MENSILE DEL SINDACATO PENSIONATI ITALIANI
SPI-CGIL DELL’EMILIA-ROMAGNA
Editoriale
Attualità
Un ricordo e un impegno
per le vittime di mafia
Manifestazioni Auser
I volti e le voci
dello Spi a Roma
Diversi da chi?
Uguali a chi?
Memoria
Perché viaggiano
i migranti
Autorizzazione del tribunale n.4897 del 5 marzo 1981 - Spedizione in abbonamento postale 45%
Argentovivo marzo 2009
Cose da fare subito
per uscire dalla crisi
La sicurezza che
vogliamo
n.3
marzo 2009
1
In breve
valorizza il centro storico e
la piazza di Faenza, al servizio, quindi, non solo dei pensionati ed iscritti Cgil, ma di
tutti i cittadini.
Vuol essere anche questo il
significato della presenza
della Cgil nel territorio: non
soli, non isolati, ma presenti,
radicati, pronti e tenaci nel
diffondere le nostre idee e i
nostri valori, costantemente
a contatto con i nostri associati e con i cittadini tutti.
Argentovivo marzo 2009
Una tipica ceramica di Faenza
2
Faenza:
lo Spi
ha trovato
una nuova sede
La struttura Spi di Faenza Centro storico si è trasferita
nella nuova sede, posta in
corso Matteotti n. 4/24, più
capiente e situata ancora più
vicino alla piazza centrale
della città, abbandonando
la vecchia sede di via Torricelli. Il trasferimento nella
nuova sede, più ampia della
precedente sia come metratura che come disponibilità
di uffici, consentirà un incremento qualitativo e quantitativo dei servizi e delle
prestazioni ai nostri associati, e di migliorare anche le
opportunità di contatto e di
colloquio con loro. La nuova
sede sarà a norma sotto tutti
gli aspetti, in particolare per
quanto riguarda le possibilità di accesso delle persone
con handicap o invalide, che
nella vecchia sede trovavano
notevoli difficoltà per la presenza di gradini.
Non si tratta però solo di un
semplice trasferimento, dettato da esigenze di rendere
più efficiente la nostra organizzazione: questo spostamento assume soprattutto un
significato di rafforzamento
dell’insediamento dello Spi
nel territorio comunale, di
presidio della piazza, cioè
del luogo socialmente e culturalmente più vivace della
città; un segnale, quindi, di
un sempre maggiore radicamento nel tessuto cittadino e
di valorizzazione del rapporto con i pensionati e con chi
frequenta la nostra sede.
Lo diciamo con legittimo orgoglio: è una sede bella, che
ha ricevuto consensi unanimi tra i pensionati e le autorità cittadine, che ci hanno
onorato con la loro presenza
all’inaugurazione, avvenuta
lo scorso 21 febbraio. Una
sede che per la collocazione
e per le possibilità ricettive
Nuovi incarichi:
buon lavoro
alle donne
dello Spi-Cgil
Buon lavoro a Giuliana Guaitolini e a Luisa Zuffi, che sono
state elette responsabili dei
Coordinamenti donne di Reggio Emilia e di Modena.
Buon lavoro a Marianella
Casali e a Muriel Guglielmini,
che non ci abbandonano ma
hanno iniziato a svolgere
un’altra attività all’interno
della nostra organizzazione:
Muriel come responsabile
del distretto di Sassuolo e
Marianella nella segreteria
confederale della Cgil di Reggio Emilia.
Non dobbiamo avere paura
dei cambiamenti, ma salutarli
con gioia perché implicano
crescita e disponibilità a
rendere sempre più ricca e in
trasformazione tutta la nostra
organizzazione.
Buon lavoro a tutte le donne
che lavorano nella nostra
organizzazione e che hanno
la consapevolezza che la
“differenza” è un valore e una
crescita per tutti.
A San Lazzaro
una targa
per ricordare
Giancarlo Vignoli
Gli amici, tanti cittadini,
rappresentanti del mondo
sindacale e politico, si sono
ritrovati lo scorso sabato
24 gennaio a Villa Serena
Centro sociale Fiorenzo Malpensa, per una cerimonia dedicata al sindacalista della
Cgil Giancarlo Vignoli, deceduto nel 2002: avevano tutti
qualche cosa da ricordare.
Vignoli ha iniziato la sua
attività di sindacalista negli
anni ’50, quando era operaio della ditta Ceccoli di
Bologna, impegno che non
è venuto meno quando negli
anni ’60 ha lavorato alle Poste Italiane coprendo anche
l’incarico di vicepresidente
del Dopolavoro postelegrafonici, e di segretario della
sezione aziendale del Pci.
Con l’arrivo della pensione,
approdare allo Spi-Cgil è
stato un passo naturale. Nel
suo incarico di segretario
di Lega e responsabile Cit
per la zona di San Lazzaro,
Ozzano, Monterenzio e quartiere Savena forte è stato il
suo impegno, portato avanti
unitariamente, verso l’amministrazione comunale per dotare San Lazzaro nord di un
centro sociale quale luogo di
incontro, aggregazione per i
cittadini, e per sconfiggere
l’isolamento e la solitudine
degli anziani. Purtroppo una
grave malattia non gli ha
permesso di vedere l’opera
terminata.
Gli interventi del sindaco
Marco Macciantelli, del
segretario generale dello
In breve
Spi Bruno Pizzica, della responsabile della Camera del
lavoro intercomunale Magda
Babini, della segretaria di
Lega Agata Zambotti e del
responsabile del Pd locale
Corrado Fusai hanno fatto
emergere il suo grande impegno sindacale, politico e
sociale, la sua figura di alto
spessore umano, disponibile
al confronto con tutti, dedita
al volontariato e al bene della comunità.
In un comune sentire, dentro
ad una forte commozione,
è stata scoperta la targa
a Giancarlo Vignoli, una
persona che ha lasciato una
traccia importante nella comunità di San Lazzaro, e nei
compagni dello Spi e della
Cgil un ricordo indelebile.
(Lega Spi-Cgil San Lazzaro)
L’inaugurazione della targa dedicata a Giancarlo Vignoli
Passaparola
Partecipare, votare, contare
La Cgil, la più grande Organizzazione Sindacale in Italia, in questi giorni chiama i lavoratori, i pensionati, i cittadini ad esprimere un giudizio sull’accordo separato sul modello
contrattuale.
È una gran prova di partecipazione, di democrazia, che per la Cgil sono valori irrinunciabili.
Nello stesso tempo il nostro premier, che ama le semplificazioni, le scorciatoie, e prova
fastidio per tutti i passaggi “eccessivamente democratici”, ha tirato fuori una proposta
davvero singolare.
Per evitare lungaggini parlamentari, discussioni, pareri, idee un tantino diverse, meglio
che in aula votino solo i capigruppo. Più semplice, più sbrigativo, Lui decide, gli altri si
adeguano!
Partecipare, votare, contare per il capo del governo sono azioni passate di moda.
Dopo gli attacchi alla Costituzione, le limitazioni del diritto di sciopero, lo svilimento del
Parlamento, il percorso autoritario e dittatoriale è decisamente intrapreso.
Anche per queste ragioni i lavoratori, i pensionati, gli studenti, i cittadini saranno a
Roma, il 4 aprile con la Cgil, per un’Italia che non torni indietro.
“L’artista viaggiatore: da
Gauguin a Klee, da Matisse a Ontani, esploratori,
cavalieri erranti verso
terre lontane” è il titolo di
una bellissima mostra che
sarà in esposizione al Mar
(Museo d’Arte della città di
Ravenna) fino al 21 giugno
prossimo.
L’esposizione, curata da
Claudio Spadoni e Tulliola
Sparagli, presenta i percorsi
di alcuni dei più significativi artisti che affascinati
dal mito dell’esotico hanno
viaggiato e vissuto fuori
dell’Europa.
Il “viaggio” espositivo passa
attraverso due movimenti
artistici fondamentali per
l’arte europea tra Ottocento
e Novecento: l’orientalismo
ed il primitivismo.
La mostra è arricchita da
reportage fotografici e storici e da sculture, maschere,
oggetti rituali ed etnografici
dei luoghi evocati, provenienti dal Museo nazionale
preistorico ed etnografico
“Luigi Pigorini” di Roma.
Argentovivo marzo 2009
Gli artisti
viaggiatori
in mostra
a Ravenna
3
Sommario
2| In breve
• Faenza: lo Spi ha trovato
una nuova sede
•Nuovi incarichi: buon lavoro
alle donne dello Spi-Cgil
•A San Lazzaro una targa per
ricordare Giancarlo Vignoli
3| In breve
•Gli artisti viaggiatori in
mostra a Ravenna
• Passaparola
5| Editoriale
•Ne abbiamo viste tante: non
ci faremo piegare
Carla Cantone
7| In primo piano
Argentovivo marzo 2009
•Ronde cittadine? No, grazie!
Roberto Battaglia
•Sicurezza partecipata
non significa “ronde”
Raffaele Atti
•Volontari in campo:
l’esempio di Imola
Daniele Manca
11| Attualità
12| Attualità
22| Territori e leghe
14| Iniziative
23| Territori e leghe
15| Dal mondo
24| Territori e leghe
•A Roma abbiamo difeso i
diritti di tutti
Mirna Marchini
•Le donne al lavoro:
immagini di speranza
Bruno Pizzica
•A Cuba tra gli anziani che
hanno fatto la storia
Anna Maria Selini
17| Società
•Quando la vendita corre sul
filo del telefono
a cura della redazione
18| Dimensione Cgil
•Crisi, i numeri sono pesanti:
al lavoro il Tavolo regionale
Mayda Guerzoni
20| Auser
•Cerchiamo le uguaglianze
prima delle differenze
Gaetano Sambri
•Un ricordo e un impegno
per le vittime di mafia
Roberta Bussolari
15
5
Ne abbiamo viste
tante: non ci
faremo piegare
•Ravenna, festa insieme per
unire le generazioni
Luciano Rava
•Da Modena ad Auschwitz
per non dimenticare
Ebe Venturi
La foto di copertina è di Paolo Righi –
Meridiana Immagini
25| Territori e leghe
Argentovivo n. 3 - marzo 2009
Chiuso in tipografia
il 20/03/2009
la tiratura complessiva
è di 8.000 copie
•Ferrara, quando i migranti
eravamo noi
Valentina Vecchiattini
27| I temi della
memoria
•Le ragioni di un viaggio
Anna Maria Pedretti
•Le geografie degli altri
Eva Lindenmayer
•“Paura dell’altro”
e “paura dello stesso”
Marianella Sclavi
24
Da Modena ad
Auschwitz per non
dimenticare
27
20
12
A Roma
abbiamo
difeso i diritti
di tutti
4
A Cuba tra gli anziani
che hanno fatto la
storia
•Forlì, che calendario con le
“ragazze” dello Spi
Ada Paganelli
Cerchiamo le
uguaglianze prima
delle differenze
Le ragioni di un
viaggio
Le geografie degli
altri
“Paura dell’altro”
e “paura dello
stesso”
Direttore responsabile:
Mirna Marchini
Vice direttore:
Mauro Sarti
In redazione:
Roberto Melli, Luca Baldazzi,
Anna Maria Selini, Paola Guidetti,
Valentina Vecchiattini, Franco
Digiangirolamo.
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Proprietà
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Associato
UNIONE STAMPA
PERIODICI ITALIANI
Editoriale
Ne abbiamo viste tante:
non ci faremo piegare
Il 5 marzo pioveva tanto in piazza Navona a Roma. Qualcuno ci
ha mandato la pioggia. La prossima volta dovremo attrezzarci
con adeguati scongiuri.
Il 5 marzo abbiamo dato dimostrazione che con il sole o con la
pioggia, lo Spi c’è, perché convinto della battaglia che si sta
facendo e perché è convinto che
si possono ottenere risultati.
Il 4 aprile sarà per noi la continuità insieme alla Cgil di tenere alta la mobilitazione per
pretendere dal governo una
politica di progetto in grado di
uscire dalla crisi senza penalizzare lavoratori e pensionati.
Il tempo che abbiamo di fronte
a noi non è certo dei migliori
perché la crisi diventa sempre
più aggressiva. Licenziamenti,
precarietà, cassa integrazione, difficoltà di arrivare a fine
mese. La situazione nella quale
si trova anche il nostro Paese.
Eppure Tremonti sostiene che
siamo troppo ansiogeni e Berlusconi che dobbiamo pensare
positivo e non perdere l’abitudi-
Argentovivo marzo 2009
Carla Cantone
Segretaria generale
nazionale Spi-Cgil
ne di spendere, anzi, che occorre incentivare gli acquisti così
almeno i consumi girano. Veramente le “cose che girano” sono
altre, e girano a causa della incapacità del governo di affrontare la crisi con proposte utili a
superare le note difficoltà.
Certo, non bisogna creare
panico o disperazione, non si
tratta di essere catastrofisti, si
tratta, come sostengono lo Spi
e la Cgil, di avere un piano preciso: uno di emergenza e uno
di prospettiva, per portare in
questo modo il Paese oltre il
buio. Si deve e si può fare.
Per l’emergenza occorre prima
di tutto definire quantità di
risorse e modalità distributive affinchè per ogni persona
che perde un posto di lavoro,
sia uomo, donna, precario, sia
dell’industria che del pubblico
impiego o del terziario, vi possa essere un sostegno al reddito che lo accompagni per il
periodo necessario.
Allo stesso tempo occorre consentire una effettiva e concreta tutela delle pensioni e dei
salari, anche con il blocco delle tariffe sociali e il contenimento dei prezzi dei consumi
più frequenti per vivere. Solo
così si può arrivare non ad au-
5
Argentovivo marzo 2009
Editoriale
6
mentare i consumi, ma almeno
a non diminuirli.
In prospettiva invece occorre
agire da subito, senza aspettare neppure un giorno, su tre
versanti:
1.politiche di sviluppo
2.politiche sociali
3.politiche fiscali
Di sviluppo con un progetto di
politica industriale che affronti
il ritorno a casa di tante imprese e l’inizio di quella che viene
chiamata la deglobalizzazione.
Investire in edilizia con politiche abitative verso la casa,
il sociale, l’ambiente e con infrastrutture immediatamente
cantierabili a sostegno dello
sviluppo possibile.
Sul sociale, per un sistema di
welfare locale che affronti e
provi a dare risposte alla domanda sociale – assistenziale
- sanitaria. Creare una condizione di vita che aiuti le persone, non solo le più disperate,
ma l’insieme delle famiglie e
dei cittadini attraverso un dettagliato intervento sul sistema
generale di welfare. Creare
benessere, qualità, efficienza,
sviluppo ed occupazione.
E infine politiche fiscali basate
su equità, legalità, solidarietà,
dove chi guadagna meno paga
meno tasse e dove chi guadagna di più paga più tasse, come
ha proposto il Segretario generale della Cgil.
Ho accennato a tre questioni
“minime” che si possono fare
subito. È questione di volontà
politica, è questione di avere
una idea precisa e chiara di
democrazia economica e di
giustizia sociale.
Queste sensibilità e valori o le
hai o non le hai. Questi valori
non si comprano al mercato,
stanno nella mente e nel cuore,
e se chi governa un Paese non
li ha diventa tutto più difficile.
Infatti gli interventi del governo vanno in tutt’altra direzione. Sui salari ha definito
senza la Cgil un modello contrattuale che non li tutela.
Sulle pensioni, a fronte delle
nostre proposte di aumentarle
gradualmente, ha risposto con
la social card, il bonus, il libro
verde per privatizzare l’assistenza e sanità, alzare l’età
pensionabile alle donne.
Se tutti gli indicatori dicono che nel 2007-2008 ci sono
2.700.000 famiglie a rischio di
povertà e che le persone coinvolte sono oltre 8 milioni, che
le famiglie più colpite sono
quelle con componenti anziani o dove ci sono anziani soli,
oppure dove sono i pensionati,
con la loro pensione, ad aiutare
figli e nipoti che sono precari o
che perdono il posto di lavoro;
se su 16 milioni di pensionati
8 milioni vivono con meno di
1.300 euro al mese, e tra loro 4
milioni con meno di 800 euro e
altri 4 milioni con meno di 600
euro; se i non autosufficienti
sono oltre 3 milioni, se i disoccupati veri sono oltre 2 milioni
e 600 mila sono i cassintegrati,
allora non c’è più tempo, occorre agire subito e bene come sta
avvenendo pur tra mille difficoltà in altri Paesi europei.
Si può fare, non è vero che non
si può. La Cgil e lo Spi hanno
avanzato proposte precise,
dettagliate e argomentate,
proponendo anche dove reperire le risorse necessarie. Nelle ultime settimane
Tremonti e Berlusconi
stanno riconoscendo
la gravità della situazione e tentano interventi. Se qualche
cosa sta cambiando è
grazie a noi, allo Spi,
alla Cgil. Se qualche
cosa strada facendo cambierà
concretamente è grazie alla
nostra coerenza, alla coerenza
di un’organizzazione sindacale
che vorrebbero isolare e colpire in ogni momento nella sua
rappresentatività.
Non ci riusciranno, come
d’altra parte non ci sono mai
riusciti. Noi siamo una generazione che ne ha viste tante e
che ha superato molti momenti
difficili. Noi siamo la Cgil di
Di Vittorio: non ci possono né
fermare né intimorire, né tanto meno ci faremo piegare. Lo
abbiamo dimostrato il 13 di
novembre al Palalottomatica,
nelle tante iniziative anche
unitarie nei nostri territori,
come è avvenuto in Emilia Romagna, lo abbiamo dimostrato
il 12 dicembre e nei tanti attivi
e migliaia di assemblee che
stiamo tenendo in tutta Italia.
Lo stiamo dimostrando votando contro l’accordo separato
sulle regole contrattuali.
Lo dimostreremo il 4 aprile a
Roma al Circo Massimo. Saremo in tanti, perché lo Spi e la
Cgil sono la stessa cosa, perché
le proposte dello Spi sono le
proposte della Cgil e insieme
dobbiamo con determinazione
non cedere di un millimetro.
In primo piano
Roberto Battaglia
Segretario Spi-Cgil
Emilia-Romagna
Il
Decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri nei giorni scorsi
con l’articolo 6 introduce di
fatto la legalizzazione delle
cosiddette ronde nell’ambito
del controllo del territorio, determinando così uno stravolgimento negativo e preoccupante rispetto alle attuali compe-
tenze in materia di sicurezza e
di contrasto alla criminalità.
Da sempre, la gestione dei
servizi di sicurezza e di ordine pubblico è competenza
esclusiva dello Stato e delle
sue Istituzioni: l’utilizzo invece di gruppi di cittadini, così
come previsto dal Decreto
legge, porta ad una pericolosa deriva verso il “fai da te”,
su una materia complessa
quale è la sicurezza urbana
delegittimando le forze di polizia e le Istituzioni preposte.
La sicurezza, invece di essere
appaltata a privati cittadini,
va affrontata con atti concreti
a partire dalla certezza della
pena, dalla effettiva presenza
di agenti sul territorio, fino al
miglioramento della vivibilità
delle città. In realtà il governo non è affatto interessato a
garantire la sicurezza e la legalità. Infatti utilizza, da un
lato, la paura e l’insicurezza
dei cittadini per puro tornaconto elettorale con annunci
di grande effetto, e dall’altro
presenta un disegno di legge
che limita l’uso delle intercettazioni, strumento decisivo
per individuare i colpevoli autori di reati orrendi come la
pedofilia, la violenza sessuale,
la corruzione. Contrastare gli
effetti deleteri dell’art. 6 del
Decreto legge è però possibile
grazie alle esperienze in atto
da tempo nei nostri territori, che vedono la presenza di
associazioni del volontariato
sociale, impegnate in azioni di
buone pratiche di senso civico,
Argentovivo marzo 2009
Ronde cittadine?
No, grazie!
7
In primo piano
Argentovivo marzo 2009
Volontari in campo: l’esempio di Imola
8
La sicurezza non è un tema che possa essere affrontato alimentando la paura o con misure
propagandistiche come le ronde e i militari nelle città. Il Comune di Imola ha lanciato in questi
mesi un’iniziativa, che coinvolge le associazioni di volontariato, i centri sociali, i forum territoriali, al fine di dare vita ad un progetto di educazione civica e di sicurezza partecipata.
ImolAttiva, questo il nome che abbiamo dato al progetto, si pone un obiettivo che va
oltre quello della sicurezza. La nostra è una sfida innanzitutto culturale: vogliamo restituire alle persone il senso di appartenenza alla comunità, ripristinare alcune regole
di civile convivenza, riempire gli spazi della città di una presenza amica che funga da
deterrente per la microcriminalità, proporre iniziative ed eventi per far incontrare gente di diversa origine e differenti culture e favorire la reciproca conoscenza.
Persone provenienti dal nostro ricco mondo del volontariato, adeguatamente formate
e provviste di un tesserino di riconoscimento del Comune di Imola, avranno il compito
di garantire questa presenza, discreta e rassicurante, incaricata di diffondere i comportamenti corretti tra i cittadini, soprattutto i più giovani (non imbrattare i muri, non
gettare cartacce, rispettare i codici e i regolamenti), controllare l’entrata e uscita degli
alunni dalle scuole, individuare i disservizi e i punti che necessitano di interventi di
manutenzione, raccogliere le segnalazioni dei cittadini.
Nulla a che vedere con le ronde, uno strumento che rifiutiamo, perché rischia di produrre pericolose sovrapposizioni rispetto ai compiti di ordine pubblico spettanti alle
forze di polizia, oltre ad avere un significato demagogico e strumentale. ImolAttiva è
un atto di fiducia nei cittadini e nella loro capacità di scegliere la legalità e riappropriarsi del gusto del vivere insieme nella propria città.
Daniele Manca sindaco di Imola
e valorizzando quanto indicato
dall’art. 8 della Legge regionale n. 24 del 2003 - Polizia locale
e Sistema integrato di sicurezza - che contempla sì l’utilizzo di volontari, ma come
figura amica e rassicurante
per promuovere l’educazione
alla convivenza e il rispetto
della legalità, la mediazione
dei conflitti, l’integrazione e
l’inclusione sociale, all’interno
di un sistema di sicurezza partecipata, cosa ben diversa dal
decreto governativo.
A seguito delle azioni svolte in
materia di sicurezza da parte
della Regione Emilia-Romagna e delle amministrazioni
comunali, e per il ruolo positivo
svolto dalle forze dell’ordine e
dalla polizia locale, non si sente alcuna necessità delle ronde
cittadine: al contrario vanno
mantenute ed estese iniziative e misure per affermare una
idea di città sicura per tutti
attraverso piani, progetti, patti locali che vedano coinvolte
tutte le parti interessate, dalle
Istituzioni pubbliche alle associazioni del volontariato, per
realizzare una vera politica
della sicurezza e della legalità.
Grandu (Silp-Cgil): “Il fai da te
genera pericolose confusioni”
Le ronde? Si tratta – sottolinea Giovanni Grandu, segretario generale Silp-Cgil dell’Emilia-Romagna, “dell’ennesima conferma del pericoloso clima di confusione che regna nel Paese sul
versante delle autonome iniziative dei cittadini nel controllo del territorio. Le ronde sono un
problema in più e non un ausilio per le forze dell’ordine, come i fatti hanno dimostrato, ma
sono un pericolo per tutti se autogestite senza avere la più pallida idea dei limiti posti dalla
legge sui temi della sicurezza e della legalità. È una questione meramente di tipo culturale,
prima che di risorse e quant’altro”. A proposito delle ronde Grandu parla di “una sovrapposizione non controllabile e non gestibile”. “Le risorse a nostro avviso – prosegue - vanno
impiegate ad assumere, ovvero, predisporre dei concorsi pubblici a cui far partecipare ragazzi
e ragazze giovani da avviare ad un percorso formativo presso le scuole delle forze di polizia
e, solo allora, impegnare sul controllo del territorio a fianco dei cittadini sulla polizia di prossimità. Questa sarebbe una scelta razionale e logica. Al contrario si corre il rischio di grotteschi
episodi di sicurezza ‘fai da te’, come pure avvenuto in questi giorni a Rieti, e denunciato dalla
nostra segreteria nazionale”, dove “alcuni vigilantes assunti dai residenti di un quartiere hanno inseguito un’auto della Squadra Mobile con i colori non di istituto per poi segnalarla come
sospetta agli uffici di polizia”. “Un esempio emblematico – sottolinea Grandu - ma tanti altri
ce ne saranno, e nel caso specifico nessuno si è fatto del male grazie alla professionalità degli
operatori di polizia, e tuttavia ci sembrerebbe saggio non sfidare la sorte, evitando di soffiare
politicamente sul fuoco e predisponendo velocemente le necessarie correzioni al decreto e il
suo regolamento di attuazione. Questa ci pare cosa sensata”.
In primo piano
Sicurezza partecipata
non significa “ronde”
Raffaele Atti
assessore alla Sicurezza
del Comune di Ferrara
Argentovivo marzo 2009
L
a partecipazione dei
cittadini alla gestione
delle politiche per la sicurezza urbana è certamente
un obiettivo da perseguire.
Le ronde promosse dal decreto
Maroni sono un modo sbagliato e pericoloso di porre la questione. Intanto perché nascono
per legalizzare la scesa in campo di forme sostitutive e sussidiarie delle forze dell’ordine in
materia di controllo del territorio e dell’ordine pubblico,
promosse direttamente, o comunque ispirate, da formazioni
politiche. E qui c’è un punto di
svolta incompatibile con la natura dello Stato democratico,
nel quale le funzioni connesse
alla tutela dell’ordine pubblico
e della sicurezza vanno garantite da forze neutrali rispetto
allo scontro politico.
Quando sentiamo il capogruppo provinciale della Lega Nord
o la responsabile per la sicurezza di An annunciare “noi
siamo pronti”, ogni sincero
democratico deve cominciare
a preoccuparsi. Per questo bisogna battersi per cambiare
il decreto su questo, come sui
tanti altri punti sui quali si è
imboccata una pericolosa deri-
Volontari civici in aiuto ai vigili urbani
va autoritaria e una torsione di
principi cardine dello Stato di
diritto, come si è fatto in materia di carcerazione preventiva,
sull’onda di un consenso che
si alimenta di una oculata gestione delle insicurezze, delle
paure e delle tensioni che lo
stesso aggravarsi della crisi
economica produce.
La Regione Emilia-Romagna ha
già previsto, all’art 8 della Legge regionale n. 24 del 2003 – Polizia locale e Sistema integrato
di sicurezza – l’impiego di forme
di volontariato per promuovere
l’educazione alla convivenza e
il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo
tra le persone, l’integrazione e
l’inclusione sociale, sottoposte
al coordinamento del comandante della Polizia municipale.
È chiaro che si tratta di un profilo diverso da quello evocato
dal decreto.
Respingere le “ronde” non significa lasciare soli i cittadini
davanti ai punti di degrado
delle condizioni di civile convivenza, né chiudersi nell’alternativa tra le pattuglie
dell’esercito e quelle dei volontari in camicia verde (o nera).
Si possono chiamare i cittadini
a una forte collaborazione con
le forze dell’ordine, soprattutto se queste, su impulso dei
comitati per l’ordine pubblico
e la sicurezza, rispondono con
sollecitudine alle segnalazioni,
e operano con determinazione
e con l’efficacia che deriva dal
coordinamento, sui punti che
suscitano maggior preoccupazione. E potranno farlo se saranno dotate degli uomini e dei
mezzi di cui devono disporre.
9
In primo piano
Argentovivo marzo 2009
Si può rafforzare questa capacità di “agire” una sicurezza
collettiva attraverso la presenza coordinata e sempre più
visibile delle polizie di prossimità. Si possono chiamare i
cittadini a elaborare progetti
di riappropriazione degli spazi pubblici, che facciano leva
sull’azione coordinata dei vari
soggetti (polizie, amministrazione comunale, volontariato)
per rimuovere il degrado, costruire occasioni di socialità,
restituire sicurezza alla fruizione di luoghi riqualificati
con processi di urbanistica
partecipata. Si può renderli
partecipi di nuove relazioni
comunitarie nelle quali si impari a convivere, attraverso
la reciproca conoscenza, tra
culture e tradizioni diverse,
anche attraverso la riscoperta
delle proprie storie e delle proprie radici con le esperienze
di teatro comunitario, fino ad
acquisire consapevolezza che
una società multietnica non è
necessariamente meno sicura. Si può rafforzare la rete dei
rapporti di vicinato per tutelare gli anziani dal rischio delle
truffe. Si può costruire con le
associazioni dei commercianti
un percorso di contrasto alla
diffusione dei furti, aumentando le difese passive e adottando
comportamenti conseguenti.
Sono dunque molte le modalità
attraverso le quali i cittadini
possono essere parte attiva
di una politica per la sicurezza urbana. Sono modalità che
pratichiamo da tempo nella
nostra città, e di cui i cittadini
hanno potuto apprezzare i risultati. E dunque non abbiamo
alcun bisogno di delegare la
difesa delle “nostre donne” e
delle “nostre case” alle ronde
del capogruppo della Lega.
Se a si chi, par nu a putì anch’
andar a ca’.
Tagli alle forze dell’ordine:
la sicurezza dei cittadini è a rischio
Il cosiddetto “Pacchetto sicurezza” varato dal governo e approvato dal Parlamento è in realtà “un ulteriore passo indietro e non in avanti sul terreno della salvaguardia della sicurezza dei cittadini”. Lo affermano in un documento congiunto la Camera del Lavoro metropolitana Cgil e il Silp – Sindacato lavoratori polizia per la Cgil, che osservano: “Nei fatti i
provvedimenti assunti dal governo si traducono in un taglio di oltre 900 milioni di euro per le forze dell’ordine.
Nei fatti siamo di fronte a:
• una riduzione di organico, nei prossimi 3 anni, di oltre 4.000 unità nella sola Polizia di Stato. Il mancato rispetto del
turn over comporterà anche l’innalzamento dell’età media degli operatori impegnati in servizi difficili, con tutto ciò
che questo comporta;
• tagli nelle spese per la ordinaria manutenzione dei veicoli della polizia, per le forniture di vestiario ed equipaggiamento, nonché nei confronti delle imprese che curano la pulizia ed il decoro dei locali nei quali la stessa vive ed opera;
• tagli alle indennità di missione ed in genere a tutte le indennità legate alla operatività, in palese contraddizione con
la tanto sbandierata necessità di valorizzare il lavoro degli operatori di polizia.
A fronte di ciò, la sicurezza dei cittadini anziché aumentare è destinata ad essere ulteriormente a rischio. Siamo di
fronte a tagli di ampia portata e con pesanti e negative ripercussioni. Si tenta di nascondere ciò attraverso l’inutile e
sbagliato impiego dei militari nel servizio di controllo del territorio, dando spazio alle cosiddette ronde dei cittadini.
Quest’ultima scelta, comportando più problemi per le forze di polizia, il rischio di abusi, di ulteriori tensioni sociali,
anziché risolvere aggraverà i problemi presenti. La CdLM-Cgil e il Silp per la Cgil esprimono la propria contrarietà a tali
provvedimenti e si sentono impegnate ad un’azione di contrasto”.
10
Attualità
Roberta Bussolari
associazione Libera
Emilia-Romagna
A
nche quest’anno il primo giorno di primavera
è un giorno di impegno,
memoria e di festa insieme.
Come ormai succede da 13 anni
ci siamo ritrovati in una città
italiana per “abbracciare” i familiari delle vittime delle mafie e dire loro che non sono soli,
per ricordare tutti i nomi (dai
più “famosi” ai tanti anonimi
su cui più facilmente è caduto
il velo della dimenticanza) di
coloro che hanno dato la vita
perché noi potessimo vivere più
liberi, ma anche e soprattutto
per impegnarci a fare la nostra
parte contro le mafie.
Quest’anno, per quella che si
chiama “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo
delle vittime delle mafie”, ci
siamo ritrovati a Napoli il 21
marzo per non dimenticare
l’esempio di coloro che hanno pagato con la vita la loro
onestà e correttezza civile:
semplici cittadini, magistrati,
giornalisti, appartenenti alle
forze dell’ordine, sacerdoti,
imprenditori e commercianti,
sindacalisti, esponenti politici, amministratori locali sono
morti per mano delle mafie
perché, con rigore e coerenza,
hanno compiuto il loro dovere.
I loro nomi sono stati letti e
scanditi dalle voci dei partecipanti alla Giornata. Ma il
ricordo non basta, la Giornata
è soprattutto l’occasione per
affermare che ci siamo, che vogliamo fare la nostra parte: non
per essere “eroi” ma per essere
pienamente cittadini, con diritti e doveri, capaci di solidarietà, rispettosi della legalità.
Il programma di Napoli prevedeva un grande corteo per
percorrere le vie centrali della
città, mentre dagli altoparlanti
posti lungo il percorso sono stati scanditi i nomi delle vittime
delle mafie, per poi concludere
la manifestazione in Piazza Plebiscito. Nel pomeriggio si sono
tenuti sette seminari tematici
in contemporanea in diversi
luoghi della città, per approfondire e riflettere insieme sui tanti modi con cui si manifestano e
si diffondono le mafie. Alla fine
il ritorno in Piazza Plebiscito
per ascoltare la musica di alcuni gruppi, tra i quali i Modena
City Ramblers, che hanno dedicato alcune canzoni del loro
ultimo album a Libera.
Il 19 marzo una importante
“anteprima” della Giornata si
è svolta a Casal di Principe,
città dove operava Don Peppe
Diana, indimenticato parroco
che amava stare tra la gente
e insegnava ai giovani a guardare a testa alta la vita: per
questo 15 anni fa è stato ucciso dalla camorra, che non sopporta che le persone ragionino
con la loro testa come uomini
liberi, anziché sottomettersi
come sudditi. Durante quella
giornata abbiamo “invaso” pacificamente la città, per dire
che è nostra, e per farla diventare con l’animazione un luogo
di vita e di crescita civile.
Non è casuale la scelta di Casal di Principe perché su quel
territorio, tristemente noto
per essere la “capitale” del
clan camorristico dei Casalesi, a breve sorgerà la nuova
cooperativa di Libera Terra
che gestirà terreni e immobili confiscati alla camorra per
produrre mozzarelle di bufala.
Per partecipare alla Giornata di Napoli, Libera EmiliaRomagna ha organizzato un
pullman. Per informazioni
sulle future attività e sugli appuntamenti dell’associazione:
tel. 051 228390 (Libera EmiliaRomagna), mail [email protected].
Argentovivo marzo 2009
Un ricordo e un impegno
per le vittime di mafia
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11-02-2009 15:55:10
Attualità
A Roma abbiamo difeso
i diritti di tutti
Mirna Marchini
Segretaria Spi-Cgil
Emilia-Romagna
Argentovivo marzo 2009
U
n cielo plumbeo e una
pioggia incessante hanno accolto a Roma il 5
marzo oltre 20.000 pensionati
della Cgil, tornati in piazza ancora una volta per chiedere di
adeguare le pensioni all’inflazione, di estendere la quattordicesima mensilità, una legge
e il finanziamento del fondo nazionale per tutelare le persone
non autosufficienti.
Dalla caduta del governo Prodi i pensionati, gli anziani,
non hanno ricevuto nessun
sostegno rispetto ai loro bisogni, solo un po’ di carità, come
dice Carla Cantone, Segretaria
nazionale Spi, ma le persone
che hanno lavorato una vita e
che ancora oggi aiutano figli e
nipoti a “sbarcare il lunario”
in una situazione difficile per
tutti, meritano interventi di
qualità, rispetto e dignità.
Sotto i K.way rossi ci sono tanti
volti, e tante storie, uomini e
donne da ogni regione d’Italia che hanno viaggiato tutta
la notte, e che sono in piazza
a Roma per difendere i diritti
conquistati, per allargarli a
chi non li ha, come i lavoratori
precari che pagheranno pesantemente questa crisi.
I pensionati, gli anziani e i tanti giovani presenti – ha aderito
anche la Rete degli studenti
- hanno lanciato un altro forte
messaggio: “Non ci metterete gli
uni contro gli altri”, non ci stiamo al conflitto generazionale,
e alla guerra fra poveri, perché
la lotta per i diritti è trasversale
alle generazioni ed è la risposta
che intendiamo dare a un gover-
no che ha messo in campo scelte
sbagliate ed inadeguate per affrontare la crisi.
Da piazza Navona è partito un
messaggio forte al governo. I
pensionati, le pensionate non
sono rassegnati, sono pronti a
continuare la lotta, a ritornare a manifestare, il 4 aprile di
nuovo a Roma con la Cgil perché, come ha ribadito Guglielmo Epifani concludendo la manifestazione, dalla crisi si esce
solo se si sostiene il reddito, e
pensionati, lavoratori e precari sono una parte importante
del Paese.
La piazza del 5 marzo: i nostri volti, le nostre parole
12
Attualità
Argentovivo marzo 2009
In 20mila per chiedere rispetto,
equità, sostegno ai redditi
13
Iniziative
Le donne al lavoro:
immagini di speranza
Bruno Pizzica
Segretario generale
Spi-Cgil Bologna
Argentovivo marzo 2009
C
14
he dire di più: è stato
un successo, e che successo! Nato quasi per
scherzo tra molti “se” e diversi
“ma”, il concorso fotografico
“Donne al lavoro” e la mostra
che ne è nata hanno tenuto
banco per più di un giorno
riservandoci numerose sorprese. La prima è stata la sala
Farnese a Palazzo D’Accursio:
bella come sempre, piena come
quasi mai; e piena non di funzionari sindacali annoiati, ma
di tante ragazze (e di un po’ di
ragazzi) interessate, curiose,
attente (e anche questa è stata
una piacevole sorpresa).
In quel contesto anche i sinda-
calisti presenti (noi compresi,
of course) facevano la loro figura. Poi il tavolo dei relatori
(sì, perché prima della inaugurazione della mostra, abbiamo arrischiato un dibattito
sulla condizione delle donne):
tutto al femminile, con due
sindacaliste storiche, Valeria
Fedeli e Carla Cantone, una
giovane e brava assessora
provinciale, Simona Lembi, e
poi, la direttrice de “L’Unità”,
Concita de Gregorio per tutti
semplicemente Concita, vera
star della mattinata. Con loro
ovviamente la nostra Ivana e
infine, unico maschio, il sindaco della città, Sergio Cofferati,
che ha retto il tavolo senza imbarazzo, da consumato “uomo
di mondo”.
Concita ci ha appassionato tutti. Il suo intervento di apertura
ha segnato la platea, per quel-
Da sinistra Bruno Pizzica, Anna Maria Selini, Concita De Gregorio,
Ivana Sandoni, Simona Lembi
lo che ha detto, per come l’ha
detto (e per il momento che,
come direttore dell’Unità, sta
vivendo insieme a tanti suoi
collaboratori). “Attenzione,
nulla accade all’improvviso;
tutto si costruisce pian piano:
oggi stiamo scontando i frutti
del rampantismo politico e sociale degli anni ’80”, quelli segnati dal craxismo e da molti
episodi finiti anche in tribunale e sui giornali. Così il quadro
ci è stato tratteggiato in modo
tanto chiaro quanto allarmante. Se oggi paghiamo gli effetti
di allora, cosa pagheremo tra
15-20 anni, quando il berlusconismo sarà finalmente andato
in saldo e a tutti noi toccherà
il conto… un brivido è corso
nella nostra schiena e, immaginiamo, in quella di gran
parte dei presenti (infiltrati,
purtroppo, ce n’è sempre): ci
arriverà addosso allora il temuto “default”? La mattinata
passata insieme, per fortuna,
ci ha dato qualche conforto;
in fondo se ci sono tante ragazze che si ingegnano con la
macchina fotografica e si impegnano non in foto fatue, ma
provando a ritrarre lavoro di
donne, e se c’è tanta gente che
quelle foto le viene a vedere, in
fondo vuol dire che qualcosa
ancora c’è nella cultura di questo Paese, che fa resistenza,
che pensa diversamente, che
ascolta le voci vere che ancora cercano spazio tra veline e
paillettes. Su questo dobbiamo
scommettere, e questo voleva
essere uno dei messaggi della
iniziativa che il coordinamento donne dello Spi bolognese (e
anche quello “uomini”) voleva
veicolare: non solo memoria,
ma attenzione al presente e
fili comuni da rintracciare e
far vivere. Lungo questa linea
si è svolta l’intera giornata con
momenti di commozione: le
ragazze giornaliste-precarie
della redazione dell’Unità
di Bologna (una di loro con
il bimbo in carrozzina) che,
prima che il dibattito iniziasse, hanno circondato il loro
direttore per avere notizie
sulla situazione del giornale,
hanno concretamente rappresentato tutto questo insieme
ai volti giovani di coloro che
hanno partecipato al concorso
e, magari, hanno vinto uno dei
premi in palio. L’Unità ha poi
dato grande risalto all’iniziativa, illustrando 8 pagine del
giornale di domenica 8 marzo
con 8 foto tratte dalla mostra. Noi, anche per questo,
vorremmo dedicare il lavoro svolto proprio a loro, alle
giovani giornaliste-precarie
preoccupate per il loro futuro e ai ragazzi e alle ragazze
che a decine di migliaia ogni
giorno perdono il lavoro: forza Alice, forza Giulia, forza
Chiara, forza Antonella, forza
Elisabetta, non permettiamo
che distruggano il futuro.
Dal mondo
Anna Maria Selini
Spi-Cgil Bologna
E
ra il 1959 quando un
gruppo di ragazzi poco
più che adolescenti, in
un’isola esotica dei Caraibi,
dava vita ad una rivoluzione
che, come un piccolo tsunami,
riuscì a raggiungere, emozionare e travolgere migliaia di
persone da una costa all’altra
del mondo. Da allora Cuba è
retta dallo stesso uomo - sebbene nel 2006 Fidel Castro abbia ceduto il potere al fratello
Raul - e quei ragazzi, proprio
come lui, sono ormai anziani
e pensionati. Una generazione
che ha fatto la storia, vivendo
episodi divenuti leggendari,
lentamente destinata a scomparire, mentre i giovani fatica-
no a capire una rivoluzione che
non hanno vissuto e in molti
sperano nella “nuova strategia” promessa in campagna
elettorale da Obama.
Vicente Perez, quando lo incontriamo, ha 88 anni. Sembra
un musicista jazz dallo sguardo
sornione e dalla risata cinematografica. Oggi come quasi tutti i “ragazzi della rivoluzione”
ricopre un importante ruolo
nella direzione del sindacato
dei pensionati, ma quando incontrò per la prima volta Che
Guevara, nel 1958, era soltanto
un lavoratore del tabacco.
“Sono stato il primo a cui il
Che disse che non sarebbe
rimasto per sempre a Cuba
– ricorda con orgoglio -. Ci incontravamo di nascosto, io ero
iscritto al partito comunista e
lui stava cercando di formare
un gruppo di operai da usare
contro il regime e il sindacato,
che allora appoggiava Batista
(il dittatore abbattuto dalla
rivoluzione, ndr). Ci incon-
trammo tre o quattro volte,
facevamo lunghe chiacchierate, lui fumava la pipa e io gli
portavo in regalo del mate. ‘Comandante, la faremo cittadino
cubano’, gli dissi un giorno. Lui
rispose: ‘Amo molto Cuba, ma
ho un debito con l’America’ e
non aggiunse altro. Era serio,
di poche parole, a differenza
di quello che molti credono era
un uomo normale. Non come
Fidel, davanti a lui ti sentivi
sempre una formica”.
Ad aver conosciuto entrambi i
fratelli Castro è Martell Rosa,
74 anni, storico dirigente sindacale degli azucareros. Appena ventenne militò nella lotta
clandestina, animando i grandi
scioperi degli studenti e dei lavoratori dello zucchero, allora il
settore più importante dell’economia cubana. Tra la mani
stringe una foto del 1981, dove
lo si vede parlare e scherzare
con Fidel e Raul. “Fidel è sempre stato molto forte e vitale –
racconta - non solo fisicamente.
La sua è un’intelligenza al di
sopra della norma, a cui si aggiunge un grande fascino”. Ben
noto alle donne cubane.
Ad avere ancora oggi una vera
e propria venerazione per Fidel,
per esempio, è Rosa Gonzalez,
72 anni, tra le fondatrici del
movimento dei pensionati e
delle prime federazioni femminili cubane. A soli 22 anni,
Rosa si ritrovò “senza accorger-
sene” a fare la messaggera per
Che Guevara, allora nascosto
con i suoi nella Sierra Maestra.
“Il mio compito era portare i
messaggi dalla provincia di
Granma all’Avana – ricorda – li
infilavo dove capitava, sotto la
suola delle scarpe, la lingua o
addirittura nelle mutande. Mia
madre cucinava per lui dolci di
latte, ne andava matto, anche
se io non ho mai avuto la fortuna di parlare direttamente con
lui. Mentre con Fidel sì, anni
dopo, ed è stata un’emozione
che non dimenticherò mai”.
Rosa è solo una dei 30-40 mila
pensionati volontari al servizio dello Stato: dopo aver terminato il lavoro continuano
a prestare la loro opera, magari formando i giovani nelle
professioni o comunque impegnandosi a tramandare gli
“ideali della rivoluzione”.
Non tutti gli anziani però sono
così fedeli e basta camminare
per le vie dell’Avana per rendersene conto. Amado ha 76 anni
Argentovivo marzo 2009
A Cuba tra gli anziani
che hanno fatto la storia
15
Argentovivo marzo 2009
Dal mondo
16
e vende caramelle per strada.
“La pensione non mi basta per
vivere – spiega – così arrotondo
un po’, mentre il governo chiude un occhio”. Lui la rivoluzione
l’ha vissuta “in disparte” e non
lascerebbe mai Cuba per i suoi
affetti, “ma capisco chi se ne va
– dice - soprattutto i giovani. Fidel e Raul sono dei buoni capi,
ma qui ci sono molte difficoltà
e povertà”.
Dal 1961 Cuba è sottoposta a
un embargo voluto dagli Stati
Uniti: questo significa scarsità di prodotti e cibo razionato
per ogni cittadino, ma anche
la certezza per tutti di avere
un pasto. L’economia si regge
su una doppia moneta: quella
per i cubani e per acquistare prodotti razionati e quella
per i turisti e i negozi alla loro
portata, dove più o meno si può
trovare ogni bene e a cui in
teoria i cubani hanno difficile
accesso, visto che lo stipendio
medio è di circa 20-30 euro al
mese. In teoria, perchè chi è a
contatto con i turisti o chi ha
parenti emigrati all’estero, ri-
esce comunque ad accedere ai
cosiddetti “shopping”, preclusi
alla maggior parte degli abitanti dell’isola.
Cinquant’anni di Fidel, però,
hanno significato anche assistenza medica e istruzione,
fino al livello universitario,
interamente gratuite. Secondo l’Organizzazione mondiale
della sanità, l’aspettativa di
vita dei cubani è la stessa degli abitanti degli Stati Uniti e
il tasso di mortalità infantile è
quasi ai livelli del mondo occidentale. E non solo è stato eliminato l’analfabetismo pressoché dominante ai tempi di
Batista, ma il livello di scolarizzazione e in generale quello
culturale non hanno paragone
con quello degli altri abitanti
dei Caraibi.
Dal cortile dove si infila due
volte a settimana per arrotondare, riparando scarpe e borse, Riki, 23 anni, tuona: “Voi
stranieri vi siete mai chiesti
perché voi potete viaggiare e
noi no? Beh, io non trovo una
risposta logica”.
Se Fidel incanta ancora i vecchi
rivoluzionari, le nuove generazioni sentono sempre più il fascino
delle tentazioni e delle libertà
occidentali, portate sull’isola dai
turisti: cellulari, ipod, internet,
ma anche libertà di comunicare
e viaggiare, oggi pesantemente
ristrette. Quelle stesse libertà
che Raul ha promesso di concedere progressivamente, consapevole che il “sistema” Cuba
se vuole continuare ad esistere,
deve aprirsi, piegandosi anche
alla modernità.
“Noi non abbiamo paura dei
prossimi 20 anni – sentenzia
fiducioso il vecchio azucarero
Martell - sappiamo che alcuni
si lamentano. Ci sarà sempre
una piccola parte contraria,
ma non sarà mai la maggioranza dei cubani. E poi noi ci
fidiamo dei giovani, perché, in
fondo, sono i nostri nipoti”.
Pillole d’Europa
a cura di Livio Melgari Dipartimento internazionale Spi
Euro, la moneta unica
La moneta unica è diventata realtà nel 1999, ma solo per le operazioni non in contanti. È
stato necessario aspettare il 1° gennaio del 2002 per vedere le prime banconote e monete
in euro sostituire le valute nazionali di dodici dei quindici Paesi che a quella data costituivano l’Unione Europea.
Regno Unito, Danimarca e Svezia decisero infatti di mantenere le monete nazionali, ma
negli anni successivi saranno sempre più i Paesi che entreranno nell’area dell’Euro; ultimi
in ordine di tempo: Slovenia, Malta, Cipro e, dal 1° gennaio 2009, la Slovacchia, sedicesimo
Paese ad entrare in Eurolandia.
Le banche centrali nazionali (bcn) dell’Unione formano, insieme alla Banca centrale europea
(Bce), il sistema europeo di banche centrali (sebc).
Insieme alla Bce le sole banche centrali nazionali che hanno adottato l’Euro formano l’Eurosistema, che ha come obbiettivo primario il mantenimento della stabilità dei prezzi attraverso la politica monetaria, le operazioni in valuta e la regolazione dei sistemi di pagamento.
Società
Quando la vendita corre
sul filo del telefono
Come difendersi da raggiri e imbrogli / 7
tazione relativa al contratto
stipulato verbalmente può
sembrare pubblicità; prima di
gettarla verificate con i familiari se qualcuno, ricevendo
una telefonata, abbia accon-
re non è vincolato a rispettarlo, ma il suo familiare sì. Meglio inviare una raccomandata
in più per esercitare il diritto
di recesso, che trovarsi con un
contratto non voluto.
sentito - magari per cortesia alle proposte; oppure le abbia
accettate pensando che quanto detto per telefono non abbia particolare valore. Se così
è, il problema non si risolve
dichiarando che chi ha accettato il contratto non è titolare
dell’utenza telefonica. Il titola-
Per i contratti che riguardano
i servizi di telefonia oppure
i servizi televisivi, la legge
Bersani (L.40/2007) consente
la risoluzione in qualsiasi
momento e senza costi, anche se il contratto prevede
diversamente. Comunicate la
risoluzione del contratto con
VENDITE TELEFONICHE
Nel caso di contratti a distanza
(quindi anche di quelli fatti per
telefono) la società venditrice
deve inviare presso l’abitazione
del consumatore copia scritta
del contratto. Dal momento in
cui la documentazione arriva
all’indirizzo del consumatore,
questi ha 10 giorni lavorativi
per esercitare il diritto di recesso, inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno alla
sede della società.
Attenzione!
Anche se il contratto è concluso per telefono, per esercitare
il diritto di recesso bisogna
inviare una raccomandata con
ricevuta di ritorno: conservate
sempre tutta la documentazione, compresa una copia della
lettera inviata. La documen-
raccomandata con ricevuta di
ritorno: la legge non la prevede, ma la tutela sarà migliore.
MOLESTIE TELEFONICHE
L’Autorità Garante per il trattamento dei dati personali ha
stabilito che, se non si presta
il proprio consenso, nessuno può prendere i nostri dati
dall’elenco telefonico per fare
offerte commerciali per telefono o tramite posta.
Chi è a casa, tuttavia, sa che
questo provvedimento non
viene rispettato: infatti le
telefonate commerciali sono
ripetute e a volte anche assillanti. Prendi nota della società
per conto della quale si è stati
contattati, dicendo che è per
segnalare le telefonate all’Autorità garante della privacy.
Argentovivo marzo 2009
Continuiamo la pubblicazione dei consigli pratici contenuti nella guida “Non ci casco”, promossa dallo
Spi Cgil con Federconsumatori, Sindacato lavoratori di Polizia Cgil e Auser nel quadro del più ampio
“Progetto sicurezza anziani”. Le truffe ai danni della popolazione della terza età sono in aumento e
assumono tanti volti diversi, ma difendersi è possibile se si esce dall’isolamento, ci si informa e ci si
organizza. In questa settima puntata parliamo delle proposte d’acquisto di beni e servizi che arrivano,
indesiderate e spesso fastidiose, via telefono. L’opuscolo “Non ci casco” si può anche scaricare dal sito
web dell’Auser, www.auser.it.
17
Dimensione Cgil
Crisi, i numeri sono pesanti:
al lavoro il Tavolo regionale
Mayda Guerzoni
Argentovivo marzo 2009
D
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ifendere il sistema
produttivo emilianoromagnolo, traghettarlo fuori dalla crisi senza
perderne pezzi e posti di lavoro: è questo l’obiettivo del “tavolo di crisi” regionale, l’organismo che riunisce istituzioni,
mondo economico, sindacati,
sistema bancario dell’Emilia
Romagna, voluto dal presidente della Regione Vasco Errani
e operativo da gennaio. Negli
incontri di questi mesi si è
discussa una strategia comune nelle politiche anticrisi
realizzando una convergenza forte su alcuni obiettivi di
fondo: evitare e contrastare i
licenziamenti e salvaguardare
la base produttiva; gestire la
conseguente “questione sociale” legata all’occupazione, a
partire dalla durata della cassa integrazione e dal grande
tema del lavoro precario e discontinuo; praticare politiche
di investimento su ricerca e
innovazione, internazionalizzazione, sostegno al credito.
Al momento la “cabina di regia” regionale è alle prese con
l’accordo tra governo e Regioni
sugli ammortizzatori sociali
(che stanzia otto miliardi di
euro, di cui un terzo dalle Re-
gioni e due terzi dallo Stato),
per concordare le modalità di
applicazione a livello locale
degli ammortizzatori sociali
”in deroga”, rivolti cioè ai lavoratori senza adeguata copertura nel caso di perdita del
lavoro. Per questo si sollecita
lo sblocco dei finanziamenti,
sulla base del lavoro dei “tavoli
tecnici” nazionali, che devono
definire la quantità di risorse
per ogni Regione e le modalità
di intervento.
Le misure sono urgenti, anzi
urgentissime, di fronte al precipitare della crisi che anche
in Emilia Romagna si è fatta
molto pesante, come conferma il rapporto sull’industria
manifatturiera presentato il 3
marzo da Unioncamere EmiliaRomagna e Prometeia, insieme
ai dati di consuntivo e previsione dell’economia regionale,
che rivedono al netto ribasso
le stime precedenti. La nostra
regione è arrivata all’esplodere della crisi mondiale, nel settembre 2008, con un numero
mai toccato prima di oltre due
milioni di occupati (immigrati
compresi), ovvero 35 mila in
più rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente; il tasso
di occupazione era al 70,6% ,
primo posto in Italia, tra i primi in Europa. Forti di questi
primati, in molti preferivano
parlare di una regione “tecnicamente non ancora in recessione”, mettendo l’accento sul
segno più della previsione di
chiusura del prodotto interno
lordo-Pil al +0,1%, mentre il
segretario generale della Cgil
Emilia Romagna Danilo Barbi
lanciava già un allarme ben
più preoccupato e grave, in
particolare sul rischio precari.
E in effetti l’Emilia-Romagna
– spiega l’indagine di Unioncamere - ha chiuso il 2008 con
un Pil in flessione dello 0,4%,
mentre per il 2009 si prevede
un tonfo del 2,2%, mai registrato in regione. Qualche
spiraglio si intravede solo per
il 2010, quando l’economia dovrebbe tornare lentamente a
crescere.
I valori negativi registrati dalle
aziende negli ultimi tre mesi
Dimensione Cgil
Fondi dalla Regione: cos’è il Dup
Il Documento unico di programmazione-Dup è stato adottato dalla Regione come “modalità innovativa di intervento per convogliare le risorse su una serie di obiettivi strategici
concordati con i territori, velocizzando la spesa ed evitando distribuzioni a pioggia”. Il nuovo
strumento mette in campo un miliardo e mezzo di finanziamenti (europei e regionali), che
dovrebbero produrre investimenti per un valore di tre miliardi da qui al 2013, grazie al cofinanziamento di enti locali e privati, attraverso i relativi accordi di programma con Province
e Comuni. Secondo i conti fatti dalla Regione, ogni singola realtà provinciale potrà contare
su cifre comprese tra i 100 e 150 milioni di euro in sette anni. Ulteriori 14 milioni di euro
sono già stati destinati dalla Regione ad interventi nel campo della formazione, e con un
progetto particolare rivolto alla preparazione di figure professionali in campo sanitario. Dieci
i settori di intervento indicati come prioritari dal Dup, tra i quali l’ammodernamento della
rete ferroviaria regionale, l’impulso alla rete emiliano-romagnola di ricerca industriale e la
costruzione dei tecnopoli, il sostegno alle politiche d’innovazione anche energetica delle
imprese, al risparmio idrico, allo sviluppo delle aree industriali ecologicamente attrezzate,
alla riqualificazione urbana.
M.G.
siamo di fronte alla più dura
crisi economica dal dopoguerra
ad oggi. Questo perché non si
tratta solo di una crisi congiunturale più grave delle precedenti, ma di una vera e propria
crisi del modello di sviluppo dei
Paesi industrializzati. Non so
dire quanto sia precisa la previsione di Unioncamere di un
calo nel 2009 del Pil regionale
del 2,2% (questo vorrebbe dire
un calo del 5% circa a livello nazionale), ma certo la situazione
è gravissima e si aggrava ogni
giorno di più”.
Tutto ciò richiede un rapido
accordo fra la Regione e le
parti sociali, “che assuma una
strategia di fronte a questa
crisi, decidendo di concentrare gli investimenti pubblici e
di evitare i licenziamenti – insiste Barbi - utilizzando tutti
gli strumenti a disposizione.
Non solo per evitare l’aumento
del disagio e della sofferenza
sociale, ma anche per investire sul futuro salvaguardando
ogni capacità produttiva”.
Barbi punta il dito contro “la
responsabilità sempre più pesante del governo, che fa poco
contro la crisi, ma soprattutto
continua con una politica economica uguale a prima, mentre tenta di ridurre il potere
contrattuale dei lavoratori con
gli accordi separati e con le
inaccettabili proposte di modifica del diritto di sciopero:
per tutti questi motivi la Cgil
sarà a Roma il 4 aprile, con
una grande manifestazione di
popolo al Circo Massimo”.
Intanto la Regione punta ad
accelerare i tempi dei progetti
strategici decisi con il Documento unico di programmazione-Dup, presentato in febbraio
(vedi box) e finalizzato a una
politica di investimenti nei settori dell’ambiente, della mobilità sostenibile, della ricerca e
dell’innovazione industriale.
Argentovivo marzo 2009
del 2008 elencano un fatturato in flessione del 4% (-1% dal
2007), un calo della produzione del 4,3% (-1,5% dal 2007) e
degli ordini (-2% circa); l’unico
aumento riguarda le ore di cassa integrazione, salite del 346%
rispetto al 2007. Soffrono le imprese grandi e ancor più le piccole e l’artigianato. Arrancano
le costruzioni, la ceramica e
la chimica, la moda, mentre
la meccanica ha interrotto la
sua funzione di traino. Resistono le esportazioni (+0,2%),
ma con prospettive buie. Inoltre in questi primi mesi del
2009 il peggioramento è stato
drastico, con un boom della
cassa integrazione ordinaria e
straordinaria generalizzato in
tutti i settori, mentre decine
di migliaia di lavoratori precari e discontinui, in particolare
donne, non vedranno rinnovati
i loro contratti e i sindacati si
arrabattano con un numero impressionante di crisi aziendali.
Il rapporto Unioncamere non
ha sorpreso il segretario generale Cgil regionale. “Da tempo
sostengo – afferma Barbi - che
19
Auser
Cerchiamo le uguaglianze
prima delle differenze
Argentovivo marzo 2009
Gaetano Sambri
Vicepresidente Auser
Emilia-Romagna
F
20
acciamo una prova.
Prendiamo una fotografia in bianco e nero con
un gruppo di persone di diverse
etnie: indo–europei, asiatici,
africani. È praticamente certo
che le prime cose che vengono
notate dalla maggioranza di
chi guarda sono le diversità
tra i componenti del gruppo,
e fra queste in particolare il
colore della pelle. Prendiamo
ora il “negativo” della stessa
foto: tutto cambia. Il bianco si
scurisce e i colori sbiadiscono,
si attenuano.
Le diversità che emergono ora
sono quelle cui non facciamo
quasi mai caso: l’altezza, la
“corposità”…. È facile quindi
ritrovarsi a notare non più le
diversità, ma le uguaglianze,
e può anche succedere che le
differenze che in precedenza
notavamo tra le varie etnie
vengano sostituite da “uguaglianze”. Ma tutto questo perché non ci viene spontaneo
ed immediato? Il fatto è che
siamo tutti più o meno soggetti
a reazioni automatiche, inconsce, stimolate da insicurezze
di varia natura, amplificate,
per giunta, dai mezzi di comunicazione che finiscono col diffondere chiusure e divisioni.
Sottolineare le diversità può
anche avere un effetto gratificante per il nostro “ego”: se
uno è diverso da me è in genere portatore di un fatto negativo, mentre io sono la parte
positiva. La nostra presunta
diversità da una persona di colore è nel nostro immaginario
un elemento positivo; la sua
diversità è di per sé negativa.
Ancora, la mia diversità da un
omosessuale è positiva, la sua
è negativa.
I “benpensanti” affermano che
non sono queste le differenze
che generano i problemi, ma
piuttosto quelle di ordine culturale, religioso e di costume.
A loro parere queste diversità
sono originarie e imprescindibili. Ma è proprio vero? Limitiamo, per comodità, il nostro
sguardo ai Paesi del bacino
del Mediterraneo. Non vi è
dubbio che tutte le popolazioni di questa area, dal nord al
sud, dall’est all’ovest, abbiano
una matrice culturale comune,
quella greco–romana che per
molti e molti secoli ha influenzato il mondo allora conosciuto. E neppure vi è dubbio che
popoli ai quali oggi guardiamo
con l’atteggiamento di chi si
sente superiore, sono quelli
che hanno sviluppato la matematica, la medicina, l’astronomia, oltre alle arti e alla
filosofia.
Ancora, per quanto riguarda il
fattore religioso, anche l’Islam
e il Cristianesimo hanno matrici comuni: illustri studiosi
sostengono che la religione
islamica sia una rielaborazione delle concezioni religiose di
una delle tante sette giudaico–
cristiane che ebbero particolare diffusione nel Nord Africa.
E si potrebbe continuare. Ma
veniamo ai tempi nostri e alla
supposta superiorità della
“civiltà occidentale”. Fra pochi mesi saranno esattamente settant’anni dall’inizio di
quell’immane tragedia che è
stata la seconda guerra mondiale. In meno di cinque anni
il civilissimo Occidente ha realizzato ciò che mai si era visto
nei millenni precedenti: distruzioni apocalittiche e decine e decine di milioni di morti.
Tutto in nome di una presunta
diversità – superiorità.
Forse oggi, molto più che nel
passato, innanzi a situazioni
di rischio che coinvolgono l’intera popolazione del pianeta,
dovremmo pensare più che
altro alle “uguaglianze”, a ciò
che sta alle nostre radici, a
ciò che abbiamo in comune e
ci può unire e che è molto ma
molto di più di ciò che ci può
dividere. Quando nei rapporti
tra persone si tendono a sottolineare le diversità, il risultato
è diffidenza e paura reciproca.
Su questo giocano coloro che
detengono il “potere”, il potere economico innanzi tutto.
Diffondere paura e insicurezza significa dividere, e le
divisioni rendono più facile la
manipolazione delle idee ed
aumentano le debolezze dei
singoli.
L’uso strumentale dell’informazione, l’attribuzione di significati impropri e distorti
alle parole sono “scientificamente” usati per sottolineare
differenze negative, per mantenere o fomentare divisioni.
Spacciare ad esempio le cosiddette “ronde” per forme di
alto senso civico è un abuso
scientemente pensato e voluto.
Il solo termine porta con sé il
significato semantico di “mili-
zia”, e la sua supina accettazione può portare in breve e con
una “escalation” assai rapida a
situazioni dense di pericolo.
Occorre uno sforzo convinto
per contrastare in tutti i suoi
aspetti questa subcultura.
Invertiamo i termini della
questione: cerchiamo innanzitutto ciò che fa uguali.
Alla richiesta di dichiarare
la propria razza, Einstein
rispose “Umana!”. Partendo
da questa affermazione, possiamo sperare in un futuro
migliore.
Argentovivo marzo 2009
Auser
21
Territori e leghe
Forlì, che calendario
con le “ragazze” dello Spi
Ada Paganelli
Spi-Cgil Forlì
Argentovivo marzo 2009
L
22
a compagnia teatrale
“Spi…lizia”, promossa dallo Spi-Cgil di
Forlì, si è formata nel 2004
e ha già presentato quattro
spettacoli diversi come ideazione, contenuti e impianto
scenico. È composta da pensionate e pensionati iscritti
allo Spi che hanno aderito
con entusiasmo a questa avventura condotta con la paziente, generosa e infaticabile direzione della regista
Lorenza Capucci.
La compagnia ha coinvolto
fino ad ora 18 persone, donne
e uomini, che partecipano con
passione a questo “progetto teatro” mettendo in gioco il proprio tempo, la propria espressività, le proprie emozioni e
tanto impegno.
Questo progetto dimostra
come i pensionati siano un
valore straordinario, una ricchezza che deve continuare ad
esprimersi nella società anche
dopo l’attività lavorativa, perché c’è tanta capacità di dare
nel comunicare con il pubblico
dei teatri del nostro territorio,
dei circoli aggregativi e delle
case protette.
L’ultimo spettacolo presentato è piuttosto particolare e
riprende l’idea di un film famoso, “Calendar girls”, la cui
trama presenta un gruppo di
signore di una “certa età” che
decide di essere protagonista
del calendario che la loro associazione promuove alla vendita
a scopo benefico, per una giusta causa.
“La giusta causa” è appunto il
titolo dello spettacolo brillante e movimentato, dove il gioco
delle foto del calendario si anima con pose e costumi piccanti
Qui e sotto, due immagini del calendario Spi di Forlì
che ricordano i calendari profumati dei saloni dei barbieri.
Questo testo ha incontrato
subito il consenso degli attori,
che con tanto spirito ironico e
allegro hanno ideato i costumi
civettuoli e interpretato i personaggi e le pose.
Il risultato, oltre al successo
di pubblico, è stato valorizzato
dallo Spi con la realizzazione
grafica di un vero calendario
che riproduce le scene dello spettacolo in cui le attrici
fanno da richiamo spiritoso ai
mesi dell’anno.
Questo calendario è dedicato
a tutte le persone un po’ Spi…
ritose, ed è stato graditissimo
dai nostri iscritti: ha riscosso
gli applausi e i consensi del
pubblico e dei simpatizzanti
ai quali è stato dato in omaggio, perché hanno colto che,
anche se non si può fermare
il tempo, non si può fermare
nemmeno la voglia di divertirsi e di divertire.
Territori e leghe
Luciano Rava
Segretario territoriale
Spi-Cgil Ravenna
“Festa insieme delle generazioni”: questo è il titolo e anche
l’atmosfera che si respirava a
Russi il pomeriggio di sabato
28 febbraio, in occasione del
piacevole incontro promosso
dallo Spi-Cgil di Ravenna nel
quadro delle iniziative legate
al 60° anniversario del Sindacato pensionati. Cornice
dell’iniziativa lo splendido Teatro comunale, un vero gioiello, completamente restaurato
da pochi anni e ritornato come
centro di cultura ed iniziativa
nel territorio.
Il pubblico che riempie la platea e i tre ordini di palchi è
un vero insieme della nostra
rappresentanza, pensionate e
pensionati, dirigenti sindacali dello Spi e delle categorie,
segretari confederali, giovani
delegate e delegati, genitori
e parenti degli artisti, piccoli
“fans” in attesa dell’esibizione
dei loro coetanei.
Si inizia con l’Inno dei lavoratori e una splendida voce fuori
campo che legge il primo articolo della Costituzione. Dopo
il saluto di benvenuto di Lucia Sassi della Lega di Russi è
Achille Alberani, figura storica del sindacalismo ravennate,
che traccia con un appassionato intervento il percorso che
lo Spi ha compiuto in questi
60 anni. C’è commozione ed
orgoglio nella sua voce quando
ci ricorda che è con la lotta e il
sacrificio di milioni di persone
che si sono conquistati diritti e
tutele per i lavoratori e i pensionati, e che queste conquiste
sono un patrimonio da far vivere anche per generazioni future. I tanti ragazzi e ragazze
ascoltano silenziosi e riflessivi
queste parole, e chissà, forse
pensano al loro incerto futuro, a quando dovranno entrare
nel mondo del lavoro, ai cambiamenti che ci sono stati. Ma
sono ormai le 15 e tanta è la
voglia di passare un pomeriggio insieme, nonni e nipoti.
A questo punto inizia lo spettacolo, si apre il sipario e si esibisce la Compagnia teatrale Luigi Rasi di Ravenna, mezz’ora di
monologhi e scenette che mettono in risalto situazioni, difetti e condizioni delle persone
in chiave comica: il pubblico si
diverte, apprezza e applaude.
Lo spettacolo prosegue con
una giovanissima compagnia
amatoriale di balletto moderno che riprende l’atmosfera e
le melodie del “Moulin Rouge”.
Si continua con le canzoni degli anni ’60, la calda voce di
Licia (storica delegata della
Filcams) esegue brani famosi
di Morandi, Paoli e la Caselli.
Tocca poi finalmente ai giovanissimi del gruppo di ginnastica ritmica, cinque splendide
atlete acrobate di sei anni riscaldano ed entusiasmano il
pubblico. Si prosegue con un
buon ritmo e sul palcoscenico
ritorna la compagnia di balletto in un’esibizione di danza
moderna, e poi ancora Licia in
una carrellata di canzoni anni
’80 e ’90. Siamo ormai giunti
alle 17 ed è ora dell’estrazione
della ricca lotteria, con tanti
premi tecnologici molto graditi
dai partecipanti. Consegnati i
premi ai vincitori, il palcoscenico si chiude e si riapre per
il gran finale. Tutti gli artisti
sono schierati in fondo al palco e avanzano verso il pubblico
intonando “Bella ciao”, l’atmosfera è suggestiva ed emozionante, dalla platea e dai palchi
gli spettatori iniziano a battere le mani e a cantare.
Un finale veramente trascinante che riassume il senso
dello stare insieme e di una
vera festa delle generazioni: e
soprattutto con l’impegno di
un “ciao” proiettato a ritrovarsi anche nei prossimi anni.
Argentovivo marzo 2009
Ravenna, festa insieme
per unire le generazioni
23
Territori e leghe
Da Modena ad Auschwitz
per non dimenticare
Ebe Venturi
Segretaria Lega
Spi-Cgil Maranello
Argentovivo marzo 2009
A
24
nche quest’anno, nonostante la messa in
discussione del finanziamento da parte del ministro
Gelmini, poi ritrattata (grazie
anche all’intervento della nostra parlamentare Manuela
Ghizzoni), è partito l’importante progetto scolastico “Un treno
per Auschwitz”. Domenica 25
gennaio, dopo il saluto delle
varie autorità, 650 ragazzi delle
scuole superiori, accompagnati
dai loro insegnanti e da una delegazione dello Spi di Modena di
cui ho avuto il privilegio di fare
parte, sono saliti alle 17 sul treno per percorrere quel tragitto,
che fecero migliaia di deportati, per arrivare dopo un lungo
La lettera di un deportato
terrificante viaggio ai campi di
sterminio di Auschwitz.
È un viaggio che sarebbe importante potessero fare tutti,
in particolare chi mette in
discussione e nega l’esistenza
dei campi di sterminio come
il vescovo tradizionalista Williamson, al quale consiglierei
un soggiorno a tempo indeterminato dentro quei luoghi.
Durante la visita ci sono state
particolari immagini che mi
hanno veramente sconvolta,
rendendo impossibile ogni
comprensione, lasciandomi
travolta da una grande tristezza. In quei momenti non
ho potuto non pensare a mio
padre che ha vissuto nei campi lager in Germania, come
prigioniero di guerra, e oltre
al dramma vissuto all’interno
di quell’inferno, ha dovuto subire anche l’umiliazione e la
rabbia di non essere stato creduto fino in fondo nonostante
l’insistenza dei suoi racconti
(come scrisse Primo Levi… Il
bisogno di raccontare agli “altri,,, di fare gli “altri,, partecipi…). Sicuramente ha pesato
l’incoscienza della giovane
età, ma anche il fatto che non
potevamo immaginare che
quelle malvagità fossero state
veramente compiute.
Con il passare degli anni avevo
già maturato una diversa consapevolezza, ma ora al ritorno
da questo viaggio sono vera-
mente “cambiata,, portando
con me un ricordo indelebile di un posto terribilmente
indimenticabile.
Purtroppo
non sono più in tempo, ma mi
scuso con mio padre (è morto
nel 1986) per non averlo assecondato nei suoi disperati
racconti.
Un altro momento che mi ha
particolarmente coinvolta, oltre alla straziante ninna nanna che cantavano le mamme
ai propri bambini mentre andavano a morire nelle camere
a gas, è stato il percorso di
storia descritto da Carlo Lucarelli durante lo spettacolo “I
virus della memoria,, che si è
tenuto all’interno di un circolo
culturale.
Mi rammarica dirlo, ma ho
avuto la sensazione che l’inizio del percorso descritto da
Lucarelli rispecchi atteggiamenti che stiamo vivendo nei
giorni nostri. È stato un viaggio di circa ventidue ore che
ci ha permesso di confrontarci
e commentare insieme ai miei
compagni di viaggio quanto
l’essere umano possa essere
stato malvagio. Tutti ne avevamo sentito parlare, letto libri,
visto documentari sugli orrori
consumati nei campi di sterminio di Auschwitz, di Birkenau ed altri, ma mai avremmo
immaginato di trovarci di fronte a tanto”grigiore” accompagnato da una terribile tristezza. Ecco perché, ringraziando
tutti per la possibilità che ho
avuto, insieme ai miei compagni di viaggio, mi preme sottolineare quanto questi “viaggi”
siano importanti per non dimenticare, lottando con tutte
le forze perché non debba mai
più ripetersi tanta malvagità.
Da qui l’importanza che le
nuove generazioni, che sono
il futuro del mondo, portino
avanti queste testimonianze delle atroci sofferenze di
quelle persone, nello spirito di
pace, integrazione e convivenza civile tra i popoli.
Territori e leghe
Ferrara, quando i migranti
eravamo noi
Valentina Vecchiattini
Spi-Cgil Ferrara
Argentovivo marzo 2009
M
aurizio Bussolari è
il responsabile della
lega di Ro, un “vecchio” emigrante che, dalla
Svizzera, dopo 40 anni di lavoro, è ritornato in Italia, nella
“sua” Ro, e si è subito inserito
nella Lega del Sindacato dei
pensionati. Ci ha voluto raccontare un po’ la sua storia in
questo particolare momento in
cui si parla tanto – e male –
degli stranieri che sono venuti
a cercare lavoro e dignità nel
nostro Paese.
A questa serata, al Centro anziani, ha partecipato anche il
sindaco del paese. Molti non
sanno che, fuori dall’Italia,
esiste un’altra Italia: circa 4
milioni di italiani vivono e lavorano all’estero. La maggior
parte sono in Germania e, poi,
in Svizzera. E, nel mondo, sono
circa 60 milioni le persone di
origine italiana. Italiani prestati alle altre nazioni.
Quanto è stato difficile per
una persona come Bussolari
andare all’estero, quante umiliazioni ha dovuto sopportare:
“Venivamo paragonati agli
zingari - racconta - e fin qui
andava anche bene, ma spesso ci davano dei soprannomi
come sporco, scrofa o maiale
Maurizio Bussolari (al centro) racconta la sua esperienza
e spesso queste parole erano
dette ad arte dagli svizzeri per
far nascere delle risse. Poi siamo diventati muratori. Erano
persone che non avevano diritto di voto, che per molto tempo
non lo hanno potuto esercitare
proprio nel Paese che, con il
loro lavoro, diventava sempre
più ricco. Una discriminazione
questa che non è degna di un
Paese civile”.
Bussolari era a Solothurn, una
bellissima cittadina in stile
barocco, con tante chiese e
cappelle, con tante fontane
e le torri. Un ricordo va alla
grande tragedia di Mattmark,
paragonabile a quella di Marcinelle in Belgio. Era il 1965,
sul cantiere della diga di
Mattmark crollò il ghiacciaio.
Morirono 88 persone, 56 erano
italiani. “Gli svizzeri sono orgogliosi delle loro strade. Ma
non dicono che in quei cantieri hanno lavorato gli italiani,
così come nei trafori delle montagne, nella costruzione di autostrade”, racconta Bussolari.
I primi italiani che arrivarono
in Svizzera, dopo la seconda
guerra mondiale, avevano
dei permessi temporanei:
così aveva voluto il governo
svizzero. Appena superata la
frontiera, a Briga o a Chiasso,
i lavoratori dovevano subire
una rigorosa visita medica e,
se non erano abili, venivano
rimandati in Italia. Molti entravano in Svizzera illegalmente, cercavano un lavoro,
tornavano in patria e rientravano subito con il permesso
di lavoro. Il ricongiungimento
con le famiglie era difficile. Di
solito arrivava prima l’uomo
da solo poi, col tempo, quando
riusciva a stabilizzarsi faceva
venire anche moglie e figli, illegalmente, tanto che i bimbi,
circa 30 mila, rimanevano in
casa, nascosti per molto tempo, quelli più piccolini, mentre
gli altri, pur essendo clandestini, riuscivano a frequentare
ugualmente le scuole elementari e medie.
Una tragedia. Lo scrive anche
25
Argentovivo marzo 2009
I temi della memoria
26
La testimonianza di padre Gino, missionario salesiano, alla serata di Ro Ferrarese
Martina Frigerio – dice Bussolari – nel suo libro sui bambini
chiusi in minuscole stanze, che
non potevano e non dovevano
farsi sentire dai vicini, che andavano a scuola ormai grandi,
che non sapevano nulla di tedesco e, impauriti da ciò che
li circondava, rimpiangevano
il silenzio della loro camera.
Bambini strani, che sognavano l’Italia che avevano lasciato, disturbati nei rapporti con
gli altri. Ma era così solo nel
Cantone tedesco, andava un
po’ meglio nel Canton Ticino e
in quello francese.
Bussolari a questo punto ha
proiettato una serie di fotografie, momenti di festa e di
allegria di quando gli emigrati italiani cercavano, in ogni
modo, di mantenere un rap-
porto con l’Italia formando
squadre di calcio, organizzando feste de l’Unità, costituendo la società Dante Alighieri o
l’Avis. Anche i missionari italiani in Svizzera erano degli
emigranti, facevano parte di
quel circa milione di persone
che avevano lasciato l’Italia
per lavorare.
I lavoratori in Svizzera con già
un permesso di lavoro mangiavano nelle cantine e dormivano nelle baracche delle ditte
presso le quali lavoravano, ma
chi non aveva ancora lavoro
si appoggiava alla missione
cattolica. E, proprio nella missione cattolica, Bussolari ha
conosciuto padre Gino che,
spesso pagato dai padroni, andava in quelle cantine a dire la
Messa. Padre Gino è un mis-
sionario salesiano. “Gli emigranti – dice - erano persone
che volevano lavorare, che lasciavano le loro case, le loro famiglie per poterle mantenere
dignitosamente al paese e per
poterle portare, poi, con loro,
in un Paese dove avrebbero
potuto stare meglio, dove la
moglie avrebbe potuto aiutare
il marito, dove i figli avrebbero
potuto studiare”. Proprio come
quelli che arrivano oggi sulle
nostre coste.
Fino al 1955, a chi emigrava, la
Svizzera permetteva di fare solo
l’agricoltore. Per alcuni anni
poi, negli anni ’60, cominciò
l’era dell’orologio. Molti andarono a lavorare nelle fabbriche
di orologi, fabbriche che erano
più rumorose di una fonderia.
Ruolo importante delle missio-
ni era quello di dare conforto a
questa povera gente, aiutarli a
scrivere a casa, perché l’essere
analfabeti era uno degli handicap più grandi. “Io - dice padre Gino – ho riscontrato che
l’appartenenza religiosa è più
sentita di quella civile o nazionale. Questo poteva valere
per gli italiani in Svizzera, ma
anche per i musulmani, oggi,
nel nostro Paese. La gente partecipava, arrivava anche dai
paesini limitrofi, sapeva che
dopo la Messa poteva assistere
al film, poteva sentire il suono
della sua lingua”. Chiudendo
gli occhi, poteva immaginare
di essere a casa.
Ecco, è terminata così una
serata di ricordi, di “sana” informazione, di esperienze vissute, di storia vera.
I temi della memoria
Le ragioni
di un viaggio
Vivere l’altrove: storie di migranti nella globalizzazione
Anna Maria Pedretti
Argentovivo marzo 2009
S
arebbe davvero troppo lungo spiegare quali possono essere le ragioni
per cui le persone di ogni dove e di
ogni tempo decidono di partire, di lasciare
la loro terra, quella nella quale sono vissuti
fino a quel momento, dove, come abbiamo
letto nei racconti pubblicati nel numero di
febbraio di questo giornale, sono ancorati i
ricordi del periodo della loro infanzia che,
anche se povera e miserevole, è sempre un
periodo magico, di scoperta del mondo e di
legami affettivi fondanti.
Davvero non bastano saggi di storici, di
sociologi, di antropologi, raccolte di testimonianze, lettere, romanzi, diari. Il fenomeno è talmente vasto e si porta dietro
un bagaglio molto variegato di motivazioni
che stanno alla base della partenza: tra la
necessità di sopravvivere sfuggendo ad una
situazione di guerra o di estrema miseria e
il desiderio di avventura, di scoprire nuovi
mondi, di raggiungere “paradisi ideali”, alimentati da un immaginario collettivo che
fa pensare a terre ospitali dove scorrono
latte e miele in abbondanza o a paesi con
culture avanzate e accoglienti retti da regimi democratici che garantiscono uguali
diritti per tutti. Rozina, ad esempio, che è
venuta in Italia dall’Albania, racconta che
“con la venuta della democrazia, il Paese
ha cominciato a rinnovarsi: le aziende
hanno chiuso e sono diventate private.
Anche la mia fabbrica ha chiuso e sono
rimasta senza lavoro per un anno. Nel
1989/90, con la caduta del comunismo,
incominciavano ad arrivare in Italia le
navi con gli albanesi che cercavano di
andarsene via dalla povertà per cercare una vita migliore, perché è giusto. In
Albania non c’era niente, era tutto chiuso”. Ma lei stessa, pur avendo deciso di
venire in Italia e di rimanere nel nostro
Paese dove si è anche costruita una sua
famiglia, aggiunge: “Sì, mi ha portato in
Italia la speranza di una vita migliore,
ma non ho trovato quello che si vedeva
in televisione”.
Il mondo degli affetti è un altro universo
di cui tener conto quando si leggono le
storie delle persone. Nostalgia, mancanza,
solitudine, separazione, allontanamento
dalle persone e dai luoghi cari. A volte,
all’interno di quello che appare lo stesso
destino di emigrazione, si fanno strada
ragioni sentimentali, affettive, il bisogno
di chi, avendo patito l’esperienza dolorosa
della dispersione della famiglia d’origine,
cerca una via per non separarsi dai suoi
cari, per avere un futuro insieme. E in
alcuni momenti storici e in alcuni luoghi,
come l’Italia settentrionale negli anni del
boom economico, o la Francia nello stesso
periodo, ciò è stato possibile. Resta l’amarezza per quel mancato sviluppo del sud
dell’Italia che, se ci fosse stato trovando
vie meno scontate e più creative, avrebbe
potuto fermare l’emorragia dei tanti che se
ne sono andati.
27
I temi della memoria
“Mio padre non voleva
dividere la famiglia”
Angelo Flammia
Nato a Frigento, in provincia di Avellino, il 27 gennaio 1946, dal 1960 si è
trasferito con la famiglia a Soliera, un
paesino in provincia di Modena, dove
vive con la moglie, la figlia e la madre.
Ha dovuto interrompere gli studi proprio a causa del trasferimento e ha
cominciato molto presto a lavorare in
aziende meccaniche, tra cui la Fiat
Trattori. È stato impegnato a livello
sindacale e anche politico facendo il
sindaco della sua cittadina.
Argentovivo marzo 2009
L
28
a mia famiglia d’origine era composta da mio padre, mia madre ed
un fratello. Mio padre aveva fatto la
guerra d’Africa - quella di Mussolini - e poi
anche la seconda guerra mondiale. Tra le
due guerre era stato a lavorare in Africa ed
era emigrato in Venezuela insieme al fratello Antonio, poi morto in quella terra e là
sepolto. Tornato dal Venezuela, ha sposato
la mia mamma - che aveva 14 anni meno di
lui, a quel tempo una cosa quasi rivoluzionaria – ed ha ripreso a lavorare la terra.
C’eravamo poi io e mio fratello, solo noi
due perché un terzo fratello maschio non
è vissuto; una scelta di mio padre quella di
avere pochi figli, perché – avendo egli gira-
to un po’ il mondo - aveva compreso che più
la famiglia era numerosa e maggiori sarebbero stati i problemi da affrontare, lui che
di fratelli e sorelle ne aveva ben dodici. Il
nonno e la nonna paterni lavoravano entrambi la terra di loro proprietà, coltivata
ad uliveto e pascolo; avevano delle bestie,
mi ricordo delle mucche e delle pecore, e
loro vivevano praticamente così, di questa
loro attività. Tredici figli ha avuto questa
coppia! Mio padre non ha avuto una vita
facile e certe ingiustizie le aveva ben capite già allora.
A Frigento ho frequentato la terza media
solo all’inizio dell’anno scolastico, perché
nel novembre del 1960 siamo venuti ad
abitare nelle campagne di Soliera, aiutati
in questo da nostri compaesani; anzitutto
dallo zio Rocco, fratello di mio padre, che
nel 1946, subito dopo la guerra – insieme
a qualche altro – è venuto nel modenese
a cercare lavoro: questi sono i primi emigranti che dal sud vengono qui, qui si trovarono bene e qui si sono sistemati. Qui ho
ripreso a frequentare la terza media, ma
difficoltà di inserimento mi portarono a
non finire l’anno scolastico.
I miei erano mezzadri su un podere. Perché mezzadri? Perché i miei già erano
contadini giù e quindi sembrava naturale
poterlo fare pure qui; poi perché in quegli
anni, con la ripresa economica, i modenesi
abbandonavano la terra per occuparsi nelle attività industriali in rapido sviluppo:
edilizia, meccanica, ceramica... I proprietari delle terre erano quindi alla ricerca di
famiglie, anche provenienti da lontano, a
cui affidare la conduzione dei loro poderi.
Io credo che la ragione fondamentale per
cui mio padre mi ha portato qui è stata
che, siccome lui aveva fatto questa esperienza da emigrante, in Africa prima e
in Venezuela dopo, e credo che sia stata
un’esperienza sicuramente non positiva,
nel senso che io me lo ricordo quando è
venuto a casa… la mamma che mi raccontava… insomma il fatto di stare lontani
e poi la nonna che tutti i giorni si lamentava perché i suoi figli stavano sparsi per
il mondo. Io la nonna l’ho vista piangere
tante volte quando si ricordava suo figlio
che era morto in Venezuela... Diciamo che
è il motivo fondamentale per essere venuti proprio qui al nord, a Soliera, è che
non voleva dividere la famiglia, non voleva
che andassimo all’estero.. . perché allora
lo sbocco era quello, non ce n’era un altro.
E ogni tanto mi domando sempre se, come
dire, il mancato sviluppo del mezzogiorno
non sia anche dovuto al fatto che la gente
migliore se n’è andata... Perché quelli che
avevano girato un po’, che avevano capito
che lì non c’era gran che da muovere, si
sono portati via i figli, quelli che avevano
studiato, cioè. E però alla fine, tutto sommato, penso che avevano ragione, non c’è
nient’altro da dire.
Io sono andato l’anno scorso giù, dopo
18 anni che non c’ero andato, la prima
impressione che ho avuto quando sono
arrivato all’uscita dell’autostrada… mi
si è chiusa la bocca dello stomaco, sai....
Passati 50 anni..., non è cambiato niente!
Così era l’entrata nel paese quando sono
venuto via e così è l’entrata quando sono
andato giù adesso: infili una strada che
porta dove abitavo io ed è esattamente
come era... 50 anni fa. Quando siamo venuti via col camion su cui avevamo caricato le nostre cose, mi sono voltato indietro
e mi è rimasta in mente quell’immagine
lì; ci sono tornato con la mia macchina ed
ho imboccato questo pezzo di strada ed
era esattamente così come l’avevo lasciata 50 anni fa!
I temi della memoria
Maria Berlioz
Nata a San Severo di Foggia nel 1955,
emigrata coi genitori in Francia nel 1963.
Ha interrotto gli studi dopo la licenza media perché in famiglia avevano bisogno
del suo stipendio; lei è la maggiore di 8
fratelli. Gli studi superiori li ha fatti alle
scuole serali. Ha fatto attività politica ed
è stata eletta nella Giunta di sinistra del
Consiglio comunale della cittadina di
Pierre Benite, un paesino nella zona di
Lione, occupandosi di scuola e cultura.
Attualmente lavora come grafica pubblicitaria in un grande magazzino, l’Auchan
di Lione. È anche pittrice ed ha esposto
diverse volte anche a Parigi.
L’
emigrazione: sono i politici che
hanno messo le frontiere. Non è
pensabile che oggi l’uomo sia capace di fare oleodotti anche sotto il mare e
che portino gas e petrolio da una nazione
all’altra e non riescano a fare tubazioni
che possano portare l’acqua in Africa dove
centinaia e centinaia di bimbi – come in
India – muoiono di fame e di sete. Io penso che è stata brava quella gente a non
emigrare ancora di più. Loro hanno questo problema adesso, come noi lo abbiamo
avuto tanto tempo fa.
Oggi mi rendo conto che allora noi eravamo
come la gente che viene adesso dall’est. Non
avevamo vestiti come i francesi, non avevamo la cultura come i francesi di mangiare
al mattino, al mezzogiorno e alla sera, non
avevamo l’abitudine di uscire come facevano
loro. Noi siamo arrivati allora dal sud come la
gente che viene adesso o dalla Bulgaria o da
altre parti. Io rivedo me stessa in loro. Adesso posso comprendere perché gli altri sono
differenti. E comprendo che hanno bisogno
di aiuto. Se sono venuti via dal proprio Paese
è perché da loro era proprio difficile vivere.
“Sono partito
per non fare la guerra”
Argentovivo marzo 2009
“In Italia si faceva
fatica a mangiare”
Io sono di San Severo di Foggia, sono venuta in Francia nel 1963. Sono nata nel 1955.
E a quell’epoca nel meridione la situazione era difficile. Le famiglie avevano molti bambini. I miei genitori hanno avuto 8
bambini, gli ultimi 3 sono nati qui.
Si dice sempre che la gente del sud non
vuole lavorare, per me non è così. Nella
mia famiglia ho sempre visto gente che
lavorava la terra e non era sufficiente per
vivere. Ho sempre visto mio padre lavorare, l’ho visto invecchiare perché in Italia
c’erano tanti pensieri, molto di più che qui
in Francia; non che qui non ce ne fossero,
ma in Italia si faceva fatica a mangiare. A
me dispiace, anche se il tempo è passato,
che si pensi ancora così.
Siamo arrivati qui nel ’63 e mio padre, qui,
non aveva nessuno, mia madre aveva invece
dei fratelli che erano qui fin dall’inizio degli
anni ’50, e quando venivano in Italia, vedendo
la vita difficile che conducevamo, gli avevano
detto diverse volte: “Vieni in Francia, il lavoro
c’è, hanno bisogno di gente che lavori”. Sulle
prime mio padre non ne voleva sapere, ma
poi, visto che le cose andavano sempre peggio, decise di andare da solo in Francia per
vedere come si stava. È venuto qui nel mese
di maggio, il lavoro c’era, e cominciò a cercare
un’abitazione, ma quando i francesi sentivano
“5 figli” non gli davano la casa. Poi ha trovato
una casuccia in un villaggio vicino a Lione:
era vecchia, non era come quella dell’Italia,
apparteneva ad una donna che andava lì solo
per le ferie.
Mio padre è tornato a prenderci nel mese di
agosto, avevamo venduto il letto, l’armadio,
avevamo venduto tutto, siamo arrivati in
Francia con una valigia, solo con due o tre
vestiti per i bambini e basta. E quando siamo
arrivati qui già il tempo era diverso da quello
di San Severo. Giù da mia zia, che abitava a
Barletta, c’era un sole, un mare, le case di un
bianco che fa male agli occhi. Siamo arrivati a
Torino, poi alla frontiera a Modane, abbiamo
visto per la prima volta le montagne così alte.
C’era un cielo nero, ma nero, con una pioggia!
Quando mia mamma ha visto quel tempo
così brutto diceva: “Santa Maria, Sant’Anna,
Sant’Antonio!”, diceva con mio padre: “Ma
dove mi porti, è la fine del mondo!”. (…)
Hassan Alì
Ha 30 anni, viene dal Sudan, che, come
lui dice “è il paese più grande dell’Africa”, in particolare dalla regione del sud,
il Darfur dove è in corso da 6 anni uno
scontro armato tra forze dello stato
presieduto da Bashir (che il tribunale
internazionale dell’Aia ha accusato di
crimini di guerra e contro l’umanità ) e
organizzazioni di insorti secessionisti.
Arrivato in Italia nel 2004 è ripartito
subito per l’Inghilterra, ma da là nel
2005 la polizia lo ha rimandato in Italia ed è giunto a Roma trovando aiuto
in un primo tempo nella comunità di
accoglienza, la “Tiburtina”, organizzata
dai primi sudanesi arrivati a Roma sei
anni fa insieme ad etiopi ed eritrei, che
aveva il compito di accogliere ed aiutare le persone in fuga dai loro paesi in
guerra. Oggi vive e lavora a Roma.
29
I temi della memoria
Argentovivo marzo 2009
“Paura dell’altro”
e “paura dello stesso”
Quella che vi propongo è una chiosa strettamente auto-biografica (con risultati paradossali) della seguente bella affermazione di Don Milani:
“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che io
reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato e privilegiati ed oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”.
Sono cresciuta in una famiglia benestante di viaggiatori: mio nonno materno
era un mercante veneziano sempre imbarcato per il medio ed estremo Oriente
e mio padre, oltre a conoscere vari Paesi africani, aveva lavorato in Germania
e Romania (dove organizzava gare automobilistiche per fare pubblicità alla
Ford) e conosceva piuttosto bene cinque lingue. Uno degli ambienti educativi
più importanti della mia infanzia sono state le conversazioni a tavola, specie
nei lunghi pranzi festivi, durante i quali gli adulti, con mia grande meraviglia,
trasformavano le disavventure di viaggio in occasioni di risate e di apprendimento. Di conseguenza anch’io personalmente non mi sono mai sentita “solo
italiana”, ma una perpetua straniera di lingua madre italiana. Credo che la
nota fondamentale della mia vita sia stata scappare da tutti i posti (siano
questi la politica o l’università) dove veniva richiesta qualche forma di identificazione con un gruppo chiuso, autoreferenziale e non dialogante. La mia vera
profonda paura non è “dell’altro”, ma “dello stesso”.
Ma proprio per questo, coloro che invece temono “l’altro” sono per me
anch’essi “stranieri”, personaggi quasi incomprensibili e quindi interessanti.
È un bel paradosso, no?
Il non sapere ascoltare e raccontare storie di incontri-scontri interculturali è un
enorme spreco di potenzialità umane e sociali e una ragione di infelicità, e credo
che senza affrontare questo spreco e questa infelicità, non si riuscirà neppure a
riequilibrare le disparità economiche.
Quindi, quando accompagniamo i nostri nipoti all’asilo o a scuola e incontriamo i loro compagni che vengono da Paesi diversi, invece di usare i termini
“stranieri” ed “extra-comunitari”, proviamo a indicarli come “plurilingue ” e
“plurinazionali”. I bambini hanno le antenne e capiscono subito che stiamo rovesciando il modo usuale di vedere le cose, e che in questo rovesciamento sta il
segreto per diventare tutti quanti meno provinciali e diseredati culturalmente.
Organizzare settimanalmente nei propri circoli sociali, nelle biblioteche civiche,
nelle scuole, delle occasioni di incontri e racconti interculturali è il modo principale per avviare delle appassionanti
indagini sulle trasformazioni in atto nel
mondo attuale e sulle abilità e conoscenze richieste a chi voglia trarne vantaggio piuttosto che venirne travolto.
*
M PB Sclavi ha insegnato sociologia
e antropologia per molti anni. Adesso
si occupa di arte di ascoltare e gestione
creativa dei conflitti.
Gli autori delle interviste
Le testimonianze presentate sui numeri di Argento Vivo
di febbraio e marzo 2009 sono state raccolte da:
30
Marianella PB Sclavi*
Luigi Pioggiosi Anna Guerzoni Ismail Mantai Angelo Flammia Maria Berlioz Hassan Alì da Luisa Carrara (Spi Piacenza)
da Liviana Bianchini (Spi Mirandola)
da Gabriella Sozzi (Spi Piacenza)
da Remo Roma (Spi Soliera)
da Valentina Vecchiattini (Spi Ferrara)
da Franca Borghi (Spi Modena)
V
ivevamo bene in Sudan, prima della
guerra. C’era pace, lavoravamo ed
eravamo tutti uniti. (…) Purtroppo
da 6 anni in Sudan c’è la guerra, la popolazione della regione dove vivevo, il Darfur,
si è ribellata al governo che non fa niente
per migliorare le condizioni di vita della
gente, mancano tante cose, proprio tante:
le scuole, gli ospedali, le strade, le fabbriche, il lavoro... tutto quanto... il governo si
comporta da nemico verso di noi del Darfur, invece fa tutto per Kartum, la capitale,
e per il nord del Paese.(…)
Sono partito per non fare la guerra, e così
hanno fatto tanti altri giovani, non siamo
partiti per miseria o per fame come molti
italiani credono. Se fossi rimasto in Sudan
sarei stato obbligato a combattere, o per il
governo o per i suoi avversari. Io non voglio
uccidere, non volevo e non voglio sparare
alle persone, sono un uomo di pace.
C’era sì anche il desiderio di trovare un
lavoro migliore, sicuramente, però non
avrei mai lasciato il mio Paese per questo
motivo: anche se nella mia città, a causa
della guerra, ormai era difficile trovare un
buon lavoro, potevo andare in altre città
del Sudan per trovarlo sicuramente. Ma io
sono contro la guerra, tutte le guerre, a me
piace veramente la pace.
C’era anche un po’ il desiderio dell’avventura di un giovane sano e forte e con la
testa sulle spalle. E poi, già da piccoli,
sentivamo dire di Parigi, Roma, Londra.
Ero molto colpito da questi nomi e pensavo come poteva essere vivere là. Perciò
mi sono detto “Mah! Proviamo ad andare
in Europa....” e sono arrivato fino qua! I
miei fratelli, tutti sposati, non sono partiti, chi è sposato può evitare la guerra,
invece noi giovani no. I miei genitori erano d’accordo con me, alcuni miei fratelli
invece no, mi dicevano “Resta, vedrai che
qualcosa faremo”.
Qui in Europa va meglio, però non c’é la
“pace-pace” di cui sentivamo parlare in
Sudan, le persone non sono tutte uguali
e non si aiutano tra loro. Per fortuna qui
non c’è la guerra, e questa è la cosa più
importante, poi tutto il resto piano piano
si risolverà.
I temi della memoria
La gabbia del sarchiapone
In un racconto del 1947 (“Si dorme come cani”) Italo Calvino narra l’episodico incontro di un gruppetto di persone ammucchiate nell’angolo a ridosso della scalinata di una grande stazione ferroviaria. Sdraiati sui loro cenci, appoggiati scomodamente
su borse e valigie di cartone scorticato si contendono il poco spazio a disposizione cercando affannosamente di conquistarsi
qualche attimo di sonno. Veniamo a sapere che si tratta di due “venezia che emigravano in Francia”, tre “bassitalia piccoli di
statura” e quattro “borsanera” - gente anonima che Calvino caratterizza esclusivamente in base alla provenienza geografica
o al mestieraccio che fanno. Impossibile per chi legge sentire simpatia o interesse per persone descritte in quella maniera.
L’unico a cui è concesso l’onore di un nome (“Belmoretto”) è il dritto della situazione che sfrutta il momento prendendo a
noleggio un materasso da un’amica prostituta e subaffittandolo a quei disgraziati per turni di mezz’ora.
“Quelle dell’est”, “La negretta”, “Il nordafrica”, “Il talebano”, “Il sudest asiatico” - etichette approssimative e spersonalizzanti
che sentiamo affibbiare ai migranti che vivono tra noi. Etichette che tengono questa gente alla larga, ma che nascondono
anche una nostra profonda ignoranza in materia di geografia appena si va un po’ oltre i confini europei.
Storciamo il naso quando sentiamo dire che molti nordamericani conoscono ben pochi Paesi al di fuori del proprio. Ma ce la
caviamo meglio noi quando si tratta dell’Africa o dell’Asia? Camerun, Gambia, Zimbabwe, Benin - si trovano da qualche parte
in Africa. Ma dove esattamente? Sapremmo collocare uno Stato come il Bhutan? Beh, diremmo, non si può essere informati di
tutto. Vero. Ma trattandosi di persone che vivono con noi potrebbe essere interessante - oltre che un gesto di civiltà - sviluppare una maggiore sensibilità per la dimensione geografica degli immigrati in casa nostra. Potremmo più facilmente renderci
conto che oltre a fame, miseria e morte, oltre ad affetti familiari e lingua madre si lasciano alle spalle un paesaggio, uno
spazio fisico che significa qualcosa per loro. Riusciremmo ad immaginare meglio a quali mari, monti e pianure, a quali cieli, a
quali case e a quali vie va la loro mente nei momenti di nostalgia.
Eva Lindenmayer
La campanella
Argentovivo marzo 2009
Le geografie degli altri
La crisi economica spiegata dalle scimmie
Chi ha due o più case non è uguale a chi ha quella sola per vivere! Come al solito il problema d’essere ottimisti o catastrofisti
rispetto alla crisi economica è un falso problema, un modo per far partecipare i cittadini “sviando” come si fa da tempo su “chi
ha ragione chi ha torto – la colpa è sempre di qualcuno - cerchiamo il capro espiatorio – io speriamo che me la cavo”: falsa
partecipazione in una falsa democrazia. È vero che chi semina vento raccoglie tempesta: è il caso del diffondersi della paura
dell’immigrato, dello zingaro, del rumeno… Per questo più forte è la responsabilità di chi governa, nel senso che ogni proposta
deve comunque tener conto delle conseguenze, cioè mettere in moto dinamiche positive per affrontarla. Ottimismo non è
definire la crisi più o meno tragica, ma guardare alla crisi come opportunità per modificare atteggiamenti di comodo, guardare
al lavoro con “occhi” diversi, inventare nuovi lavori, partecipare ai servizi del bene pubblico, “stanare” disuguaglianze spacciate
per false uguaglianze: un esempio per tutte, togliere l’Ici sulla prima casa a chi comunque di case ne ha più d’una.
Dovendo spiegare ai bambini la crisi finanziaria, devo ringraziare d’aver trovato su Messaggero cappuccino della nostra
regione questa favola africana. Un grosso commerciante in una povera zona africana offre 10 dollari a chi è in grado di portargli una scimmia adulta: per gli abitanti è relativamente facile catturare scimmie nella foresta vicina. Quel commerciante
dice tuttavia che ha bisogno d’altre scimmie, e rendendosi conto che si troveranno più lontano è disposto a pagarle 20 dollari. Riempite le sue gabbie di scimmie, dice poi che deve partire, tornerà dopo quindici giorni, lasciando un suo aiutante,
e pagherà altre eventuali scimmie 50 dollari. L’aiutante si mette d’accordo con gli abitanti dicendo loro che è disposto a dar
loro scimmie – che si dirà al commerciante essere state rubate – se pagheranno 35 dollari: “Pensate, guadagnerete, appena
tornerà il commerciante, 15 dollari senza alcun lavoro!”. Non tutti hanno ovviamente 35 dollari, ma vendono ciò che hanno
pur di metterli insieme. Appena hanno comprato le scimmie, spariscono l’aiutante e il commerciante. Ora quella zona è infestata dalle scimmie e sono tutti molto più poveri! Questa storia non solo spiega, ma fa dire, anche ai bambini, che intanto
la prima cosa da fare è riportare le scimmie nel loro habitat e ricominciare a lavorare aiutandosi a vicenda.
Miriam Ridolfi
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Argentovivo - marzo 2009 - SPI-CGIL Emilia