MENSILE DEL SINDACATO PENSIONATI ITALIANI SPI-CGIL DELL’EMILIA-ROMAGNA Editoriale Attualità Un ricordo e un impegno per le vittime di mafia Manifestazioni Auser I volti e le voci dello Spi a Roma Diversi da chi? Uguali a chi? Memoria Perché viaggiano i migranti Autorizzazione del tribunale n.4897 del 5 marzo 1981 - Spedizione in abbonamento postale 45% Argentovivo marzo 2009 Cose da fare subito per uscire dalla crisi La sicurezza che vogliamo n.3 marzo 2009 1 In breve valorizza il centro storico e la piazza di Faenza, al servizio, quindi, non solo dei pensionati ed iscritti Cgil, ma di tutti i cittadini. Vuol essere anche questo il significato della presenza della Cgil nel territorio: non soli, non isolati, ma presenti, radicati, pronti e tenaci nel diffondere le nostre idee e i nostri valori, costantemente a contatto con i nostri associati e con i cittadini tutti. Argentovivo marzo 2009 Una tipica ceramica di Faenza 2 Faenza: lo Spi ha trovato una nuova sede La struttura Spi di Faenza Centro storico si è trasferita nella nuova sede, posta in corso Matteotti n. 4/24, più capiente e situata ancora più vicino alla piazza centrale della città, abbandonando la vecchia sede di via Torricelli. Il trasferimento nella nuova sede, più ampia della precedente sia come metratura che come disponibilità di uffici, consentirà un incremento qualitativo e quantitativo dei servizi e delle prestazioni ai nostri associati, e di migliorare anche le opportunità di contatto e di colloquio con loro. La nuova sede sarà a norma sotto tutti gli aspetti, in particolare per quanto riguarda le possibilità di accesso delle persone con handicap o invalide, che nella vecchia sede trovavano notevoli difficoltà per la presenza di gradini. Non si tratta però solo di un semplice trasferimento, dettato da esigenze di rendere più efficiente la nostra organizzazione: questo spostamento assume soprattutto un significato di rafforzamento dell’insediamento dello Spi nel territorio comunale, di presidio della piazza, cioè del luogo socialmente e culturalmente più vivace della città; un segnale, quindi, di un sempre maggiore radicamento nel tessuto cittadino e di valorizzazione del rapporto con i pensionati e con chi frequenta la nostra sede. Lo diciamo con legittimo orgoglio: è una sede bella, che ha ricevuto consensi unanimi tra i pensionati e le autorità cittadine, che ci hanno onorato con la loro presenza all’inaugurazione, avvenuta lo scorso 21 febbraio. Una sede che per la collocazione e per le possibilità ricettive Nuovi incarichi: buon lavoro alle donne dello Spi-Cgil Buon lavoro a Giuliana Guaitolini e a Luisa Zuffi, che sono state elette responsabili dei Coordinamenti donne di Reggio Emilia e di Modena. Buon lavoro a Marianella Casali e a Muriel Guglielmini, che non ci abbandonano ma hanno iniziato a svolgere un’altra attività all’interno della nostra organizzazione: Muriel come responsabile del distretto di Sassuolo e Marianella nella segreteria confederale della Cgil di Reggio Emilia. Non dobbiamo avere paura dei cambiamenti, ma salutarli con gioia perché implicano crescita e disponibilità a rendere sempre più ricca e in trasformazione tutta la nostra organizzazione. Buon lavoro a tutte le donne che lavorano nella nostra organizzazione e che hanno la consapevolezza che la “differenza” è un valore e una crescita per tutti. A San Lazzaro una targa per ricordare Giancarlo Vignoli Gli amici, tanti cittadini, rappresentanti del mondo sindacale e politico, si sono ritrovati lo scorso sabato 24 gennaio a Villa Serena Centro sociale Fiorenzo Malpensa, per una cerimonia dedicata al sindacalista della Cgil Giancarlo Vignoli, deceduto nel 2002: avevano tutti qualche cosa da ricordare. Vignoli ha iniziato la sua attività di sindacalista negli anni ’50, quando era operaio della ditta Ceccoli di Bologna, impegno che non è venuto meno quando negli anni ’60 ha lavorato alle Poste Italiane coprendo anche l’incarico di vicepresidente del Dopolavoro postelegrafonici, e di segretario della sezione aziendale del Pci. Con l’arrivo della pensione, approdare allo Spi-Cgil è stato un passo naturale. Nel suo incarico di segretario di Lega e responsabile Cit per la zona di San Lazzaro, Ozzano, Monterenzio e quartiere Savena forte è stato il suo impegno, portato avanti unitariamente, verso l’amministrazione comunale per dotare San Lazzaro nord di un centro sociale quale luogo di incontro, aggregazione per i cittadini, e per sconfiggere l’isolamento e la solitudine degli anziani. Purtroppo una grave malattia non gli ha permesso di vedere l’opera terminata. Gli interventi del sindaco Marco Macciantelli, del segretario generale dello In breve Spi Bruno Pizzica, della responsabile della Camera del lavoro intercomunale Magda Babini, della segretaria di Lega Agata Zambotti e del responsabile del Pd locale Corrado Fusai hanno fatto emergere il suo grande impegno sindacale, politico e sociale, la sua figura di alto spessore umano, disponibile al confronto con tutti, dedita al volontariato e al bene della comunità. In un comune sentire, dentro ad una forte commozione, è stata scoperta la targa a Giancarlo Vignoli, una persona che ha lasciato una traccia importante nella comunità di San Lazzaro, e nei compagni dello Spi e della Cgil un ricordo indelebile. (Lega Spi-Cgil San Lazzaro) L’inaugurazione della targa dedicata a Giancarlo Vignoli Passaparola Partecipare, votare, contare La Cgil, la più grande Organizzazione Sindacale in Italia, in questi giorni chiama i lavoratori, i pensionati, i cittadini ad esprimere un giudizio sull’accordo separato sul modello contrattuale. È una gran prova di partecipazione, di democrazia, che per la Cgil sono valori irrinunciabili. Nello stesso tempo il nostro premier, che ama le semplificazioni, le scorciatoie, e prova fastidio per tutti i passaggi “eccessivamente democratici”, ha tirato fuori una proposta davvero singolare. Per evitare lungaggini parlamentari, discussioni, pareri, idee un tantino diverse, meglio che in aula votino solo i capigruppo. Più semplice, più sbrigativo, Lui decide, gli altri si adeguano! Partecipare, votare, contare per il capo del governo sono azioni passate di moda. Dopo gli attacchi alla Costituzione, le limitazioni del diritto di sciopero, lo svilimento del Parlamento, il percorso autoritario e dittatoriale è decisamente intrapreso. Anche per queste ragioni i lavoratori, i pensionati, gli studenti, i cittadini saranno a Roma, il 4 aprile con la Cgil, per un’Italia che non torni indietro. “L’artista viaggiatore: da Gauguin a Klee, da Matisse a Ontani, esploratori, cavalieri erranti verso terre lontane” è il titolo di una bellissima mostra che sarà in esposizione al Mar (Museo d’Arte della città di Ravenna) fino al 21 giugno prossimo. L’esposizione, curata da Claudio Spadoni e Tulliola Sparagli, presenta i percorsi di alcuni dei più significativi artisti che affascinati dal mito dell’esotico hanno viaggiato e vissuto fuori dell’Europa. Il “viaggio” espositivo passa attraverso due movimenti artistici fondamentali per l’arte europea tra Ottocento e Novecento: l’orientalismo ed il primitivismo. La mostra è arricchita da reportage fotografici e storici e da sculture, maschere, oggetti rituali ed etnografici dei luoghi evocati, provenienti dal Museo nazionale preistorico ed etnografico “Luigi Pigorini” di Roma. Argentovivo marzo 2009 Gli artisti viaggiatori in mostra a Ravenna 3 Sommario 2| In breve • Faenza: lo Spi ha trovato una nuova sede •Nuovi incarichi: buon lavoro alle donne dello Spi-Cgil •A San Lazzaro una targa per ricordare Giancarlo Vignoli 3| In breve •Gli artisti viaggiatori in mostra a Ravenna • Passaparola 5| Editoriale •Ne abbiamo viste tante: non ci faremo piegare Carla Cantone 7| In primo piano Argentovivo marzo 2009 •Ronde cittadine? No, grazie! Roberto Battaglia •Sicurezza partecipata non significa “ronde” Raffaele Atti •Volontari in campo: l’esempio di Imola Daniele Manca 11| Attualità 12| Attualità 22| Territori e leghe 14| Iniziative 23| Territori e leghe 15| Dal mondo 24| Territori e leghe •A Roma abbiamo difeso i diritti di tutti Mirna Marchini •Le donne al lavoro: immagini di speranza Bruno Pizzica •A Cuba tra gli anziani che hanno fatto la storia Anna Maria Selini 17| Società •Quando la vendita corre sul filo del telefono a cura della redazione 18| Dimensione Cgil •Crisi, i numeri sono pesanti: al lavoro il Tavolo regionale Mayda Guerzoni 20| Auser •Cerchiamo le uguaglianze prima delle differenze Gaetano Sambri •Un ricordo e un impegno per le vittime di mafia Roberta Bussolari 15 5 Ne abbiamo viste tante: non ci faremo piegare •Ravenna, festa insieme per unire le generazioni Luciano Rava •Da Modena ad Auschwitz per non dimenticare Ebe Venturi La foto di copertina è di Paolo Righi – Meridiana Immagini 25| Territori e leghe Argentovivo n. 3 - marzo 2009 Chiuso in tipografia il 20/03/2009 la tiratura complessiva è di 8.000 copie •Ferrara, quando i migranti eravamo noi Valentina Vecchiattini 27| I temi della memoria •Le ragioni di un viaggio Anna Maria Pedretti •Le geografie degli altri Eva Lindenmayer •“Paura dell’altro” e “paura dello stesso” Marianella Sclavi 24 Da Modena ad Auschwitz per non dimenticare 27 20 12 A Roma abbiamo difeso i diritti di tutti 4 A Cuba tra gli anziani che hanno fatto la storia •Forlì, che calendario con le “ragazze” dello Spi Ada Paganelli Cerchiamo le uguaglianze prima delle differenze Le ragioni di un viaggio Le geografie degli altri “Paura dell’altro” e “paura dello stesso” Direttore responsabile: Mirna Marchini Vice direttore: Mauro Sarti In redazione: Roberto Melli, Luca Baldazzi, Anna Maria Selini, Paola Guidetti, Valentina Vecchiattini, Franco Digiangirolamo. Direzione e redazione Via Marconi, 69 - 40122 Bologna tel. 051294799 - fax 051251347 Amministrazione Via Marconi, 69 - 40122 Bologna Abbonamento annuo 22 euro Costo copia 3 euro Costo copia arretrata 5 euro Realizzazione a cura di Agenda www.agendanet.it Progettazione grafica EXPLOIT Bologna - Via Dell’Arcoveggio, 82 Stampa a cura di FUTURA PRESS Proprietà EDITRICE DELLA SICUREZZA SOCIALE srl Associato UNIONE STAMPA PERIODICI ITALIANI Editoriale Ne abbiamo viste tante: non ci faremo piegare Il 5 marzo pioveva tanto in piazza Navona a Roma. Qualcuno ci ha mandato la pioggia. La prossima volta dovremo attrezzarci con adeguati scongiuri. Il 5 marzo abbiamo dato dimostrazione che con il sole o con la pioggia, lo Spi c’è, perché convinto della battaglia che si sta facendo e perché è convinto che si possono ottenere risultati. Il 4 aprile sarà per noi la continuità insieme alla Cgil di tenere alta la mobilitazione per pretendere dal governo una politica di progetto in grado di uscire dalla crisi senza penalizzare lavoratori e pensionati. Il tempo che abbiamo di fronte a noi non è certo dei migliori perché la crisi diventa sempre più aggressiva. Licenziamenti, precarietà, cassa integrazione, difficoltà di arrivare a fine mese. La situazione nella quale si trova anche il nostro Paese. Eppure Tremonti sostiene che siamo troppo ansiogeni e Berlusconi che dobbiamo pensare positivo e non perdere l’abitudi- Argentovivo marzo 2009 Carla Cantone Segretaria generale nazionale Spi-Cgil ne di spendere, anzi, che occorre incentivare gli acquisti così almeno i consumi girano. Veramente le “cose che girano” sono altre, e girano a causa della incapacità del governo di affrontare la crisi con proposte utili a superare le note difficoltà. Certo, non bisogna creare panico o disperazione, non si tratta di essere catastrofisti, si tratta, come sostengono lo Spi e la Cgil, di avere un piano preciso: uno di emergenza e uno di prospettiva, per portare in questo modo il Paese oltre il buio. Si deve e si può fare. Per l’emergenza occorre prima di tutto definire quantità di risorse e modalità distributive affinchè per ogni persona che perde un posto di lavoro, sia uomo, donna, precario, sia dell’industria che del pubblico impiego o del terziario, vi possa essere un sostegno al reddito che lo accompagni per il periodo necessario. Allo stesso tempo occorre consentire una effettiva e concreta tutela delle pensioni e dei salari, anche con il blocco delle tariffe sociali e il contenimento dei prezzi dei consumi più frequenti per vivere. Solo così si può arrivare non ad au- 5 Argentovivo marzo 2009 Editoriale 6 mentare i consumi, ma almeno a non diminuirli. In prospettiva invece occorre agire da subito, senza aspettare neppure un giorno, su tre versanti: 1.politiche di sviluppo 2.politiche sociali 3.politiche fiscali Di sviluppo con un progetto di politica industriale che affronti il ritorno a casa di tante imprese e l’inizio di quella che viene chiamata la deglobalizzazione. Investire in edilizia con politiche abitative verso la casa, il sociale, l’ambiente e con infrastrutture immediatamente cantierabili a sostegno dello sviluppo possibile. Sul sociale, per un sistema di welfare locale che affronti e provi a dare risposte alla domanda sociale – assistenziale - sanitaria. Creare una condizione di vita che aiuti le persone, non solo le più disperate, ma l’insieme delle famiglie e dei cittadini attraverso un dettagliato intervento sul sistema generale di welfare. Creare benessere, qualità, efficienza, sviluppo ed occupazione. E infine politiche fiscali basate su equità, legalità, solidarietà, dove chi guadagna meno paga meno tasse e dove chi guadagna di più paga più tasse, come ha proposto il Segretario generale della Cgil. Ho accennato a tre questioni “minime” che si possono fare subito. È questione di volontà politica, è questione di avere una idea precisa e chiara di democrazia economica e di giustizia sociale. Queste sensibilità e valori o le hai o non le hai. Questi valori non si comprano al mercato, stanno nella mente e nel cuore, e se chi governa un Paese non li ha diventa tutto più difficile. Infatti gli interventi del governo vanno in tutt’altra direzione. Sui salari ha definito senza la Cgil un modello contrattuale che non li tutela. Sulle pensioni, a fronte delle nostre proposte di aumentarle gradualmente, ha risposto con la social card, il bonus, il libro verde per privatizzare l’assistenza e sanità, alzare l’età pensionabile alle donne. Se tutti gli indicatori dicono che nel 2007-2008 ci sono 2.700.000 famiglie a rischio di povertà e che le persone coinvolte sono oltre 8 milioni, che le famiglie più colpite sono quelle con componenti anziani o dove ci sono anziani soli, oppure dove sono i pensionati, con la loro pensione, ad aiutare figli e nipoti che sono precari o che perdono il posto di lavoro; se su 16 milioni di pensionati 8 milioni vivono con meno di 1.300 euro al mese, e tra loro 4 milioni con meno di 800 euro e altri 4 milioni con meno di 600 euro; se i non autosufficienti sono oltre 3 milioni, se i disoccupati veri sono oltre 2 milioni e 600 mila sono i cassintegrati, allora non c’è più tempo, occorre agire subito e bene come sta avvenendo pur tra mille difficoltà in altri Paesi europei. Si può fare, non è vero che non si può. La Cgil e lo Spi hanno avanzato proposte precise, dettagliate e argomentate, proponendo anche dove reperire le risorse necessarie. Nelle ultime settimane Tremonti e Berlusconi stanno riconoscendo la gravità della situazione e tentano interventi. Se qualche cosa sta cambiando è grazie a noi, allo Spi, alla Cgil. Se qualche cosa strada facendo cambierà concretamente è grazie alla nostra coerenza, alla coerenza di un’organizzazione sindacale che vorrebbero isolare e colpire in ogni momento nella sua rappresentatività. Non ci riusciranno, come d’altra parte non ci sono mai riusciti. Noi siamo una generazione che ne ha viste tante e che ha superato molti momenti difficili. Noi siamo la Cgil di Di Vittorio: non ci possono né fermare né intimorire, né tanto meno ci faremo piegare. Lo abbiamo dimostrato il 13 di novembre al Palalottomatica, nelle tante iniziative anche unitarie nei nostri territori, come è avvenuto in Emilia Romagna, lo abbiamo dimostrato il 12 dicembre e nei tanti attivi e migliaia di assemblee che stiamo tenendo in tutta Italia. Lo stiamo dimostrando votando contro l’accordo separato sulle regole contrattuali. Lo dimostreremo il 4 aprile a Roma al Circo Massimo. Saremo in tanti, perché lo Spi e la Cgil sono la stessa cosa, perché le proposte dello Spi sono le proposte della Cgil e insieme dobbiamo con determinazione non cedere di un millimetro. In primo piano Roberto Battaglia Segretario Spi-Cgil Emilia-Romagna Il Decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri nei giorni scorsi con l’articolo 6 introduce di fatto la legalizzazione delle cosiddette ronde nell’ambito del controllo del territorio, determinando così uno stravolgimento negativo e preoccupante rispetto alle attuali compe- tenze in materia di sicurezza e di contrasto alla criminalità. Da sempre, la gestione dei servizi di sicurezza e di ordine pubblico è competenza esclusiva dello Stato e delle sue Istituzioni: l’utilizzo invece di gruppi di cittadini, così come previsto dal Decreto legge, porta ad una pericolosa deriva verso il “fai da te”, su una materia complessa quale è la sicurezza urbana delegittimando le forze di polizia e le Istituzioni preposte. La sicurezza, invece di essere appaltata a privati cittadini, va affrontata con atti concreti a partire dalla certezza della pena, dalla effettiva presenza di agenti sul territorio, fino al miglioramento della vivibilità delle città. In realtà il governo non è affatto interessato a garantire la sicurezza e la legalità. Infatti utilizza, da un lato, la paura e l’insicurezza dei cittadini per puro tornaconto elettorale con annunci di grande effetto, e dall’altro presenta un disegno di legge che limita l’uso delle intercettazioni, strumento decisivo per individuare i colpevoli autori di reati orrendi come la pedofilia, la violenza sessuale, la corruzione. Contrastare gli effetti deleteri dell’art. 6 del Decreto legge è però possibile grazie alle esperienze in atto da tempo nei nostri territori, che vedono la presenza di associazioni del volontariato sociale, impegnate in azioni di buone pratiche di senso civico, Argentovivo marzo 2009 Ronde cittadine? No, grazie! 7 In primo piano Argentovivo marzo 2009 Volontari in campo: l’esempio di Imola 8 La sicurezza non è un tema che possa essere affrontato alimentando la paura o con misure propagandistiche come le ronde e i militari nelle città. Il Comune di Imola ha lanciato in questi mesi un’iniziativa, che coinvolge le associazioni di volontariato, i centri sociali, i forum territoriali, al fine di dare vita ad un progetto di educazione civica e di sicurezza partecipata. ImolAttiva, questo il nome che abbiamo dato al progetto, si pone un obiettivo che va oltre quello della sicurezza. La nostra è una sfida innanzitutto culturale: vogliamo restituire alle persone il senso di appartenenza alla comunità, ripristinare alcune regole di civile convivenza, riempire gli spazi della città di una presenza amica che funga da deterrente per la microcriminalità, proporre iniziative ed eventi per far incontrare gente di diversa origine e differenti culture e favorire la reciproca conoscenza. Persone provenienti dal nostro ricco mondo del volontariato, adeguatamente formate e provviste di un tesserino di riconoscimento del Comune di Imola, avranno il compito di garantire questa presenza, discreta e rassicurante, incaricata di diffondere i comportamenti corretti tra i cittadini, soprattutto i più giovani (non imbrattare i muri, non gettare cartacce, rispettare i codici e i regolamenti), controllare l’entrata e uscita degli alunni dalle scuole, individuare i disservizi e i punti che necessitano di interventi di manutenzione, raccogliere le segnalazioni dei cittadini. Nulla a che vedere con le ronde, uno strumento che rifiutiamo, perché rischia di produrre pericolose sovrapposizioni rispetto ai compiti di ordine pubblico spettanti alle forze di polizia, oltre ad avere un significato demagogico e strumentale. ImolAttiva è un atto di fiducia nei cittadini e nella loro capacità di scegliere la legalità e riappropriarsi del gusto del vivere insieme nella propria città. Daniele Manca sindaco di Imola e valorizzando quanto indicato dall’art. 8 della Legge regionale n. 24 del 2003 - Polizia locale e Sistema integrato di sicurezza - che contempla sì l’utilizzo di volontari, ma come figura amica e rassicurante per promuovere l’educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti, l’integrazione e l’inclusione sociale, all’interno di un sistema di sicurezza partecipata, cosa ben diversa dal decreto governativo. A seguito delle azioni svolte in materia di sicurezza da parte della Regione Emilia-Romagna e delle amministrazioni comunali, e per il ruolo positivo svolto dalle forze dell’ordine e dalla polizia locale, non si sente alcuna necessità delle ronde cittadine: al contrario vanno mantenute ed estese iniziative e misure per affermare una idea di città sicura per tutti attraverso piani, progetti, patti locali che vedano coinvolte tutte le parti interessate, dalle Istituzioni pubbliche alle associazioni del volontariato, per realizzare una vera politica della sicurezza e della legalità. Grandu (Silp-Cgil): “Il fai da te genera pericolose confusioni” Le ronde? Si tratta – sottolinea Giovanni Grandu, segretario generale Silp-Cgil dell’Emilia-Romagna, “dell’ennesima conferma del pericoloso clima di confusione che regna nel Paese sul versante delle autonome iniziative dei cittadini nel controllo del territorio. Le ronde sono un problema in più e non un ausilio per le forze dell’ordine, come i fatti hanno dimostrato, ma sono un pericolo per tutti se autogestite senza avere la più pallida idea dei limiti posti dalla legge sui temi della sicurezza e della legalità. È una questione meramente di tipo culturale, prima che di risorse e quant’altro”. A proposito delle ronde Grandu parla di “una sovrapposizione non controllabile e non gestibile”. “Le risorse a nostro avviso – prosegue - vanno impiegate ad assumere, ovvero, predisporre dei concorsi pubblici a cui far partecipare ragazzi e ragazze giovani da avviare ad un percorso formativo presso le scuole delle forze di polizia e, solo allora, impegnare sul controllo del territorio a fianco dei cittadini sulla polizia di prossimità. Questa sarebbe una scelta razionale e logica. Al contrario si corre il rischio di grotteschi episodi di sicurezza ‘fai da te’, come pure avvenuto in questi giorni a Rieti, e denunciato dalla nostra segreteria nazionale”, dove “alcuni vigilantes assunti dai residenti di un quartiere hanno inseguito un’auto della Squadra Mobile con i colori non di istituto per poi segnalarla come sospetta agli uffici di polizia”. “Un esempio emblematico – sottolinea Grandu - ma tanti altri ce ne saranno, e nel caso specifico nessuno si è fatto del male grazie alla professionalità degli operatori di polizia, e tuttavia ci sembrerebbe saggio non sfidare la sorte, evitando di soffiare politicamente sul fuoco e predisponendo velocemente le necessarie correzioni al decreto e il suo regolamento di attuazione. Questa ci pare cosa sensata”. In primo piano Sicurezza partecipata non significa “ronde” Raffaele Atti assessore alla Sicurezza del Comune di Ferrara Argentovivo marzo 2009 L a partecipazione dei cittadini alla gestione delle politiche per la sicurezza urbana è certamente un obiettivo da perseguire. Le ronde promosse dal decreto Maroni sono un modo sbagliato e pericoloso di porre la questione. Intanto perché nascono per legalizzare la scesa in campo di forme sostitutive e sussidiarie delle forze dell’ordine in materia di controllo del territorio e dell’ordine pubblico, promosse direttamente, o comunque ispirate, da formazioni politiche. E qui c’è un punto di svolta incompatibile con la natura dello Stato democratico, nel quale le funzioni connesse alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza vanno garantite da forze neutrali rispetto allo scontro politico. Quando sentiamo il capogruppo provinciale della Lega Nord o la responsabile per la sicurezza di An annunciare “noi siamo pronti”, ogni sincero democratico deve cominciare a preoccuparsi. Per questo bisogna battersi per cambiare il decreto su questo, come sui tanti altri punti sui quali si è imboccata una pericolosa deri- Volontari civici in aiuto ai vigili urbani va autoritaria e una torsione di principi cardine dello Stato di diritto, come si è fatto in materia di carcerazione preventiva, sull’onda di un consenso che si alimenta di una oculata gestione delle insicurezze, delle paure e delle tensioni che lo stesso aggravarsi della crisi economica produce. La Regione Emilia-Romagna ha già previsto, all’art 8 della Legge regionale n. 24 del 2003 – Polizia locale e Sistema integrato di sicurezza – l’impiego di forme di volontariato per promuovere l’educazione alla convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l’integrazione e l’inclusione sociale, sottoposte al coordinamento del comandante della Polizia municipale. È chiaro che si tratta di un profilo diverso da quello evocato dal decreto. Respingere le “ronde” non significa lasciare soli i cittadini davanti ai punti di degrado delle condizioni di civile convivenza, né chiudersi nell’alternativa tra le pattuglie dell’esercito e quelle dei volontari in camicia verde (o nera). Si possono chiamare i cittadini a una forte collaborazione con le forze dell’ordine, soprattutto se queste, su impulso dei comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza, rispondono con sollecitudine alle segnalazioni, e operano con determinazione e con l’efficacia che deriva dal coordinamento, sui punti che suscitano maggior preoccupazione. E potranno farlo se saranno dotate degli uomini e dei mezzi di cui devono disporre. 9 In primo piano Argentovivo marzo 2009 Si può rafforzare questa capacità di “agire” una sicurezza collettiva attraverso la presenza coordinata e sempre più visibile delle polizie di prossimità. Si possono chiamare i cittadini a elaborare progetti di riappropriazione degli spazi pubblici, che facciano leva sull’azione coordinata dei vari soggetti (polizie, amministrazione comunale, volontariato) per rimuovere il degrado, costruire occasioni di socialità, restituire sicurezza alla fruizione di luoghi riqualificati con processi di urbanistica partecipata. Si può renderli partecipi di nuove relazioni comunitarie nelle quali si impari a convivere, attraverso la reciproca conoscenza, tra culture e tradizioni diverse, anche attraverso la riscoperta delle proprie storie e delle proprie radici con le esperienze di teatro comunitario, fino ad acquisire consapevolezza che una società multietnica non è necessariamente meno sicura. Si può rafforzare la rete dei rapporti di vicinato per tutelare gli anziani dal rischio delle truffe. Si può costruire con le associazioni dei commercianti un percorso di contrasto alla diffusione dei furti, aumentando le difese passive e adottando comportamenti conseguenti. Sono dunque molte le modalità attraverso le quali i cittadini possono essere parte attiva di una politica per la sicurezza urbana. Sono modalità che pratichiamo da tempo nella nostra città, e di cui i cittadini hanno potuto apprezzare i risultati. E dunque non abbiamo alcun bisogno di delegare la difesa delle “nostre donne” e delle “nostre case” alle ronde del capogruppo della Lega. Se a si chi, par nu a putì anch’ andar a ca’. Tagli alle forze dell’ordine: la sicurezza dei cittadini è a rischio Il cosiddetto “Pacchetto sicurezza” varato dal governo e approvato dal Parlamento è in realtà “un ulteriore passo indietro e non in avanti sul terreno della salvaguardia della sicurezza dei cittadini”. Lo affermano in un documento congiunto la Camera del Lavoro metropolitana Cgil e il Silp – Sindacato lavoratori polizia per la Cgil, che osservano: “Nei fatti i provvedimenti assunti dal governo si traducono in un taglio di oltre 900 milioni di euro per le forze dell’ordine. Nei fatti siamo di fronte a: • una riduzione di organico, nei prossimi 3 anni, di oltre 4.000 unità nella sola Polizia di Stato. Il mancato rispetto del turn over comporterà anche l’innalzamento dell’età media degli operatori impegnati in servizi difficili, con tutto ciò che questo comporta; • tagli nelle spese per la ordinaria manutenzione dei veicoli della polizia, per le forniture di vestiario ed equipaggiamento, nonché nei confronti delle imprese che curano la pulizia ed il decoro dei locali nei quali la stessa vive ed opera; • tagli alle indennità di missione ed in genere a tutte le indennità legate alla operatività, in palese contraddizione con la tanto sbandierata necessità di valorizzare il lavoro degli operatori di polizia. A fronte di ciò, la sicurezza dei cittadini anziché aumentare è destinata ad essere ulteriormente a rischio. Siamo di fronte a tagli di ampia portata e con pesanti e negative ripercussioni. Si tenta di nascondere ciò attraverso l’inutile e sbagliato impiego dei militari nel servizio di controllo del territorio, dando spazio alle cosiddette ronde dei cittadini. Quest’ultima scelta, comportando più problemi per le forze di polizia, il rischio di abusi, di ulteriori tensioni sociali, anziché risolvere aggraverà i problemi presenti. La CdLM-Cgil e il Silp per la Cgil esprimono la propria contrarietà a tali provvedimenti e si sentono impegnate ad un’azione di contrasto”. 10 Attualità Roberta Bussolari associazione Libera Emilia-Romagna A nche quest’anno il primo giorno di primavera è un giorno di impegno, memoria e di festa insieme. Come ormai succede da 13 anni ci siamo ritrovati in una città italiana per “abbracciare” i familiari delle vittime delle mafie e dire loro che non sono soli, per ricordare tutti i nomi (dai più “famosi” ai tanti anonimi su cui più facilmente è caduto il velo della dimenticanza) di coloro che hanno dato la vita perché noi potessimo vivere più liberi, ma anche e soprattutto per impegnarci a fare la nostra parte contro le mafie. Quest’anno, per quella che si chiama “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, ci siamo ritrovati a Napoli il 21 marzo per non dimenticare l’esempio di coloro che hanno pagato con la vita la loro onestà e correttezza civile: semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, imprenditori e commercianti, sindacalisti, esponenti politici, amministratori locali sono morti per mano delle mafie perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere. I loro nomi sono stati letti e scanditi dalle voci dei partecipanti alla Giornata. Ma il ricordo non basta, la Giornata è soprattutto l’occasione per affermare che ci siamo, che vogliamo fare la nostra parte: non per essere “eroi” ma per essere pienamente cittadini, con diritti e doveri, capaci di solidarietà, rispettosi della legalità. Il programma di Napoli prevedeva un grande corteo per percorrere le vie centrali della città, mentre dagli altoparlanti posti lungo il percorso sono stati scanditi i nomi delle vittime delle mafie, per poi concludere la manifestazione in Piazza Plebiscito. Nel pomeriggio si sono tenuti sette seminari tematici in contemporanea in diversi luoghi della città, per approfondire e riflettere insieme sui tanti modi con cui si manifestano e si diffondono le mafie. Alla fine il ritorno in Piazza Plebiscito per ascoltare la musica di alcuni gruppi, tra i quali i Modena City Ramblers, che hanno dedicato alcune canzoni del loro ultimo album a Libera. Il 19 marzo una importante “anteprima” della Giornata si è svolta a Casal di Principe, città dove operava Don Peppe Diana, indimenticato parroco che amava stare tra la gente e insegnava ai giovani a guardare a testa alta la vita: per questo 15 anni fa è stato ucciso dalla camorra, che non sopporta che le persone ragionino con la loro testa come uomini liberi, anziché sottomettersi come sudditi. Durante quella giornata abbiamo “invaso” pacificamente la città, per dire che è nostra, e per farla diventare con l’animazione un luogo di vita e di crescita civile. Non è casuale la scelta di Casal di Principe perché su quel territorio, tristemente noto per essere la “capitale” del clan camorristico dei Casalesi, a breve sorgerà la nuova cooperativa di Libera Terra che gestirà terreni e immobili confiscati alla camorra per produrre mozzarelle di bufala. Per partecipare alla Giornata di Napoli, Libera EmiliaRomagna ha organizzato un pullman. Per informazioni sulle future attività e sugli appuntamenti dell’associazione: tel. 051 228390 (Libera EmiliaRomagna), mail [email protected]. Argentovivo marzo 2009 Un ricordo e un impegno per le vittime di mafia 11 21marzo09-70x100.indd 1 11-02-2009 15:55:10 Attualità A Roma abbiamo difeso i diritti di tutti Mirna Marchini Segretaria Spi-Cgil Emilia-Romagna Argentovivo marzo 2009 U n cielo plumbeo e una pioggia incessante hanno accolto a Roma il 5 marzo oltre 20.000 pensionati della Cgil, tornati in piazza ancora una volta per chiedere di adeguare le pensioni all’inflazione, di estendere la quattordicesima mensilità, una legge e il finanziamento del fondo nazionale per tutelare le persone non autosufficienti. Dalla caduta del governo Prodi i pensionati, gli anziani, non hanno ricevuto nessun sostegno rispetto ai loro bisogni, solo un po’ di carità, come dice Carla Cantone, Segretaria nazionale Spi, ma le persone che hanno lavorato una vita e che ancora oggi aiutano figli e nipoti a “sbarcare il lunario” in una situazione difficile per tutti, meritano interventi di qualità, rispetto e dignità. Sotto i K.way rossi ci sono tanti volti, e tante storie, uomini e donne da ogni regione d’Italia che hanno viaggiato tutta la notte, e che sono in piazza a Roma per difendere i diritti conquistati, per allargarli a chi non li ha, come i lavoratori precari che pagheranno pesantemente questa crisi. I pensionati, gli anziani e i tanti giovani presenti – ha aderito anche la Rete degli studenti - hanno lanciato un altro forte messaggio: “Non ci metterete gli uni contro gli altri”, non ci stiamo al conflitto generazionale, e alla guerra fra poveri, perché la lotta per i diritti è trasversale alle generazioni ed è la risposta che intendiamo dare a un gover- no che ha messo in campo scelte sbagliate ed inadeguate per affrontare la crisi. Da piazza Navona è partito un messaggio forte al governo. I pensionati, le pensionate non sono rassegnati, sono pronti a continuare la lotta, a ritornare a manifestare, il 4 aprile di nuovo a Roma con la Cgil perché, come ha ribadito Guglielmo Epifani concludendo la manifestazione, dalla crisi si esce solo se si sostiene il reddito, e pensionati, lavoratori e precari sono una parte importante del Paese. La piazza del 5 marzo: i nostri volti, le nostre parole 12 Attualità Argentovivo marzo 2009 In 20mila per chiedere rispetto, equità, sostegno ai redditi 13 Iniziative Le donne al lavoro: immagini di speranza Bruno Pizzica Segretario generale Spi-Cgil Bologna Argentovivo marzo 2009 C 14 he dire di più: è stato un successo, e che successo! Nato quasi per scherzo tra molti “se” e diversi “ma”, il concorso fotografico “Donne al lavoro” e la mostra che ne è nata hanno tenuto banco per più di un giorno riservandoci numerose sorprese. La prima è stata la sala Farnese a Palazzo D’Accursio: bella come sempre, piena come quasi mai; e piena non di funzionari sindacali annoiati, ma di tante ragazze (e di un po’ di ragazzi) interessate, curiose, attente (e anche questa è stata una piacevole sorpresa). In quel contesto anche i sinda- calisti presenti (noi compresi, of course) facevano la loro figura. Poi il tavolo dei relatori (sì, perché prima della inaugurazione della mostra, abbiamo arrischiato un dibattito sulla condizione delle donne): tutto al femminile, con due sindacaliste storiche, Valeria Fedeli e Carla Cantone, una giovane e brava assessora provinciale, Simona Lembi, e poi, la direttrice de “L’Unità”, Concita de Gregorio per tutti semplicemente Concita, vera star della mattinata. Con loro ovviamente la nostra Ivana e infine, unico maschio, il sindaco della città, Sergio Cofferati, che ha retto il tavolo senza imbarazzo, da consumato “uomo di mondo”. Concita ci ha appassionato tutti. Il suo intervento di apertura ha segnato la platea, per quel- Da sinistra Bruno Pizzica, Anna Maria Selini, Concita De Gregorio, Ivana Sandoni, Simona Lembi lo che ha detto, per come l’ha detto (e per il momento che, come direttore dell’Unità, sta vivendo insieme a tanti suoi collaboratori). “Attenzione, nulla accade all’improvviso; tutto si costruisce pian piano: oggi stiamo scontando i frutti del rampantismo politico e sociale degli anni ’80”, quelli segnati dal craxismo e da molti episodi finiti anche in tribunale e sui giornali. Così il quadro ci è stato tratteggiato in modo tanto chiaro quanto allarmante. Se oggi paghiamo gli effetti di allora, cosa pagheremo tra 15-20 anni, quando il berlusconismo sarà finalmente andato in saldo e a tutti noi toccherà il conto… un brivido è corso nella nostra schiena e, immaginiamo, in quella di gran parte dei presenti (infiltrati, purtroppo, ce n’è sempre): ci arriverà addosso allora il temuto “default”? La mattinata passata insieme, per fortuna, ci ha dato qualche conforto; in fondo se ci sono tante ragazze che si ingegnano con la macchina fotografica e si impegnano non in foto fatue, ma provando a ritrarre lavoro di donne, e se c’è tanta gente che quelle foto le viene a vedere, in fondo vuol dire che qualcosa ancora c’è nella cultura di questo Paese, che fa resistenza, che pensa diversamente, che ascolta le voci vere che ancora cercano spazio tra veline e paillettes. Su questo dobbiamo scommettere, e questo voleva essere uno dei messaggi della iniziativa che il coordinamento donne dello Spi bolognese (e anche quello “uomini”) voleva veicolare: non solo memoria, ma attenzione al presente e fili comuni da rintracciare e far vivere. Lungo questa linea si è svolta l’intera giornata con momenti di commozione: le ragazze giornaliste-precarie della redazione dell’Unità di Bologna (una di loro con il bimbo in carrozzina) che, prima che il dibattito iniziasse, hanno circondato il loro direttore per avere notizie sulla situazione del giornale, hanno concretamente rappresentato tutto questo insieme ai volti giovani di coloro che hanno partecipato al concorso e, magari, hanno vinto uno dei premi in palio. L’Unità ha poi dato grande risalto all’iniziativa, illustrando 8 pagine del giornale di domenica 8 marzo con 8 foto tratte dalla mostra. Noi, anche per questo, vorremmo dedicare il lavoro svolto proprio a loro, alle giovani giornaliste-precarie preoccupate per il loro futuro e ai ragazzi e alle ragazze che a decine di migliaia ogni giorno perdono il lavoro: forza Alice, forza Giulia, forza Chiara, forza Antonella, forza Elisabetta, non permettiamo che distruggano il futuro. Dal mondo Anna Maria Selini Spi-Cgil Bologna E ra il 1959 quando un gruppo di ragazzi poco più che adolescenti, in un’isola esotica dei Caraibi, dava vita ad una rivoluzione che, come un piccolo tsunami, riuscì a raggiungere, emozionare e travolgere migliaia di persone da una costa all’altra del mondo. Da allora Cuba è retta dallo stesso uomo - sebbene nel 2006 Fidel Castro abbia ceduto il potere al fratello Raul - e quei ragazzi, proprio come lui, sono ormai anziani e pensionati. Una generazione che ha fatto la storia, vivendo episodi divenuti leggendari, lentamente destinata a scomparire, mentre i giovani fatica- no a capire una rivoluzione che non hanno vissuto e in molti sperano nella “nuova strategia” promessa in campagna elettorale da Obama. Vicente Perez, quando lo incontriamo, ha 88 anni. Sembra un musicista jazz dallo sguardo sornione e dalla risata cinematografica. Oggi come quasi tutti i “ragazzi della rivoluzione” ricopre un importante ruolo nella direzione del sindacato dei pensionati, ma quando incontrò per la prima volta Che Guevara, nel 1958, era soltanto un lavoratore del tabacco. “Sono stato il primo a cui il Che disse che non sarebbe rimasto per sempre a Cuba – ricorda con orgoglio -. Ci incontravamo di nascosto, io ero iscritto al partito comunista e lui stava cercando di formare un gruppo di operai da usare contro il regime e il sindacato, che allora appoggiava Batista (il dittatore abbattuto dalla rivoluzione, ndr). Ci incon- trammo tre o quattro volte, facevamo lunghe chiacchierate, lui fumava la pipa e io gli portavo in regalo del mate. ‘Comandante, la faremo cittadino cubano’, gli dissi un giorno. Lui rispose: ‘Amo molto Cuba, ma ho un debito con l’America’ e non aggiunse altro. Era serio, di poche parole, a differenza di quello che molti credono era un uomo normale. Non come Fidel, davanti a lui ti sentivi sempre una formica”. Ad aver conosciuto entrambi i fratelli Castro è Martell Rosa, 74 anni, storico dirigente sindacale degli azucareros. Appena ventenne militò nella lotta clandestina, animando i grandi scioperi degli studenti e dei lavoratori dello zucchero, allora il settore più importante dell’economia cubana. Tra la mani stringe una foto del 1981, dove lo si vede parlare e scherzare con Fidel e Raul. “Fidel è sempre stato molto forte e vitale – racconta - non solo fisicamente. La sua è un’intelligenza al di sopra della norma, a cui si aggiunge un grande fascino”. Ben noto alle donne cubane. Ad avere ancora oggi una vera e propria venerazione per Fidel, per esempio, è Rosa Gonzalez, 72 anni, tra le fondatrici del movimento dei pensionati e delle prime federazioni femminili cubane. A soli 22 anni, Rosa si ritrovò “senza accorger- sene” a fare la messaggera per Che Guevara, allora nascosto con i suoi nella Sierra Maestra. “Il mio compito era portare i messaggi dalla provincia di Granma all’Avana – ricorda – li infilavo dove capitava, sotto la suola delle scarpe, la lingua o addirittura nelle mutande. Mia madre cucinava per lui dolci di latte, ne andava matto, anche se io non ho mai avuto la fortuna di parlare direttamente con lui. Mentre con Fidel sì, anni dopo, ed è stata un’emozione che non dimenticherò mai”. Rosa è solo una dei 30-40 mila pensionati volontari al servizio dello Stato: dopo aver terminato il lavoro continuano a prestare la loro opera, magari formando i giovani nelle professioni o comunque impegnandosi a tramandare gli “ideali della rivoluzione”. Non tutti gli anziani però sono così fedeli e basta camminare per le vie dell’Avana per rendersene conto. Amado ha 76 anni Argentovivo marzo 2009 A Cuba tra gli anziani che hanno fatto la storia 15 Argentovivo marzo 2009 Dal mondo 16 e vende caramelle per strada. “La pensione non mi basta per vivere – spiega – così arrotondo un po’, mentre il governo chiude un occhio”. Lui la rivoluzione l’ha vissuta “in disparte” e non lascerebbe mai Cuba per i suoi affetti, “ma capisco chi se ne va – dice - soprattutto i giovani. Fidel e Raul sono dei buoni capi, ma qui ci sono molte difficoltà e povertà”. Dal 1961 Cuba è sottoposta a un embargo voluto dagli Stati Uniti: questo significa scarsità di prodotti e cibo razionato per ogni cittadino, ma anche la certezza per tutti di avere un pasto. L’economia si regge su una doppia moneta: quella per i cubani e per acquistare prodotti razionati e quella per i turisti e i negozi alla loro portata, dove più o meno si può trovare ogni bene e a cui in teoria i cubani hanno difficile accesso, visto che lo stipendio medio è di circa 20-30 euro al mese. In teoria, perchè chi è a contatto con i turisti o chi ha parenti emigrati all’estero, ri- esce comunque ad accedere ai cosiddetti “shopping”, preclusi alla maggior parte degli abitanti dell’isola. Cinquant’anni di Fidel, però, hanno significato anche assistenza medica e istruzione, fino al livello universitario, interamente gratuite. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’aspettativa di vita dei cubani è la stessa degli abitanti degli Stati Uniti e il tasso di mortalità infantile è quasi ai livelli del mondo occidentale. E non solo è stato eliminato l’analfabetismo pressoché dominante ai tempi di Batista, ma il livello di scolarizzazione e in generale quello culturale non hanno paragone con quello degli altri abitanti dei Caraibi. Dal cortile dove si infila due volte a settimana per arrotondare, riparando scarpe e borse, Riki, 23 anni, tuona: “Voi stranieri vi siete mai chiesti perché voi potete viaggiare e noi no? Beh, io non trovo una risposta logica”. Se Fidel incanta ancora i vecchi rivoluzionari, le nuove generazioni sentono sempre più il fascino delle tentazioni e delle libertà occidentali, portate sull’isola dai turisti: cellulari, ipod, internet, ma anche libertà di comunicare e viaggiare, oggi pesantemente ristrette. Quelle stesse libertà che Raul ha promesso di concedere progressivamente, consapevole che il “sistema” Cuba se vuole continuare ad esistere, deve aprirsi, piegandosi anche alla modernità. “Noi non abbiamo paura dei prossimi 20 anni – sentenzia fiducioso il vecchio azucarero Martell - sappiamo che alcuni si lamentano. Ci sarà sempre una piccola parte contraria, ma non sarà mai la maggioranza dei cubani. E poi noi ci fidiamo dei giovani, perché, in fondo, sono i nostri nipoti”. Pillole d’Europa a cura di Livio Melgari Dipartimento internazionale Spi Euro, la moneta unica La moneta unica è diventata realtà nel 1999, ma solo per le operazioni non in contanti. È stato necessario aspettare il 1° gennaio del 2002 per vedere le prime banconote e monete in euro sostituire le valute nazionali di dodici dei quindici Paesi che a quella data costituivano l’Unione Europea. Regno Unito, Danimarca e Svezia decisero infatti di mantenere le monete nazionali, ma negli anni successivi saranno sempre più i Paesi che entreranno nell’area dell’Euro; ultimi in ordine di tempo: Slovenia, Malta, Cipro e, dal 1° gennaio 2009, la Slovacchia, sedicesimo Paese ad entrare in Eurolandia. Le banche centrali nazionali (bcn) dell’Unione formano, insieme alla Banca centrale europea (Bce), il sistema europeo di banche centrali (sebc). Insieme alla Bce le sole banche centrali nazionali che hanno adottato l’Euro formano l’Eurosistema, che ha come obbiettivo primario il mantenimento della stabilità dei prezzi attraverso la politica monetaria, le operazioni in valuta e la regolazione dei sistemi di pagamento. Società Quando la vendita corre sul filo del telefono Come difendersi da raggiri e imbrogli / 7 tazione relativa al contratto stipulato verbalmente può sembrare pubblicità; prima di gettarla verificate con i familiari se qualcuno, ricevendo una telefonata, abbia accon- re non è vincolato a rispettarlo, ma il suo familiare sì. Meglio inviare una raccomandata in più per esercitare il diritto di recesso, che trovarsi con un contratto non voluto. sentito - magari per cortesia alle proposte; oppure le abbia accettate pensando che quanto detto per telefono non abbia particolare valore. Se così è, il problema non si risolve dichiarando che chi ha accettato il contratto non è titolare dell’utenza telefonica. Il titola- Per i contratti che riguardano i servizi di telefonia oppure i servizi televisivi, la legge Bersani (L.40/2007) consente la risoluzione in qualsiasi momento e senza costi, anche se il contratto prevede diversamente. Comunicate la risoluzione del contratto con VENDITE TELEFONICHE Nel caso di contratti a distanza (quindi anche di quelli fatti per telefono) la società venditrice deve inviare presso l’abitazione del consumatore copia scritta del contratto. Dal momento in cui la documentazione arriva all’indirizzo del consumatore, questi ha 10 giorni lavorativi per esercitare il diritto di recesso, inviando una raccomandata con ricevuta di ritorno alla sede della società. Attenzione! Anche se il contratto è concluso per telefono, per esercitare il diritto di recesso bisogna inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno: conservate sempre tutta la documentazione, compresa una copia della lettera inviata. La documen- raccomandata con ricevuta di ritorno: la legge non la prevede, ma la tutela sarà migliore. MOLESTIE TELEFONICHE L’Autorità Garante per il trattamento dei dati personali ha stabilito che, se non si presta il proprio consenso, nessuno può prendere i nostri dati dall’elenco telefonico per fare offerte commerciali per telefono o tramite posta. Chi è a casa, tuttavia, sa che questo provvedimento non viene rispettato: infatti le telefonate commerciali sono ripetute e a volte anche assillanti. Prendi nota della società per conto della quale si è stati contattati, dicendo che è per segnalare le telefonate all’Autorità garante della privacy. Argentovivo marzo 2009 Continuiamo la pubblicazione dei consigli pratici contenuti nella guida “Non ci casco”, promossa dallo Spi Cgil con Federconsumatori, Sindacato lavoratori di Polizia Cgil e Auser nel quadro del più ampio “Progetto sicurezza anziani”. Le truffe ai danni della popolazione della terza età sono in aumento e assumono tanti volti diversi, ma difendersi è possibile se si esce dall’isolamento, ci si informa e ci si organizza. In questa settima puntata parliamo delle proposte d’acquisto di beni e servizi che arrivano, indesiderate e spesso fastidiose, via telefono. L’opuscolo “Non ci casco” si può anche scaricare dal sito web dell’Auser, www.auser.it. 17 Dimensione Cgil Crisi, i numeri sono pesanti: al lavoro il Tavolo regionale Mayda Guerzoni Argentovivo marzo 2009 D 18 ifendere il sistema produttivo emilianoromagnolo, traghettarlo fuori dalla crisi senza perderne pezzi e posti di lavoro: è questo l’obiettivo del “tavolo di crisi” regionale, l’organismo che riunisce istituzioni, mondo economico, sindacati, sistema bancario dell’Emilia Romagna, voluto dal presidente della Regione Vasco Errani e operativo da gennaio. Negli incontri di questi mesi si è discussa una strategia comune nelle politiche anticrisi realizzando una convergenza forte su alcuni obiettivi di fondo: evitare e contrastare i licenziamenti e salvaguardare la base produttiva; gestire la conseguente “questione sociale” legata all’occupazione, a partire dalla durata della cassa integrazione e dal grande tema del lavoro precario e discontinuo; praticare politiche di investimento su ricerca e innovazione, internazionalizzazione, sostegno al credito. Al momento la “cabina di regia” regionale è alle prese con l’accordo tra governo e Regioni sugli ammortizzatori sociali (che stanzia otto miliardi di euro, di cui un terzo dalle Re- gioni e due terzi dallo Stato), per concordare le modalità di applicazione a livello locale degli ammortizzatori sociali ”in deroga”, rivolti cioè ai lavoratori senza adeguata copertura nel caso di perdita del lavoro. Per questo si sollecita lo sblocco dei finanziamenti, sulla base del lavoro dei “tavoli tecnici” nazionali, che devono definire la quantità di risorse per ogni Regione e le modalità di intervento. Le misure sono urgenti, anzi urgentissime, di fronte al precipitare della crisi che anche in Emilia Romagna si è fatta molto pesante, come conferma il rapporto sull’industria manifatturiera presentato il 3 marzo da Unioncamere EmiliaRomagna e Prometeia, insieme ai dati di consuntivo e previsione dell’economia regionale, che rivedono al netto ribasso le stime precedenti. La nostra regione è arrivata all’esplodere della crisi mondiale, nel settembre 2008, con un numero mai toccato prima di oltre due milioni di occupati (immigrati compresi), ovvero 35 mila in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; il tasso di occupazione era al 70,6% , primo posto in Italia, tra i primi in Europa. Forti di questi primati, in molti preferivano parlare di una regione “tecnicamente non ancora in recessione”, mettendo l’accento sul segno più della previsione di chiusura del prodotto interno lordo-Pil al +0,1%, mentre il segretario generale della Cgil Emilia Romagna Danilo Barbi lanciava già un allarme ben più preoccupato e grave, in particolare sul rischio precari. E in effetti l’Emilia-Romagna – spiega l’indagine di Unioncamere - ha chiuso il 2008 con un Pil in flessione dello 0,4%, mentre per il 2009 si prevede un tonfo del 2,2%, mai registrato in regione. Qualche spiraglio si intravede solo per il 2010, quando l’economia dovrebbe tornare lentamente a crescere. I valori negativi registrati dalle aziende negli ultimi tre mesi Dimensione Cgil Fondi dalla Regione: cos’è il Dup Il Documento unico di programmazione-Dup è stato adottato dalla Regione come “modalità innovativa di intervento per convogliare le risorse su una serie di obiettivi strategici concordati con i territori, velocizzando la spesa ed evitando distribuzioni a pioggia”. Il nuovo strumento mette in campo un miliardo e mezzo di finanziamenti (europei e regionali), che dovrebbero produrre investimenti per un valore di tre miliardi da qui al 2013, grazie al cofinanziamento di enti locali e privati, attraverso i relativi accordi di programma con Province e Comuni. Secondo i conti fatti dalla Regione, ogni singola realtà provinciale potrà contare su cifre comprese tra i 100 e 150 milioni di euro in sette anni. Ulteriori 14 milioni di euro sono già stati destinati dalla Regione ad interventi nel campo della formazione, e con un progetto particolare rivolto alla preparazione di figure professionali in campo sanitario. Dieci i settori di intervento indicati come prioritari dal Dup, tra i quali l’ammodernamento della rete ferroviaria regionale, l’impulso alla rete emiliano-romagnola di ricerca industriale e la costruzione dei tecnopoli, il sostegno alle politiche d’innovazione anche energetica delle imprese, al risparmio idrico, allo sviluppo delle aree industriali ecologicamente attrezzate, alla riqualificazione urbana. M.G. siamo di fronte alla più dura crisi economica dal dopoguerra ad oggi. Questo perché non si tratta solo di una crisi congiunturale più grave delle precedenti, ma di una vera e propria crisi del modello di sviluppo dei Paesi industrializzati. Non so dire quanto sia precisa la previsione di Unioncamere di un calo nel 2009 del Pil regionale del 2,2% (questo vorrebbe dire un calo del 5% circa a livello nazionale), ma certo la situazione è gravissima e si aggrava ogni giorno di più”. Tutto ciò richiede un rapido accordo fra la Regione e le parti sociali, “che assuma una strategia di fronte a questa crisi, decidendo di concentrare gli investimenti pubblici e di evitare i licenziamenti – insiste Barbi - utilizzando tutti gli strumenti a disposizione. Non solo per evitare l’aumento del disagio e della sofferenza sociale, ma anche per investire sul futuro salvaguardando ogni capacità produttiva”. Barbi punta il dito contro “la responsabilità sempre più pesante del governo, che fa poco contro la crisi, ma soprattutto continua con una politica economica uguale a prima, mentre tenta di ridurre il potere contrattuale dei lavoratori con gli accordi separati e con le inaccettabili proposte di modifica del diritto di sciopero: per tutti questi motivi la Cgil sarà a Roma il 4 aprile, con una grande manifestazione di popolo al Circo Massimo”. Intanto la Regione punta ad accelerare i tempi dei progetti strategici decisi con il Documento unico di programmazione-Dup, presentato in febbraio (vedi box) e finalizzato a una politica di investimenti nei settori dell’ambiente, della mobilità sostenibile, della ricerca e dell’innovazione industriale. Argentovivo marzo 2009 del 2008 elencano un fatturato in flessione del 4% (-1% dal 2007), un calo della produzione del 4,3% (-1,5% dal 2007) e degli ordini (-2% circa); l’unico aumento riguarda le ore di cassa integrazione, salite del 346% rispetto al 2007. Soffrono le imprese grandi e ancor più le piccole e l’artigianato. Arrancano le costruzioni, la ceramica e la chimica, la moda, mentre la meccanica ha interrotto la sua funzione di traino. Resistono le esportazioni (+0,2%), ma con prospettive buie. Inoltre in questi primi mesi del 2009 il peggioramento è stato drastico, con un boom della cassa integrazione ordinaria e straordinaria generalizzato in tutti i settori, mentre decine di migliaia di lavoratori precari e discontinui, in particolare donne, non vedranno rinnovati i loro contratti e i sindacati si arrabattano con un numero impressionante di crisi aziendali. Il rapporto Unioncamere non ha sorpreso il segretario generale Cgil regionale. “Da tempo sostengo – afferma Barbi - che 19 Auser Cerchiamo le uguaglianze prima delle differenze Argentovivo marzo 2009 Gaetano Sambri Vicepresidente Auser Emilia-Romagna F 20 acciamo una prova. Prendiamo una fotografia in bianco e nero con un gruppo di persone di diverse etnie: indo–europei, asiatici, africani. È praticamente certo che le prime cose che vengono notate dalla maggioranza di chi guarda sono le diversità tra i componenti del gruppo, e fra queste in particolare il colore della pelle. Prendiamo ora il “negativo” della stessa foto: tutto cambia. Il bianco si scurisce e i colori sbiadiscono, si attenuano. Le diversità che emergono ora sono quelle cui non facciamo quasi mai caso: l’altezza, la “corposità”…. È facile quindi ritrovarsi a notare non più le diversità, ma le uguaglianze, e può anche succedere che le differenze che in precedenza notavamo tra le varie etnie vengano sostituite da “uguaglianze”. Ma tutto questo perché non ci viene spontaneo ed immediato? Il fatto è che siamo tutti più o meno soggetti a reazioni automatiche, inconsce, stimolate da insicurezze di varia natura, amplificate, per giunta, dai mezzi di comunicazione che finiscono col diffondere chiusure e divisioni. Sottolineare le diversità può anche avere un effetto gratificante per il nostro “ego”: se uno è diverso da me è in genere portatore di un fatto negativo, mentre io sono la parte positiva. La nostra presunta diversità da una persona di colore è nel nostro immaginario un elemento positivo; la sua diversità è di per sé negativa. Ancora, la mia diversità da un omosessuale è positiva, la sua è negativa. I “benpensanti” affermano che non sono queste le differenze che generano i problemi, ma piuttosto quelle di ordine culturale, religioso e di costume. A loro parere queste diversità sono originarie e imprescindibili. Ma è proprio vero? Limitiamo, per comodità, il nostro sguardo ai Paesi del bacino del Mediterraneo. Non vi è dubbio che tutte le popolazioni di questa area, dal nord al sud, dall’est all’ovest, abbiano una matrice culturale comune, quella greco–romana che per molti e molti secoli ha influenzato il mondo allora conosciuto. E neppure vi è dubbio che popoli ai quali oggi guardiamo con l’atteggiamento di chi si sente superiore, sono quelli che hanno sviluppato la matematica, la medicina, l’astronomia, oltre alle arti e alla filosofia. Ancora, per quanto riguarda il fattore religioso, anche l’Islam e il Cristianesimo hanno matrici comuni: illustri studiosi sostengono che la religione islamica sia una rielaborazione delle concezioni religiose di una delle tante sette giudaico– cristiane che ebbero particolare diffusione nel Nord Africa. E si potrebbe continuare. Ma veniamo ai tempi nostri e alla supposta superiorità della “civiltà occidentale”. Fra pochi mesi saranno esattamente settant’anni dall’inizio di quell’immane tragedia che è stata la seconda guerra mondiale. In meno di cinque anni il civilissimo Occidente ha realizzato ciò che mai si era visto nei millenni precedenti: distruzioni apocalittiche e decine e decine di milioni di morti. Tutto in nome di una presunta diversità – superiorità. Forse oggi, molto più che nel passato, innanzi a situazioni di rischio che coinvolgono l’intera popolazione del pianeta, dovremmo pensare più che altro alle “uguaglianze”, a ciò che sta alle nostre radici, a ciò che abbiamo in comune e ci può unire e che è molto ma molto di più di ciò che ci può dividere. Quando nei rapporti tra persone si tendono a sottolineare le diversità, il risultato è diffidenza e paura reciproca. Su questo giocano coloro che detengono il “potere”, il potere economico innanzi tutto. Diffondere paura e insicurezza significa dividere, e le divisioni rendono più facile la manipolazione delle idee ed aumentano le debolezze dei singoli. L’uso strumentale dell’informazione, l’attribuzione di significati impropri e distorti alle parole sono “scientificamente” usati per sottolineare differenze negative, per mantenere o fomentare divisioni. Spacciare ad esempio le cosiddette “ronde” per forme di alto senso civico è un abuso scientemente pensato e voluto. Il solo termine porta con sé il significato semantico di “mili- zia”, e la sua supina accettazione può portare in breve e con una “escalation” assai rapida a situazioni dense di pericolo. Occorre uno sforzo convinto per contrastare in tutti i suoi aspetti questa subcultura. Invertiamo i termini della questione: cerchiamo innanzitutto ciò che fa uguali. Alla richiesta di dichiarare la propria razza, Einstein rispose “Umana!”. Partendo da questa affermazione, possiamo sperare in un futuro migliore. Argentovivo marzo 2009 Auser 21 Territori e leghe Forlì, che calendario con le “ragazze” dello Spi Ada Paganelli Spi-Cgil Forlì Argentovivo marzo 2009 L 22 a compagnia teatrale “Spi…lizia”, promossa dallo Spi-Cgil di Forlì, si è formata nel 2004 e ha già presentato quattro spettacoli diversi come ideazione, contenuti e impianto scenico. È composta da pensionate e pensionati iscritti allo Spi che hanno aderito con entusiasmo a questa avventura condotta con la paziente, generosa e infaticabile direzione della regista Lorenza Capucci. La compagnia ha coinvolto fino ad ora 18 persone, donne e uomini, che partecipano con passione a questo “progetto teatro” mettendo in gioco il proprio tempo, la propria espressività, le proprie emozioni e tanto impegno. Questo progetto dimostra come i pensionati siano un valore straordinario, una ricchezza che deve continuare ad esprimersi nella società anche dopo l’attività lavorativa, perché c’è tanta capacità di dare nel comunicare con il pubblico dei teatri del nostro territorio, dei circoli aggregativi e delle case protette. L’ultimo spettacolo presentato è piuttosto particolare e riprende l’idea di un film famoso, “Calendar girls”, la cui trama presenta un gruppo di signore di una “certa età” che decide di essere protagonista del calendario che la loro associazione promuove alla vendita a scopo benefico, per una giusta causa. “La giusta causa” è appunto il titolo dello spettacolo brillante e movimentato, dove il gioco delle foto del calendario si anima con pose e costumi piccanti Qui e sotto, due immagini del calendario Spi di Forlì che ricordano i calendari profumati dei saloni dei barbieri. Questo testo ha incontrato subito il consenso degli attori, che con tanto spirito ironico e allegro hanno ideato i costumi civettuoli e interpretato i personaggi e le pose. Il risultato, oltre al successo di pubblico, è stato valorizzato dallo Spi con la realizzazione grafica di un vero calendario che riproduce le scene dello spettacolo in cui le attrici fanno da richiamo spiritoso ai mesi dell’anno. Questo calendario è dedicato a tutte le persone un po’ Spi… ritose, ed è stato graditissimo dai nostri iscritti: ha riscosso gli applausi e i consensi del pubblico e dei simpatizzanti ai quali è stato dato in omaggio, perché hanno colto che, anche se non si può fermare il tempo, non si può fermare nemmeno la voglia di divertirsi e di divertire. Territori e leghe Luciano Rava Segretario territoriale Spi-Cgil Ravenna “Festa insieme delle generazioni”: questo è il titolo e anche l’atmosfera che si respirava a Russi il pomeriggio di sabato 28 febbraio, in occasione del piacevole incontro promosso dallo Spi-Cgil di Ravenna nel quadro delle iniziative legate al 60° anniversario del Sindacato pensionati. Cornice dell’iniziativa lo splendido Teatro comunale, un vero gioiello, completamente restaurato da pochi anni e ritornato come centro di cultura ed iniziativa nel territorio. Il pubblico che riempie la platea e i tre ordini di palchi è un vero insieme della nostra rappresentanza, pensionate e pensionati, dirigenti sindacali dello Spi e delle categorie, segretari confederali, giovani delegate e delegati, genitori e parenti degli artisti, piccoli “fans” in attesa dell’esibizione dei loro coetanei. Si inizia con l’Inno dei lavoratori e una splendida voce fuori campo che legge il primo articolo della Costituzione. Dopo il saluto di benvenuto di Lucia Sassi della Lega di Russi è Achille Alberani, figura storica del sindacalismo ravennate, che traccia con un appassionato intervento il percorso che lo Spi ha compiuto in questi 60 anni. C’è commozione ed orgoglio nella sua voce quando ci ricorda che è con la lotta e il sacrificio di milioni di persone che si sono conquistati diritti e tutele per i lavoratori e i pensionati, e che queste conquiste sono un patrimonio da far vivere anche per generazioni future. I tanti ragazzi e ragazze ascoltano silenziosi e riflessivi queste parole, e chissà, forse pensano al loro incerto futuro, a quando dovranno entrare nel mondo del lavoro, ai cambiamenti che ci sono stati. Ma sono ormai le 15 e tanta è la voglia di passare un pomeriggio insieme, nonni e nipoti. A questo punto inizia lo spettacolo, si apre il sipario e si esibisce la Compagnia teatrale Luigi Rasi di Ravenna, mezz’ora di monologhi e scenette che mettono in risalto situazioni, difetti e condizioni delle persone in chiave comica: il pubblico si diverte, apprezza e applaude. Lo spettacolo prosegue con una giovanissima compagnia amatoriale di balletto moderno che riprende l’atmosfera e le melodie del “Moulin Rouge”. Si continua con le canzoni degli anni ’60, la calda voce di Licia (storica delegata della Filcams) esegue brani famosi di Morandi, Paoli e la Caselli. Tocca poi finalmente ai giovanissimi del gruppo di ginnastica ritmica, cinque splendide atlete acrobate di sei anni riscaldano ed entusiasmano il pubblico. Si prosegue con un buon ritmo e sul palcoscenico ritorna la compagnia di balletto in un’esibizione di danza moderna, e poi ancora Licia in una carrellata di canzoni anni ’80 e ’90. Siamo ormai giunti alle 17 ed è ora dell’estrazione della ricca lotteria, con tanti premi tecnologici molto graditi dai partecipanti. Consegnati i premi ai vincitori, il palcoscenico si chiude e si riapre per il gran finale. Tutti gli artisti sono schierati in fondo al palco e avanzano verso il pubblico intonando “Bella ciao”, l’atmosfera è suggestiva ed emozionante, dalla platea e dai palchi gli spettatori iniziano a battere le mani e a cantare. Un finale veramente trascinante che riassume il senso dello stare insieme e di una vera festa delle generazioni: e soprattutto con l’impegno di un “ciao” proiettato a ritrovarsi anche nei prossimi anni. Argentovivo marzo 2009 Ravenna, festa insieme per unire le generazioni 23 Territori e leghe Da Modena ad Auschwitz per non dimenticare Ebe Venturi Segretaria Lega Spi-Cgil Maranello Argentovivo marzo 2009 A 24 nche quest’anno, nonostante la messa in discussione del finanziamento da parte del ministro Gelmini, poi ritrattata (grazie anche all’intervento della nostra parlamentare Manuela Ghizzoni), è partito l’importante progetto scolastico “Un treno per Auschwitz”. Domenica 25 gennaio, dopo il saluto delle varie autorità, 650 ragazzi delle scuole superiori, accompagnati dai loro insegnanti e da una delegazione dello Spi di Modena di cui ho avuto il privilegio di fare parte, sono saliti alle 17 sul treno per percorrere quel tragitto, che fecero migliaia di deportati, per arrivare dopo un lungo La lettera di un deportato terrificante viaggio ai campi di sterminio di Auschwitz. È un viaggio che sarebbe importante potessero fare tutti, in particolare chi mette in discussione e nega l’esistenza dei campi di sterminio come il vescovo tradizionalista Williamson, al quale consiglierei un soggiorno a tempo indeterminato dentro quei luoghi. Durante la visita ci sono state particolari immagini che mi hanno veramente sconvolta, rendendo impossibile ogni comprensione, lasciandomi travolta da una grande tristezza. In quei momenti non ho potuto non pensare a mio padre che ha vissuto nei campi lager in Germania, come prigioniero di guerra, e oltre al dramma vissuto all’interno di quell’inferno, ha dovuto subire anche l’umiliazione e la rabbia di non essere stato creduto fino in fondo nonostante l’insistenza dei suoi racconti (come scrisse Primo Levi… Il bisogno di raccontare agli “altri,,, di fare gli “altri,, partecipi…). Sicuramente ha pesato l’incoscienza della giovane età, ma anche il fatto che non potevamo immaginare che quelle malvagità fossero state veramente compiute. Con il passare degli anni avevo già maturato una diversa consapevolezza, ma ora al ritorno da questo viaggio sono vera- mente “cambiata,, portando con me un ricordo indelebile di un posto terribilmente indimenticabile. Purtroppo non sono più in tempo, ma mi scuso con mio padre (è morto nel 1986) per non averlo assecondato nei suoi disperati racconti. Un altro momento che mi ha particolarmente coinvolta, oltre alla straziante ninna nanna che cantavano le mamme ai propri bambini mentre andavano a morire nelle camere a gas, è stato il percorso di storia descritto da Carlo Lucarelli durante lo spettacolo “I virus della memoria,, che si è tenuto all’interno di un circolo culturale. Mi rammarica dirlo, ma ho avuto la sensazione che l’inizio del percorso descritto da Lucarelli rispecchi atteggiamenti che stiamo vivendo nei giorni nostri. È stato un viaggio di circa ventidue ore che ci ha permesso di confrontarci e commentare insieme ai miei compagni di viaggio quanto l’essere umano possa essere stato malvagio. Tutti ne avevamo sentito parlare, letto libri, visto documentari sugli orrori consumati nei campi di sterminio di Auschwitz, di Birkenau ed altri, ma mai avremmo immaginato di trovarci di fronte a tanto”grigiore” accompagnato da una terribile tristezza. Ecco perché, ringraziando tutti per la possibilità che ho avuto, insieme ai miei compagni di viaggio, mi preme sottolineare quanto questi “viaggi” siano importanti per non dimenticare, lottando con tutte le forze perché non debba mai più ripetersi tanta malvagità. Da qui l’importanza che le nuove generazioni, che sono il futuro del mondo, portino avanti queste testimonianze delle atroci sofferenze di quelle persone, nello spirito di pace, integrazione e convivenza civile tra i popoli. Territori e leghe Ferrara, quando i migranti eravamo noi Valentina Vecchiattini Spi-Cgil Ferrara Argentovivo marzo 2009 M aurizio Bussolari è il responsabile della lega di Ro, un “vecchio” emigrante che, dalla Svizzera, dopo 40 anni di lavoro, è ritornato in Italia, nella “sua” Ro, e si è subito inserito nella Lega del Sindacato dei pensionati. Ci ha voluto raccontare un po’ la sua storia in questo particolare momento in cui si parla tanto – e male – degli stranieri che sono venuti a cercare lavoro e dignità nel nostro Paese. A questa serata, al Centro anziani, ha partecipato anche il sindaco del paese. Molti non sanno che, fuori dall’Italia, esiste un’altra Italia: circa 4 milioni di italiani vivono e lavorano all’estero. La maggior parte sono in Germania e, poi, in Svizzera. E, nel mondo, sono circa 60 milioni le persone di origine italiana. Italiani prestati alle altre nazioni. Quanto è stato difficile per una persona come Bussolari andare all’estero, quante umiliazioni ha dovuto sopportare: “Venivamo paragonati agli zingari - racconta - e fin qui andava anche bene, ma spesso ci davano dei soprannomi come sporco, scrofa o maiale Maurizio Bussolari (al centro) racconta la sua esperienza e spesso queste parole erano dette ad arte dagli svizzeri per far nascere delle risse. Poi siamo diventati muratori. Erano persone che non avevano diritto di voto, che per molto tempo non lo hanno potuto esercitare proprio nel Paese che, con il loro lavoro, diventava sempre più ricco. Una discriminazione questa che non è degna di un Paese civile”. Bussolari era a Solothurn, una bellissima cittadina in stile barocco, con tante chiese e cappelle, con tante fontane e le torri. Un ricordo va alla grande tragedia di Mattmark, paragonabile a quella di Marcinelle in Belgio. Era il 1965, sul cantiere della diga di Mattmark crollò il ghiacciaio. Morirono 88 persone, 56 erano italiani. “Gli svizzeri sono orgogliosi delle loro strade. Ma non dicono che in quei cantieri hanno lavorato gli italiani, così come nei trafori delle montagne, nella costruzione di autostrade”, racconta Bussolari. I primi italiani che arrivarono in Svizzera, dopo la seconda guerra mondiale, avevano dei permessi temporanei: così aveva voluto il governo svizzero. Appena superata la frontiera, a Briga o a Chiasso, i lavoratori dovevano subire una rigorosa visita medica e, se non erano abili, venivano rimandati in Italia. Molti entravano in Svizzera illegalmente, cercavano un lavoro, tornavano in patria e rientravano subito con il permesso di lavoro. Il ricongiungimento con le famiglie era difficile. Di solito arrivava prima l’uomo da solo poi, col tempo, quando riusciva a stabilizzarsi faceva venire anche moglie e figli, illegalmente, tanto che i bimbi, circa 30 mila, rimanevano in casa, nascosti per molto tempo, quelli più piccolini, mentre gli altri, pur essendo clandestini, riuscivano a frequentare ugualmente le scuole elementari e medie. Una tragedia. Lo scrive anche 25 Argentovivo marzo 2009 I temi della memoria 26 La testimonianza di padre Gino, missionario salesiano, alla serata di Ro Ferrarese Martina Frigerio – dice Bussolari – nel suo libro sui bambini chiusi in minuscole stanze, che non potevano e non dovevano farsi sentire dai vicini, che andavano a scuola ormai grandi, che non sapevano nulla di tedesco e, impauriti da ciò che li circondava, rimpiangevano il silenzio della loro camera. Bambini strani, che sognavano l’Italia che avevano lasciato, disturbati nei rapporti con gli altri. Ma era così solo nel Cantone tedesco, andava un po’ meglio nel Canton Ticino e in quello francese. Bussolari a questo punto ha proiettato una serie di fotografie, momenti di festa e di allegria di quando gli emigrati italiani cercavano, in ogni modo, di mantenere un rap- porto con l’Italia formando squadre di calcio, organizzando feste de l’Unità, costituendo la società Dante Alighieri o l’Avis. Anche i missionari italiani in Svizzera erano degli emigranti, facevano parte di quel circa milione di persone che avevano lasciato l’Italia per lavorare. I lavoratori in Svizzera con già un permesso di lavoro mangiavano nelle cantine e dormivano nelle baracche delle ditte presso le quali lavoravano, ma chi non aveva ancora lavoro si appoggiava alla missione cattolica. E, proprio nella missione cattolica, Bussolari ha conosciuto padre Gino che, spesso pagato dai padroni, andava in quelle cantine a dire la Messa. Padre Gino è un mis- sionario salesiano. “Gli emigranti – dice - erano persone che volevano lavorare, che lasciavano le loro case, le loro famiglie per poterle mantenere dignitosamente al paese e per poterle portare, poi, con loro, in un Paese dove avrebbero potuto stare meglio, dove la moglie avrebbe potuto aiutare il marito, dove i figli avrebbero potuto studiare”. Proprio come quelli che arrivano oggi sulle nostre coste. Fino al 1955, a chi emigrava, la Svizzera permetteva di fare solo l’agricoltore. Per alcuni anni poi, negli anni ’60, cominciò l’era dell’orologio. Molti andarono a lavorare nelle fabbriche di orologi, fabbriche che erano più rumorose di una fonderia. Ruolo importante delle missio- ni era quello di dare conforto a questa povera gente, aiutarli a scrivere a casa, perché l’essere analfabeti era uno degli handicap più grandi. “Io - dice padre Gino – ho riscontrato che l’appartenenza religiosa è più sentita di quella civile o nazionale. Questo poteva valere per gli italiani in Svizzera, ma anche per i musulmani, oggi, nel nostro Paese. La gente partecipava, arrivava anche dai paesini limitrofi, sapeva che dopo la Messa poteva assistere al film, poteva sentire il suono della sua lingua”. Chiudendo gli occhi, poteva immaginare di essere a casa. Ecco, è terminata così una serata di ricordi, di “sana” informazione, di esperienze vissute, di storia vera. I temi della memoria Le ragioni di un viaggio Vivere l’altrove: storie di migranti nella globalizzazione Anna Maria Pedretti Argentovivo marzo 2009 S arebbe davvero troppo lungo spiegare quali possono essere le ragioni per cui le persone di ogni dove e di ogni tempo decidono di partire, di lasciare la loro terra, quella nella quale sono vissuti fino a quel momento, dove, come abbiamo letto nei racconti pubblicati nel numero di febbraio di questo giornale, sono ancorati i ricordi del periodo della loro infanzia che, anche se povera e miserevole, è sempre un periodo magico, di scoperta del mondo e di legami affettivi fondanti. Davvero non bastano saggi di storici, di sociologi, di antropologi, raccolte di testimonianze, lettere, romanzi, diari. Il fenomeno è talmente vasto e si porta dietro un bagaglio molto variegato di motivazioni che stanno alla base della partenza: tra la necessità di sopravvivere sfuggendo ad una situazione di guerra o di estrema miseria e il desiderio di avventura, di scoprire nuovi mondi, di raggiungere “paradisi ideali”, alimentati da un immaginario collettivo che fa pensare a terre ospitali dove scorrono latte e miele in abbondanza o a paesi con culture avanzate e accoglienti retti da regimi democratici che garantiscono uguali diritti per tutti. Rozina, ad esempio, che è venuta in Italia dall’Albania, racconta che “con la venuta della democrazia, il Paese ha cominciato a rinnovarsi: le aziende hanno chiuso e sono diventate private. Anche la mia fabbrica ha chiuso e sono rimasta senza lavoro per un anno. Nel 1989/90, con la caduta del comunismo, incominciavano ad arrivare in Italia le navi con gli albanesi che cercavano di andarsene via dalla povertà per cercare una vita migliore, perché è giusto. In Albania non c’era niente, era tutto chiuso”. Ma lei stessa, pur avendo deciso di venire in Italia e di rimanere nel nostro Paese dove si è anche costruita una sua famiglia, aggiunge: “Sì, mi ha portato in Italia la speranza di una vita migliore, ma non ho trovato quello che si vedeva in televisione”. Il mondo degli affetti è un altro universo di cui tener conto quando si leggono le storie delle persone. Nostalgia, mancanza, solitudine, separazione, allontanamento dalle persone e dai luoghi cari. A volte, all’interno di quello che appare lo stesso destino di emigrazione, si fanno strada ragioni sentimentali, affettive, il bisogno di chi, avendo patito l’esperienza dolorosa della dispersione della famiglia d’origine, cerca una via per non separarsi dai suoi cari, per avere un futuro insieme. E in alcuni momenti storici e in alcuni luoghi, come l’Italia settentrionale negli anni del boom economico, o la Francia nello stesso periodo, ciò è stato possibile. Resta l’amarezza per quel mancato sviluppo del sud dell’Italia che, se ci fosse stato trovando vie meno scontate e più creative, avrebbe potuto fermare l’emorragia dei tanti che se ne sono andati. 27 I temi della memoria “Mio padre non voleva dividere la famiglia” Angelo Flammia Nato a Frigento, in provincia di Avellino, il 27 gennaio 1946, dal 1960 si è trasferito con la famiglia a Soliera, un paesino in provincia di Modena, dove vive con la moglie, la figlia e la madre. Ha dovuto interrompere gli studi proprio a causa del trasferimento e ha cominciato molto presto a lavorare in aziende meccaniche, tra cui la Fiat Trattori. È stato impegnato a livello sindacale e anche politico facendo il sindaco della sua cittadina. Argentovivo marzo 2009 L 28 a mia famiglia d’origine era composta da mio padre, mia madre ed un fratello. Mio padre aveva fatto la guerra d’Africa - quella di Mussolini - e poi anche la seconda guerra mondiale. Tra le due guerre era stato a lavorare in Africa ed era emigrato in Venezuela insieme al fratello Antonio, poi morto in quella terra e là sepolto. Tornato dal Venezuela, ha sposato la mia mamma - che aveva 14 anni meno di lui, a quel tempo una cosa quasi rivoluzionaria – ed ha ripreso a lavorare la terra. C’eravamo poi io e mio fratello, solo noi due perché un terzo fratello maschio non è vissuto; una scelta di mio padre quella di avere pochi figli, perché – avendo egli gira- to un po’ il mondo - aveva compreso che più la famiglia era numerosa e maggiori sarebbero stati i problemi da affrontare, lui che di fratelli e sorelle ne aveva ben dodici. Il nonno e la nonna paterni lavoravano entrambi la terra di loro proprietà, coltivata ad uliveto e pascolo; avevano delle bestie, mi ricordo delle mucche e delle pecore, e loro vivevano praticamente così, di questa loro attività. Tredici figli ha avuto questa coppia! Mio padre non ha avuto una vita facile e certe ingiustizie le aveva ben capite già allora. A Frigento ho frequentato la terza media solo all’inizio dell’anno scolastico, perché nel novembre del 1960 siamo venuti ad abitare nelle campagne di Soliera, aiutati in questo da nostri compaesani; anzitutto dallo zio Rocco, fratello di mio padre, che nel 1946, subito dopo la guerra – insieme a qualche altro – è venuto nel modenese a cercare lavoro: questi sono i primi emigranti che dal sud vengono qui, qui si trovarono bene e qui si sono sistemati. Qui ho ripreso a frequentare la terza media, ma difficoltà di inserimento mi portarono a non finire l’anno scolastico. I miei erano mezzadri su un podere. Perché mezzadri? Perché i miei già erano contadini giù e quindi sembrava naturale poterlo fare pure qui; poi perché in quegli anni, con la ripresa economica, i modenesi abbandonavano la terra per occuparsi nelle attività industriali in rapido sviluppo: edilizia, meccanica, ceramica... I proprietari delle terre erano quindi alla ricerca di famiglie, anche provenienti da lontano, a cui affidare la conduzione dei loro poderi. Io credo che la ragione fondamentale per cui mio padre mi ha portato qui è stata che, siccome lui aveva fatto questa esperienza da emigrante, in Africa prima e in Venezuela dopo, e credo che sia stata un’esperienza sicuramente non positiva, nel senso che io me lo ricordo quando è venuto a casa… la mamma che mi raccontava… insomma il fatto di stare lontani e poi la nonna che tutti i giorni si lamentava perché i suoi figli stavano sparsi per il mondo. Io la nonna l’ho vista piangere tante volte quando si ricordava suo figlio che era morto in Venezuela... Diciamo che è il motivo fondamentale per essere venuti proprio qui al nord, a Soliera, è che non voleva dividere la famiglia, non voleva che andassimo all’estero.. . perché allora lo sbocco era quello, non ce n’era un altro. E ogni tanto mi domando sempre se, come dire, il mancato sviluppo del mezzogiorno non sia anche dovuto al fatto che la gente migliore se n’è andata... Perché quelli che avevano girato un po’, che avevano capito che lì non c’era gran che da muovere, si sono portati via i figli, quelli che avevano studiato, cioè. E però alla fine, tutto sommato, penso che avevano ragione, non c’è nient’altro da dire. Io sono andato l’anno scorso giù, dopo 18 anni che non c’ero andato, la prima impressione che ho avuto quando sono arrivato all’uscita dell’autostrada… mi si è chiusa la bocca dello stomaco, sai.... Passati 50 anni..., non è cambiato niente! Così era l’entrata nel paese quando sono venuto via e così è l’entrata quando sono andato giù adesso: infili una strada che porta dove abitavo io ed è esattamente come era... 50 anni fa. Quando siamo venuti via col camion su cui avevamo caricato le nostre cose, mi sono voltato indietro e mi è rimasta in mente quell’immagine lì; ci sono tornato con la mia macchina ed ho imboccato questo pezzo di strada ed era esattamente così come l’avevo lasciata 50 anni fa! I temi della memoria Maria Berlioz Nata a San Severo di Foggia nel 1955, emigrata coi genitori in Francia nel 1963. Ha interrotto gli studi dopo la licenza media perché in famiglia avevano bisogno del suo stipendio; lei è la maggiore di 8 fratelli. Gli studi superiori li ha fatti alle scuole serali. Ha fatto attività politica ed è stata eletta nella Giunta di sinistra del Consiglio comunale della cittadina di Pierre Benite, un paesino nella zona di Lione, occupandosi di scuola e cultura. Attualmente lavora come grafica pubblicitaria in un grande magazzino, l’Auchan di Lione. È anche pittrice ed ha esposto diverse volte anche a Parigi. L’ emigrazione: sono i politici che hanno messo le frontiere. Non è pensabile che oggi l’uomo sia capace di fare oleodotti anche sotto il mare e che portino gas e petrolio da una nazione all’altra e non riescano a fare tubazioni che possano portare l’acqua in Africa dove centinaia e centinaia di bimbi – come in India – muoiono di fame e di sete. Io penso che è stata brava quella gente a non emigrare ancora di più. Loro hanno questo problema adesso, come noi lo abbiamo avuto tanto tempo fa. Oggi mi rendo conto che allora noi eravamo come la gente che viene adesso dall’est. Non avevamo vestiti come i francesi, non avevamo la cultura come i francesi di mangiare al mattino, al mezzogiorno e alla sera, non avevamo l’abitudine di uscire come facevano loro. Noi siamo arrivati allora dal sud come la gente che viene adesso o dalla Bulgaria o da altre parti. Io rivedo me stessa in loro. Adesso posso comprendere perché gli altri sono differenti. E comprendo che hanno bisogno di aiuto. Se sono venuti via dal proprio Paese è perché da loro era proprio difficile vivere. “Sono partito per non fare la guerra” Argentovivo marzo 2009 “In Italia si faceva fatica a mangiare” Io sono di San Severo di Foggia, sono venuta in Francia nel 1963. Sono nata nel 1955. E a quell’epoca nel meridione la situazione era difficile. Le famiglie avevano molti bambini. I miei genitori hanno avuto 8 bambini, gli ultimi 3 sono nati qui. Si dice sempre che la gente del sud non vuole lavorare, per me non è così. Nella mia famiglia ho sempre visto gente che lavorava la terra e non era sufficiente per vivere. Ho sempre visto mio padre lavorare, l’ho visto invecchiare perché in Italia c’erano tanti pensieri, molto di più che qui in Francia; non che qui non ce ne fossero, ma in Italia si faceva fatica a mangiare. A me dispiace, anche se il tempo è passato, che si pensi ancora così. Siamo arrivati qui nel ’63 e mio padre, qui, non aveva nessuno, mia madre aveva invece dei fratelli che erano qui fin dall’inizio degli anni ’50, e quando venivano in Italia, vedendo la vita difficile che conducevamo, gli avevano detto diverse volte: “Vieni in Francia, il lavoro c’è, hanno bisogno di gente che lavori”. Sulle prime mio padre non ne voleva sapere, ma poi, visto che le cose andavano sempre peggio, decise di andare da solo in Francia per vedere come si stava. È venuto qui nel mese di maggio, il lavoro c’era, e cominciò a cercare un’abitazione, ma quando i francesi sentivano “5 figli” non gli davano la casa. Poi ha trovato una casuccia in un villaggio vicino a Lione: era vecchia, non era come quella dell’Italia, apparteneva ad una donna che andava lì solo per le ferie. Mio padre è tornato a prenderci nel mese di agosto, avevamo venduto il letto, l’armadio, avevamo venduto tutto, siamo arrivati in Francia con una valigia, solo con due o tre vestiti per i bambini e basta. E quando siamo arrivati qui già il tempo era diverso da quello di San Severo. Giù da mia zia, che abitava a Barletta, c’era un sole, un mare, le case di un bianco che fa male agli occhi. Siamo arrivati a Torino, poi alla frontiera a Modane, abbiamo visto per la prima volta le montagne così alte. C’era un cielo nero, ma nero, con una pioggia! Quando mia mamma ha visto quel tempo così brutto diceva: “Santa Maria, Sant’Anna, Sant’Antonio!”, diceva con mio padre: “Ma dove mi porti, è la fine del mondo!”. (…) Hassan Alì Ha 30 anni, viene dal Sudan, che, come lui dice “è il paese più grande dell’Africa”, in particolare dalla regione del sud, il Darfur dove è in corso da 6 anni uno scontro armato tra forze dello stato presieduto da Bashir (che il tribunale internazionale dell’Aia ha accusato di crimini di guerra e contro l’umanità ) e organizzazioni di insorti secessionisti. Arrivato in Italia nel 2004 è ripartito subito per l’Inghilterra, ma da là nel 2005 la polizia lo ha rimandato in Italia ed è giunto a Roma trovando aiuto in un primo tempo nella comunità di accoglienza, la “Tiburtina”, organizzata dai primi sudanesi arrivati a Roma sei anni fa insieme ad etiopi ed eritrei, che aveva il compito di accogliere ed aiutare le persone in fuga dai loro paesi in guerra. Oggi vive e lavora a Roma. 29 I temi della memoria Argentovivo marzo 2009 “Paura dell’altro” e “paura dello stesso” Quella che vi propongo è una chiosa strettamente auto-biografica (con risultati paradossali) della seguente bella affermazione di Don Milani: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato e privilegiati ed oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri”. Sono cresciuta in una famiglia benestante di viaggiatori: mio nonno materno era un mercante veneziano sempre imbarcato per il medio ed estremo Oriente e mio padre, oltre a conoscere vari Paesi africani, aveva lavorato in Germania e Romania (dove organizzava gare automobilistiche per fare pubblicità alla Ford) e conosceva piuttosto bene cinque lingue. Uno degli ambienti educativi più importanti della mia infanzia sono state le conversazioni a tavola, specie nei lunghi pranzi festivi, durante i quali gli adulti, con mia grande meraviglia, trasformavano le disavventure di viaggio in occasioni di risate e di apprendimento. Di conseguenza anch’io personalmente non mi sono mai sentita “solo italiana”, ma una perpetua straniera di lingua madre italiana. Credo che la nota fondamentale della mia vita sia stata scappare da tutti i posti (siano questi la politica o l’università) dove veniva richiesta qualche forma di identificazione con un gruppo chiuso, autoreferenziale e non dialogante. La mia vera profonda paura non è “dell’altro”, ma “dello stesso”. Ma proprio per questo, coloro che invece temono “l’altro” sono per me anch’essi “stranieri”, personaggi quasi incomprensibili e quindi interessanti. È un bel paradosso, no? Il non sapere ascoltare e raccontare storie di incontri-scontri interculturali è un enorme spreco di potenzialità umane e sociali e una ragione di infelicità, e credo che senza affrontare questo spreco e questa infelicità, non si riuscirà neppure a riequilibrare le disparità economiche. Quindi, quando accompagniamo i nostri nipoti all’asilo o a scuola e incontriamo i loro compagni che vengono da Paesi diversi, invece di usare i termini “stranieri” ed “extra-comunitari”, proviamo a indicarli come “plurilingue ” e “plurinazionali”. I bambini hanno le antenne e capiscono subito che stiamo rovesciando il modo usuale di vedere le cose, e che in questo rovesciamento sta il segreto per diventare tutti quanti meno provinciali e diseredati culturalmente. Organizzare settimanalmente nei propri circoli sociali, nelle biblioteche civiche, nelle scuole, delle occasioni di incontri e racconti interculturali è il modo principale per avviare delle appassionanti indagini sulle trasformazioni in atto nel mondo attuale e sulle abilità e conoscenze richieste a chi voglia trarne vantaggio piuttosto che venirne travolto. * M PB Sclavi ha insegnato sociologia e antropologia per molti anni. Adesso si occupa di arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti. Gli autori delle interviste Le testimonianze presentate sui numeri di Argento Vivo di febbraio e marzo 2009 sono state raccolte da: 30 Marianella PB Sclavi* Luigi Pioggiosi Anna Guerzoni Ismail Mantai Angelo Flammia Maria Berlioz Hassan Alì da Luisa Carrara (Spi Piacenza) da Liviana Bianchini (Spi Mirandola) da Gabriella Sozzi (Spi Piacenza) da Remo Roma (Spi Soliera) da Valentina Vecchiattini (Spi Ferrara) da Franca Borghi (Spi Modena) V ivevamo bene in Sudan, prima della guerra. C’era pace, lavoravamo ed eravamo tutti uniti. (…) Purtroppo da 6 anni in Sudan c’è la guerra, la popolazione della regione dove vivevo, il Darfur, si è ribellata al governo che non fa niente per migliorare le condizioni di vita della gente, mancano tante cose, proprio tante: le scuole, gli ospedali, le strade, le fabbriche, il lavoro... tutto quanto... il governo si comporta da nemico verso di noi del Darfur, invece fa tutto per Kartum, la capitale, e per il nord del Paese.(…) Sono partito per non fare la guerra, e così hanno fatto tanti altri giovani, non siamo partiti per miseria o per fame come molti italiani credono. Se fossi rimasto in Sudan sarei stato obbligato a combattere, o per il governo o per i suoi avversari. Io non voglio uccidere, non volevo e non voglio sparare alle persone, sono un uomo di pace. C’era sì anche il desiderio di trovare un lavoro migliore, sicuramente, però non avrei mai lasciato il mio Paese per questo motivo: anche se nella mia città, a causa della guerra, ormai era difficile trovare un buon lavoro, potevo andare in altre città del Sudan per trovarlo sicuramente. Ma io sono contro la guerra, tutte le guerre, a me piace veramente la pace. C’era anche un po’ il desiderio dell’avventura di un giovane sano e forte e con la testa sulle spalle. E poi, già da piccoli, sentivamo dire di Parigi, Roma, Londra. Ero molto colpito da questi nomi e pensavo come poteva essere vivere là. Perciò mi sono detto “Mah! Proviamo ad andare in Europa....” e sono arrivato fino qua! I miei fratelli, tutti sposati, non sono partiti, chi è sposato può evitare la guerra, invece noi giovani no. I miei genitori erano d’accordo con me, alcuni miei fratelli invece no, mi dicevano “Resta, vedrai che qualcosa faremo”. Qui in Europa va meglio, però non c’é la “pace-pace” di cui sentivamo parlare in Sudan, le persone non sono tutte uguali e non si aiutano tra loro. Per fortuna qui non c’è la guerra, e questa è la cosa più importante, poi tutto il resto piano piano si risolverà. I temi della memoria La gabbia del sarchiapone In un racconto del 1947 (“Si dorme come cani”) Italo Calvino narra l’episodico incontro di un gruppetto di persone ammucchiate nell’angolo a ridosso della scalinata di una grande stazione ferroviaria. Sdraiati sui loro cenci, appoggiati scomodamente su borse e valigie di cartone scorticato si contendono il poco spazio a disposizione cercando affannosamente di conquistarsi qualche attimo di sonno. Veniamo a sapere che si tratta di due “venezia che emigravano in Francia”, tre “bassitalia piccoli di statura” e quattro “borsanera” - gente anonima che Calvino caratterizza esclusivamente in base alla provenienza geografica o al mestieraccio che fanno. Impossibile per chi legge sentire simpatia o interesse per persone descritte in quella maniera. L’unico a cui è concesso l’onore di un nome (“Belmoretto”) è il dritto della situazione che sfrutta il momento prendendo a noleggio un materasso da un’amica prostituta e subaffittandolo a quei disgraziati per turni di mezz’ora. “Quelle dell’est”, “La negretta”, “Il nordafrica”, “Il talebano”, “Il sudest asiatico” - etichette approssimative e spersonalizzanti che sentiamo affibbiare ai migranti che vivono tra noi. Etichette che tengono questa gente alla larga, ma che nascondono anche una nostra profonda ignoranza in materia di geografia appena si va un po’ oltre i confini europei. Storciamo il naso quando sentiamo dire che molti nordamericani conoscono ben pochi Paesi al di fuori del proprio. Ma ce la caviamo meglio noi quando si tratta dell’Africa o dell’Asia? Camerun, Gambia, Zimbabwe, Benin - si trovano da qualche parte in Africa. Ma dove esattamente? Sapremmo collocare uno Stato come il Bhutan? Beh, diremmo, non si può essere informati di tutto. Vero. Ma trattandosi di persone che vivono con noi potrebbe essere interessante - oltre che un gesto di civiltà - sviluppare una maggiore sensibilità per la dimensione geografica degli immigrati in casa nostra. Potremmo più facilmente renderci conto che oltre a fame, miseria e morte, oltre ad affetti familiari e lingua madre si lasciano alle spalle un paesaggio, uno spazio fisico che significa qualcosa per loro. Riusciremmo ad immaginare meglio a quali mari, monti e pianure, a quali cieli, a quali case e a quali vie va la loro mente nei momenti di nostalgia. Eva Lindenmayer La campanella Argentovivo marzo 2009 Le geografie degli altri La crisi economica spiegata dalle scimmie Chi ha due o più case non è uguale a chi ha quella sola per vivere! Come al solito il problema d’essere ottimisti o catastrofisti rispetto alla crisi economica è un falso problema, un modo per far partecipare i cittadini “sviando” come si fa da tempo su “chi ha ragione chi ha torto – la colpa è sempre di qualcuno - cerchiamo il capro espiatorio – io speriamo che me la cavo”: falsa partecipazione in una falsa democrazia. È vero che chi semina vento raccoglie tempesta: è il caso del diffondersi della paura dell’immigrato, dello zingaro, del rumeno… Per questo più forte è la responsabilità di chi governa, nel senso che ogni proposta deve comunque tener conto delle conseguenze, cioè mettere in moto dinamiche positive per affrontarla. Ottimismo non è definire la crisi più o meno tragica, ma guardare alla crisi come opportunità per modificare atteggiamenti di comodo, guardare al lavoro con “occhi” diversi, inventare nuovi lavori, partecipare ai servizi del bene pubblico, “stanare” disuguaglianze spacciate per false uguaglianze: un esempio per tutte, togliere l’Ici sulla prima casa a chi comunque di case ne ha più d’una. Dovendo spiegare ai bambini la crisi finanziaria, devo ringraziare d’aver trovato su Messaggero cappuccino della nostra regione questa favola africana. Un grosso commerciante in una povera zona africana offre 10 dollari a chi è in grado di portargli una scimmia adulta: per gli abitanti è relativamente facile catturare scimmie nella foresta vicina. Quel commerciante dice tuttavia che ha bisogno d’altre scimmie, e rendendosi conto che si troveranno più lontano è disposto a pagarle 20 dollari. Riempite le sue gabbie di scimmie, dice poi che deve partire, tornerà dopo quindici giorni, lasciando un suo aiutante, e pagherà altre eventuali scimmie 50 dollari. L’aiutante si mette d’accordo con gli abitanti dicendo loro che è disposto a dar loro scimmie – che si dirà al commerciante essere state rubate – se pagheranno 35 dollari: “Pensate, guadagnerete, appena tornerà il commerciante, 15 dollari senza alcun lavoro!”. Non tutti hanno ovviamente 35 dollari, ma vendono ciò che hanno pur di metterli insieme. Appena hanno comprato le scimmie, spariscono l’aiutante e il commerciante. Ora quella zona è infestata dalle scimmie e sono tutti molto più poveri! Questa storia non solo spiega, ma fa dire, anche ai bambini, che intanto la prima cosa da fare è riportare le scimmie nel loro habitat e ricominciare a lavorare aiutandosi a vicenda. Miriam Ridolfi 31