A. JOOS (edizione 2011) (S-RP1SB1) TEOLOGIE OGGI, PANORAMICA DELLE CORRENTI A DIALOGO. CHIAVE DI LETTURA DEI CONFRONTI E CONVERGENZE NEL XX-XXI SECOLO VOLUME III. SALVAGUARDARE O RE-ARTICOLARE PARTE I - GLORIA CRISTIANA O PLURALISMO TEOLOGICO? SEZIONE B LA TEOLOGIA PLURALISTA E LE RELIGIONI DELL’UMANITÀ: VERSO LE SCOMMESSE DI DIALOGICA INTERRELIGIOSA DEL XXI SECOLO SECTION B - PLURALISTIC THEOLOGY AND THE RELIGIONS OF MANKIND: THE DIALOGICAL CHANCES OF INTERRELIGIOUS UNDERSTANDING FOR THE XXI CENTURY INTRODUZIONE: LA RE-ARTICOLAZIONE TEOLOGICA COMPLESSIVA CONCLUDENDO IL SECOLO XX ◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈◈ Il secondo versante della prima parte del volume III, che considera l’affrontarsi di due accentuazioni teologiche tra salvaguardia e re-articolazione, tra il XX ed il XXI secolo. L’intento della re-articolazione si esprime più decisamente e più fondamentalmente nell’ambito del XX secolo partendo dagli interrogativi su Dio e l’umanità e specificamente su Dio con l’umanità, come lo abbiamo già notato nel primo e secondo volume. Se la trama di fondo del XX secolo si apre con il confronto tra Dio e l’umanità (riscoperta di Dio e verifica sulla fede in Dio oggi), cioè tra la riaffermazione del mistero di Dio e la verifica sulla priorità umana di fronte all’appartenenza cristiana (cfr supra), si proietta più acutamente -a questo terzo livello di problematica teologicala questione sostanziale della relazionalità tra Dio e l’umanità. Il volume I considerava le correnti 191 di riscoperta e di verifica della fede nella teologia tipica del XX secolo. La riaffermazione si esprime con decisione e senza compromessi. Come per l’articolazione organica dell’insieme della teologia odierna, non mancherà la controparte dialogale di quest’orientamento, al di là della stretta correlazione cronologica. Come per la teologia della Parola di fronte alla teologia della morte di Dio, la metodologia teologica sembra guardare da ambedue le parti: riscoprire e verificare incessantemente ciò che ci è stato trasmesso. Il volume II riprendeva gli orientamenti di convergenza nella meditazione cristiana odierna. La corrente di convergenza rappresentata dall’antropologia trascendentale introduce a quest’ulteriore passo dialogale prospettando la possibile dimensione trascendentale dell’umano stesso. Rintracciare il divino implicitamente presente nell’umano è una premessa necessaria per quest’approfondimento. Rievochiamo adesso lo schema complessivo di questo terzo volume della panoramica teologica: TEOLOGIA DEL XX-XXI SECOLO ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ ◎ SALVAGUARDARE O RIARTICOLARE SALVAGUARDARE █ RIPROSPETTARE PASSAGGI TEOLOGICI? L’EREDITÀ SU DIO---------------------------------------------------------L’INTERPENETRAZIONE RELIGIOSA Teologia della gloria Teologia pluralistica (H. Urs von Balthasar) (R. Pannikar, Knitter, Hick, Griffith, Samartha…) QUALE RIFERIMENTO A DIO? LA TOTALITÀ CRISTOLOGICA----------------------------------------------LA RI-IMPOSTAZIONE SU CRISTO Cristocentrismo pan-religioso Cristologia esperienziale (H. De Lubac) (E. Schillebeeckx) QUALE CENTRALITÀ DI CRISTO? L’INTEGRITÀ ECCLESIALE----------------------------------------------------IL DE-CENTRISMO ECCLESIALE Teologia pan-ecclesiale Teologia trans-ecclesiale (J. Maritain) (H. Küng) QUALE RIARTICOLAZIONE DELLA CHIESA? IL RICUPERO STORICO--------------------------------------------------------------LA RI-FONDAZIONE RELIGIOSA Teologia storiografica Teologie apocalittiche (J. Daniélou) (Nuovi movimenti religiosi, Rozanov) QUALE CONCRETIZZAZIONE CRISTIANA? LA TRADIZIONALITÀ------------------------------------------------------------------L’ESPLORABILITÀ UMANA Teologia dalla memoria Teologia dal profondo (Ortodossi, tomismo (neo)cattolico, Ratzinger, Mascall) (P. Ricoeur, Drewermann, teol. fem.) QUALE RIDISTRIBUZIONE DELL’ESPERIENZA DI FEDE? La sezione A di questa parte I tratta della corrente di salvaguardia nel dialogo teologico del XX-XXI secolo (cfr supra). Abbiamo appena considerato l’apertura dell’umano al divino nella teologia estetica della Gloria, che intende salvaguardare il patrimonio cristiano nel modo più deciso. Di fronte alla riaffermazione e alla salvaguardia delle prospettive cristiane, vi sarà posto per una riconsiderazione che poggia sulla verifica che parte da ciò che non appartiene alla configurazione cristiana tradizionale. Ma là dove la prima ondata d’esplorazione tra Barth ed i radicali- si muoveva tra la riaffermazione della fede purificata da sistemi umani e la presa in considerazione della piena emancipazione umana da ogni riferimento a Dio nel senso prettamente secolare, qui -a questo terzo livello della dialogica teologica- sarà la prossimità moltiplicata del 192 fenomeno religioso attraverso il mondo che costituisce l’avvio di una verifica ulteriore e l’abbozzo della re-articolazione teologica, già annunziata anticipatamente da altre correnti teologiche. Infatti, la stessa teologia radicale arriva all’intuito pluralista dal contesto umano secolarizzato con alcuni criteri che l’interesse per le altre religioni svilupperà a modo suo e con caratteristiche specifiche. La maturazione dei criteri si farà progressivamente e l’attenzione al fenomeno multireligioso si esprimerà sempre più esplicitamente. Come per altri passi teologici recenti o contemporanei, il richiamo euro-occidentale non sarà più predominante e lo spazio verso altre sensibilità ed espressività culturali si aprirà. Volendo riassumere la prospettiva di partenza della “teologia pluralista” occorre puntualizzare dapprima la duplice angolatura che si può (e che si è voluto) percorrere: o si guarda una religione come una ‘fede’ o si guarda una religione come una ‘istituzione’. Se si guarda ad una religione come a un messaggio di fede si porrà la questione pluralista in teologia come una problematica ‘fondamentale’, cioè che concerne il rapporto complessivo tra il mistero di Dio e l’umanità. Se si guarda ad una religione come ad una ‘istituzione’ si considererà l’intento pluralista maggiormente come appartenente all’ambito tra entità religiose (per i cristiani le ‘Chiesa’). La panoramica che risulta dalla nostra indagine inter-teologica ha costatato la priorità teologica del taglio fondamentale (il nostro primo livello di dialogo teologico del XX-XXI secolo, volumi I-II-III, parte I), prima di quello ‘istituzionale’ (o anche ecclesiologico – per i cristiani, il nostro terzo ambito di confronto, volumi I-II-III, parte III). Tra queste due piattaforme subentrerà quella ‘cristologica’ nella quale si porranno gli interrogativi –pur essi- sostanziali sulla valutazione ed in vista di una dialogo interreligioso (cfr infra). IL PLURALISMO RELIGIOSO NEL DISCERNIMENTO CRISTIANO COME SEGNO DEI TEMPI DAL MISTERO DI DIO? Tra tutto ciò che esiste -a livello religioso- l’accostamento sempre più ravvicinato delle religioni si impone come un dato di fatto oggi. Diverse voci ci invitano a prendere l’inevitabile prossimità delle religioni tra di loro come un richiamo che non può essere trascurato 1. Qual è il 1 G. Scattolin, Spirituality in Interreligious Dialogue: Challenge and Promise , (in «Encounter» (Documents for Muslim-Christian Understanding), n° 274, April 2001), etiam in «Internet» 2005, http://www.sedos.org/english/scattolin.htm: «Understanding our time and the deep changes our world is going through has become a compelling concern among scholars in our day.1 The new era we are entering upon is often qualified as being one of a global context or globalization. The accelerating breaking down of economic, social and political barriers is creating a common global market. But along with such an economic expansion, deep cultural and spiritual changes are also going on. Peoples from all corners of the planet are now coming closer. No one, Christians included, can possibly afford to live in seclusion, in cultural and spiritual isolation. Jacques Dupuis remarks, at the beginning of his book, that: "... the encounter of cultures and religions, which is increasingly becoming a fact of life in the First World countries themselves, has turned the theological debate on other r eligions into a primary concern in the Churches of the Western world as well". 2 In short, pluralism at all levels is becoming all the more a permanent feature of the present and future human predicament. Now we no longer discuss world religions as far away entities, belonging to foreign peoples and countries, but we find them on our doorstep. As a consequence, all religions, Christianity included, are now challenged to define their own identity in a plural context, in close interrelationship; this is vital for their future. Finding the meaning of this new situation of religious pluralism both at the theological and the spiritual level has become a basic concern of theologians. Religious pluralism cannot be seen just as a historical accident, or interpreted only in a negative, pessimistic way. Theology is always called to b e open to God s purpose and providence in the important events of human history. Now the question has already shifted from the old topic of theology of religions, as separated, distant entities, to the theology of religious pluralism, as the title of Dupuis’s book clearly declares. Christianity, in the past, used 193 tenore di questo discernimento conciliare, che senz’altro contrasta con le prese di posizione anteriori della Chiesa? Risuona -perciò- uno dei grandi argomenti romani contro la Riforma del sedicesimo secolo: "Avete cambiato (passando dalla verità all errore) perciò non siete nella verità" 1. Se questa era l'argomentazione di spicco di Bossuet, teologi come Newmann e prima di lui Johann Adam Möhler hanno invertito l'argomentazione: "Poiché non cambiate, non siete nella verità" 2. Si sà quanto è stato difficile riconoscere l'ineludibilità dei 'tempi moderni' come invito rivolto alle Chiese 3. Si è tentato di superare il vicolo cieco del rifiuto con l'invito alla lettura dei 'segni dei tempi' 4. Essi non ci orientano solo 'storicamente', ma anche 'escatologicamente' nell'anticipazione dei cieli e terra nuovi 5. Un criterio comune per discernere questo segno dei tempi Il discernimento più recente segue i criteri di Heschel sul fatto che nessuna religione sta per conto suo o è una isola a se stante (magari da qualche parte nel cielo, per conto proprio) 6. to live in a world vision in which it placed itself naturally at the centre. In such a vision, the other , the non-Christian, was basically seen as either a potential Christian to convert or an infidel whose destiny was not guaranteed. All this was well epitomized in the famous traditional theologoumenon: Extra ecclesiam nulla salus (Outside the Church there is no salvation). Nowadays we are entering, not without hesitations and refluxes, into a new spiritual situation. For the Catholic Church the turning point has surely been the Second Vatican Council. Since then, a lot of theological research has been dedicated to the topics of religious pluralism and inter-religious dialogue. A. Race, for instance, says that: "... the future of the Christian theological enterprise is indeed at stake in the attitude the Christian adopts to the newly experienced religious pluralism". 3 And D. Tracy adds that: "We are approaching the day when it will not be possible to attempt a Christian systematic theology, except in serious conversation with the other great ways".4 M. Barnes focuses on the fact that we are becoming more aware of the other, from all points of view, religious included. We are beginning to take difference seriously. The existence of the other can no longer continue to be peripheral to our faith: we have to exist and coexist in a pluralistic religious context 5». (1. See Alan Race, Christians and Religious Pluralism, London, SCM, 1983, pp. 1-9; Gavin D Costa, Theology and Religious Pluralism, Oxford, Blackwell, 1986, pp. 1-21; Michael Barnes, Religions in Conversation: Christian Identity and Religious Pluralism, London, SPCK, 1989, pp. 316; Ewert H. Cousins, The Nature of Faith in Interreligious Dialogue , The Way Supplement 78 (Autumn 1993) 32-41. Jacques Dupuis, Toward a Christian Theology of Religious Pluralism, New York, Orbis Books, 1997: Introduction , pp. 1-19. / 2. Dupuis, Toward, p. 1. / 3. Race, Christians, p. 4. / 4. Cited in Dupuis, Toward, p. 19. / 5. Michael Barnes, On Not Including Everything: Christ, the Spirit and the Other , The Way Supplement 78 (Autumn, 1993) 3-4.) 1 J. Courvoisier, De la réforme au protestantisme, Paris 1977, pp. 47-48: «On sait que Bossuet et Leibniz ont été aux prises au sujet d'une éventuelle réconciliation des deux confessions occidentales, leur célèbre controverse a marqué une étape décisive. Leibniz avait demandé à Bossuet, se plaçant à certains égards sur le terrain de ce dernier, s'il n'était pas possible de revoir les conclusions du concile de Trente dès lors que, selon lui, ce concile n'était pas œcuménique. A l'appui de sa demande, il évoquait le fait que certaines conclusions du concile de Constance avaient été revues à celui de Bâle en 1449. Bossuet lui répondit par une fin de non-recevoir: ne pas reconnaître un certain concile est une raison qui les (les protestants) met en droit de n'en reconnaître aucun, ou de les reconnaître autant qu'ils voudront 1. Il n'y aura donc jamais de vraie docilité et soumission à l'Eglise jusqu'à ce que l'on convienne de bonne foi qu'il y a toujours une Eglise qui a des promesses pour n'errer jamais, laquelle par conséquent a des pasteurs et des juges légitimes des questions de la foi qu'on ne peut prendre à partie sans y prendre Jésus-Christ lui-même 2. La conclusion est évidente et Paul Hazard l'exprime en ces termes: Si les protestants veulent rentrer dans la communion romaine (et non s'unir à elle comme l'espérait Leibniz) avant de se soumettre, c'est qu'ils n'avouent pas leur erreur. Refuser de reconnaître l'autorité de l'Eglise, tout est là 3. Donc, poursuit Hazard, il faut d'abord, selon Bossuet, recevoir les protes tants à récipiscence, après quoi, on pensera à la réconciliation. Le dialogue est-il encore possible? A en croire Bossuet, nous ne le pensons pas». (1 T. XIII, Réflexions, p. 359. / 2 Ibid., p. 362. / 3 Paul HAZARD, La crise de la conscience européenne 1680-1715, Paris, 1935, t. 1, P. 307.) 2 A. Dulles, The resilient Church, New York 1977, p. 48. 3 Parlando ognuno per la propria Chiesa, possiamo accennare ai duri giudizi -ancora di recente- sul 'modernismo' messo al bando in senso unilaterale: cfr la posizione di Maritain in J. -G. Page, Qui est l'Eglise?, T. II, Montréal 1985, pp. 226-233; il correttivo viene dato talvolta come riconoscimento del 'pensiero moderno', in R. Gibellini, Panorama de la théologie du XX° siècle, Paris 1994, p. 230. 4 Cfr G. Gennari, Signes des temps, in AA. VV., Dictionnaire de la vie spirituelle, Paris 1987, p. 1030. 5 R. Fisichella, Signes des temps, in R. Latourelle, Dictionnaire de théologie fondamentale , Paris 1988, p. 1257. I quattro principi di Heschel del 1966 sono citati nel contesto del 25° anniversario di Nostra Aetate, in E. I. Cassidy, Address for the Commemoration in São Paolo, in Information Service , 1990 n° 77, p. 74; cfr M. Eliade - J. Kitagawa, The History of Religions: essays in methodology, Chicago 1959; vedere anche R. Panikkar, The Interreligious Dialogue., New York 1978, p. 26; idem, The Unknown Christ of 6 194 Nella linea di questi criteri, alcuni affermano che la teologia odierna nel suo insieme chiede l’abbandono della posizione antiquata sulla unicità cristiana in un mondo pluralista 1. Si proporrà un 'capovolgimento copernicano' con l'approccio interculturale, che vede in ogni religione una espressione diversificata della ricerca di apertura al divino (equiparando il mito della 'centralità del cristianesimo' a quello della 'centralità della terra', sciolto da Copernico) 2. Si aggiungerà alla caduta dei miti medievali anche quella dei miti della centralità occidentale nel colonialismo, suggerendo una conversione cristiana per ciò che ha denigrato nelle religioni dei paesi già colonizzati 3. Il capovolgimento copernicano sulla centralità può essere più serenamente considerato partendo da una priorità iniziale della nuova presenza cristiana nel mondo, due millenni fa, riguardo alla capacità di convincere sulla originalità di questa 'nuova religione' che cerca di affermarsi tra i vari 'culti' e nelle varie 'culture'? Forse, una parola-chiave potrebbe essere proposta: illustrare la legittimità della nuova iniziativa religiosa in funzione della sua insostituibile unicità ed originalità, da non confondere con nessun altro intento religioso 4. Il criterio della legittimità riappare nella riflessione inter-religiosa recente 5. La legittimazione può essere fatta in Hinduism (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981, pp. 34, 69; idem, The Invisible Harmony: A Universal Theory of Religion or a Cosmic Confidence in Reality?, in L. Swildler, Toward a Universal Theology of Religion, New York 1987, p. 143; idem, Action and Contemplation as Categories of Religious Understanding, in Y. Ibish - I. Marculescu, Contemplation and Action in World Religions , London 1978, p. 102. 1 L. Sanneh, Encountering the West. Christianity and the Global Cultural Process: the African Dimension, New York 1993, p. 182. J. Hick, Whatever Path Men choose is mine, in J. Hick - B. Hebblethwaite (ed.), Christianity and other Religions , London 1980, p. 174; idem, The Center of Christianity, London 1977, p. 76. 3 L. Rouner, Theology of Religions in recent protestant Theology of Religions , in «Concilium», 1986 n° 183, p. 109. 2 4 Cfr l’illustrazione che ci dà oggi il pr. Ricca di questo inizio travagliato dell affermazione cristiana, di fronte all’attuale prospettiva e scommessa ecumenica: in P. Ricca, Per una Chiesa che tollera l’idolatria, in AA. VV., Urgenze della storia e profezia ecumenica, Roma 1996, pp. 228-229: «2. In secondo luogo dobbiamo vedere come Giovanni tratta i Nicolaiti, quelli cioè che mangiavano le carni sacrificate agli idoli. Li tratta severamente dicendo: Non continuate a mangiarle, prendete le distanze, separatevi, non contaminatevi. Ora si capisce benissimo che in quel momento storico e in quel contesto religioso fosse necessario evitare qualunque atteggiamento che potesse essere interpretato come cedimento o come accomodamento o come compromesso. La chiesa era appena nata, cercava ancora la sua via, non aveva neppure ancora formato la sua identità, era facile smarrirsi, perdere l'orientamento in mezzo a molti pericoli e anche a molte altre proposte religiose apparentemente i simili ma sostanzialmente diverse. E perfettamente comprensibile che in quella situazione occorresse essere intransigenti, tracciare nettamente le linee di divisione, circoscrivere esattamente i confini della comunità e al suo interno costruire una identità cristiana granitica, capace di reggere l'urto della civiltà pagana e della persecuzione di cui già si erano avute le prime avvisaglie. Noi comprendiamo dunque bene l'invito di Giovanni a non tollerare nella comunità di Pergamo credenti che erano disposti a mangiare carni sacrificate agli idoli. Ma già nel secolo apostolico, in situazioni diverse, c'era chi aveva scelto una linea diversa, la linea che potremmo chiamare dell'incontro, del dialogo, dello scambio e di una certa condivisione con gli altri, con i diversi da noi. È questa la linea che abbiamo scelto anche qui al Sa e. Non diciamo: Separati, taglia i ponti , al contrario diciamo: non separarti, non arroccarti, non isolarti, non diventare sett ario nel nome di Gesù. Non fare della Chiesa una torre d'avorio nella quale rinchiuderti. Non essere geloso delle tue frontiere come se fossero sacre; non temere di varcare la soglia della tua casa, della tua chiesa, della tua confessione, della tua religione, della tua cultura; non custodire la tua identità come se fosse già quella definitiva, rischiala pure nell'incontro con l'altro; mangia pure - metaforicamente – le carni sacrificate agli idoli, perché l'idolo non esiste mentre esiste il prossimo, accanto al quale Dio ti dà appuntamento . Questa è la nostra linea. Se volete noi siamo i Nicolaiti del ventesimo secolo. O almeno così siamo visti da altri cristiani che ci criticano dicendo che viviamo nel la promiscuitàcattolici, pro testanti, ortodossi, ebrei, musulmani! Ma noi sappiamo che non è promiscuità, è accoglienza ed ascolto reciproco e così dilatazione dei cuori e degli orizzonti. Ecco dunque la seconda cosa che ricaviamo dalla lettera di Giovanni: in tempi e situ azioni diverse lo Spirito dice cose diverse e la fede bene addestrata saprà coglierla ed apprezzarla». 5 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, p. 133: «Une certaine «légitimité». Si les religions non chrétiennes, non seulement possèdent une consistance naturelle, mais, jusqu'à un certain point, incarnent le dessein salvifique de Dieu et répondent à sa révélation universelle, ne peut-on leur reconnaître, dans cette même mesure, quelque légitimité? Le terme légitimité, sans doute, heurtera tout d'abord. Il appartient en effet au vocabulaire juridique, et de ce fait exprime de manière plus abrupte une qualité qui, exprimée dans le vocabulaire plus coloré de «voie» ou plus souple de «valeur», paraîtrait plus recevable. Dans les perspectives d'un dessein universel du salut, d'un «ordre» salvifique universel, le terme «légitimité» trouve cependant place, semble-t-il. Mais on ne devra l'employer qu'avec prudence, car il n'affecte chaque religion que «jusqu'à un certain point» ou «dans une certaine mesure»». 195 modo aggressivo escludendo o in modo comparativo dialogando. Si sottolinea -per esempio- che uno dei più notevoli testi patristici sia proprio quello della legittimazione dialogante della fede in Cristo, partendo dal riferimento al mito di Orfeo 1. Colpisce l'evocazione convergente della ricapitolazione in Cristo, proprio dalla piattaforma cultuale (oltre che 'culturale'). Da questa prima apertura, si faranno –oggi ulteriori passi nella ricerca di convergenze tra Orfeo e le varie dimensioni religiose, tra cui quella dell’originalità cristica con la sua implicanza soteriologica così presente nella chiave redentiva del secondo millennio cristiano (cfr infra) 2. 1 E. Jungclaussen, Byzantinischen Kultverständnis, in «Una Sancta», 1966 nº 2, S. 154-155: «Es soll hier nun keineswegs versucht werden, in die vielgestaltige Kontroverse der Beziehungen zwischen christlichem und nichtchristlichem Mysterienwesen klärend einzugreifen. Die Literatur darüber füllt Bibliotheken. Ich verweise jetzt nur auf Hugo Rahners Ausführungen in seinem Buch "Griechische Mythen in christlicher Deutung" (*). – Hier ging es vielmehr darum, mit der mehr skizzenhaft vorgetragenen Sicht Walter F. Ottos (und M. Eliades) von Sprache, Mythos und Kult den Weg zur Erörterung dessen zu bereiten, was unser Thema "Byzantinisches Kultverständnis" nennt. Also wirklich "praeparatio evangelica" im Sinne des anfangs zitierten Eusebius von Caesarea: Von Orpheus zu Christus! Mit der Gegenüberstellung von Orpheus und Christus beginnt im übrigem auch die berühmte "Mahnrede an die Heiden" des Clemens von Alexandrien, der -- ähnlich wie Eusebius -- Christus als den Sänger und den Gesang, d. h. die Hymne, verkündet: "Siehe, den neuen Gesang, wie mächtig er war, Menschen hat er aus Steinen und Menschen aus Tieren gemacht. Die anderweitig wie tot waren, die an dem wahrhaften Leben keinen Teil hatten, lebten auf, sobald sie nur Hörer des Gesanges waren. Dieser hat fürwahr das All harmonisch geschmückt und der Elemente Mißklang zu des Einklanges Ordnung gefügt, damit ja die ganze Welt vor ihm eine Harmonie würde... Und fürwahr dieser reine Gesang, der Grundton des Ganzen und die Harmonie des Alls, von der Mitte zu den Grenzen und von den Spitzen zur Mitte reichend, hat dieses All harmonisch gemacht, nicht nach der thracischen Musik, dem Nachbilde des Tubal, sondern nach dem väterlichen Willen Gottes, für welchen David sich begeisterte" (**). Diese Mahnrede ist eine der schönsten Vätertexte, wie Orpheus ja der einzige aus der hellenischen Mythenwelt ist, der wesenhaft in den Geist der frühchristlichen Antike eingehen konnte. Wenn wir uns noch einmal die Ausführungen W. F. Ottos vergegenwärtigen und den Worten des Clemens von Alexandrien gegenüberstellen, so sei es uns nach Art der Väter gestattet zu sagen, daß der als göttlich erfahrene Rhythmus des Seins nichts anderes ist als die Ausdrucksgestalt des Logos im johanneischen Sinne od er der Anakephalaiosis, der Zusammenfassung in Christus als dem Haupt im paulinischen Verstande (Kolosser- und Epheserbrief), der selbst das von Ewigkeit verborgene, nun aber enthüllte Mysterium Gottes ist. Somit deuten wir das Mythosverständnis von Walter F. Otto im Sinne von Novalis: "Es gibt keine Religion, die nicht Christentum wäre." Nicht umsonst tragen die eben erwähnten Partien aus dem Neuen Testament, nämlich der Johannesprolog und die entsprechenden Abschnitte aus dem Kolosser- und Epheserbrief (Kol 1, 12 f; Eph 1, 3-14) hymnusartigen Charakter. Dort, wo Paulus das Ganze des Heilswerkes Gottes bedenkt, kann er es nicht anders tun als in hymnischer Preisung, in der Danksagung (vgl. auch Phil 2, 6 ff.). Mit diesem etymologischen Bezug, der vom ,Bedenken' der Heilstat Gottes zum 'Danken' führt, haben wir eine Entsprechung für das Griechische, wo die 'eulogia' Gottes das 'eulogein' des Menschen weckt, oder im Lateinischen: die benedictio Dei, die das Benedicamus Domino des Menschen zur Antwort hat Schlier formuliert diesen Tatbestand in seinem Kommentar zum Epheserbrief wie folgt: "Die Eulogie ist Antwort auf die Offenbarung des Mysteriums, in der Gottes rettende Taten präsent werden und erscheinen. Das Mysterium erweckt selbst als die Epiphanie Gottes seinen Lobpreis" (***). Diese Eulogie, dieser Lobpreis hat immer hymnische Form, ist Rhythmus, ist Dichtung, ist Form. Und so ist christliche Existenz immer doxologische Existenz, Existenz im Hymnus und als Hymne und damit Existenz im Kult. Und Kult ist immer auch Kunst, ja erst die Ermöglichung von Kunst überhaupt. Vielleicht wird von hier aus eine neue Dimension des Künstlerischen eröffnet, wenn wir entdecken, daß beim religionslosen Menschen der Gegenwart seine "Religion" die 'reine Form' ist, wie etwa bei Gottfried Benn oder auch "Religion" als "Gesang" wie beim späten Rilke. In diese Dimension weist Heidegger in seinen Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung. "In der Dichtung... wird der Mensch gesammelt auf den Grund seines Daseins. Er kommt darin zur Ruhe; freilich nicht zur Scheinruhe der Untätigkeit und Gedankenleere, sondern zu jener unendlichen Ruhe, in der alle Kräfte und Bezüge regsam sind (****); oder noch deutlicher: "das Sagen des Dichters ist Stiftung nicht nur im Sinne der freien Schenkung, sondern zugleich im Sinne der festen Gründung des menschlichen Daseins auf seinen Grund (*****)». ((*) Hugo Rahner, Griechische Mythen in christlicher Deutung, Zürich 1945. / (**) Clemens von Alexandrien, Ausgewählte Schriften 1 , Kempten 1875, 90 ff. / (***) H. Schlier, Der Brief an die Epheser , Düsseldorf 19582, 42. / (****) M. Heidegger, Erläuterungen zu Hölderlins Dichtung, Frankfurt / M. 19512, 42. / (*****) a. a. O. 39.) 2 M. Eliade, Images and Symbols , London 1961, pp. 165-166: «Have we then the right to regard Orpheus as a "shaman" or to compare the descent of Christ into Hell with the descents of the shamans in a state of trance? Everything is against it: in the various cultures and religions Siberian or North American, Greek or Judaeo-Christian these descents are valued in very different ways. It is needless to enlarge upon the differences, they are so obvious. But one element remains immutable, and must not be lost sight of; that is, the theme of the descent into Hell for the sake of the salvation of a soul whether it be the soul of someone who is ill (shamanism stricto sensu); or of th e spouse (Greek, North American, Polynesian or Central Asiatic myths) or of the whole of humanity (as with the Christ), concerns us little at the moment. In this case the descent is no longer only initiatory, or undertaken, for a personal advantage; it has a "redemptive" aim: one "dies" and "resurrects", not now to complete an initiation already acquired, but to save a soul. A new element characterises the archetype of initiation; the symbolic death is no longer undergone solely for one's own spiritual perfection (more exactly, for the conquest of immortality), but for the salvation of others)». 196 Nel segno dei tempi: dalla pace tra le religioni alla pace dal mistero di Dio: addentrarsi nelle tematiche più profonde L’intuito teologico pluralista re-situa la chiave cristologica nella sua contestualità teocentrica 1. Dall’India profonda sorge l’orizzonte dell’advaita, simile alla chiave trinitaria cristiana 2. La Trinità sarà il nodo per eccellenza di questa re-articolazione linguistico-religiosa. Si conosce la traduzione che propose Upadhyaya del mistero trinitario come Saccidananda (Sat-CitAnanda) 3. Singolarizzare nel simbolo sarebbe monismo, separare in simboli segregati sarebbe dualismo, queste due posizioni si superano nell’advaita: né lo stesso né diverso 1. La sponda di J. Dupuis, Religious Plurality And The Christological Debate (symposium sponsored by the 'Dialogue with Living Faiths' section of the World Council of Churches), in «Internet» 2001, http://www.sedos.org/english/dupuis.htm: «The theocentric perspective. It consists in substituting 1 for the Christocentric perspective a theocentric one, according to which Jesus Christ and his saving mystery no longer stand at the centre of God's saving design for humankind. That place belongs to God alone towards whom all the religious traditions, Christianity included, tend as to their end. It needs to be recognized plainly that God, who 'shows no partiality' (Acts 10:34), has manifested and revealed himself in various ways to different peoples in different cultures, and that the various religious traditions of the world embody, each in its own way, such divine self-revelation. It follows that, partial contradictions notwithstanding, the various religious traditions complement each other in their differences; what is required between them is neither mutual exclusion nor inclusion of the many into one, but reciprocal enrichment through open interaction and sincere dialogue. The pluralist paradigm is not, however, a monolithic theory; it covers different theological positions the distinction between which needs to be rapidly mentioned. In its extreme form with which the term 'Copernican revolution' is associated pluralism calls for Christianity to give up all claim to uniqueness or finality for Jesus Christ in the order of God's relationship with humankind. Universality can only be understood in the sense that the person of Jesus Christ and his message is capable as other saving figures also are of a universal appeal to people, that is, of arousing in them a response to God and to that which is truly human. But such a universal appeal is in no way a distinctive or exclusive feature of Christianity. Other versions of the pluralist model are more restrained. They hold perhaps illogically, once the claim for the universal constitutive mediatorship of Jesus Christ is abandoned that among the various paths, all valid in themselves and in their own right, Jesus Christ keeps a relative prominence: compared with other saving figures, he remains the ideal symbol of the way in which God has been dealing with humankind salvifically, and in this sense is 'normative'. According to some views, Christianity must renounce its claim to the uniqueness of Jesus Christ once for all. Others, on the contrary, call on Christianity to put such claim 'between brackets' provisionally to allow for sincere dialogue with the other religious traditions; the practi ce of dialogue will perhaps help rediscover that Jesus Christ is indeed unique». 2 R. Panikkar, A Self-Critical Dialogue!, in AA. VV., The Intercultural Challenge of Raimon Panikkar , New York 1996, p.273: «Advaita and Trinity are two homeomorphic equivalents for the ultimate structure of reality». (NB Advaita Vedanta of Sankara understands itself as the culmination of all religions and philosophies insofar as it leads to and interprets the ultimate experience of nonduality, i.e., the essential nonseparability of the Self (atman) and God (Brahman). Among the three classical ways of salvation in Hinduism, karrzla (works), bhakti (adoration and surrender) and jnana (meditative knowledge), this school rep resents jnana marga. In fact, realization or liberation is said to be reached only by intuitive consciousness.) 3 F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology , Trichy 1993, pp. 32-33: «This divine mystery cannot be described by attributes, much less defined in conceptual terms. The farthest extent the human language- can go in its attempt to unravel this mystery is to consider it in its triple dimension. The Divine mystery is Sat - being or reality; it is Cit - consciousness and it is Ananda - bliss. All these dimensions are comingled into one and the Divine mystery is named as swddananda (Sat-CitAnanda). In the tradition of Brahmo Samaj, this experience of God was very much related to the mystery of Holy Trinity. This is clearly the case with Keshub Chandra Sen who, though did not receive baptism and become explicitly a Christian in public as Upadhyaya did, nevertheless was deeply attached to Christ and attempted to interpret Christian mystery through Hinduism. Upadhyaya who was, as we saw, very much close to the Brahmo Samaj and to Keshub Chandra Sen adopted this vision of Saccidananda as expressive of the Christian mystery of God as Trinity. God the Father is the Sat - being, the Son is the Cit consciousness, or intelligence and the Spirit is Ananda -joy, fulfillment, plenitude. This vision comes through in a beautiful Sanskrit hymn Upadhyaya composed - Vande Saccidananda and today widely sung in Christian Churches all over India: I bow to Him who is Being, Consciousness and Bliss. I bow to Him whom worldly minds loathe, whom pure minds yearn for, the Supreme Abode. He is t he Supreme, the Ancient of days, the Transcendent, Indivisible Plenitude, Immanent yet above all things. Three-fold relation, pure, unrelated knowledge beyond knowledge. The Father, Sun Supreme Lord, unborn, The seedless seed of the tree of becoming, The cause of all, Creator, Providence, Lord of the Universe. The infinite and perfect Word, The Supreme person begotten, Sharing in the Father's nature, Conscious by essence, Giver of true Salvation. He who proceeds from Being and Consciousness Replete with the breath of perfect bliss The p urifier, the Swift, the Revealer of the Word the Life-giver. 1». 197 approfondimento trinitario è in ultimo- la prospettiva del non dualismo 2. Il mistero di Dio ci evoca il Suo mistero come mistero d amore, impossibile nell’unità statica, l’amore è relazionalità nella quale si situa la persona divina: o cioè il divino ultimo al di là della persona e nel quale la persona sorge 3. Questo paradosso o questa antinomia ci porta alla Trinità 4. L’antinomia è che si tratta e di nomi diversi e dello stesso mistero 5. Questa antinomia implica che nessuna religione può pretendere di possedere esclusivamente o di avere l’esclusiva del mistero, ma deve de-possedersi del deposito rivelato in essa in una kenosis di cui il Gesù storico ci ha dato l’esempio. Occorre ritrovare la trascendentalità piena dell’iniziativa divina, al di là della questione puramente soteriologica in senso occidentale, con quel particolare rinvio centrale alla colpa da riscattare 6. ((1) Translation of Brahmobandhav's Sanskrit Hymn in 38th Intemational Eucharistic Congress Pnayer Book and hymnal, Bombay 1964, Hymn no. 7.) 1 Cfr R. Panikkar. Indian Christian Theology, in «Jeevadhara», 1997 nº 161, p. 320; R. Panikkar, Neither Christomonism nor Christodualism, in «Jeevadhara», 1994 nº 142, p.338: «To affirm that there may be many Christs is not convincing for me nor, I would submit, for any orthodox Christian. To affirm that there is only one Christ (about whom we, at least, know his true" name) would amount to an equally unacceptable christomonism. Here is the christian theological locus for advaita - and for the indic contribution to a more adequate wisdom for our times»; R. Panikkar, The Unknown Christ of Hinduism, (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981, pp. 23-24. 2 R. Panikkar. Advaita and Bhakti: Love and Identity in a Hindu Christian dialogue , in «Journal of Ecumenical Studies», 1970 nº 9, p. 308: «If God, the Father, is the ultimate I (according to the Revelation in the Genesis and the voice at the Baptism of Jesus), who calls generates the Son as His Thou, manifesting and reflecting Him, then the Spirit is not only the Love personified of the Father a nd the Son in a reciprocal self-gift, but the non-duality (advaita) of the Father and Son. In other words, Advaita applied to the Trinity would mean that there are not three distinct beings (if this would ever be possible ultimately!) but that the only I loves itself and discovers its non-duality (which is the Spirit) in the Thou (the Son). The trinity, on the other hand, applied to Advaita, would show that non-dualism can have room for Love understood precisely as the inner movement of the One without a second». 3 B. Griffiths, in W. R. Teasdale, Toward a Christian Vedanta, Bangalore 1987, pp. 117-118: «The ultimate Reality is love and love is relationship. You cannot have love with one (a static unity), and that is the weakness of a pure advaita. There is no love ultimately. There is pure consciousness, but no love. And yet in the Christian understanding there is pure consciousness and pure love: Self-knowing and selfgiving. The whole creation comes to its fullness in the intimacy of personal relationship. So, the personal God is in the Ultimate Godhead. The Ultimate Godhead is both beyond person and integrates person». 4 R. Panikkar, The Unknown Christ of Hinduism, (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981, p 24. 5 R. Panikkar, Neither Christomonism nor Christodualism, in. «Jeevadhara», 1994 nº 142, p. 337: «"The Unknown Christ of Hinduism" is not another Christ, and yet it is not the same Christ Christians know. It is unknown to them - and known to the Hindus under other names, aspects and dimensions of that mystery for which the Christian has no other name than Christ. So I am not saying that the Hindu Christ is the 'same' as the Christian Christ." I am defending that, that Mystery, which the Christian cannot but call Christ, has aspects, manifestations, attributes, and what not, unknown to the Christian, that other people, believe are' "revealed" to them and for which they give different names». 6 M. Amaladoss, The Image Of Jesus In The Church In Asia, in «Internet» 2001, http://eapi.topcities.com/eapr00/amala.htm : «A Transcendental Savior? The action of a divine person, even mediated by a human nature, transcends space and time. So Jesus saving action seems to have a transcendental character. As I have already pointed out, according to the document, both by his incarnation and by his resurrection Jesus is linked to every human being in some mysterious manner. Jesus Christ s unique and universal salvific action is also explained in another way. Jesus takes upon himself the sins of the world - past, present and future (EA 11) and on the Cross... breaks the power of the self-destructive resistance to love which sin inflicts upon us (EA 13). In this way, salvation was sealed once and for all (11). The merits of Jesus saving action are distributed to everyone, whether s/he lived before or after Jesus. This view has often led to an individualist approach to salvation. Loving and doing justice in the world are then seen as the consequence of being saved. Today we tend to have a more historical-eschatological view of salvation. History is a process of struggle between God and Mammon. All peoples and all religions are engaged in this in their own way. God too is actively involved in this struggle through the Word and the Spirit. Through this struggle God is leading all things to a unity when God will triumph and will be all in all. In Jesus God is committing God self to the battle in a human, historical way. Jesus, in his life, work and death shows a particular way of carrying on this struggle by opting for the poor and the oppressed. The disciples of Jesus continue his mission of prophecy and servanthood by helping build human communities of freedom and fellowship, justice and peace. In this task they find in the members of other religions allies and not enemies. They too have a positive role in the history of salvation. The real enemies are Satan and Mammon. The Kingdom is God s gift, but is also our task. Victory in the struggle, fullness of salvation, the establishing of the Kingdom - all these are in the future, at the end of history. They remain the horizon within which we keep on struggling. The fullness of revelation and salvation are not in the past, but in the future. Other religions, too, in which the Spirit of God is present and active, contribute to the consummation. Jesus neither replaces them nor excludes them». 198 I LE PREMESSE DELLA MATURAZIONE PLURALISTA Potrebbe sorprendere che il sommo sospetto verso l’ambito religioso dell’inizio del secolo XX si rovescia in una verifica partendo proprio dal paesaggio religioso dell’umanità. Quel secolo sembra dunque chiudersi con il superamento dell’insistenza non religiosa o secolarizzata che aveva tanto preoccupato certi portavoce ufficiali cristiani. Ma, al momento in cui rientra in scena la qualifica religiosa intesa positivamente, saranno anche le altre religioni ad essere considerate con spirito più aperto. Diversi sono gli autori che subentrano in questa prospettiva teologica ultima del secolo, aprendo -magari- le tematiche del XXI secolo. Il riferimento prioritario alle religioni dell’umanità marca significativamente il passaggio di millennio cristiano o il passaggio di secolo. Dal sospetto per tutto quello che è religioso sia da parte secolare che da parte cristiana- si muta in un interesse per le religioni. Il fantasma del secolarismo sembra sciogliersi da se in questo scenario (cfr infra). Ma non per quello la pluralità religiosa sarà considerata come più affidabile nell’ambito ecclesiale stesso. Si iscriverà l’intento teologico pluralista addirittura nel presupposto capitalista del consumismo di ognuno a livello delle varie inclinazioni religiose 1. Ciò che si suole notare a proposito dei nuovi movimenti religiosi si trasferisce qui- come obiezione all’approccio interreligioso tra le grandi tradizioni religiose dell’umanità (vedere i nostri studi sui nuovi movimenti religiosi). In modo del tutto generico, poi, la dicitura teologia pluralista copre diversi intenti: dal pluralismo alla J. Hick, all’inclusivismo di C. Pinnock, al particolarismo postilluministico di McGrath, fino al particolarismo evidenzialista di R. D. Geivett e W. G. Phillips 2. 1 R. A. Kelly, Lutheran Identity in a "Pluralistic" Context [1], in «Internet» 2006, http://info.wlu.ca/~wwwsem/rak/identity.html: «This apparent pluralism has developed in North America in a specific socio-economic and cultural context.[2] Since the eighteenth century certainly and probably already since the seventeenth, religion in Europe and North America has come to be seen more and more as part of the private sphere rather than the public sphere. That which we place in the private sphere we consider subjective, as belonging to the realm of "beliefs" and "values" rather than the realm of "facts." Thus each person chooses his or her own religion for his or her own reasons and the rest of us are expected to be tolerant of that choice.[3] It is of course better that we should tolerate one another's religions than kill one another in religious wars, but the peculiar form of post-Enlightenment Euro-American toleration also comes with its own costs. In a culture based on a market economy, religion has entered the market place. Martin Marty puts it well: "Religion is now a consumer item for a nation of spiritual window shoppers" [4]». ((1) This article was orginally presented at the North American Consultation on Christian Education sposored by the Lutheran World Federation at Missisauga, Ontario, September 1991, and published by the LWF in the proceedings for the conference. Research for the article was funded by grants from the Lutheran Life Insurance Society of Canada and Wilfrid Laurier University, the latter including moneys provided by the Social Sciences and Humanities Research Council of Canada. / (2) The analysis of this paragraph is based on Jürgen Moltmann, "Is 'Pluralistic Theology' Useful for the Dialogue of World Religions?" in Christian Uniqueness Reconsidered: The Myth of a Pluralistic Theology of Religions, Faith Meets Faith Series, edited by Gavin D'Costa (Maryknoll, NY: Orbis Books, 1990), pp. 149-156; and on Lesslie Newbigin, The Gospel in a Pluralist Society (Grand Rapids: Wm. B. Eerdmans, and Geneva: WCC Publications, 1989). / (3) For an excellent analysis of this attitude and how it came about, see Charles Taylor, The Malaise of Modernity, The CBC Massey Lectures for 1991 (Concord, Ont.: Anansi, 1991). This is based on the longer work Sources of the Self: The Making of the Modern Identity (Cambridge: Harvard University Press, 1989). / (4) Martin E. Marty, Introduction to William James, The Varieties of Religious Experience (New York: Penguin Classics, 1985), p. xx; cited in Moltmann, "Useful?" p. 152.) 2 K. W. Brewer, Ph. D., J. Wesley Fellow, Evangelical Contributions on Religious Pluralism , in «The Catalist Online», in «Internet» 2006, http://catalystresources.org/issues/254brewer.html: «The first book that every evangelical should read is More Than One Way? Four Views on Salvation in a Pluralistic World (Zondervan, 1995), edited by D. Okholm and T. Phillips. As the subtitle suggests, this book sets side-byside four different perspectives of religious pluralism. The four views are represented by J. Hick s "Pluralist View," C. Pin nock s "Inclusivist View," A. McGrath’s "Particularist: Post-Enlightenment Approach." and the "Particularist: Evidentialist Approach" shared by R.D. Geivett and W.G. Phillips. The structure of the book allows each author to articulate his view in a terse essay. Then, each of the other contributors make critical remarks upon that essay». 199 S’integrerebbe allora l’inclusivismo nella visuale pluralista. È del tutto coerente una tale classificazione? La posizione romana di maggioranza o di vertice, l’inclusivismo, farebbe parte se si segue questo schema- dell’apertura pluralista. Al di là delle sfumature di significato, la chiave comune rimane il riconoscimento dell’apertura trascendentale d’ogni fede religiosa 1. Non mancano gli autori dal mondo orientale ed ortodosso, dal Catholicos di Cilicia Aram I al Metropolita Khodr 2. L’India appare talvolta come il punto di riferimento di questa chiave teologica. Dom Henry Le Saux -d’appartenenza cattolica- apre la sponda spirituale e monastica della via pluralista 3. Come più direttamente legato alla prospettiva pluralista viene riconosciuto B. Griffiths, 1 R. Kendall Soulen, "Go Tell Pharaoh" Or, Why Empires Prefer a Nameless God , in «JSR Forum», in «Internet» 2006, http://etext.lib.virginia.edu/journals/jsrforum/writings/SouPhar.html: «Recently this charge has been taken up with great seriousness in an anthology called The Myth of Christian Uniqueness: Toward a Pluralist Theology of Religions .2 While the authors are not of one mind about what a "pluralist theology of religions" would look like, they stress the ineffability of the transcendent referent of religion and hold that differing religions point more or less adequately toward a Reality that is itself absolutely indescribable. The "transcendent Center ... remains always beyond and greater than apprehensions of it or even the sum total of such apprehensions." Behind and beyond Israel's LORD God, the Muslim's Allah, the Hindu's Brahman, there lies an ineffable reality that itself never appears except in these scheme-specific manifestations.3 One author quotes with appreciation a verse from Hindu scripture, "Thou art formless. Thy only form is our knowledge of Thee." For this author, it follows that there can be no such thing as idolatry in the pejorative sense, since all concepts of God are "idols" human constructs. What is to be condemned is the identification of the image with the Reality it represents. As one author states, "For Christi ans to think that Christianity is true, or final, or salvific, is a form of idolatry"4». (1 John Hick and Paul F. Knitter, eds, The Myth of Christian Uniqueness: Toward a Pluralistic Theology of Religions (Maryknoll, NY: Orbis Books, 1987). / 2 J. A. Di Noia, O.P., "Pluralist Theology of Religions: Pluralistic or Non-Pluralistic," in Christian Uniqueness Reconsidered: The Myth of a Pluralistic Theology of Religions, edited by Gavin D'Costa (Maryknoll, NY: Orbis Books, 1990), 129. / 3 Wilfred Cantwell Smith, "Idolatry: In Comparative Perspective," in The Myth of Christian Uniqueness (Maryknoll: Orbis, 1987), 56.) 2 S. M. Heim, Sharing our Differences: Koinonia and the Theology of Religious Plurality (Faith and Order Plenary Commission, Kuala Lumpur, Malaysia, 28 July - 6 August 2004), in «Internet» 2006, http://www.wcc-coe.org/wcc/what/faith/kuala-docs18-heim.pdf: «5.3 Voices from Churches in Pluralistic Contexts. Reflection on the theology of religious plurality has been greatly enriched by increased participation from Christian theologians in churches with long experience of life in multi-religious contexts, often as minorities within cultures shaped by other traditions. This has been true for instance of the contributions from Orthodox churches in the Middle East, represented in fi gures like Metropolitan Georges Kodhr and Aram I, Catholicos of Cilicia. In the Roman Catholic Church, the churches of South Asia are particularly notable in this respect, including the work of theologians such as Michael Amaladoss, Aloysius Pieris, Felix Wilfred and Jacques Dupuis. (1) The same is true for Protestants, reflected in the work of figures such as Stanley Samartha, M.M. Thomas, Wesley Ariarajah and Thomas Thangaraj. The work of these and other writers contributes a new concreteness to the theological discussion». ((1) See also the text of the Synod of Bishops Special Assembly for Asia at http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/ interelg/documents/rc_pc_interelg_doc_19051991_dialogueand-proclamatio_en.html.) 3 J. Wiseman, Enveloped by Mystery. The Spiritual Journey of Henri Le Saux/Abhishiktananda , in «Bulletin 45, October 1992», etiam in «Internet» 2006, http://monasticdialog.com/a.php?id=347: «Henri Le Saux was born on August 30, 1910, in a small town on the north coast of Brittany, the first of seven children. At the age of eleven, and with his parents full encouragement, he entered the nearby minor seminary and later advanced to the major seminary at Rennes. An excellent student, he was slated to proceed to advanced theological studies in Rome, but in December, 1928 he entered into correspondence with the novice-master at the Benedictine Abbey of Saint Anne de Kergonan on the west coast of Brittany to explore the possibility of joining that community. A sentence from one of those letters sounds like a theme which in one way or another would characterize his deepest desire for the rest of his life: What has drawn me [to the monastery] from the beginning, and what still leads me on, is the hope of finding there the presence of God more immediately than anywhere else. (1) Accepted into the community in 1929, he made final profession in 1935, was ordained to the priesthood later in the same year, and began serving the monastery as librarian and assistant master of ceremonies. He was in the French army at the beginning of the Second World War, but his unit was forced to surrender to the German troops in 1940. Managing to escape his captors, he made his way back to Kergonan and moved with his fellow monks to another location when the monastery was requisitioned in 1942. Upon returning to Kergonan after the war, he again served as librarian and in addition gave classes to the novices in canon law and church history, with special emphasis on the writings of the Greek and Latin Fathers. Already in 1934, however, references in his letters and diary reveal the beginnings of a call to India. Before the war he had received no encouragement from his abbot to pursue this call, but in 1945 he finally received permission to approach bishops in India who might be willing to receive him. After a number of disappointments, he got a favorable response in 1947 from Bishop Mendonca of Tiruchirappalli in the south Indian state of Tamilnadu. He had written the bishop asking permission to live an eremitical, contemplative life along the lines of early Christian monasticism and in close conformity with the tradition of Indian sannyasa (complete renunciation of worldly ties). A French priest from Lyons, Jules Monchanin, had already been working in the diocese of Tiruchirppalli for some years and hoped eventually to adopt the same kind of life as that of which Le Saux wrote in his letter to the bishop. Upon being shown the letter, Monchanin 200 anglicano d origine passato poi nella Chiesa cattolica, successore di Dom Le Saux, chiamato Swami Dayananda 1. B. Griffiths e A. De Mello, con M. Fox sono citati come ispiratori della New Age 2 (un fenomeno nuovo che era cominciato circa nel 1962, non una religione, ma una certa religiosità, che intende essere la nuova spiritualità, per chi desidera essere felice e pienamente realizzato e, perciò, aspira ad essere pienamente se stesso ed a sviluppare tutte le sue possibilità). Dalla sua esperienza estranea ai riferimenti di fede, O. Clément -dalla sua formazione antropologica con A. Dupront e dalle sue letture di M. Eliade- si apre all’interesse religioso partendo dalla spiritualità took it as an answer to his prayers for a kindred spirit with whom he could start an ashram. The two priests entered into correspondence and almost exactly a year later Le Saux arrived in India, where he would remain for the rest of his life». ((1) In addition to biographical material in James Stuart’s book mentioned above, see also Marie-Madeleine Davy, Henri Le Saux, Swami Abbishiktananda: Le passeur entre deux rives (Paris, 1981); Odette Baumer-Despeigne, The Spiritual Journey of Henri Le SauxAbhishiktananda , in Cistercian Studies 18(1983): pp. 310-29 and Bettina Baumer, Henri Le Saux , in Grosse Mystiker: Leben und Wirken, ed. Gerhard Ruhbach and Josef Sudbrack (Munich: C.H. Beck, 1984), pp. 338-54.) 1 F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology , Trichy 1993, pp. 63-64: «Bede Griffiths was brought up in the Anglican tradition in England. He entered the Roman Catholic Church in 1931. His contemplative and mystical traits and his search for the mystery behind the nature, its beauty and variety led him to rediscover Christianity afresh and to assume the monastic life of the Benedictines at the Prinkash Abbey. His quest carried him further in search of the Eastern tradition. He arrived in India in 1955 and, -in collaboration with another benedictine monk, Francis Mahieu from Belgium, founded a Benedictine monastery at Kurisumala, Kerala, which incorporated in its vision and practice the Hindu life of Sanny^ After the departure of Abhishiktananda from Shantivanam Ashram to his hermitage in the Himalayas, Bede Griffiths came down to Shand"nam Ashram to be its spiritual guide. The spiritual and theological writings of Bede Criffiths are many and we recall here some important ones. Some of these were originally given as lectures to various groups. The Golden String which appeared in 1954 was his autobiography written even before the vast horizons of the Orient opened up before him. After his immersion in India he published Christ in India. Essays towards a Hindu Christian Dialogue (New York 1966). Then came his Return to the Centre (Springfield 1982), and it was followed in quick succession by The Marriage of East and West (Springfield 1982), The Cosmic Revelation: The Hindu Way to God (Springfield 1983), River of Compassion. A Christian Commentary on the Bhagavad Cita (New York 1987), A New Vision of Reality (New Delhi 1992) and The New Creation in Christ. Christian Meditation and Community (London 1992). Besides these, he has contributed numerous articles to journals in India and abroad. 1 The personality of this sannyasi drew world-wide attention and he was rightly described by Raimundo Panikkar as "one of today's leading spiritual fathers in a world where there are too few. 2 His spirit and theological vision has been fascinating and many doctoral dissertation on his thought have been written, or in preparation. 3». ((1) We, here, recall some of his articles: Bede Criffiths, The Mystical Dimension in Theology, in «Indian Theological Studies», 1977 nº 14, pp. 229-246; id., Christian Monastic Life in India , in «Journal of Dharma», 1978 nº 3, pp. 122-135; id., The Advaitic Experience and the Personal God in the Upanishads and the Bbagavad Cita, «Indian Theological Studies», 1978 nº 15, pp. 71-86; id., Mystical Theology in the Indian Tradition, in «Jeevadhara», 1979 nº 9, pp. 262,277; id., Mission is Dialogue", in «Indian sociological Review», 1981 nº 3, pp. 43-53. / (2) R. Panikkar, quoted at the back cover of Bede Criffiths'book, River of Compassion, Amithy House, New York 1987. / (3) For example: Wayne Robert Teasdale, Towards Christian Vedanta. The Encounter of Hinduism and Christianity according to Bede Griffiths , doctoral dissertation written under the guidance of the Indian theologian J. B. Chethimattam, and submitted to Fordham University, New York. Jesu Raian, Christian Interpretation of indian Sannyasa. A Study based on the Vision and Experience of Suwami Bede Griffiths, Rome 1988. This thesis was presented at the theological faculty of the Pontifical University of St Thomas Aquinas, Rome.) 2 G. Beccaria, La NEW AGE: cos’è?, in «Generazioni», 1998 nº 2, p. 18; G. Beccaria, La NEW AGE: cos’è?, in «La Stampa», 25/02/98; J.-P. Guetny, Le New Age expliqué aux débutants, in «Actualité des religions», 1999 nº 8, p. 42: «1- Quand est-il apparu? Aux Etats-Unis, il remonte aux années soixante; en France, à la fin des années soixante-dix. Le terme New Age (Nouvel Age) est plus ancien. On le doit, semble-t-il, à une certaine Alice Ann Bailey. Cette Anglaise avait appartenu à la Société théosophique, avant de la quitter en 1920 pour fonder l'Ecole Arcane. Elle pressentait que l'humanité allait se renouveler en profondeur; c'est pourquoi elle forgea l'expression New Age. Ce Nouvel Age, un Français, Paul Le Cour le nomma «l'ère du Verseau» (1937). Son argument ? Tous les 2160 ans, le soleil change de signe zodiacal et cela a une influence sur la marche de l'humanité. Après l'ère du Taureau, il y avait eu celle du Bélier, puis celle des Poissons l'ère chrétienne. Paul Le Cour prévoyait qu'en 2160, nous entrerions dans l'ère du Verseau. Une époque où se développeraient le sens de la justice, de la communication et une conscience planétaire. Le New Age a pris son essor dans les années 1967-1968. Un ferment contestataire - une contre-culture travaillait alors l'Amérique. On y défendait les minorités, le féminisme et l'écologie. On criait haro sur la guerre du Vietnam. On recherchait l'harmonie universelle. On rêvait d'un ailleurs pour briser la routine d'une société matérialiste. Il nous reste quelques images fortes de cette période: le rassemblement géant de Woodstock (1969), la «Jesus Revolution», mais aussi l'apologie de la drogue, du LSD en particulier, sensé ouvrir la porte à des états «mystiques», aussi l'apologie de la drogue, du LSD en particulier, sensé ouvrir la porte à des états mystiques». 201 dell’India e dell’estremo-oriente, articolandolo poi in un approccio teologico ortodosso 1. In questo processo teologico un primo autore d’appartenenza romana è il Rvdo Raimundo Panikkar 2. 1 Nato il 17 novembre 1921 ad Aniane, nel Languedoc, ma a Marsilargues trascorreva regolarmente le vacanze. Nel 1500 il villaggio era diventato interamente protestante, successivamente, in quella terra, dove le guerre di religione avevano lasciato le loro tristi tracce e dove erano presenti tre religioni -così diceva la gente- i cattolici, i protestanti e i 'socialisti', la maggior parte della popolazione era scristianizzata. Clément non ha ricevuto nella sua infanzia alcuna formazione religiosa. Nella sua famiglia si era arrivati alla terza generazione di socialisti . Adolescente, 0. Clément, ha esplorato nelle sue vane forme 1'ateismo che gli era stato trasmesso. Con l'esperienza politica e l'esperienza della guerra egli aveva fatto deludenti scoperte. Decisivo fu l'incontro di O. Clément con Adolphe Dupront, che egli considera come suo primo maestro e lo ha definitivamente liberato dal materialismo dialettico, avviandolo verso uno studio della storia più scientifico. O. Clément ha incominciato a studiare le spiritualità dell'India e dell'estremo-oriente, i linguaggi simbolici descritti da Simone Weil, da René Guénon, ma è rimasto soprattutto affascinato dal rigore metodologico e dalle intuizioni del grande storico delle religioni, Mircea Eliade. Sotto l’influenza di Berdjaev, egli matura la sua scelta cristiana. Incontra poi Vl. Losskij, Evdokimov, e nell’ambito spirituale- il p. Sofronij. 2 Nato a Barcellona nel 1918, da padre indiano di religione indù e madre spagnola di religione cattolica, Raimundo Panikkar si è laureato in filosofia (Ph. D., Madrid 1946), chimica (D. Sc., Madrid 1958) e teologia (Th. D., Roma 1961), compiendo i propri studi in Spagna, Germania e Italia, ed è stato ordinato sacerdote cattolico nel 1946. Dopo aver insegnato nelle università di Madrid e Roma, ed esser stato lettore di Filosofia, Cultura e Religione Indiana in America Latina, dal 1967 al 1971 è stato professore di Storia delle Religioni all'Università di Harvard e dal 1971 al 1987 docente di Filosofia della Religione e Storia delle Religioni all'Università di California (Santa Barbara), di cui oggi è Professore Emerito di Studi Religiosi. Ha fondato varie riviste di filosofia e cultura e, più di recente, il Centro Studi Vivarium, presso Tavertet (Barcellona), che riunisce personalità di varie parti del mondo per fare in modo che i problemi più urgenti della nostra epoca non vengano affrontati con gli strumenti di una sola cultura. Ha pubblicato oltre trenta opere e più di trecento articoli, in cinque lingue, sulla filosofia della scienza, la metafisica, l'indologia, la storia delle religioni, la teologia, le relazioni fra le varie culture e il dialogo interreligioso ponendosi per la sua conoscenza dall'interno dei mondi dell'Oriente e dell'Occidente come uno dei principali esperti interculturali contemporanei / Bibliografia: R. Panikkar, Il silenzio di Dio, Edizioni Borla, Roma 1985, 357 pp. [= SD]; R. Panikkar, La Torre di Babele, Edizioni Cultura della Pace (ECP), Firenze 1990, 190 pp. [= TB]; R. Panikkar, Ecosofia: la nuova saggezza, Cittadella Editrice, Assisi 1993, 184 pp. [=EC]; R. Panikkar, La nuova innocenza, vol. 1, Cooperativa Editrice Nuova Stampa (CENS), Milano 1993, 193 pp. [= NI]; R. Panikkar, Saggezza, stile di vita, Edizioni Cultura della Pace (ECP), Firenze 1993, 192 pp. [= SS] / Raimon Panikkar, who grew up in Spain, the son of a Hindu Indian father and a Roman Catholic Spanish mother, is a living embodiment of interreligious dialogue. Professor emeritus of Religious Studies of the University of California at Santa Barbara, he now lives in retirement in a small village near Barcelona. Among his major books are: R. Panikkar, The Cosmotheandric Experience , New York 1993R. Panikkar, Il silenzio di Dio, Roma 1985; idem, La Torre di Babele, Firenze 1990; idem, Ecosofia: la nuova saggezza, Assisi 1993 idem, La nuova innocenza, Milano 1993; idem, Saggezza, stile di vita, Firenze 1993; idem, Rtatatta: a Preface to a Hindu-Christian Theology, in «Jeevadhara», 1979 nº 49; idem, The Intrareligious Dialogue, New York 1978, pp. 61, 69; idem, The Unknown Christ of Hinduism (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981; R. Panikkar, Myth, Faith and Hermeneutics, New York 1979; idem, Metatheology or Diacritical Theology , in «Concilium», 1969 nº 46, p. 54; idem, The Invisible Harmony: A Universal Theory of Religion or a Cosmic Confidence in Reality?, in L. Swildler, Toward a Universal Theology of Religion, New York 1987, pp. 143 ss.; idem, Action and Contemplation as Categories of Religious Understanding , in Y. Ibish - I. Marculescu, Contemplation and Action in World Religions , London 1978, pp. 102 ss.; R. Panikkar, Hermeneutics of Comparative Religion: Paradigms and Models , in «Journal of Dharma», 1980 nº 1, pp. 38-40; idem, The Dialogical Dialogue, in F. Whaling, The Worlds Religious Traditions: Current Perspectives in Religious Studies , Edinburgh 1984, pp. 201 ss.; idem, On Going Dialogue, in H. Coward, Hindu Christian Dialogue Perspectives and Encounters , New York 1990; idem, Towards an Ecumenical Ecumenism, in «Journal of Ecumenical Studies», 1982 nº 12, pp. 781-786; R. Panikkar, Man and Religion: a Dialogue with Panikkar, in «Jeevadhara», 1981 nº 61, p. 12. 202 Il suo profilo sembra paradossale nella sua professione di adesione personale plurireligiosa 1. Egli parte dalla presa di coscienza sulla vulnerabilità di malessere occidentale, o cioè della sua deviazione sempre più marcata che chiamerà oggettivazione e che sorge dalla cosiddetta ideologia tecnologica moderna, cosificando tutto ed istaurando il fondamentale dualismo nell’approccio mentale. Un altro autore prospetta la teologia pluralista: P. Knitter Dupuis 1 3. 2 o anche il teologo belga J. J. Hick e P. Knitter focalizzeranno le esigenze di andare oltre l’intolleranza, l’assolutismo S. Eastham, Introduction, in R. Panikkar, The Cosmotheandric Experience, New York 1993, p. V: «Raimon Panikkar is too often described as a sort of conundrum, a human oxymoron whose life and works would seem to be a contradiction in terms. You are told that his father was Indian and Hindu and his mother Spanish Catholic, that he holds doctorates in the sciences, philosophy and theology, that he speaks about a dozen languages and writes books and articles in at least six. As if this were not enough, he himself says, "I 'left' as a christian, 'found' myself a hindu and 'return' a buddhist, without having ceased to be a christian." Panikkar, now 75, is also a Catholic priest with strong contemplative leanings, a world-renowned teacher and prolific writer who may well be today's leading scholar of comparative philosophy and religious studies, and yet in the past few years a man who has chosen to live quite simply in semi-seclusion in a pre-modern Catalan village. How can it be? How can one fellow be all these things, and besides that be living alongside the rest of us in the modern, secular world? It just does not seem possible, or credible. And yet there it is, or rather, here he is...». 2 B. Buse, Bob Buse speaks on Dr. Paul F. Knitter Xavier Theology Professor's Threefold Denial , in «St Catherine Review» (from the July-August 1998 issue), in «Internet» 1999, http://www.aquinas-multimedia.com/catherine/knitter.html: «In recent decades the concept of the "historical Jesus" has held the attention of not a few Catholic dissenters. A theological posture once assumed only by the most liberal of the Protestant theologians, the "historical Jesus" is now gaining ground in Catholic academia, encouraged by a secular environment hostile to traditional Christianity, yet at the same time welcoming the syncretism of "world religions." This "historical Jesus" is an emaciated Christ, stripped of any teaching authority. He is an historical character who was not divine, worked no miracles, did not foresee the Passion and crucifixion, and did not rise from the dead. Theologians promoting the "historical Jesus" strip the Gospels of all supernatur al interventions. This conveniently places Jesus on the same level as various historical prophets. The pluralist theology of world religions, which has been developing progressively since the 1950s in the Catholic Church, affirms that there is no binding and valid truth in the figure of Jesus Christ; and the faith of the Church is reduced to "fundamentalism," which is seen as the leading threat against the supreme good of tolerance and freedom. Such is the position of Dr. Paul Knitter, professor of theology at Xavier University in Cincinnati. To better understand both his theology and the gospel he introduces to his students a stone instead of bread St. Catherine Review interviewed Xavier University graduate student Bob Buse concerning Knitter’s introductory course in Theology: (Former chairman of the Philosophy department at Edgecliff College in Cincinnati, Bob Buse graduated from Xavier University in 1950 and is a graduate of St. Xavier High School, class of 1946. He completed graduate work in philosophy at Xavier, and received a graduate degree in history from Xavier in 1964.) St. Catherine Review: Dr. Paul Knitter is a well-respected theologian in certain dissident circles. Indeed, he can claim quite a reputation by the mere fact that he is on Cardinal Ratzinger’s theological radar. Ratzinger, the prefect for the Congregation for the Doctrine of the Faith what some like to call "Rome’s doctrinal watchdog" criticized Dr. Knitter’s theology of "methodological doubt" in a speech last year to the presidents of the doctrinal commissions of the Latin American bishops conferences. A few years ago, in 1994, he made news in the Cincinnati area by publicly criticizing the Holy Father. In a television interview Knitter told Cincinnati that "the Pope, like the emperor, has no clothes." Fearing that Pope John Paul II might thwart population control efforts at the United Nation’s population conference in Cairo which he did Knitter, along with 3000 other dissenting Catholics, signed a full-page ad published in The New York Times. The ad stated that on the issue of contraception the Pope is "simply wrong." Despite much evidence to the contrary, Knitter remarked in that interview that "population control is vitally necessary." The population control movement’s "party line," to which Knitter subscribes, not only pushes euthanasia, abortion and contraception, it glorifies them. It is a "kill the poor" mentality passed off as compassionate environmentalism. In fact, Knitter was scheduled to be a keynote speaker at the recent Earth Spirit Rising conference, at which his sister theologian, Rosemary Radford Reuther told her audience that the planet would be a lot better off without us terrible humans [see article p. 6]. In 1990, he was signatory of a similar ad that ran in the Feb. 28, 1990 edition of The New York Times. That ad, entitled "A Call for Reform in the Catholic Church," attacked a wide range of Church teachings and demanded Church-approved abortions, the acceptance of the homosexual lifestyle, contraception, women s ordination, experimental liturgies and so forth». 3 L. Sandri, Vatican Attempts to Clarify Jesuit's Stance on Religious Pluralism, in «Christianity Today Magazine. Churches & Ministries. Catholicism», February 26 2001, in «Internet» 2001, http://www.christianitytoday.com/ct/2001/109/55.0.html: «The Vatican has asked Jacques Dupuis to remove "ambiguities" from his teaching which "could lead a reader to erroneous opinions" and raise doubts about Christ's saving power. The four-page notification, which is available on the Vatican's Web site (www.vatican.va), states that while other religions hold some truth, ultimately they also derive from the founder of Christianity. "It is consistent with Catholic doctrine to hold that the seeds of truth and goodness that exist in other religions are a certain participation in truths contained in the revelation of or in Jesus Christ. However, it is erroneous to hold that such elements of truth and goodness, or some of them, do not derive ultimately from the source-mediation of Jesus Christ." The notification is likely to offend some followers of other faiths as it states that "according to Catholic doctrine, the followers of other religions are oriented to the church and are all called to become part of her." Under pressure from the Vatican, Father Dupuis has signed the notification which will be placed in future editions of his controversial book. The book was originally published in English, French, and Italian. There have been further editions in all three languages, as well as in Portuguese and Spanish. Dupuis, who was born in 1923, 203 religioso, la ristrettezza storica per poter porre le basi di una riflessione teologica alle dimensioni del mondo odierno. J. Hick porrà l’interrogativo interreligioso in riferimento al riferimento cristologico 1. Il riferimento all’esperienza dell’India sembra centrale per diversi di loro 2. Tra i teologi dell’India si sono affermati tra gli altri D. S. Amalorpavadass Mondo si accentuerà ulteriormente in occasione di vari incontri teologici 3. L’estensione al Terzo 4. spent the period from 1948 to 1984 in India, which included 25 years teaching Christology. From 1984 to 1998 he taught the same subject at the Gregorian University in Rome, the prestigious Jesuit-run theological academy. Asked by ENI to summarize the book, Dupuis said: "I stress on one hand Jesus Christ's universal message of salvation, and, on the other, the positive value of non-Christian religions. The challenge here is to retain these two aspects without losing the substance of either." Dupuis told the journalists that "at t he start of October 1998, as I was about to begin my last course on Christology before retiring in 1999, Cardinal Ratzinger informed me that the Congregation for the Doctrine of the Faith had decided to hold a 'contestation' of my book on religious pluralism. So I had to abandon the course." Dupuis added that there had been an exchange of letters between him and Cardinal Ratzinger who had sent him documents containing "very severe accusations against my book. I was summoned to answer under the strictest secrecy." Finally, on September 4, 2000, Cardinal Ratzinger asked Dupuis to visit him in person, along with the superior general of the Society of Jesus (Jesuits), Peter-Hans Kolvenbach, and a church lawyer, Jesuit theologian Gerald O' Collins. At the meeting, Dupuis was asked to sign a text about the book. Dupuis said yesterday that "at the end of a tense session of two hours" it became clear that the text submitted for his approval by the cardinal "contained false accusations against my book, to which I could not subscribe. I did not sign, even though the text mentioned the approval given to it by the Pope on June 16, 2000." On December 6 another version of the text was presented to Father Dupuis. "I was requested this time to sign the t ext as it was sent to me, without any further discussion," he said, adding that one of the eight points of the new text declared that "it is contrary to the Catholic faith to consider the different religions of the world as ways of salvation complementary to the church." The text also states: "By signing the text, Father Dupuis committed himself to assent to the stated theses and, in his future theological activity and publications, to hold the doctrinal contents indicated in the Notification, the text of which must be included in any reprinting or further editions of his book, as well as in all translations"»; etiam in «Associated Press» (Feb. 28, 2001), «Los Angeles Times» (Feb. 27, 2001), «The Bost on Globe» (Feb. 27, 2001). 1 St. Silber, Theology of Liberation in the Dialogue of Religions. A new development in Latin America (Theologie der Befreiung im Religionsdialog. Eine neue Entwicklung in Lateinamerika, in «Stimmen der Zeit» 130(2005)7,484-488), in «Internet» 2006, http://latinoamericana.org/tiempoaxial/textos/SilberIngles.htm: «There is a similar challenge in Christology, which takes a highly prominent place in the classical theology of liberation. Must Christology - following John Hick - be rated down to some extent to oblige the other religions or can Christianity proclaim a universal liberator without devaluating the possibilities of salvation existing in other religions? In view of the dialogue with other religions the theology of liberation will have to discuss its Christology anew». 2 R. Panikkar, The Intrareligious Dialogue, New York 1978, pp.5-6: «Here I am a Man brought up in the strictest orthodoxy, who has lived as well in a milieu that is microdox from every point of view... This Man goes forth, forsaking the land of Ur, to dwell in the land of Men... Instantly he finds himself confronted by a dilemma: Either he must condemn everything around him as error and sin, or he must throw overboard the exclusivistic and monopolistic notions he has been told embody truth that must be simple and unique, revealed o nce and for all that speaks through infallible organs and so on. None of the answers people reply to this dilemma satisfy him he overcomes the temptation of relativism by acknowledging relativity the whole idea of belonging to a chosen people, of practising the true religion, of being a privileged creature, struck me not as a grace but a disgrace. Not that I felt myself unworthy, but I thought it will ill be come me to discriminate in such a fashion and I thought it would ill become God to do so I share if you like the well known outlook of the Bodhisatta [The vow of Bodhisatta consists in refusing individual salvation in order to contribute to the salvation of all beings a concept in Mahaxana Buddhism] who forestalls his own beatitude until the last man attained it; or of Moses and Paul who would be rather be stricken from the Book of Life than saved alone». 3 Nato nel 1932 e deceduto nel 1990: teologo cattolico pastorale (liturgia, catechetica, apostolato biblico); studia presso l’Institut catholique de Paris; dal 1967 al 1981, direttore del National Biblical Catechetical and Liturgical Center. Bibliografia: L’Inde à la Recontre du Seigneur, (Paris 1964); Destin de 1'Eglise dans l’Inde d'aujourd’hui, (Paris 1967), Gospel and Culture (Bangalore 1978); Approaches, Meaning and Horizon of Evangelization (Bangalore 1973); Approaches in our Apostolate among Followers of other Religions (Bangalore 1976), Statements, Workshop Reports and Proceedings of the Seminar , Research Seminar on Non-Biblical Scriptures, (Bangalore 1974), Ministries in the Church in India, (New Delhi 1976; The Indian Church in the Struggle for a New Society, (Bangalore 1981). 4 St. Silber, Theology of Liberation in the Dialogue of Religions. A new development in Latin America (Theologie der Befreiung im Religionsdialog. Eine neue Entwicklung in Lateinamerika, in «Stimmen der Zeit», 2005 N° 130, S. 484-488), in «Internet» 2006, http://latinoamericana.org/tiempoaxial/textos/SilberIngles.htm: «Over and above that there arose in the years of 1980, 1990 out of the openness for the religious experiences of the poor the theological paradigm of inculturation. Parallel to it and in many respects more radical and clear there arose the theological movement of the 'Teología India' (indigenous theology) {2} with its numerous local and regional contextualisations. In contrast to most of the theologies of inculturation the Teología India carries on the dialogue with indigenous religions, thus preparing the encounter of liberation theology and theology of religious pluralism. This encounter had already been demanded quite some time ago by Asian and North American theologians as Aloyisius Pieris and Paul Knitter. As its first milestone, the congress of the Brazilian society for theology and divinity SOTER in July 2000 can be mentioned. The publication of the articles written for that congress {3} 204 II LA TEOLOGIA PLURALISTA E LA DINAMICA TEOLOGICA DEL XX-XXI SECOLO La sezione B di questa 1° parte del nostro terzo volume nell’indagine sulla teologia del XXXXI secolo si ferma sulla seconda prospettiva dialogale: dalla salvaguardia alla re-articolazione teologica. Essa apparirà come l’avvio di una nuova contestualità e di una nuova metodologia nel dialogo teologico, di fronte a ripiegamenti percepibili negli orientamenti di salvaguardia. Essa potrebbe manifestarsi come una sorpresa nel XX secolo così marcato dalle impennate secolarizzanti o più ampiamente secolaristiche e ‘laiche’ della società. A. QUALI FONTI ISPIRATIVE NELLA REARTICOLAZIONE PLURALISTA E QUALE SEGUITO TEOLOGICO Come per le altre correnti teologiche, anche la teologia pluralista ha delle radici ispirative che hanno preparato l’emergere di questa prospettiva in ambito cristiano. Il contesto di attualità storica a dato luce e significato alla maturazione dei cristiani e delle Chiese nel loro atteggiamento verso altri intuiti religiosi dell’umanità, che sono sorti molti secoli fa e che convivono oggi più intimamente e intensamente in presenza gli uni degli altri. Lo si potrebbe riassumere nel modo seguente nella fraseologia del concilio Vaticano II: “nel nostro tempo nel quale il genere umano si unisce sempre di più la Chiesa considera con più attenzione il suo atteggiamento verso le religioni non cristiane” 1. Da questo quadro storico sorge l'approfondita presa di coscienza del servizio che demonstrates the awakening of the theology of liberation to the encounter of religious pluralism. Numerous further publications followed in the Nicaraguan periodical "Alternativas" {4}, in "Revista electrónica Latinoamericana de Teología" (RELaT) {5} published on the web, in «Concilium» {6}, and in other journals. The V. General Assembly of the Ecumenical Association of Third World Theologians (EATWOT) from September 24 to October 1, 2002, which took place under the spell of the assaults of September 11th, started an ambitious publication project which intends not only to give proof of the theological encounter about pluralism and liberation but also to advance it. The first two titles {7} of a series laid out for five volumes, in which this encounter shall be pursued up to a new synthesis, have been already published. At the "World Forum Theology and Liberation" which took place in Porto Alegre from January 20th to 25th 2005 immediately before the World Social Forum, and where 200 theologians from all continents took part, the question of the interreligious dialogue also played an important part». ({1} Cf. E.H. López, Teología India. Antología (Cochabamba 2000). / {2} Cf. Sarça Ardente, Teologia na América Latina. Prospectivas, edited by L.C. Susin (São Paulo 2000); cf. also No. 20/21 (2001) of the journal Alternativas under the title " Pluralismo y teologías en díalogo". / {3} Cf. especially the No. 27 (2004) under the title: " La teología ante el pluralismo religioso". / {4} servicioskoinonia.org/relat; cf. also the other publications of the Servicios Koinonia and the last editions (2002-2005) of the annual Agenda Latino-Americana-Mundial (latinoamericana.org) edited by J. M. Vigil and P. Casaldáliga. / {5} Cf. esp. the No. 3/2002 under the title " Brazil: People and Church(es)", edited by J. O. Beozzo and L. C. Susín. / {6} Por los muchos caminos de Dios. Desafíos del pluralismo religioso a la teología de la liberación , ed. byAsociación Ecuménica de Teólogos y Teólogas del TercerMundo (AbyaYala, Quito 2003); Por los muchos caminos de Dios II. Hacia una teología cristiana y latinoamericana del pluralismo religioso , edited by Asociación Ecuménica de Teólogos y Teólogas del Tercer Mundo (Abya Yala, Quito 2004).) 1 CONCILIUM OECUMENICUM VATICANUM II, Declaratio Nostra Aetate, Civitas Vaticana 1965, nº 1: «NOSTRA AETATE, in qua genus humanum in dies arctius unitur et necessitudines inter varios populos augentur, Ecclesia attentius considera quae sit sua habitudo ad religiones non- 205 la Chiesa crede di poter offrire all'umanità stessa: promuovere l’unità e l'amore tra i popoli e le persone (vedere citazione qui sopra). Per operare tale intento, occorre considerare ciò che è comune e ciò che permette il suo specifico cammino religioso. Chiaramente, l’unità piena dell’umanità viene evocata qui come il traguardo di un percorso offertosi attraverso l'esperienza complessiva del cammino umano. Si tratta di promuovere una unità d'amore partendo da quello che le persone e le comunità hanno in comune nella loro esperienza di vita. La dichiarazione conciliare prospetta -così- una possibile piattaforma comune tra le religioni non cristiane e lo stesso itinerario cristiano, in funzione di una umanità che vede inevitabilmente delinearsi una crescente interdipendenza tra gruppi e individui, ed in funzione anche della comune eredità umana nel pellegrinaggio terrestre. Il dubbio che sorge da questa impostazione riguarda la motivazione della mutata valutazione delle religioni da parte dei padri conciliari: si tratta forse solo di un adeguamento alle necessità del momento che esige questo correttivo nell’atteggiamento ecclesiale? O vi sono stati errori di valutazione nel passato che la coscienza ecclesiale deve correggere? LA VARIABILE VALUTAZIONE DELLE RELIGIONI DA PARTE DELLA TEOLOGIA CRISTIANANELLA STORIA I Padri della Chiesa formulano svariati giudizi sulle religioni dell’umanità, tra cui spicca l’interpretazione dell’intento religioso come opera del «Logos spermatikos» riprenderanno questa presenza del divino negli intuiti religiosi 2. 1. Diversi padri San Giustino appare, per i christianas. In suo munere unitatem et caritatem inter homines, immo et inter gentes, fovendi ca imprimis hic considera quae hominibus sunt communia et ad mutuum consortium ducunt»; «Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l'interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni noncristiane. Nel suo dovere di promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino». 1 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, p. 41: «Les Pères ont vu dans les sagesses de vie et les religions l'œuvre du Logos spermatikos, conception stoïcienne, d'après laquelle le Verbe de Dieu agit aussi hors d'Israël : tout homme possède en lui comme une semence du Logos (pp. 54-56). Mais les Pères, conscients de la difficulté, proposent aussi d'autres théories celle des emprunts ou plagiats des penseurs non chrétiens par rapport à la Bible; celle de la fraus diabolica, manœuvre des démons contre la vraie religion du Christ; celle de la condescendance de Dieu à l'égard des hommes, due à la «philanthropie» divine, dont le judaïsme même constituait un cas privilégié (p. 56). Saint Augustin a mieux perçu le paradoxe. «Ses Rétractations font preuve d'une grande réserve. Saint Augustin admet, de plus en plus. qu'en dépit des similitudes et des affinités, il y a un abîme infranchissable entre les religions non chrétiennes et la vera religio. Mais il sent ma1gré tout qu'il y a quelque chose de Dieu dans la conscience religieuse du paganisme classique» (p. 61)». 2 M. Frederiks, God And People Of Other Faiths: Some Thoughts , in «Mission Bulletin», 2000, Vol. XX, No. 3 & 4, etiam in «Internet» 2005, http://www.gospelcom.net/rec/MB-Dec2000Frederiks.html: «These observations and experiences are not new. Also in the past people have attempted to give account of the world-wide religiosity and virtuousness they experienced. J. Calvin 1 talks about the "semen religionis," the seed of religion which is planted in every person and which gives every person a "sense of the Divine" (sensus divinitatis) or "an understanding of God" (numinis intelligentia). J. H. Bavinck 2 calls this the "religious conscious ness" of every human being. Justin Martyr 3, in an attempt to theologically formulate his positive experiences with Greek philosophy and its virtues, states that in every person there is a "seed of the logos" (logos spermatikos), the logos being the Divine Wisdom, who, as far as Justin is concerned, is Jesus the Son of God. Tertullian states that in every person there is an aware ness of God (conscientia dei) who is the most High, eternal, uncreated 4. This idea of implanted religiosity has often been retraced to God's manifestation to all people in creation and his involvement in world history .. Justin Martyr is quite optimistic about the knowledge people can gather from God's manifestation in creation. Wrestling with the heritage of Greek philosophy and attempting to explain Christianity within its terminology, he 5 states that the Logos, Jesus Christ, has planted part of himself, his "seeds" (logos spermatikos) in every person. Everyone who develops these "seeds" as the great Greek philosophers such as Socrates among others have done becomes a virtuous person and is as such part of Christianity 6. Justin sees a continuation between God's manifestation in his creation and his revelation in Jesus Christ. The same logos that worked through Socrates became incarnat e in Jesus Christ. Someone like A. J. Appasamy (India) has applied this idea of "logos spermatikos" to his own spiritual heritage, claiming some type of involvement of God in the philosophies and religions in India. Its books can, therefore, be used for personal Christian devotion and lead to a 206 commentatori, tra i più positivi sul senso del divino presente nelle religioni. Ma il momento critico dei rapporti tra Chiesa imperiale e religioni sorgerà quando si affermerà una nuova religione che sarà fondata secondo i parametri palesi di una istituzione religiosa 1. La via verso le crociate si preparerà partendo da una controversia e da polemiche sempre più accese 2. La controversia sul deeper understanding of God. We see a similar way of reasoning with L. Sanneh (The Gambia, West Africa), though he doesn't use the concept of logos spermatikos. He states that in the missio Dei we discover that "God has preceded the missionary" and that within each culture (and religion as it is part of culture) God has created concepts and ideas that the missionaries should use to properly proclaim and inculturize the gospel: "they [the missionaries] will have to delve deep into local culture" to discover God's true identity. "People might come to know the God of Jesus Christ only because they had vouchsafed intimations of it in their own religious traditions." 7 Here as well there is a continuity between the knowledge of God from his manifestation and his revelation in Christ. Local cultures, religions and philosophies can be used as "preparatio evangelica." A modern update of Justin Martyr is the idea developed by J.N. Farquhar that non-Christian religions find their true fulfillment in Christianity: all religions in some way or another have a grasp (be it partly) of the Divine through the grace given in creation and history and Christianity has come as the fulfilment of the best of all religions. 8 Calvin has quite a different view. He agrees that there is something like a "semen religionis" and "sensus divinitatis" in every person and he quotes Cicero saying that there is no nation so barbaric, no tribe so primitive but she has the conviction that there is a God. 9 He also states that God reveals himself in the whole edifice of the world, and that every time a person opens his eyes, (s)he will have to see him: in the world lights shine to testify to the glory of their Maker. 10». (1 J. Calvijn, Institutie Meinema Delft 1956, Book I, chapter III,1. / 2 J.H. Bavinck, Religieus besef en Christelijk geloof. Kok Kampen 1949, 8ff. / 3 Ibid, p.130/131. See also H. Kraemer, Religion and the Christian faith. Lutterworth Press London 1956, p.148ff. / 4 Ibid. p.133. / 5 And after him Clemens and Origin of Alexandria. See H. Kraemer, Religion and the Christian Faith, Lutterworth Press London 1956, p.148ff. and J. H. Bavinck, Religieus Besef en Christelijk Geloof. Kok Kampen 1949, p.129ff. / 6 In some ways similar to this view is the position of Rahner. He also states that in each non-Christian religion there are, next to elements of sin, also elements of grace, given by Christ. In that sense members of other religions are not "non" Christians but should be called anonymous Christians. / 7 L. Sanneh, "The Horizontal and Vertical in Mission", International Bulletin of Missionary Research 7/4 (1983) p.165-171. / 8 H. Kraemer, Religion and the Christian Faith. Lutterworth London 1956, p.215. / 9 J. Calvijn, Institutie, Meinema Delft 1956, Book I, Chapter III,1. / 10 Book 1, Chapter V, 1 and 14.) 1 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, p. 40: «Mais au VIe siècle, l'Islam apparut. Une vraie religion, cette fois, née plusieurs siècles après la venue du Christ et se considérant comme le terme, l'accomplissement de toutes les préparations providentielles qui s'échelonnent de Moïse et le Christ jusqu'au Prophète. Les anciens critères théologiques paraissent périmés: comment expliquer l'Islam par un appel aux préparations providentielles aboutissant au Christ Jésus! L'Islam, au contraire, n'était-il pas la personnification des œuvres opérées par les faux prophètes que saint Jean annonçait dans son Apocalypse pour le temps de l'Eglise? Ses progrès foudroyants en pays chrétienne faisaient-ils pas de lui «la plaie» et la persécution les plus graves? Or, écrit B. Benz, la théologie de la rencontre du christianisme avec l'Islam va avoir une influence considérable sur la théologie des religions non chrétiennes. « Le rapport du christianisme et de l'Islam va constituer le cas type de la position du christianisme à l'égard de toutes les religions. Dans sa confrontation avec l'Islam, la chrétienté a édifié ses principes, ses méthodes, ses jugements théoriques et ses comportements pratiques par rapport aux religions étrangères. L'empreinte laissée par cette expérience unilatérale fut d'autant plus profonde et durable que la confrontation se poursuivit longtemps. Du VIIIe au XVIe siècle, la chrétienté occidentale fut attaquée par l'Islam de trois côtés à l'Est, au Sud, et à l'Ouest». (*) Les Croisades, poursuit B. Benz, sont un des fruits typiques de cette conception théologique, et leur histoire pose encore lourdement sur les relations actuelles de ces religions avec le christianisme et l'Eglise. Elles eurent un parallèle dans la poursuite des Juifs qui se déchaîna au Moyen Age, et dont le souvenir n'est pas entièrement effacé, lui non plus, de la conscience des chrétiens d'aujourd'hui. Elles inspirèrent même la lutte entre les orthodoxes de Byzance et de Russie, et c'est Alexandre Newskij qui défit sur la Newa l'armée des chevaliers luttant pour l'Eglise catholique romaine (**)». ((*) E. Benz, Ideen zu einer Theologie der Religionsgeschichte, 1960 p. 21. / (**) Ibidem, pp. 22-23.) 2 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes, Louvain 1966, pp. 35-36: «Au Moyen Age à côté des traités d'ecclésiologie parurent régulièrement des Adversus Judaeos et des Adversus Mahomedanos. Pierre le Vénérable traduisit le Coran pour que les latins puissent percevoir par eux-mêmes «le caractère inouï des erreurs» de l'Islam; saint Bernard de Clairvaux, qui prêcha la deuxième croisade, refusa d'en prendre connaissance, «wohl aus der Erwägung heraus, dass die herkömmliche Ignoranz die beste Voraussetzung für eine Kreuzzug sei» (*). Luther aussi prit le parti de ceux qui voulaient publier le Coran, afin, écrivait-il en octobre 1542, qu'on voie bien que c'est un livre «voller lügen, fabeln und allen grewel» (**). Quant à la religion juive, on sait qu'elle subit parfois un assaut assez peu enviable. A la Renaissance, après les remous polémiques les plus violents du XVI° siècle, dès que se manifeste un certain effort de systématisation, les deux propos se retrouvent, tant chez les protestants que chez les catholiques. En 1581, Philippe de Mornay publie chez Plantin, à Anvers, La vérité de la religion chrétienne prouvée contre les athées, les épicuriens, les païens, les juifs, les mahométans et les autres infidèles, alors qu'il venait, trois ans auparavant, d'éditer à Londres un Traité de l'Eglise qui eut une dizaine d'éditions et de traductions. Les Trois vérités contre les athées, les idolâtres, juifs, mahométans, hérétiques et schismatiques (1593) de P. Charron est plus caractéristique encore. Dans la préface, celui-ci expliquait comme suit le titre de son ouvrage «Ami lecteur, vous aurez ici trois livres de religion, contenant trois princ ipes et degrés d'une vérité tout entière, trois fondements de l’édifice de la religion tout complet. Le premier montre qu'il y a un Dieu qu'il faut reconnaître, adorer et servir, qui n'est autre que la religion. Le second, que de toutes les religions, la chrétienne est la seule vraie. Le 207 confronto tra Cristo Maometto è ben conosciuta, con la persistente sottolineatura di una specie di appropriazione illegittima o indebita ed a posteriori di fronte a Cristo- da parte dell’Islam riguardo alle prerogative uniche del Messia, tanto da far apparire Maometto come l’antagonista per eccellenza di Cristo 1. Dai primi confronti di rifiuto con Giovanni Mansur (Damasceno) nel suo Libro delle eresie (l’Islam sarebbe la 100° eresia) e nella Controversia tra un musulmano e un cristiano, si arriverà a quello di Tommaso d Aquino nella Summa contro i gentili (I, 5). San Tommaso suggerisce qualche accenno riguardo alla differenza tra ebrei e pagani ma gli inserisce tutti nella categoria degli infedeli, suggerendo che possano essere tollerati i loro riti 2. Eppure, egli riconosce teoricamente una abilità alla natura di discernere la verità ed il bene 3. La posizione orientale si focalizzerà poi anche intorno al Dio disumano dell’Islam 4. Un approccio comparativo matura però nel contesto bizantino: quello del dialogo tra il futuro imperatore Manuele Paleologo ed un saggio musulmano (1390) o dialogo sulle tre leggi, o cioè mosaica – musulmana - cristiana. Per il saggio musulmano si avrebbe nella legge mosaica una legge incoativa, in quella cristiana una legge troppo elevata, nella legge coranica una legge media 5. Un tentativo viene fatto dal cardinale troisième, que de tant de croyances et d'opinions qui se disent chrétiennes, la catholique romaine est la seule vraie» (***); c'est le plan que les apologétiques classiques vont reprendre désormais». ((*) E. BENZ, Ideen zu einer Theologie der Religionsgeschichte, p. 12. / (**) E. BENZ, Ibidem. / (***) Les Trois Vérités (1593) Au lecteur, p. 1.) 1 Cfr e. g. J. A. Pearson, The Koran: Testimony of Antichrist, in «Internet» 2001, http://members.aol.com/AllahIslam/part3.html. 2 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, p. 41: «Saint Thomas, disions-nous, s'est posé la question Utrum infidelium ritus sint tolerandi ? 1 Par infidèles, il entend ici les juifs aussi bien que les païens. Il rejette la thèse de l'intolérance absolue. Après avoir rappelé que saint Grégoire reconnaît aux Juifs la libre faculté d'observer et de célébrer leurs fêtes, dans la forme où eux et leurs pères les ont gardées dans un culte très ancien 2, il donne son avis. Dieu, dit-il, bien qu'il soit tout-puissant et infiniment parfait, permet néanmoins qu'il se produise des maux dans 1'univers. De même, dans le gouvernement humain -dérivation et imitation du gouvernement divin- les autorités tolèrent à bon droit certains maux, de peur que quelques biens ne soient empêchés, ou même de peur que des maux pires ne soient provoqués. En ce sens-là, conclut-il, bien que les infidèles pèchent dans leurs rites, ceux-ci peuvent être tolérés, soit à cause du bien qui en provient, soit à cause du mal qui est évité. Quel bien? Pour y répondre, saint Thomas distingue entre juifs et païens. Chez les Juifs, il y a un bien réel en observant les rites qui jadis préfiguraient la vérité de la foi chrétienne, ils rendent témoignage à notre foi; leurs rites peuvent donc être tolérés. Quant aux païens, leurs rites n'ont nihil veritatis aut utilitatis . Néanmoins, on peut les tolérer aliqualiter, en raison du scandale ou des dissensions que leur rejet susciterait, ou aussi pour ne pas faire obstacle au salut de ceux qui, après avoir été supportés, se tourneraient petit à petit vers la foi». (1 Summa Theol., Ia IIae, q. 10 à 11. / 2 Il se réfère aux Decreta, dist. 45, can, «Qui sincera» de S. Grégoire (Regist., lib. 11, epist. 15.) 3 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, p. 45: «Avec saint Thomas d'Aquin, la théologie naturelle et la théologie révélée sont distinguées et séparées. La raison, «empreinte de la lumière divine en nous», peut connaître Dieu, distinguer entre le bien et le mal. La religio naturalis joue le rôle de Praeambula fidei et de praeparatio evangelica. Malheureusement, poursuit Kraemer, la révélation devient plutôt complément de la raison que jugement de la raison. D'où une certaine générosité à l'endroit des religions non chrétiennes, en théorie et dans la missiologie (pp. 61-64)». Вл. Соловьев / Vl. Solov'ëv, Великий споръ и хрискіанская политика, in idem, Собрание Сочинений В. С. Соловьева, Томъ чертвертий / La grande controverse de l'orient et de l'occident et la politique chrétienne , Брюссель 1966 / Paris 1943, стр. 52 / pp. 74-75: «Tout ce 4 mouvement hérétique est pénétré par une seule idée négative (par rapport au christianisme), par la négation d'un théandrisme réel et complet ce qui fait que toutes les hérésies orientales se réduisent à l'ancien principe oriental d'un dieu inhumain. Or, l'affirmation d'un dieu inhumain forme aussi l'essence de la religion musulmane, qui ne fait que renouveler cet ancien principe sous une forme plus ferme et plus claire; c'est pourquoi il n'y a pas lieu de nous arrêter aux réactions mutuelles et de caractère extérieur de la religion musulmane et des hérésies chrétiennes, ni sur l'échange mutuel de leur conceptions et des traits de leur culte. La présence de Mahomet dans les couvents nestoriens de la Syrie méridionale, où il vécut, les connaissances sur la religion nouvelle acquises par les empereurs monothélites et iconoclastes, leur désir d’un rapprochement avec cette religion – ces faits n'ont d'intérêt et d'importance qu'à cause de l'affinité essentielle de l'Islamisme et de tout le mouvement hérétique, affinité qui subsisterait, même si ces faits ne nous étaient aucunement connus». 5 A. Besançon, L’islam, in «Commentaire», 2004 n° 107, p. 590: «La seconde approche chrétienne, je l'appellerai celle des Trois Lois. On en trouve un bon exemple dans le dialogue qui eut lieu entre le futur empereur Manuel Paléologue et un sage musulman en 1390. IL s'agit d'établir un ordre de précellence entre les Lois de Moise, de Jésus et de Mahomet. Manuel commence en affirmant que la loi musulmane est inférieure à celle des juifs, en particulier à cause du djihad, selon lequel les hommes ont le choix entre la conversion et la mort ou l'esclavage. Or La volonté divine ne se plaît pas dans le sang et veut amener les hommes à La foi par la persuasion et non par la violence. A fortiori est-elle inférieure à la loi du Christ. A quoi le musulman répond qu'en effet La loi du Christ est meilleure que la loi de Moïse, mais 208 Nicola Cusano di considerare l’Islam come una fede cristiana che si ignora (che anticipa in qualche modo il cristiano anonimo di K. Rahner) 1. Ecco che la storia della Chiesa ci insegna quanto possa essere poco lineare lo sviluppo dell’apertura dottrinale: per lo stesso intuito l’uno è fatto cardinale e l’altro quasi emarginato da chi ansimava per diventarlo… La questione dell’anti-islamità , se lo si vuole formulare così, non ha ancora avuto la stessa chiara presa di coscienza come la coscienza delle colpe verso gli ebrei. Nell ultimo documento vaticano di focalizzazione del 2000 sulla purificazione della memoria, si accenna soltanto ipoteticamente ad eventi storici irrepetibili, accostando le crociate e l’Inquisizione 2. Il diffuso disagio non è scomparso nel modo di prospettare il rapporto tra religioni. Si menzionano il Pico della Mirandola e Tommaso Moro come esponenti in favore di un avvicendamento tollerante tra le religioni dell’umanità 3. Passando al cardinale Nicolò da Cusa, una possibilità di mediazione tra le religioni progressivamente, fino alla visione di un raduno di tutte le religioni a Gerusalemme si 4. abbozza La Riforma elle est trop dure, trop élevée, donc impraticable. C'est prêcher par excès de devoir aimer ses ennemis, rechercher la pauvreté, supporter La virginité. Le Coran tient la voie moyenne entre les déficiences de la loi mosaïque et les excès de celle du Christ. Or le milieu, la modération est synonyme de vertu et de raison». 1 A. Besançon, L’islam, in «Commentaire», 2004 n° 107, p. 590: «La troisième approche, je l'appellerai la recherche du point sublime de dépassement par le haut. Un bon exemple en est le De pace fidei, écrit par le cardinal Nicolas de Cuse en 1452, à la veille même de la chute de Constantinople. Son but est d'atteindre un point de vue supérieur et englobant, tel qu'on pourrait interpréter l'islam comme une forme de christianisme inconsciente d'elle-même. Comme lui non plus ne peut pas faire appel à la Bible, il décide de partir de l'article de foi qu'il pense commun, la foi au Dieu unique. A partir de cet axiome, il déduit par un raisonnement scolastique aussi savant qu'abstrait la Trinité et les autres grands dogmes chrétiens. Cet exposé strictement rationnel pouvait, espérait-il, plaire à des sages musulmans nourris de la meilleure philosophie, celle d'Avicenne». 2 COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato , Città del Vaticano 2000, n° 1, 4: «Si profilano, così, diversi interrogativi: si può investire la coscienza attuale di una 'colpa' collegata a fenomeni storici irripetibili, come le crociate o l'inquisizione? Non è fin troppo facile giudicare i protagonisti del passato con la coscienza attuale (come fanno Scribi e Farisei secondo Mt 23, 29-32), quasi che la coscienza morale non sia situata nel tempo? E, d'altra parte, si può forse negare che il giudizio etico è sempre in gioco, per il semplice fatto che la verità di Dio e le sue esigenze morali hanno sempre valore? Quale che sia l'atteggiamento da adottare, esso dovrà fare i conti con queste domande, e cercare risposte che siano fondate nella rivelazione e nella sua vivente trasmissione nella fede della Chiesa. La questione prioritaria è dunque quella di chiarire in che misura le domande di perdono per le colpe del passato, soprattutto se indirizzate a gruppi umani attuali, entrino nell'orizzonte biblico e teologico della riconciliazione con Dio e con il prossimo». 3 M. Pesce, Ebraismo Cristianesimo Islam. Coesistenza e dialogo , in «Internet» 2005, http://www.spbo.unibo.it/pais/pesce/articolo003.html: «Infine, proprio nel periodo dello scontro e della concorrenza mediterranea tra il mondo islamico e quello cristiano esistevano voci che ribadivano la necessità del dialogo e dell'incontro pacifico. Basti l'esempio di Nicolò da Cusa che, attorno alla metà del XV secolo scriveva un trattato per proporre un dialogo tra le tre religioni monoteistiche. Egli affermava allora il principio: "A Dio piace essere adorato in modi diversi". Anche Pico Della Mirandola lavorò ad un sogno di incontro universale tra le religioni (cf. la recente traduzione che Albano Biondi ha curato delle 900 tesi). E Tommaso Moro nella sua Utopia sognava un mondo tollerante all'inizio del XV secolo che pur vedeva progetti di diffusione mondiale del Cristianesimo». 4 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, pp. 49-50: «Le Moyen Age, s'il a connu des théories sévères à l'égard des «infidèles», eut aussi ses théoriciens plus sereins et plus sensibles à la réalité intégrale des religions. Parmi ceux-ci, on se plait généralement à rappeler le nom de Nicolas de Cusa (+1464). Médiateur en différentes circonstances, il le fut aussi en matière religieuse. Son De pace fidei s'occupe in recto des chrétiens désunis. Nicolas de Cusa désirait qu'on parvienne à un état de concorde qui assurerait la paix religieuse dans le monde entier. Nous sommes en 1453. Constantinople vient d'être prise par les Turcs. Dans une vision qu'il aurait eue, il imagine l'éventualité d'un Congrès des religions tenu à Jérusalem, et où l'on inviterait des sages de toutes les nations; après une large discussion, ceux-ci s'accorderaient à sceller la paix dans la foi et la loi d'amour. Ces sages devaient rentrer chez eux, persuader leurs concitoyens de s'unir dans la vraie religion, puis revenir à Jérusalem et prendre des décisions définitives concernant 1'unique foi, même dans la diversité des rites. Le Cribratio Aichorani nous ramène à la confrontation du christianisme et de l'Islam; et Nicolas de Cusa lui donne une forme irénique. Passant au crible la doctrine du Coran, ainsi que Pie II le lui avait demandé, Nicolas montre d'abord que, A partir du Coran, il est possible de démontrer la vérité de l'Evangile: l'Islam possède donc des éléments valables. Mais il contient aussi des erreurs et des contradictions, que Nicolas réfutera ensuite (1). Nicolas de Cusa élargit donc considérab1ement les perspectives du débat (2). Il croit que Dieu a parlé, et même par des prophètes, à tous les peuples. II estime aussi que ce sont ces prophètes, ces docteurs, qui ont enseigné à chaque religion sa doctrine et ses rites: cette diversité est donc agrée de Dieu, dont elle fait mieux éclater la gloire. Toutefois, le christianisme accomplit pleinement l'essentiel de la religion, dont il est la plus parfaite expression. Il n'y a donc pas d'indifférentisme dans cette théorie, dont certains points n'en demeurent pas moins très vulnérables» 209 rimescola le carte con la priorità data alla sovranità di Dio, ma rimane condizionata dal pesante giudizio sulla incapacità della natura a liberarsi dal falso per arrivare alla fede, pur se si riconosce un “sensus divinitatis” in ogni persona umana 1, anche nei barbari più accaniti 2. Questo senso del divino si apparenta al senso della Maestà divina, riallacciandosi così alla chiave della Dignità suprema che la fede cristiana discerne nell’accogliere la verità in modo diretto e trasparente 3. Andando avanti nel tentativo di proporre un approccio riformato articolato, Hegel tenterà una schematizzazione più ampia delle religioni dal loro valore intrinseco 4. B. ((1) N. de Cusa, De Pace Fidei, éd. R. Klibanski et H. Bascour, Londres, Warburg Institute, 1956, LVIII-315 p.; rec. dans B. T. A. M., t. VII, n. 1923. / (2) Pour ce qui suit, cfr Br. Decker, Nicolaus van Cues und der Friede unter den Religionen , dans J. Koch, Studien und Texte zur Geistesgesehichee des Mittelalters, T. III, Leiden-Cologne 1953 (= E. Benz, Ideen..., 1960, pp. 24-26). 1 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, p. 45: «Les Réformateurs redécouvrent «la souveraineté de Dieu et de sa grâce, firent sauter tous les cadres» (p. 64). Calvin établit comme un fait indéniable l'existence en tout homme d'un sensus divinitatis: «Quondam sui numinis intelligentiam universis Deus ipse indidit» (Inst. I, III, I), ou encore «hominum mentibus indidit illud quod diximus semen religionis» (Inst. I, V, I). Mais cela ne suffit pas, sinon à créer des religions fausses. Seules les Ecritures peuvent nous faire connaitre Dieu tel qu'il est. La «religion naturelle» ne pourrait être le vestibule de la foi (pp. 65-66). Calvin, cependant, dans Instit. I, VI, I, en parlant du don de la révélation, l'étend à Adam, à Noé, à Abraham et aux autres Pères, qui «parvinrent ainsi à une connaissance plus certaine et plus familière, qui les a séparés d'avec les incrédules. Je ne parle point encore de la foi, en laquelle ils ont été illuminés pour l'espérance de la vie éternelle». On n'a pas «l'impression toutefois, que la question de la pluralit6 des religions l'ait beaucoup préoccupé» (p. 67). Luther, par contre, s'est occupé des autres religions, spécialement de l'Islam: en 1542 il traduisit le Coran en allemand, à partir d'une traduction latine imparfaite du dominicain Ricardus. Les religions, pour Luther, sont mauvaises, car toutes consistent à attendre le salut de ses propres oeuvres Werkheiligkeit - ou dans les créatures (pp. 6768)». 2 G. Calvino, in V. Vinay, Il catechismo di Ginevra del 1537 , Torino 1983, p. 11: «Siccome non si trova uomo, sia pure barbaro e del tutto selvaggio, che non possieda qualche idea di religione, è manifesto che noi tutti siamo creati per conoscere Ia maestà del nostro Creatore, e per stimarla dopo averla conosciuta, sopra ogni cosa, per onorarla con ogni timore, amore e rispetto». 3 J. Calvin, Institution de la Religion chrestienne (in francese arcaico), Paris 1961, vol. I, p. 44: «Mesmes l’ydolatrie nous est tres ample argument de ceste pensée. Car nous sçavons combien l'homme s'humilie maulgré soy, et ha en honneur au pris de soy les aultres creatures. Puis donc qu'il ayme myeulx honorer le boys et la pierre, que d'estre en réputation de n'avoir point de Dieu, il appert combien est véhémente ceste impression de la Majesté divine, laquelle tellement ne se peut effacer de l'esprit humain, qu'il est plus aisé de rompre son affection naturelle. Comme certes elle est rompue, quand l'homme de sa baultesse et presumption s'abaisse voluntairement soubz les plus viles créatures de la terre, afin de porter reverence a Dieu. Parquoy c'est une faulse oppinion de dire, avec aucuns, que la religion a esté anciennement controuvée par l'astuce et finesse de peu de gens, afin de contenir par ce moyen le simple populaire en modestie, combien que icceulx qui incitoient les aultres à honorer Dieu n'eussent aucune imagination de la divinit6. Je confesse bien que certains hommes fins et cauteleux entre les payens ont forgé beaucoup de choses en la religion, pour donner crainte au simple peuple et engendrer scrupules, pour 1'avoir plus obéyssant et myeux à commandement; mais jamais ilz n'eussent gaigné ce point, sinon que premièrement les espris des hommes eussent esté réso1uz en ceste ferme persuasion, qu'i1 y avoit un Dieu». 4 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, pp. 51-52: «L'idéalisme allemand donna de la valeur religieuse de toutes les religions une interprétation philosophique d'ensemble. Hegel, tout en affirmant la perfection du christianisme, donne aux religions une signification. Voici comment H. Bréhier r6sume sa théorie. Pour Hegel, dit-il, le christianisme est la religion absolue; mais celle-ci est l'aboutissement d'une longue évolution, à travers les religions historiques qui en marquent les étapes nécessaires. Les premières religions sont les religions naturalistes, où la conscience ne connaît l'esprit qu'immergé dans la nature et non doué de liberté. A ce premier groupe appartiennent non seulement la magie, à peine digne du no m de religion, mais aussi le bouddhisme, religion type de la «substantialité», ainsi que la religion de Zoroastre, qui est celle de la «subjectivité abstraite». Les religions secondes, qui élèvent l'esprit audessus de la nature et la lui subordonnent, sont celles de «l'individualité spirituelle» religion juive, ou de la sublimité; religion grecque, ou de la beauté; religion romaine, ou de l'utilité. Enfin, se présente la religion du Christ, celle où «la substance universelle, sortant de son abstraction, se réa1ise en une conscience de soi individuelle, fait entrer dans la course du temps le fils de son éternité, et montre en lui le mal comme supprimé en soi; mais en outre, cette existence immédiate et sensible de l'absolu concret s'éteint dans la douleur de la négativité, dans laquelle, comme sujet infini, il est devenu identique à lui-même; cet absolu est devenu pour soi parce qu'il est le retour absolu, l'unité universelle de l'universel et de l'individuel, l'Idée de l'esprit comme éternel, et pourtant vivant et présent dans le monde» (1)». ((1) E. Bréhier, Histoire de la philosophie, Paris 1932, pp. 781-783; etiam H. J. Schoefs, Die ausserchristlichen Religionen bei Hegel .) 210 QUALE CONFRONTO CON LA SALVAGUARDIA ESTETICA Con la scommessa della salvaguardia, non ci si aspetterebbe ad una apertura verso i parametri del pluralismo teologico. Vi si può però trovare qualche accenno orientativo. Il metodo della salvaguardia è interessante: si tratta di dare legittimità alla religione cristiana situandola in rilievo sul grande affresco delle religioni dell’umanità ‘al di sopra’ di esse 1. Si indicherà poi che i ‘logoi’ parziali saranno portati alla loro pienezza nella rivelazione compiuta dal ‘Logos’ in quanto tale. La pluralizzazione è poi legittima dentro l’unicità ecclesiale saldamente confermata 2. La possibile pluralità non è concepibile senza la premessa di ubbidienza radicale alla gerarchia dentro la configurazione cattolica romana 3. Tutto si compie nell’unicità esclusiva cristica 4. C. QUALE RIFERIMENTO ISPIRATIVO ALLA TEOLOGIA DELLA PAROLA Anche qui, le prospettive della ‘teologia della crisi’, o della ‘teologia dialettice’, o riassuntivamente della ‘teologia della Parola’, non sembrerebbero a priori promettenti riguardo alle religioni e la loro pluralità. K. Barth, esponente di spicco del pensiero cristiano attuale, più vicino alle riserve della Riforma d’occidente verso il fenomeno religioso non cristiano 5, con grande stupore dei suoi colleghi tedeschi e in parte americani, esce dall'atteggiamento negativo di fronte H. Urs von Balthasar, Glaubhaft ist nur Liebe, Einsiedeln 1963, S. 8-9: «Um die Glaubhaftigkeit der christlichen Botschaft der Welt 1 nahezulegen, stellen die Kirchenväter diese Botschaft vor den Hintergrund der Weltreligion, diese in ihrer Vielfalt (Eusebius, Arnobius, Lactantius), oder auch in ihrer religiös-philosophischen Zusammenfassung (Justinus, Origenes, Augustinus) betrachtet. Das Christliche steht dann vor diesem Hintergrund als Vollendung des fragmentarischen Weltsinns (Logos spermatikos), der im menschgewordenen Wort (Logos sarx) zu seiner Einheit und Fülle und erlösten Freiheit gelangt (Klemens, Athanasius); es steht vor diesem Hintergrund zwar vollendend, aber zugleich als Umkehrung, weil alle Teil-Logoi sich verabsolutierten und darin dem wahren Logos sündig widerstanden (Augustin in der Civitas Dei). In dieses kosmologische Vollendungsschema hinein war als qualifizierter Sonderfall die Beziehung von Altem und Neuem Bu nd gestellt 1, denn hier war die Weissagungsstruktur des Alten, die Erfüllung im Neuen evident. Sowohl als Einigung aller Fragmente, wie als Erlösung des Verstrickten und darin Umkehrung des Verkehrten war das Christliche glaubhaft zu machen. Und zwar weniger leicht, wenn ein statischer Kosmos entworfen wurde (wie bei Dionysius, wo im Weltbau für Christus kaum ein Platz bleibt), als wenn eine Geschichte des Kosmos erzählt wird, ein dualistisches Drama (Manichäismus) mit glücklichem Ausgang (Valentinus), ein in die Region der Unähnlichkeit abgesunkenes Gottesreich oder Himmlisches Jerusalem, das durch die Zeiten, vom Bräutigam heimgeholt, pilgert (Origenes, Augustinus in Confessiones Buch 11-13), eine Natur, die ausgeht und wiedereingeht (Eriugena, Thomas, Ficino, Böhme, Schelling), eine Materia, die vom Logos her befruchtet zur Sophia ausreift (Solowjew), dem hochzeitlichen Tag Omega sich entgegen entwickelt (Teilhard)». (1 Ohne scharfe Abgrenzung: weil die Bibel ja auch als Abriß der Weltgeschichte gelesen wurde und nicht nur als Bundesbuch Israels.) 2 Cfr H. Urs von Balthasar, Wahrheit ist symphonisch, Einsiedeln 1972 – La verità è sinfonica. Aspetti del pluralismo religioso , Milano 1974, p. 74 ss. 3 Cfr J. Servais, Théologie des exercices spirituels: H. U. von Balthasar interprète de Saint Ignace , Namur 1996, p. 306. Cfr W. Müller, L’unicité du Christ et le pluralisme des religions: la contribution de Balthasar , in A. – M. Jerumanis – A. Tombolini (edd.), La missione teologica di Hans Urs von Balthasar (Atti del simposio in occasione del centesimo anniversario di nascita di Hans Urs von Balthasar, 4 Lugano 2-4 marzo 2005). 5 K. Barth, Kurze Erklärung des Römerbriefes, Hamburg 1967, S. 29: «Menschliche Religion als solche, in ihrem radikalen Unterschied vom Glauben an Gottes Offenbarung entsteht und besteht eben immer in dieser Verwechslung in dem falschen Selbstvertrauen, in welchen der Mensch von sich aus darüber verfügen will, wer und was Gott ist und dessen Werk nur jene Verwechslung und also nur der Götzendienst sein kann. Diese falsche Selbstvertrauen ist der eigentliche Gegenstand des Zornes Gottes. Denn in ihm besteht eigentlich der Widerspruch des Menschen gegen Gott. Es ist es, das in Gottes Verurteilung des Menschen gemeint und von ihr getroffen wird». 211 all'esperienza religiosa anche non cristiana per adoperare la terminologia di 'religione' in un senso complessivamente positivo 1. Si avrebbe, con Barth, una apertura di passaggio da un esclusivismo di ripiegamento cristiano a una possibilità di inclusivismo teologico 2. Ciò a cui Barth vuol dare spazio sarebbe un tipo di ‘pluralismo metodologico’ a livello dei vari ‘linguaggi’ espressivi, uscendo dalla fissità di un sistema unico 3. D. LA TEOLOGIA RADICALE ED IL PLURALISMO TEOLOGICO I teologi radicali della ‘morte di Dio’ appaiono come emblematici della risposta iniziale del XX secolo a Barth ed alla sua riscoperta cristiana. Il così detto ‘ateismo cristiano’ si ambienta quasi sintonicamente con le sensibilità del mondo occidentale al di là delle due guerre mondiali. Come abbiamo già accennato, la via verso il pluralismo sorge anche –a questo livello- dalla presa di coscienza sull’emancipazione umana fuori del dominio religioso che condiziona l’esperienza e la riflessione umane. La scelta non religiosa mette certo tutte le religioni in una comune situazione non più privilegiata. Una tale scelta potrebbe condizionare addirittura la connotazione soteriologica (il tipo di salvezza) che s’intende mettere alla base dello scambio di partenza. Tra gli altri esempi, la scelta per i meno favoriti potrebbe avere un incidenza sulla visione soteriologica e sul tipo di salvezza nella quale si iscrive la dialogica 4. Non si guarda alla ‘religione’ ma alla 1 H. Zahrnt, Die Sache mit Gott, München 1968, S. 396: «Im Unterschied zu Barth statuiert Tillich keinen absoluten Gegensatz zwischen Offenbarung und Religion; für in ihn ist die Religionsgeschichte kein «Hexensabbat von gespenstischen Phantasien, Götzendienst und Aberglauben». Vielmehr gebraucht Tillich das Wort «Religion» - zum großen Erstaunen der meisten deutschen Theologen, zum geringeren amerikanischen - durchaus positiv. Religion ist «der Name für das Empfangen der Offenbarung». Die Offenbarung Gottes enthält stets ein objektives und ein subjektives Element, die streng voneinander abhängen und nicht voneinander getrennt werden dürfen. Das objektive Element besteht darin, daß Gott sich offenbart, das subjektive, daß der Mensch diese Offenbarung empfängt. Eines ist nicht ohne das andere». 2 R. Gillingham, Is Barth’s Theology Necessarily Exclusivist?, in «Quodlibet Journal», July 2003, Volume 5, Number 2-3; etiam in «Internet» 2011, http://www.quodlibet.net/articles/gillingham-barth.shtml (citato supra). 3 G. Dorrien, The ‘Postmodern’ Barth? The Word of God As True Myth , in «The Christian Century», April 2, 1997, pp. 338-342 (to be found at www.christiancentury.org.), etiam idem, article prepared for Religion Online by Ted & Winnie Brock, in «Internet» 2011, http://www.religiononline.org/showarticle.asp?title=73: «Barth’s alternative implied a methodological pluralism, not an impossible blank slate. He did not dispute the need for theology to use philosophy or hermeneutical theory; he disputed only that theology should sanction or presuppose any "fixed canon of possibility, truth and importance." "If we do not commit ourselves to any specific philosophy we will not need totally or finally to fear any philosophy," he remarked. His primary rule of interpretation was that "a text can be read and expounded only with reference to and in light of its theme." The authority claimed by the text (or by the person of whom it speaks) must therefore ultimately be selfauthenticating. To appeal to any further authority to distinguish between text and theme is to set aside the priority of the Spirit-illuminated Word». 4 P. F. Knitter, Toward a Liberation Theology of Religions , in John Hick Paul F. Knitter, The Myth of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic Theology of Religions, Maryknoll, New York, seventh Printing February 1998, p. 178-218, etiam in «Internet» 2006, http://servicioskoinonia.org/relat/255e.htm: «John Cobb, however, in his criticism of the first draft of this essay, continued to warn that posing such a condition (i.e., the preferential option) on dialogue unilaterally from the Christian side is a continuation of the imperialism Knitter opposes . . . he appears to say that he seeks dialogue only with those who share his understanding of salvation. Cobb s admonitions are important. They help clarify that the preferential option for the oppressed is not to be imposed as an absolute condition for interreligous dialogue; rather, it is offered, or suggested, as an invitation to a more authentic and effective dialogue. I am not demanding that other religions accept concern for the suffering of oppressed peoples as a starting point for interreligious encounter; but I suspect, and am suggesting, that they can and will want to do so. My suspicions are strengthened by the claim of Pieris that the religions of the world share many more common starting points in their soteriologies than in their theologies. Also, as will be emphasized in the next sec tion, in proposing Soteria as a context or starting point for dialogue, I am certainly not implying that there is only one way of understanding 212 ‘trascendenza’ nella prospettiva di una possibile fede. L’apertura verso la trascendenza si attuerà però come relazionalità con il ‘Tu’, un essere per l’altro e per gli altri, dono di se per gli altri nel profilo di Colui che è stato crocifisso, frattura di e nella vita vissuta 1. Questa concretezza fa si che non si può parlare di Dio in termini generici filosofici o religiosi: la sua trascendenza è assoluta libertà Sua di fronte alla quale non c’è altra via se non quella di fare spazio per Lui 2. La via esperienziale del mistero recepito nella vita vissuta include l’intento di essere con gli altri nella dialogica di scambio con gli altri 3. Si propone di vedere -da parte di ognuno nella propria appartenenza religiosa- ogni assoluto come assoluto relazionale e non assoluto di esclusione o di inclusione 4. L’assoluto isolato in se è una contradizione 5. La ‘dimensione trascendentale si sta aprendo nella riflessione teologica del XX secolo. salvation or that my Christian grasp of it is final or normativa. One starts with shaky ground that has to be firmed up in the dialogue; the starting point may be clarified or corrected after one starts. But one does have a starting point». 1 J. A. T. Robinson, Honest to God, London 1963, p. 76: «Our relation to God not a religious relationship to a supreme Being, absolute in power and goodness which is a spurious conception of transcendence, but a new life for others, through participation in the Being of God. The transcendence consists not in tasks beyond our scope and power, but in the nearest Thou at hand. God in human form, not, as in other religions, in animal form –the monstrous, chaotic, remote and terrifying nor yet in abstract form the absolute, metaphysical, infinite, etc. nor yet in the Greek divine-human of autonomous man, but man existing for others, and hence the Crucified, a life based on the transcendent». 2 D. Bonhoeffer, Gesammelte Schriften, B. III, München 1966, S. 103-104: «God as the absolutely free personality is therefore absolutely transcendent. Consequently I cannot talk about him in general terms; he is always free and beyond these terms. The only task of my theological thinking must be to make room for the transcendent personality of God in every sentence. Only when he himself vouchsafes a human word, whenever and wherever he pleases, is my word 'about' God to be accepted as truth that means, only then is my word God's own word». G. Scattolin, Spirituality in Interreligious Dialogue: Challenge and Promise , (in «Encounter» (Documents for Muslim-Christian Understanding), n° 274, April 2001), etiam in «Internet» 2005, http://www.sedos.org/english/scattolin.htm: «Entering into a dialogical 3 attitude is not an easy task. A radical interior change is required. Accepting the other, not as an opponent, but as a partner in one’s own journey of faith, implies a growth towards a new understanding of one’s own faith. This attitude may be summarized as a basic openness to two mysteries: the mystery of God’s love working in all creation and human history, and the mystery of the human person in quest of ultimate truth and love. One must grow first in the conviction that God speaks through the other and must be allowed to do so. One has to recognize that the other, too, has a truth from God which may complete one’s own truth. No religion can claim to possess the full truth about God, or the full comprehension of God’s mystery. Dialogue, in fact, is: "... a matter first and foremost of coming to terms with the mystery of what God is doing in the world". 1 On the other hand, one must be open to the mystery present in every human being. The human being is defined as essentially self-transcendent, in a perpetual quest of truth and love beyond any particular situation or predicament. In this sense, no paradigm can fully express such a dynamism of self-transcendence which starts from within a given tradition but reaches out beyond it to the unknown. Religions are not just fixed patterns of beliefs. In each religion there is an inner life, a dialectic between prophetic dynamic aspects and institutional static ones. These are openings for mutual encounter and exchange. 2 Moreover, religions exist in communities of people, living in particular historical and social contexts. Every believer feels to be called to the double task of fidelity to one’s own faith and openness to the others. In a true interreligious encounter or dialogue, the two moments are not contrasted, but always interrelated: in a sense, they grow together. For this reason, Barnes prefers the term conversation to that of dialogue among religions. Dialogue seems to suggest rather a dialectic of words, while conversation indicates a direct meeting of people. In fact, he insists, entering into dialogue one must turn from an idea-dominated relationship into a person-centered one. The common ground of dialogue is not, in the first place, a given general idea about God, but the common human quest for God. A true encounter, based on this premise, is bound to bring a new and enlarged understanding of one’s own faith. Cousins describes dialogue as a spiritual journey, a crossing over to the other and a coming back, enriched by the other’s richness. As has been seen, to this purpose a deep, mutual empathy between the partners is required. Interreligious dialogue is becoming, in his view, the distinctive spiritual journey of our time: "Through interreligious dialogue, we may be entering a new age of faith". 3 One may say that spirituality in our present pluralistic context is becoming all the more a spirituality of openness to the others, or a spirituality of and in interreligious dialogue». (1. Barnes, Religions, p. 116. / 2. Barnes, Religions, pp. 89-107. / 3. Cousins, The Nature , p. 32.) 4 R. Etchegaray, Intervention à la Conférence internationale sur la paix et la tolérance , in «La documentation catholique», 1994 n° 2090, pp. 279-280: «Pour être croyant à l’âge du pluralisme religieux, il faut apprendre à penser l’absolu dont un croyant se réclame légitimement comme un absolu relationnel et non comme un absolu d’exclusion ou d’inclusion. L’apprentissage le plus dur et le plus urgent qui nous est demandé est de concilier l’engagement absolu qu’implique toute vraie démarche religieuse et l’attitude de dialogue et d’ouverture à la vérité des autres. Le vrai dialogue avec autrui doit renvoyer chacun à sa propre identité!»; altri parleranno di relativity a differenza del relativism , di ogni verità con i suoi parametri, F. Wilfred, Beyond Settled Foundations , Madras 1993, pp. 101-102. 5 R. Panikkar, Man and Religion: a Dialogue with Panikkar , in «Jeevadhara», 1981 n° 61, p. 12. 213 E. L’ANTROPOLOGIA TRASCENDENTALE DI FRONTE AL PLURALISMO Dall’antropologia trascendentale nella sua sorgente rahneriana, la teologia pluralista sembra attingere soprattutto l’intento di una comprensione più complessiva dell’evento umano, certo in senso storicamente ma in prospettiva riassuntiva o complessiva. Come tenta di farlo R. Panikkar, N. Berdjaev iscrive nello stesso senso la sua ricerca di interpretare le tappe dell’umanità verso questa fase diversa che si apre dallo Spirito 1. La trascendenza sarà situata dentro della dinamica umana: un ‘beyond’ che anima la persona umana stessa 2. La priorità dell’esperienzialità più che le dottrine concettuali sarebbero alla base del risveglio religioso recente e si esprime innanzi tutto come esperienza del mistero nella propria vita 3. Il prospetto pluralista specificherà 1 D. H. Kelder, Nicolai Berdyaev, 1874 - 1948, in «Internet» 1999, http://members.xoom.com/dirkk/berdyaev/quotes.htm: «The world is passing through three epochs of divine revelation: the revelation of the law (the Father), the revelation of redemption (the Son) and the revelation of creativity (the Spirit). These epochs correspond to certain signs in the heavens. It is not given us to know the definite chronological limits of these three epochs: they are all co-existent. Today we have not fully lived out the law, and redemption from sin has not yet been completed, although the world is entering a new religious epoch. ... The three epochs of divine revelation in the world are the three epochs of the revelation about man. In the first epoch man's sin is brought to light and a natural divine force is revealed; in the second epoch man is made a son of God and redemption from sin appears; in the third epoch the divinity of man's creative nature is finally revealed and divine power becomes human power. ... The final mystery is hidden in this, that the divine mystery and the human mystery are one, that in God there is hidden the mystery of man and in man the mystery of God. God is born in man and man is born in God. The ultimate revelation of man means the revelation of God. (MCA, 320) I am not at all an optimist. Rather I am inclined to think that we are entering an epoch of darkness and of vast destruction. (TR, 134)... the beginning of a new epoch presupposes a change in human mentality, the liberation of man's consciousness from the power of "objectness". (TR, 134) We are living in an epoch not only of the depression and shallowness of culture, in a godless epoch of little affairs on the plain, but in an epoch of the beginning of a new religious renaissance, a dawning new religious consciousness, which fascinates by its universal significance. (CE, 226) The new religious consciousness thirsts for synthesis, for the conquest of duality for a higher fullness; it would contain what it formerly did not, unite two poles, two opposite abysses.... (CE, 226)... the other world, the world of spirituality, the Kingdom of God, is not only awaited, it is constructed also by the creativeness of man, it is the creative transfiguration of a world which is exposed to the malady of objectivization. It is spiritual revolution. That other world cannot be established by human strength only, but also it cannot be established without the creative activity of man. In a certain sense we may say that Christianity is ending and that we may expect a renaissance only from the religion of the Holy Spirit... (DH, 11) The whole of Christianity was nothing other than a challenge to new spiritual birth, to the appearance of the new Adam. But instead of the new man, the signs and symbols of a new man were clothes upon the old Adam, the old man. (SF, 166) Man stands before the abyss of being or nonbeing. And he cannot dominate this abyss by his own powers: he needs help from above. This is a divine-human matter. And if in our time the very existence of man is threatened, if man is being torn apart, this is just because he has depended only on himself and his own powers. Man is passing through what is perhaps the most dangerous period of his whole existence. But I do not think that man's fate is quite hopeless. This hopelessness is only here, not in the beyond. For we believe that the world's history will not go on endlessly, that the world and history will end. But this means that we do not believe in the possibility of a final solution in this world, on this earth, in this our time. ... But this should not hinder man's creative action, and his realization of justice here and now, for man's creative acts will affect the end itself. The end is a Divine-human matter. And the final word, which belongs to God, will include a word of man, as well. (CE, 324)». 2 A. Ramsey, God, Christ and the World , London 1969, p. 28: «Transcendence, however, is not only a characteristic of God in his relation to the world as One other than the world as well as in the world and through the world. Transcendence is also a characteristic of man in his inherent being as man. It is through the recognition of transcendence in man that divine transcendence is more meaningfully presented. This theme has been impressively drawn out by Dr. Vogel in his book The Next Christian Epoch. Vogel draws out the nature of the transcendence which belongs to man as man. It is an ability to be 'beyond' which is the most distinguishing feature of man's existence in the world. and it is because of our power to be 'beyond' our immediate situation that we are able to know things objectively. Thus it is true to say that transcendence is the essence of our existence as persons in the world: "Personal power is transcending power - the constant going beyond the formal, the immediate, the past and the present. Our very presence in the world gives a type of meaning to the world, but that meaning is the beginning and not the end of our lives"». 3 M. Meslin, Expérience humaine du divin et traditions religieuses , in «Chemins de dialogue», 1994 n° 3, pp. 63-64. 214 ulteriormente che il mistero di Dio ci evoca il Suo mistero come mistero d’amore, impossibile nell’unità statica, l’amore è relazionalità nella quale si situa la persona divina: o cioè il divino ultimo al di là della persona e nel quale la persona sorge 1. Nel mistero divino l'unità d'identità confluisce nella non identità della distinzione 2. Si proporrà una via e delle premesse metodologiche per portare a termine questo intento, con una distinzione tra principi fondamentali (basic tenets) e verità esistenziale (existential truth) di una dottrina religiosa per portare avanti la praxis dialogale 3. Si considererà l incontro inter-religioso come incontro tra vari miti di portata universale, estendendo questo processo ad un tipo di ecumenismo ecumenico che non si limita alle Chiese cristiane tra di loro 4. Il mito sarebbe la concretizzazione religiosa della fede vissuta 5. F. GLI ORIENTAMENTI DI CRISTOLOGIA DI FRONTE AL PLURALISMO DALLA PURIFICAZIONE CRISTOLOGICA NEL KERIGMA Passando all’ambito cristologico, ci troviamo senz’altro di fronte alla questione più delicata per la re-articolazione teologica del XX-XXI secolo. L’assoluto cristologico rimane un punto fermo nell’ambito cristiano. Ma la questione su Cristo, che interessa sostanzialmente l’indirizzo pluralista, affronterà il riferimento a Cristo dalla purificazione storico-kerigmatica di Bultmann, con la demitizzazione e la via d’uscita esistenziale. L’indirizzo cristologico recente era legato alla priorità storica e congiuntamente alla prevalenza soteriologica. Bultmann sarà l’apostolo della purificazione cristologica verso un profilo unico riscoperto del Cristo. Non a caso il migliore ideologo della tradizionalità romana –J. Ratzinger- invocherà la sorgente bultmanniana per compattare l’unicità così prospettata anche se ristretta alla pluralizzazione dentro il contesto ecclesiale 6. 1 B. Griffiths, in W. R. Teasdale, Toward a Christian Vedanta, Bangalore 1987, pp. 117-118: «The ultimate Reality is love and love is relationship. You cannot have love with one (a static unity), and that is the weakness of a pure advaita. There is no love ultimately. There is pure consciousness, but no love. And yet in the Christian understanding there is pure consciousness and pure love: Self-knowing and selfgiving. The whole creation comes to its fullness in the intimacy of personal relationship. So, the personal God is in the Ultimate Godhead. The Ultimate Godhead is both beyond person and integrates person». 2 3 H. Mühlen, L'Esprit-Saint dans l'Eglise, Paris 1969, vol. I, p. 291. R. Panikkar, Myth, Faith and Hermeneutics, New York 1979, p. 244; idem, The Unknown Christ of Hinduism (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981, pp. 40-43. 4 R. Panikkar, Towards an Ecumenical Ecumenism , in «Journal of Ecumenical Studies», 1982 n° 12, pp. 781-786. 5 R. Panikkar, The Intrareligious Dialogue, New York 1978, pp. 13-22. 6 Ph. Blosser, The Kasper-Ratzinger Debate and the State of the Church , in «Internet» 2011, http://www.ratzingerfanclub.com/ Blosser_article.html: «The body of Kasper's article is devoted to making a case for greater pastoral flexibility, primarily by stressing the need to "balance" the Church's legitimate concern for "unity" with a greater allowance for ecclesial "diversity" at the local level. One danger of such diversity, as Kasper himself recognizes, is that it could threaten to reduce the Catholic Church to a federation of local or national churches. This, in fact, is what Cardinal Dulles, a specialist in ecclesiology, stressed in his response to the Ratzinger-Kasper exchange in the June issue of Inside the Vatican magazine. Shortly thereafter, in an article entitled "Reflections on Walter Kasper's 'On the Church,'" ( America, July 30Aug. 6), Archbishop Cardinal Chaput declared that Dulles' concerns about Church unity are "well-founded," calling "excessive pluralism, local particularism and religious nationalism" real current threats, along with the tendency of bishops and bishops' conferences to "abdicate their responsibility" by letting Rome take the heat for handling problems they should address… In an amusing note in his November response to Kasper, Ratzinger highlights the capriciousness of biblical interpretation by noting how Kasper, in his April article, had invoked J. Gnilka, claiming that "in Paul the local community [rather than the Universal Church] is the focus." Ratzinger then points out that Rudolph Bultmann 215 G. LA VERIFICA CRISTOLOGICA NEL PANCRISTISMO ED IL PLURALISMO Con Teilhard de Chardin si intuisce anche la premessa di un tipo di ‘uni-cristismo’ dove la pluralizzazione religiosa non ha una sua valenza confermata. D'una parte però, questo pensatore cristiano e cattolico più vicino al mondo scientifico (ambito spesso dispregiativo verso il fenomeno religioso) pur tenendo conto che la religione può diventare un oppio, indica d’altra parte -dalla sua stessa esperienza di scienziato e di dialogo con gli scienziati- che la verace funzione della religione consiste nell'incitare e pungolare gli stessi progressi della Vita 1. La verifica cristologica troverà però sul pluralismo gli stessi antagonisti: da Bultmann fino alla compattezza ecclesiocentrica dei tradizionalisti più accaniti 2. Si discernerà però anche un tipo di ‘dogmatismo’ estraneo all’approccio pluralista nel modo di fare teologia dall’intento teilhardiano 3. Ciò -- that great Protestant demythologizer who could never be accused of having a bias in favor of bringing back Roman centralism -- claims the opposite. Bultmann wrote: "... the church's organization grew primarily out of the awareness that the community as a whole takes precedence over the individual communities. A symptom of this is that the word ekklesia [church] is used to refer, in the first instance, by no means to the individual community but to the "people of God".... The notion of the priority of the church as a whole over the individual community is further seen in the equation of the ekklesia with the soma Christou [body of Christ], which embraces all believers" (Theology of the New Testament, 3rd ed., Tubingen 1958, p. 96). Whatever the faults of Bultmann, he stood outside the controversies of our day. Perhaps for that reason, says Ratzinger, he "was able to read and expound the texts with a more open mind" (p. 11)». 1 P. Teilhard de Chardin, L’énergie humaine, Paris 1962, p. 53: «Aucune considération ne saurait, en droit, nous décider à faire le moindre pas en avant, si nous ne savons que la route montante mène à quelque sommet dont la Vie ne redescendra plus . Le seul Moteur possible de la Vie, c'est donc un Terme absolu, c'est-à-dire divin. La Religion peut devenir un opium. Elle et souvent comprise comme un simple apaisement de nos peines. Sa véritable fonction est de soutenir est d’aiguillonner les progrès de la Vie». 2 FRATERNITE SACERDOTALE SAINT PIE V, Le mirage du pluralisme. De Jacques Maritain à Yves Congar , in «Internet» 2011, http://www.fsspx.org/fr/bibliotheque-mediatheque/ils-lont-dcouronn/le-catholicisme-libral/le-mirage-du-pluralisme-de-jacquesmaritain-yves-congar-automaticaly-imported/: «Vous reconnaissez la fameuse «énergie créatrice» de Bergson et la non moins fameuse «émergence de la conscience» de Teilhard de Chardin. Tout ce beau monde, Bergson — Teilhard — Maritain a dominé et corrompu pendant des décades et encore pour longtemps la pensée catholique! Mais, objecterez-vous à Maritain, que devient le règne social de Notre Seigneur, dans votre «société vitalement chrétienne», si l’Etat ne reconnaît plus Jésus-Christ et son Eglise? — Ecoutez bien la réponse du philosophe: la chrétienté (ou le règne social de Jésus-Christ) est susceptible de plusieurs réalisations historiques successives, essentiellement diverses mais analogiquement unes; à la chrétienté médiévale de type «sacral» et «théocratique» (que d’équivoques sous ces termes!) caractérisée par l’abondance de moyens temporels au service de l’unité dans la foi, doit succéder aujourd’hui une « nouvelle chrétienté» caractérisée, nous l’avons vu, par l’émancipation réciproque du temporel et du spirituel, et par le pluralisme religieux et culturel de la cité. Quelle habileté, dans l’usage fait de la théorie philosophique de l’analogie, pour renier tout simplement le règne social de Notre Seigneur Jésus-Christ! Or, que la chrétienté puisse se réaliser de manières différentes dans la monarchie de saint Louis et dans la république de Garcia Moreno, c’est évident; mais que la société maritainienne, la cité pluraliste «vitalement chrétienne», soit encore une chrétienté et réalise le règne social de Jésus-Christ, c’est ce que je nie absolument : Quanta Cura, Immortale Dei et Quas primas m’assurent au contraire que Jésus-Christ n’a pas trente-six manières de régner sur une société, il règne en «informant» , en modelant les lois civiles d’après sa loi divine. Autre chose est de supporter une société dans laquelle, il y a de fait une pluralité de religions, comme par exemple au Liban, et de faire ce qu’on peut pour que Jésus-Christ en soit quand même «le pôle» ; autre chose est de prôner le pluralisme dans une cité encore en grande majorité catholique et de vouloir, c’est le comble, baptiser ce système du nom de chrétienté. Non ! la «nouvelle chrétienté» imaginée par Jacques Maritain n’est qu’une chrétienté moribonde qui a apostasié et rejeté son Roi». 3 Abdoulaye Elimane KANE, SENGHOR: L’INTELLECTUEL, LA DIALECTIQUE ET L’ETHIQUE, in «Ethiopiques», 2002 n° 69 (Hommage à L. S. Senghor), etiam in «Internet» 2011, http://ethiopiques.refer.sn/spip.php?article28: «L’hypothèse pluraliste c’est aussi pour combattre le dogmatisme de tirer argument d’écrits aussi divers que ceux de Jean-Marie Domenach, J. P. Sartre, Althusser, Samir Amin, Roger Garaudy, Teilhard de Chardin etc. L’hypothèse pluraliste c’est également critiquer l’eurocentrisme de Marx et Engels et tirer parti de cela pour suggérer par exemple que l’Afrique pourrait faire l’économie de l’étape bourgeoise. L’hypothèse pluraliste c’est enfin prendre chez Marx et Engels un concept clé et majorer sa valeur par rapport à la fonction que les deux théoriciens lui accordaient dans leurs textes. Exemple : l’idée marxiste du caractère également actif des éléments de la superstructure justifie aux yeux de Senghor : «notre vouloir penser - et agir - 216 rappresenterebbe una implicazione del modello sul ‘Cristo cosmico’ del pancristismo di Teilhard 1. L’unitarianismo normativo rimane insidioso per la metodologia pluralista… Malgrado queste differenze d’impostazione sia Teilhard de Chardin, sia De Lubac ed altri saranno amici sinceri di protagonisti ed anticipatori del pluralismo teologico –come J. Monchanin 2. H. LA CONVERGENZA CRISTOLOGICA NELLA SOTERIOLOGIA Sembra che possa essere proprio la 'legittimità' religiosa e umana della Fondazione ecclesiale a formare la cerniera della prima presentazione articolata del Messaggio cristico. In questa luce, si può -forse- dire che la fondamentale incognita di soffocamento cristiano non erano le persecuzioni (con l'esaltazione della dottrina sul martirio), ma proprio il rischio di 'non legittimità' nel parallelismo sincretista tra fede evangelica ed intuiti religiosi esistenti. Se la legittimità della nuova iniziativa cristiana in seno all'impero -allora esistente- fu una priorità nevralgica, come individuarne le chiavi centrali? Il primo millennio riuscì a rispondere positivamente all'interrogativo posto dall'umanità su questa nuova presenza religiosa in seno alle en Africain». Il en concluait que le problème de la race et de l’ethnie est une donnée indispensable pour penser le socialisme africain. Et ce sont là autant de questions qui nous interpellent encore aujourd’hui en termes de relations entre identité, diversité culturelle et pluralisme. C’est là toute la problématique du discours de la connaissance et du discours de l’éthique que nous retrouvons et qui sont plus que jamais d’actualité. Les connaissances doivent être interrogées et jugées dans leurs capacités à produire des types de vérité, mais également dans leurs rapports aux valeurs que les hommes choisissent et acceptent comme conditions de vie conformes à leurs raisons de vivre pour reprendre encore cet aphorisme de Senghor cité plus haut. Sans toutefois tomber dans le pragmatisme qui est d’une certaine ma nière susceptible d’être tourné en opportunisme». 1 Cl. Tchuisseu Ngongang, Christologie contemporaine: le défi du pluralisme religieux , in «Mémoire online», in «Internet» 2011, http://www.memoireonline.com/07/10/3742/m_Christologie-contemporaine-le-defi-du-pluralisme-religieux19.html: «Monique Aebischer adresse une critique à nos deux auteurs au sujet de leur méthode. Ils sont trop surpris en flagrant délit de « jugement a priori » pour espérer fonder l'égalité de principe des convictions en présence 1. Autrement dit, leur projet de placer sur un pied d'égalité les différents acteurs des religions précisément au plan des médiations de salut se trouve piégé par l'abondance de jugements aprioritiques du genre qui présentent Jésus comme «seul critère définitif, représentant la mesure d'une relation véritablement salutaire (et humanisante) au vrai Dieu et d'une relation libérée et libératrice au prochain.» 2 Nous n'avons pas épuisé la présentation des modèles christologiques inclusivistes normatifs. Nous nous sommes attardés sur les plus significatifs. Il en existe bien d'autres comme celui d'Andrea Rösseler, un modèle de gradation et d'universalité s'inspirant, comme nous l'avons dit plus haut du Christ cosmique de Teilhard de Chardin. Dupuis s'en prend à la christologie normative dans son ensemble. En intégrant le principe de l'autonomie des médiations salvifiques, il reste qu'elle ne fonde pas suffisamment le caractère « représentatif » de Jésus-Christ ou sa normativité, et par-là, ne laisse pas d'autres possibilités de l'entrevoir, en dehors du « risque [...] de paraître relever d'un décret arbitraire de Dieu» 3». ((1) M. Aebischer- Crettol, op. cit., p. 370. / (2) H. Kessler, Pluralistische Religionstheologie und Christologie. Thesen und Fragen , dans R. Schwager (éd.), Christus allein? Der Streit um die pluralistische Religionstheologie, Herder, Fribourg-en-Breisgau, 1996, p.164 cité par Aebischer, op. cit., p. 371. / (3) J. Dupuis, Jésus-Christ à la rencontre des religions, op. cit ., p. 253.) 2 WIKIPEDIA, L'ENCICLOPEDIA LIBERA, Jules Monchanin , in «Internet» 2011, http://it.wikipedia.org/wiki/Jules_Monchanin: «Ritornato a Lione, nella parrocchia di Saint Maurice, e successivamente di Saint-Vincent, dette vita a numerose iniziative volte a stabilire dialogo e rapporto dialettico tra il cattolicesimo, il pensiero scientifico moderno e le altre religioni. Nella comunità di Notre-Dame Saint-Alban, con il padre Remelliux dette vita a iniziative di rinnovamento liturgico. Con l’abate Paul Couturier , partecipò ai primi incontri ecumeni ci Cattolicoprotestanti del Gruppo di Dombes. Fece parte con Victor Carliahn del “Groupe Lyonnais d’études medicales, philosophiques et biologiques” e della redazione lionese della rivista Esprit fondata da Emmanuel Mounier. Organizzò degli specifici gruppi di preghiera e di dialogo con il marxismo (gruppo Tomas Moore), con l’ebraismo, con l’Islam, con il pensiero cinese e indiano. Stabilì intensi legami di amicizia con lo scrittore ebreo Nathan André Chouraqui, con l’islamologo Louis Massignon, con il filosofo e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin ed il teologo Henri-Marie de Lubac. Si interessò agli sviluppi dell’arte moderna recandosi a Parigi per incontrare i pittori Pablo Picasso e Max Jacob [1]». ((1) Si trattava dell'Essai sur la légende de Buddha di Emile Senart, Leroux, Paris, 1892: Giani 2000, pp. 55-56.) 217 varie istituzioni e credenze già esistenti. Da un momento di impatto particolarmente sofferto, si passò ad una fase di riflessione e di argomentazione articolata. La legittimità di Cristo come «Fondatore», unico e diverso da qualsiasi altro iniziatore religioso, apparve assai chiara. Nel contesto dell'impero cristiano, questa legittimità venne sanzionata sia politicamente che giuridicamente, e trovò delle analogie illustrative nella sensibilità culturalmente articolata dei popoli aggregati, per far capire come la convergenza di tutto e di tutti faceva parte integrante del piano della salvezza. Si comincia ‘una nuova storia’ con la ‘fondazione’ così radicata nei tempi e luoghi dell’esperienza umana. La convergenza soterio-centrica nella storia della salvezza apre la questione sostanziale del riferimento storico cristiano. Si porrà in tutta chiarezza il quesito vitale per l’intento pluralista: “finalmente ci sono 'due storie' o veramente c'è una storia sola”??... Intorno alla corrente cullmanniana si radicherà la resistenza contro l’unica storia a nome della storia della salvezza, da Rahner fino ai bultmanniani 1. Specialmente nell'ambito anglosassone, la convinzione che esistano 'diverse storie' (non soltanto due storie ma di più) 2 farà concepire due 'rivelazioni' (una nella storia e una nella Scrittura. Non due storie (storia della salvezza e storia profana) ma una sola, questo sarà anche l’intento della teologia della liberazione 3. La storia nasconderebbe una rivelatività 'non esplicita' (unautorisierte) senza rendere questa forza inoperante e senza neanche impedirla, ma neppure agevolandola. Nella sua armonia o disarmonia, la storia è il palcoscenico dove si svolge un processo attraverso ed aldilà dello scenario direttamente percettibile. Cristo e storia, Chiesa e storia... occorrerà impostare la questione complessiva sulla storia con la sua scommessa: salvare l'unità della storia ed indicare l'unicità 'storica' della proposta cristiana. Gadamer prepara la via per una interpretazione più articolata, facendo della comprensione ermeneutica un evento di linguaggio o una impresa dialogale con le fonti della conoscenza storica 4. Si prospetta anche una storia universale di fronte alla storia particolare. Non 1 F. Ardusso - G. Ferretti - A. Perone Pastore - U. Perone, Introduzione alla teologia contemporanea, Torino 1972, pp. 212-213: «Cosi, per Pannenberg, tutta la storia (se vista alla luce dell evento di Cristo) ha senso salvifico, mentre non si accetta la posizione di chi, come Cullmann e in parte Rahner, limita la «storia della salvezza» a una linea particolare di avvenimenti distinti nettamente dagli altri. Pannenberg ritiene infatti che non vi sia veramente una separazione tra la storia di Dio e la storia degli uomini o, più in generale, tr a il dominio del «sacro» e quello del «profano». Proprio per questo, e per l'esigenza critica che in generale porta avanti, Pannenberg ritiene di venire incontro anche alle istanze avanzate dall’attuale processo di secolarizzazione e dal pensiero di Bonhoeffer. Stando così le cose, è naturale che quegli stessi teologi bultmanniani, che avevano criticato la teologia della storia di Cullmann, in modo più violento ancora abbiano reagito contro l'impostazione pannenberghiana: tendendo ad attribuire alla storia intera, nel suo complesso, un significato rivelativo e salvifico, Pannenberg può essere accusato, anche se in buona parte a torto, di essere ottimista nei confronti della realtà e di non tenerne abbastanza in conto gli aspetti negativi. Alla teologia dell’esistenza, da parte sua, Pannenberg può ribattere che solo il suo pensiero è in grado di valutare teologicamente la realtà storica concreta, e di comprendere quegli aspetti comunitari dell'esistenza cristiana (si pensi alla dimensione della Chiesa e a quella della realtà sociale e politica in genere), che l'impostazione bultmanniana ha sempre trascurato». 2 J. Macquarrie, Twentieth Century Christian Theology, London 1971, pp. 132-133: «At first glance, Arnold Joseph Toynbee 1 (1889- ) seems to offer us a view of history very like Spengler's. In Toynbee, we come again upon the view that there is no unitary history of mankind, but a series of histories each of which fulfills its course within a particular society. The historian's interest is particularly directed to those societies which have passed the primitive stage and become civilizations. In his monumental work, A Study of History, Toynbee recognizes twenty-six of these civilizations, most of which have already run their course and belong to the past. Like Sprengler, Toynbee is interested in the comparative study of these civilizations». (1 Professor at London, 1919-1955.) 3 B. Mondin, I teologi della liberazione, Roma 1977, p. 80. 4 A. Geffré, Le nouvel âge de la théologie, Paris 1978, p. 92: «Mais si Pannenberg accepte de voir dans la compréhension herméneutique un événement de langage (Sprachvorgang), il se sépare de Gadamer quand celui-ci compare l'interprétation à un dialogue. Le texte en effet n'est pas un tu qui m'interpelle: il ne parle pas. Si on peut parler d'événement de langage à propos de l'interprétation, ce n'est pas parce qu'un dialogue s'instaurerait entre le lecteur et le texte à interpréter, mais parce que le lecteur doit inventer un langage nouveau pour entendre le texte. La fusion des horizons n'est pas d'abord un fruit du langage, mais inversement l'invention d'une nouvelle manière de parler, expression de la fusion d'horizons accomplie dans la compréhension 1». 218 c’è elezione particolare senza la sventura del peccato. Si dirà che la salvezza è la chiave concreta della fede, rivedendo l’approccio cristologico da quella sponda soteriologica 1. Occorre partire dall’esperienza vissuta e non da speculazioni astratte 2. Si pone l’interrogativo, oggi, se la salvezza è tuttora la questione-chiave da porre, perché da essa si presumeva la premessa del «extra ecclesiam nulla salus» e ci si iscriveva nella dinamica di esclusivismo, o di inclusivismo, o di confronto con il pluralismo 3. I. LA SALVAGUARDIA CRISTOCENTRICA ED IL PROSPETTO PLURALISTA Con il cristocentrismo dichiarato si rende anche più inabbordabile l’impostazione pluralista in teologia. Gli anticipatori come Monchanin e Le Saux, di fronte agli orientamenti intellettuali di De Lubac, Daniélou, Teilhard de Chardin, nei loro vari ‘centrismi’ non avranno sempre vita facile riguardo alla scommessa pluralista 4. Il cristocentrismo di De Lubac si delinea tangenzialmente (1 Grundfragen..., p. 112.) 1 2 W. Kasper, Der Gott Jesu Christi (Le Dieu des chrétiens), Mainz 1974 / Paris 1986, p. 235. W. Kasper, Der Gott Jesu Christi (Le Dieu des chrétiens), Mainz 1974 / Paris 1986, p. 129; WORLD METHODIST COUNCIL – ROMAN CATHOLIC CHURCH INTERNATIONAL COMMISSION, Report of the Joint Commission between the Roman Catholic Church and the World Methodist Council, Progress on a Long Journey, in «Origins», 1977 n° 35, p. 552: «18. (i) The affirmation of the reality of sin which Roman Catholics and Methodists have traditionally made has never seemed more relevant than today. The weight of sin needs to be seen in all its gravity, against either naive Pelagianism or Promethean humanism, but also without overstressing the trivial. The total picture of human injustice, venality, selfishness, not least where the churches have seemed to condone it, needs to be seen and denounced in t he prophetic spirit of the great Preachers of history». G. Scattolin, Spirituality in Interreligious Dialogue: Challenge and Promise , (in «Encounter» (Documents for Muslim-Christian Understanding), n° 274, April 2001), etiam in «Internet» 2005, http://www.sedos.org/english/scattolin.htm: «Finding the meaning of the 3 contemporary pluralistic religious context has become one of the major issues in modern theological reflection.1 In 1973, John Hick with his book God and the Universe of Faiths, launched his Copernican revolution , calling for a God-centred theology of religions as a radical departure from the traditional Christ-Church-centred. Since then, the debate has been focused on the so-called religious paradigms of exclusivism, inclusivism, pluralism. This division, however, is becoming obsolete, as we are moving beyond paradigms.2 Proposing a common idea of God to be shared by all religions, as the supporters of the pluralistic view pretend, is seen as an over-simplification of differences, leading to a dangerous religious reductionism and relativism. In fact, all religious reflection is situated in a specific faith context , and only in it can be properly understood. There is no Christianity without Christ, no Buddhism without Buddha, no Islam without Mohammed. On the other hand, exclusivist and inclusivist paradigms do not seem in tune with the new perception, emerging from the present situation of religious pluralism. The salvation of non-Christians is no more the central issue in the interreligious debate. Contemporary theology feels to be called to focus on: " ... the meaning in God s design for humankind of the plurality of living faiths and religious traditions with which we are surrounded". 3 Many theologians, such as Barnes and Dupuis, think that instead of starting from a preset theological paradigm it is better to build a theology of dialogue on the basis of an actual interreligious encounter. They propose theologies in conversation (Barnes), or in dialogue (Dupuis), or in interpenetration (R. Panikkar). No religion, meeting the others, can start by setting itself or its views on the top of them all, fixing an a priori theological pattern, even if a pluralistic one. There is an increasing awareness that in interreligious dialogue each partner should start rethinking his/her own faith in an unprejudiced openness to the others. Each religious tradition, in fact, should develop from within itself an open and dialogical attitude in relation to the others. The two aspects, commitment to one’s own tradition and openness to the other s faith, should not be contrasted, but strictly and faithfully conjugated together by all partners. This is surely a positive spiritual attitude to be developed and a workable premise acceptable by all sides». (1. Besides the above bibliography, see Ian Markham, "Creating Options: Shattering the Exclusivist, Inclusivist, Pluralist, Paradigm", New Blackfriars 74/867 (January 1993) 33-41, and the response of Gavin D Costa, Creating Confusion: A Response to Markham , New Blackfriars 74/867 (January, 1993) 41-47. / 2. Dupuis, Toward, pp.180-201; Barnes, Religions, pp. 111-131. / 3. Dupuis, Toward, p. 10.) 4 P. Trianni, L'ashram di Shantivanam: un incontro tra cristianesimo e induismo , in «DIM – DIALOGO INTERRELIGIOSO MONASTICO», in «Internet» 2011, http://www.dimitalia.com/shantivanam_57.html: «Le Saux è stato un teologo, ma soprattutto un mistico, un uomo che ha fatto un'esperienza di Dio sradicante. Anche Monchanin, da questo punto di vista, è stato un sant'uomo, ma è maggiormente ricordato come pensatore, come filosofo e teologo. Per Le Saux che era molto più tradizionalista all'inizio è stato importante avere accanto una figura come 219 nelle sue opere 1. Gran parte dei cristologi romani svilupperanno la chiave cristocentrista, confortati anche da certi orientamenti del concilio Vaticano II. Dal concentramento cristologico in ampliando l'approccio al Gesù della storia: il cristocentrismo conferma una convergenza con l’intento cattolico classico 2. La salvaguardia di ripiego viene poi ribadita nei monocentrismi cristologici; de Lubac (con Bouillard, Fessard ed altri di Fourvière) mantiene il suo prospetto dall alto verso il basso, dai vari richiami cristocentrici dalla priorità del divino o dell umano: L. Bouyer partirà dalla personalità collettiva (in senso umano) di Cristo (oltre ogni individualismo) riallacciandosi all intento teilhardiano, rahneriano e a Blondel; l’abbinamento de Lubac-Ratzinger è noto, W. Kasper rinforzerà la salvaguardia tornando alla chiave anselmiana 3. Il cristocentrismo si affermerà come una messa in questione a priori del pluralismo come ‘assoluto relazionale’ (secondo la formula di Etchegaray, cfr supra). J. LA RE-ARTICOLAZIONE CRISTOLOGICA PIÙ RADICALE E L’INTERRELIGIOSTÀ Il tentativo di re-articolazione cristologica di E. Schillebeeckx, con le varie sfumature della Process Christology, vuol essere una riflessione aperta sui dati critici acquisiti, come pure sull’universalità interpretata in senso attuale. Molti esegeti inoltre bilanciano la loro comprensione in un equilibrio tra individualità di Cristo e risonanza nella storia della salvezza, offerta a tutta l’umanità: da R. Brown, fino alla riflessione di A. M. Ramsey e altri. La preoccupazione di andare Monchanin, che aveva vedute teologiche più ampie e moderne. Monchanin veniva dagli ambienti progressisti di Lione e di Parigi, ed era amico di personaggi come Henri de Lubac, Teilhard de Chardin, Louis Massignon, Sergeij Bulgakov. Anzi aveva il loro rispetto. Non è un caso, a questo proposito, che Le Saux si sia sempre definito discepolo di padre Monchanin. Tuttavia, fra i due, già due o tre anni dopo la fondazione, iniziarono delle divergenze. Monchanin cominciò a rimproverare Le Saux per le sue aperture verso l'induismo. E Le Saux, al riguardo rispondeva: "Ma come? È da te che ho imparato la relatività dei dogmi, delle scritture, e ora mi rimproveri?"». 1 C. J. Olaechea, Il Mistero dell’Incarnazione nella teologia di Henri de Lubac. Una lettura di Catholicisme, Introduzione, in «Incontro all’uomo», in «Internet» 2011, http://www.incontroalluomo.org/index.php?p=riflessione9: «Henri de Lubac non ha mai scritto un’opera di carattere primariamente cristologico. Nonostante ciò, sin dall’inizio della sua produzione come giovane teologo a Lyon-Fourvière, traspare nella sua opera la “luce di Cristo”, il Mistero per eccellenza, che illumina ogni sua riflessione intorno ai più diversi argomenti: l’uomo, la Chiesa, le religioni non cristiane, ecc. Come ha scritto Nicola Ciola, «ci si aspetterebbe da De Lubac una teologia fortemente connotata cristologicamente eppure non è così; un’opera su Gesù, fu superiore alle sue forze. Sembra quasi che prima di studiare i misteri da credere, egli voglia contemplare il Mistero, che per lui è il Cristo in tutto lo splendore della sua divinità e umanità». Non abbiamo pertanto un lavoro sistematico a cui attingere per l’indagine che ci siamo proposti: valutare il luogo che ha il mistero dell’Incarnazione del V erbo nel pensiero teologico di questo importante teologo contemporaneo». L.-M. Chauvet, Du symbolique au symbole, Paris 1979, pp. 200-201; H. Cox, The Secular City, New York 1966, p. 71; W. Kasper, Jesus der Christus, Mainz 1975, S. 43; H. Vorgrimler, Hans Urs von Balthasar , in R. Vander Gucht - H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. 4, Ritratti di teologi, Roma 1972, pp. 132-133; G. Cristaldi, Ritorno di K. Barth, in, «Vita e pensiero», 1985 nº 11, p. 63. 3 H. Urs von Balthasar, Henri de Lubac, sein organisches Lebenswerk , Einsiedeln 1976; S. M. Sales, Der Mensch und die Gottesidee bei Henri de Lubac, Einsiedeln 1978; M. Figura, Der Anruf der Gnade, Einsiedel 1979; N. Ciola, Paradosso e mistero in Henri de Lubac, Roma 1980; H. Vorgrimler, Hans Urs von Balthasar, in R. Vander Gucht - H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo , vol. 4, Ritratti di teologi, Roma 1972, pp. 207-22; C. Porro, Cristologia in crisi?, Alba 1975, pp. 18-19, 71; D. O Grady, The Ratzinger Round, in «The Month», décembre 1973, pp. 409-412 (cit. p. 409); R. P. McBrien, Catholicism, Minneapolis 1980, vol. I, p. 48; B. Mondin, I teologi della liberazione, Roma 1977, pp. 146-147; J. Grootaers, De Vatican II à Jean Paul II, Paris 1981, pp. 101-102; J. Honoré, Les chemins de Vatican II, in J. Daniélou - J. Honoré - P. Poupard, Le catholicisme hier-demain, Paris 1974, p. 179; cfr H. De Lubac, L'Eglise dans la crise actuelle , Paris 1969; H. De Lubac, Les Eglises particulières dans l'Eglise universelle , Paris, 1971; H. De Lubac, Petite cathéchèse sur Nature et Grâce, Paris, 1981; H. Mühlen, La dottrina della grazia, in R. Vander Gucht - H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo , vol. 3, Le discipline teologiche, l’avvenire della teologia, Roma 1972, pp. 169-170. 2 220 incontro alla mentalità occidentale del XX secolo, con le sue perplessità sulla dimensione cristologica esplicita, non si ferma alla priorità ‘religiosa’ che la chiave pluralista prende più contestualmente in considerazione. L’apertura prospettica della cristologia si distacca nettamente dalle premesse di un cristocentrismo omni-inclusivo. Dalla cristologia dall’alto con A. Hulsbosch, si proporrà il passaggio verso una cristologia dal basso o Process Christology, P. Schoonenberg riesamina la pre-esistenza di Cristo (non vi è niente di divino che non sia umanamente realizzato), per giungere con N. Pittenger e J. B. Cobb all accostamento delle tradizioni religiose, fino a Whitehead che vede in Cristo il processo della nostra speranza e non una persona in quanto tale 1. In questo senso viene incontro alla comparatività pluralista. E. Schillebeeckx imposterà l’intento della re-articolazione tra messaggio universale e personaggio storicamente contingente (l'universalità è "dentro" o "fuori" dalla storia?), nella storia una e plurale, facendo parte di qualosa di più grande di se stessa, col compito di costruire una congiuntura e della Chiesa storica di prospettare universalmente il messaggio dai fatti storici su Cristo 2. K. LA RISCOPERTA DEL MISTERO ECCLESIALE E LA CHIAVE PLURALISTA Dai contributi maggiori alla riscoperta del mistero ecclesiale, tra cui spicca la corrente teologica ortodossa della ‘sobornost’’ con gli ispiratori come S. Bulgakov, P. Florenskij ed altri (cfr supra), sarà il mistero stesso ad essere il punto di riferimento vitale. Il mistero stesso di Dio, nel suo senso più ampio appare come scommessa di massima apertura come anticipazione di teologia pluralista 3. Si preciserà ulteriormente che il comune riferimento delle religioni al mistero di Dio va al di la delle differenze religiose, che sono di un altro ordine: dal loro comune rinvio a Dio alle differenze di qualità maggiormente umane, sia come ricchezza sia come possibile ristrettezza 4. Questa transitorietà viene confermata persino riguardo al patrimonio cristiano: le strutturazioni attuali della Chiesa saranno -dice Cajetano- semplicemente 'bruciate' 5, e - dice l'Imitatio Christi i sacramenti visibili cesseranno 1 6. Lo sbilanciamento soteriocentrico viene così superato 7. La A. Hulsbosch, God in Creation and Evolution , New York 1965; idem, Jezus Christus, gekend als man, beleden als Zoon Gods, in «Tijdschrift voor Theologie», 1966 nº 6, blz. 250-273; P. Bourgy, Edward Schillebeeckx, in R. Vander Gucht - H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. 4, Ritratti di teologi, Roma 1972, pp. 247-264. 2 E. Schillebeeckx, Jesus, het verhaal van een levende , Bloemendaal 1975, blz. 127, 174-175, 222, 434, 444, 481-482, 495, 504-505, 547. 3 E. Kopciowsky, In quel giorno l'eterno sarà unico (Zc. 14, 19) , in «Vita monastica», 1986 n° 166-167, pp. 46-58. 4 Giovanni Paolo II, Discorso ai cardinali e alla Curia romana, 22 dicembre 1986 , in AA. VV., Assisi. Giornata mondiale di preghiera per la pace, Città del Vaticano 1987, p. 145: «Alla luce di questo mistero infatti le differenze di ogni tipo, e in primo luogo quelle religiose, nella misura in cui sono riduttive del disegno di Dio, si rivelano come appartenenti ad un altro ordine. Se l'ordine dell'unità è q uello che risale alla creazione e alla redenzione ed è quindi, in questo senso, «divino», tali differenze, e divergenze anche religiose risalgono piuttosto ad un «fatto umano», e devono essere superate nel progresso verso l'attuazione del grandioso disegno di unità che presiede alla creazione. Vi sono, certo, differenze in cui si riflettono il genio e le «ricchezze» spirituali date da Dio ai popoli (cfr. Ad Gentes, 11). Non è a queste che mi riferisco. Intendo qui alludere alle differenze nelle quali si manifestano il limite, le evoluzioni e le cadute dello spirito umano insidiato dallo spirito del male nella storia (Lumen Gentium, 16)». 5 Citato da H. De Lubac, Méditation sur l'Eglise, Paris 1968, pp. 53-54. 6 Citato da H. De Lubac, Méditation sur l'Eglise, Paris 1968, pp. 54-55. 7 W. Pannenberg, Grundzüge der Christologie, Gütersloh 1966, S. 42: «Die Gefahr dürfte deutlich sein, daß vom soteriologischen Interesse her die Christologie konstruiert wird. Nicht überall wird das so vorbehaltlos ausgesprochen wie bei Tillich: Christologie ist eine Funktion der 221 stessa Incarnazione viene re-situata nella pienezza dell’intento divino 1. La prospettiva conciliare stessa parte, dunque, dalla propria coscienza di fede cristiana nella sua massima apertura- per riferirsi al mistero ultimo di Dio. In questo tipo di approccio, non si anticipa una interpretazione previa delle altre religioni per situare la radice del dialogo. Il mistero si attua nei segni ma i segni non condizionano il mistero. L’unità del mistero implica il paradosso o l’antinomia nei quali si attua la conciliazione di estremi apparentemente privi di possibilità d'incontro: eternità e tempo, visibilità ed invisibilità, celeste e terrestre, divino e creato 2... Si suggerisce persino che le religioni monoteiste quelle che hanno razionalizzato oltremodo e articolato operativamente il principio di unità - hanno fallito perché non hanno comunque saputo creare l’unità che annunciavano dal mistero del Dio unico 3. La perplessità tra due orientamenti rimane: l’uno proclamando che tutti devono essere uno sotto l’unico Dio soggiogando i ribelli e l’altro che tutti sono uno nell’unico Dio anche se non sembra così dalla loro incoerenza. Si parlerà del ‘beyondness’ di fronte alla nostra conoscenza razionale. Si tenterà di evocarla dalla stessa specificità cristiana che può sorgere dagli scambi dialogali e dalla trasmissione del messaggio evangelico: "proprio perché nasce dal mistero di Dio, la comunicazione del Vangelo custodisce la differenza..." 4. Si parlerà felicemente del di più, o di questa strana "eccedenza", che caratterizza l'offerta del messaggio in quanto divino 5. L'intento cristiano nel dialogo è che esso si 'apra' in un misterioso 'Effatà' 6. Soteriologie. Aber die hier ausgesprochene Tendenz spielt mehr oder weniger bewußt und in mehr oder weniger großem Ausmaß bei allen behandelten Typen christologischen Denkens mit. Die Gefahr wird dort akut, wo dieses Verfahren zum Programm erhoben wird, wie schon bei Melanchthon, dann bei Schleiermacher, der seine Christologie von der Erlösungserfahrung her rückschließend entwarf. Dieselbe Gefahr ist bei Tillich sichtbar und wird auch bei Bultmann und seinen Nachfolgern deutlich, wenn es ausdrücklich heißt, es gehe nicht um Jesus selbst, den historischen Jesus, sondern nur um seine Bedeutsamkeit für uns, als Erschließung einer neuen Existenzmöglichkeit. Zu Unrecht beruft man sich dabei auf das pro me Luthers 1. Jesus hat Bedeutsamkeit für uns nur, sofern ihm selbst, seiner Geschichte und seiner durch sie konstituierten Person diese Bedeutsamkeit innewohnt. Nur wenn sich das zeigen läßt, können wir sicher sein, daß wir nicht nur unsere Fragen, Wünsche und Gedanken seiner Gestalt anheften». (1 H. J. Iwand: Wider den Mißbrauch des pro me als methodisches Prinzip in der Theologie, ThLZ 79, 1954, Sp. 45 3-456 hat gezeigt, daß bei der Berufung auf das pro me Luthers in der gegenwärtigen Theologie weithin die Kantische Subjektivivät der Erfahrungserkenntnis mit Luthers Gedanken der Hingabe Jesu an uns verwechselt wird. - Bei Luther ist in dem pro me das per se immer schon vorausgesetzt, erst in Kants Dualismus von Dingen an sich und Erscheinung werden die Dinge an sich zu einem bloßen Grenzbegriff, wird die Sphäre der Erscheinung verselbständigt, das An-sich aber unzugänglich. Daß es sich bei diesem Gegensatz von für uns und an sich jedoch nur um einen Gegensatz von Reflexionskategorien handelt, die nicht so abstrakt gegeneinander gestellt werden dürfen, weil sie im Vollzug der Reflexion wechselseitig durcheinander bedingt sind, hat Hegels Kritik an Kant deutlich gemacht. - Siehe etwa G. W. F. Hegel: Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften. 3. Aufl., 1830, 44 und 60.) 1 С. Булгаков / S. Bulgakov, Агнец Божий / Le Verbe incarné, Париж 1933 / Paris 1943, стр. 195 / p. 98 : «Mais cet et peut être également compris en un sens distinct, c'est-à-dire comme et en particulier (et les analogues), séparant le général du particulier, autrement dit sans limiter la force de l'Incarnation ni l'épuiser par la seule Rédemption. Le Verbe s'est fait chair: on doit l'entendre dans toute la plénitude de son sens: aux points de vue théologique et cosmique, et anthropologique, et christologique, et sotériologique. Ce dernier, le plus concret, inclut, et n'exclut point tous ces sens; aussi bien la théologie de l'Incarnation ne saurait-elle être limitée par les cadres de la sotériologie; ce serait, d'ailleurs, impossible, comme en témoigne l'histoire du dogme». С. Булгаков / S. Bulgakov, La Fiancée de l'Agneau, in «Le Messager Orthodoxe», 1969 n° 46-47, p. 23; С. Булгаков / S. Bulgakov, Невеста Агнца, Париж 1945, стр. 294; С. Булгаков / S. Bulgakov, Православие, Париж 1965, (L'Ortodossia), стр. 158-159. 3 G. Théotis, Les défricheurs. Elias Chacour , in «Actualité des religions», 2002 n° 43, p. 10 : «Il n’hésite pas à dire que «les religions 2 monothéistes ont fait faillite» car elles «n’ont pas su être des vecteurs d’unité». Pour faire évoluer la situation, il mise sur la laïcité et sur l’action des femmes». 4 C. M. Martini, Effatà "Apriti", Milano 1990, p. 87. 5 C. M. Martini, Effatà "Apriti", Milano 1990, p. 87; idem, Il lembo del mantello, Milano 1991, p. 16: «C'è un'eccedenza del Mistero divino, che non va mai dimenticata, e, che deve rendere perennemente vigilanti e attenti a quanto trascende ciò che la "notizia" comunica. Il lembo resta cioè un pezzo del mantello, e il mantello rimanda alla Persona che lo indossa e che potrebbe dismettere il mantello quando non volesse servirsene più. I mass media sono mezzi e non fini, realtà strumentali, penultime e non ultime, che potrebbero nascondere e ostacolare la via del vero, ma, quand'anche fossero a essa aperti non la esaurirebbero del tutto». 6 C. M. Martini, Effatà "Apriti", Milano 1990, prospettiva dell'opera. 222 L. IL PLURALISMO INTER-RELIGIOSO ED IL PLURALISMO DALLA SECOLARIZZAZIONE Anche a questo livello, la discussione sembra muoversi dal perno delle epoche o ere dell’esperienza umana: qui dall’era moderna a quella postmoderna (prettamente occidentale e recente), che include l’intento pluralista e tratta linearmente la questione della coesistenza di tradizioni culturali, religioni e pluralismi socio-secolari 1. La corrente di secolarizzazione valorizzerà anche la consapevolezza dell’esclusione di Dio, chiusura umana di fronte al Suo mistero, rimandato nella sfera delle cose superflue, di cui si può fare umanamente a meno. Quali sono le chiusure disumane in questo scenario? Di fronte al mistero del radicalmente diverso esiste anche il mistero d iniquità, talvolta evocata come Babilonia la Grande (Ap. 17, 5). Andrebbe ipotizzato -forse- la via ecumenica come l’intento ove possa sciogliersi l'indurimento disumano? Il disumano sembra cristallizzarsi in alcuni arcaismi tuttora prevalenti: simboliche recondite, che riemergono in blocco dai strati più remoti della coscienza umana assopita, un 'ritorno indietro'... Il mistero ci mette più esplicitamente di fronte a questi slittamenti e permette di discernere meglio il tenore dell incidenza disumana. Alcuni tratti maggiori sono stati focalizzati riguardo a ciò che appariva come maggiormente insidioso per l’intento dialogale, oggi. Si temeva il relativismo religioso nel dialogo 2, o che la Chiesa fosse ignorata 3, o persino il trionfo dell'ateismo 4. Ma appare più ambiguo il richiamo odierno verso una certa 'cultualità', vissuta come ripiegamento fronte alla fatica del sapere 6, o avvicinandosi alla fine del millennio 7 5 di un tipo di religione-fuga 8, non una 'invasione' indebita del religioso ma una 'molla rituale', percepibile persino nel processo comunicativo 9. M. LA CONVERGENZA DELL’«ECCLESIOLOGIA ECUMENICA» E LA SCOMMESSA PLURALISTA IN TEOLOGIA 1 D. Tracy, The Uneasy Alliance Reconceived: Catholic Theological Method, Modernity and Postmodernity , in «Theological Studies», 1989 nº 50, p. 549; idem, Blessed Rage for Order, The New Pluralism in Theology , New York 1975, p. 4; J. McCarthy, David Tracy, in D. Musser J. Price, A New Handbook of Christian Theologians, Nashville 1996. Paolo VI, Litterae enciclicae "Ecclesiam suam" , Città del vaticano 1964 / in «Acta Apostolicae Sedis» 1964, p. 631; W.A. Vissert' Hooft, Hat die Ökumenische Bewegung Zukunft?, in «Ökumenische Rundschau», 1975 Nº 2, S. 162. 3 Arch. Kyrill, The Ecology of the Spirit , (EUROPEAN ECUMENICAL ASSEMBLY PEACE WITH JUSTICE), Basel 1989, polyc., pp. 5-6. 4 Paolo VI, Litterae enciclicae "Ecclesiam suam" , Città del vaticano 1964 / in «Acta Apostolicae Sedis» 1964, pp. 652-653. 5 R. Ruyer, Dieu des religions, Dieu de la science , Paris 1970, pp. 223-224. 6 P. Teilhard de Chardin, Science et Christ, Paris 1965, pp. 132-133. 7 P. Teilhard de Chardin, Les directions de l'avenir , Paris 1973, p. 31. 8 P. de Béthune, Les rencontres avec l'Orient en Europe: Responsabilités des chrétiens confrontés aux méthodes orientales , in «Bulletin du 2 Secrétariat pour les non-chrétiens», 1984 nº 55, pp. 74-75. J. Cazeneuve, L'homme téléspectateur, Paris 1974, p. 74; L. De Heusch, Introduction à une ritologie générale (II) , in AA. VV., Pour une anthropologie fondamentale, vol. 3, Paris 1974, p. 232. 9 223 L’ambito ecclesiologico assume una caratteristica per di più ‘ecumenica’ per diverse delle correnti tipiche del XX-XXI secolo. La figura emblematica di Y. Congar rimane significativa in ciò che il suo pensiero ha reso possibile nell’inquadratura romana, già prima del concilio Vaticano II. Le premesse ecumeniche dell’intento ecclesiale sono state cristallizzate partendo da due approcci a priori che si riscontrano tuttora nel mondo cristiano: le religioni sono un bene o le religioni sono un male 1. Questo aspetto è stato percepito vivacemente da parte degli altri cristiani che hanno sottolineato come il ruolo delle religioni è stato un ruolo divisivo 2. Ma è proprio a partire dalla presa di coscienza del ruolo concretamente non unitivo nel passato che tutte le religioni possono essere chiamate -oggi- a guardare in un modo nuovo verso se stesse e a riesaminare il contributo che possono offrire a l’umanità nella sua totalità (vedere citazione qui sopra). Nei due casi si tratta di una esperienza da prendere in considerazione. nei due casi si tratta di un invito che sorge nel contesto attuale affinché si verifichi un ampliamento della prospettiva e una promozione delle possibili vie d'incontro in tutta l'umanità, non considerata come un blocco di totalitaria uniformità, ma come una infinita rete o una «comunità planetaria delle variatissime comunità locali». Se si considera il taglio dell'esperienza religiosa, sia che la si veda come una possibile piattaforma di elementi comuni, sia che la si consideri nelle forme divisive che ha potuto assumere nel passato, in ogni caso si insiste sul ruolo particolare che il taglio religioso ha in seno alla cultura delle comunità concrete 3. È bastato mezzo secolo di studio antropologico esteso agli altri continenti, 1 G. Thils, Propos et problèmes de la théologie des religions non chrétiennes , Louvain 1966, p. 39: «En fait, les interprétations théologiques des religions peuvent être ramenées à deux types. Pour les uns, les religions sont un mal, plus ou moins foncier; la théologie dialectique actuelle incarne cette tendance et lui donne une vigueur rarement atteinte. Pour d'autres, les religions sont un certain bien, mais en état d'inachèvement plus ou moins prononcé, et qui trouve dans le christianisme comme un «accomplissement», une sorte di Erfüllung. Mais comment se présentent, concrètement, ces orientations ?»; idem, in G. Barauna, L’Eglise de Vatican II, Paris 1967, vol. II, p. 676 : «Dans la suite, un filon doctrinal continuera à présenter les religions non chrétiennes comme un mal, à tolérer peut-être, comme une idolâtrie avec un arrière-plan, soit démoniaque, soit du moins superstitieux, ou comme une supercherie de l'histoire. La théologie «dialectique» a pris position avec vigueur. Pour ses représentants, l'acte sauveur du Christ est unique et exclusif. Il peut s'incarner dans une religion, des rites, des doctrines -avec certes des faiblesses dans une religion, et des lacunes inévitables. Concrètement la religion chrétienne; celle-ci n’a de réalité que par et dans le Christ; elle partage de ce fait son unicité exclusive. Les autres religions sont «incrédulité»; elles sont sans lien, sans proportion avec l'unique religion de la Révélation. Elles ne peuvent naître que de l'orgueil, de l'idolâtrie et en fin de compte, du péché, de Satan. On peut être sauvé par le Christ, mais jamais dans ou par une religion». WORLD COUNCIL OF CHURCHES, INTERCHURCH DIALOGUE, Theological Consultation on Dialogue in Community (Chiang Mai, Thailand: 1827 April 1977), in «Bulletin of the Secretariat for non-Christians», 1977 nº 36, p. 110: «9. Because of the divisive role to which all religions 2 and ideologies are so easily prone, we believe that they are each called to look upon themselves anew, so as to contribute from their resources to the good of the community of humankind in its wholeness. Thinking of the challenge to our Christian faith we were reminded both of the danger of saying 'peace, peace' where there is no peace and of Jesus' words in the Sermon on the Mount: "Happy are those who work for peace: God will call them His children" (Mt 5, 9). As workers for peace, liberation, and justice, the way to which often makes conflict necessary and reconciliation costly, we feel ourselves called to share with others in the community of humankind in search for new experiences in the evolution of our communities, where we may affirm our inter-dependence as much as respect for our distinctive identities. The vision of a worldwide "community of communities" commanded itself to us as a means of seeking community in a pluralistic world. The vision is not one of homogenous unity or totalitarian uniformity but is for Christians related to the kingly rule of God over all human communities». WORLD COUNCIL OF CHURCHES, INTERCHURCH DIALOGUE, Theological Consultation on Dialogue in Community (Chiang Mai, Thailand: 1827 April 1977), in «Bulletin of the Secretariat for non-Christians», 1977 nº 36, pp. 108-109: «4. We consider the ties between religion and 3 culture to be very influential in community life. An example was readily available for us as visitors to Chiang Mai where we were strongly aware of the cultural identity of Northern Thailand, informed by the Buddhism of the majority population, though we learned also of the distinctive character of Buddhism in Northern Thailand, by contrast to that of, for example, Sri Lanka. During our discussion African participants described the traditional religious patterns of their communities, and demonstrated how these provided resources for their interpreting other religious traditions (notably Christianity and Islam) which have been implanted more recently in many parts of the African continent». 224 alle altre popolazioni, alle altre usanze, per vedere come l'intento religioso aveva notevole importanza per l'umanità nella sua grande maggioranza. Viene così superato un pregiudizio o un presupposto che si proponeva talvolta nel mondo occidentale prima del ventesimo secolo e per buona parte di esso: la religione in quanto tale e le diverse religioni non sono altro che delle tracce di "superstizione" che lo spirito scientifico avrà presto fatto a superare e a spazzare via definitivamente dalla sensibilità e dalla mentalità dell’umanità. La interdipendenza delle comunità e delle culture non potrà, visto da questa angolatura- ricevere una promozione aperta e positiva se non si tiene conto della dimensione religiosa fondamentale, presente in ognuna di queste culture. Non si potrà -pertanto- escludere dalle nuove scommesse che la relazionalità umana più complessa di oggi porta con se: cioè queste stesse religioni o questa stessa esperienza religiosa multiforme. Le varie tradizioni religiose dovranno ineludibilmente essere coinvolte nel gioco delle nuove prospettive e delle nuove potenzialità dell’umanità 1. Possiamo lasciare aperto questo approccio di partenza: una umanità che oggi vive una relazionalità e dei collegamenti molto più intensi, prospettando l'unità d'origine e l'unità in compimento attraverso i vari livelli del suo cammino (primo approccio). O l’altra costatazione: il ruolo fenomenologicamente divisivo delle religioni nel corso della storia umana che oggi si vede obbligata a vivere insieme anche con questa dimensione religiosa (secondo approccio). Sarà, pertanto, sulla base del comune impegno per i valori spirituali umani fondamentali che un dialogo inter-religioso si prospetterà 2. Gli autori cristiani del XX secolo hanno capito bene la rilevanza sia del passato carico di negatività dell'esperienza religiosa, sia della necessaria apertura positiva che bisogna rendere possibile per l inserimento della dimensione religiosa nella convivenza umana. D’altra parte, intorno agli anni 60, il Consiglio ecumenico delle Chiese inseriva le religioni tra le ideologie umane nell’articolare il suo intento dialogale 3. WORLD COUNCIL OF CHURCHES, INTERCHURCH DIALOGUE, Theological Consultation on Dialogue in Community (Chiang Mai, Thailand: 1827 April 1977), in «Bulletin of the Secretariat for non-Christians», 1977 nº 36, pp. 108-109: «6. An important aspect of this accelerated 1 change has been brought about by the complex network of relationships which has been created between human communities in recent times. We are conscious, more urgently today than ever in the past, that the traditions of our individual communities are being drawn towards one another, sometimes into a new harmony, sometimes into a destructive whirlpool in the flowing rivers. The interrelatedness of our human communities brings with it many new challenges to mutual concern and pastoral care, our response to which, both individually and collectively as communities, will determine the character of the reality of which we are growingly aware the community of humankind». 2 Paul VI, Encyclical Letter "Ecclesiam Suam , Vatican City 1964, nº 108: «But we do not wish to turn a blind eye to the spiritual and moral values of the various non-Christian religions, for we desire to join with them in promoting and defending common ideals in the spheres of religious liberty, human brotherhood, education, culture, social welfare, and civic order. Dialogue is possible in all these great projects, which are our concern as much as theirs, and we will not fail to offer opportunities for discussion in the event of such an o ffer being favorably received in genuine, mutual respect». WORLD COUNCIL OF CHURCHES, INTERCHURCH DIALOGUE, Theological Consultation on Dialogue in Community (Chiang Mai, Thailand: 1827 April 1977), in «Bulletin of the Secretariat for non-Christians», 1977 nº 36, p. 135: «The discussion of dialogue with ideologies began in 3 the WCC during the 1960's when the Christian-Marxist dialogue was widespread. When the DR sub-unit was created at Addis Ababa in 1971, the Central Committee directed that the concern for dialogue should include both other faiths and ideologies. An exploratory consultation on ideologies was held at Cartigny in 1975 and accomplished some useful definitional work. (1) The first full discussion by an A ssembly occurred in Nairobi, 1975 in Section III. The report of that Section linked dialogue with ideologies to the search for community; it distinguished between institutionalized, pervasive and new forms of ideology; and it highlighted three important problems in the relationship between faith and ideology: a) the problem and self-criticism of ideological presuppositions in church life; b) the question whether faith and ideology are mutually exclusive or in dialectical tension; and c) the problem of how far church unity is possible despite ideological differences. Parallel with these developments in the DFI was important work on ideologies in other bodies, notably the Lutheran World Federation and the Roman Catholic Church». ((1) See Study Encounter, Vol. XI, n° 4, 1975, Faith and Ideologies: An Ecumenical Discussion.) 225 N. LA SALVAGUARDIA ECCLESIOCENTRICA E L’INTERROGATIVO PLURALISTA Se la via ecumenica cristiana appare come una apertura caratterizzante della teologia del XX-XXI secolo, la salvaguardia ecclesiologica dell’ecclesiocentrismo è però sempre presente nella prospettiva di diveri orientamenti teologici. Apparirà anche un indurimento romano dell’ecclesiocentrismo. Diversi autori si iscrivono in questo intento, da R. Guardini nella preoccupazione specifica di non perdere niente dell’eredità ecclesiale, a G. Marcel, all’articolazione di M. Schmaus, o di Giussani, cominciando dalla figura di Maritain -inizialmente discepolo di Bergson- che appare come l’antimoderno a tutto campo, sprezzante per tutto ciò che non è tomista, con una convergenza inattesa con la visione barthiana sulla disapprovazione della modernità 1. Anche a questo livello il centralismo ecclesio-istituzionale formerà un baluardo di contenimento della metodologia pluralista. O. IL PLURALISMO E LA RE-ARTICOLAZIONE DELLA PIATTAFORMA ECCLESIALE Con Hans Küng, si entra nel prospetto della re-articolazione ecclesiale cristiana. Egli sceglie decisamente la via dal basso ai vari livelli teologici della cristologia ed oltre, per uscire dalla impostazione polemica antiprotestante (tridentina) dell’ecclesiologia cattolica classica (ispirandosi ad un forte biblicismo (paulinismo) rischiando si distaccare Chiesa divina e Chiesa storica, in una schietta dialettica talvolta esacerbata, con mancata carica mistico-spirituale ma con l’intento di focalizzare il mutevole storico della Chiesa con notevole apertura al pluralismo, meno sintesi che riprospezione incoativamente pertinente 2. Tutto si basa sulla libertà di scelta (alla K. Adam) fino alla convergenza con la giustificazione (barthiana), per ritrovare l’originarietà ecclesiale, con una revisione della ministerialità nell’intento eucaristico 3. La via cristiana diventa una via straordinaria F. Ardusso - G. Ferreti - A. Perone Pastore - U. Perone, Introduzione alla teologia contemporanea, Torino 1972, pp. 227, 232; cfr L. Boff, La grazia come liberazione, Roma 1978; H. Mühlen, La dottrina della grazia, in R. Vander Gucht - H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo, vol. 3, Le discipline teologiche, l’avvenire della teologia , Roma 1972, pp. 169-170; J. Puyo, Jean Puyo interroge le Père Congar, Paris 1975, pp. 18-19; A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica , Urbino 1988, p. 24; J. Maritain, Tre riformatori. Lutero, Cartesio, Rousseau , Brescia 1964, pp. 48-89; parallelamente in «Zwischen den Zeiten» con Barth, cfr. E. Busch, Karl Barth. Biografia, Brescia 1977, pp. 177, 122, 129 s; H. Vorgrimler, Hans Urs von Balthasar, in R. Vander Gucht - H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo , vol. 4, Ritratti di teologi, 1 Roma 1972, pp. 136-137. R. P. McBrien, Catholicism, Minneapolis 1980, vol. I, pp. 478, 488-490; C. Porro, Cristologia in crisi?, Alba 1975, p. 63; J. Puyo, Jean Puyo interroge le Père Congar , Paris 1975, pp. 160-163; B. Mondin, Il linguaggio teologico, Alba 1977, pp. 129, 133; J. Bouyer, Enttäuschte Sympathie, in H. Häring - J. Nolte, Diskussion um Hans Küng. Die Kirche, Freiburg in Breisgau 1971, S. 44-45; J. Lecler, Irritierende Dialektik, ibidem, S.57-62; M. B. Schepers, Fehlende Mystik, ibidem, S. 63-68; V. E. Fahlbusch, Kirche gestern und morgen , ibidem, S. 68-73; A. Dulles, Widerspruch zu Trient, ibidem, S. 92-94. 3 G. H. Tavard, Option für das Ursprüngliches? , in H. Häring - J. Nolte, Diskussion um Hans Küng. Die Kirche , Freiburg in Breisgau 1971, S. 84-91; R. Pesch, Amtsstrukturen im Neuen Testament, ibidem, 133-154; R. Curtis, Hans Küng on Karl Barth. A noted Catholic theologian believes that Barth has abandoned the Reformation position , (most recently modified Monday, 23-Sep-96. It was published by «Jubilee: A 2 226 di fronte alle vie ordinarie delle altre religioni (oltre Rahner) 1. Sia la critica künghiana alla ChiesaIstituzione-romana sia la sua contemporanea appartenenza ad essa è palese nella sua tensione intrinseca (cfr infra).Da questo confronto vissuto dall’ispiratore di questa corrente, si pone anche l’impostazione di una valutazione interreligiosa. La sua angolatura rimane ecclesiologicamente interreligiosa, inquadrando le religioni in un profilo quasi da Chiesa (più che come esponente esplicitamente occidentale, anche se questo è del tutto ad hoc) 2. Prendendo come criterio di paragone la piattaforma ecclesiale o ecclesialmente strutturata, le religioni appaiono inevitabilmente come sagomate da questa strutturazione di fondo. P. LA GENUINITÀ DEL PERCORSO DI FEDE E LA DINAMICA TEOLOGICA PLURALISTA La piattaforma sulla quale ci muoviamo nel dialogo tra la teologie è sempre quello dell’incidenza sostanziale della ‘storia’ nella riflessione cristiana. Le teologie odierne più tipiche sembrano voler essere primariamente delle 'ipotesi' di approfondimento e di riscoperta cristiana, tenendo conto del modo di pensare e di esprimersi di oggi. L'impostazione dinamica del dialogo tra le correnti teologiche del nostro secolo sembra formulare la sua chiave escatologica proprio tra 'storia articolata nella sua genuinità iniziale' e 'storia riprospettata dal suo compimento ultimo'. L’intento pluralista s’interesserà particolarmente alla ‘genuinità dell’intuito iniziale’ ed al ‘compimento ultimo’ del percorso religioso nei suoi vari componenti. Ci pare che il dialogo teologico tipico del nostro secolo si incentri sull'escatologia proprio in riferimento ad uno dei maggiori contributi della teologia: Magazine of the Church and Her People», July 1965, pp. 39 et seq., in «Internet» 1997, http://village.ios.com/~rkc1/kung.shtml; U. Hedinger, Der Freiheitsbegriff in der Kirchliche Dogmatik Karl Barths , Stuttgart 1962, S. 195 E. Grasso, Il pensiero di K. Rahner sul valore delle religioni non cristiane , in «Riflessioni Rh» 1984 nº 1, pp. 18-19 ; L. Sartori, Teologia delle religioni non cristiane, in AA. VV., Dizionario teologico interdisciplinare, III, Torino 1877, 409; P. Rossano, Il problema teologico delle religioni, Catania 1975, 33-34. 2 S. Parvez Manzoor, HUBRIS AND HUMILITY. Christian Perplexity at the Pluralism of Faith, in «Internet» 2006, 1 http://www.algonet.se/~pmanzoor/Hans-Kung.htm: «Even if Hans Küng's pioneering work Christianity and the World Religions, concludes Falaturi, is not a dialogue in that there is no conversation in it with the living representatives of Islam, it does have an attraction of its own: Islam - seen from outside – is presented in the categories of Western thought and there are reflections on it from the perspective of Christian theology. Thus, 'despite all the resentment that Muslims may nurse at such an attempt, the achievement and significance of the work remains undisputed.' The disturbing aspects of the study emanate not so much from the perception of Hans Küng the Catholic theologian as from that of Hans Küng the representative of Western Machtmensch who declares without the least compunction: 'But let us admit that Islam continues for us primarily alien, politically and economically more threatening than Hinduism or Buddhism, and at any rate a phenomenon which we find it difficult to understand.' To this Falaturi gives the following, thoughtful yet unambiguous, retort: 'How can a Hindu, a Buddhist, or in particular a Muslim dialogue partner carry on a serious dialogue when they know from the beginning that in the eyes of the Christian participant they are seen as "threatening" or even very threatening? For what reason is the dialogue now being carried out? To diminish the threat? Is that an aim of the dialogue? And who is threatened and for what reasons? In this way, will not any basis for a dialogue on equal footing be ruled out right from the start?' It is obvious that in Küng's dialogue with Islam much more than mere theological sensibility is at stake. The problem of the rapacious ethic of industrial society, and its viability in a truly universal sys tem, also looms large in his vision. He is further distressed by the possibility that Muslim opposition to Western science and technology may create a permanent rift between North and South. That the Islamic commitment also entails active struggle against all forms of oppression and injustice causes him merely parochial worries. Thus, Falaturi is obliged to point out most emphatically that Islam as a religious system does not represent any anti-Western propensity. Rather, the thrust of its revival is directed against the pseudo-values of the permissive modern culture which Küng himself describes as 'inappropriate both for Islam and Christianity.' Despite everything, however, both Küng and Falaturi appear to be in agreement that the common challenge for Christian and Islamic theology lies in creating, within the matrix of 'a new ecumenical paradigm of secularity viewed against a religious background', a third way between 'either' and 'or'». 227 la ecclesiologia cosidetta 'eucaristica'. La doppia operazione teologica della teologia della speranza e della teologia eucaristica mira sostanzialmente a "ricentrare" l'impegno ecclesiale e le priorità ecclesiali nella storia. Ecco dove le due correnti sembrano correlate e complementari 1. La 'sponda' teologica che si richiama alla genuinità ecclesiale eucaristica, nella radicale purificazione dalle 'escrescenze' accumulatesi lungo la storia, rappresenta -poi- quel rinvio al "proton" che la prospettiva della speranza ribadisce come chiave di convergenza con "l'eschaton" (l'inizio e la fine) 2. La genuinità alle sorgenti o nell’esito ultimo saranno dei criteri fondamentali per una metodologia comparativa tra gli intuiti religiosi ed il loro percorso. Q. LA VERIFICA ESCATOLOGICA SULLA STORIA ED IL PARCORSO PLURALISTA La ri-prospezione, come molla teologica, sembra ulteriormente delinearsi nella tensione tra le correnti del XX secolo ispirate d'una parte alla 'salvaguardia' o d'altra parte alla 'ri-impostazione' teologica complessiva. Più consistentemente, la 'teologia della speranza' indicherà come 'costitutivo' e come 'tonalità di fondo' della fede cristiana la prospettiva escatologica: cioè il linguaggio della 1 Cfr A. Joos, Teologie a confronto, vol. I, Sponde lontane, Vicenza 1982, p. 493: Là dove l'ecclesiologia eucaristica indicava, nella prima assemblea eucaristica, il criterio di ogni possibile genuinità, qui, sarà la Risurrezione stessa a provvedere la base per ogni sollecita novità, perché proiettata verso il futuro, ne garantisca in qualche modo l'autenticità in via di compimento. Nella Risurrezione tutto è possibile, nella prima comunità si è fatto il possibile, così si potrebbe descrivere la distanza tra le due sponde . 2 Cfr A. Joos, Teologie a confronto, vol. I, Sponde lontane, Vicenza 1982, p. 510-511: «Il cammino del Cristo, dalla risurrezione alla parusia, diventa l'impegno appassionato dei veri cristiani, di tutta la cristianità 1. Attuare questo itinerario assorbe tutte le capacità e costituisce la sostanza della vita cristiana. Bisogna perciò pensare la teologia partendo da questa parusia finale; o - viceversa - questo punto ultimo d'arrivo deve essere l'inizio del tentativo di riflessione teologica 2. Ma, poiché si ignora la configurazione di questo punto di arrivo, il concetto di conoscenza dell'eschaton o di una dottrina escatologica non è possibile, almeno come linguaggio che sorga da segni acquisiti. Si potrà parlare di vera escato-logia solo quando le prospettive ridotte e parziali della storia giungeranno, attraverso l'Eschaton, al Proton di tutta la creazione 3. Il Proton, il primo, sarà veramente compimento dell'ultimo, dell'Eschaton? Inevitabilmente, un cerchio si forma e si chiude partendo dall'ultimo fino al primo. Vi può essere in tal modo vera novità, se il primo già comprende ogni potenzialità di nuovo? Il nuovo non si trova forse ridotto a una progressività di attuazione del primo? Il nuovo appare come funzione dialettica nella contraddizione 4». (1 J. Moltmann, Theologie der Hoffnung, München 1965, S. 12: «Das Christentum ist ganz und gar und nicht nur im Anhang Eschatologie, ist Hoffnung, Aussicht und Ausrichtung nach vorne, darum auch Aufbruch und Wandlung der Gegenwart. Das Eschatologische ist nicht etwas 'am' Christentum, sondern es ist schlechterdings das Medium des christlichen Glaubens, der Ton, auf den in ihm alles gestimmt ist, die Farbe der Morgenröte eines erwarteten neuen Tages, in die hier alles getaucht ist. Denn der christliche Glaube lebt von der Auferweckung des gekreuzigtenChristus und streckt sich aus nach den Verheissungen der universalen Zukunft Christi. Eschatologie ist das Leiden und die Leidenschaft, die am Messias entstehen». / 2 J. Moltmann, Theologie der Hoffnung, München 1965, S. 12: «Eine rechte Theologie müsste darum von ihrem Zukunftziel her bedacht werden. Eschatologie sollte nicht ihr Ende, sondern ihr Anfang sein. Wie aber soll einer von der Zukunft reden, die n h nicht da ist, und von kommenden Ereignissen, bei denen er doch noch nicht dabei gewesen ist? Sind das nicht Träume, Spekulationen, Sehnsüchte und Befürchtungen die alle im Vagen und Ungefähren bleiben müssen, da sie niemand nachprüfen kann? Der Ausdruck 'Eschato-logie' ist falsch. Eine 'Lehre' von den letzten Dingen kann es nicht geben, wenn unter Lehre eine Sammlung von Lehrsätzen verstanden wird, die man aus Erfahrungen, die immer wiederkehren und von allen gemacht werden können, versteht». / 3 J. Moltmann, Theologie der Hoffnung, München 1965, S. 117-118: «Von einer wirklichen 'Eschatologie' wird man also erst sprechen können an Stellen, wo der geschichtlich beschränkte und perspektivische Horizont auf das angesagte Zukünftige im Eschaton das Proton der ganze Schöpfung erreicht, wo der Horizont des sich ankündigenden und kommenden Gottes auf alle Völker geht, denn es gibt nichts, was darüberhinaus in der Weite noch gedacht werden kann». / 4 J. Moltmann, Theologie der Hoffnung, München 1965, S. 114: «Christliche Hoffnung ist Auferstehungshoffnung, und sie beweist ihre Wahrheit im WidersPruch der darin in Aussicht gestellten und verbürgten Zukunft der Gerechtigkeit gegen die Sünde, des Lebens gegen den Tod, der Herrlichkeit gegen das Leiden, des Friedens gegen die Zerrissenheit. Calvin hat diese Diskrepanz, in die die Auferstehungshoffnung stellt, sehr genau erkannt: Uns wird das ewige Leben verheissen - aber uns, den Toten ...».) 228 Promessa 1. Ogni linguaggio umano richiama al 'processo' comunicativo, e così ne sarebbe della escatologia: le "vie dello svelare" o la dinamica del compimento ultimo (più che i 'contenuti' o i 'decreti' divini svelati aldilà delle rivelazioni profetiche) 2. Escatologia ed apocalisse appaiono altresì collegate in questa prospettiva. L'interesse del riferimento a Moltmann, ispiratore della teologia della speranza, si focalizza -certo- sul suo richiamo a riconsiderare la risurrezione di Cristo, come Afanas'ev (Zizioulas…) lo farà per l'eucaristia 3. La teologia della speranza non tralascia -però- di intavolare il suo rinvio prioritario al 'nuovo' nel quadro della sua 'passionalità del possibile' 4. Il 'nuovo' 1 J. Moltmann, Theologie der Hoffnung, München 1965, S. 12: «Das Christentum ist ganz und gar und nicht nur im Anhang Eschatologie, ist Hoffnung, Aussicht und Ausrichtung nach vorne, darum auch Aufbruch und Wandlung der Gegenwart. Das Eschatologische ist nicht etwas am Christentum, sondern es ist schlechterdings das Medium des christlichen Glaubens, der Ton, auf den in ihm alles gestimmt ist, die Farbe der Morgenröte eines enwarteten neuen Tages, in die hier alles getaucht ist. Denn der christliche Glaube lebt von der Auferweckung des gekreuzigten Christus und streckt sich aus nach den Verheißungen der universaIen Zukunft Christi. Eschatologie ist das Leiden und die Leidenschaft, die am Messias entstehen. Darum kann die Eschatologie eigentlich kein Teilstück christlicher Lehre sein». 2 O. Cullmann, Heil als Geschichte, Tübingen 1965, S. 62: «Die Etymologie rechtfertigt diese abwertende Einschränkung an sich nicht. Sie bezieht sich im Unterschied zu derjenigen des Wortes "Eschatologie" nicht auf das Objekt, sondern auf das Mittel der Erkenntnis eine (auf göttlichem Weg direkt erfolgende) "Enthüllung". Nun wird gewiß auch das, was Gegenstand der Eschatologie ist, nur auf dem Weg göttlicher Offenbarung erkannt. Wenn also die als "Apokalyptik" bezeichneten Mitteilungen über das Ende etymologisch ausdrücklich als "enthüllt" gekennzeichnet werden, so handelt es sich zunächst nur um einen Gradunterschied: es sind letzte göttliche Geheimnisse, die jenseits der üblichen, den Propheten gewährten Offenbarungen liegen, sie haben Ereignisse im Auge, die keinerlei direkten Anknüpfungspunkt mehr in den Geschehnissen haben, deren Zeugen wir sind. Sie sind vor allem, wenn auch nicht ausschließlich, kosmischer Natur». 3 Cfr A. Joos, Teologie a confronto, vol. I, Sponde lontane, Vicenza 1982, p. 497-498: «Riprendere la riflessione sulla risurrezione: questo è il vero punto di partenza della teologia della speranza. Il tentativo di prospettare la risurrezione re-interpretata soprattutto nelle categorie della promessa. La risurrezione non è fine e compimento di ogni promessa dell'Antico Testamento, ma rilancio integrale della promessa 1. La realtà di risurrezione è la vera consistenza della speranza cristiana, e ne fa allo stesso tempo il cardine di tutto il pensiero e della coscienza cristiana 2. Questo dato ci obbliga a rivedere l'esperienza della croce e risurrezione alla luce della promessa dell'Antico Testamento 3». (1 C. Geffré, Un nouvel Age de la Théologie, Paris 1972, p. 136: «Tout le propos de Moltmann est d'interpréter la Résurrection du Christ en fonction de la théologie juive de la Promesse et par là de fonder une 'théologie de l'espérance' qui soit en même temps une 'théologie politique'. Comme nous l'avons vu dans le chapitre précédent, il est insuffisant de comprendre la Résurrection du Christ comme l'accomplissement des promesses qui met un terme à l'histoire. Il faut montrer comment la Résurrection du Christ n'épuise pas la promesse de Dieu et nous renvoie à l'avenir. Pour cela, il ne faut pas le comprendre en référence au Dieu épiphanique, au Dieu qui est, mais au Dieu qui vient et dont la promesse n'est jamais épuisée par ses réalisations historiques». / 2 J. Macquarrie, Twentieth-Century Religious Thougth, London 1971, p. 383: «Jürgen Moltmann likewise calls for a more realistic understanding of resurrection. He holds that 'Christianity stands or falls with the reality of the raising of Jesus from the dead by God'. Likewise the resurrection of the dead in the future i5 a real event towards which history is moving though Moltmann, like Pannenberg, is tantalizingly vague about the nature of resurrection, which is to be understood neither literally nor in the demythologised fashion of the existentialists». / 3 M.D. Meeks, Origins of the theology of Hope, Philadelphia 1974, p. 71: The lasting significance of von Rad's work for the theology of hope is that he demonstrated to Moltmann how what is qualitatively new in the reconciling event of cross and resurrection can be understood only in terms of what is old in the promissory history of God in the Old Testament. Moltmann faithfully takes up von Rad's challenge: 'The great task which confronts us at present is the redefinition of the noetic and heuristic importance of the Old Testament witnesses for the understanding of the saving event of te New'».) 4 Cfr A. Joos, Teologie a confronto, vol. I, Sponde lontane, Vicenza 1982, pp. 516-517: «La speranza diventa perciò passione del possibile. In tal senso, la speranza è anche rivoluzionaria, opponendosi a- e rovesciando ciò che è vecchio. Spingere tutte le cose fino alle loro ultime possibilità - ecco un altro orientamento teilhardiano - si ritrova nella passione del possibìle. Forse nascerà anche qui l'interrogativo posto al pensiero di cristificazione universale (vedere il capitolo su Teilhard de Chardin): quale è lo statuto e il significato del male in una tale visione? Le ricadute rivoluzionarie si avvicinano stranamente alle ricadute evoluzionarie... poi tutto il cammino di interpretazione e attuazione fino al compimento 1. La speranza si precisa nella promessa, dalla quale parte La promessa sembra essere la Promessa unica, data nella risurrezione. Da questa promessa tutto sorge e sempre bisogna ritornare a questa autentica promessa. Il riferimento alla prima genuinità assomiglia notevolmente alla prima assemblea (della ecclesiologia eucaristica), come criterio assoluto di consistenza cristiana, alla quale tutta la storia ecclesiale deve poi sempre ritornare. La storia ridiventa un ritorno continuo al punto di partenza, in attesa del vero ritorno del Signore, al momento della parusia. Come conciliare la passione del possibile, nell'immediato, e l'attesa ultima? Sarebbe interessante discernere meglio le rispettive valutazioni sulla Novità e sulle novità. Una Novità rimane inesauribile, contrariamente alle novità che perdono il loro carattere e la loro capacità orientativa, appena conosciute e integrate nel già-acquisito. Sia la Novità , sia le novità, impediscono una sintesi anticipata della storia. Le novità diventano irrilevanti e la Novità ci sfugge in avanti. Il nuovo ultimo corrisponde a una attesa che si proietta al di là delle frontiere dell'esistenza, al di là della morte 2, Il superamento dei limiti di esistenza prospetta una doppia caratteristica: l'universalizzazione della promessa e l'intensificazione della promessa. Il regno di Dio viene esteso a tutti i popoli, e la morte viene messa in questione». 229 sarà -ovviamente- da mettere in relazione con il 'futuro'. Qui ci interesserà l'aspetto di particolare "occidentalizzazione" verificatosi dal Rinascimento in poi: il futuro diventa un orizzonte dove il 'progresso' porterà miglioramenti notevoli, ispirando una sostanziale fiducia in se stessi 1. Gli autori, che indicano questa 'derivazione' particolare nel senso del futuro, si muovono nel contesto tipico della teologia del XX secolo (o della sensibilità culturale) e cioè nell'ambito della 'modernità'. L'escatologia si troverebbe in qualche modo sbilanciata dalla prospettiva della mentalità moderna. E, se tale fosse il caso, come si porrà la questione escatologica 'occidentale' nel passaggio interculturale verso la fase detta 'post-moderna'? Sarebbe senz'altro interessante di poter verificare come certi autori russi abbiano intuito o anticipato questo 'salto' oltre la modernità ed offerto qualche indirizzo sull'interpretazione della 'fine', del 'nuovo', del 'compimento', del 'tempo', dello 'spazio' -e via dicendo- assai vicina alle venature 'post-moderne' (per esempio in P. Florenskij). Gli interpreti dell'intuito escatologico non sembrano voler rinchiudere la prospettiva escatologica in una inquadratura esclusivamente 'cristiano'. Anzi, dallo Spirito Santo come riferimento insostituibile del 'compimento' di ogni santificazione, non si potrà recintare l'escatologia 'appropriandosene' ecclesialmente 2. È interessante notare la convergenza su questo punto di tre rappresentanti della teologia odierna più creativa: cattolico-romano, ortodosso e riformato! (1 J. Moltmann, Theologie der Hoffnung, München 1965, S. 1O1: «Zwischen Verheissung und Erfüllung stehen eine ganze Fülle prozesshafter Zwischenglieder, wie Auslegung, Entfaltung, Inkraftsetzung, Aufrichtung, Erneuerung usw. Zwischen Verheissung und Erfüllung spant sich der Prozess der Wirkungsgeschichte des Wortes; ein Überlieferungsgeschehen, in welchem die Verheissung interpretiert und aktualisiert der Kommenden überliefert wird und jene neue Gegenwart in Hoffnung und Gehorsam der sogesagten Zukunft ausgesetzt wird. Dieses Überlieferungsgeschehen durch welches Kontinuität in den Wechselfällen der Geschichte geschaffen wird, kann nicht schon an sich selber als ein tieferer Begriff für Geschichte genommen werden. Der Überlieferungsvorgang, in dem man Geschichte erinnert und neue geschichtliche Erfahrungen macht, wird nur vortradendum der Verheissung und der durch sie in Aussicht gestellten Zukunft für die Geschehnisse her verständlich». / 2 Ibidem, S. 119: Nur wenn der Erwartungshorizont über die als letzte Schranken des Daseins empfundenen Grenzen, also über den Tod, hinausgeht, ist ein eschaton, ein non plus ultra, ein novum ultimum erreicht. Die universalisierung der Verheissung findet in der Verheissung der Herrschaft Jahwes über alle Völker ihr eschaton. Die intensivierung der Verheissung findet an der Infragestellung des Todes ihre Schwelle zum Eschatologischen»). 1 Cfr A. Joos, Teologie a confronto, vol. I, Sponde lontane, Vicenza 1982, pp. 531-532: «Ma, si tratta qui di un fenomeno tipicamente cristiano, o il fascino del futuro interessa l'umanità in quanto tale, nella sua fase attuale di esperienza? Per certi osservatori, si tratta di un movimento occulto della coscienza, che pervade progressivamente la mentalità attuale, e afferma che il futuro sarà migliore del presente 1. Questa asserzione viene fatta in modo diffuso, mentre si accetta, contemporaneamente, il fatto della non-prevedibilità dell'avvenire. Il fascino del e per il futuro si delinea proprio al di là della logica scientifica, mettendola, in un certo senso, sentimentalmente in questione. Forse, la speranza diventa un tema di particolare interesse, dopo gli sviluppi, che hanno conosciuto nella riflessione culturale occidentale, le diverse interpretazioni dell'avvenire e della fine. Là dove i greci si allontanano dal concetto ebraico sul come affrontare il futuro, e si perdono nel senso di fatalità, abbandonandosi ai capricci del destino, là si è formata, nella realtà culturale neo-classica dell'occidente, un'altra visione che non corrisponde neppure al nucleo della rivelazione cristiana sulla speranza. Invece di sentire l'insicurezza, in una visuale d'avvenire, nasce un senso particolare di fiducia in se stessi, proprio nel rinascimento. Esso ritiene l'uomo artefice del proprio futuro con la certezza che vi riuscirà. L'uomo prende coscienza di poter essere maestro del suo divenire. La fiducia in se stesso si radica poi nella volontà di programmare il futuro e si esprime come fede nel progresso 2. Dalla fiducia in Dio, si passa alla fiducia nel progresso evolutivo». (1 B. Russell, Mysticism and Logic, London 1967, p. 23: «Somehow, without explicit statement, the assurance is slipped in that the future, though we cannot foresee it, will be better than the past or the present: the reader is like the child which expects a sweet because it has been told to open its mouth and shut its eyes. Logic, mathematics, physics disappear in this philosophy, because they are too 'static'; what is real is no impulse and movement towards a goal which, like the rainbow, recedes as we advance, and makes every place different when it reaches it from what it appeared to be at a distance». / 2 E.Brunner, Das Ewige als Zukunft und Gegenwart, München 1965, S. 10: «Diese Hoffnung die 'Hoffnung auf der Basis des Selbstvertrauens', was ja auch, wie wir erst im Rückblick ganz klar erkennen, sowohl historisch als auch sachlich eine Seltsamkeit. Historisch: in keinem anderen Kulturkreis, in keiner anderen Epoche der Geschichte gab es sie. Nur im Abendland konnte sie entstehen, weil im Abendland durch den christlichen Glauben dafür die Voraussetzung geschaffen war. Und doch ist der Forschrittsglaube als Hoffnung auf der Basis des Selbstvertrauen das Gegenteil der christlichen Hoffnung, der 'Hoffnung auf der Basis des Gottvertrauens'. Der Forschrittsglaube war nur im christlichen Abendland möglich - aber nur, indem der christliche Glaube verschwand, als dessen Umformung und Ersatz, ja als dessen Parasit. Denn von seinen Kräften lebte er, von denselben, die er zerstörte».) 2 Y. Congar, Actualité de la pneumatologie, in AA. VV. Credo in Spiritum Sanctum, Vol. I, Città del Vaticano 1983, pp. 27-28: «C'est que l'Esprit est la puissance eschatologique qui agit dans l'histoire, mais par une énergie qui oriente l'histoire et l'introduit dans l'eschaton 1, Le texte de S. 230 R. LA TEOLOGIA DELLA STORIA TRA STORIA UNICA E PLURALISMO TEOLOGICO La discussione sulla priorità della storia per ogni impresa teologica cristiana occupa tutto il XX secolo, con la cerniera della prospettiva pannenberghiana. Dalla ‘storia della salvezza’ si prenderà in considerazione la ‘storia complessiva unica’. L’anticipazione del chiarimento si è fatto strada. La 'storia' come analisi del concatenamento degli eventi appare come una dimensione tipica dello spirito europeo: connubio della sensibilità ellenica ed ebraica 1. L'esistenza del popolo eletto include un disegno profetico nella sua indistruttibilità e sopravvivenza 2. Fede e storia sono intimamente legati nell'esperienza ebraica, dalla stessa sorgente messianica 3. Ma anche la genialità persiana aveva intuito il traguardo escatologico al di là della stessa storia intesa come successione di fatti 4. La 'storia universale' poi- nasce dall'interazione dello spirito umano e della natura nel dramma della libertà 5: liberazione dall'asservimento alla natura 6. Il mondo intero ha 'sofianicamente' una storia 7. La coscienza cristiana inserisce "l'unicum" escatologico: la centralità del Cristo risorto l'antropocentrismo 8. 9. Il senso cristiano della storia si incentra anche su un altro 'unicum': L'universalismo cristiano si contestualizzò così dall'ellenismo nella confluenza delle culture d'oriente e d'occidente 10. Eppure l'universalismo era annuncio di una 'fine': fine dell'impero, fine delle culture, fine nella quale si iscrive una 'perennità' al di là della Paul sur la prière de l'Esprit, que j'ai cité, appartient à ce merveilleux chapitre 8 de l'épître aux Romains, où Paul montre l'Esprit animant le gémissement cosmique de la création vers l'eschatologie. Avec nous, elle attend la délivrance, celle de la liberté et de la gloire des enfants de Dieu. Nous, nous connaissons. Nous sommes ce que Peter Berger apelle la minorité cognitive. Prêtres du monde, nous devons offrir et louer. La création, elle, ne sait pas, mais, à son plan, elle enfante aussi l'eschatologie. L'Esprit la travaille et la conduit secrètement pour cela. Mais le Verbe avec lui, que les Pères apologistes et Clément d'Alexandrie voyaient à l'oeuvre dans tous les hommes. Toujours les deux mains de Dieu qui façonnent l'homme... J'ai apprécié, alors que j'ai des critiques à lui adresser sur d'autres points, les pages où Jürgen Moltmann montre l'ampleur cosmique de ce qui prépare le Royaume: «L'eschatologie chrétienne n'est pas seulement une eschatologie pour les chrétiens, elle doit aussi être développée comme eschatologie d'Israel, comme eschatologie des religions, comme eschatologie des systèmes sociaux et comme eschatologie de la nature, si elle doit être l'eschatologie du Royaume englobant» 2. Puisque j'ai cité un théologien protestant, j'en évoquerai aussi un autre, Gerhard Ebeling, qui intitule le troisième volume de sa Dogmatique, consacré au troisième article du Symbole: «Je crois en Dieu, qui mène le monde à sa consommation» (cf. supra, n. 9). L'Esprit est le Don eschatologique. Il est celui qui consomme l'oeuvre de Dieu et achève toute sanctification . Les Pères l'ont compris ainsi». (1 Voir l'exposé si profond de Jean Zizioulas, Christologie, Pneumatologie et Institutions ecclésiales. Un Point de vue orthodoxe , in Les Eglises après Vatican II (cf. n. 24) 131-148. / 2 J. Moltmann, L'Eglise dans la force de l'Esprit. Une contribution à l'ecclésiologie messianique, Trad. R. Givord. Paris. 1980, p. 179. Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 35-36 / p. 31; Н. Бердяев / N. Berdjaev, Essai de métaphysique eschatologique, Paris 1946, p. 223. 2 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 105-106 / pp. 77-78. 3 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 106-107 / pp. 78-79. 4 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 41-42 / p. 35; Н. Бердяев / N. Berdjaev, Essai de métaphysique eschatologique, Paris 1946, p. 224. 5 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 133-134 / p. 96. 6 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 133-134 / p. 97. 7 С. Булгаков / S. Bulgakov, Утешитель /Le Paraclet , Таллин 1936 / Paris 1944, стр. 232-233 / p. 190. 8 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 43-44 / p. 36. 9 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 140-142 / pp. 100-101. 10 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 143-145 / pp. 102-103. 1 231 'catastrofe' della caduta dell'impero antico 1. Ciò che si prospetta come storia potrà essere estensivamente intuito riguardo alla stessa convivenza sociale umana, nel dare una via di uscita escatologica alla stessa economia 2. Essa 'incorpora' la storia verso la sua trasformazione ultima 3. Ma l'atteggiamento ecclesiale 'classico', nei suoi rapporti con le società, è stato di tipo 'ascetico' 4. Vi sono poi delle inscenature storiche nettamente anti-escatologiche come il pacifismo 5, dove l intento di 'vita felice' sarà portato a negare "la storia e i compiti storici..." 6. La non aggressività può diventare allora una spinta abissale al suicidio, persino al suicidio storico (impronta discernibile in Tolstoj) 7. L’intento escatologico cristiano viene orientato dalla Parola di Dio affinché si possa trovare le vie in sintonia con il compimento ultimo della storia. Vi sono chiavi di indirizzo escatologico che dal Vangelo vengono considerate prioritarie per il discernimento su come comportarsi nella storia che cammina. Tre brani scritturistici si citano talvolta per esprimere questi criteri di presenza: il buon samaritano, Giuseppe ed il Faraone, Noè ed il diluvio 8. Tali sono i riferimenti che l’escatologia corrente occidentale statunitense recente propone, dalla prospettiva delle tradizioni evangeliche o riformate. L’unicità della storia si affermerà, dalla coscienza della storia unica basata sull’esemplarità degli eventi storici tipica della interpretazione greco-classica nei suoi scrittori più celebri di storia alla coscienza ebraico-cristiana del processo storico unico ed irripetibile attraverso lo spazio ed il tempo verso un suo compimento terminale. Così Mommsen chiarirà il passaggio dell’universalità a questa unicità data dalla rivelatività nell’Antico e Nuovo Testamento 9. La storia diventa una dall’escatologia. Non c’è elezione particolare senza la sventura del peccato. 1 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 146-148 / pp. 103-104. 2 С. Булгаков / S. Bulgakov, Свет невечерний / La lumière sans déclin , Москва 1917 (Glasgow 1971) / Lausanne 1990, стр. 359-368 / pp. 327-337. 3 С. Булгаков / S. Bulgakov, Свет невечерний / La lumière sans déclin, Москва 1917 (Glasgow 1971) / Lausanne 1990, стр. 368 / p. 336. 4 С. Булгаков / S. Bulgakov, Свет невечерний / La lumière sans déclin, Москва 1917 (Glasgow 1971) / Lausanne 1990, стр. 405 / p. 369. 5 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Essai de métaphysique eschatologique , Paris 1946, pp. 245-246. 6 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 85-86 / pp. 71-72. 7 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 99-101 / p. 85. 8 St. Bruce, Y2K, The Apocalypse, and Evangelical Christianity: The Role of Eschatological Belief in Church Responses , in «Internet» 2001, http://www.findarticles.com/cf_0/m0SOR/2_62/76759009/print.jhtml: «DISCUSSION: THREE STRATEGIC RESPONSES TO Y2K. Familiar biblical narratives represent the three responses taken by different Protestant Christian churches. The first narrative, the Good Samaritan story, tells of a Samaritan saving and tending to a stranger (Luke 10:29-37). The Good Samaritan represents churches whose collective action was influenced by an a millennial ideation that focused on redeeming the human race in this world. The second narrative is the story of Joseph, the dream-interpreter who became a counselor to Pharaoh during a severe famine (Genesis 40-47). Joseph represented churches influenced by a premillennial eschatology. They interpreted prophecies literally, looked for divine intervention as an agent of eschatological events, and worked to bring hope to the elect by preparing one's household and community for potential disaster. The third narrative is the story of Noah, the ark builder who, with his family and as assortment of animals, escaped death in the midst of Flood (Genesis 6-8). Noah represents Christians influenced by a premillennial eschatology that anticipated the Y2K crisis to be God's judgment on the earth for its various sins -- one of which was being overly dependent on, and idolatrous of, technology. If Y2K did not usher in the apocalyptic end predicted in scripture, then at least it would end life as we knew it, and only those who were prepared would survive». 9 J. M. Robinson - J. B. Cobb, New Frontiers in Theology, London 1967, pp. 244-245: «Today there is widespread consent to the view that the specific consciousness of universal history has its origin in the Jewish and Christian theology of history. Thus Mommsen affi rms that the intention of universal history in a Thucydides or a Herodotus lay in the "presentation of concrete events as exemplary," and not in the comprehension and interpretation of the whole of "the historical process in its spatial and temporal totality." It was Christ ianity that first offered "the interpretation of world-history as a dynamic process that was unique and unrepeatable." 1 This observation should be supplemented by reference to the Israelite roots of this understanding of the world as a unique and unrepeatable process». (1) Universalgeschichte, Fischer-Lexicon No. 24, p. 324. - Cf. in this connection especially K. Löwith, Meaning in History (Chicago: University of Chicago, 1949), above all his remarks on pp. 18 f. and 6 ff. with regard to Greek historiography (published later in German as Weltgeschichte' und Heilsgeschehen [Stuttgart: W. Kohlhammer Verlag, 1953], cf. pp. 25 f. and 14 ff.)) 232 S. LA SALVAGUARDIA DELLA STORIA ‘SANTA’ E ‘SACRA’ DI FRONTE AL PLURALISMO La storia, nella sua componente di ‘salvezza’ o di ‘storia ecclesiale’ del nuovo popolo eletto in cammino non potrà non confrontarsi con l’approccio pluralista delle diverse ‘elezioni’ da prendere comparativamente in considerazione. Il taglio più ecclesiologico di questo orientamento coinvolge la visuale di buon numero degli ‘ecclesiologi’ della tradizione romana. La ‘storia sacra’ rovescia in qualche modo la chiave apocalittica verso una prospettiva di conferma definitiva della scommessa ‘santa’ e ‘sacra’. La re-articolazione teologica di affermazioni religiose nuove riprospetta poi questa chiave. I richiami sulla storia susciteranno dei ripiegamenti nella salvaguardia teologica col ricupero sacro della storia incentrata sul proprio percorso: J. Danielou (letterariamente vicino a Péguy tra Bernanos [o L. Bloy] e Claudel), dalla sua amicizia con p. Monchanin, legato a Madre Maria dell’Assunzione (parallelamente a von Balthasar con A. Speyr), poggia in parte su O. Cullmann e si distanzia da Barth, H. Kraemer o anche da Teilhard de Chardin; egli riabilita l’esegesi cattolica scientifica ma si ripiega sulla ‘histoire sainte’, senza equiparazione per le varie storie religiose (religioni dell umanità opposte alla rivelazione biblico-cristiana, alla Guardini, o sulla base della missione non completata della Chiesa, alla de Lubac), dove l’ateismo appare come una specie di paganesimo in attesa di una cultura cristiana 1. Religione e sacralità vengono esaltate in una mistagogia a tutto campo nella storia della salvezza con la tipologia ecclesiale-liturgica: la storia cristiana introduce la novità dell evento prospettandosi come escatologia iniziata (né conseguente alla Schweitzer, né realizzata alla Dodd, né anticipata alla Cullmann, tra escatologismo della discontinuità in Bouyer ed incarnazionalismo della continuità in Thils) 2. T. J. Daniélou, Le Mystère du Salut des Nations, Paris 1946; idem, Essai sur le Mystère de l'Histoire, Paris 1953; J. Daniélou, Les saints Païens de l'Ancien Testament, Paris 1956; J. Daniélou, Dieu et nous, Paris 1956; J. Daniélou, Mythes païens. Mystère chrétien, Paris 1966; J. Daniélou, Christianisme et religions non chrétiennes , in AA. VV., Théologie d’aujourd hui et de demain, Paris 1967; S. Siauve, Avant-propos, in «Axes», 1974-1975 nº 1-2, pp. 27-32; J. D’Ussel, L’Esprit de Dieu m’a consacré , ibidem, p. 33; M. Sales, La théologie des religions nonchrétiennes du P. Jean Daniélou, ibidem, pp. 38-39; X. Tilliette, Le serviteur de la culture, ibidem, pp. 89-103; B. Petit, Professeur et doyen de l Institut Catholique, ibidem, pp. 148-150;J. De Proyart, Qu’ils soient un comme nous sommes un , ibidem, pp. 155-157; R. Aubert, La teologia cattolica durante la prima metà del XX secolo , in R. Vander Gucht - H. Vorgrimler, Bilancio della teologia del XX secolo , vol. 2, Le grandi correnti teologiche, Roma 1972, pp. 20, 44. 2 J. Daniélou, Sacramentum futuri, études sur les origines de la typologie biblique , Paris 1950; J. Daniélou, Bible et liturgie, Paris 1951; J. Daniélou, Philon d Alexandrie, Paris 1958; J. Daniélou, Origène, Paris 1948; J. Daniélou, Platonisme et théologie mystique , Paris 1954; M. Sales, La théologie des religions non-chrétiennes du P. Jean Daniélou, in «Axes», 1974-1975 nº 1-2, pp. 38-39; L. Gardet, Jean Daniélou et le dialogue des cultures, ibidem, pp. 57-61; Y. Raguin, Le père Daniélou et l’esprit du cercle Saint Jean Baptiste , ibidem, pp. 62-68; E. Duperray, Le souci de la mission dans l oeuvre de Jean Daniélou , ibidem, pp. 69-75; I. H. Dalmais, Le père Daniélou, catéchète et mystagogue, ibidem, pp. 76-80; H. I. Marrou, L université et la recherche scientifique, ibidem, pp. 81-87; O. Clément, Rencontres avec J. Daniélou, ibidem, pp. 167-172; M. Flick - Z. Alzeghy, Teologia della storia, in «Gregorianum», 1954 nº 2, p. 289; M. Fédou, La Sagesse et le monde. Essai sur la christologia d Origène , Paris 1994, p. 43. 1 233 LA RE-INVENZIONE APOCALITTICA DI UNA STORIA ED IL PLURALISMO RELIGIOSO Nella dinamica del dialogo inter-teologico l’elemento ‘apocalittico’ potrebbe essere trovato nel fiorire –durante il XX secolo- di un gran numero di ‘nuovi movimenti religiosi’ che devono essere, pur essi subentrare nell’esame della panoramica cristiana e religiosa odierna. Ma vi è anche il richiamo incerto riguardo all’avvenire si delineerà, con la riprospezione ‘apocalittica’ (o cioè coloro che vedono la ‘fine’ già compiuta e l’inizio avviato del ‘nuovo’) dei movimenti religiosi e di teologi apocalittici come Rozanov.Come intuito e messaggio religioso o teologico, essi fanno parte del grande travaglio di approfondimento con una caratteristica propria che chiamiamo ‘apocalittica’ nel senso che –per di più- si considera la storia delle altre configurazioni ereditate dal passato come ‘concluse’ e che si pensa di far parte di una sorgente ‘oltre’ a queste istituzioni ormai superate. La ‘storia’ ricomincia ‘ex novo’ in queste ‘rivelazioni’ o ‘iniziative’ in rottura di discontinuità, con tinte di messianismo talvolta accese. L'apocalittica potrebbe rappresentare il sostrato religioso più arcaico dell'umanità. L'apocalisse sarebbe -invece- vivere l'ultimo nell'oggi… Ci potremmo chiedere se non sia proprio lo sbocco dell'intuito apocalittico su una "storia sacra" o "storia religiosa" che l'escatologia ci aiuta a superare. Se poi confrontiamo le priorità accennate all'attenzione particolare dedicata dalla 'teologia del XX secolo' alla storia (tra 'inizio' e 'fine', la 'teologia della storia'), appare ancora più sintomatico il legame tra l'impostazione storica e le scommesse dell'escatologia recente. Tra questo sforzo di superamento ed il ritorno di alcune simboliche più arcaiche, appare assai chiara la fonte di alcune affermazioni odierne sulla centralità della 'religione' come vena interpretativa della storia umana 1. Partiamo -dunque- dalla intima connessione riscontrabile nel modo di evocare "la fine ed oltre" da parte di autori sufficientemente recenti. Ma, appena detto questo, vediamo che l'epopea apocalittica include quasi inevitabilmente anche il riferimento all'«Anticristo». Dovremo, nella misura in cui l'intuito sull'«Anticristo» appare indissociabile da quello apocalittico, tentare di non evacuare questo ulteriore filone dalla nostra indagine. U. 1 D. Groh, La Russia e l'autocoscienza dell'Europa, Torino 1980, p. 278: «In uno scritto pubblicato nel 1854 Lasaulx afferma con sicurezza che «noi, uomini del XIX seco]o, ci troviamo alla vigilia di una catastrofe della vita europea simile a quella che avvenne nel IV secolo» 1. Dal suo principio di filosofia della storia che «ogni storia è, in ultima istanza, storia della religione» morte di popoli e civiltà 3 2 e che «la religione» è la «vita» che sopravvive alla analizzeremo più avanti nei particolari questa concezione della storia - egli fa derivare la profezia che se verrà in Europa l'ora fatale dell'ultima grande lotta dei popoli... la vittoria finale si avrà da parte di coloro che crederanno con piú forza per Lasaulx il sintomo più grave della catastrofe che impende sull'Europa è l'indebolimento delle idee cristiane 5 4. E dato che è lecito chiedersi qual è il protagonista della «grande lotta dei popoli» che possa credere nella fede cristiana con forza piú grande di quella dell'Occidente - di quell'Occidente che Lasaulx, in un discorso al parlamento di Francoforte, presenta come una zona nella quale l'idea della libertà individuale ha dissolto «l'ordine della vita medievale», e dove lo scetticismo è prossimo a diffondersi «nel contado e nelle città», suscitando così il pericolo che «sotto la spinta del bisogno... si alleino empietà e miseria», scalzando ed abbattendo dalle radici la «vita» 6». (1 Id., Der Untergang des Hellenismus und die Erziehung seiner Tempelgüter durch die christlichen Kaiser [Il tramonto dell'ellenismo e la confisca del suo patrimonio religioso da parte degli imperatori cristiani], in Ausgewählte Werke, cit., p. 136. / Id., Über das Studium, cit., p. 73. / 4 Id., Der Untergang cit., p. 201. / 5 2 Id., Sühneopfer, cit., p. XVII. / 3 Id., Über den Entwicklungsgang des griechischen und römischen und den genwärtigen Zustand des deutschen Lebens, in Ausgewählte Werke cit., pp. 130 sg. (anche Studien cit., pp. 536 sg.). / stenografico (Wigard), II, pp. 1779 sgg.) 234 6 Resoconto LA TEOLOGIA PLURALISTA E LA LIBERAZIONE L’apertura della teologia della liberazione alla tematica inter-religiosa si manifesta verso la fine del secolo XX con la consapevolezza che solo nell’incontro delle religioni potrà essere considerata autenticamente la valorizzazione dei più poveri ed emarginati 1. Si passa dunque decisamente dal sospetto per il religioso (che si poteva mettere in conto di una eccessiva dipendenza dalla dipendenza delle posizioni marxiane) all’approccio positivo. Particolarmente acuta è la situazione di disagio delle caste inferiori nell’India, riguardo alle quali la teologia cristiana non aveva una base d’impatto credibile, rimanendo assente dalla dinamica di confronto e di liberazione nelle Indie, fino alla impostazione della teologia della liberazione 2. La teologia della liberazione manterrà il suo difficile compito di riconoscere il valore positivo delle religioni senza rinunziare alla sua critica religiosa, specialmente riguardo alla carica di violenza che possono caricare le religioni dell’umanità 3. La base di partenza condivisa per il dialogo potrebbe essere la comune appartenenza dei poveri ed emarginati alle diverse religioni 4. Tra significato originario e 1 St. Silber, Theology of Liberation in the Dialogue of Religions. A new development in Latin America (Theologie der Befreiung im Religionsdialog. Eine neue Entwicklung in Lateinamerika, in «Stimmen der Zeit» 130(2005)7, 484-488), in «Internet» 2006, http://latinoamericana.org/tiempoaxial/textos/SilberIngles.htm: «At present, the liberation of the poor is no longer conceivable without the dialogue between the members of all religions. For the religions not only bear a grand responsibility for the emergence of po verty but also harbour a substantial potential for its conquest. Out of this insight, in the theology of liberation since a few years a new voice is arising that is calling for an argument with the theology of religions, especially with its pluralistic orientation. Even if this development is tangible only for the last five years actually, its roots can be followed up to the beginning of the theology of liberation. Although this theology has always maintained a strong scepticism, nourished by Barth's and Marx's criticism of religions, against religious manifestations and their alienating effects especially on the poor, at the same time its option for the poor caused from the beginning a huge attention and a growing favour for the religious experiences of the poor. Especially in the basic communities and in similar new ecclesial creations soon arose a new selfconfidence which did not only tolerate indigenous, Afro-American and syncretistic forms of religiosity but took them seriously and encouraged them as expressions of the religious self-determination of the poor. The openness of liberation theology towards the matter named by the II Vatican Council 'cooperation with all people of good will' (cf. GS 52), which has been in force from the begi nning, made the dialogue with the atheists in the same way a matter of course as the dialogue and the cooperation with people of good will who belonged to other religions. Since the years of 1990 this openness is named 'macro-ecumenicity' {1} - an ecumenicity that goes beyond the cooperation of Christian churches». ({1} J.M. Vigil, Macroecumenismo: teología de las religiones latinoamericana, in: «Alternativas» 11 (2004) 27, 109-126, Managua.) 2 3 F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology , Trichy 1993, pp. 71-96. St. Silber, Theology of Liberation in the Dialogue of Religions. A new development in Latin America (Theologie der Befreiung im Religionsdialog. Eine neue Entwicklung in Lateinamerika, in «Stimmen der Zeit» 130(2005)7,484-488), in «Internet» 2006, http://latinoamericana.org/tiempoaxial/textos/SilberIngles.htm: «While unrestrictedly acknowledging the religions as part of God's plan of salvation, the theology of liberation does not forget its traditional critique of religion, especially not, where the responsibility of religions for violence, for the rise of poverty, and the prevention of liberation must be discussed. The classical inner church critique of ecclesial structures and theological pretexts, which become a burden for the poor, is widening to a quasi "inner religious" critique. Notwithstanding the benevolence towards the Non-Christian religions and their fundamental acknowledgment that is not devaluated by this critique, liberation theology cannot accept any interreligious dialogue on the back of the poor. On the contrary, the religions are measured with the same measure by which the theology of liberation is measuring also the Christian religion and the Western World: human dignity, justice, and liberation. This might be considered the most important contribution of theology of liberation in its dialogue with the pluralistic theology of religion. For those authors the interreligious dialogue is not a value in itself but it serves justice and liberation. Critique of religion in the name of the poor is an integral part of the interreligious dialogue. This is not a fundamental criticism of every religious expression but a critique directed at special religious conditions, doctrines, and institutions which create injustice and hinder liberation. The fundamental acknowledgment of all religions remains untouched. On the contrary, the religions are called up as guarantees of human dignity and solidarity. In view of the necessary critique of religion the theology of liberation does not set on the conquest of religion but on its conversion to the poor. This conversion is not understood as a conversion of everybody to Christianity or to the Christian idea of God. On the contrary, the religions are expected to be faithful to their own tradition, and renounce all fundamentalist tendencies. The option for the poor, that has stood the test already by the Inner-Christian criticism of religion, may serve as criterion to identify unjust religious structures, and to denounce them. This option is at the core of the contribution of Christians to the interreligious dialogue». 4 P. F. Knitter, Toward a Liberation Theology of Religions , in John Hick Paul F. Knitter, The Myth of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic 235 comprensione attuale, si intrecciano i termini di salvezza redentiva con liberazione, talvolta in senso secolare con il concetto di vittoria 1. La salvezza da implica comunque un significato dell’essere liberati da una insicurezza immediata o da ciò che impedisce una più piena realizzazione umana 2. La libertà umana, nell’intento di attuare le sue piene potenzialità, rinvia a una libertà assoluta 3. La salvezza sarebbe liberazione della nostra libertà umana, liberazione dall alienazione nel ripiegamento su se stessa 4. Nasce una storia della salvezza per la quale una minoranza di gente viene scelta in vista del riscatto della totalità dell’umanità 5. La salvezza definita in termini storici nel suo riferimento biblico- diventerà una chiave storico-politica Theology of Religions, Maryknoll, New York, seventh Printing February 1998, p. 178-218, etiam in «Internet» 6. 2006, http://servicioskoinonia.org/relat/255e.htm: «If there is no pre-established common ground or common essence that we can invoke before dialogue, perhaps there is a common approach or a common context with which we can begin dialogue in order to create our shared shaky ground. For liberation theologians this common context would be the preferential option for the poor and the nonperson-that is, the option to work with and for the victims of this world. As Harvey Cox puts it with typical clarity: For liberation theology, the basis for the interreligious dialogue is the struggle of the poor. [1] The reason why the preferential option for the poor provides such a basis has to do with the epistemological claims of liberation theology-that is, with the hermeneutical privilege of the poor. Latin American liberation theology, black theology, and feminist theology all claim that the experience of the oppressed is a privileged hermeneutical ground, that identification with the oppressed is the first act in understanding either the Bible or our world today. [2] And we might add: it is th e first act of religious believers toward understanding each other. The liberationists are telling us that without a commitment to and with the oppressed, our knowledge is deficient-our knowledge of self, others, the Ultimate. This is not to imply that we can know the truth only in such a commitment but, rather, that without this option for the poor, the truth that we may know is, at best, incomplete, deficient, dangerous». ([1]Cox, Religion in the Secular City, p. 230. / [2]Lee Cormie, The Hermeneutical Privilege of the Oppressed, Catholic Theological Society of America Proceedings, 33 (1978) 78.) 1 J. Riverain, Ces mots souvent obscurs, in «Foi et langage», 1977 n° 2, p. 162 : «La troisième racine, KPR (verbe KIPPER = condonare peccata, expiare culpam, placere, d'après Mandelkern, c'est-à-dire pardonner les péchés, purifier ou réparer une faute, rendre favorable), introduit donc l'idée de pardon, d'expiation, et de propitiation (= ce qui rend Dieu propice - placere) C'est donc un autre registre que les deux précédentes racines, mais qui va se trouver intimement 1ié, dans la Révélation du Nouveau Testament»; p. 161 : «On a pris ces derniers temps l'habitude de traduire dans l’Ecriture et la Prédication «Racheter, Rédemption» par «Libérer, Libération». Qu'en est-il pour la fidélité à la Révélation de Dieu comme pour l'efficacité de l'adaptation aux esprits de nos contemporains? Le mystère de Salut (autre mot plus général encore de 1'oeuvre de Dieu à notre égard, que l’on traduit souvent par le trop profane «Victoire» comporte en effet plusieurs aspects complémentaires, désignés en hébreu par tout un complexe de racines, parmi lesquelles nous intéressent plus directement ici: G'L, PDH et, accessoirement, KPR». WORLD METHODIST COUNCIL - ROMAN CATHOLIC CHURCH INTERNATIONAL COMMISSION, Report of the Joint Commission between the Roman Catholic Church and the World Methodist Council, Progress on a Long Journey, in «Origins», 1977 n° 35, p. 552: «13. If "salvation 2 from" in its more starkly eschatological form has faded in contemporary consciousness, the conditions of contemporary life in which every sort of insecurity looms have thrust it forward again in other forms, just as acutely felt. Today we can distinguish concern for salvation: (a) On the elemental level, where fully one-third of human beings live, salvation means deliverance from the day-to-day threat of failure of the means of survival. (b) On a higher level, salvation means deliverance from the wretchedness of mere subsistence and entry into a fuller human life - work for the unemployed, learning for the illiterate, dignity and power for the despised and downtrodden». 3 W. Kasper, Theologie und Kirche (La théologie et l‘Eglise), Mainz 1987 / Paris 1990, p. 22; W. Kasper, Einführung in den Glauben (Introduzione alla fede), Mainz 1972 / Brescia 1994, p. 138. 4 5 W. Kasper, Einführung in den Glauben (Introduzione alla fede), Mainz 1972 / Brescia 1994, p. 136. O. Cullmann, Heil als Geschichte, Tübingen 1965, S. 142: «Erwählung ist von Gott her die Folge der Sünde der Menschen. Ohne die menschliche Sünde wäre alle Heilsgeschichte unbegreiflich. Wegen der Sunde der Gesamtheit kommt es zur Erwählung einer Minderheit mit dem Ziel der Errettung der Gesamtheit. Sünde stellt aber nicht nur am Anfang des göttlichen Heilsplans, sondern wirkt fortwährend der Heilsgeschichte entgegen. Audi deshalb ist alle Heilsgeschichte zugleich durch die Konstante dieses Plans und die geschichtliche Kontingenz bedingt. Gott bedient sich im Neuen Testament auch der Sunde und des Unglaubens, um seinen Heilsplan auszuführen, um das universale Ziel zu verwirklichen: die ganze Geschichte in die Heilsgeschichte eingehen zu lassen das Gesetz um der Übertretungen willen: Gal. 3,19; Röm. 5.20)». 6 J. Salguero, Salvezza Liberazione. Studio biblico di questi temi , (intervento all’incontro tra il Patriarcato di Mosca e la Chiesa cattolica, Trento 23-28 giugno 1975), pro manuscripto, Roma 1975, p. 3: «Nell'AT esiste una categoria chiave per rivelare il significato della salvezza: l’esperienza storica dell’esodo. Nell’evento dell'Esodo esiste una profonda unità tra il piano religioso e quello storico-politico. Il primo rappresenta l’aspetto più profondo di tutte le liberazioni umane, per cui l'Esodo diventa il paradigma di tutta l esperienza religiosa giudaica e cristiana. Quando la rivelazione divina è messa in relazione con la storia, la salvezza è definita in termini politici. Infatti, nell’AT la salvezza si fonda sulla storia e si identifica con la giustizia di Dio nel liberare gli oppressi dalla schiavitù politica». 236 Appare pertanto poco convincente, in questa ottica, chi volesse allo stesso tempo legare la salvezza alla storia ed negarne l’incidenza politica (nella stessa polemica romana sulla liberazione). La storia diventerà persino chiave unica per interpretare la salvezza 1. Chi non ha storia o non entra nello storio-centrismo si trova estromesso da questa prospettiva: così ne è si dirà da parte di certi pensatori- di tutto l’oriente nell’esperienza dell’umanità 2. Eppure, la meditazione cristiana orientale ha saputo valutare questo storio-monismo (tutto articolato intorno alla storia). V. LA TEOLOGIA NEO-CULTURALE ED IL PLURALISMO IN TEOLOGIA Con P. Tillich, nella ‘neo-culturalità teologica’, l’«essere con» antinomico dà il taglio inderogabile della visuale di Saggezza 3. Nella impostazione sofianica, il Logos prende tutta la sua statura di Verbo (Parola) ormai riprospettato nelle problematiche più attuali. Con questa corrente avremo un contributo –pur esso- fondamentale per la metodologia pluralista e cioè di spartire l’intento religioso e ciò che vi possa essere di pseudo-religioso nelle culture. Vari autori insisteranno su questa radice nella religione e nelle religioni di voler offrire una visuale più complessiva e più totale attraverso l'esperienza religiosa stessa, cioè della vita stessa 4. Così si distingueranno le religioni nella loro sostanzialità e consistenza positiva da quello che si potrebbe chiamare le "pseudo-religioni". Si insisterà sul fatto che nell'esperienza religiosa si potrà prospettare dei legami tra tutti i dati, elementi e dimensioni particolari della vita per arrivare ad 1 B. Mondin, Kasper, in idem (ed.), Dizionario dei teologi , Bologna 1992, p. 332. 2 D. Groh, La Russia e l'autocoscienza d'Europa, Torino 1980, p. 310: «La verità che non viene realizzata è una cattiva verità, questo è il motivo ricorrente dello hegelismo di Hess (Prefazione [p. 77]). Storia, egli incomincia, è storia dell'Europa romano-germanica. Solo l'Occidente ha una storia, l'Oriente non ce l'ha . Per Hess questa storia d'Europa è la storia sacra dell'umanità , ed è divisa in tre epoche: storia universale ebraico-profetica, romano-germanica-mistica, e speculativa. Quest'ultima è la filosofìa hegeliana rivolta al passato, integrata con la dimensione del futuro. Essa diventa così filosofia della storia, ossia, secondo Hess, una filosofia che deduce il futuro dal passato e dal presente. Ma dato che il futuro può esser fatto proprio solo mediante l'azione, ecco che la filosofia della storia diventa filosofia dell'azione (pp. 17 sg., 31 [85, 92]). Questa è la formulazione hessiana del passaggio dalla teoria alla prassi. È interessante che sia nella Heilige Geschichte che in Cieszkowski si trovi ripresa anche la tripartizione della storia secondo lo schema di Padre, Figlio e Spirito Santo». 3 P. Tillich, Systematic Theology, London 1968, vol. III, p. 272: «Wisdom can be distinguished from objectifying knowledge (sapientia from scientia) by its ability to manifest itself beyond the cleavage of subject and object. The biblical imagery describing Wisdom and Logos as being "with" God an “with" men makes this point quite obvious. Theonomous knowledge is Spirit-determined Wisdom. But as the Spiritdetermined language of theonomy does not dispense with the language which is determined by the cleavage between subject and object, so Spirit determined cognition does not contradict the knowledge which is gained within the subject-object structure of encountering reality»; W. Kasper, Jesus der Christus, Mainz 1975, S. 224: «Wenn Jesus Christus die persongewordene Weisheit und die Zusammenfassung und das Ziel aller Wirklichkeit ist, dann empfängt die Wirklichkeit als ganze wie jedes einzelne Wirkliche von ibm her und auf ihn hin seinen endgültigen Platz und seinen endgültigen Sinn. Dann muß aber auch, was Mitte, Grund und Ziel der Existenz Jesu ist, seine Sohnschaft, sein Sein für Gott und für die Menschen, in verborgener und doch wirksamer Weise alle Wirklichkeit zuinnerst bestimmen. Eine solche universale Christologie besagt zunächst, daß man Schöpfung und Erlösung, Natur und Gnade, Christentum und Welt nicht dualistisch gegen- oder nebeneinander stellen darf». 4 R. Ruyer, Dieu des religions, Dieu de la science, Paris 1970, p. 54: «La religion, en humanité, est justement le signe que l homme a une vision totale du monde. Sa subjectivité ne peut être jamais vraiment avouée. A juste titre, car malgré la puérilité de ses formes particulière, elle est plus objective, plus vraie, que le «positivisme» vécu de l'animal. Toute religion est, au fond, «universaliste». Aucune ne peut être, soit purement nationale, soit purement sociale, ou civique. Les fêtes nationalistes la «foi germanique» de Ludendorff, comme les f êtes civiques, révolutionnaires ou socialistes, de Robespierre, Staline, ou Mao, ne sont que pseudo-religieuses. Les cléricalismes séculiers sont aussi instables que dangereux». 237 una apertura di totalità: anzi questo sarà proprio la sorgente che permetterà il superamento dell'egoismo verso una più ampia disponibilità umana al non chiudersi nella propria individualità. Chi si è interessato al fenomeno religioso del e nel XX secolo ha notato innanzitutto come la "religione" è infatti una specie di alveare nella quale si ripongono e si contengono tutte le memorie, i miti, le attese, le immagini, i riti e i costumi che raccolgono l'intera vita di un dato gruppo di persone o di comunità in una totalità -più significativa e più ampia 1. Una tale totalità può essere evidentemente assai aperta e disponibile o invece chiusa diventando demoniaca. W. LA CONVERGENZA SAPIENZIALE DELLA PIENEZZA ED IL PLURALISMO L’intento sapienziale si è fatto strada nel XX-XXI secolo, dagli anticipatori come Böhme, Solov’ëv e Rosmini (dal XVII-XIX secolo), aprendo ad un incontro che permette pienamente il dialogo tra le religioni e le culture dell’umanità al di là dei sospetti di sincretismo e di cryptopaganesimo 2. Si avvia un tentativo comparativo non demonizzante per le altre religioni, si potrebbe dire ‘dal di dentro’ delle rivelazioni religiose, partendo dalle religioni arcaiche. Una radice profonda di questo intuito può essere rintracciato nella complementarietà tra religioni ariane ed ebraica: trascendenza di Dio ed immortalità umana intuito queste 'scintille sofianiche' 4. 3. Il cosiddetto 'paganesimo' ha L’apertura inter-religiosa, in questa chiave escatologica, appare centrale nell’intuito sofianico che non è per niente un ‘sincretismo’ vago ed ambiguo 5. 1 H. Cox, The Seduction of the Spirit, New York 1975, p. 14: «Religion is that cluster of memories and myths, hopes and images, rites and customs that pulls together the life of a person or group into a meaningful whole. The cluster need not be very systematic, although theologians spend a lot of time trying to make it so. A religion can be creative or demonic, theistic or non theistic, consciously held or only dimly recognized, static or mercurial, spontaneous or imposed, story or signal. Whichever it is, it lends coherence to life, furnishes a fund of meanings, gives unity to human events and guides people in making decisions. Religion, as its Latin root suggests, is what "binds" things together». Cfr l’accenno di H. Urs von Balthasar che non riprendiamo senza alcuni correttivi, in idem, Explorations in Theology: IV: Spirit and Institution. Part One: At the Source. Chapter Four: The Claim to Catholicity, In the dialogue between Christians, p. 116 (etiam in «Internet» 2 2005, http://www.praiseofglory.com/vonbfilioque.htm): «Moreover, there is an Eastern sophiology that balances in its own way the initially contemplative world-relation of the Christ event. Touching on the roots of this sophiology, one can, however, point out that they are not christological in their center but are rather rooted in antiquity, on the one hand (as in the case, for example, of Dionysius the Areopagite, where a sacral cosmos in the manner of Plotinus and Proclus exists with God but without any history to speak of; it exists as God's elongation, so to speak, his radiating crown streaming outward from him in receding steps and levels of being), or in Protestantism and theosophism, on the other (as in the case of modern Russian sophiology, which is essentially derived from Schelling and Baader and gains its mastery over the profane world from their vantage point)». 3 Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 114-115 / 83-84. 4 С. Булгаков / S. Bulgakov, Утешитель / Le Paraclet, in idem, О Богочеловечестве, Часть II, Таллин 1936 / Paris 1944, стр. 246 / p. 205. 5 O. Clément, Anachroniques, Paris 1990, p. 331: «Désormais les spiritualités asiatiques sont reprises dans une autre perspective, celle de la Personne et de l'Amour qui ne constitue pas la manifestation de l'abîme, mais l'abîme lui-même... L'Hymne au Père fait transition entre le Géniteur cosmique des religions archaïques, dont l'Inde vénère le lingam, et le Père aimant de la Trinité chrétienne, célébré comme «l'inventeur de l'Autre». Le Père s'engendre un Fils «au sein de (sa) Sagesse éternelle»: Pierre Emmanuel trouve dans le mythe de la Sophia, développé surtout par les «sophiologues» russes du début du siècle, la possibilité d'ouvrir la tradition biblique sur l'appro che fénùnine du sacré que l'on trouve dans les spiritualités asiatiques. Car la Sophia, la Sagesse, est l'énergie de Dieu et la transparence du monde, la terre paradisiaque de la sensibilité russe. Par sa médiation, le corps de la femme, centré sur son âme matricielle, devient cathédrale (je pense ici au recueil intitulé significativement Sophia, paru en 1973). Dieu crée la femme «afin d'être conçu lui-même par elle. Et dans son sein prendre mesure de l'homme qu'il y deviendrait». Comment ne pas faire le rapprochement avec cette étonnante suggestion d'un grand mystique byzantin du XIVº siècle, Nicolas Cabasilas: «Dieu a créé le monde pour trouver une mère...» Ainsi s'ébauche, et c'est d'une grande importance 238 Dall’oriente arcaico sorge un intuito su quel mondo divino quando “... il Cielo era già profanato da... immagini sensibili e voluttuose che il faccea discendere alla condizione di questo mondo...” 1. L’oriente arcaico di Zoroastro il persiano o della tradizione caldea, o del Jescht di Mitra, usa il simbolo degli uccelli celesti «…certe potenze della profondità paterna…». Le «lingue degli Dei..., questo simbolo d’uccelli nutriti nel Cielo ci fa uscire dalla natura e ci richiama al divino» 2. “Ormusd è chiamato da Zoroastro il primo degli enti, il che rammenta quello che della eterna Sapienza dicono i sacri libri, ‘primogenita ante omnes creaturas’, ed è invocato come Dio...” 3. “Finalmente Ormusd è «la Parola principio di tutto»” 4. “L’orientale filosofia, scambiando l’annichilamento morale e volontario coll’annichilamento reale... egli non è meno una verità disguisata...” 5. Nella tradizione religiosa greco-frigiadell’Asia minore, Zalmoxis richiama sia ‘zemelè’ da Semele madre di Dionisio sia l’antico slavo zemlja: non tanto ‘Re degli uomini’ 6 ma bensì dall’ambito della Tracia “dio della terra” sorgente di “zamol” che richiamerà alla dimensione sofianica della ‘Terra Madre’ 7. Da questi approcci fino al pensiero attuale di Bulgakov, Berdjaev, Florenskij, la comparatività matura progressivamente. L’indiano Brahmobandav Upadhyaya assumeva da cristiano la ‘Saggezza’ personificata nella divinità indù Saraswati 8. La pienezza del pour l'avenir spirituel de l'humanité, une intégration de la vision émanatiste des Orients et de la conception judéo-chrétienne de la création et de l'incarnation». 1 A. Rosmini, Del divino nella natura, in idem, Opere di Antonio Rosmini , vol. 20, Roma 1991, p. 50. 2 A. Rosmini, Del divino nella natura, in idem, Opere di Antonio Rosmini , vol. 20, Roma 1991, p. 77. 3 A. Rosmini, Del divino nella natura, in idem, Opere di Antonio Rosmini , vol. 20, Roma 1991, p. 148. 4 A. Rosmini, Del divino nella natura, in idem, Opere di Antonio Rosmini , vol. 20, Roma 1991, p. 149. 5 A. Rosmini, Teodicea, in idem, Opere di Antonio Rosmini , vol. 22, Roma 1977, p. 432. 6 M. Eliade, De Zalmoxis à Gengis-Khan, Paris 1970, p. 53: «Mais c’est P. Kretschmer qui, en 1935, a élaboré la démonstration linguistique, en mettant en parallèle Zemelô (des inscriptions funéraires gréco-phrygiennes de l’Asie mineure), le thrace zemelen («terre») et Sémèle («la déesse de la Terre», mère de Dionysos), termes dérivés tous du radical i.-e. *g’hemel. «terre, sol, appartenant à la terre» (cf. aussi avestique zam, «terre», lithuanien, letton zeme, vieux-prussien same, semme, vieux-slave zemila, «terre, pays») (1). Kretschmer interprète la partie finale du nom (Zamol)-xis (que l’on retrouve dans les noms des rois Lipoxais, Arpoxais et Colaxais; Hérodote, LV, 5-6) par le scythe -xais, «seigneur, prince, roi». La signification de «Zalmoxis» serait donc «Roi, Maître des hommes»». ((1) P. KRETSCHMER, «Zum Balkanskythischen» (Glotta, XXIV, 1935, pp. 1-56), pp. 45 sq., cf Russu, op. cit., pp. 88 sq.; id., Limba Traco- Dacilor (2e 6d., Bucuresti, 1967), p. 128 ; voir aizissi Alfons Nehring, Studien zur indogermanischen Kultur und Urheimat (Die Indoge7manelt-u#d Germanenfrage = Wiener Beiträge zur Kulturgeechichie und Linguistik, IV, Salzburg-Leipzig, 1936, pp. 7-229), pp. 214 sq.; F. R. SCHROEDER, Sinfjotli (Hommage à Georges Dumézil, Bruxelles, 1960, pp. 192-200), pp. 195 sq. (Zalmoxis serait le nom thrace du dieu qui est arrivé en Grèce sous le nom de Dionysos).) 7 M. Eliade, De Zalmoxis à Gengis-Khan, Paris 1970, pp. 52-53: «Mais la juxtaposition scythique à un vocable thrace est peu admissible. En outre, on a remarqué à. juste titre que Zalmoxis ne peut pas avoir dans la partie finale un élément radical x(-a)is mais un simple suffixe dérivatif z-(x), «dont la valeur ou la nuance ne peut pas être précisée» (1).. En rejetant l’interprétation de Kretschmer - «Roi, Maître des hommes» - Russu refuse également l’hypothèse de Rohde, adoptée entre autres par Clemen (2), que Zalmoxis était originellement le Seigneur des morts. Pour le savant thracologue, la valeur sémantique du thème zamol- est la «terre»,, et «la puissance de la terre», et Zalmoxis ne peut être autre chose que le «dieu de la terre», personnification de la source de vie et du sein maternel dans lequel retournent les hommes (3)». ((1) Russu, «Religia Geto-Dacilor»,,p. 92. Cf. aussi D. DETSCHEW, Die Thrakischen Sprachreste (Wien, 1957), s. v. Zalmoxis. Sur la langue des Thraces, voir, en dehors des livres déjà cités de Dečev et Russu, D. DEČEV, Charakteristik der thrakischen Sprache (Sophia, 1952 texte allemand, pp. 63-119), V. PISANI, Libri recenti sulla lingua dei Traci (Paideja, XVI, 1961, pp. 238-258; cf. la réponse de I. I. Russu, Limba Traco-Dacilor, 2e edition, pp. 223-230) et les analyses critiques de E. LOZO VAN, Onomastique roumaine et balkanique (Revue Internationale d’Onomastique, XVII, 1965, pp. 225-236), spec. pp. 230 sq. / (2) CLEMEN, «Zalmoxis», p. 58. / (3) Russu, «Religia», p. 93. 8 F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology, Trichy 1993, p. 30: «Saraswati Puja. The strictures and sanctions from above did not deter Upadhyaya from his path. He started another publication called Sandhya to pursue his Hindu Christian ideal. His views and practices became more and more provocative. The case of Saraswati Puja is an example. 1 Every Indian knows from his experience what the goddess Saraswati means to the Hindus. She is the goddess of Wisdom and learning invoked by teachers, students and all seekers of truth. Wisdom, for a Hindu, cannot be dissociated from Saraswati. In a school Upadhyaya conducted, he allowed the Hindu students to participate in Saraswati puja a ritual and festival of the goddess. He saw no objection in Hindu boys venerating God under the aspect of Wisdom as the goddess Saraswati. But this incident dragged Upadhyaya into a controversy. He was accused of supporting pagan customs 239 ‘Tutto’ sofianico abbozza l’immagine di Dio che include armoniosamente le componenti della mascolinità e della femminilità; implica un’armonizzazione equilibrata di due elementi: lo yin e lo yang, l’animus e l’anima 1. “Udiamo l’interpretazione che né dà un antico scrittore cinese, Lo-pi. Dice che il gran termine è la grand’’unità’, e grand’Y... “La grand’unità comprende tre, e che uno è tre, e tre sono uno”...” 2. Anche il riesame della Gnosi avrà la sua ripercussione. La focalizzazione forse più rilevante sulla chiave ‘gnostica’ è quella di una visione o spiritualità di conflittualità, peraltro presente nell’oriente antico prima dell’apparizione della rivelazione religiosa cristiana 3. Da questa chiave interpretativa si capisce la fondamentale dicotomia tra l’intento gnostico antico e l’originalità cristiana dell’oriente originario con la sua priorità di ‘non conflittualità’ tra Dio e l’umanità nella cristologia della filiazione divina, dell’Incarnazione, della mediazione e della penetrazione divina, come sorgente dell’approfondimento teologico nel dialogo iniziale con le religioni ambientali attorno alla nascita della Chiesa e della tradizione cristiana orientale 4. Emblematico sarà il ritorno della soteriologia occidentale cristiana, sopra tutto del II millennio, ad una prospettiva di conflittualità tra Dio ed il mondo – con la frattura iniziale del ‘peccato originale’ che Cristo deve arginare con la sacrificalità martoriante nel vittimismo di espiazione. Nella Gnosi si può superare l’intera schiera delle divinità minori o “Eoni” per arrivare alla conoscenza segreta e piena 5. I Gnostici aggiunsero che il Padre di Cristo non è il Dio israelitico del Vecchio Testamento, and rituals. Similarly the two lectures of Upadhyaya on Kxishna, delivered in 1904 perturbed the minds of those who saw in H induism only darkness and perversity». ((1) Hans Staffner, 7he Significance ofjesus arise in Asia, Gujarat Sahitya Prakash, Anand 1985, p. 107.) 1 G. Lo Russo, Dio cristiano e Dio New Age, in «Ordo equestris sancti sepulcri hierosolymitan: New Age e Cristianesirno», Complesso Monumentale di Santa Giuliana (24. aprile. 1999), p. 61. 2 3 A. Rosmini, Del divino nella natura, in idem, Opere di Antonio Rosmini , vol. 20, Roma 1991, p. 137. St. Marega, L’attesa dell’apocalisse: dall’antico gnosticismo alla moderna rivoluzione , in «Internet» 2009, «Metabasis. Filosofia e comunicazione», rivista di filosofia on-line WWW.METABASIS.IT, marzo 2006, anno I, n°1, http://www.metabasis.it/1/conflitto/ ricercaMarega.pdf (p. 1): «“Chi vuol nascere deve distruggere un mondo” 1 - 1. Il “conflitto” come elemento del pensiero gnostico. All’interno di una panoramica generale sul conflitto nelle sue varie modalità di manifestazione e di espressione, può essere utile affrontare una breve digressione sul tema dell’antico gnosticismo, e, in un secondo momento, accennare ad alcuni temi della dottrina gnostica che sono stati poi ripresi in diversa forma in epoca moderna, in particolare all’interno di quello che è stato definito da alcuni autori “gnosticismo politico”. A lungo giudicato un fenomeno interno al cristianesimo, lo gnosticismo antico fu in realtà un movimento soggetto all’influsso di religioni e correnti spirituali diverse, diffusosi prima del cristianesimo e accanto ad esso, ed entrato solo in un secondo momento a contatto con elementi della cultura e della religione cristiana. Concezioni iraniche, babilonesi, egizie e veterotestamentarie, nonché un contributo da parte del giudaismo allora in via di formazione, in armonia con le idee della filosofia greca, si composero in un unico quadro dando origine alla dottrina gnostica 2». ((1) Hesse H., Demian, Mondadori, Milano 1979, pag. 130. / (2) “Poiché lo gnosticismo è un prodotto del sincretismo” tutte le teorie sulle sue origini possono certo “trovare conferme nelle fonti, ma nessuna di esse è di per sé sola soddisfacente; d’altra parte non lo è nemmeno la combinazione di tutte queste, che farebbe dello gnosticismo un semplice mosaico di questi elementi privandolo di un’essenza autonoma (…). Il movimento stesso trascende i confini etnici e denominazionali”; Jonas H., Lo gnosticismo, a cura di R. Farina, SEI, Torino 1991, pagg. 53-54. Proprio per questa ampia varietà di fonti e di manifestazioni, è molto difficile stabilire i limiti entro i quali il termine “gnosticismo” deve essere impiegato. Lo stesso Jonas afferma: “L’estensione dell’area gnostica può essere allargata o ristretta a seconda del criterio impiegato”; ibidem, pag. 52. Sul sincretismo come principio esplicatore è invece molto critico J. P. Couliano, che sottolinea l’unità e l’indissolubilità dei miti gnostici, propri dello gnosticismo e di nessun altro sistema; cfr.: Couliano I. P., I miti dei dualismi occidentali. Dai sistemi gnostici al mondo moderno, Jaka Book, Milano 1989.) 4 Vedere la nostra introduzione alla teologia orientale Cristiana oggi, la parte sulla cristologia: http://www.webalice.it/joos.a/ EASTERN_THEOLOGY_-_AN_INTRODUCTION_-_INTRODUZIONE_ALLA_TEOLOGIA_ORIENTALE.html, ed in particolare http://www.webalice.it/ joos.a/OCICP3SA.pdf, http://www.webalice.it/joos.a/OCICP3SB.pdf, http://www.webalice.it/joos.a/OCICP3SC.pdf. M. S. Mikhail, The Gnostics, A Survey of Gnostic Beliefs and Gnostic-Christian Ties, cfr in: The Secret Knowledge. Enmity Between Flesh and Spirit, in «Internet» 2006, http://www.mystae.com/restricted/ streams/gnosis/ simon.html: «Simply put, the Gnostics/Platonists believed 5 that there was 'The Good' from which a variety of emanations (Aeons) were given off. They, the Aeons, in turn are in a sequential order, which is determined by the Aeons' knowledge; the more they know the higher up and thus closer to 'the Good' they are. Each of these entities is aware of those under him, but is unaware of anything above him. They serve as the intermediaries which we have to bypass on our 240 ma il Dio Supremo. Tutti gli ispiratori di religioni o di correnti spirituali si nutrono di questa sorgente unica 1. L'intermedio è la sfera del Sofia (uno degli Eoni, una vergine che diede nascita al Demiurgo (Creatore-Dio). Il ruolo soteriologico di Cristo era soltanto di rivelare i segreti circa Dio, l’uomo ed il mondo. Si realizza la salvezza attraverso l'acquisizione di conoscenza segrete date da Gesù. Uno dei frutti più notevoli della meditazione sofianica è la rivalutazione inter-religiosa, ovvero un modo positivo di considerare l’esistenza delle religioni in seno all’umanità. Il cammino ecumenico ufficiale solo di recente sembra entrare in questa visuale più costruttiva riguardo alle religioni dell’umanità 2. Diversi autori riprendono il tema della Sekhina-Sakkina tra Ebraismo, Islam, e fede cristiana, come D. Cerbelaud, H. Corbin, A. de Souzenelle (cfr supra la Saggezza nelle Religioni dell’umanità) 3. Si prospetta un’altra impostazione nei rapporti inter-religiosi, ma non nel senso della abolizione della religione in quanto tale, senza dare ogni spazio alla questione prioritaria dell'"ateismo": "E posciaché la religiosa dottrina è parte principalissima, compimento, sanzione della morale e oggetto supremo della coscienza, perciò i riformatori giudicano necessario abolire ogni tolleranza religiosa" 4. La sapienza divina prospetta un’altra via: “... i secreti della sua sapienza, e la sua legge è detta molteplice, come quella che abbraccia journey to 'The Good'. As for us humans, we are actually the sons of The Good and have been separated from him, and are given these bodies almost as a punishment, for in essence we are spirits. In order for us to once again be reunited with The Good, we must gain the secret Gnosis, which will allow us to bypass all the Aeons and also to bypass the most ignorant of which, who is the Demiurge who created this material world and enfleshed us. The Gnostics believed that this secret knowledge was transmitted by savior figures, who included Seth, Enoch, and Jesus». 1 A. Daraul, Secret Societies , cfr in: The Secret Knowledge. Enmity Between Flesh and Spirit, in «Internet» 2006, http://www.mystae.com/ restricted/ streams/gnosis/ simon.html: «The main teaching states that there is a supreme being or power which is invisible and has no perceptible form. This power is the one which can be contacted by mankind, and it is through it that man can control himself and work out his destiny. The various religious teachers through the ages, putting their creeds in many different ways, were in contact with this power, and their religions all contain a more or less hidden kernel of initiation. This is the secret which the Knowers can communicate to the disciples. But the secret can be acquired only through exercising the mind and body, until the terrestrial man is so refined as to be able to become a vehicle for the use of this power. Eventually the initiate becomes identified with the power, and in the end he attains his true destiny as a purified personality, infinitely superior to the rest of unenlightened mankind». Cfr la piattaforma più disponibile che si è fatta strada all’incontro delle Chiese d’Europa a Graz, nel 1997: L. Grzybowski, Le rassemblement oecuménique européen. L’état de Graz, in «L’actualité religieuse», 1997 n° 157, pp. 4-5. 3 A. Arjakovsky, The Sophiology of Fr. Bulgakov and Contemporary Western Theology , in «Nicene Truth», in «Internet» 2009, 2 http://www.nicenetruth.com/home/2009/01/the-sophiology-of-fr-sergius-bulgakov-and-contemporary-western-theolog.html: «Father Dominique Cerbelaud, in his book, Ecouter Israel, une théologie chrétienne en dialogue, studies closely the evolution of the representation of the figure of the Wisdom of God in Judaism and in Christianity (1). Like Henri Corbin, former president of the association of the friends of Berdiaev, he concludes that sophiology constitutes a source of rapprochement with the mysticism of Islam, with Jewish spiritu ality and even with Asian traditions. In the Qu’ran it is said that Allah taught or gave Wisdom to Jesus. For the Jews, the Torah is nothing else but the Wisdom of God. Finally, if one follows St Paul in the letter to the Ephesians, for whom Wisdom is polypoikilos, that is, quite diverse, a dialogue with both Hinduism and Buddhism is possible. He writes: “Appropriated from the very first ages of Christianity(..) both for Christ and the Spirit (Author’s note: Sts Irenaeus, Theophilus of Antioch etc.) Wisdom was maintained as a sort of between the two hypostases, participating in the reality of both the one and the other as the Russian sophiological thinkers of the 19 th and 20th centuries had observed. This figure possessed then an inestimable advantage in bringing us back upstream of the Trinitarian discourse as it was elaborated in a so to speak “pre-Christian” universe. Further, Wisdom has become an object of other interpretations in the traditions of our religious neighbors” (2). One finds here a profound affinity with the thought of Annick de Souzenelle, an Orthodox woman theologian and student of Bishop Jean Kovalevsky, one of Bulgakov’s own students. From Symbolisme du corps humain which she wrote in 1974 to her last book, Résonances bibliques, Annick de Souzenelle has pursued a meditation on the kabbalistic vision of Wisdom and the tree of 12 sephiroth. This vision of Zohar brings together for her the biblical and patristic visions of the sacred ladder that joins the Trinity to humankind. In her interpretation, the Shekinah enveloped the temple in King Solomon’s time just as the Holy Spirit enveloped the Twelve at Pentecost. The rediscovery of the original language evoked the saying of Rabbi Simeon:” All people will one day come beneath the wings of the Shekinah” (3)». ((1) Dominique Cerbelaud, Ecouter Israël, une théologie chrètienne en dialogue , Paris: Cerf, 1995. / (2) ibid., p. 176. / (3) Annick de Souzenelle, Résonances bibliques, Paris: Albin Michel, 2001, p. 228.) 4 A. Rosmini, Il comunismo ed il socialismo, in idem, Opuscoli politici, Opere di Antonio Rosmini , vol 37, Roma 1978, pp. 96-97. 241 innumerevoli relazioni che Iddio solo può conoscere e rivelare” 1. L'intento sofianico è tipicamente compenetrativo: farsi incontrare la 'fede in Dio' e la 'fede nell'umanità' 2. Non escludere niente pur mantenendo una possibilità di armonizzare tutto: questa sarà la radice profonda della complementarietà tra religioni ariane ed ebraica: trascendenza di Dio ed immortalità umana 3. Il cosiddetto 'paganesimo' ha intuito queste 'scintille sofianiche' 4. Si tratta piuttosto di una 'immobilità movente' (e 'com'movente) et di un 'movimento immobile'... una specie di 'radioattività profetica' 5. La Sofia è l'Eterno Femminile, l'indistruggibile purpureo, l'irradiamento divino 6. X. IL RIPIEGAMENTO DEL TRADIZIONALISMO DI FEDE E LA TEOLOGIA PLURALISTA La corrente teologica della tradizionalità ecclesiale estrema, fino all’impegno del tradizionalismo cristiano più accentuato rappresenta l’ultimo passo della salvaguardia dove il pluralismo sarà percepito come sommo relativismo da scartare in tutti i modi. L’impegno cristiano considerato prioritariamente dalla sua configurazione istituzionale rimane presente nelle varie tradizioni e nelle Chiese cristiane, particolarmente presso i movimenti ecclesiali che intendono rivitalizzare la vita della Chiesa, sia nella teologia della tradizionalità di A. Mascall e di Ch. Journet, o dei movimenti di Zoè e di quelli ecclesiali dell’ambito romano, o persino nei tradizionalismi riaffermati. Nel percorso del XX secolo, si osserva un continuo ritorno all’integralismo di salvaguardia sulla effettiva presenza cristiana in seno all umanità odierna: le teologie della tradizionalità nell’ambito della riflessione ortodossa greca per contrastare il tradizionalismo grezzo, includendo da sempre l’eschaton dello Spirito nella 'finalità ultima della storia', con A. Alivisatos, Androutsos, P. Trembelas, P. Bratsiotis e altri: si vuole -con il movimento Zoì della tradizionalità- evitare la deriva dell’athosamento oltransista (alla Monte Athos) 7. In ambito 1 A. Rosmini, Teodicea, in idem, Opere di Antonio Rosmini , vol. 22, Roma 1977, p. 78. 2 В. Соловьев / V. Solov'ëv, Чтения о Богочеловечестве, in idem, Собрание сочинений, T. III / Lectures on Godmanhood, London 1948, стр. 58 / p. 85. Н. Бердяев / N. Berdjaev, Смысл истории / Il senso della storia, Берлин 1923 / Milano 1977, стр. 165-166 / pp. 83-84; idem, Le fonti e il significato del comunismo russo, Milano 1971, p. 105. 4 С. Булгаков / S. Bulgakov, Утешитель / Le Paraclet , in idem, О Богочеловечестве , Часть II, Таллинн 1936 / Paris 1944, стр. 246 / p. 3 205. П. Флоренский / P. Florenskij, Столп и утверждение истины, in idem, Собарние сочинений, Tom IV / La colonna e il fondamento della verità, Париж 1985 / Milano 1974, стр. 325 / p. 387. 6 P. Zouboff, Introduction, in Vl. Solovëv, Lectures on Godmanhood , London 1948, pp. 11-12; E. Munzer, Solovyev, Prophet of Russian-Western Unity, London 1956, p. 6. 7 N. T. Trembelas, Dogmatique de l'Eglise Orthodoxe Catholique , T. I, Bruges 1966, «avant-propos» de A. Agustin Bea (Chevetogne 1967), (Dogmatiki), cfr in «Theologhia», 1937 nº 15, pp. 277-278; P. I. Bratsiotis, The fundamental Characteristics of the Orthodox Church , in A. J. Philippou (ed.), The Orthodox Ethos, Oxford 1964, pp. 24, 27, 28; idem, (La teologia greca negli ultimi cinquant anni), in «Theologhia», 1948 nº 101; B. Mondin, Le teologie del nostro tempo, Alba 1976, pp. 19-20; C. Androutsos, N. Glubokovski, Russische theologische Wissenschaft in ihrer geschichtlichen Entwicklung und ihrern heutigen Zustand, Varsavia 1928, p. 4; P. Dumont, La teologia greca odierna, in «Oriente Cristiano», 1966, nº 4, pp. 36-37; H. Kotsonis, Die griechische Theologie, in P. Bratsiotis (Her.), Die Orthodoxe Kirche in griechischer Sicht , Stuttgart 1960, S. 7; J. Karmiris, Die dogmatischen und symbolischen Dokumente der Orthodoxen Katholischen Kirche , B. I, Athen 1952, S. 431; N. Berdjaev, Essai de metaphysique eschatologique, op. cit., pp. 229-230; N. A. Nissiotis, The Importance of the Doctrine of the Trinity for Church life and Theology, in A. J. Philippou (ed.), The Orthodox Ethos, Oxford 1964, p. 65; Y. Spiteris, La teologia ortodossa neo-greca, 5 Bologna 1992. 242 romano, di fronte al modernismo alla Loisy, Tyrell, Buonaiuti, Murri (o i liberalismi protestanti alla Ritschl, von Harnack, Troeltsch) si vorrà ristaurare l’intento corretto tramite il neo-tomismo con Mercier, Gilson (Maritain), o il tomismo formale con Sertillanges, Maréchal, Parente, Colombo, o l’ecclesiologia tomista con M. Grabmann e Ch. Journet, o ancora il tomismo fondamentale con R. Garrigou-Lagrange, magari per neutralizzare l’ecônizzazione delle frange nostalgiche 1. Anticipando le obiezioni o focalizzando le opposizioni si imposta una apologetica articolata, per evitare il caos si propone una rigerarchizzazione, il fondamentalismo si incentrerà sulla messa in questione dalla modernità in un confronto semplicistico tra due mondi opposti (pari al fondamentalismo evangelico ma essi tendono ad istituzionalizzarsi) 2. È in questa linea di pensiero che si iscriverà poi l’intento di J. Ratzinger. Y. IL PERCORSO PLURALISTA E LA TEOLOGIA DEL PROFONDO Dall’entrare nell’esperienza di fede di altre tradizioni religiose, la teologia pluralista non può non entrare nelle profondità del proprio io per esaminarne sia la trasparenza religiosa sia le possibili attinenze di approfondimento mutuo nell’esplorare misticamente il divino 3. Il contributo che offre la chiave pluralista sarà di far uscire da un approccio ancora strettamente occidentale le implicazioni teologiche dell’interiorità di fede. Le priorità individuali e psicologiche riceveranno una piattaforma più salda in questo terreno interreligioso. Da Ricoeur a Drewermann, l’ultima rearticolazione teologica si vede arricchire di risonanze interiori non solo considerate dal profondo psicologico ma anche dal profondo dell’esperienza religiosa multiforme. Già la Dichiarazione del 1 C. Rocchetta - R. Fisichella - G. Pozzo, La teologia tra rivelazione e storia. Introduzione alla teologia sistematica, Bologna 1985, pp. 75-77; J. Ansevui, Le drame d’Ecône,Sion 1976, pp. 20-21, 45-69. P. Tillich, Systematic Theology, vol. I, London 1968, p. 304; Th. Stransky, Protestant and Catholic Fundamentalists. A Case Study: Political Zionism and the State of Israel, in «Centro pro unione», 1998 nº 52, pp. 4-9; R. Prévost, Vatican II. Pierre ou le chaos, Paris 1965, pp. 1772 206. 3 J. Wiseman, Enveloped by Mystery . The Spiritual Journey of Henri Le Saux/Abhishiktananda , in «Bulletin 45, October 1992», etiam in «Internet» 2006, http://monasticdialog.com/a.php?id=347: «Lastly, there was in Abhishiktananda a lived awareness that the mystery of God as found in one’s inmost self brings about a sense of freedom that is as rare as it is attractive. Writing to a Carmelite nun in the late 1960s, he said that the deep reason for the present crisis [in the Church] is the exaltation of human laws above the Lord and of theology above experience of God. (1) Abhishiktananda in no sense scorned human laws, nor was he given to whimsical or arbitrary behavior. In sannyasa he did, however, find the outward expression of man’s ultimate freedom in his innermost being , (2) a freedom which allowed him, for example, to see possibilities for interfaith worship beyond that practiced with Christians of other denominations. Moreover, he approached formal external dialogue with Hindus in a way that clearly recognized that there is an equally important silent interior dialogue that must take place as each participant becomes stimulated by the new vistas of thought which the dialogue opens up. (3) He did not shrink from giving expression to these new vistas, at least in his letters if not always in his published essays. While the resulting texts may be too extreme and unhelpful for many readers (and so ought not to be recommended carte blanche), persons of religious sensitivity and theological acumen can have their own interior dialogue fruitfully challenged by the reflections of this singularly honest thinker. He knew that his way was not for everyone, but he also knew that for some it could be imperative: Vedantin experience just as much drains people and is just as dangerous as drugs or psychoanalysis. . . . We should only allow very strong people to get involved with it. . . . It is probably better for most people to pass the Shakti [God’s active power] by than to be a carrier of it without realizing it. For some are capable of it. It is for them that I sh ould like to have a place beside the Ganges to receive them (4)». ((1) Abhishiktananda to Sr. Therese Lemoine, 26 July 1969, in Stuart, p. 241. / (2) Abhishiktananda, Sannyasa, Further Shore, p. 14. / (3) Abhishiktananda, Introduction to Saccidananda, rev. ed., p. xiii. / (4) Abhishiktananda to Marc Chaduc, 26 October 1973, in Stuart, p. 358.) 243 2000 Dominus Iesus non esclude una istanza di approfondimento interreligioso 1. Percorrendola insieme nella ricerca interreligiosa, si potranno aprire vie chissà- insospettate. Partiamo, per esempio, dall accenno attuale sulla pace come de-aggressivizzazione degli intenti, presente in qualche ambiente musulmano: la Sakina di Saggezza come antidoto della jihad, che ricorda la Sekkinah ebraica o volto femminino del divino 2. Pure nell ambito cristiano, una tale via di Saggezza può essere rintracciata, terreno comune che potrebbe portare frutti promettenti. L'esito ultimo come 'compenetrazione tra il divino e l’umano nell invenzione del libero compito da portare a termine' 3. L’indiano Brahmobandav Upadhyaya assumeva da cristiano la Saggezza personificata nella divinità indù Saraswati 4. Essa è la "terra" e la "madre terra" ed anzi "volto femminile di Dio" 5. 1 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione "Dominus Iesus" circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, in «Internet» 2000, http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000806_ dominusiesus_it.html: «14. Tenendo conto di questo dato di fede, la teologia oggi, meditando sulla presenza di altre esperienze religiose e sul loro significato nel piano salvifico di Dio, è invitata ad esplorare se e come anche figure ed elementi positivi di altre religioni rientrino nel piano divino di salvezza. In questo impegno di riflessione la ricerca teologica ha un vasto campo di lavoro sotto la guida del Magistero della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, infatti, ha affermato che «l'unica mediazione del Redentore non esclude, ma suscita nelle creature una varia cooperazione, che è partecipazione dell'unica fonte».43 È da approfondire il contenuto di questa mediazione partecipata, che deve restare pur sempre normata dal principio dell'unica mediazione di Cristo: «Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari».44 Risulterebbero, tuttavia, contrarie alla fede cristiana e cattolica quelle proposte di soluzione, che prospettassero un agire salvifico di Dio al di fuori dell'unica mediazione di Cristo». ((1) CONC. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 62. / (2) GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Redemptoris missio, n. 5.) 2 GENESIS OF EDEN DIVERSITY ENCICLOPEDIA, SAKINA. A Wisdom Earth Democracy Fertility Initiative , in «Internet» 2002, http://www.dhushara.com/book/dovcer/dov.htm: «Sakina was conceived as a movement to heal religious violence and dominion over woman and nature and restore natural diversity throughout our generations. The name sakina was chosen becaus e it was the antidote to jihad which Muhammad had to face at Hudaybiyah after the conflict with Mecca over the Goddess, the siege of Medina and its aftermath in the genocide of 700 Jewish men in the Souk. Sakina which is the spirit of tranquillity in the Quran has been noted to be also the Hebrew Shekhinah - or indwelling feminine face of divinity. The name sakina was chosen because it represents the last vestage of the feminine spirit in Islam which is one of the world's most numerous religions, and because it is also the feminine Hebrew face thus carrying the healing spirit of the Olive branch to Israel/Palestine. It is in the return of the lost feminine principle that all the partiarchal religions can find their missing peace in matromonial concord and the flowering of the abundance of diversity in natural paradise. Current Initiatives: With the advent of the September 11th attacks in New York, sakina has become a key to resolving an alaready potentially apocalyptic divide between world cultures which cannot be readily rooted out by confrontation in the absence of compassionate justice and respect of all people and for the diversity of nature upon which humanity depends for our future life. We are currently engaging in a dialogue on the future of Jerusalem and of the world in peace through resolving the Israel/Palestine paradox, developing a WED initiative. -WEDolive a think-tank on healing Jerusalem, Mailto:[email protected], WEDweave is also a group promoting catalytic conferencing on world global issues surrounding peace and natural diversity and the preservation of our genetic heritage in perpetual guardianship. -WEDweave a networking discussion list, Mailto:[email protected], History: During the transition from the second to the third millennium, a rite of renewal to heal Earth was performed, both throughout 1999 as a world vigil and in teachings and ceremonies in Jerusalem Dec 1999 - Jan 2000 to fulfill the transition from the patriarchal epoch into the era of renewal of the tree of life , restoring Earth to its paradisiacal abundance through the return of the occluded feminine prinicple in reunion. - Shekhinah-mashiach : Reflowering the Tree of Life, Mount of Olives Millennium Eve - Pronouncing the Sacred Marriage in the City of Peace Epiphany 2000. This journey also included a world vigil for biodiversity: - Bolivian Burning Season: The Cristo Rey Communicado Oct 1999. The Iquitos Invocation to Biodiversity Oct 1999». 3 E. Munzer, Solovyev, Prophet of Russian-Western Unity, London 1956, p. 5. 4 F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology , Trichy 1993, p. 30: «Saraswati Puja. The strictures and sanctions from above did not deter Upadhyaya from his path. He started another publication called Sandhya to pursue his Hindu Christian ideal. His views and practices became more and more provocative. The case of Saraswati Puja is an example. 1 Every Indian knows from his experience what the goddess Saraswati means to the Hindus. She is the goddess of Wisdom and learning invoked by teachers, students and all seekers of truth. Wisdom, for a Hindu, cannot be dissociated from Saraswati. In a school Upadhyaya conducted, he allowed the Hindu students to participate in Saraswati puja a ritual and festival of the goddess. He saw no objection in Hindu boys venerating God under the aspect of Wisdom as the goddess Saraswati. But this incident dragged Upadhyaya into a controversy. He was accused of supporting pagan customs and rituals. Similarly the two lectures of Upadhyaya on Kxishna, delivered in 1904 perturbed the minds of those who saw in Hi nduism only darkness and perversity». ((1) Hans Staffner, 7he Significance of jesus arise in Asia, Gujarat Sahitya Prakash, Anand 1985, p. 107.) 5 IV CONFERENZA GENERALE DELL'EPISCOPATO LATINOAMERICANO, Conclusioni di Santo Domingo, in «Regno-Documenti», 1992 n° 172, p. 687: «Nel nostro continente bisogna considerare due mentalità opposte in relazione alla terra: a) La terra, tenendo conto dell'insieme di 244 L’eco della saggezza arcaica indigena risuona in questi accenni non ancora pienamente recepiti 1. La Sofia è inanzitutto una 'visione': l'Eterno Femminile, l'indistruggibile purpureo, l'irradiamento divino, come lo 'vide' Solov'ëv 2. L'intento sofianico è tipicamente compenetrativo: farsi incontrare dinamicamente e costruttivamente la 'fede in Dio' e la 'fede nell'umanità' 3. La prospettiva sofianica è un 'panenteismo' (relazionare tutto con Dio, non identificare ogni cosa con Dio) 4. Non escludere niente pur mantenendo una possibilità di armonizzare tutto, tale sarebbe la 'scommessa' della chiave slava-sofianica 5. L’apertura inter-religiosa, in questa chiave escatologica, appare centrale nell intuito sofianico che non è per niente un sincretismo vago ed ambiguo 6. L'intuito sulla 'creazione nuova' sorge da un 'rientrare nella esperienza odierna', cioè dal mondo in cui viviamo quodinianamente e che dovremmo imparare a 'guardare' diversamente. Vi sono dei sentieri non ancora sfruttati, nelle varie tradizioni religiose che possono offrire chissà- delle basi per una deaggressivizzazione delle problematiche e tracciare vie non percorse, a lunga scadenza, senza volere una soluzione operativa spicciola, subito. Di fatti, in questa prospettiva, la via femminile potrebbe pacificare le premesse stesse del terreno. Si delinea pertanto un itinerario di riflessione e di ricerca fuga in avanti e riarticolazione cristiana- sulla esplorabilità delle profondità umane come chiave teologica, che dall’intento della ricerca etica, con B. Häring, M. Oraison, P. De Locht ed altri, entra nella tematica dell’esperienza profonda della persona umana, ponendo la questione sulla teologia della femminilità come configurazione fondamentale della persona, invito a superare le elementi che por mano la comunità indigena, è vita, luogo sacro, «volto femminile di Dio», centro unificante della vita della comunità. In essa gli in di geni vivono e con essa convivono, attraverso di essa si sentono in comunione con i loro antenati e in armonia con Dio, per questo stesso motivo la terra, la loro terra, è parte sostanziale della loro esperienza religiosa e del loro progetto storico. Negli indigeni esiste un senso naturale di rispetto per la terra: essa è la madre terra, che alimenta i suoi figli, perciò bisogna custodirla, chiedere permesso per seminarla e non maltrattarla. b) La visione mercantilistica considera la terra solamente in relazione allo sfruttamento e al lucro, arrivando fino a espropriare ed espellere i suoi legittimi proprietari. Lo stesso mercantilismo porta alla speculazione sul suolo urban o, rendendo la terra inaccessibile per le case dei poveri, sempre più numerosi nelle nostre grandi città». Oltre alle due mentalità precedenti, non possiamo dimenticare la situazione dei contadini che lavorano la loro terra e ne traggono il sostentamento della loro famiglia con tec nologie tradizionali». R. Menchù Tum, Crucè la Frontera. Poema dedicado a los Indios de Guatemala , in H. Vaca, Cosmovisione indigena de la terra in afroamerindia, Roma 1996 (pro manuscripto, SPICS), Roma, p. 1: «La tierra madre està de luto / empañada de sangre / llora dìa y noche, / de 1 tanta tristeza. / Le faltaràn los arrullos de los azadones / los arrullos de los machetes / los arrullos de las piedras de moler. / En cada amanecer estarà ansiosa de escuchar risas y cantos / de su flor y de sus hijos». P. Zouboff, Introduction, in Vl. Solovyev, Lectures on Godmanhood, London 1948, pp. 11-12; E. Munzer, Solovyev, Prophet of RussianWestern Unity, London 1956, pp. 4-5. 3 В. Соловьев / V. Solov'ëv, Чтения о Богочеловечестве, in idem, Собрание сочинений, T. III / Lectures on Godmanhood, London 1948, стр. 2 58 / p. 85. 4 С. Булгаков / S. Bulgakov, Утешитель / Le Paraclet, in idem, О Богочеловечестве, Часть II, Таллин 1936 / Paris 1944, стр. 231-233 / pp. 191-192. 5 N. Berdjaev, Le fonti e il significato del comunismo russo , Milano 1971, p. 105. 6 O. Clément, Anachroniques, Paris 1990, p. 331: «Désormais les spiritualités asiatiques sont reprises dans une autre perspective, celle de la Personne et de l'Amour qui ne constitue pas la manifestation de l'abîme, mais l'abîme lui-même... L'Hymne au Père fait transition entre le Géniteur cosmique des religions archaïques, dont l'Inde vénère le lingam, et le Père aimant de la Trinité chrétienne, célébré comme «l'inventeur de l'Autre». Le Père s'engendre un Fils «au sein de (sa) Sagesse éternelle»: Pierre Emmanuel trouve dans le mythe de la Sophia, développé surtout par les «sophiologues» russes du début du siècle, la possibilité d'ouvrir la tradition biblique sur l'approche fénùnine du sacré que l'on trouve dans les spiritualités asiatiques. Car la Sophia, la Sagesse, est l'énergie de Dieu et la transparence du monde, la terre paradisiaque de la sensibilité russe. Par sa médiation, le corps de la femme, centré sur son âme matricielle, devient cathédrale (je pense ici au recueil intitulé significativement Sophia, paru en 1973). Dieu crée la femme «afin d'être conçu lui-même par elle. Et dans son sein prendre mesure de l'homme qu'il y deviendrait». Comment ne pas faire le rapprochement avec cette étonnante suggestion d'un grand mystique byzantin du XIVº siècle, Nicolas Cabasilas: «Dieu a créé le monde pour trouver une mère...» Ainsi s'ébauche, et c'est d'une grande importance pour l'avenir spirituel de l'humanité, une intégration de la vision émanatiste des Orients et de la conception judéo-chrétienne de la création et de l'incarnation». 245 strettoie del passato col rinnovamento della impostazione ecclesiale non in termini ecclesiologici, ma in riferimento maggiormente pneumatologico. Dalle incertezze passate nei rapporti tra maschile e femminile, dal cammino riguardo alla donna nelle ermeneutiche femministe, la dimensione materna di Dio fino a Cristo sulla croce ('partorendo' la Chiesa), con la 'presbitera' bizantina o le diaconesse o l'impegno femminile come 'doulè', il profilo femminile e la 'vocazionalità' delle donne va valorizzata come diritti costitutivi nella Chiesa. Ricoeur si interesserà alle profondità umane tramite il simbolismo e la mitologia in relazione alla colpa e al male, nuova ermeneutica di ispirazione freudiana (seguita soprattutto dai psicanalisti e dagli strutturalisti) alla luce del "profondo" allo stato incosciente per liberarsi verso l’immaginazione e superare il vuoto spaventoso del non-senso. Con Drewermann, si ridà la parola all’intento umano profondo, da una esegesi psicologica o storico-psicologica, dando all’intento cristiano la sua capacità di guarire dall’angoscia che produce il peccato, seguendo la via della esperienzialità al di là del logocentrismo, e riaprendo le promesse del sogno ma anche dell’interiore esistenziale come approccio complementare. Z. OLTRE E AL DI LÀ DELLA TEOLOGIA PLURALISTA? La dinamica teologica del XXI secolo ci sta forse preparando un passo ulteriore nell’esplorazione dei percorsi teologici? Si parla di una teologia comparativa che si muoverà serenamente tra le varie tradizioni e tra i patrimoni teologici delle religioni 1. CAPITOLO I LA SCOMMESSA TEOLOGICA DEL PLURALISMO ▇■▇■▇■▇■▇■▇■▇■▇■▇■▇■▇■▇ THE ODDS OF PLURALISM IN THEOLOGY S. M. Heim, Sharing our Differences: Koinonia and the Theology of Religious Plurality (Faith and Order Plenary Commission, Kuala Lumpur, Malaysia, 28 July - 6 August 2004), in «Internet» 2006, http://www.wcc-coe.org/wcc/what/faith/kuala-docs18-heim.pdf: «Others pursue a 1 project that is coming to be called comparative theology. (1) Comparative theology is characterized first by the recognition that we study the religions from a religiously committed perspective: there are no neutral standpoints. It is characterized second by an interest in careful, detailed comparison --- not of one global tradition with another, for instance, but rather one specific text with another specific text, or a specific practice with another specific practice. And it is characterized third by an attempt to approximate an insider s understanding. At the simplest level this requires all the time and effort required to learn other languages and to receive instruction and guidance from interpreters within that tradition. There is no prior plan or program for such work. It can only go where the process leads. And countless specific projects will be needed before firm overall theories can be tested. But the Christian theologians engaged in this work view it as an explicit work of Christian theology. Having learned to inhabit some part of the other tradition, one returns to the sources and tasks of Christian theology with a changed perspective. The other religion has become a source for Christian reflection. Comparative theologians contend that more and more the ordinary practice of Christian theology will include this cross-reference to the substance of other religious traditions». ((1) See for example Clooney, F. X. (1993). Theology after Vedanta: an experiment in comparative theology. Albany, State University of New York Press.) 246 La questione della pluralità e diversità si pone con crescente insistenza nel contesto della teologia del XX secolo. La legittima diversità appare come uno dei criteri fondamentali della riconciliazione cristiana storica, tra le varie Chiese impegnate nel movimento ecumenico di questo stesso secolo (cfr infra n° 2). Si dirà che la pluralizzazione è un segno di vitalità inventiva dell’intento teologico stesso, nei momenti d apertura della ricerca 1. Si comincia prudentemente a menzionare le diversità delle tradizioni e della teologia del passato 2. Si parlerà di pluralismo di rottura o di convergenza 3. Vi sarà anche un pluralismo radicale che vede il pluralismo non solo come pluralismo di forme che esprimono una sola essenza dell’esperienza religiosa: pluralità di centri religiosi autonomi ma collegati 4. Il pluralismo diventerà necessario nel contesto multiculturale del XX secolo 5. Il pluralismo di tolleranza sarà la migliore strategia per curare le ricorrenti mitologizzazioni nelle quali idolatriamo noi stessi 6. Come per altre teologie, il dubbio è 1 S. Bulgakov, Voies pour la réunion de l'Eglise, in «Istina», 1969 n° 2, p. 239: «Chaque fois que la pensée théologique se développe avec intensité, il est inévitable qu'émergent des mouvements théologiques différents. Ceci est arrivé au plus haut moment de l'ère patristique (par exemple à Alexandrie et à Antioche). Pratiquement, même au sein de l'Eglise romaine, il n'y a pas d'unanimité dogmatique, bien que cela puisse être déguisé par une discipline de fer et le silence forcé de ceux qui sont en désaccord». 2 A. M. Ngindu, La Théologie africaine. De la polémique à l’irénisme critique , in «Bulletin de théologie africaine», 1979 n° 1, p. 90: «Comme la philosophie universelle, la théologie universelle est un mythe. Rien ne la fonde, ni la révélation, ni la foi, ni l'histoire. "Rien de plus normal, écrit Charles Wackenhein..., que la multiplicité des approches théologiques. Il n'y a pas une théologie, mais des théologies chrétiennes. Les facteurs de diversification tiennent à la différence des cultures, des conceptualités, voire des tempéraments individuels. Qu el que soit l'auteur de tel écrit ou de tel fragment, nous constatons la grande diversité des élaborations théologiques recueillies dans le Nouveau Testament. Cette diversité de la pensée chrétienne s’accentua fortement à partir du IIe siècle, avec la différenciation des aires culturelles touchées par l'annonce de l'Evangile" 1. Mgr Tshibangu explicite: "Dès l'origine du christianisme, deux courants théologiques caractérisés se sont développés: la théologie dite occidentale, et la théologie dite orientale. Ces deux théologies ses sont trouvées relativement en opposition. Celle-ci fut une occasion, sinon une des causes du schisme de l’église orientale, ainsi que le Concile du Vatican Il l'a lui-même reconnu" 2». (1 Ch. Wackenhein, Christianisme sans idéologie, Paris 1974, pp. 71-72. / 2 Mgr. Tshibangu, Le propos d’une théologie africaine, p, 5, Sur la légitimité et la nécessité du pluralisme théologique, on lira avec intérêt les quinze propositions que la Commission internationale de Théologie a adoptées en sa session plénière d'octobre 1972. Cf. La Documentation catholique. 1973, t. 70, p . 459-461. Voir aussi M. De Certeau, Y a-t-il un langage de l'unité?, dans «Concilium», 1970, no 51, p. 77-89.) 3 Ph. Delhaye, Pluralisme culturel et pluralisme théologique, in AA. VV., Evangelizzazione e culture, vol. I, Roma 1976, p. 139: «Quelques semaines plus tard, le Saint-Père, dans Paterna cum benevolentia insistait sur la différence radicale entre un pluralisme de convergence et un pluralisme de rupture. J'évoque ici brièvement ces textes que j'ai commentés ailleurs, parce qu'ils expliquent et fondent des déclarations dont certains n'ont peut-être, pas perçu tout le sens et bien-fondé. Il s'agit de passages des discours pontificaux du mercredi 14 mai 1975 et des fameux Basta (assez) de l'allocution du 16 juillet». M. Pagano, L’intersoggettività nell’ orizzonte del pensiero contemporaneo, in D. Fiorensoli (ed.), Oltre il soggetto. Dalla intersoggettività all’agape, Trieste 2004, p. 40: «Il contributo più significativo all'elaborazione teorica di questi temi è venuto da due teologi americani, il 4 protestante John Cobb e il cattolico David Tracy. Il primo si è dedicato a una lunga e approfondita esperienza di dialogo con alcuni esponenti del buddismo Mahayana: muovendo di qui ha criticato la prospettiva essenzialista di Hick e sviluppato la sua tesi, presentand ola come «pluralismo radicale». Non è vero che esista un'unica essenza o un unico centro dell'esperienza religiosa; piuttosto vi è una p luralità di centri, in sé autonomi, ma collegati almeno ad alcuni altri: si può pensare a una rete, in cui vi è uno scambio tra alcuni nodi. Ogni tradizione è unica, per6 & anche aperta e dinamica, e almeno alcune delle grandi tradizioni sono rivolte al confronto perché lo impone la loro rivendicazione di validità universale». 5 J. Saraiva Martins, L’Evangelo e le culture nell’ultimo Sinodo dei vescovi, in AA. VV., Evangelizzazione e culture, vol. I, Roma 1976, p. 67: «Il pluralismo teologico non è solo legittimo, ma necessario. I Padri sinodali lo hanno affermato fortemente e Paolo VI, nel disc orso di chiusura del Sinodo, quasi riassumendo il pensiero dei vescovi espresso in aula, parlava della necessità di trovare una migliore espressione della fede in corrispondenza dell'ambiente razziale, sociale e culturale in cui viene annunziato l'Evangelo. E aggiungeva che in ciò è in gioco l'autenticità e l'efficacia dell'evangelizzazione 1» . (1 Pariter aliquid esse dicendum arbitramur de necessitate inveniendi eam uberiorem fidei significationem , quac cum condicionibus stirpis, societatis animique culturae apte conveniat. Id sane pernecessarium esse videtur, ut verum et efficax evadat ipsum opus evangelizationis , PAOLO VI, disc, di chiusura del Sinodo, in AAS 66 (1974) 636.) 6 R. Voillaume, Problèmes spirituels contemporains , in «Documents omnis terra», mai 1973, p. 319: «Ce n'est que dans le pluralisme, la tolérance et le dialogue qu'une société peut progresser vers toujours plus de justice et de paix. Le réalisme du christianisme, la lucidité de son regard sur les choses humaines, lui permet de détruire les mythes toujours prêts à renaître. À ce sujet Thomas Merton ne craignait pas d'écrire: Nos habitudes de pensée et les impulsions qui en découlent sont fondamentalement idolâtriques et mythiques. Nous sommes 247 stato formulato che non ci troviamo affatto di fronte ad un nuovo approfondimento teologico, ma che una tale impostazione era già presente nei tempi antichi: si tratta delle correnti che affermano l’assoluta trascendenza divina al punto di non poterne esprimere niente 1. 1° QUALE PLURALISMO E DA QUALE DIAGNOSI SI IMPONE Come per gli ispiratori più caratterizzati della teologia del XX secolo, l intento pluralista riprende la chiave fondamentale della teologia del XX secolo: il rifiuto di un sistema metafisico universale per il prospetto teologico, come lo fecero Barth e gran parte degli ispiratori di correnti teologiche di quel secolo 2. Contrariamente ai teologi radicali, non si partirà dall’accettazione di una società a-religiosa, secolarizzata e tecnologicamente moderna. Ma anche i teologi radicali hanno talvolta maturato il loro intento, prospettando il pluralismo partendo dall’esperienza secolarizzata pienamente recepita. Si farà invece la diagnosi severa dell’inadeguatezza dei parametri tecnologici nell’indagine sull’esperienza umana, che si muove dalla possessività delle cose alla “cosità” di tutto ciò che esiste 3. Qui, la de-cosificazione alla Teilhard de Chardin (cfr supra, vol. I, parte II, sezione B) poggia su un esame disincantato delle varie implicazioni della d'autant plus enclins à l'idolâtrie que nous nous imaginons être, de toutes les générations humaines, la plus progressive et la plus humaine. Telle est en fait l'image que nous nous faisons de nous-mêmes, une image qui est fausse et qui est en même temps l'objet d'un culte". Je ne crois pas que Thomas Merton exagère. Ce n'est pas en adaptant les exigences de notre foi à la mentalité d'une époque que nous rendrons au christianisme sa crédibilité, ni au message évangélique sa force de bonne nouvelle , mais bien plutôt en redonnant à l'Evangile sa vigueur de libération et de transformation de l’homme». 1 R. Kendall Soulen, "Go Tell Pharaoh" Or, Why Empires Prefer a Nameless God , in «JSR Forum», in «Internet» 2006, http://etext.lib.virginia.edu/journals/jsrforum/writings/SouPhar.html: «To begin with, we should not imagine that the pluralist proposal is something dramatically new in the religious history of humankind. On the contrary, the idea that the divine is utterly transcendent, is strictly nameless and ineffable, is one of the oldest theological views on record. This view was, in fact, well known to Israel's neighbors, the ancient Egyptians. A hymn from an ancient Egyptian papyrus goes as follows, "The One and only, who hides himself from men and gods. No one knows his being. He is higher than the heaven and deeper than the netherworld. No God knows his true appearance ... He is too mysterious, one cannot reveal his glory, he is too great that one can search him out, and too powerful to be known." 1 The nameless, ineffable God, then, is not a newcomer to the religious scene. He was, perhaps, precisely the God whom Pharaoh himself presupposed when he spoke derisively to Moses, "Who is the LORD, that I should heed him and let Israel go?" (Ex. 5:2)». (1 Peter Gerlitz, "Name/Namengebung I," in Theologische Realenzyklopädie, vol. 23, edited by Gerhard Müller,Walter de Gruyter (Berlin: 1994), 746.) 2 R. Panikkar, Invisible harmony. Essays on Contemplation and Responsibility , p. 96: «Pluralism does not allow for a universal system. A pluralistic system would be a contradiction in terms. The incommensurability of ultimate systems is unbridgeable. This incommensurability does not need to be a lesser evil, but it could be a revelation itself of the nature of reality. Nothing can encompass reality». 3 P. Vicentini, Panikkar e la crisi del mondo moderno , in «Internet» 2000, http://estovest.hypermart.net/prospettive/panikkar.html: «Le radici teologiche della crisi moderna. Si è riflettuto relativamente poco sulle radici teologiche della crisi spirituale e materiale che attanaglia l'uomo moderno, producendo infiniti conflitti di ogni genere e facendogli percepire in modo sempre più crescente di vivere in un universo alienante ed alienato [SD p. 17; NI p. 47]. Queste radici rimandano, secondo Panikkar, ad epoche lontane, allo stesso fondarsi delle tradizioni abramiche sul principio di proprietà, cioè sul dualismo, sulla contrapposizione. Tutto il decalogo non è che la sacralizzazione del principio di proprietà: ama il tuo Dio, ama la tua donna, ecc. Per non parlare della distinzione più radicale, quella fra l'uomo e la natura: l'uomo è l'eccezione e il padrone del creato [SD p. 17; EC pp. 34-35; NI p. 145; TB p.145]. Non è un caso, dunque, che proprio in occidente sia nata la tecnologia, vero cancro del mondo moderno, cioè una concezione dualistica della realtà, dove ciò che conta è separare, isolare, oggettivare, per poter meglio quantificare e, quindi, manipolare delle "cose". La tecnologia non è che l'ultimo risultato di una mentalità che aveva già portato il mondo semitico a "privatizzare" Dio, la religione, la cultura. Non è che l'ultimo risultato di un pensiero che pretende di pensare tutto, di dire tutto, di ingabbiare in concetti tutta la realtà, persino Dio, magari sostanzializzandolo, riducendolo ad essere [SD pp.16-17]. Proprio questo è in effetti accaduto in occidente, almeno fino a quando, con la nascita della scienza moderna, si è negato a Dio, in nome del funzionalismo, lo stesso essere/sostanza e, insieme ad esso, ogni forma di realtà e verità [SD pp.168,174-177]. Nascono così l'ateismo ed il nichilismo moderni, e con essi la tecnologia che prende il posto lasciato vuoto da un Dio oramai relegato in una assoluta trascendenza e "silenziosità" non raggiungibile dalla scienza e da una religione oramai ridotta a fatto privato, individuale, soggettivo [SD p. 168, 178]». 248 modernità scientifico-tecnologica. A differenza di von Balthasar (con la sua critica alle due comprensioni cristiane del mondo -cosmica e antropologica- che valuta insufficienti e quell’estetica che mette avanti), Panikkar propone di partire da tre livelli di contestualizzazione del mondo diversamente prospettati: ‘sopra’, ‘sotto’, ed ‘intermedio’ 1. Da quello che in Barth sarà la chiave della Parola e in von Balthasar quell’estetica, Panikkar propone quella cosmo-teandrica 2. L’approfondimento pluralista avrà anche una sua origine nella specifica esperienzialità religiosa, interreligiosa, spirituale e monastica. Sarà l’esperienza a capovolgere talvolta le convinzioni iniziali di tipo esclusivistico- dei protagonisti, come nel caso di Abishiktananda (Le Saux) 3. Accanto a questa diagnosi, la premessa interreligiosa esige anche un terreno comune sul quale intavolare l avvio del dialogo. Si parla di essenza comune (Toynbee), di fede universale (Schmid, Lonergan), centro mistico (Merton, Stace, Schuon) che si trova però confrontata con il rischio di fondazionalismo e di oggettivismo 4. 1 S. Eastham, Introduction, in R. Panikkar, The Cosmotheandric Experience, New York 1993, p. VIII: «Professor Panikkar's vast and thematic cross-cultural experience has led him to declare that there are few, if any, "cultural universals" (the poor, he says, may be the only contemporary exception). Yet as the fruit of this very intercultural encounter, he has equally been led to discern what he calls human invariants. Chief among these is the triadic (or trinitarian, or non-dualistic) pattern of the three worlds at its simplest perhaps, an above, a below, and an in-between; traditionally, the domains of the Gods, the Humans, and Nature; in personalistic terms, the mystical, the noetic and the aesthetic; and in the terminology of these essays, theos, anthropos and cosmos. In short, a "cosmotheandric" reality. Panikkar maintains that these three are constitutive dimensions of the real which can be distinguished for heuristic purposes, but not severed from one another. The lopsidedness of monism or dualism is overcome». 2 S. Eastham, Introduction, in R. Panikkar, The Cosmotheandric Experience, New York 1993, p. IX: «As an editor of Panikkar's English texts for many years now, I have had the good fortune to shepherd these essays through many versions to their present state. "Colligite Fragmenta," the first essay, began life as a twelve page piece called "The Catholic Experience," and has now burst those bounds entirely. It sets forth the cosmotheandric intuition in its fullest form. Panikkar's works are like a great garden he has planted and now tends selectively, occasionally trimming back some areas or allowing others to become overgrown. This piece has been gestating a long while, and in full bloom it must be ranked among the finest of his essays». 3 J. Wiseman, Enveloped by Mystery. The Spiritual Journey of Henri Le Saux/Abhishiktananda , in «Bulletin 45, October 1992», etiam in «Internet» 2006, http://monasticdialog.com/a.php?id=347: «2. Evolution in Abhishiktananda s Understanding of God. From what was said above about young Henri Le Saux’s theological training in French seminaries and a Benedictine monastery in the 1920s and 30s, it is not surprising that his early understanding of God was shaped along the lines of what has more recently come to be known as exclusivism , that is, the view that God can truly be known only through the Judeo-Christian revelation.(1) Attracted as the young monk was to India, the attraction was nevertheless not primarily in terms of what he might gain from exposure to the religious thought of that subcontinent, but rather in terms of what he could bring to the Indians. A year before leaving France, he wrote to Monchanin of his dream of founding a Benedictine community in India whose indigenous members would help fashion a Christian India, as their elder brothers fashioned a Christian Europe. (2) A month after arriving in India, he wrote to his family that the more I come to these Hindus, the more I feel them at the same time close to me in their loyal search for God and far from me in their psychological inability to admit that Christianity is the only authentic means of coming to God. (3). It was not long, however, before Le Saux would no longer be able to use the adjective only in a sentence like the one just quoted. It was above all his acquaintance with Sri Ramana Maharshi and the weeks he spent in solitude at Mount Arunachala in the early 1950s that led to a profound change in his whole religious stance. At first he instinctively resisted these powerful new experiences , finding it so difficult to incorporate the minto his previous mental structures , but the resistance was in vain: their hold on me was too strong for it ever to be possible for me to disown them. (4)At the heart of these experiences was what he came to call the advaitic experience or the Upanishadic experience an overpowering sense of one’s inmost self -accompanied by the conviction that this self, the deepest core of one’s being, is truly one with the Absolute, whether the latter be named God, Yahweh, Abba or Brahman. One of Le Saux’s clearest formulations of the nature of this experience was penned by him less than a month before his death, in a letter to his young French disciple: You are the only person, as well as I know, to whom I have been able to say and to pass on everything, in words and beyond words. ... You accepted the tabula rasa and from that tabula rasa the sparks flew. Yes, none of it was mine or yours . But that Greater One , whom you find lying behind myself and yourself, in not-other-than you orme. The Father is greater than I. I and the Father are one. The vision of Jesus recovers all its power when his Spirit... has revealed the depth of the Aham [I Am] (5)». ((1) On the now widely used typology of exclusivism, inc1usivism and pluralism, see Alan Race, Christians and Religious Pluralism: Patterns in the Christian Theology of Religions (Maryknoll, N.Y.: Orbis, 1983). / (2) Henri Le Saux to Jules Monchanin, 18 August 1947, in Stuart, p. 20. / (3) Henri Le Saux to his family, 16 September 1948, in Stuart, p. 32. / (4) Abhishiktananda, The Secret of Arunachala, p. 9. / (5) Abhishiktananda to Marc Chaduc, 23 November 1973, in Stuart, p. 359.) 4 P. F. Knitter, Toward a Liberation Theology of Religions , in John Hick Paul F. Knitter, The Myth of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic 249 IL MALINTESO TECNOLOGICO-RAZIONALIZZANTE E LA VIA D’USCITA DALLA RISTRETTA MODERNITÀ OCCIDENTALE L’approccio pluralista di Panikkar vede nella tecnologia la stessa deviazione conosciuta come riferimento prioritario alla razionalità per impostare l’intento umano, che servirà poi da base alla metodologia teologica 1. Si sa che due indirizzi-chiave si confrontano come sorgente dell’impresa teologica: mistero vissuto o razionalità pensante 2. Chi ha vissuto il passaggio da un Theology of Religions, Maryknoll, New York, seventh Printing February 1998, p. 178-218, etiam in «Internet» 2006, http://servicioskoinonia.org/relat/255e.htm: «Many a scholarly debate has spun its wheels over the conditions of the possibility of dialoguethat is, how should we understand religious pluralism and go about conversing so that everyone will have both the full right to speak and the genuine ability to hear The traditional view has been that fruitful interreligious dialogue requires the positing, at least hypothetically, of some kind of common ground shared by all religions-perhaps a common essence within all traditions ( A. Toynbee) or a universal faith (W. C. Smith, B. Lonergan) or a common yet undefinable mystical center (W. Stace, E. Schuon, T.Merton).[1] Contemporary critics, however, warn against positing a common anything within the religions as a basis for dialogue. Philosophers such as Jeremy Bernstein and Richard Rorty, as well as philosophical theologians such as Francis Fiorenza and George Lindbeck,[2] cast their warnings in terms of the dangers of foundationalism or objectivism. As Bernstein puts it: By objectivism I mean the basic conviction that there is or must be some permanent historical matrix or framework to which we can ultimately appeal in determining the nature of rationality, knowledge, truth, reality, goodness, or rightness [and religious experience) . . . Objectivism is closely related to foundationalism and the search for an Archimedean point. The objectivist maintains that unless we can ground philosophy, knowledge, or language [interreligious dialogue] in a rigorous manner, we cannot avoid radical skepticism. [3] We are urged by the philosophers to resist the siren lure of objectivism and bravely to give up our search for foundations or a common ground above or outside the plurality of views. Philosophical maturity demands that we accept that all knowledge is theory-laden ; different societies have different plausibility structures; each religion is speaking within its own language game; the protocol statements of the positivists-which claim to report what anyone would observe-may not exist. So it seems that there is no common essence or ground, no way from outside a tradition to assess the meaning and truth of claims made within it. Different religious traditions and schemes of belief and nonbelief reflect frameworks which are ultimately incommensurable.[4]». ([1]Arnold Toynbee, The Task of Disengaging the Essence from the Non-essentials in Mankind s Religious Heritage, in An Historians Approach to Religion (New York: Oxford University Press, 1956, pp. 261-83; Wilfred Cantwell Smith, The Meaning and End of religion (New York: New American Library, 1964, chaps. 6 and 7; Bernard J. E Lonergan, Method in Theology (New York: Herder and Herder, 1972, pp. 101~24. Walter T. Stace, Mysticism and Philosophy (Philadelphia: Lippincott, 1960; Frithjof Schuon, The Transcendent Unity of Religions (New York: Harper & Row, 1975); Thomas Merton, The Asian Journal of Thomas Merton, Naomi Burton et al., cds. (New York: New Directions, 1975), pp. 309-17. / [2]Jeremy Bernstein, Beyond Objectivism and Relativism: Science, Hermeneutics, and Praxis (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 1983); Richard Rorty, Philosophy and the Mirror of Nature (Princeton University Press, 1979); Francis Schüssler Fiorenza, Foundational Theology: Jesus and the Church (New York: Crossroad: 1984), pp. 285-311. George A. Lindbeck, The Nature of doctrine: Religion and Theology in a Postliberal Age (Philadelphia: Westminster, 1985). / [3]Bernstein, Beyond Objectivism, p. 8. / [4]Thomas B. Ommen, Relativism, Objectivism and Theology, Horizons, 13 (1986) 299.) 1 P. Vicentini, Panikkar e la crisi del mondo moderno , in «Internet» 2000, http://estovest.hypermart.net/prospettive/panikkar.html: «Tecnica e tecnologia. Non bisogna però confondere tecnologia e tecnica: la tecnica è un'arte (poietikê technê), nella quale l'intelligenza umana si integra nella materia per produrre un artefatto (ceramica, musica, poesia, un edificio, ecc.) che migliori il benessere e la bellezza della vita umana. Si deve essere ispirati per produrre qualsiasi tipo di attività tecnica, è necessario il pneuma (spirito). La tecnologia sorge quando allo spirito si sostituisce la ratio, cioè il logos, nel suo senso più ristretto di razionalità discorsiva. A questo punto nella technê si introduce l'aritmetica, cioè un ritmo (il risultato di una mens, mensura), e allora il risultato della tecnica può essere riprodotto indefinitamente quando se ne conosca la sigla numerica [TB pp. 20 e 24; NI p. 134-135]. Ogni artefatto ha il suo stile e, in un certo senso, è unico, anche quando se ne producano più esemplari. Però c'è un momento in cui il cambiamento quantitativo introduce un mutamento qualitativo [TB p. 25]. Questo mutamento avviene attraverso l'utilizzo di macchine, cioè strumenti di secondo grado, che finiscono poi per imporre all'uomo le proprie regole. La tecnologia, da strumento, giunge a trasformarsi in fine: l'uomo cessa di essere un artigiano, la cui arte è caratterizzata dalla creatività, e diventa un lavoratore; non lavora più ad una sua opera per il proprio benessere, ma per qualcuno che non conosce e con cui probabilmente non andrebbe d'accordo, al prezzo di un salario [NI pp.136 e 165]». 2 M. Azkoul, What are the Differences between Orthodoxy and Roman Catholicism? , (Reproduced with permission from The Orthodox Christian Witness), Vol. XXVII (48), Vol. XXVIII (6) and (8) (Copyright, 1994 St. Nectarios American Orthodox Church), in «Internet» 1996, http://www.ocf.org/OrthodoxPage/reading/ortho_cath.html: «This question has been asked many times. Most Orthodox, in attempting to distinguish between Orthodoxy and Roman Catholicism, usually mention the Pope or Purgatory, sometimes the filioque. Historically, the differences, however, are far more numerous and quite profound. Also, in modern times, since Vatican II of thirty years ago, that major, if not tragic attempt, to "update" Roman Catholicism (e.g., the revision of canon law), the differences between Orthodoxy and the followers of the Pope have widened. In our present discussion, however, the concern will be those differences which have grown since Orthodoxy and 250 impostazione occidentale a quella orientale sarà tanto più sensibile alla messa in questione del razionalismo dell’occidente, che sembra pervadere la teologia, anche se viene sottolineato che l’oriente non si presenta in nessun modo come negando il valore della ragione e dell’intelletto in quanto tale 1. Si potrebbero anche trovare delle formulazioni che focalizzano le differenze tra un Roman Catholicism separated almost a thousand years ago. 1. Faith and Reason. Following the Holy Fathers, Orthodoxy uses science and philosophy to defend and explain her Faith. Unlike Roman Catholicism, she does not build on the results of philosophy and science. The Church does not seek to reconcile faith and reason. She makes no effort to prove by logic or science what Christ gave His followers to believe. If physics or biology or chemistry or philosophy lends support to the teachings of the Church, she does not refuse them. However, Orthodoxy is not intimidated by man's intellectual accomplishments. She does not bow to them and change the Christian Faith to make it consistent with the results of human thought and science. St. Basil the Great advised young monks to use Greek philosophy as a bee uses the flower. Take only the "honey," ---- the truth --- which God has planted in the world to prepare men for the Coming of the Lord. For example, the Greeks had a doctrine of the Logos. The Gospel of John opens, "In the beginning was the Word (Logos, in Greek). For the pagans, the Logos was not God, as He is for Christians; rather he is a principle, a power or force by which "God: formed and governs the world. The Fathers pointed to the similarity between the Logos or Word of the Bible and the Logos of Greek philosophy as a sign of Providence. The difference between them, they attributed to the sinfulness of men and the weakness of the human intellect. They remembered the words of the Apostle Paul, "Beware lest any man spoil you through philosophy and vain deceit, after the tradition of men, after the rudiments of the world, and not after Christ" (Col. 2: 8). Roman Catholicism, on the other hand, places a high value on human reason. Its history shows the consequence of that trust. For example, in the Latin Middle Ages, the 13th century, the theologian-philosopher, Thomas Aquinas, joined "Christianity" with the philosophy of Aristotle. From that period till now, the Latins have never wavered in their respect for human wisdom; and it has radically altered the theology, mysteries and institutions of the Christian religion». 1 D. B. Clendenin, A Protestant Examines Orthodoxy, in «Internet» 1996, http://www.ocf.org/TheChristianActivist/AProtestantExamines.html: « Following the legacy of the Enlightenment, the West has enthroned reason and logic as the final arbiters of all matters of truth, so much so that it is not uncommon for scholars to speak of the autocracy of reason in Western culture. In the West, all truth claims mu st pass the test of rational intelligibility that is administered at the bar of reason. Many trace this orientation back to the Christian philosopher Rene Descartes (1596-1650) and his two works Discourse on Method (1637) and Meditations on First Philosophy (1641), which attempted to ground all philosophic and religious thinking in a new and solid starting point. In contrast to its enthronement of logic, the rationalistic orientation has a positive distrust of, even a disdain for, concepts like myth and mystery. The rationalist mind-set is intolerant of, embarrassed by, and condescending toward the whole category of mystery. In his perceptive study of the differences between Eastern and Western ways of thinking, Anthony Ugolnik observes that our educational training actually teaches us to distrust and eliminate mystery. Citing the anthropologist and structuralist Claude Levi-Strauss as an example of this orientation, Ugolnik points out that rationalism's precondition for all belief, its "mission in modernity," is to expunge mystery, "to make the unknown known." Levi-Strauss acknowledged that myth functions as an organizing principle for the mind, but, Ugolnik notes, he did so only in a patronizing sense; what he gave with the right hand he took away with the left. "Myth," wrote Levi-Strauss, "gives man, very importantly, the illusion that he can understand the universe and does understand the universe. It is, of course, only an illusion."[1] This "devastating qualifier" that myth (i.e., mystery) is only an illusion, Ugolnik contends, symbolizes "both the arrogance and tragedy of modern rationalism."[2] Supremely confident in its own powers, convinced of its duty to explain the inscrutable, and intolerant of mystery, rationalism typifies the mentality of many, if not most, thinkers in the West. Eastern thinkers, by contrast, begin their thinking about God with a very different mind-set. As the examples of my students Vasily and Maxim show, Eastern thinkers typically exhibit a skepticism toward Western rationalism; some have even suggested that such distrust of rationalism is endemic to Orthodoxy. Conversely, Orthodoxy fosters a positive appreciation for mystery.[3] Any number of Orthodox thinkers could be cited to verify this characterization. An anti-Western posture is particularly strong in the so called Slavophile movement. Thinkers like Alexei Khomiakov (1804-60) and Lev Shestov (1866-1938) were sharply critical of Peter the Great's Westernizing program and the concomitant influence of rationalism in particular. Shestov's rejection of rationalism was one of the most uncompromising and categorical to appear in Russian thought. He insisted that Kant's demand that theology justify itself before the bar of reason would inevitably lead to an "autocracy of reason"; reason would be the master, placing the cause of religion "in a bad way."[4] In Shestov's thought, biblical faith and philosophic reliance on logic were two very different and incompatible vantage points. Khomiakov, the chief advocate of the Slavophile movement, sees Protestantism and Catholicism as two versions of the same incipient rationalism; both are completely incompatible with Eastern Orthodoxy. In Khomiakov's thought, these two Western expressions of Christianity are rooted in the soil of rationalism and do not even deserve the appellation of faith. Orthodoxy "stands on completely different soil" and must be vigilant lest the "ruinous legacy" of Western rationalism, which contains "the embryo of death," kill the spiritual life of Eastern Christianity. Rooted in this fundamentally different perspective regarding reason and faith, Khomiakov insists that "the difference [between East and West] is so great that it is hardly possible to find one point on which they might agree.[5] It is important to note, however, that Eastern thinkers do not reject reason as a necessary component of human knowledge and experience. A reading of the Philokalia, the most important collection of Orthodox religious texts, will show the central role of the intellect in Eastern spirituality. While Eastern thinkers do not reject reason, they do reject what they see as the hubris of reason that now typifies Western culture. As seen from the Eastern perspective, Westerners need to move beyond their propensity to reductionistic rationalism and gain a positive appreciation for the categories of myth and mystery, categories which, the Orthodox are eager to remind us, inhere in our Christian profession and have been historically emphasized by Eastern Christendom». 251 oriente dove il mistero appare pienamente presente in tutte le dimensioni della vita ecclesiale ed un occidente maggiormente interessato alla ufficializzazione e formalizzazione della fede, lasciando al mistero la sfera non ufficiale e orante (liturgica) dell’intento ecclesiale 1. Razionalizzazione e formalizzazione avrebbero -così- qualcosa in comune, suggerendo già un anticipata spiegazione sulla differenza tra teologia formale in occidente e teologia spirituale (o mistica ) in oriente. L’occidente utilizzerebbe la razionalità per meglio formalizzare ciò che intende esprimere. Da questo punto di vista, si tratta di una scelta di linguaggio con la sua particolare articolazione. Si distingue il linguaggio emotivo della spiritualità e quello coerentemente logico della teologia e della ufficialità ecclesiastica. La teologia e la dottrina della gerarchia si scontreranno più facilmente perché legati ad uno stesso linguaggio: quello razionale della coerenza verificata. L’intento pluralista non riprenderà, però, il riferimento all’oriente per uscire dall’impasse razionalo-occidentale 2. Non ci si orienta neanche verso il postmoderno con tutte le sue implicazioni più recenti. La frattura indica, come soglia di re-articolazione, una nuova innocenza complessiva 3. Un dissolvimento radicale porta a questa nuova innocenza. Tale scioglimento potrebbe ricordare la post-modernità. In genere, a differenza dei commenti sulla (1. Claude Levi-Strauss, Myth and Meaning (New York: Schocken, 1979), 17. / 4. Anthony Ugolnik, The Illuminating Icon (Grand Rapids: Eerdmans, 1989), 144. / 8. Frederick C. Copleston, Philosophy in Russia (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 1986), 16; Sergius Bulgakov, The Orthodox Church, rev. ed. (Crestwood, N.Y.: St. Vladimir's Seminary Press, 1988), chap. 11, "Orthodox Mysticism." / 9. Lev Shestov, Speculation and Revelation, trans. Bernard Martin (Athens, Ohio: Ohio University Press, 1982), 41, 21. On Shestov see Frederick C. Copleston, Russian Religious Philosophy (Notre Dame: University of Notre Dame Press, 1988), chap. 6. / 10. Alexei S. Khomiakov, "On the Western Confessions of Faith," in Alexander Schmemann, ed., Ultimate Questions: An Anthology of Modern Russian Religious Thought (Crestwood, N.Y.: St. Vladimir's Seminary Press, 1977), 29-69.) W. E. Wiest, The Centenary of the Greek Orthodox Archdiocese of North and South America: an Appreciation , in A. J. Philippou (Ed.), The Orthodox Ethos, Oxford 1964, p. 8: «Ernst Benz assert that when Adolf Harnack condemned the introduction of Greek thought into 1 Chritianity when dogmas were formulated in the early Christian centuries, judging it all a false intellettualization of the faith, he failed among other things to appreciate how closely dogma is integrated with worship in the Orthodox tradition.1 Credal formulations are incorporated into the Liturgy and transformed into hymns of praise. Timothy Ware points out that the Nicene-Constantinopolitan Creed is used both in the Eucharitic Liturgy and the daily Compline, while the Apostles and Athanaian Creeds are not used just because they were not officia1ly proclaimed as dogma by any Ecumenical Council.2 The western tendency is rather to consign official teachings to separate confessional statements and to thedogical textbooks, while unofficial ones are used in worship». (1 The Significance of the Eastern and Western Traditions for the Christian Church, in Orthodoxy, a Faith and Order Dialogue, Geneva, Switzerland, World Council of Churches, «Faith and Order Paper n° 1 30», 1960, pp. 40-42. / 2 R. Ware, The Orthodox Church, Pinguin Books Ltd, (Pelican Original), 1963.) 2 P. Vicentini, Panikkar e la crisi del mondo moderno , in «Internet» 2000, http://estovest.hypermart.net/prospettive/panikkar.html: «3. Trasformazione. È una metamorfosi, una mutazione radicale della forma (morphê). Non vuol dire riformare un po', cambiare questo o quello, ma realizzare un cambiamento radicale, una metànoia, una vera rivoluzione della mente, del cuore e dello spirito. Voler fare soltanto qualche aggiustamento e riformare il sistema significa solo prolungare l'agonia. Emanciparsi veramente dalla tecnologia vuol dire saltare al di là di questa cultura che l'ha creata. L'occidente da solo non lo può fare, e l'oriente ancora meno: c'è bisogno di un incontro di culture. È qui che si rende indispensabile il dialogo "intrareligioso" come condizione per la salvezza dell'umanità. La mutua fecondazione delle culture è l'unica cosa che ancora potrà salvarci [SD pp. 10, 17; TB pp. 44, 70-72, 144; NI pp. 47-48; EC p.28]. Non esiste infatti un'alternativa globale, così come non esistono, né forse sarebbero desiderabili, una cultura globale, una prospettiva globale, una lingua ed una religione universali, un unico ordine mondiale perfetto, politico o economico [TB pp.144-148]. Ci sono solamente alternative provvisorie, secolari e pluraliste [TB pp.155-160,NI pp.160-167]». 3 P. Vicentini, Panikkar e la crisi del mondo moderno , in «Internet» 2000, http://estovest.hypermart.net/prospettive/panikkar.html: «La nuova innocenza. Panikkar non propone un ritorno indietro ad una specie di primitivismo, ad un Paradiso perduto, non ha una visione romantica del passato o della natura [NI p. 142; TB pp.68,148; EC p.122]. Invita, invece, a trovare una "nuova innocenza", un modo di conoscere e vivere che non crei contrapposizioni, dualismi, come quello fra soggetto e oggetto tanto caro alla cultura occidentale moderna, e così non ferisca (nocère), non manipoli la realtà [NI pp. 37-41]. Invita cioè a rinunciare a quella volontà di potenza, a quella smania di dominio sulla realtà che ha guidato per secoli l'umanità conducendola sull'orlo del baratro e ad abbracciare una visione del mondo fondata sulla relazione. Per realizzare la nuova innocenza è fondamentale, per Panikkar, ripristinare una relazione "cosmoteandrica" fra le tre fondamentali dimensioni della realtà ed una visione contemplativa dell’esistenza». 252 modernità, quelli sulla postmodernità non menzionano prioritariamente degli eventi che modificano lo svolgersi dell’esperienza umana nella storia ma il cambiamento di una sensibilità, o di una mentalità, o di una filosofia 1. Altri menzioneranno dati concreti o precisi per situare la così detta postmodernità 2. La meditazione antropologica sui dati raccolti potrebbe fermarsi al riassunto delle emancipazioni per la modernità e l’avvio dei scioglimenti come avvio della postmodernità (vedere i nostri schemi qui sopra). Certuni condensano questi scioglimenti in una formula specifica: l’abbandono del riferimento universale 3. Apparendo come uno smembramento della modernità, la postmodernità non sarà considerata come capace di portare a compimento ciò che ancora non era stato realizzato dalla modernità: l’emancipazione fino in fondo dell’esperienza L. De Chirico, L’evangelismo tra crisi della modernità e sfida della postmodernità, in «Studi di teologia», 1997 nº 1 ( Modernità e postmodernità), pp. 18-19: «Postmodernità è un termine impostosi di prepotenza negli ultimi decenni tanto da diventare una parola alla 1 moda ed essere usata cori una certa, forse troppa, libertà 1. Pur essendo stato impiegato per la prima volta nel 1917 dal filosofo tedesco Rudolf Pannwitz in riferimento al tema nietzscheano del nichilismo, è dagli anni Cinquanta-Sessanta che compare praticamente in tutti gli ambiti immaginabili della cultura occidentale. La postmodernità ha oggi tantissimi canali di diffusione per qualsiasi fascia d'età e per tutte le classi di appartenenza; lo share dei suoi spettacoli multimediali segna picchi elevatissimi e la sua infiltrazione nella società ha già raggiunto livelli prossimi alla saturazione. Forse l'uomo della strada non avrà letto Derrida ma si riempie la bocca nel dire che li non c'è la verità, ma molte verità"; forse non avrà mai sentito parlare delle "grandi narrazioni" ma dice convinto che "ognuno ha la sua idea e non deve essere imposta agli altri"; forse l'anarchia epistemologica gli risulterà un'espressione del tutto priva di senso ma difende il principio secondo il quale "ognuno può fare ciò che vuole"; forse non immaginerà cosa sia il metodo genealogico ma sostiene convinto che "è il potere a muovere tutto". La sensibilità postmoderna testimonia in primo luogo il profondo disagio che l'uomo contemporaneo avverte di fronte a lle conseguenze storiche del progetto della modernità, così come si presentano alla fine del Ventesimo secolo 2. Esse sono alquanto ambivalenti, a volte contraddittorie, molto spesso deludenti. Nella Dialettica dell'illuminismo (1 947), Horkheimer e Adorno hanno offerto un'analisi devastante della società tecnologica alla luce dell'esperienza della Germania di Hitler e della Russia di Stalin. L'illuminismo quale tragitto volto a nazionalizzare il mondo va incontro all"'autodistruzione" e all'ulteriore alienazione dell'uomo; il progetto che ricercava l'emancipazione dell'uomo si ritorce contro se stesso e produce un sistema di oppressione universale. Questa celebre tesi della Scuola di Francoforte ha avuto profonde ripercussioni sulla formazione della critica postmoderna. Secondo questa visione, la modernità ha essenzialmente prodotto effetti nefasti: tra gli altri, la violenza contro la natura (es.: il buco di ozono e lo sfruttamento sconsiderato delle risorse) e contro l'umanità (es : : Auschwitz e Hiroshima), le catastrofi della civiltà tecnico-scientifica (es.: Bhopal, Chernobyl), la sete di dominio estesa su scala mondiale (es.: colonialismo, guerre mondiali), non solo la mancata emancipazione dei poveri e dei deboli ma la resa ancor più strutturale delle ingiustizie sociali (es.: allargamento della forbice Nord/Sud). Questa tragica presa d'atto non è fine a se stessa ma ha comportato anche la messa in discussione radicale della base ideologica della modernità che ne ha ispirato l'attuazione del progetto: in questa linea sono da collocare le riflessioni postmoderne sull'indebolimento della categoria del "soggetto" 3 sull'inevitabile assolutismo della ragione razionalista, sull'indebita coercitività di una metodologia della conoscenza universale, sulla necessaria contingenza di ogni sapere e di ogni valore, sulla pericolosa superficialità della fede nel progresso ineluttabile, sull'intirinseca imprevedibilità della tecnoscienza e sui rischi incalcolabili dello sviluppo industriale». (1 Utili letture introduttive sonoConnor(1989), Harvey (1993) e Veith (1994); per un taglio più filosofico, cf Verhaar(1995), Coccolini (1995) e Llano (1996). / 2 Cf. Giddens (1994). / 3 Cf. Bein Ricco (1990).) 2 A. Stefanizzi, Le nuove tecnologie di comunicazione , Roma 1983, p. 11: «È nata, poi, una nuova branca della scienza, l’informatica, fondata sul trattamento automatico dell'informazione da parte degli elaboratori elettronici, che, per il carattere innovativo e la molteplicità delle applicazioni, chiude la società industriale per caratterizzare quella postindustriale, o postmoderna, che avanza». 3 R. Mancini, La svolta comunicativa del neo-illuminismo e la teologia cristiana, in «Firmana. Quaderni di teologia e pastorale», 1993 nº 2, p. 32: «La ragione moderna in fondo ha esaurito gran parte delle sue possibilità e sembra arrivata se non ad un vicolo cieco, di sicuro ad un bivio, dove una delle due strade è un vicolo cieco. Si tratta di vedere se ci sono delle possibilità ulteriori, se esiste un'altra via. D'altra parte molti teorici hanno decisamente preso congedo da questa ragione in nome del post-moderno o del pensiero debole. Dicono costoro: di sicuro, la modernità ha esaurito il suo cammino, dobbiamo affidarci invece alla pluralità irriducibile dei discorsi, dei comportamenti, delle culture, senza più pretendere di fare progetti universali, senza più pretendere di unificare, di totalizzare le culture, le etiche, le politiche. Secondo gli autori della post-modernità -in Italia Vattimo, in Francia Derrida- ogni universalità non può che essere violenta, e in realtà, l'ultima parola resta alla differenza in quanto tale. I1 post-moderno sarebbe appunto l'età che rinuncia all'universalità, che rinuncia a totalizzare in una qualche sintesi gli aspetti diversi delle culture umane, delle etiche, delle politiche. Nemmeno nel nome d el dialogo, nemmeno nel nome della comunicazione è allora possibile pervenire alla universalità. La modernità come portatrice di un pensiero universale deve essere abbandonata. Habermas e Apel ribattono che, se noi abbandoniamo qualsiasi tipo di riferimento universale, allora non usciamo dalla crisi storica di cui si diceva prima. La crisi ci obbliga a recuperare dei riferimenti etici universali. I1 problema è che sia no veramente universali, che non siano espressione di una visione egocentrica, occidentale o espressione di qualche altra cultura particolare, ma siano così ampi da essere condivisibili da ogni punto di vista. Sembra quasi una scommessa al limite dell'impossibile e che tuttavia tenta di recuperare il classico progetto dell'illuminismo, quello di una prospettiva umana in quanto tale, che raccolga la famiglia umana nel suo insieme». 253 umana 1. Questo dissolvimento sembra -a taluni- consistere nella perdita dei grandi racconti (narrazioni) 2. Difatti, può darsi che l inscatolamento dei grandi racconti diventi un operazione ormai impossibile... Dagli accenni qui sopra raccolti cappiamo già che la comunicazione odierna 'trasforma le mentalità', e che dentro di essa un processo può essere percepito dove l'impostazione etica viene inevitabilmente coinvolta. Se volessimo suggerire il punto 'dolens', andrebbe -forse- richiamata l'attenzione su certi divari che 'covavano' nella esperienza detta 'moderna' e che risucchiano implosivamente tutto ciò che li circonda in una 'rottura' comunicativamente percepita. Questi divari sono le 'distanze' tra il così detto 'progresso moderno' e le simboliche arcaiche nuovamente affermatesi nella soglia 'post-moderna'. La postmodernità viene però anche considerata come il rovescio della medaglia della modernità nella sua forma di disincanto 3. Sembra che si voglia così intensamente ricuperare il grande rifiuto della modernità da parte della nostra Chiesa -a livello ufficiale o gerarchico- che essa non debba in nessun modo essere soppiantata da una fase ulteriore dell’esperienza umana. Inoltre, può darsi che l’inscatolamento dei grandi racconti diventi una operazione ormai impossibile... RITROVARE UNA DINAMICA ANTROPOLOGICA CONDIVISIBILE 1 R. Mancini, La svolta comunicativa del neo-illuminismo e la teologia cristiana, in «Firmana. Quaderni di teologia e pastorale», 1993 nº 2, pp. 32-33: «In questo dibattito tra modernità e post-modernità il neo-illuminismo difende la modernità, difende la parte incompiuta del progetto moderno. In che senso? Nel senso che nel pensiero moderno c'era l'ideale di una ragione emancipatrice, di una ragione che liberasse l'uomo da ogni dominio, in quanto ogni dominio dell'uomo sull'uomo si regge su una giustificazione ideologica. Quest'ultima in realtà, non solo è sbagliata eticamente, ma è falsa, cioè si regge su promesse false, impone una sua verità dogmaticamente e poi la impone concretamente sul piano storico, sul piano politico. I totalitarismi di questo secolo ne sono stati l'espressione più chiara. Questa è stata la dialettica dell'illuminismo, interna all'illuminismo stesso, secondo le analisi dei maestri di Habermas, che erano i primi autori della scuola di Francoforte: Adorno, Horkheimer, Marcuse. I1 vero problema, allora, è tentare una via che sia liberazione, emancipazione, che sia liberazione dal dominio, facendo in modo che la liberazione non edifichi, quasi per una sorta di incantesimo malefico, un nuovo dominio. In fondo molti totalitarismi, compreso il comunismo di tipo sovietico, sono nati non con l'abito del totalitarismo in quanto tale, ma in nom e dei diritti umani, della libertà per un verso, della giustizia per l'altro, rovesciandosi poi in nuove forme di dominio». 2 A. Rizzi, Condivisione come comunicazione nella Chiesa e nella società , in «Firmana. Quaderni di teologia e pastorale», 1993 nº 2, p. 129: «b) Condivisione nella società post-moderna. Su questo punto posso dire pochissime cose; meriterebbe certamente una conversazione a se, però almeno una cosa vorrei dire. Parto dal "racconto". Qualcuno di voi sa che il primo interprete della condizione post-moderna l'ha definita proprio nei termini di "perdita dei grandi racconti" 1. I grandi racconti erano, secondo questo interprete, quelli che alimentavano la coscienza moderna. L'illuminismo, l'idealismo e soprattutto il marxismo, i grandi sistemi, erano sistemi che raccontavano la storia e avevano la loro forza in questo raccontare la storia nel senso che la leggevano in termini che pensavano essere profondi, radicali, e che la interpretavano nella sua unità evolutiva. La stbria in cammino da sempre verso un punto finale, di cui la coscienza moderna illuminista e poi marxista sentiva di essere lo snodo fondamentale. Il racconto ti metteva nella storia già vissuta e soprattutto nella fase ultima che ancora doveva venire, in quanto storia di cui si poteva prefigurare l'avvento, perché questo ne era il termine necessario. Colui che si muoveva dentro questo breve spazio, che manca tra la penultima fase della storia, quella in cui siamo, e quella che sarà l'ultima e definitiva, irreversibile, sente di compiere l'opera più grande che mai sia stata compiuta, cioè di essere il contemporaneo della gestazione ultima della storia. Questo racconto, che è insieme un racconto del passato e un racconto in avanti, cioè la grande utopia (questa era l'anima della modernità), questo racconto è caduto. E il post-moderno è proprio la condizione di chi vive dentro le macerie dei frammenti, frammenti non più componibili, di questi grandi racconti. Credo sia questa una delle ragioni per cui oggi si insiste nel dire: ritroviamo la memoria! Ma se fate ben caso di selito si intende la memoria delle cose da evitare, p.e. la memoria di Auschwitz. I testimoni dell'olocausto scrivono perché non vada perduta la memoria di quello che è accaduto e ricordandocene si faccia sì che non accada più. La memoria è solo ricordare il negativo accaduto per evitarlo forse perché ci sembra non ci sia nulla indietro di così positivo che meriti di essere ricordato. In un certo senso è vero, evidentemente parlo della memoria che si protende all'indietro dentro lo spazio della modernità. In realtà le letture che oggi facciamo dei grandi avvenimenti della modernità ce li fanno ritrovare grondanti lacrime e sangue, anche là dove poi è nato del positivo». ((1) J. F. Lyotard, La condizione post-moderna, Milano 1981. Vedere anche L. De Chirico, L’evangelismo tra crisi della modernità e sfida della postmodernità, in «Studi di teologia», 1997 nº 1 (Modernità e postmodernità), pp. 24-25.) 3 J. Duval, Eglise et modernité , in «Documents épiscopat», 1995 nº 15, p. 9: «IV LA MODERNITE DESENCHANTEE (LA POSTMODERNITE). La modernité apparaissait comme une conquête, voire comme une réussite de notre monde ou du moins comme un état de fait plutôt p ositif. Actuellement, beaucoup d’auteurs font un bilan négatif - les mots désenchantement, désarroi reviennent souvent. Nous serions entrés dans un monde désenchanté, la postmodernité». 254 Invece di una base comune di tipo più teorico-concettuale, vi sono proposte che suggeriscono un ambiente comune maggiormente metodologico, particolarmente dalle prospettive antropologiche (studio delle modalità dell’esperienza umana): ispirazione-aspirazione comune, pluralità di voci, ambientazione comune 1... La riscoperta antropologica parte si dirà- da quella di una tridimensionalità costitutiva umana 2. 2° DALL’INTENTO ECUMENICO AL PLURALISMO: L’APPARTENENZA PLURIRELIGIOSA Si insiste -il più delle volte- sulla differenza tra dialogo ecumenico e dialogo con le religioni dell'umanità 3. Se il dialogo ecumenico è conversione comune delle Chiese a Cristo con la metodologia di mutua disponibilità, il dialogo interreligioso insisterà sulla priorità aperta della disponibilità radicale di fiducia mutua e franchezza nella scambio in piena uguaglianza tramite una religatio reciproca 4. Si parlerà -a questo livello- di religioni tradizionali 5. Non si potranno ignorare, in questo senso, i criteri di Heschel sul fatto che nessuna religione sta per conto suo o è una isola a se stante (magari da qualche parte nel cielo, per conto proprio) 6. Qualche sprovveduto 1 P. F. Knitter, Toward a Liberation Theology of Religions , in John Hick Paul F. Knitter, The Myth of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic Theology of Religions, Maryknoll, New York, seventh Printing February 1998, p. 178-218, etiam in «Internet» 2006, http://servicioskoinonia.org/relat/255e.htm: «Disavowing any universal theory for the religions, Panikkar still invokes one aspiration (in the literal sense of one breath) or one inspiration (as one spirit) for all the religions.[1] Bernstein proposes a dialogical model based on reason that can be shared by the plurality of voices.[2] Other philosophers invoke a universal human bridgehead of shared perceptions and logical standards that provide a basis for translating between perspectives.[3] Heinrich Ott, though viewing Buddhism and Christianity as two clearly distinct paths, trusts that they are moving through the same woods or through a common neighborhood [4]». ([1]Panikkar, A Universal Theory of Religion. / [2]Bernstein, Beyond Objectivism, p. 172. / [3]Martin Hollis, The Social Destruction of Reality, in Rationality and Relativism, M. Hollis and S. Lukes, eds. (Cambridge:MIT Press, 1984), pp. 67~86; Steven Lukes, Relativismin Its Place, ibid., pp. 261-305. / [4] The Beginning Dialogue between Christianity and Buddhism, the Concept of a Dialogical Theology and the Possible Contribution of Heideggerian Thought, in Japanese Religions, Sept. 1980, pp. 87-91, 96.) 2 P. Vicentini, Panikkar e la crisi del mondo moderno, http://estovest.hypermart.net/prospettive/panikkar.html: «L'intuizione cosmoteandrica. Il divino, l'umano e il terrestre -o comunque li si voglia chiamare- sono le tre dimensioni irriducibili che costituiscono il reale, cioè qualsiasi realtà in quanto tale. Tutto ciò che esiste presenta questa struttura, triplice e unica, espressa in queste tre dimensioni che si generano reciprocamente ma non sono riducibili l'una all'altra. Vi è un'unica relazione, benché intrinsecamente triplice, che esprime la costituzione ultima della realtà [NI pp.59-60] : è questa l'intuizione cosmoteandrica. Panikkar è consapevole di riformulare, in questi termini, un principio ben noto alle varie tradizioni spirituali e che egli stesso ritrova, ad esempio, nella concezione cristiana della Trinità o in quella buddhista della pratityasamutpada. La realtà mostra questa triplice dimensione: un aspetto metafisico (trascendente o apofatico), un fattore noetico (o cosciente, pensante) e un elemento empirico (fisico o materiale) [NI p. 67]. A livello umano, poi, questo principio si esplica nei tre fondamentali modi di percepire la realtà: l'esperienza sensibile (aisthêsis), l'esperienza intellettuale (noêsis) e l'esperienza sovraconoscitiva e globale che trascende il pensiero (mystika) [EC pp. 41, 155; SS pp. 70-71]. La visione cosmoteandrica o relazionale della realtà supera sia il monismo sia il dualismo, tanto che potrebbe essere definita non-dualista, ed è il frutto, in ultima analisi, di un'esperienza mistica, e come tale ineffabile, che rimanda ad un dimensione contemplativa venuta meno con la cultura moderna [NI pp.67,161]». JOINT WORKING GROUP BETWEEN THE ROMAN CATHOLIC CHURCH AND THE WORLD COUNCIL OF CHURCHES, Ecumenical Formation. Ecumenical Reflections and Suggestions, in Information Service , 1993 n 84, p. 179 n° 23-24. 4 R. Panikkar, Myth, Faith and Hermeneutics , New York 1979 pp. 4, 232, 242-243; idem, Metatheology or Diacritical Theology , in Concilium , 3 1969 n° 46, p. 54. Cfr CONSEIL PONTIFICAL POUR LE DIALOGUE INTERRELIGIEUX, Lettre aux présidents des Conférences épiscopales d Asie, d Amérique et D’Océanie, in «La documentation catholique», 1994 n° 2088, pp. 168-170. 6 I quattro principi di Heschel del 1966 sono citati nel contesto del 25 anniversario di Nostra Aetate, in E. I. Cassidy, Address for the Commemoration in São Paolo, in Information Service , 1990 n 77, p. 74; cfr M. Eliade - J. Kitagawa, The History of Religions: essays in methodology, Chicago 1959; vedere anche R. Panikkar, The Interreligious Dialogue., New York 1978, p. 26; idem, The Unknown Christ of 5 255 portavoce dell’ufficialità si azzarda a delineare la differenza tra cristianesimo e religioni (naturali, dette anche pagane {!}) a modo di contrasto radicale tra unire senza miscuglio e confusione e essere tutto miscuglio e confusione 1. IL PUNTO DI PARTENZA DELLA LEGITTIMA DIVERSITÀ NELL’INTENTO ECUMENICO La questione della diversità è stata affrontata in seno alle tradizioni cristiane dal movimento ecumenico contemporaneo del XX secolo. La piena comunione suppone la legittima diversità nelle tradizioni liturgiche, canoniche, dottrinali 2 che esprime l'inesauribilità del mistero ecclesiale attuato nelle molteplicità delle forme che esprimono la pienezza del Dono. Il riferimento inderogabile all’unico Cristo, il ‘solus Christus’ della Riforma d’occidente, permette una generosa pluralità o libera diversità ecclesiale 3. Si era pensato che là dove le differenze 'confessionali' perdevano di rilevanza, la pluralità delle Chiese poteva essere compresa come espressione di diversità 4, o come una varietà confessionale legittima (per i pentecostali). La pluralità nell’unità è una premessa degli anticipatori del movimento ecumenico stesso: da von Hügel alla visione sobornostica di Chomjakov 5. La Comunione anglicana (e. g. nella Conferenza di Lambeth, risoluzione 22, del 1988) ha seguito questa chiave prioritaria 6. L'unità nella diversità si vive come consenso mutuo e si raggiunge tramite l'itinerario di conciliarità (di maturazione nella riconciliazione) delle Chiese, prospettando modelli ispirativi di comunione ecclesiale. Per le tradizioni della Riforma d'occidente il senso della esclusiva capacità di unificazione nel Cristo solo suggeriva che la 'libera diversità' delle forme ecclesiali ne era una esemplificazione. Se l'ovvio dell'unità è stato messo in cantiere, il sintomo dell'attuale 'freno' all'inventiva ecumenica potrebbe essere che non si sia preso atto che l'unità dal mistero è 'differenza': ben poco riconosciuta e Hinduism (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981, pp. 34, 69; idem, The Invisible Harmony: A Universal Theory of Religion or a Cosmic Confidence in Reality?, in L. Swildler, Towar a Universal Theology of Religion, New York 1987, p. 143; idem, Action and Contemplation as Categories of Religious Understanding, in Y. Ibish - I. Marculescu, Contemplation and Action in World Religions , London 1978, p. 102. Fa sorridere il semplicismo fondamentalista che viene tuttora proferito a nome della nostra Chiesa: F. Rodé, Exposé à l assemblée plénière du Conseil pontifical de la culture, in «La documentation catholique», 1994 n° 2094, p. 455. 2 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Decreto "Unitatis Redintegratio" , Città del Vaticano 1965, n° 14-18. 3 FEDERATION DES EGLISES PROTESTANTES DE SUISSE, Les Eglises protestantes de Suisse et le mouvement œcuménique, in «BIP», 1981 nº 1 821, p. 6: «C'est précisément parce que les Réformateurs étaient profondément convaincus de la puissance de rassemblement et d’unification du seul Seigneur Jésus-Christ qu'ils ont pu admettre avec une certaine générosité une pluralité de formes, en particulier en ce qui concerne la vie ecclésiastique. Ils ont pu dire ainsi qui la "libre diversité" des formes et des structures et des usages était une caractéristique de l'Eglise et qu'elle n'affectait nullement son unité». 4 5 P. Lengsfeld, Sind heute die traditionellen Konfessionsdifferenzen noch von Bedeutung, in «Una Sancta», 1971 N° 1, S. 36. J. Coulson, Il magistero dell’unica chiesa e le sue relazioni col sensus fidelium , in «Concilium» , 1975 nº 8, p. 147: «La concezione teologica alla base di questi inevitabili sviluppi è ancora una volta assai antica: è quella che considera la tradizione «la più grande molteplicità nella più profonda unità» (1). Questa definizione di von Hügel è espressa in modo ancor più icastico dai teologi russi del XIX secolo col termine sobornost, cioè - come dice Khomiakov - «unità nella pluralità... unanimità libera» (2). È una concezione che viene rivalutata man mano che diventiamo consapevoli della distinzione tra fede e credenze, e del fatto che l'unità di fede non è incompatibile con la diversità di credenze. Ed è anche ciò che forma la metodologia ecumenica e costituisce la base della nostra convinzione che possiamo in un modo nuovo diventare una cosa sola in Cristo». ((1) Von Hügel, The Mystical Element in Religion, (1923) vol. 1, pp. 66-67. / (2) Lettre au rédacteur de l'Union Chrétienne, à l'occasion d'un discours du père Gargarine, Jésuite, (1860), in AA. VV., L Eglise Latine, Losanna 1872, p. 398.) 6 M. Reardon, Unity in Legittimate Diversity, An Anglican Standpoint , in «One in Christ» 2002, n° 37/3, pp. 39-44. 256 valorizzata 1. L'intento ecumenico avrà come compito complessivo di 'de-monolitizzare' l'intento dell’unità, spesso recintato ed ingessato da una 'cappa ecclesiologica' fine a se stessa. La pluralità non è in concorrenza con l'unità: la diversità si muove nella comunione di cattolicità. Anzi, nella diversità, la cattolicità si congiunge con l’apostolicità ecclesiale 2. Parlando di cattolicità come totalità di vita ecclesiale, si arriva inevitabilmente a parlare della multiformità, o diversità, o pluralità, come ricchezza di espressione, di partecipazione e di risposta nella comunione ecclesiale. Si sente persino il bisogno di sottolineare, a proposito dei stessi documenti pontifici della nostra Chiesa, che il riconoscimento della diversità non è una 'captatio benevolentiae' 3. Ulteriormente, la diversità osservata nell’ambito cristiano sarà estesa a quella più generalmente religiosa 4. LA DIVERSITÀ INTERRELIGIOSA VERSO LA PLURALITÀ Il dialogo delle religioni e tra le religioni -comunque- non è una questione che riguarda esclusivamente le istituzioni religiose, o i culti di mediazione, ma s’iscrive in un intreccio comunicativo complessivo e fa eco alle antiche tradizioni di tolleranza religiosa volute da personaggi di rilievo della storia 5. Anche qui, non si potrà fare a meno di guardare al 'popolo di Dio' in mezzo alle genti, con un riesame comune di questa presenza 6. L'interrogativo comune di 1 Y. Congar, Diversités et communion, Paris 1982, p. 10 (riferimento agli accenni della Conferenza episcopale francese nella sessione del 1978). 2 L. Jäger, Das Konzilsdekret über den Ökumenismus, Paderborn 1965, S. 117. Cfr a proposito della enciclica di Giovanni Paolo II, Orientale lumen, Città del Vaticano 1995, in M. Violante, Dall'oriente nuova luce sull'ecumenismo, in «O odigos - la guida», 1995 n° 2, p. 1. 4 STANFORD ENCYCLOPEDIA OF PHILOSOPHY, Religious Diversity (Pluralism), in «Internet» 2006, http://plato.stanford.edu/ 3 entries/religiouspluralism/: «1. The Pervasiveness of Religious Diversity. Religious diversity exists most noticeably at the level of basic theistic systems. For instance, while within Christianity, Judaism, and Islam it is believed that God is a personal deity, wi thin Hinayana (Theravada) Buddhism God's existence is denied and within Hinduism the concept of a personal deity is, in an important sense, illusory. Within many forms of Christianity and Islam, the ultimate goal is subjective immortality in God's presence, while within Hina yana Buddhism the ultimate goal is the extinction of the self as a discrete, conscious entity. However, significant, widespread diversity also exists within basic theistic systems. For example, within Christianity, believers differ significantly on the nature of God. Some see God as all-controlling, others as self-limiting, and still others as incapable in principle of unilaterally controlling any aspect of reality. Some believe God to have infallible knowledge only of all that has occurred or is occurring, others claim God also has knowledge of all that will actually occur, while those who believe God possesses middle knowledge add that God knows all that would actually occur in any possible context. Some believe the moral principles stipulated by God for correct human behavior flow from God's nature and thus that such principles determine God's behavior, while others believe that God acts in accordance with a different set of moral rules, that for God what is right is simply whatever God does. Some believe that only those who have consciously "given their lives to Christ" will spend eternity in God's presence. Others believe that many who have never even heard the name of Jesus will enter God's presence, while others yet do not even believe subjective immortality (a conscious afterlife) to be a reality. While it is still somewhat popular in philosophical circles today to focus on diversity among basic theistic systems, there is a growing awareness that the same basic questions (and responses) that apply to inter -system diversity (for example, to differing perspectives on the most accurate basic theistic conception of God) apply just as clearly, and in exactly the same sense, to intra-system diversity (for example, to differing perspectives within Christianity over the extent of God's knowledge). And there i s increasing awareness that the practical import of intra-theistic diversity is just as significant as is that of inter-theistic diversity. For most Christians, for instance, the practical significance of retaining or modifying beliefs about God's power or knowledge is just as great as retaining or modifying the belief that Christianity is a better theistic explanatory hypothesis than is Islam (Basinger 2001, 2-3)». 5 Cfr e. g. L’editto del re Asoka della Nubia, in E. Hulzsch, Inscriptions of Asoka, Oxford 1925, vol. XIII. A. Soggin, Israele e le nazioni , in «Vita monastica», 1989 n° 51, pp. 59-62; P. Stefani, Israele e le genti nella prospettiva cristiana contemporanea, ibidem, pp. 73-92. 6 257 cristiani ed ebrei apre il campo più estensivamente al travagliato cammino religioso dell'umanità 1. Fratelli della Riforma sottolineano che il dialogo con le religioni non è una relativizzazione della fede ma una non assolutizzazione della nostra conoscenza del 'mistero' 2. Sorgerà, inevitabilmente l’interrogativo sul riferimento a Cristo in questo comune dialogo. Alcuni affermano che la teologia odierna nel suo insieme chiede l’abbandono della posizione antiquata sulla unicità cristiana in un mondo pluralista 3. Si propone di vedere -da parte di ognuno nella propria appartenenza religiosa- ogni assoluto come assoluto relazionale e non assoluto di esclusione o di inclusione 4. L’assoluto isolato in se è una contraddizione 5. Non è mancato il richiamo alla unicità radicale di Cristo, magari inclusiva, da parte indirettamente ufficiale 6. Ci si limita -pure talvolta- all’accenno sulla centralità del ruolo di Cristo 7. L'oriente cristiano sa che alcune dinamiche di altre religioni sono di origine orientale cristiana (il sufismo e la tradizione siriaca) e che le pratiche cultuali orientali sono strettamente legate alle religioni (sorgente ebraica o somiglianze con il buddismo) 8. Il dialogo è mediazione. Questa mediazione non è indifferente o neutrale, o -cioè- basta mettersi d'accordo sulla tattica di scambio ed il gioco è fatto... La mediazione è vita viva nella quale ci si inserisce, facendo propria la scommessa di una 'scambiabilità' condivisa nella e dalla stessa convivenza umana. Tra il monolitismo dell’eteronomia e l’individualismo dell’autonomia , si parlerà di ontonomia come processo di vita relazionata 9. Il terrore del sincretismo è una delle barriere che più drasticamente ci richiamano alla così detta 'prudenza' nel dialogo. Si sa che i rischi di 'miscuglio' troppo rapido e quasi da corto-circuito non sono stati frutto di intenzioni deteriori, nel passato, ma di una mancanza -chissà- della piattaforma e di una metodologia di scambio dove l'esplorare e l'imparare dall'altro non diventi un diretto identificarsi formalmente con esso. LA PUBBLICAZIONE DEL TESTO DOMINUS JESUS . INQUADRATURA ROMANA DEL DIALOGO CRISTIANO VERSOLE RELIGIONI DELL UMANITÀNEL 2000, AFFERMAZIONE DI SUPERIORITÀ? 1 Cfr COLLOQUIO DI CAMALDOLI, Il nostro essere - ebrei e cristiani sulla terra di tutti "Cercate lo shalom del paese" (Ger 29, 7), in «Vita monastica», 1990 n° 55; E. Toaff - M. Cunz - D. Garrone, "Cercate lo shalom del paese" (Ger 29, 7). Meditazione a tre voci, ibidem, pp. 1132. 2 J.-P. Dassonville, Dossier, les religions orientales: rencontre et dialogue. Point de vue d'un protestant évangélique, in «Unité des chrétiens», 1993 n° 91, pp. 8-9. 3 L. Sanneh, Encountering the West. Christianity and the Global Cultural Process: the African Dimension , New York 1993, p. 182. 4 R. Etchegaray, Intervention à la Conférence internationale sur la paix et la tolérance , in «La documentation catholique», 1994 n° 2090, p. 279; altri parleranno di relativity a differenza del ‘relativism’, di ogni verità con i suoi parametri, F. Wilfred, Beyond Settled Foundations, Madras 1993, pp. 101-102. 5 R. Panikkar, Man and Religion: a Dialogue with Panikkar , in «Jeevadhara» , 1981 n° 61, p. 12. 6 Cfr EDITORIALE, L unicità di Gesù e il pluralismo religioso , in «La civiltà cattolica», 1995 n° 3474, p. 543. Cfr CONSEIL PONTIFICAL POUR LE DIALOGUE INTERRELIGIEUX, Lettre aux présidents des Conférences épiscopales d’Asie, d’Amérique et d’Océanie, in «La documentation catholique», 1994 n° 2088, p.170 n° 10. 8 O. Clément, Dossier, les religions orientales: rencontre et dialogue. Point de vue d'un orthodoxe, in «Unité des chrétiens», 1993 n° 91, p. 7 10. 9 R. Wilfred, Beyond Settled Foundations, Madras 1993, pp. 102-103; R. Panikkar, Rtatatta: a Preface to a Hindu-Christian Theology, in «Jeevadhara», 1979 n 49°, p. 11. 258 Salta agli occhi l’intento del documento: affermare la specifica esclusiva della dottrina romana 1. Di fronte a questa priorità si prende atto che la posizione esclusivista esprime una convinzione di superiorità della propria religione 2. Da ciò che abbiamo già detto, non è difficile capire la convergenza di questo testo con l’insieme dell’impostazione giubilare romana. Manca invece -qui- ciò che è stato riequilibrato negli altri aspetti dell’Anno Santo: l’andare incontro alle difficoltà sentite da altri. Non si può certo essere esauriente sulla questione di merito e di fondo del documento nel quadro di questo bilancio provvisorio. Esso poi- estende la problematica al di là dell’intento ecumenico stretto per toccare la problematica del dialogo inter-religioso. La metodologia sembra quella di sempre, senza riferimento al giubileo (che viene peraltro presentato centrale in tutto ciò che concerne la vita ecclesiale centrale nel 2000), tanto che non si può ignorare la scelta del momento per pubblicare questo testo. Colpisce per alcuni- il tono fuori 1 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione "Dominus Iesus" circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, in «Internet» 2000, http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000806_ dominusiesus_it.html, nº 3-4: «3. Nella pratica e nell'approfondimento teorico del dialogo tra la fede cristiana e le altre tradizioni religiose sorgono domande nuove, alle quali si cerca di far fronte percorrendo nuove piste di ricerca, avanzando proposte e suggerendo comportamenti, che abbisognano di accurato discernimento. In questa ricerca la presente Dichiarazione interviene per richiamare ai Vescovi, ai teologi e a tutti i fedeli cattolici alcuni contenuti dottrinali imprescindibili, che possano aiutare la riflessione teolo gica a maturare soluzioni conformi al dato di fede e rispondenti alle urgenze culturali contemporanee. Il linguaggio espositivo della Dichiarazione risponde alla sua finalità, che non è quella di trattare in modo organico la problematica relativa all'unicità e universalità salvifica del mis tero di Gesù Cristo e della Chiesa, né quella di proporre soluzioni alle questioni teologiche liberamente disputate, ma di riesporre la dottrina della fede cattolica al riguardo, indicando nello stesso tempo alcuni problemi fondamentali che rimangono aperti a ulteriori approfondimenti, e di confutare determinate posizioni erronee o ambigue. Per questo la Dichiarazione riprende la dottrina insegnata in precedenti documenti del Magistero, con l'intento di ribadire le verità, che fanno parte del patrimonio di fede della Chiesa. 4. Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de i ure (o di principio). Di conseguenza, si ritengono superate verità come, ad esempio, il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l'unità personale tra il Verbo eterno e Gesù di Nazareth, l'unità dell'economia del Verbo incarnato e dello Spirito Santo, l'unicità e l'universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo, la mediazione salvifica universale della Chiesa, l'inseparabilità, pur nella distinzione, tra il Regno di Dio, Regno di Cristo e la Chiesa, la sussistenza nella Chiesa cattolica dell'unica Chiesa di Cristo». 2 STANFORD ENCYCLOPEDIA OF PHILOSOPHY, Religious Diversity (Pluralism) , in «Internet» 2006, http://plato.stanford.edu/entries/religiouspluralism/: «For the purpose of our discussion, someone is a religious exclusivist with respect to a given issue when she believes the religious perspective of only one basic theistic system (for instance, only one of the major world religions) or only one of the variants within a basic theistic system (for instance, within Christianity) to be the truth or at least closer to the truth than any other religious perspective on this issue.[1] Someone is a religious non-exclusivist with respect to a given issue when she denies that the religious perspective of any basic theistic system or variant thereof is superior to all other religious perspectives on this issue. And someone is a religious pluralist with respect to a given issue when she claims not only (as a non-exclusivist) that no specific religious perspective is superior but also makes the positive claim that the religious perspectives of more than one basic th eistic system or variant thereof are equally close to the truth[2]». (1. The phrase religious exclusivist has been used by some as a label for anyone who claims that her perspective on a religious issue is true (and, thus, that any incompatible perspective is false). In this sense, for example, anyone who claims that her perspective on the question of who will spend eternity with God is true whether that perspective is that no one spends eternity with God, that the proponents of only certain religions will spend eternity with God, or that everyone will spend eternity with God is by virtue of this truth claim a religious exclusivist. Looked at in this way, religious pluralism, however it is defined, is not a competing position. Rather, an individual is either a religious exclusivist or not. If a person believes that a given perspective on a religious issue is true, then, regardless of the nature or content of that perspective, she is a religious exclusivist; if a person doesn't hold such a belief, then she is not a religious exclusivist with respect to the issue in question. / 2. We must distinguish the type of selective pluralism I'm describing from what Kevin Meeker has labeled anarchistic pluralism. As will be discussed later, a selective pluralist is someone who believes that more than one, but not necessarily all, competing perspectives are equally close to the truth, while an anarchistic pluralist is someone who believes that all competing perspectives on a given issue are equally close to the truth. Most individuals who consider themselves pluralists are selective pluralists since they would want to reserve the right to maintain both that some perspectives are equally true while also claiming some perspectives to be false (Meeker 2003 , 524-534). S. Mark Heim, whose views will be considered later, might be considered by some an anarchistic pluralist (Heim 1995).) 259 luogo del documento 1. Più che altro, si temeva in ambito ecumenico- questo tipo di frattura tra gentilezza dei modi e intransigenza intollerante dei «contenuti» 2. Le sconsolate dichiarazioni ecumeniche sul documento non si sono fatto attendere 3. Ma la pubblicazione del documento ed il Ch. Makarian M. Festraëts, Vatican, l’enfer c’est les autres , in «L’Express», 14/9/2000, pp. 46-47; J.-L. Mouton, La déclaration Dominus Jesus. Et le dialogue interreligieux?, in «Réforme», 14-09-2000. 2 Cfr H. Trincq, Les quatre vérités du docteur Ratzinger, in «Le Monde», 16-09-2000. 3 F. Teixeira, Do diálogo ao anúncio reflexões sobre a declaração Dominus Jesus, in PPCIR-UFJF / ISER-Assessoria, in «Internet» 2000, 1 [email protected] (FaustinoTeixeira) da pubblicare su «Revista Eclesiástica Brasileira»: «a O impacto nos âmbitos religioso e secular. Entre as instâncias que trabalham o ecumenismo e o diálogo inter-religioso a Declaração da Congregação para a Doutrina da Fé tem repercutido de forma muito negativa. Não se via há muitos anos um tal impacto em documentos produzidos pela Igreja católica. A reação foi imediata em diversos setores. Para o pastor Tom Best, expoente do Conselho Ecumênico das Igrejas, seria trágico para o movimento ecumênico em geral que discussões internas às Igrejas sobre o caráter de sua autoridade e status pudessem obstaculizar o caminho até então percorrido. 1 De acordo com o presidente da Federação Protestante da França, pastor Jean-Arnold de Clermont, trata-se de um retrocesso da Igreja católica, e justamente no ano do jubileu. 2 Em nome da Federação de Entidades Religiosas Evangélicas da Espanha (FEREDE), Ped ro Tarquis afirmou que nenhuma igreja ou instituição cristã é proprietária nem mediadora da obra salvífica da única Igreja de Cristo. 3 Para o arcebispo anglicano de Canterbury, George Carey, a Declaração coloca emquestão os consideráveis passos ecumênicos até então realizados 4. Em nome dos luteranos alemães, o presidente do Conselho das Igrejas Evangélicas, Manfred Koch, afirmou que o documento representa um abalo na relação entre as grandes Igrejas, na medida em que abafa a relação de paridade entre as mesmas e impede a dinâmica dialogal. 5 Para o líder da comunidade judaica da Itália, Amos Luzzatto, o documento reflete a influência de setores conservadores.Na sua opinião, parece que determinados círculos eclesiásticos queremafastar os judeus do diálogo . As imagens da recente visita do papa a Is rael, quando esteve junto aoMuro das Lamentações, podemter sido demasiadas para esses círculos . 6 Em âmbito latinoamericano, uma forte reação veio do Conselho Latino-Americano de Igrejas (CLAI). Como presidente deste Conselho, o pastor luterano Walter Altmann assinalou que a CLAI recebeu a Declaração com surpresa e consternação, detectando aí um obstáculo a mais ao ecumenismo . Para este teólogo seria de se esperar umdocumentomais sóbrio e humilde, de cunho propositivo, aberto e animador ao indispensável diálogo . O que se vê, ao contrário, em cada passo do documento é cautela, advertências e auto-afirmação excludente. Nenhuma palavra de auto-crítica . Para Walter Altmann, o maior desapontamento diz respeito às omissões da Declaração:Trinta e cinco anos de história ecumênica desde o Vaticano II para não mencionar os esforços ecumênicos do mundo protestante já anteriores àquele conclave católico passam em brancas nuvens, como se nenhum avanço tivesse havido. Nenhuma referência aos diálogos bilaterais da Igreja católica com outras confissões religiosas; a Declaração conjunta Católico-Luterana sobre a Doutrina da Justificação, assinada pelo Vaticano e pela Federação Luterana Mundial, a 31 de outubro passado, parece já ter sido esquecida; a frutífera participação da Igreja católica na Comissão Fé e Ordem do Conselho Mundial de Igrejas é ignorada. Em vão se procurará qualquer referência à celebração, cada vez maior, da Semana de Oração pela Unidade dos Cristãos, muito menos ao renovador encontro de católicos e protestantes em torno da leitura da Bíblia, tão marcante na América Latina. 7 A diretoria do Conselho Nacional de Igrejas Cristãs do Brasil (CONIC), também se pronunciou criticamente. O pastor Joaquim Beato, presidente da entidade, sublinhou que a afirmação feita pelo documento da cúria romana de que a Igreja de Jesus Cristo só existe plenamente na Igreja católica, fere profundamente a autoconsciência eclesial das demais tradições cristãs. Para ele, é motivo de estranheza que, após tantos anos de testemunho comum e de reflexão teológica ecumênica, surja um documento que ignora todo esse processo . 8 A Declaração causou também muita surpresa em muitos leigos da Igreja católica, que trabalham direta ou indiretamente com a questão do ecumenismo e do diálogo inter-religioso: seja em alguma instância da pastoral, seja nas comunidades de base, movimentos religiosos ou nas atividades de ensino religioso. Muitos desses leigos foram formados na atmosfera de abertura do Vaticano II, e incentivados a trabalhar numa perspectiva dialogal. Para eles, o documento significa uma ducha fria, instaurando um clima de perplexidade. De fato, como lembrou o monge Marcelo Barros, o documento provoca um profundo sentimento de desconcerto, amargura e incredulidade. 9 Em artigo publicado no jornal Folha de São Paulo, o articulista Luís Nassif, expressa um sentimento que foi comum a muitas pessoas: uma baita saudade do papa João XXIII . No clima aberto por ele, a Igreja buscou superar os tempos difíceis do autoritarismo clerical, aprendendo as virtudes da tolerância e instaurando um jeito novo de abertura ao mundo. 10 ». (1 Adista (63), 16 settembre 2000. / 2 Trois questions au... pasteur Jean-Arnold de Clermont. Le Monde 06/09/2000. Segundo o pastor Gianni Genre, da Igreja Valdense, neste ano do jubileu muitas portas santas foram abertas, mas outras tantas portas do diálogo estão se fechando, o que é motivo de profunda preocupação. Cf. Adista (63), 16 settembre 2000. / 3 Los protestantes, doloridos por la doctrina Ratzinger sobre las iglesias. El Pais 12/09/2000. / 4 I mea culpa del Papa erano solo spettacolo . La Repubblica 06/09/2000, p.11. Em semelhante linha de reflexão, a posição de Michael Nazir-Ali, bispo de Rochester, da Comissão para as relações entre católicos e anglicanos: o documento Dominus Iesus é uma perigosa ruptura do diálogo e do processo destes trinta anos de aproximação entre as duas Igrejas, separadas pelo cisma de Henrique VIII : Così il cardinale sabota le aperture diWojtyla . La Repubblica 07/09/2000, p. 27. / 5 Ratzinger, l´ira dei protestanti. La Repubblica 07/09/2000, p. 27. / 6 Roldão Arruda. CNBB defende documento de Ratzinger. O Estado de São Paulo 09/07/2000. / 7 Walter Altmann. Declaração do Conselho Latino-Americano de Igrejas (CLAI). Em 11 de setembro de 2000. Mimeo. / 8 Joaquim Beato. Pronunciamento da Diretoria do Conselho Nacional de Igrejas Cristãs do Brasil frente à Declaração Dominus Iesus sobre a unicidade e a universalidade salvífica de Jesus Cristo e da Igreja. Brasília, 11 de setembro de 2000. Mimeo. Outra reação no Brasil veio da Comissão Bilateral Católico-Romana e Evangélico Luterana, em documento divulgado no dia 08 de setembro de 2000. De acordo como documento divulgado, omundo plural de hoje necessita de exemplos de unidade na diversidade e na vivência fraternal do diferente . Para a 260 suo contesto ci ricordano forse- qualcosa di fondamentale nel modo di assumere il dialogo con le religioni dell’umanità da parte del movimento ecumenico stesso. Lo si potrebbe esprimere così: se il dialogo ecumenico impegna le Chiese tra di loro in svariato modo, il dialogo con le altre religioni nella sua ottimizzazione- impegna tutte le Chiese insieme nel loro consenso di testimonianza. Molte osservazioni dell’autorità dottrinale romana convergono con le posizioni d altre Chiese, che porterebbero comunque la loro valutazione nel comune impegno inter-cristiano verso le religioni dell’umanità. La comune appartenenza all'unico popolo di Dio è poi una premessa fondamentale dalla comune ambiguità fino alla comune sete di santità- per qualunque iniziativa cristiana ulteriore 1, elezione di Israele come intento divino verso tutti i popoli umani comune riferimento ad Abramo delle genti 3, comune riferimento alla Parola di Dio essere pienamente recepita senza ricorso alle tradizioni giudaiche i passi in avanti dei dialoghi ecumenici d'impegno dialogale 8, 7 2, 5, 4 conferma del che non potrà vitalità ebraico-cristiana 6 nell'incognita del dialogo odierno con la disparità continuità dell'unico popolo di Dio 9, talvolta evocata come reciprocità dei due poli del popolo di Dio come appartenenza della Chiesa a Israele e di Israele alla Chiesa dalla svolta conciliare come pietra miliare strumentalizzazioni 12, per 11. 10, Tra superamento del proselitismo e delle varie tentando di impostare un progetto verso il millennio che si annuncia 1, Comissão, a Declaração periga fechar as portas que haviam sido abertas por esforço ecumênico nas décadas passadas , e ameaça redundar emnovas polarizações religiosas e de reacender antigas rivalidades :Adista (66): 14, 25 settembre 2000. / 9 Marcelo Barros. Gesù è stato prigioniero e lo Spirito mandato in pensione. Adista (66): 7, 25 settembre 2000. / 10 Luís Nassif. Saudades de João 23. Folha de São Paulo 10/09/2000. Durante as conclusões do XX Congresso de Teologia da Associação João XXIII, realizado em Madrid, se fez referência ao risco de que muitos cristão genuínos, impactados pela Declaração, possam acabar se retirando da sociedade eclesiástica: Juan Pablo II suaviza el tono del documento del cardenal Ratzinger. El pais, n. 1592 11/09/2000.) E. Bianchi, Dossier, il dialogo cristiani-ebrei, problema - ambiguità - prospettive, in «Missione oggi», 1993 nº 5, p. 37; Cfr A. Bea, Il popolo ebraico nel piano divino della salvezza, in L. Sestieri - G. Cereti, Le chiese cristiane e l'ebraismo, Casale Monferrato 1983, pp. 76-80; CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA, Rapporti fra Chiesa ed ebraismo, ibidem, pp. 304-305; C. Thoma, L'ebraismo come realtà religiosa, in idem, Teologia cristiana dell'ebraismo, Casale Monferrato 1983, pp. 192-193; SINODO DELLA CHIESA RIFORMATA OLANDESE, Proposte per una riflessione teologica su Israele , in L. Sestieri - G. Cereti, Le chiese cristiane e l'ebraismo, Casale Monferrato 1983, pp. 143-145; J. Willebrands - E. Toaff, Il dialogo cattolici ebrei nel XV della Nostra Aetate , ibidem, pp. 324-330; cfr J. Willebrands, Apporto degli ebrei alla civiltà europea, in «Rocca», 1992 nº 1. 2 COMMISSION INTERNATIONALE LUTHERIENNE - CATHOLIQUE, La compréhension de l’Eglise à la lumière de la justification , in «La 1 documentation catholique», 1994 nº 2101, p. 814 nº 16. 3 E. Bianchi, Gesù e il Dio di Abramo , in AA. VV., Chi dite che Io sia?, Roma 1992, p. 63. P. Grech, Fonti giudaiche nell'esegesi del 11 secolo , in «Vita monastica», 1981 nº 146, pp. 11-26; M. Pesce, Elementi di interpretazione della Scrittura nel primo secolo , ibidem, pp. 27-29; M. Cunz, Per una spiritualità cristiana del giudaismo , ibidem, pp. 11-132; J. Smeets, Ipotesi di interdipendenza fra tradizioni e interpretazioni bibliche , ibidem, pp. 70-76; J. Des Rochettes, Vivere: un criterio di ermeneutica biblica nella tradizione rabbinica, ibidem, pp. 77-99. 5 COMMISSION BIBLIQUE PONTIFICALE, L’interprétation de la Bible dans l’Eglise , in «La documentation catholique», 1994 nº 2085, pp.21-22. 6 Cfr COLLOQUIO DI CAMALDOLI, Il dialogo ebraico-cristiano oggi, in «Vita monastica», 1986 nº 166-167. 7 Cfr F. König, Address at the Lateran University ACatholic-Jewish Relations: Perspectives and Guidelines , in «Information Service», 1990 nº 4 77, p.79. 8 M. Viterbi Ben Horin, Il dialogo ebraico-cristiano oggi : cosa, come e perché, ibidem, pp. 15-23. 9 R. Fabris, Il cammino da Seelisberg a "Nostra Aetate" e altre, in «Vita monastica», 1986 nº 166-167, pp. 24-54. 10 COMMISSION INTERNATIONALE LUTHERIENNE - CATHOLIQUE, La compréhension de l’Eglise à la lumière de la justification , in «La documentation catholique», 1994 nº 2101, pp. 819-820 nº 52. Cfr COLLOQUIO DI CAMALDOLI, Israele e le genti - le genti e Israele (Stanno succedendo cose nuove, come non le vedete ancora? Is. 43, 19), in «Vita monastica», 1989 nº 51; M. Viterbi Ben Horin, Orizzonti nuovi fra ebrei e cristiani a 25 anni dalla convocazione del Vaticano II , ibidem, pp. 11-35; B. Calati, Il kairos del dialogo, ibidem, pp. 36-45. 12 G. Sorano, Gruppo di studio: problematiche inerenti al dialogo ebraico-cristiano, in «Vita monastica», 1986 nº 166-167, pp. 57-60; G. Boccaccini, Gruppo di studio: il dialogo ebraico-cristiano e le provocazioni del mondo giovanile , ibidem, pp. 63-64; F. Fumagalli, Gruppo di studio: la realtà di Israele oggi e il dialogo, ibidem, pp. 65-73. 11 261 dalla re-prospezione del profilo cristico al mistero stesso di Dio 2, gli incontri ebraico-cristiani ci offrono esempi eloquenti di un cammino convergente con le promesse ecumeniche più consistenti 3. L'interrogativo comune di cristiani ed ebrei apre ecumenicamente il campo più estensivamente al travagliato cammino religioso dell'umanità 4. Fratelli della Riforma sottolineano che il dialogo con le religioni non è una relativizzazione della fede ma una non assolutizzazione della nostra conoscenza del 'mistero' mondo pluralista 6, 5 dall’abbandono della posizione antiquata sulla unicità cristiana in un fino a vedere -da parte di ognuno nella propria appartenenza religiosa- ogni assoluto come assoluto relazionale e non assoluto di esclusione o di inclusione in se è una contradizione 8 7 (assoluto isolato abbinata al richiamo alla unicità radicale 1, l'oriente cristiano sa che L. Sestieri, Tavola rotonda conclusiva. Quasi un bilancio per andare oltre , ibidem, pp. 77-83; V. Lampronti, Ipotesi per un dialogo del terzo millennio, ibidem, pp. 84-88; C. Di Sante, "Sognando" il futuro del dialogo ebraico-cristiano, ibidem, pp. 89-90; M. Vingiani, Yules Ysaac e il dialogo ebraicocristiano, ibidem, pp. 93-112. 2 E. Kopciowsky, In quel giorno l'eterno sarà unico (Zc. 14, 19) , ibidem, pp. 46-58. 1 3 Le tematiche di Camaldoli fanno eco alle priorità e all'impostazione complessiva del movimento ecumenico. La prima premessa è certo l'insostituibile riferimento alla Parola di Dio (1º sessione), impossibile senza la sorgente biblico-ebraica (1º incontro). La secondo premessa ecumenica non può dimenticare l'appartenenza al dialogo con Dio dalla creazione e oltre la (e le) colpa(e), impossibile senza il contributo ebraico sul primo itinerario che nasce nella 'immagine di Dio' (2º incontro): unità malgrado gli allontanamenti. La terza premessa ecumenica mette in avanti la preghiera di santificazione: preghiera comune che non potrà omettere quella ebraica che né è la culla (3º incontro). Il primo passo del percorso ecumenico è la presa di coscienza della priorità del mistero, il cui nodo rimane il mistero della fede e Gesù ebreo (4º incontro). Segue poi il richiamo al dono della Torah o sorgente di vita nel mistero trasmesso, concretizzazione del mistero in una scelta di vita (5º incontro), esplicitazione ebraica della visibilità di una opzione radicale. Gli incontri calmaldolensi si fermano -poi- sulla metodologia ecumenica della indagine sul cammino percorso (6º incontro), continuo rinvio al coinvolgimento vissuto e non a 'principi pred eterminati' ed indispensabile al fine di non dimenticare l'inizio di intolleranze nutrite anche dai cristiani. Dal mistero si passa al profilo sul quale si annodano le ragion d'essere di molti confronti: la figura messianica e le sue connotazioni (iperboliche o minimizzanti) (7º incontro). Subito dopo viene trattato il tema-maestro dell'intuito ecumenico: la conversione-teshuvah al Signore (8º incontro) nella quale tutti devono essere coinvolti e che rimette 'ebraicamente' in bilanciata luce il riferimento a Cristo nella dinamica dialogale: piattaforma dove il messaggio ebraico appare vitale. Non può mancare l'interrogativo sull'avvenire e le sue incognite ove l'intento ecumenico non sarà prospettabile senza la chiave ebraico-cristiana (9º incontro) nell'inserimento in seno all'umanità: soglia di apertura della scommessa ecumenica al di là di se stessa. Si va verso gli ultimi incontri con la tematica del rapporto alla 'terra di tutti', avvio di profezia (10º incontro), che suggerisce le avvisaglie dell'accoglienza dello Spirito oltre ogni appartenenza. In questa luce si esamina 'l'identità' reciproca di ebrei e cristiani (11º incontro) senza cui non si supererà le diversificazioni aggressive tra Chiese e cristiani. L'ultimo dialogo considerato si ferma sulla simbolica della 'terra' che ricorda quella cristiana del 'tempio dello Spirito' nelle sue implicazioni arcaiche ed anticipative (12º incontro). I vari riferimenti specifici verranno ripresi -nel testo- con dati biliografici specifici. La parte II focalizza una chiave sostanziale che i dialoghi di Camaldoli hanno trattato o che rimangono sempre in filigrana degli incontri: Gesù (pp. 282-389) nelle sue varie dimensioni. L'incidenza maggiore viene data al confronto tra Gesù della storia e Gesù della fede con una inquadratura incentrata su questo doppio rinvio. Dalla tem atica prettamente ecumenica, questo abbinamento ridimensiona il discorso aperto dagli autori ed oggi prospettato dalla comune meditazione cristiana per superare l'intralcio del 'Cristomonismo'. Il preambolo sembra utile e situa bene il contesto del 2º millennio occidentale nel quale si rinchiude questa discussione. Più volte affiora l'accenno alla messianità, al Cristo spossessato, al Cristo nudo... con interessanti indicazioni per una più ampia interpretazione della maturazione cristiana orientale ed occidentale. Caratteristica del percorso camaldolense è di non trovare contributi cristiani orientali dove molti elementi ci aiuterebbe a meglio vedere quanto alcuni intuiti ebraici hanno trovato eco e hanno potuto essere implementati cristianamente (e. g. nel contesto slavo cristiano-orientale). 4 Cfr COLLOQUIO DI CAMALDOLI, Il nostro essere - ebrei e cristiani sulla terra di tutti "Cercate lo shalom del paese" (Ger 29, 7) , in «Vita monastica», 1990 nº 55; E. Toaff - M. Cunz - D. Garrone, "Cercate lo shalom del paese" (Ger 29, 7). Meditazione a tre voci, ibidem, pp. 1132. 5 J.-P. Dassonville, Dossier, les religions orientales: rencontre et dialogue. Point de vue d'un protestant évangélique , in «Unité des chrétiens», 1993 nº 91, pp. 8-9. 6 L. Sanneh, Encountering the West. Christianity and the Global Cultural Process: the African Dimension , New York 1993, p. 182. 7 R. Etchegaray, Intervention à la Conférence internationale sur la paix et la tolérance , in «La documentation catholique», 1994 nº 2090, pp. 279-280: «Pour être croyant à l’âge du pluralisme religieux, il faut apprendre à penser l’absolu dont un croyant se réclame légitimement comme un absolu relationnel et non comme un absolu d’exclusion ou d’inclusion. L’apprentissage le plus dur et le plus urgent qui nous est demandé est de concilier l’engagement absolu qu’implique toute vraie démarche religieuse et l’attitude de dialogue et d’ouverture à la vérité des autres. Le vrai dialogue avec autrui doit renvoyer chacun à sa propre identité!»; cfr le variazioni linguistiche sulla relazionalità, si parlerà meno felicemente di relativity a differenza del relativism , di ogni verità con i suoi parametri, F. Wilfred, Beyond Settled Foundations, Madras 1993, pp. 101-102. 8 R. Panikkar, Man and Religion: a Dialogue with Panikkar , in «Jeevadhara», 1981 nº 61, p. 12. 262 alcune dinamiche di altre religioni sono di origine orientale cristiana [il suffismo e la tradizione siriaca] e che le pratiche cultuali orientali sono strettamente legate alle religioni [sorgente ebraica o somiglianze con il buddismo] 2). La centralità del ruolo di Cristo 3, tra il monolitismo dell’eteronomia e l’individualismo dell’autonomia, si apre all’ontonomia come processo di vita relazionata 4, al di là della chiave interpretativa di 'preparazione' che permette di salvaguardare la 'superiorità' 5, ma anche al di là del correttivo alla 'centralità di supremazia' nel vedere gli aderenti alle altre religioni come 'cristiani anonimi' 6 (pur riconoscendo che diverse interpretazioni religiose offrono una qualità migliore di quella cristiana 7). Si proporrà un 'capovolgimento copernicano' (equiparando il mito della 'centralità del cristianesimo' a quello della 'centralità della terra', sciolto da Copernico) 8, e si aggiungerà alla caduta dei miti medievali anche quella dei miti della centralità occidentale nel colonialismo (denigrando le religioni dei vari paesi già colonizzati 9). Si ritroverà il valore religioso del 'Logos' 11) 10 (mettendo talvolta in questione l'intento di interpretazione pluralista ma la visione incarnazionalista può anche essere estesa teocentricamente ad ogni espressività religiosa nella storia dell'umanità 12 con la chiave pneumatologica che permetterà -peraltro- di non limitare la stessa 'redenzione' alla sola 'Chiesa o alle comunità cristiane' 13. DAL CRISTIANO ANONIMO AL CRISTIANO-INDU Dalla posizione di Rahner sul cristiano anonimo (cfr volume II, parte I), si esplora, qui, le 1 Cfr EDITORIALE, L unicità di Gesù e il pluralismo religioso , in «La civiltà cattolica», 1995 nº 3474, p. 543. 2 O. Clément, Dossier, les religions orientales: rencontre et dialogue. Point de vue d'un orthodoxe , in «Unité des chrétiens», 1993 nº 91, p. 10. Cfr CONSEIL PONTIFICAL POUR LE DIALOGUE INTERRELIGIEUX, Lettre aux présidents des Conférences épiscopales d’Asie, d’Amérique et d’Océanie, in «La documentation catholique», 1994 nº 2088, p.170 nº 10. 4 R. Wilfred, Beyond Settled Foundations , Madras 1993, pp. 102-103; R. Panikkar, Rtatatta: a Preface to a Hindu-Christian Theology, in 3 «Jeevadhara», 1979 nº 49, p. 11. 5 P. Rossano, Le religioni non cristiane nella storia della salvezza, rassegna delle posizioni teologiche attuali , in «La scuola cattolica», 1965 nº 93, (suppl. 2), pp. 131-140 (riferimenti a Rahner, Thils, Panikkar); L. Richard, What are they saying about Christ and World Religions , New York 1981, p. 28. 6 F. P. Knitter, No other Name? A critical Survey of christian Attitudes toward other Religions , London 1983, p. 128. 7 J. Hick, The Non-Absoluteness of Christianity, in J. Hick - P. F. Knitter, The Myth of Christian Uniqueness , New York 1987, p. 17; P. F. Knitter, No other Name? A critical Survey of christian Attitudes toward other Religions , London 1983, p. 2; R. Panikkar, The Intrareligious Dialogue., New York 1978, pp. 61, 69; idem, The Unknown Christ of Hinduism (Completely revised and enlarged Edition), New York 1981, p. 35. J. Hick, Whatever Path Men choose is mine, in J. Hick - B. Hebblethwaite (ed.), Christianity and other Religions , London 1980, p. 174; idem, The Center of Christianity, London 1977, p. 76. 9 L. Rouner, Theology of Religions in recent protestant Theology of Religions , in «Concilium», 1986 nº 183, p. 109. 10 H. Coward, Pluralism: Challenge to World Religions , New York 1985, p. 20; cfr le implicazioni della incarnazionalità in E. Hugon, Le mystère de l'incarnation, Paris 1925; cfr la focalizzazione radicale in senso incarnazionalista in, D. Lane, The Incarnation of God in Jesus, in «The Irish 8 theological Quaterly», 1979 nº 3, pp. 166-167. 11 W. Tan, Religious Pluralism revisited, in «The Asia Journal of Theology», 1988 nº 2, p. 345; H. D. Lewis, Jesus in the Faith of Christians, London 1981, p. 82. 12 Cfr N. Pittenger, Christology riconsidered, London 1970. 13 WORLD COUNCIL OF CHURCHES, Christian Encounter with men of other Beliefs , in «The Ecumenical Review», 1964 nº 16, pp. 451-452; idem, Guidelines on Dialogue, in «Mission Trends», 1979 nº 5, p. 139; cfr etiam, l’indirizzo di M. L. Fitzgerald, Giornata di riflessione e di preghiera sui doveri dei cattolici verso gli altri uomini: annuncio di Cristo, testimonianza, dialogo , in D. Busolini, Una Pentecoste interiore, in «Il giornale del pellegrino», 2000 nº 13, p. 11. 263 implicazioni teologiche di una eventuale doppia appartenenza inter-religiosa. L’iniziatore cristiano di questa apertura è Upadhyaya 1. 3º INDIANIZZARE RELIGIOSAMENTE E NON SOLO VERBALMENTE IL MESSAGGIO DELLA FEDE Spesso l’inculturazione viene concepita come una specie di traslitterazione verbale delle parole cristiane nel vocabolario, grammatica e sintassi di un altra lingua culturale. La teologia pluralista va oltre. Concretamente, si parte dal problema esperienzialmente vissuto dell indianizzazione e si tenta di esprimere le chiavi fondamentali del mistero in quelle che esistono nel linguaggio specifico indiano a questo livello. La Trinità sarà il nodo per eccellenza di questa riarticolazione linguistico-religiosa. Si conosce la traduzione che propose Upadhyaya del mistero trinitario come Saccidananda (Sat-Cit-Ananda) 2. Riguardo all’evangelizzazione, un altro elemento appare emblematico della presenza cristiana indiana antica: l’assenza di noti Padri della Chiesa celebri e celebrati- e di scuole teologiche di prestigio come quelle di Alessandria o Antiochia, che ha fatto spegnersi la notorietà della tradizione indiana originaria 3. Un ulteriore specificità della Brahmobandav Upadhyaya, Are we Hindus?, in «Sophia», July 1897: «By birth we are Hindus and we shall remain Hindu till death. But as dvija (twice-born), by virtue of our sacramental rebirth we are Catholics, we are members of the indefectible communion embracing all ages 1 and times. In customs and manners, in observing caste and social distinctions, in eating and drinking, in our life and living we are genuine Hindus, but in our faith we are neither Hindu nor European, nor American nor Chinese, but all-inclusive... The test of being a Hindu cannot therefore be in religious opinions. Yet, we have drunk of the spirit of Hinduism... We agree in spirit with Hindu law-givers in regard to their teaching that sacramental rites (samskaras) are vehicles of sanctification. With wondering reverence do we look upon their idea of establishing a sacred hierarchy vested with the highest authority in religious and social matters...». 2 F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology , Trichy 1993, pp. 32-33: «This divine mystery cannot be described by attributes, much less defined in conceptual terms. The farthest extent the human language- can go in its attempt to unravel this mystery is to consider it in its triple dimension. The Divine mystery is Sat - being or reality; it is Cit - consciousness and it is Ananda - bliss. All these dimensions are comingled into one and the Divine mystery is named as swddananda (Sat-CitAnanda). In the tradition of Brahmo Samaj, this experience of God was very much related to the mystery of Holy Trinity. This is clearly the case with Keshub Chandra Sen who, though did not receive baptism and become explicitly a Christian in public as Upadhyaya did, nevertheless was deeply attached to Christ and attempted to interpret Christian mystery through Hinduism. Upadhyaya who was, as we saw, very much close to the Brahmo Samaj and to Keshub Chandra Sen adopted this vision of Saccidananda as expressive of the Christian mystery of God as Trinity. God the Father is the Sat - being, the Son is the Cit consciousness, or intelligence and the Spirit is Ananda -joy, fulfillment, plenitude. This vision comes through in a beautiful Sanskrit hymn Upadhyaya composed - Vande Saccidananda and today widely sung in Christian Churches all over India: I bow to Him who is Being, Consciousness and Bliss. I bow to Him whom worldly minds loathe, whom pure minds yearn for, the Supreme Abode. He is t he Supreme, the Ancient of days, the Transcendent, Indivisible Plenitude, Immanent yet above all things. Three-fold relation, pure, unrelated knowledge beyond knowledge. The Father, Sun Supreme Lord, unborn, The seedless seed of the tree of becoming, The cause of all, Creator, Providence, Lord of the Universe. The infinite and perfect Word, The Supreme person begotten, Sharing in the Father's nature, Conscious by essence, Giver of true Salvation. He who proceeds from Being and Consciousness Replete with the breath of perfect bliss The p urifier, the Swift, the Revealer of the Word the Life-giver. 1». ((1) Translation of Brahmobandhav's Sanskrit Hymn in 38th Intemational Eucharistic Congress Prayer Book and hymnal, Bombay 1964, Hymn no. 7.) 3 F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology , Trichy 1993, p. 4: «However, the Christian community of Malabar, in spite of its ancient origin, did not bring forth any theological school comparable to Alexandria or Antioch, nor did it gi ve birth to any outstanding theologian or Father of the Church. The Thomas Christians, by force of historical circumstances, remained an isolated group, cut off from the rest of the Christian world and its theological streams. 1 The little we know of the theology of the Thomas Christians is what transpired in their way of life, tradition and liturgy. The day-to-day life of this Christian community was very akin to that of the Hindu society whose traditions, customs, manners, dress, food-habits they followed». ((1) Cf. Paul Thenayan, The Missionary Consciousness of the St 7homas Christians, Cochin 1982, p. 34.) 264 vita cristiana dei cristiani ‘Mar Thoma’ è la grande importanza che riveste il digiuno 1. Tutto ciò ci porta alla convergente costatazione della priorità di cui sopra: non quella di figure eroiche o d alto prestigio ma la via dimessa di un esperienzialità interiore senza neanche lasciare testimonianze gloriose del proprio cammino evangelico. Ciò che veniva ascritto ad una trascuratezza o ad una limitata assimilazione del messaggio cristiano da parte degli indiani, si rivela, in questa luce, come scelta di precoce maturità cristiana, in senso orientale, nella genialità propria della culturalità religiosa indiana, fuggendo dalle pretese di insediamenti di alta dignità. Forse, sarà solo dalla comprensione delle incidenze apocalittico-escatologiche del primo intento cristiano indianizzato che si potrà capire questa caratteristica della tradizione Mar Thoma. Vice-versa, appartiene alla specificità indiana delle origini di esplicitare queste chiavi dello spogliarsi interiormente fino in fondo senza dare importanza alla notorietà intellettuale o strutturale. Infine, potrebbero essere compreso in questa luce un impostazione del dialogo inter-religioso che permette di situare i due linguaggi religiosi arcaici dell’induismo e del buddhismo, permettendo -così- la duplice appartenenza alle simboliche religiose proprie dell’India e alla fede cristiana, come fecero alcuni precursori cristiani: esplorando, in questo senso, le implicazioni teologiche di una eventuale doppia appartenenza inter-religiosa, come tentò di viverlo l’iniziatore cristiano di questa apertura, Upadhyaya 2. Con l’approccio di linguaggio religioso complessivo e di stilistica (epico-apocalittica ed escatologico-tragica) si potrà considerare le due sorgenti religiose dell’induismo e del buddhismo non a livello dogmatico-contenutistico evitando le accuse di sincretismo dottrinale- e non come due linguaggi religiosi che si escludono mutuamente (induismo e buddhismo). Spesso l’inculturazione viene concepita come una specie di traslitterazione verbale delle sole parole cristiane nel vocabolario, grammatica e sintassi di un'altra lingua culturale. La teologia pluralista va oltre. Concretamente, si parte dal problema esperienzialmente vissuto dell’indianizzazione e si tenta di esprimere le chiavi fondamentali del mistero in quelle che esistono nel linguaggio specifico indiano a questo livello. La metodologia d evangelizzazione di Cirillo e Metodio, dall’iniziativa costantinopolitana, assume questi criteri più ampi per la autoctonizzazione della fede nella Rus’ degli anni 900-1000. Non sono i principi di un impero cristiano che espandendo il loro territorio annettendo le comunità «cristianizzandole» o gli evangelizzatori cristiani che seguono le truppe di conquista appartenenti ad un impero pagano o l’altro 1 3. Si dice che F. Wilfred, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology , Trichy 1993, p. 7: «Theology of Fasting and Ascesis. Another aspect of the life and liturgy of the Thomas Christians was the importance they attached to fasting. The discipline of frequent fasting was associated with the liturgical cycles of the year. We can observe here the influence of the theology of the Syrian Church, known for its monasticism and monastic spirituality. 1 The Syrian Church inherited a long tradition-of fasting and ascetic practices, inspired by the theological vision of persons like St Ephrem (306-373) and Ebed Jesu (1290-1318). The fasting has an anthropological and Christological foundation. The fast of Jesus followed by his temptation in the desert is the symbol of human condition and the Christian response to it. The practice of fasting as well as the theological vision animating it, responded to the sensibilities of Hinduism which has alwa ys ascribed a great value to fasting and penance, and has believed in the power and efficacy deriving from tapes – ascetic practices». ((1) J. Aerthyil, The Spiritual Heritage of the St. 7'homasChristians , Bangalore 1982; Cf. also Bede Griffiths, Christian Monastic Life in lndia, in «Journal of Dharma», 1978 nº 3, pp. 122-135; cf. also J. B. Chethimettam, Eastern Christian Heritage and the Task of a Theological Synthesis in India, in K. Pathil (ed.), Mission in lndia Today. The Task of St. Thomas Christians, Dharmaram Publications, Bangalore 1988, pp. 136-167. In this artide the author expands many aspects of Oriental Theology which is attuned to the lndian and Hindu ethos way of life and worldview.But to what extent the lofty oriental theology proposed here was a lived reality among St Thomas Christians is another question.) 2 3 Cfr Brahmobandav Upadhyaya, Are we Hindus?, in «Sophia», July 1897 (citato sopra). D. Obolensky, Il commonwealth bizantino, Roma 1974, p. 265: «L'episodio dello scudo di Oleg potrebbe egualmente riflettere un avvenimento autentico il cui significato però fu frainteso dal cronista russo. Gli Scandinavi dell'Europa occidentale avevano l'abitudine di innalzare i loro scudi, o di fissarli in luoghi ben visibili, come gesto rituale che annunciava la fine della guerra; con lo stesso gesto simbolico, 265 quest’evangelizzazione a tappeto, abbastanza spontanea nell’accogliere la fede, rischia di far perdurare elementi precristiani nella sensibilità del popolo che fu inizialmente sfiorato in modo parziale dal messaggio evangelico 1. Il pregio di questa metodologia sarà la valorizzazione 'inculturata' di certi dati fondamentali della sensibilità cristiana russa 2. Non sarà, forse, dalle prime traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici che nascerà la prospettiva della "Tserkov serbonaja" o della "sobornost'": conciliarità, "insiemità ecclesiale" (visione specifica sulla cattolicità) 3. Un'altra chiave di priorità evangelizzatrice viene data nell’esaltazione dell'opera dei santi Cirillo e Metodio: la sottolineatura del concetto di "Europa centrale" nel riferimento al mondo slavo 4 (con la congiunzione del Benedetto 'romanico' e dei santi Cirillo e Metodio 'mitteleuropei' avremo l'immagine compatta di una 'Europa cristiana' 5). Ma è davvero questa la valenza maggiore della è probabile che Oleg appendesse il suo scudo sulle porte di Costantinopoli non come simbolo oltraggioso di vittoria ma per significare la sua intenzione di concludere la pace con Bisanzio. Un trattato fu in effetti stilato fra i Russi e l'Impero poco dopo: le sue clausole furono certamente favorevoli ai Russi, ma non tanto da poter essere state imposte da un vincitore. La tinta sciovinistica che il cronista russo così spesso mette in luce nei suoi racconti delle guerre dei suoi compatrioti con l'Impero, ci porta a concludere che la spedizione del 907, anche se in misura moderata costituì un successo dal punto di vista russo, non fu, come egli vorrebbe farci credere, un trionfo schiacciante». 1 D. Čiževskij, Storia dello spirito russo, Firenze 1965, pp. 29-30: «Ma soprattutto permanevano quegli usi e costumi che possedevano la forza magica di garantire l'andamento normale dei fenomeni naturali e della vita umana, dalla nascita fino alla sepoltura. Talvolta gli elementi della fede nuova sono riusciti ad imporsi contro questi residui. Così il «segno della croce» (il segnarsi) valeva ormai come mezzo sicuro contro le creature e le forze pagane malefiche, come pure contro il diavolo cristiano; la preghiera cristiana serviva in molti casi di modello alla superstiziosa formula «semipagana» di preghiera e di scongiuro; veniva infatti conservata la raffigurazione del fantasma, come immagine della vita dopo la morte; una vita del genere dovevano ormai temerla soltanto coloro che erano morti senza battesimo o senza sacramenti». 2 P. Kovalevski, Saint Serge et la spiritualité russe, Paris 1958, p. 5: «Chaque peuple chrétien est passé par une période de premier épanouissement qui, dans la plupart des cas, a déterminé sa voie spirituelle. L'ambiance historique et géographique y a joué son rôle, mais ce qui a été décisif pour les peuples dont l'histoire ne remonte pas aux premiers siècles chrétiens, c'est la vie de l'Église au moment où ils se sont tournés vers la foi». 3 P. Kovalevski, Saint Serge et la spiritualité russe, Paris 1958, p. 11: «La traduction de la Saint Écriture et des livres liturgiques en langue slave aura une double importance. D'une part elle témoignera du sens que les théologiens grecs du XI siècle donnaient à certains termes théologiques, par le choix des mots slaves correspondants. D'autre part son influence purement missionaire fut considérable. Pour le terme catholique (Katholikos) fut choisi le mot slave «seborny» (conciliaire, qui unit tous) et le terme grec «Kharis» (grâce) fut traduit par «blagodate» (don du bien). Ces traductions de termes théologiques grecs joueront un rôle très important dans le développement de la théologie et de la spiritualité slaves et russes en particulier, tout comme la traduction en latin du terme «Kharis» par «gratia» va avoir une influence déterminante sur la théologie et la spiritualité occidentales. La mission des Saints Cyrille et Méthode en Moravie-Pannonie va fixer pour les siècles suivants les rapports entre les peuples germaniques et slaves et sera le point de départ de la lutte des deux mouvements missionnaires: celui de Rome et celui de Constantinople». 4 M. Lacko, Saints Cyrill and Methodius, Roma 1963, p. 7: «The Cyrillo-methodian period is one of the brightest for the Slav peoples in Central Europe, the forefathers of whom are now Slovaks, Moravians and Slovenes. They arose from the darkness of almost pre-historical life to the level of a cultured people, sharing the fruit of a high Christian civilization and aiming at the formation of a political unit which should be a third block between the Byzantine eastern Empire and the Frankish western Empire». 5 Giovanni Paolo II, Lettera apostolica "Egregiae Virtutis", in «Santi Cirillo e Metodio compatroni d'Europa» (bollettino informativo del Comitato romano per le celebrazioni), 1981 n° 1, p. 1): «Cirillo e Metodio, fratelli, greci, nativi di Tessalonica, la città dove visse e operò San Paolo, fin dall'inizio della loro vocazione, entrarono in stretti rapporti culturali e spirituali con la Chiesa patriarcale di Costantinopoli, allora fiorente per cultura e attività missionaria, alla cui alta scuola essi si formarono. (Cfr. Costantinus et Methodius Thessalonicenses, Fontes, ed. F. Grivec F. Tomsic: Radovi Staraslovenskog Instituta, IV, Zagabria 1960). Entrambi avevano scelto lo stato religioso unendo i doveri della vocazione religiosa con il servizio missionario, di cui diedero una prima testimonianza recandosi ad evangelizzare i Cazari della Crimea. La loro preminente opera evangelizzatrice fu, tuttavia, la missione nella Grande Moravia tra i popoli, che abitavano allora la penisola balcanica e le terre percorse dal Danubio; essa fu intrapresa su richiesta del principe di Moravia Rostislav, presentata all'imperatore e alla Chiesa di Costantinopoli. Per corrispondere alle necessità del loro servizio apostolico in mezzo ai popoli Slavi, tradussero nella loro lingua i Libri sacri a scopo liturgico e catechetico, gettando con questo le basi di tutta la letteratura nelle lingue dei medesimi popoli. Giustamente perciò essi sono considerati non solo gli apostoli degli Slavi ma anche i padri della cultura tra tutti questi Popoli e tutte queste Nazi oni, per i quali i primi scritti della lingua slava non cessano di essere il punto fondamentale di riferimento nella storia della loro letteratura». Idem, Enciclica "Slavorum apostoli", Roma 1985, p. 14, n1 12): «Ma la caratteristiea, che desidero in maniera speciale sottolineare nella condotta tenuta dagli apostoli degli Slavi, Cirillo e Metodio, è il loro modo pacifico di edificare la Chiesa, guidati dalla loro visione della Chiesa una, santa ed universale. Anche se i cristiani slavi, più degli altri, sentono volentieri i santi Fratelli come «Slavi di cuore», questi tu ttavia restano uomini di 266 loro testimonianza? La Russia si richiamerà a S. Andrea (Apostolo di Costantinopoli) 1, e si orienterà verso un impostazione orientale 2. L'inculturazione comunitaria diretta ha sviluppato un elemento tipico della "cattolicità-sobornaja" del popolo credente nelle terre russe: la priorità della propria comunità sull'individuo, l'urgenza della salvezza comune di fronte al salvarsi individuale 3. Non dall'«Io» verso il «Noi», ma dal «Noi» verso l'«Io», tale sembra essere il primo punto focale che avrà un suo impatto attraverso la storia russa. La disponibilità alla "non-resistenza' avrà qualcosa a che vedere con questa "priorità" della comunità dove l'individuo è chiamato innanzi tutto a sacrificarsi per essa. Anzi, i primi santi diventeranno tali per essersi lasciati uccidere dal fratello avido di potere, per non sconvolgere la comunità da ulteriori lotte per la prevalenza individuale su di essa. Teologi d’occidente riconosceranno nella non resistenza un indizio che punta al di là dell’amore naturale 4. Già si delinea -qui- la possibile complementarietà con l'occidente che ha accentuato il suo approccio in modo diverso. Qui si preciserà il messaggio della cattolicità slavoorientale: la comunità non nasce come un sistema da imporre ma come 'conciliabilità' d'Amore nella Verità. Si tratta di lasciarsi "unanimizzare' ognuno nella 'sinfonia' di tutti! Indubbiamente, cultura ellenica e di formazione bizantina, uomini cioè in tutto appartenenti alla tradizione dell'Oriente cristiano, sia civile che ecclesiastico. Già ai loro tempi le differenze tra Costantinopoli e Roma avevano cominciato a profilarsi come pretesti di disunione, anche se la deplorevole scissione tra le due parti della stessa cristianità era ancora lontana. Gli evangelizzatori e maestri degli Slavi si avviarono alla volta della Grande Moravia, compresi di tutta la ricchezza della tradizione e dell'esperienza religiosa che caratterizzava il cristianesimo orientale e che trovava un peculiare riflesso nell'insegnamento teologico e nella celebrazione della sacra liturgia». 1 A. M. Amman, Storia della Chiesa russa, Torino 1948, p. 6: «Un tardo racconto, tramandato solo da fonti russe, narra che S. Andrea nel viaggio dal Mar Nero a Roma attraversò la Russia passando per «la strada dai Variaghi ai Greci»: il racconto è certamente leg gendario. Nemmeno questa leggenda dice, però, che l'apostolo vi abbia predicato il Vangelo. («Cronaca di Nestore» (1116), Pietroburgo 1846, p. 38). Essa si è diffusa particolarmente nel secolo XVI, quando Mosca, «la terza Roma», mirava al primato nella Chiesa ortodossa. (Cronografo del 1512, in «Polnoe Sobranie russkich letopisej», XXII, Parte 1, p. 346 s. e tutta la produzione della prima metà del sec. XVI. Buon riassunto in A. Pogodin, Polvest o choïdeni) apostola Andreja v Rusi, in «Byzantinoslavica», VII (1937-38), pp. 128-148; A. Sjedelnikov, Drevnjaja kievskaja legenda ob apostolje Andreje, in «Slavia», III1 (1924-25), pagine 316-335)». 2 Вл. Соловьев / Vl. Solov'ëv, Великий споръ и хрискіанская политика, in idem, Собрание Сочинений В. С. Соловьева , Томъ чертвертий / La grande controverse de l'orient et de l'occident et la politique chrétienne , Брюссель 1966 / Paris 1943, стр. 33, 68-69 / pp. 86, 101-102: «L'Orient, orthodoxe dans sa théologie mais pas dans sa vie, comprit la Divino-humanité du Christ, mais ne put comprendre le sens divinohumain de l'Eglise; il ne voulait voir dans l'Eglise que le divin, non le divino-humain. Pour lui, l'Eglise était exclusivement quelque chose de sacré, un don descendu des hauteurs en sa forme définitive, conservé par la tradition et assimilé par la piété. En vérité, c'est là un commencement de la réalité de l'Eglise, mais, pour l'Orient, c'était le commencement et la fin. Pour l'Orient, toute la vérité du Christianisme, réalisée par l'Eglise, se concevait au-dessus de l'humanité et avant l'humanité. Mais, le Christianisme est une vérité théandrique, ayant pour objet l'union intime de la Divinité avec l'humanité tout entière. Si, de son côté, l'Orient se donna entièrement à la conservation des premiers germes sacrés du royaume divin, Rome, par contre, à cause de son caractère pratique, se donna avant tout pour tâche de trouver les moyens de parvenir au royaume divin sur cette terre. C'est l'unité du pouvoir spirituel qu'elle considère comme le premier et principal moyen, comme la première et la principale condition en vue de ce but. Rome, donc, met toute son âme à l'œuvre d'unification et de renforcement du pouvoir spirituel. Son génie particulier s'accordait avec une tâche semblable. Par son caractère historique spécifique, la Rome chrétienne ressemblait à la Rome païenne, manifestant surtout, comme cette dernière, le principe de la volonté, ou d'un esprit pratique, dont l'expression est la loi ou le pouvoir». 3 И. Кологривов / I. Kologrivov, Очерки по истории русской святости / Essai sur la sainteté en Russie, Сиракуза 1991 / Bruges 1953, стр. 22 / p. 17: «Le trait de collectivisme spirituel, d'aspiration au salut général du peuples de I'humanité et du monde entier est commun à toute pensée russe, croyante ou non. « Sera sauvé celui qui aura sauvé «, dira Vladimir Solovjev, et par là il se rencontrera non seuleument avec ceux qui partagent son credo comme Dostojevskij , Leontjev, les Slavophiles, mais avec ceux du camp adverse, Belinskij, Bakounine, Herzen, Tchernychevskjj, Lénine. Ces demiers chercheront eux aussi, sous une forme sécularisée, le salut du peuple et de l'humanité, et professeront que la délivrance des maux et des tourments de la souffrance doit s’accomplir non seulement au profit de l’individu mais au profit du monde entier». 4 H. Urs von Balthasar, Glaubhaft ist nur Liebe , Einsiedeln 1963, S. 42: «Der Tod des Einzelnen, für die Gemeinschaft ein feierlicher Augenblick, da sie an sich selber die den Menschen umgreifenden Schicksalskräfte erfährt, kann von ihm zwar in «Nicht-Widerstand» geleistet werden, einer Schickung in das Geschick, das in seiner Härte vielleicht auch Züge einer nicht ganz zu entschleiernd en Weisheit und Sanftmut ahnen läßt; ein Zusammenfallen solcher Resignation mit personal-menschlicher Liebe hegt aber doch - wie immer christlich beeinflüßte Denker darüber gesprochen haben - jenseits des Horizontes menschlicher Natur». 267 questa 'metodologia evangelica iniziale' ha avuto un suo peso. Se Bisanzio ereditava una cultura ellenistica già storicamente omologata, e se le altre Chiese d'oriente entravano in un quadro culturale d antica tradizione (Persia, Egitto, ecc.) nel contesto slavo-orientale, tutto è stato dato alla cultura dall'inculturazione: scrittura, insegnamento, arte, musica, conoscenze, memoria storica... L'incomprensione "popolare' per ogni cambiamento che non si radichi i quel 'primo momento' si esprimerà in modo intuitivo e diretto, particolarmente a livello emotivo con sfoghi talvolta incontrollati. La cattolicità sarà una cattolicità "dalla base" e non "dal vertice" 1. L’evangelizzazione, in questa prospettiva, sorge non dal passato cristiano già omologato e sancito come norma recepita, ma dalle promesse e scommesse d avvenire nell’accogliere tutte le culturalità umane nella loro densità religiosa nel dialogo rivelativo con il Vangelo. Si tratta di un evangelizzazione escatologica o di una metodologia escatologica dell’evangelizzazione. 1 Si trova qualcosa di simile nella prima evangelizzazione della Corea, fatto da non missionari professionali : La Chiesa cattolica coreana ha una storia unica al mondo 1. Essa apparve in Corea circa 200 anni fa, non grazie ai missionari stranieri, ma grazie ad un coreano non cristiano attratto dall'insegnamento del Cristianesimo. Lee Seung-Hun, il quale, dopo aver ricevuto il battesimo a Pechino nel 1784 dalle m'ni di p. Giovanni Giuseppe del Grammont, e prendendo il nome di Pietro, non appena tornò in patria cominciò al introdurre la religione cristiana insieme con due compagni da lui stesso istruiti e battezzati, facendo in breve un buon numero di proseliti, specie tra li persone colte e altolocate. In questo modo il primo nucleo della Chiesa coreano germogliò senza prete, senza gerarchia. Questi nuovi valori del Cristianesimo in corea, però ben presto portarono al conflitto con i valori tradizionali, sia quelli buddisti che quelli confuciani, a causa della sua avversione verso i loro riti considerati superstiziosi. Si arrivò, quindi, alla persecuzioni (1801, 1839, 1846, 1866) 2. La società influenzata dal Confucianesimo, considerò i cristiani come traditoti, in quanto rifiutavano i sistemi sociali e morali. Durante la lunga persecuzione, la Chiesa coreana si sviluppò in modo nascosto penetrando le caste più basse. Dopo la liberazione religiosa (1886) la Chiesa coreana, accettando i missionari francesi, iniziò a diffondersi rapidamente, persino nella famiglia reale 3. Purtroppo, però durante il periodo della colonizzazione giapponese (1910-1945) la Chiesa coreana fu perseguitata in vari modi. Anche la divisione e la recente guerra fra le due Coree (1950-1953) ha avuto come risultato che la Chiesa nella Corea del Nord è stata costretta a vivere di nascosto e poi, a mano mano, a sparire a causa della persecuzione del governo comunista. Quindi non esiste una libera attività religiosa nel Nord Corea. Attualmente invece nella Corea del Sud, che gode di libertà religiosa, i cattolici sono circa il 6% della popolazione coreana. I protestanti ent rarono in questo paese, dopo circa 100 anni dall'inizio della Chiesa cattolica. L'attuale cifra dei protestanti è di circa il 20% della popolazione coreana 4. (1 Cfr Choe Seok-U, Hankuk Cheon.cu Kyohoesa (La storia cattolica della Corea), Seoul 1970; Lee Weon-Sun, Hankuk Kyohosa (La storia cattolica coreana), Seoul 1968. / 2 Le vittime delle persecuzioni sono circa 20.000, fra le quali ne sono state canonizzate alcune nel 1984 in occasione della visita del Papa Giovanni Paolo Il per celebrare il duecentesimo anniversario dell'arrivo del Cattolicesimo nella Corea. / 3 Kim Seong-Thae, Hankuk Kyohoeyi --- palceonki (Il priodo dello sviluppo della Chiesa coreana), in «Kgeong-Hyang Capci», giugno e luglio 1986, pp. 138. / 4 In Corea, secondo le cifre raccolte nel'83 dal Ministero della cultura e religione, ci sono 68 diverse Chiese e movimenti protestanti.) 268