nel volume degli Atti di una conferenza tenutasi a Groningen,.Vitalité et contradictions de l’avant-garde. ITALIE-FRANCE 1909-1924, a cura di S. BRIOSI e H. HILLENAAR , Parigi, Librarie José Corti, pp. 17-26. 79 F. T. MARINETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 7. Quanto alla rappresentazione delle stelle, è chiara la discendenza del passo citato da F. T. MARINETTI, La conquête des étoiles, uscito a Parigi (Éditions de “La Plume”) nel 1902 e poi presso Sansot nel 1904, e che qui trascriviamo dalla prima edizione con la traduzione Italiana di Decio Cinti: «Frattanto i fulgidi eserciti di Stelle / occupavano lo Zenit, […]. / Formicolanti eserciti di Stelle invadevano / l’imperscrutabile spazio, / […]. // Erano legioni possenti e serrate d’Astri rossi, / legioni di Stelle dai raggi branditi come lancie, […]» (p. 179). Poche pagine prima l’esercito dei Marosi è incitato alla guerra al grido di «Morte alle stelle!» (pp. 173-174), perfetto antesignano del già analizzato Uccidiamo il Chiaro di Luna!. Da notare infine che, proprio parlando della Conquête des étoiles, S. BRIOSI, in Marinetti e i futurismo, cit., p. 15, introduce il concetto di «animismo»: «[…] una percezione delle cose come abitate da un’anima senza però diventare, per questo, inquietanti o misteriose». 36 un antagonismo che rileva le aspirazioni eroiche del movimento: i futuristi sono delle «sentinelle» e le stelle a loro contrapposte formano un «esercito», ostile («nemiche») e raggruppato in «accampamenti» siderali. Non manca un tratto che rimandi pure ad un elemento corporeo, fisico: le stelle, infatti, sono dotate di occhi e dall’alto occhieggiano. Diversamente connotato rispetto ad altri verbi di percezione, il verbo “occhieggiare” si presta a svolgere una duplice funzione: da un lato, infatti, implica un uso degli occhi intenzionale e senziente, dunque, attribuisce alle stelle una prerogativa tipica dell’essere umano; d’altra parte, questa intenzionalità dello sguardo, racchiusa nel senso del verbo, generalmente esprime desiderio o ammirazione e pertanto un semplice participio aggettivale basta da solo ad esercitare, rivelandola, quella funzione narcisistica della personificazione di cui parla Michael Riffaterre richiamandosi alle teorie di Paul de Man: «[...] the address calls for a reply of the addressee, the gaze that perceives animation invites gazing back from the animated object to the subject daydreaming a Narcissistic reflection of itself in things»80. Riffaterre parla in realtà di prosopopea e non di personificazione, riproponendo la distinzione tassonomica formulata dal retore Pierre Fontanier nel 1821: «La Prosopopée, qu’il ne faut confondre ni avec la Personnification ni avec l’Apostrophe, ni avec le Dialogisme, qui l’accompagnent presque toujours, consiste à mettre en quelque sorte en scène, les absents, les morts, les êtres surnaturels, ou même les êtres inanimés; à les faire agir, parler, répondre, ainsi qu’on l’entend […]»81. 80 81 M. RIFFATERRE, Prosopopeia, in «Yale French Studies», n. 69, 1985, p. 112. P. FONTANIER, Les Figures du discourse, Paris, Flammarion, 1977, p. 404. Anche per la personificazione ricordiamo la definizione di Fontanier: «La Personnification consiste à faire d’un être inanimé, insensible, ou d’un être abstrait et purement idéal, une espèce d’être réel et physique, doué de 37 Che si tratti di prosopopea o di personificazione rimane in ogni caso valido il corollario individuato da Rifatterre secondo il quale una struttura chiastica corrisponde simmetricamente al meccanismo lirico del tropo in questione: «[...] either the subject will take over the object, or it will be penetrated by the object»82. Il ricorso alla figura del chiasmo chiarisce questa propensione, simmetrica e ambivalente, allo scambio tra soggetto e oggetto, tra personificante e personificato, tra umano e non umano, tra l’io e la materia, e definisce perfettamente la tendenza marinettiana alla personificazione come luogo testuale privilegiato per tali metamorfosi. Se la prima attestazione è da far risalire al testo che accompagna il Manifesto del Futurismo, l’ultimo esempio di personificazione documentabile nell’opera di Marinetti coincide con la fine stessa della sua carriera letteraria; lo si ritrova nell’ultima pagina dell’ultima opera, Quarto d’ora di poesia della X Mas, poema concepito a Bellagio il giorno prima della morte il 1 dicembre del 1944: Beatitudine scabrosa di colline inferocite sparano Vibra a lunghe corde tese che i proiettili strimpellano la voluttuosa prima linea di combattimento ed è una tuonante catedrale [sic] coricata a implorare Gesù con schianti di petti lacerati Saremo siamo le inginocchiate mitragliatrici a canne palpitanti di preghiere Bacio ribaciare le armi chiodate di mille mille mille cuori tutti traforati dal veemente oblio eterno83 La propensione marinettiana ad un diffuso antropomorfismo trova spazio anche in questo sentiment et de vie, enfin ce qu’on appelle une personne; et cela, par simple façon de parler, ou par une fiction toute verbale, s’il faut le dire. Elle a lieu par métonymie, par synecdoque, ou par métaphore» (ivi, p. 111). Da rilevare anche che nel definire il tropo senza distinzione alcuna tra prosopopea e personificazione, quest’ultima è considerata da H. LAUSBERG, Elementi di retorica, Bologna, Il Mulino, 1969, p. 236, una «variante di realizzazione dell’allegoria». 82 M. RIFFATERRE, Prosopopeia, cit., p. 112. 83 F.T. MARINETTI, Quarto d’ora di poesia della X Mas, in TIF, p. 1202. 38 testamento poetico e spirituale dove si riscontrano molti degli stilemi cari allo scrittore; tutti contribuiscono in un certo modo all’ambiguità di queste continue oscillazioni tra l’umano e il non umano, l’io e la materia. Ritroviamo l’abolizione della punteggiatura, la sintassi ellittica e franta, l’uso di un medesimo sostantivo come complemento di una proposizione e soggetto della successiva (qui «colline»), il poliptoto («saremo siamo» e poi, col conclusivo passaggio dal plurale al singolare, «Bacio baciare» cui si aggiunge l’uso del verbo all’infinito). Ma ci sono pure consuete forme di personificazione. Nel primo rigo le «colline» sono «inferocite» e «sparano». Nel secondo e terzo blocco di immagini funziona invece un’analoga struttura: una metafora in cui gli esseri umani sono metamorfosati in cose («la voluttuosa prima linea di combattimento» in una cattedrale, il noi ellittico in una «mitragliatrice»), ma al contempo queste cose, questi oggetti, sono umanizzati, antropomorfizzati. La «catedrale» in cui si assommano tutti i soldati della prima linea è «coricata» implorante. Per ipallage le mitragliatrici sono «inginocchiate», le «canne» sono «palpitanti». L’immagine delle «canne» riecheggia poi quella dei proiettili che «strimpellano» (dunque anch’essi personificati) perché si sviluppa in una sorta di anfibologia la metafora musicale: canne di fucile ma anche di strumento, di organo di cattedrale. È la preghiera degli uomini e delle cose: Gesù e l’«oblio eterno», assieme. All’interno di questo ampio spettro racchiuso tra l’inizio e la fine dell’esperienza futurista del fondatore dell’avanguardia italiana, innumerevoli, e persino più eclatanti, sono le occorrenze di un simile ricorso alla personificazione o antropomorfismo che dir si voglia. Questa ultima distinzione non andrà elusa ma al di là del tecnicismo retorico e 39 della convenzionalità storica della sua classificazione84, è indubbio che Marinetti attui una serie di spinte e controspinte apparentemente contrastanti nella direzione di una scrittura metaforica e metamorfica. Da un punto di vista tassonomico, per spiegare queste figure retoriche della translatio che implicano un trasferimento da un’entità ad un’altra e dunque una metamorfosi, nel suo studio monografico sulla poetica della personificazione James Paxson propone un glossario che distingue almeno tre diversi rapporti possibili tra le molteplici categorie ontologiche: a) materializzazione/sostanzializzazione/ipostasi quando un’entità non corporea è traslata, mutata in entità corporea; b) antropomorfismo quando un’entità non umana è mutata in una forma umana; c) personificazione (non distinta dalla prosopopea, diversamente da quanto proposto dalla classificazione canonica di Fontanier) quando un’entità non umana è mutata in un’entità umana senziente, capace di pensiero e di linguaggio, dotata di una voce e di una faccia85. In questa mia analisi, preferisco attenermi alla nomenclatura tradizionale, preservando la distinzione tra personificazione e prosopopea. Con il termine antropomorfismo si indicherà allora la generica attribuzione di caratteristiche e qualità umane a ciò che umano non è, un oggetto, un animale, oppure un paesaggio, come avviene nell’Aeropoema di Gesù su cui alla fine ritorneremo. Ovviamente l’antropomorfismo si avvale sul piano retorico di personificazioni e prosopopee. Vi agisce in ogni caso un trasferimento di qualità e prerogative umane che può contemplare 84 Per un excursus storico sulle teorie della personificazione, da Aristotele e la Rhetorica ad Herennium fino a Paul de Man e i suoi continuatori, si veda il primo capitolo del libro monografico di J. PAXSON, The Poetics of Personification, Cambridge (UK), Cambridge UP, 1994, pp. 8-34. Per una riflessione tassonomica sull’argomento, si rimanda al capitolo successivo del medesimo libro, pp. 35-62. 85 Cfr. J. PAXSON, The Poetics of Personification, cit., p. 42. 40 o meno l’attribuzione di una voce. Si tratta, comunque sia, di un’estensione dell’umano, un’operazione apparentemente inversa rispetto alla meccanizzazione o metallizzazione da cui eravamo partiti86. Tale operazione è necessariamente non realistica, anzi, diciamo pure surreale, e spesso si manifesta con aspetti comici o grotteschi. L’arbitrarietà che sottende tale processo ne cela la sua origine utopica. Ma soffermiamoci per ora sulla sua arbitrarietà. Un’adeguata riconsiderazione del ruolo dell’antropomorfismo nella scrittura marinettiana servirà anche a controbilanciare l’idea di una poesia come mimesi della realtà che spesso ha accompagnato l’analisi linguistico-stilistica dell’opera di Marinetti da parte di una certa critica di impronta strutturalista risalente agli anni Settanta. Nel suo saggio La nozione di liposegno tra teoria e prassi nel sistema parolibero di Marinetti, Ciro Vitiello definisce la scrittura marinettiana realistica, anzi «reistica», appunto perché essa privilegerebbe «in gioiosa ed esuberante mimesi la reificazione, alienata e alienante ante litteram, del cosmo riprodotto o/e riproducibile, dove l’ego è assimilato o introiettato alle cose, sedicenti efferenti sommatorie»87. È evidente che una simile lettura risenta della parzialità di un’analisi limitata al Marinetti parolibero, il Marinetti sperimentale di Zang Tumb Tumb (1914) e di testi simili. Anche Fausto Curi, nel saggio La stilistica della materia, confluito nel volume Perdita d’aureola, non fa che condannare i «presupposti 86 Sulla distinzione tra metallizazione e meccanizzazione si veda quanto sostenuto da Jeffrey Schnapp che fa risalire questa dicotomia alla teoria dell’arte romantica. Vd. J. T. SCHNAPP, 18BL: Mussolini e l’opera d’arte di massa. Milano, Garzanti, 1996, pp. 127-130. 87 C. VITIELLO, La nozione di liposegno tra teoria e prassi nel sistema parolibero di Marinetti, in «ES.» (a cura di), Marinetti futurista, Guida, Napoli, 1977, p. 145. 41 inconsapevolmente antisaussuriani»88 di una lingua che privilegia onomatopea e fonosimbolismo contravvenendo al principio dell’arbitrarietà del segno linguistico. La lingua svolgerebbe in Marinetti una funzione meramente mimetica e referenziale, mentre una regressione al naturalismo e ad una specie di sprovveduto ilozoismo rappresenterebbero la resa inevitabile di un atteggiamento di riconciliazione con l’esistente, tipico da parte di un intellettuale organico alla classe egemone in una fase storica di espansione industriale capitalistica89. Se però riconosciamo l’incidenza dell’uso della personificazione nel complesso dell’opera marinettiana, un simile giudizio non potrà che ritenersi limitato e limitativo quando non erroneo. Nella sua tassonomia a cui abbiamo già fatto ricorso, Paxson adotta proprio il modello del segno linguistico concepito da Saussure onde rilevare la natura composita e duplice della personificazione: personificante figura della personificazione = personificato 90 L’impiego di un simile modello si basa sull’assunzione del medesimo principio di arbitrarietà che definisce il rapporto tra le due componenti della personificazione stessa. Uno studio più sistematico e ampio di questo potrà occuparsi di analizzare più 88 F. CURI, Perdita d’aureola, Torino, Einaudi, 1977, p. 140. Il saggio di Curi è la rielaborazione di una relazione al “Colloque international Marinetti” di Parigi, tenutosi il 15 giugno 1976 e apparso anche nel volume degli atti a cura di J. MARCADÉ, Présence de F.T. Marinetti. Actes du Colloqui International tenu à l’UNESCO. Lausanne, Editions; l’Age d’Homme, 1982, pp. 26-48. Per quanto attiene l’arbitrarietà del segno linguistico si rimanda a F. DE SAUSSURE, Corso di linguistica generale, Bari, Laterza, 1972, p. 85: «Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario, o ancora, poiché intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario». 89 Cfr. F. CURI, Perdita d’aureola, cit., p. 143 e p. 159. 90 Cfr. J. PAXSON, The Poetics of Personification, cit., p. 40. 42 dettagliatamente come la personificazione si manifesti in quanto risultante del binomio, arbitrario e quindi né mimetico né referenziale, tra gli agenti personificanti e gli oggetti personificati. Per ora ricordiamo che anche Riffaterre aveva rilevato l’arbitrarietà alla base della prosopopea (ma lo stesso vale per la personificazione) esaltandone i caratteri di artificiosità e convenzionalità. Mimesi di un adynaton («mimesis of a natural impossibility»91), il processo di antropomorfizzazione della realtà ha poco a che vedere con la referenzialità, si manifesti nella prosopopea di una bufala egiziana che rivela i suoi pensieri in un discorso diretto92 (nell’opera memoriale Il fascino dell’Egitto in TIF 1060) o nella corporeità imperfetta di un periodare latino personificato: «Questo [il periodo latino] ha naturalmente, come ogni imbecille, una testa previdente, un ventre, due gambe e due piedi piatti, ma non avrà mai due ali. Appena il necessario per camminare, per correre un momento e fermarsi quasi subito sbuffando!»93. Quest’ultima citazione proviene dal Manifesto tecnico della letteratura futurista, già ricordato più volte. Varrà allora la pena di osservare che anche questo testo metaletterario, dove Marinetti enuncia i dettami della sua poetica futurista, si presenta come una grande prosopopea in cui a parlare è l’elica di un motore aereo: «Ecco cosa mi disse l’elica turbinante, mentre filavo a duecento metri sopra i possenti fumaioli di Milano. E l’elica aggiunse: 1. Bisogna 91 M. RIFFATERRE, Prosopopeia, cit., p. 110. 92 Si veda l’opera memoriale Il fascino dell’Egitto (1933), in cui il capitolo 7 è intitolato I pensieri di una bufala. Cfr. F.T. MARINETTI, Il fascino dell’Egitto, in TIF, p. 1060: «La bufala mastica: “Sono la figlia della terra nera e del Nilo bigio. Sdraiata sembro un cumulo di limo […]”». 93 F.T. MARINETTI, Manifesto tecnico della letteratura futurista, in TIF, p. 46. 43 distruggere la sintassi […]»94. Non solo una macchina, un’automobile, rappresenta il nuovo ideale estetico futurista da sostituire alla Vittoria di Samotracia, ma è il componente di un’altra macchina, un aeroplano, a dettare i cardini della rivoluzione letteraria marinettiana. È tuttavia una macchina umanizzata, una macchina che riceve la faccia e la voce di Marinetti, la sua maschera, la sua prosopopea. In quanto entità composita e duplice, la personificazione comporta una ridefinizione dei termini che la compongono, il personificante e il personificato, imponendo una riconsiderazione sia di quelle che sono le prerogative umane, mediante la loro estensione a ciò che non è umano (il personificante), sia della natura dell’oggetto della personificazione (il personificato). Le figure della personificazione, in altre parole, generano nuovi significati attraverso un processo di defamiliarizzazione, in virtù degli effetti di straniamento che derivano dall’arbitrarietà artificiosa alla base della combinazione tra personificante e personificato. Sempre Riffaterre individua all’interno di una trama narrativa due tratti che caratterizzano la prosopopea, ma ancora una volta ciò vale anche per la personificazione: «it [prosopopeia] tends to be comical, and it generates subtexts within the texts. Comicality is the avatar of the figure’s fundamental artifice»95. Spesso, ma non sempre, effetti comici accompagnano la defamiliarizzazione del linguaggio indotta dalle figure della personificazione anche nella prosa lirica marinettiana. Parlando di Spagna veloce e toro futurista, Sandro Briosi nota come «l’antropomorfizzazione e la riduzione a 94 Ibidem. 95 M. RIFFATERRE, Prosopopeia, cit., p. 116. 44 miniatura del paesaggio» producano «a tratti effetti spiritosi, da disegno d’animazione»96, onde citare la seguente personificazione di un’automobile e della strada su cui essa viaggia: «Fra due pendii gialli arati da lentissime mule, l’automobile sobbalzando strizza rapidamente la strada che furente si risolleva globulosamente bianca per morderla al culo»97. L’uso della personificazione, con i suoi effetti grotteschi e surreali che derivano da quell’impossibilità naturale in cui sono legati retoricamente assieme personificante e personificato, riduce la carica di violenza di molte immagini di guerra tipiche della produzione marinettiana. In questo senso lo straniamento è funzionale alla riduzione degli effetti di certe descrizioni belliche, altrimenti sconvenientemente realistiche e che rischierebbero di minare l’efficacia e la persuasione del credo militarista dell’autore. Si pensi ad esempio alla seguente immagine dal «romanzo vissuto» L’Alcòva d’acciaio: «Il direttore impazzisce gesticolando di gioia, sembra guidare buffonescamente l’anima ancor commossa della Patria alla fiera finale dove saranno macellate e mangiate dai panciuti e ghiotti cannoni le mandre austriache»98. In questa rappresentazione di una strage futura, ma dove il nemico è gia una vittima designata al macello e per di più deantropomorfizzato al rango di animale («mandre»), la virulenza del senso è disinnescata, certo affievolita, dall’uso comico dell’aggettivo «panciuti», aggettivo che da solo basta a personificare i «cannoni». Questi vengono così umanizzati, come dire, cioè, 96 S. BRIOSI, Marinetti e i futurismo, cit., p. 32. S. N GAI, in The Cuteness of the Avant-Garde, in «Critical Inquiry», Chicago, estate 2005, vol. 31, n. 4, pp. 811-847, sostiene «[…] the centrality of anthropomorphism to cuteness». 97 F.T. MARINETTI, Spagna veloce e toro futurista, in TIF, p. 1023. 98 F.T. MARINETTI, L’Alcòva d’acciaio (romanzo vissuto), Firenze, Vallecchi, 2004 , p. 47. 45 che vengono dotati di vita degli strumenti di morte; i cannoni antropomorfizzati sono resi più accettabili, persino simpatici, con quel carico di distruzione che sembra invece una comica pancia. I cannoni «panciuti e ghiotti» sono inverosimili come un disegno d’animazione ma sembrano più innocui di quel che sono. La personificazione attiva un effetto di straniamento che deforma la realtà di guerra per renderla umana, nel senso di umanamente possibile, accettabile, persino comica, gioiosa. È la guerra come festa di cui ha parlato Mario Isnenghi99. Proprio analizzando le pagine dell’Alcòva d’acciaio, Isnenghi prima individua l’insistita «metafora sesso-guerra» che percorre tutto il romanzo e, poi, nel tentativo di darne una spiegazione freudiana, rileva «la continuità degli istinti aggressivi e quindi l’affinità tra istinto bellico e istinto sessuale»100. Certamente l’estetizzazione della guerra marinettiana di cui parlava Benjamin si poggia su un processo di eroticizzazione che trova il suo prototipo nella mitragliatrice personificata della Battaglia di Tripoli: Sta china in avanti la mitragliatrice, snella figura di donna dal busto flessuoso inguainato di velluto nero e adorno di una ondeggiante cintura di cartucce. Fra i suoi capelli neri: o piuttosto fra i suoi denti feroci sboccia orizzontalmente, con uno slancio continuo, frenetico, come il più folle, il più appassionato fiore che esista, l’orchidea bianca della sua fiamma veemente. Eh sì! voi siete, piccola mitragliatrice, una donna affascinante, e sinistra, e divina, al volante di un’invisibile centocavalli, che rugge con scoppi d’impazienza. Oh! certo, fra poco balzerete nel circuito della morte, verso il c apitombolo fracassante o la vittoria!... Volete che io faccia dei madrigali pieni di grazia e di colore?101 Una medesima modalità di rappresentazione, che proietta in una figurazione fatta di 99 Cfr. M. ISNENGHI, Il mito della Grande Guerra, Bologna, Il Mulino, 2007 (19891), pp. 179-183. 100 101 Ivi, pp. 181-182. F.T. MARINETTI, La battaglia di Tripoli (26 Ottobre 1911). Vissuta e cantata da F.T. Marinetti, Padova, Tipografia «Elzeviriana», 1912, p. 12. 46 seducenti spoglie femminili un desiderio di possesso virile e sessuale, caratterizza anche la personificazione-madre del pensiero, ossessivo, di Marinetti, quella della patria: «Tu sei l’alcòva d’acciaio veloce, creata per ricevere il corpo nudo della mia Italia nuda, che ora, con grazia, per i graziosissimi piedi trascino dentro, dentro, dentro di te! È già dentro, e fra le mie braccia!»102. Gli amati poliptoti («nudo» e «nuda», «grazia» e «graziosissimi») e altre figure della ripetizione si ritrovano in una doppia personificazione: quella dell’autoblinda «74» su cui il tenente Marinetti attraversa i paesi liberati dopo Caporetto (ad essa, «Tu sei…», è indirizzata l’apostrofe appena citata) e quella della patria che ha le tradizionali fattezze femminili della madre-patria, rilette in una sorta di misticismo erotico («Italia mia, donna-terra, madre-amante, sorella-figlia, maestra d’ogni progresso e perfezione, poliamorosa – incestuosa, santa – infernale – divina!»103, urla la blindata stessa durante un sogno di gelosia del protagonista. Un altro esempio di prosopopea). In un successivo capitolo di grande intensità letteraria dell’Alcòva d’acciaio, Un’isola profumata nel fiume puzzolente, la personificazione della patria del nemico dà voce e corpo agli orrori della guerra: «Penso che lo smisurato cadavere dell’Austria vomiti fuori dalla sua pancia sfondata un terrificante budellame che per la valle della Carnia inonderà la bella penisola nostra»104. Il fiume di prigionieri dell’Austria sconfitta è 102 F.T. MARINETTI, L’Alcòva d’acciaio (romanzo vissuto), cit., p. 262. 103 Ibidem. 104 Ivi, p. 316. 47 descritto per mezzo di una personificazione cruenta, tutt’altro che edulcorata. L’orrore della guerra è riconosciuto soltanto al nemico mentre sfila cencioso e sporco in un «fiume di putredine»105, espressione che fa pensare alla «palus putredinis» del neoavanguardista Sanguineti per il comune ricorso a varie immagini di esibita corporeità106. Ma ecco che a salvare Marinetti, che cerca rifugio nell’«isola profumata» della propria blindata, interviene la personificazione del Simun, «Forte Vento africano non servo ma innamorato dell’Italia»107, che cancella ogni traccia olfattiva degli sconfitti. Le figure della personificazione, che svolgono un ruolo chiave nel processo di esaltazione del patriottismo militarista di Marinetti, non si limitano tuttavia ad intervenire nel campo semantico privilegiato della macchina e della guerra. In quell’improbabile cronaca dal fronte libico che apparve sulle pagine del giornale parigino L’Intransigeant dal 25 al 31 dicembre del 1911, vale a dire il poema lirico La battaglia di Tripoli già precedentemente citato108, la personificazione è adoperata per rappresentare il paesaggio in sensuali immagini di impressionismo barocco: «Un vento fiacco, stanco, le cui mani 105 F.T. MARINETTI, L’Alcòva d’acciaio (romanzo vissuto), cit., p. 315. 106 Il mio riferimento è al componimento d’apertura di Laborintus, il libro di poesie di Edoardo Sanguineti del 1956, oggi disponibile anche nella raccolta antologica E. SANGUINETI, Mikrokosmos. Poesie 19512004, a cura di E. Risso, Milano, Feltrinelli, 2000 , p. 13. 107 108 F.T. MARINETTI, L’Alcòva d’acciaio (romanzo vissuto), cit., p. 318.. Il poema, nato dal lavoro come corrispondente al fronte, fu pubblicato in un opuscolo nel gennaio del 1912 presso la Tipografia «Elzeviriana» di Padova ed offerto alle famiglie dei combattenti in Tripolitania. Nello stesso anno fu pubblicato, prima in francese, La bataille de Tripoli (26 Octobre 1911) vécue et chantée par F. T. Marinetti, e poi in italiano, con la traduzione di Decio Cinti, presso le Edizioni futuriste di «Poesia». Nel suo saggio Salite finalmente. Intenzioni e documenti nel futurismo di F. T. Marinetti, confluito nel volume Styx: avant-garde gnostique & islamique, Bruxelles, Istituto di Skriptura, 2008, a pagina 23, L. CLERICI rileva come nel «futurismo ciò che diviene storico è stato della cronaca». 48 sottili vanno distrattamente tamburellando sulle colline, e che a scatti strani, si rizza e si torce, nella fretta selvaggia di rianimare dappertutto, le dune morte di noia»109; oppure ne reperiamo altra testimonianza nell’immaginifica descrizione di un tramonto africano dove è sviluppato il campo semantico della musica: «È il tramonto direttore d’orchestra, che con un gesto ampio raccoglie i flauti sparsi degli uccelli negli alberi, e le arpe lamentevoli degli insetti e lo scricchiolio dei rami, e lo stridio delle pietre. E lui che ferma a un tratto i timpani delle gamelle dei fucili cozzanti»110. Nell’«aeroromanzo» Venezianella e Studentaccio del 1943-1944 la figura della personificazione è centrale sin dal titolo in cui i due protagonisti si configurano subito come due specie di personificazioni simboliche dell’odiatamata città lagunare (Venezianella) e del genio ribelle e antiaccademico dello spirito futurista (Studentaccio). Volontario universitario in licenza medica dal fronte, innamoratosi della bella Venezianella, una crocerossina sempre in fuga, musa ispiratrice e novella Angelica, Studentaccio guida i cantieri futuristi sul Rivo degli Schiavoni per la costruzione di una Nuova Venezia. Nel capitolo L’inafferrabile profilo si inscena uno spassoso processo contro i futuristi incriminati sulla base del manifesto Contro Venezia passatista, un testo che Marinetti effettivamente firmò insieme a Boccioni, Carrà e Russolo nel 1910111. I «palazzi del Canal Grande», dimentichi del loro essere palazzi, fanno parte della giuria che finisce per assolvere gli imputati in considerazione dell’originalità del paesaggio e 109 F.T. MARINETTI, La battaglia di Tripoli, cit., p. 4. 110 Ivi, pp. 5-6. 111 Cfr. F.T. MARINETTI, Contro Venezia passatista, in TIF, pp. 33-38. 49 degli stili architettonici che sin dalle origini hanno contraddistinto la creazione di Venezia: – Oggi incomincia il processo delle lagune incolpate di dinamismo distruttivo e dei loro complici vetrai futuristi e motoscafi I palazzi del Canal Grande dimenticando i loro marmorei e cristallini costumi solenni da bagno s’insediano a tribunale – Principale capo d’accusa questo manifesto lanciato con trentotto milioni di volantini dall’alto della torre dei due moli “Noi ripudiamo l’antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari […]” I palazzi giustizieri non si trattengono dal chiacchierare e uno adorna la sua facciata diagonalmente con una storiella amena e con un si dice boccaccesco a guisa di rosone cornicione o vetrata112 Indice di artificiosità e convenzione letteraria, la personificazione si dispiega fino alle sue estreme possibilità in un chiaro esempio di consapevolezza artistica, resa persino autoironica dalla citazione di un testo da una precedente fase della carriera dell’autore e qui utilizzato come capo d’accusa contro i personaggi del romanzo, anch’essi futuristi. L’iperbole del numero dei volantini («trentotto milioni») gioca divertita con l’esagerazione tipica della retorica declamatoria del manifesto. Un’annotazione in corsivo alla fine dell’opera del 1910 parlava, infatti, di un lancio di «800000 foglietti» che appunto contenevano Contro Venezia passatista113. Ora sono diventati milioni! Personificazione e prosopopea di una sineddoche, i palazzi veneziani antropomorfizzati intentano un processo contro i vetrai futuristi ma soprattutto contro le lagune stesse. L’autore dà voce, dà una faccia (prosopon) al suo antico bersaglio polemico, Venezia la 112 Venezianella e Studentaccio è un’opera solo parzialmente inedita, perché, in realtà, i primi quattro capitoli del romanzo sono già stati resi noti nell’anticipazione di un progetto editoriale a cura di A. FABBRI, in «Yale Italian Poetry» (YIP), n. 5-6, 2001-2002 [2003], pp. 199-226. In mancanza di un’edizione complessiva, cito direttamente da uno dei due dattiloscritti che appartengono all’archivio marinettiano presso la Beinecke Library di Yale, New Haven, CT. 113 Cfr. F.T. MARINETTI, Contro Venezia passatista, in TIF, p. 34. 50 passatista, che prima si auto-accusa e poi si auto-assolve. È un tardo Marinetti che si diverte a rimescolare le carte in un gioco combinatorio modernissimo, autoreferenziale e metaletterario come gli è solito, e non senza voluti effetti di un surreale umorismo. La prosopopea è allora la maschera giocosa dello scrittore114. Come in Venezianella e Studentaccio le figure della personificazione giocano un ruolo predominante anche nella narrazione lirica di un’opera coeva, L’Aeropoema di Gesù, pubblicato postumo a cura di Claudia Salaris soltanto nel 1991. Nella seconda parte di questa opera tripartita, intitolata Parlano fra loro della casa degna i paesaggi della Giudea, Marinetti giunge a concepire il paradosso di un «dialogo tra una ora di silenzio notturno nel Giardino degli Ulivi e un minuto di aurora taciturna nel Giordano»115. Come scrive Claudia Salaris nel suo saggio di postfazione Il futurismo e il sacro, assistiamo a «una drammatizzazione dei luoghi evangelici caratterizzata da uno scambio di ruoli, così tipico nell’immaginario marinettiano, per cui il mondo animale, vegetale e minerale assume sentimenti umani: gli episodi della leggenda cristiana vengono evocati direttamente dai paesaggi che conversano fra loro, interpreti d’una singolare sacra rappresentazione»116. A fronte di un simile ricorso 114 Si ricordi allora che P. DE MAN, nel saggio Autobiography as De-facement, in ID., The Rhetoric of Romanticism. New York: Columbia UP, 1984, pp. 75-76, definisce la figura della prosopopea «the fiction of an apostrophe to an absent, deceased or voiceless entity, which posits the possibility of the latter’s reply and confers upon it the power of speech. Voice assumes mouth, eye, and finally face, a chain that is manifest in the etymology of the trope’s name, prosopon poien, to confer a mask or face (prosopon)». Tornerà utile citare anche questa altra definizione di de Man, ivi, p. 77: «The dominant figure of the epitaphic or autobiographical discourse is, as we saw, the prosopopeia, the fiction of the voice-frombeyond-the-grave». 115 F.T. MARINETTI, L’Aeropoema di Gesù, a cura di C. Salaris, Montepulciano, Editori del Grifo, 1991, p. 45. 116 C. SALARIS, Il futurismo e il sacro, in F.T. MARINETTI, L’Aeropoema di Gesù, cit., p 95. 51 all’antropomorfizzazione anche la Salaris parla di un «tipico animismo»117 marinettiano. È questo un argomento che meriterebbe uno studio a parte. Certamente, a livello retoricostilistico, ci si trova dinnanzi a un poderoso uso di personificazioni e prosopopee, in una misura forse senza precedenti nella letteratura italiana. Anche in questo testo, Marinetti assume una maschera, quella dell’attribuzione di una voce a chi ne è privo, ma la usa questa volta per smascherarsi. Rimasto chiuso di notte in un’officina, il poeta conversa con dei motori in attesa di collaudo. Uno di essi dice: «Sono fatto di acciaio nichelio rame e mi nutro di olio di ricino e benzina ma rassomiglio al cuore forsennato di quella bella donna a troppo prolissa capigliatura nera»118. Il poeta quindi svelandosi commenta: «Occorre occorre occorre l’untuosità della saliva tenerissima e così rendere agevole l’acciaio nel suo sposalizio colla carne e l’illusione di sentirsi metallico quando si è in realtà soltanto carne piangente»119. Carne e acciaio si confondono ancora. La prosopopea di un motore, troppo simile ad una donna tutta carnale, induce l’autore a togliersi la maschera rivelando l’illusione utopica alla base dell’esaltazione marinettiana della macchina. Laddove muore il sogno di essere durevoli come l’acciaio, rimane soltanto una prosopopea120. 117 C. SALARIS, Il futurismo e il sacro, cit., p. 92. 118 F.T. MARINETTI, L’Aeropoema di Gesù, cit., p. 61. 119 Ibidem. 120 Commentando questo stesso brano dall’Aeropoema di Gesù, C. SARTINI BLUM, in The Other Modernism, cit., p. 157, parla giustamente di un meccanismo di difesa alla base della mitopoiesi futurista della macchina: «By “marrying” the machine, man can sustain the illusion that he has overcome the miseries of his “weeping flesh.” At the same time, he can exorcise his anxieties about technology (the “fury” of the engines)». Parlando del “non umano” («Le non humain»), nel suo saggio Durée de la remémoration in F. T. Marinetti, anche L. CLERICI, in Styx, cit., p. 155, giunge a sottolineare la centralità 52 Marinetti non era un necrofilo, era uno scrittore, un poeta. Era anche un assiduo frequentatore, un maestro della personificazione. Altri studi spiegheranno più a fondo le ragioni e le modalità di questo eccezionale ricorso all’antropomorfismo, corrispondente letterario di una percezione noetica della realtà, che ha i tratti di un misticismo immanente dove l’io è superato attraverso l’identificazione materialistica con il reale. Sarebbe tuttavia riduttivo spiegarlo ricorrendo alla panacea condiscendente di chi usa la formula critica di De Maria per spiegare l’ultimo Marinetti attraverso la teoria del «ritorno del rimosso»121, o di chi vede in questo antropomorfismo la semplice manifestazione di un Io maschile, più o meno misogino, che si limita a voler prevaricare sulla realtà del mondo circostante imponendo la propria voce122. Al contrario, poiché Marinetti era un poeta, da poeta usa le figure della personificazione attuando quella poetica enunciata in Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà. Parlando delle parole in libertà, Marinetti fornisce questa definizione di lirismo: «il lirismo è la facoltà rarissima di inebbriarsi della vita e di inebbriarla di noi stessi. La facoltà di cambiare in vino l’acqua torbida della vita che ci avvolge e ci attraversa. La del pensiero della morte: «La psychologie intuitive de la matière est le prolongement de la forêt de nos veines. La psychologie, chez Marinetti, est fonction tautologique d’un infini verbal et de sa catégorization, où le sang correspond à la matière incorruptible de l’âme universelle. Par cette technique non humaine et non psychologiste, nous échappons, selon Marinetti, à la suprême définition qui nous guette, toujours corrompue: la mort». 121 122 L. DE MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in TIF, p. XCVIII. In una lettura troppo rigidamente polarizzata, C. SARTINI BLUM, in The Other Modernism, cit., p. ix, legge ogni forma di relazione marinettiana in termini di una retorica di annichilimento e assimilazione del «feminine other – a code for woman, nature, and reality, as well as for the inner dissolution produced by the flow desire». 53 facoltà di colorare il mondo coi colori specialissimi del nostro io mutevole»123. La tendenza marinettiana all’antropomorfismo corrisponde ad una inesausta tensione lirica, alla trasfigurazione poetica di ogni cosa. Come ha scritto Paul de Man, in dialogo critico con Riffaterre nel saggio Hypogram and Inscription, la prosopopea è «the master trope of poetic discourse»124. Lo aveva già capito Ezra Pound, il «miglior fabbro», che dopo la morte del poeta futurista, scrisse uno dei due Cantos in italiano, il LXXII, in cui compare la prosopopea di Marinetti: Dopo la sua morte mi venne Filippo Tomaso dicendo: “Be’, sono morto, Ma non voglio andar in Paradiso, voglio combatter’ancora. Voglio il tuo corpo, con che potrei ancora combattere.” Ed io risposi: “Già vecchio il mio corpo, Tomaso E poi, dove andrei? Ne ho bisogno io del corpo. Ma ti darò posto nel Canto, ti darò la parola, a te;”125 Una rilettura dell’opera marinettiana considerata nel suo complesso ha evidenziato come un diffuso antropomorfismo consenta di andare oltre il luogo comune del Marinetti cantore della macchina, del Marinetti necrofilo che predilige il non umano all’umano. È ora di pensare ad un Marinetti lirico. Lungi dall’essere una rappresentazione del mondo in cui l’io reificato si assimila alle cose, l’antropomorfismo marinettiano si basa al contrario sull’affermazione sulle cose dell’io creatore, su una poetica e vitale imposizione della propria umanità. 123 F.T. MARINETTI, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili - Parole in libertà, in TIF, p. 70. 124 P. DE MAN, The Resistance to Theory, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1986, p. 48. 125 E. POUND, I Cantos, a cura di Mary de Rachewiltz, Milano, Mondadori, 1985, p. , vv. 9-15. Sui rapporti con Pound e il modernismo inglese, si veda almeno F. K. LANG, Il ruolo di Marinetti nella creazione del modernismo inglese, in F.T. Marinetti=Futurismo, a cura di L. SANSONE, Milano, Federico Motta Editore, 2009, pp. 133-145. 54 1.4 Marinetti, l’oggetto e il postumano Anzitutto finiamola colla vantata superiorità dell’umano (F. T. Marinetti, Il Poema non umano dei tecnicismi, 1189) Era scoccata l’ora dell’appuntamento con la Materia, la grande antagonista dello Spirito (Primo Levi, Il sistema periodico, 458) È tentato, semmai, dall’inorganico. Vuole essere il niente che è (Carmelo Bene, Autografia d’un ritratto, VIII) A conclusione di questo capitolo sullo stilema della personificazione, prese le mosse dall’accusa di “necrofilia” indirizzata a Marinetti da Erich Fromm, vorrei ritornare per un momento a Barbara Johnson, la quale, non senza una qualche dose di ingenuità, pari del resto a quella dello stesso Fromm, così conclude il primo capitolo del suo libro: «The rhetorical figures that confer on things some properties of persons are thus apostrophe, prosopopeia, anthropomorphism, and personification. The parallel processes of turning persons into things does not offer itself in the form of a figure, but suggests that figures that increase humanness are by nature working against a decline of humanness and a thingification that go on all the time and have only accelerated with commodity capitalism»126. Come ho cercato di dimostrare, a fronte di una più esplicita e riconosciuta aspirazione ad un nuovo tipo «non umano e meccanico»127, la scrittura 126 127 B. JOHNSON, Persons and Things, cit., p. 23. F.T. MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 299. Sull’argomento, si veda C. POGGI, Dreams of Metalizzed Flesh: Futurism and the Masculine Body, in «Modernism/Modernity», 4.3, 1997, pp. 19-43; ora anche nel volume ID., Inventing Futurism: The Art and Politics of Artificial Optimism, 55 marinettiana è cosparsa di esempi di personificazione che controbilanciano stilisticamente certe affermazioni teoriche fino al punto di smentirle. È piuttosto opinabile che sia l’una che l’altra componente dell’opera di Marinetti, vale a dire l’aspirazione alla meccanizzazione dell’uomo e la prassi di umanizzare la materia, possano mettersi in diretto collegamento o con una presunta, quanto poco lusinghiera, disposizione necrofila o, al contrario, con una naturale tendenza che operi contro il declino dell’umano e un continuo processo di trasformazione in “cosa” («thingification»), come vorrebbe l’affermazione della Johnson. Sulla base di documentati riscontri testuali, è però possibile tentare una ridefinizione che, ben oltre l’analisi stilistica di un tropo dell’ultimo Marinetti, o meglio che partendo da essa, giunga a riconsiderare il sistema gnoseologico del rapporto tra soggetto e oggetto nell’opera del padre del Futurismo128. In uno studio a cui sono debitore, evidentemente sin dal titolo, Marinetti, il soggetto, la materia, e da cui, nondimeno, mi distanzio criticamente, Fausto Curi sottolinea in Marinetti il tentativo di modificare la rappresentazione dell’oggetto a seguito di una diversa percezione del medesimo grazie all’apporto della moderna tecnologia e dei cambiamenti socioculturali che ne sono derivati: «[…] lo sviluppo della scienza e della tecnica e le trasformazioni che esse impongono alla vita umana assegnano sempre maggiore importanza alla materia retrocedendo e sminuendo l’essere umano, e quindi il Princeton, Princeton University Press, 2009. Lo studio della Poggi si colloca sulla scia del popolare libro di B. SPACKMAN, Fascist Virilities: Rhetoric, ideology, and Social Fantasy in Italy, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1996. Nel capitolo 3, Mafarka and Son: Marinetti’s Homophobic Ecnomics, pp. 49-76, la partogenesi di Mafarka è letta alla luce di un parallelismo tra un ideale di autarchia virile e l’autarchia economica fascista. 128 Per uno studio della rappresentazione dell’oggetto in Marinetti, in termini di una poetica del sublime moderno sulla scorta del pensiero di Kant e Heidegger, si veda A. LERRO, Tecnologia negativa: Marinetti e la rappresentazione del sublime moderno, in «Annali d’Italianistica», vol. 27, 2009, pp. 275-293. 56 soggetto»129. Negando ogni coerenza a Marinetti130, per eccessiva coerenza con i propri assunti critici, Curi continua a considerare soltanto le opere parolibere, sostanzialmente, il solo Zang Tumb Tumb del 1914, ignorando tutta la produzione successiva. Volendo affermare la mimesi come principio fondante della scrittura di Marinetti, Curi si concentra su quegli stilemi che più deviano dall’arbitrarietà del segno linguistico, tanto cara al critico, che così conclude: «Il soggetto è la lingua, anzi, il soggetto è la sintassi, e una lingua così impoverita, una sintassi così violentata e depauperata non possono essere generate da – e generare che – un soggetto immiserito e indigente»131. Allargando il campo d’indagine al secondo Futurismo e all’ultimo Marinetti, invece, una volta riconosciuta l’incidenza della poetica della personificazione marinettiana, non si potrà ancora sostenere che la mimesi sia l’unico principio vigente nell’opera del caposcuola futurista. Al di là, poi, dei superati confronti tra teoria e prassi, evitando dei meri giudizi di valore sui risultati estetici di certe opere senza riconsiderare i parametri estetici che impieghiamo, è ugualmente innegabile che, in passi come i seguenti tratti dal Poema non umano, il soggetto che si riverbera in tutte le cose, confondendosi con l’oggetto, è tutt’altro che «immiserito e indigente»: «Chi nega il dramma molecolare della cellulosa maceratesi nella soda caustica fredda venga venga 129 F. CURI, Marinetti, il soggetto, la materia, in «Annali d’Italianistica», vol. 27, 2009, p. 296. 130 Cfr. ivi, p. 296: «[…] è però anche indubbio che sarebbe vano cercare coerenza nei suoi ragionamenti»; e in tono meno condiscendente la seguente condivisibile affermazione: «[…] l’abolizione del soggetto e l’elezione esclusiva della “materia” non sono tanto delle scelte teoriche ragionate, necessarie e cogenti quanto manifestazioni di insofferenza nei confronti di certi eccessi autobiografici e introspettivi che, in effetti, non era infrequente in quegli anni registrare nella letteratura occidentale e segnatamente nella poesia», p. 300. 131 Ivi, p. 302. 57 con me nell’inferno paradiso della materia […] Senza la mano dell’uomo la cellulosa si fa decantare purificare pressare macinare / È viva autonoma pensa vuole sogna odia ama […] Ditemi dov’è il trovadore della melodiosa formula di solubilità perché finalmente l’alcalicellulosa si sposi il suo tanto atteso predestinato solfuro di carbonio e goda nel liquidarsi in un xantogenato colore arancione ruggine»132. Passando poi dal piano gnoseologico a quello della produzione artistica, veniamo a poche riflessioni, a futura memoria, sul concetto dell’oggetto d’arte e del suo rinnovamento ad opera dell’estetica futurista, a partire dalle considerazioni di Giovanni Lista nella sua critica al noto saggio di Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter Seiner Technischen Reproduzierbarkeit, di cui si è già discusso nel primo capitolo. Secondo lo studioso, in realtà Marinetti incarnerebbe e anticiperebbe la medesima tesi del pensatore tedesco a proposito del declino dell’aura. Per Marinetti, infatti, «un object anonyme, fabriqué en série, aux formes purement utilitaires et fonctionnelles, faisant partie du monde de la réalité quotidienne, est donc digne de l’expérience esthétique réservée depuis toujours au seul monde fictif des formes pures, symboliques et idéales de l’art»133. Marinetti consacra l’oggetto quotidiano, l’automobile per esempio, ponendolo al centro di una nuova estetica che nasce dal processo di desacralizzazione dell’arte. L’iconoclastia 132 F.T. MARINETTI, Il Poema non umano dei tecnicismi, in TIF, pp. 1160-1161. Sulla base della loro diversità, sarebbe proficuo un confronto tra la “scrittura molecolare” marinettiana e la prosa del chimico Primo Levi. Cfr. P. LEVI, La lingua dei chimici II, da L’altrui mestiere, in ID., Opere, vol. III (Racconti e saggi). Introduzione di P.V. Mengaldo, Torino, Einaudi, 1990, p. 709: «Ho davanti a me la tabella degli elementi chimici, il “sistema periodico”, e provo nostalgia, come davanti alle fotografie scolastiche […] per me anche gli elementi tendono a diventare parole, invece della cosa mi interessa acutamente il suo nome e il perché del suo nome. Il panorama è un altro, ma altrettanto vario quanto quello delle cose stesse». Come ipotesi di lavoro, direi che mentre Levi sembra muoversi dalle cose alle parole, Marinetti si perde nelle cose riprodotte nella loro nomenclatura. 133 G. LISTA, Walter Benjamin et le déclin de l’aura. Notes en marge du propos sur Marinetti, in «Ligeia», XXIII, n. 101-102-103-104, Luglio-Dicembre 2010, p. 32. 58 marinettiana, l’irriverenza e l’indipendenza edipica dello scrittore, arruolano l’oggetto seriale e quotidiano non solo per empito di novità e rinnovamento, ma anche per un’insofferenza verso una sacralità a cui non appartengono più né il poeta né l’opera d’arte moderna. È forse anche da questa nuova dignità estetica riconosciuta all’oggetto comune, riprodotto e riproducibile, non più unicum raro e prezioso, che discende la propensione all’antropomorfizzazione e alla pratica della personificazione. Quando l’oggetto comune e quotidiano diventa oggetto d’arte, niente è più arte, tutto è arte: seppure senza aureola, tutto assurge al rango del bene di consumo nel nuovo mercato dell’arte che Marinetti ha perfettamente intuito e orchestrato. Infine, per concludere, un accenno a possibili sviluppi di questo studio nell’ambito del dibattito sul “postumano”134. Nonostante dia a volte l’impressione di non padroneggiare appieno la letteratura futurista e in particolar modo l’opera di Marinetti, con la sua stimolante riflessione su Futurismo e postumano135 Roberto Terrosi consente di meglio definire la complessa dinamica che sottende al rapporto reversibile e chiastico136 che anche nella scrittura marinettiana, come è stato qui sostenuto, definisce la relazione tra gli uomini e le cose, l’umano e il non umano. 134 Sebbene le premesse di un post-umanesimo vengano spesso ricondotte alla conclusione del libro di M. FOUCAULT, Les mots et les choses. Une archéologie des sciences humaines, Paris, Gallimard, 1966, i due testi fondanti del dibattito intorno al postumano sono generalmente indicati nel libro di K. HAYLES, How We Became Posthuman. Virtual Bodies in Cybernetics, Literature and Informatics, Chicago, University of Chicago Press, 1999, e, sul versante italiano, nel libro di R. MARCHESINI, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2002. Si veda inoltre R. PEPPERELL, The Posthuman Condition. Consciousness Beyond the Brain, Portland (OR), Intellect Books, 2003 e M. RIVA, Dignità ed enigmi del post-umano, in «Annali d’Italianistica», vol. 26, 2008, pp. 333-352. 135 Cfr. R. TERROSI, Futurismo e postumano, in «Annali d’Italianistica», vol. 27, 2009, pp. 263-273. Dello stesso autore, La filosofia del postumano, Costa & Nolan, Genova,1997. 136 Cfr. P. VALESIO, La macchina “morbida” di Marinetti, in «Annali d’Italianistica», vol. 27, 2009, p. 260: «Ma si può anche dire che in tutta la sua opera Marinetti si muova abilmente fra due percorsi del 59 Nel suo studio sul post-umanesimo nella cultura visiva giapponese, facendo risalire la genealogia della “città-macchina” di Metropolis di Thea von Harbou alla teoria architettonica del futurista Sant’Elia, e riflettendo sul solito Marinetti mediato da Benjamin, anche Steven Brown riconosce come il Futurismo abbia anticipato «the emergence of the punk and cyberpunk movements and associated subcultures»137. Il concetto di postumano, che mette radicalmente in discussione l’idea di uomo e l’antropocentrismo della cultura dell’umanesimo, si colloca anch’esso a metà strada tra la dimensione del sogno utopico e l’incubo distopico138, insomma, tra Pigmalione e Frankestein, risospingendoci dunque esattamente al punto da cui eravamo partiti. Terrosi, per vie completamente diverse, giunge a conclusioni sorprendentemente consimili a quelle a cui ci ha condotto l’analisi stilistica della poetica della personificazione marinettiana. Pur senza analizzare la massiccia dose di antropomorfismo che le varie figure della personificazione reintroducono nell’opera di Marinetti, Terrosi nega che lo scrittore futurista pensi a una rottura della continuità con l’umanesimo rinascimentale. Secondo lo studioso, la principale tendenza futurista non è certamente quella di negare l’umanità dell’uomo, una tendenza dunque “necrofila”, ma al contrario chiasmo: egli descrive con surrealistico lirismo corpi che sono rigidificati, simili a macchine; ma egli sa anche descrivere, con lirico surrealismo, macchine – nel senso più generale, comprendente anche le macchine architettoniche e urbanistiche – che sono morbide come vesti, morbide come corpi». 137 S. T. BROWN, Tokyo Cyberpunk. Posthumanism in Japanese Visual Culture, New York, Palgrave Macmillan, 2010, p. 103. Per un confronto invece tra i testi futuristi e il Manifesto Cyborg della Haraway, cfr. I. RICCIONI, Futurismo, logica del postmoderno. Saggio su arte e società. Premessa di F. Ferrarotti, Imola [BO], La Mandragora, 2003, pp. 161-168. 138 Cfr. A. D’OTTAVIO, Ai margini del postumano: discorsi, corpi e generi, in «Annali d’Italianistica», vol. 26, 2008, p. 353. 60 quella antitetica che prevede la celebrazione, positivistica e progressista, della fiducia nell’uomo della moderna società industrializzata: Una delle implicazioni dell’estetica del postumano che più preoccupano gli umanisti è la reversibilità, indotta dai molteplici processi di reificazione, del soggetto moderno in oggetto, del produttore in prodotto. Come questione dell’alienazione, il concetto di reificazione è centrale nella critica marxista al sistema capitalista. Nei futuristi, invece, la fusione con la macchina non sembra minacciare l’ideale dell’homo faber. […] Nel movimento in cui il soggetto moderno diventa una “cosa” attraverso il suo coinvolgimento nell’universo della tecnica e delle merci, anche i prodotti acquisiscono l’“intelligenza” che prima apparteneva esclusivamente al soggetto umano. Il postumano non prospetta unicamente la possibilità della reificazione del soggetto, ma anche l’attivazione dell’oggetto, che si trasforma così in una nuova forma di soggettività. Il soggetto umano non sparisce di scena ma più propriamente “transita” nella tecnologia, verso altre modalità forme di identità ibride139. 139 R. TERROSI, Futurismo e postumano, cit., p. 272. 61 Capitolo II Marinetti in Russia: guerra e memoria 2.1 Autobiografia, autoreferenzialità e propaganda Dire noi ed intendere io è una delle offese più raffinate Theodor W. Adorno, Minima moralia «Cosa odiosissima è il parlar molto di se», scrive Giacomo Leopardi nel XL dei suoi Pensieri140. E chiunque condivida questa massima deve trovare odioso un personaggio come Marinetti per la sua tendenza alla prima persona, una prerogativa esemplarmente esibita nel celebre incipit del testo di “fondazione” che precede il Manifesto futurista: «Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io […]»141; il verbo sottintende una prima persona plurale – il Noi, soggetto “normativo” dei manifesti142 – che amplifica proletticamente l’Io, passando attraverso il possessivo singolare «miei». La qualità lirica della prosa marinettiana è tutta racchiusa 140 G. LEOPARDI, Tutte le Opere, con introduzione e a cura di Walter Binni con la collaborazione di Enrico Ghidetti, Firenze, Sansoni, 1969, vol. I, p. 228. Ma si veda anche il pensiero XXII: «Assai difficile mi pare decidere se sia o più contrario ai primi principii della costumatezza il parlare di se lungamente e per abito o più raro un uomo esente da questo vizio», ivi, p. 223. 141 F. T. MARINETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 7. Sul genere manifesto, si vedano almeno il libro di L. SOMIGLI, Legitimizing the Artist: Manifesto Writing and European Modernism 18851915, Toronto, University of Toronto Press, 2003 e il volume di MARTIN PUCHNER, Poetry of Revolution: Marx, Manifestos, and the Avant-Gardes, Princeton e Oxford, Princeton University Press, 2006. 142 Filippo Bettini parla di un «ritorno ossessivo del pronome personale “noi”», cfr. F. BETTINI, Analisi testuale del primo manifesto futurista, in «ES.» (a cura di), F.T. Marinetti futurista: inediti, pagine disperse, documenti e antologia critica, Napoli, Guida Editori, 1977, p. 91. Non diversamente, Fausto Curi mette in luce «un’ipertrofia del soggetto tradizionale […] enfaticamente esibito», in F. CURI, Marinetti, il soggetto, la materia, in «Annali d’Italianistica», vol. 27, 2009, a c. di Federico Luisetti e Luca Somigli, p. 295. 62 nell’imperfezione di questo endecasillabo mancato («Avevamo vegliato tutta [la] notte», seguito in distico dal settenario «i miei amici ed io») dove il timbro riecheggiante della vocale aperta /a/, in assonanza, riproduce la dilatazione di quella notte insonne. Alla lirica tende tutta la scrittura marinettiana, anche quella teorica e narrativa, e il soggetto della lirica non può essere che l’Io. Che Marinetti, poi, amasse odiosamente parlar molto, e parlar molto di sé, lo conferma la testimonianza sprezzante di André Gide, qui citato intenzionalmente di seconda mano dal Diario di Giuseppe Bottai. Nel novembre del 1945, quasi un anno dopo la morte di Marinetti, l’ex ministro fascista Bottai trascrisse un’annotazione dal Journal dello scrittore francese: «À deux heures, visite d’un Marinetti, directeur d’une revue de camelote artistique du nom de Poesia. C’est un sot, très riche et très fat, qui n’a jamais su se réduir [sic] au silence»143. Tuttavia, a dispetto di questa macroscopica propensione dell’autore, certamente uno degli scrittori col più alto tasso di autoreferenzialità di tutta la letteratura italiana, nonostante i Taccuini, pubblicati postumi nel 1987, e le opere di carattere dichiaratamente memorialistico (si pensi soltanto a Il fascino dell’Egitto, La grande Milano tradizionale e futurista e Firenze biondazzurra sposerebbe futurista morigerato), il campo dell’autobiografismo marinettiano rimane ancora oggi sostanzialmente inesplorato, non solo nella fase finale della carriera dell’autore quando, più comprensibilmente, opere d’ispirazione autobiografica emergono da un periodo di 143 G. BOTTAI, Diario 1944-1948, a c. di Giordano Bruno Guerra, Milano, Rizzoli, 1988, p. 209 (in data 26 novembre 1945). [Ne riporto la traduzione: «Alle due visita di un tal Marinetti, direttore di una rivista di paccottiglia artistica dal titolo Poesia. È uno sciocco, molto ricco e molto vanesio, che non è riuscito a stare zitto un attimo».] 63 naturale ripensamento della propria esistenza144. Eppure, ben prima che Edoardo Sanguineti, esponente di spicco della cosiddetta Neoavanguardia, scrivesse in versi «la mia sola virtù fu la spudoratezza»145 (Cose, 24, 1), Marinetti, inventore dell’avanguardia futurista e assertore del binomio arte-vita, aveva già spudoratamente dichiarato: «[…] ho anche un’altra qualità: sono privo di modestia!»146. Con questa boutade si chiude il testo più canonicamente autobiografico nella prolifica produzione dello scrittore, l’Autoritratto, dapprima apparso in Scatole d’amore in conserva (1927) e poi ampliato in Marinetti e il Futurismo (1929). Non è un caso che, in quest’ultimo testo, il ritratto dell’autore sia preceduto da quello di Mussolini, che, nella descrizione tratteggiata da Marinetti, è «fisiologicamente» destinato al patriottismo. Nell’edizione del ’27, invece, troviamo un ritratto illustrato dello scrittore medesimo, disegnato da Ivo Panneggi; in esso Marinetti sfoggia il consueto abbinamento di farfallino e bombetta, corredato dal piglio assai serioso che lo contraddistingue in tutte le riproduzioni, fotografiche e pittoriche, che lo hanno immortalato. L’illustrazione è accompagnata da un breve testo[-intervista] a metà strada tra la didascalia e l’epigrafe da esergo: 144 Cfr. L. D E MARIA, Nota sull’autobiografismo marinettiano, in F.T. MARINETTI, La grande Milano tradizionale e futurista. Una sensibilità italiana nata in Egitto, prefazione di Giansiro Ferrata. Testo e note a c. di L. De Maria, Milano, Mondadori, 1969, pp. XXIII-XXV. Per i Taccuini, si rimanda all’edizione a cura di Alberto Bertoni, Bologna, il Mulino, 1987. 145 146 E. SANGUINETI, Cose, introduzione di Fausto Curi; postfazione di Ciro Vitiello, Napoli, Pironti, 1999. F. T. MARINETTI, Autoritratto, in ID., Scatole d’amore in conserva. Illustrazioni di Pannaggi, Vallecchi, Firenze 2002, p. 29. L’edizione Vallecchi riproduce quella originale uscita presso le Edizioni d’Arte Fauno a Roma nel 1927. Secondo una consueta prassi marinettiana, il testo è stato poi ripreso e parzialmente rielaborato in Marinetti e il Futurismo, ora in F.T. MARINETTI, TIF, p. 577 ss. Per l’«imperiosa coazione di Marinetti a ripubblicare testi già editi», si rimanda alla Nota ai testi di Luciano De Maria, ibidem, p. CXIX. 64 Giuseppe Zucca, direttore di questa Raccolta, ha domandato a F.T. Marinetti: CHE COS’È SECONDO VOI, L’VMORISMO? F.T. Marinetti ha risposto: L’Umorismo è la bianca, agile, devota crocerossina ventenne del Buonumore (quarantenne Volontario spesso ferito)147. Illustrazione n. 2. Ivo Panneggi, Disegno di Marinetti. Scatole d’amore in conserva, Firenze, Vallecchi, 2002. Al di là del consueto ricorso all’analogia metaforica e alla personificazione, si noterà subito che Marinetti risponde alla domanda che gli è stata posta soltanto in modo indiretto, riconducendo il concetto di «umorismo» a quello di «buonumore», a lui ben più congeniale. Questo slittamento, se si vuole, questo sviamento è ribadito dalla posizione ancillare dell’umorismo/crocerossina in un’immagine non casualmente afferente al 147 F. T. MARINETTI, Scatole d’amore in conserva, cit., p. 5. 65 campo semantico della guerra. Il buonumore, l’ottimismo programmatico del volontarismo futurista, è, infatti, un caposaldo dell’ideologia marinettiana, un caposaldo che ben si applica anche alla prassi militare, perché il morale delle truppe ha un’incidenza strategica mai trascurabile148. Compare inoltre qui, forse per la prima volta, negli scritti dell’autore, la coppia formata da un volontario e da una crocerossina, con una connotazione potenzialmente erotica; ciò è confermato dal fatto che i protagonisti di una delle ultime opere di Marinetti, l’«aeroromanzo» inedito Venezianella e Studentaccio149 discusso più ampiamente nel capitolo successivo, sono proprio una crocerossina (Venezianella) e un volontario futurista (Studentaccio), a lungo impegnati in una travagliata quête amorosa. Quanto al dato dell’età, infine, lei ventenne e lui quarantenne, non sarà fuori luogo ricordare che tra Marinetti, nato nel 1876, e la moglie Benedetta Cappa, nata nel 1897, vi erano per l’appunto circa venti anni di differenza e che quando i due si conobbero, nello studio del pittore futurista Giacomo Balla, lei era poco più che ventenne e lui già un quarantenne150. Se indugio ad analizzare un siffatto spazio paratestuale è perché, nell’ambito della generosa produzione marinettiana, molti testi liminali hanno un’importanza nient’affatto 148 Cfr. F. T. MARINETTI, Democrazia futurista, in TIF, p. 346: «Il Futurismo era l’ottimismo artificiale opposto a tutti i pessimismi cronici […]». 149 L’originale dell’opera si trova presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Yale University, nel Fondo Filippo Tommaso Marinetti Papers (GEN MSS 130). Vi si conservano tre copie, due delle quali sono identiche, contenute in tre cartelle (n. 1666, 1667 e 1668, box 37). 150 Poiché l’incontro avvenne nel 1918 (si veda al riguardo la Cronologia di Marinetti e del Futurismo in TIF, p. CVIII), è incongrua la ricostruzione cronologica nell’indispensabile biografia di G. AGNESE, Marinetti: una vita esplosiva, Milano, Camunia, 1990, pp. 204. Cfr. G. B. GUERRI, Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario, Milano, Mondadori, 2009, pp. 197-203. 66 marginale; spesso la loro funzione è al contempo programmatica e propagandistica o, comunque, auto-promozionale. Penso ad esempio a quegli spazi canonici e istituzionali che divengono per Marinetti un costante luogo di polemica e di poetica: le dediche151, le “misurazioni”152 (vale a dire le sue recensioni sintetiche), le introduzioni153, poi chiamate “collaudi”, oppure le cosiddette “commemorazioni in avanti”154, testi, quest’ultimi, per lo più d’occasione e scritti nel “decennio d’accademico” (1929-1939). Nella “ricostruzione futurista dell’universo”155 tutto viene misurato sulla base del verbo marinettiano, tutto è ricondotto all’esperienza del movimento e a quella personale del suo fondatore. Come ha già opportunamente notato Glauco Viazzi a proposito dei “collaudi” – così vengono ridefinite metaforicamente le prefazioni – Marinetti si muove con grande disinvoltura rispetto alle norme codificate per utilizzare scientemente quegli spazi testuali «in modi spostati, trasgressivi, eccentrici rispetto alla consuetudine»156. 151 Si pensi alla Dedica rivolta ai “fratelli futuristi” con cui Marinetti risponde alle polemiche suscitate dal suo imperativo al «disprezzo della donna» nel testo di tre pagine che precede il romanzo Mafarka il futurista, a c. di Luigi Ballerini; traduzione dal francese di Decio Cinti, Mondadori, Milano 2003, pp. 3-5. 152 Cfr. F.T. MARINETTI, Misurazioni, a c. di Marialuisa Grilli, Vallecchi, Firenze 1990. 153 Cfr. F.T. MARINETTI, Collaudi futuristi, per cura, introduzione e note di Glauco Viazzi, Guida, Napoli, 1977. La Prefazione futurista a «Revolverate» di Gian Pietro Lucini, ad esempio, è piuttosto una sorta di secondo Manifesto del movimento. Cfr. F. T. MARINETTI, Prefazione futurista a «Revolverate» di Gian Pietro Lucini, in TIF, pp. 27-33. 154 Cfr. M. D’AMBROSIO, Le “Commemorazioni in avanti” di F.T. Marinetti. Futurismo e critica letteraria, Liguori, Napoli, 1999. 155 Cfr. G. BALLA e F. DEPERO, Ricostruzione Futurista dell’Universo, Milano, 11 marzo 1915. 156 G. VIAZZI, F.T. Marinetti collaudatore, in F.T. Marinetti, Collaudi futuristi, cit., pp. 7-8. 67 Il confine tra scrittura e vita si presenta assai labile, osmotico, anche in sede critica, così come quello che separa l’attività del movimento futurista dall’opera marinettiana. È un equivoco che lo scrittore stesso ha incoraggiato, non solo per generosità intellettuale ma anche per fine calcolo promozionale, con la conseguenza negativa di un «appiattimento metonimico di Marinetti sul futurismo – cioè la tendenza a parlare attraverso Marinetti […] piuttosto che approfondire l’opera marinettiana nei termini marinettiani»157. Nota è la rimostranza divertita di Aldo Palazzeschi nel ricordare «la grande smania di popolarità e di proselitismo ad ogni costo» che animava tutti i gesti e gli scritti di Marinetti. E ciò vale anche per quando agiva nella veste di editore, un editore, per così dire, assai “distratto”: «La prefazione del mio libro [L’incendiario] si compose di ben settantacinque pagine di esclusiva pubblicità, senza il minimo accenno alle poesie che c’erano dentro»158. Non senza motivo, dunque, proprio in riferimento alle sorti editoriali di Palazzeschi, Giovanni Papini definì Marinetti «Mister Trombone»159, lamentandosi per la scarsa diffusione della prima edizione del Codice di Perelà, che fu pubblicato presso le Edizioni Futuriste di «Poesia» nel 1911. C’è però una logica ben precisa dietro l’apparente follia, megalomane ed egocentrica, del padre, generoso padrone, del Futurismo. Come riconobbe lo stesso 157 P. VALESIO, Gli Anni Colorati, in I. RICCIONI (a cura di), Arte d’avanguardia e società. L’esperienza futurista nel pensiero sociale e culturale contemporaneo, Roma, l’albatros, 2006, p. 38. 158 159 A. PALAZZESCHI, Marinetti e il Futurismo, prefazione a F. T. Marinetti, TIF, p. XXI e XXV. Giovanni Papini a Aldo Palazzeschi, Firenze 1 ottobre 1918, in F.T. MARINETTI-A. PALAZZESCHI, Carteggio, a c. di Paolo Prestigiacomo, presentazione di L. De Maria, Milano, Mondadori, 1978, p. 142. 68 Palazzeschi, infatti, «Marinetti aveva capito fino da allora il potere della pubblicità»160; in sostanza lo scrittore non faceva altro che attuare coscientemente un principio già teorizzato nello Zibaldone da quel pensatore modernissimo che è Leopardi: «Il mezzo più efficace di ottener fama è quello di far creder al mondo di esser già famoso»161. In effetti, Marinetti, da un lato, non fa che utilizzare il Futurismo come un marchio di qualità e per questo rimane schiacciato dall’assimilazione, non solo con il Fascismo, ma anche con il movimento da lui stesso creato; d’altra parte, facendo un continuo ricorso all’autoreferenzialità, a quel ricorrente ed enfatico richiamo alle battaglie futuriste e alla dialettica intrinsecamente oppositiva del Futurismo, Marinetti usa intenzionalmente il movimento come un biglietto da visita, come strumento di autoaffermazione. È certamente un Marinetti già famoso quello che nel 1927 si ripresenta al suo pubblico nel testo autobiografico Autoritratto, che apre la raccolta di racconti intitolata Scatole di amore in conserva162. Questa notorietà già acquisita è esibita nell’incipit del testo come spavalda e abile excusatio con la quale Marinetti supera disinvoltamente le remore di ogni autobiografo, il cosiddetto complesso di Narciso163. Proprio come ogni 160 A. PALAZZESCHI, Marinetti e il Futurismo, cit., p. XXI. 161 G. LEOPARDI, Zibaldone 4153-4154 (Bologna, 21 Novembre 1825), in ID., Tutte le Opere, cit., vol. II, p. 1088. Analoga riflessione nel Pensiero LX. 162 Il testo era in realtà già apparso nella precedente raccolta marinettiana Il delizioso pericolo, in “Raccontanovelle”, II, n. 29, Milano, Casa Editrice Nino Vitagliano, 1920. 163 Per una teoria e una storia dell’autobiografia, si rimanda, sul fronte italiano, a due studi ormai canoni: F. D’INTINO, L’autobiografia moderna, Roma, Carocci editore, 1989 e A. BATTISTINI, Lo specchio di Dedalo. Autobiografia e biografia, Bologna, Il Mulino, 1990. Per la ghettizzazione della tentazione autobiografica, si veda invece il primo capitolo del volume I. TASSI, Storie dell’io. Aspetti e teorie dell’autobiografia, Bari, Laterza, 2007. 69 altro autobiografo, Marinetti rivendica la sincerità della propria scrittura: «A che pro presentarmi al pubblico? – Diranno i miei amici…Marinetti è presentato a tutti i pubblici d’Europa, che lo conoscono perfettamente in tutti i suoi svariati atteggiamenti, sorprendenti, spavaldi, temerari, ma sempre sinceri»164. Proprio perché già famoso, in quanto vir illustris, Marinetti è autorizzato a parlare di sé, e nel fare questo alimenta la propria fama nel momento stesso in cui la ribadisce, presupponendola alla base della sua scrittura autobiografica. È una tendenza generale dell’avanguardia novecentesca, non solo italiana, il tentativo di svincolarsi dai legami macro-referenziali della storia e della tradizione, onde «ricostruire una propria nuova grammatica, così da fondare su nuove basi di autoreferenzialità e citazione, il proprio sapere»165. Marinetti, che professa di non credere che il futuro discenda dal passato, spinge questa sorta di cortocircuito dell’autoreferenzialità fino ad applicarlo al passato stesso. Nelle sue “commemorazioni in avanti”, ad esempio, l’Orlando Furioso dell’Ariosto gli offre una sintomatica «lezione di Futurismo»: «Nel suo grande poema epico l’Ariosto insegna l’Arte-Vita. Da venti anni noi dichiariamo: per un artista è preferibile dare un bacio o un colpo di spada che descriverlo o dipingerlo; l’atto compiuto essendo importante elemento d’arte»166. 164 F. T. MARINETTI, Autoritratto, in ID., Scatole d’amore in conserva, cit., p. 8. 165 B. LANATI, Gertrude Stein, “Autobiografia di Alice B. Toklas: Ciò che la «fotografia sa», in R. KLEIN e R. BONADEI, (a cura di), Il testo autobiografico nel Novecento, Milano, Guerini, 1993, p. 112. 166 F.T. MARINETTI, Una lezione di Futurismo tratta dall’“Orlando Furioso”, in M. D’AMBROSIO, Le “Commemorazioni in avanti” di F.T. Marinetti. Futurismo e critica letteraria, Napoli, Liguori Editore, 1999, p. 66. 70 Nella visione, delirante e lirica, che Marinetti ha del mondo, anche in sede critica quando parla da neo-Accademico del Regno al quarto centenario della morte dell’Ariosto (1929), quella commistione di arte e vita da sempre propugnata si concretizza in un estremo ricorso ad una referenzialità autobiografica eludente la referenzialità esterna della storia. È, infatti, Vittoria, la primogenita di casa Marinetti che finisce col dare una lezione al padre: Convinto che l’Orlando Furioso è indispensabile all’educazione guerresca dei Balilla, io regalai alla mia pupa Vittoria un Orlando Furioso illustrato da Gustavo Dorè, alto 80 cm […] Poiché il tempo lo ha scavalcato dal suo leggio, morto ora, giace a terra sul campo di battaglia dei giuocattoli, col petto bianco spalancato e le vaste braccia di ottave aperte. Vittoria vi si corica sopra bocconi. Finge di leggere canticchiando. Ogni tanto accartoccia una pagina come fa del suo lenzuolo quando fa caldo. Poi la strappa e se ne va, piccolo cavaliere errante […]. Ma bruscamente un pensiero interrompe la sua fantasia ed eccola curva tutta intenta a pulire con le ricche ottave una sua piccola locomotiva adorata che si chiama la bella “maccheta”. In questa gioconda maniera la mia pupa Vittoria ed io sfidiamo tutti i professori antifuturisti a estrarre dall’Orlando Furioso una lezione di passatismo da contrapporre a questa mia lezione di fascismo italiano Futurista.167 Se da un lato, non si può non rimanere stupefatti dinanzi ad una simile «intromissione del privato nel contesto di una relazione accademica», fermo restando il senso generale di apologo contro il feticismo libresco, da un lato la ricchezza di particolari realistici può far pensare che non si tratti semplicemente di «pura simbologia e finzione», come pur ritiene Claudia Salaris168; d’altro canto, mi pare anche che ci sia una certa geniale e astrusa poesia in questa pagina del Marinetti accademico, seppure questo legame “incestuoso” di arte/vita risulti comunque difficile da digerire. 167 F.T. MARINETTI, Una lezione di Futurismo tratta dall’“Orlando Furioso”, cit., p. 66. 168 Cfr. C. SALARIS, Marinetti. Arte e vita futurista, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 267. 71 Dopo un passo come questo, in ogni caso, non ci stupisce ritrovare nello spazio paratestuale che precede l’edizione dell’Autoritratto del 1927, al di sopra del titolo, una celebrazione della nascita della figlia Vittoria («F.T. Marinetti + Benedetta = Vittoria, 28 giugno 1927»). L’esposizione del privato si inserisce pienamente in quel ricorso costante a quella pratica autobiografica dell’autoreferenzialità estrema che Marinetti pare a volte praticare senza molte remore. Pur rifuggendo dal decadentismo dannunziano di cui si era nutrito, Marinetti visse sempre, anche nella concretezza della guerra, una dimensione altamente estetizzata basata su questa commistione di arte e vita. Anzi, giungo fino a sostenere che il suo gesto di autobiografo non solo abbia la pretesa di imporre la conoscenza di sé al mondo, ma anche quella di conoscere il mondo attraverso la proiezione della propria immagine riflessa. E questa immagine trasfigurata va intesa come un insieme di esperienze che costituiscono l’identità del soggetto, assurto a parametro del reale. Ne risulta un quadro complesso, ancora inadeguatamente studiato, dove è doveroso distinguere tra autobiografia e autobiografismo, tra promozione e propaganda. In questo quadro l’autoreferenzialità riveste uno strategico valore programmatico, sia in termini autocelebrativi sia ai fini di una propensione spesso metalinguistica e metaletteraria, che trascende il referente esterno, comunque trasfigurato nel momento in cui la realtà “altra” riceve la proiezione dell’immagine riflessa del soggetto autobiografico. Quando Marinetti si trovò, quindi, a ristampare il proprio Autoritratto due anni dopo, nel 1929 – nata nel frattempo un’altra figlia, Ala nel 1928 – secondo una prassi consueta il poeta decise di inserire questo suo testo in un ampliamento che includeva anche il testo di Fondazione e Manifesto del Futurismo e parte del Manifesto contro 72 Venezia passatista169. L’opera assunse il titolo complessivo di Marinetti e il Futurismo, a conferma di quella simbiosi che serviva ad accrescere i meriti individuali del fondatore del movimento. La dedica è questa volta per Benito Mussolini170, che sempre nel 1929 fa recapitare al poeta un telegramma con la nomina ad Accademico d’Italia. Compare in questa edizione un altro spazio liminale che precede l’incipit dell’Autoritratto vero e proprio, così com’era nell’edizione del 1927. Significativamente, il ritratto autobiografico marinettiano è preceduto, come precedentemente accennato, da quello di Mussolini con una lunga descrizione che indulge, fisiognomicamente, “lombrosianamente” se si preferisce, sulla descrizione fisica del capo fascista: Ho vissuto con Mussolini giorni tragici, certamente rivelatori. Posso scolpirne la tipica ed eccezionale figura. Doveva necessariamente finire coll’obbedire al suo patriottismo speciale, che io chiamo fisiologico. Patriottismo fisiologico, poiché fisicamente egli è costruito all’italiana […]. Mascelle quadrate stritolatrici. Labbra prominenti, sprezzanti, che sputano con spavalderia e aggressività su tutto ciò che è lento, pedante, meticoloso. Testa massiccia solidissima, ma gli occhi corrono ultradinamici […]. Il cappello tondo di feltro nero ricalcato giù sul nero intenso degli occhi come le tonde nuvole nere che pesano sul nero intenso dei burroni appenninici. Se si toglie il cappello, splende come una lampada elettrica la calvizie di Verlaine, D’Annunzio e Marinetti.171 Ciò che più colpisce è l’assimilazione finale che lega, sulla base della comune calvizie, il dittatore e due altri poeti, della tradizione più vicina a Marinetti, fino ad includere lo scrittore stesso. Questo d’altra parte è forse l’unico riferimento al proprio aspetto fisico nell’intero testo. 169 Cfr. F.T. MARINETTI, Marinetti e il Futurismo, in TIF, p. 577 ss. 170 Di Mussolini si veda anche la breve ma affettuosa lettera di congratulazioni per la nascita della figlia Ala, lettera ancora inedita e che si trova nella cartella 783, box 14, del fondo F. T. Marinetti Papers (GEN MSS 130) alla Beincecke Library. 171 F.T. MARINETTI, Marinetti e il Futurismo, in TIF, p. 575. 73 Riprendendo l’edizione originaria, Marinetti, nel passo successivo all’incipit citato in precedenza, spiega chiaramente le sue motivazioni di autobiografo: «Vi sono innumerevoli leggende da sfatare, correggere o rettificare, calunnie da cancellare…No! No! M’infischio di tutto questo. Seguo piuttosto il mio destino di missionario dell’arte e mi servo volentieri di me stesso, della mia vita intima e dei miei ricordi personali, per colpire una volta di più il passatismo che insozza ancora la mia cara Italia. […] Ebbi una vita tumultuosa, stramba, colorata»172. Marinetti definisce in altre parole la propria vita come uno strumento per perseguire i suoi fini polemici e ideologici nella lotta per il rinnovamento del Paese. Come tutti gli autobiografi credeva all’unicità e all’esemplarità della propria esperienza. D’altra parte, come giustamente sottolinea Renzo De Felice173, Marinetti non era né un filosofo né un vero ideologo, ma soltanto un moralista. Questo spiega, da un lato, la dimensione globale del movimento, il suo rivolgersi a tutti i settori della società e della cultura contemporanea; d’altro canto, così si spiega anche la propensione marinettiana a proporsi come protagonista, come “eroe” della stragrande maggioranza delle sue opere. Pure convinto della propria esemplarità, il moralista Marinetti mirava a creare una società di «cittadini eroici»174 a sua immagine e somiglianza. Calvizie inclusa?! 172 F.T. MARINETTI, Marinetti e il Futurismo, in TIF, p. 577. 173 Cfr. R. DE FELICE, L’avanguardia futurista, introduzione a F. T. MARINETTI, Taccuini, cit., p. XII ss. E a proposito della polemologia futurista, si vedano le considerazioni su guerra e morale nella Prefazione di E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità. Con un testo di Silvano Petrosino, Jaca Book, Milano 2006, p. 19 ss. 174 F.T. MARINETTI, Marinetti e il Futurismo, in TIF, p. 620. 74 In un altro testo di carattere memoriale, scritto questa volta nell’ultima fase della carriera dell’autore, La grande Milano tradizionale futurista, Marinetti esplicita in un’apostrofe, indirizzata all’ipostasi della propria Memoria, la modalità in cui si relaziona, tra realtà e finzione, alle proprie vicende biografiche: «Ti sento viva o mia Memoria e perciò rianimati e precipitati a capofitto nel mio Passato dove capitombolarono a rovesciarsi chi su chi giù moltissimi avvenimenti alcuni vissuti altri immaginati tanto più che al più presto bisogna affastellarli in una elastica imprecisa e affettuosa cronologia intesa ad accendere di ottimismo il mio Futuro»175. È significativo che l’ultimo Marinetti giunga a rappresentare il proprio io sdoppiato in una personificazione della Memoria. Attraverso questa strategia retorica lo scrittore recupera sorprendentemente il passato e rivendica la propensione autobiografica. Nonostante la proliferazione di studi legati all’autobiografia, all’Io, alla soggettività, che a partire dagli anni ’70 hanno dilagato come un’onda gigante della critica letteraria, significativamente Marinetti, assertore del legame arte-vita, ma soprattutto autore che non fa altro che parlare di sé non è mai stato preso in considerazione per esplorare da una simile angolatura che nel suo caso è quasi scontata, d’obbligo. Questo perché Marinetti pur essendo un nome di fama internazionale, rimane un autore poco letto e poco studiato. 175 F.T. MARINETTI, La grande Milano tradizionale e futurista. Una sensibilità italiana nata in Egitto, prefazione di Giansiro Ferrata. Testo e note di L. De Maria, Milano, Mondadori, 1969. pp. 14-5. 75 2.2 Le unghie di Marinetti: la giovinezza del vecchio svecchiatore The youth of America is their oldest tradition Oscar Wilde, A woman of no importance The tragedy of old age is not that one is old, but one is young Oscar Wilde, The Picture of Dorian Gray Per questo non abbiamo fretta a morire Aldo Palazzeschi, Marinetti e il futurismo Nel gennaio del 1943 Marinetti, tornato dal fronte per dove era partito volontario a sessantasei anni, parlò dell’esperienza in Russia a Villa Farnesina, sede dell’Accademia d’Italia. Giuseppe Bottai, che aveva trovato il suo intervento uno «sproloquio», se ne uscì con un ritratto impietoso: «Marinetti – disse il ministro fascista – ha conservato della gioventù i pruriti. Ma la vecchiaia gli ha tolto le unghie per grattarseli»176. Al di là del facile sarcasmo, l’immagine delle unghie e soprattutto del prurito, scolorita dal logorio della metafora, risale alle origini della tradizione lirica italiana. In una canzone di Giacomo da Lentini, Madonna, dir vo voglio, è attestato il primo uso letterario della parola «prodito», per “prurito”, in una similitudine che ben sintetizza il senso di una grande variazione sul tema dell’impotenza – l’incapacità di dire l’amore – in quella che si rivela piuttosto una sorta di poetica preterizione177. Nella testimonianza di Bottai domina 176 G. BOTTAI, Diario 1935-1944, a c. di Giordano Bruno Guerra, Milano, Rizzoli, 1982, p. 352 (in data 16 gennaio 1943). Cfr. G. AGNESE, Marinetti una vita esplosiva, Milano, Camunia, 1990, p. 296. 177 Cfr. Giacomo da Lentini, Madonna dir vo voglio: «Madonna, sì m’avene / ch’eo non posso avenire / com’eo dicesse bene / la propia cosa ch’eo sento d’Amore. / Sì com’omo in prodito / lo cor mi fa sentire, / 76 un’idea di giovinezza come età o disposizione pruriginosa che diventa ancor più velleitaria allorché costretta all’impotenza dall’insorgere della senilità. Non per niente Leopardi, definiva la vecchiaia peggiore della morte stessa in una nota riflessione nel VI dei suoi Pensieri: «La vecchiezza è male sommo: perchè priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza»178. La tesi leopardiana è utile come glossa a Bottai ma soprattutto come paradigma per una più ampia valutazione della giovinezza quale motivo cruciale per la comprensione dell’opera e della personalità di Marinetti. Parlando della morte in termini stoico-epicurei Leopardi stabilisce una dialettica dove la vecchiaia, sebbene in modo implicito, è come ovvio contrapposta antiteticamente alla giovinezza. Nella sintesi di Leopardi si trova anche un terzo polo, la morte, che è invece assente nella riflessione marinettiana. Si tratta, da un lato, di una rimozione intenzionale, confacente al piano programmatico di un movimento che proclama la Guerra sola igiene del mondo (1915). D’altro canto, seppur più difficilmente dimostrabile, sul piano squisitamente psicologico179 la rimozione marinettiana della morte corrisponde a un ideale di eterna giovinezza, con la quale si vuole scongiurare utopicamente la necessità di invecchiare. Nel momento stesso in cui si celebra la morte violenta per eroismo militare, infatti, non si che già mai no’nd’è chito / mentre non pò toccar lo suo sentore» (da Poeti del Duecento, a cura di G. CONTINI, Milano-Napoli, Ricciardi, 1960). 178 G. LEOPARDI, Tutte le opere, a cura di W. Binni con la collaborazione di E. Ghidetti, Firenze, Sansoni, 1969, vol. I, p. 218. 179 De Maria, studioso che più di ogni altro ha contribuito alla conoscenza la figura di Marinetti, ignorando la precedente biografia di W. VACCARI, Vita e tumulti di F.T. Marinetti, Milano, Editrice Omnia, 1959, auspicava la realizzazione di indagini biografiche e monografie che prendessero in considerazione anche un’analisi psicoanalitica, cfr. L., DE MARIA, La nascita dell’avanguardia: saggi sul futurismo italiano, Venezia, Marsilio, 1986, p. 12. Dopo più di venti anni, ancora ben poco è stato fatto in questa direzione. 77 fa altro che esaltare la gioventù negandole ipso tempore la possibilità medesima di sopravvivere a se stessa e di raggiungere la vecchiaia. Il processo di mitizzazione della giovinezza, inoltre, non solo si associa ai programmi rivoluzionari futuristi di rinnovamento della cultura e della società italiana in una contrapposizione storicogenerazionale tra vecchio e nuovo, ma assume un significato specifico, funzionale alla celebrazione degli ideali di eroismo e patriottismo, che sono i cardini della polemologia futurista180 (e in seguito fascista). Proprio la rilettura marinettiana di Leopardi è sintomatica del modus cogitandi del padre del futurismo. Ribaltando, al solito in modo anticonvenzionale, il luogo comune del suo pessimismo, in un articolo del 1937 Marinetti proclama Leopardi maestro di ottimismo, con un fantasioso atto di revisione critica, scarsamente argomentata e fortemente volontaristica181. Certo, si potrebbe allora ricordare la folta schiera di studiosi, fascisti e no, i quali, non senza qualche ingenuità, dal De Sanctis a Flora passando per Gentile, cercarono di riabilitare Leopardi disinnescando la componente negativa del suo pensiero; tuttavia, l’interpretazione marinettiana è piuttosto una formula, al limite uno slogan, sintetizzabile nella seguente considerazione ribadita da Marinetti in diverse occasioni negli anni successivi: «I poeti tradizionali italiani sono magnetizzati dal 180 Cfr. F. T. MARINETTI, Al di là del Comunismo, in TIF, p. 475: «Negare la patria equivale a isolarsi, castrarsi, diminuirsi, denigrarsi, suicidarsi. […] Non si può sfuggire a questi due concetti-sentimenti: patriottismo, cioè praticità di sviluppo dell’individuo e della razza, eroismo, cioè bisogno sintetico di superare le forse umane, e potenza ascensionale della razza». 181 Cfr. M. D’AMBROSIO, Le “Commemorazioni in avanti” di F.T. Marinetti. Futurismo e critica letteraria, Napoli, Liguori, 1999, pp. 120-2. Il pezzo apparve sull’Agenzia “A.L.A.”, VII, n. 153, Roma, 21 ottobre 1937, pp. 1-2 e, con la stessa data, sul «Corriere di Napoli», p. 3. Era stato, in realtà, anticipato, su «Somalia fascista», Mogadiscio, 30 settembre 1937, col titolo Un’altra idea-bomba di S. E. Marinetti: Leopardi ottimista. 78 pessimismo (per me trascurabile) del genio complesso di Leopardi in realtà ottimista perché lieto di scrivere perfettamente»182. Rimproverare a (S. E.) Marinetti l’«idea-bomba» del Leopardi ottimista, riconoscendola come una capriola o meglio un capitombolo critico, vorrebbe dire però commettere quanto meno un analogo errore ermeneutico. Significherebbe non aver capito il senso agonistico e paradossale del pensiero di Marinetti: «pensiero azione»183, costantemente al di là del principio di non contraddizione e della verificabilità del reale, pensiero di guerra che ritorna nell’etimologia dell’“avanguardia”. Alla stessa stregua si dovrebbe allora dire che Marinetti non smise mai di fare propaganda futurista, neanche quando parlava da Accademico del Regno, e che, similmente, si spinse a “far proselitismo” persino tra i i morti184; ma ciò equivarrebbe, in altri termini, a disconoscere il carattere dichiaratamente «antifilosofico» e «anticulturale» del movimento. Diversamente dal Tristano delle Operette Morali, Marinetti rifugge dalle conclusioni di una «filosofia dolorosa, ma vera», perché come sostenne in quella sorta di manifesto camuffato che è la Prefazione futurista a «Revolverate» di Gian Pietro Lucini: 182 F. T. MARINETTI, Visione sintetica della poesia italiana e dei “Corti circuiti” di Geppo Tedeschi, in ID., Collaudi futuristi, a c. di G. Viazzi, Guida Editori, Napoli 1977, pp. 155-6. Per un’utile contestualizzazione degli scritti marinettiani sul Leopardi nel panorama della critica coeva, cfr. M. D’A MBROSIO, Le “Commemorazioni in avanti”, cit., pp. 115-9. 183 Cfr. B. CAPPA MARINETTi, Prefazione a Quarto d’ora di poesia della X Mas, in TIF, p. 1197: «Marinetti poteva essere solo pensiero azione». Si ricordi anche F. T. MARINETTI, Una lezione di Futurismo tratta dall’“Orlando Furioso”, in M. D’A MBROSIO, Le “Commemorazioni in avanti”, cit., p. 62: «[…] per un artista è preferibile dare un bacio o un colpo di spada che descriverlo o dipingerlo; l’atto compiuto essendo importante elemento d’arte». 184 Si pensi, a titolo di esempio, agli “arruolamenti” forzati e post mortem di Ariosto (vd. nota precedente), Tasso e persino Dante. Cfr. Lezione di Futurismo estratta dalla “Gerusalemme Liberata” e Simultaneità parolibera nella “Divina Commedia”, in M. D’AMBROSIO, Le “Commemorazioni in avanti”, cit., rispettivamente a pp. 83-87 e pp. 154-6. 79 «noi [futuristi] amiamo la lotta ancor più della Verità»185. I pruriti bellicosi, l’attitudine provocatoria s’impongono (dunque) sull’idea ottocentesca di Verità con la V maiuscola e, significativamente, anche nel caso della pubblicazione del libro di Lucini, fu Marinetti a suggerire all’autore di sostituire il titolo pessimista Canzoni amare con il più aggressivo Revolverate. Come Marinetti scrisse in Futurismo e Fascismo nel 1924, «i mistici dell’azione», ossia i futuristi, erano votati a «Creare vivendo. Talvolta contraddirsi. Affermare, slanciarsi, battersi, resistere, riattaccare! Indietreggiare mai! Marciare non marcire!»186. Questo celebre motto, assunto in seguito dal regime fascista, è rivelatore di una certa tendenza in seno al futurismo e indicativo di una propensione riconducibile alla modalità di intendere il concetto stesso di giovinezza. «Marciare non marcire», con il verbo all’infinito conforme alle esigenze della sintesi futurista, con un valore imperativo che imita il tono e il linguaggio militare della propaganda bellicistica, indica la fiducia pragmatica e volontaristica nel dinamismo, nel pensiero che si risolve in azione, come possibilità stessa di aggirare la necessità di «marcire»; un termine, quest’ultimo, che senza dubbio ha come referente polemico l’immobilismo passatista ma è anche immagine di decomposizione e, quindi, di invecchiamento. Insomma, come a dire: “se si marcia, non si invecchia, agendo si rimane vivi, si rimane giovani”; come se questo movimento continuo dell’avanguardia, che per definizione non può indietreggiare, potesse eludere il passaggio del tempo, assecondandolo fino a perdersi in una dimensione atemporale, sogno fantascientifico e delirante «del tipo non umano moltiplicato mediante 185 F. T, MARINETTI, Prefazione futurista a «Revolverate» di Gian Pietro Lucini, in TIF, p. 27. 186 F. T, MARINETTI, Futurismo e Fascismo, in TIF, p. 491. 80 l’esteriorizzazione della sua volontà»187. A riprova di quanto appena sostenuto, si ricordi che Marinetti, incitando al superamento del sentimentalismo e dell’amore romantico, immaginò un nuovo ideale di essere umano che, ridotti i rapporti tra i sessi a «semplice funzione corporale», si affrancasse in tal modo dal processo di invecchiamento: L’uomo moltiplicato che noi sogniamo, non conoscerà la tragedia della vecchiaia! Ma bisogna, per questo, che i giovani maschi contemporanei, finalmente nauseati dei libri erotici e del duplice alcool sentimentale e lussurioso, essendo finalmente immunizzati contro la malattia dell’amore, imparino metodicamente a distruggere in sé tutti i dolori del cuore, lacerando quotidianamente i loro affetti e distraendo infinitamente il loro sesso con contatti femminili rapidi e disinvolti. Il nostro franco ottimismo si oppone così, nettamente, al pessimismo di Schopenhauer, di quel filosofo amaro che tante volte ci porse il seducente revolver della filosofia per uccidere in noi la profonda nausea dell’Amore coll’A maiuscola188. È questa acefala dialettica binaria tra pessimismo e ottimismo - che qui trova il suo bersaglio polemico in un autore assai spesso associato a Leopardi come Schopenhauer - a presupporre la rimozione del polo negativo della vecchiaia, e con essa quello della morte, procedendo non per vie raziocinanti e argomentative ma, per così dire, a colpi di “revolverate antifilosofiche”. Notevole è quindi l’anticipo con cui nella produzione narrativa dell’autore, il Marinetti ancora francese di Mafarka le Futuriste (1909), simili riflessioni sono sviluppate sul piano simbolico nella parabola di ringiovanimento che il protagonista racconta alle sue amanti, proprio mentre lo distraggono dalla creazione di un figlio, gigantesco e divino. Una volta messa in collegamento, come mai è stato fatto, con il passo prima citato, il senso della storia risulta fin troppo evidente: 187 F. T, MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 300. 188 F. T, MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 301. 81 Conobbi, un tempo, un costruttore di navi che spese tutta la vita a fabbricare un vascello enorme e magnifico. E ogni sera, delle donne venivano ad offrirgli le loro labbra, per consolare la sua solitudine…Ma egli invecchiava a poco a poco, e il suo vascello non era ancora vicino all’essere finito. L’angoscia di morire prima di aver compiuta l’opera sua tormentava continuamente il costruttore. In una notte di tepido chiaro di luna, dopo essersi abbandonato a malinconiche voluttà, egli fu bruscamente destato da uno strappo alla sua lunga barba bianca, che sentì presa sotto le natiche della sua ultima amante…Volle svincolarsi, ma la donna sembrava uccisa dal sonno…Esasperato alfine dal disgusto della propria viltà, il costruttore si rizzò, con uno scatto subitaneo, lacerandosi le guance e lasciando la barba, strappata, sotto il culo della femmina. Gli grondò di sangue il mento; ma specchiandosi in un’acqua madreperlacea sotto la luna. Egli gridò dallo stupore al vedersi ringiovanito di trent’anni, ebbro di primavera e di forza. Il suo corpo era fiorito. Uno sguardo solo gli bastò per terminare il vascello…189 Il vitalismo e il volontarismo, quindi, che alimentano il «pensiero azione» marinettiano pongono le premesse per la negazione della vecchiaia, in un orizzonte di guerra che prevede esclusivamente «giovani maschi»; perché il soldato, si sa, deve essere giovane (e, un tempo si pensava, anche maschio). Come scrisse consapevolmente Marinetti stesso in Democrazia futurista (1919): «Il Futurismo era l’ottimismo artificiale opposto a tutti i pessimismi cronici, il dinamismo continuo, il divenire perpetuo e la volontà instancabile»190. Ora, in questo quadro fatto di artificialità e di vitalismo di ascendenza dannunziana191 non c’è spazio per i vecchi, come al fronte non c’è tolleranza per chi indietreggia. La vecchiaia diviene «trascurabile» come il pessimismo leopardiano e per questo è trascurata e negata con un semplice atto della volontà. 189 F. T. MARINETTI, Makarfa il futurista, a c. di L. Ballerini, Mondadori, Milano 2003, p. 177. Il tema della giovinezza è un motivo chiave per l’interpretazione di questa opera di Marinetti. Motivi biograficipsicoanalitici spiegano il mito di eterna giovinezza del romanzo, ed è mia intenzione discuterne presto altrove. 190 191 F. T. MARINETTI, Democrazia futurista, in TIF, cit., p. 346. Questo studio potrebbe proficuamente ampliarsi in una considerazione comparativa del tema della giovinezza in D’Annunzio. Si pensi soltanto alla contrapposizione tra la giovane amante e la matura Foscarina-Duse nel Fuoco (1900) o alle immagini di ringiovanimento che si trovano nel Notturno (1921). 82 Ho definito il pensiero marinettiano un pensiero agonistico perché, come abbiamo visto, discende dalla supremazia della lotta sulla verità. Lo ho anche chiamato un pensiero di guerra perché quegli aspetti polemici, iconoclastici e controversi che lo contraddistinguono furono concepiti in un’epoca in cui comunque il pacifismo non era ancora un valore universale condiviso. Marinetti non fu mai pacifista e di certo ci fu un legame stretto tra la vocazione futurista alla giovinezza e l’ideologia militaristica. Indubbiamente la guerra richiede al soldato di essere giovane. Lo scrittore che va in Russia vecchio, a 66 anni, in un reparto di combattimento rappresenta un’eccezione rivelatrice; questo suo gesto di abnegazione verso la patria in armi, questo senso del dovere e la ricerca di un eroismo a tutti i costi confermano la volontà di affermazione sul reale di un carattere indomito, votato all’azione. Marinetti, ovviamente, non amava l’idea di invecchiare. Tornare soldato e andare in guerra, dal suo punto di vista, voleva anche dire ridiventare giovane: «Per tutti gli uomini dai 25 ai 60 anni la guerra è una seconda giovinezza»192. 192 Intenzionalmente citato da C. SALARIS, Le donne futuriste nel periodo tra guerra e dopoguerra, in La Grande Guerra: Esperienza, memoria, immagini, a cura di D. LEONI e C. ZADRA, Bologna, il Mulino, 1986, p. 294. Claudia Salaris ricorda le prime edizioni e non specifica da dove tragga la sua citazione. Il libro è stato recentemente ripubblicato con prefazione di Carmen Llera: F. T. Marinetti, Come si seducono le donne, Vallecchi, Firenze, 2003. In quest’ultima edizione, in cui non sappiamo quale testo venga riprodotto, il passo presenta, però, una variante: «Per tutti gli uomini dai 35 ai 50 anni la guerra è una seconda giovinezza», p. 38. Nel retro di copertina si dice che il libro non fu «mai più ristampato dopo la seconda edizione del 1918». Secondo la ricostruzione bibliografica di Cammarota, la prima edizione del libro uscì a Firenze nel 1917 per una serie diretta da Bruno Corra e Emilio Settimelli, presso gli Stabilimenti Tipografici A. Vallecchi. Il volume era stato scritto nel settembre del 1916 e revisionato nel luglio del 1917. Secondo Cammarota, ne esisterebbe anche una versione francese rimasta inedita. Sin dalla prima edizione il libro uscì censurato nel capitolo “La donna e la complicazione”. Nell’edizione Vallecchi 2003 le pagine 89-96 sono ancora censurate. Nel 1918 uscì una seconda edizione accresciuta con in appendice “Polemiche sul presente libro” tratta da «L’Italia Futurista». Il libro è stato stampato a Rocca San Casciano, presso lo Stabilimento Tipografico Licinio Cappelli. Su questa edizione si basa il volume Vallecchi 2003. A riprova del successo commerciale del libro figura una terza edizione per l’Excelsior di Milano, nel 1919 e poi la ristampa presso Sonzogno, Milano 1920, accresciuta di ben cinque capitoli e con un nuovo titolo: Come si seducono le donne e si tradiscono gli uomini; ma secondo Cammarota, il «nuovo titolo ideato per il vol. era Come si devono dare gli uomini»; una seconda edizione uscirà nel 1933, sempre presso Sonzogno. Tra il 1926 e il 1927, uscirono ben tre edizioni in traduzione spagnola in Argentina, Como se seducen las mujeres y se traicionan los hombres. Infine, nel 1940 uscì presso Sonzogno la terza 83 Bottai, per la verità, in un’altra pagina del suo Diario in cui auspicava che la coscrizione militare fosse proibita fino almeno ai vent’anni, ricorda una proposta, «involontariamente seria», di Benedetta Cappa, la moglie di Marinetti. Benedetta, non senza una spietata autoironia, aveva detto a mo’ di battuta che si sarebbero dovuti «mandare in guerra i vegliardi e tenersi a casa i giovanotti. […] per conservare a casa i maschi “riproduttori”»193. L’idea della «leva rovesciata» si trovava già, in forma di obiezione ai futuristi, nel dramma simultaneo Il suggeritore nudo: «Prima i sessantenni, dicono, poi i cinquantenni. Ultimi i giovani. […] I futuristi dicono che i vecchi debbono morire gloriosamente in prima linea e non in un triste letto d’agonia! Cretineria! Pretendono riservare i giovani per la fecondazione delle donne»194. Dopo la partecipazione al primo conflitto mondiale, Marinetti stesso aveva teorizzato in modo esplicito il rapporto tra guerra e giovinezza in una pagina dei suoi Taccuini: «La primavera e la gioventù lottano contro e distruggono sistematicamente ogni speranza, preparazione di pace umana. L’umanità è una massa d’istinti erotici sanguinari, sopraffattori e rapaci dolorosamente mal ingabbiati nella paura, società, convivenza. […] La vecchiaia, la malattia e l’inverno sostengono e propugnano l’idea di pace e vecchiaia umana. […] Lo spirito umano sarà raggiunto con la vecchiezza e l’agonia delle razze. Per edizione di Come si seducono le donne e si tradiscono gli uomini che fu sequestrato dalla censura fascista con decreto del Minculpop nel maggio del 1941. Cfr. D. CAMMAROTA, Filippo Tommaso Marinetti: Bibliografia, cit., pp. 59-92. Nell’anno del centenario, infine, è stata pubblicata una ristampa anastatica per le Edizioni Excelsior 1881. 193 G. BOTTAI, Diario 1944-1948, a c. di Giordano Bruno Guerra, Milano, Rizzoli, 1988, p. 466. 194 F.T. MARINETTI, Teatro, vol. I, ac. di J. Schnapp, Milano, Mondadori, 2004, p. 403. 84 uccidere la guerra bisogna uccidere la razza gioventù, record, progresso» (settembre 1920)»195. È notevole in questo passo quello che può presentarsi apparentemente come un ribaltamento logico: secondo Marinetti, difatti, non è la guerra a richiedere la giovinezza, ma è piuttosto la giovinezza che in virtù di «istinti erotici sanguinari»196 vuole e causa la guerra. Si stabilisce così una precisa equazione: la giovinezza sta alla guerra, come la vecchiaia alla pace. Da che parte si collochi l’inventore dell’avanguardia italiana lo si capisce chiaramente analizzando il linguaggio adoperato: domina infatti, senza alcun dubbio, il campo semantico della violenza; si notino, dunque, i seguenti vocaboli: «lottano», «distruggono», «sanguinari», «sopraffattori», «rapaci», «dolorosamente», «agonia» e soprattutto «uccidere». Anche una prospettiva di eliminazione della guerra è concepita da Marinetti in termini di “uccisione”, il che equivale (sul piano semiotico) ad una sorta di figura etimologica: all’idea della “guerra che si fa la guerra”, che uccide se stessa. L’identificazione diventa completa nell’adynaton conclusivo: per uccidere la guerra bisogna uccidere la gioventù. Del resto c’è un’innegabile componente distruttiva nella forza della giovinezza. Si pensi ancora a Leopardi che lo aveva già postulato in una pagina del suo Zibaldone: «Pare che la fanciullezza e la gioventù abbia ingenita e naturale una inclinazione a distruggere, e la età matura e avanzata, a conservare. […] Un fanciullo e un giovane spessissime volte si piglierà piacere di uccidere una mosca o un altro animaletto, 195 196 F. T. MARINETTI, Taccuini 1915/1921, a c. di A. Bertoni, Il Mulino, Bologna 1987, p. 495. La visione marinettiana di ascendenza deterministica che vede l’umanità dominata da questi «istinti erotici sanguinari» sembra anticipare la teoria freudiana delle pulsioni sessuali/di vita e pulsioni di morte di Al di là del principio di piacere (Jenseits des Lustprinzips, 1920). 85 cacciandolo anco con fatica, senza altra ragione o altro fine che di prendersi gusto; […]» (Recanati, 12 Dicembre 1826) 197. Walter Benjamin aggiunge: «The destructive character is young and cheerful. For destroying rejuvenates in clearing away the traces of our own age»198. Fu poi Eric Fromm, come abbiamo visto, a individuare proprio in Marinetti il prototipo del carattere distruttivo nella sottospecie “necrofila”. La giovinezza d’altra parte non può essere considerata come una categoria univoca né univocamente positiva; allo stesso tempo essa rappresenta un’indubbia chiave ermeneutica per una rilettura di tutta l’esperienza futurista. Come ha scritto Paolo Valesio: «What, essentially, was Futurism? An explosion of Youth – youth with its obvious virtues (boldness, vitality, freshness) and with its less obvious but equally important defects (violence, dogmatism, superficiality)»199. Andrea Battistini la definisce l’«imperativo anagrafico delle avanguardie», contestualizzando la smania di rinnovamento di quegli anni tra le delusioni postrisorgimentali (il passaggio da un’età eroica ad una prosaica) e l’affermazione della cosiddetta “trincerocrazia” del primo dopoguerra200. Si trattò indubbiamente di un’esplosione di giovinezza che reagiva al peso di una tradizione sentita come edipicamente castrante. L’uomo che all’inizio del Novecento nasce come puer senilis reagisce con un eccesso di vitalità che dopo 197 G. LEOPARDI, Zibaldone, [4231-32], in ID. Tutte le opere, cit., vol. II, p. 1122. 198 W. BENJAMIN, The Destructive Character (Der destruktive Charakter), in ID. Reflections. Essays, Aphorisms, Autobiographical Writings, edited by P. Demetz, New York, Schocken Books, 1986, p. 301. 199 P. VALESIO, “The Most Enduring and Most Honored Name”: Marinetti as Poet, in F. T. MARINETTI, Selected Poems and Related Prose, New Haven and London, Yale University Press, 2002, p. 149. 200 A. BATTISTINI, La giovinezza, imperativo anagrafico delle avanguardie, RiLUnE, n. 3, 09/2005. 86 Auschwitz e Hiroshima sarà poi inconcepibile. L’umanità del secondo dopoguerra nasce irrimediabilmente vecchia. In questo senso si dovrebbe leggere la critica di Francesco Cataluccio che considera le avanguardie «l’espressione più chiara dell’infantilismo novecentesco»201. Nel suo libro però giovinezza e immaturità coincidono troppo spesso con un automatismo che non convince. Che la giovinezza fosse un imperativo anagrafico delle avanguardie era già scritto nel Manifesto di fondazione del movimento dove lo scontro edipico-generazionale non risparmia i futuristi e si presenta con la solita carica di violenza verbale: «I più anziani fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio, per compiere l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. – Noi lo desideriamo! Verranno contro di noi, i nostri successori; […] si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile inquantoché i loro cuori saranno ebbri di amore e ammirazione per noi»202. Marinetti era però davvero pronto ad abdicare, a passare le consegne, una volta raggiunti i quarant’anni? Certamente no, ma la questione non va posta in questi termini perché sin da allora lo scrittore dimostra acutamente di prevedere che ogni avanguardia è destinata alle «catacombe delle biblioteche», al museo, all’accademia. Per quanto sia difficile stabilire quanto [egli] temesse la morte, è ben chiaro che Marinetti non desiderava la vecchiaia. Lo riprova una testimonianza fornita dai Taccuini dell’autore. Marinetti è al fronte e annota amaramente la stanchezza dell’esercito che suscita in lui uno stato d’animo pessimista acuito da un episodio per noi illuminante: 201 Cfr. F. M. CATALUCCIO, Immaturità, La malattia del nostro secolo, Torino, Einaudi, 2004, pp. 48-9. 202 F. T, MARINETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 13. 87 «Ecco le ragioni della mia tristezza pessimista dilagante in me e fuori di me con disperazione crescente. È acuita da una parola detta distrattamente da una ragazza. “Vecchio” alludendo ai miei 40 anni che pure furono in questi giorni straordinariamente virili spensierati straripanti d’allegrezza pazza studentesca nella fattoria» (19 febbraio 1918)203. Questo sconforto si estrinseca nell’unione del motivo storico della fase successiva al trauma di Caporetto (ott.-nov. 1917) a quel trauma tutto privato che è la scoperta della propria vecchiaia. E allora sarà altamente indicativo che l’autore nella continuazione di quella pagina dei Taccuini reagisca ritrovando il proprio instancabile ottimismo con motivazioni paradigmatiche del suo rifiuto di invecchiare, ossia attraverso la conservazione del mito virile e biologico della propria giovinezza. Ecco dunque i primi tre posti dell’elenco che spiega il ritrovato ottimismo marinettiano: «1o Forza fisica. 2o Amori facili. […] 3o Celebrità mia»204. Ricordo, per finire, una curiosa opera teatrale che drammatizza, in una breve Sintesi futurista, il contrasto generazionale di inizio secolo. Si chiama La fine di un giovane e vi si presenta un attempato uomo politico che cerca di domare una folla che lo respinge appunto perché vecchio, giolittiano. Il titolo è volutamente fuorviante perché è proprio l’anziano politico il “giovane” della storia. Incalzato dalla folla che si scalda sotto la sua finestra al grido «Abbasso i vecchi», il politico reagisce urlando: «Ma ci sono certi vecchi che si sentono più giovani dei giovani. (gracchiando) Io per esempio mi sento 203 F. T. MARINETTI, Taccuini, cit., p. 196. 204 Ibidem. 88 giovane; Gio-va-ne; gio…»205. Quindi il vecchio si accascia a terra e muore. È chiaro l’intento di inscenare la lotta tra tradizione e avanguardia, dove la folla composta di soli giovani abbraccia quelle istanze di palingenesi che il Futurismo cavalcò tanto abilmente quanto generosamente. Ma è quasi irresistibile la tentazione di leggervi un’autoironica forma di consapevolezza. Marinetti era tornato dalla Russia in cattive condizioni di salute che s’andarono peggiorando irreversibilmente fino alla morte avvenuta nel dicembre del 1944 alla vigilia dei 68 anni. Lo spirito graffiante e combattivo era rimasto però quello di una volta, nonostante il declino fisico e l’insufficienza cardiaca e lo dimostra la testimonianza della moglie Benedetta nella Prefazione all’ultima opera dello scrittore, Quarto d’ora di poesia della X Mas. È notevole che contrariamente alle sue abitudini, in quel suo ultimo giorno, «scolaro diligente compito d’esame bene eseguito, volle proprio scrivere lui il poema sulla X Mas e proprio volle sul quaderno della primogenita Vittoria»206. Forse era questo il suo modo di passare le consegne: Di padre in figlia, tornando scolaro sul quaderno di scuola207. Vivere da giovani, non invecchiare mai, questa è l’aporia tentata dal Futurismo: morire da eroe come Boccioni, come Sant’Elia, o, al limite, come il protagonista di Fine di un giovane sfidando il principio di realtà e di non contraddizione. Che questa aporia sia 205 F. T. MARINETTI, La fine di un giovane, in ID., Teatro, cit., vol. II, p. 627. 206 B. CAPPA MARINETTI, Prefazione a Quarto d’ora di poesia della X Mas, in TIF, p. 1198. 207 Si pensi allora alla scena di ringiovanimento in F.T, MARINETTI, Firenze biondazzurra sposerbbe futurista morigerato, Palermo, Sellerio, 1992, pp. 113-4: «Sprofondarsi del corpo di Marinetti come in un bagno di ringiovanimento e ne emergono le labbra esperte incandescenti / Egli non ha più trent’anni ma venticinque anzi venti nel divorare fino in fondo al barattolo succoso raddoppiato ardore delle labbra più che mai affamati di nuovi zuccheri / Questa confettura di datteri ventilando un palmeto e chioccolìo di sorgenti e canalucci fra le rose conduce dita e lingua verso una confettura di rose ed è il gusto làtteo della bellissima bàlia e Marinetti ha ora quindici anni già otto ed è un poppante in ritardo». 89 connaturata alla fondazione del movimento e alla personalità del suo animatore lo si capisce già da quel passo rivelatore, ma mai debitamente valutato, a conclusione del primo Manifesto: «Ci opponete delle obiezioni?... Basta! Basta! Le conosciamo… Abbiamo capito!... La nostra bella e mendace intelligenza ci afferma che noi siamo il riassunto e il prolungamento dei nostri avi. – Forse!... Sia pure!... Ma che importa? Non vogliamo intendere!... Guai a chi ci ripeterà queste parole infami!... Alzate la testa!... Ritti sulla cime del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!...»208. Un’intelligenza, si badi bene, «mendace» non tanto perché menta agli altri ma perché mente a se stessa, perché non vuole intendere. Esattamente tutto il contrario di Tristano. Tutto il contrario di Leopardi. 2.3 Marinetti e la Russia I want a hero: an uncommon want Lord Byron, Don Juan “Unhappy is the land that breeds no hero” […] “Unhappy is the land that needs a hero” Bertolt Brecht, Life of Galileo Old age ain’t no place for sissies Henri Louis Mencken «Late work is not generically bound; it is personal, essential, autobiographical; it is a supplement to the main body of the artist’s work which is also a fulfilment of that 208 F. T. Marinetti, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 14. 90 work; at the same time, it has ramifications beyond the personal, expressing a sense of epochal lateness or of a going beyond the possibilities of the current moment or, combining the two, of a certain paradoxical prolepsis in its finality»209. Certamente, parte di questa generale definizione dello “stile tardo” si attaglia perfettamente a Marinetti e alla sua scrittura autobiografica dell’ultimo periodo. Giunto a Venezia, tra il 1943 e il 1944, lo scrittore portò a termine tre opere di ispirazione memorialistica: La grande Milano tradizionale e futurista e Una sensibilità italiana nata in Egitto, pubblicate postume a cura di Luciano De Maria, a cui si aggiunge Firenze biondazzurra sposerebbe futurista morigerato, scritto a quattro mani con Alberto Viviani, il quale grazie all’interessamento di Giovanni Gentile aveva ottenuto il trasferimento della sua cattedra di letteratura e potè dunque seguire Marinetti da Roma a Venezia210. Nel congedare quello che lui chiama «un singolare dittico autobiografico», De Maria per primo non può che rilevare la flagrante contraddizione tra il memorialismo marinettiano dei due testi e le violente affermazioni contro il passato, la nostalgia e il sentimentalismo che il Futurismo voleva sradicare dalla letteratura italiana. Una non nuova tendenza al memorialismo, come abbiamo visto, si contrappone al «moto 209 G. MCMULLAN, Shakespeare and the Idea of Late Writing: Authorship in the Proximity of Death, Cambridge University Press, Cambridge UK, 2007, p. 26. 210 Per cronologia e dati relativi alla gestazione del libro si rimanda all’Introduzione del curatore, Paolo Perrone Burali d’Arezzo, che per la sua ricostruzione si è servito della documentazione contenuta nell’archivio toscano di Alberto Viviani, cfr. F.T, MARINETTI, Firenze biondazzurra, cit., pp. 13-18. Secondo il curatore il libro fu scritto quasi di getto tra il 20 luglio e il 18 agosto del 1944. I due autori si riunivano, anche due volte al giorno, nella dimora veneziana di Marinetti e componevano dettando all’assistente di Viviani, Luisa Pia Carlotto Consuelo. Alla fine di luglio, però i Marinetti si erano trasferiti a Salò e rimane da chiarire in che diversa misura i due autori abbiano contribuito alla stesura del libro. 91 antimnestico»211 che definiva il movimento sin dal nome. Questa è un’altra della aporie marinettiane dell’ultimo periodo che De Maria tende a ricondurre alla formula del «ritorno del rimosso». Poiché, tuttavia, Marinetti aveva scritto di sé, in diverse forme e varie opere, durante tutta la sua carriera di scrittore, anche in questo caso, direi che si debba parlare piuttosto di “persistenza del rimosso”, sul modello di una particolare forma di contraddizione dell’inconscio che cercherò di descrivere più diffusamente nel prossimo capitolo. Prima di giungere a Venezia nell’autunno del 1943 Marinetti aveva già portato a termine un’altra opera di ispirazione autobiografica in cui si rielabora l’ultima campagna militare dello scrittore. Maggiore degli arditi, classe 1876, Marinetti era partito per il fronte russo il 28 luglio del 1942 insieme al cognato quarantunenne, Alberto Cappa, che da lì non fece più ritorno. Lo scrittore era andato volontario addirittura al comando di un reparto di combattimento su un fronte notoriamente ostico. Come sempre Marinetti aveva portato in guerra i suoi taccuini e, in Russia probabilmente scrisse una prima stesura di quel libro singolare dal titolo infelice, Originalità russa di masse distanze radiocuori, un cui dattiloscritto idiografo è anch’esso conservato presso la Beinceke Library di Yale212. A differenza del caso del già ricordato Firenze biondazzurra dove la personificazione 211 F.T. MARINETTI, La grande Milano, cit., p. XXIII. Per la cronologia si rimanda alla Nota di Maria Delfina Gandolfo, che nell’archivio di Beinecke ha trovato non solo il dattiloscritto da cui deriva la sua edizione dell’opera (cartella 1444) ma anche 197 pagine di “Appunti manoscritti autografi per un libro sulla Russia”, contenuti in due altre cartelle (1588 e 1589) dell’archivio marinettiano. Nel manoscritto la Gandolfo ha trovato pagine di diario in data 24 e 25 novembre. Come conclude la curatrice, il libro fu dunque abbozzato di getto sin da quell’autunno del ’42 per poi essere rimaneggiato nel periodo di tempo che precede la morte dell’autore nel dicembre 1944. Sempre la Gandolfo ipotizza l’esistenza di una perduta versione intermedia che si collochi a metà strada tra le note manoscritte e il dattiloscritto, cfr. F.T., MARINETTI, Originalità russa di masse distanze radiocuori, a c.di M.D. Gandolfo, prefazione di M. Colucci, Roma, Voland, 1996, pp. 25-29. 212 92 della città sembra anticipare i lunghi titoli cinematografici di Lina Wertmüller, in questo caso l’enumerazione eterogenea (nell’alternanza ravvicinata di femminile e maschile) e priva di punteggiatura rende il titolo persino di difficile memorizzazione213. Come già rilevato nella prefazione al volume dallo slavista Michele Colucci, manca in Originalità russa un tono «scopertamente propagandistico»214, anzi, aggiungiamo noi, il tono prevalente è semmai dimesso, pensoso e stanco. In queste memorie di guerra, lo scrittore si fa più intimo e confessionale di quanto non sia nelle memorie private. Marinetti è soprattutto preso a descrivere la realtà che lo circonda in un quadro che però si fa astratto, quasi mistico e metafisico al tempo stesso. Il libro è diviso in 8 capitoli brevi, piuttosto indipendenti l’uno dall’altro e Colucci vi riconosce un possibile precedente in 8 anime in una bomba del 1919, non l’unico scritto marinettiano ispirato dalla partecipazione alla Prima Guerra Mondiale. In questo caso può essere proficuo ricorrere alla categoria critica introdotta da De Maria a proposito di Spagna veloce e toro futurista, e mi riferisco alla condivisibile formula di «paroliberismo attenuato e decontratto»215 che caratterizza buona parte della produzione marinettiana dopo il 1930, l’ultimo Marinetti. Questo stile è contraddistinto dall’abolizione della punteggiatura, dal verbo spesso all’infinito, da ripetizioni enfatiche e 213 Nella Nota al testo la curatrice, Maria Delfina Gandolfo, dà conto di un mutamento del titolo che originariamente doveva essere «Originalità italiana contro distanze masse russe», cfr. F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 27. 214 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 12. Cfr. ivi, p. 15: «sembra di toccare con mano il disfarsi inarrestabile del modello spirituale nietzscheano-soreliano che era alla base dell’uomo futurista». 215 L. DE MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in TIF, pp. LXXXII. 93 cui si aggiungono diversi «“inserti” (fra cui alcuni russi e francesi) di vario tipo»216. La sintassi tradizionale è sostanzialmente rispettata e, nonostante «qualche esempio di “ossessione lirica della materia” – aggiunge ancora Colucci – la funzione centrale della psiche umana»217 è ugualmente conservata. Citando il Manifesto tecnico, Colucci non può non rilevare la novità di una contrapposizione tra due termini che lui chiama «la psiche umana» e «l’ossessione lirica della materia», vale a dire, ancora una volta il tentativo di superare l’Io in letteratura mediante continui ricorsi all’antropomorfismo e alla personificazione dell’inorganico. Questo libro costituisce l’ultimo reportage bellico di Marinetti che già nel 1911 aveva dato prova di grande creatività come corrispondente dal fronte libico per l’Intransigeant di Parigi. Da quell’esperienza era derivata la pubblicazione bilingue di La battaglia di Tripoli, uscito in volume sia in francese che in italiano nel 1912 (Milano, Edizioni Futuriste di «Poesia»). Nello stesso anno, lo scrittore aveva assistito alle operazioni della Prima Guerra Balcanica che confluì nello sfondo di Zang Tumb Tumb, del 1914 (Milano, Edizioni Futuriste di «Poesia»). Dalla partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, Marinetti trarrà poi ispirazione per il già ricordato 8 anime in una bomba (Milano, Edizioni Futuriste di «Poesia», 1919) e per il romanzo vissuto L’Alcòva d’acciaio (Milano, Casa Editrice Vitagliano, 1921). Prima di partecipare alla Seconda Guerra Mondiale, Marinetti era però partito anche per la campagna coloniale in Etiopia da cui era derivato il volume Il Poema Africano della Divisione ‘28 Ottobre’, (Milano, Mondadori, 1937). Prima ancora, il poeta aveva raggiunto d’Annunzio durante 216 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 13. 217 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 13. 94 l’occupazione di Fiume nel 1919 e l’inedito divulgato per la prima volta in appendice, Il Poema di Fiume, trasfigura liricamente i fatti relativi a quel clamoroso gesto militare. Un simile elenco è necessario per rimarcare, ce ne fosse ancora bisogno, quel connubio privilegiato che il caposcuola futurista ha da sempre stabilito tra la propria scrittura e la partecipazione ad un conflitto armato. L’inizio di Originalità russa, che per caratteristiche stilistiche si avvicina più di ogni altra opera marinettiana a Venezianella e Studentaccio, ricorda una precedente opera già più volte ricordata, il “romanzo vissuto” L’alcòva d’acciaio. Anche in quel caso, la prima scena riguarda quello che lì viene chiamato, con ironia, il «rito della pasta asciutta»218, rivitalizzato ovviamente in chiave futurista. È una sera del giugno 1918, Val d’Astico in Veneto, e i soldati stanno mangiando e bevendo allegramente. Narratore autodiegetico, Marinetti concepisce una delle sue beffe. Per uccidere la nostalgia dando prova di «elasticità futurista», con la complicità dei soldati più giovani, il narratore interno irride un dottore dell’esercito impedendogli di finire il suo piatto di pastasciutta. Marinetti dice ad alta voce: «Per non impantanare la nostra sensibilità, spostamento di due posti a destra» con il che impone prima uno slittamento di posti e poi una sorta di girotondo in torno alla tavola! Gli spaghetti sono definiti «sanguigni e fumanti»219. Anche l’altra opera ispirata alla partecipazione alla Prima Guerra Mondiale, il “romanzo esplosivo” 8 anime in una bomba, comincia con una scena cameratesca e 218 F.T., MARINETTI, L’Alcòva d’acciaio, prefazione di G. Agnese, Firenze, Vallecchi, 2004, p. 17. 219 Ibidem. 95 conviviale220. Marinetti, sempre narratore interno in prima persona, sta sbrigando la sua «corrispondenza erotica» nella cucina di una cascina sul Piave, quando un tenente suo amico lo invita alla propria mensa per mostrargli un pianoforte a coda. Il menù prevede: «Esorbitante pasta asciutta sanguigna carne dura e pagnotta abbrustolita»221. Come nelle due opere appena ricordate, anche Originalità russa si apre con una scena in cui i soldati al fronte si nutrono di pastasciutta. Simile è il tono divertito e burlesco con cui si introduce lo scenario di guerra nella dimensione pacifica del pasto dei soldati. «Il fornellino odoroso e saporito di pomodoro inizia un suo metodico tinnire contro le chitarre della crociera dell’ala destra / - Pronto appuntino al dente pronto appuntino al dente pronto appuntino al dente […] Se ne insanguina appetitosamente le labbra eloquenti il colonnello medico e filosofo campano Bocchetti»222. La pasta, gli spaghetti che erano «sanguigni», cioè “rossi come il sangue”, ma quasi “di sangue”, tingono di rosso pomodoro la bocca del medico militare, evidentemente nell’esperienza di Marinetti la categoria più vorace dell’esercito! Ma celie a parte, questo ricorrere, a distanza di decenni, al medesimo campo semantico – “ematico” per così dire – non è trascurabile in opere autobiografiche ispirate alla guerra. Alla metafora coloristica del “sangue” sottende, infatti, una de-familiarizzazione non casuale: il sangue degli soldati è dis-locato, mal-riposto, nel colore del sugo della pasta. Non è una anticipazione di ferite e 220 Già M. Colucci aveva parlato di una somiglianza tra le due opere determinata da «la stessa varietà di accenti e la stessa apparente disomogeneità tematica», cfr. F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 12. 221 F.T., MARINETTI, 8 anime in una bomba. Romanzo esplosivo, in TIF, p. 798. 222 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., pp. 31-32. 96 decessi, ma una normalizzazione in chiave domestica della dimensione bellica. Nulla è meno fatale del sugo di pomodoro. Originalità russa si apre con un capitoletto in cui lo stilema della personificazione è presente sin dal titolo “Pensanti fetori aggressivi”, dove la materialità del richiamo al “fetore” è umanizzata non soltanto dall’attribuzione di una natura “aggressiva”, pesante, quanto soprattutto dalla capacità di pensiero, pensante. Sin dall’inizio del libro, in maniera assai dissimile da quella del chimico Primo Levi, prende vita il sistema periodico dell’aero-prosa marinettiana. Le molecole dentro e fuori del trimotore del generale Pezzi, capo dell’aviazione italiana, divengono membri dell’equipaggio. La voce umana si alterna al lamento degli elementi atmosferici. La coralità individuata da Colucci come una prerogativa del libro223, si estende all’umano e al non umano, una miscela per il lettore non sempre semplice da districare. Così senza che i due interlocutori fossero stati prima introdotti, assistiamo ad un dialogo in medias res, che en passant affronta questioni di teologia e politica: l’essenza della religione, l’interpretazione fattane da Marx, il comunismo e l’ugualitarismo tanto osteggiato da Marinetti: – – – – – 223 Dimmi Berzjinik siamo tutti uguali Sí Golikin uguali prigionieri della sporcizia e della fame Allora perché vuoi distinguerti pregando ogni mattina come fai e ciò umilia noi che non preghiamo e offende il comunismo che ci ha dato l’ateismo obbligatorio e offende Marx che ha scritto “La religione è coscienza pervertita… La distruzione della religione come felicità illusoria dell’uomo è una esigenza della sua felicità reale” Però Marx ti consiglia di muoverti intorno a te stesso come intorno a un sole dimmi Golikin ti sembra proprio di essere un sole? Non offendermi puzzo io puzzi tu e tutti puzziamo F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 12. 97 – – Iddio esiste ed è lui che ti insegnò a non lasciarti offendere e noi siamo offesi dal diavolo che ci ha cacciato in questo inferno Sí questo è l’inferno e i nostri ragionamenti ne sono le fiamme scottanti Certo il paradiso non esiste224 Un passo di prosa, prosa-lirica, segue direttamente e sembra avallare un’interpretazione materialistica dell’esistenza poiché il mondo è spiegato come una mera commistione di materia organica e inorganica: «La materia organica e la materia inorganica mantengono sistematicamente allo stato liquido il mar Baltico e allo stato gassoso l’atmosfera dei prigionieri mefitici germi con strizzature di fiumi folgori sorgenti tempeste e uno strazio di carbonio che si stacca da un chilometro cubo di ossigeno respinto da un milione di girasoli»225. Il primo capitolo ospita un dibattito sulla preghiera tra affamati prigionieri. C’è un tono crepuscolare, in cui le tenebre della notte, l’inferno dei viventi, la paura del Demonio stabiliscono un clima di ripensamento e ripiegamento, in cui anche la preghiera viene recuperata in chiave polemica antibolscevica. C’è da un lato un istintivo sdegno borghese contro le condizioni miserevoli dei prigionieri, ma soprattutto una grande compassione, tant’è che nel primo capitoletto la narrazione si incentra proprio sui prigionieri e le loro miserevoli condizioni materiali: «Caro Berzjinik senti nell’aria questo odore buono per quanto io abbia fame fame fame non posso guardare da quella parte dietro la tua spalla e mi fugge via l’anima se penso che quell’arco di luna grazioso che sembra uno scarpino argenteo di sultana vede ora tante brutte cose e le deve vedere per forza brutte cose deve vedere delle brutte cose e ti dichiaro che ne vede delle brutte 224 Ivi, p. 34. 225 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., pp. 34-35. 98 cose e tante»226. Marinetti impiega un sorprendente e toccante tono infantile per esprimere l’orrore dinanzi alle «brutte cose» della guerra. L’uso insistito della ripetizione dà enfasi al discorso ma ribadisce soprattutto l’imposizione delle “cose” sulle “persone”, impossibilità di dire altrimenti che ripetendo l’orrore. Le condizioni in cui versano i prigionieri sono tali per cui Marinetti giunge a descrivere, non senza un qualche sadico coinvolgimento che ricorda il primo capitolo del romanzo Mafarka il futurista, una scena di cannibalismo: A tre metri dai due la monumentale grotta di un cosacco a scivolanti sguardi bianchi in giro opera chirurgicamente un corpo che sembra morto ma che ogni tanto con una mossa da belva trattiene sotto i suoi ginocchi e da una specie di buco che sembra nella terra ma è invece nel corpo lavorato duramente estrae tre annodate tubature di un viscido lampeggiante e che assomigliano troppo ad un cuore e a dei polmoni Intorno al mostruoso scavatore di visceri una ventina di spettatori bocconi aggomitati e ne sibilano le dentiere come lame d’acciaio sulle ruotanti pietre di molti arrotini ossessionati dalla loro scintilla227 Il primo capitoletto presenta l’accampamento e soprattutto la condizione dei prigionieri mediante un quanto mai insistito ricorso alla personificazione nella grande allegoria in cui l’«immacolata Pulizia» si contrappone alla «Sporcizia» nella cosiddetta «tragedia dei cappotti». I prigionieri, infatti, perdono le loro fattezze umane e sono ridotti allo stato cencioso e miserevole dei loro indumenti, dei loro odori. Un misto di orrore, disgusto e di pietà li descrive senza patemi. Ma ciò che più merita la nostra attenzione è il dibattito sulla preghiera e la religiosità di alcuni. Nei suoi ultimi anni Marinetti pare incline ad appoggiare il bisogno della preghiera e la sua necessità: «Nel Caucaso sono 226 Ivi, p. 55. 227 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 55. 99 nato e dove ho vissuto molti anni si pensa come te Golikin e si prega volentieri perché siamo tutti poeti […] – Io Golikin dichiaro ad alta voce che la preghiera è un bisogno fisico insopprimibile come il bisogno di respirare»228. Stupefacente e liricamente riuscita, persino struggente, è la conclusione del capitolo, in cui l’esistenza di Dio diviene assiomatica e necessaria come la tautologia che la esprime. Vi compare una interrogazione muta, enfatizzata dalla ripetizione del nome. Il nome dà corpo all’interrogazione e al suo senso di smarrimento e desiderio: - Perché Gesú è Gesú - Se Gesú è Gesú cioè Dio perché non lo vediamo fra noi e dimmi dov’è dov’è dove dove dove dove è Gesú Gesú Gesú Gesú Questa ripetizione del nome in particolare, da un lato, riproduce l’eco di un grido gettato nel vuoto a cui non può esserci risposta, l’ansia di un interrogativo fondamentale; d’altra parte, imita la ripetizione tipica dell’evocazione liturgica, il paradosso di una preghiera atea. Il secondo capitoletto, molto breve, è introdotto da un preludio comico e dopo aver raccontato una storia di guerra in cui un ufficiale italiano evita un agguato notturno, esprime assai bene come per Marinetti, rappresentato nell’atto di declamare ai commilitoni le sue parole in libertà, lo scenario di guerra sia una sorta di habitat ideale e che quella dimensione cameratesca sembri quasi costituire il suo pubblico ideale. Prima che una beffa a riprova ai danni del console Ginnasi concluda scherzosamente il capitolo, 228 Ivi, pp. 35-36. 100 Marinetti, che ha appena declamato il bombardamento di Adrianopoli, conclude: «Siamo in pieno teatro sintetico futurista»229. Quando Roman Jakobson contestò a Marinetti di scrivere come si farebbe in un reportage giornalistico fraintese le intenzioni di Marinetti, il quale ambiva a scrivere esattamente come in un reportage giornalistico di guerra230. D’altra parte, chi mai scriverebbe un resoconto dal fronte dove non si parla mai di guerra o quasi? Perché, a ben guardare, in Originalità russa di guerra si parla ben poco. Marinetti ambisce piuttosto ad una nuova epica del quotidiano in cui la guerra ha un ruolo centrale, basti pensare ai suoi esordi come corrispondente e alla sistematica trasfigurazione lirica o narrativa di ogni conflitto al quale lo scrittore prese parte. È semmai problematica, sul piano stilisticoformale, una distinzione tra prosa e poesia, specialmente nell’ultimo periodo. Alla creazione di questa epica militare contemporanea contribuisce la ripresa dello stilema omerico per eccellenza: quello della formula. L’uso di formule nel sistema dei poemi omerici e dell’epica greca arcaica è, com’è noto, da collegare alla dimensione orale della composizione, fruizione e trasmissione dell’opera d’arte nella società pre-platonica. Marinetti, la cui prassi di scrittura sotto dettatura non va certo sottovalutata, si muove in una dimensione orale, seppur diversa ovviamente da quella della società omerica, per cui sia la composizione che la divulgazione si collocano almeno in parte nella sfera dell’oralità231. Di questo nessuno hai mai dato ragione finora e certo uno studio specifico 229 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 60. 230 Cfr. M. D’AMBROSIO, Roman Jakobson e il Futurismo italiano, Napoli, Liguori, 2009, p. 125. 231 Sulla prassi marinettiana di scrivere sotto dettatura onde revisionare le bozze in un secondo momento, si veda la prima pagina di F.T. MARINETTI, Come si seducono le donne, Vallecchi, cit., p. 21: «Non stringo 101 sarebbe altamente auspicabile. Marinetti tende a dettare piuttosto che a scrivere, tende alla parola detta, al suono, e per questo la ripetizione, l’onomatopea vi giocano un ruolo centrale. Tuttavia come un aedo del proprio stesso poema, come un Omero che si rifletta in Demodoco, Marinetti, non a caso chiamato l’«Omero meccanizzato», si presenta in Originalità russa nell’atto di declamare i suoi componimenti di guerra durante le pause di un conflitto ai suoi stessi commilitoni232. Questo in un certo senso è il suo pubblico ideale, la destinazione etico-retorica congeniale alla sua scrittura. Perché, come giustamente ha fatto notare uno storico, il più celebre storico del fascismo, Renzo De Felice, Marinetti era essenzialmente un retore che quando scrive mira a movere, a persuadere. Non a caso, congedando in una lunga premessa dedicatoria Il poema africano della Divisione «28 Ottobre», nel gennaio del 1937, Marinetti scrive: «Tutti insieme cantatelo [il poema] sotto le tende sulle navi e nelle carlinghe della pace guerrata d’oggi e della pacificante guerra di domani agli ordini del Duce Simultaneo»233. La formularità marinettiana sarà comunque connessa alla memoria se non ad un’intenzionale mnemotecnica per la trasmissione del testo, come nell’epica studiata dal affatto la penna ma incomincio a dettare questo libro al mio caro e grande amico Bruno Corra che, esperto conoscitore, benché giovanissimo, della pericolosa materia, sorride». Il libro uscì con una dedica «Alla granata austriaca» e una didascalia in terza persona: «Questo volume vissuto è stato dettato (Settembre 1916) da Marinetti prima di tornare al fronte come volontario bombardiere e corretto in bozze da Marinetti ferito all’Ospedale Militare di Udine», cfr. Come si seducono le donne, cit., p. 8. Ma una composizione sotto dettatura è documentata anche per L’Alcòva d’acciaio. In pigiama mentre fumava copiosamente, Marinetti dettò parte del “romanzo vissuto” a “Righetto” Santamaria, che fu impaginatore di «Roma Futurista». Ne dà resoconto G. AGNESE nella sua Prefazione: Della guerra e dell’amore, in F.T. Marinetti, L’Alcòva d’acciaio, cit., p. 5-11. 232 Era questa una prassi consolidata per l’autore. Si pensi alla sua breve partecipazione all’impresa fiumana, durante la quale Marinetti ugualmente declamò la sua poesia di guerra ai soldi riuniti a banchetto, cfr. l’Appendice. 233 F. T. MARINETTI, Il poema africano della divisione «28 Ottobre», Mondadori, Milano, 1937, p. 17. 102 Parry. L’uso dell’epiteto è ovviamente centrale. Così in Originalità russa, Marinetti introduce un personaggio, un personaggio storico della sua narrazione, un «generale simpatico scimmione a calvo cranio di uccello rapace e vincitore di battaglie»234. Quando all’inizio del capitolo terzo, lo stesso personaggio, di cui non è detto il nome, viene reintrodotto si ricorre alla stessa formula, che aiuta l’identificazione, ma arricchita da una variatio: «generale scimmione a calvo levigatissimo cranio d’uccello rapace e mandibole agitate dai denti di tutte le guerre sigarette e stuzzicadenti in travaglio scava trincee»235. Tuttavia in Originalità russa di guerra si parla poco e indirettamente. In questa opera c’è un tono confessionale, intimo, che prevale, e che appartiene all’ultimo Marinetti. «Così in settembre ottobre o novembre fuori tempo spazio mediante sintesi teatrali a sorpresa si svolge l’azione erotica guerriera». «Così» come? Gli ufficiali sembrano più intenti a procurarsi delle prede femminili che a dirigere urgenti operazioni militari. Le pretese del generale «scimmione» suscitano addirittura le proteste di un sottoposto che così si lamenta direttamente con lo scrittore: – Caro Marinetti non ne posso piú capisce non ne posso piú e sono ammalato non dormo e ho la febbre capisci non ne posso piú ti prego di dire al generale che mi faccia rimpatriare che mi faccia rimpatriare Sono venuto in Russia per battermi e non per procurare delle morose al mio generale capisci la mia situazione tragica perché gli voglio bene al generale e lui ne approfitta ma non deve impormi certe cose236 [65] 234 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 59. 235 Ivi, p. 64. 236 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 65. 103 Tutta la descrizione degli scontri a fuoco, che nella narrazione non hanno un’incidenza maggiore di altri aspetti della vita di campo, ivi inclusi quelli più triviali, avviene tramite l’uso massiccio di personificazioni. La famigerata “estetizzazione della politica”, ergo della guerra, perpetuata dal Marinetti fascista cantore delle armi si riassume nella definizione degli scontri come “teatro sintetico”: «Da poeta futurista maniaco di distinguermi anche sotto il fuoco delle prime rappresentazioni teatrali gradisco un polletto arrosto cetrioli all’olio di girasoli e tavolette di cioccolata Tobla che mi regala un motociclista passando di furia […]»237. Il processo di umanizzazione della macchina di guerra funziona in termini di una de-familiarizzazione della violenza che non è necessariamente un fine propagandisticopolitico quanto una necessaria predisposizione psicologica. Ecco allora che il carroassalto russo è accolto quasi in festa dalle armi italiane: «Lo [=il carrroassalto] saluta una italianissima platea di mortai fucili mitragliatori»238. La resa con cui si conclude l’attacco nemico ha un sapore quasi comico, e la personificazione ha gli effetti di un cartone animato in cui proprio l’attribuzione di fattezze umane sembra paradossalmente far dimenticare le perdite da ambo le parti spostando l’attenzione dagli uomini sulle cose umanizzate: Cannoni anticarro e vocianti ordini contro ordini di zazzeruti fez neri con fiocco al vento scosse sussulti e sganascianti ovazioni di pallottole feriti in barella andarsene con gli illustri due divi carroassalti barcollano comicamente vincitori già vinti 237 Ivi, p. 72. 238 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 70. 104 Certo incespicarono uno dopo l’altro ed una mina ruppe loro il calzare di un cingolo da tragedia239 Quest’ultimo passo è altamente rivelatorio. La menzione dei feriti in barella, infatti, viene minimizzata, incastona com’è tra la personificazione delle «pallottole», le cui «ovazioni» si sganasciano come un corpo rumoroso ma ridente, e i «carroassalti», che, secondo uno stilema messo in luce da De Maria, fungono da complemento di una frase e da soggetto della successiva; «barcollano» come un corpo colpito può barcollare, ma «comicamente». La metafora è continuata da quell’«incespicarono» che si completa nell’immagine del «cingolo» che diviene «calzare da tragedia», ulteriore processo di personificazione, “estetizzante”, in cui il tono che si impiega, e si impone, è tutt’altro che tragico. Alla fine del terzo capitoletto, Marinetti indirizza un’apostrofe al proprio «Passato» rievocando il viaggio in Russia del 1914. La spedizione al fronte diviene un viaggio nella propria memoria, una memoria eminentemente erotico-letteraria. È una sorta di autobiografismo di secondo grado. Si ricordano le serate a Pietroburgo e a Mosca del 1914, una vittoriosa gara di bevute, in cui lo scrittore si distinse bevendo undici bicchieri di «sciampagna»240, e una «sensualissima danzatrice dell’Opera», le cui curve sono paragonate a quelle del fiume. L’apostrofe continua sviluppandosi in una personificazione vera e propria mediante l’attribuzione di un’esplicita corporeità al 239 240 Ivi, pp. 70-71. Dell’episodio diedero notizia anche Bruno Corra e Emilio Settimelli nella Prefazione “Marinetti intimo” al volume F.T. MARINETTI, Come si seducono le donne, cit., p. 10: «In Russia un principe, che ha fama di possedere uno degli organismi più allenati all’alcool di tutto l’impero, lo sfida a chi beva più champagne; Marinetti è quasi astemio, ma vuole dimostrare che un italiano è superiore agli altri anche in questo: e accetta. La sfida finisce con la sconfitta decisiva del principe che cade a terra fulminato, mentre Marinetti se ne va magnificamente equilibrato sulle proprie gambe». 105 passato dello scrittore: «Mi occorre data la furia azzannatrice della mia immaginazione che atterra la mia memoria per costringerla a diventare creatrice di se stessa occorre occorre tu viva riviva e presto ti carichi di sangue nei polmoni bronchi labbra voce o tu mio passato di gloria letteraria artistica nella Russia dominata dai poeti e pittori Marinetti Boccioni Larionof Maiakowski Exter Culbin Goncarova»241. Marinetti si dimostra un autobiografo particolarmente consapevole di sé e dei procedimenti della propria scrittura. L’invocata resurrezione del proprio passato servirebbe, infatti, ad arginare un’immaginazione che si oppone troppo creativamente alla propria memoria facendosi “creatrice di se stessa”. Divenire creatori di se stessi, non è questa una perfetta definizione dell’autobiografia, come modus se non come genre? Il passo appena citato celebra l’ideale politico dello scrittore, quello di una repubblica rivoluzionaria delle lettere, attraverso il ricorso all’elenco, un altro stilema marinettiano, piuttosto frequente e poco, se non per nulla, studiato. È ben vero, come scrive Colucci, che la «grafia di Marinetti dei nomi russi è, comprensibilmente, puramente fonetica e spesso incoerente»242, ma in questo caso una normalizzazione da parte della curatrice sarebbe stata opportuna per l’identificazione di personaggi storici non tutti celeberrimi come Majakovskij. Ma procediamo con ordine per verificare se questa enumerazione marinettiana sia poi caotica come potrebbe sembrare243. 241 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 73. 242 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., n. 1, p. 23. 243 Il mio implicito riferimento è ovviamente al noto studio di L. SPITZER, La enumeración caótica en la poesía moderna, Buenos Aires, Coni, 1945. 106 Lo scrittore sta rievocando l’epoca dell’avanguardie russe in cui il paese era “dominato” dagli artisti: «poeti e pittori». È l’utopia marinettiana di Al di là del Comunismo244 che d’Annunzio stesso aveva accarezzato durante la Reggenza del Carnaro, a Fiume, tra il 1919 e il 1920. I primi due nomi della lista, a sancire un dominio e un influsso italiano sulle avanguardie russe, sono quelli di Marinetti stesso e di Umberto Boccioni, due futuristi italiani, un poeta e un pittore. L’elenco rispecchia dunque un ordine gerarchico: prima gli italiani poi i russi, a ribadire la priorità anche cronologica del futurismo nostrano; prima l’ego dell’autobiografo, poi Boccioni. Tuttavia, i russi sono cinque, di cui due donne: quattro pittori e un solo poeta, il rivale Maiakovskij. I pittori sono Mikhail Fyodorovich Larionov e la moglie Natalya Goncharova, fondatori del raggismo (rayonism), Nikolai Kul'bin, medico e pittore, e Aleksandra Ekster, cubo-futurista, frequentatrice di Picasso, Braque e Gertrude Stein. Certamente Maiakovskij è il più celebre tra gli artisti russi elencati, e Marinetti, che lo incontrò a Parigi nel 1925245, fornisce subito dopo, per la seconda volta, una sua spiegazione sulle motivazioni della morte violenta del futurista russo: «È indiscutibile che Maiakowski ingegno di poeta a passi cauti ansiosi d’audacia sognò di spiritualizzare il bolscevismo e si suicidò nel vedere questo sprofondarsi in una ossessionante economia sociale e materialista»246. 244 Non va, infatti, dimenticato che questo libro politico marinettiano fu significativamente pubblicato su la «Testa di Ferro», organo di informazione dei legionari di Fiume. 245 Nel loro incontro, avvenuto a Parigi nel 1925, mentre il poeta russo viaggiava alla volta dell’America, Marinetti voleva dimostrare al collega che il fascismo equivaleva per l’Italia a quello che era per la Russia il comunismo. Con conseguente amarezza di Majakovskij, cfr. C. G. D E MICHELIS, Il futurismo italiano in Russia 1909-1944, Bari, De Donato, 1973, p. 70. 246 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 73. 107 Già sul finire del primo capitolo, infatti, Marinetti aveva perentoriamente affermato, per bocca del personaggio Berzjinik, quanto segue: «Dopo aver molto pensato ti rispondo che questi [Majakovskij] sbagliò nel pretendere di trasformare il collettivismo operaio in una repubblica di poeti e pittori e non essendo riuscito sbagliò nell’uccidersi»247. Una lista più intima e, per lo scrittore, ben più familiare è quella che compare subito dopo, quando Marinetti, al fondo di un lungo elenco di cose contenute nella cassetta militare ritrova la foto della famiglia lontana: «Distanze». L’enumerazione in questo caso è davvero caotica, fino al punto che inesistente è la distinzione tra cose e persone. Dalla cassetta, minacciata da topi troppi aggressivi, «topi colonizzatori» – dice Marinetti – «sbucano fuori personaggi che amano nascondersi per una loro apparizione drammatica»248. Nella delirante scrittura marinettiana anche un’operazione così semplice, aprire una cassetta e descriverne il contenuto, subisce un procedimento di trasfigurazione qui di grande lirismo letterario. Innanzitutto, c’è l’opposizione ossessiva dei topi che minacciano gli oggetti racchiusi nella cassetta. Tali oggetti, al solito personificati, vengono descritti come «personaggi» alla ricerca di un effetto drammatico: non è più l’estetizzazione della politica, ma il lirismo del quotidiano, la poesia di ogni gesto. In questa scena, in effetti, Marinetti anticipa il sentimentalismo e le premesse narrative del celebre libro di guerra americano The Things They Carried, scritto da Tim O’Brien e 247 Ivi, p. 56. 248 F.T., MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 74. 108 pubblicato nel 1990249. Nel primo dei racconti collegati che formano il libro di O’Brien, la storia con il titolo eponimo, la narrazione procede descrivendo un plotone di soldati durante la Guerra del Vietnam partendo dal contenuto del loro zaino: le cose che si portano dietro, incluse ovviamente le foto dei propri cari, definiscono la personalità dei soldati e le loro vite al fronte. Lo stesso avviene in questa pagina del libro marinettiano. Dalla cassetta militare minacciata dai topi e «aperta al lume di una candela», sbucano fuori nell’ordine: […] il secondo termos il terzo paio di scarpe i gambali (da sospendere al soffitto) tre tavolette di cioccolato biscotti uniforme invernale (da sospendere al soffitto) un giardinetto di medaglie di guerra la boraccia il tascapane contenente medagliette della Madonna due piccole bombe a mano una fotografia grande di Benedetta Vittoria Ala Luce insieme ma Distanze e tempo liquida tutto palpitano colle fiamme della candela nella stanzetta della hata dove vivo 250 In questa enumerazione per asindeto ci sono tanti oggetti disparati, ma, futuristicamente, non delle virgole a separare i termini dell’elenco. Proprio per questo l’enumerazione è ancora apparentemente più caotica giacché viene meno la separazione spaziale-tipografica dei vari membri garantita normalmente dalla punteggiatura. Quando poi l’elenco finisce, il periodo continua e dunque il “caos sintattico”, l’alterazione intenzionale della sintassi tradizionale, si accresce volutamente. Alla lista che termina con l’avverbio «insieme», si attacca per antitesi, come corrispettivo sulla pagina della reazione emotiva, una frase che inizia con la congiunzione «ma» che separa l’avverbio dal successivo sostantivo («Distanze»), il cui senso è sottolineato dalla mancanza di un articolo. Si forma dunque un tricolon ossimorico che definisce, senza abbandoni anzi 249 Cfr. T. O’BRIEN, The Things They Carried, Broadway Books, New York, 1990. Ma la situazione descritta ricorda anche l’enumerazione delle cose che si trovano nel cassetto della cucina di Leopold Bloom, nel penultimo capitolo dell’Ulisse di Joyce. 250 F.T. MARINETTI, Originalità russa, cit., p. 74. La curatrice in nota dà conto di un’incertezza nel testo per la trascrizione fonetica della parola “chata” (=“casetta, rifugio, capanna”). 109 brutalmente, la nostalgia del poeta: «insieme ma Distanze». Il periodo quindi si conclude con l’altro soggetto grammaticale, il «tempo», definito da un epiteto («liquida tutto»), onde poi chiudersi nel verbo alla prima persona («vivo»). A ben guardare, tuttavia, non si tratta di una lista del tipo “eccetera”, piuttosto una di quelle del tipo “è tutto qui”, come teorizzato da Umberto Eco in Vertigine della lista251. Eco risale, infatti, fino ad Omero per individuare gli archetipi di due diverse poetiche in materia di elenchi: quella riconducibile all’ekphrasis dello scudo di Achille, nel diciottesimo dell’Iliade, vale a dire, un tipo di descrizione ordinata e ispirata «a criteri di chiusura armonica e compiuta»252: il “tutto è qui”; e poi, sul modello dell’elenco par excellence, il catalogo delle navi nel secondo libro dell’Iliade, un altro prototipo di rappresentazione, tipico del mondo medievale, del barocco e del postmoderno, proprio di chi non conosce e non dice i confini di ciò che rappresenta: la poetica dell’“eccetera”. Eco, in realtà, distingue oltre tra il concetto di “forma”, la circolarità perfetta e conchiusa dello scudo, e l’elenco vero e proprio, più legato al topos dell’indicibilità253. Di fatto, già Spitzer, commentando Paul Claudel, aveva parlato di un tipo di enumerazione riassumibile con la parola “tout”, «un todo conjuntivo […] o sintético, integrativo», come lo chiama adoperando una designazione di Deltev W. Schumann, dai cui studi prende 251 Cfr. U. ECO, Vertigine della lista, Bompiani, Milano, 2009, p. 7; pp. 9-13; pp. 15-18. 252 Ivi, p. 7. 253 U. ECO, Vertigine della lista, cit., pp. 49-51. 110 appunto le mosse il noto saggio di Spitzer254. Una numerazione caotica viene dunque chiamata congiuntiva quando gli elementi eterogenei che le danno corpo sono ricongiunti da un ordine finale, in un tutto omogeneo, che gli deriva dall’essere presi in esame dal medesimo soggetto o in un medesimo contesto; al contrario, scrive opportunamente Eco, l’enumerazione disgiuntiva esprime «una sorta di schizofrenia del soggetto che avverte una sequenza di impressioni disparate senza riuscire a conferire loro alcuna unità»255. Nel passo preso in esame, il caos della narrazione è ricondotto all’ordine del soggetto: l’io, implicito, del verbo finale. Si definisce quindi una specie di struttura circolare, che è tutto il contrario del caos. L’enumerazione era, infatti, iniziata quasi acefala per via dell’allusione ellittica a ciò che non vi compare: il primo termos e le altre due paia di scarpe; che evidentemente non sono nella cassetta perché utilizzati da Marinetti. Attraverso il passaggio emotivo derivato dalla visione della foto dei propri cari, le proprie care (Benedetta, la moglie, e le tre figlie), la lista delle cose nella cassetta si estende a colui che vive nella casa, al contempo è sua emanazione, e tutto quel mondo concluso di oggetti eterogenei si ricompone, infine, nell’io a cui appartengono. In questa enumerazione caotica ma congiuntiva, gli oggetti disparati contenuti nella cassetta militare di Marinetti definiscono le coordinate per una mappa del mondo dell’autore. Per questo sono una forma conchiusa, un tutto fatto di elementi dissimili, perché, anche riconoscendo il realismo della scena e l’accuratezza della descrizione, il valore simbolico di certi abbinamenti non può essere certo casuale. Se ce ne fosse il 254 L. SPITZER, La enumeración caótica, cit., p. 58-60. Cfr. D. W. SCHUMANN, Enumerative style and its signifiance in Whitman, Rilke, Werfel, in “Modern Language Quarterly, giugno 1942, pp. 171-204. È, quest’ultimo, un saggio a cui Eco si richiama senza esplicitare la mediazione di Spitzer, cfr. U. ECO, Vertigine della lista, cit., pp. 321-327. 255 U. ECO, Vertigine della lista, cit., pp. 323. 111 bisogno, dei facili riscontri testuali ne danno una chiara conferma. Il caos che risulta apparentemente da un elenco di elementi così eterogenei, a ben guardare, è in realtà assemblato con una sapiente arte combinatoria e con numerosi artifici retorici. In questa apparente accumulazione per asindeto, oltre alla ripetizione dell’inciso tra parentesi («da sospendere al soffitto»), che funge da variatio, troviamo un parallelismo linguistico tra «un giardinetto di medaglie di guerra» e le «medagliette della Madonna», per giunta rafforzato dalla quasi rima del suffissi (giardinetto: medagliette). L’eroismo militare, fulcro del credo futurista, tra l’altro enfatizzato dalla metafora coloristica del «giardinetto», è associato ad una forma quasi superstiziosa di tarda religiosità, in cui si anticipa il “misticismo di guerra” dell’ultimo componimento del poeta: Quanto d’ora di poesia della X Mas. In modo non dissimile, un chiasmo lega la dimensione eroicomilitare e quella privata-affettiva del soldato Marinetti («due piccole bombe a mano : una fotografia grande di Benedetta Vittoria Ala Luce») non in contraddizione ma a conferma del legame cruciale tra le due sfere e del susseguente, famigerato, disprezzo per la donna che era stato proclamato nel manifesto di fondazione256. Una simile immagine di guerra era già stata impiegata, con ben altro tono, nel Collaudo dell’aeropoema che introduce le nove «simultaneità» commemorative, nove epitaffi per alcuni caduti di guerra, in cui è suddiviso il libro Canto eroi e macchine della guerra mussoliniana. Edita nel 1942, per Mondadori, a cui Marinetti approda dopo la nomina ad accademico di Italia, l’opera si presenta sin dal titolo, eloquente, come un tentativo di epica di epoca fascista. Marinetti è l’autore dietro al verbo epico per 256 F.T., MARINETTI, Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 11. 112 eccellenza “cantare” e si propone come bardo del regime ricordandone alcuni eroi di guerra: «Volete un’altra immagine simultanea delle parole “Adorare l’Italia” pensate alla danzante convivenza in tascapane di bombe a mano + fotografie della consorte Benedetta pupe Vittoria Ala Luce + fierezza italiana intelligentissima di 3000 camicie nere […]»257. Da una parte il «controllo della coscienza», la ragione, potremmo dire, dall’altra, «l’impulso dei sentimenti» e «le forme evasive dei pensieri», sono questi i due poli sbilanciati delle dinamiche marinettiane; sbilanciati perché è evidente la simmetria a favore di una dimensione “evasiva” che si sottrae al principio di realtà e al controllo della ragione. Straordinariamente lucida è però la mente che registra fedelmente i suoi meandri più tortuosi. Capitolo III Feticismo e avanguardia 3.1 Il feticcio di Venezia nell’opera marinettiana Le poète a le fétichisme des mots et des sons Anatole France, Le jardin d’Epicure In un intervento per il convegno del centenario futurista Macchina di Visione. Futuristi in Biennale258, tenutosi a Venezia il 3 luglio 2009, Luigi Ballerini chiama “testi 257 F. T. MARINETTI, Canto eroi e machine della guerra mussoliniana, Mondadori, Milano, 1942, pp. 24- 25. 258 Cfr. Lo “studio-catalogo” di una mostra omonima tenutasi in occasione della 53a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Macchina di visione. Futuristi in Biennale. Scegli una stella, chiamala Futurismo, viaggerà, a cura di T. MIGLIORE e B. BUSCAROLI, Marsilio, Venezia, 2009. 113 veneziani” tutta una serie eteroclita di opere dell’ultimo periodo marinettiano scritte presumibilmente mentre lo scrittore si era rifugiato con la famiglia nella exSerenissima259. Ballerini invita a considerare in forma ipotetica come «il linguaggio delle scritture veneziane di Marinetti consenta di navigare, con brutalità necessaria, nella perdita del senso delle cose», tale perdita essendo, a suo avviso, «condizione necessaria del conoscere»260. Ebbene, non solo i testi veneziani, vale a dire le opere dell’ultimissimo Marinetti, ma tutta la produzione dello scrittore italo-francese, va riletta almeno dal punto di vista stilistico, se non anche gnoseologico, come un senso delle perdita nelle cose. Con questo ribaltamento di prospettive mi riferisco all’uso della personificazione come master trope della scrittura marinettiana, qualunque scrittura, non solo “veneziana”, non solo dell’ultimo Marinetti: il perdersi dell’Io, abolito, nelle cose, il confondersi dell’umano e del non umano, dell’uomo e della macchina, del soggetto e dell’oggetto. C’è un che di contraddittorio, come abbiamo già detto, in questa propensione marinettiana alla personificazione. Ma è una contraddizione paradossale, di tipo particolare, quella che sottende all’attribuzione di fattezze umane, questa estensione dell’antropomorfismo che passa dal soggetto alle cose, dall’organico all’inorganico. Da un lato, infatti, a partire dal Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912, attraverso l’immaginazione senza fili e le parole in libertà, Marinetti propone la «morte Ballerini ricorda La Grande Milano tradizionale futurista, Firenze biondazzurra, L’Aeropoema di Gesù, tutti usciti postumi, ma anche Venezianella, che rimane sostanzialmente inedito. 259 L. BALLERINI, «Isole in collaborazione col caso»: appunti per una lettura delle scritture “minori e maggiori” di Filippo Tommaso Marinetti, in «il verri», n. 42, febbraio 2010, pp. 35-49. 260 Ivi, p. 48. 114 dell’io letterario»261 per «abbracciare la vita della materia»262. Allo stesso tempo, nonostante dichiarazioni contrarie ai «drammi della materia umanizzata», lo scrittore ugualmente finisce per attribuire alla materia sentimenti e caratteristiche umane attraverso un ossessivo ricorso alla personificazione, alla prosopopea e all’antropomorfismo. Nel passaggio dalla teoria alla prassi Marinetti si contraddice, e questa non sarebbe né una novità né cosa di per sé biasimevole. Nel Discorso futurista agli inglesi del 1910, dopo aver definito i destinatari delle sue esternazioni polemiche «il popolo più contraddittorio della terra», Marinetti stesso, infatti, li blandisce dicendo: «Contraddirsi è vivere e voi sapete contraddirvi coraggiosamente»263. Tuttavia attribuendo, di fatto, una psicologia umana alla materia Marinetti non fa che conferire al sostituto (la «vita della materia», il non umano) alcune caratteristiche del sostituito (l’«io letterario», l’umano). È un atteggiamento fondamentalmente e profondamente ambiguo che ricorda il processo di Verleugnung (‘rinnegamento, 261 Cfr. F. T. MARINETTI, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fili – Parole in libertà (11 maggio 1913), in TIF, p. 73. 262 263 F. T. MARINETTI, Manifesto della letteratura futurista (11 maggio 1912), in TIF, p. 48. F. T. MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 281. Sulla contraddizione in Marinetti, si rimanda ad A. LERRO, Tecnologia negativa: Marinetti e la rappresentazione del sublime moderno, in «Annali d’Italianistica», vol. 27, 2009, p. 279, dove il celeberrimo incidente automobilistico descritto nel Manifesto del Futurismo è letto come «il taglio mortale con la dialettica della persuasione e del principio di non contraddizione». Cfr. P.P. PASOLINI, [Alcuni poeti], (7 ottobre 1973), in ID., Descrizioni di descrizioni, a cura di G. Chiarcossi. Prefazione di G. Dossena, Milano, Garzanti, 1996, p. 252: «Adulando tutti secondo il caso (cioè a seconda dei riferimenti alle casuali fonti culturali ecletticamente ammassate) Marinetti non accontentava nessuno: e faceva di sé un enigma attraverso l’addizione mera e meccanica delle contraddizioni». Ma si ricordi quanto scrisse già nel 1921 E. SETTIMELLI, in Marinetti. L’uomo e l’artista, Milano Edizioni Futuriste di «Poesia», 1921, p. 7: «Gli spulciatori che lo colgono in contraddizione, e se ne gloriano, sono dei tardivi, delle talpe cieche chiuse nei loro corridoi di fango indurito»; e ancora a p. 9: «Marinetti ha dato, oltre ai libri, gesti e viaggi di propaganda e ha raccolto in un fascio un insieme d’idee anche contradittorie [sic]». 115 disconoscimento’)264 alla base della teoria freudiana del feticismo, e su questo ritorneremo. Senza addentrarci nella sterminata letteratura intorno al rapporto tra alienazione e feticismo in Marx265, tenendo in mente le conclusioni del primo capitolo di questo lavoro, si ricordi soltanto che anche nel capitolo I del Capitale, la «religione del capitalismo» e la nozione di merce-feticcio sono svelate mediante la personificazione di un tavolo di legno: «A prima vista, una merce sembra una cosa triviale, ovvia. […] Ma appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile […]. Non solo sta coi piedi per terra ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare»266. Concetto aperto e non univoco, quello del feticcio o dell’oggetto sostituto, sia che lo si consideri in ambito antropologico, sessuale o economico, esso, come la poetica marinettiana dell’oggetto, poetica chiastica della personificazione, «può essere visto in generale come un fattore di violazione del confine 264 Cfr. S. FREUD, Feticismo (1927), in Opere di Sigmund Freud, 11 voll., Torino, Boringhieri, 1978 (19661), pp. 491-497. Il testo freudiano che rappresenta una seconda fase della teoria feticistica rispetto agli studi del 1905, Tre saggi sulla teoria sessuale, in Opere di Sigmund Freud, vol. IV (1970), p. 467, è riprodotto anche nel volume Figure del feticismo, a cura di S. MISTURA, con due testi inediti di Sigmund Freud, Torino, Einaudi, 2001, pp. 23-29. 265 Tra le riletture più popolari quella di S. ŽIŽEK, The Sublime Object of Ideology, London-New York, Verso, 1989, in particolare il primo capitolo How did Marx Invent the Symptom?, pp. 11-53. Ma si veda anche W. PIETZ, Fetishism and Materialism: The Limits of Theory in Marx, in Fetishism as Cultural Discourse, a cura di E. A PTER e W. PIETZ, Ithaca, Cornell University Press, 1993, pp. 119-151, e M. TRONTI, I «grilli» della merce, in Figure del feticismo, a c. di S. MISTURA, cit., pp. 103-122. Cfr. P.-L. ASSOUN, Le fétichisme, Paris, Presses Universitaires de France, 1994, pp. 37-42. 266 K. MARX, e F. ENGELS, Il Capitale, traduzione di D. Cantimori, Roma, Edizioni Rinascita, 1954, I, I. pp. 84-97 [ed. or. Das Kapital, Mosca, Marx-Engels-Institut, 1932], citato in M. TRONTI, I «grilli» della merce, cit., pp. 106-107. 116 tra persone e cose»267. In quest’ultimo capitolo, sempre partendo da precisi riscontri testuali, tenteremo di definire il nodo focale del rapporto che l’avanguardia futurista stabilisce con la tradizione utilizzando in chiave ermeneutica il concetto di feticcio, onde approdare ad una grande immagine feticistica che è centrale nella trama dell’inedito marinettiano Venezianella e Studentaccio. Marinetti passò l’ultimo inverno della sua vita a Venezia dove con la famiglia si era trasferito nell’ottobre del 1943 e dove rimase fino all’estate del 1944 per trasferirsi ancora in luglio268. «A Venezia era arrivato con il cuore distrutto e moriva un poco ogni giorno»269. Secondo la figlia ultimogenita dello scrittore, Luce Marinetti Barbi (19322009), responsabile dell’ordinamento delle carte paterne presso la Beinecke Library, fu allora che Marinetti scrisse un anomalo testo breve di ambientazione veneziana che qui trascrivo di seguito diffondendolo per la prima volta270: Volto volto volto Nessuno s’arresta ma li riconosco 267 S. MISTURA, Introduzione, in Figure del feticismo, a c. di S. MISTURA, cit., p. xxiii. 268 Per una ricostruzione storica sull’ultima fase del Futurismo, si veda il capitolo 7 di E. VIOLA, L’utopia futurista. Contributo alla storia delle avanguardie, Ravenna, Longo Editore, 1994, pp. 129-150. Per il soggiorno veneziano, in particolare, pp. 145-148. Sul soggiorno veneziano, cfr. G. AGNESE, Marinetti: una vita esplosiva, Milano, Camunia, 1990, pp. 301-312, e G.B. GUERRI, Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario, Milano, Mondadori, 2009, pp. 271-275. 269 M. DAMERINI, Gli ultimi anni del Leone. Venezia 1929-1940, presentazione di M. Isnenghi, Padova, il poligrafo, 1988, p. 240. 270 Questo breve testo, anepigrafo e senza l’indicazione dell’autore, è preservato nella scatola 31 della Beinecke Rare Book and Manuscript Library di New Haven, Connecticut, fondo Filippo Tommaso Marinetti Papers. Si tratta di un autografo manoscritto, a grandi caratteri, su un unico foglio scritto soltanto sul recto, sicuramente da Marinetti. Tre lineette, qui riprodotte, segnano una separazione che potrebbe anche far pensare che in realtà si tratti di due frammenti lirici autonomi. 117 --Si va Il bacino di San Marco azzurro Il cielo da per tutto Stupore disperazione Il velo immobile delle lacrime Silenzio La poesia dalla metrica inusuale, e che esula dalla pratica del paroliberismo futurista per ritornare a dei versi tradizionali, dall’ottonario al quinario fino a misure ancor più brevi, si presenta senza alcun sistema di rime, senza punteggiatura e divisa in due parti. La prima sezione di tre versi è omogeneamente fatta di tre senari. La seconda consta di otto versi, dai due monosillabi iniziali («Si va») al verso-parola conclusivo («Silenzio»). La stringatezza del testo, che pure parrebbe abbracciare la poetica di velocità e sintesi futuriste, rappresenta una rarità nella produzione marinettiana, più incline dapprima al verso lungo ottocentesco d’ispirazione simbolista e poi alla prosa lirica degli aeropoemi. I verbi sono tre di cui due nella prima parte. Uno di questi è in prima persona («riconosco») e ciò forse non esclude una lettura in senso autobiografico che giustifica l’attribuzione del testo al periodo dell’ultimo soggiorno veneziano, ipotesi che andrebbe comunque corroborata da altri dati esterni. Ciò che potrebbe far propendere per un’attribuzione tarda è il tono insolitamente sofferente della poesia, e si pensi allora a parole chiave come «disperazione», «lacrime» e «Silenzio», per di più enfatizzate dalla prevalenza nel testo delle forme nominali. L’ottimismo artificiale marinettiano ha sempre 118 rifuggito da certi abbandoni malinconici, almeno nella fase futurista della prolifica carriera dell’autore, ma le contingenze storiche e private che contrassegnano il soggiorno veneziano del Marinetti malato dopo l’esperienza di guerra in Russia, mentre le sorti stesse del conflitto mondiale sembravano sempre più segnate, potrebbero spiegare lo stato d’animo del poeta stranamente negativo. La concisione formale lontana dalla consueta esuberanza verbale dello scrittore ricorda certi componimenti soprattutto del primo Ungaretti. In partenza per il Nord, la casa romana di Piazza Adriana era stata lasciata ai Grassi, degli israeliti, amici di famiglia, che come i Marinetti avevano vissuto in Egitto271. Arrivati a Venezia, quasi per caso, a causa di un’interruzione della linea ferroviaria a seguito di un bombardamento272, Marinetti e le sue quattro donne (la moglie e le tre figlie) si trasferiscono, dopo aver alloggiato in alcune sistemazioni provvisorie, a Casa Ravà sul Canal Grande, vicino a Rialto, in una zona in cui si diceva avesse dimorato anche l’Aretino; era un antico palazzo espropriato ai legittimi proprietari ebrei. Le condizioni di salute del poeta non sono buone, ma Marinetti continua a scrivere e a ricevere visite. «Sempre pretendendo di dettare l’incipit a Benedetta, egli si avvale della scrittura di Vittoria e Ala [le altre due figlie], di una signora veneziana che gli fa da infermiera, di Acquaviva e anche di qualche altra persona, conoscente o amica»273. 271 Cfr. G. AGNESE, Marinetti: una vita esplosiva, cit., n. 111, p. 341. 272 Cfr. W. VACCARI, Vita e tumulti di F. T. Marinetti, Milano, Omnia, 1959, p. 376. 273 G. AGNESE, Marinetti: una vita esplosiva, cit., p. 310. Giovanni Acquaviva, nato a Livorno nel 1900 e morto a Milano nel 1971, laureatosi in giurisprudenza a Pisa nel 1925, fu pittore e scrittore futurista, tra l’altro, promotore insieme a Farfa dei “Quarti d’ora di poesia” che segnano la fine della carriera di Marinetti, il quale, quasi in punto di morte, completò il suo ultimo componimento Quarto d’ora di poesia 119 Trasferitosi a Casa Ravà, Marinetti stringe amicizia con l’ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka, ammiratore dell’artista nipponico Tai Kambara, vicino ai futuristi italiani sin dalla seconda metà degli anni Dieci. È grazie ad Hidaka che i manoscritti contenenti documenti, lettere e gli inediti marinettiani si sono salvati, dopo che gli furono affidati nel settembre del 1944 da Benedetta in partenza da Salò, dove la famiglia si era trasferita dopo aver lasciato Venezia274. Del periodo veneziano parla con accorata voce di figlia dell’arte, anche Luce Marinetti: Andammo ad abitare in un antico Palazzo sul Canal Grande, a sinistra si vedeva il Ponte di Rialto, di fronte, dalla parte opposta del Canale, il mercato e la pescheria. In quella stessa casa aveva abitato quattro secoli prima l’Aretino, e la coincidenza divertì molto Papà. Il suo studio, sul Canal Grande, aveva un terrazzino; senza sosta scriveva e dettava, notte e giorno. Il Canal Grande si trasformava nella sua immaginazione di Poeta. Venezia cambiava dimensione. Scrisse l’ultimo suo poema parolibero Convegno sul Canal Grande: il «Lussurioso lento vaporetto» diventò un rapido treno; il Ponte di Rialto: una nordica stazione ferroviaria; raccolse i sorrisi languidi delle Veneziane…sollecitò Venezia a finire di lamentarsi tra i ricordi ed iniziare a sperare come futuristi. Passava lunghe ore sul balconcino, intento ad osservare il traffico degli zatteroni che lentamente scivolavano sul Canale, diretti al mercato per scaricarvi verdura, frutta. L’inverno era triste, umido, nemico. Pochissimi gli amici che lo venivano a trovare275. Una rilettura della produzione letteraria del fondatore del Futurismo, di cui si è recentemente, e feticisticamente, celebrato il centenario (1909-2009), conduce all’individuazione di un’ossessione feticistica per Venezia il cui studio può fornire una chiave interpretativa per tutte le relazioni che Marinetti instaura con l’“altro” in tutte quelle opposizioni binarie e antitetiche che sono alla base della dialettica e del discourse, della X Mas nel dicembre del 1944. Cfr. Il Dizionario del Futurismo, a cura di E. GODOLI, Firenze, Vallecchi, 2001, vol. A–J, pp. 1-2 (S. Bottaro). 274 275 G.B. GUERRI, Filippo Tommaso Marinetti, cit., p. 281. L. MARINETTI, Ricordo di Marinetti mio padre, in C. SALARIS, Filippo Tommaso Marinetti, con interventi di M. Calvesi e L. Marinetti, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1988, p. 36. 120 della retorica futurista: passatismo vs. futurismo, tradizione vs. avanguardia, vecchio vs. nuovo, vecchi vs. giovani, e così via. In questa ultima parte del mio lavoro, mi occupo di feticismo, di Venezia e di Futurismo. Più in dettaglio, mi concentrerò sull’analisi di alcune opere di Filippo Tommaso Marinetti incentrate su un tema o un’ambientazione veneziana utilizzando, come ho già accennato, il concetto di feticcio in funzione esegetica. Venezia rappresenta feticisticamente uno dei bersagli polemici prediletti da Marinetti in una prospettiva antitetica, ma in realtà ossimorica, che attraversa la sua intera, prolifica carriera artistica. Possiamo altrimenti dire che Venezia è un ritorno del non rimosso nella scrittura marinettiana. Va da sé che lo studio del bersaglio polemico, dell’altro da sé che si combatte, servirà ad una definizione e contrario dell’identità marinettiana e del suo modus operandi o meglio del suo modus cogitandi. Quando parlo di una celebrazione e quindi di una ricezione “feticistica” del Futurismo, un vero caso di reception deception, da un lato mi riferisco alla parzialità, all’ossessiva attenzione alla parte invece che al tutto, alla sostituzione di un oggetto di studio con un suo feticcio. E penso quindi a certi inevitabili luoghi comuni, oggi più che mai inveterati e insistiti, che finiscono per imporsi a discapito della frequentazione dei testi letterari che li dovrebbero alimentare: l’esaltazione marinettiana della macchina, la glorificazione della guerra, l’adesione al regime fascista, la misoginia…tutti aspetti giustamente controversi, ed in astratto esecrabili, che hanno a lungo discreditato la figura dello scrittore monopolizzando l’attenzione degli esperti e condizionando la divulgazione delle opere marinettiane. D’altra parte, è un atto feticistico parlare di “feticcio”, essendo quest’ultimo un termine oggetto di feticismo da parte di certi studi, tanto in voga da 121 essere essi stessi dei luoghi comuni come il linguaggio che adoperano nella koiné del vocabolario accademico di tendenza più o meno nuova, più o meno “fetish”276. È, anche questa, una forma autoreferenziale di indulgenza verso i pruriti feticistici del pubblico dei lettori. Va subito detto però che in questa sede non mi interessa occuparmi di un feticismo marinettiano nel più comune senso erotico-freudiano e dunque non sarà mio scopo analizzare la psicologia dell’autore sulla base di una lettura psicoanalitica di certe immagini letterarie che possono essere ricondotte nell’alveo di una sessualità “feticista”, questa volta nell’accezione generica e vaga di ‘ossessiva, estrema’, persino ‘perversa’. E si pensi allora, ad esempio, all’incipit romanzesco di Mafarka il Futurista (1910) con il «suo stupro delle negre» o alla fossa dei cannibali con museruole metalliche del successivo Gli indomabili (1922) o al vampirismo di La guancia (1922) e al cannibalismo erotico di Come si nutriva l’ardito (1927)277. 276 Cfr. A. M, IACONO, L’ambiguo oggetto sostituto. Il feticismo prima di Marx e Freud, in Figure del feticismo, a c. di S. MISTURA, cit., p. 37: «Ma è proprio l’ironia che può aiutarci a sposatre il punto d’osservazione e ad uscire dalla feticizzazione del feticcio». 277 Cfr. F. T. MARINETTI, Mafarka il futurista, a cura di Luigi Ballerini. Traduzione di Decio Cinti, Milano, Mondadori, 2003, p. 7 ss., e ID., Gli indomabili, in TIF, pp. 936-43. I due racconti sono ora consultabili in . F. T. MARINETTI, Novelle con le labbra tinte, a cura di D. Cammarota, Firenze, Vallecchi, 2003. Per una loro lettura sulla base delle teorie estetiche di M. PERNIOLA, Il sex appeal dell’inorganico, Torino, Einaudi, 1994, si veda il saggio di E. CESARETTI, Dangerous Appetites: Sex and the Inorganic in F.T. Marinetti’s Erotic Short Stories, in «Annali d’Italianistica», vol. 27, 2009, pp. 139-155. 122 Illustrazione n. 3. Filippo Tommaso Marinetti, Santa Unica torturata da Santa Velocità e Santa Simultaneità (Sainte Unique torturée par Sainte Vitesse et Sainte Simultanée), da in «Noi», serie 2, n.1, aprile 1923, pp. 14-15. Si potrebbe altresì speculare sulla macchina, feticcio della critica futurista o futuristologa, come grande feticcio dell’estetica marinettiana: il Futurismo nasce infatti quando un bolide lanciato in corsa sostituisce una donna, la Nike di Samotracia, con le sue fattezze da dea alata, ma non futuristicamente aeronautica278. Si consideri ad esempio 278 Cfr. C. POGGI, Inventing Futurism. The Art and Politics of Artificial Optimism, Princeton and Oxford, Princeton University Press, 2009, p. 157: «Thrillingly phallic in shape and power, but feminine in allure and identity, the automobile becomes a classic Freudian fetish, a locus of transposed desire», e ancora a p. 233: «Fetishized in works of art and literature, the machine displaced both the idealized woman and the religious icon, triumphing over these now superseded divinities with its cold, hard, and metallic forms». Le affermazioni di Christine Poggi si collocano nella scia dell’analisi di C. SARTINI BLUM, The Other Modernism: F.T. Marinetti’s Futurist Fiction of Power, Berkeley, University of California Press, 1996, p. 33: «Manifestations of displaced homoeroticism can be seen in futurism’s fetishization of the machine – an other reassuringly mirrors the subject’s desire for power». 123 il disegno che illustra le parole in libertà scritte da Marinetti per la rivista «Noi» nel 1923279. Sin dal titolo bilingue, Santa Unica torturata da Santa Velocità e Santa Simultaneità (Sainte Unique torturée par Sainte Vitesse et Sainte Simultanée), l’opera rivela un’ispirazione feticistica che gioca trasgressivamente con la tradizione iconografica del martirio dei santi per aggiornarlo in chiave futurista attraverso il feticcio par excellence, quello appunto della macchina. Il disegno, che fa tutt’uno con le parole in libertà includendo un ritratto dello stesso Marinetti, si estende su due pagine al centro delle quali campeggia un nudo di donna in posa inequivocabilmente erotica. La donna è disposta, per così dire, a chiasmo, e la sua figura è ripresa e moltiplicata dalle lettere “X” alla sua sinistra e alla sua destra. Il quadro riproduce una mise-en-abyme del voyeurismo (o scoptofilia) che esso ingenera o a cui esso ammicca: un gruppo fatto di tre busti di uomini in abiti da sera si trova al centro in alto ad osservare a capo chino l’immagine centrale con la donna nuda; un suo piede poggia su uno sperone di roccia da cui a dominare la visuale è l’ombra di un uomo a cavallo, un altro uomo che guarda. Potrebbe essere anche una donna, ma lo escluderei. Quella che pare una caricatura del Marinetti che declama regge un’altra estremità della donna tenendola per l’arto superiore sinistro. Sinistri sono i capelli irsuti, e richiamano la teoria freudiana sulla Testa di Medusa280 coi 279 Cfr. F. T. MARINETTI, Santa Unica torturata da Santa Velocità e Santa Simultaneità (Sainte Unique torturée par Sainte Vitesse et Sainte Simultanée), in «Noi», serie 2, n.1, aprile 1923, pp. 14-15. La rivista è accessibile anche grazie alla sua riproduzione anastatica a cura di B. SANI, Firenze, Studio per edizioni scelte, 1974. L’opera è riprodotta tra le tante illustrazioni nel volume di C. SALARIS, Filippo Tommaso Marinetti, cit., p. 202. 280 Cfr. S. FREUD, Medusa’s Head (1922), in ID., Sexuality and the Psychology of Love, with an introduction of the editor Philip Rieff, New York, Touchstone, 1997, pp. 202-203 [ed. or. Das Medusenhaupt, pubblicato originariamente postumo Int. Z. Psychoanal., Imago, 25, (1940), 105]. 124 serpentelli che, come il feticcio, agiscono da sostituto del pene a lenire il timore di una decapitazione=castrazione. La donna si distende in una posa piacevole di piacere, il suo gesto sembra quasi un soddisfatto sbadiglio o un distendersi naturalissimo in una fase onirica che non contempla abiti da notte. Sarebbe difficile definirla una tortura, tale è l’abbandono della torturata in una sorta di impossibile masochismo che esclude il dolore. Eppure la donna è torturata. Ma è poi davvero una donna? No, è una qualità astratta, l’unicità, che viene antropomorfizzata in una santa con fattezze muliebri attraverso la didascalia esplicativa costituita dal titolo. I concetti astratti di velocità e simultaneità, parole d’ordine del verbo futurista, si contrappongono come carnefici al concetto di unicità in una personificazione d’assieme che diviene antropomorfica solo nel caso della vittima (Santa Unica = unicità vs. molteplicità, simultaneità, velocità). Strumenti di tortura sono delle macchine, per l’esattezza, una automobile e un motoscafo. Ora, se l’automobile collocata al centro del “chiasmo di donna” esemplifica perfettamente il suo ruolo di feticcio e di sostituto del pene, il motoscafo, invece, dà vita ad un procedimento inverso alla personificazione che è alla base del disegno. Con una mossa, tipicamente simmetrica e ambivalente, in Marinetti alla personificazione e all’antropomorfismo corrisponde infatti il più celebrato, e noto, processo di meccanizzazione del corpo umano, qui un corpo femminile: la gamba destra della donna è sostituita dal veicolo marino, ossia si trasforma nel motoscafo stesso. Quando definisco Venezia un feticcio marinettiano alludo, in primo luogo, ad una lunga fedeltà che Marinetti dimostra attraverso la sua vasta produzione letteraria in quanto “collezionista” di opere sulla «città anadiomene» di dannunziana memoria281. Il 281 G. D. ANNUNZIO, Il Fuoco, a cura di N. Lorenzini, Milano, Mondadori, 1996, p. 23. 125 feticista, si sa, tende al collezionismo, alla moltiplicazione del feticcio282. Il testo marinettiano su Venezia più noto è, non a caso, un manifesto scritto a più mani nel 1910: Contro Venezia passatista. Pochi sanno, invece, che Marinetti ha iniziato la sua produzione teatrale con un dramma storico, anepigrafo, di ambientazione veneziana, e che una delle sue ultime opere è ancora ambientata e scritta a Venezia, l’aeroromanzo inedito Venezianella e Studentaccio, composto probabilmente tra la fine dell’inverno e la primavera del 1944283. Questo legame con la città lagunare, che segna l’inizio e la fine della parabola artistica marinettiana, servirà, come dicevo, a definire la natura di analoghi rapporti oppositivi che Marinetti instaura nel corso della sua battaglia futurista per il rinnovo della cultura italiana. Venezia è un oggetto polemico che sostituisce e può essere sostituito da altri oggetti polemici marinettiani-futuristi: il chiaro di luna, i poeti simbolisti, d’Annunzio, il sentimentalismo, ecc. Tale rapporto di interscambiabilità è ribadito esplicitamente dallo stesso autore in diversi luoghi. Il Discorso futurista di Marinetti ai Veneziani si apre esattamente con una dichiarazione che instaura una equivalenza assai significativa, quella tra Venezia e il tanto aborrito/amato chiaro di luna: «Veneziani! / Quanto [sic] gridammo: “Uccidiamo il chiaro di luna!” noi pensammo a te, vecchia Venezia fradicia di romanticismo!»284. Il 282 Cfr. G. AGAMBEN, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Torino, Einaudi, 1977, p. 41. 283 Per una divulgazione dei primi quattro capitoli del libro, cfr. F.T. MARINETTI, Venezianella e Studentaccio, a c. di A. Fabbri, in «Yale Italian Poetry» (YIP), n. 5-6, 2001-2002 [2003], pp. 199-226. In mancanza di un’edizione complessiva, cito direttamente da uno dei due dattiloscritti che appartengono all’archivio marinettiano presso la Beinecke Library di Yale, New Haven, (cartella 1666). Per la datazione, si veda nello stesso numero di YIP, A. FABBRI, Venezianella e Studentaccio: La forza spirituale del ‘fuoco’ futurista, pp. 193-198. 284 MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, Contro Venezia passatista, in TIF, p. 35. 126 richiamo all’opera del 1909 chiarisce come in Venezia si sommino per Marinetti tutti gli emblemi del «romanticismo» su cui si era formata la sua educazione, non diversamente da quanto era accaduto alla formazione di Alberto Pisani, alter ego di Carlo Dossi: «[…] incontrò Leopardi. E Leopardi gli fe’ buttare il coturno nelle ciabatte. Giù allora canzoni che puzzavano il fràcido, giù sonetti sbattuti in chiaro di luna…»285. Il parallelismo tra il celebre incipit del manifesto Contro Venezia («Noi ripudiamo l’antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico»286) e il riferimento ai «padri simbolisti», nella sezione Noi rinneghiamo i nostri maestri simbolisti ultimi amanti della luna da Guerra sola igiene del mondo, conferma questa rimozione edipica nei confronti di diversi simboli intercambiabili di una ingombrante tradizione che i futuristi rigettano: «[…] oggi odiamo dopo averli immensamente amati, i nostri gloriosi padri intellettuali: i grandi genî simbolisti Edgar Poe, Baudelaire, Mallarmé e Verlaine. […] I nostri padri simbolisti avevano una passione che noi giudichiamo ridicola: la passione delle cose eterne […]»287. Il collegamento, appena illustrato, è ancora più evidente se si prende in esame un testo che trascrivo direttamente dagli archivi della Beinecke, un manoscritto autografo intitolato Preambolo Seconda Serata Futurista: «Voi siete già al corrente di tutto ciò che noi pensiamo di Venezia, da noi a lungo, sapientemente amata e sognata, ma che 285 C. DOSSI, Vita di Alberto Pisani, in ID., Opere, a cura di Dante Isella, Milano, Adelphi, 1995, pp. 104105. 286 MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, Contro Venezia passatista, in TIF, p. 33. 287 F.T. MARINETTI, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 302. 127 vorremmo brutalmente ringiovanita dal progresso. […] Anzitutto, ci occorre spiegare le ragioni per le quali noi, figli dei grandi simbolisti francesi, ci sentiamo costretti a odiarli oggi cordialmente dopo averli immensamente amati. Noi, poeti futuristi, noi, glorificatori dell’eroismo quotidiano e propagandisti di un ottimismo anche artificiale, accusiamo di pessimismo cronico ed avvilente i grandi genî simbolisti Baudelaire, Mallarmé e Verlaine»288. Questo discorso, indirizzato proprio ai veneziani, esplicita la natura ossimorica del rapporto che lega il poeta alla città lagunare e parallelamente alla tradizione simbolista. In questo senso Venezia agisce come feticcio in quanto oggetto sostitutivo che rimanda metonimicamente ad un tutto più ampio: il passato, la tradizione, la storia. Studiare il ruolo di Venezia come feticcio nella scrittura marinettiana agevolerà dunque l’individuazione di quel tutto a cui si rimanda, il tutto che il feticcio sostituisce, il vero oggetto polemico. Come ha sostenuto Giorgio Agamben, in un lavoro già ricordato che è alla base di questo mio studio, il feticcio agisce, infatti, come corrispettivo della sineddoche, e quindi della metonimia289. Dunque invertendo il processo di sostituzione si potranno trarre più ampie conclusioni sulle dinamiche che sottendono le battaglie polemiche futuriste. 288 F. T. MARINETTI, Preambolo Seconda Serata Venezia, Filippo Tommaso Marinetti Papers. General Collection, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, scatola 36, cartella 1612, pp. 1-7 del manoscritto. Il titolo è scritto in matita blu. 289 G. AGAMBEN, Stanze, cit., p. 40: «È curioso osservare come un processo mentale di tipo feticistico sia implicito in uno dei tropi piú comuni del linguaggio poetico: la sineddoche […]. Alla sostituzione della parte al tutto che essa attua […] corrisponde, nel feticismo, la sostituzione di una parte del corpo (o di un oggetto annesso) al partner sessuale completo». 128 D’altra parte, il feticcio non funziona per semplice sostituzione. Lo stesso Freud rilevava, infatti, un «conflitto», una sorta di aporia, alla base di ogni feticismo: «Non è vero che il bambino, anche dopo aver osservato la donna, ha mantenuto intatta la propria fede nel fallo della donna. È un convincimento che ha conservato, ma al tempo stesso ha abbandonato; nel conflitto fra l’importanza della percezione indesiderata e la forza del controdesiderio, egli è giunto a un compromesso, un compresso possibile soltanto quando dominano le leggi inconsce del pensiero, i processi primari»290. Agamben sottolinea l’ambiguità di questo compromesso dell’inconscio, mediante il quale il bambino si rifiuta – ecco che Freud usa il termine Verleugnung ‘rinnegamento, disconoscimento’ – di prendere atto di un dato della sua percezione (l’assenza del fallo, il pene materno). Da un lato la percezione della realtà spinge il bambino a rinunciare al suo convincimento originario che lo protegge dal timore di castrazione, d’altro canto, il contro-desiderio lo spinge a negare tale percezione e dunque tramite il feticcio «il bambino non fa né una cosa né l’altra o, piuttosto, fa simultaneamente le due cose»291. Il feticcio dunque sostituisce qualcosa, che per altro non è mai esistita, garantendone la continuità e la riproducibilità, e così proteggendo il bambino dalla minaccia di quella assenza. «Il cuore di questa costruzione è che l’oggetto è sempre correlato da una mancanza che produce un 290 S. FREUD, Feticismo (1927), in Figure del feticismo, cit., p. 25. [S. FREUD, Fetishism (1927), in ID., Sexuality and the Psychology of Love, with an introduction of the editor Philip Rieff, Touchstone, New York 1997, p. 206; Fetischismus, pubblicato originariamente in Int. Z. Psychoanal., 13, (1927), p. 373]. 291 G. AGAMBEN, Stanze, cit., p. 40. 129 oggetto come presente, negando la sua assenza. […] L’oggetto è negato e come tale presente»292. È il confronto con questa speciale dinamica alla base del feticismo che interessa maggiormente l’atteggiamento marinettiano nei confronti di Venezia e della tradizione che essa incarna; esso ci permette di spiegare alcune apparenti contraddizioni o ossimori, come altrove le ho definite, in termini diversi da una semplice palinodia o di quella specie di panacea della critica che è il ritorno del rimosso293. Nel concetto di feticismo quello che interessa sottolineare è la permanenza di ciò che si vuole sostituire. Il feticcio, infatti, agisce in termini sostitutivi ma, come abbiamo visto, la sostituzione non elimina ciò che si voleva sostituire, bensì lo ripropone, negandone l’assenza, in un altro oggetto. Non si dovrà allora parlare del ritorno del rimosso ma della permanenza del medesimo, la permanenza del rimosso. In un caso estremo, come vedremo, si giungerà ad un processo di feticizzazione del feticcio, un feticismo al quadrato, dove il feticcio si presenta come immagine moltiplicata dell’elemento da sostituire. Contrariamente all’idea di trasgressione comunemente associata al concetto di feticismo sessuale, non va dimenticato, infatti, un aspetto sostanzialmente e potenzialmente conservatore in cui il feticcio si configura come “riproduzione del medesimo”, ricostruzione dell’identico. Il 292 J.-P. KLOTZ, L’oggetto feticcio, in L’oggetto feticcio e il significante fobico. Commento al Seminario IV. La relazione d’oggetto di Jacques Lacan. Prefazione di A. Di Caccia, Macerata, Quodlibet, 2004, p. 40. 293 Per spiegare l’ultimo Marinetti e la convivenza con il fascismo, troppo semplicisticamente si è adottata la formula psicanalitica a cui ricorre per primo Luciano De Maria nell’introduzione al Meridiano marinettiano, cfr. L. DE MARIA, Marinetti poeta e ideologo, in TIF, pp. XCV. Su questo solco, suggerito appena da De Maria, si è mossa la critica più recente di stampo più esplicitamente psicoanalitico, cfr. l’ultimo capitolo del libro di C. POGGI, “Return of the Repressed: Vicissitudes of the Futurist Machine Aesthetic under Fascism”, in ID. Inventing Futurism, cit, pp. 232-265. 130 feticismo è stato, infatti, anche inteso come «the disavowal rather than the pursuit of otherness, and the validation of culturally hegemonic classificatory systems»294. 3. 2 L’antica e “Nuova Venezia” Venise, ville amphibie, cité humide, sexe femelle de l’Europe Guillaume Apollinaire, Les Diables amoureux Ai fini delle sue polemiche venate come sempre di iconoclastia e trasgressione, sin dagli esordi futuristi Marinetti utilizza l’immaginario metropolitano per alimentare la propria “campagna ideologica”, dissacratoria e svecchiatrice. La nuova città industriale, Genova e Milano, è contrapposta alle principali città d’arte, «le tre piaghe purulente della nostra penisola: Firenze, Roma e Venezia»295. Non dissimile la posizione di intellettuali vicini al Futurismo come Giovanni Papini: «Firenze ha la vergogna, insieme a Roma e a Venezia, d’essere una di quelle città che non vivono col lavoro indipendente dei loro cittadini vivi ma collo sfruttamento pitocco del genio dei padri e della curiosità dei forestieri. Bisogna avere il coraggio di urlare che noi viviamo alle spalle dei morti e dei barbari. Siamo bidelli di sale mortuarie e servitori di vagabondi esotici»296. 294 A. FERNBACH, Fantasies of Fetishism. From Decadence to the Post-Human, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2002, p. 4. 295 296 F. T. MARINETTI, Contro Roma passatista, (1910), in TIF, p. 287. G. PAPINI, L’esperienza futurista 1913-1914, in ID., Opere. Dal «Leonardo» al Futurismo, a cura di Luigi Baldacci con la collaborazione di Giuseppe Nicoletti, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2000, p. 442. 131 Vi si legge il tentativo di auto-definire un’identità nazionale che non sia dettata esclusivamente dal forestiero, dall’esterno, sotto il peso schiacciante della tradizione. La lotta nazionalistica che Marinetti conduce contro questa forma di esterofilia individua in Venezia un privilegiato e insistito bersaglio polemico. Non si tratta di pura provocazione propagandistica, tanto è vero che anche il punto n. 10 del Manifesto del partito futurista italiano si prefigge programmaticamente quanto segue: «Industrializzazione e modernizzazione delle città morte che vivono tuttora del loro passato. Svalutazione della pericolosa aleatoria industria del forestiero»297. È un legame, tuttavia, più che ossimorico, assai complesso, quello che lega Marinetti a Venezia. Il ritrovamento di questo romanzo inedito, il già ricordato Venezianella e Studentaccio, scritto durante l’ultimo soggiorno veneziano del poeta, ci consente oggi di tracciare una parabola che ripercorre l’intera carriera dello scrittore, dagli esordi francesi del dramma giovanile senza titolo fino all’anno della morte avvenuta a Bellagio il 2 dicembre del 1944. Attraverso l’analisi di quattro opere di genere differente – una tragedia romantica, un manifesto, un divertimento teatrale e un romanzo lirico – a riprova dell’eclettismo che contraddistingue la prolifica produzione letteraria marinettiana, è possibile tracciare un profilo esistenziale definito dall’evolversi di un atteggiamento solo apparentemente contraddittorio nei confronti di quegli ideali rimossi che Marinetti vedeva assommarsi nell’immagine di Venezia. L’alternarsi di metafore di distruzione e costruzione che ricorre nelle “opere veneziane”, opere di genere diverso ma di argomento comune, opere per lo più scritte in quattro fasi differenti della carriera marinettiana, evidenzia una tormentata dinamica, anche interiore, che definisce la grande 297 F. T. MARINETTI, Manifesto del partito futurista italiano, in TIF, p. 157. Il manifesto fu pubblicato su «Roma Futurista» (rivista settimanale recante il sottotitolo: Giornale del Partito Politico Futurista), I, n, 1, 20 settembre 1918; il testo era però già apparso su «L’Italia Futurista», III, n. 39, febbraio 1918. 132 contrapposizione futurista tra vecchio e nuovo, tra ansia di rinnovamento e persistenza del rimosso. Nel 1910 i futuristi avevano proposto la trasformazione del Canal Grande in un porto mercantile nel manifesto Contro Venezia passatista: «Noi vogliamo preparare la nascita di una Venezia industriale e militare che possa dominare il mare Adriatico […]. Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi. Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l’imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le curve cascanti delle vecchie architetture»298. Era lo scandalo, gesto blasfemo per eccellenza, iconoclastia e sfregio della città simbolo della bellezza del passato, città-museo299. In seguito, dopo aver immaginato il bombardamento della città lagunare nell’opera teatrale Ricostruire l’Italia con architettura Sant’Elia, pièce databile tra la fine degli anni Venti e la prima metà dei Trenta, durante il soggiorno veneziano del 1943-’44, Marinetti scrive quindi quest’ultima opera su Venezia, l’«aeroromanzo» o «aeropoema» Venezianella e Studentaccio, opera rimasta sostanzialmente inedita. Con questo romanzo in prosa lirica l’inesauribile immaginario letterario veneziano si arricchisce di una nuova 298 299 Cfr. MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, Contro Venezia passatista, in TIF, p. 34. L’attenzione del grande pubblico intorno al Futurismo fu ridestata in Italia da una grande mostra veneziana “I futurismi” organizzata da Pontus Hulten, cfr. Futurismo & Futurismi, catalogo della mostra, Venezia, Palazzo Grassi, 1986, a cura di P. HULTEN, Milano, Bompiani, 1986. V. SGARBI ci ricorda gli effetti di quelle controverse affermazioni nel suo scritto L’arte della provocazione in F.T. Marinetti. Arte Vita, Atti del convegno “Filippo Tommaso Marinetti 1944-1994”, Roma, febbraio 1995, a cura di C. SALARIS, Fahrenheit 451, Roma, 2000, p. 195: «Egli [Pontus Hulten] soggiaceva ancora alla provocazione; nel suo testo di esordio sul catalogo rassicurava i veneziani che non era intento di Marinetti cancellare Venezia. Diceva loro di non preoccuparsi perché Marinetti non voleva eliminare il chiaro di luna e non voleva cementare il Canal Grande: erano certo considerazioni molto pericolose, perché qualcuno avrebbe potuto pensare che nel futurismo ci fosse un antefatto della speculazione edilizia». 133 rappresentazione, in cui si immagina che il futurista Studentaccio riesca, in completo nonsense surrealistico, a ricostruire la Nuova Venezia sulla Riva degli Schiavoni, senza che per questo la vecchia città venga prima abbattuta. L’esito è una statua gigantesca che riproduce le fattezze femminili del personaggio enigmatico di Venezianella, mediante la sovrapposizione di monumenti architettonici che sono gli emblemi della città stessa: sette basiliche di S. Marco, che formano una gonna chilometrica, il Palazzo Ducale, a guisa di camicia alla moda veneziana, il tutto sormontato dalla Ca’ d’Oro. È questo il grande feticcio doppio (feticcio della città, feticcio della donna), cui alludevo in precedenza e ad esso ritorneremo. In questo capitolo, incentrato originalmente su un testo ai più tuttora sconosciuto, mi propongo di indagare in particolar modo questa grande metafora architettonica, mitopoiesi utopistica sconfinante nel feticismo dell’oggetto, che ben si presta a rappresentare il complesso rapporto tra modernità e tradizione all’origine dell’avanguardia futurista. È lo stesso Marinetti a introdurre il concetto di feticcio, nel senso più classico del termine, in una riflessione su innovazione e passato in polemica con John Ruskin, il di lui amore per Venezia e la ricostruzione di una copia del campanile di San Marco: «Ruskin avrebbe certamente applaudito quei passatisti veneziani che hanno voluto ricostruire l’assurdo campanile di San Marco, come se si trattasse di offrire a una bimba che avesse perduta la sua nonna, una pupattola di cartone e di stoffa destinata a sostituire la defunta»300. Il passo appena citato, ed estratto dal Discorso futurista agli Inglesi del 300 F. T. MARINETTI, Discorso futurista agli Inglesi (pronunciato al Lyceum Club di Londra), in TIF, p. 286. Il Discorso, che compare anche in Guerra sola igiene del mondo e in I manifesti del Futurismo, fu ristampato in Futurismo e Fascismo, del 1924, in cui veniva accompagnato dalla data giugno 1910, cfr. TIF, p. cxxxvi. Ma sull’istanza polemica contro il ruolo culturale di Ruskin si veda anche il manifesto Contro Roma passatista, in TIF, p. 286: «L’influenza di Ruskin ha singolarmente sviluppato in Europa il culto ossessionante del nostro passato, ed ha interamente falsato il giudizio dell’Europa sull’Italia 134 giugno 1910, è doppiamente rilevante ai fini del nostro discorso. In primo luogo, proprio a causa della similitudine ipotetica finale in cui l’autore introduce l’immagine feticistica di una bambola, «una pupattola di cartone e di stoffa», la cui funzione è quella di sostituire una defunta negli affetti di una bimba. Non sarà irrilevante allora notare che nella fantasia marinettiana il feticcio serve inutilmente a sostituire a lutto la scomparsa di una nonna, come a dire: il presente che piange il passato, i giovani che non sanno sopravvivere ai propri morti301. Quello che però più colpisce è il riferimento ad un fatto di cronaca che certamente non era sfuggito a Marinetti. Il 1910 è l’anno in cui escono in concomitanza sia il manifesto Contro Venezia passatista, per l’esattezza in data 10 aprile, sia la prima edizione italiana delle Pietre di Venezia di John Ruskin (The Stones of Venice, 1853)302. Non va però dimenticato che in quegli anni procedeva intanto la ricostruzione del campanile di San Marco. Nessuno studioso, credo, ha mai messo in stretta correlazione il manifesto Contro Venezia e l’opera di ricostruzione del campanile, simbolo della città veneta. Si ricorderà invece che il 14 luglio del 1902 il campanile era crollato senza fare vittime e che ben presto, il 25 aprile dell’anno successivo, furono contemporanea». Altrove invece Marinetti si dimostra proco propenso a forme di concreto feticismo, cfr. Contro il lusso femminile, in TIF, p. 547: «La manìa morbosa del lusso annienta il fascino del corpo della donna quanto l’uso della nudità nei bordelli. […] Il maschio perde a poco a poco il senso potente della carne femminile e lo rimpiazza con una sensibilità indecisa e tutta artificiale, che risponde soltanto alle sete, ai velluti, ai gioielli, alle pellicce». 301 Quest’ultima osservazione, a prima vista eccessiva, è in realtà suffragata da una simile metafora dell’autore. Nel Manifesto futurista [contro l’arte inglese], scritto a quattro mani con C.R.W. Nevinson e pubblicato in italiano su «Lacerba» nel 1914, Marinetti infatti scrive: «Gli avi dell’arte italiana, colla la loro potenza di costruzione e colla loro immortalità ci hanno chiusi in una prigione di timidezza, d’imitazione e di plagio. Sono sempre presenti sui loro seggioloni di nonni venerabili, e ci comandano. […] “Schivate gli automobili, figliuoli! Copritevi! Evitate le correnti d’aria! Attenti al fulmine!”», (TIF, p. 112). 302 Cfr. J. RUSKIN, Le pietre di Venezia, a cura di A. Tomei, Roma, Carboni, 1910 (basata sulla “Traveller’s edition” del 1879). 135 inaugurati i lavori di ricostruzione al motto «dov’era e com’era», pronunciato nel discorso del Sindaco Filippo Grimani in occasione della posa della prima pietra. I lavori furono completati nel marzo del 1912 e il nuovo campanile, uguale al precedente, fu inaugurato il 25 aprile nel giorno della festa di San Marco. Ora, alla luce anche di un simile fatto di cronaca, e dell’allusione ad esso da parte di Marinetti in relazione a Ruskin, non sarà senza importanza rileggere le opere marinettiane su Venezia anche nell’alveo delle polemiche sulla tecnica del restauro che caratterizzarono la figura del Ruskin stesso. La provocazione assurda di distruggere una delle città più belle del mondo va storicizzata nel contesto di un reale dibattito architettonico. Il dibattito sulle tecniche di ricostruzione, in altre parole, può aver alimentato non solo certe immagini architettoniche che contraddistinguono, come vedremo, le opere veneziane di Marinetti, ma anche tutta la riflessione futurista tra passato e futuro, tra innovazione e tradizione. Ecco che la polemica a distruggere e ricostruire, inserita in un simile contesto, si spiega in termini ancora di grande attualità, ben al di là della semplice provocazione ad effetto o della stramberia folle. Il campanile era crollato il mattino del 14 luglio del 1902 e sull’onda della reazione emotiva popolare, il consiglio comunale aveva deciso immediatamente all’unanimità una rapida ricostruzione della torre. I poteri locali furono accusati della responsabilità del crollo ma quello che qui più preme rilevare è che alcune voci discordanti si levarono anche in merito alle modalità della ricostruzione. In particolare, l’architetto austriaco Otto Wagner in una intervista concessa ad un giornalista suo connazionale aveva ipotizzato una progettazione non necessariamente “in stile”: «Per quale motivo non dovrebbe essere rappresentato nella piazza di Venezia anche lo stile moderno, poiché oramai la disgrazia è avvenuta? […] sarebbe un voler falsificare la 136 storia dell’architettura se si ricostruisse il campanile nello stile antico»303. La proposta di Wagner, pur proveniente da un austriaco, sarebbe stata applaudita da Marinetti, ma venne accolta come una “stramberia” a cui si rispose con la ricostruzione ad imitazione della torre preesistente al motto, divenuto celebre, di «com’era dov’era» cavalcato dal sindaco veneziano Filippo Grimani. Il nuovo campanile, così, sorto com’era e dov’era la vecchia torre, fu inaugurato il giorno di San Marco, il 25 aprile 1912. Romanelli ricorda che l’Accademia di Belle Arti di Milano aveva bandito un concorso di idee per la ricostruzione del campanile che lasciava ampie libertà ai partecipanti, e che il Nobel Giosué Carducci si era anche lui opposto alle ragioni della ricostruzione a favore della necessità di non mascherare l’assenza, «ma egli veniva fatto apparire come un pedante malato di filologia, ovvero moralista venerabile ma eccessivo»304. Insomma, pare certamente proficuo tenere a mente tale fatto di cronaca quando rileggiamo i testi veneziani di Marinetti per porli nella giusta prospettiva storica. L’incipit del manifesto Contro Venezia passatista, che abbiamo già discusso, rivaleggia alla pari, per sapienza declamatoria e felicità del dettato, con quello del Manifesto di fondazione del movimento. Rileggiamolo: «Noi ripudiamo l’antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran 303 L’intervista a Otto Wagner era stata diffusa sul “Piccolo” di Trieste e ripresa sull’«Adriatico» il 7 luglio 1902. Qui è citata di seconda mano dal saggio di G. ROMANELLI, Com’era e dov’era?, in AA.VV., Il campanile di San Marco - Il crollo e la ricostruzione, Milano, Silvana editoriale, 1992, p. 14. 304 G. ROMANELLI, Com’era e dov’era?, in AA.VV., Il campanile di San Marco, cit., p. 15. 137 sogno nostalgico»305. Anche in questo caso c’è in prima sede la messa in rilievo della prima persona plurale, il «Noi», qui con esplicito ricorso al pronome, giustificato dalla pluralità degli autori. La contrapposizione tra i futuristi e la città lagunare evidenzia il significato simbolico, polivalente e interscambiabile, di Venezia come prescelto emblema urbanistico del passato, nell’ottica di quel rinnovamento della cultura italiana contemporanea tentato e annunciato, ma per i detrattori soltanto sbandierato, dal movimento marinettiano. Non ci soffermeremo sulla personificazione della città che conduce a una consueta metafora sessuale dove i due poli della polemica, i futuristi innovatori da una parte e la Venezia dei passatisti dall’altra, sono chiaramente descritti in termini di gender. In maniera non troppo dissimile dalla protagonista femminile del romanzo veneziano per eccellenza, il Fuoco del rivale d’Annunzio, Venezia è descritta come una vecchia amante, «estenuata e sfatta», ripudiata dopo essere stata posseduta. Anche in questo «sogno», più maschilista che «nostalgico», la donna amata che invecchia viene congedata. È il secondo piano dell’harem felliniano di 8 e ½. Nell’agenda marinettiana, infatti, non c’è programmaticamente spazio per la nostalgia, sebbene anche in questo caso, i fatti lo smentiscano, e si pensi allora alla scrittura memorialistica dell’autore discussa nel precedente capitolo. Ebbene, in questo incipit Günter Berghaus rintraccia un possibile riferimento intertestuale ad un’opera degli esordi marinettiani306, il Dramma senza titolo, spesso 305 MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, Contro Venezia passatista, in TIF, p. 35. Cfr. F.T. MARINETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 7: «Avevamo vegliato tutta la notte – i miei amici ed io – sotto lampade di moschea […]». 306 F. T. MARINETTI, Critical Writings, a cura di G. Berghaus, New York, Farrar, Strass and Giroux, 2006, n. 1, p. 455. 138 citato col nome del protagonista Paolo Baglione, nome che del resto compare in un foglio-frontespizio nell’archivio della Beinecke Library, ma per mano probabilmente di Benedetta e non certo di Marinetti307. Si tratta di un dramma storico ambientato nella Venezia del quindicesimo secolo, dove la trama politica si intreccia in modo convenzionale e un po’ confuso a quella sentimentale. Liquidato come un’opera giovanile di nessun interesse letterario308, questo testo è stato poco studiato e rimane disponibile soltanto nell’edizione, fuori commercio, del Teatro di Marinetti a cura di Giovanni Calendoli309. Soffermandoci su quel nome, quello di Paolo Baglione, si potrebbe ipotizzare che esso altro non sia che un’eco derivante dal personaggio storico di Gian Paolo Baglioni, condottiero di ventura nato nel quindicesimo secolo, signore di Perugia, 307 Nella Beinecke Rare Book and Manuscript Library di New Haven, Connecticut, fondo Filippo Tommaso Marinetti Papers, sono conservati sia gli originali marinettiani del dramma in francese, di cui uno manoscritto e uno dattiloscritto, sia la traduzione italiana della moglie, Benedetta Cappa Marinetti. 308 Dando alle stampe il testo, Calendoli definisce il dramma «un abbozzo informe e affrettato» e giustifica la propria scelta indirizzandola alla «curiosità dello storico», cfr. F. T. MARINETTI, Teatro, a cura di Giovanni Calendoli, Roma, Vito Bianco Editore, 1960, vol. I, p. VI. Sulla scia del Calendoli si colloca Daniela Quarta, la cui lettura però sottolinea gli elementi di continuità, pochi, a discapito dei molti elementi di rottura che separano questo primo tentativo, ripudiato, dalle opere pubblicate per volontà dell’autore, cfr. D. QUARTA, Il teatro prefuturista di Marinetti: Dramma senza titolo, Roi Bombance, Poupées électriques, in «Revue Romane», 16, 1-2, 1981, pp. 120-146. Anche per Günter Berghaus l’opera è di poco valore letterario, ma utile per un’analisi contrastiva coi successivi esperimenti drammaturgici marinettiani, cfr. G. BERGHAUS, The Genesis of Futurism: Marinetti’s Early Career and Writings 1899-1909, Leeds, The Society for Italian Studies, 1995, p. 39. Un giudizio estetico complessivamente negativo è sottoscritto per il periodo in questione anche da Brunella Eruli, che però non prende in esame il Dramma senza titolo: «Le opere di Marinetti del periodo che stiamo esaminando non hanno, di per sé, un grande interesse letterario; esse, tuttavia, sono fruibili da un punto di vista tematico», cfr. B. ERULI, Preistoria francese del futurismo, in «Rivista di letterature moderne e comparate», vol. 23, 4, dicembre 1970, Firenze, Sansoni, p. 271. In un suo precedente scritto, per altro assai utile, la Eruli menziona il dramma criticando la scelta di Calendoli di non pubblicare l’originale francese, cfr. B. ERULI, Bibliografia delle opere di F. T. Marinetti (1898-1909), in «La Rassegna della letteratura italiana», anno 72o, serie VII, n. 2-3, maggio-dicembre 1968, p. 368, n. 3. Jeffrey T. Schnapp ha omesso dalla sua edizione il Dramma senza titolo senza fornirne motivazione, cfr. F. T. MARINETTI, Teatro, 2 voll., Oscar Mondadori, Milano, 2004. 309 F. T. MARINETTI, Teatro, 1960, cit., vol. I, pp. 1-88. 139 assoldato prima da Firenze e poi, dal 1511, dalla stessa Venezia310. Decapitato a Castel Sant’Angelo, nel 1520, Baglioni fu prima fiancheggiatore e poi nemico di Cesare Borgia, ricevette un’inutile legazione di Niccolò Machiavelli nel 1505 e, cinque anni prima, a Perugia scampò alla strage delle cosiddette “Nozze di sangue” in cui rimase invece ucciso Grifonetto Baglioni, ricordato da Oscar Wilde in The portrait of Dorian Gray e trasfigurato nelle spoglie di Cristo nella Deposizione Borghese di Raffaello Sanzio311. Difficile dimostrare tale ipotesi, che rimane però suggestiva e utile a sottolineare lo scarto tra l’ispirazione romantica di questo dramma d’ambientazione storica e gli esordi ufficiali della drammaturgia marinettiana. Certo è che Marinetti abbia utilizzato per la maggior parte dei suoi personaggi i nomi di altrettante figure storiche. È questo un fatto mai messo in luce fino ad ora e che andrebbe adeguatamente approfondito per ottenere maggiori informazioni sulle modalità di lavoro del giovane scrittore giungendo magari ad individuare una o più fonti dalle quali Marinetti abbia potuto reperire i nomi che andava utilizzando per una maggiore verosimiglianza onomastica, in realtà basata su una disinvolta commistione di diverse epoche di storia veneziana. Così ad esempio, quello di Pietro Candiano è il nome di diversi Dogi di Venezia; il primo fu Doge nel IX secolo, e cadde combattendo contro gli slavi. Nel dramma, Candiano diventa un personaggio antagonista, un popolano, capo quarantenne di una rivolta contro Paolo Baglione, oltre 310 Cfr. Dizionario biografico degli italiani, diretto da A. GHISALBERTI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1963, vol. V, pp. 217-220 (a cura di Gaspare De Caro). 311 I fatti delle “Nozze di sangue” sono al centro del componimento dedicato a Perugia nella sezione Le città del silenzio dell’Elettra (1904) di Gabriele d’Annunzio. Cfr. G. D’ANNUNZIO, Versi d’amore e di gloria, edizione diretta da Luciano Anceschi, a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1993 [19841], pp. 382-386. Al medesimo fatto storico, si ispira il dramma in cinque atti di H. L. ENO, The Baglioni, New York, Moffat, Yard, & Company, 1905. 140 che padre di Rosalba, la donna del popolo amata dal potente protagonista. Alvise Ca’ Da Mosto, nella finzione del dramma nobile consigliere di Paolo Baglione, fu nella realtà storica un esploratore e navigatore italiano, morto a Venezia sul finire del XV secolo. Il personaggio del Doge Marco Barbarico, invece, corrisponde realmente a un patrizio veneziano eletto al dogato nel 1485. Il nome di Domenico Selva, personaggio secondario del dramma nelle vesti di un «costruttore di navi, successore di Pietro Candiano nella direzione dell’arsenale»312, trova riscontro in quello di un ottico veneto, famoso costruttore di lenti, cannocchiali e microscopi, la cui officina veneziana era situata non lontano da San Marco. Pasquale Cicogna ricopre nel dramma il ruolo del rivale in amore di Paolo Baglione; popolano, congiurato nella cerchia di Pietro Candiano, è il fidanzato ufficiale di Rosalba. Operaio trentenne dell’arsenale, dopo un primo complotto sventato ai danni di Baglione, Pasquale è imprigionato, ma il suo nome è il realtà quello di un doge eletto nel 1585. Così ad esempio il nome di Boldu, altro congiurato facinoroso, ricorda quello di una famiglia patrizia di diplomatici veneziani, i Boldù. Quello di Antonio Balestra, poi, è il nome di un pittore nato a Venezia nel 1666 da agiata famiglia di mercanti, stimato dai contemporanei per il suo gusto classicizzante; Antonio Balestra diviene nella finzione del dramma un altro operaio dell’arsenale congiurato contro Paolo Baglione. Stessa sorte è assegnata anche a Jacopo Cavalli, in realtà personaggio veneto del XIV, noto condottiero di cui si conserva ancora un monumento in una cappella absidale nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo nel Sestiere di Castello. 312 F. T. MARINETTI, Teatro, 1960, cit., vol. I, p. 3. 141 Per quanto liminare, ci fu dunque una fase della vita e della carriera di Marinetti, quando la sua anima era «puerile»313, in cui Venezia rappresentava pacificamente il «sogno nostalgico», e libresco, di una patria ideale delle lettere e del sentimentalismo, perfetta ambientazione per un dramma teatrale in cui centrale è il tema tragico, dagli sviluppi per nulla futuristi, risultante dal tradizionalissimo connubio di amore e morte. Colpisce la distanza tra quest’opera archetipica, e per questo rimossa, e le prime prove teatrali ufficiali, i drammi francesi Le Roi Bombance e Poupées électriques314. Tuttavia, anche il Paolo Baglione fu scritto da Marinetti in francese ed è stato pubblicato postumo grazie alla collaborazione e alla traduzione di Benedetta Cappa315. Calendoli data l’opera, la cui cronologia rimane incerta, «ai primi anni del Novecento o agli ultimi dell’Ottocento»; sempre secondo lo studioso, «l’autore non manifestò mai l’intenzione di 313 Allusione ad un verso giovanile, originariamente scritto in francese e che diviene il titolo della seconda sezione di Distruzione: «O mare, la mia anima è puerile», F.T. MARINETTI, Distruzione, traduzione dal francese in versi liberi di D. Cinti, Milano, Sonzogno, 1920, p. 19. La prima edizione italiana è in realtà del 1911 (Milano, Edizioni futuriste di «Poesia»), mentre l’originale francese fu pubblicato a Parigi nel 1904 (Librairie Léon Vanire Éditeur). Cfr. F.T. MARINETTI, La mia anima è puerile e altre poesie genovesi, introduzione di S. Milan con una nota di S. Giordanelli, Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2004, p. 16. 314 Il primo dei due drammi, definito una «Tragédie satirique», uscì a Parigi per la Société du “Mercuri de France” nel 1905. Fu scritto nel 1902-1903 e il titolo originario era Les Marmitons Sacrés. Tragédie hilare. Il secondo dramma uscì sempre a Parigi, presso Sansot, nel 1909. Fu rappresentato a Torino nel gennaio di quell’anno nella traduzione italiana La donna è mobile. Cfr. D. CAMMAROTA, Filippo Tommaso Mainetti. Bibliografia, Milano, Skira, 2002, p. 48 e p. 51. 315 Che il testo sia stato redatto originariamente in francese è detto chiaramente in una didascalia posta sotto all’indicazione Dramma senza titolo (un vero feticcio del titolo!) nell’edizione Calendoli: «Traduzione di Benedetta Marinetti dall’inedito francese», F.T. MARINETTI, Teatro, cit., vol. I, p. 1. Nonostante l’ambiguità della nota al testo nella medesima edizione («Il Dramma senza titolo si pubblica qui per la prima volta nella trascrizione che è stata curata da Benedetta Marinetti», F.T. Marinetti, Teatro, 1960, cit., vol. I, p. 281), stupisce la conclusione di Daniela Quarta: «[…] non è dato sapere se il testo originariamente fosse scritto in francese o in italiano», cfr. D. QUARTA, Il teatro prefuturista di Marinetti, cit., p. 129. Sulle motivazioni della scelta a favore del francese negli esordi della scrittura marinettiana, si veda B. ERULI, Preistoria francese del futurismo, cit., pp. 245-249. 142 pubblicarla o di rappresentarla, sia pure dopo averla sottoposta a revisione. Egli la considerava un’esperienza giovanile, che le prove successive de La donna è mobile e di Re Baldoria destituivano di ogni valore», donde la decisione del curatore di pubblicare il dramma meramente «come un documento d’archivio»316. Verosimilmente l’opera fu dunque scritta tra il 1894 e il 1905, vale a dire nel periodo di tempo compreso tra l’esordio ufficiale segnato dalla composizione del sonetto L’Echanson317, dedicato a Enrico Annibale Butti, e la pubblicazione di Roi Bombance, uscito in Francia cinque anni prima della traduzione italiana del segretario Decio Cinti, presso Treves (Milano, 1910). I critici a partire da Calendoli non hanno mancato di sottolineare la vena romantica del dramma marinettiano, che si colloca sulla scia di Victor Hugo e dell’ultimo simbolismo francese318. Giovanni Lista, in particolare, ricorda che negli anni in cui il giovane poeta frequentava il Collegio Saint François Xavier, ad Alessandria d’Egitto, gli allievi scrivevano e interpretavano drammi storici in costume sul modello di Hugo319. Il poeta stesso, del resto, nella prosa autobiografica di Marinetti e il Futurismo, ricorda gli 316 F. T. MARINETTI, Teatro, 1960, cit., vol. I, p. 281. 317 Il sonetto recante la data «Godiasco, Septembre 1897», fu pubblicato su l’«Anthologie Revue», di Milano, a. I, n. 6, nel marzo 1898, p. 103, cfr. B. ERULI, Bibliografia delle opere di F. T. Marinetti, cit., p. 369. 318 319 F. T. MARINETTI, Teatro, 1960, cit., vol. I, p. VIII. Cfr. G. LISTA, Lo spettacolo futurista, Firenze, Cantini, 1990, p. 10. Secondo G. BERGHAUS, in The Genesis of Futurism, cit., p. 40: «Marinetti’s early attempt to follow the example of Victor Hugo’s colorful and romantic history plays appears to have been supplemented at a later stage by incorporating d’Annunzio’s poetic language into the fabric of the play. […] The dramatic construction of the play is feeble, the lyrical interludes are heavy-handed, and the ‘baroque’ settings copy the worst traits of grandopéra stage design». 143 «studi classici francesi» in Egitto: ««Feci i primi debiti per fondare il mio primo giornale “Le papyrus”, gonfio di poesia romantica e d’invettive anticlericali contro i Gesuiti»320. E a ulteriore conferma della prevedibile centralità di Hugo nella formazione ottocentesca di Marinetti, si legga anche il seguente passo dal libro di memorie pubblicato postumo, ma anch’esso scritto durante l’ultimo soggiorno veneziano, La grande Milano tradizionale e futurista: «Piange [il padre, Enrico] mentre scrosciano gli applausi dati alla mia incandescente declamazione di Victor Hugo nella sala del Liceo Beccaria di Milano»321. Indubbiamente, specie nel finale, il dramma, in cui la protagonista femminile, Rosalba, si fa uccidere dal padre per salvare la vita all’amato Paolo Baglione, rielabora certe soluzioni narrative della tradizione romantico-melodrammatica: «Oh mille volte maledetta la mia vendetta!... Volendo uccidere il tiranno implacabile, io ti ho uccisa, Rosalba, mia figlia adorata!... »322. Il pensiero va subito al finale di Le Roi s’amuse, scritto da Hugo nel 1832 e poi utilizzato da Francesco Maria Piave per la stesura del libretto del Rigoletto di Giuseppe Verdi, tra l’altro rappresentato per la prima volta nel 1851 proprio al Teatro “La Fenice” di Venezia. Marinetti in ogni caso si divertì a parodiarne il titolo quando pubblicò sulla rivista «Poesia», di cui era il direttore, i versi liberi intitolati Le Directeur s’amuse, ancora nel 1906323. Eppure un anno prima, come 320 F.T. MARINETTI, Marinetti e il Futurismo, in TIF, p. 580. 321 F.T. MARINETTI, La grande Milano tradizionale e futurista. Una sensibilità nata in Egitto, a cura di Luciano De Maria, Milano, Mondadori, 1969, p. 60. 322 323 F. T. MARINETTI, Teatro, 1960, cit., vol. I, p. 86. Cfr. F. T. MARINETTI, Le Directeur s’amuse, in «Poesia», a. I, n. 12, Gen. 1906, p. 6; citato in B. ERULI, Bibliografia delle opere di F. T. Marinetti (1898-1909), p. 384. 144 abbiamo già ricordato, Marinetti aveva esordito in qualità di autore di teatro pubblicando in francese Le Roi Bombance, un re ben diverso che aveva masticato l’insegnamento di Alfred Jarry, delle cui opere Marinetti aveva comprato i diritti d’autore e che viene invitato a pubblicare su «Poesia»324. Di lì a poco, quando nel 1910 Marinetti scriverà il manifesto Contro Venezia, la rottura con la propria formazione romantica, che aveva ispirato il dramma veneziano, diverrà un esplicito imperativo: «Ma ora la voce nostra si amplifica, e soggiungiamo ad alte note “Liberiamo il mondo dalla tirannia dell’amore! Siamo sazi di avventure erotiche, di lussuria, di sentimentalismo e di nostalgia!”»325. Il motivo iconoclastico anti-romantico, anti-veneziano, ritorna in Ricostruire l’Italia con architettura futurista Sant’Elia, che Marinetti definisce un «Divertimento rappresentabile in molte sintesi» e che, secondo Calendoli, costituisce l’ultima opera teatrale composta dallo scrittore326. La polemica intorno a Venezia non si è mai sopita, ritorna a distanza di anni e attraversa i più disparati generi letterari praticati dall’autore. Il tema architettonico che sostanzia lo sviluppo di una trama intricata e surrealistica, interrotta da diversi intermezzi comici e metaletterari, è evidente sin dal titolo e dal suo omaggio al principale architetto futurista, Antonio Sant’Elia, caduto in battaglia sull’Isonzo durante la Prima Guerra Mondiale nel 1916. L’opera rimase inedita durante la 324 Sui rapporti tra Marinetti e Jarry, cfr. B. ERULI, Marinetti e Jarry: “Le plagiat est nécessaire”, in ID., Dal futurismo alla patafisica. Percorsi dell’avanguardia, Pisa, Pacini, 1994, pp. 183-205. 325 326 MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, Contro Venezia passatista, in TIF, p. 35. Cfr. F. T. MARINETTI, Teatro, 1960, cit., vol. I, p. LXXVI. Citeremo il testo dalla più recente edizione Mondadori, F. T. MARINETTI, Teatro, 2004, cit., vol. I, p. 477-533. 145 vita dell’autore e fu pubblicata postuma probabilmente senza le mancanti revisioni finali, il che spiega certe incongruenze del testo. La data di composizione rimane incerta, ma, come sostiene Schanpp, è molto probabile che essa sia stata concepita tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta327. È un’opera notevole, che si conclude con un’esuberante vena comica, dal sapore pirandelliano, con cui vengono ribaltati i toni apocalittici e lugubri ugualmente presenti in un pastiche divertito e divertente. Così nelle battute finali la rappresentazione è ostacolata da uno spettatore-attore che rivendica il legittimo diritto di dormire a teatro, finanche russare: IL RUSSATORE (con calma) Nessun ordinamento della polizia vieta di dormire a teatro. Del resto, se loro non avessero insistito tanto in questa propaganda sentimentale, io non mi sarei addormentato. 1o PORTALETTERE Lei non ha dunque un letto a casa sua? IL RUSSATORE Rispetto troppo mia moglie per russare nel mio letto. Queste poltrone sono comodissime328. La platea è dunque coinvolta in una discussione sulla liceità del russare a teatro in cui i personaggi del dramma interagiscono con altri attori che impersonano dei partecipi spettatori fuori dal palco. Dopo aver raccolto una patata lanciata per dissenso sulla scena, un personaggio, il 1o portalettere, si domanda se sia mai possibile che gli spettatori abbiano sempre ragione contro l’autore. «Soltanto quando diventano essi stessi attori, e danno spettacolo»329, risponde Vif-Glin. E così il dramma si chiude comicamente su una seria riflessione intorno al ruolo dell’artista: «A teatro il proiettile vegetale è spesso una 327 F. T. MARINETTI, Teatro, 2004, cit., vol. I, p. 532. 328 Ivi, p. 527. 329 Ivi, p. 531. 146 incosciente manifestazione d’amore. Forse è l’unico legame possibile fra l’uomo comune e il genio. Per l’uomo comune l’unico modo di innalzarsi è quello di colpire il genio. I genio è per gli uomini comuni uno schiaffo a ripetizione!»330. Lo schiaffo, è questa l’idea di letteratura come scandalo che Marinetti ha sempre perseguito e coerentemente praticato. Ai fini del nostro discorso, però, ciò che più conta rilevare è la restante parte del dramma incominciata da una disputa architettonica tra due diversi schieramenti, gli Spaziali da una parte e i Velocisti dall’altra, una rivalità che trasfigura la contrapposizione reale che in quegli anni vedeva gli architetti futuristi in polemica con i razionalisti, i quali ritenevano oramai di aver oltrepassato il Futurismo331. I due gruppi sono però uniti nel contrapporsi alle forze del passato incarnate dai Mollenti e dagli interessi delle nazioni straniere che sono rappresentate da Lord Antiquity. Quando gli Spaziali sono processati per aver bombardato Venezia, Furr, capo dei Velocisti, interviene durante l’istruttoria, che ha luogo tra le rovine del Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco. A conferma di quanto sostenuto innanzi, le parole di Furr sono una ripresa quasi letterale del motto («dov’era e com’era») che accompagnò la reale ricostruzione del campanile dopo il crollo del 1902: «[…] io, io Furr, capo dei Veloci, m’impegno a ricostruirla in dieci giorni, come era, tale e quale»332. Accolto a parlare dal 330 Cfr. F.T. MARINETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 10: «La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno». 331 Cfr. F. T. MARINETTI, Teatro, 2004, cit., vol. I, p. 532. 332 Ivi, p. 496. 147 tribunale dei Mollenti, Furr espone il suo piano di ricostruzione della «Santa Venezia» così com’era in passato, ricostruzione dell’identico: [Capo dei Velocisti e presidente del Trust Automobili e Aeroplani] – Difendo Vasto e i suoi compagni! In cambio della loro vita offro la ricostruzione della vostra amata città. Noi Velocisti rifaremo tutto. Incominceremo dai vecchi forti veneziani coi relativi spalti erbosi impregnati del loro umido fascino eroico, disperato e dolente. Al di là delle lagune cureremo anche i dettagli della campagna. I letti dei torrenti in secca saranno da noi rimessi – pardon, stavo per dire a nuovo! – … saranno rimessi a vecchio col loro pietrame che tragicamente ricorda e aspetta l’acqua! Sopra la vostra Santa Venezia io mi propongo di far soffiare dai miei vetrai velocisti in cima ai loro tubi un verdissimo cielo crepuscolare sferico in vetro di Murano; perché le gondole colorate dei bei tempi con lunghi strascichi galleggianti di sete, amoerri, velluti, broccati azzurri si arricchiscano di riflessi verdi. Parlo delle gondole tradizionali, degnamente tarlate da noi…coll’ormai brevettato tarlatore meccanico333. FURR A chi quindi obietta l’impossibilità di ricreare «la venerabile muffa storica e la suggestiva patina del tempo», Furr ribatte: «Non conoscete dunque la meravigliosa macchina inventata da noi che si chiama Passatificio? In dieci minuti rifà due secoli di muffa verde. […] Le ruote trasudano tempo e condensato… Una specie di burro sauro che la macchina stessa spalma sui nuovi pezzi costruiti»334. In realtà, anche questa felice trovata comica che prevede la ricostruzione artificiale, e feticistica, della città distrutta, mediante la ricreazione fantastica degli effetti del tempo, può essere storicizzata considerando la reale preoccupazione per la perdita della patina antica che era impressa sulla vecchia struttura laterizia del campanile di San Marco. Discutendo le modalità della ricostruzione, anche i contemporanei, infatti, rimpiangevano la perdita irrimediabile della «tinta dei secoli»335. 333 F. T. MARINETTI, Teatro, 2004, cit., vol. I, p. 497. 334 Ivi, p. 498. 335 Cfr. U. FRANZOI, La ricostruzione del campanile, in AA.VV., Il campanile di San Marco, cit., p. 114115. 148 Venezia viene dunque ricostruita esattamente uguale alla città bombardata. I conservatori rispondono entusiasticamente. Pattumol, capo degli antiquari esulta: «[…] Anzitutto voglio lodare Iddio che da plagiario ideale ha certamente copiato il nostro universo su gli universi precedenti. Siamo finalmente tornati ai bei tempi della santa patina!»336; Sudiciani, capo dei pittori plagiari, più avanti sentenzia: «Ah! Copiare! Santa cosa! Riprodurre, rifare esattamente! Arricchire il mondo di copie. Conservare la vita, vincere la morte, accumulando le copie di ogni cosa viva! Beffare la realtà. Che si crede unica, con nuove realtà identiche»337. L’entusiasmo generale per questa riuscita copia dell’antica Venezia sembra far propendere verso l’assoluzione degli Spaziali. Un popolano chiosa in dialetto: «Certamente, povero Vasto [Capo degli Spaziali], el ga bombardà Venesia per tropo amor: Asolvemolo. Bisogna anca felicitar i Veloci e ’l bravo Furr che xe un bon conoscidor de la nostra antichità venesiana»338. È un giudizio di assoluzione, quest’ultimo, che ricorda le mosse del manifesto marinettiano Contro Venezia passatista («Noi ripudiamo l’antica Venezia […] che noi pure amammo»), ma per intervento di Lord Antiquity sia gli Spaziali che i Velocisti, forze avanguardiste del rinnovamento, vengono condannati. Marinetti, dal canto suo, non poteva che disapprovare questa mera riproduzione del passato, intuendo però allo stesso tempo il destino feticistico dell’opera d’arte moderna, destinata alla copia, alla riproduzione del già fatto, surrogabile all’infinito. Per 336 F. T. MARINETTI, Teatro, 2004, cit., vol. I, p. 503. 337 Ivi, p. 508. 338 Ivi, p. 504. 149 questo la distruzione futurista è un gesto di per sé artistico, perché trasferisce l’aura dell’arte dall’oggetto all’atto performativo dell’artista. Che è poi il presupposto di buona parte dell’arte contemporanea339. In questo senso, in sé contraddittorio,340 va letta la fede marinettiana nel progresso: «Abbiate fiducia nel progresso, che ha sempre ragione, anche quando ha torto, perché è il movimento, la vita, la lotta, la speranza. E guardatevi dall’intentare dei processi al Progresso. Sia pure impostore, perfido, assassino, ladro, incendiario, il Progresso ha sempre ragione». 3.3 Venezianella e Studentaccio […] aiutami a decifrare l’ora inquieta in cui perfeziono Venezianella e Studentaccio F.T. Marinetti, Venezianella e Studentaccio Nel 1944, l’anno della morte, Marinetti quindi scrive Venezianella e Studentaccio, una delle sue ultime opere che attende ancora oggi di essere pubblicata a più di sessanta anni dalla sua stesura. È vero, come abbiamo ricordato, che i primi quattro capitoli del romanzo sono già stati divulgati da Amerigo Fabbri sulla rivista «Yale Italian Poetry»341, ma la sua edizione, per altro discutibile sul piano dei criteri adottati, ignorava 339 Sul concetto di copia e feticcio nell’arte contemporanea, cfr. W. BENJAMIN, Paris, Capital of the Nineteenth Century, in ID., Reflections. Essays, Aphorims, Autobiographical Writings, a cura di P. Demetz, New York, Schocken Books, 1986, p. 153; S. BENVENUTO, Le réel à l’époque de la reproductibilité technique. Notes en marge de Walter Benjamin, in «Ligeia», a. XXIII, n. 101-102-103-104, LuglioDicembre 2010, pp. 35-44; e G. AGAMBEN, Stanze, cit., p. 42. 340 341 F.T. Marinetti, Guerra sola igiene del mondo, in TIF, p. 316. Cfr. F.T. MARINETTI, Venezianella e Studentaccio, in «Yale Italian Poetry» (YIP), n. 5-6, 2001-2002 [2003], pp. 199-226. L’esistenza dell’opera è documentata già nella seconda edizione di C. SALARIS, Storia del Futurismo, Roma, Editori Riuniti, 1992, p. 276. L’opera è ricordata, inesattamente, anche da J. SCAPPETTONE, Utopia Interrupted: Archipelago as Sociolyric Structure in A Draft of XXX Cantos, in 150 l’esistenza di un manoscritto in parte autografo ed è basata esclusivamente sulle copie dattiloscritte che si trovano presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Yale University; la Beinecke, infatti, acquisì il Fondo Filippo Tommaso Marinetti Papers (GEN MSS 130) dopo la morte della vedova, Benedetta Cappa, nel 1977, ma alcune carte sono rimaste in possesso degli eredi. Una nuova edizione del testo dovrà basarsi sulla decifrazione dell’originale manoscritto e non sui due dattiloscritti realizzati da uno o più copiatori di modesta cultura, in ogni caso dopo la morte dell’autore. Come abbiamo già in parte anticipato, Marinetti scrisse questo «aeroromanzo» o «aeropoema» durante il suo ultimo soggiorno nell’odiatamata Venezia, dove si rifugiò con la famiglia dopo aver lasciato la casa romana di Piazza Adriana cercando riparo dai bombardamenti da cui Venezia veniva risparmiata. Marinetti era immobilizzato in casa per la degenerazione delle sue condizioni di salute; l’abitazione che si diceva fosse stata dell’Aretino si trovava proprio di fronte alle Pescherie, un palazzo con vista sul Ponte di Rialto, tra il rio dei Santi Apostoli e quello di San Giovanni Crisostomo342. Da lì, guardando il Canal Grande sul balcone domestico, lo scrittore concepì questo romanzo che va ad arricchire l’illustre tradizione delle rappresentazioni letterarie di Venezia con nuove immagini, a metà strada tra una grande concretezza di dettagli e una vena di delirante surrealismo. C’è insieme una peculiare sensibilità piena di vita che trascende nella trasfigurazione dell’arte la drammatica situazione storica di quegli anni. La pulsione e le dinamiche erotiche tra i due protagonisti eponimi accompagna la tensione artistica PMLA, vol. 122, n. 1, Gennaio 2007, n. 6, p. 120. Venezianella, infine, è ricordata anche in M. HÄRMÄNMAA, M. Un patriota che sfidò la decadenza, Helsinki, Academia Scientiarum Fennica, 2000, n. 71, p. 29. 342 Cfr. G. AGNESE, Marinetti: una vita esplosiva, cit., p. 305. 151 per la creazione di una “Nuova Venezia” in cui si sublima in modo emblematico il tentativo di ricostruzione del mondo che ha contraddistinto l’avanguardia futurista. La doppia nomenclatura d’autore, quella di «aeroromanzo»/«aeropoema», sta ad indicare, oltre al consueto prefisso caratteristico del secondo futurismo (si pensi alle aeropitture di Crali o di Dottori), la natura ibrida di prosa lirica tipica dello stile marinettiano343. Dal punto di vista stilistico, l’opera può essere assimilata al più o meno coevo Aeropoema di Gesù, pubblicato postumo a cura di Claudia Salaris nel 1991344. Ma a differenza dell’Aeropoema di Gesù (che è una vivace serie di episodi lirici abbastanza indipendenti l’uno dall’altro) Venezianella e Studentaccio si presenta come un vero e proprio romanzo, strutturato in dialoghi e con una complessa trama narrativa, anche se lo stile dominante resta analogico e lirico. La narrazione fluisce di paragrafo in paragrafo senza segni di punteggiatura, ma per il resto gli elementi associati allo stile futurista degli anni eroici (paroliberismo, verbi all’infinito, ecc.) non inficiano la leggibilità complessiva del testo. Dal punto di vista della trama, il romanzo sviluppa due temi principali che si incarnano in quel personaggio enigmatico che è Venezianella345. I due motivi, sabiani, 343 Per la definizione di Venezianella come ibrido di prosa e poesia, cfr. F.T. MARINETTI, L. SCRIVO, P. BELLADONNA, Il romanzo sintetico, (1939) in TIF, p. 224, dove Marinetti parla della necessità di superare il «romanzo poetico o poema narrativo» citandone come esempi lo stesso Mafarka il futurista e Il trionfo della Morte di Gabriele d’Annunzio. Nella stessa sede compare l’indicazione della triade Dujardin, Proust e Joyce come campioni della «degenerazione del “monologo interiore”» ricordati anche in Venezianella. 344 Cfr. F.T. MARINETTI, L’Aeropoema di Gesù, a cura di C. Salaris, Montepulciano (SI), Editori del Grifo, 1991. 345 Cfr. G. BALDISSONE, Beatrice Marinetti: da Dante a “Venezianella”, in Il personaggio nelle arti della nrrazione, a cura di F. Marenco, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007, pp. 121-138. Il saggio che presenta alcune inesattezze, come la datazione ai primi anni Quaranta, non meglio giustificata, insiste su una lettura in chiave cristologia del personaggio di Venezianella, come proiezione di Benedetta Cappa sulla 152 che richiamano il Fuoco di D’Annunzio, sono quelli della città e della donna, temi che si intrecciano insieme in uno sviluppo narrativo coerente e veloce. La narrazione procede in 19 capitoletti, da un minimo di una pagina all’ultimo, il più esteso, che supera le dieci pagine; tutti i capitoli sono provvisti di un titolo eccetto il primo. Studentaccio346, volontario universitario in licenza medica dal fronte, innamoratosi della bella Venezianella, crocerossina sempre in fuga, musa ispiratrice e novella Angelica, guida i cantieri futuristi sulla Riva degli Schiavoni per la costruzione della Nuova Venezia. In un andirivieni di animati inseguimenti alla ricerca della donna come di un ideale di bellezza da imitare, Studentaccio riesce a realizzare la sua improbabile impresa architettonica, ma solo dopo aver sconfitto l’ostilità interna dello scettico vetraio Oscurantino e quella esterna impersonata da un minaccioso esercito di pantegane che assediano i cantieri per ben cinquant’anni. In quella che è anche una dichiarazione di poetica, Marinetti spiega il motivo misterioso delle fughe di Venezianella ricorrendo all’eziologia della città stessa: «Poiché Venezia ha per origine una fuga da terraferma a isole in collaborazione col caso è indiscutibile che il capolavoro non è necessariamente il risultato di un piano preciso predisposto ma può anche nascere casualmente labirinticamente a vanvera»347. Con falsa riga della Beatrice dantesca. Stessa tesi anche nel profilo della nuova edizione accresciuta della monografia della medesima studiosa, cfr. G. BALDISSONE, Filippo Tommaso Marinetti, Milano, Mursia, 19861, p. 164. 346 Per una spiegazione del nome del protagonista, cfr. MARINETTI, BOCCIONI, CARRÀ, RUSSOLO, Contro Venezia passatista, in TIF, pp. 36-37: «Oh! come balleremo, quel giorno! Oh! come plaudiremo alle lagune, per incitarle alla distruzione! E che immenso ballo tondo danzeremo in giro all’illustre ruina! Saremo tutti pazzamente allegri, noi, gli ultimi studenti ribelli di questo mondo troppo saggio!». 347 F.T. MARINETTI, Venezianella e Studentaccio, in Filippo Tommaso Marinetti Papers (GEN MSS 130), Beinecke Rare Book and Manuscript Library, cartella 1666, p. 13. 153 un’immagine che appare surrealistica, ma al tempo stesso anticipa sviluppi dell’architettura e dell’urbanistica contemporanee, la Nuova Venezia è realizzata sulla Riva degli Schiavoni, senza che per questo la vecchia città venga prima abbattuta. Dopo una battaglia di stili architettonici tra presente e passato, la Nuova Venezia si erge sotto forma di abito femminile, in una sorta di grande cerimonia di vestizione, erotica e solenne allo tempo stesso. Ecco allora che la nuova costruzione si presenta come il risultato compromissorio e combinatorio di un virtuosistico riuso della Venezia del passato, mediante una riproduzione ingigantita e antropomorfizzata dell’originale: «Venezianella intuisco la tua critica all’architettura di ciò che sarà il nostro capolavoro e che certamente tu sognavi sgombra di qualsiasi ricordo del passato ma voglio sia la tua scultura smisuratamente ingigantita cioè la bellissima veneziana ideale alla moda veneziana e che ti rassomigli veramente come tu rassomigli a S. Marco al Palazzo Ducale Ca’ d’oro»348. La nuova città è, infatti, una costruzione verticale, una statua colossale che riproduce le fattezze di Venezianella, mediante la sovrapposizione di sette basiliche di San Marco, che formano una gonna chilometrica, e del Palazzo Ducale, a guisa di camicia alla moda veneziana, il tutto sormontato dalla Ca’ d’Oro: «La Riva degli Schiavoni è da tempo trasformata nel tumultuoso cantiere che circonda e nutre di nuove forme e colori la già alta Nuova Venezia con la sua chilometrica ondulata gonna di 348 F.T. MARINETTI, Venezianella e Studentaccio, cit., p. 35. Per l’allegoria della nazione in veste femminile, cfr. il cap. 1 di A. M. BANTI, L’onore della nazione, Torino, Einaudi, 2005, pp. 3-32. Si consideri, inoltre, la tradizione veneziana dell’eterno femminino e del culto mariano di cui parla P. ACKROYD, Venice: Pure City, New York, Random House, 2009, pp. 267-282. 154 pompose basiliche S. Marco e al disopra s’innalza il nuovo ingigantito palazzo ducale schiena e petto architettonico con diametro cinquecento metri»349. È esattamente questo l’approdo finale della scrittura marinettiana su Venezia, una nuova costruzione ibrida: la donna e la città che si compenetrano. La Nuova Venezia è, dunque, un feticcio dalle fattezze di donna, che a sua volta è rappresentata attraverso un’immagine antropomorfica che però riusa una fantasiosa combinazione di elementi architettonici del passato. Feticisticamente, si tratta della presenza di un’assenza, perché la Nuova Venezia sorge sulla Riva degli Schiavoni e non presuppone la distruzione della città antica, della città reale. Si riafferma sostituendolo ciò che non si nega. È questa la pars construens dell’iconoclastia marinettiana. La protagonista femminile del romanzo resta enigmatica nel suo equilibrio, abilmente costruito dall’autore, fra l’allegoria (Venezianella incarna la città di Venezia) e la concretezza della rappresentazione di questa sensuale, giovane donna. A differenza di quasi tutta la narrativa importante su Venezia, dal modernismo a oggi, il romanzo di Marinetti non è malinconico o drammatico ma è caratterizzato da un’atmosfera di gioia primaverile. In questo senso esso potrebbe essere visto come una palinodia del proclama marinettiano del 1910, Contro Venezia passatista, se non fosse che già in quel breve e intenso testo si ravvisava una fertile ambivalenza verso la città lagunare e la sua simbologia. A questo proposito, dunque, si legga un passo dove il discorso metaletterario marinettiano rivela la sua carica eversiva e innovativa nei confronti di una rappresentazione tradizionale della città, a cui questo felice romanzo porge un ultimo omaggio giocoso e gioioso, consapevole della propria originalità: 349 Ivi, p. 73. 155 Mi piace polemizzare garbatamente col lettore che ha soltanto il difetto di esigere dallo scrittore una visione poco diversa dalla sua Caro lettore uso come sei ad assaporare un torturante dolore o una disperata tristezza certamente mi accusi di trascurare le famose malinconie di Venezia e le sue notti cupe a tonfi di remi addolorati “Pronta paron” interviene la gondola-traghetto che regolarmente scambia un verde giardino-prato-veronese-bandiera col verde bottiglia della Pescheria […]350 Dopo aver richiamato l’attenzione dei lettori sullo «spavento di una non distanza tra ciò che si presenta come indifferibile tragedia e ciò che invita al riso più sfrenato», Luigi Ballerini ha coniato la formula dell’«“andirivieni” dell’alterità» per spiegare una certa ambiguità o ambivalenza di registri che accompagna, secondo il critico, le non meglio distinte «scritture veneziane»: «Non è che i due registri coesistano uno accanto all’altro, secondo qualche artificio analogico, è che quando pensi di averne individuato uno t’accorgi che in realtà si tratta dell’altro…e viceversa! Lo scatto perennemente ulteriore delle scritture veneziane di Marinetti è rappresentato da questo stesso “andirivieni” dell’alterità»351. Indubbiamente suggestionato dalle circostanze esterne e interne ai testi veneziani, il poeta Ballerini conclude concependo con una azzeccata immagine lagunare in cui rileva la necessità di «affrontare il galleggiare di un linguaggio in cui il ripugnante e l’esaltante sono avvertibili perché inseparabili. Non è terra né acqua: è la palude definitiva»352. Seguendo questa suggestione, possiamo dire che c’è, in 350 F.T. MARINETTI, Venezianella e Studentaccio, cit., p. 40. 351 L. BALLERINI, «Isole in collaborazione col caso», cit., p. 48. 352 Ibidem. 156 effetti, qualcosa di melmoso, di composito nello stile dell’ultimo Marinetti, lutulento e materico. Nella teoria freudiana il feticcio è un oggetto sostituto che colma il vuoto di un oggetto mai esistito (il pene materno, «il solo pene importante in psicoanalisi»353). È il superamento di un’assenza, di una mancanza, ma anche la negazione di tale mancanza. Il feticismo instaurato dal futurismo marinettiano nei rispetti della tradizione è dunque di tipo particolare: in questo caso, infatti, l’avanguardia medesima e i suoi nuovi oggetti d’arte, vale a dire l’oggetto sostituto, si impongono di colmare il vuoto di un’assenza, quella della tradizione (l’oggetto sostituito), che però, a differenza del pene materno, esiste. È pur vero che nell’ottica futurista, tuttavia, la tradizione in quanto operante nel passato non esiste o non dovrebbe esistere più nel presente e, per tanto, il feticcio della tradizione colma di fatto il vuoto lasciato dalla sua assenza/negazione. È una negazione della storia, della Storia con la s- maiuscola, che però ha in comune col procedimento del Verleugnung freudiano l’inevitabile affermazione di ciò che nega: Je sais bien, mais quand même…354. 353 J.-P. KLOTZ, L’oggetto feticcio, in L’oggetto feticcio e il significante fobico. Commento al Seminario IV. La relazione d’oggetto di Jacques Lacan. Prefazione di A. Di Caccia, Macerata, Quodlibet, 2004, p. 31. 354 Così illustra il «fetishistic disavowal» anche B. SPACKMAN nella prefazione di Fascist Virilities: Rhetoric, ideology, and Social Fantasy in Italy, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1996, p. xi. 157 Epilogo Two is the beginning of the end. J. M. Barrie, Peter and Wendy In the history of art late works are the catastrophes Adorno, Beethoven Uno dei biografi di Marinetti dà notizia di una lettera di Benedetta Cappa scritta dopo la morte del marito al poeta e critico Giuseppe Villaroel: «Quando si potranno guardare i manoscritti di Marinetti, quelli degli ultimi otto volumi che compì nei due anni in cui il cuore malato, malato per troppo sentire e soffrire e lavorare l’obbligo all’immobilità, volumi che saranno pubblicati, si vedrà come un tormentato tessuto da decifrare»355. In questo mio studio, ho cercato di puntare lo sguardo a quel “tormento”, un tormento fatto più di pensieri e ripensamenti che di varianti testuali. Del lavoro filologico, che ho potuto intraprendere studiando il Fondo marinettiano della Beinecke Library di New Haven, do parzialmente conto nell’Appendice con la divulgazione di un inedito marinettiano in edizione critica, ma anche nell’analisi di testi rimasti sostanzialmente inesplorati. La stessa testimonianza di Benedetta, del resto, potrebbe nascondere un caso filologico. Quali sono, infatti, le opere a cui la moglie di Marinetti allude parlando di ben «otto volumi»? È per me ora difficile dirlo, visto che le carte di Yale sono raccolte in cartelle che separano le singole opere secondo un ordinamento principalmente dovuto a Luce Marinetti Bardi, la terzogenita del poeta. Non tutte le carte dello scrittore, d’altra parte, confluirono nei due principali archivi marinettiani, entrambi americani, quello 355 W. VACCARI, Vita e tumulti di F.T. Marinetti, Editrice Omnia, Milano, 1959, pp. 377-378. 158 appunto della Beinecke Library e quello alla Research Library del Getty Research Institute di Los Angeles356. A ciò si aggiunga l’affermazione del critico Luigi Ballerini che, proprio a proposito di Venezianella e Studentaccio e del Fondo Marinetti alla Beinecke Library, menziona una «prodigiosa quantità di inediti, la cui pubblicazione potrebbe ulteriormente modificare il profilo, sub specie poetae (e non solo) di F.T. Marinetti»357. La decifrazione del manoscritto per quanto sia operazione di grande responsabilità, e necessaria, non esaurisce il compito del critico, ma da lì è indispensabile partire per una piena valutazione della scrittura marinettiana che non eviti di fronteggiare l’ultima fase della carriera dell’autore per modificarne il profilo critico-letterario. In un articolo dedicato all’ultima fase della parabola artistica del pittore futurista Giacomo Balla, Giovanni Lista, uno dei maggiori studiosi del movimento, ha recentemente dichiarato: «La storiografia futurista ha la consuetudine di fermarsi poco dopo la metà degli anni trenta. L’ultimo periodo storico del movimento e gli avvenimenti immediatamente successivi, cioè gli anni in cui gli artisti futuristi erano ancora operativi subito dopo la guerra, sono oggetto di una sorta di autocensura: storici e studiosi 356 Cfr. Futurismo. Dall’avanguardia alla memoria, Atti del Convegno internazionale di studi sugli archivi futuristi, Rovereto, Mart, 13-15 marzo 2003, a cura di V. G IROUD e P. PETTENELLA, Milano, Skira, 2004. Le collezioni riguardanti Marinetti preservate al Getty Institute si suddividono in tre principali raccolte: 1) la prima conserva appunti di lezioni e documenti risalenti agli anni di scuola ad Alessandria d’Egitto; 2) la seconda deriva invece dagli archivi di famiglia e dalla documentazione del segretario Luigi Scrivo, assistente personale dello scrittore sin da prima degli anni Trenta; il terzo archivio contiene scritti e opere di Marinetti e della moglie Benedetta. I materiali sono datati in ampio lasso di tempo dal 1902 al 1965 ma si concentrano nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale che qui abbiamo preso in esame. Per una più dettagliata descrizione, si veda, nel suddetto volume, M. REED, Il futurismo come storia dell’arte: le collezioni speciali del Getty Research Institute, pp. 41-54. 357 L. BALLERINI, «Isole in collaborazione col caso»: appunti per una lettura delle scritture “minori e maggiori” di Filippo Tommaso Marinetti, in «il verri», n. 42, febbraio 2010, n.1 p. 35. 159 preferiscono non occuparsene per motivi oscuri, anche se facilmente, intuibili»358. In questo studio, ho cercato di occuparmi esattamente di quel periodo negletto per intraprendere una rilettura che consenta la decifrazione del “tormento” di quei tormentati anni, anni tragici e cruciali per la storia d’Italia e del mondo. Rievocando gli ultimi mesi nella Repubblica di Salò, la testimonianza della figlia Luce, a cui più volte siamo ricorsi perché testimone oculare degli ultimi giorni di vita dello scrittore, attesta di una sfida tormentata tra la scrittura e la storia: «C’era un’atmosfera distruttrice e ossessionante. Papà cercava sempre di opporsi a questo con la sua Poesia. Era magico: nonostante tutto, si riusciva per mezzo suo ad ascoltarla ed amarla»359. «Nous commençons enfin à lire Filippo Tommaso Marinetti – ce qui signifie que nous commençons enfin à lire un des auteurs majeurs de la littérature européenne du vingtième siècle, un auteur qui a lancé à la poésie italienne contemporaine un défi qui attend toujours d’être relevé […]»360. Il riferimento testuale nelle parole del critico è ovviamente alla celebre conclusione del Manifesto del Futurismo: «Ritti sulla cima del mondo, noi scagliamo, una volta ancora, la nostra sfida alle stelle!...»361. Abbiamo raccolto questa sfida, rilanciandola, convinti dell’importanza culturale di Marinetti e dell’opportunità storica di una sua rivalutazione complessiva en poète. 358 G. LISTA, Il neofuturismo di Giacomo Balla, in «Annali di Italianistica», vol. 27, 2009, pp. 369. 359 L. MARINETTI, Ricordo di Marinetti mio padre, in C. SALARIS, Filippo Tommaso Marinetti, cit., p. 37. 360 P. VALESIO, F.T. Marinetti et la littérature de l’extrême, in «Ligeia», a. XXIII, n. 101-102-103-104, p. 19. 361 F.T. MARINETTI, Manifesto del Futurismo, in TIF, p. 14. 160 Di ben altro avviso era, infine, Pier Paolo Pasolini. In quell’esempio grandioso di idiosincratica critica militante, che è la recensione pasoliniana al volume Per conoscere Marinetti e il futurismo, uscito nel 1973 a cura di Luciano De Maria362, Pasolini scrive sprezzantemente che non «esiste in tutta la storia della poesia italiana un facitore di versi più povero di lui [=Marinetti]»363. La frustrazione è esplicitamente il tema principale di questa stroncatura letteraria. Frustrazione del critico che si scopre in una reazione fin troppo vibrante da parere suscettibile: «Gli strumenti che servono ad analizzare delle forme letterarie, che sono, per definizione, prodotti dell’intelligenza (anche se irrazionali, o in polemica con l’intelligenza sotto forma di logica), riescono assolutamente inservibili nel caso di Marinetti. La frustrazione che ne deriva al critico è molto spiacevole»364. «Frustrazione» è una parola chiave, l’altra è «scandalo»: «[…] con la sua unicità [Marinetti] mette in crisi l’intero sistema a cui egli [=il critico] è abituato; è il vero scandalo»365. Certo, non dispiaceva a Pasolini una letteratura intesa come scandalo, ma non tutti gli scandali sono di proprio gusto. 362 Per conoscere Marinetti e il futurismo. Un’antologia a cura di L. D E MARIA, Milano, Mondadori, 1973. 363 P.P. PASOLINI, [Alcuni poeti], (7 ottobre 1973), in ID., Descrizioni di descrizioni, a cura di G. Chiarcossi. Prefazione di G. Dossena, Milano, Garzanti, 1996, p. 249. 364 Ibidem. Ma si ricordi che, da perfetto prototipo avanguardistico qual era, Marinetti aveva già affermato consapevolmente: «Bisognerà, per questo, rinunciare ad essere compresi. Esser compresi, non è necessario. […] Facciamo coraggiosamente il “brutto” in letteratura, e uccidiamo dovunque la solennità», F.T. MARINETTI, Manifesto tecnico della letteratura futurista, in TIF, p. 53. 365 Ivi, p. 250. Cfr. P.P. PASOLINI, Le ceneri di Gramsci, in ID., Bestemmia. Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 1995, p. 227: «[…] Vivo nel non volere / del tramontato dopoguerra: amando / il mondo che odio – nella sua miseria / sprezzante e perso – per un oscuro scandalo / della coscienza… Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere». 161 Un altro raffinato critico, il già ricordato Giacomo Debenedetti, aveva espresso la frustrazione del critico davanti a quell’unicum che è Marinetti, tuttavia lo studioso biellese riconosce a Marinetti un «fato irrequieto e contraddittorio» ma anche un’innegabile dimensione d’«artista». La genealogia dello scomposto quanto acuto intervento di Pasolini è da rintracciare proprio nel saggio di Debenedetti che così cominciava la sua recensione al Poema africano marinettiano: «È troppo facile dire di no a Marinetti, soprattutto adesso ch’è finita l’epica degli scandali, e nessun giudizio su di lui può più aver sapore di partito preso. La maniera più sbrigativa ce la fornirebbe sempre ancora quel famoso enfant terrible che, portato davanti un quadro d’avanguardia, sentenziava: “Tutto bene: ora bisogna terminarlo”. Ma fra le non molte cose concesse al critico, una almeno gli è strettamente vietata: quella di mettersi a fare l’enfant terrible»366. Era il 1937. La terza parola chiave del geniale intervento di quell’enfant terrible che era Pasolini è ‘miracolo’. Con condiscendente spirito di superiorità, Pasolini mostra di stupirsi quando, frequentando l’opera di Marinetti, «imprevedibile e da leggersi fuori dal contesto – appare qualche frase intelligente». Non può che chiamarli: «Miracoli della stupidità»367. Tutto bene, io direi, per concludere: a “miracol donato” non si dovrebbe guardare troppo in bocca. O forse sì, ma noi siamo qui per questo. 366 G. DEBENEDETTI, Il «Poema Africano» di Marinetti, in ID., In Saggi, a cura di A. Berardinelli, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1999, p. 577. 367 P.P. PASOLINI, [Alcuni poeti], cit., pp. 251-252. Il pezzo di Pasolini ha ispirato il volume di R. RINALDI, Miracoli della stupidità. Discorso su Marinetti, Torino, Tirrenia Stampatori, 1986. Sul rapporto MarinettiPasolini si veda P. VALESIO, Gli anni colorati, in Arte d’avanguardia e società. L’esperienza futurista nel pensiero sociale e culturale contemporaneo, a c. di Ilaria Riccioni, Roma, L’albatros, 2006, p. 52, dove la recensione pasoliniana viene definita «un omaggio perversamente antifrastico». 162 Opere citate Accame, G., L’economista e il politico, in C. Salaris, a c. di, F. T. Marinetti. 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[…] Marinetti disse: «Perché Gabriele ci ha lasciato?» Yvon De Begnac, Taccuini mussoliniani Un anno dopo la morte di Gabriele d’Annunzio, in una lettera del 1939 indirizzata al Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri, Filippo Tommaso Marinetti scrive di aver affidato gratuitamente la pubblicazione del suo inedito Poema di Fiume al futurista Mino Somenzi1. Legionario fiumano lui stesso, Somenzi fino al gennaio di quell’anno aveva difeso sulle pagine della propria rivista, «Artecrazia», l’arte moderna e il Futurismo dagli attacchi provenienti dalla Germania nazista che avevano trovato ampio consenso anche nella destra più reazionaria del Fascismo2. Nella lettera ad Alfieri, Marinetti prospettava un’edizione di lusso in cui l’artista Somenzi, tra i firmatari del Manifesto della aeropittura, si sarebbe distinto per l’originalità delle ∗ Vorrei esprimere la mia riconoscenza in primo luogo a tutti gli eredi Marinetti per la collaborazione e l’autorizzazione a pubblicare il testo. La mia gratitudine va quindi a tutto il personale della Beinecke Library di New Haven, in particolare allo scomparso Direttore Frank Turner e al Responsabile della sezione Modern Books and Manuscripts, Kevin Repp. Ringrazio infine Franco D’Intino e Paolo Valesio, Flora Ghezzo e Paola Pettenella, Mattia Acetoso, Gian Maria Annovi, Davide Bolognesi, Elisabetta Brozzi e, in particolar modo, Nicola Di Nino. 1 La decisione di affidare a Somenzi la pubblicazione dell’inedito è documentata da una lettera ad Alfieri, in data 28 settembre 1939, da Roma, conservata nel Fondo Mino Somenzi ordinato da Paola Pettenella nell’Archivio del ‘900 del Mart di Rovereto (Som. III.27.7). 2 Sull’offensiva oltranzista della destra fascista contro l’avanguardia artistica italiana e il ruolo svolto da Mino Somenzi, attraverso la direzione di una rivista futurista che cambiò tre volte il nome – «Futurismo», quindi «Sant’Elia», infine «Artecrazia» – si veda lo studio di M. VIRGILIO, La politica culturale del movimento futurista negli anni Trenta. Il caso di “Futurismo” – “Sant’Elia” – “Artecrazia”, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 2007, pp. 86-98, ma soprattutto la ricostruzione di C. SALARIS, Artecrazia. L’avanguardia futurista negli anni del fascismo, Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1992, pp. 203-210. Cfr. C. SALARIS, Marinetti. Arte e vita futurista, Roma, Editori Riuniti, 1997, pp. 308-315. Si veda quindi il profilo su Stanislao Somenzi (Mino), redatto da P. PETTENELLA in Dizionario del Futurismo, a cura di E. GODOLI, Firenze, Vallecchi – Mart, 2001, pp. 1093-1097. 183 sue soluzioni grafiche. Il Poema di Fiume è rimasto però inedito, come buona parte delle opere marinettiane dell’ultimo periodo, pubblicate prevalentemente in edizioni postume. Di fatto, anche dopo le celebrazioni internazionali per il centenario del movimento, il padre del Futurismo rimane un «autore da sempre più studiato che letto»3, e ancora insufficiente è l’apporto della critica letteraria sul Marinetti scrittore, soprattutto per quanto attiene al cosiddetto secondo Futurismo4. La divulgazione di questo poema, con un’edizione critica frutto della collazione delle due diverse stesure del testo conservate alla Beinecke Library della Yale University5, si inserisce nel processo di rivisitazione delle opere dello scrittore, quel Marinetti ancora «inedito» e parzialmente misconosciuto di cui ha cominciato a riparlare Luciano De Maria a partire dal 19686. Nella sua preziosa bibliografia marinettiana, Domenico Cammarota include il Poema di Fiume nell’elenco delle opere inedite dell’autore; lo studioso indica scrupolosamente la collocazione del poema nel fondo della Beinecke, ma non segnala l’esistenza di una seconda cartella che contiene una prima stesura del testo (qui indicata con la sigla B1), e che è stata 3 L. TONDELLI, Futurista senza futuro: Marinetti ultimo mitografo, Firenze, Le Lettere, 2009, p. 5. 4 Sul Marinetti scrittore e la ricezione delle sue opere, si vedano la nota n. 4 e le premesse dell’Introduzione. Tra gli innumerevoli eventi dedicati al Futurismo nell’anno del centenario, ricordiamo un simposio internazionale in memoria di Luce Marinetti Barbi tenutosi alla Columbia University di New York, i cui Atti, a cura di Paolo Valesio e Gino Tellini, sono di prossima pubblicazione. Scopo del simposio, intitolato Beyond Futurism: F. T. Marinetti, Writer, è stato proprio quello di richiamare l’attenzione della critica sulla produzione letteraria marinettiana. 5 Per una ricognizione degli archivi futuristi, cfr. E. CASOTTO e P. PETTENELLA. Futurismo. Dall’avanguardia alla memoria. Atti del Convegno internazionale di studi sugli archivi futuristi, Rovereto, Mart, 13-15 marzo 2003, Milano, Skira, 2004. 6 Si ricordi quanto affermato da De Maria nell’introduzione al volume marinettiano confluito nella collezione dei Meridiani, F. T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Mondadori, Milano, 1983 (19681), pp. XCIII. Partendo dai medesimi presupposti C. SARTINI BLUM ha dedicato all’ultima fase della produzione letteraria marinettiana il sesto capitolo del suo libro, The Other Modernism. F. T. Marinetti’s Futurist Fiction of Power, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1996, pp. 125-162. 184 invece utilizzata in questa edizione7. Nel medesimo luogo, Cammarota pone la data di composizione del poema tra il 1930 e il 1931, ma non fornisce motivazioni a supporto di questa cronologia piuttosto alta rispetto alla data degli eventi narrati. In mancanza di prove documentarie esterne, qui ci limitiamo ad attestare, almeno per la revisione del testo, un termine post quem: il 28 ottobre 1922, la data della Marcia su Roma. Tale data è, infatti, aggiunta in una nota autografa tra le correzioni della seconda stesura (chiamata B2). Nel tentativo di stabilire una cronologia per le diverse fasi di revisione dell’opera, di grande interesse è una variante che contiene un dato storico su cui non è superfluo richiamare l’attenzione. Nel poema compare, infatti, ben tre volte una perifrasi-refrain in cui si allude a Benito Mussolini attraverso l’esplicito riferimento al giornale da lui fondato, il «Popolo d’Italia» (paragrafi 35, 67 e 77). Originariamente Marinetti nominava sempre la prima sede, il proverbiale «covo», in Via Paolo da Cannobio. Tuttavia, in fase di revisione, lo scrittore ha poi sostituito con correzione autografa il primo indirizzo con quello nuovo di Via Lovanio; la variante è però introdotta soltanto nella seconda e terza occorrenza, mentre nella prima, al paragrafo 35, rimane l’indicazione della sede storica, che in questa edizione si riproduce non uniformata alle successive correzioni: Fermo pronto telemetricamente irradiando ordini di fuoco il Capo della Rivoluzione italiana nella redazione del “Popolo d’Italia” via Paolo da Cannobio 28 girante torre a lunghe volate di cannoni esplodenti verità della già navigante corazzata penisola italiana 7 Cfr. D. CAMMAROTA, Filippo Tommaso Marinetti: Bibliografia, Milano, Skira, 2002, p. 121. Due sono i testimoni dattiloscritti conservati presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library, New Haven (CT), Stati Uniti, Marinetti Papers GEN MSS 130, scatola 33, cartella 1512 (B1) e scatola 25, cartella 1316 (B2); per una descrizione dei materiali si veda la Nota al testo. 185 Segue nel testo l’inclusione di un estratto dalla celebre lettera dell’11 settembre 1919 in cui d’Annunzio annunciava a Mussolini la decisione di partire alla volta di Fiume8. L’indirizzo esatto della prima sede del «Popolo d’Italia», dove la lettera apparve il 16 settembre, era in realtà Via Paolo da Cannobio 35 (e non 28). Marinetti lo doveva conoscere bene tant’è che, appena rientrato a Milano da Fiume, dopo un breve soggiorno a Trieste, vi si era diretto a incontrare Mussolini, il 4 ottobre del 1919: «Partiamo all’alba. Treno di lusso per Milano. / A Milano casa piantonata. Questurini in borghese in portineria. La portinaia già avvertita da loro del mio ritorno a Milano. Vado al Popolo d’Italia. Trovo Mussolini»9. La direzione del «Popolo d’Italia» fu trasferita dal locale di Via Paolo da Cannobio a Via Lovanio, all’angolo di Via Moscova, a partire dal novembre del 1920, vale a dire negli stessi giorni in cui veniva firmato il trattato italo-jugoslavo di Rapallo, accordo a cui il giornale dava ovviamente ampio risalto10. La variante sostitutiva e tardiva che introduce il cambio di indirizzo 8 Cfr. F. G ERRA, L’impresa di Fiume. Nelle parole e nell’azione di Gabriele d’Annunzio, Milano, Longanesi, 1966, p. 90, dove si ricorda che la lettera fu affidata da d’Annunzio al tenente medico Sanguineti perché venisse consegnata a Mussolini, come confermato nel Poema di Fiume, paragrafo 34, dove il tenente è chiamato, per un probabile refuso, «Sanguinetti». Il testo di Gerra nella riedizione accresciuta in due volumi del 1974-1975 costituisce ancora oggi la ricostruzione più dettagliata di quei fatti. Cfr. anche R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965, p. 544, dove De Felice, proprio sulla base di quella lettera, ridimensiona l’importanza di Mussolini nei piani dannunziani, mentre l’“apologeta” Marinetti ne rivendica a posteriori una centralità a distanza, “telemetrica”. Lo stesso De Felice raccontando l’impresa fiumana in D’Annunzio politico 1918-1938, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 3, n. 1, lamentava la mancanza di una letteratura storica sull’argomento. Per una ricostruzione che privilegia l’esperienza letteraria, si veda il volume di C. SALARIS, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con d’Annunzio a Fiume, Bologna, il Mulino, 2002, in particolare, il capitolo quarto “Marinetti e d’Annunzio”, pp. 75-98. Di recente pubblicazione è la storia fotografica di M. FRANZINELLI e P. CAVASSINI, Fiume. L’ultima impresa di d’Annunzio, Milano Mondadori, 2009. Infine, si ricordino le pagine dedicate all’impresa fiumana in quella che è forse la più completa monografia sul Futurismo e la politica, G. Berghaus, Futurism and Politics: Between Anarchist Rebellion and Fascist Reaction, 1909-1944, Providence (RI), Berghahn Books, 1996, pp. 134-143. 9 F. T. MARINETTI, Taccuini 1915/1921, a cura di Alberto Bertoni, Bologna, il Mulino, 1987, p. 446. 10 In un primo momento, a partire dal 16 novembre 1920, dunque quattro giorni dopo la sigla del Trattato di Rapallo, sotto la testata del «Popolo d’Italia» inizia a comparire un doppio indirizzo: Via Lovanio, 10, (Direzione – Redazione – Tipografia) e Via Paolo da Cannobio, 35 (Amministrazione – Ufficio di Pubblicità). La nuova sede unica di Via Lovanio fu invece inaugurata ben dopo la fine dell’impresa fiumana nel febbraio del 1924: dal 6 186 è utile per stabilire una cronologia relativa, che fissa dunque un altro termine post quem intorno al novembre del 1920. Tale correzione sembra essere stata dettata da un’esigenza di maggiore esattezza storica da parte dell’autore. Marinetti pare, infatti, rendersi conto soltanto in un secondo momento che la sede della Direzione del «Popolo d’Italia» era cambiata durante il corso dell’impresa fiumana; dunque anche la decisione di preservare l’indicazione del primo indirizzo non deve attribuirsi necessariamente ad una svista quanto piuttosto ad una precisazione con cui lo scrittore ricorda, non senza qualche ambiguità11, quel cambiamento di sede. D’altra parte, va subito detto che l’interesse documentario, che un simile testo inevitabilmente susciterà, non deve in ogni caso far pensare ad una attendibilità assoluta, attendibilità che andrà anzi verificata caso per caso nei diversi riferimenti di cui è intessuto il poema. Questa epica futurista del contemporaneo non sarà comunque letta esclusivamente per reperirvi dei dati storici ed eventualmente sottolineare lo scarto tra la realtà di fatto e la trasfigurazione lirica, soprattutto quando si ricordi che il testo non ha ricevuto una revisione definitiva per la pubblicazione e che attendeva ancora degli altri interventi dell’autore: ad esempio, l’integrazione del nome dei cittadini fiumani nello spazio lasciato da riempire nel primo paragrafo del poema. Marinetti è tuttavia un narratore inattendibile anche per una voluta alterazione della cronologia degli eventi, giacché gli scopi della sua scrittura, poetica e autopromozionale quando non propagandistica, vanno al di là del rispetto dell’esattezza documentaria. Il Poema di Fiume ne dà una prova macroscopica. L’autore, infatti, vi cita postdatandola la propria contestazione febbraio compare solo l’indirizzo Via Moscova (angolo Via Lovanio) – Galleria Vittorio Emanuele, 15 (Direzione – Redazione – Tipografia – Amministrazione – Ufficio di Pubblicità + Abbonamenti). Ma cfr. B. GATTA, Si firmava Mussolini. Storia di un giornalista, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 1998, p. 193. 11 Un’ambiguità risiede, ad esempio, nell’incongruenza storica che discende dall’indicazione del nuovo indirizzo di Via Lovanio in un passo, al paragrafo 67, che precede, nella ricostruzione interna di quelle vicende, la data dell’effettivo trasferimento. 187 parlamentare, quel violento atto di accusa contro Nitti, che pure egli stesso trascrisse più volte altrove. Mi riferisco al cosiddetto “discorso di Montecitorio” declamato dalla Tribuna del pubblico in Parlamento l’11 luglio 1919, due mesi prima dunque della marcia di Ronchi. La trascrizione dell’intervento fu inserita dallo scrittore sia in Futurismo e Fascismo del 1924 sia in Marinetti e il Futurismo del 1929, un anno dopo la morte di Giolitti12. Quest’ultimo dato non sarà forse irrilevante, perché, abolita la punteggiatura, la trascrizione del discorso accolta nel Poema di Fiume riproduce fedelmente la versione contenuta in Marinetti e il Futurismo, dove è espunta l’espressione «Morte al Giolittismo!» che invece compariva nella versione pubblicata nel 1924. Quando nel paragrafo 69 del poema è citato l’episodio in questione, Marinetti si riferisce a Nitti con l’epiteto ingiurioso di «Cagoia», che lui stesso aveva appreso a Fiume e che non compare nelle due opere pubblicate negli anni Venti13; ma, soprattutto, Marinetti attribuisce al fatto un altro significato politico così da ritagliarsi un ruolo di rilievo nell’impresa dannunziana anche dopo l’allontanamento da Fiume: «Per ordinare la sommossa fiumana torno in Italia e a Roma apostrofo alla Camera dei Deputati dalla tribuna del pubblico a nome dei Fasci di Combattimento dei Futuristi e degli Intellettuali Nitti detto Cagoia […]». Marinetti, insomma, rimescola abilmente le carte in un collage di dati ed eventi storici alterati a suo piacimento in una sorta di ricostruzione futurista dell’universo fiumano, non senza una buona dose di quel «solito autoincensamento infantile» che egli stesso rimproverava a 12 Cfr. F. T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, cit., rispettivamente a pp. 530-531 e a pp. 605-608. Nel trascrivere il discorso, Marinetti sembra attribuirsi, tra l’altro, affermazioni fatte in realtà dall’ardito Ferruccio Vecchi, cfr. G. AGNESE, Marinetti: una vita esplosiva, Milano, Camunia, 1990, p. 216, e G. B. GUERRI, Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario, Milano, Mondadori, 2009, p. 190. 13 Cfr. F. T. MARINETTI, Taccuini, cit. p. 437-438 (21 settembre 1919). 188 d’Annunzio14. Ciò che più colpisce fino a spiazzare il lettore del poema è un’inaudita quanto disinvolta commistione tra fatti minuti (ad esempio l’inserimento di nomi di molti personaggi secondari), documenti storici (la lettera di d’Annunzio a Mussolini, la stessa trascrizione del discorso in Parlamento) e la testimonianza diretta dell’autore, a fronte di una tendenza alla trasfigurazione lirica che raggiunge il suo culmine stilistico nella parte centrale dell’opera. Una natura ibrida, come quella del «Centauro» nel testo di Fondazione che precede il Manifesto del Futurismo15, caratterizza buona parte della scrittura marinettiana. Innanzitutto, l’ibrido fondamentale tra prosa e poesia, che nel Poema di Fiume è più che evidente: una prosa che sembra a tratti imitare i bollettini di guerra, telegrafica e al contempo declamatoria, si alterna ad una lingua poetica sperimentale, incline ad un barocchismo nutrito di simbolismo francese ma rinnovata dalle innovazioni tipicamente futuriste (abolizione della punteggiatura, verbi all’infinito, rivoluzione tipografica, ecc.). In un testo che preserva il suo andamento narrativo trovano ugualmente spazio: documenti storici, motti e boutades cameratesche (ad esempio, «Evviva la vulva abbeveratoio degli eroi»16, par. 62), discorsi diretti e dialoghi, il ricorso al dialetto con fini mimetici e comici, apostrofi liricamente elaborate e violente invettive. Come molte altre opere dell’autore, il Poema di Fiume si pone alla convergenza di diversi generi, un 14 Cfr. F. T. MARINETTI, Taccuini, cit. p. 437 (21 settembre 1919). Sul conflittuale rapporto tra d’Annunzio e Marinetti, si veda P. ANTONELLO, On an Airfield in Montichiari, Near Brescia. Staging Rivalry Through Technology: Marinetti and D’Annunzio, in “Stanford Humanities Review”, 7.1, 1999, pp. 88-100, e G. B. GUERRI, Marinetti e D’Annunzio, in F.T. Marinetti=Futurismo, a c. di L. SANSONE, Milano, 24 ORE Motta Cultura, 2009, pp. 123-127. 15 Cfr. F. T. MARINETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., p. 8. 16 Cfr. F. T. MARINETTI, Taccuini, cit. p. 437 (20 settembre 1919). 189 altro ibrido: si tratta, infatti, di un reportage di guerra17, di un poema narrativo o di un pamphlet politico? Nei riguardi dell’impresa fiumana, chiara è la volontà di Marinetti di attuare una strategia di assimilazione e legittimazione, come ha giustamente già osservato Emilio Gentile18. Alla luce di questo nuovo testo, è però evidente anche il progetto di attuare una sorta di sintesi storica di cui sono emblematiche le tre date che compaiono nell’aggiunta manoscritta a conclusione del poema: il 4 novembre 1918 (data dell’entrata in vigore dell’armistizio con l’Austria-Ungheria), il 12 settembre 1919 (giorno in cui d’Annunzio entra a Fiume) e il 28 ottobre 1922 (giorno della Marcia su Roma). Le tre date hanno un valore simbolico che serve a Marinetti per sintetizzare quegli anni e gli avvenimenti incentrati intorno all’impresa fiumana. L’indicazione finale di queste date-cardine aiuta a definire le tre parti in cui il poema è strutturato. Nella prima, quella tramandata dai due testimoni dattiloscritti (le 7 pagine di B1 e le prime 6 di B2), si raccontano le premesse dell’occupazione della città croata a partire dalle ultime operazioni di guerra, con particolare focalizzazione sulle azioni della Brigata Granatieri di Sardegna di cui fa parte Mino Somenzi, protagonista della sezione; la parte centrale, tramandata come la seguente soltanto da B2, celebra liricamente la marcia da Ronchi e l’entrata del Comandante nella «città di vita»; la terza sezione, infine, comincia quasi in parallelo con la descrizione del viaggio di avvicinamento 17 Si ricordino, a tal riguardo, le già ricordate critiche mosse a Marinetti da Roman Jakobson in un saggio su Chlebnikov pubblicato nel 1921; parlando delle parole in libertà futuriste, lo studioso moscovita concludeva: «Questa è una riforma nel campo del reportage, non già nel campo del linguaggio poetico» (ora disponibile in M. D’AMBROSIO, Roman Jakobson e il Futurismo italiano, Napoli, Liguori, 2009, p. 125). In Marinetti, in effetti, ben al di là della distinzione di genere letterario e delle riflessioni di poetica sul piano meramente linguistico, ha sempre prevalso l’idea di un’epica del contemporaneo come reportage, sia in prosa che in versi; si pensi solo a La battaglia di Tripoli e a tutte le altre partecipazioni ai conflitti della sua epoca che sono alla base della letteratura di guerra marinettiana. 18 Cfr. E. G ENTILE, “La nostra sfida alle stelle”. Futuristi in politica, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 114, e, dello stesso autore, Il futurismo e la politica. Dal nazionalismo modernista al fascismo (1909-1920), in R. DE FELICE (a cura di), Futurismo, cultura e politica, Torino, Fondazione Giovanni Agnelli, 1988, pp. 148. Si legga in tal senso questo passo dal paragrafo 64 del Poema di Fiume: «[…] il Comandante aveva solennizzato con adamantina prosa tradizionale l’indispensabile futurismo impetuoso del sangue italiano». 190 di Marinetti e finisce con la menzione ai fatti del «Natale di sangue» del 1920. L’epilogo dell’impresa dannunziana è riletto in termini di una contrapposizione incarnata dalla figura storica del generale Caviglia, già vincitore di Vittorio Veneto e ammiratore del poeta abruzzese; guidando le truppe regie contro i legionari fiumani, Caviglia afferma un «patriottismo legale» contro «un super patriottismo illegale»19. L’opera quindi si chiude con il consueto ricorso alla personificazione-madre del pensiero di Marinetti, quella della patria, che nella prosopopea conclusiva indirizza un’apostrofe multipla a Gabriele d’Annunzio, a Caviglia, ancora a d’Annunzio, infine a Mussolini. Quest’ultimo, prima della fine del poema, è menzionato soltanto una volta, nel paragrafo 34, e poi indicato solo per mezzo della perifrasi «il Capo della Rivoluzione italiana». Mai è utilizzata la parola «Fascismo» o l’aggettivo corrispondente. Quale che sia la data di composizione, la volontà di affidare la pubblicazione dell’inedito a Somenzi nel 1939 non sarà senza legame con la chiusura o, meglio, la soppressione di «Artecrazia». Il numero 117 della rivista, che aveva per tema la difesa dell’italianità dell’arte moderna, fu sequestrato, e stessa sorte spettò al numero successivo, datato 11 gennaio 193920. La 19 Sul ruolo del generale Caviglia, si veda l’accenno contenuto in F. T. MARINETTI, La grande Milano tradizionale e futurista. Una sensibilità italiana nata in Egitto, a c. di L. De Maria, Milano, Mondadori, 1969, pp. 174-175: «[…] il generale Caviglia per devozione alla sua grande vittoria di Vittorio Veneto e all’esercito guidato da lui assedia Fiume e bombardano la casa di Gabriele d’Annunzio […]». 20 Si ricordi che il penultimo numero di «Artecrazia» contiene un’esplicita presa di posizione contro le leggi razziali in un articolo della redazione, attribuito allo stesso Somenzi o a Marinetti: «Oggi è la guerra agli ebrei che vi fa giuoco. Ma fra un ebreo vecchio combattente, squadrista, legionario, fascista e uno pseudofascista, cumulista, arraffatutto, ruffiano, servitore prezzolato di qualsiasi uomo e di qualsiasi partito, purché al potere, io sono decisamente per il primo» (“Italianità dell’arte moderna”, in «Artecrazia», a. VI, n. 117, 3 dicembre 1938). A riprova di una presa di posizione marinettiana contro l’adozione di misure antisemitiche anche in Italia, non andrà quindi dimenticata l’ironia tragica di queste parole di Benito Mussolini: «Marinetti la pianti di credere che il regime voglia lo sterminio degli ebrei. Si tenga i suoi amici, i suoi discepoli ebrei. Nessuno li disturberà mai» (Y. DE BEGNAC, Taccuini mussoliniani, a cura di Francesco Perfetti, Bologna, il Mulino, 1990, p. 358, e ibidem p. 349). È probabile che la decisione da parte di Marinetti di affidare la pubblicazione dell’inedito fiumano al legionario ebreo Mino Somenzi sia da spiegare anche come una forma di gratitudine e solidarietà dopo l’introduzione delle leggi razziali e la soppressione della rivista. Solo nel 1940, il sansepolcrista Somenzi, «ridotto alla fame dopo i sequestri», decise di prendere la tessera del partito fascista, cfr. G. B. GUERRI, Filippo Tommaso Marinetti. Invenzioni, avventure e passioni di un rivoluzionario, cit., p. 252, ma anche C. SALARIS, Storia del futurismo. Libri giornali manifesti, Roma, Editori Riuniti, 1985, p. 203. 191 rivista venne quindi chiusa. Un anno prima il numero 114, uscito l’1 aprile, era stato interamente dedicato a d’Annunzio nel trigesimo della sua morte e conteneva interventi sia di Somenzi che di Marinetti. I due erano andati insieme al Vittoriale nel febbraio del 1938, e un articolo apparso su «Illustrazione Italiana» dà testimonianza di quell’ultimo incontro tra Marinetti e d’Annunzio21. A sigillare questa sorta di visita ufficiale della diplomazia delle lettere italiane di epoca fascista non mancò un galante scambio di doni guerreschi: Marinetti, arrivato a Gardone Riviera con l’automobile dell’avvocato Piccoli, offrì a d’Annunzio «la leva di un bimotore Caproni dedicatagli dagli aeropoeti futuristi e portata dal legionario fiumano Mino Somenzi e dall’aeropoeta Camicia Nera Pino Masnata»; d’Annunzio contraccambiò con «il famoso Gagliardetto dal motto “Me ne frego” che sventolava sulla sua autoblindata entrando in Fiume»22, oggi conservato a Bruxelles presso l’Istituto di Skriptura diretto da Leonardo Clerici. È un incontro assai cordiale, definitivamente riconciliatore. Marinetti finalmente accetta per d’Annunzio il ruolo di “miglior fabbro” e lo definisce «il più grande poeta»; riservando a se stesso il primato dell’invenzione del movimento, si presenta quindi come «l’animatore dell’aeropoesia futurista»23. In quell’ultima conversazione i due scrittori finirono per parlare nostalgicamente di Fiume: «Con la più umile delle gratitudini il poeta ardito mi ricordava un 21 L’incontro avvenne il 10 febbraio 1938 e Marinetti ne pubblicò un resoconto in prima persona dal titolo “Incontro di due grandi poesie” che apparve, sorta di anticipato necrologio, il 27 febbraio del medesimo ’38 in “Illustrazione Italiana”, anno LXV, n. 9, pp. 267-68. L’originale manoscritto dell’articolo, col titolo “Incontro di due poesie”, è conservato presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library, New Haven (CT), Stati Uniti, Marinetti Papers GEN MSS 130, scatola 26, cartella 1352, 12 pagine. Cfr. F. T. MARINETTI, La grande Milano, cit., p. 190. 22 23 F. T. MARINETTI, “Incontro di due grandi poesie”, cit., p. 267. F. T. MARINETTI, “Incontro di due grandi poesie”, cit., p. 268. Si ricordi allora che nell’opera pubblicata postuma e scritta a quattro mani con ALBERTO VIVIANI, Firenze biondazzurra sposerebbe futurista morigerato, Palermo, Sellerio, 1992, p. 233, il ritratto di Marinetti, inserito in una serie di «ritratti paroliberi futuristi», esplicita una piena accettazione dell’influenza dannunziana: «Riamato creatore amante di poesia Stratosferico cacciatore d’immagini e terrestre meteora di bellezza a cui la spada di Ariele Arcangelo dà luce e fuoco». 192 banchetto di guerra rivoluzionaria a Fiume dove mi parve cortese tonificare bruscamente la gioia dei convitati mediante molti irruenti e cesellati brindisi alle sue opere letterarie […]»24. Anche nei Taccuini, in data 24 settembre 1919, Marinetti aveva parlato di un pranzo offerto da d’Annunzio in cui il futurista aveva deciso di omaggiare il Comandante parlando della sua opera letteraria: «Analizzo improvvisando bene, tutte le opere di d’Annunzio. Applausi frenetici. / Gabriele è veramente raggiante di sentirsi così elogiato da un poeta»25. Nel Poema, dove il medesimo fatto è ricordato al paragrafo 62, ecco che l’analisi delle opere dannunziane diventa una “lezione” per lo stesso Vate: «[…] spiego minutamente da tecnico della letteratura a Gabriele d’Annunzio stesso tutte le sue opere e gli strappo una gioia veemente». Inevitabilmente la terza sezione del Poema di Fiume sarà letta sulla falsariga delle memorie dell’autore che nei suoi Taccuini ha lasciato una duplice e vivida testimonianza delle giornate trascorse insieme ai legionari dannunziani26. Appresa la notizia dai giornali, Marinetti era partito da Firenze il 14 settembre, tre giorni dopo l’inizio dell’impresa fiumana, emozionato e, come al solito, reattivo: «13 settembre [1919]. Arriva il nuovo Giornale. Notizia strabiliante. D’Annunzio ha occupato Fiume! Contengo la mia emozione. […]. / Decido di partire domani per 24 F. T. MARINETTI, “Incontro di due grandi poesie”, cit., p. 268. 25 F. T. MARINETTI, Taccuini, cit. p. 440. Lo stesso episodio è stato raccontato anche in Marinetti e il Futurismo, in F. T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, cit., p. 607. 26 Come puntualmente documentato da Alberto Bertoni, esiste nei taccuini una doppia versione autografa relativa al soggiorno fiumano. La prima versione, in data 21-29 settembre 1919, è riprodotta in F. T. MARINETTI, Taccuini, cit. p. 600-603, n. 65. 193 Fiume»27. La permanenza di Marinetti, però, non era durata a lungo. Accorso a Fiume per partecipare alla creazione di un nuovo “ordine poetico”28 della storia di cui si sentiva corresponsabile, già l’1 ottobre, camuffato da ferroviere e assunta una falsa identità (quella del frenatore Bidoni), il fondatore del Futurismo era ripartito per tornare a Milano. «I carabinieri di Trieste scrissero in un loro rapporto riservato che i due personaggi [Marinetti e Ferruccio Vecchi] erano stati bollati da d’Annunzio con l’epiteto di “mestatori”»29, in quanto estremisti repubblicani. Marinetti provvide in seguito a smentire l’esistenza di un dissidio col Comandante, spedendo una lettera al direttore del «Giornale d’Italia», Bergamini, in cui si negava ogni contrasto con d’Annunzio30. La pregiudiziale antimonarchica marinettiana è in ogni caso confermata nel paragrafo 65 del Poema di Fiume: Invano Generali e colonnelli con una balorda simultaneità tentavano di legalizzare militarmente la rivoluzione antimilitare e pretendevano fare la rivolta in nome del Re al punto di esasperare noi che nettamente sentivamo la nostra anima rivoltosa e novatrice per esuberanza di sentimento italiano 27 F. T. MARINETTI, Taccuini 1915/1921, cit., p. 431. L’ellissi è nel testo. 28 Per la distinzione tra un “ordine poetico” e un “ordine politico” in relazione all’interpretazione storica dei fatti di Fiume, cfr. E. GENTILE, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Roma-Bari, Laterza, 1975, pp. 166-186. 29 A. SPINOSA, D’Annunzio. Il poeta armato, Milano, Mondadori, 1987, p. 127. D’Annunzio, Torino, UTET, 1983, p. 433. 30 Cfr. P. ALATRI, Gabriele Il testo di questa smentita è riprodotto in F. T. MARINETTI, Marinetti e il Futurismo, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., p. 607. Sulle voci di un contrasto anche personale con d’Annunzio, si vedano le pagine del diario del futurista Carlo Guglielmino, citato da M. A. LEEDEN, D’Annunzio a Fiume, Bari, Laterza, 1975, pp. 118-119. 194 Sempre nel poema, nei paragrafi 66 e 67, Marinetti pare comunque accreditare la versione ufficiale, per molti soltanto un pretesto, che giustificava il suo allontanamento da Fiume con la necessità di una missione presso Mussolini31: Come sempre per noi lungimiranti animatori attori obbedire semplicemente a qualsiasi ordine dell’Italia sovrana assoluta costituiva costituisce costituirà la formula della massima felicità spirituale Fermo pronto telemetricamente irradiando ordini di fuoco il Capo della Rivoluzione italiana nella redazione del “Popolo d’Italia” via Lovanio girante torre a lunghe volate di cannoni esplodenti verità dalla già navigante corazzata penisola italiana Nel paragrafo 72, si racconta quindi di un complotto ordinato dallo stesso Marinetti insieme a Somenzi e a Mario Carli, direttore della «Testa di Ferro». Era stata prevista una «rivolta nazionale» che, in salvataggio di d’Annunzio e con la collaborazione di gruppi anarchici, avrebbe dovuto estendere la rivoluzione a partire da Milano: A Milano odorando il sanguinoso Natale e volendo salvare d’Annunzio e i fiumani mediante una rivoluzione italiana complottammo Marinetti Carli e Somenzi futuristi e arditi per fare saltare la centrale elettrica la Caserma delle Guardie Regie la Prefettura d’accordo con anarchici indispensabili fornitori di esplosivi da noi cocciutamente patriotizzati 31 Cfr. P. ALATRI, Nitti D’Annunzio e la questione adriatica, Milano, Feltrinelli, 1959, pp. 249-250. 195 Si tratta di un piano eclatante che non venne mai realizzato ma che certo meriterebbe un ampio approfondimento. Marinetti ne riparlò anche in seguito, nei tardi memoriali di La grande Milano tradizionale e futurista: La veemenza della passione patriottica senza paura domina ogni cosa e si muove incarnata in Mario Carli capitano degli arditi poeta futurista e in Mino Somenzi pittore futurista e legionario fiumano Questi due aizzati da alcuni futuristi assetati di prigione alla meglio e alla diavola concretano il trasporto di una colossale bomba ad orologeria per fare saltare la centrale elettrica di Milano32 Al di là della straordinaria ricchezza di riferimenti storici, dal punto di vista letterario il testo marinettiano è più riuscito quando sviluppa il motivo odeporico che troviamo anche in Spagna veloce e toro futurista. Come in quest’ultima opera pubblicata nel 1931, così nel Poema di Fiume assume un rilievo lirico privilegiato la dimensione del viaggio, il viaggio in automobile. Anche il poema fiumano rappresenta, inoltre, un esempio originale di quel «paroliberismo attenuato» che Luciano De Maria riconobbe in Spagna veloce33. Là si descriveva il viaggio del poeta da Barcellona a Madrid, ostacolato dalle Forze del Passato, impersonate da Vento Burbero: «Sforrrzo della automobile che mangia la strada. / Chissà se potrà digerire tutta la parte ingoiata?»34; la personificazione giocava con la catacresi rivitalizzando la metafora del viaggio mentre ironizzava su una consueta immagine di consunzione e digestione, che è centrale in 32 F. T. MARINETTI, La grande Milano, cit., p. 175. 33 Cfr. F. T. MARINETTI, Teoria e invenzione futurista, cit., p. XCI. 34 F. T. MARINETTI, Spagna veloce e toro futurista, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., p. 1028. 196 Marinetti, ad esempio, nella pièce teatrale Re Baldoria. Nel Poema di Fiume, invece, il viaggio è, prima, quello dannunziano della marcia da Ronchi e, poi, quello di avvicinamento dello stesso Marinetti. Mentre viene ripreso il leitmotiv del «febbrone» dannunziano («scotta la febbre nella pneumatica fronte del Comandante», par. 39) in un processo futurista di meccanizzazione, o meglio di “pneumatizzazione” del Vate, il poema procede al contempo in un insistito ricorso alla personificazione delle ruote e, soprattutto, dei polveroni prodottisi lungo il cammino: «canto scoppio dei pneumatici forsennati e ubriachi d’andare» (par. 41), e ancora: «[o] polveroni fedeli servi devoti delle velocità guerriere e rivoluzionarie» (par. 42). La Fiat su cui viaggia è quindi «divenuta consanguinea» al poeta (par. 36): «In testa nella sua Fiat saltellante d’infantile baldanza il febbricitante Gabriele d’Annunzio gode l’opulenza alta dei polveroni» (par. 46). È proprio questa immagine dei polveroni a caratterizzare liricamente il poema; anch’essa si ritrova nella personificazione contenuta nella descrizione di un viaggio in auto, ancora in Spagna veloce e toro futurista: «Fuori s’inobelisca il polverone villanzone che schiaffeggia con manate irte di spazzole vetro e ferro»35. Arrivato a Fiume, Marinetti subisce le beffe cameratesche di Guido Keller, asso della prima guerra mondiale e uno dei personaggi principali dell’impresa fiumana. Protagonista del volo su Roma con il lancio di un pitale sul Parlamento in segno di protesta, Keller giocava «con lenzuoli da fantasma» a fare il lupo mannaro nel cimitero di Fiume oppure si portava sulla carlinga dell’aereo «un somarello o muletto per le “mule” istriane» (par. 58)36. Ma prima 35 36 F. T. MARINETTI, Spagna veloce e toro futurista, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., p. 1021. Per quello straordinario personaggio che era Guido Keller, si veda F. T. MARINETTI, Taccuini 1915/1921, cit., p. 438 (22 Settembre 1919): «Keller, futurista, faccia di portoghese con pizzo di D’Artagnan, occhi grossi sporgenti un po’ adormentati [sic] sotto palpebre pesanti. Aviatore audace. Fa le cose enormi senza darle importanza. Coraggio. Arguzia. Ride di tutto e complotta ridendo. Disprezza tutto ciò che è solenne ufficiale passatista». Cfr., inoltre, C. SALARIS, Alla festa della rivoluzione, cit. pp. 21-25. Il ritratto romanzesco di Keller non fu solo incluso nel romanzo Trillirì di Mario Carli ma è anche ben presente nelle memorie di G. COMISSO, Le mie stagioni, in ID., Opere, a cura 197 dell’arrivo a Fiume, ancora una volta una macchina aveva tradito il suo più celebre cantore, una macchina per questo «poco rivoluzionaria», poco futurista: A rompicollo da Milano a Trieste poi con Pinna Frattini Giunta in una automobile noleggiata ma così poco rivoluzionaria da abbracciare un cumulo di ciottoli e fermarsi dopo due chilometri (Poema di Fiume, par. 52). Di quest’ultimo episodio, che richiama alla memoria l’incidente occorso allo scrittore nell’ottobre 1908 e quindi rielaborato metaforicamente nel testo di Fondazione e Manifesto del Futurismo, Marinetti ha dato testimonianza anche nei suoi Taccuini: «A un terzo di strada l’automobile aggredisce un monte di ghiaia e si sfascia»37. Pure in questo caso, nel passaggio dalla scrittura diaristica al Poema, la rielaborazione della realtà si muove verso un minore realismo in cui ancora una volta la fantasia dell’autore agisce attraverso procedimenti antropomorfizzanti, in base ai quali la macchina viene definita, non senza una possibile ironia, «poco rivoluzionaria». La personificazione è quindi continuata dalla sostituzione del verbo «aggredire» con l’assai meno violento «abbracciare». di Rolando Damiani e Nico Naldini, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2002, p. 1134 ss., e, per l’episodio del cimitero, pp. 1150-1151. Di recente pubblicazione è la biografia scritta da A. BERTOTTO, L’Uscocco fiumano Guido Keller fra D’Annunzio e Marinetti, Firenze, Sassoscritto, 2009. 37 F. T. MARINETTI, Taccuini 1915/1921, cit., p. 432 (15 settembre 1919. Si veda quindi la descrizione dell’incidente in F.T. MARINETTI, Fondazione e Manifesto del Futurismo, in ID., Teoria e invenzione futurista, cit., pp. 8-9. Sul celebre fatto, si veda almeno G. LISTA, Marinetti poeta simbolista e il “complesso di Swinburne”, in Ritratto di Marinetti, a c. di G. DI MAGGIO, D. LOMBARDI e A. BONITO OLIVA, Milano, Fondazione Mudima, 2009, pp. 27-67 e G. LISTA, Le due anime di Marinetti, in Futurismo 1909-2009: Velocità+Arte+Azione, a c. di G. LISTA e A. MASOERO, Milano, Skira, 2009, pp. 67-68; per una interpretazione psicoanalitica dell’incidente, cfr. C. SARTINI BLUM, The Other Modernism, cit., pp. 51-52, e L. TONDELLI, Futurista senza futuro, cit., pp. 147-151. 198 È questo però soltanto un piccolo assaggio delle possibili direzioni in cui la critica potrà andare nell’analizzare un’opera il cui interesse va ben oltre il rappresentare una mera testimonianza «vissuta» su uno degli episodi più romanzeschi e controversi della storia italiana del secolo scorso. 199 NOTA AL TESTO TESTIMONI Due testimoni dattiloscritti idiografi del poema, con correzioni manoscritte autografe, sono conservati nel Fondo delle carte marinettiane presso la Beinecke Library: New Haven (Connecticut), Stati Uniti, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Marinetti Papers GEN MSS 130, scatola 33, cartella 1512 (B1); scatola 25, cartella 1316 (B2). Il primo dattiloscritto, siglato B1, contiene solo la prima sezione dell’opera, 7 pagine numerate a mano, in alto a destra, da 1 a 7. Si tratta di 7 fogli sciolti di carta leggera con filigrana recante la scritta «Extra Strong Francioni», la cui misura è di mm. 280 × 210. Il secondo dattiloscritto, sigla B2, dato a testo nella presente edizione, contiene una seconda stesura di B1 e altre due sezioni, per un totale di 17 pagine numerate a macchina, in alto al centro, da 2 a 17; essendovi per errore due pagine 8 (corrispondenti a pagina 8 e pagina 9), la numerazione è stata corretta, con intervento manoscritto, da pagina 9 a pagina 11, onde proseguire regolarmente. La misura dei fogli è di mm. 320 × 210. Nella prima pagina del dattiloscritto il testo è preceduto da un numero ordinale romano («Io»), scritto al centro leggermente a sinistra. Entrambi i testimoni sono adespoti ma non ci sono dubbi sulla paternità marinettiana del testo, sia per la collocazione attuale, avallata dalla sistemazione degli eredi nella persona della figlia del poeta, Luce Marinetti Bardi, sia per motivi prettamente linguistico-stilistici, che consentono un sicura attribuzione. 200 È impossibile stabilire se il poema sia stato abbozzato in una versione manoscritta andata perduta o se sia stato piuttosto dettato e battuto a macchina sin dalla prima stesura. Pur mancante di una revisione finale da parte dell’autore, si dà a testo la versione di B2 non solo perché più ampia rispetto a B1, e completa nel suo sviluppo narrativo, ma anche perché sicuramente successiva come dimostrano le varianti, da ritenersi generalmente migliorative, che accolgono ad esempio la correzione manoscritta e tardiva del dattiloscritto B1 al paragrafo 28. Se B2 rimane anepigrafo, B1 presenta una nota manoscritta, certamente autografa, con la dicitura: «Prima forma del Poema di Fiume» (in alto sulla prima pagina), che ci conferma l’anteriorità del testimone consegnandoci al contempo un titolo d’autore. Il ductus degli interventi manoscritti è piuttosto regolare, tendenzialmente inclinato a destra, leggibile; tali interventi sono complessivamente pochi in B1, più frequenti ma sempre limitati in B2. Le correzioni, manoscritte o a macchina, non sono nel complesso di notevole entità: cassature di parole intere, di sillabe o anche solo di singole lettere per correggere errori o per pentimenti repentini con sostituzione immediata nel rigo; più interessanti le varianti sostitutive, per lo più manoscritte, poste nell’interlinea superiore soprascritte al segmento cassato. Non ci sono varianti alternative mentre non mancano quelle aggiuntive, per lo più manoscritte, poste generalmente nell’interlinea superiore. Poche le aggiunte a margine, forse da collocare in una diversa fase di intervento autoriale. Nel passaggio da B1 a B2 le correzioni e le varianti tendono in generale ad una maggiore precisione semantica e documentaria, benché alcune informazioni rimangano imprecise e lacunose; si pensi anche soltanto allo spazio lasciato in bianco nel primo paragrafo e predisposto per l’inserimento del nome di alcuni cittadini fiumani recatisi a Venezia. Nel complesso si ha l’impressione di un testo giuntoci in una stesura non definitiva ma pulita, e non lontana da una revisione finale. 201 La datazione non è certa, ma secondo la già ricordata ipotesi di Domenico Cammarota sarebbe da collocarsi tra il 1930 e il 1931. In mancanza di esplicite motivazioni, che Cammarota non fornisce, e di altre prove documentarie esterne non reperite, qui si può attestare una datazione relativa che per le correzioni autografe della seconda redazione in B2 è successiva al termine post quem del 28 ottobre 1922, data della Marcia su Roma esplicitamente ricordata nell’ultima nota a margine in aggiunta manoscritta; un evento cui probabilmente si allude nell’ultimo paragrafo del testo, donde la variante tardiva, poi cassata, «strade di Roma». Per la complessa questione della datazione si rimanda in ogni caso alla premessa al testo. CRITERI DI EDIZIONE In questa edizione abbiamo seguito un criterio conservativo presentando in apparato tutte le varianti presenti nei due testimoni. Là dove non diversamente indicato, tutte le varianti sono da intendersi come manoscritte. I toponimi e i nomi dei personaggi storici sono trascritti nella maniera in cui appaiono nei dattiloscritti originali (eccezion fatta per «Ronche» al paragrafo 39, corretto in «Ronchi» come debitamente compare in tutte le altre occorrenze, si veda ai paragrafi 29, 32, 33, 34, 36, 42). Poiché nessun testo marinettiano è stato mai pubblicato sprovvisto di accenti sotto il controllo dell’autore, come sono stati corretti evidenti refusi e attuate alcune normalizzazioni ortografiche, così in questa edizione sono stati aggiunti anche gli accenti mancanti. Tutti gli interventi del curatore sono indicati di seguito. 202 La grafia dei termini qui elencati è stata uniformata secondo l’uso corrente: cosi > così fà > fa gia > già giu > giù la > là laggiu > laggiù li per li > lì per lì perchè > perché piu > più po > po’ poichè > poiché puo > può se > sé sù > su Si dà quindi l’elenco degli altri interventi del curatore preceduti dall’indicazione del numero del paragrafo: 4: riabellito > riabbellito 5: muli…. > muli… 7: traettorie > traiettorie 203 11: popolorescamente > popolarescamente 13: fascimo > fascino 20: pedardi > petardi 23: sfoccianti > sfocianti 39: Ronche > Ronchi 40: aquattarsi > acquattarsi 41: crogifiggenti > crocifiggenti 43: òrigano > orìgano 43: cilia > ciglia 46: tuote > ruote 48: sciepe > siepe 53: il il Carso > il Carso 55: semicupuio > semicupio 58: manaro > mannaro 63: torno > tornò 64: del Arditi > degli Arditi 66: velicità > felicità 69: gioventu > gioventù 80: intinerari > itinerari Per il resto si sono conservati i plurali in –ie («freccie» e «liscie»), e ugualmente si è evitato di intervenire su quelle forme che potevano offrire un qualche margine di dubbio ma che trovano 204 una loro giustificazione: il parasintetico «attenagliante» per «attanagliante», al paragrafo 8, e «polisman», trascrizione dell’inglese «policeman», al paragrafo 22. Non senza difficoltà è la resa tipografica di un testo marinettiano, ma anche in questo caso si sono seguiti criteri conservativi seppure in presenza di numerose oscillazioni ed incertezze degli originali, specialmente nella spaziatura tra le parole di una medesima frase. Spesso lo spazio e la pausa ad esso corrispondente servono a Marinetti per sopperire alla programmatica eliminazione della punteggiatura, come è confermato dall’inserimento manoscritto di alcune parentesi che separano singoli paragrafi, sintagmi o vocaboli, in mancanza, ad esempio, di una virgola divisoria. In questa edizione si è cercato quindi di riprodurre fedelmente la spaziatura tra un paragrafo e l’altro, ma anche tra le parole di un medesimo paragrafo, lasciando una riga o uno spazio nei casi in cui risulta evidente l’intenzione dell’autore (segnalata spesso da un tratto di penna o dall’uso di parentesi) di interrompere il testo o di distanziarne alcune sue porzioni. È stato però inserito un “a capo” tra il paragrafo 53 e il successivo perché la parola «Irritatissimo» inizia con lettera maiuscola dopo correzione manoscritta che sembra segnalare un nuovo paragrafo. Nella seconda sezione del poema, al paragrafo 42, si è mantenuto uno spazio tra le singole lettere del sintagma «nuove rapidità». I caratteri in maiuscolo nei dattiloscritti sono stati conservati. In un unico caso, al paragrafo 1, si è reso necessario estendere l’uso delle maiuscole per uniformare la scrittura di una medesima parola la cui lettera finale è stata aggiunta in minuscolo per probabile svista: GROSSICh > GROSSICH. Nel paragrafo 5 si è invece uniformato alla norma l’uso dei puntini di sospensione, perché la presenza di un’unica occorrenza con quattro puntini invece di tre non pare da considerarsi in questo caso intenzionale (muli…. > muli...). Nel paragrafo 10 i due punti prima del discorso diretto (dopo «il generale Grazioli») sono stati eliminati per uniformità con simili, e 205 ripetuti, interventi autoriali, sì che è chiara la volontà di Marinetti di eliminare ogni simile segno di punteggiatura. Al paragrafo 53, dopo l’aggettivo «indecifrabile», e al paragrafo 60 (di ,poesia > di poesia) sono state eliminate le due uniche virgole rimaste nel testo, la cui permanenza nell’originale è da attribuire senza alcun dubbio a una svista. Entrambi i dattiloscritti sono stati redatti con una interlinea non a spazio singolo, di mm. 10 per B1 (eccezion fatta per il primo periodo con spaziatura di mm. 5 ca.) e di mm. 5 per B2 (ad eccezione del primo paragrafo con spaziatura di mm. 10). In questa edizione si è adoperato uniformemente uno spazio singolo ma si è lasciata una riga in bianco prima e dopo dei discorsi diretti introdotti anche nell’originale da un trattino. La fine delle tre macro-sezioni del poema è contrassegnata da cinque trattini (-----) che sono stati conservati come la pagina in bianco dopo di essi. Tre asterischi (***) sono stati invece inseriti in corrispondenza di altre sezioni interne contrassegnate in B2 dalla sequenza fatta di una lineetta un punto e una lineetta (_____•_____), sempre in aggiunta manoscritta. Ugualmente, all’inizio della seconda sezione, paragrafo 29, i tre asterischi sostituiscono un’altra serie di segni asimmetrica (========XXXXX===========). Lo stesso segno divisorio è stato aggiunto dal curatore prima del paragrafo 52 per introdurre in modo uniforme l’inizio della terza sezione del poema. Nel primo paragrafo, inoltre, sono state riprodotte le linee tracciate nell’originale in predisposizione dell’aggiunta successiva di dati mancanti, mai più inseriti. In questa edizione, infine, il testo è stato suddiviso dal curatore in 80 paragrafi indicati sul margine sinistro tra parentesi quadre. I numeri racchiusi tra parentesi quadre in grassetto, invece, indicano la fine di una pagina dei due dattiloscritti, sia nel testo (fine di una pagina di B2) che in apparato (fine di una pagina di B1). 206 APPARATO E SIGLE L’apparato del poema è costituito da due fasce indicate col nome dei due testimoni descritti e collazionati, B1 e B2, cui segue, sempre in grassetto, il riferimento al numero del paragrafo. La fascia superiore, B2, registra tutte le varianti del testimone la cui ultima lezione è data a testo. La fascia inferiore, B1, che contiene solo la prima sezione del poema, registra la distanza tra la lezione ultima di questa prima stesura e la lezione a testo di B2. Ove non diversamente indicato, tutte le varianti sono da considerarsi manoscritte. In entrambe le fasce si usano abbreviazioni e segni convenzionali elencati di seguito: ] la parentesi quadra delimita la parte di testo soggetta a variante o al commento del curatore agg. int. aggiunta interlineare agg. marg. aggiunta marginale ds. variante dattiloscritta + una crocetta sta al posto di un elemento per il quale il curatore non sia giunto ad una identificazione almeno probabile; ogni crocetta corrisponde approssimativamente ad una lettera • segno che delimita a sinistra la porzione di testo interessata dall’intervento del curatore … sostituiscono la porzione di testo compresa tra le due parole, iniziale e finale, della stringa presa in esame [n.] i numeri racchiusi tra parentesi quadre in grassetto indicano la fine di una pagina del dattiloscritto in B1 (così come a testo indicano la fine di una pagina di B2) 207 Filippo Tommaso Marinetti – Il Poema di Fiume [1] Nell’aula del Parlamento ungherese a Budapest l’italianissimo cittadino fiumano dott. GROSSICH annuncia l’esito del plebiscito di Fiume del 30 Ottobre 1918 gridando – Fiume è italiana! La notte del ______________ i fiumani ______________________________________________________________________________ _____________________________________ attraversano l’Adriatico in motoscafo e approdano a Venezia Si presentano al Comando delle forze di mare – Venite a Fiume subito Fiume italiana vi aspetta! *** [2] 4 Novembre 1918 Pomeridiana brezza novembrina che seduce le gote con gli ultimi fiati intrepidi sprizzanti dagli eroici bronchi del Carso *** [3] Somenzi di pattuglia in testa alla Brigata Granatieri di Sardegna provenendo dal Piave entra a Trieste finalmente italiana [4] maremoto di passione patriottica con piume bersaglieresche tormentate dal burbero vento marino e dai suoi sibili di bandiera lacerata vocìo e tumulto meridionalissimo quasi di Suk africano Ramadan sudanti muscoli gonfie gole e petti ansimanti da far saltare i bottoni della giubba marciare correre pigiatura di soldati bimbi in vacanza con scherzi e gomitate all’amico riabbellito dalla Vittoria comune correre agguantare arrampicarsi da parapetto a parapetto portando in bocca fra le labbra affettuose il nome impreziosito di Fiume lontana-vicina posseduta dal cuore B2 1 Budapest l’italianissimo cittadino fiumano dott. ] Budapest il dott. agg. int. di Fiume] Fiumano gridando] gridando: i fiumani] i cittadini fiumani mare] mare: 2 4 Novembre 1918 agg. int. a sinistra 4 vocìo] vocio sudanti] + sudanti Vittoria] vittoria ds. parapetto a] parapetto, a lontana-vicina] lontana vicina B1 1 Titolo Prima forma del Poema di Fiume agg. sulla destra Nell’aula … Budapest] Nella aula della dieta di Budapest l’italianissimo … gridando] il dottor Grossic rappresentante di Fiume il 2 Novembre 1918 (??) gridò: La notte … Venezia] (nomi di cittadini fiumani) ….lo stesso 2 Novembre (??) cittadini fiumani attraversano l’Adriatico in motoscafo • e (] a) approdano a Venezia. delle forze di mare] della forza di mare: 2 4 Novembre … Carso] manca 3 Piave entra] Piave • 28 ottobre agg. int. tra parentesi finalmente italiana] dilagante festa di gioia patriottica con piume bersaglieresche venute dal mare orgia di colori e canti che vieta di pensare a cio che premeva vibrava non lontano e aveva nome italiano Fiume 4 maremoto … lacerata] manca vocìo … dal cuore] manca 208 *** [5] Sagacia del Duca D’AOSTA che militarmente storicamente vuole indispensabile continuare la marcia nell’Istria [1] Andare oltre e la pattuglia dei granatieri non stremata da tredici giorni di marcia canta felice nello scoprire fantasioso continente impreveduto la città già esistente viva ma ignorata e di cui ognuno porta fra le braccia un carnale pezzo delizioso consanguineo e quindi riplasmarla senza fine tagliare coi ranghi geometrici dei due Reggimenti d’argento grigioverde quello strambo frutteto giallovermiglioturchino di belle donne fogliuto di gote mani grida ramificantisi all’impazzata di parlantine venete – come i ze cocoli… – che muli… – anima mia baseme… [6] circolarmente per costringere spremere bere tutto e tutti con labbra golose spasimoso tentacolare avviticchiante cantare cantare cantare sorridere ridere cantare cantare cantare lagrime occhiate di pettinatescapigliate in un conflitto di unghie e forcine per graffiare l’aria anch’essa da abbracciare riempire di parole parole baci sospiri dolci torride salive ripetere insistere amare amare amareeeeee [7] Sul petto di tutte le donne ansano pubblicitariamente le parole ITALIA O MORTE Sulle facciate sopra-sotto finestre balconi straripanti in tutte le traiettorie e con tutte le obliquità comandano minacciano le parole ITALIA O MORTE ! [8] Patriottismo a girandola pirotecnica di sguardi ritornelli strette di mano che scattano in amplessi d’attenagliante carnalità B2 5 D’AOSTA] d’AOSTA ds. canta] +++++++ tagliare] taglaare ds. golose] labbra a capo golose 7 sopra-sotto] sopra sotto balconi] barconi ds. venete] venete: 6 labbra B1 5 D’AOSTA] d’Aosta storicamente … indispensabile] sente indispensabile Andare oltre] manca stremata] stanca canta … venete] • nel pomeriggio del 17 Nov. 918 (agg. int.) scopre come in un continente inesplorato la città rilucente e scoppiante di italianità entrando nella polpa • della (] delaa) sua • follia (] folla) di tenerezza lacerata lacerante ebbra di urlare in lingua veneta ze cocoli…] xe cocoli (a sinistra del foglio) che muli…] che bei muli (a sinistra) baseme…] baseme (a sinistra) [1] 6 circolarmente … amareeeeee] donne fiumane delirio allegria sfrenatissima spasimosa tentacolare avviticchiante, – cantare – cantare – cantare – pricipitate parlantine – parole parole di fuoco – rapidità di occhiate – labbra – lingua – capelli pettinate spettinate – graffiare – stringere – abbracciare – ripetere insistere – delicate – affettuosità – offrirsi ai baci – amare – amare – amare 7 Sul petto … MORTE !] – sui muri in tutte le forme in tutte le direzioni con tutte le obbliquità / – Italia o Morte / sul petto di tutte le donne / – Italia o Morte 8 Patriottismo … carnalità] patriottismo strambo ed esplosivo che sfociava in amplessi erotici e in attenaglianti carnalità 209 croate slave ungheresi beate in gara con le donne fiumane superarle presto ad ogni costo in tenerezza irruente offerta di voluttà questa sempre sorella del turchino dorato sole italiano che unghiava coceva di brilli case corpi selciati e tutti a darle fuoco con carbone umano fino alla vampa – delirio [2] [9] Oscillare originalissimo timido virile ingenuo focoso degli alti granatieri che le fatiche guerresche avevano un po’ vestiti di austerità [10] Alto metallico sereno con sorriso arguto il generale Grazioli – siete comandati di servizio a rallegrare con la vostra italianità eroica le case fiumane [11] Tutti noi (mi racconta Somenzi) su e giù per le scale nei portoni anticamere per la strada e sul molo a divertirsi popolarescamente beffando i marinai chiusi ogni sera e quindi trascurati nelle loro camere d’acciaio [12] Dialoghi turbolenti e confusionari – sta qui la famiglia Çuçulic ? – no Zemisk ma entrate entrate siamo ungheresi ti tasi e va nell’altra stanza noi staremo qui coi granatieri beli alti e grosi a far un brindesi all’ITALIA [13] Fantastica italianizzazione di queste razze straniere su cui di colpo il nostro fascino pesava avviluppante e penetrante passeggiata romantica subitanea e decisa lì per lì con tre fresche signorine trepidanti sotto sguardi fazzoletti bianchi approvatori di parenti inteneriti B2 8 superarle] ++perarle 12 Çuçulic] çuçulic ds. 9 guerresche] guerreschi ds. 10 rallegrare] rallentare 11 giù per] giunper ds. B1 8 croate] – croate beate] buttarsi donne fiumane] fiumane superarle … delirio] per superarle in offerte irruenti in abbracci e in • forsennata (] forsennaa) sensualità / Tutte le fiumane che si diedero in quel furore di patriottismo sessuale furono fecondate e madri e sposate 9 timido … focoso] manca fatiche] vittorie vestiti di austerità] resi austeri ed ora indecisi tra i baci di purissima tenerezza fiumana e lo slancio di belle coscie ungheresi slave e croate / Esitare tra Fiume e Sussak [2] 10 metallico] ferreo sorriso] fresco sorriso il generale Grazioli] Grazioli 11 e sul molo] sul molo (letto dei soldati) divertirsi] godere trascurati] traditi camere] corazze 12 Çuçulic] Susmel Zemisk] Cuculic] Coculic ma] (ma ti tasi] – ti • marìo (] mario) tasi va nell’altra] va a dormir nell’altra noi … all’ITALIA] – noi staremo qua coi granatieri belli alti grossi ……eroi 13 straniere] lontane passeggiata … inteneriti] senza rientro e iniziale maiuscola passeggiata … decisa] passeggiata romantica subitanea e decisa] passeggiate romantiche subitanee e decise fresche signorine trepidanti] vergini ardenti di parenti inteneriti] dei parenti ammirati 210 [14] Le donne che si diedero in quella espansione di ebbrietà braciere di visioni affetti profumi e magnetismi epidermici e sessi spudorati furono fecondate e sposate [15] Compiacersi affettuoso indulgente di angoli morti boschi viottoli piazzette Sussak Draga Santa Lucia Santa Barbara Schrilievo Kukulianovo Ciaule Cernik Tersatto occupate dalle solenni stature dei granatieri sulle rocciose perlacee insenature dove ancora il mare soavemente complotta feliiiiiceeee complottaaaa complottaaaaaa complottaaaaaaaaa [3] *** [16] Però e questo però affiorava sulla risacca degli abbandoni sentimentali e delle delicatezze di mille edere viventi Però nella città comandava anche la truppa francese inglese e americana La loro gelosia politica erotica inacidì con scricchiolamenti insidie minacce l’atmosfera d’alta tensione tricolore Le mura delle case erano ormai commosse dal turbolento amplesso di mille italianità e i francesi sopratutto si torcevano di sentirsi estranei spodestati [17] Come una nuvola nerissima stragonfia di temporali grandini e piogge compresse arrota una micidiale scintilla scarlatta a lingua viola gongolante venendo da Sussak un soldato francese un po’ fatto dal vino avanza in via Dante a braccetto di due croate tutte e tre col bianco rosso blu [18] Incontro gli va con elastica movenza languida veneta una ventenne fiumana alta la testa e le grandi pupille nere al cielo tutta fiera di portare sul petto la coccarda con le parole O ITALIA O MORTE ! che sembrano giocare a pallacorda con le loro sorelle maiuscole arrampicate tra finestre e balconi [19] Il pesante gesto straniero del soldato francese strappa la coccarda ed ecco scatenarsi a triangolate fulgorazioni l’insurrezionale maledizione della città B2 14 ebbrietà] ebrietà ds. 15 Tersatto] Yersatto ds. 17 viola] viola: croate] croate tutte ds. blu] bleu B1 14 Le donne … sposate] manca 15 affettuoso …. piazzette] tenere lascivo delle marine villaggi paesotti Sussak … Tersatto] Draga Sveta Santa Barbara Santa Lucia • Scriljevo (] Scrilievo) Bucari Kukulianovo Ciaule Cernik Tersatto solenni] belle sulle rocciose … complottaaaaaaaaa] manca 16 Però … però] Pero e questo pero affiorava … risacca] affiorava lentamente sulla marea abbandoni] abbandoni sen- [3] delicatezze] tenerezze viventi] viventi femminili Però] Pero inacidì] inacidi tricolore] elettrica tricolore i francesi] e francesi estranei] stranieri estranei 17 micidiale] misteriosa tremenda scarlatta] d’oro gongolante] bel bello un po’ … vino] manca avanza] avanzava Dante] Dante un po ebbro col … blu] con coccarde bianco-rossp-bleu 18 Incontro gli va] Gli viene incontro languida] un po languida ventenne]bellissima coccarda] coccarda tricolore bianco-rosso-verde O ITALIA O MORTE !] O Italia o Morte che … balconi] queste in ridente combutta con tutte le altre orizzontali perpendicolari tra finestre e balconi delle case 19 Il pesante … del] Come sempre dalla piu nera nuvola temporalesca guizza la scintilla con pesante gesto straniero il triangolate] triangolate] traangolate della città] della citta] delaa citta [4] 211 [20] L’odio e i sobbalzi rancori a denti lunghi di baionette e spaccate di pallottole e frangenti petardi tra i vetri e le imposte aprirsi chiudersi giù per le sale nelle cantine su sui tetti Battaglia ! inseguimento caccia spietata rivolverate zuffa fra sopra sotto donne scapigliate e dovunque cittadini e granatieri in gara a trovar francesi da colpire [4] [21] Subito rinchiudersi degli inglesi e degli americani da spettatori.......preoccupatissimi *** [22] La commissione d’inchiesta interalleata presieduta da un italiano non può fare a meno di considerare la Brigata Granatieri come pericolosa per l’ordine pubblico quindi costringerla ad abbandonare Fiume mentre da Londra navigano piroscafi carichi di polisman giudicati urgenti per separare italiani dai francesi *** [23] Ecco improvvisarsi comizi segreti di granatieri per opporsi all’abbandono della città sfocianti in un comizio che siede nella casa già aureolata di passione patriottica della Nicolina Fabris quella già da tempo allenata a nascondere e rifocillare durante la grande guerra italiani prigionieri degli austriaci nei suoi numerosi nascondigli appositamente preparati [24] Manifestini fatti stampare e distribuiti da Somenzi I GRANATIERI GIURANO O FIUME O MORTE ! con le parole [25] Alla mezzanotte del 24 Agosto 1918 incolonnamento e ordini perentori alla truppa ma Fiume è già desta nereggiano le masse dei cittadini e le donne coi vecchi e i bimbi tutti a formare una barriera che compenetrò di sé i ranghi ogni granatiere trattenuto da cento mani e pianti di donne e baci e giuramenti e il tremendo telaio di popolo e di soldati sussultava ondulava stiracchiato da forze cocciute pazze isteriche contrastanti B2 24 stampare] saampare 25 trattenuto] trattenuta ds. B1 20 aprirsi … tetti] scritto di seguito Battaglia !] Battaglia inseguimento] senza rientro 21 degli inglesi … americani] gli inglesi e gli americani …….preoccupatissimi] preoccupati senza partecipare 22 La commissione … interalleata] Commissione interalleata non può] non poteva l’ordine pubblico] l’ordine Fiume … mentre] Fiume a capo mentre navigano … carichi di] partivano navi cariche dei 23 della città] di Fiume comizio] comitato siede] siedeva quella gia] quella già] quella gia rifocillare] rifocilare 24 fatti … Somenzi] (fatti stampare e distribuiti da Somenzi) GRANATIERI … MORTE !] granatieri giurano o Fiume o Morte 25 alla truppa] manca dei cittadini] di cittadini popolo] popolo] popoll 212 [26] Incapacità dei comandi oscure accondiscendenze degli ufficiali e piangeva a tutti il cuore e i nervi erano tesi sotto lo strimpellante desiderio che una catastrofe venisse a sfondare i selciati per fermare impedire la partenza [27] Quando piombò giù dai cornicioni il primo raggio di ottone estivo ad orchestrare svegliare famiglie di passeri nei platani e ceselli di luci e speranze attese ecco davanti ai granatieri sul selciato [5] bandiere a guisa di tappeti tricolori con bimbi e bei corpi di donne sdraiate Per partire occorre calpestare i sacri colori ardori d’Italia! [28] Non si può non si poteva a lungo si tenta e come avvenne lo potremo definire col dare meritata gloria a quei giovani ufficiali granatieri tanto tenaci nel non partire da tenacissimi per primi ritornare [6] ----- B2 26 accondiscendenze] accondisendenze ds. 27 piombò] piombo 28 può] puo B1 26 fermare] formare 27 raggio … estivo] raggio estivo del sole svegliare famiglie di] risveglio di e ceselli … attese] magia di • luce (] luve) e di patriottismo profuse ecco … bandiere] davanti alla fusione di donne e granatieri centinaia di bandiere con bimbi] coi bambini Per partire] senza rientro occorre] occorreva i sacri … d’Italia!] la bandiera d’Italia e le belle carni italianissime di Fiume 28 si tenta] si tentò potremo] potremo] potranno spie- [6] definire] spiegare forse meritata] manca ritornare] ritornare. [7] 213 *** [29] Il primo Reggimento granatieri a Insbruk mentre con il giuramento “O Fiume o morte” si accampava a Ronchi il 2o reggimento con i giurati Tenenti Frassetto Riccardo Rusconi Vittorio Grandjacquet Claudio Cianchetti Rodolfo Ciatti Lamberto Brighetti Enrico Adami Attilio [30] Fermi a Fiume i granatieri artisti capitanati da Mino Somenzi lavorare per ultimare il primo monumento della città offerto dalla Duchessa d’Aosta alla memoria dei granatieri caduti [31] La commissione interalleata scioglie la Legione Fiumana mentre i Capitani in congedo Host Venturi Nino fiumano Gaglione Umberto Krall Guido fiumano Mrach Giovanni fiumano Salvi Filippo la riorganizzano in segreto con il contributo di ufficiali e sottufficiali italiani congedati [32] Mino Somenzi e i granatieri artisti mantenere la corrente elettrica tra Ronchi e Fiume al punto di schizzar fuori per primi come fiamme ribelli e patriottici disertori fra e sopra quattrocento borghesi inquadrati addensati alle porte di Fiume per proteggere l’imminente marcia di Ronchi [33] A Ronchi i giurati sedurre presto e trascinare nell’impresa il loro Comandante di Battaglione Rejna i capitani Dragone Vinai Lupini Nicoly i tenenti Pigazzi Ferrari Tonini Ramondini Talocchi Cola Loschi e Radice [34] Gabriele D’Annunzio messo al corrente dell’impresa dal Capitano dei Granatieri Sovera a Venezia alza fieramente febbrone e capogiro e accompagnato da Guido Keller Riccardo Frassetto il volantista Basso l’attendente Italo parte alle ore 14,30 dell’11 Settembre 1919 in macchina scoperta da S. Giulian diretto a Ronchi consegnando al tenente Sanguinetti questo messaggio per Benito Mussolini “ il dado è tratto Parto ora Domattina prenderò Fiume con le armi Sostenete la causa vigorosamente durante il conflitto ” [35] Fermo pronto telemetricamente irradiando ordini di fuoco il Capo della Rivoluzione italiana nella redazione del “Popolo d’Italia” [7] via Paolo da Cannobio 28 girante torre a lunghe volate di cannoni esplodenti verità della già navigante corazzata penisola italiana [36] In velocità sulla strada di Monfalcone Gabriele d’Annunzio sente con strafottenza crescere torrido il febbrone nella sua Fiat divenuta consanguinea che dopo sforzi esterni interni annusa brontolando la canonica semidistrutta di Ronchi sforacchiato pestato riscolpito dalle cannonate B2 30 da Mino Somenzi] dal tenente Mino Somenzi ds. 31 Nino fiumano] fiumano agg. int. ds. Guido fiumano] fiumano agg. int. ds. Giovanni fiumano] Giovanni fiumana ds. 32 per primi] agg. int. 34 il volantista] l’autista Sanguinetti] Sanfuinetti ds. 36 strafottenza] straffottenza ds. 214 [37] Primo incontro tra il Comandante e il maggiore Rejna Keller carica di forza Gabriele d’Annunzio in una cameretta operaia sopra un lettino di ferro con coperte militari 40 gradi [38] Taciturno nerastro globulare ammassarsi della legione fiumana agli orli dei fossati della strada di Mattuglie tremante soavità lunare del suo lungo biancore che punge il lontano-vicino cuore del Comandante [39] A Ronchi ansia di indovinare laggiù l’ansare rombo degli autocarri promessi non vengono non vengono dovrebbero essere qui verranno a minuti non vengono scotta la febbre nella pneumatica fronte del Comandante che vuole partire ad ogni costo anche solo per Fiume vuole [40] Disinvoltura ridente beffarda a frizzi lazzi di Guido Keller che con la medaglia d’oro Ercole Miani e Tommaso Beltrani brutalmente puntare pistole e pugni contro il capitano in mutande lunari dell’autoparco di Palmanova Tirarlo giù imporgli di distribuire disposizioni benzina olio grasso alle ruote queste ridendo felici partire e dai fossati a grappoli insorti granatieri arrampicarsi acquattarsi sotto le pesanti tele incatramate Queste ricadendo congiurare iratamente col furibondo esacerbarsi della corsa nella polvere [41] Immensi ascensionali e solenni polveroni erigersi spiralare dorarsi nei crocifiggenti primi raggi solari al canto scoppio canto scoppio dei pneumatici forsennati e ubriachi d’andare [8] [42] O polveroni fedeli servi devoti delle velocità guerriere e rivoluzionarie Erranti costruttori di città Altomiranti precursori degli eserciti Arrampicanti muratori di architetture aeree Roteanti colonne a beccheggio e rullio di civiltà cadenti Acrobati del cielo Imbrigliatori e drappeggiatori di raggi solari Proiettori elettrici e liquidi steli della via lattea Con voi si aggrediscono spalti circondano fortilizi accecano difensori Non siete fatti di calcare sbricciolato ma evaporando fuori dalle antiche caldaie dell’Istria rivelate che più a lungo i coperchi stradali collinosi non terranno Saltare saltare dunque poiché le ruote ruote ruote di Ronchi rotolando ringhiando stridendo e cocendo imporre imporre imporre nuove rapidità B2 40 autoparco] autoparci] autoparcp ds. fossati] fossati ++ ds. 41 polveroni] agg. int. solari] solari + ds. 42 polveroni] poleroni degli eserciti] degli +++ degli eserciti ds. civiltà] civiltà, ds. difensori] difensori agli spalti sbricciolato] sbrivciolato ds. 215 [43] Polveroni Immensi riccioli biondi della estate spensierata langue vorrebbe desidera discinta seminuda a braccia aperte stringe nelle mani messi mature ed è tanto torrido il suo ventre di sabbia cristallo implora fra i pudori sospiri dell’autunno bagnato Incerti questi annaffia l’estate con lunghi sguardi di aromatiche vampe lepri pernici polente tordi vestiti di resina orìgano rosmarino sotto spioventi ciglia di pini gocciolare gocciolare Amore o saporosa cucina l’autunno è incerto se oliare di foglie macerate o penetrare con un folle crudele irrigidito umido fatale [44] Polveroni svolazzanti avvisi murali che scorrere scorrere fuori dalla grande [9] mobile officina di questi autocarri a ruote affratellate e stampanti Vengono incontro al Poeta le grandi immagini in forma di viventi soavi bandiere burbere vele gonfie o carezzevoli sciarpe di piacere Molte e molte vengono a te le immagini ma tutte sorprendenti di originalità snella odorosa – Brucio senti ? e ti voglio parabole artigliere sono la tua gloria militare fatta di ruote e – Vuoi rinfrescarti mi apro a ventaglio e sono l’Adriatico laminato di inviti a scintille aprire ma non troppo le braccia e richiuderle senza avarizia per riaprirle e chiedere se vuoi e se mi vuoi o se ti piaccio mi schiaccio e sospirando faccio tristemente l’amore coi ciottoli [45] Polveroni sforzi di evasioni delle strade Polveroni Collere subitanee collere di paesaggi male inchiodati [46] In testa nella sua Fiat saltellante d’infantile baldanza il febbricitante Gabriele d’Annunzio gode l’opulenza alta dei polveroni Lo seguono molti sono molti e se ne aggiungono altri ai quadrivi e quattro autoblindate con i poeti futuristi Pinna Testoni Ranci Benaglia Per Prosecco Opcina Castelnuovo gioiosamente le ruote sbranano spiattellano e mandano a folleggiare i loro pneumatici contente di correre libere nella discesa di sentire sentire l’invito della strada allungatissimo braccio nudo di donna fiumana che vorrebbe dare le sue vene come rotaie [47] A sei chilometri da Fiume un profilo nero sulla strada incandescente è un generale italiano vorrebbe sparare ma d’un balzo in piedi il Comandante lo placa offrendo la sua medaglia d’oro bersaglio [10] B2 43 Immensi] Immessi ds. le immagini] il immagini messi] messe sabbia] sabbaa 44 Polveroni] Poleroni 46 Prosecco] Monfalcone Prosecco 47 un profilo] si profila ds. 216 Sparate qui e tutti continuare [48] Dieci minuti dopo a Zamet proseguire con gli acclamanti arditi del tredicesimo reparto “Repetto” e i volontari della legione fiumana Alle ore 11 l’entrata e una doppia siepe di braccia femminili cariche d’alloro a stuzzicare poi frustare le rosee dondolare dondolare dondolare campane golose a batacchi proiettili [49] Ordine alle navi francesi inglesi americane di levare le ancore salpare con truppe a bordo e scie schiumose in formazione tale da essere godute letterariamente da Gabriele d’Annunzio al balcone del palazzo di Comando pensoso aggomitato sul grande tricolore di Randaccio da lui giurato a Roma [50] Somenzi si proietta a Trieste comiziare in cento punti tra guardie e carabinieri freccie in tutte le direzioni o in agguato perché si sappia si senta si decida mentre d’Annunzio “Io soldato io volontario io mutilato di Guerra credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d’Italia proclamando l’annessione di Fiume” 12 Settembre 1919 [11] ----- B2 48 arditi] ardite volontari] volontaro 50 mentre] mentr 217 *** [52] A rompicollo da Milano a Trieste poi con Pinna Frattini Giunta in una automobile noleggiata ma così poco rivoluzionaria da abbracciare un cumulo di ciottoli e fermarsi dopo due chilometri A piedi tutta la notte collaudare il multiforme e l’intero rasoiante Carso istriano evitare la strada verniciata di lacca lunare corsa dicono da pattuglie cicliste di polizia quindi stanchissimi dopo due ore su e giù per ambizioni zuffe beghe imbuti della roccia [53] i miei compagni orgogliosi di sentirsi geografi sotto la mantellina al lume di una candela studiare la carta indecifrabile quando il Carso ci offriva a beffa la piccola mobile luminaria in vetrina del porto di Fiume Lontana vicina inafferrabile inafferrabile inafferrabile Andare [54] Irritatissimo li scongiuro di buttarsi alla strada e ci siamo riprendendo un passo veloce ma al di là del ponte davanti a noi ecco una pattuglia e di colpo ci lasciamo cadere giù dal parapetto aggrappandoci ai rami lacerandoci su pali di un pergolato col naso sui cavoli di un orto e le pietre liscie di un torrente Ho perso l’occhio ho perso l’occhio grida Frattini e lo ritrovammo di vetro al guizzo delle stelle ansiosi sfiniti lieti di aver evitato l’arresto ma senza Fiume Questa brillando lontana sotto strapiombi eccitarci eccitarci e a fiuto la cerchiamo giù in una cala dove il mare con la sua mansuetudine gelata d’alba settembrina calamita i miei piedi bruciati e torturati dalla marcia notturna [55] Una barca piatta sul greto ma incubo o fantasmagoria giungono due marinai portando ognuno il suo remo Non vorrebbero navigare poiché la chiglia piatta fa acqua – Miracolosi barcaioli remateci a Fiume ci remano prudentemente al largo verso un probabile affondamento scansare le pallottole delle sentinelle che vietano gli ingressi alla città desiderata navigazione in bilico con l’acqua ai piedi pediluvio a poco a poco semicupio a poco a poco berremo [12] l’amarissimo aperitivo di guerra [56] Strafottersi di tutti i pericoli ed entrare così nel porto accostare il molo di Fiume dove con Ferruccio Vecchi impiantiamo tende ideale di cocciuti patrioti [57] – Questa è la segreteria e questo è il tuo tavolo d’ufficio mi disse solennemente con gesto panoramico Mino Somenzi sotto le sue spalle Guido Keller pizzo d’ebano cesellato dalla follia diabolicamente rideva e subito incominciarono beffe beffe beffe di ogni genere ironie guerresche scherzi duri trappole mortali dove si confondevano belle slave e croate ceffi selvaggi di fuori legge e arditi scoppianti di voglia precipitosa B2 52 ambizioni] tutte ambizioni 55 sul greto] sula greto ds. 54 Irritatissimo] irritatissimo al guizzo] sl guizzo chiglia] chiglia è ds. 56 patrioti] parrioti ds. 218 [58] Speranza enorme aleggiante sulla città quella che i serbi ci attaccassero da Sussak e intanto nel cimitero Keller con lenzuoli da fantasma e il lunghissimo Somenzi palo telegrafico fra le croci fingeva la voce del lupo mannaro poi si metteva in carlinga un somarello o muletto per le “mule” istriane con fra le zampe un quadro antico legato ad un’aquila dono al Comandante perché agisse combattesse catturasse isole e porti dilagasse la rivoluzione in Italia [59] Si mandano messaggeri con programmi precisi che diluiscono in mezzo a complotti e sgargianti cravatte rosse dei vari divertenti Barbestri accusati di aizzare d’Annunzio [60] Tutta l’Italia si agita e gruppi frotte gesticolanti di rivoluzionari di ogni colore partono nascosti nei bagagliai dei treni camuffati da ferrovieri come Mario Carli dondolante la sua lanterna di poesia [61] e anche nelle locomotive e nelle stive delle navi si viaggia per fondare la futurista “Testa di Ferro” primo giornale del fiumanesimo col suo generoso motto “me ne frego” [62] lo inaugurano con una sbornia i bersaglieri rivoluzionari dove spiego minutamente da tecnico della letteratura a Gabriele d’Annunzio stesso tutte le sue opere e gli strappo una gioia veemente brindisi brindisi brindisi messaggi manifesti “Evviva la vulva abbeveratoio degli eroi” [13] [63] Circola in piazza muto untuosamente circospetto nelle risposte ma elegantissimo nel suo impermeabile il fratello di Corridoni che perché fratello deve dovrà lo assicurano tutti procedere presto all’uccisione di Nitti L’impermeabile vinse l’assassinio il fratello andò a Roma e tornò impermeabile [64] A migliaia a migliaia vincendo ostacoli poveri ricchi affamati aitanti e sbilenchi vecchi e adolescenti tutti gli italiani innamorati del pericolo arruolati nella Casa Rossa del Movimento Futurista nel covo degli Arditi di via Cerva e al Grande Albergo di Roma dove il Comandante aveva solenizzato con adamantina prosa tradizionale l’indispensabile futurismo impetuoso del sangue italiano aizzando verso le più gioconde follie con la sua voce bianca di cristalli spezzati [65] Invano Generali e colonnelli con una balorda simultaneità tentavano di legalizzare militarmente la rivoluzione antimilitare e pretendevano fare la rivolta in nome del Re al punto di esasperare noi che nettamente sentivamo la nostra anima rivoltosa e novatrice per esuberanza di sentimento italiano [66] Come sempre per noi lungimiranti animatori attori obbedire semplicemente a qualsiasi ordine dell’Italia sovrana assoluta costituiva costituisce costituirà la formula della massima felicità spirituale B2 58 complotti] cpl complotti ds. adamantina prosa] adamantinaprosa 66 semplicemente] sempre semplicemente 62 Annunzio] annunzio ds. aizzando] aiz= aizzando ds. ordine] oedine ds. 64 aveva solenizzato] solenizza 65 tentavano] tantavano 219 [67] Fermo pronto telemetricamente irradiando ordini di fuoco il Capo della Rivoluzione italiana nella redazione del “Popolo d’Italia” via Lovanio girante torre a lunghe volate di cannoni esplodenti verità dalla già navigante corazzata penisola italiana [68] La “Testa di Ferro” era il bersaglio e la calamita di tante anime incerte se scoppiare contro tutti i nemici compresi quelli interni o incanalare organizzativamente l’inorganizzabile fuoco [69] Per ordinare la sommossa fiumana torno in Italia e a Roma apostrofo alla Camera dei Deputati dalla tribuna del pubblico a nome dei Fasci di Combattimento dei Futuristi e degli Intellettuali Nitti [14] detto Cagoia – un deputato Chi è? – Marinetti Sono Marinetti – un altro deputato Ascoltiamolo! un silenzio assoluto) – Marinetti a altissima voce (agitazione mormorii poi prodigiosamente si forma Protesto contro la vostra politica e vi urlo Abbasso Nitti Dichiaro che non può sussistere il Ministero dei sabotatori della Vittoria degli schiaffeggiatori degli ufficiali un ministero che si difende coi carabinieri e coi poliziotti La vostra viltà è lo scherno più grossolano ai sacrifici dei combattenti che vi disprezzano e vi negano ogni diritto di rappresentarli più oltre Vergognatevi La gioventù italiana per bocca mia vi urla Fate schifo Fate schifo [70] Il giorno dopo una lettera gesto Mio caro Marinetti Vorrei vedervi bravo per il grido di ieri coraggioso come ogni vostro Se potete venite il vostro Gabriele d’Annunzio [71] Il 4 Novembre 1920 in piazza Colonna con Carli e Somenzi davanti a una folla enorme ripetiamo il grido “contro ogni reazione fiumanizziamo l’Italia” lanciato al mattino da Somenzi dal tetto dell’Albergo Venezia con migliaia di manifestini nella carrozza del Re [72] A Milano odorando il sanguinoso Natale e volendo salvare d’Annunzio e i fiumani mediante una rivoluzione italiana complottammo Marinetti Carli e Somenzi futuristi e arditi per fare saltare la centrale elettrica la Caserma delle Guardie Regie la Prefettura d’accordo con anarchici indispensabili fornitori di esplosivi da noi cocciutamente patriotizzati [73] incautamente i congiurati con pacchi di dinamite in mano vengono a trovarmi nella Casa Rossa fra i tappeti persiani le lampade turche e i complessi plastici futuristi mentre gruppi di poliziotti ciclisti spiano in portineria B2 67 via Lovanio] Paolo da Cannobio 28 71 1920 in] 1920 a capo In Colonna] colonna ds. 72 elettrica] elettrica di Mila ds. con anarchici] cpn anarchici ds. esplosivi … cocciutamente] esplosivi cocciutamente da noi 73 di dinamite] didinamite 220 [74] nella notte il nebbione circonda con 2000 guardie regie la [15] stramba cucina a scoppio capitanata da Somenzi che deve far saltare Milano segnale di rivolta nazionale [75] una valigia contenente un obice da 149 depositata un minuto in un angolo buio due amanti ne approfittano come sedile erotico le mani in mano con un manuale chiaro di luna Arresti processi galera in continuazione e a bizzeffe [76] Natale 1920 Il Generale Caviglia vincitore della battaglia di Vittorio Veneto dopo avere da semplice cittadino favorito in ogni modo d’Annunzio da lui amato come poeta patriota ridiventa militare e solamente per devozione alla disciplina del suo esercito vittorioso riceve e trasmette l’ordine di sparare in nome del patriottismo legale contro un super patriottismo illegale conquistatore di Fiume [77] Fermo pronto telemetricamente irradiando ordini di fuoco il Capo della Rivoluzione italiana nella redazione del “Popolo d’Italia” via Lovanio girante torre a lunghe volate di cannoni esplodenti verità dalla già navigante corazzata penisola italiana [78] L’Italia parlò O Gabriele d’Annunzio in nome della mia continuità ascensionale ordino il disordine perché spezzi disciplina rovesci gradi consuetudini regolamenti caserme pugni e calci in culo alla burocrazia con ebrezza di parole in libertà sul muso del verso classico e dello stesso verso libero O Caviglia In nome delle quote di gloria raggiunte e quindi trasformate in fortilizio ti ordino l’ordine ferreo militare che schiacci l’esplosione ambiziosa dei galloni ottenuti sul campo e la loro ubriacante violenza di forme colori perché rientrino nei ranghi d’acciaio [16] [79] O d’Annunzio la letizia dei corpi in piacere tra stoffe e profumi delicatissimi e la selvaggeria dei paesaggi incolleriti e avvinazzati dal sole con madonne santi impietositi da tutte le piaghe umane e la grande lussuria e la dimestichezza col cielo diventino centuplicato amore per l’Italia unica donna da perennemente amare B2 74 saltare Milano] saltare a rivolta nazionale] rivolta 75 erotico … luna] erotico agg. marg. bizzeffe] beffe ds. 76 Natale 1920] agg. int. amato] ammirato ds. in nome] ij nome ds. 77 via Lovanio] Paolo da Cannobio 28 esplodenti] esploden a capo ti] esplodent 221 [80] E tu Mussolini imbriglia tutti i focosi cavalli degli autocarri rivoluzionari e slanciali per le strade torride sanguigne arterie autostrade itinerari aerei dell’ascensionale mio corpo immenso pronto a invadere il cielo 4 Novembre 1918 12 Settembre 1919 28 Ottobre 1922 ========== B2 80 E] e ds. cavalli … rivoluzionari] cavalli degli autocarri super rivoluzionari] cavalli strade] strade d’agosto] strade • di Roma agg. in una nota numerata (I) ascensionale mio] ascensionale corpo … cielo ] corpo d’Italia 4 Novembre … Ottobre 1922] agg. in nota (II) in cui compariva anche Natale 1920