7 La filosofia nel IV secolo Platone Aristotele Eraclide Pontico Dicearco Aristosseno Teofrasto La po*liQ e l'organizzazione del sapere N el corso del V secolo la filosofia, attraverso l'umanesimo sofistico e socratico, aveva rivolto la sua attenzione soprattutto alla vita associata che si svolgeva nella comunitaÁ politica (" pp. 10 ss.). Nel IV secolo ± in cui si assiste alla crisi della po*liQ ± gli obiettivi della ricerca filosofica saranno due: da un lato, la riflessione sull'interioritaÁ della coscienza personale, con lo sviluppo di un'istanza che era stata propria dell'eleatismo (" p. 15); dall'altro, l'impegno concreto nella verifica scientifica secondo gli insegnamenti della scuola ionica (" p. 15). La comunitaÁ civile continuoÁ a essere oggetto di riflessione filosofica anche durante il IV secolo, ma assai spesso i pensatori si chiesero come la cittaÁ potesse meglio rispondere alle istanze che nascevano dalla coscienza del singolo. Del resto, nell'Atene che aveva fondato la sua grandezza sullo sfruttamento degli alleati sudditi, giaÁ Socrate aveva sostenuto che la giustizia non doveva essere ricercata nelle assemblee popolari, ma nella privata ricerca della veritaÁ e che il vero tribunale a cui l'uomo deve rispondere eÁ la sua coscienza. Platone Interprete coerente delle istanze del socratismo eÁ Platone, che, prendendo atto delle contraddizioni evidenti del mondo sensibile, indica il criterio della veritaÁ nella sfera esclusiva del razionale e delle idee pure: una dimensione a cui gli oggetti del mondo in cui viviamo partecipano solo in parte. Benche per Platone la realtaÁ si fondi sul mondo distaccato e interiore dell'idea, non viene meno nella sua filosofia l'interesse per la creazione di una comunitaÁ civile che tenda all'ideale trascendente del giusto. Proprio a questi principi si ispira la piuÁ vasta e complessa delle sue opere, la Repubblica, mentre il tentativo di realizzare in concreto quel modello ideale indusse Platone a compiere ripetuti viaggi in Sicilia, anche a costo di fatiche fisiche (aveva sessantasette anni quando partõÁ per la terza volta) e a rischio della sua stessa vita (" p. 562). Aristotele Il maggiore tra gli allievi di Platone, Aristotele, individuoÁ la realtaÁ concreta 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO in una sintesi di materia sensibile e di forma ideale, il ``tutt'uno'' (sinolo). Egli riconobbe, al centro di tutta la realtaÁ nella sua poliedrica multiformitaÁ, una forma pura, pensiero di pensiero, motore immobile di tutto l'universo. Aristotele si sforzoÁ anche di organizzare ± attraverso le ricerche e gli scritti suoi e della sua scuola ± le scienze del mondo umano: nella sua ricerca incluse la politica, la poetica e la retorica, secondo l'istanza sofistica e socratica, ma anche la scienza della natura, dalla biologia alla fisica all'astronomia, secondo la tradizione ionica. Gran parte dell'enciclopedia delle scienze che caratterizzoÁ soprattutto il secolo seguente eÁ dovuta all'opera di Aristotele e dei suoi allievi. 560 testi Platone Platone 1 2 3 4 Apologia di Socrate I primi accusatori (18a-19a) Il sapere di Socrate (20c-21d) Restare al proprio posto (28a-d in it.) Il congedo (40c-42a) Critone 5 Il discorso delle Leggi (50a-54e) Simposio 6 Eros desidera cioÁ che non ha (119c-201d in it.) 7 Eros eÁ figlio di Poros e Penia (203b-203e) 8 Eros eÁ amore di immortalitaÁ (205d-207a in it.) 9 Per conoscere cioÁ che eÁ bello in se (209a-212b in it.) 10 Socrate come Marsia (215a-216c in it.) 11 Ha qualitaÁ che nessuno possiede (219d-222b in it.) Fedone 12 Introduzione al dialogo (59d-63b in it.) 13 La morte (115b-118a) Repubblica 14 I filosofi e il governo dello Stato (487b-490e) 15 Il mito della caverna (514a-516c in it.) 16 L'idea del Bene (517c-521b in it.) P latone nacque ad Atene nel 427 a.C. da una famiglia della piuÁ alta nobiltaÁ attica: da parte di padre discendeva dall'ultimo re di Atene, il mitico Codro, da parte di madre dal grande legislatore Solone; cugino della madre fu l'oligarca Crizia, uno dei Trenta tiranni. Il suo vero nome era ArõÁstocle: fu soprannominato Platone dal suo maestro di ginnastica, perche aveva le spalle larghe. L'incontro con Socrate L'evento fondamentale della sua vita fu, a vent'anni, l'incontro con Socrate, che otto anni piuÁ tardi, nel 399, sarebbe stato condannato a morte con l'accusa di empietaÁ. La vita politica allora attraeva il giovane Platone, che era imparentato con molti esponenti del partito conservatore; ben presto tuttavia rimase deluso, sia dai Trenta, che avevano instaurato un governo sanguinario, sia dalla restaurata democrazia, che aveva condannato a morte il suo maestro, l'uomo piuÁ giusto da lui conosciuto. L'esperienza del processo e della condanna di Socrate fu decisiva per lui, giaÁ profondamente turbato dai delitti perpetrati dai Trenta in nome della restaurazione dei valori morali. In relazione a queste esperienze Platone andoÁ formando la propria personalitaÁ: per lui, come per qualsiasi Ateniese e per la maggior parte dei Greci dei suoi tempi, il problema politico era fondamentale; Platone non riusciva ad accettare nessuna delle forme politiche che aveva sperimentato, e per tutta la sua vita coltivoÁ l'idea di costituire una cittaÁ giusta, in antitesi a quelle ingiuste che aveva conosciuto. 561 In Magna Grecia A circa quarant'anni, nel 387, Platone visitoÁ la Magna Grecia e frequentoÁ e in Sicilia gli ambienti pitagorici di Taranto e di Crotone. In seguito, in Sicilia, conobbe Dionisio, tiranno di Siracusa, e cercoÁ di convincerlo a costituire uno Stato giusto, che fosse ispirato all'idea del Bene. Per questo progetto pote contare sull'aiuto del cognato di questi, Dione, giovane ed entusiasta degli studi filosofici; tuttavia Dionisio espulse immediatamente Platone da Siracusa, mandandolo ad Egina che allora era in guerra contro Atene: il filosofo fu fatto prigioniero e rischioÁ di essere venduto come schiavo. Fonda l'Accademia Ritornato ad Atene, Platone fondoÁ in quello stesso anno, il 387, la sua scuola, sull'esempio delle comunitaÁ pitagoriche della Magna Grecia: la chiamoÁ Accademia, perche si trovava nei giardini consacrati all'eroe AcadeÁmo. Nella scuola i discepoli vivevano prendendo i pasti in comune, studiando e discutendo di filosofia con il maestro. Secondo viaggio Nel 367 Dionisio di Siracusa morõÁ e gli successe il giovane figlio Dionisio II. in Sicilia Lo zio di questi, quel Dione che Platone aveva conosciuto durante il primo viaggio in Sicilia, insistette perche il filosofo rinnovasse il suo progetto di costruire a Siracusa uno stato conforme a giustizia; allora Platone, nonostante il fallimento del suo primo viaggio, ritenne di non dover rinunciare a questa possibilitaÁ e partõÁ ancora una volta. Fu accolto splendidamente, ma l'ambiente di corte era ostile e sospettoso; due anni dopo, quando Dionisio, per gelosia, mandoÁ in esilio Dione, Platone, deluso, rientroÁ in patria. Terzo viaggio in Sicilia Nel 361 fu Dionisio II stesso a richiamarlo ancora una volta. Platone esitoÁ a lungo, ma alla fine partõÁ: la situazione peroÁ si era ulteriormente complicata, per i permanenti contrasti tra Dione e il tiranno, e per le continue ingerenze di quest'ultimo che, tra l'altro, tratteneva Platone contro la sua volontaÁ impedendogli di lasciare la Sicilia; solo grazie all'intervento del pitagorico Archita di Taranto, nel 360, Platone rientroÁ in Atene, dove continuoÁ a insegnare e a scrivere fino al 347, quando, a ottant'anni, morõÁ. L'opera platonica Gli scritti di Platone ci sono giunti tutti. Il corpus delle trentasei opere di 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO Platone che l'antichitaÁ ci ha trasmesso (l'Apologia di Socrate, trentaquattro dialoghi, tredici lettere) contiene peroÁ alcuni scritti probabilmente non suoi. Sull'ordine di composizione sappiamo solo che le Leggi furono la sua ultima opera. Le opere di Platone sono distinte in tre gruppi. Questa distinzione si fonda, da un lato, su osservazioni stilistiche (la complessitaÁ crescente della struttura sintattica), dall'altro, su considerazioni di ordine contenutistico: certe opere sembrano restituire piuÁ fedelmente l'atteggiamento problematico di Socrate, mentre in altre ha sempre piuÁ spazio la metafisica delle idee propria della filosofia di Platone. All'interno dei tre gruppi, ricordiamo i dialoghi principali: a) opere della giovinezza, anteriori al primo viaggio in Sicilia (dal 396 fino al 387): LacheÁte, LõÁside, EutõÁfrone, Carmide, Protagora, Ippia minore, Gorgia, Apologia di Socrate, Critone, Ione, Alcibiade I, Ippia Maggiore, Repubblica libro I, Menesseno; b) opere della maturitaÁ, composte tra il primo e il secondo viaggio (387-367): Menone, Cratilo, Eutidemo, Simposio, Fedone, Repubblica libri II-X, Fedro, Clitofonte; c) opere della vecchiaia, posteriori al secondo viaggio in Sicilia (dopo il 367): Parmenide, Teeteto, Sofista, Filebo, Timeo, Politico, Leggi (in dodici libri), Crizia, Lettere (tredici, non tutte autentiche). 562 Lachete, Liside Nel Lachete diversi personaggi discutono tra loro per definire il coraggio ed Eutifrone (dialogo diretto), mentre nel Liside Socrate riferisce una conversazione avuta con due giovani per definire l'amicizia. Nell'Eutifrone Socrate ed Eutifrone discutono sul concetto di pietaÁ religiosa, ey$se* beia. In questi tre dialoghi eÁ evidente l'intenzione di rendere testimonianza a Socrate, ma nell'Eutifrone appare giaÁ il tema del processo e della morte del Giusto. Nell'atrio dell'arconte re, che giudica in via preliminare i delitti contro la religione, Socrate attende di essere rinviato a giudizio per l'accusa di empietaÁ: nell'attesa, discute con Eutifrone, che vuole trascinare in giudizio suo padre per l'uccisione involontaria di uno schiavo; oggetto della discussione eÁ cosa si deve considerare pio e cosa, invece, empio. Carmide Nel Carmide oggetto della discussione eÁ la temperanza; nel Protagora Soe Protagora crate discute con il sofista se la virtuÁ sia insegnabile o meno. Protagora eÁ convinto che lo sia, e adduce come prova il fatto che in tutte le cittaÁ i cittadini si preoccupano che i propri figli apprendano cioÁ che debbono fare: e questo fa pensare che nell'opinione comune la virtuÁ sia insegnabile; Socrate obietta che spesso i figli di uomini eccellenti sono assai inferiori ai loro padri: se la virtuÁ fosse insegnabile, questi l'avrebbero insegnata ai loro figli. Ma, nel corso della discussione, mentre Protagora si avvicina al punto di vista di Socrate, questi chiarisce il suo concetto di virtuÁ, che consiste nel sapere cioÁ che si deve fare; in questo modo Socrate passa al punto di vista assunto prima da Protagora (la virtuÁ eÁ insegnabile), e ritorce contro di lui la pretesa sofistica che su ogni argomento si possano dire cose opposte. Ippia minore Nell'Ippia minore Socrate afferma che chi mente sapendo di mentire eÁ moralmente superiore a chi mente senza sapere; contesta cosõÁ la dottrina giuridica secondo la quale chi sbaglia volontariamente deve essere punito piuÁ severamente di chi sbaglia involontariamente. La base di questo paradosso eÁ evidentemente il principio socratico che ``nessuno sbaglia volontariamente'', in quanto la virtuÁ eÁ conoscenza, come si concludeva giaÁ nel Protagora. Gorgia Il Gorgia affronta il problema dell'uso della retorica: secondo Gorgia la retorica ha la semplice funzione di creare persuasione, in giudizio o in assemblea, indipendentemente dall'uso positivo o negativo che qualcuno ne potrebbe fare; Socrate contesta questa asserzione, e illustra il principio che eÁ meglio subire ingiustizia piuttosto che farla. Questo dialogo si allontana dall'atteggiamento aporetico proprio del socratismo, e annuncia un metodo costruttivo che saraÁ piuttosto quello di Platone. 563 Platone Quanto ad Alcibiade II, Ipparco, AnterastaÁi, Minosse, Teage, Epinomide la critica generalmente li considera spuri, mentre eÁ divisa per Alcibiade I, Menesseno, Ippia maggiore, Clitofonte. Un problema a se stante eÁ infine quello dell'autenticitaÁ delle Lettere (delle quali parrebbero autentiche la VI, la VII e l'VIII). Gli scritti del primo gruppo si propongono la definizione di alcuni concetti morali, come il coraggio, l'amicizia, la pietaÁ religiosa, la temperanza, la giustizia, ponendo problemi che spesso restano aperti; quelli del secondo gruppo esprimono la metafisica platonica delle idee, mentre quelli del terzo gruppo affrontano i problemi conseguenti all'accettazione della teoria delle idee, vale a dire il rapporto dialettico tra la sfera dell'intelligibile e quella del sensibile, tra il mondo delle idee, accessibile solo all'intelletto, e quello che eÁ certificato dai nostri sensi. Apologia di Socrate Con l'Apologia di Socrate, Platone vuole riprodurre a distanza di parecchi anni il discorso di difesa che Socrate avrebbe pronunciato davanti al tribunale di Atene, nel corso del processo che lo vide imputato per a$se* beia. Anche se non sempre Platone riporta fedelmente il pensiero del maestro nell'Apologia, dietro la dottrina dell'immortalitaÁ dell'anima, eÁ riconoscibile l'atteggiamento tipicamente socratico della sospensione del giudizio. Dall'opera emerge chiaramente la funzione che Socrate assunse nei confronti della comunitaÁ civile e politica di Atene: la missione affidata dal dio a lui, unico saggio ± in quanto consapevole della propria ignoranza ± eÁ di sollecitare i suoi concittadini a interrogare la propria coscienza e a rendersi conto dei limiti del loro sapere (" Testi 1-4). Critone Il Critone eÁ un dialogo tra Socrate, in carcere dopo essere stato condannato a morte, e il suo vecchio amico Critone, che lo sollecita ad accettare la proposta sua e di altri amici: corrompere i guardiani e fuggire dal carcere evitando l'esecuzione capitale, perche la gente non creda che Socrate non ha potuto salvarsi per la scarsa disponibilitaÁ degli amici. Socrate risponde sorridendo che non bisogna preoccuparsi di cioÁ che pensa la gente: importa solo quello che pensano coloro che sanno davvero. Afferma inoltre di essere stato allevato ed educato secondo i principi stabiliti dalle leggi, che considera inviolabili (" Testo 5). Menone Nel Menone si dimostra che la veritaÁ sta nell'interno della coscienza e non viene appresa ``dal di fuori''. Socrate interroga lo schiavo di Menone, che non sa nulla di geometria, e gli chiede come si puoÁ costruire un quadrato doppio di un quadrato dato. Naturalmente lo schiavo non eÁ in grado di rispondere, ma attraverso una serie accorta di domande Socrate riesce a fargli trovare la soluzione giusta. Dato che Socrate non gli ha fornito alcuna informazione, si deve concludere che lo schiavo ha ritrovato nella sua memoria una conoscenza innata. Cratilo Nel Cratilo: Socrate discute con il parmenideo Ermogene e con l'eracliteo Cratilo sulla natura del linguaggio e, in particolare, sulla relazione fra parole e significati; da un lato, Ermogene ritiene che i nomi delle cose non siano legati per natura alle cose stesse (in accordo con l'idea della convenzionalitaÁ dei nomi), dall'altro Cratilo eÁ convinto che il rapporto tra parola e cosa sia insito nella natura della cosa. Socrate accetta di dare credito a Cratilo, per suffragare la sua ipotesi, esamina le etimologie di alcuni nomi. Risulta allora chiaro che certi nomi possono essere analizzati in modi differenti; di conseguenza Socrate considera con scetticismo la possibilitaÁ che l'analisi del linguaggio conduca ad una corretta comprensione dell'essenza delle cose. Eutidemo L'Eutidemo attacca il relativismo che Platone attribuisce alla sofistica, at7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO traverso lo scontro dialettico tra i due sofisti Eutidemo e Dionisodoro. Simposio Il Simposio eÁ il primo dei grandi dialoghi in cui Platone espone la propria dottrina. Il dialogo riproduce una discussione (dialogo narrato) avvenuta a casa del poeta Agatone, in occasione del convito per festeggiare la sua vittoria nelle Lenee del 416: gli invitati sono Fedro, appassionato di retorica, il suo amico prediletto Pausania, il medico Erissimaco, il poeta comico Aristofane e Socrate. Ognuno degli intervenuti pronuncia un elogio di Eros: Fedro narra un mito secondo cui Eros sarebbe un demone capace di ispirare l'eroismo in chi ama, e dimostra la sua affermazione con l'esempio di Alcesti, che aveva accettato di morire al posto del marito Admeto; secondo Pausania ci sono due tipi di Eros, come esistono due 564 Fedone Che il sapere debba essere cercato in se stessi era stato giaÁ indicato nel Menone; questo concetto tuttavia trova la sua giustificazione piena nel Fedone, il dialogo in cui Fedone racconta al suo amico Echecrate delle ultime ore di vita di Socrate. Ai suoi discepoli, il maestro spiega che non devono affliggersi per la sua morte imminente, perche Socrate non eÁ il corpo ormai cadente per la vecchiaia che sta loro davanti, ma la sua anima immortale; l'anima, una volta libera dalle catene che la vincolano al corpo, potraÁ finalmente contemplare le idee, e raggiungere cosõÁ la beatitudine per cui eÁ nata e che ha sempre desiderato. L'argomento decisivo per la dottrina delle idee eÁ costituito dall'idea di uguale: spesso vediamo due oggetti, dice Socrate, che si assomigliano in tutto, e diciamo che sono uguali; poi li osserviamo con maggiore attenzione, e correggiamo la nostra prima impressione; non sono del tutto uguali, ma ci sono sembrati tali. Dunque l'idea dell'uguale non puoÁ venirci dall'esperienza, di cui non possiamo essere mai sicuri: questa idea saraÁ invece una pura forma innata dell'intelletto, con cui confrontiamo le sensazioni fornite dall'esperienza, per concludere che non c'eÁ mai corrispondenza tra l'intelletto e i sensi. In questo modo Platone recupera l'idea del primato dell'intelligibile sul sensibile, che era stata formulata a suo tempo dagli Eleati (" Testi 12-13). La veritaÁ dunque si trova nella coscienza del singolo, ma per un greco del IV secolo un uomo non puoÁ essere pensato se non nell'ambito di una comunitaÁ. Socrate nel Critone escludeva di poter vivere in esilio, fuggendo da quelle leggi che avevano regolato la sua nascita e la sua educazione; cosõÁ anche Platone concepiva la vita umana solo nell'ambito di uno Stato, per quanto di uno Stato ideale che potrebbe non realizzarsi mai nell'ambito dell'esperienza. Se questo Stato si realizzasse, sarebbe la CittaÁ giusta in opposizione assoluta alla CittaÁ ingiusta in cui il Giusto viene condannato a morte. L'uomo non puoÁ non essere pensato se non nell'ambito di una comunitaÁ Repubblica Lo Stato perfetto eÁ descritto nei dieci libri della Repubblica, forse il capo- lavoro di Platone. Il dialogo si svolge al Pireo, nella casa del vecchio Cefalo, il padre dell'oratore Lisia e di Polemarco, e vi partecipano anche i due fratelli di Platone, Glaucone e Adimanto. Nel primo libro, si confuta la tesi esposta dal sofista 565 Platone Afroditi, una celeste e una volgare; Erissimaco sostiene che Eros eÁ presente in tutti gli esseri; Aristofane racconta una storia fantasiosa, come le sue commedie: in origine gli esseri viventi erano dotati di due sessi ciascuno, di solito uno maschile e uno femminile, ma alcuni avevano due sessi maschili, altri due femminili; per reprimere l'arroganza di questi esseri, Zeus li divise a metaÁ e, da allora, le due parti si ricercano reciprocamente per ricostruire l'unitaÁ originaria. Dopo Agatone e il suo elogio della delicatezza e della bellezza di Eros, eÁ la volta di Socrate, che riferisce ai convitati la storia che un tempo gli aveva raccontato Diotima di Mantinea: Eros eÁ figlio di Poros e di Penia, di Astuzia e di PovertaÁ; nel giorno in cui gli deÁi festeggiavano la nascita di Afrodite, Poros si ubriacoÁ e Penia volle concepire un figlio da lui: gli si sdraioÁ accanto, e concepõÁ Eros, che essendo figlio di Poros e di Penia eÁ povero ma ama la ricchezza, non eÁ bello ma ama la bellezza, eÁ ignorante e quindi ama la sapienza, che delle cose belle eÁ la piuÁ bella. Il filosofo eÁ come Eros: non eÁ sapiente, ma ama e desidera la sapienza che non ha. Il dialogo eÁ concluso dall'arrivo di Alcibiade, ubriaco, che pronuncia un singolare elogio di Eros, identificandolo con Socrate, che ispira a chi sta con lui il desiderio della bellezza e della sapienza. Se la filosofia eÁ eros, ossia desiderio di conoscere l'essenza ultima delle cose, il filosofo eÁ un innamorato, inquieto e appassionato come tutti gli innamorati, in grado di ispirare a chi sta con lui l'amore che prova (" Testi 6-11). Trasimaco, che la giustizia eÁ l'interesse del piuÁ forte (questo libro potrebbe essere stato composto nella fase ``socratica'' del pensiero di Platone). In seguito Socrate va delineando la struttura di uno Stato che sia governato dai filosofi (Custodi), difeso dai guerrieri, e sostenuto dall'attivitaÁ economica di artigiani e commercianti. In ognuna di queste classi prevale una delle tre funzioni dell'anima: la ragione guidata dalla saggezza (filosofi), la volontaÁ guidata dalla fortezza (guerrieri), il desiderio guidato dalla temperanza (artigiani e commercianti). I Custodi devono mettere in comune non solo i beni, ma anche le donne e i figli, in modo da essere liberi da ogni passione privata e preoccuparsi soltanto del bene della comunitaÁ. Da questo Stato devono essere esclusi i poeti, soprattutto quelli che compongono poesia, epica o drammatica. I poeti epici infatti producono immagini immorali degli deÁi, soggetti a passioni vili quali l'ira e la lussuria, colpevoli di azioni immorali (come gli adulteÁri di Zeus), o violente, come la battaglia degli deÁi sotto le mura di Troia. I poeti imitano la realtaÁ sensibile, che eÁ a sua volta imitazione del mondo ideale, quindi la loro poesia costituisce un'imitazione di secondo grado, ancor piuÁ contraddittoria e remota dal mondo delle idee di quanto possa esserlo il mondo sensibile (" Testi 14-15). Fedro Il tema dell'amore eÁ oggetto anche del Fedro: Socrate e Fedro ne discu- 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO tono sotto un platano presso le rive dell'Ilisso, appena fuori Atene. Fedro legge a Socrate un discorso che attribuisce a Lisia, secondo cui eÁ meglio compiacere chi non ci ama piuttosto che chi ci ama: chi non ci ama, infatti, saraÁ molto meno turbato dalla passione, piuÁ ragionevole e quindi piuÁ gradevole; Socrate propone un ragionamento analogo, ma dopo averlo concluso si pente, e dichiara che non vorrebbe aver pronunciato un discorso cosõÁ blasfemo. Spiega invece che l'amore eÁ una sorta di divina follia che turba l'anima e la spinge alla ricerca della bellezza ideale e della veritaÁ che coincide con essa. Per illustrare l'idea racconta un mito: le anime degli uomini sono come bighe alate trascinate da un cavallo bianco e da uno nero; prima di incarnarsi nei corpi, hanno percorso una via nello spazio che sta sopra al cielo, l'iperuranio. L'auriga che regge la biga rappresenta la parte razionale dell'anima, il cavallo bianco eÁ l'anima passionale, mentre quello nero eÁ l'anima soggetta agli istinti: l'auriga punta verso l'alto, per meglio contemplare da vicino le idee intelligibili, e l'anima passionale collabora con lui, mentre il cavallo nero, cioeÁ l'anima che eÁ soggetta alla concupiscenza, cerca di tirare la biga verso il basso. Le anime i cui aurighi riescono meglio a governare la biga giungendo a contemplare piuÁ da vicino le idee, dopo la reincarnazione, conservano piuÁ chiaro il ricordo dei modelli immortali che hanno contemplato. Il dialogo si conclude con una riflessione sulla retorica: la vera retorica eÁ quella che conosce l'essenza intelligibile (le idee), e procede attraverso la dialettica, che divide e riunisce i concetti, organizzandoli secondo la loro essenza. Parmenide Argomento del Parmenide eÁ appunto la dialettica, che indaga sul rapporto, e Teeteto non chiaramente definibile, tra i modelli ideali della realtaÁ e gli oggetti della conoscenza sensibile. Il Teeteto invece affronta i vari gradi della conoscenza, soffermandosi in particolare sulla funzione che ha in questa ricerca lo studio della matematica. Il problema che questi dialoghi affrontano eÁ come l'idea (una e reale), puoÁ sussistere, senza cessare di essere una, nelle cose sensibili, che sono molte. Mentre i dialoghi maggiori esaminavano la dialettica interna al mondo ideale, nella sua separatezza da quello sensibile, questi due dialoghi iniziano a porre il problema di evitare una separazione totale tra l'essere in seÂ, che eÁ oggettivo e fisso, e la soggettivitaÁ di chi conosce. 566 delle idee; cioeÁ, eÁ impossibile che ``l'essere perfetto sia privo di movimento, di anima, d'intelligenza, che non viva ne pensi''; invece, l'essere deve comprendere in se l'intelligenza che lo conosce, e quindi deve essere movimento e quiete: quiete, in quanto la stabilitaÁ eÁ condizione perche l'essere sia, ma anche movimento, perche l'intelligenza implica vita e quindi movimento. La dialettica eÁ la scienza che scopre come il ``non essere'' non implica il nulla, come voleva Parmenide, ma semplicemente cioÁ che eÁ diverso, l'altro essere. Filebo Nel Filebo si affronta nuovamente l'indagine sul bene, e si giunge alla con- clusione che per l'uomo il bene non puoÁ essere semplice piacere; infatti, una vita fondata sul piacere, senza sapere cosa sia piacere, sarebbe animale, ma anche una vita di pura intelligenza non sarebbe umana. Per risolvere il problema, Platone ricorre ai concetti pitagorici di limite e di illimitato. Funzione del limite eÁ riunire cioÁ che eÁ disperso perche illimitato (principi come il caldo e il freddo, il piacere e il dolore): decade cosõÁ l'opposizione tra l'uno e i molti, perche determinare il numero dei molti significa ricondurli all'unitaÁ. Nella vita umana dunque si mescolano piacere e intelligenza, in una proporzione determinata dall'intelligenza. Timeo A questo punto il compito dell'indagine diviene il recupero del mondo naturale: il Timeo affronta il problema dell'origine del mondo. Questo problema non puoÁ essere trattato con la dialettica, che riguarda solo cioÁ che eÁ modificabile. Platone si serve dunque di un mito: il Demiurgo, divinitaÁ artigiana, ha prodotto il mondo trasferendo l'idea nella materia, attraverso il tempo, che eÁ ``immagine mobile dell'eternitaÁ''. Politico Con il Politico Platone ritorna al problema dell'organizzazione della comu- nitaÁ civile, ma non piuÁ per tracciarne un'immagine ideale come nella Repubblica, bensõÁ in termini empirici, suggerendo al legislatore l'uso della misura, come nel progetto etico del Filebo: grazie alla misura, saraÁ possibile conciliare l'indole degli uomini coraggiosi e di quelli prudenti. Anche le leggi costituiscono una necessitaÁ: prescrivono in modo sommario cioÁ che eÁ il meglio per tutti, e costituiscono anche l'elemento che distingue le forme positive di governo da quelle deteriori; le leggi, infatti, distinguono la monarchia dalla sua degenerazione, la tirannide; distinguono l'aristocrazia dall'oligarchia, mentre la democrazia eÁ sempre senza leggi e quindi eÁ in assoluto il peggiore di tutti i governi possibili. Leggi Il tema delle leggi, che debbono governare la comunitaÁ, eÁ quindi affrontato nell'ultima opera di Platone, appunto le Leggi. Il dialogo, in dodici libri, fu pubblicato da Filippo di Opunte dopo la morte del maestro. La natura umana eÁ inevitabilmente fragile e insicura, e lo stato deve necessariamente imporre le leggi; queste non solo devono prescrivere i migliori modi di comportamento, ma devono anche convincere i cittadini della loro necessitaÁ. Lettere Con il nome di Platone ci sono giunte tredici lettere: di esse solo la VI, la VII e l'VIII sono certamente autentiche. In particolare, la VII, in cui Platone riferisce le proprie esperienze di partecipazione alla politica ± al tempo dei Trenta e durante la restaurazione della democrazia, ma soprattutto in occasione dei suoi viaggi in Sicilia ± eÁ di fondamentale importanza per ricostruire la vita del filosofo e le esperienze che orientarono il suo cammino nella ricerca. 567 Platone Sofista Il Sofista mette in discussione, l'interpretazione oggettivistica della teoria 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO Per approfondire Il dialogo platonico Diogene Laerzio (fine II-III d.C.), nel terzo libro della sua opera Vite e dottrine dei filosofi antichi, pur indicando ± fra altri ± un certo Alessameno di Teo o di Stirea come iniziatore del dialogo quale forma letteraria, ritiene che il suo reale inventore sia stato Platone, in quanto fu proprio lui a perfezionare il genere (a$kribv*saQ to+ ei#doQ). Possiamo qui indicare i modelli del dialogo filosofico nel mimografo Sofrone di Siracusa, contemporaneo di Euripide, e nel dramma attico. Entrambi erano ben noti a Platone: quanto al primo, fu proprio il filosofo ateniese (sempre secondo Diogene Laerzio) a farlo conoscere ai suoi concittadini; a proposito del dramma, invece, ricordiamo che l'antichitaÁ riteneva che Platone fosse stato autore di tragedie e che solo per il decisivo incontro con Socrate, che ne segnoÁ definitivamente l'esistenza, vi avesse rinunciato. Ci racconta Diogene Laerzio (III, 5) che, mentre stava per partecipare ad un concorso con una tragedia, Platone udita la voce di Socrate, diede la sua opera alle fiamme. Riflettere sulla forma del dialogo permette inoltre di comprendere anche il modo in cui, secondo Platone, si puoÁ giungere alla conoscenza. La sapienza non si trasmette, infatti, come un liquido da un recipiente pieno ad uno vuoto. CosõÁ dice ironicamente Socrate in Simposio 175d: «Sarebbe bello, Agatone, se la sapienza fosse tale da scorrere da chi di noi ne eÁ piuÁ colmo a chi ne eÁ piuÁ vuoto, se veniamo a contatto l'uno dell'altro, alla maniera dell'acqua delle coppe, che scorre attraverso un filo di lana dalla piuÁ colma alla piuÁ vuota» (trad. S. Nannini). La sapienza puoÁ essere raggiunta solo attraverso il dialogo fra discepoli e solo il dialogo accende la scintilla della veritaÁ. Condizioni indispensabili sono la convivenza (syzh&n) e la lunga frequentazione (synoysi* a): «dopo molte discussioni fatte su questi temi, e dopo una comunanza di vita, improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di una scintilla, essa nasce dall'anima e da essa stessa si alimenta (trad. R. Radice)» (Lettera VII 341c-d). La contemplazione solitaria non eÁ dunque amata dal filosofo che cosõÁ fa esprimere Socrate nel Protagora 348c: «Cre- 568 do, infatti, che Omero non abbia torto laÁ dove dice: se due vanno insieme, uno puoÁ vedere prima dell'altro. In tale maniera tutti ci sentiamo piuÁ sicuri di fronte ad ogni azione, discorso o pensiero. Se, invece, uno da solo concepisce un pensiero, va subito in cerca di qualcuno per poterglielo esporre e per poterne saggiare la consistenza, e non si ferma prima di averlo trovato» (trad. G. Reale). EÁ da osservare che i dialoghi di Platone ± dal punto di vista formale suddivisibili in dialoghi diretti (per es. Lachete) o narrati (per es. Simposio) ± sono talora inseriti in scene descritte con cura attenta (pensiamo al locus amoenus raffigurato nel Fedro: la campagna ateniese lungo la riva dell'Ilisso); la loro struttura, in qualche caso, vede sovrapposti piuÁ livelli narrativi e drammatici: i discorsi del Simposio, ad esempio, sono riferiti da Apollodoro cui li ha raccontati Aristodemo presente al convito a casa di Agatone (416). Tale cura per l'aspetto piuÁ prettamente letterario si spiega percheÂ, i dialoghi venivano letti ad alta voce (come testimonia ancora Diogene), ed erano destinati alla divulgazione all'esterno della scuola. Quanto alla loro organizzazione, essi sono inseriti in un corpus composto di trentasei opere e spesso presentano due titoli, che, per lo piuÁ, si riferiscono, rispettivamente, al nome dell'interlocutore e all'argomento (per es. Alcibiade I o Sulla natura dell'uomo, Eutifrone o Sul santo ecc.). Fondamentale nella storia delle edizioni di Platone quella del 1578 del filologo francese Henri Estienne, latinizzato in Stephanus, alla quale anche le edizioni moderne si richiamano citandone in margine al testo la numerazione delle pagine; le pagine vengono poi ulteriormente suddivise in sezioni contrassegnate con lettere dalla a alla e. n La scuola di Platone. EtaÁ imperiale. Napoli, Museo Archeologico Nazionale (Foto Scala). (18a-19a) Come di norma nei tribunali ateniesi (cf. p. 467), Socrate parla personalmente in propria difesa, e inizia (17a18a) accennando all'imbarazzo in cui si trova, a settant'anni compiuti, a parlare come imputato; inoltre i suoi accusatori sono abili parlatori, mentre lui, inesperto di retorica, e confida solo nel fatto che diraÁ cose giuste: a questo la corte deve fare attenzione, piuttosto che all'eleganza dei discorsi. prv&ta* moy ceydh& kathgorhme* na kai+ toy+Q prv*toyQ kathgo*royQ, e> peita de+ pro+Q ta+ y%steron kai+ toy+Q y<ste* royQ. 18.b. e$ moy& ga+r polloi+ kath*goroi gego*nasi pro+Q y<ma&Q kai+ pa*lai polla+ h>dh e> th kai+ oy$de+ n a$lhue+ Q le* gonteQ, oy=Q e$ gv+ ma&llon foboy&mai h/ toy+Q a$mfi+ >Anyton, kai* per o>ntaQ kai+ toy*toyQ deinoy*Q " a$ll\ e$ kei& noi deino*teroi, v# a>ndreQ, oi= y<mv&n toy+Q polloy+Q e$k pai* dvn paralamba*nonteQ e> peiuo*n te kai+ kathgo*royn e$ moy& ma&llon oy$de+n a$lhue* Q, v<Q e> stin tiQ Svkra*thQ sofo+Q a$nh*r, ta* te mete* vra frontisth+Q kai+ ta+ y<po+ gh&Q pa*nta a$nezhthkv+Q kai+ to+n h%ttv lo*gon krei* ttv poiv&n. oy}toi, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, 18.c. oi< tay*thn th+n fh*mhn kataskeda*santeQ, oi< deinoi* ei$ si* n moy kath*goroi " oi< ga+r a$koy*onteQ h<goy&ntai toy+Q tay&ta zhtoy&ntaQ oy$de+ ueoy+Q nomi* zein. e> peita* ei$ sin oy}toi oi< kath*goroi polloi+ kai+ poly+n xro*non h>dh kathgorhko*teQ, e> ti de+ kai+ e$ n tay*t| t|& h<liki* @ le*gonteQ pro+Q y<ma&Q e$ n |} a/n ma*lista e$ pistey*sate, pai& deQ o>nteQ e> nioi y<mv&n kai+ meira*kia, a$texnv&Q 18.a. prv&ton ... kathgo*royQ, ``anzitutto eÁ giusto (di* kaio*Q ei$ mi), cittadini d'Atene, che io mi difenda dapprima (prv&ton) contro le prime accuse rivolte falsamente contro di me (ta+ prv&ta ... kathgorhme* na) e contro i primi accusatori''; inaspettatamente Socrate, dopo aver accennato all'abilitaÁ retorica di coloro che lo hanno trascinato in tribunale, fa un lungo passo indietro, rifacendosi ad accuse calunniose circolate molti anni prima, quando i giudici di oggi erano ragazzi (pai& deQ ... kai+ meira*kia, 18 c 6-7) ed erano piuÁ che ora disposti a credere alle voci che sentivano dire; in seguito Socrate accenneraÁ a poeti comici che avevano diffuso una certa immagine sua: tra questi uno era certo Aristofane (nelle Nuvole, di ventiquattro anni prima), ma l'indicazione di tempo, per quanto sommaria, ci porta assai piuÁ indietro, ad accusatori piuÁ antichi, verso il tempo del processo contro Anassagora. ± dikaio*Q ei$ mi: costruzione personale, mentre in italiano abbiamo quella impersonale (``eÁ giusto che io ...''). ± a>ndreQ $Auhnai& oi, ``cittadini d'Atene'': in quanto maschi adulti, a>ndreQ, gli Ateniesi partecipavano alla giuria come anche all'assemblea popolare ± ta+ prv&ta* moy ... kathgorhme*na: il verbo kathgore* v ha il SCHEDA DI LESSICO "Il lessico del divino, p. 572 complemento in gen., richiesto dal preverbio. ± e>peita ... y<ste*royQ: si sottintenda ta+ y%steron < kathgorhme* na > kai+ toy+Q y%steron < kathgo*royQ >; l'ellissi rafforza l'espressione. 18.b. e$moy& ... pro+Q y<ma&Q, ``molti ci sono stati che mi (e$ moy&) hanno accusato presso di voi''; e$ moy&: la forma piena eÁ collocata enfaticamente all'inizio del periodo; gego*nasi: il pf., aspetto compiuto del presente, marca l'idea che l'effetto di quelle accuse perdura nel momento in cui nuovi accusatori hanno trascinato Socrate in tribunale. ± pa*lai ... e>th, ``da tempo, ormai da molti anni'': su questo elemento, sia pur sempre in modo sempre indeterminato, Socrate insiste. ± toy+Q a$mfi+ >Anyton, ``Anito e la sua gente'': Socrate qui nomina non giaÁ Meleto, che aveva sottoscritto l'accusa, ma quello tra i sinegori (avvocati pubblici) che era certamente il personaggio piuÁ autorevole, cui risaliva tutta l'operazione. Anito era un esponente di spicco del partito democratico, che aveva dato corpo al risentimento diffuso nei confronti di Socrate e che aveva pensato di allontanarlo dalla cittaÁ. In questo modo Socrate mostra di riconoscere benissimo qual era il senso e l'intenzione dell'accusa ¨. ± a$ll\ e$kei& noi deino*teroi: LA VOCE DELLA CRITICA "Le maschere del Simposio, p. 640 testi 18.a. Prv&ton me+ n oy#n di* kaio*Q ei$ mi a$pologh*sasuai, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, pro+Q ta+ Apologia di Socrate 1 I primi accusatori Platone Apologia di Socrate deino*teroi eÁ predicativo, ``quelli sono piuÁ pericolosi''. ± e>peiuo*n te kai+ kathgo*royn: gli imperfetti durativi esprimono un'opera persistente e sistematica di convinzione e di calunnia. ± oy$de+n a$lhue*Q: acc. di relazione retto da kathgo*royn. ± sofo*Q, ``sapiente'': naturalmente nelle sue pretese, come i sofisti; la descrizione di questo ``uomo sapiente'' corrisponde al Socrate sofista delle Nuvole aristofanee, ``che specula sulle cose celesti, che investiga sui segreti di sotterra (ta+ y<po+ gh&Q ... a$nazhthkv*Q) e che rende piuÁ forte il discorso piuÁ debole''; quest'ultima, to+n h%ttv ... poiv&n, era la caratteristica piuÁ propriamente sofistica del Socrate aristofaneo, mentre le altre lo accostavano piuttosto agli studi di filosofia naturale che Socrate aveva effettivamente praticato in giovinezza, sotto la guida di Archelao, allievo di Anassagora. 18.c. oi< ... kataskeda*santeQ, ``quelli che hanno diffuso questa voce'': fh*mh, dalla rad. di fhmi* , eÁ ``cioÁ che si dice'', in bene o in male, la fama come la chiacchiera. ± toy+Q tay&ta ... nomi* zein, ``che quelli che fanno simili ricerche non credano nemmeno agli deÁi'': si fa riferimento alle dottrine di Anassagora sul sole; pai& deQ ... kai+ meira*kia: cf. la nota a 18a. ± e$rh*mhn, sott. di* khn: si dice di 569 e$ rh*mhn kathgoroy&nteQ a$pologoyme* noy oy$deno*Q. o= de+ pa*ntvn a$logv*taton, o%ti oy$de+ ta+ o$no*mata oi}o*n te ay$tv&n ei$ de* nai kai+ ei$ pei& n, 18.d. plh+n ei> tiQ kvm{dopoio+Q tygxa*nei v>n. o%soi de+ fuo*n{ kai+ diabol|& xrv*menoi y<ma&Q a$ne*peiuon ± oi< de+ kai+ ay$toi+ pepeisme* noi a>lloyQ pei* uonteQ ± oy}toi pa*nteQ a$porv*tatoi* ei$ sin " oy$de+ ga+r a$nabiba*sasuai oi}o*n t\ e$ sti+ n ay$tv&n e$ ntayuoi& oy$d\ e$ le* gjai oy$de* na, a$ll\ a$na*gkh a$texnv&Q v%sper skiamaxei& n a$pologoy*meno*n te kai+ e$ le* gxein mhdeno+Q a$pokrinome* noy. a$jiv*sate oy#n kai+ y<mei& Q, v%sper e$ gv+ le* gv, dittoy*Q moy toy+Q kathgo*royQ gegone* nai, e< te*royQ me+ n toy+Q a>rti kathgorh*santaQ, e< te* royQ de+ 18.e. toy+Q pa*lai oy=Q e$ gv+ le* gv, kai+ oi$ h*uhte dei& n pro+Q e$ kei* noyQ prv&to*n me a$pologh*sasuai " kai+ ga+r y<mei& Q e$ kei* nvn pro*teron h$koy*sate kathgoroy*ntvn kai+ poly+ ma&llon h/ tv&nde tv&n y%steron. 19.a Ei#en " a$pologhte* on dh*, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, kai+ e$ pixeirhte* on y<mv&n e$ jele* suai th+n diabolh+n h=n y<mei& Q e$n poll{& xro*n{ e> sxete tay*thn e$n oy%tvQ o$li* g{ xro*n{. boyloi* mhn me+ n oy#n a/n toy&to oy%tvQ gene*suai, ei> ti a>meinon kai+ y<mi& n kai+ e$ moi* , kai+ ple*on ti* me poih&sai a$pologoy*menon " oi#mai de+ ay$to+ xalepo+n ei#nai, kai+ oy$ pa*ny me lanua*nei oi}o*n e$ stin. o%mvQ toy&to me+ n i> tv o%p| t{& ue{& fi* lon, t{& de+ no*m{ peiste* on kai+ a$pologhte* on. un'accusa pronunciata in assenza della difesa (a$pologoyme* noy oy$deno*Q, gen. assol.). 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 18.d. plh+n ei> tiQ ... v>n, ``tranne se uno eÁ un commediografo'': noi pensiamo immediatamente ad Aristofane, ma era normale che la commedia antica prendesse di mira i personaggi piuÁ noti della cittaÁ e i problemi che la loro presenza suscitava: cosõÁ per le Nuvole il tema centrale eÁ quello dell'educazione moderna, ispirata alle dottrine della sofistica, e Socrate ne eÁ presentato come un esponente. ± fuo*n{ ... xrv*menoi, ``con odio e con calunnia''. ± a$ne*peiuon ... pepeisme*noi ... pei* uonteQ: il poliptoto daÁ l'impressione del montare della campagna di persuasione ai danni di Socrate. ± oy$de+ ga+r ... oy$de*na, ``ne d'altra parte eÁ possibile convocare (a$nabiba*sasuai) qui uno di loro ne confutarlo''. ± a$nabiba*sasuai: il verbo indica propriamente l'azione di ``far salire'' uno alla tribuna per rispondere alle domande del calunniato che avrebbe potuto in questo modo confutarlo (e$ le* gjai). ± a$ll\ a$na*gkh ... a$pokrinome*noy, ``ma eÁ inevitabile combattere vanamente (a$texnv&Q) come con delle ombre (v%sper skiamaxei& n) cercando di difendermi e cercare di confutare senza che nessuno risponda (genitivo assoluto mhdeno+Q a$pokrinome* noy)'': propriamente v%sper skiamaxei& n sarebbe ``come combattere con ombre''. ± dittoy*Q: di due specie, quelli di ora e quelli di un tempo la cui efficacia perdura. ± kai+ oi$ h*uhte ... a$pologh*sasuai, ``e pensate che io debbo fare la mia difesa anzitutto nei confronti di quelli'': dunque la prima parte della difesa, che procederaÁ fino alla fine del cap. X (24b 2), affronteraÁ le accuse degli antichi avversari, e illustreraÁ in opposizione a quelle la vera natura del suo sapere, e le ragioni per cui eÁ nata tanta ostilitaÁ nei suoi confronti. 19.a. ei# en, ``e sia'': formula che esprime la decisione a procedere in un discorso che risulta ostico. ± a$pologhte*on ... a$pologhte*on: in questa riflessione, aperta e chiusa dall'agg. verbale a$pologhte* on come in una composizione ad anello, Socrate ritorna ancora un attimo sulle difficoltaÁ del compito che lo attende. ± e$pixeirhte*on ... xro*n{, ``bisogna cercare di rimuovere da voi (y<mv&n e$ jele*suai) la calunnia che per molto tempo riceveste, ora in cosõÁ breve tempo'': cioeÁ nel tempo concesso per il discorso difensivo; e$ jele* suai eÁ inf. aor. dal tema suppletivo di e$ jaire* v; e$ n poll{& xro*n{ costituisce antitesi con e$ n oy%tvQ o$li* g{ xro*n{; o%mvQ ... a$pologhte*on, ``pure questo vada ( i> tv) come piace al dio, e bisogna obbedire alla legge e fare la propria difesa'': Socrate si accinge a pronunciare la propria difesa piuÁ con lo spirito di chi deve adempiere un dovere civico (t{& no*m{ peiste*on) che seguendo l'istinto di sopravvivenza. traduzione d'autore 18.a. Prima di tutto, dunque, eÁ giusto che io mi difenda, o cittadini ateniesi, dalle prime false accuse e dai primi falsi accusatori, e poi dalle accuse successive e dagli accusatori successivi. 18.b. Infatti, ci sono stati molti che mi hanno accusato davanti a voi, giaÁ da tempo e per parecchi anni e senza che dicessero niente di vero. E io temo questi accusatori molto piuÁ di Anito e dei suoi amici, anche se pure questi sono terribili. PeroÁ quelli sono piuÁ terribili, o cittadini, ossia quei primi i quali, prendendo la maggior parte di voi fin da fanciulli, vi hanno persuaso e hanno rivolto contro di me 570 Platone Apologia di Socrate accuse per niente vere: che c'eÁ un certo Socrate uomo sapiente, che fa indagini sulle cose celesti e fa ricerche su tutte le cose che stanno sotto terra, e che rende piuÁ forte il ragionamento piuÁ debole. 18.c. Questi che hanno diffuso tali voci, o cittadini ateniesi, sono gli accusatori terribili. Infatti, chi li ascolta ritiene che i ricercatori di tali cose non credano all'esistenza degli deÁi. Inoltre, questi accusatori sono numerosi e mi hanno rivolto accuse giaÁ da molto tempo. E, per giunta, parlavano a voi in quella etaÁ nella quale eravate particolarmente disposti a credere, vale a dire quando alcuni di voi erano fanciulli e giovinetti, accusandomi in contumacia, senza che nessuno mi difendesse. E la cosa piuÁ strana di tutte eÁ che di costoro non si possono sapere ne dire nomi, 18.d. fatta eccezione di un commediografo. Ma quanti, mossi da invidia e servendosi di calunnie vi persuasero ± persone che si sentivano esse stesse persuase, persuadendo gli altri ±, ebbene, tutti costoro sono assolutamente irraggiungibili. Infatti, non eÁ possibile portare qui sulla tribuna alcuno di loro a testimoniare, ne confutarli; ma mi trovo davvero nella necessitaÁ di difendermi come combattendo con delle ombre, e di confutarli senza che ci sia nessuno che mi risponda. Dunque, dovete credere anche voi, come vi dico, che sono sorti contro di me accusatori di due tipi: alcuni che mi hanno messo sotto accusa da poco, altri, invece, 18.e. che mi hanno messo sotto accusa da tempo e dei quali vi sto parlando. E dovete credere che bisogna che io mi difenda, in primo luogo, proprio nei confronti di questi. E, infatti, voi avete ascoltato le accuse di questi accusatori, prima e molto piuÁ di quelle degli altri che sono venuti dopo. 19.a. Bene! Allora devo difendermi, cittadini ateniesi, e devo cercare di rimuovere da voi, in cosõÁ poco tempo, quella calunnia che vi tenete dentro da molto tempo. E desidererei proprio che questo si verificasse, se cosõÁ eÁ il meglio per me e per voi, e che col difendermi traessi qualche vantaggio. PeroÁ ritengo che cioÁ sia difficile, e non mi sfugge affatto quale sia tale difficoltaÁ. In ogni caso, vada come eÁ caro al dio; bisogna ubbidire alla legge e difendersi! testi (Trad. G. Reale) GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Socrate identifica e contrappone due specie di accusatori (vedi l'espressione dittoi+ kath*goroi di 18d). Facendo puntuale riferimento al testo, evidenzia le informazioni che esso ci daÁ sugli uni e sugli altri (quanti sono, chi sono, che sentimenti suscitano nell'accusato ecc.) in un elaborato di max 15 righe. 2. Rispondi alle seguenti domande: " Nei confronti di chi Socrate ritiene di dover innanzitutto fare la sua difesa? " PercheÂ? " Quali i criteri che Socrate seguiraÁ nella difesa? ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ 3. Chi eÁ il commediografo a cui allude Socrate? A quale commedia si fa riferimento? ..................................................................................................................................................................................... 571 l Scheda di essico Il lessico del divino ueo*Q dai* mvn di& oQ uei& oQ daimo*nioQ i$ so*ueoQ i$ sodai* mvn ueoei* keloQ ueoeidh*Q a$nti* ueoQ ey$dai* mvn dysdai* mvn Il lessico del divino in greco ruota intorno a due termini, ueo*Q e dai* mvn, oltre che alla radice di- che ha dato luogo al nome del primo degli deÁi, Zey*Q, gen. Dio*Q, e all'aggettivo di& oQ, variamente impiegato e inteso. Propriamente ueo*Q (maschile e femminile, anche se esiste una forma femminile uea*) esprime una personalitaÁ superiore alla misura terrena, potente ma non onnipotente, comunque sempre personale e nettamente caratterizzata nei suoi tratti e nelle sue funzioni, di norma anche nella rappresentazione degli attributi che la accompagnano; invece dai* mvn ``eÁ una oscura potenza sotterranea, spesso impersonale, concepita come la semplice sorte; quando viene chiamata in questo modo una distinta personalitaÁ divina, si vuole mettere in rilievo l'elemento incomprensibile, che si sottrae alla nostra umana conoscenza, implicito nel complesso del suo essere'' (Schmidt): in qualche modo, il dai* mvn eÁ quello che i moderni chiamano il ``numinoso''. CosõÁ nello Ione di Euripide (vv. 1374 s.) il protagonista riflette sulla propria sorte di illegittimo, partorito ed esposto, e accolto in seguito benignamente da Apollo nel suo tempio delfico, ta+ toy& ueoy& xrhsta*, toy& de+ dai* monoQ / bare*a, ``il trattamento da parte del dio eÁ stato generoso, ma la mia sorte eÁ stata dura'': ueo*Q eÁ Apollo che lo ha accolto, mentre il dai* mvn eÁ la sua triste sorte di illegittimo. Nell'Edipo re di Sofocle, il Coro riflette sulla terribile sorte dell'uomo che improvvisamente eÁ passato dalla potenza sovrana alla miseria piuÁ atroce, ``avendo davanti agli occhi il tuo esempio, la tua sorte, infelice Edipo, non posso chiamare felice nessuno dei mortali'', 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO to+n so*n toi para*deigm$ e> xvn, to+n so+n dai* mona, v# tla&mon Oi$ dipo*da, brotv&n oy$de+ n makari* zv (vv. 1192 ss.). In Odissea IX, 142 s. ueo*Q eÁ accompagnato dal pronome indefinito, per indicare una personalitaÁ divina che resta ignota, piuÁ che indefinita, e> nua kateple*omen, kai* tiQ ueo*Q h<gemo*neyen/ ny*kta di$ o$rfnai* hn, ``allora noi procedevamo nella nostra navigazione, e un dio ci guidava attraverso la notte oscura''. Nel contrasto tra Apollo e le Erinni che caratterizza le Eumenidi eschilee, le antiche dee della vendetta sono dai* moneQ, mentre il giovane dio eÁ ueo*Q: esse lamentano i$ v+ pai& Dio*Q, e$ pi* klopoQ pe* lei, ne* oQ de+ grai* aQ dai* monaQ kauippa*sv ... to+n mhtraloi* an d\ e$ je* klecaQ v/n ueo*Q, ``o figlio di Zeus, tu sei un ladro, tu che sei giovane hai fatto violenza a noi antiche divinitaÁ, ... hai 572 sottratto a noi il matricida tu che sei un dio''. Quando Afrodite costringe a forza Elena a piegarsi al desiderio amoroso di Paride che si eÁ sottratto al duello con Menelao, Elena tace sgomenta davanti all'imposizione della dea, h#rxe de+ dai* mvn: Afrodite eÁ cosõÁ detta perche si eÁ manifestata nella sua forza oscura e terribile, cui la donna mortale eÁ soggiogata. La riflessione piuÁ tarda trasformoÁ profondamente questa opposizione che risale ad un concetto arcaico e complesso del divino: nell'Apologia platonica Socrate risponde all'accusa di non onorare gli deÁi, ma nuovi ed oscuri dai* moneQ, obiettando, che questi sono figli degli deÁi, e non si puoÁ pensare che uno creda ai figli e non ai padri (per alcuni esempi di ueo*Q nell'Apologia, cf. i paragrafi 18, 19, 21, 23, 41, 42). Nel neoplatonismo dai* moneQ sono esseri intermedi nella complessa serie degli enti divini, mentre nel Nuovo Testamento sono i ``diavoli''. La radice di- in origine indicava il dio del cielo luminoso, e per questo eÁ entrata nel nome di Zey*Q, Dio*Q, come in quello di Iouis, e in un aggettivo che in origine significava appunto ``luminoso'': pare proprio che poly*tlaQ di& oQ $ Odyssey*Q dovesse esprimere inizialmente ``il molto audace chiaro Odisseo'', anche se poi questa formula divenne alternativa di uei& oQ $Odyssey*Q. Il valore originale tuttavia si rivela in espressioni del tipo ai$ ue* ra di& on, ``l'etere luminoso'' o $ Hv+ di& an, ``l'aurora luminosa''. Invece in Eschilo, Prometeo incatenato 1032 s. ceydhgorei& n ga+r oy$k e$ pi* statai sto*ma to+ Di& on, l'aggettivo viene chiaramente connesso con Zeus, e la frase significa ``la bocca di Zeus non puoÁ mentire''. Altri aggettivi del gruppo sono uei& oQ e daimo*nioQ, che implicano un riferimento alla sfera della divinitaÁ non meglio distinta, o talvolta un segno di eccellenza, come in Odissea IX, 203 ss. Odisseo ricorda il vino rosso dolcissimo che gli era stato donato da Marone, ad Ismaro, in segno di gratitudine per aver risparmiato lui, la sua sposa e i suoi figli, ``dodici anfore piene di vino puro, dolcissimo, divina bevanda'': questo uei& on poto*n saraÁ un vino straordinario, ``divino'', con l'idea di eccellenza che anche noi diamo a questo aggettivo. Un rapporto piuÁ preciso doveva essere in origine in diogenh*Q e in diotrefh*Q, che in Omero indicano i sovrani ``discendenti da Zeus'' o ``allevati da Zeus'': si allevano i propri figli e quindi i due aggettivi sono sinonimi, prima di divenire formulari. Altri aggettivi denotanti eccellenza sono i$ so*ueoQ e il simmetrico i$ sodai* mvn; ancora ueoei* keloQ, ``simile a un dio'', ueoeidh*Q, ``che ha l'aspetto di un dio'' e a$nti* ueoQ, ``che puoÁ star innanzi a un dio'', come nell'esposizione della propria stirpe che fa Enea rivolto ad Achille, ``da Troo nacquero tre nobili figli, # IloQ t\ A $ ssa*rako*Q te kai+ a$nti* ueoQ Ganymh*dhQ. Ancora da dai* mvn, in relazione all'idea di ``sorte'', ``destino'', derivano gli aggettivi ey$dai* mvn, ``fortunato'' (``cui eÁ toccato un buon deÁmone'') e dysdai* mvn, ``sfortunato''. Platone Testi a confronto Socrate visto da Aristofane testi STREPSIADE ± E quello chi eÁ, quello che sta appeso per aria? DISCEPOLO ± EÁ lui. STREPSIADE ± Lui chi? DISCEPOLO ± Socrate! STREPSIADE ± Me lo potresti chiamare tu a voce alta, per favore? DISCEPOLO ± Chiamatelo da solo; io non ho tempo (Il discepolo rientra nel pensatoio). STREPSIADE ± Socrate! Socrate, amico mio! SOCRATE ± Perche mi chiami, creatura di un giorno? STREPSIADE ± Prima di tutto, per favore, dimmi cosa stai facendo. SOCRATE ± Aerostatizzo, e me ne sto qui a scrutare il sole. STREPSIADE ± E tu gli deÁi li squadri dall'alto d'un corbello, invece che coi piedi per terra, casomai? SOCRATE ± Senza sospendere la mente e il pensiero in modo da mescolarli all'aria, che eÁ della stessa leggerezza, non avrei mai potuto fare scoperte esatte sui fenomeni celesti. Se me ne fossi stato a terra a osservare da laggiuÁ le cose di lassuÁ, non ci sarei mai arrivato. Devi sapere che la terra attrae a se con forza l'umore del pensiero, proprio come succede col crescione. STREPSIADE ± Come dici? Il pensiero che attira l'umido nel crescione? Ma adesso scendi, caro Socrate, ti prego, vieni a insegnarmi quello per cui sono venuto. SOCRATE ± CioeÁ? STREPSIADE ± Voglio imparare a parlare. EÁ una cosa incontrollabile: interessi, creditori, e mi spingono, mi tirano, mi sequestrano la roba. SOCRATE ± Come hai potuto fare tanti debiti senza rendertene conto? STREPSIADE ± Mi ha distrutto una febbre da cavalli, un male divorante. Ma tu insegnami uno dei tuoi discorsi, quello che non paga i debiti. Fammi il prezzo che ti pare e io te lo do, lo giuro sugli deÁi. SOCRATE ± Ma che deÁi vai giurando? Tanto per cominciare, qui da noi gli deÁi sono moneta fuori corso. [...] STREPSIADE ± Che pazzia! Che follia, per colpa di Socrate, ripudiare anche gli deÁi! (rivolgendosi a un'immagine del dio presente in scena) Hermes, caro Hermes, non ti adirare con me, non mi distruggere. Perdonami, con tutte quelle chiacchiere ero delirante. Anzi, dammi un consiglio, se devo denunciarli, o cos'altro. Come dici? Non devo impegnarmi in un processo? Hai ragione: devo bruciargli subito la casa, a quei mascalzoni. Santia, Santia, vieni qui. Piglia scala e piccone, arrampicati sul Pensatoio e comincia a scoperchiare il tetto; fallo per il padrone, buttagli giuÁ la casa. Qualcuno mi porti una torcia accesa. E adesso a loro: saranno pure dei gran furbacchioni, ma oggi qualcuno me la paga! ... SOCRATE ± Che ci fai tu sul tetto? STREPSIADE ± «Aerostatizzo, e me ne sto qui a scrutare il sole» .... SOCRATE ± Povero me! Sto per soffocare! ... STREPSIADE ± Chi vi ha insegnato a bestemmiare gli deÁi e a curiosare il corso della luna? Dagli addosso, forza, picchia! Per un sacco di ragioni ± prima di tutto, come sai, per l'empietaÁ verso gli deÁi. (Trad. A. Grilli) Apologia di Socrate EÁ, in particolare, alle Nuvole di Aristofane (vedi p. 263) che allude Socrate quando, nell'Apologia, ricostruisce l'origine lontana delle calunnie che ormai da tempo circolavano sul suo conto. Dalla commedia aristofanea ti proponiamo il primo incontro fra Strepsiade e Socrate (vv. 219-248) e la parte finale (14761509), in cui Strepsiade appicca il fuoco al ``pensatoio''. CONFRONTI " Dopo aver riletto Apologia 18d p. 569, verifica se il ritratto di Socrate lõÁ proposto coincide con quello fatto da Aristofane. Sottolinea in un elaborato di max 10 righe similitudini e differenze. nell'ultima parte del brano gli elementi che testimoniano come l'idea di sbarazzarsi ``legalmente'' di Socrate era presente ad Atene in tempi di molto precedenti l'effettivo processo. " Rintraccia 573 2 Il sapere di Socrate (20c-21d) Cherefonte, un allievo di Socrate, domanda all'oracolo di Delfi se c'eÁ qualcuno piuÁ sapiente del maestro. EÁ domanda provocatoria, ma imprevedibilmente l'oracolo risponde di no. Quando Cherefonte gli riferisce la risposta ricevuta, Socrate rimane turbato e comincia ad interrogare gli uomini politici per dimostrare che l'oracolo eÁ in errore. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 20.c. < Ypola*boi a/n oy#n tiQ y<mv&n i> svQ " `` $All\, v# Sv*krateQ, to+ so+n ti* e$ sti pra&gma; po*uen ai< diabolai* soi ay}tai gegonasin; oy$ ga+r dh*poy soy& ge oy$de+ n tv&n a>llvn peritto*teron pragmateyome* noy e> peita tosay*th fh*mh te kai+ lo*goQ ge* gonen, ei$ mh* ti e>pratteQ a$lloi& on h/ oi< polloi* . le* ge oy#n h<mi& n ti* e$ stin, i% na mh+ h<mei& Q peri+ soy& ay$tosxedia*zvmen''. 20.d. tayti* moi dokei& di* kaia le* gein o< le* gvn, ka$gv+ y<mi& n peira*somai a$podei& jai ti* pot\ e$ sti+ n toy&to o= e$ moi+ pepoi* hken to* te o>noma kai+ th+n diabolh*n. a$koy*ete dh*. kai+ i> svQ me+ n do*jv tisi+ n y<mv&n pai* zein " ey# me* ntoi i> ste, pa&san y<mi& n th+n a$lh*ueian e$ rv&. e$ gv+ ga*r, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, di\ oy$de+ n a$ll\ h/ dia+ sofi* an tina+ toy&to to+ o>noma e> sxhka. poi* an dh+ sofi* an tay*thn; h%per e$ sti+ n i> svQ a$nurvpi* nh sofi* a " t{& o>nti ga+r kindyney*v tay*thn ei#nai sofo*Q. 20.e. oy}toi de+ ta*x\ a>n, oy=Q a>rti e> legon, mei* zv tina+ h/ kat\ a>nurvpon sofi* an sofoi+ ei#en, h/ oy$k e> xv ti* le* gv " oy$ ga+r dh+ e> gvge ay$th+n e$ pi* stamai, a$ll\ o%stiQ fhsi+ cey*detai* te kai+ e$ pi+ diabol|& t|& e$ m|& le* gei. kai* moi, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, mh+ uorybh*shte, mhd\ e$ a+n do*jv ti y<mi& n me* ga le* gein " oy$ ga+r e$ mo+n e$ rv& to+n lo*gon o=n a/n le* gv, a$ll\ ei$ Q a$jio*xrevn y<mi& n to+n le* gonta a$noi* sv. th&Q ga+r e$mh&Q, ei$ dh* ti* Q e$stin sofi* a kai+ oi% a, ma*rtyra y<mi& n pare* jomai to+n ueo+n to+n e$ n Delfoi& Q. Xairefv&nta ga+r i> ste poy. 20.c. y<pola*boi ... i> svQ, ``forse qualcuno di voi potrebbe intervenire'': Socrate ha ricordato ancora una volta come sono corse su di lui calunnie strane, del tipo di quelle di cui si dice nella commedia di Aristofane, e ha affermato vigorosamente che esse non sono vere, come non eÁ vero che egli si sia proposto di istruire altri. Quando ha sentito un cittadino che si proponeva di affidare il proprio figlio a un maestro di sapere, ha sempre pensato quanto sarebbe stato bello per lui conoscere quella dottrina: ma purtroppo egli non sa nulla di simile. Qualcuno peroÁ potrebbe a questo punto chiedergli come mai hanno potuto avere origine queste strane calunnie. _ to+ so+n ... pra*gma, ``che eÁ che tu fai?''. ± oy$ ga+r dh*poy ... ge*gonen, ``certo, un simile giro di chiacchiere (tosay*th fh*mh te kai+ lo*goQ) non si eÁ certo prodotto (oy$ ... ge*gonen) mentre tu non facevi nulla di strano (soy& ... oy$de+n ... peritto*teron pragmateyome*noy, gen. ass.) rispetto agli altri'': peritto*Q, ``superfluo'', passa facilmente all'idea di ``strano'', ``straordinario'', e il suo comparativo (peritto*teron) eÁ determinato dal secondo termine di paragone tv&n a>llvn; il senso viene cosõÁ completato da una protasi di periodo ipotetico dell'irrealtaÁ: ei$ mh* ti ... polloi* , ``se tu non facessi nulla di differente da quello che 574 fa la gente''; oi< polloi* , ``i piuÁ'', indica qui la maggioranza della gente, la gente comune che non fa nulla di strano. ± i% na mh+ ... ay$tosxedia*zvmen, ``perche noi non ci mettiamo ad inventare'', ``perche non siamo costretti ad inventare''. 20.d. tayti* ... le*gvn, ``chi dice questo (tayti* ) mi sembra che dica il giusto'': tayti* eÁ marcato dallo iota ``deittico'', che attira l'attenzione. ± to* te o>noma ... diabolh*n, ``sia il nome sia la calunnia'': il nome eÁ di essere sofo*Q, la calunnia si riferisce alle dottrine che gli venivano attribuite. ± kai+ i> svQ ... pai* zein, ``e forse ad alcuni di voi sembreraÁ che io scherzi'': questa asserzione vuole marcare per contrasto la serietaÁ di cioÁ che Socrate sta per dire, e che sottolineeraÁ con ey# me*ntoi i> ste. ± do*jv, videbor: il verbo doke* v, come il lt. videor, ha costruzione personale. ± e$gv+ ga*r ... e>sxhka, ``io infatti, o cittadini di Atene, non ho questo nome se non per una sorta di sapienza (dia+ sofi* an tina*)'': l'affermazione eÁ ancora solenne, se anche temperata da una sfumatura di indeterminazione (tina*); Socrate sta preparando un vero e proprio colpo di scena, quando, dopo aver negato in ogni modo di esser sapiente ed aver definito calunniosa questa voce, faraÁ proclamare la propria sapienza proprio dal dio di Delfi; e> sxhka, perf. resultativo di e> xv. ± h%per ... sofi* a: la nuova definizione di sapienza eÁ tuttavia chiaramente condizionata dall'aggettivo a$nurvpi* nh, e prospettata problematicamente ancora da i> svQ, come dall'espressione tipica kindyney*v ... sofo*Q, ``in questa c'eÁ rischio (kindyney*v) che io sia sapiente''. 20.e. oy}toi ... ei# en, ``costoro forse, dei quali dicevo poco fa, potrebbero essere sapienti (a>n ... sofoi+ ei#en) di una sapienza superiore alla misura umana (mei* zv ... a>nurvpon)'': questa definizione, chiaramente ironica, esclude da qualsiasi discorso la cosiddetta sofi* a degli avversari di Socrate. ± h/ oy$k ... le*gv, ``o non so che dire'': una definizione alternativa sarebbe certo piuÁ chiaramente critica, e Socrate preferisce dichiararsi incapace di esprimersi. ± oy$ ga+r ... e$pi* stamai: inizia il grande tema socratico del ``non sapere''. ± e$pi+ diabol|& ... le*gei, ``parla per calunniarmi'': e$ pi+ diabol|& t|& e$ m|& eÁ compl. di fine. ± mhd\ e$a+n ... le*gein, ``nemmeno se vi sembri che io dica qualcosa di molto grande'': ti ... me* ga, cosõÁ indeterminato, preannuncia una notizia straordinaria. ± le*gein ... lo*gon ... le*gv: la serie preannuncia a$jiv*xrevn to+n le*gonta, ``colui che parla, degno della vostra considerazione'', nominato alla fine del periodo, ``il dio di Delfi''. 21.c. v<Q e$ntay&ua ... to+ mantei& on, ``pensando che (v<Q) in questo (e$ ntay&ua) avrei finalmente (ei> per poy) confutato l'oracolo'': ei> per poy, lett. ``se mai in qualche punto''. ± diaskopv&n oy#n toy&ton, ``mentre dunque esaminavo costui'': la frase si interrompe, come se qualcuno avesse testi 21.b. v}n e%neka, ``per quali ragioni'': per necessitaÁ, non per vanagloria, Socrate ha raccontato ai giudici il responso straordinario che l'oracolo ha dato su di lui a Cherefonte. ± tay&ta ... oy<tvsi* , ``dopo aver udito quel responso (tay&ta) io ragionai in questo modo'': l'imperfetto e$ neuymoy*mhn vuol seguire il filo delle riflessioni di Socrate esposte di seguito. ± ti* pote ai$ ni* ttetai, ``che cosa vuole nascondere sotto l'enigma?'': tipico dell'enigma eÁ infattiunenunciatoinapparenza assurdo, che vuole obbligare a riflettere per trovare il significato riposto. ± oy>te me*ga oy>te smikro*n, ``ne molto ne poco'': acc. di relazione; sy*noida ... v>n: il verbo regge il part. predic. ± oy$ ... cey*detai* ge: nel suo smarrimento Socrate ha una sola certezza, che l'oracolo ``certamente non mente'', perche non puoÁ. ± poly+n ... h$po*royn: insieme al complemento di durata, l'imperfetto descrittivo continua a rappresentarci le riflessioni imbarazzate di Socrate, che alla fine contro voglia (mo*giQ) si decide a ricercare il senso del responso. ± tv&n dokoy*ntvn ... ei# nai, ``di quelli che avevano fama di essere sapienti'': il gen. sofv&n, nome del predicato, eÁ attratto da tv&n dokoy*ntvn. Apologia di Socrate 21.a. e$k ne*oy, ``fin da giovane'': segue una breve caratterizzazione del personaggio, amico e discepolo di Socrate, presentato con lui nelle Nuvole aristofanee; fu esiliato nel 404 con i democratici (syne*fyge ... tay*thn) e rientroÁ insieme a Trasibulo (kai+ ... kath&lue); nel 399 era giaÁ morto. ± th+n fygh+n tay*thn: acc. dell'oggetto interno connesso al verbo per figura etimologica. ± v<Q sfodro+Q ... o<rmh*seien, ``come era impetuoso, a qualsiasi cosa si accingesse'': v<Q introduce una interr. indiretta dipendente da i> ste, riprendendo oi}oQ h#n per specificarne il senso. ± o%per le*gv, ``come vi dico'', lett. ``la cosa che vi dico'': eÁ una forma colloquiale per invitare il suo pubblico a non rumoreggiare; ma, mentre prima aveva detto mh+ uorybh*shte, cong. aor., ora dice mh+ uorybei& te, come se la gente avesse giaÁ cominciato a far rumore, ed egli la pregasse di ``non continuare a far rumore''. ± a$nei& len, ``rispose'': da a$naire*v eÁ verbo tecnico del responso dell'oracolo. _ toy*tvn pe*ri 4 peri+ toy*tvn: l'anastrofe?, tipico costrutto del discorso poetico, eÁ marcata dalla ritrazione dell'accento (baritonesi?). Platone oy}toQ 21.a. e$ mo*Q te e< tai& roQ h#n e$ k ne* oy kai+ y<mv&n t{& plh*uei e< tai& ro*Q te kai+ syne* fyge th+n fygh+n tay*thn kai+ meu\ y<mv&n kath&lue. kai+ i> ste dh+ oi}oQ h#n Xairefv&n, v<Q sfodro+Q e$f\ o%ti o<rmh*seien. kai+ dh* pote kai+ ei$ Q Delfoy+Q e$ luv+n e$ to*lmhse toy&to mantey*sasuai ± kai* , o%per le* gv, mh+ uorybei& te, v# a>ndreQ ± h>reto ga+r dh+ ei> tiQ e$ moy& ei> h sofv*teroQ. a$nei& len oy#n h< Pyui* a mhde* na sofv*teron ei#nai. kai+ toy*tvn pe* ri o< a$delfo+Q y<mi& n ay$toy& oy<tosi+ martyrh*sei, e$ peidh+ e$ kei& noQ teteley*thken. 21.b. Ske*casue dh+ v}n e% neka tay&ta le* gv " me* llv ga+r y<ma&Q dida*jein o%uen moi h< diabolh+ ge*gonen. tay&ta ga+r e$ gv+ a$koy*saQ e$ neuymoy*mhn oy<tvsi* " `` Ti* pote le* gei o< ueo*Q, kai+ ti* pote ai$ ni* ttetai; e$ gv+ ga+r dh+ oy>te me* ga oy>te smikro+n sy*noida e$ mayt{& sofo+Q v>n " ti* oy#n pote le*gei fa*skvn e$ me+ sofv*taton ei#nai; oy$ ga+r dh*poy cey*detai* ge " oy$ ga+r ue* miQ ay$t{&''. kai+ poly+n me+ n xro*non h$po*royn ti* pote le*gei " e> peita mo*giQ pa*ny e$pi+ zh*thsin ay$toy& toiay*thn tina+ e$ trapo*mhn. h#luon e$ pi* tina tv&n dokoy*ntvn sofv&n ei#nai, 21.c. v<Q e$ntay&ua ei> per poy e$le* gjvn to+ mantei& on kai+ a$pofanv&n t{& xrhsm{& o%ti ``Oy<tosi+ e$ moy& sofv*tero*Q e$ sti, sy+ d\ e$ me+ e> fhsua.'' diaskopv&n oy#n toy&ton o$no*mati ga+r oy$de+n de* omai le*gein, h#n de* tiQ tv&n politikv&n pro+Q o=n e$ gv+ skopv&n toioy&to*n ti e> pauon, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, kai+ dialego*menoQ ay$t{& ± e> doje* moi oy}toQ o< a$nh+r dokei& n me+ n ei#nai sofo+Q a>lloiQ te polloi& Q a$nurv*poiQ kai+ ma*lista e< ayt{&, ei#nai d\ oy> " ka>peita e$ peirv*mhn ay$t{& deikny*nai o%ti oi> oito me+ n ei#nai sofo*Q, ei> h d\ oy>. e$ ntey&uen oy#n toy*t{ te a$phxuo*mhn kai+ polloi& Q tv&n paro*ntvn " 21.d. pro+Q e$ mayto+n d\ oy#n a$piv+n e$ logizo*mhn o%ti toy*toy me+ n toy& chiesto a Socrate il nome dell'interrogato, ed egli approfittasse per dire che non intende nominarlo, ma che era un politico importante; qualcuno si eÁ chiesto se per caso non si trattasse di Anito, che effettivamente in giovinezza ebbe qualche contatto con Socrate, ma eÁ un falso bersaglio: Socrate non intende tanto attaccare il suo accusatore, quanto mettere in evidenza l'ignoranza dei politici. ± o$no*mati ... le*gein, ``non occorre chiamarlo per nome'': o$no*mati eÁ dat. strumentale. ± h#n de* tiQ ... e>pauon, ``ma era uno dei nostri uomini politici quello, esaminando il quale feci una simile esperienza'', cioeÁ ``quello che allora interrogavo e con cui ...'' . ± e>doje* moi ... e<ayt{&, ``mi sembroÁ che quest'uomo sembrasse esser sapiente sia a molti altri uomini sia soprattutto a se stesso'': il politico eÁ la prima vittima della sua presunzione di sapere; Socrate tenta quindi di dimostrargli (e$ peirv*mhn ay$t{& deikny*nai) che credeva di esser sapiente, ma non lo era (o%ti oi> oito ... d\ oy>). ± e$ntey&uen ... paro*ntvn, ``da quel momento io venni in odio (a$phxuo*mhn) a costui e a molti dei presenti'': il risentimento del politico, del quale aveva dimostrato l'ignoranza, fu dunque l'inizio delle molte antipatie cui andoÁ incontro Socrate. 21.d. pro+Q e$mayto+n ... a$piv*n, ``mentre me ne andavo ragionavo tra me e me''. 575 a$nurv*poy e$ gv+ sofv*tero*Q ei$ mi " kindyney*ei me+ n ga+r h<mv&n oy$de* teroQ oy$de+n kalo+n ka$gauo+n ei$ de*nai, a$ll\ oy}toQ me+ n oi> etai* ti ei$ de*nai oy$k ei$ dv*Q, e$ gv+ de* , v%sper oy#n oy$k oi#da, oy$de+ oi> omai " e> oika goy&n toy*toy ge smikr{& tini ay$t{& toy*t{ sofv*teroQ ei#nai, o%ti a= mh+ oi#da oy$de+ oi> omai ei$ de* nai. e$ ntey&uen e$ p\ a>llon |#a tv&n e$ kei* noy dokoy*ntvn sofvte*rvn ei#nai kai* moi tay$ta+ tay&ta e> doje, kai+ e$ ntay&ua ka$kei* n{ kai+ a>lloiQ polloi& Q a$phxuo*mhn. ± kindyney*ei ... ei$ de*nai, ``eÁ dunque possibile (kindyney*ei) che nessuno di noi due sappia nulla di bello ne di buono'': la progressione nelle verifiche eÁ sempre marcata dall'incertezza (i> svQ) e dal rischio (kindyney*ei), finche si raggiunge, sia pure in via di probabilitaÁ, l'unica acquisizione, nel senso di sapere di non sapere. ± e>oika ... ei$ de*nai, ``mi sembra dunque di essere piuÁ saggio di costui (toy*toy ... sofv*teroQ ei#nai) proprio per questo piccolo vantaggio (smikr{& tini ay$t{& toy*t{), per il fatto che cioÁ che non so, non credo nemmeno di saperlo''. ± e$ntey&uen ... |#a, ``quindi mi rivolsi a un altro'': |#a eÁ impf. ind. di ei#mi, ``andare''; anche questa nuova intervista si concluse con uno scacco. traduzione d'autore 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 20.c. Forse qualcuno di voi potrebbe prendere la parola per dirmi: «Ma allora, Socrate, di cos'eÁ che ti occupi? Da dove sono venute quelle calunnie sul tuo conto? Perche poi, se tu non facevi niente di straordinario rispetto agli altri, non nascevano tante voci e dicerie ± se non facevi insomma nulla di diverso da quel che fanno i piuÁ ±. Dicci cos'eÂ, perche non vogliamo improvvisare un giudizio sul tuo conto». 20.d. Chi dice cosõÁ pare dire giusto, e io cercheroÁ di mostrarvi da dove sian partite fama e calunnia insieme. State a sentire. A qualcuno di voi forse sembreraÁ che io scherzi: sappiate bene peroÁ che vi diroÁ tutta la veritaÁ. Perche io, Ateniesi, per nient'altro che per una forma di sapienza mi sono guadagnato questa fama. Quale sapienza? Certo una sapienza umana. Difatti eÁ in questa che forse io sono sapiente. 20.e. E costoro, di cui parlavo poco fa, saranno certo sapienti di una sapienza superiore a quella umana, oppure non so che dire: io almeno non la conosco, e chi lo afferma mente, e parla per denigrarmi. E voi, Ateniesi, non protestate contro di me, neppure se vi pare che io parli con presunzione: perche non saraÁ mio il discorso che vi faccio, bensõÁ devo riferirne la paternitaÁ a chi guadagna la vostra fiducia. Della mia sapienza, se pure ce n'eÁ una e di che natura sia, chiamo a testimone per voi il dio di Delfi. Cherefonte lo conoscete certamente. 21.a. Fu mio compagno fin da giovane. E fu compagno vostro di partito, e con voi visse quest'esilio e con voi rientroÁ. E sapete anche che uomo fosse Cherefonte, quanto fosse impetuoso in ogni sua iniziativa. CosõÁ un giorno andoÁ a Delfi ed ebbe l'audacia di chiedere questo all'oracolo ± e voi, signori, vi prego, non interrompete ± gli chiese infatti se c'era qualcuno piuÁ sapiente di me. E la Pizia rispose che di piuÁ sapiente di me non c'era nessuno. Ma di questa circostanza vi saraÁ testimone ± eÁ qui presente ± il fratello di Cherefonte, perche questi eÁ morto. 21.b. Guardate ora la ragione di queste mie parole: perche intendo dirvi l'origine della calunnia contro la mia persona. Al sentire il responso, riflettevo in questo modo: «Cosa mai intende il dio, a cosa allude? Perche io, per parte mia, non sono convinto ne tanto ne poco della mia sapienza; cosa intende mai quando dice che io sono tanto sapiente? Perche non mente il dio ± non puoÁ mentire ±». Per molto tempo non riuscii a cogliere il senso; ma poi, e certo con fatica, mi misi a ricercarlo in questo modo. Mi recai da uno di quelli che hanno fama di sapienti, 21.c. e pensavo che cosõÁ avrei in qualche modo confutato 1'oracolo e avrei risposto al vaticinio: «EÁ questi piuÁ sapiente di me, mentre tu eÁ di me che hai parlato». Mentre esaminavo 576 Apologia di Socrate testi (Trad. E. AvezzuÁ) Platone attentamente quest'uomo ± non occorre che ve ne dica il nome, perche era un politico il personaggio con il quale, tra indagini e discorsi, feci questa esperienza, Ateniesi ±, mi sembroÁ che quest'uomo apparisse sapiente agli occhi, tra gli altri, soprattutto di se stesso, ma che in realtaÁ non lo fosse. E allora mi provai a dimostrargli che riteneva di essere sapiente, ma che non lo era. Ne risultoÁ dunque che me lo feci nemico e, con lui, mi inimicai molti dei presenti. 21.d. Ma fra me e me, andandomene via, ragionavo che io ero piuÁ sapiente di quest'uomo: perche forse nessuno di noi due conosceva qualcosa di bello e di buono, ma lui riteneva di sapere ± e non sapeva ±, mentre io come non so cosõÁ non penso neppure di sapere; mi pareva percioÁ di essere piuÁ sapiente di lui proprio in questo piccolo particolare, e cioeÁ che le cose che non so non penso neanche di saperle. Poi mi recai da un altro che aveva fama di essere piuÁ sapiente dell'altro, e ne ricavai un'impressione identica ± e cosõÁ mi attirai l'odio suo e di molti altri. ANALISI DEL TESTO " TRA STRANEZZA E SAGGEZZA Socrate continua la sua difesa ipotizzando che gli venga chiesto quale suo strano comportamento sia stato all'origine delle calunnie che lo hanno travolto. L'obiezione -- secondo un uso comune nel greco ± viene introdotta, dopo la pausa, da i> svQ accompagnato dall'ottativo potenziale di un verbo di dire, interrompere, meravigliarsi e da tiQ o equivalente del soggetto. Due termini sono da sottolineare: n peritto*teron (20 c): composto con il prefisso peri* , ha in se l'idea del sopra, dell'oltre la misura, quindi, come nel nostro passo, dello straordinario, dello strano. La stranezza, l'a$topi* a di Socrate eÁ peraltro un motivo topico, legato alla piuÁ generale considerazione che la sua vita non puoÁ essere paragonata a nessuna altra esistenza, non ha precedenti, come ben si legge in Symp. 221c: Alcibiade, nell'elogio del suo maestro, sostiene che se con Achille puoÁ essere messo a confronto Brasida, con Nestore Antenore, con altri Pericle, Socrate, invece, non eÁ raffrontabile con nessuno ne fra gli antichi, ne fra i moderni. n sofi* a (20 d): dice Socrate di dovere fama e calunnie ad una forma di sapienza che possiederebbe; tiQ (tina+ ... sofi* an) attenua il valore del sostantivo sofi* a poiche la sapienza come possesso stabile non eÁ prerogativa umana: per l'uomo, infatti, esiste solo l'amore, mai completamente appagato, per essa (da qui filosofi* a). La sapienza di Socrate non eÁ la sapienza positiva di chi tanto sa, ma rappresenta, da un lato, la consapevolezza dell'inconsistenza delle opinioni, dall'altro, l'esigenza di andare sempre a fondo nelle cose, al di laÁ delle apparenze. Altrove, per esempio in Simposio 177d oy$de*n fhmi+ a>llo e$ pi* stasuai h/ ta+ e$ rvtika*, Socrate sosterraÁ, invece, di sapere qualcosa, nell'ambito delle cose d'amore. Ci sarebbe quindi un dato positivo di conoscenza da cui partire e proprio l'amore sarebbe la fonte che permette a Socrate di apportare un beneficio agli altri. Sottile, nel passo del Simposio, eÁ l'ironia del filosofo. Egli non sa nulla se non cioÁ che riguarda l'amore: quindi in realtaÁ conosce tutto, dato che Eros eÁ quella forza che porta alla piuÁ alta vetta del sapere. " MODULI STILISTICI Nel brano e Á da evidenziare l'obiezione di un ipotetico interlocutore, secondo un modulo tipico dell'oratoria giudiziaria; allitterazione e figura etymologica presenti in tayti* moi dokei& di* kaia le*gein o< le*gvn (20 d) ± insieme allo iota `deittico' di tayti* proprio del linguaggio drammatico e oratorio ± contribuiscono a sottolineare il credito che si attribuisce a tale obiezione in quanto elemento significativo per il procedere del discorso di difesa. Sono da segnalare nel passo anche le espressioni del lessico colloquiale (to+ so+n ti* e$ sti pra&gma) e i frequenti richiami al destinatario per tenerne desta l'attenzione (a$koy*ete, i> ste, mh+ uorybh*shte). 577 3 Restare al proprio posto (28 a-d) Segue la difesa contro l'accusa di MeleÁto. Socrate che non sa non puoÁ avere intenzione di corrompere i giovani; se lo fa senza averne l'intenzione, non puoÁ essere accusato. D'altra parte l'accusa di non riconoscere gli deÁi della cittaÁ non puoÁ essere provata: Socrate parla di demoni, che sono per loro natura figli degli deÁi. Del resto il filosofo non puoÁ rinunciare al mandato ricevuto dal dio, che lo ha scelto perche stimolasse i suoi concittadini. 28.a. Dunque, cittadini ateniesi, mi pare che non ci sia bisogno di una lunga difesa per convincere che io non ho la colpa che mi viene imputata nell'atto di accusa di Meleto. Sono sufficienti queste cose che ho detto. Ma quello che vi dicevo all'inizio, ossia che contro di me eÁ sorto in molti un grave odio, sappiate bene che eÁ vero. E quello che mi infligge condanna, se pure ci saraÁ condanna, non sono ne Meleto ne Anito, bensõÁ la calunnia e l'invidia dei piuÁ. E queste cose hanno inflitto condanna a molti altri uomini valenti e credo che ne infliggeranno anche in futuro. E non c'eÁ da temere che 28.b. si arrestino a me. Qualcuno potrebbe forse dirmi: «Allora, o Socrate, non ti vergogni di esserti dedicato a questa attivitaÁ, per la quale sei in pericolo di morire?». A questi io potrei rispondere con un giusto ragionamento: «Non dici bene, o amico, se tu ritieni che un uomo che possa essere di qualche giovamento anche piccolo, debba tener conto altresõÁ anche del pericolo della vita o del morire e non debba, invece, quando agisce, guardare solo a questo, ossia se possa fare cose giuste o ingiuste, e se le sue azioni sono azioni di un uomo buono, oppure di un uomo cattivo. 28.c. Se si sta al tuo ragionamento, sarebbero state persone di poco valore tutti quei semidei che sono morti a Troia. E come gli altri anche il figlio di Tetide, il quale, invece di sopportare l'infamia, disprezzoÁ il pericolo a tal punto che, allorche la madre, che era dea, disse a lui che desiderava ardentemente di uccidere Ettore, all'incirca cosõÁ: ``O figlio, se tu vendicherai la morte del tuo amico Patroclo e ucciderai Ettore, morirai anche tu, perche a quello di Ettore subito segue giaÁ pronto il tuo destino, nell'ascoltare queste parole non si diede pensiero del pericolo e della morte. 28.d. E invece, temendo molto di piuÁ il vivere da codardo e il non vendicare l'amico, disse: ``Che io muoia subito, non appena abbia punito chi ha commesso la colpa, e che non rimanga qui deriso presso le curve navi, e inutile peso della terra. E allora, o amico, pensi che egli si sia preoccupato per la morte e per il pericolo?». (Trad. G. Reale) 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. L'inevitabilitaÁ della condanna, secondo Socrate, non dipenderaÁ tanto dall'atto d'accusa. Da che cosa dipenderaÁ allora? ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... 2. Qual eÁ l'argomento addotto dall'ipotetico interlocutore di Socrate per sostenere che l'attivitaÁ praticata dal filosofo eÁ vergognosa? ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... 3. Qual eÁ, invece, il criterio che, secondo Socrate, decide della bontaÁ di un'azione? ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... 578 Platone Testi a confronto Apologia di Socrate PiuÁ della vita Antiloco, figlio di Nestore, ha portato ad Achille la terribile notizia della morte di Patroclo. A consolare l'eroe, che piange disperatamente e sostiene che la vita per lui non avraÁ piuÁ valore se non vendicheraÁ Patroclo, arriva la madre Teti: questa ribadisce al figlio che, se affronteraÁ Ettore, il suo tempo si faraÁ breve (Iliade XVIII, 94-106). 95 105 testi 100 To+n d\ ay#te prose*eipe Ue*tiQ kata+ da*kry xe*oysa " ``v$ky*moroQ dh* moi, te* koQ, e> sseai, oi}\ a$gorey*eiQ " ay$ti* ka ga*r toi e> peita meu\ % Ektora po*tmoQ e< toi& moQ.'' Th+n de+ me*g\ o$xuh*saQ prose*fh po*daQ v$ky+Q \Axilley*Q " ay$ti* ka teunai* hn, e$ pei+ oy$k a>r\ e>mellon e< tai* r{ kteinome* n{ e$ pamy&nai " o< me+n ma*la thlo*ui pa*trhQ e>fuit\, e$mei& o de+ dh&sen a$rh&Q a$lkth&ra gene* suai. ny&n d\ e$pei+ oy$ ne* omai* ge fi* lhn e$ Q patri* da gai& an, oy$de* ti Patro*kl{ geno*mhn fa*oQ oy$d\ e< ta*roisi toi& Q a>lloiQ, oi= dh+ pole* eQ da*men % Ektori di* {, a$ll\ h}mai para+ nhysi+ n e$tv*sion a>xuoQ a$roy*rhQ, toi& oQ e$v+n oi}oQ oy> tiQ \Axaiv&n xalkoxitv*nvn e$n pole* m{ " a$gor|& de* t\ a$mei* none* Q ei$ si kai+ a>lloi. traduzione d'autore 95 100 105 Teti allora versando lacrime disse: ``Ah! Sei vicino alla morte, creatura, come mi parli. Subito dopo Ettore t'eÁ preparata la Moira''. Ma con gemito grave rispose Achille piede rapido: «Potessi morire anche adesso, poiche non dovevo all'amico portar soccorso in morte; molto lontano dalla patria eÁ morto; e io gli sono mancato, difensore dal male. E ora, che in patria non devo tornare mai piuÁ, che non fui luce per Patroclo, ne pei compagni, per gli altri, molti son stati uccisi da Ettore luminoso, siedo qui presso le navi, inutile peso della terra, io che son forte quanto nessuno dei Danai chitoni di bronzo in guerra. Altri son migliori in consiglio» (Trad. R. Calzecchi Onesti) CONFRONTI " C'e Á un bene piuÁ grande per cui pare giusto sacrificare anche la vita: Socrate sceglie un esempio tratto dal mito omerico per esemplificare quest'idea e cita liberamente da Iliade XVIII, 94 ss. Rileggi i versi di Omero che abbiamo proposto e mettili a confronto con il testo dell'Apologia di p. 578 in un elaborato di 10 righe. 579 4 Il congedo (40c-42a) L'Apologia platonica contiene ancora una sezione, in cui Socrate prende congedo dai suoi giudici, da quelli che avevano votato per la sua condanna a morte come dagli altri. Rivolto a questi ultimi, egli spiega che sicuramente quanto gli eÁ accaduto eÁ destinato ad essere per lui un bene, e cerca di fornirne la dimostrazione. 40.c. $ Ennoh*svmen de+ kai+ t|&de v<Q pollh+ e$ lpi* Q e$ stin a$gauo+n ay$to+ ei#nai. dyoi& n ga+r 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO ua*tero*n e$ stin to+ teuna*nai " h/ ga+r oi}on mhde+ n ei#nai mhde+ ai> suhsin mhdemi* an mhdeno+Q e> xein to+n teunev&ta, h/ kata+ ta+ lego*mena metabolh* tiQ tygxa*nei oy#sa kai+ metoi* khsiQ t|& cyx|& toy& to*poy toy& e$ nue*nde ei$ Q a>llon to*pon. kai+ ei> te dh+ mhdemi* a ai> suhsi* Q e$ stin a$ll\ 40.d. oi}on y%pnoQ, e$ peida*n tiQ kauey*dvn mhd\ o>nar mhde+ n o<r@&, uayma*sion ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ ± e$ gv+ ga+r a/n oi#mai, ei> tina e$ kleja*menon de* oi tay*thn th+n ny*kta e$ n |} oy%tv kate* daruen v%ste mhde+ o>nar i$ dei& n, kai+ ta+Q a>llaQ ny*ktaQ te kai+ h<me* raQ ta+Q toy& bi* oy toy& e< aytoy& a$ntiparaue* nta tay*t| t|& nykti+ de* oi skeca*menon ei$ pei& n po*saQ a>meinon kai+ h%dion h<me* raQ kai+ ny*ktaQ tay*thQ th&Q nykto+Q bebi* vken e$ n t{& e< aytoy& bi* {, oi#mai a/n mh+ o%ti i$ div*thn tina*, a$lla+ to+n me* gan basile* a ey$ariumh*toyQ a/n ey<rei& n ay$to+n tay*taQ pro+Q ta+Q a>llaQ h<me*raQ kai+ ny*ktaQ ± 40.e. ei$ oy#n toioy&ton o< ua*nato*Q e$ stin, ke* rdoQ e> gvge le* gv " kai+ ga+r oy$de+ n plei* vn o< pa&Q xro*noQ fai* netai oy%tv dh+ ei#nai h/ mi* a ny*j. ei$ d\ ay# oi}on a$podhmh&sai* e$ stin o< ua*natoQ e$ nue* nde ei$ Q a>llon to*pon, kai+ a$lhuh& e$ stin ta+ lego*mena, v<Q a>ra e$ kei& ei$ si pa*nteQ oi< teunev&teQ, ti* mei& zon a$gauo+n toy*toy ei> h a>n, v# a>ndreQ dikastai* ; ei$ ga*r tiQ a$fiko*menoQ ei$ Q %Aidoy, 41.a. a$pallagei+ Q toytvni+ tv&n fasko*ntvn dikastv&n ei#nai, ey<rh*sei toy+Q v<Q a$lhuv&Q dikasta*Q, oi% per kai+ le*gontai e$ kei& dika*zein, Mi* nvQ te kai+ < Rada*manuyQ kai+ Ai$ ako+Q kai+ Tripto*lemoQ kai+ a>lloi o%soi tv&n h<miue*vn di* kaioi e$ ge*40.c. e$nnoh*svmen ... ei# nai, ``riflettiamo anche da questo punto di vista (kai+ t|&de) che ho molti motivi per sperare che essa sia un bene''; e$ nnoh*svmen: cong. esortativo; kai+ t|&de: avverbio di modo, il punto di vista che Socrate sta per esporre. ± dyoi& n ... teunev&ta: ``di due cose una (ua*teron) eÁ il morire: o eÁ come se il morto (to+n teunev&ta) non sia piuÁ nulla e non abbia alcuna percezione di nulla'': ua*teron 4 to+ e% teron, ``una delle due cose'', alterum; to+n teunev&ta: eÁ meglio intenderlo come sogg. sia di mhde+ n ei#nai sia di e> xein; mhdemi* an mhdeno*Q: poliptoto. ± h/ kata+ ... to*pon, ``o, secondo quanto si dice, eÁ (tygxa*nei oy#sa) una trasformazione e una trasmigrazione per l'anima da questo luogo quaggiuÁ (toy& e$ nue*nde) in un altro luogo''; kata+ ta+ lego*mena: cosõÁ dicevano soprattutto orfici e pitagorici. L'alternativa che qui Socrate prospetta costituisce indubbiamente una posizione assolutamente diversa da quella che poi saraÁ esposta, per bocca dello stesso Socrate, nel Fedone, dove l'immortalitaÁ dell'anima eÁ una certezza luminosa. ± kai+ ei> te, ``e se'': introduce un periodo ipotetico misto, la cui apodosi eÁ uayma*sion ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ, ed eÁ ripresa in 40e da ei$ oy#n ... ke*rdoQ e> gvge le*gv. 580 40.d-e. e$peida*n ... o<r@&, ``quando uno dormendo non fa nemmeno un sogno'': in prospettiva eventuale, con a>n di e$ peida*n e il cong. o<r@&; il greco dice o<ra&n y%pnon, ``vedere un sogno'', dove l'italiano usa un verbo assai piuÁ generico, ``fare un sogno''. ± uayma*sion ... o< ua*natoQ, ``la morte sarebbe un profitto meraviglioso'': apodosi della possibilitaÁ, dove ke*rdoQ eÁ termine del linguaggio commerciale, propr. ``guadagno''. ± ei> tina ... bi* {, ``se bisognasse che uno, dopo aver scelto (e$ kleja*menon), questa (tay*thn) notte in cui (e$ n |}) ha dormito cosõÁ da non fare alcun sogno e confrontando (a$ntiparaue*nta) a questa notte le altre notti e giorni della sua vita, dovesse dire riflettendo (skeca*menon) quanti giorni e quante notti ha vissuto meglio e piuÁ piacevolmente di questa notte nella sua vita''; tay*thn costituisce prolessi rispetto al relativo e$ n |} che segue. ± oi# mai ... ny*ktaQ, ``io credo che non solo un privato cittadino (i$ div*thn tina), ma il Gran Re potrebbe trovare (a/n ey<rei& n) ben poche (ey$ariumh*toyQ) queste notti in relazione agli altri giorni e notti'': oi#mai, annunciato dapprima come inciso, ritorna con ben altro peso come proposizione principale, a reggere l'infinito a/n ey<rei& n. 40.e. ei$ oy#n ... le*gv, ``se dunque la morte eÁ una cosa di questo genere (toioy&ton), io certo (e> gvge) lo chiamo un vantaggio'': ritorna insistente il termine finanziario ke* rdoQ; e> gvge, ``io, per conto mio'': il ge limitativo sottolinea il punto di vista di chi sta parlando. ± oy$de+n plei* vn, ``per nulla maggiore'': oy$de* n eÁ acc. avverbiale di relazione. _ ei$ d\ ay# ... ei> h a>n, ``se poi la morte eÁ come emigrare (a$podhmh&sai) di qui in un altro luogo, e sono veri i racconti che si fanno, che sono laÁ tutti quelli che sono morti (oi< teunev&teQ), quale bene maggiore di questo potrebbe esserci'': ritorna il tema dell'al di laÁ; la protasi di primo tipo non implica realtaÁ, ma la prospettiva, pur non dimostrata, eÁ presentata come attraente e questo effetto Socrate intende produrre sui suoi ascoltatori. ± a$fiko*menoQ ei$ Q %Aidoy, ``giungendo all'Ade'': ei$ Q richiede normalmente l'acc. e giaÁ gli antichi intendevano che fosse sottinteso un acc. come do*mon, come nel lt. ventum erat ad Vestae, sott. templum. 41.a. a$pallagei+ Q ... dikasta*Q, ``allontanandosi (a$pallagei* Q) da questi qui che pretendono (fasko*ntvn) essere giudici, troveraÁ quelli che sono davveSCHEDA DI LESSICO "Il lessico della morte, p. 585 41.b. e>moige kai+ ay$t{&, ``per me in particolare''. ± o<po*te ... te*unhken, ``quando mi imbattessi in Palamede o in Aiace figlio di Telamone o in quanti altri (ei> tiQ a>lloQ) tra gli antichi sono morti per un giudizio ingiusto''; ei> tiQ a>lloQ: questa locuzione si presenta come una protasi di periodo ipotetico, ma ha la funzione di una proposizione relativa: ``se qualcun altro morõÁ'' 4 ``tutti gli altri che morirono''. ± Palamh*dei, ``Palamede''. Odisseo, per non andare a Troia, fingeva di essere pazzo, ma Palamede scoprõÁ il suo piano e lo costrinse a partecipare alla spedizione; Odisseo si vendicoÁ su di lui facendo nascondere nella tenda di Palamede dell'oro e una falsa lettera di Priamo: cosõÁ Palamede fu accusato di tradimento e lapidato. Questo argomento era svolto in varie tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide¨. ± Ai> anti, ``Aiace''. Aiace invece, dopo la morte di Achille, considerandosi il piuÁ forte dei Greci dopo quello, pretendeva che a lui fossero attribuite la armi del morto: Odisseo riuscõÁ con l'astuzia a farle assegnare a seÂ, e Aiace, per il dolore del torto subito, impazzõÁ e si uccise: la vicenda era rappresentata in una trilogia perduta di Eschilo e nell'Aiace di Sofocle, che conserviamo¨. ± a$ntiparaba*llonti, ``confrontando'': part. congiunto con e> moige. ± kai+ dh+ ... dia*gein, ``e poi soprattutto, trascorrere il tempo (dia*gein) esaminando ed interrogando (e$ jeta*zonta kai+ e$ reynv&nta in acc. perche concordano con il sogg. sottinteso dell'infinitiva) quelli di laÁ (toy+Q e$ kei& ) come quelli di qua (toy+Q e$ ntay&ua), chi di loro eÁ sapiente e chi crede di esserlo ma non lo eÁ'': l'inf. dia*gein dipende sintatticamente da e$ pi+ po*s{ a>n tiQ de*jait(o) di 41 a 7, come syggene* suai: testi racconti sono veri'': e$ ue* lv esprime la disponibilitaÁ ad adeguarsi alla volontaÁ altrui o ad una situazione. Apologia di Socrate ro giudici'': in quest'ultima parte dell'Apologia inizia il tema che saraÁ comune alla prima riflessione di Platone e degli altri socratici, quello del Giusto condannato: esso eÁ qui marcato dal poliptoto dikastai* ... dikastv&n ... dikasta*Q ... dika*zein e dalla serie dei mitici giudici giusti dell'al di laÁ, in opposizione a quelli ingiusti che hanno condannato a morte Socrate. ± oi% per kai+ ... Tripto*lemoQ: ``coloro che si dice amministrino la giustizia, Minosse, Radamanto, Eaco e Trittolemo''. Radamanto e Minosse erano figli di Zeus ed Europa: il primo fu re di Creta e stabilõÁ le leggi che furono imitate da molte cittaÁ greche; gli successe il fratello minore Minosse; Eaco, figlio di Zeus e della ninfa Egina, fu re dell'isola cui diede il nome di sua moglie, e padre di Peleo e Telamone; a questi che la tradizione considerava i giudici dell'Ade, Platone aggiunge il re attico Trittolemo, che aiutoÁ Demetra nella ricerca di Persefone e ottenne da lei il dono del grano: era associato alle due dee nei misteri di Eleusi¨. ± a>ra fay*lh ... a$podhmi* a, ``sarebbe questo un mutamento di sede spregevole?'': a>ra introduce una interr. diretta retorica che suggerisce al destinatario una risposta negativa; fay*lh, ``da poco'': certo non sarebbe stata da poco la possibilitaÁ di ottenere una nuova vita presso i semidei che si distinsero in vita per la loro giustizia. ± $ Orfei& ... Moysai* {, ``stare insieme a Orfeo e a Museo'': gli esponenti mitici della letteratura religiosa della tradizione orfica, accostati qui ai fondatori della mitologia classica, Omero ed Esiodo. ± e$pi+ po*s{ ... y<mv&n, ``per che prezzo non lo accetterebbe uno di voi'', cioeÁ ``quanto uno di voi sarebbe disposto a pagare per questo?'': oggetto di de* jait(o) eÁ l'inf. syggene* suai, ``stare insieme a''. ± e$gv+ me+n ... a$lhuh&, ``io infatti sono disposto (e$ ue* lv) a morire molte volte se questi Platone nonto e$ n t{& e< aytv&n bi* {, a#ra fay*lh a/n ei> h h< a$podhmi* a; h/ ay# $ Orfei& syggene* suai kai+ Moysai* { kai+ < Hsio*d{ kai+ < Omh*r{ e$ pi+ po*s{ a>n tiQ de*jait\ a/n y<mv&n; e$ gv+ me+n ga+r polla*kiQ e$ ue*lv teuna*nai ei$ tay&t\ e> stin a$lhuh&. e$ pei+ 41.b. e> moige kai+ ay$t{& uaymasth+ a/n ei> h h< diatribh+ ay$to*ui, o<po*te e$ nty*xoimi Palamh*dei kai+ Ai> anti t{& Telamv&noQ kai+ ei> tiQ a>lloQ tv&n palaiv&n dia+ kri* sin a>dikon te*unhken, a$ntiparaba*llonti ta+ e$ maytoy& pa*uh pro+Q ta+ e$ kei* nvn ± v<Q e$ gv+ oi#mai, oy$k a/n a$hde+ Q ei> h ± kai+ dh+ to+ me* giston, toy+Q e$ kei& e$ jeta*zonta kai+ e$ reynv&nta v%sper toy+Q e$ ntay&ua dia*gein, ti* Q ay$tv&n sofo*Q e$ stin kai+ ti* Q oi> etai me* n, e>stin d\ oy>. e$ pi+ po*s{ d\ a>n tiQ, v# a>ndreQ dikastai* , de* jaito e$ jeta*sai to+n e$ pi+ Troi* an a$gago*nta th+n pollh+n stratia+n 41.c. h/ $ Odysse*a h/ Si* syfon h/ a>lloyQ myri* oyQ a>n tiQ ei> poi kai+ a>ndraQ kai+ gynai& kaQ, oi}Q e$ kei& diale* gesuai kai+ synei& nai kai+ e$ jeta*zein a$mh*xanon a/n ei> h ey$daimoni* aQ; pa*ntvQ oy$ dh*poy toy*toy ge e% neka oi< e$ kei& a$poktei* noysi " ta* te ga+r a>lla ey$daimone* steroi* ei$ sin oi< e$ kei& tv&n Socrate sarebbe felice di andare nell'al di laÁ a continuare la stessa opera che compiva in Atene, di sollecitare ognuno a conoscere se stesso, secondo il comando di Apollo. ± e$pi+ po*s{ a>n tiQ ... de*jaito: ritorna emblematicamente la frase, per far riflettere i destinatari. _ e$jeta*sai ... stratia*n, ``di interrogare colui che condusse a Troia il grande esercito'': Agamennone, che giaÁ nei poemi daÁ prova di presunzione e arroganza anziche di sofi* a. 41.c. h/ $ Odysse*a h/ Si* syfon: eroi dell'astuzia e dell'inganno; queste, che erano virtuÁ per l'etica arcaica, ripugnavano alla moralitaÁ di Socrate come a quella di Platone. ± oi} Q e$kei& ... ey$daimoni* aQ, ``con i quali conversare laÁ e stare con loro ed interrogarli sarebbe il colmo della felicitaÁ''; a$mh*xanon ... ey$daimoni* aQ, ``l'impossibilitaÁ della felicitaÁ'', cioeÁ una felicitaÁ impossibile ad esprimersi: a$mh*xanoQ eÁ cioÁ per cui non esistono mhxanai* , ``artifici'', ed eÁ quindi impossibile. ± pa*ntvQ ... a$poktei* noysi, ``in ogni caso, per questo motivo (toy*toy e% neka), quelli di laÁ non mandano a morte''; toy*toy e% neka: per il fatto di discutere e di confutare quelli che credono di esser saggi senza esserlo; quindi nel regno dei morti Socrate non avrebbe corso rischio di esser condannato a morte. Egli eÁ giunto a una tale serena luciditaÁ che si permette di ironizzare perfino sulla propria morte. ± ta* te ga+r a>lla ... kai+ , ``sia nel resto ... sia anche''. ± ei> per ge ... a$lhuh&, ``se eÁ vero cioÁ che si racconta'': ritorna l'apparente riserva (ei> per ge) che riafferma in modo distaccato la certezza morale di Socrate. ± a$lla+ kai+ ... ua*naton, ``ma anche voi, cittadini giudici, dovete essere fiduciosi (ey$e* lpidaQ) riguardo la morte'': ha inizio cosõÁ l'ultimo capitolo, in tono di perorazione; quanto alla procedura giudiziaria non dovrebbe esserci luogo per una perorazione, giacche la sentenza di morte eÁ irrevocabile; ma 581 e$ nua*de, kai+ h>dh to+n loipo+n xro*non a$ua*natoi* ei$ sin, ei> per ge ta+ lego*mena a$lhuh&. $Alla+ kai+ y<ma&Q xrh*, v# a>ndreQ dikastai* , ey$e* lpidaQ ei#nai pro+Q to+n ua*naton, kai+ e% n ti toy&to dianoei& suai a$lhue*Q, 41.d. o%ti oy$k e> stin a$ndri+ a$gau{& kako+n oy$de+n oy>te zv&nti oy>te teleyth*santi, oy$de+ a$melei& tai y<po+ uev&n ta+ toy*toy pra*gmata " oy$de+ ta+ e$ ma+ ny&n a$po+ toy& ay$toma*toy ge*gonen, a$lla* moi dh&lo*n e$ sti toy&to, o%ti h>dh teuna*nai kai+ a$phlla*xuai pragma*tvn be*ltion h#n moi. dia+ toy&to kai+ e$ me+ oy$damoy& a$pe*trecen to+ shmei& on, kai+ e> gvge toi& Q katachfisame* noiQ moy kai+ toi& Q kathgo*roiQ oy$ pa*ny xalepai* nv. kai* toi oy$ tay*t| t|& dianoi* @ katechfi* zonto* moy kai+ kathgo*royn, a$ll\ oi$ o*menoi bla*ptein " 41.e. toy&to ay$toi& Q a>jion me*mfesuai. toso*nde me*ntoi ay$tv&n de*omai " toy+Q y<ei& Q moy, e$ peida+n h<bh*svsi, timvrh*sasue, v# a>ndreQ, tay$ta+ tay&ta lypoy&nteQ a%per e$ gv+ y<ma&Q e$ ly*poyn, e$ a+n y<mi& n dokv&sin h/ xrhma*tvn h/ a>lloy toy pro*teron e$ pimelei& suai h/ a$reth&Q, kai+ e$ a+n dokv&si* ti ei#nai mhde+n o>nteQ, o$neidi* zete ay$toi& Q v%sper e$ gv+ y<mi& n, o%ti oy$k e$ pimeloy&ntai v}n dei& , kai+ oi> ontai* ti ei#nai o>nteQ oy$deno+Q a>jioi. kai+ e$a+n tay&ta poih&te, di* kaia peponuv+Q e$ gv+ e> somai y<f\ y<mv&n ay$to*Q 42.a. te kai+ oi< y<ei& Q. a$lla+ ga+r h>dh v%ra a$pie* nai, e$ moi+ me+n a$pouanoyme* n{, y<mi& n de+ bivsome* noiQ " o<po*teroi de+ h<mv&n e> rxontai e$ pi+ a>meinon pra&gma, a>dhlon panti+ plh+n h/ t{& ue{&. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO Socrate perora la causa delle sue idee, e vuole che, quale che sia la sorte delle anime dopo la morte, i giudici che hanno avuto fiducia in lui abbiano chiara coscienza che l'uomo non deve esitare a seguire la voce del dio, che parla nella sua coscienza. 41.d. o%ti ... teleyth*santi, ``che per l'uomo virtuoso non c'eÁ alcun male, ne da vivo ne da morto'': la dichiarativa ha funzione epesegetica rispetto a e% n ti toy&to, mentre zv&nti e teleyth*santi sono predicativi di a$ndri+ a$gau{&. ± oy$de+ ... ge*gonen, ``ne le mie vicende (ta+ e$ ma*) sono avvenute a caso (a$po+ toy& ay$toma*toy)''. ± teuna*nai kai+ a$phlla*xuai pragma*tvn, ``esser morto ed essermi liberato dai fastidi''; l'idea eÁ rappresentata da due infiniti perfetti (da un|*skv e a$palla*ssv) nella prospettiva di esser compiuta: solo allora si realizzeraÁ cioÁ che eÁ meglio per Socrate. ± e$me+ ... to+ shmei& on, ``il segno non mi distolse per nulla'': il segno misterioso (to+ shmei& on) che talvolta lo distoglieva dal compiere un'azione era quello che Socrate chiamava il suo deÁmone; Socrate interpreta ora la mancanza di quel segno come la conferma che per lui eÁ stato meglio esser condannato dal tribunale. ± e>gvge ... xalepai* nv, ``e io, per conto mio (e> gvge) non me la prendo (xalepai* nv) con coloro che hanno votato per la mia condanna (toi& Q katachfisame* noiQ moy) ne con gli accusatori'': i verbi giudiziari composti con kata- si costruiscono con il gen., retto da kata- (4 ``contro''), della persona accusata o condannata. ± kai* toi, ``eppure'': Socrate si ferma un attimo a riflettere che se anche gli accusatori e i giudici a lui ostili non gli hanno fatto alcun male, non era questa la loro intenzione. ± oy$ tay*t| t|& dianoi* @, ``non con questa intenzione''. 41.e. toy&to ... me*mfesuai, ``di questo eÁ giusto rimproverarli''. ± toso*nde .... de*omai, lett. ``di tanto io li prego'': de*omai, con il gen. della persona, vale ``pregare'' (oltre che, talvolta, ``aver bisogno di''), mentre toso*nde anticipa l'imperativo che segue, timvrh*sasue. ± tay$ta* ... e$ly*poyn, ``infliggendo loro gli stessi fastidi che io infliggevo a voi'': lype*v, ``affliggere uno'', qui ripetuto per poliptoto, eÁ costruito con l'acc. della persona e l'acc. di relazione della cosa con cui uno viene afflitto; nella traduzione la carica semantica di lype*v viene trasferita all'oggetto, che in greco eÁ reso genericamente con il neutro. ± e$a+n y<mi& n ... a$reth&Q, ``nel caso che vi sembri (e$ a+n ... dokv&sin) che si diano pensiero o (h>) del denaro o (h>) di qualche altra cosa prima che (h>) della virtuÁ'': e$ a+n ... dokv&sin eÁ una protasi di periodo ipotetico dell'eventualitaÁ, la cui protasi eÁ l'imp. timvrh*sasue; i primi due h> sono disgiuntivi (lt. aut), mentre il terzo introduce il secondo termine di paragone (lt. quam); a>lloy toy: toy eÁ pron. indefinito. ± oi> ontai ... a>jioi, ``e credono di esser qualcosa mentre non meritano nulla'': oy$deno*Q eÁ gen. di stima. ± di* kaia ... e>somai, ``avroÁ ricevuto cioÁ che eÁ giusto'': peponuv+Q e> somai eÁ futuro perfetto dal tema di pa*sxv. 42.a. e$moi+ ... bivsome*noiQ, ``per me a morire, per voi a vivere'': i due part. futuri hanno valore finale. ± o<po*teroi ... h<mv&n, ``chi tra me e voi'': o<po*teroi esprime due gruppi contrapposti, anche se il primo di essi eÁ costituito da una sola persona; o<po*teroi e> rxontai, prop. interr. indiretta, eÁ soggettiva rispetto alla sovraordinata a>dhlon, sott. e$ sti* . traduzione d'autore 40.c. Consideriamo anche da questo lato il fatto che c'eÁ molta speranza che il morire sia un bene. In effetti, una di queste due cose eÁ il morire: o eÁ come un non essere nulla e chi eÁ morto non ha piuÁ alcuna sensazione di nulla; oppure, stando ad alcune cose che si tramandano, eÁ un mutamento e una migrazione dell'anima da questo luogo che eÁ quaggiuÁ ad un altro luogo. Ora, se la morte eÁ il non aver piuÁ alcuna sensazione, 40.d. ma eÁ come un sonno che si ha quando nel dormire non si vede piuÁ nulla neppure in sogno, allora la morte sarebbe un 582 Platone Apologia di Socrate testi guadagno meraviglioso. Infatti, io ritengo che se uno, dopo aver scelto questa notte in cui avesse dormito cosõÁ bene da non vedere nemmeno un sogno, e, dopo aver messo a confronto con questa le altre notti e gli altri giorni della sua vita, dovesse fare un esame e dirci quanti giorni e quante notti abbia vissuto in modo piuÁ felice e piuÁ piacevole di quella notte durante tutta la sua vita; ebbene, io credo che costui, anche se fosse non solo un qualche privato cittadino, ma il Gran Re, troverebbe lui pure che questi giorni e queste notti sono pochi da contare rispetto agli altri giorni e alle altre notti. 40.e. Se, dunque, la morte eÁ qualcosa di tal genere, io dico che eÁ un guadagno. Infatti, tutto quanto il tempo della morte non sembra essere altro che un'unica notte. Invece, se la morte eÁ come un partire di qui per andare in un altro luogo, e sono vere le cose che si raccontano, ossia che in quel luogo ci sono tutti i morti, quale bene, o giudici, ci potrebbe essere piuÁ grande di questo? Infatti, se uno, giunto all'Ade, 41.a. liberatosi di quelli che qui da noi si dicono giudici, ne troveraÁ di veri, quelli che si dice che laÁ pronunciano sentenza: Minosse, Radamante, Eaco, Trittolemo e quanti altri dei semidei sono stati giusti nella loro vita; ebbene, in tal caso, questo passare nell'aldilaÁ sarebbe forse una cosa da poco? E poi, quanto non sarebbe disposto a pagare ciascuno di voi, per stare insieme con Orfeo e con Museo, con Omero e con Esiodo? Per quello che mi riguarda, sono disposto a morire molte volte, se questo eÁ vero. 41.b. Infatti, per me, sarebbe straordinario trascorrere il mio tempo, allorche mi incontrassi con Palamede, con Aiace figlio di Telamonio e con qualche altro degli antichi che sono morti a causa di un ingiusto giudizio, mettendo a confronto i miei casi con i loro! E io credo che questo non sarebbe davvero spiacevole. Ma la cosa per me piuÁ bella sarebbe sottoporre ad esame quelli che stanno di laÁ, interrogandoli come facevo con questi che stanno qui, per vedere chi eÁ sapiente e chi ritiene di essere tale, ma non lo eÁ. Quanto sarebbe disposto a pagare uno di voi, o giudici, per esaminare chi ha portato a Troia 41.c. il grande esercito, oppure Odisseo o Sisifo e altre innumerevoli persone che si possono menzionare, sia uomini che donne? E il discutere e lo stare laÁ insieme con loro e interrogarli, non sarebbe davvero il colmo della felicitaÁ? E certamente, per questo, quelli di laÁ non condannano nessuno a morte. Infatti, quelli di laÁ, oltre ad essere piuÁ felici di quelli di qua, sono altresõÁ per tutto il tempo immortali, se sono vere le cose che si dicono. Ebbene, anche voi, o giudici, bisogna che abbiate buone speranze davanti alla morte, e dovete pensare che una cosa eÁ vera in modo particolare, 41.d. che ad un uomo buono non puoÁ capitare nessun male, ne in vita ne in morte. Le cose che lo riguardano non vengono trascurate dagli deÁi. E anche le cose che ora mi riguardano non sono successe per caso; ma per me eÁ evidente questo, che ormai morire e liberarmi degli affanni era meglio per me. Per questo motivo il segno divino non mi ha mai deviato dalla via seguita. PercioÁ io non ho un grande rancore contro coloro che hanno votato per la mia condanna, ne contro i miei accusatori, anche se mi hanno condannato e mi hanno accusato non certo con tale proposito, bensõÁ nella convinzione di farmi del male. 41.e. E in cioÁ meritano biasimo. PeroÁ io vi prego proprio di questo. Quando i miei figli saranno diventati adulti, puniteli, o cittadini, procurando a loro quegli stessi dolori che io ho procurato a voi, se vi sembreranno prendersi cura delle ricchezze o di qualche altra cosa prima che della virtuÁ. E se si daranno arie di valere qualche cosa, mentre non valgono nulla, rimproverateli cosõÁ come io ho rimproverato voi, perche non si danno cura di cioÁ di cui dovrebbero darsi cura, e perche credono di valere qualche cosa, mentre in realtaÁ non valgono niente. 42.a. Se farete questo, avroÁ ricevuto da voi quello che eÁ giusto: io e i miei figli. Ma eÁ ormai venuta l'ora di andare: io a morire, e voi, invece, a vivere. Ma chi di noi vada verso cioÁ che eÁ meglio, eÁ oscuro a tutti, tranne che al dio. (Trad. G. Reale) 583 GUIDA ALL'ANALISI LINGUA E LESSICO 1. Nel testo ricorrono alcuni termini legati alla radice uan(e)-. Dopo aver letto la Scheda di lessico (p. 585), elencali ed evidenziane la differenza dal punto di vista del significato. TERMINE LEGATO ALLA RADICE uan(e)- SIGNIFICATO ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... TEMI E CONFRONTI 2. In 40d-e alle due opzioni concernenti la morte vengono associate due immagini. Quali? " ................................................................................................................................................................................ " ................................................................................................................................................................................ 3. Trova, nel testo greco, le espressioni che sottolineano la differenza fra il credere di essere e l'essere. Trascrivile poi nello schema seguente: CREDERE DI ESSERE ESSERE ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... 4. Ripercorri, nella struttura e nello sviluppo del ragionamento, i paragrafi 40c-41c. Completa la tabella: RIGUARDO AL teuna*nai, VENGONO POSTE DUE ALTERNATIVE h/ mhde+ n ei#nai mhde+ ai> suhsin mhdemi* an mhdeno+Q e> xein to+n teunev&ta h/ ..................................................................................................................... PRIMA POSSIBILITAÁ ei> te dh+ mhdemi* a ai> suhsi* Q e$ stin a$ll\ oi}on y%pnoQ, e$peida*n tiQ kauey*dvn mhd\ o>nar mhde+ n o<r@&, uayma*sion ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ SECONDA POSSIBILITAÁ .......................................................................................................................... .......................................................................................................................... LE CATEGORIE DI PERSONAGGI DELL'OLTRETOMBA: 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO a) b) c) d) I VERI GIUDICI Mi* nvQ te kai+ < Rada*manuyQ kai+ Ai$ ako+Q kai+ Tripto*lemoQ .............................................. .......................................................................................................................... .............................................. .......................................................................................................................... ............................................. .......................................................................................................................... 5. L'ultimo pensiero di Socrate eÁ per i figli: esprimendo una sua preoccupazione nei loro confronti, ritorna su un motivo ricorrente del suo pensiero. Sai dire quale? ..................................................................................................................................................................................... 584 Platone Testi a confronto Il dai* mvn socratico Apologia di Socrate Nelle opere indiscutibilmente platoniche, il demone, che si manifesta come un segno o una voce, viene presentato sempre come elemento impediente. Esso, infatti, dissuade e non incita ad agire. Diversamente, nei testi senofontei (su Senofonte quale fonte di Socrate vedi p. 38) il demone socratico ha anche una funzione critica positiva. Nei seguenti passi eÁ il ``segno demonico'' ad impedire a Socrate, seduto in palestra, di alzarsi per andarsene (Eutidemo 272e), a non permettergli di attraversare il fiume (Fedro 242b-c). Per un'ispirazione del dio mi trovavo seduto laÁ dove mi hai visto, da solo, nello spogliatoio e avevo giaÁ in mente di alzarmi per andarmene. Mentre mi stavo per alzare, si produsse in me il consueto segno divino (to+ ei$ vuo+Q shmei& on to+ daimo*nion). Pertanto, tornai a sedermi; poco dopo, entrarono questi due, Eutidemo e Dionisodoro e, insieme con loro, molti altri, che mi parvero loro discepoli. Mentre mi accingevo ad attraversare il fiume, mio buon amico, mi si eÁ presentato quel solito segno demonico (to+ ei$ vuo+Q shmei& on) che sempre mi trattiene da cioÁ che sto per fare, e mi eÁ sembrato di sentire una voce proveniente da esso, che non mi lasica andar via prima di aver fatto espiazione, perche mi sono macchiato di una colpa nei confronti della divinitaÁ. Sono sicuramente un indovino, anche se non molto bravo, un po' come quelli che non se la cavano troppo bene con le lettere dell'alfabeto, ma solo per quel tanto che basta per me stesso. testi (Trad. M. Luisa Gatti, Eutidemo 272e) (Trad. R.Velardi, Fedro 242b-c). CONFRONTI " Socrate nell'Apologia parla di shmei& on (41d) e di dai* mvn; che rapporto c'e Á fra i due? Fai una sintesi delle tue riflessioni sul significato di shmei& on e dai* mvn nel pensiero socratico tenendo conto anche dei due brani qui proposti. l Scheda di essico Il lessico della morte unh*skv kataunh*skv a$pounh*skv e$ kunh*skv ua*natoQ a$ua*natoQ teleyth* teleyta*v La distinzione tra unh*skv, kataunh*skv e a$pounh*skv eÁ quella che intercorre tra espressioni denotative e connotative. L'idea della morte di per se non ammette sfumature, ma il modo in cui gli uomini rappresentano la morte ne ammette diverse. Unh*skv dunque indica il morire in se (cf. Platone, Apologia 28, 40, 41), mentre kataunh*skv vi aggiunge l'idea di uno che cade a terra colpito da un'asta o da una freccia e a$pounh*skv quella di uno che era qui con noi e poi se ne va via (a$po-: cf. Platone, Apologia 28, 41, 42). Il participio di kataunh*skv, proprio perche indica un modo particolare di morire, puoÁ determinare un nome che significa semplicemente ``morto''. Per a$pounh*skv ricordiamo il lamento disperato di Ecuba sul figlio appena ucciso da Achille, ti* ny bei* omai ai$ na+ pauoy&sa /soy& a$poteunhv&toQ, ``come potroÁ ora vivere dopo questa sciagura, ora che tu te ne sei andato morendo?''. Analogo eÁ il senso del piuÁ raro e$ kunh*skv, detto ad esempio di Tespesio di Soli che ``cadendo dall'alto sul collo, uscõÁ di vita senza che si producesse una ferita, ma in seguito al solo colpo'', katenexuei+ Q ga+r e> j y%coyQ tino+Q ei$ Q tra*xhlon, oy$ genome* noy tray*matoQ, a$lla+ plhgh&Q mo*non, e$ je* uane (Plutarco, I ritardi della vendetta divina). Unh*skv si forma da una radice uan(e)-, con il grado zero alla prima sillaba: da essa derivano anche ua*natoQ, ``morte'', e l'aggettivo a$-ua*natoQ ``immortale''. Il greco conosce anche una forma composta con il suffisso -i-sko- da cui risulta un|*skv, con lo iota sottoscritto. Le espressioni teleyth*, ``fine'', teleyta*v, ``finire'' (cf. Platone, Apologia 21, 28, 41) non sono eufemismi, ma ricorrono spesso in connessione con l'idea di una conclusione onorevole della vita. CosõÁ eÁ nel discorso funebre per i caduti a Cheronea, attribuito a Demostene: kai+ teleyth&sai kalv&Q ma&llon e$ boylh*uhsan h/ zv&nteQ th+n < Ella*da i$ dei& n a$tyxoy&san, ``e preferirono morire onorevolmente piuttosto che, sopravvivendo, vedere la Grecia nella sventura''. 585 Critone 5 Il discorso delle Leggi (50a-54e) Il Critone di Platone si colloca, per la cronologia degli eventi rappresentati, tra l'Apologia e il Fedone, tra il dialogo che rievoca il discorso difensivo di Socrate davanti al tribunale popolare che lo condannoÁ a morte e quello che rappresenta l'ultima giornata di vita del filosofo. Nel Fedone Socrate conversa serenamente con i discepoli, spiegando loro le ragioni che lo portano a credere che l'anima umana sia immortale e che non gli sarebbe avvenuto nulla di grave con l'esecuzione della condanna. In questo dialogo poi, agli amici che, comunque si offrono di aiutarlo per evadere, Socrate risponde pacatamente che, se avesse voluto salvarsi, avrebbe potuto chiedere l'esilio, come pena alternativa: non lo ha fatto perche aveva chiara coscienza di essere innocente e non poteva pensare di proporre per se alcuna pena. Ma soprattutto Socrate spiega a Critone che la sua vita eÁ nata sotto il segno delle leggi della cittaÁ: secondo quelle leggi suo padre ha sposato sua madre, e i genitori lo hanno allevato; in qualche modo egli eÁ figlio delle leggi di Atene prima che dei suoi stessi genitori. D'altronde, se durante la sua vita non fosse stato soddisfatto di quelle leggi, avrebbe potuto in qualsiasi momento andarsene da Atene in un'altra cittaÁ e con altre leggi. L'errore del tribunale eÁ stato commesso da singoli uomini e non dalla cittaÁ non c'eÁ quindi ragione di vendicarsi del torto subito offendendo le leggi e la cittaÁ. Critone deve riconoscere di non aver nulla da replicare a queste ragioni, e Socrate conclude l'incontro invitando se stesso e l'amico ad agire conformemente alla volontaÁ del dio. 50.a. {SV.} \All\ v}de sko*pei. ei$ me* lloysin h<mi& n e$ nue*nde ei> te a$podidra*skein, ei> u\ 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO o%pvQ dei& o$noma*sai toy&to, e$ luo*nteQ oi< no*moi kai+ to+ koino+n th&Q po*levQ e$ pista*nteQ e> rointo " ``Ei$ pe* moi, v# Sv*krateQ, ti* e$ n n{& e> xeiQ poiei& n; a>llo ti h/ toy*t{ 50.b. t{& e> rg{ {} e$ pixeirei& Q diano|& toy*Q te no*moyQ h<ma&Q a$pole*sai kai+ sy*mpasan th+n po*lin to+ so+n me*roQ; h/ dokei& soi oi}o*n te e> ti e$ kei* nhn th+n po*lin ei#nai kai+ mh+ a$natetra*fuai, e$ n |} a/n ai< geno*menai di* kai mhde+ n i$ sxy*vsin a$lla+ y<po+ i$ divtv&n a>kyroi* te gi* gnvntai kai+ diafuei* rvntai;'' ti* e$ roy&men, v# Kri* tvn, pro+Q tay&ta kai+ a>lla toiay&ta; polla+ ga+r a>n tiQ e> xoi, a>llvQ te kai+ r<h*tvr, ei$pei& n y<pe+ r toy*toy toy& no*moy a$pollyme*noy o=Q ta+Q di* kaQ ta+Q dikasuei* saQ prosta*ttei kyri* aQ ei#nai. 50.c. h/ e$ roy&men pro+Q ay$toy+Q o%ti `` $ Hdi* kei ga+r h<ma&Q h< po*liQ kai+ oy$k o$ruv&Q th+n di* khn e> krinen;'' tay&ta h/ ti* e$ roy&men; {KR.} Tay&ta nh+ Di* a, v# Sv*krateQ. {SV.} Ti* oy#n a/n ei> pvsin oi< no*moi " `` #V 50.a. \All\ ... sko*pei, ``ma esamina la questione anche da questo punto di vista''. ± ei$ me*lloysin ... e>rointo, protasi di periodo ipotetico della possibilitaÁ, ``se, mentre stiamo sul punto (me* lloysi, part. dat. concordato con h<mi& n) di scappare da qui, o come bisogna chiamare questo, venendoci incontro le leggi e la cittaÁ tutta (to+ koino+n th&Q po*levQ), mettendosi davanti a noi (e$ pista*nteQ), ci chiedessero''; l'apodosi che segue, dell'obiettivitaÁ, eÁ ti* e$ roy&men, ``cosa risponderemo?''. Da questo punto iniziano a parlare le leggi: si ricordi che quando si introduce a parlare un ente inanimato si ha la cosiddetta ``prosopopea''. ± ti* e$n n{& ... poiei& n, ``cosa intendi fare?''. ± a>llo ti h/ ... diano|&, ``(intendi fare) qualcosa d'altro o ... pensi'', ``forse che non pensi''. ± {} e$pixeirei& Q 4 o= e$ pixeirei& Q, attrazione del relativo. 586 50.b. to+ so+n me*roQ, ``da parte tua'', ``per quanto ti riguarda'': acc. avverbiale di relazione. ± oi} o*n te: sott. ei#nai, ``che sia possibile''. ± kai+ mh+ a$natetra*fuai, ``e non sia sovvertita'': il verbo a$natre* pv propriamente indica il capovolgimento di una nave nel mare in tempesta. ± e$n |} a/n ... i$ sxy*vsin: relativa con valore eventuale, ``in cui le sentenze pronunciate (ai< geno*menai di* kai) non abbiano efficacia (mhde+ n i$ sxy*vsin)''. ± a>kyroi* te gi* gnvntai, ``vengano invalidate'': la climax viene coronata dalla conclusione kai+ diafuei* rvntai. ± a>llvQ te kai+ r<h*tvr, ``soprattutto un uomo politico'': r<h*tvr, nella terminologia della polis, eÁ colui che parla in assemblea. ± ta+Q di* kaQ ... ei# nai, ``impone che le sentenze pronunciate siano valide''; ta+Q di* kaQ ta+Q dikasuei* saQ eÁ figura etymologica? e tutti i termini che qui ricorrono sono tecnici del linguaggio giuridico. 50.c. h/ e$roy&men ...: qui Socrate prospetta, per confutarlo, il punto di vista implicito nella proposta di Critone. _ tay&ta h/ ti* e$roy&men: ``questo o che altro diremo?'': Socrate propone la sua domanda in termini alternativi per obbligare il suo interlocutore a chiarire la sua intenzione. ± Ti* oy#n ... oi< no*moi, ``E che diremo (e$ roy&men, sottinteso) dunque, se le leggi ci chiedessero'': il periodo ipotetico eÁ dell'eventualitaÁ. ± h#: ``forse non'', come il latino nonne, per introdurre una interrogativa retorica che sollecita una risposta positiva; per maggiore effetto espressivo la particella eÁ ripetuta due volte; kai+ tay&ta ... soi* , ``anche questo era stato convenuto da noi e da te''; h<mi& n e soi* sono dativi di agente. 50.e. ei# en, ``bene'': formula prosecutiva. ± prv&ton me*n: prosegue qui la serie delle argomentazioni che mostrano che Socrate, uomo e cittadino, come giaÁ i suoi antenati (ay$to*Q te kai+ oi< soi+ pro*gonoi), dipende interamente per la sua stessa esistenza e per il suo status dalle leggi che ordinano la cittaÁ e le sue istituzioni. ± a#r\ e$j i> soy ... h<mi& n, ``credi tu che la situazione di diritto sia alla pari per te e per noi''; quindi Socrate non potraÁ nemmeno replicare a un torto che gli fosse eventualmente fatto dalla cittaÁ. ± ei> soi v/n e$ty*gxanen, ``se ne avessi uno''. ± kakv&Q a$koy*onta a$ntile*gein, ``replicare con male parole se offeso''. 51.a-b. L'argomentazione prosegue mostrando che il cittadino non potraÁ mai ricambiare male per male alla cittaÁ, perche non si trova in una posizione giudica equivalente a essa. _ o< t|& a$lhuei* @ ... e$pimelo*menoQ, ``tu che davvero testi 50.d. oy$: particella che introduce una interrogazione retorica, come , ``non eÁ forse vero che?''; h<mei& Q, enfatico, ``siamo stati noi che'': le leggi che nella polis istituiscono il matrimonio sono la prima causa che rendono possibile la nascita civile, oltre a quella biologica, degli individui. ± toy*toiQ ... me*mf| ti ... e>xoysin, ``a queste leggi tra noi relative alle nozze hai qualche critica da rivol- gere, che non sono ben fatte'' e (qui e> xv ha valore intransitivo, ``stare''). ± a$lla+ toi& Q ... sott. no*moiQ. Critone e$mmenei& n tai& Q di* kaiQ ai} Q, lett. ``che saremmo stati fermi alle sentenze che la cittaÁ eventualmente pronunci'', quindi ``avremmo accettato le sentenze ...''; tai& Q di* kaiQ ai}Q eÁ attrazione del relativo. ± ei$ ... uayma*zoimen ... a/n ei> poien: periodo ipotetico della possibilitaÁ; lego*ntvn eÁ part. predicativo di ay$tv&n. ± e$peidh+ ... a$pokri* nesuai, ``giacche sei solito (ei> vuaQ) praticare il far domande e rispondere'': richiamo provocatorio al metodo di Socrate di procedere nell'indagine attraverso un dibattito continuo per domande e risposte. ± ti* e$gkalv&n ... a$polly*nai, lett. ``che cosa rimproverando ... ti accingi a distruggerci''. _ Platone Sv*krateQ, h# kai+ tay&ta v<molo*ghto h<mi& n te kai+ soi* , h/ e$ mmenei& n tai& Q di* kaiQ ai}Q a/n h< po*liQ dika*z|;'' ei$ oy#n ay$tv&n uayma*zoimen lego*ntvn, i> svQ a/n ei> poien o%ti `` # V Sv*krateQ, mh+ uay*maze ta+ lego*mena a$ll\ a$pokri* noy, e$ peidh+ kai+ ei> vuaQ xrh&suai t{& e$ rvta&n te kai+ a$pokri* nesuai. fe* re ga*r, ti* e$ gkalv&n 50.d. h<mi& n kai+ t|& po*lei e$ pixeirei& Q h<ma&Q a$polly*nai; oy$ prv&ton me* n se e$ gennh*samen h<mei& Q, kai+ di\ h<mv&n e> labe th+n mhte* ra soy o< path+r kai+ e$ fy*teyse*n se; fra*son oy#n, toy*toiQ h<mv&n, toi& Q no*moiQ toi& Q peri+ toy+Q ga*moyQ, me* mf| ti v<Q oy$ kalv&Q e> xoysin;'' ``Oy$ me* mfomai,'' fai* hn a>n. `` $Alla+ toi& Q peri+ th+n toy& genome* noy trofh*n te kai+ paidei* an e$n |} kai+ sy+ e$ paidey*uhQ; h/ oy$ kalv&Q prose*tatton h<mv&n oi< e$ pi+ toy*t{ tetagme* noi no*moi, paragge*llonteQ t{& patri+ t{& s{& se e$ n 50.e. moysik|& kai+ gymnastik|& paidey*ein;'' ``Kalv&Q,'' fai* hn a>n. ``Ei#en. e$ peidh+ de+ e$ ge*noy te kai+ e$ jetra*fhQ kai+ e$ paidey*uhQ, e> xoiQ a/n ei$ pei& n prv&ton me+ n v<Q oy$xi+ h<me* teroQ h#sua kai+ e> kgonoQ kai+ doy&loQ, ay$to*Q te kai+ oi< soi+ pro*gonoi; kai+ ei$ toy&u\ oy%tvQ e> xei, a#r\ e$j i> soy oi> ei ei#nai soi+ to+ di* kaion kai+ h<mi& n, kai+ a%tt\ a/n h<mei& Q se e$ pixeirv&men poiei& n, kai+ soi+ tay&ta a$ntipoiei& n oi> ei di* kaion ei#nai; h/ pro+Q me+n a>ra soi to+n pate* ra oy$k e$ j i> soy h#n to+ di* kaion kai+ pro+Q despo*thn, ei> soi v/n e$ ty*gxanen, v%ste a%per pa*sxoiQ tay&ta kai+ a$ntipoiei& n, oy>te kakv&Q a$koy*onta 51.a. a$ntile* gein oy>te typto*menon a$ntity*ptein oy>te a>lla toiay&ta polla* " pro+Q de+ th+n patri* da a>ra kai+ toy+Q no*moyQ e$ je*stai soi, v%ste, e$ a*n se e$ pixeirv&men h<mei& Q a$polly*nai di* kaion h<goy*menoi ei#nai, kai+ sy+ de+ h<ma&Q toy+Q no*moyQ kai+ th+n patri* da kau\ o%son dy*nasai e$ pixeirh*seiQ a$ntapolly*nai, kai+ fh*seiQ tay&ta poiv&n di* kaia pra*ttein, o< t|& a$lhuei* @ th&Q a$reth&Q e$ pimelo*menoQ; h/ oy%tvQ ei# sofo+Q v%ste le* lhue* n se o%ti mhtro*Q te kai+ patro+Q kai+ tv&n a>llvn progo*nvn a<pa*ntvn timiv*tero*n e$ stin patri+ Q kai+ semno*teron kai+ a<giv*teron 51.b. kai+ e$ n mei* zoni moi* r@ kai+ para+ ueoi& Q kai+ par\ a$nurv*poiQ toi& Q noy&n e> xoysi, kai+ se* besuai dei& kai+ ma&llon y<pei* kein kai+ uvpey*ein patri* da xalepai* noysan h/ pate* ra, kai+ h/ pei* uein h/ poiei& n a= a/n keley*|, kai+ pa*sxein e$ a*n ti prosta*tt| pauei& n h<syxi* an a>gonta, e$ a*nte ty*ptesuai ti preoccupi sempre della virtuÁ'': l'espressione eÁ ironica, giacche se Socrate decidesse di ricambiare male con male alla cittaÁ sarebbe in assoluta contraddizione con cioÁ che ha sempre proclamato di essere. ± h/ oy%tvQ ... o%ti, ``oppure sei tanto saggio che ti eÁ sfuggito (le* lhue* n se) il fatto che ...'': l'alternativa all'esser disonesto sarebbe l'ignorare cioÁ di cui tutta la vita Socrate si occupato, la ricerca della sofi* a. ± timiv*teron ... e>xoysi: la frase eÁ costruita in crescendo (climax), e anche le determinazioni divengono sempre piuÁ corpose secondo lo stesso criterio; si noti la concordanza dell'appellativo neutro (timiv*teron) con un sostantivo femminile (patri* Q) e le locuzioni e$ n mei* zoni moi* r@, ``in maggior considerazione'' e toi& Q noy&n e> xoysi, ``assennati''. ± se*besuai ... y<pei* kein ... uvpey*ein, ``venerare ... inchinarsi ... rendere omaggio'': i tre verbi puntualizzano l'atteggiamento deferente del cittadino verso la patria. ± xalepai* noysan, ``quando eÁ in collera'', part. congiunto. ± e$a*n ti prosta*tt| ... e$a*nte ei$ Q po*lemon a>g|, ``sia che imponga di su- 587 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO e$ a*nte dei& suai, e$ a*nte ei$ Q po*lemon a>g| trvuhso*menon h/ a$pouanoy*menon, poihte* on tay&ta, kai+ to+ di* kaion oy%tvQ e> xei, kai+ oy$xi+ y<peikte* on oy$de+ a$naxvrhte* on oy$de+ leipte*on th+n ta*jin, a$lla+ kai+ e$ n pole* m{ kai+ e$ n dikasthri* { kai+ pantaxoy& poihte* on a= a/n keley*| h< 51.c. po*liQ kai+ h< patri* Q, h/ pei* uein ay$th+n |} to+ di* kaion pe* fyke " bia*zesuai de+ oy$x o%sion oy>te mhte* ra oy>te pate*ra, poly+ de+ toy*tvn e> ti h}tton th+n patri* da;'' ti* fh*somen pro+Q tay&ta, v# Kri* tvn; a$lhuh& le* gein toy+Q no*moyQ h/ oy>; {KR.} > Emoige dokei& . {SV.} ``Sko*pei toi* nyn, v# Sv*krateQ,'' fai& en a/n i> svQ oi< no*moi, ``ei$ h<mei& Q tay&ta a$lhuh& le*gomen, o%ti oy$ di* kaia h<ma&Q e$ pixeirei& Q dra&n a= ny&n e$ pixeirei& Q. h<mei& Q ga*r se gennh*santeQ, e$ kure* canteQ, paidey*santeQ, metado*nteQ a<pa*ntvn v}n oi}oi* t\ 51.d. h#men kalv&n soi+ kai+ toi& Q a>lloiQ pa&sin poli* taiQ, o%mvQ proagorey*omen t{& e$ joysi* an pepoihke*nai \Auhnai* vn t{& boylome*n{, e$ peida+n dokimasu|& kai+ i> d| ta+ e$ n t|& po*lei pra*gmata kai+ h<ma&Q toy+Q no*moyQ, {} a/n mh+ a$re* skvmen h<mei& Q, e$jei& nai labo*nta ta+ ay<toy& a$pie* nai o%poi a/n boy*lhtai. kai+ oy$dei+ Q h<mv&n tv&n no*mvn e$ mpodv*n e$ stin oy$d\ a$pagorey*ei, e$ a*nte tiQ boy*lhtai y<mv&n ei$ Q a$poiki* an i$ e* nai, ei$ mh+ a$re*skoimen h<mei& Q te kai+ h< po*liQ, e$ a*nte metoikei& n a>llose* poi e$ luv*n, i$ e* nai e$ kei& se o%poi 51.e. a/n boy*lhtai, e> xonta ta+ ay<toy&. o=Q d\ a/n y<mv&n paramei* n|, o<rv&n o=n tro*pon h<mei& Q ta*Q te di* kaQ dika*zomen kai+ ta#lla th+n po*lin dioikoy&men, h>dh fame+ n toy&ton v<mologhke* nai e> rg{ h<mi& n a= a/n h<mei& Q keley*vmen poih*sein tay&ta, kai+ to+n mh+ peiuo*menon trix|& famen a$dikei& n, o%ti te gennhtai& Q oy#sin h<mi& n oy$ pei* uetai, kai+ o%ti trofey&si, kai+ o%ti o<mologh*saQ h<mi& n pei* sesuai oy>te pei* uetai oy>te pei* uei h<ma&Q, ei$ mh+ kalv&Q ti poioy&men, 52.a. protiue* ntvn h<mv&n kai+ oy$k a$gri* vQ e$ pitatto*ntvn poiei& n a= a/n keley*vmen, a$lla+ e$ fie* ntvn dyoi& n ua*tera, h/ pei* uein h<ma&Q h/ poiei& n, toy*tvn bire alcuncheÂ, standosene tranquillo (h<syxi* an a>gonta), sia che (imponga) di ricevere percosse o di essere incarcerato, sia che ti conduca in guerra'': la serie delle protasi dell'eventualitaÁ insiste sulla necessitaÁ della sottomissione a qualsiasi comando che venga dalla patria, senza reagire; h<syxi* an a>gonta: part. congiunto concordato con il sogg. inespresso di pa*sxein. ± trvuhso*menon h/ a$pouanoy*menon, part. fut. con valore finale, il primo passivo da titrv*skv, il secondo da a$pounh*skv ``perche tu sia ferito o muoia''± kai+ oy$xi+ y<peikte*on ... poihte*on a= a/n keley*| h< po*liQ, ``non bisogna cedere ne ritirarsi ne abbandonare il posto di combattimento, ma ... bisogna fare ...'': altra serie di imperativi di azioni doverose per il cittadino, in negativo e in positivo. 51.c. h< po*liQ kai+ h< patri* Q, ``la cittaÁ che eÁ la tua patria'': coppia sinonimica con valore di endiadi. ± |} to+ di* kaion pe*fyke, ``come eÁ per natura la giustizia'': il comportamento nei confronti della patria non eÁ dettato dal no*moQ, come sostenevano i sofisti, ma dalla fy*siQ. ± bia*zesuai ... o%sion, ``non eÁ lecito far violenza'', in quanto offende la giustizia divina, oy$x o%sion, trattandosi dei legami piuÁ sacri, e ancora una volta la 588 patria, piuÁ sacra del padre e della madre. ± poly+ de+ toy*tvn e>ti h}tton (sott. bia*zesuai) th+n patri* da: toy*tvn eÁ secondo termine di paragone. ± a$lhuh& le*gein: sott. fh*somen. ± o%ti oy$ ... e$pixeirei& Q, ``che non sono giuste le azioni che ora ti accingi a fare nei nostri riguardi'', ma nel greco dra&n eÁ costruito con due accusativi, della cosa (a=, di cui di* kaia eÁ predicativo) e della persona, h<ma&Q; quindi letteralmente sarebbe ``che non ti accingi a far cose giuste a noi, quelle che (a=) ti accingi ora a fare''. ± metado*nteQ ... toi& Q a>lloiQ, ``che abbiamo reso partecipi di tutti i beni che potevamo te e gli altri...'': la costruzione del verbo eÁ metadi* dvmi* tini* tinoQ, ``rendere partecipe qualcuno di qualcosa'', con il gen. partitivo della cosa di cui si rende qualcuno partecipe, e il dativo di termine di quest'ultimo; inoltre l'antecedente del relativo (kalv&n) eÁ stato attratto dentro la relativa. 51.d. proagorey*omen, ``dichiariamo pubblicamente''. ± t{& ... boylome*n{, ``a chi voglia''. ± e$peida+n dokimasu|&, ``dopo che sia stato iscritto nel registro dei cittadini'': la dokimasi* a era un esame in cui uno doveva dimostrare sia la legittimitaÁ della sua nascita sia quella del suo comportamento nei confronti degli obblighi verso la cittaÁ. ± {} a/n mh+ ... h<mei& Q, ``al quale noi non siamo gradite'', relativa con il cong. eventuale. ± e$jei& nai ... boy*lhtai, ``che gli eÁ possibile andarsene, una volta prese le proprie cose, dove voglia'', e$ jei& nai eÁ infinito retto da proagorey*omen. ± kai+ oy$dei+ Q ... a$pagorey*ei ... metoikei& n, ``nessuna di noi leggi eÁ d'ostacolo o impedisce che uno vada laÁ ... sia che uno di voi desideri andare in una colonia ... sia vivere da meteco ... ''. _ a>llose* poi e$luv*n ``recandosi da qualche parte altrove'': meteco era uno straniero residente in una cittaÁ. 51.e. o%Q ... toy&ton, anticipazione del relativo; ``colui di voi che rimanga ... diciamo che questo''. ± o=n tro*pon, ``in che modo'', acc. di relazione; ta*Q te di* kaQ dika*zomen: figura etymologica?; ta#lla, ``quanto al resto'', altro acc. di relazione. ± gennhtai& Q, come trofey&si, eÁ predicativo di oy#sin, part. congiunto concordato con h<mi& n, dat. retto da pei* uetai. ± pei* uei, ``cerca di convincere'', pres. di conato. 52.a. protiue*ntvn h<mv&n kai+ ... e$pitatto*ntvn poiei& n ... a$lla+ e$fie*ntvn, ``sebbene noi gli proponiamo ... e non gli ordiniamo rudemente (a$gri* vQ), ma gli sottoponiamo'': gen. assoluti con valore con- 52.b. toy*tvn: prolettico della dichiarativa o%ti h$re* skomen, ``che ti piacevamo'', ``che eravamo approvati da te''. _ tv&n a>llvn ... diafero*ntvQ, ``molto piuÁ che tutti gli altri Ateniesi''. ± e$pi+ uevri* an, ``per assistere a una festa''. _ o%ti mh+ a%paj ``se non una sola volta''. do che la cittaÁ ti piaceva'': causale soggettiva con v<Q e il gen. assoluto. ± fygh&Q timh*sasuai, ``proporre per te la pena dell'esilio''; il verbo indica che si faceva una specie di valutazione comparativa tra la pena proposta dall'accusatore e quella proposta dall'accusato. ± kai+ o%per ... poih&sai ``e (ti era possibile) fare allora, essendo la cittaÁ disponibile, cioÁ che ora tenti contro la volontaÁ della cittaÁ''. _ e$kallvpi* zoy ... teuna*nai se, ``ti facevi bello, facendo capire che (v<Q con il part.) non te la saresti presa se tu avessi dovuto morire''. ± e$pixeirv&n diafuei& rai, ``accingendoti ad annientarci''. 52.c. oy%tv ... |<roy&, ``cosõÁ fortemente ci amavi'', propr. ``ci sceglievi'' (ai< re* v); kau\ h<ma&Q, ``conformemente a noi''. ± v<Q 52.d. a%per a/n ... pra*jeien, ``cioÁ che farebbe lo schiavo piuÁ spregevole''. _ para+ ta+Q ... o<mologi* aQ, ``contro i patti testi a$reskoy*shQ soi th&Q po*levQ, ``mostran- Critone cessivo. ± tay*taiQ ... e$ne*jesuai, ``proprio in queste accuse diciamo che tu, Socrate, ti troverai coinvolto''. ± o%ti e$n toi& Q ... o<mologi* an, ``che mi trovo ad aver convenuto questo accordo piuÁ di qualsiasi altro Ateniese'' (lett. ``tra quelli degli Ateniesi che piuÁ [lo hanno convenuto]); l'argomento eÁ marcato dalla figura etymologica v<mologhkv+Q ... th+n o<mologi* an. Platone oy$de* tera poiei& . tay*taiQ dh* famen kai+ se* , v# Sv*krateQ, tai& Q ai$ ti* aiQ e$ ne* jesuai, ei> per poih*seiQ a= e$ pinoei& Q, kai+ oy$x h%kista \Auhnai* vn se* , a$ll\ e$ n toi& Q ma*lista.'' ei$ oy#n e$ gv+ ei> poimi " ``Dia+ ti* dh*;'' i> svQ a>n moy dikai* vQ kaua*ptointo le* gonteQ o%ti e$ n toi& Q ma*lista \Auhnai* vn e$ gv+ ay$toi& Q v<mologhkv+Q tygxa*nv tay*thn th+n o<mologi* an. fai& en ga+r a/n o%ti 52.b. # V Sv*krateQ, mega*la h<mi& n toy*tvn tekmh*ria* e$ stin, o%ti soi kai+ h<mei& Q h$re* skomen kai+ h< po*liQ " oy$ ga+r a>n pote tv&n a>llvn \Auhnai* vn a<pa*ntvn diafero*ntvQ e$ n ay$t|& e$ pedh*meiQ ei$ mh* soi diafero*ntvQ h>resken, kai+ oy>t\ e$ pi+ uevri* an pv*pot\ e$ k th&Q po*levQ e$ jh&lueQ, o%ti mh+ a%paj ei$ Q \Isumo*n, oy>te a>llose oy$damo*se, ei$ mh* poi strateyso*menoQ, oy>te a>llhn a$podhmi* an e$ poih*sv pv*pote v%sper oi< a>lloi a>nurvpoi, oy$d\ e$ piuymi* a se a>llhQ po*levQ oy$de+ a>llvn no*mvn e> laben ei$ de* nai, a$lla+ h<mei& Q 52.c. soi i< kanoi+ h#men kai+ h< h<mete* ra po*liQ " oy%tv sfo*dra h<ma&Q |<roy& kai+ v<molo*geiQ kau\ h<ma&Q politey*sesuai, ta* te a>lla kai+ pai& daQ e$n ay$t|& e$poih*sv, v<Q a$reskoy*shQ soi th&Q po*levQ. e> ti toi* nyn e$n ay$t|& t|& di* k| e$ jh&n soi fygh&Q timh*sasuai ei$ e$ boy*loy, kai+ o%per ny&n a$koy*shQ th&Q po*levQ e$ pixeirei& Q, to*te e< koy*shQ poih&sai. sy+ de+ to*te me+ n e$ kallvpi* zoy v<Q oy$k a$ganaktv&n ei$ de* oi teuna*nai se, a$lla+ |<roy&, v<Q e> fhsua, pro+ th&Q fygh&Q ua*naton " ny&n de+ oy>t\ e$ kei* noyQ toy+Q lo*goyQ ai$ sxy*n|, oy>te h<mv&n tv&n no*mvn e$ ntre* p|, e$ pixeirv&n diafuei& rai, pra*tteiQ 52.d. te a%per a/n doy&loQ o< faylo*tatoQ pra*jeien, a$podidra*skein e$ pixeirv&n para+ ta+Q synuh*kaQ te kai+ ta+Q o<mologi* aQ kau\ a=Q h<mi& n syne* uoy politey*esuai. prv&ton me+ n oy#n h<mi& n toy&t\ ay$to+ a$po*krinai, ei$ a$lhuh& le* gomen fa*skonte*Q se v<mologhke* nai politey*sesuai kau\ h<ma&Q e> rg{ a$ll\ oy$ lo*g{, h/ oy$k a$lhuh&.'' ti* fv&men pro+Q tay&ta, v# Kri* tvn; a>llo ti h/ o<mologv&men; {KR.} \Ana*gkh, v# Sv*krateQ. {SV.} `` >Allo ti oy#n,'' a/n fai& en, ``h/ synuh*kaQ ta+Q pro+Q 52.e. h<ma&Q ay$toy+Q kai+ o<mologi* aQ parabai* neiQ, oy$x y<po+ a$na*gkhQ o<mologh*saQ oy$de+ a$pathuei+ Q oy$de+ e$ n o$li* g{ xro*n{ a$nagkasuei+ Q boyley*sasuai, a$ll\ e$ n e> tesin e< bdomh*konta, e$ n oi}Q e$ jh&n soi a$pie* nai, ei$ mh+ h$re* skomen h<mei& Q mhde+ di* kaiai e$ fai* nonto* soi ai< o<mologi* ai ei#nai. sy+ de+ oy>te Lakedai* mona pro|roy& oy>te Krh*thn, a=Q dh+ e< ka*stote f|+Q ey$nomei& suai, oy>te a>llhn oy$demi* an 53.a. tv&n < Ellhni* dvn po*levn oy$de+ tv&n barbarikv&n, a$lla+ e$ la*ttv e$ j ay$th&Q a$pedh*mhsaQ h/ oi< xvloi* te kai+ tyfloi+ kai+ oi< a>lloi a$na*phroi " e gli accordi''. ± kau\ a=Q ... politey*esuai, ``secondo i quali concordasti con noi (syne* uoy, aor. III di synti* uhmi) di vivere da cittadino. ± a$po*krinai, ei$ ... fa*skonteQ, ``rispondi, se diciamo la veritaÁ quando diciamo ...''; ei$ introduce una interrrogativa indiretta, fa*skonteQ eÁ part. congiunto con valore temporale. ± ti* fv&men, ``che dovremmo dire?'', cong. dubitativo, come o<mologv&men. ± a>llo ti oy#n ... parabai* neiQ, ``tu fai altro, direbbero, se non violare i patti e gli accordi nei confronti di noi stessi'', lett. ``qualcosa d'altro (sott. `tu fai') se non violi ...''. 52.e. e$n oi} Q ... a$pie*nai ``nei quali ti sarebbe stato possibile'': e$ jh&n eÁ potenziale del passato. 53.a. e$la*ttv ... a$na*phroi, ``ti sei allon- 589 oy%tv soi diafero*ntvQ tv&n a>llvn \Auhnai* vn h>resken h< po*liQ te kai+ h<mei& Q oi< no*moi dh&lon o%ti " ti* ni ga+r a/n po*liQ a$re* skoi a>ney no*mvn; ny&n de+ dh+ oy$k e$ mmenei& Q toi& Q v<mologhme* noiQ; e$ a+n h<mi& n ge pei* u|, v# Sv*krateQ " kai+ oy$ katage* lasto*Q ge e> s| e$ k th&Q po*levQ e$ jeluv*n. ``Sko*pei ga+r dh*, tay&ta paraba+Q kai+ e$ jamarta*nvn ti toy*tvn ti* a$gauo+n e$ rga*s| sayto+n h/ toy+Q e$ pithdei* oyQ toy+Q 53.b. saytoy&. o%ti me+ n ga+r kindyney*soysi* ge* soy oi< e$ pith*deioi kai+ ay$toi+ fey*gein kai+ sterhuh&nai th&Q po*levQ h/ th+n oy$si* an a$pole* sai, sxedo*n ti dh&lon " ay$to+Q de+ prv&ton me+ n e$ a+n ei$ Q tv&n e$ ggy*tata* tina po*levn e> lu|Q, h/ Uh*baze h/ Me*gara*de ey$nomoy&ntai ga+r a$mfo*terai, pole* mioQ h%jeiQ, v# Sv*krateQ, t|& toy*tvn politei* @, kai+ o%soiper kh*dontai tv&n ay<tv&n po*levn y<poble* contai* se diafuore* a h<goy*menoi tv&n no*mvn, kai+ bebaiv*seiQ toi& Q dikastai& Q th+n do*jan, v%ste dokei& n o$ruv&Q th+n 53.c. di* khn dika*sai " o%stiQ ga+r no*mvn diafuorey*Q e$ stin sfo*dra poy do*jeien a/n ne* vn ge kai+ a$noh*tvn a$nurv*pvn diafuorey+Q ei#nai. po*teron oy#n fey*j| ta*Q te ey$nomoyme*naQ po*leiQ kai+ tv&n a$ndrv&n toy+Q kosmivta*toyQ; kai+ toy&to poioy&nti a#ra a>jio*n soi zh&n e> stai; h/ plhsia*seiQ toy*toiQ kai+ a$naisxynth*seiQ dialego*menoQ ti* naQ lo*goyQ, v# Sv*krateQ; h/ oy%sper e$ nua*de, v<Q h< a$reth+ kai+ h< dikaiosy*nh plei* stoy a>jion toi& Q a$nurv*poiQ kai+ ta+ no*mima kai+ oi< no*moi; kai+ oy$k oi> ei a>sxhmon [a/n] 53.d. fanei& suai to+ toy& Svkra*toyQ pra&gma; oi> esuai* ge xrh*. a$ll\ e$k me+ n toy*tvn tv&n to*pvn a$parei& Q, h%jeiQ de+ ei$ Q Uettali* an para+ toy+Q je* noyQ toy+Q Kri* tvnoQ; e$ kei& ga+r dh+ plei* sth a$taji* a kai+ a$kolasi* a, kai+ i> svQ a/n h<de* vQ soy a$koy*oien v<Q geloi* vQ e$ k toy& desmvthri* oy a$pedi* draskeQ skeyh*n te* tina periue* menoQ, h/ difue*ran labv+n h/ a>lla oi}a dh+ ei$ v*uasin e$ nskeya*zesuai oi< a$podidra*skonteQ, kai+ to+ sxh&ma to+ saytoy& metalla*jaQ " o%ti de+ ge*rvn a$nh*r, smikroy& xro*noy t{& bi* { loipoy& o>ntoQ v<Q to+ 53.e. ei$ ko*Q, e$ to*lmhsaQ oy%tv gli* sxrvQ e$ piuymei& n zh&n, no*moyQ toy+Q megi* stoyQ paraba*Q, oy$dei+ Q o=Q e$ rei& ; i> svQ, a/n mh* tina lyp|&Q " ei$ de+ mh*, a$koy*s|, v# Sv*krateQ, polla+ kai+ a$na*jia saytoy&. y<perxo*menoQ dh+ biv*s| pa*ntaQ a$nurv*poyQ kai+ doy- 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO tanatodaessamenocheglizoppieiciechi e gli altri menomati''. ± dh&lon o%ti, ``evidentemente''. ± ny&n de+ dh+ ... v<mologhme*noiQ, ``ora dunque non resterai fedele agli accordi convenuti''. _ sko*pei: ogni volta unanuovaseriediargomentazionisiapre con questo imperativo. 53.b. o%ti me+n ... dh&lon, ``eÁ piuttosto evidente che i tuoi cari rischieranno di essere esuli ed essere privati della cittaÁ o di perdere i beni'': la dichiarativa o%ti me+n ... a$pole* sai eÁ anticipata per prolessi rispetto alla principale sxedo*n ti dh&lon. _ ey$nomoy&ntai ga+r a$mfo*terai: l'una e l'altra avevano governi aristocratici, e questo dato eÁ significativo per le tendenze politiche di Platone, piuttosto che per quelle di Socrate. ± o%soiper ... y<poble*contai* se , ``quanti hanno cura delle loro cittaÁ ti guarderanno con sospetto''. 53.c-d. o%stiQ ga+r no*mvn ... ei# nai, ``infatti chiunque eÁ corruttore delle leggi, potrebbe senz'altro apparire di essere corruttore dei giovani e degli uomini insensati'': il Socrate platonico non esita a 590 ricordare la sua vicenda privata. ± kai+ a$naisxynth*seiQ dialego*menoQ, ``avrai la sfrontatezza di pronunciare''. ± ti* naQ lo*goyQ: la figura dell'aposiopesi? sospende il periodo, giacche le Leggi si mostrano imbarazzate a dire quali discorsi mai Socrate potrebbe pubblicamente rivolgere ai suoi nuovi interlocutori. _ h/ oy%sper e$nua*de, l'ipotesi che Socrate possa ricominciare a parlare degli argomenti di cui parlava ad Atene ± indicati nella seguente dichiarativa epesegetica v<Q h< a$reth+ ... kai+ oi< no*moi ± appare decisamente inaccettabile, e in tal caso il comportamento di Socrate (to+ toy& ... pra&gma) apparirebbe decisamente indecoroso (a>sxhmon). _ a$ll\ ... h%jeiQ: in alternativa alla prima prospettiva. Socrate, potrebbe recarsi in un paese in preda all'anarchia, come la Tessaglia, dove Critone ha degli amici cui ha accennato in precedenza. ± plei* sth a$taji* a kai+ a$kolasi* a, ``disordine e scostumatezza''. ± skeyh*n te* tina, ``un travestimento''. ± oi< a$podidra*skonteQ, ``gli schiavi fuggiaschi''. ± smikroy& ... v<Q to+ ei$ ko*Q, ``sebbene verosimilmente (v<Q to+ ei$ ko*Q) ti resti poco tempo da vive- re'': gen. assoluto con valore concessivo. 53.e. e$to*lmhsaQ ... paraba*Q, ``hai osato attaccarti cosõÁ viscosamente (gli* sxrvQ) al desiderio di vivere, violando le leggi piuÁ sacre''. ± oy$dei+ Q ... e$rei& , ''non ci saraÁ nessuno che diraÁ?'', eÁ la principale che regge la dichiarativa o%ti ... e$ to*lmhsaQ che eÁ anticipata. ± i> svQ, a/n mh* tina lyp|&Q, ``forse, se non darai fastidio a qualcuno''. ± y<perxo*menoQ ... doyley*vn, ``vivrai chinando il capo davanti a tutti gli uomini e servendoli'': continua l'immagine della sottomissione dell'uomo che si esclude dalla comunitaÁ civile in cui eÁ nato, la polis, e che diventa simile all'essere piuÁ vile, appunto lo schiavo. ± ti* poiv&n h>, lett. ``facendo che cosa, se non''. ± ey$vxoy*menoQ, ``passando il tempo in banchetti'', quindi al servizio del ventre e non piuÁ dell'anima. _ v%sper ... ei$ Q Uettali* an, ``come se tu te ne fossi andato all'estero (a$podedhmhkv+Q), in Tessaglia, per un banchetto''. ± y<perxo*menoQ ... doyle*yvn, ``vivrai cercando di ingraziarti tutti gli uomini e facendo il servo''. 54.b-c. oi> esuai* ge xrh*, ``bisogna pur crederlo'': apodosi del periodo ipotetico dell'oggettivitaÁ introdotto dalla protasi ei> per ... e$ stin. ± a$ll\, v# ... pro+ toy& dikai* oy: inizia qui la perorazione del discorso delle Leggi; a$ll(a*): la congiunzione eÁ conclusiva e non avversativa; peiuo*menoQ: part. congiunto; ± h<mi& n toi& Q soi& Q trofey&si, ``a noi che ti abbiamo allevato''; mh*te pai& daQ ... poioy&, ``non tenere in maggior conto ne ...''; il medio poioy& eÁ di interesse, mentre peri+ plei* onoQ eÁ complemento di stima, in forma comparativa alla quale corrisponde il secondo termine di paragone pro+ toy& dikai* oy, ``in confronto alla giustizia''. _ i% na ei$ Q A % idoy e$luv+n e>x|Q, ``perche giungendo nell'Ade tu possa''; a$pologh*sasuai, inf. retto da e> x|Q, da cui dipende il dat. di termine toi& Q e$ kei& a>rxoysin, ``a quelle (leggi) che governano laÁ''. _ oy>te ga+r ... a>meinon ei# nai, ``infatti mentre ti trovi qui (e$ nua*de) non ti sembra che sia meglio se agisci cosõÁ (tay&ta pra*ttonti, part. congiunto con valore ipotetico)''; e$ kei& se a$fikome*n{, ``una volta che tu sia giunto laÁ'', altro part. congiunto. ± a$lla+ ny&n me+n ... y<p\ a$nurv*pvn, testi dono le apodosi e$ pimelh*sontai ... oy$xi+ e$ pimelh*sontai. ± ei> per ge* ti ... e$stin, ``sõÁ, se almeno c'eÁ qualche utilitaÁ ...''. Critone 54a. lo*goi ... h<mi& n e>sontai, ``e che fine avranno fatto per noi quei discorsi sulla giustizia e tutte le altre forme della virtuÁ?'': se Socrate decidesse di sottrarsi alla condanna fuggendo lontano da Atene, si troverebbe in contraddizione con se stesso e con tutta la sua vita passata. ± a$lla+ ... paidey*s|Q: il discorso delle Leggi affronta ora uno dei punti piuÁ commoventi delle argomentazione di Critone, che aveva pregato Socrate di salvarsi per non abbandonare i suoi figli; ma anche per amore dei figli egli non deve negare ora l'esempio dell'obbedienza alle leggi. ± ei$ Q Uettali* an ... poih*saQ: anzitutto Socrate non puoÁ pensare di poter educare i figli portandoli fuori della cittaÁ; i% na ... a$polay*svsin, ``perche godano anche di questo''. Diversamente interpreta Savino: sarcasmo. ± ay$toy&, ``laÁ'', in Tessaglia; soy& zv&ntoQ ``mentre tu sei vivo'' gen. assoluto con valore temporale, mentre mh+ syno*ntoQ soy& ha valore concessivo, e ay$toi& Q eÁ dat. sociativo richiesto dal preverbio di syno*ntoQ. ± e$pimelh*sontai ay$tv&n, ``si prenderanno cura di loro''. ± po*teron ... e$pimelh*sontai: la struttura interrogativa retorica introdotta da po*teron eÁ scandita dalle due protasi di periodi ipotetici dell'eventualitaÁ e$ a+n me+ n ... e$ a+n de* , cui corrispon- Platone ley*vn ti* poiv&n h/ ey$vxoy*menoQ e$ n Uettali* @, v%sper e$ pi+ dei& pnon a$podedhmhkv+Q ei$ Q Uettali* an; 54.a. lo*goi de+ e$ kei& noi oi< peri+ dikaiosy*nhQ te kai+ th&Q a>llhQ a$reth&Q poy& h<mi& n e> sontai; a$lla+ dh+ tv&n pai* dvn e% neka boy*lei zh&n, i% na ay$toy+Q e$ kure* c|Q kai+ paidey*s|Q; ti* de* ; ei$ Q Uettali* an ay$toy+Q a$gagv+n ure* ceiQ te kai+ paidey*seiQ, je* noyQ poih*saQ, i% na kai+ toy&to a$polay*svsin; h/ toy&to me+n oy>, ay$toy& de+ trefo*menoi soy& zv&ntoQ be* ltion ure* contai kai+ paidey*sontai mh+ syno*ntoQ soy& ay$toi& Q; oi< ga+r e$ pith*deioi oi< soi+ e$ pimelh*sontai ay$tv&n. po*teron e$ a+n me+ n ei$ Q Uettali* an a$podhmh*s|Q, e$ pimelh*sontai, e$ a+n de+ ei$ Q %Aidoy a$podhmh*s|Q, oy$xi+ e$ pimelh*sontai; ei> per ge* ti o>feloQ ay$tv&n 54.b. e$ stin tv&n soi fasko*ntvn e$ pithdei* vn ei#nai, oi> esuai* ge xrh*.'' A $ ll\, v# Sv*krateQ, peiuo*menoQ h<mi& n toi& Q soi& Q trofey&si mh*te pai& daQ peri+ plei* onoQ poioy& mh*te to+ zh&n mh*te a>llo mhde+ n pro+ toy& dikai* oy, i% na ei$ Q A % idoy e$ luv+n e> x|Q pa*nta tay&ta a$pologh*sasuai toi& Q e$ kei& a>rxoysin " oy>te ga+r e$ nua*de soi fai* netai tay&ta pra*ttonti a>meinon ei#nai oy$de+ dikaio*teron oy$de+ o<siv*teron, oy$de+ a>ll{ tv&n sv&n oy$deni* , oy>te e$ kei& se a$fikome* n{ a>meinon e> stai. a$lla+ ny&n me+n h$dikhme*noQ a>pei, 54.c. e$ a+n a$pi* |Q, oy$x y<f\ h<mv&n tv&n no*mvn a$lla+ y<p\ a$nurv*pvn " e$ a+n de+ e$ je* lu|Q oy%tvQ ai$ sxrv&Q a$ntadikh*saQ te kai+ a$ntika koyrgh*saQ, ta+Q saytoy& o<mologi* aQ te kai+ synuh*kaQ ta+Q pro+Q h<ma&Q paraba+Q kai+ kaka+ e$ rgasa*menoQ toy*toyQ oy=Q h%kista e> dei, sayto*n te kai+ fi* loyQ kai+ patri* da kai+ h<ma&Q, h<mei& Q te* soi xalepanoy&men zv&nti, kai+ e$ kei& oi< h<me* teroi a$delfoi+ oi< e$ n A % idoy no*moi oy$k ey$menv&Q se y<pode* jontai, ei$ do*teQ o%ti kai+ h<ma&Q e$ pexei* rhsaQ a$pole* sai to+ so+n me* roQ. a$lla+ mh* se 54.d. pei* s| Kri* tvn poiei& n a= le* gei ma&llon h/ h<mei& Q.'' Tay&ta, v# fi* le e< tai& re Kri* tvn, ey# i> sui o%ti e$ gv+ dokv& a$koy*ein, v%sper oi< korybantiv&nteQ tv&n ay$lv&n ``ma ora tu te ne andrai, nel caso che tu vada, non offeso da noi leggi ma dagli uomini'': il periodo ipotetico dell'eventualitaÁ sancisce la precisa distinzione tra la cittaÁ e le sue leggi e il torto che Socrate potrebbe legittimamente pensare di aver ricevuto; ne consegue che sarebbe sommamente ingiusto se egli pensasse di poter ricambiare il torto subito dai cittadini offendendo la cittaÁ. Questa conseguenza eÁ espressa nell'ampio e articolato periodo ipotetico che segue: e$ a+n de+ e$ je*lu|Q ... h<mei& Q te* soi xalepanoy&men ..., kai+ e$ kei& oi< h<me* teroi a$delfoi+ ... oy$k ey$menv&Q se y<pode*jontai, ``qualora tu evada ... noi ti sa- remo ostili ... e, laÁ, le nostre sorelle ... non ti accoglieranno benevolmente''; dalla protasi dipendono ben quattro part. congiunti: a$ntadikh*saQ, koyrgh*saQ, paraba*Q, e$ rgasa*menoQ. ± zv&nti, ``finche sarai vivo''. ± to+ so+n me*roQ acc. di relazione ``per parte tua'' ± a$lla*, conclusivo, come giaÁ in 54b 2. Qui si conclude la prosopopea delle Leggi. 54.d. Tay&ta ... a$koy*ein: riprende a parlare Socrate, concludendo il dialogo con Critone; v# fi* le ... Kri* tvn, ``mio buon amico Critone''; dokv& regge l'infinito a$koy*ein, perche si tratta di una impressione soggettiva, come quella di coloro che sono pervasi dalla 591 dokoy&sin a$koy*ein, kai+ e$ n e$ moi+ ay%th h< h$xh+ toy*tvn tv&n lo*gvn bombei& kai+ poiei& mh+ dy*nasuai tv&n a>llvn a$koy*ein " a$lla+ i> sui, o%sa ge ta+ ny&n e$ moi+ dokoy&nta, e$ a+n le*g|Q para+ tay&ta, ma*thn e$ rei& Q. o%mvQ me*ntoi ei> ti oi> ei ple*on poih*sein, le* ge. {KR.} \All\, v# Sv*krateQ, oy$k e> xv le* gein. 54.e. {SV.} > Ea toi* nyn, v# Kri* tvn, kai+ pra*ttvmen tay*t|, e$ peidh+ tay*t| o< ueo+Q y<fhgei& tai. frenesia dei Coribanti (oi< korybantiv&nteQ) hanno l'impressione di sentire il suono degli oboe. ± o%sa ... ge e$a+n le*g|Q ... e$rei& Q, ``se parlerai contro queste ragioni, quante (o%sa) in questo momento (ta+ ny&n) mi sembrano valide, parlerai invano''; si ha la prolessi del relativo o%sa, ripreso poi dal para+ tay&ta; Socrate ha chiara coscienza che non potraÁ modificare il suo punto di vista, e ne avverte l'amico, pur concedendogli di ascoltarlo, ei> ti oi> ei ple* on poih*sein, ``se credi di ricavare qualcosa''. Critone ora non puoÁ non riconoscere di non aver nulla da dire. 54.e. e>a toi* nyn, ``lascia andare'': il dialogo eÁ concluso, e Socrate conclude pacatamente, invitando il suo interlocutore ad adeguarsi alla volontaÁ del dio. ± tay*t| eÁ avverbiale. traduzione d'autore SOCRATE CRITONE 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO SOCRATE 592 Guardala da quest'altro lato. Un'ipotesi. Noi siamo lõÁ lõÁ per tagliare la corda, o come vuoi chiamarla, questa cosa. Arrivano le Leggi e l'istituzione pubblica. Un'apparizione, e poi questo discorso: «Di' a me, caro Socrate, cos'hai in mente di fare? Mediti di farci stramazzare, se ci riesci, noi Leggi e il paese tutto quanto, o cos'altro, con questa bravata che hai fra le mani? O t'illudi che sappia sopravvivere dopo, e non finire sottosopra quel paese dove i giudizi celebrati nulla valgono e l'uomo della strada puoÁ svilirli, cancellarli?». Di', Critone, cosa risponderemmo a questo e al seguito di questo? Ci sarebbe abbondanza d'argomenti, piuttosto, specie per un professionista della parola, a difesa della legge attaccata che comanda: siano validi i giudizi giaÁ giudicati! O a questi personaggi noi diremo: «A noi Atene faceva offesa: in piuÁ, la sua sentenza non fu retta»? Diremo questo, o che altro? SõÁ, per dio, questo, Socrate. Supponiamo che le Leggi aggiungano: «Socrate, fra noi e te c'era quest'altro accordo, o quello di star fedeli ai giudizi della giustizia ateniese?». Se noi fossimo imbarazzati dalla domanda, probabilmente direbbero: «Socrate, non lasciarti imbarazzare, su, rispondi: sei abituato, tu, a maneggiare domanda e risposta. Ecco il punto: di che c'incrimini, noi Leggi e il tuo paese, per metter mano ad annientarci? Primo: non t'abbiamo messo noi in questo mondo? E tuo padre non sposoÁ tua madre in nome nostro, per poi darti vita? Ci sono le Leggi sulle nozze, qui fra noi: vuoi criticarle per qualche punto difettoso? Parla chiaro». «Non ho critiche» dovrei dire io. «Ne hai per quelle sulla protezione del bambino, sulla scuola, della quale tu pure fosti scolaro? Forse, fra noi, non erano all'altezza quelle schierate in questo campo, che comandavano a tuo padre di mandarti a scuola di musica, e d'esercizio fisico?» «All'altezza» dovrei ammettere. «CosõÁ va bene. E dopo che sei nato, che hai ricevuto cure e un'istruzione, avresti la forza di dire, proprio adesso, che tu non ci appartieni, no, non sei un frutto ed un soggetto nostro: tu, con le tue radici? E se la realtaÁ eÁ questa, t'illudi che fra te e noi esista equilibrio di diritti? T'illudi che qualunque azione su di te noi avviamo, ritorcerla sia tuo pacifico diritto? Ah, non avevi certo equilibrio di diritti con tuo padre, tu, o con un tuo padrone, se esisteva, un tuo padrone: al punto da ritorcere gli eventuali colpi, restituire le parole dure, le bastonate prese e tutto il resto. E questo ti permetterai con la tua patria, con le tue Leggi? Al punto che se c'impegniamo a cancellarti -- nella coscienza che sia giusto -- pure tu t'impegnerai, reagendo con tutte le tue forze, a cancellare noi, tue Leggi, e il tuo paese? In piuÁ proclamerai che questa scelta tua eÁ un atto di giustizia: tu, l'autentico amatore della perfezione! O sei tanto colto da scordarti che di tua madre, di tuo padre, delle tue ultime radici piuÁ preziosa cosa eÁ la tua patria, piuÁ solenne, piuÁ sacra, su un piedistallo piuÁ elevato, agli occhi di dio e degli uomini dotati di cervello? Si deve culto, alla patria. E disciplina, e SOCRATE testi CRITONE Critone SOCRATE Platone CRITONE dolcezza, con lei, se s'inquieta, piuÁ che con un padre. O calmarla, o fare i suoi comandi: e pazientare con serenitaÁ, ti imponga pure sofferenze, schiaffi e la prigione. Magari ti chiama alla battaglia, futuro mutilato, o morto ucciso: devi andare, perche eÁ giusto, non imboscarti, non defilarti, non disertare. In guerra, in aula di giustizia, ovunque tu sia, devi eseguire gli ordini del paese nativo. O convincerlo che la radice di giustizia eÁ lõÁ, dalla tua parte. Essere brutali con padre e madre eÁ sacrilegio: ma peggio ancora con la patria.» Che ne diremo, Critone? Parlano giusto le Leggi o no? Per me, sõÁ; credo di sõÁ. «Allora, Socrate, rifletti» potrebbero aggiungere le Leggi «se siamo giuste a dire che tu non hai diritto a farci quanto intendi fare. Noi t'abbiamo dato una vita, cure, un'istruzione; l'accesso a quei vantaggi che dipendevano da noi, e non solo a te, a tutti gli ateniesi. Ma non basta. Noi comunichiamo dall'inizio -- prova ne eÁ la facoltaÁ, da noi ratificata, per chiunque qui in Atene lo decida -- che l'ateniese, giaÁ ammesso alla cittadinanza, giaÁ a conoscenza delle istituzioni nostre, e di noi Leggi, se proprio noi non gli piacciamo, eÁ padrone d'emigrare dove vuole, con la roba sua. Non c'eÁ Legge che sia una catena, o una porta chiusa, nel caso in cui voglia trasferirsi in uno stanziamento via da Atene -- se eÁ Atene la sgradita, e noi con lei -- o andare in altre parti a fare l'emigrante, vada dove vuole, lui con la sua roba. Ma all'uomo che rimane, che ha sott'occhio i nostri modi di giustizia, le regole politiche, noi diciamo chiaro che con il suo gesto giaÁ si obbliga, concordemente, a eseguire in futuro i nostri vari comandi. Non obbedire eÁ un'ingiustizia tripla: perche quell'uomo non obbedisce ai genitori (noi lo siamo); non ai suoi tutori; e lui, che ha concordato d'obbedire, non lo fa. Nemmeno cerca di persuaderci, se commettiamo qualcosa di poco pulito! Eppure noi offriamo scelta, non imponiamo brutalmente d'eseguire ordini: anzi lasciamo l'alternativa, o convincerci, o eseguire. Ma lui non fa ne questo, ne quello. «In questi crimini cadrai pure tu, Socrate, se farai quanto mediti: non meno d'altri ateniesi, anzi piuÁ di tutti.» Io potrei dire ``PercheÂ?'', e credo che loro contrattaccherebbero, con argomenti lineari, che quell'accordo, guarda caso, l'ho concordato io con loro, piuÁ di chiunque altro qui in Atene. Direbbero subito: «Socrate, abbiamo prove importanti che a te noi Leggi, noi e il tuo paese, piacevamo: non saresti stato qui in Atene con quella tua costanza eccezionale, se non ti fosse piaciuto in modo eccezionale. Tu dalla cittaÁ non sei uscito mai, neanche per vedere feste (tranne che all'Istmo quella volta sola), ne in nessun altro posto, se non sotto le armi. Non hai mai fatto un viaggio, come l'altra gente. Non t'ha mai preso la curiositaÁ d'un altro stato, d'altre leggi. Noi ti bastavamo: noi e Atene. Che scelta appassionata, era: e poi eri d'accordo, tu cittadino al nostro modo, tanto che, tra l'altro, hai messo al mondo figli, qui in Atene. Segno che il paese ti piaceva. Proprio nel processo, se volevi, t'era dato di candidarti all'esilio. Ora non arrossisci di quelle tue parole. Di noi, le Leggi, non t'importa. Sei pronto ad annientarci. Agisci come il peggiore schiavo, ti prepari a tagliare la corda, contro le intese e i patti: contro quel tuo impegno con noi, a civilmente vivere. Comincia dunque a risponderci su questo punto: eÁ vero o non eÁ vero che hai concordato, concretamente, non a parole, di vivere da essere civile, al modo nostro?». Che ribatteremmo, Critone: che concordiamo, o altro? Per forza, Socrate. «Quanto alle intese» forse aggiungeranno «agli accordi particolari con noi Leggi, tu sconfini: eppure non li hai concordati sotto torchio, ne vittima d'imbroglio, ne premuto a scegliere in poco tempo, settant'anni, anzi, e t'era sempre dato d'emigrare, se non ti piacevamo noi e non ti pareva lineare il nostro accordo. Ma tu non hai scelto Sparta, o Creta, stati d'ottima legislazione, come dici sempre; e nessun altro paese, greco o forestiero. Da Atene ti sei allontanato meno di storpi, orbi, malandati. Era un amore eccezionale, il tuo, per Atene e per noi altre Leggi, eÁ chiaro. Un paese senza leggi a chi puoÁ mai piacere? Non starai agli accordi, adesso? Certo: se vorrai seguirci, Socrate. Non farai la buffonata di evadere da Atene. «Cerca d'intuire che bel vantaggio tu procuri, a te e al tuo gruppo, se sgarri, se fai 593 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO CRITONE SOCRATE questo sbaglio. I tuoi uomini rischiano l'esilio anche loro, il distacco da Atene e la perdita di tutto, eÁ trasparente. Poi tu. Supponiamo che tu vada in una cittaÁ del circondario, Tebe, o Megara (buone leggi in entrambe), vi entrerai nemico dei loro ordinamenti e gli uomini, preoccupati del paese proprio, ti guarderanno storto, ti penseranno guastatore delle leggi. Tu avrai consolidato nei tuoi giudici l'idea, ormai definitiva, che quel giudizio loro era giustificato. Chi guasta leggi ha tutta l'aria, se non sbaglio, di poter guastare anche ragazzi, e uomini incoscienti. Schiverai le cittaÁ che hanno leggi buone? Le comunitaÁ disciplinate meglio? AvraÁ senso vivere, per te, facendo questo? O t'affiancherai alle persone, avrai la sfacciataggine di ragionare ... che razza di ragionamenti, Socrate? I tuoi, di qui, cioeÁ che la morale, la condotta retta sono i valori sommi dell'umanitaÁ, insieme alle regole civili ed alle leggi? SaraÁ una parte disgustosa, Socrate. Ci pensi? Eh sõÁ, devi pensarci. Ma no. Tu leverai le tende da quei posti. Punterai alla Tessaglia, ai conoscenti di Critone? C'eÁ il caos, laggiuÁ, e l'anarchia. ChissaÁ, potresti divertirli con la tua storia comica, di te che te la squagli dalla cella, con il costume addosso, un pastrano conciato, magari, o l'altra solita mascheratura degli evasi: ed eccoti travestito da solo, Socrate. Che tu, vecchio uomo, con un rimasuglio di tempo da vivere, hai avuto il coraggio di sgarrare dalle piuÁ alte leggi per passione vischiosa della vita, dõÁ, non ci saraÁ nessuno pronto a dirlo? Forse, se non darai noia. Altrimenti ne sentirai tante, Socrate, e non meritate. GiaÁ: dovrai vivere strisciando ai piedi della gente. Un servo. E intanto? T'ingrasserai per bene, in Tessaglia: che saraÁ, un viaggio gastronomico in Tessaglia, il tuo? E quei tuoi ragionamenti di rettitudine, di perfezione, dove li ritroveremo? Forse per i figli vuoi ostinarti a vivere, per curarli, educarli? Ah sõÁ? Per allevarli ed educarli li trascinerai in Tessaglia, li farai stranieri, questo vuoi che sia il loro bene? Oppure no, verranno grandi qui: e se tu resti vivo cresceranno meglio, piuÁ istruiti, anche senza la presenza tua? I tuoi cari amici provvederanno a tutto. Ed ecco un dubbio: provvederanno se tu sparirai in Tessaglia, e se sparirai nell'aldilaÁ, no? CosõÁ devi pensarla, se si puoÁ contare su chi dice in giro che t'eÁ tanto amico.» «Socrate, obbedisci a noi, tue nutrici: non dare peso al vivere, ai figli, a null'altro piuÁ che a giustizia, per avere gli argomenti di difesa, con le autoritaÁ dell'altro mondo, quando arriverai. Fare quell'altra cosa non eÁ l'azione piuÁ fruttuosa, eÁ chiaro, ne per te, ne per i tuoi cari: nemmeno la piuÁ giusta e religiosa. Non ti daraÁ frutti, al tuo arrivo laÁ. Ora, almeno, tu scompari -- se scompari -- vittima di un torto, non di noi Leggi, ma di esseri umani. Se evadi, per quella strada infame, se tu reagisci col delitto, con cattiveria criminale sconfinando dagli accordi e patti tuoi con noi, colpendo duramente chi proprio non dovresti, cioeÁ te stesso, i tuoi della famiglia, il tuo paese e noi, ebbene ti saremo ostili noi, finche vivi, ed anche le Leggi, giuÁ del morto mondo, sorelle nostre, non t'abbracceranno col sorriso sapendo che hai alzato su di noi le mani per finirci, se potevi. Che Critone non ti pieghi a fare quanto dice: piuÁ che noi!» Ecco che parole, Critone mio, vecchio amico, mi sembra di sentire, come quell'impressione che hanno i coribanti, di flauti nelle orecchie, ed anche in me risuona quest'onda di ragionamenti, e la conseguenza eÁ che non percepisco gli altri. Bada, se tu ragioni in modo discordante, parlerai al vento. Alla luce, almeno, delle idee mie di adesso. Ma non importa, parla, se speri in qualche risultato. Ah, Socrate: non so che dire. Lascia perdere, Critone. Procediamo in questa via, perche in questa via il dio pilota. (Trad. E. Savino) 594 Platone GUIDA ALL'ANALISI LINGUA E LESSICO 1. In 50a viene impiegato a$podidra*skein; indica che differenza c'eÁ tra questo verbo e fey*gein. ..................................................................................................................................................................................... Motiva la tua risposta in un elaborato di max 10 righe. ..................................................................................................................................................................................... testi 3. Trascrivi apodosi e protasi dei periodi ipotetici di 50a-c (usa le parentesi per eventuali elementi sottintesi); specificane poi il tipo. ..................................................................................................................................................................................... 4. Rileggi 50a-c: in due casi, si verifica il fenomeno dell'attrazione del relativo: spiega brevemente (max 5 righe) in che cosa consiste, indicando poi in quale caso dovrebbe trovarsi il relativo se non fosse attratto. ..................................................................................................................................................................................... 5. Rileggi 52a-d (da tay*taiQ dh* famen kai+ se*, v# Sv*krateQ, tai& Q ai$ ti* aiQ e$ ne*jesuai, a a>llo ti h/ o<mologv&men;), sottolinea sul testo gli infiniti e, per ciascuno di essi, fai un'analisi morfologica e della funzione. ..................................................................................................................................................................................... 6. Spiega, considerando l'aspetto, l'impiego di tempi diversi nei due participi paraba*Q e e$jamarta*nvn di 53a. " " Critone 2. Secondo te, qual eÁ il motivo per cui, in 50c, Socrate dice h$di* kei ... h< po*liQ e non, invece, h$di* koyn ... oi< no*moi? paraba*Q: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e$ jamarta*nvn: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ................................................................................................................................................................................ TEMI E CONFRONTI 7. In che senso Socrate eÁ figlio e servo delle Leggi? Perche Socrate ha il dovere di obbedire alle Leggi? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 10 righe. ..................................................................................................................................................................................... 8. Qual eÁ l'atteggiamento che il cittadino deve avere nei confronti della patria? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 10 righe. ..................................................................................................................................................................................... 9. Perche il vecchio Socrate fuggendo si coprirebbe di disonore e di ridicolo? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 10 righe. ..................................................................................................................................................................................... 10. In un passo precedente rispetto a quello appena letto (48b), Socrate pronuncia una frase destinata a rimanere famosa: ``non bisogna tenere in massima considerazione il vivere in quanto tale, ma il vivere bene, ed il vivere bene eÁ lo stesso che il vivere con virtuÁ e con giustizia''. Che cosa ne pensi? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 20 righe. .................................................................................................................................................................................... STILE E RETORICA 11. Le Leggi impiegano lo stesso metodo dialettico di Socrate; spiega, facendo puntuale riferimento a casi specifici, in che cosa consista il diale*gesuai. Motiva la tua risposta in un elaborato di max 15 righe. .................................................................................................................................................................................... 12. Evidenzia la funzione assolta dalle climakes di 50b e 51a. .................................................................................................................................................................................... 13. Individua e spiega (max 5 righe) la funzione dell'aposiopesi di 53c. .................................................................................................................................................................................... 14. Nel passo letto eÁ presente, in piuÁ di un caso, la figura etymologica: proponine almeno due esempi .................................................................................................................................................................................... 15. Platone, nei Dialoghi, tende a riprodurre ``mimeticamente'' il parlato e nei testi si incontrano spesso apostrofi, anacoluti, ripetizioni, particelle da sole o in formule che sollecitano risposte, segnano la conclusione di un'argomentazione, conferiscono enfasi alle domande. Soffermati su questi tre aspetti, cercando esempi nel testo e sottolineandoli con tre diversi colori .................................................................................................................................................................................... 16. Tenendo conto delle caratteristiche del dialogo socratico, scrivi tu, in italiano, un dialogo di 20 righe che veda protagonisti Critone e le Leggi ed in cui Critone sostenga le ragioni della fuga di Socrate. .................................................................................................................................................................................... 595 Simposio 6 Eros desidera cioÁ che non ha (199c-201d) Il Simposio rievoca un banchetto fra amici, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la vittoria da lui riportata nel concorso tragico delle Grandi Dionisie del 416 a.C. Il simposio era, nel costume greco fin dall'etaÁ arcaica, un'occasione di scambio di esperienze sociali e culturali: gran parte della lirica arcaica era destinata ad essere eseguita in occasione della festa simposiaca. Dal punto di vista della struttura narrativa, anche il Simposio appartiene ai dialoghi narrati: nelle prime pagine Apollodoro riferisce ad un amico dell'incontro a casa di Agatone che gli eÁ stato riferito da uno dei partecipanti, Aristodemo. Nel simposio di Agatone i convitati decidono (176e-178a) che ciascuno faraÁ un elogio di Eros, secondo una prassi retorica che era stata inaugurata dai sofisti e che continueraÁ in seguito fino alla Nuova Sofistica e a Luciano. A turno quindi, Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane ed Agatone pronunciano il loro elogio. In 194e-197e interviene Agatone che dichiara necessario definire in via preliminare le qualitaÁ del dio Eros: egli eÁ il piuÁ felice degli deÁi perche eÁ il piuÁ bello e il piuÁ buono; eÁ bellissimo in quanto giovanissimo, delicatissimo, flessuoso, ben conformato e leggiadro nel colore; eÁ il piuÁ buono in quanto si distingue per giustizia, temperanza, valore e sapienza, e di tutte queste virtuÁ fa partecipi gli uomini. Dopo l'intervento di Agatone, Socrate (198b) dichiara la propria ammirazione per le parole degli amici che lo hanno preceduto e nello stesso tempo il proprio smarrimento. ``PercheÂ, da quel semplice che sono, credevo che si dovesse dire la veritaÁ su ciascuna delle cose lodate, e che questo fosse il nostro compito, scegliendo da queste veritaÁ le piuÁ belle, disporle nel modo piuÁ conveniente. Ed ero molto fiducioso di me, pensando che avrei parlato bene, giacche sapevo come lodare ogni cosa secondo veritaÁ'' (198d). Ma ora si trova in difficoltaÁ, perche non sapeva che per fare un elogio si dovesse attribuire al soggetto in questione tutto cioÁ che c'eÁ di grande e di bello, indipendentemente dalla veritaÁ. Agatone insomma ha eluso il problema fondamentale: ``che cosa eÁ Eros, e in virtuÁ di cosa opera?''. Socrate, in questo modo, dichiara la propria riluttanza di fronte al metodo retorico adottato dai suoi amici, e chiede loro se gli consentiranno di parlare come saraÁ capace, con le prime parole che gli verranno alle labbra. Gli amici acconsentono in coro, ed egli inizia ponendo alcune domande preliminari ad Agatone. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 199.c. «Mi sembra, caro Agatone, che tu abbia incominciato bene il tuo discorso, dicendo che per prima cosa bisogna mostrare chi eÁ Eros e poi le sue opere1. Questo inizio mi piace. Su Eros, dunque, poiche per il resto hai fatto un'esposizione in modo bello e grandioso, spiegando chi per natura eÁ, dimmi 199.d. anche questo: Eros eÁ tale da essere amore di qualcuno, oppure di nessuno? Non ti domando se sia di una madre o di un padre ± sarebbe ridicola la domanda se Eros sia di una madre o di un padre ±; te lo domando, invece, come se del padre io ti domandassi questo: il padre eÁ padre di qualcuno, oppure no? E certamente tu mi diresti, se volessi rispondere bene, che il padre eÁ padre di un figlio o di una figlia; o no?» «Sicuramente», rispose Agatone. «Non eÁ cosõÁ anche la madre?» Fu d'accordo anche su questo. 199.e. «Rispondimi» riprese Socrate, «ancora un poco di piuÁ, perche tu possa capire meglio cioÁ che io voglio. Se io ti domandassi: e che? un fratello, in quanto tale, eÁ fratello di qualcuno, oppure no?» Disse che lo era. «E non eÁ fratello di un fratello o di una sorella?» Lo ammise. «Cerca quindi di dirlo» proseguõÁ Socrate «anche sull'amore: Eros eÁ amore di nulla, oppure di qualcosa?» 1. e poi le sue opere: le azioni di Eros devono essere illustrate in relazione alla sua essenza. Il metodo di indagine pla- 596 tonico, che ricerca l'essenza degli esseri, si scontra qui con il metodo sofistico di persuadere mediante un discorso ele- gante e ricco; quest'ultimo, secondo Platone, non si basa su una conoscenza compiuta della realtaÁ. Simposio testi 2. amore delle cose belle: dopo aver indotto Agatone ad ammettere che si ha amore di cioÁ che non si ha ma si vorrebbe Platone «Certamente di qualcosa.» 200.a. «Questo» soggiunse Socrate «custodiscilo in te, ricordandoti di chi eÁ amore. Dimmi invece questo: Eros desidera o no la cosa di cui egli eÁ amore?» «Certamente», rispose. «Perche possiede cioÁ che desidera e ama, per questo lo desidera e ama, o perche non lo possiede?» «Perche non lo possiede, come eÁ verosimile», rispose. «Considera peroÁ» proseguõÁ Socrate, «se anziche verosimile, non sia proprio necessario che il desiderare sia desiderio di cioÁ che manca, e che non vi sia 200.b. desiderio se non c'eÁ mancanza. Io, Agatone, ho la piena convinzione che sia necessario. E a te come sembra?» «Sembra anche a me», rispose. «Dici bene! Uno che eÁ grande, desidera forse di essere grande, o uno che eÁ forte desidera forse di essere forte?» «EÁ impossibile, dopo quello che si eÁ convenuto.» «Non puoÁ mancare infatti di certe qualitaÁ chi giaÁ le possiede.» «Dici il vero.» «Supponiamo» riprese Socrate, «che chi eÁ forte desideri essere forte, veloce chi eÁ veloce e sano chi eÁ sano. Forse qualcuno potrebbe infatti credere che, per tutte queste qualitaÁ e per le altre di questo genere, coloro che ne sono dotati e 200.c. le posseggono, desiderino anche cioÁ che giaÁ posseggono. Dico questo, per non lasciarci ingannare. Ebbene, Agatone, se tu rifletti, eÁ necessario che costoro, nel momento presente, posseggano ognuno ciascuna delle qualitaÁ che hanno, lo vogliano o no; e questo chi lo potrebbe mai desiderare? E se qualcuno, poi, mi dicesse: ``Io, pur essendo sano, voglio anche essere sano; ricco, pur essendo ricco, e desidero cioÁ che ho'', noi gli risponderemmo questo: ``Tu, caro, che hai ricchezza, salute e forza, vuoi in realtaÁ averle anche in 200.d. futuro, perche nel momento presente, che tu voglia o no, le possiedi giaÁ. Bada, dunque, se quando affermi: ``Desidero le cose che ora ho'', tu, in veritaÁ, non dica altro se non questo: ``Desidero che le cose che ho al presente mi rimangano anche in futuro''. Potrebbe non essere d'accordo?». Agatone ne convenne. Socrate continuoÁ: «E questo non significa amare cioÁ che non si ha a disposizione e ancora non si possiede, ossia desiderare che queste cose ci siano conservate e siano presenti anche in futuro?». 200.e. «Certamente», rispose. «Costui, dunque, e ogni altra persona che abbia desiderio, desidera cioÁ che non ha a sua disposizione e che non eÁ presente, cioÁ che non possiede, cioÁ che egli non eÁ, e di cui manca. Sono queste le cose di cui sente desiderio e amore?» «Certo», rispose. «Suvvia», disse Socrate, «ricapitoliamo le cose che abbiamo detto. Eros non eÁ forse, innanzi tutto, amore di alcune cose e, poi, di quelle cose di cui sente mancanza?» 201.a. «SõÁ», rispose. «Dopo questo, ricorda a quali cose nel tuo discorso hai detto che Eros si rivolge. Se vuoi, te lo ricorderoÁ io. Credo che tu abbia detto press'a poco questo: che le vicende degli deÁi hanno ricevuto ordine per l'amore delle cose belle2; delle avere, Socrate gli ricorda che nel suo discorso aveva detto come le contese tra gli deÁi si placarono per amore del bello. 597 cose brutte, infatti, non c'eÁ amore. Non hai detto all'incirca questo?» «SõÁ, l'ho detto», rispose Agatone. «E lo hai detto a proposito, amico» disse Socrate. «E se eÁ veramente cosõÁ, che altro eÁ Eros se non amore di bellezza, e non giaÁ di bruttezza?» Lo ammise. 201.b. «E non si eÁ ammesso che Eros ama cioÁ di cui eÁ privo e non possiede?» «SõÁ», disse. «Eros, dunque, eÁ privo di bellezza e non la possiede.» «Per forza», disse. «E che? CioÁ che eÁ privo di bellezza e non la possiede in nessun modo, dici che eÁ bello?» «Proprio no.» «E se eÁ cosõÁ, ammetti ancora che Eros eÁ bello?» E Agatone disse: «C'eÁ pericolo, Socrate, che non sapessi nulla di quello che dicevo». 201.c. «Eppure» disse Socrate, «hai parlato bene, Agatone. Ma mi devi dire ancora una piccola cosa: le cose buone non ti sembrano anche belle?» «A me sõÁ.» «Se, allora, Eros eÁ privo delle cose belle, e le cose belle sono buone, egli eÁ privo anche delle cose buone.» «Socrate, non posso contraddirti» rispose Agatone. «Sia pure come tu dici!» «EÁ alla veritaÁ» disse Socrate, «che non puoi contraddire, caro Agatone, perche contraddire a Socrate non eÁ per nulla difficile.» (Trad. G. Reale) GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Completa la tabella, sintetizzando i passaggi del dialogo fra Socrate e Agatone. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO PASSAGGI SINTESI DEL DIALOGO 1ë Eros non eÁ amore di nulla, ma eÁ amore di qualcosa ................................... ........................................................................................................................................... ................................... ........................................................................................................................................... ................................... ........................................................................................................................................... ................................... ........................................................................................................................................... ................................... ........................................................................................................................................... ................................... ........................................................................................................................................... ................................... ........................................................................................................................................... ................................... ........................................................................................................................................... 2. Cita le parti in cui si evidenzia l'antinomia che esiste fra un tipo di discorso, quello dei sofisti, che mira alla persuasione e il discorso dialettico di Socrate che mira alla veritaÁ. 3. Ad Agatone che aveva detto di non essere in grado di controbattere (a$ntile*gein) Socrate, questi ribatte che non eÁ in grado di controbattere la veritaÁ, giacche non eÁ per nulla difficile controbattere Socrate. Che cosa intende dire? Che cos'eÁ, in realtaÁ, la discussione socratica? 598 (203b-203e) $Afrodi* th, h<stiv&nto oi< ueoi+ oi% te a>lloi kai+ o< th&Q Mh*tidoQ y<o+Q Po*roQ. e$ peidh+ de+ e$ dei* pnhsan, prosaith*soysa oi}on dh+ ey$vxi* aQ oy>shQ a$fi* keto h< Peni* a, kai+ h#n peri+ ta+Q uy*raQ. o< oy#n Po*roQ meuysuei+ Q toy& ne* ktaroQ ± oi#noQ ga+r oy>pv h#n ± ei$ Q to+n toy& Dio+Q kh&pon ei$ seluv+n bebarhme* noQ hy}den. h< oy#n Peni* a e$piboyley*oysa dia+ th+n ay<th&Q a$pori* an paidi* on poih*sasuai e$ k toy& Po*roy, katakli* netai* te par\ ay$t{& kai+ e$ ky*hse to+n > Ervta. dio+ dh+ 203.c. kai+ th&Q $Afrodi* thQ a$ko*loyuoQ kai+ uera*pvn ge* gonen o< > ErvQ, gennhuei+ Q e$ n toi& Q e$ kei* nhQ geneuli* oiQ, kai+ a%ma fy*sei e$ rasth+Q v/n peri+ to+ kalo+n kai+ th&Q $Afrodi* thQ kalh&Q oy>shQ. a%te oy#n Po*roy kai+ Peni* aQ y<o+Q v/n o< > ErvQ e$ n toiay*t| ty*x| kaue* sthken. prv&ton me+ n pe* nhQ a$ei* e$ sti, kai+ polloy& dei& a<palo*Q te kai+ kalo*Q, oi}on oi< polloi+ 203.d. oi> ontai, a$lla+ sklhro+Q kai+ ay$xmhro+Q kai+ a$nypo*dhtoQ kai+ a>oikoQ, xamaipeth+Q a$ei+ v/n kai+ a>strvtoQ, e$ pi+ uy*raiQ kai+ e$ n o<doi& Q y<pai* urioQ koimv*menoQ, th+n th&Q mhtro+Q fy*sin e> xvn, a$ei+ e$ ndei* @ sy*noikoQ. kata+ de+ ay# to+n pate* ra e$pi* boylo*Q e$ sti toi& Q kaloi& Q kai+ toi& Q a$gauoi& Q, a$ndrei& oQ v/n kai+ i> thQ kai+ sy*ntonoQ, uhreyth+Q deino*Q, a$ei* tinaQ ple* kvn mhxana*Q, kai+ fronh*sevQ e$ piuymhth+Q kai+ po*rimoQ, filosofv&n dia+ panto+Q toy& bi* oy, deino+Q go*hQ kai+ far- 203.b. makro*teron: intensivo, ``piuttosto lungo'', ``un po' lungo''. ± o%te ga+r ... $Afrodi* th: nel mito platonico, Eros fu concepito nel giardino di Zeus, nell'occasione del banchetto che gli deÁi celebrarono per la nascita di Afrodite. Madre e padre di Eros furono due divinitaÁ immaginate da Platone, in funzione dell'idea che si proponeva di illustrare: Penia eÁ la ``PovertaÁ'', o la ``Privazione'', mentre il padre Poros eÁ l'``Espediente'', o la ``Risorsa'' (propriamente il ``mezzo'', che si attraversa o che serve per raggiungere uno scopo)¨. Eros porta in seÂ, quindi, le caratteristiche di entrambi i genitori: dalla madre Penia ha ricevuto lo stato di privazione e di desiderio, che aspira a soddisfare con tutte le sue forze, dal padre Poros l'astuzia sagace, con cui cerca di procurarsi cioÁ di cui eÁ privo. In questo modo, Eros diviene funzione dell'aspirazione dell'anima alla conoscenza dell'intelligibile, di cui essa ha un ricordo ma il cui possesso le manca. ± Mh*tidoQ: la dea Metis, secondo Esiodo, Teogonia 886, fu la prima moglie di Zeus, che la inghiottõÁ quando era gravida di Atena. ± y<o*Q: forma attica per il piuÁ comune yi< o*Q. ± oi} on dh+ ey$vxi* aQ oy>shQ: causale oggettiva, ``come era naturale giacche c'era un banchetto''. ± h#n peri+ ta+Q uy*raQ, ``stava sulla porta''. ± h< oy#n Peni* a ... dia+ th+n ... a$pori* an paidi* on poih*sasuai e$k toy& Po*roy: lo stile viene elevato dalla serie allitterante, in cui a$pori* an e Po*roy sono uniti anche in figura etymologica?, in antitesi?. 203.c. a$ko*loyuoQ kai+ uera*pvn, ``seguace e ministro''. Afrodite era normalmente accompagnata da una schiera di divinitaÁ connesse con la sua azione di dea del sesso, come la Persuasione; una di queste era, anche nel mito tradizionale, il fanciullo Eros¨. ± e$n toi& Q e$kei* nhQ geneuli* oiQ, ``nella festa natalizia di lei''. ± a%te oy#n ... v%n, participio congiunto con a%te, indica causale oggettiva. ± polloy& dei& ... kalo*Q, ``tutt'altro che bello'': frase colloquiale che vorrebbe dire propriamente ``molto ci manca (che sia) bello''. 203.d. sklhro+Q kai+ ay$xmhro*Q, ``aspro e irsuto''. EÁ stata notata una significativa analogia tra l'Eros descritto da Diotima e il Socrate descritto da Alcibiade (215b ss.). ``Eros eÁ `aspro e irsuto', e Socrate eÁ paragonato a un rozzo e sgraziato sileno. Entrambi si testi 203.b. < Makro*teron me* n\, e>fh, < dihgh*sasuai " o%mvQ de* soi e$ rv&. o%te ga+r e$ ge* neto h< Simposio Nel passo seguente viene ricordata la genealogia di Eros cosõÁ come a Socrate eÁ stata riferita da Diotima, la sacerdotessa di Mantinea che pare quasi un ``doppio'' del filosofo e di cui Socrate espone il pensiero. Era stata lei ad allontanare da Atene il flagello della peste e ad insegnare a Socrate le dottrine sull'essenza dell'amore esposte nel Simposio. Platone 7 Eros eÁ figlio di Poros e Penia aggirano scalzi, sono coraggiosi e arditi, pieni di astuzie, abili a dare la caccia, nel tendere insidie a cioÁ che eÁ bello. Entrambi infine sono terribili `incantatori' che passano la vita a filosofare'' (Susanetti)¨. ± e$ndei* @ sy*noikoQ, ``coabitante con il bisogno''. _ e$pi* boyloQ, ``insidioso''; poco prima anche Penia era stata rappresentata come e$ piboyley*oysa; l'aggettivo regge il dativus incommodi ? toi& Q kaloi& Q kai+ toi& Q a$gauoi& Q. ± a$ei* tinaQ ple*kvn mhxana*Q: giacche anche l'inganno fa parte dell'attivitaÁ di Eros e di Afrodite, che da Saffo, fr. 1,2, eÁ invocata come dolo*ploke, ``tessitrice di inganni''. ± fronh*sevQ e$piuymhth*Q, ``desideroso di intendere'': meno determinato del successivo participio filosofv&n. ± deino+Q go*hQ kai+ farmakey+Q kai+ sofisth*Q, ``imbroglione terribile, stregone e sofista'': si noti quest'ultimo termine, allineato con i due precedenti. Anche se sofisth*Q significava in origine ``maestro di sapienza'', ben presto passoÁ ad indicare gli esponenti di una particolare scuola filosofica, i sofisti: Platone ne fa qui un termine ingiurioso, e con questa connotazione esso eÁ passato nel linguaggio filosofico e in quello corrente. 599 makey+Q 203.e. kai+ sofisth*Q " kai+ oy>te v<Q a$ua*natoQ pe* fyken oy>te v<Q unhto*Q, a$lla+ tote+ me+ n th&Q ay$th&Q h<me*raQ ua*llei te kai+ z|&, o%tan ey$porh*s|, tote+ de+ a$poun|*skei, pa*lin de+ a$nabiv*sketai dia+ th+n toy& patro+Q fy*sin, to+ de+ porizo*menon a$ei+ y<pekrei& , v%ste oy>te a$porei& > ErvQ pote+ oy>te ploytei& , sofi* aQ te ay# kai+ a$maui* aQ e$ n me*s{ e$ sti* n. 203.e. pe*fyken, ``eÁ''. ± tote+ me+n ... z|&, ``talvolta nello stesso giorno (gen. di tempo) fiorisce e vive''. ± to+ de+ porizo*- menon a$ei+ y<pekrei& , ``cioÁ che si procura sempre gli sfugge'': y<pekrei& risulta da y<p(o)-, ``di sotto'', e$ k-, ``via'', r<ei& , ``scor- re'', per indicare il processo per cui qualcosa sfugge via senza che uno se ne accorga. traduzione d'autore Á cosa un po' lunga da spiegare, pure te la diroÁ. Quando nacque Afrodite, 203.b. «``E gli deÁi tennero banchetto, e fra gli altri c'era Poros, figlio di Metis. Dopo che ebbero tenuto il banchetto, venne Penia a mendicare, poiche c'era stata una grande festa, e se ne stava vicino alla porta. Poros, ubriaco di nettare ± il vino non c'era ancora ±, entrato nel giardino di Zeus, appesantito com'era, fu colto dal sonno. A causa della sua povertaÁ, Penia escogitoÁ di avere un figlio da Poros; giacque con lui e concepõÁ Eros. Per questo, Eros divenne anche 203.c. seguace e ministro di Afrodite, perche fu generato durante le feste natalizie di lei; ed eÁ nello stesso tempo per natura amante di bellezza, perche anche Afrodite eÁ bella. PoicheÂ, dunque, Eros eÁ figlio di Penia e di Poros, gli eÁ toccato un destino di questo tipo. Prima di tutto eÁ povero sempre, ed eÁ tutt'altro che bello e delicato, come ritengono i piuÁ. EÁ duro, invece, e ispido, scalzo e senza casa, si sdraia sempre per 203.d. terra senza copertura, e dorme all'aperto davanti alle porte o in mezzo alle strade, e, perche ha la natura della madre, coabita sempre con la povertaÁ. Per cioÁ che riceve dal padre, invece, egli eÁ insidiatore di cioÁ che eÁ bello e cioÁ che eÁ buono, eÁ coraggioso, temerario, impetuoso, straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di saggezza, pieno di risorse, filosofo per tutta la vita, straordinario incantatore, mago, sofista. E per sua natura non eÁ ne mortale ne 203.e. immortale, ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive, quando riesce nei suoi espedienti, talora, invece, muore, ma poi torna in vita, a causa della natura del padre. E cioÁ che si procura gli sfugge sempre di mano, sicche Eros non eÁ mai ne povero di risorse, ne ricco. Inoltre sta in mezzo tra sapienza e ignoranza. (Trad. E. Savino) 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO ANALISI DEL TESTO " LA FAVOLA DI EROS Il racconto del concepimento di Eros e Á collocato da subito, grazie al connettivo subordinante temporale o%te ed all'indicativo aoristo e$ ge* neto che richiama un lontano passato, in una dimensione favolistica. Una favola perfettamente inserita nel contesto del dialogo e i cui singoli elementi hanno una ben precisa funzione nella riflessione sulla natura di Eros. " SEQUENZA RACCONTO-SPIEGAZIONE L'ordinata struttura del testo, che fa succedere racconto e spiegazione, la rende evidente. a. Eros eÁ stato concepito durante le feste per la nascita di Afrodite (gennhuei+ Q e$ n toi& Q e$ kei* nhQ geneuli* oiQ, con il participio e aggettivo sostantivato legati da figura etymologica): questo spiegherebbe percheÂ, oltre ad essere per natura amante della bellezza, egli eÁ anche seguace e ministro della dea. Stretto era il legame che 600 veniva percepito fra l'occasione del concepimento e il carattere del bambino ed eÁ questo il motivo per cui, in Le opere e i giorni 735, Esiodo invita a non procreare di ritorno da un funerale, ma piuttosto dopo aver partecipato ad una festa per gli deÁi immortali. b. EÁ figlio di Poros, che eÁ personificazione dell'Espediente, della Risorsa e nipote di Metis, personificazione della Prudenza, della Saggezza e dell'AbilitaÁ e divinitaÁ tanto sapiente che Zeus, per assicurarsi il suo sapere, prima la sposa e poi la ingoia: questo spiegherebbe l'abilitaÁ di Eros nel tramare intrighi e nel tendere insidie ai belli e ai buoni. c. La madre del demone eÁ la Personificazione della PovertaÁ: questo spiegherebbe la mancanza che caratterizza la natura di Eros, essere che cerca qualcosa che non ha. testi 8 Eros eÁ amore di immortalitaÁ Simposio a$pore*v e suffisso verbale -i* a per indicare qualitaÁ; il termine rimanda, etimologicamente, al padre ma eÁ legato allo stato di privazione di Peni* a, la madre. Da notare, inoltre, che il sostantivo a$pori* an eÁ unito al successivo Po*roy anche da antitesi e figura etymologica. In 203d abbiamo po*r-imoQ (da por- e suffisso degli aggettivi in -imoQ per indicare possibilitaÁ sia in senso passivo che, come nel nostro caso, in senso attivo e detto del nostro Eros ``che puoÁ procurare'', quindi ``scaltro''), in 203e, in successione, ey$-por-h*s| (da ey$-por-e* v con ey$ `bene' e suffisso verbale in -e* v per indicare situazione, stato), por-izo*-menon (participio sostantivato da por-i* zv, por con suffisso -i* zv per indicare attivitaÁ con valore causativo e detto di cioÁ che Eros si procura), a$-por-ei& (con a$ privativo e suffisso -e* v, ``sono senza mezzi''). Platone LESSICALE Ci sembra interessante sottolineare come fine sia la tessitura del testo e non sia casuale la scelta di alcuni termini: questi, come luci che si accendono a mo' di segnale, hanno lo scopo, invece, di sottolineare rimarcandolo il legame Eros-Poros-Penia. A Peni* a sono efficacemente connessi tre aggettivi che presentano a$ privativo: Eros non ha calzari (a$n-ypo*-dh-toQ), eÁ senza casa (a>-oik-oQ), non ha un posto ove dormire (a>-strvtoQ). Un'altra serie di vocaboli richiama, invece, la natura del padre, Po*roQ: il nome appartiene alla famiglia linguistica contrassegnata dalla radice por- che indica il ``luogo di passaggio'', ``la via'' da cui, per mezzo del richiamo a ``cioÁ che si attraversa'' o ``che eÁ utile per raggiungere un obiettivo'', ``l'espediente'', ``la risorsa''. Nel testo, oltre a Po*roQ, abbiamo, con efficace rimando, a$-por-i* an, da a$-por- di " RICERCATEZZA (205d-207a) All'inizio del passo che segue, Diotima contesta il mito raccontato da Aristofane (199d), secondo cui gli esseri umani erano in origine doppi ma, da quando sono stati divisi da Zeus, le rispettive metaÁ si ricercano, a seconda di come era composto il tutto di cui facevano parte. In realtaÁ, invece, quelli che amano non cercano la loro metaÁ, ma il bene. Muovendo dalla premessa che Eros eÁ desiderio della bellezza, sulla base dell'identificazione tra il bene e il bello, si afferma che Eros eÁ amore del bene per concludere che Eros eÁ desiderio di possedere il bene. E, siccome Eros eÁ desiderio di avere il bene, eÁ anche desiderio di generare, perche nella generazione si realizza l'immortalitaÁ, che eÁ l'aspirazione massima per un essere mortale. ``PeroÁ si sente fare un certo discorso, per il quale quelli che amano sono 205.e. coloro che cercano la loro metaÁ. Il mio discorso dice, invece, che l'amore non eÁ amore ne della metaÁ ne dell'intero, se questo, caro amico, non si trovi a essere un bene. Gli uomini preferiscono farsi tagliare piedi e mani, se queste parti di se risultano loro in cattivo stato. Ciascuno ± io penso ± non eÁ attaccato a cioÁ che gli eÁ proprio, a meno che non si chiami bene cioÁ che gli eÁ proprio, e male cioÁ che eÁ estraneo, dal momento che non c'eÁ altro che gli 206.a. uomini amano se non il bene. O tu non sei di questo parere?'' ``Per Zeus, no certo'', risposi. ``Possiamo'' disse ``affermare semplicemente che gli uomini amano il bene?'' ``SõÁ'', risposi. ``E che? Non bisogna aggiungere'' proseguõÁ, ``che amano che il bene sia anche in loro possesso?'' ``Bisogna aggiungerlo'', risposi. ``E non solo che sia in loro possesso'' disse, ``ma che lo sia per sempre?'' ``Bisogna aggiungere anche questo.'' ``In breve'' disse ``l'amore eÁ tendenza a essere in possesso del bene per sempre.'' ``Quello che dici eÁ verissimo'', risposi. 206.b. ``Dal momento che l'amore eÁ sempre questo'' proseguõÁ, ``in quale modo e in quale azione l'impegno e la tensione di coloro che lo perseguono possono chiamarsi amore? Quale mai eÁ questa opera? Sei capace di dirlo?'' ``Se fossi capace di dirlo, Diotima, io non ti ammirerei'' risposi ``per la sapien601 za, ne verrei da te per imparare proprio queste cose!'' «``Allora te lo diroÁ io: eÁ un parto nella bellezza, sia secondo il corpo sia secondo l'anima.'' ``Ci vorrebbe un indovino'' dissi ``per intendere quello che dici! Io non capisco.'' 206.c. ``Te lo diroÁ piuÁ chiaramente. Tutti gli uomini, Socrate'' proseguõÁ, ``diventano gravidi secondo il corpo e secondo l'anima e, quando sono giunti a una certa etaÁ della vita, la nostra natura brama partorire. Partorire nel brutto non eÁ possibile, mentre eÁ possibile nel bello. L'unione dell'uomo e della donna eÁ parto. Questa eÁ cosa divina: nell'essere vivente che eÁ mortale vi eÁ questo di immortale: la gravidanza e la procreazione. Ma queste non possono avvenire 206.d. in cioÁ che sia disarmonico. E disarmonico con tutto cioÁ che eÁ divino eÁ il brutto; il bello eÁ invece in armonia con esso. Dunque, Callone (la Bellezza) nella generazione ha la funzione di Moira e di Ilitia1. Per questo cioÁ che eÁ gravido, quando si avvicina al bello, si allieta e, rallegrato, si effonde, partorisce e genera; quando si avvicina, invece, al brutto, si rattrista e, addolorato, si contrae e si rinchiude in seÂ, si tira indietro e non genera, e, tenendo dentro di se cioÁ di cui eÁ gravido; ne soffre molto. Di qui, in chi eÁ gravido e turgido, nasce 206.e. una forte eccitazione per il bello, perche puoÁ liberare da grandi doglie chi lo possiede. L'amore, Socrate, non eÁ desiderio del bello, come ritieni tu.'' ``Di che cosa, allora?'' ``Di procreare e partorire nel bello.'' ``E sia!'', dissi. E lei rispose: ``EÁ proprio cosõÁ! Ma perche amore della procreazione? Perche la procreazione eÁ cioÁ che ci puoÁ essere di sempre nascente e di immortale in un mortale. E per cioÁ che si eÁ convenuto, eÁ necessario che l'immortalitaÁ si 207.a. desideri insieme con il bene, se eÁ vero che Eros eÁ amore di possedere sempre il bene. Da questo ragionamento consegue, necessariamente, che Eros eÁ anche amore di immortalitaÁ''. (Trad. E. Savino) 1. Moira e di Ilitia: Moira eÁ un'entitaÁ omerica, impersonale, il destino, che qui Platone trasforma in una personalitaÁ divina, mentre Ilitia eÁ la dea dei parti. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Se l'amore eÁ tendenza ad essere in possesso eterno del bene, qual eÁ l'azione che caratterizza e connota lo sforzo e la tensione di coloro che amano (206b)? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 5 righe. ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... 2. In 206c sembra implicito che l'anima non possa «partorire nel brutto». PercheÂ? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 5 righe. ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... ..................................................................................................................................................................................... 602 (209a-212b) corpi1, di quelle cose che all'anima si addicono concepire e partorire; e che cosa, precisamente, si addice all'anima, se non la saggezza e ogni altra virtuÁ? Tra i quali sono da annoverare tutti i poeti che sono creatori e quelli fra gli artefici che sono detti inventori. Ma la saggezza di gran lunga piuÁ grande e piuÁ bella eÁ quella che riguarda l'ordinamento delle cittaÁ e 209.b. delle case, cui si daÁ il nome di temperanza e di giustizia. E quando uno di costoro fin da giovane abbia l'anima gravida di queste virtuÁ e, essendo celibe, giunta l'etaÁ, desideri ormai partorire e generare, egli pure, credo, andando attorno, cerca cioÁ che eÁ bello nel quale possa generare, perche nel brutto non potraÁ mai generare. Allora, in quanto eÁ gravido, si unisce ai corpi belli piuÁ che ai brutti. E se mai incontra un'anima bella, nobile e di buona natura, allora si attacca a questa bellezza, e di fronte a quest'uomo abbonda di discorsi intorno alla virtuÁ e sul come debba essere l'uomo buono e di quali cose 209.c. debba prendersi cura, e incomincia a educarlo. Venendo a contatto con cioÁ che eÁ bello, credo, e conversando con lui, partorisce e genera quelle cose di cui era gravido da tempo; sia quando eÁ presente sia quando eÁ assente lo ricorda sempre, e insieme a lui alleva cioÁ che eÁ nato. CosõÁ che queste persone hanno fra loro una comunanza maggiore di quella che daÁ la comunanza dei figli, e una piuÁ solida amicizia, poiche hanno in comune dei figli piuÁ immortali e piuÁ belli. E ognuno preferirebbe che gli nascessero figli di questo genere piuttosto che 209.d. figli, umani, guardando a Omero e a Esiodo2 e invidiando gli altri grandi poeti e le creature che essi hanno lasciato, le quali procurano loro gloria immortale e ricordo, immortali esse stesse; o se vuoi'' soggiunse, ``ammirando i figli che Licurgo3 lascioÁ a Sparta, che furono salvatori di Sparta e, per cosõÁ dire, dell'Ellade. Da voi eÁ tenuto in onore anche Solone4, per la generazione delle leggi. E ci sono poi anche altri in molti altri luoghi, e fra gli Elleni e fra i barbari, che hanno dato alla luce molte e belle opere, generando ogni specie di virtuÁ. Per questi figli sono stati innalzati a loro giaÁ molti templi, mentre per i figli umani non ne eÁ stato ancora innalzato a nessuno''. ``Fino a questo punto delle cose d'amore forse, Socrate, anche tu potresti 210.a. essere iniziato; quanto ai riti perfetti e contemplativi cui tendono anche queste, se si procede in modo giusto, non so se potresti. Ne parleroÁ io'' disse ``e non risparmieroÁ l'impegno; tu cerca di seguirmi, se ne sei capace. Chi procede'' disse ``per la giusta via verso questo termine, deve cominciare fin da giovane ad avvicinarsi ai corpi belli, e dapprima -- se chi gli fa da guida lo guida bene -- deve amare un corpo solo e in quello generare discorsi belli; bisogna poi che rifletta che 1. gravidi nell'anima ... nei corpi: si distinguono due modi diversi di generare: uno piuÁ terreno e volgare, secondo cui si genera nei corpi, proprio di coloro che amando donne e, fecondandole, si assicurano l'immortalitaÁ attraverso la prole, mentre l'altro eÁ di coloro che generano nell'anima, come i poeti e gli artisti, ed in particolare coloro che amando i bei fanciulli, si impegnano a renderli nobili ed eccellenti e a guidarli alla perfezione morale. 2. a Omero e a Esiodo: giaÁ in precedenza si era detto (209a) che soprattutto i poihtai* concepiscono con l'anima. testi 209.a. ``Ci sono infatti'' disse ``quelli che sono gravidi nell'anima piuÁ che nei Simposio La sacerdotessa Diotima delinea infine un itinerario iniziatico che prevede vari stadi e che, alla fine, conduce chi eÁ educato nelle cose d'amore alla visione del Bello in seÂ: questo non nasce e non muore ma, rimanendo sempre se stesso, fa sõÁ che tutte le altre cose belle partecipino di lui. Platone 9 Per conoscere cioÁ che eÁ bello in se 3. i figli che Licurgo ... : cioeÁ le leggi. 4. Solone: mentre Licurgo eÁ considerato salvatore non solo di Sparta ma di tutta la Grecia, Solone eÁ "tenuto in onore da voi", dice all'ateniese Socrate Diotima che eÁ di Mantinea. 603 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO il bello presente in un corpo qualsiasi eÁ fratello del 209.b. bello che eÁ in un altro corpo e che, se si deve tener dietro a cioÁ che eÁ bello per la forma, sarebbe una grande insensatezza non ritenere una e identica la bellezza che traluce in tutti i corpi. Dopo aver compreso questo, deve diventare amante di tutti i corpi belli e moderare l'eccessivo ardore per un corpo solo, disprezzandolo e giudicandolo una piccola cosa. DovraÁ poi ritenere la bellezza che eÁ nelle anime di maggior pregio di quella che eÁ nei corpi; e percioÁ, se uno ha un'anima bella, ma ha poco fiore nel corpo, dovraÁ 209.c. essere pago di amarlo, prendersi cura di lui, e partorire e ricercare discorsi che potranno rendere migliori i giovani, per essere poi spinto a considerare il bello che eÁ nelle varie attivitaÁ umane e nelle leggi, e a vedere che esso eÁ sempre tutto quanto congenere a se stesso, in modo da rendersi conto che il bello che concerne il corpo eÁ piccola cosa. Dopo le attivitaÁ umane, deve essere condotto alle scienze, affinche possa vederne anche la bellezza e, guardando 209.d. alla bellezza ormai molteplice, non piuÁ amando come uno schiavo la bellezza che eÁ in una sola cosa, la bellezza di un giovanetto o di un uomo o di un'unica attivitaÁ umana, non sia piuÁ, servendo a quella, un uomo da poco e di animo meschino, e rivolto invece lo sguardo al vasto mare del bello e contemplandolo, partorisca molti discorsi, belli e splendidi, e pensieri in un amore del sapere senza limite, fino a che, rafforzatosi e cresciuto in questo modo, sapraÁ vedere una scienza unica come questa che riguarda il bello di cui ora ti diroÁ''. 209.e. ``Ora'' disse, ``cerca di fare attenzione quanto piuÁ ti eÁ possibile. Chi eÁ stato educato fino a questo punto nelle cose d'amore, contemplando una dopo l'altra e nel modo giusto le cose belle, quando sta per giungere ormai al termine delle cose d'amore, scorgeraÁ immediatamente qualcosa di bello, per sua natura meraviglioso, proprio quello, Socrate, per il quale sono state sostenute tutte le fatiche di prima: in primo luogo, qualcosa che sempre eÁ, che 211.a. non nasce ne perisce, non cresce ne diminuisce; qualcosa, inoltre, che non eÁ bello da un lato e dall'altro brutto, ne talora bello e talora no, ne bello in relazione a una cosa e brutto in relazione a un'altra, ne bello in una parte e brutto in altra parte, ne quasi che possa essere bello per alcuni e brutto per altri. E questo bello neppure si mostreraÁ a lui come un volto, o come delle mani, ne come alcun'altra delle cose di cui il corpo partecipa; ne gli si mostreraÁ come un discorso e come una scienza, ne come qualcosa che si trovi in qualcos'altro, per esempio in un essere vivente, oppure in terra o in cielo, o 211.b. in qualcos'altro, ma si manifesteraÁ in se stesso, per se stesso, con se stesso, come forma unica che sempre eÁ. Tutte le altre cose belle, invece, partecipano di quello in un modo tale che, mentre esse nascono e periscono, quello in nulla diventa maggiore o minore, ne patisce nulla''. ``E quando uno, partendo dalle cose di quaggiuÁ, attraverso il retto amore dei giovanetti, sollevandosi in alto comincia a vedere quel bello, eÁ vicino a toccare il termine. La giusta maniera di procedere, o di essere condotto da un altro, nelle cose d'amore eÁ questa: prendendo le mosse dalle cose belle di 211.c. quaggiuÁ, al fine di raggiungere quel bello, bisogna salire sempre, come procedendo per gradini, da un solo corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e da tutti i corpi belli alle belle attivitaÁ umane, e da queste alle belle conoscenze, e dalle conoscenze procedere fino a che non si giunga a quella conoscenza che eÁ conoscenza di null'altro se non del bello stesso, e cosõÁ, giungendo al termine, conoscere cioÁ che eÁ il bello in seÂ''. Á questo il momento nella vita, caro Socrate'' disse la straniera di Manti211.d. ``E nea, ``che piuÁ di ogni altro eÁ degno di essere vissuto da un uomo, quando egli contempla il bello in seÂ. E se mai potrai vederlo, non come l'oro e le vesti ti 604 Platone Simposio sembreraÁ, ne come i bei fanciulli e i giovanetti alla vista dei quali ora tu resti turbato e sei pronto, tu come molti altri, pur di poter vedere l'amato e stare sempre insieme a lui, a non mangiare e bere se fosse possibile, ma contemplarlo solo e stare insieme a lui. Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare'' disse, ``se a uno capitasse di vedere il bello in se assoluto, puro, non mescolato, non contaminato da carni umane e da colori e da altre sciocchezze mortali, ma potesse contemplare nella sua forma unica lo stesso bello divino? Consideri'' 212.a. disse ``una vita da poco quella di un uomo che guardasse laÁ e che contemplasse quel bello con cioÁ con cui si deve contemplare, e rimanesse unito a esso? Non pensi piuttosto'' soggiunse ``che, lõÁ solo, guardando la bellezza con cioÁ con cui eÁ visibile, costui partoriraÁ non giaÁ immagini di virtuÁ, dal momento che non si accosta a una immagine di bello, ma partoriraÁ virtuÁ vere, dal momento che si accosta al bello vero? E non credi che, generando e coltivando virtuÁ vera, saraÁ caro agli deÁi, e saraÁ, se mai un altro uomo lo fu, egli pure immortale?'' testi (Trad. E. Savino) GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Quanti e quali sono i gradini della scala dell'Eros (210a-211a)? Sintetizza la tua risposta nello schema seguente: LA SCALA DELL'EROS .................................................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................................................... .................................................................................................................................................................................... 2. Per quale motivo Platone sceglie una donna, Diotima, quale ``iniziatrice'', ``mistagoga'' di Socrate ai misteri di Eros? Sapresti precisare status e funzione di questo enigmatico personaggio? Puoi aiutarti leggendo il Per approfondire riportato qui di seguito. 3. Evidenzia, nel discorso di Diotima, elementi strutturali e linguistici che richiamino un `rituale' dell'iniziazione. 4. Evidenzia le caratteristiche e le modalitaÁ di manifestazione del Bello in seÂ. Per approfondire Diotima: un mistero femminile? Per cioÁ che concerne l'universo femminile, va rilevato che la donna occupa nel Simposio quella posizione marginale che il costume tradizionalmente sanciva (cfr., tra l'altro, 176 e, quando la flautista viene allontanata dal simposio maschile e invitata a suonare per le donne di casa; 181ad, ove l'amore omosessuale fra maschi eÁ giudicato superiore a quello eterosessuale). Unica eccezione eÁ Diotima, cui Platone affida il nucleo teorico piuÁ rilevante dell'intero dialogo: le ragioni di tale scelta platonica devono essere valutate con cautela: vedere in essa ``un'ostentata provocazione del filosofo ... un atteggia- mento dissacrante nei confronti dei convincimenti classici'' (L. Furiani) non ci pare, in ogni caso, corretto, in quanto Diotima non eÁ presentata semplicemente come una donna, bensõÁ come una figura sacerdotale (fra l'altro, il nome del luogo da cui proviene ± Mantinea ± puoÁ suggerire per similaritaÁ fonica il termine mantis, ``indovina''). Diotima appartiene ad un ambito ± quello della religione, delle ``cose divine'' ± nel quale, tradizionalmente, le donne avevano un ruolo rilevante e significativo. Ad altre considerazioni dunque ci si deve volgere per penetrare il gioco sottile ed ambiguo che il testo platonico mette in opera con l'evocazione di questa voce femminile. (D. Susanetti, Il Simposio, Marsilio, Venezia 1992, p. 52) 605 10 Socrate come Marsia (215a-216c) 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO Dopo che Socrate ha finito il suo discorso, Aristofane sta per replicare quando si sente battere alla porta con grandeschiamazzo. Agatonemandaunservoa vederechieÁ;pocodopo,entraAlcibiadecompletamenteubriaco, che pretende di essere condotto da Agatone per bere alla sua salute e in suo onore: appena entrato, comincia ad incoronare Agatone con nastrie fiori e lo stesso fa, non appena lo vede, con Socrate. Erissimaco allora gli dice che in quel simposio si era convenuto di limitare le bevute e di comporre invece a turno un elogio di Eros. Alcibiade pur rifiutandosi di mettersi in gara con gli altri, ubriaco com'eÁ, fa comunque un elogio particolare di Eros. Ricordiamo che Alcibiade eÁ un esponente di primo piano nella societaÁ ateniese della seconda metaÁ del V secolo. Discendente della nobile famiglia degli Alcmeonidi e nipote di Pericle, si segnala ben presto per la sua grande bellezza e le straordinarie doti del suo carattere, nonche come uomo abilissimo e spregiudicato. Signori miei, io incominceroÁ a lodare Socrate cosõÁ, mediante immagini. Forse egli crederaÁ che io voglia rappresentarlo in modo ridicolo. Ma l'immagine mira allo scopo del vero e non a quello del riso. Dico, dunque, che egli assomiglia moltissimo a quei Sileni1, 215.b. messi in mostra nelle botteghe degli scultori, che gli artigiani costruiscono con zampogne e flauti in mano, e che, quando vengono aperti in due, rivelano di contenere dentro immagini di deÁi. E inoltre dico che egli assomiglia al satiro Marsia2. In effetti, o Socrate, neppure tu potresti mettere in dubbio che nella tua figura sei simile a questi. Che, poi, tu assomigli ad essi anche in altre cose, ora sta' a sentirlo. Sei arrogante, no? Se non lo ammetti, io porteroÁ qui dei testimoni. E non sei forse un suonatore di flauto? Anzi, sei molto piuÁ mirabile di quello. 215.c. Marsia incantava gli uomini mediante strumenti, con la potenza che gli veniva dalla bocca; e cosõÁ fa ancora oggi chi suona le sue melodie con il flauto. Infatti, io dico che quelle melodie che suonava Olimpo3 sono di Marsia, che gliele aveva insegnate. Dunque, le sue musiche, sia che le suoni un bravo flautista sia un flautista di scarso valore, da sole comunicano ispirazione e manifestano coloro che hanno bisogno degli deÁi e dell'iniziazione ai misteri, perche sono divine. E tu sei diverso da lui solamente in questo, ossia che, senza usare strumenti, produci questo stesso effetto con le nude parole. 215.d. Noi, in ogni caso, quando ascoltiamo qualche altro oratore far discorsi, anche se molto bravo, non ce ne importa, per cosõÁ dire, un bel niente; invece, quando uno ascolta te, o sente i discorsi che tu fai riferiti da qualcun altro, anche se l'oratore che li riferisce eÁ di scarso valore, sia che li ascolti una donna, o un uomo, o un giovanetto, ne restiamo tutti quanti colpiti e posseduti. Cari amici, se non rischiassi di sembrare completamente ubriaco, vi riferirei, con giuramento, che cosa ho provato io stesso nell'ascoltare i discorsi di quest'uomo, e anche ora continuo a provare. 215.e. Infatti, quando io lo ascolto, nel sentire le sue parole, mi batte il cuore e mi vengono le lacrime, molto piuÁ che ai coribanti4; e vedo che moltissimi altri provano le stesse cose. Invece, quando ascoltavo Pericle5 e altri bravi oratori, pensavo che parlassero bene, ma non 1. Sileni: come i satiri, erano esseri di natura ibrida, con testa e tronco umani, zampa e coda animaleschi; facevano parte del corteo di Dioniso e con le loro smoderatezze e la loro impudenza rappresentavano nella festa dionisiaca l'antitesi della cultura e dell'ordine insiti nella polis. I sileni di cui parla qui Alcibiade erano statuette che si trovavano nelle botteghe degli scultori, vuote al- 606 l'interno, e apribili in modo da riporvi delle statuette di divinitaÁ. 2. Marsia: i satiri sono simili ai sileni e sono spesso confusi con quelli. Marsia aveva sfidato ad una gara di musica Apollo, ma fu da lui vinto e scuoiato vivo. 3. Olimpo: non abbiamo molte notizie su Olimpo; a lui doveva essere attri- buita l'``invenzione'' di alcune melodie. 4. coribanti: erano sacerdoti di Cibele, che si esibivano in canti e danze frenetiche. 5. Pericle: la fama di oratore di cui godeva Pericle eÁ ricordata piuÁ volte dallo stesso Platone, tra l'altro in Fedro 269 e Protagora 329. LA VOCE DELLA CRITICA "Le maschere del Simposio, p. 640 Platone Simposio sentivo qualcosa di simile, ne la mia anima veniva messa in tumulto, ne si arrabbiava, come se io mi trovassi nelle condizioni di schiavo. Ma nel sentire questo Marsia qui, piuÁ volte 216.a. mi sono trovato in una situazione di questo genere, tanto da sembrarmi che non valesse piuÁ la pena di vivere, comportandosi come mi comporto io. E queste cose, o Socrate, non dirai che non siano vere. E anche ora so bene che, se volessi prestargli orecchio, non saprei opporgli resistenza, ma proverei le medesime cose. Infatti, egli mi costringe ad ammettere che, pur avendo molte mancanze, io non mi prendo ancora cura di me stesso e, invece, mi occupo delle cose degli Ateniesi6. A viva forza, quindi, come dalle Sirene7, io me ne allontano, turandomi le orecchie e dandomi alla fuga. Io non voglio proprio invecchiare 216.b. stando seduto qui, vicino a lui. E solamente nei confronti di quest'uomo io ho provato quello che nessuno penserebbe esserci dentro di me, ossia il vergognarsi di fronte a qualcuno. Solo di fronte a lui, in veritaÁ, io mi vergogno. Infatti, io sono ben consapevole di non essere in grado di contraddirlo, mostrandogli che non bisogna fare le cose che egli mi esorta a fare. Ma poi, non appena io mi allontano da lui, mi lascio avvincere dagli onori che la moltitudine tributa. PercioÁ mi sottraggo a lui e lo rifuggo. E quando lo rivedo, mi vergogno per quelle cose che mi aveva fatto ammettere. 216.c. E piuÁ volte mi viene voglia di non vederlo piuÁ fra i vivi. Ma se questo, poi, si verificasse, so bene che proverei un dolore molto maggiore: e, allora, io non so proprio come regolarmi con quest'uomo. testi (Trad. G. Reale) 6. delle cose degli Ateniesi: in un altro dialogo, l'Alcibiade I, Socrate invita il giovane e ambizioso Alcibiade a seguire il precetto delfico di conoscere se stessi, infatti chi ``ignora le proprie cose'' ± afferma Socrate ± non puoÁ prendersi cura degli interessi comuni. 7. Sirene: si fa riferimento al celebre episodio dell'Odissea (XII, 37-54 e 154- 200) in cui Ulisse tappa le orecchie dei compagni perche non siano sedotti dall'ammaliante canto delle Sirene. GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Compila una scheda di 20 righe su Alcibiade, cercandone notizie anche sul tuo manuale di storia greca. 2. Soffermati sugli effetti prodotti dai discorsi di Socrate sul destinatario. Elabora uno scritto di max 10 righe. 3. Come si evince dalla lettura di Reale (Le maschere del Simposio p. 640), la vicenda del rifiuto di Alcibiade (e$rv*menoQ) da parte di Socrate (e$rasth*Q) segna, attraverso un'esperienza presentata come effettiva, il profondo cambiamento attuato da Diotima/Socrate nella concezione della relazione tra amante e amato. Spiega come era concepita tale relazione nella cultura tradizionale e come, invece, da Socrate. 607 11 Ha qualitaÁ che nessuno possiede (219d-222b) In 216d-219a Alcibiade racconta come ha sempre desiderato conoscere a fondo la sapienza di Socrate: vedendolo osservare con interesse i bei ragazzi ed essendo ben consapevole della propria bellezza, avrebbe avuto piacere di essere sedotto da lui per poter aver in cambio il dono di quella sapienza. Ma Socrate si eÁ sempre mostrato incorruttibile, verso la bellezza come verso il denaro, cosõÁ che gli approcci di Alcibiade non hanno sortito alcun effetto. Nel passo che segue Alcibiade elogia Socrate per la sua karteri* a (fino a 220d) e la sua a$ndrei* a (fino a 221c). 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 219.d. Dopo questo1, quale credete che fosse il mio proposito, dal momento che, da un lato, mi pareva d'essere stato disprezzato2 e, dall'altro, ammiravo la sua natura, la sua temperanza e la sua fortezza, e mi ero imbattuto in un uomo quale non avrei mai creduto di trovare, per saggezza e forza d'animo? Pertanto, io non ero in condizione ne di adirarmi con lui e di privarmi della sua compagnia, ne trovavo espedienti con cui attirarlo a me. 219.e. Sapevo bene, infatti, che era da ogni parte invulnerabile dalle ricchezze piuÁ di quanto non lo fosse Aiace dal ferro3, mi era sfuggito proprio in quella cosa con cui soltanto credevo che potesse essere preso. PercioÁ mi trovavo privo di espedienti e, fatto schiavo da quest'uomo come nessuno da nessun altro, gli giravo intorno. Tutte queste cose erano giaÁ accadute, quando ci trovammo insieme nella campagna militare di Potidea4, e laÁ eravamo compagni di mensa. Prima di tutto, nelle fatiche era superiore non solo a me, ma anche a tutti gli altri. Quando, restando isolati da qualche parte, come avviene in guerra, 220.a. eravamo costretti a rimanere senza cibo, gli altri, nel resistere alla fame, non valevano nulla nei suoi confronti. Ma quando c'erano molte provviste, era il solo che sapesse godersele, e, fra le altre cose, anche nel bere, quando era costretto a farlo anche se non lo voleva spontaneamente, batteva tutti. E la cosa piuÁ straordinaria di tutte eÁ che nessun uomo ha mai visto Socrate ubriaco. Nella sua resistenza, poi, ai freddi dell'inverno che laÁ sono terribili, fece cose mirabili. Fra l'altro 220.b. una volta, essendoci una gelata veramente terribile, mentre noi tutti ce ne stavamo al coperto senza uscire, o, se uscivamo, ci avvolgevamo in una incredibile quantitaÁ di indumenti, e si calzavano e avvolgevano i piedi con panni di feltro e pelli di agnello, costui, invece, uscõÁ fuori con addosso quello stesso mantello che anche prima soleva portare, e si muoveva scalzo sul ghiaccio, meglio degli altri che avevano ai piedi i calzari, e i soldati lo guardavano 220.c. irritati, come se li mortificasse. Su questo basti quanto ho detto. Ma quel che fece e sopportoÁ il forte eroe5, laÁ, una volta in quella campagna, vale la pena di ascoltarlo. Preso da qualche pensiero, era rimasto in piedi fermo al medesimo posto a meditare fino all'alba; e poiche non riusciva a venirne a capo, non desisteva e rimaneva lõÁ fermo, continuando a cercare. Era ormai mezzogiorno e gli uomini se 1. Dopo questo: dopo il tentativo di Alcibiade di ``sedurre'' Socrate e il rifiuto di quest'ultimo. 2. d'essere stato disprezzato: perche la sua bellezza non era stata tenuta nella considerazione meritata. Alcibiade era confuso e perplesso, diviso fra il risentimento per l'offesa patita e la 608 sua grande ammirazione per Socrate. 3. dal ferro: secondo una versione del mito che conosciamo da Pindaro, Istmica 6, 47ss. e da Eschilo, fr. 83, Aiace era invulnerabile in tutto il corpo tranne che nell'ascella. 4. Potidea: cittaÁ della Calcidica, si ri- belloÁ ad Atene nel 432 e resistette all'assedio ateniese fino al 429. 5. ... forte eroe: eÁ una citazione ± leggermente modificata per adattarla al discorso ± di Odissea IV, 242, dove Elena rievoca l'audace impresa di Odisseo che, travestito, era riuscito a penetrare a Troia. 8. armi pesanti: secondo la divisione censitaria, i cavalieri erano piuÁ agiati degli opliti, perche potevano permettersi il mantenimento del cavallo con il relativo equipaggiamento. 10. Lachete: fu stratego nel 427 e nel 418, quando morõÁ nella battaglia di Mantinea; nel dialogo socratico che prende il suo nome elogia il valore di Socrate a Delio. testi 7. Delio: a Delio, ai confini con la Beozia, un esercito ateniese fu annientato dai Tebani nel 424. 9. si erano giaÁ dispersi: si intenda gli Ateniesi. Simposio 6. posizione sociale: si ricordi che Alcibiade discendeva da una delle famiglie piuÁ nobili e potenti di Atene. Platone ne erano accorti e, stupiti, dicevano l'uno all'altro che Socrate se ne stava lõÁ fin dall'alba in piedi a pensare qualcosa. Alla fine, alcuni soldati ionici, quando era venuta la sera, dopo che avevano cenato, 220.d. poiche era estate, portarono fuori il loro letto da campo, e, mentre riposavano al fresco, lo sorvegliavano, per vedere se restasse laÁ in piedi tutta la notte. E lui rimase veramente in piedi finche venne l'alba e si levoÁ il sole. E poi, rivolta una preghiera al sole, si mosse e se ne andoÁ. E se volete, parliamo di lui nelle battaglie. EÁ giusto, infatti, rendergliene merito. Quando ci fu la battaglia in cui gli strateghi diedero a me il premio di valore, nessun altro uomo mi salvoÁ la vita 220.e. se non costui, che non volle abbandonarmi ferito, e riuscõÁ a trarre in salvo me stesso e le armi insieme. E io, Socrate, giaÁ allora esortai gli strateghi a dare a te il premio al valore; e quanto a questo non potrai farmi rimproveri, ne potrai dire che io mento. Ma gli strateghi, per riguardo alla mia posizione sociale6, volevano dare a me il premio al valore, e tu ti sei dato piuÁ premura degli strateghi perche il premio lo ricevessi io e non tu. E poi ancora, o amici, valeva davvero la pena contemplare Socrate quando da Delio7 221.a. l'esercito si ritirava in fuga. Mi capitoÁ di trovarmi accanto a cavallo, mentre lui era a piedi con armi pesanti8. Mentre gli altri si erano giaÁ dispersi9, costui si ritirava insieme con Lachete10. Io, capitando lõÁ e vedendoli, subito li esortai a farsi coraggio e dissi che non li avrei abbandonati. E qui io potei contemplare Socrate meglio che a Potidea, dato che avevo meno paura, perche ero a cavallo, e vedere anzitutto quanto fosse superiore 221.b. a Lachete per presenza di spirito. E poi mi pareva, o Aristofane, per dirla con le tue parole, che anche laÁ camminasse come qui a testa alta e gettando occhiate di traverso11, cioeÁ guardando di sbieco amici e nemici, per fare intendere a tutti, anche da lontano, che, se qualcuno lo avesse attaccato, si sarebbe difeso con molto vigore. E percioÁ si ritirava con sicurezza, e con lui il suo compagno. Infatti, chi si comporta in questa maniera i nemici non lo toccano neppure e inseguono, invece, chi fugge in disordine. 221.c. Di molte e di altre straordinarie cose si potrebbe continuare a lodare Socrate. Ma per queste altre qualitaÁ si potrebbero dire le stesse cose anche di altri. Invece, del fatto che egli non sia simile a nessuno degli uomini, ne degli antichi ne dei contemporanei, questa eÁ la cosa degna di ogni meraviglia. Infatti, Achille12 per le qualitaÁ che ebbe si potrebbe paragonare anche a Brasida o ad altri, e le qualitaÁ di Pericle si potrebbero paragonare anche a quelle di Nestore e Antenore; e ci sono anche altri esempi. 221.d. E allo stesso modo si potrebbe fare il paragone anche per altri. 12. Achille: ad Achille seguono esempi di grandi guerrieri ed oratori: Brasida (valoroso comandante spartano caduto ad Anfipoli nel 422) eÁ accostato ad Achille per il valore; Pericle eÁ paragonato a Nestore e ad Antenore, figure mitiche di saggi per le capacitaÁ oratorie. 11. ... di traverso: si tratta di una citazione da Nuvole 362s.; tuttavia, nella commedia, Socrate eÁ ridicolizzato, tronfio e presuntuoso del suo sapere. 609 Ma non si troverebbe, cercandolo, un uomo fuori del normale simile a costui, sia per quello che lui stesso eÁ sia per i discorsi che fa, neppure uno che gli si avvicini, ne fra i contemporanei ne fra gli antichi. A meno che non lo si paragoni a quello che io dico, ossia non a uomini, ma ai Sileni e ai Satiri, e lui e i suoi discorsi. Anche questo in principio non vi ho detto: che i suoi discorsi assomigliano moltissimo ai Sileni che si aprono. 221.e. Infatti, se uno intendesse ascoltare i discorsi di Socrate, gli potrebbero sembrare del tutto ridicoli: tali sono i termini e le espressioni con cui sono avvolti dal di fuori, appunto come la pelle di un arrogante Satiro. Infatti, parla di asini da soma e di fabbri e di calzolai e conciapelli, e sembra che dica sempre le medesime cose con le medesime parole13, al punto che ogni uomo che non lo abbia praticato e non capisca 222.a. riderebbe dei suoi discorsi. Ma se uno li vede aperti ed entra in essi, troveraÁ, in primo luogo, che sono i soli discorsi che hanno dentro un pensiero, e, poi, che sono divinissimi e hanno in se moltissime immagini di virtuÁ, e che mirano alla maggior parte delle cose, e anzi, meglio ancora, a tutte quelle cose sulle quali deve riflettere colui che vuole diventare un uomo buono. Queste, o amici, sono le cose per cui elogio Socrate. E mescolando anche con esse le cose per cui lo biasimo, io ho riferito le cose per cui mi ha offeso. Del resto, 222.b. non ha fatto questo solo a me, ma anche a Carmide14 figlio di Glaucone, a Eutidemo figlio di Diocle e a moltissimi altri, che costui ha ingannato presentandosi loro come amante, per mettersi nelle condizioni di diventare lui stesso l'amato invece che l'amante15. «Queste cose le dico anche a te, o Agatone, perche tu non ti debba lasciar ingannare da quest'uomo, ma, venuto a conoscenza delle cose che ci sono capitate, te ne stia in guardia, perche non ti accada, come dice il proverbio16, di imparare come l'improvvido, dopo aver sofferto». 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO (Trad. G. Reale) 13. con le medesime parole: la ripetitivitaÁ eÁ una delle caratteristiche del dialogo socratico: egli stesso in Apologia 30e, si definisce assillante come un tafano; in Gorgia 490e-491a, Callicle lo accusa invece di parlar sempre di ``calzolai, cardatori, cuochi e medici''. EÁ stato osservato che, d'altronde, il riferimento continuo di Socrate al lavoro degli artigiani e alle tecniche deve essere inteso in riferimento alla tesi socratica, secondo la quale la virtuÁ eÁ scienza. 610 14. Carmide: figlio di Glaucone, era zio materno di Platone, che gli intitoloÁ il dialogo sulla temperanza, mentre Eutidemo eÁ un altro devoto discepolo di Socrate, ricordato piuÁ volte nei Memorabili di Senofonte e da non confondere con il presuntuoso sofista cui si intitola un altro dialogo platonico. 15. l'amante: in quanto, fingendo di corteggiare la loro bellezza, suscita invece in quelli la passione per i suoi discorsi. 16. proverbio: questo proverbio eÁ citato in varie forme, ad esempio in Esiodo (Le opere e i giorni 218) ``a sue spese anche lo sciocco apprende''. TEMI E CONFRONTI 1. Alcibiade, con fare agiografico, mette a fuoco, attraverso degli esempi tratti dalla sua biografia, due particolari qualitaÁ di Socrate. Compila una scheda che realizzerai sul tuo quaderno secondo l'esempio: karteri* a Simposio QUALITAÁ AZIONI CHE NE METTONO IN LUCE IL POSSESSO DA PARTE DI SOCRATE Durante l'assedio di Potidea sta a lungo senza mangiare .................................................................................................................................. .................................................................................................................................. a$ndrei* a .................................................................................................................................. .................................................................................................................................. testi .................................................................................................................................. .................................................................................................................................. 2. Sottolinea i punti in cui si insiste sul motivo della straordinaria singolaritaÁ di Socrate. 3. Riproponi, nello schema seguente, il ritratto di Socrate (segui le indicazioni): RITRATTO DI SOCRATE " aspetto fisico (ne abbiamo evidenza dal confronto con i sileni ed i satiri, esseri di natura ibrida, umana ed animalesca) " abbigliamento grosso ventre, labbra tumide, naso camuso ed occhi sporgenti ....................................................................................... ....................................................................................... carattere (per definirne gli aspetti, ricorri ad aggettivi) " " eloquio Platone GUIDA ALL'ANALISI ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... ....................................................................................... STILE E RETORICA 4. Evidenzia le caratteristiche dei discorsi di Socrate, quali emergono dal testo. Perche vengono assimilati ai Sileni che si aprono? 5. Evidenzia i punti di contatto fra l'aspetto fisico di Socrate e quello di Eros (nel discorso di Socrate, p. 599). Spiega poi il motivo di questa coincidenza certamente non casuale. ..................................................................................................................................................................................... 6. Dopo aver letto i testi tratti dal Simposio e le pagine di Reale (pp. 640 ss.) puoi riconoscere la ``cornice'' in cui il dialogo eÁ collocato e la sovrapposizione di piani cronologici e di livelli narrativi e drammatici che la sua struttura presenta. Evidenzia tutto questo in un elaborato di 30 righe, spiegandone la funzione e l'importanza ai fini della trasmissione del pensiero. ..................................................................................................................................................................................... 611 Fedone 12 Introduzione al dialogo (59d-63b) Il Fedone ha un'importanza particolare nell'opera di Platone, sia per la testimonianza che l'autore vi ha reso alla memoria di Socrate, sia per le dottrine specificatamente platoniche che vi sono esposte in modo organico. Argomento del dialogo eÁ la morte di Socrate. Prima di bere la cicuta, il filosofo si intrattiene a lungo con alcuni dei suoi discepoli piuÁ devoti, tra cui Critone, Fedone, Apollodoro e due pitagorici di Tebe, Simmia e Cebete, e discute con loro di un tema che aveva giaÁ affrontato in molte occasioni, ma che in quel momento si imponeva con urgenza alla sua come alla loro attenzione: la sopravvivenza delle anime dopo la morte. All'inizio del dialogo, Fedone incontra Echecrate, che gli chiede se era stato presente alla morte di Socrate, e se ricorda quali discorsi questi aveva tenuto con gli amici. Fedone risponde volentieri. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 59.d. CercheroÁ di raccontarti ogni cosa da principio. Sempre, anche nei giorni prima, io e gli altri eravamo soliti far visita a Socrate. Ci radunavamo di buon'ora nel tribunale in cui si svolse il processo, perche si trovava nei pressi del carcere. Restavamo lõÁ, ogni volta, fino a quando il carcere non fosse aperto, discorrendo fra noi; infatti, non si apriva di buon'ora. Poi, appena aperto, entravamo da Socrate, e trascorrevamo con lui, per lo piuÁ, la maggior parte della giornata. Ebbene, anche quel giorno ci radunammo, ma ancora piuÁ presto, perche la sera prima, 59.e. quando uscimmo dal carcere, sentimmo dire che era giunta la nave da Delo1. Ci demmo parola di incontrarci la mattina dopo al solito posto, il piuÁ presto possibile. E ci trovammo. Il portinaio che era solito aprirci, ci venne incontro e ci disse di attendere e di non entrare prima che egli ce ne desse il permesso, e soggiunse: «Gli Undici ora sciolgono Socrate2 e gli danno l'annuncio che oggi egli deve morire». Dopo poco ritornoÁ e ci invitoÁ a entrare. Entrammo, dunque, 60.a. e trovammo Socrate da poco slegato e Santippe3 -tu la conosci -- col loro figlio piccolo4 in braccio, seduta accanto a lui. Non appena ci vide, Santippe incomincioÁ a lamentarsi e a dire quelle cose che le donne sono solite dire: «O Socrate, questa eÁ l'ultima volta che i tuoi amici parleranno con te e tu parlerai con loro!». E Socrate, rivolto lo sguardo a Critone, disse: «O Critone, qualcuno la porti a casa!». E alcuni del seguito5 di Critone la portarono a casa, mentre ella gridava 60.b. e si batteva il petto. E Socrate, ponendosi a sedere sopra il letto, ripiegoÁ la gamba e la sfregoÁ con la mano, e mentre la sfregava, disse: «Quanto eÁ mai strano questo che gli uomini chiamano piacere e in quale straordinaria maniera si comporta verso quello che 1. Delo: in ricordo dell'impresa che vide vincitore Teseo contro il Minotauro, gli Ateniesi inviavano tutti gli anni una nave a Delo, ad offrire un sacrificio di ringraziamento ad Apollo e, fino al momento del ritorno della sacra ambasceria, non era lecito eseguire condanne a morte. La partenza della nave era avvenuta il giorno stesso della condanna di Socrate, e per questo l'esecuzione era stata rinviata. La notizia del ritorno 612 della nave appresa la sera prima significava che la morte di Socrate era ormai imminente. 2. sciolgono Socrate: i carcerati portavano una catena al piede e, prima dell'esecuzione, i magistrati che sovraintendevano alle carceri, appunto gli Undici qui nominati, li liberavano e davano le disposizioni necessarie per procedere all'esecuzione stessa. 3. Santippe: la moglie di Socrate. 4. piccolo: cioeÁ MeneÁsseno, il piuÁ piccolo dei tre figli di Socrate. Gli altri due si chiamavano LaÁmprocle e Sofronisco. 5. del seguito: una persona di condizione sociale elevata andava in giro accompagnata da alcuni schiavi, che in questo caso avranno aspettato fuori gli ordini del padrone. Fedone testi 6. Esopo: scrittore di favole di origine tracia, vissuto intorno al VI secolo a.C. Platone pare il suo contrario, il dolore! Essi non vogliono mai stare insieme ambedue nell'uomo; ma, se qualcuno insegue e prende uno dei due, eÁ pressoche costretto a prendere sempre anche l'altro, quasi che essi, pur essendo due, pendessero da un unico capo. 60.c. E credo che, se Esopo6 ci avesse pensato, ne avrebbe tratta una favola: cioeÁ che il dio, volendo pacificare questi due che si fanno la guerra, dal momento che non poteva, legoÁ i loro estremi ad un medesimo capo: e, cosõÁ, dove compare l'uno, subito dopo segue anche l'altro. E questo appunto pare che sia capitato anche a me: mentre, prima, qui nella gamba c'era il dolore prodotto dalla catena, ora ecco che a quello vien dietro il piacere». Allora prese la parola Cebete e disse: «Per Zeus! Hai fatto bene a ricordarmelo, o Socrate. Infatti a proposito 60.d. delle poesie che hai composto mettendo in versi le favole di Esopo e l'inno di Apollo, alcuni, e in particolare Eveno7 l'altro ieri, mi hanno domandato con quale intenzione ti fossi messo a fare queste cose, da quando sei venuto qua, mentre non le avevi mai fatte prima. Se ti sta a cuore che io abbia di che rispondere a Eveno, quando egli mi domanderaÁ di nuovo -- e so bene che me lo domanderaÁ --, ebbene, dimmi che cosa debbo rispondere». O Cebete -- disse --, devi rispondere la veritaÁ, e cioeÁ che io ho composto queste poesie non con l'intenzione di gareggiare con lui e con i suoi carmi, 60.e. perche sapevo bene che questo non era facile; ma le ho composte per mettere a prova certi sogni e intendere che cosa volessero dire, e per liberarmi da uno scrupolo, se mai fosse stata proprio questa la musica che essi spesso mi comandavano di fare. Infatti, nella mia vita passata, mi capitoÁ, spesso, di sognare il medesimo sogno, ora sotto una forma ora sotto un'altra, che mi ripeteva sempre la medesima cosa: ``Socrate, componi e pratica musica!'' E io, per il passato, ritenni che il sogno mi stimolasse e mi spronasse a fare quello che giaÁ stavo facendo. 61.a. E come coloro che incoraggiano quelli che corrono, cosõÁ io credevo che il sogno mi volesse incoraggiare a fare quello che facevo, cioeÁ a fare quella musica che giaÁ facevo, in quanto la filosofia eÁ la musica piuÁ grande. Ma, dopo che il processo ha avuto luogo e la festa del dio ha differito la mia morte, mi parve opportuno, nel caso che il sogno mi comandasse di fare proprio questa musica nel senso comune del termine, di non disubbidirgli e di farla, perche era piuÁ sicuro non andarmene prima di essermi liberato dallo scrupolo, 61.b. facendo poesie e ubbidendo a quel sogno. E, cosõÁ, per prima cosa, composi un carme al dio di cui ricorreva la festa. E, dopo aver composto quel carme al dio, pensando che un poeta, se vuole essere veramente poeta, debba comporre miti e non discorsi, e, d'altra parte, non essendo io un creatore di miti, per questo misi in versi i racconti di Esopo, che avevo a portata di mano e sapevo a memoria, nell'ordine in cui mi capitavano in mente. «Questo, o Cebete, devi riferire a Eveno; e anche che io gli do il mio addio e che, se eÁ saggio, mi deve seguire al piuÁ presto. 61.c. Io, come pare, me ne vado oggi stesso, perche cosõÁ gli Ateniesi comandano». E Simmia: «Che invito eÁ mai questo che mandi a Eveno, o Socrate? Mi eÁ capitato di trovarmi con lui parecchie volte, ma, per la veritaÁ, dall'impressione che ho avuto, non mi sembra che abbia alcuna intenzione di ubbidirti». «Ma come? Non eÁ un filosofo Eveno?», disse. A me pare proprio di sõÁ», rispose Simmia. 7. Eveno: Eveno di Paro (V sec. a.C.) fu sofista e poeta. 613 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO «Allora vorraÁ seguirmi non solo Eveno, ma anche chiunque altro pratichi la filosofia come si deve; peroÁ non dovraÁ fare violenza a se medesimo, perche dicono che questo non sia lecito». E, mentre diceva queste cose, posoÁ 61.d. le gambe a terra, e, stando cosõÁ seduto, continuoÁ tutto il resto del suo ragionamento. Allora Cebete gli domandoÁ: «Come puoi sostenere, o Socrate, che non eÁ lecito fare violenza contro se stessi, e che, d'altro canto, il filosofo dovrebbe aver voglia di seguire chi muore?». «Ma come, o Cebete? Tu e Simmia, quando siete stati con Filolao8, non avete sentito parlare di queste cose?». «Certamente, ma nulla di chiaro, o Socrate». «Ma anch'io ne parlo per sentito dire. Tuttavia, niente mi impedisce di dirvi quello che mi eÁ accaduto di sentire. E, del resto, 61.e. eÁ la cosa piuÁ conveniente di tutte, per chi eÁ sul punto di intraprendere il viaggio verso l'altro mondo, indagare con la ragione e discorrere con miti su questo viaggio verso l'altro mondo e dire come crediamo che sia. Se no, che altro si potrebbe fare in tutto questo tempo fino al tramonto del sole?» «E percheÂ, allora, dicono che non eÁ lecito uccidere se stessi, o Socrate? Che non si debba fare questo, come tu ora dicevi, l'ho giaÁ sentito anche da Filolao, quando egli era con noi, e anche da alcuni altri. Ma qualcosa di chiaro su questo non l'ho sentito mai da nessuno». 62.a. «Allora -- disse --, devi rassicurarti! Presto la potrai udire. A te, forse, faraÁ meraviglia che solo questo caso, fra tutti gli altri, non ammetta eccezioni, e che non accada mai che, per l'uomo, cosõÁ come avviene per le altre cose, si possano eccettuare casi o persone per cui sia meglio morire che vivere. E, forse, ti faraÁ meraviglia che anche per costoro, per i quali eÁ meglio morire, non sia cosa santa fare a se stessi questo beneficio e che, invece, debbano stare ad aspettare un altro benefattore!». E Cebete, nel suo dialetto, ridendo tranquillamente, disse: «Ci capisca Zeus!». 62.b. E Socrate: «Certo, detta cosõÁ, la cosa pare non ragionevole; eppure una sua ragione, forse, ce l'ha. Quello che viene espresso a questo proposito nei misteri9, che noi uomini siamo come chiusi in una custodia, e che, percioÁ, non dobbiamo liberarcene e fuggire, mi sembra un profondo pensiero non facile da penetrare. Ma questo almeno, o Cebete, mi pare che sia ben detto: che sono gli deÁi quelli che si prendono cura di noi, e che noi siamo un possesso degli deÁi. O non ti pare che sia cosõÁ?». «A me sõÁ», rispose Cebete. 62.c. «Allora anche tu -- disse Socrate --, se mai qualcuno che fosse tuo possesso uccidesse se stesso, senza che tu gli avessi dato alcun segno di volere la sua morte, non ti infurieresti contro di lui, e, se potessi infliggergli qualche punizione, non lo puniresti?». «Certo», rispose. «Allo stesso modo, dunque, non eÁ cosa irragionevole che nessuno debba uccidere se stesso prima che il dio non gli mandi un necessario comando, come ha fatto ora con noi». «Questo mi pare naturale -- disse Cebete --. Ma quello che poco fa affermavi, cioeÁ che i filosofi dovrebbero volere di buon animo 62.d. la morte, a me pare insensato, o Socrate, se quello che dicevamo prima era sensato, vale a dire che il dio eÁ colui che ha cura di noi e che noi siamo suo possesso. Infatti, che gli uomini 8. Filolao: filosofo pitagorico, attivo a Tebe intorno alla metaÁ del V secolo. Fra i suoi allievi, come apprendiamo da qui, ci furono anche Simmia e Cebete. 614 9. misteri: eÁ possibile che qui si alluda ai misteri orfici. Platone Fedone piuÁ saggi non si rammarichino di uscire da questo servizio in cui sono tutelati dai migliori tutori che esistano, quali sono appunto gli deÁi, eÁ cosa che non ha senso. Ne si puoÁ credere che uno sia convinto di provvedere a se stesso con maggiore vantaggio, una volta liberatosi da quel servizio. Un folle potrebbe credere questo e pensare che si deve fuggire 62.e. dal padrone; e solo un folle non penserebbe che non si deve fuggire dal padrone buono, ma che, anzi, conviene rimanere con lui, e che, fuggendo, si commetterebbe una follia. Invece chi eÁ saggio desidera stare sempre accanto a chi eÁ migliore di lui. Ma, se si ragiona cosõÁ, risulta naturale esattamente il contrario, o Socrate, di quello che prima si diceva, ossia che ai saggi conviene rammaricarsi della morte, agli stolti rallegrarsene». Socrate, udito questo, mi parve compiacersi di 63.a. quella vivace argomentazione di Cebete, e, rivolgendo verso di noi lo sguardo, disse: «Cebete tira sempre fuori ragionamenti nuovi e non si lascia mai convincere immediatamente da quello che uno gli dice». E Simmia: «Ma questa volta, o Socrate, sembra anche a me che Cebete abbia qualche ragione: perche mai uomini veramente sapienti si sottrarrebbero a padroni migliori di loro e se ne andrebbero lontano da essi cosõÁ facilmente? E mi sembra che Cebete rivolga il suo ragionamento proprio a te, che sopporti cosõÁ a cuor leggero di abbandonare sia noi, sia quei buoni governanti, che sono, come tu dici, gli deÁi!». E Socrate rispose: «Dite cose giuste! Credo, infatti, 63.b. che voi vogliate dire che io, di fronte a queste obiezioni, mi debbo difendere come se fossi in tribunale». «Proprio cosõÁ», disse Simmia. (Trad. G. Reale) testi GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Luogo " Dove si colloca la scena del dialogo narrato? ................................................................................................................................................................................ 2. Tempo " Quando si svolge il dialogo narrato? ................................................................................................................................................................................ 3. Il viaggio della nave di Delo lega, in una sorta di trilogia, Apologia, Critone, Fedone. PercheÂ? ..................................................................................................................................................................................... 4. Personaggi Desumi, dal testo che ti proponiamo in traduzione, le informazioni relative ai personaggi indicati in tabella: Fedone ........................................................................................................................................................... Portinaio ........................................................................................................................................................... Santippe ........................................................................................................................................................... Critone ........................................................................................................................................................... Cebete ........................................................................................................................................................... Eveno ........................................................................................................................................................... Simmia ........................................................................................................................................................... 5. Che cosa significa per Platone l'espressione «la filosofia eÁ la musica piuÁ grande» (61a)? 6. Qual eÁ il messaggio di Socrate? Cosa desidera massimamente il filosofo? 7. Qual eÁ il contenuto dell'obiezione di Cebete? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 5 righe. 8. Proponi in un elaborato di max 10 righe le argomentazioni usate da Socrate contro il suicidio. 615 13 La morte (115b-118a) Dopo aver proposto tre prove dell'immortalitaÁ dell'anima (rispettivamente in 69e-77d, in 78b-80b e in 95a-107b), Socrate introduce un secondo mito escatologico relativo al destino delle anime dopo la morte che si accompagna ad alcune considerazioni di tipo etico (107c-115a). La sua conclusione eÁ che certo non si puoÁ essere sicuri che tutto sia proprio come lui ha ipotizzato, ma dato che l'anima eÁ immortale e che siamo convinti che gli deÁi si prenderanno cura dei buoni, qualcosa di buono dopo la morte si puoÁ sperare. Per questo, Socrate crede che non debba aver paura del trapasso chi in vita ha saputo rinunciare ai piaceri del corpo e ha coltivato esclusivamente la propria anima nella pratica della virtuÁ e aggiunge di essere pronto per il suo viaggio. Va cosõÁ a lavarsi per non dare alle donne il fastidio di pulire il cadavere. 115.b. Tay&ta dh+ ei$ po*ntoQ ay$toy& o< Kri* tvn, ``Ei#en'', e> fh, ``v# Sv*krateQ " ti* de+ 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO toy*toiQ h/ e$ moi+ e$ piste* lleiQ h/ peri+ tv&n pai* dvn h/ peri+ a>lloy toy, o%ti a>n soi poioy&nteQ h<mei& Q e$ n xa*riti ma*lista poioi& men;'' `` %Aper a$ei+ le* gv'', e> fh, ``v# Kri* tvn, oy$de+ n kaino*teron " o%ti y<mv&n ay$tv&n e$ pimeloy*menoi y<mei& Q kai+ e$ moi+ kai+ toi& Q e$ moi& Q kai+ y<mi& n ay$toi& Q e$ n xa*riti poih*sete a%tt\ a/n poih&te, ka/n mh+ ny&n o<mologh*shte " e$ a+n de+ y<mv&n me+ n ay$tv&n a$melh&te kai+ mh+ $ ue* lhte v%sper kat\ i> xnh kata+ ta+ ny&n te ei$ rhme* na kai+ ta+ e$ n t{& e> mprosuen xro*n{ zh&n, oy$de+ 115.c. e$ a+n polla+ o<mologh*shte e$ n t{& paro*nti kai+ sfo*dra, oy$de+n ple* on poih*sete''. ``Tay&ta me+n toi* nyn prouymhso*meua'', e> fh, ``oy%tv poiei& n " ua*ptvmen de* se ti* na tro*pon;'' `` % OpvQ a>n'', e> fh, ``boy*lhsue, e$ a*nper ge la*bhte* me kai+ mh+ e$ kfy*gv y<ma&Q''. Gela*saQ de+ a%ma h<syx|& kai+ pro+Q h<ma&Q a$poble* caQ ei#pen " ``Oy$ pei* uv, v# a>ndreQ, Kri* tvna, v<Q e$ gv* ei$ mi oy}toQ Svkra*thQ, o< nyni+ dialego*menoQ kai+ diata*ttvn e% kaston tv&n legome* nvn, a$ll\ oi> etai* me e$ kei& non ei#nai o=n o>cetai o$li* gon y%steron 115.d. nekro*n, kai+ e$ rvt@& dh+ pv&Q me ua*pt|. o%ti de+ e$ gv+ pa*lai poly+n lo*gon pe115.b-c. tay&ta ... ay$toy&, si riferisce a quanto Socrate ha appena detto riguardo al fatto che eÁ pronto per il viaggio ed ha intenzione di andare a lavarsi. _ ti* ... e$piste*lleiQ ..., ``che disposizioni vuoi dare ... ?''. Critone si informa premurosamente sulle intenzioni di Socrate e sugli incarichi che desidera dare a lui e agli amici presenti nei confronti dei figli, delle altre persone che gli sono care, e per il suo funerale. A questo allude con il neutro generico peri+ a>lloy toy (toy eÁ pronome indefinito). _ o%ti a>n ... poioi& men, relativa a cui a>n 1 ott. daÁ valore potenziale. _ a%per a$ei+ le*gv, ``cioÁ che sempre vi dico''. Socrate fa finta di non aver capito a cosa alluda Critone con peri+ a>lloy toy e risponde ricordando gli insegnamenti morali su cui ha sempre (a$ei* ) insistito, piuÁ importanti di ogni altra questione. A questo punto Critone eÁ costretto a formulare la domanda in modo meno elusivo (ua*ptvmen de* se ti* na tro*pon). ± y<mv&n ... e$pimeloy*menoi: part. cong. con valore condizionale, ``se vi prenderete cura'', protasi di periodo ipotetico dell'eventualitaÁ, la cui apodosi eÁ poih*sete; il ``prendersi cura di se stessi'', nella terminologia corrente di So- 616 crate e della sua scuola, ha un significato preciso, che si puoÁ esprimere come il precetto di praticare la virtuÁ intellettuale e morale; ha come antonimo? il ``trascurare se stessi'' (e$ a+n de+ ... a$melh&te). ± toi& Q e$moi& Q eÁ un neutro che comprende, genericamente, tutto cioÁ che riguarda Socrate, dai suoi familiari al suo patrimonio alla sua memoria. _ v%sper, ``per cosõÁ dire'', attenua la metafora? venatoria rappresentata da kat\ i> xnh, ``sulle orme''. ± oy$de+ e$a+n ... poih*sete: non eÁ con le promesse inutili, rivolte ad una persona in punto di morte, che si puoÁ progredire sul piano morale. 115.c. e$a*nper ... y<ma&Q, ``nel caso mi prendiate e non vi scappi''. Critone, che insiste a chiedere istruzioni per la sepoltura di Socrate, non ha ancora compreso la differenza tra ``questo'' Socrate (oy}toQ eÁ il deittico? riferito a cosa o persona vicino a chi parla), che si trova in mezzo agli amici e che sta per morire bevendo la cicuta, e ``quello'' (e$ kei& noQ, riferito a cosa o persona lontana da chi parla e da chi ascolta), che dopo la morte sfuggiraÁ ad ogni prigione terrena, al carcere in cui eÁ rinchiuso e nello stesso tempo al corpo, prigione dell'anima. ± pv&Q me ua*pt|: interrogativa indiretta con il congiuntivo di tipo dubitativo. 115.d. o%ti ... pepoi* hmai, sostantiva dichiarativa con funzione esplicativa di tay&ta che segue; tay&ta* moi dokv& ay$t{& a>llvQ le* gein, ``queste mi sembrano per lui chiacchiere senza senso''; da poly+n lo*gon dipendono poi le due dichiarative v<Q paramenv&, a$ll$ oi$ xh*somai, ``non resteroÁ, ma me ne androÁ''. ± to+ fa*rmakon eÁ vox media? che puoÁ indicare un rimedio per la salute o un veleno, a seconda del contesto. Socrate berraÁ la cicuta e moriraÁ avvelenato, ma con le sue ultime parole pregheraÁ gli amici di offrire per lui un gallo ad Asclepio. Il veleno che uccideraÁ il suo corpo saraÁ cosõÁ una medicina per la sua anima. _ ei$ Q maka*rvn ... ey$daimoni* aQ, ``verso le felicitaÁ dei beati'': Socrate nei capitoli precedenti aveva detto che le anime dei giusti, e in particolare di coloro che si sono dedicati alla filosofia, sono destinate ad una dimora di beatitudine eterna. La particella asseverativa dh* sottolinea la convinzione che questo luogo esiste veramente ed eÁ cosa nota, mentre il pronome inde- 115.e. oi$ xh*sesuai a$pio*nta riprende la ridondanza oi$ xh*somai a$piv*n. ± v<Q deina+ pa*sxontoQ, ``come se io subissi un torto atroce'': participio congiunto con valore comparativo ipotetico. ± e$n t|& taf|&, ``durante il funerale''. ± proti* uetai ... e$kfe*rei ... katory*ttei, esprimono i tre momenti della cerimonia funebre. Tale cerimonia prevede 116.a. a$ni* stato ei$ Q oi> khma* ti, ``si levoÁ (per andare) in una stanzetta''. ± v<Q loyso*menoQ, ``per lavarsi'': finale implicita con il participio futuro. ± kai+ o$ Kri* tvn ... ay$t{&: l'espressione eÁ parentetica, perche il successivo e$ ke* leye ha ancora per soggetto Socrate. Il vecchio Critone eÁ l'amico piuÁ intimo di Socrate: eÁ suo coetaneo e nativo dello testi l'esposizione del defunto, perche riceva l'estremo omaggio da parte di parenti ed amici (proti* uesiQ), il suo trasporto (e$ kfora*) e la cremazione o la sepoltura¨. Critone, insomma, non deve pensare di rendere le onoranze funebri a questo Socrate che parla, ma a quello che rimarraÁ, al semplice corpo. ± ey# ga+r i> sui, ``sappi bene'', con tono di comprensione affettuosa nei confronti del buon Critone. _ h# d\ o%Q ``diceva quello'', imperf. 3a s. di h$mi* , ``dire''. _ ei$ Q ay$to+ ... plhmmele*Q, ``eÁ di per se sconveniente'': analogamente all'italiano ``stonato'', l'aggettivo viene da plh*n 1 me* loQ, ``contro il tono o il metro'', e per estensione ``difettoso'', ``inopportuno''. ± kako*n ti ... cyxai& Q, ``produce anche qualche danno alle anime''. Il danno consiste nel fatto che esse perdono l'abitudine al ragionamento. Fedone finito tinaQ aggiunge all'espressione un tono di mistero e di indeterminatezza. _ th+n e$nanti* an ... h$ggya&to, ``la garanzia opposta a quella che questi ha fatto davanti ai giudici'': eÁ probabile che si riferisca alla garanzia che Critone aveva dato per Socrate quando, dopo la condanna a morte, aveva chiesto per lui la libertaÁ provvisoria fino al ritorno della nave da Delo, impegnandosi a versare una certa somma di denaro se Socrate non si fosse presentato al supplizio in quel momento. L'offerta, peraltro, non fu accettata e Socrate fu subito incarcerato. La garanzia opposta a quella eÁ che Socrate non resteraÁ dopo la condanna a morte, ma se ne andraÁ via libero. ± oy}toQ ... paramenei& n: sott. e$ m\ h$ggya&to. _ h# mh*n eÁ una formula asseverativa (``senza dubbio'') propria dei giuramenti. Platone poi* hmai, v<Q, e$peida+n pi* v to+ fa*rmakon, oy$ke* ti y<mi& n paramenv&, a$ll\ oi$ xh*somai a$piv+n ei$ Q maka*rvn dh* tinaQ ey$daimoni* aQ, tay&ta* moi dokv& ay$t{& a>llvQ le* gein, paramyuoy*menoQ a%ma me+ n y<ma&Q, a%ma d\ e$ mayto*n. e$ ggyh*sasue oy#n me pro+Q Kri* tvna'', e> fh, ``th+n e$ nanti* an e$ ggy*hn h/ h=n oy}toQ pro+Q toy+Q dikasta+Q h$ggya&to. oy}toQ me+n ga+r h# mh+n paramenei& n " y<mei& Q de+ h# mh+n mh+ paramenei& n e$ ggyh*sasue 115.e. e$ peida+n a$poua*nv, a$lla+ oi$ xh*sesuai a$pio*nta, i% na Kri* tvn r<@&on fe*r|, kai+ mh+ o<rv&n moy to+ sv&ma h/ kao*menon h/ katorytto*menon a$ganakt|& y<pe+ r e$ moy& v<Q deina+ pa*sxontoQ, mhde+ le* g| e$ n t|& taf|& v<Q h/ proti* uetai Svkra*th h/ e$ kfe* rei h/ katory*ttei. ey# ga+r i> sui'', h# d\ o%Q, ``v# a>riste Kri* tvn, to+ mh+ kalv&Q le* gein oy$ mo*non ei$ Q ay$to+ toy&to plhmmele* Q, a$lla+ kai+ kako*n ti e$ mpoiei& tai& Q cyxai& Q. a$lla+ uarrei& n te xrh+ kai+ fa*nai toy$mo+n sv&ma ua*ptein, kai+ ua*ptein oy%tvQ o%pvQ a>n soi fi* lon |# kai+ ma*lista h<g|& no*mimon ei#nai''. 116.a. Tay&t\ ei$pv+n e$kei& noQ me+ n a$ni* stato ei$Q oi> khma* ti v<Q loyso*menoQ, kai+ o< Kri* tvn ei% peto ay$t{&, h<ma&Q d\ e$ ke* leye perime*nein. perieme* nomen oy#n pro+Q h<ma&Q ay$toy+Q dialego*menoi peri+ tv&n ei$ rhme* nvn kai+ a$naskopoy&nteQ, tote+ d\ ay# peri+ th&Q symfora&Q diejio*nteQ o%sh h<mi& n gegonyi& a ei> h, a$texnv&Q h<goy*menoi v%sper patro+Q sterhue*nteQ dia*jein o$rfanoi+ to+n e> peita bi* on. e$ peidh+ de+ e$ loy*sato 116.b. kai+ h$ne*xuh par\ ay$to+n ta+ paidi* a ± dy*o ga+r ay$t{& yi< ei& Q smikroi+ h#san, ei}Q de+ me* gaQ ± kai+ ai< oi$ kei& ai gynai& keQ a$fi* konto e$ kei& nai, e$ nanti* on toy& Kri* tvnoQ dialexuei* Q te kai+ e$ pistei* laQ a%tta e$ boy*leto, ta+Q me+ n gynai& kaQ kai+ ta+ paidi* a a$pie* nai e$ke* leysen, ay$to+Q de+ h}ke par\ h<ma&Q. kai+ h#n h>dh e$ ggy+Q h<li* oy dysmv&n " xro*non ga+r poly+n die* tricen e> ndon. e$luv+n d\ e$ kaue* zeto leloyme*noQ kai+ oy$ polla+ a>tta meta+ tay&ta diele* xuh, kai+ stesso demo. In questi momenti non lo lascia nemmeno per un attimo, assistendolo anche nei servizi piuÁ umili¨. _ symfora&Q: il termine eÁ vox media?, e indica ``cioÁ che la sorte porta con se (sym-fe* rv)''; in base al contesto puoÁ assumere una connotazione neutra (``circostanza'') oppure negativa (``sventura''). _ diejio*nteQ, part. cong. da diejei*mi, ``esaminando''. _ o%sh ... ei> h: interrogativa indiretta con l'ott. obliquo di una formazione perifrastica con part. perf. di gi* gnomai 1 ott. di ei$ mi* . _ a$texnv&Q, ``davvero'', rafforza o$rfanoi* : gli amici di Socrate sentivano davvero che stavano per rimanere come orfani nel momento in cui lo avrebbero perduto. 116.b. h$ne*xuh par$ ay$to*n, ``gli furono portati'', perche lo salutassero per l'ultima volta. ± dy*o ga+r ... h#san, ``ne aveva due piccoli'': ay$t{& eÁ dat. del possessore. I tre figli di Socrate sono giaÁ stati ricordati in 60 a. ± e$kei& nai: le donne della famiglia di Socrate erano ben note ai suoi discepoli, come ad Echecrate che ascolta il racconto. ± e$ggy+Q ... dysmv&n: si avvicina il momento della morte, perche le esecuzioni capitali si compivano dopo il tramonto. ± e>ndon, 617 h}ken o< tv&n e% ndeka y<phre* thQ kai+ sta+Q par\ ay$to*n, 116.c. `` # V Sv*krateQ'', e> fh, ``oy$ katagnv*somai* ge soy& o%per a>llvn katagignv*skv, o%ti moi xalepai* noysi kai+ katarv&ntai e$ peida+n ay$toi& Q paraggei* lv pi* nein to+ fa*rmakon a$nagkazo*ntvn tv&n a$rxo*ntvn. se+ de+ e$ gv+ kai+ a>llvQ e> gnvka e$ n toy*t{ t{& xro*n{ gennaio*taton kai+ pr@o*taton kai+ a>riston a>ndra o>nta tv&n pv*pote dey&ro a$fikome* nvn, kai+ dh+ kai+ ny&n ey# oi#d\ o%ti oy$k e$ moi+ xalepai* neiQ, gignv*skeiQ ga+r toy+Q ai$ ti* oyQ, a$lla+ e$ kei* noiQ. ny&n oy#n, oi#sua ga+r a= h#luon a$gge* llvn, xai& re* te kai+ peirv& v<Q r<@&sta fe* rein ta+ 116.d. a$nagkai& a''. Kai+ a%ma dakry*saQ metastrefo*menoQ a$p|*ei. Kai+ o< Svkra*thQ a$nable*caQ pro+Q ay$to*n, ``Kai+ sy*'', e> fh, ``xai& re, kai+ h<mei& Q tay&ta poih*somen''. Kai+ a%ma pro+Q h<ma&Q, `` < VQ a$stei& oQ'', e> fh, ``o< a>nurvpoQ " kai+ para+ pa*nta moi to+n xro*non pros|*ei kai+ diele* geto e$ ni* ote kai+ h#n a$ndrv&n l{&stoQ, kai+ ny&n v<Q gennai* vQ me a$podakry*ei. a$ll\ a>ge dh*, v# Kri* tvn, peiuv*meua ay$t{&, kai+ e$negka*tv tiQ to+ fa*rmakon, ei$ te*triptai " ei$ de+ mh*, trica*tv o< a>nurvpoQ''. 116.e. Kai+ o< Kri* tvn, `` $All\ oi#mai'', e> fh, ``e> gvge, v# Sv*krateQ, e> ti h%lion ei#nai e$ pi+ toi& Q o>resin kai+ oy>pv dedyke*nai. kai+ a%ma e$ gv+ oi#da kai+ a>lloyQ pa*ny o$ce+ pi* nontaQ, e$ peida+n paraggelu|& ay$toi& Q, deipnh*santa*Q te kai+ pio*ntaQ ey# ma*la, kai+ syggenome* noyQ g\ e$ ni* oyQ v}n a/n ty*xvsin e$ piuymoy&nteQ. a$lla+ mhde+n e$ pei* goy " e> ti ga+r e$ gxvrei& ''. Kai+ o< Svkra*thQ, ``Ei$ ko*tvQ ge'', e> fh, ``v# Kri* tvn, e$ kei& noi* te tay&ta poioy&sin, oy=Q sy+ le*geiQ ± oi> ontai ga+r kerdai* nein tay&ta poih*santeQ ± kai+ e> gvge tay&ta ei$ ko*tvQ oy$ poih*sv " oy$de+ n ga+r oi#mai kerdanei& n o$li* gon y%steron piv+n a>llo ge h/ ge* lvta 117.a. o$flh*sein par\ e$ mayt{&, glixo*menoQ toy& zh&n kai+ feido*menoQ oy$deno+Q e> ti e$ no*ntoQ. a$ll\ i> ui'', e> fh, ``pei* uoy kai+ mh+ a>llvQ poi* ei''. ``dentro'', nella stanza vicina, in compagnia dei familiari. ± o< tv&n e%ndeka y<phre*thQ: gli Undici erano i magistrati che sovraintendevano alla polizia urbana, alle prigioni ed alle esecuzioni capitali; erano uno per ognuna delle dieci tribuÁ, piuÁ un segretario. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 116.c. oy$ katagnv*somai ... katagignv*skv, ``non avroÁ da lamentarmi di te per cioÁ per cui mi lamento degli altri'': il verbo katagignv*skv, con il genitivo richiesto dal preverbio, eÁ propriamente un verbo giudiziario che significa ``pronunciare una sentenza di condanna contro uno''; qui, in senso traslato, sta per ``lamentarsi di uno''. _ o%ti moi ... katarv&ntai (la proposizione introdotta da o%ti spiega o%per), ``per il fatto che si irritano e imprecano contro di me'': a$ra*omai eÁ ``pregare'', ma il suo composto kat-ara*omai vale ``pregare contro'' e quindi ``maledire''. _ a$nagkazo*ntvn tv&n a$rxo*ntvn, ``per ordine dei magistrati'', gen. assoluto causale: qui oi< a>rxonteQ non sono gli arconti, ma genericamente ``i magistrati'', in particolare gli Undici. ± se+ ... e>gnvka ... a>ndra o>nta: costruzione del participio predicativo in dipendenza da gignv*skv. ± gignv*skeiQ ga+r toy+Q ai$ ti* oyQ: parentetica. 618 116.d. kai+ a%ma ... a$p|*ei, ``e nello stesso tempo, scoppiando in lacrime, si volse e se ne andoÁ'': dakry*saQ esprime l'azione incipiente. La frequentazione di Socrate ha intenerito anche il rozzo carceriere. _ a$nable*caQ, ``levando lo sguardo'', che aveva tenuto evidentemente abbassato mentre l'uomo parlava. La scena eÁ fatta anche di questi piccoli ma precisi tocchi: il carceriere che parla, si volta e scappa via, senza aver l'animo di aspettare la risposta, Socrate che leva lo sguardo e commenta con umanitaÁ le sue parole. _ a$stei& oQ, ``civile'', ``cortese'', da a>sty, ``cittaÁ'', come il lt. urbanus; ha come antonimo? a$grei& oQ, ``rustico'', da a>groQ, lt. ager, ``campo'', ``campagna''. L'opposizione nasce evidentemente dall'ideologia del cittadino, che disprezza il contadino come rozzo ed ignorante. ± peiuv*meua ay$t{&, ``diamogli ascolto'': congiuntivo esortativo; il successivo e$ negka*tv eÁ invece imper. aor. I da fe* rv. ± te*triptai eÁ pf. di tri* bv: il veleno era costituito da semi di cicuta pestati in un mortaio. 116.e. a$ll$ oi# mai ... dedyke*nai, ``ma credo, almeno io, Socrate, che ci sia ancora sole sui monti e non sia ancora tramontato''. Sulle pendici dell'Imetto, ad oriente di Atene, il sole si sofferma quando in cittaÁ si eÁ giaÁ fatto scuro: Critone vorrebbe in tutti i modi rimandare il piuÁ possibile il momento del distacco da Socrate, e ricorda come altri condannati si siano ancora soffermati fino a tardi a mangiare, bere e a fare l'amore con chi desideravano (syggenome*noyQ (e$ kei* noiQ sott.) ... v}n a/n ty*xvsin e$ piuymoy&nteQ). Socrate non puoÁ non giudicare penoso questo attaccamento ai piaceri terreni, e lo ricorda con un leggero tono di rimprovero per il buon Critone che continua a non rendersi conto della situazione. Il distacco tra Socrate e gli altri eÁ marcato dal chiasmo ei$ ko*tvQ ... e$ kei& noi ... e> gvge ... ei$ ko*tvQ. Per gli altri eÁ forse ragionevole cercare di ritardare il momento estremo, aggrappandosi ai piaceri terreni, ma per Socrate eÁ ragionevole e naturale andarvi incontro con serenitaÁ, sapendo a che cosa si deve dare veramente valore. 117.a. feido*menoQ ... e$no*ntoQ, ``e risparmiando mentre non c'eÁ piuÁ nulla'', eÁ un genitivo assoluto con valore avversativo: eÁ un detto proverbiale. ± t{& paidi* : il servo che stava in piedi (e$ stv&ti, part. perf. di i% sthmi) accanto a lui, in attesa di un ordine; to+n me* llonta, part. sost. ``colui che doveva'' regge l'inf. futuro dv*sein, nella frase successiva il participio 117.b. kai+ ... poih*sei, ``e cosõÁ esso agiraÁ da seÂ'': il verbo poie* v, nei trattati medici, indica propriamente l'azione di un medicinale. ± kai+ o%Q, ``e quello'': si ricordi che o%Q eÁ un dimostrativo. _ kai+ ma*la i% levQ, ``molto lietamente'': il kai* ha qui, unito a ma*la, valore intensivo. ± v# $ Exe*krateQ: l'apostrofe? ci riporta alla prima cornice, quella del dialogo tra Fedone ed Echecrate, e ha qui una funzione espressiva; il narratore interrompe il suo racconto come vinto anch'egli dalla commozione della scena che sta evocando. ± oy$de+ diafuei* raQ, ``senza la minima alterazione''. ± a$ll$ v%sper ... to+n a>nurvpon, ``ma, come era solito, guardando verso l'uomo con il suo sguardo taurino''. Questa eÁ l'ultima immagine di Socrate, fissata nel ricordo di chi fu presente a quel colloquio: l'uomo aveva occhi grandi e sporgenti, quasi taurini, e so- 117.c. a= dh+ ... tay*t|, ``e questo io prego, e cosõÁ sia'': l'ottativo ge* noito ha qui il suo valore proprio, di esprimere augurio. Socrate formula ora la preghiera implicita nella precedente domanda al servo degli Undici. ± e$pisxo*menoQ, ``trattenendo il fiato'', cioeÁ ``tutto d'un fiato'': spesso il verbo e$ pe* xv, in unione a pi* nv, assume questa accezione; e$ je* pien significa ``bevve fino in fondo'': il preverbio e$ j- ha qui testi Socrate si rivolge gentilmente al suo carnefice, chiedendogli istruzioni, e trova ancora la voglia di scherzare chiamandolo e$ pisth*mvn, ``esperto'' di queste cose. ± pio*nta (part. congiunto con valore temporale) periie*nai, ``dopo aver bevuto camminare un po' intorno'': l'interrogato risponde con la sobrietaÁ del tecnico. leva guardare di sotto in su, y<poble* caQ, chinando un po' il capo, con un'espressione ironica e sottilmente maliziosa. _ pv*matoQ: il termine pv&ma, nomen rei actae? da pi* nv, ``bere'', indica la ``bevanda'' oppure la ``coppa'' da cui si beve. ± pro+Q to+ a$pospei& sai* tini, ``quanto al fare libagione (inf. aor. di a$pospe* ndv) per qualcuno'': nei conviti le libagioni erano fatte di norma agli deÁi, come offerta di ringraziamento e di propiziazione. Socrate porta fino in fondo il suo atteggiamento ironico, indice di estremo distacco nei confronti di cioÁ che accade. L'interrogato ovviamente non coglie l'ironia, e risponde con esattezza. Tuttavia la domanda di Socrate nascondeva un significato piuÁ profondo: per lui, in quel momento, non era inopportuno un atto di preghiera e di ringraziamento. Questo risulteraÁ evidente dal paragrafo 117d. _ manua*nv, ``capisco''. Fedone fe* ronta eÁ riferito a to+n me* llonta, mentre il part. perf. tetrimmenon a to+ fa*rmakon. ± ei# en ... v# be*ltiste, ``su, mio caro'': Platone Kai+ o< Kri* tvn a$koy*saQ e> neyse t{& paidi+ plhsi* on e< stv&ti. kai+ o< pai& Q e$ jeluv+n kai+ syxno+n xro*non diatri* caQ h}ken a>gvn to+n me* llonta dv*sein to+ fa*rmakon, e$ n ky*liki fe* ronta tetrimme* non. i$ dv+n de+ o< Svkra*thQ to+n a>nurvpon, ``Ei#en'', e> fh, ``v# be* ltiste, sy+ ga+r toy*tvn e$ pisth*mvn, ti* xrh+ poiei& n;'' ``Oy$de+ n a>llo'', e> fh, ``h/ pio*nta periie*nai, e% vQ a>n soy ba*roQ e$ n toi& Q ske* lesi 117.b. ge* nhtai, e> peita katakei& suai " kai+ oy%tvQ ay$to+ poih*sei''. Kai+ a%ma v>reje th+n ky*lika t{& Svkra*tei. Kai+ o=Q labv+n kai+ ma*la i% levQ, v# $ Exe*krateQ, oy$de+ n tre* saQ oy$de+ diafuei* raQ oy>te toy& xrv*matoQ oy>te toy& prosv*poy, a$ll\ v%sper ei$ v*uei tayrhdo+n y<poble* caQ pro+Q to+n a>nurvpon, ``Ti* le* geiQ'', e> fh, ``peri+ toy&de toy& pv*matoQ pro+Q to+ a$pospei& sai* tini; e> jestin h/ oy>;'' ``Tosoy&ton'', e> fh, ``v# Sv*krateQ, tri* bomen o%son oi$ o*meua me* trion ei#nai piei& n''. 117.c. ``Manua*nv'', h# d\ o%Q " ``a$ll\ ey>xesuai* ge* poy toi& Q ueoi& Q e> jesti* te kai+ xrh*, th+n metoi* khsin th+n e$ nue*nde e$ kei& se ey$tyxh& gene* suai " a= dh+ kai+ e$ gv+ ey>xomai* te kai+ ge* noito tay*t|''. Kai+ a%m\ ei$ pv+n tay&ta e$ pisxo*menoQ kai+ ma*la ey$xerv&Q kai+ ey$ko*lvQ e$ je* pien. kai+ h<mv&n oi< polloi+ te* vQ me+ n e$ pieikv&Q oi}oi* te h#san kate*xein to+ mh+ dakry*ein, v<Q de+ ei> domen pi* nonta* te kai+ pepvko*ta, oy$ke* ti, a$ll\ e$ moy& ge bi* @ kai+ ay$toy& a$stakti+ e$ xv*rei ta+ da*krya, v%ste e$ gkalyca*menoQ a$pe* klaon e$ mayto*n ± oy$ ga+r dh+ 117.d. e$ kei& no*n ge, a$lla+ th+n e$ maytoy& ty*xhn, oi% oy a$ndro+Q e< tai* roy e$ sterhme*noQ ei> hn. o< de+ Kri* tvn e> ti pro*teroQ e$ moy&, e$ peidh+ oy$x oi}o*Q t\ h#n kate*xein ta+ da*krya, e$ jane* sth. $Apollo*dvroQ de+ kai+ e$ n t{& e> mprosuen xro*n{ oy$de+ n e$ pay*eto dakry*vn, valore esaustivo. Socrate, anche in questo momento, non mostra alcuna esitazione, ma beve la cicuta tutta d'un fiato e con estrema tranquillitaÁ (kai+ ma*la ey$xerv&Q kai+ ey$ko*lvQ). Fanno contrasto con questa calma il turbamento e le lacrime degli amici presenti. ± kate*xein to+ mh+ dakry*ein, ``trattenersi dal piangere'', continere se ne flerent, con la costruzione dei verba impediendi. ± pi* nonta ... pepvko*ta: il poliptoto? giocato sui tempi diversi del verbo pi* nv rende la concitazione del racconto in questo momento di alta emotivitaÁ, segnalata anche dalla stretta connessione di te kai* , che indica la rapida successione dei due attimi: gli amici vedono Socrate che beve (il presente sottolinea l'aspetto progressivo dell'azione) e immediatamente dopo vedono che ha ormai bevuto (il perfetto sottolinea l'azione compiuta, di cui si attendono le conseguenze: il veleno assunto porteraÁ ormai inevitabilmente la morte). ± a$stakti* eÁ un avverbio formato da a$- privativo con la radice di sta*zv, ``gocciolare'': ``non a gocce'', quindi ``a fiotti''. 117.d. oi% oy a$ndro+Q ... ei> hn, ``(pensando) di quale uomo ero privato'': in 116 a, Fedone aveva detto di se e degli altri v%sper patro+Q sterhue* nteQ. ± e$pay*eto dakry*vn: il verbo pay*omai, regge il participio predicativo del soggetto. 619 kai+ dh+ kai+ to*te a$nabryxhsa*menoQ kla*vn kai+ a$ganaktv&n oy$de*na o%ntina oy$ kate* klase tv&n paro*ntvn plh*n ge ay$toy& Svkra*toyQ. $ Ekei& noQ de* , ``Oi}a'', e> fh, ``poiei& te, v# uayma*sioi. e$ gv+ me* ntoi oy$x h%kista toy*toy e% neka ta+Q gynai& kaQ a$pe*pemca, i% na mh+ toiay&ta plhmmeloi& en " 117.e. kai+ ga+r a$kh*koa o%ti e$ n ey$fhmi* @ xrh+ teleyta&n. a$ll\ h<syxi* an te a>gete kai+ karterei& te''. Kai+ h<mei& Q a$koy*santeQ |$sxy*nuhme*n te kai+ e$ pe* sxomen toy& dakry*ein. o< de+ perieluv*n, e$ peidh* oi< bary*nesuai e> fh ta+ ske* lh, katekli* nh y%ptioQ ± oy%tv ga+r e$ ke*leyen o< a>nurvpoQ ± kai+ a%ma e$ fapto*menoQ ay$toy& oy}toQ o< doy+Q to+ fa*rmakon, dialipv+n xro*non e$ pesko*pei toy+Q po*daQ kai+ ta+ ske* lh, ka>peita sfo*dra pie* saQ 118.a. ay$toy& to+n po*da h>reto ei$ ai$ sua*noito, o< d\ oy$k e> fh. kai+ meta+ toy&to ay#uiQ ta+Q knh*maQ " kai+ e$ paniv+n oy%tvQ h<mi& n e$ pedei* knyto o%ti cy*xoito* te kai+ ph*gnyto. kai+ ay$to+Q h%pteto kai+ ei#pen o%ti, e$ peida+n pro+Q t|& kardi* @ ge* nhtai ay$t{&, to*te oi$ xh*setai. > Hdh oy#n sxedo*n ti ay$toy& h#n ta+ peri+ to+ h#tron cyxo*mena, kai+ e$kkalyca*menoQ ± e$ nekeka*lypto ga*r ± ei#pen ± o= dh+ teleytai& on e$ fue*gjato ± ``v# Kri* tvn'', e> fh, ``t{& $Asklhpi{& o$fei* lomen a$lektryo*na " a$lla+ a$po*dote kai+ mh+ a$melh*shte''. `` $Alla+ tay&ta'', e> fh, ``e> stai'', o< Kri* tvn " ``a$ll\ o%ra ei> ti a>llo le* geiQ''. Tay&ta e$ rome*noy ay$toy& oy$de+n e> ti a$pekri* nato, a$ll\ o$li* gon xro*non dialipv+n e$ kinh*uh te kai+ o< a>nurvpoQ e$ jeka*lycen ay$to*n, kai+ o=Q ta+ o>mmata e> sthsen " i$ dv+n de+ o< Kri* tvn syne* labe to+ sto*ma kai+ toy+Q o$fualmoy*Q. % Hde h< teleyth*, v# $ Exe*krateQ, toy& e$ tai* roy h<mi& n e$ ge*neto, a$ndro*Q, v$Q h<mei& Q fai& men a>n, tv&n to*te v}n e$ peira*uhmen a$ri* stoy kai+ a>llvQ fronimvta*toy kai+ dikaiota*toy. oy$de*na o%ntina oy$ kate*klase: attrazione del relativo per oy$dei+ Q h#n o%ntina ..., ``non ci fu nessuno che non fece piangere''; da katakla*v, causativo. ± v# uayma*sioi, ``o gente strana''. oy$x h%kista, ``non minimamante'' quindi ``soprattutto'' litote?. rimasto presente e controlla gli effetti del veleno. ± dialipv+n xro*non, ``lasciando passare del tempo''. Man mano il veleno paralizza gli arti inferiori: dopo un po' il carceriere gli preme forte un piede, per constatare se sente, ei$ ai$ sua*noito. Socrate dice di no, o< d\ oy$k e> fh. 117.e. kai+ ga+r a$kh*koa ... teleyta&n, ``infatti ho sentito dire che bisogna morire con parole di buon augurio'': e$ n ey$fhmi* @ puoÁ anche significare ``in silenzio''. Questa era dottrina pitagorica, ed infatti Socrate dice di averne sentito parlare, a$kh*koa: in particolare, il garbato rimprovero era rivolto ai pitagorici presenti, Simmia e Cebete. ± a$ll(a*) con un imperativo significa ``suvvia'', ``orsuÁ''. Socrate ora passeggia un po', poi si sdraia supino, secondo le istruzioni del servo degli Undici, che eÁ 118.a. A poco a poco, risalendo il corpo, il carceriere constata e fa osservare ai presenti come si va raffreddando e irrigidendo, o%ti cy*xoito* te kai+ ph*gnyto. ± ay$to+Q h%pteto ... oi$ xh*setai, ``ed egli (il carceriere) lo andava toccando e spiegoÁ che, quando gli fosse giunto (si intenda: l'effetto del veleno) al cuore, allora se ne sarebbe andato''. ± e$kkalyca*menoQ, ``scoprendosi il volto''. Come il narratore precisa subito dopo, Socrate si era coperto il volto mentre si sentiva morire; ma a un 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO _ tratto gli venne in mente un'ultima raccomandazione e si scoprõÁ un attimo. _ t{& $Asklhpi{& ... a$lektryo*na, ``siamo debitori di un gallo ad Asclepio''. Era uso offrire sacrifici ad Asclepio, dio della medicina, per ringraziare di una guarigione ricevuta. Socrate eÁ debitore di un gallo ad Asclepio percheÂ, morendo, si eÁ liberato della malattia peggiore, la vita. ± a$lla*: asseverativo, ``senz'altro''. ± ei> ti a>llo le*geiQ, ``se hai qualche altra cosa da dire''. ± e$kinh*uh, ``sussultoÁ'', nel momento in cui la vita venne meno. Il carceriere lo scopre e Socrate rimane con gli occhi fissi, ta+ o>mmata e> sthsen. A questo punto, Critone gli chiude gli occhi e la bocca. Le ultime parole del dialogo sono ancora pronunciate da Fedone, ma si sente chiaramente in esse la pietas di Platone verso ``l'uomo migliore e piuÁ saggio e piuÁ giusto che abbiamo conosciuto''. traduzione d'autore 115.b. Come Socrate ebbe detto cosõÁ, Critone gli domandoÁ: -- Ebbene, Socrate, quali ordini ci daÁi, a questi tuoi amici o a me, riguardo ai tuoi figli o a qualche altra cosa? Che cosa possiamo fare per te che ti riesca particolarmente gradito? -- Quello che dico sempre, Critone, disse, niente di nuovo. Ecco, se vi prenderete cura di voi stessi farete cosa gradita a me e ai miei e a voi stessi qualunque cosa facciate, anche se ora non prendete nessun impegno; se invece non vi prenderete cura di voi stessi e non vorrete vivere seguendo le tracce di quello che si eÁ detto ora e in passato, 115.c. nemmeno se in questo momento vi impegnaste con tante promesse e con forza, non farete niente di meglio. 620 Platone Fedone testi -- Ebbene, disse Critone, quanto a questo procureremo di fare come tu dici. Ma in che modo dobbiamo seppellirti? -- Come volete, rispose, a condizione che riusciate a prendermi e che io non vi sfugga dalle mani. Allora sorrise tranquillamente e voÁlto lo sguardo verso di noi aggiunse: -- Non riesco a persuadere Critone, cari amici, che sono io, Socrate, quello che ora sta ragionando con voi e che cerca di mettere in ordine ciascuna delle cose che vengono dette; egli crede che Socrate sia quello che di qui a poco vedraÁ cadavere, e 115.d. naturalmente mi domanda come mi debba seppellire. E cioÁ che da un pezzo ho discusso a lungo con voi, che, dopo aver bevuto la pozione, io non saroÁ piuÁ con voi, ma me ne androÁ via recandomi naturalmente tra le beatitudini dei beati, queste cose, mi pare, per lui le dico inutilmente, intese solo a consolare voi e allo stesso tempo anche me. Siatemi dunque garanti presso Critone, disse, ma di una garanzia contraria a quella che egli mi dette davanti ai giudici. Egli garantõÁ in fede sua che io sarei rimasto; voi garantitegli in fede vostra che io non rimarroÁ qui 115.e. dopo morto, e me ne androÁ via lontano, perche Critone possa sopportare piuÁ facilmente la cosa, e per evitare che, vedendo bruciare o sotterrare il mio corpo, possa rammaricarsi per me come se stessi soffrendo pene terribili, ed evitare anche che durante il funerale possa dire che eÁ Socrate quello che egli espone o che porta via per la sepoltura o che sotterra. Perche sappi, ottimo Critone, che parlare in modo non corretto non solo eÁ brutto per se stesso, ma reca anche danno all'anima. Bisogna dunque essere fiduciosi e dire che eÁ mio il corpo che bisogna seppellire, e il mio corpo puoi seppellirlo come ti piaccia e come ritieni sia piuÁ conforme agli usi. 116.a. CosõÁ detto Socrate si alzoÁ per andare in una stanza a lavarsi; e Critone lo seguiva, e a noi disse di rimanere. E noi rimanemmo in attesa ragionando tra noi delle cose dette e riconsiderandole, e talora anche considerando la nostra sventura, quanto era grande, ritenendo che il resto della nostra vita come privati del padre l'avremmo 116.b. trascorso davvero da orfani. E quando si fu lavato e gli ebbero portati i suoi figli -- ne aveva due piccoli, ed uno giaÁ grande -- ed erano giunte anche le sue donne di casa, dopo aver parlato con loro alla presenza di Critone e aver fatto le raccomandazioni che desiderava fare, disse alle donne e ai figli di andarsene, e ritornoÁ fra noi. E ormai vicini al tramonto del sole, giacche si era trattenuto dentro parecchio tempo. Tornato dal bagno si mise a sedere e dopo di allora non si disse piuÁ molto; e venne 116.c. l'inviato degli Undici e fermatosi davanti a lui: -- Caro Socrate, disse, non avroÁ certo a muovere a te i rimproveri che muovo agli altri, che se la prendono con me e mi maledicono, quando vengo ad annunciare loro, per ordine degli arconti, che devono bere la pozione. Ma te, in tutto questo tempo, ho avuto molte occasioni per conoscere che sei il piuÁ gentile e il piuÁ mite e il migliore di quanti siano mai capitati qui, e ora specialmente so bene che tu non con me sei irritato, perche li conosci i responsabili, ma con loro. Ora dunque, giacche tu sai quello che sono venuto ad annunciarti, 116.d. addio, e cerca di sopportare meglio che puoi cioÁ che eÁ inevitabile. E cosõÁ dicendo scoppioÁ a piangere, voltoÁ le spalle e se ne andoÁ. E Socrate levoÁ lo sguardo verso di lui: -- E anche a te, disse, addio, e noi faremo come tu dici. E poi rivolto a noi: -- Che persona gentile, disse. Per tutto questo tempo era solito venire a trovarmi e talvolta si tratteneva a conversare con me, ed era il migliore degli uomini; e anche ora con quanta sinceritaÁ mi piange. Ma via, Critone, obbediamogli, e qualcuno mi porti la pozione, se la pestatura eÁ stata fatta; se no, l'uomo proceda a pestare. 116.e. E Critone: -- Ma il sole, disse, eÁ ancora sui monti, credo, e non eÁ ancora tramontato. Ed io so anche che altri bevono assai piuÁ tardi, dopo che eÁ stato dato loro l'annuncio, e dopo aver ben mangiato e ben bevuto, e alcuni perfino dopo essere stati insieme con chi desideravano. Tu, almeno, non aver fretta, perche c'eÁ ancora tempo. E Socrate: -- EÁ naturale senza dubbio, Critone, disse, che facciano cosõÁ quelli di cui tu parli -- giacche pensano di avere qualcosa da guadagnare facendo cosõÁ -- ed eÁ anche 621 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO naturale che io non faccia cosõÁ. Perche penso di non guadagnare altro, bevendo un po' 117.a. piuÁ tardi, se non di rendermi ridicolo ai miei stessi occhi, attaccandomi alla vita e cercando di farne risparmio quando non c'eÁ piuÁ niente. Su via, disse, dammi retta e non fare altrimenti. E Critone, udite queste parole, fece cenno a un suo servo in piedi vicino a lui. E il servo uscõÁ e rimase fuori un po' di tempo; e tornoÁ conducendo con se l'uomo che doveva dare la pozione, che portava dopo la pestatura in una coppa. Socrate, vedutolo: -- Bene, disse, brav'uomo, tu che te ne intendi, che cosa si deve fare? -- Nient'altro, rispose, che, dopo aver bevuto, camminare per la stanza, finche tu 117.b. non senta pesantezza alle gambe; dopo rimanere sdraiato; cosõÁ faraÁ effetto da seÂ. E cosõÁ dicendo porse la coppa a Socrate. Ed egli la prese con vera letizia, Echecrate, senza un tremito, senza la minima alterazione ne del colore ne del volto, ma guardando in su verso l'uomo con quei suoi occhi da toro, come era solito: -- Che dici, disse, di questa bevanda, se ne puoÁ fare una libagione a qualche divinitaÁ oppure no? -- Noi, Socrate, ne pestiamo, disse, giusto quanto crediamo sia sufficiente a bere. 117.c. -- Capisco, disse Socrate. Ma almeno eÁ permesso, credo, ed anzi eÁ un dovere, pregare gli deÁi che questo trasferirmi da qui a laÁ avvenga felicemente; ed eÁ questa appunto la mia preghiera; e cosõÁ possa avvenire. E detto cioÁ, levoÁ la coppa alle labbra e, senza segno di disgusto, bevve di buon grado tutto d'un fiato. E la maggior parte di noi fino a quel momento erano riusciti alla meglio a trattenere le lacrime; ma appena vedemmo che beveva, e che aveva bevuto, non fu piuÁ possibile; ed anche a me, malgrado ogni mio sforzo, le lacrime scesero a fiotti, dimodoche mi nascosi il volto e piansi me stesso -- giacche certamente non lui piangevo, ma la mia sventura --, di tale 117.d. amico restavo privato. E Critone, ancor prima di me, incapace di trattenere le lacrime, si era alzato per uscire. E Apollodoro, che anche prima non aveva mai smesso di piangere, allora poi scoppioÁ in grida, gemendo e rammaricandosi, a tal punto che non ci fu tra noi lõÁ presenti chi non si sentõÁ spezzare il cuore; ad eccezione di lui, Socrate. Ed anzi egli: -- Strano modo di comportarvi questo, cari amici, disse. EÁ soprattutto per questa ragione che ho mandato via le donne, perche non facessero simili 117.e. stonature. E poi ho anche sentito che bisogna morire con parole di buon augurio. State dunque calmi e siate forti. E noi a sentirlo, provammo vergogna e ci trattenemmo dal piangere. Socrate camminava per la stanza; e quando disse che le gambe gli si appesantivano, si mise a giacere supino -- giacche cosõÁ gli raccomandava l'uomo --; e intanto costui, l'uomo che gli aveva dato la pozione, lo andava toccando e a intervalli gli esaminava i piedi e le gambe; e poi, premendogli forte un piede, gli domandoÁ se sentiva; ed egli rispose di no. 118.a. E poi ancora gli premette le gambe; e cosõÁ risalendo via via ci mostrava che si raffreddava e si irrigidiva. E continuava a toccarlo, e ci disse quando si fosse giunti alla regione del cuore, allora se ne sarebbe andato. E ormai le parti intorno al basso ventre si erano quasi raffreddate; ed egli si scoprõÁ -- giacche si era coperto -- e parloÁ, -- e furono le ultime parole che pronuncioÁ: -- Mio caro Critone, disse, siamo in debito di un gallo ad Asclepio; dateglielo e non ve ne dimenticate. -- SõÁ, disse Critone, saraÁ fatto. Ma guarda se hai altro da dire. A questa domanda Socrate non rispose piuÁ; passato poco tempo ebbe un movimento e l'uomo lo scoprõÁ, ed egli restoÁ con gli occhi fissi. E Critone, vedutolo, gli chiuse le labbra e gli occhi. Questa, mio caro Echecrate, fu la fine dell'amico nostro, un uomo, possiamo ben dirlo, tra quelli che allora conoscemmo, il migliore, e inoltre il piuÁ saggio e il piuÁ giusto. (Trad. P. Fabrini) 622 LINGUA E LESSICO 1. Seleziona termini che facciano parte di lessici specifici (giudiziario, medico) e spiegane (in max 10 righe) l'uso nel contesto platonico. Fedone LESSICO GIUDIZIARIO LESSICO MEDICO ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... testi ..................................................................................... 2. Trascrivi i connettori subordinanti presenti in 115b-e indicando il tipo di subordinata che introducono. CONNETTORI SUBORDINANTI TIPO DI SUBORDINATA ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... TEMI E CONFRONTI 3. Proponi in successione le varie fasi della morte di Socrate, dividendo in sequenze. Elabora uno schema. NUMERO SEQUENZE SEQUENZE ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................................ 4. Sono rintracciabili, nel testo, diversi punti in cui viene sottolineata una differenza tra il modo comune di intendere le cose e il modo di Socrate; giaÁ in 115c, Socrate reagisce vivacemente a Critone che aveva dimostrato di non aver chiara un'opposizione evidente. Rintraccia, nelle pagine lette, i passi in cui sono marcate delle differenze che vedono protagonista Socrate e riportali nello schema seguente. MODO TRADIZIONALE MODO SOCRATICO ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... ..................................................................................... 5. Il parlare ``in modo non corretto non solo eÁ brutto per se stesso, ma reca anche danno all'anima'' (115e). " PercheÂ? ............................................................................................................................................................................ Che cosa pensi tu al riguardo: la lingua influisce sul pensiero? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 20 righe. 6. Qual eÁ il senso dell'invito di Socrate a sacrificare un gallo ad Asclepio? " ................................................................................................................................................................................ STILE E RETORICA 7. Segnala almeno un poliptoto ed esplicitane la funzione nel contesto. POLIPTOTO FUNZIONE ..................................................................................... ..................................................................................... Platone GUIDA ALL'ANALISI 623 Repubblica 14 I filosofi e il governo dello Stato (487b-490e) Il governo dello Stato eÁ come la pratica di un'arte: solo coloro che ne sono esperti possono esercitarla. Dunque soltanto i filosofi, che sono in grado di distinguere il bene dal male e di non farsi fuorviare da meschini interessi personali, possono e debbono assumere il governo dello Stato. 487.b. Kai+ o< $Adei* mantoQ, v# Sv*krateQ, e> fh, pro+Q me+ n tay&ta* soi oy$dei+ Q a/n oi}o*Q t\ 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO ei> h a$nteipei& n. a$lla+ ga+r toio*nde ti pa*sxoysin oi< a$koy*onteQ e< ka*stote a= ny&n le* geiQ " h<goy&ntai di\ a$peiri* an toy& e$rvta&n kai+ a$pokri* nesuai y<po+ toy& lo*goy par\ e% kaston to+ e$ rv*thma smikro+n parago*menoi, a<uroisue* ntvn tv&n smikrv&n e$ pi+ teleyth&Q tv&n lo*gvn me* ga to+ sfa*lma kai+ e$ nanti* on toi& Q prv*toiQ a$nafai* nesuai, kai+ v%sper y<po+ tv&n pettey*ein deinv&n oi< mh+ teleytv&nteQ a$poklei* ontai kai+ oy$k e> xoysin o%ti fe* rvsin, 487.c. oy%tv kai+ sfei& Q teleytv&nteQ a$poklei* esuai kai+ oy$k e> xein o%ti le* gvsin y<po+ pettei* aQ ay# tay*thQ tino+Q e< te*raQ, oy$k e$ n ch*foiQ a$ll\ e$ n lo*goiQ " e$ pei+ to* ge a$lhue+ Q oy$de* n ti ma&llon tay*t| e>xein. le*gv d\ ei$ Q to+ paro+n a$poble* caQ. ny&n ga+r fai* h a>n ti* Q soi lo*g{ me+ n oy$k e> xein kau\ e% kaston to+ e$ rvtv*menon e$ nantioy&suai, e> rg{ de+ o<ra&n, o%soi a/n e$ pi+ filosofi* an o<rmh*santeQ mh+ toy& pepaidey&suai 487.d. e% neka a<ca*menoi ne* oi o>nteQ a$palla*ttvntai, a$lla+ makro*teron e$ ndiatri* cvsin, toy+Q me+ n plei* stoyQ kai+ pa*ny a$lloko*toyQ gignome* noyQ, i% na mh+ pamponh*royQ ei> pvmen, toy+Q d\ e$ pieikesta*toyQ dokoy&ntaQ o%mvQ toy&to* ge y<po+ toy& e$ pithdey*matoQ oy} sy+ e$ painei& Q pa*sxontaQ, a$xrh*stoyQ tai& Q po*lesi gignome* noyQ. Kai+ e$ gv+ a$koy*saQ, Oi> ei oy#n, ei#pon, toy+Q tay&ta le* gontaQ cey*desuai; Oy$k oi#da, h# d\ o%Q, a$lla+ to+ soi+ dokoy&n h<de* vQ a/n a$koy*oimi. 487.b. toio*nde ti ... le*geiQ, ``quelli che di volta in volta ascoltano cioÁ che tu dici provano qualcosa di questo genere''; Adimanto prospetta a Socrate la difficoltaÁ in cui si trovano quelli che discutono con lui: come giocatori inesperti nel gioco degli scacchi, a forza di spostare le pedine qua e laÁ a un certo punto restano bloccati nei loro ragionamenti e non sanno piuÁ cosa rispondere. _ h<goy&ntai ... a$nafai* nesuai, ``ritengono che, per l'inesperienza del domandare e rispondere, fuorviati (parago*menoi) un po', ad ogni domanda (par\ e% kaston to+ e$ rv*thma), dalla discussione, una volta che le piccole deviazioni si sono accumulate (a<uroisue*ntvn tv&n smikrv&n) alla conclusione del discorso (e$ pi+ teleyth&Q tv&n lo*gvn), lo scarto (to+ sfa*lma) appare enorme e opposto alle premesse'': il periodo muove avendo per soggetto di h<goy&ntai ancora oi< a$koy*onteQ, e il verbo di dire introduce una oggettiva che ha per soggetto to+ sfa*lma e il predicato a$nafai* nesuai. _ kai+ v%sper ... a$poklei* ontai, ``e come da quelli che sono abili nel gioco delle pedine (y<po+ ... 624 deinv&n) quelli che non lo sono (oi< mh*) alla fine (teleytv&nteQ) restano bloccati''; oi< mh*: sott. deinoi* . ± oy$k e>xoysin ... fe*rvsin, ``e non sanno che mosse fare'': fe* rv qui eÁ verbo tecnico del gioco degli scacchi, per indicare l'atto di spostare un pezzo. 487.c-d. oy%tv kai+ sfei& Q ... lo*goiQ, ``cosõÁ (pensano) che anch'essi alla fine restano bloccati (a$poklei* esuai) e non sanno che dire, per effetto di quest'altra specie di gioco degli scacchi, (che consiste) non nei pezzi, ma negli argomenti'': a$poklei* esuai eÁ retto ancora dal verbo di pensare h<goy&ntai. _ le*gv ... a$poble*caQ, ``parlo riferendomi (a$poble* caQ) alla situazione presente'': a$poble* caQ significa propriamente ``rivolgendo lo sguardo''. _ fai* h a>n tiQ, ``uno potrebbe dire'': regge i due infiniti correlati lo*g{ me+ n oy$k e> xein ... e$ nantioy&suai (``di non avere, a parole, da contraddire'': e$ nantioy&suai eÁ inf. oggetto dipendente da e> xein) e e> rg{ de+ o<ra&n. _ o%soi a/n ... gignome*noyQ ... ei> pvmen, ``che, quanti dopo essersi rivolti alla filosofia (e$ pi+ filosofi* an o<rmh*san- teQ) non se ne allontanano (mh+ ... a$palla*ttvntai) ancor giovani, dopo averla sfiorata (a<ca*menoi) per essere educati, ma vi si trattengono abbastanza a lungo, i piuÁ diventano assolutamente stravaganti (a$lloko*toyQ), per non dire assolutamente pessimi''; in dipendenza da o<ra&n si ha il part. predicativo gignome* noyQ, preceduto dalle relative anticipate o%soi a/n ... mh+ ... a$palla*ttvntai ... a$lla+ e$ ndiatri* cvsin: la seconda eÁ coordinata avversativa (con a$lla*) alla prima. _ toy+Q de+ ... gignome* noyQ, ``mentre quelli che sembrano del tutto ragionevoli (e$ pieikesta*toyQ), pure dalla disciplina che tu lodi, diventano inutili (a$xrh*stoyQ) alle cittaÁ'': toy+Q ... dokoy&ntaQ eÁ part. sostantivato, mentre ancora da o<ra&n dipendono i part. predicativi pa*sxontaQ e gignome* noyQ; oy}: relativo attratto per o%n, che ci attenderemmo in dipendenza da e$ painei& Q. _ oy$k oi# da, ``non so'': se mentiscono o no. _ h# d\ o%Q, ``disse quello'': h# eÁ impf. di h$mi* , lt. aio; o%Q eÁ un dimostrativo, sopravvissuto in formule standard come questa. _ to+ soi+ dokoy&n, ``cioÁ che a te pare''. Platone 487.e. $Akoy*oiQ a/n o%ti e> moige fai* nontai ta$lhuh& le* gein. 488.a. a>koye ... ei$ ka*zv, ``sta a sentire l'immagine, perche tu veda ancor di piuÁ con che difficoltaÁ (gli* sxrvQ) io procedo per immagini'': l'aggettivo gli* sxroQ propriam. significa ``appiccicaticcio''. _ oy%tv ga+r ... peponuo*Q, ``eÁ cosõÁ difficile la condizione (to+ pa*uoQ) dei migliori, in cui si trovano (o= pepo*nuasin) di fronte alle cittaÁ, che non c'eÁ nessun'altra cosa (oy$d\ e> stin e= n oy$de+ n a>llo) che subisca nulla di simile'': eÁ ossessiva l'insistenza sulla situazione subita (to+ pa*uoQ ... o= pepo*nuasin ... peponuo*Q) dagli e$ pieike* sta- toi, dei quali si era detto (487 d) che erano ``inutili alle cittaÁ''. _ a$lla+ dei& ... gra*foysin, ``ma bisogna comporla (synagagei& n ay$to*) descrivendone un'immagine (ei$ ka*zonta) e facendo la loro difesa (a$pologoy*menon y<pe+ r ay$tv&n), come i pittori descrivono caprocervi (tragela*foyQ) ed esseri simili fondendo varie forme''; synagagei& n ay$to*: il neutro eÁ riferito a to+ pa*uoQ; ei$ ka*zonta: il part. congiunto eÁ concordato in acc. con il sogg. inespresso di synagagei& n; y<pe+ r ay$tv&n: il riferimento eÁ agli e$ pieike* statoi; tragela*foyQ: il termine, composto da tra*goQ, ``capro'' ed e> lafoQ, ``cervo'' eÁ inventato da Aristofane, Rane 937, come esempio delle mostruositaÁ lessicali introdotte da Eschilo, qui indica animali fantastici inventati dai pittori per decorazione, come si vede nell'arte persiana e scitica. _ no*hson ... mia&Q, ``immagina un fatto di questo genere accaduto o riguardo a molte navi o a una sola''. 488.b. nay*klhron ... toiay&ta, ``un capitano superiore per statura e vigore a tutti quelli che stanno sulla nave, ma un po' sordo (y<po*kvfon) e che vede altrettanto poco e che ha analoghe (e% tera toiay&ta) conoscenze intorno alle cose nautiche''; y<po*kvfon: con il prefisso y<po- si formano composti che riducono il significato dell'aggettivo semplice; e% tera toiay&ta, lett. ``altre di tal genere'': il gigante mezzo sordo, miope ed incompetente eÁ il popolo, testi 487.e. a$koy*oiQ a>n: riecheggia a/n a$koy*oimi di Adimanto, e corrisponde ad un'espressione di consenso. _ ta$lhuh& 4 ta+ a$lhuh&. _ oy$ pro*teron ... a>rjvsin, ``le cittaÁ non cesseranno dai mali (kakv&n pay*sontai) prima che in esse governino i filosofi''. _ oy=Q a$xrh*stoyQ ... ei# nai: l'espressione eÁ dichiaratamente ironica. _ e$rvt@&Q ... legome*nhQ, ``tu mi poni una domanda che richiede una risposta espressa mediante un'immagine'': saraÁ l'immagine del capitano debole di vista e di udito, e inesperto della guida della nave, per rappresentare il popolo vittima volta per volta dei politici senza scrupoli; e$ rvt@&Q ... e$ rv*thma: figura etymologica?. _ skv*pteiQ ... dysapo*deikton, ``tu ti prendi gioco di me, dopo avermi cacciato (e$ mbeblhkv*Q) in un argomento cosõÁ difficile (dys-) a dimostrarsi'': e$ mbeblhkv*Q eÁ part. pf. da e$ m-ba*llv, dysapo*deikton risulta dal prefisso dys- con l'agg. verbale di a$po-dei* knymi. Repubblica Pv&Q oy#n, e> fh, ey# e> xei le* gein o%ti oy$ pro*teron kakv&n pay*sontai ai< po*leiQ, pri+ n /an e$ n ay$tai& Q oi< filo*sofoi a>rjvsin, oy=Q a$xrh*stoyQ o<mologoy&men ay$tai& Q ei#nai; $ Ervt@&Q, h#n d\ e$ gv*, e$ rv*thma deo*menon a$pokri* sevQ di\ ei$ ko*noQ legome*nhQ. Sy+ de* ge, e> fh, oi#mai oy$k ei> vuaQ di\ ei$ ko*nvn le* gein. Ei#en, ei#pon " skv*pteiQ e$ mbeblhkv*Q me ei$ Q lo*gon oy%tv dysapo*deikton; 488.a. a>koye d\ oy#n th&Q ei$ ko*noQ, i% n\ e> ti ma&llon i> d|Q v<Q gli* sxrvQ ei$ ka*zv. oy%tv ga+r xalepo+n to+ pa*uoQ tv&n e$ pieikesta*tvn, o= pro+Q ta+Q po*leiQ pepo*nuasin, v%ste oy$d\ e> stin e= n oy$de+ n a>llo toioy&ton peponuo*Q, a$lla+ dei& e$ k pollv&n ay$to+ synagagei& n ei$ ka*zonta kai+ a$pologoy*menon y<pe+r ay$tv&n, oi}on oi< grafh&Q tragela*foyQ kai+ ta+ toiay&ta meigny*nteQ gra*foysin. no*hson ga+r toioytoni+ geno*menon ei> te pollv&n nev&n pe* ri ei> te mia&Q " 488.b. nay*klhron mege*uei me+ n kai+ r<v*m| y<pe+ r toy+Q e$ n t|& nhi+ pa*ntaQ, y<po*kvfon de+ kai+ o<rv&nta v<say*tvQ braxy* ti kai+ gignv*skonta peri+ naytikv&n e% tera toiay&ta, toy+Q de+ nay*taQ stasia*zontaQ pro+Q a$llh*loyQ peri+ th&Q kybernh*sevQ, e% kaston oi$ o*menon dei& n kyberna&n, mh*te mauo*nta pv*pote th+n te* xnhn me* te e> xonta a$podei& jai dida*skalon e< aytoy& mhde+ xro*non e$ n {} e$ ma*nuanen, pro+Q de+ toy*toiQ fa*skontaQ mhde+ didakto+n ei#nai, a$lla+ kai+ to+n le*gonta v<Q didakto+n e< toi* moyQ katate* mnein, 488.c. ay$toy+Q de+ ay$t{& a$ei+ t{& nayklh*r{ perikexy*suai deome*noyQ kai+ pa*nta poioy&ntaQ o%pvQ a/n sfi* si to+ phda*lion e$ pitre* c|, e$ ni* ote d\ a/n mh+ che finisce per essere travolto nelle sue scelte dai marinai in dissidio tra loro. _ toy+Q de+ nay*taQ ... kyberna&n, ``e i marinai che litigano tra loro per il governo della nave, mentre ognuno crede di doverla governare'': sono questi i demagoghi che cercano ognuno di influenzare le scelte del Demos. _ mh*te mauo*nta ... katate*mnein, ``senza mai aver appreso l'arte e senza essere in grado di indicare un proprio maestro ne il tempo in cui ha appreso, ma per giunta (pro+Q toy*toiQ) affermando che essa non eÁ nemmeno insegnabile, ma pronti anche a fare a pezzi (katate* mnein) chi afferma che eÁ insegnabile'': in questa rappresentazione dei marinai ignoranti il Socrate platonico pensa ai sofisti rappresentati nei dialoghi come il Protagora e il Gorgia. Protagora stesso, nel dialogo che da lui prende il nome, partendo da una affermazione contraria, giunge paradossalmente a sostenere che la virtuÁ non eÁ insegnabile, mentre Socrate, che la fa coincidere con il sapere, conclude affermando quello che dapprima aveva messo in dubbio, cioeÁ che essa eÁ perfettamente insegnabile¨. L'accenno ai marinai rissosi pronti a fare a pezzi il capitano che li contraddicesse rievoca poi la condanna di Socrate. 488.c. ay$toy+Q de+ ... e$pitre*c|, ``ed essi stessi si affollano (perikexy*suai) intorno al capitano stesso, pregandolo e facendo di tutto (pa*nta poioy&ntaQ) perche affidi loro il timone''; perikexy*- 625 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO pei* uvsin a$lla+ a>lloi ma&llon, toy+Q me+ n a>lloyQ h/ a$pokteiny*ntaQ h/ e$ kba*llontaQ e$ k th&Q nev*Q, to+n de+ gennai& on nay*klhron mandrago*r@ h/ me* u| h> tini a>ll{ sympodi* santaQ th&Q nev+Q a>rxein xrvme*noyQ toi& Q e$ noy&si, kai+ pi* nonta*Q te kai+ ey$vxoyme* noyQ plei& n v<Q to+ ei$ ko+Q toy+Q toioy*toyQ, 488.d. pro+Q de+ toy*toiQ e$painoy&ntaQ naytiko+n me+n kaloy&ntaQ kai+ kybernhtiko+n kai+ e$ pista*menon ta+ kata+ nay&n, o=Q a/n syllamba*nein deino+Q |# o%pvQ a>rjoysin h/ pei* uonteQ h/ biazo*menoi to+n nay*klhron, to+n de+ mh+ toioy&ton ce*gontaQ v<Q a>xrhston, toy& de+ a$lhuinoy& kybernh*toy pe*ri mhd\ e$ pai^ onteQ, o%ti a$na*gkh ay$t{& th+n e$ pime*leian poiei& suai e$ niaytoy& kai+ v<rv&n kai+ oy$ranoy& kai+ a>strvn kai+ pneyma*tvn kai+ pa*ntvn tv&n t|& te*xn| proshko*ntvn, ei$ me*llei t{& o>nti nev+Q a$rxiko+Q e> sesuai, 488.e. o%pvQ de+ kybernh*sei e$ a*nte tineQ boy*lvntai e$ a*nte mh*, mh*te te*xnhn toy*toy mh*te mele*thn oi$ o*menoi dynato+n ei#nai labei& n a%ma kai+ th+n kybernhtikh*n. toioy*tvn dh+ peri+ ta+Q nay&Q gignome*nvn to+n v<Q a$lhuv&Q kybernhtiko+n oy$x h<g|& a/n t{& o>nti metevrosko*pon te kai+ a$dole*sxhn kai+ a>xrhsto*n sfisi kalei& suai y<po+ tv&n e$ n tai& Q oy%tv kateskeyasme*naiQ naysi+ plvth*rvn; Kai+ ma*la, e> fh o< $Adei* mantoQ. 489.a. Oy$ dh*, h#n d\ e$ gv*, oi#mai dei& suai* se e$ jetazome* nhn th+n ei$ ko*na i$ dei& n, o%ti tai& Q po*lesi pro+Q toy+Q a$lhuinoy+Q filoso*foyQ th+n dia*uesin e> oiken, a$lla+ manua*nein o= le* gv. suai: inf. pf. di peri-xe* v, ``riversarsi intorno''; il periodo, iniziato con una serie di participi complementari retti da no*hson, prosegue anacoluticamente con l'infinito. _ e<ni* ote ... toy+Q toioy*toyQ, ``e talvolta, se non lo convincono, ma (lo convincono, sott.) piuttosto altri, ammazzando (questi) altri e gettandoli fuori dalla nave, e impedendo (sympodi* santaQ) quel valente (gennai& on) capitano con la mandragora o con l'ebbrezza o con qualche altro mezzo, governano la nave facendo uso di cioÁ che trovano (toi& Q e$ noy&si) e, bevendo e banchettando, navigano come eÁ naturale che (navighi) simile gente''; a$lla+ a>lloi ma&llon: sott. pei* uvsin; a$lla+ a>lloi costituisce una parechesi; gennai& on: eÁ ironico; mandrago*r@: un tempo alla radice di questa pianta si attribuivano qualitaÁ afrodisiache; toi& Q e$ noy&si, lett. ``di cioÁ che c'eÁ'': part. sostantivato; i demagoghi si impadroniscono dunque del potere eliminando i rivali, ingannando il popolo e sfruttando nel proprio interesse le pubbliche risorse: sono questi gli argomenti correnti nella pubblicistica dei conservatori. 488.d. pro+Q de+ toy*toiQ ... a>xrhston, ``e inoltre (pro+Q ... toy*toiQ) lodano, chiamandolo abile marinaio ed esperto timoniere e conoscitore dell'arte del navigare chi sia abile (deino*Q) a collaborare con loro perche comandino, o persuadendo o costringendo il comandante, e biasimano chi non eÁ come loro (to+n mh+ 626 toioy&ton) dichiarandolo (v<Q) inutile''; e$ painoy&ntaQ eÁ predicativo del soggetto di a>rxein, mentre kaloy&ntaQ eÁ part. congiunto e spiega e$ painoy&ntaQ; kybernhtiko*Q, ``esperto nell'arte del kybernh*thQ'', secondo la stessa struttura per cui naytiko*Q deriva da nay*thQ; a>xrhston: come i filosofi nella questione posta da Adimanto. _ toy& de+ a$lhuinoy& ... e>sesuai, ``mentre non si intendono affatto del vero pilota (toy& ... pe*ri), del fatto che egli deve prendersi cura (e$ pime*leian poiei& suai) dell'anno e delle stagioni e del cielo e degli astri e dei venti e di tutto cioÁ che concerne l'arte, se deve essere davvero (t{& o>nti) capace di comandare la nave''; toy& ... pe*ri: baritonesi? con anastrofe?; e$ pime*leian poiei& suai: il medio indica che il vero timoniere eÁ personalmente coinvolto in tutte queste preoccupazioni; e$ pai^ onteQ: il nom. eÁ attratto da pei* uonteQ e biazo*menoi che precedono; t|& te*xn|: come quella della navigazione, anche quella del governo dello Stato eÁ per Platone un'arte, che richiede altresõÁ una conoscenza e non puoÁ essere di tutti. _ a$rxiko*Q, ``capace di comandare'', formato come kybernhtiko*Q e naytiko*Q. 488.e. o%pvQ de+ ... kybernhtikh*n, ``e come egli governeraÁ, sia che qualcuno lo voglia, sia che non voglia, di questo (toy*toy) non credendo (oi$ o*menoi) che sia possibile apprendere l'arte (te* xnhn) ne la pratica (mele* thn) e il modo di reggere il timone''; il periodo eÁ retto da oi$ o*menoi, correlato con de* a e$ pai^ onteQ: toy*toy ricapitola (funzione epanalettica) l'interr. indiretta che precede, o%pvQ ... kybernh*sei. Il senso dell'allegoria eÁ che il vero politico deve possedere la scienza e la pratica del governo, e deve perseguire il bene collettivo senza darsi cura del favore della moltitudine: il filosofo al governo viene cosõÁ a costituire l'antitesi del demagogo. _ toioy*tvn ... plvth*rvn, ``quando simili vicende accadono nelle navi, non credi tu che chi sia davvero un timoniere sarebbe chiamato in realtaÁ un acchiappanuvole (metevrosko*pon) e un chiacchierone (a$dole* sxhn) e un essere inutile per loro, da parte di quelli che navigano (plvth*rvn) in navi in queste condizioni?''; tutta la struttura del periodo eÁ retta dalla principale oy$x h<g|&, nonne putas?, interr. retorica, che regge l'infinitiva to+n kybernh*thn a/n kalei& suai, dalla quale dipende ancora il gen. assoluto toioy*tvn ... gignome* nvn, con valore di protasi di periodo ipotetico dell'eventualitaÁ; entro di esso peri+ ta+Q nay&Q eÁ in posizione attributiva; metevrosko*pon: colui che sta ad osservare (skope* v) i fenomeni celesti, ta+ me* tevra, come il Socrate delle Nuvole; si noti ancora l'antitesi? tra kybernh*thQ e plvth*r. 489.a. oy$ dh* ... le*gv, ``io non credo che tu abbia bisogno (oy$ ... oi#mai dei& suai* se) di vedere l'immagine spiegata (e$ jetazome* nhn), nel senso che (o%ti) essa 489.c. e$a*nte ... o>feloQ |#, ``sia che sia malato (ka*mn|) un ricco sia un povero, che sia necessario andare alle porte dei medici, e che ognuno che ha bisogno (pa*nta to+n ... deo*menon) di essere governato vada a quelle di chi eÁ in grado di governare (toy& a>rxein dyname* noy) e che non giaÁ chi governa, del quale ci sia in veritaÁ qualche utilitaÁ (ti o>feloQ) preghi i sudditi di lasciarsi governare'': l'avversione di Platone verso la democrazia si manifesta nell'insistenza e nell'infittirsi della figura etymologica? a>rxesuai ... a>rxein ... a>rxonta ... a$rxome* nvn a>rxesuai, che vorrebbe sottolineare la perversitaÁ del procedimento per cui chi dovrebbe governare prega coloro cui dovrebbe comandare. _ a$lla+ toy+Q ... a<marth*s|, ``pertanto, paragonando i politici governanti (toy+Q ... politikoy+Q a>rxontaQ) di ora ai marinai di cui poco testi 489.b. kai+ o%ti ... filosofi* @, ``e (digli) anche che afferma il vero, che i piuÁ saggi (oi< e$ pieike* statoi) tra quelli che si dedicano alla filosofia sono inutili per i piuÁ''; o%ti le* geiQ prosegue, coordinato da kai* iniziale, di* daske kai+ peirv& pei* uein o%ti. _ th&Q me*ntoi ... e$pieikei& Q, ``ma pregalo (ke* leye) che di quella inutilitaÁ diano la colpa a quelli che non si servono di loro, non ai saggi''._ oy$ ga+r e>xei ... y<f\ ay$toy&, ``non eÁ infatti naturale che il pilota preghi i marinai di lasciarsi comandare da lui''; oy$ ... e> xei fy*sin, lett. ``non ha natura'', quindi ``non eÁ conforme a natura''. _ e$pi+ ta+Q ... uy*raQ: come fanno i mendicanti. _ o< toy&to ... e$cey*sato, ``chi pronuncioÁ questa spiritosaggine si sbaglioÁ''. L'episodio eÁ riferito dettagliatamente da Aristotele, Retorica 2, 16, 1391 a 8 ss.: Simonide, interrogato dalla moglie del tiranno Ierone se fossero preferibili le ricchezze o la sapienza, rispose che erano preferibili le ricchezze, perche i saggi si trovano alla corte dei ricchi¨. ± to+ de+ ... pe*fyken, ``mentre la veritaÁ eÁ per natura'': segue l'illustrazione di questo enunciato. Repubblica somiglia nell'atteggiamento (th+n dia*uesin) alle cittaÁ nei confronti dei veri filosofi, ma che tu intenda cioÁ che dico''; e$ jetazome* nhn, lett. ``indagata'': la spiegazione eÁ come un'indagine nei confronti del testo che deve essere illustrato; th+n dia*uesin: acc. di relazione; Socrate intende che Adimanto non avraÁ certo bisogno che l'immagine della nave e del timoniere gli sia spiegata, ma intenderaÁ da se quello che essa significa. _ e$kei& non ... e$timv&nto, ``spiega (di* daske) l'immagine a quello che si meravigliava del fatto che i filosofi non sono onorati nelle cittaÁ, e cerca di convincerlo che sarebbe molto piuÁ singolare (uaymasto*teron) se fossero onorati'': Glaucone in 487 c-d aveva espresso questa meraviglia. Platone Kai+ ma*l$, e> fh. Prv&ton me+ n toi* nyn e$ kei& non to+n uayma*zonta o%ti oi< filo*sofoi oy$ timv&ntai e$ n tai& Q po*lesi di* daske* te th+n ei$ ko*na kai+ peirv& pei* uein o%ti poly+ a/n uaymasto*teron h#n ei$ e$ timv&nto. $Alla+ dida*jv, e> fh. 489.b. Kai+ o%ti toi* nyn ta$lhuh& le*geiQ, v<Q a>xrhstoi toi& Q polloi& Q oi< e$ pieike*statoi tv&n e$ n filosofi* @ " th&Q me*ntoi a$xrhsti* aQ toy+Q mh+ xrvme* noyQ ke* leye ai$ tia&suai, a$lla+ mh+ toy+Q e$ pieikei& Q. oy$ ga+r e> xei fy*sin kybernh*thn naytv&n dei& suai a>rxesuai y<f\ ay<toy& oy$de+ toy+Q sofoy+Q e$ pi+ ta+Q tv&n ploysi* vn uy*raQ i$ e* nai, a$ll\ o< toy&to komceysa*menoQ e$ cey*sato, to+ de+ a$lhue+ Q pe* fyken, 489.c. e$ a*nte ploy*sioQ e$ a*nte pe* nhQ ka*mn|, a$nagkai& on ei#nai e$ pi+ i$ atrv&n uy*raQ i$ e* nai kai+ pa*nta to+n a>rxesuai deo*menon e$ pi+ ta+Q toy& a>rxein dyname* noy, oy$ to+n a>rxonta dei& suai tv&n a$rxome*nvn a>rxesuai, oy} a/n t|& a$lhuei* @ ti o>feloQ |#. a$lla+ toy+Q ny&n politikoy+Q a>rxontaQ a$peika*zvn oi}Q a>rti e$ le* gomen nay*taiQ oy$x a<marth*s|, kai+ toy+Q y<po+ toy*tvn a$xrh*stoyQ legome* noyQ kai+ metevrole* sxaQ toi& Q v<Q a$lhuv&Q kybernh*taiQ. $ Oruo*tata, e> fh. > Ek te toi* nyn toy*tvn kai+ e$ n toy*toiQ oy$ r<@*dion ey$dokimei& n to+ be* ltiston e$ pith*deyma y<po+ tv&n ta$nanti* a e$ pithdeyo*ntvn " poly+ de+ megi* sth kai+ i$ sxyrota*th diabolh+ gi* gnetai filosofi* @ 489.d. dia+ toy+Q ta+ toiay&ta fa*skontaQ e$ pithdey*ein, oy=Q dh+ sy+ f|+Q to+n e$ gkaloy&nta t|& filosofi* @ le*gein v<Q pampo*nhroi oi< plei& stoi tv&n i$ o*ntvn e$ p\ ay$th*n, oi< de+ e$ pieike*statoi a>xrhstoi, kai+ e$ gv+ synexv*rhsa a$lhuh& se le* gein. h# ga*r; fa dicemmo, non sbaglierai''; a$peika*zvn: part. cong. con valore suppositivo; toy+Q ... politikoy+Q a>rxontaQ: eÁ ben chiaro che per Platone l'aggettivo nega il sostantivo cui viene attribuito; oi}Q: attratto in dativo da nay*taiQ, assorbito entro la relativa in seguito all'attrazione. _ metevrole*sxaQ: combina le due qualifiche attribuite in 488 e al filosofo, metevrosko*pon te kai+ a$dole* sxhn. _ e>k te ... e$pithdeyo*ntvn, ``in conseguenza di cioÁ e in queste situazioni non eÁ facile (oy$ r<a*dion) che la pratica piuÁ nobile sia in onore presso quelli che praticano il suo contrario''; oy$ r<a*dion presenta l'ellissi del verbo essere e la lõÁtote?; ey$dokimei& n ... y<po+ tv&n ... e$ pithdeyo*ntvn: il verbo ey$dokimei& n eÁ costruito con il complemento di agente come se fosse un passivo (``goder di buona fama'' = ``essere lodato''), con un procedimento intenzionalmente arcaicizzante; to+ be* ltiston e$ pith*deyma, ``la pratica piuÁ eccellente'': perifrasi per ``la filosofia''; e$ pith*deyma ... e$ pithdeyo*ntvn: la figura etymologica marca l'antitesi. 489.d. dia+ toy+Q ... e$p\ ay$th*n, ``a causa di coloro che affermano di praticare simili attivitaÁ (ta+ toiay&ta), dei quali tu dici che l'accusatore (to+n e$ gkaloy&nta) della filosofia afferma (le* gein) che (sono) pessimi i piuÁ di quelli che si rivolgono ad essa (tv&n i$ o*ntvn e$ p\ ay$th*n)''; oy=Q sy+ f|&Q: dipende da le* gein, ma al 627 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO Nai* . Oy$koy&n th&Q me+ n tv&n e$ pieikv&n a$xrhsti* aQ th+n ai$ ti* an dielhly*uamen; Kai+ ma*la. Th&Q de+ tv&n pollv&n ponhri* aQ th+n a$na*gkhn boy*lei to+ meta+ toy&to die* luvmen, kai+ o%ti oy$de+ toy*toy filosofi* a ai$ ti* a, a/n dynv*meua, peirauv&men dei& jai; Pa*ny me+ n oy#n. 489.e. $Akoy*vmen dh+ kai+ le* gvmen e$ kei& uen a$namnhsue*nteQ, o%uen di|&men th+n fy*sin oi}on a$na*gkh fy&nai to+n kalo*n te ka$gauo+n e$ so*menon. 490.a. h<gei& to d\ ay$t{&, ei$ n{& e> xeiQ, prv&ton me+ n a$lh*ueia, h=n div*kein ay$to+n pa*ntvQ kai+ pa*nt| e> dei h/ a$lazo*ni o>nti mhdam|& metei& nai filosofi* aQ a$lhuinh&Q. # Hn ga+r oy%tv lego*menon. Oy$koy&n e= n me+n toy&to sfo*dra oy%tv para+ do*jan toi& Q ny&n dokoyme*noiQ peri+ ay$toy&; Kai+ ma*la, e> fh. #Ar\ oy#n dh+ oy$ metri* vQ a$pologhso*meua o%ti pro+Q to+ o/n pefykv+Q ei> h a<milla&suai o% ge o>ntvQ filomauh*Q, kai+ oy$k e$ pime*noi e$pi+ toi& Q dojazome* noiQ ei#nai polloi& Q e< ka*stoiQ, 490.b. a$ll\ i> oi kai+ oy$k a$mbly*noito oy$d\ a$polh*goi toy& e> rvtoQ, pri+ n ay$toy& o= e> stin e< ka*stoy th&Q fy*sevQ a%casuai {} prosh*kei cyxh&Q e$ fa*ptesuai toy& toioy*toy ± prosh*kei de+ syggenei& ± {} plhsia*saQ kai+ migei+ Q t{& o>nti o>ntvQ, posto dell'infinito annunciato dal soggetto in accusativo troviamo una dichiarativa con v<Q e l'ellissi del verbo essere. _ h# ga*r, ``o non eÁ cosõÁ?''. _ oy$koy&n ... dielhly*uamen;, ``dunque non abbiamo esaminato a fondo la causa dell'inutilitaÁ dei saggi?'': dielhly*uamen: l'idea del ``passare attraverso'' (dia-) implica quella di una verifica ``penetrante''. _ th&Q de+ tv&n pollv&n ... dei& jai, ``vuoi (boy*lei) che esaminiamo in seguito la causa necessaria (th+n a$na*gkhn) della malvagitaÁ dei piuÁ, e che cerchiamo di dimostrare, se potremo (a/n dynv*meua), che nemmeno di questo la filosofia eÁ causa?''; boy*lei presenta la desinenza in -ei alla 2a persona singolare del medio al posto di quella piuÁ diffusa in -|; da boy*lei dipende il cong. sostantivo die* luvmen, senza congiunzione come nel lt. visne percurramus, cui si coordina il seguente peirauv&men; th+n a$na*gkhn, lett. ``la necessitaÁ''; a/n dynv*meua: protasi di periodo ipotetico dell'eventualitaÁ. 489.e. a$koy*vmen dh+ kai+ le*gvmen, ``ascoltiamo e parliamo'': cong. esortativi. _ e$kei& uen ... e$so*menon, ``rifacendoci con la memoria a questo punto da dove (o%uen) esaminavamo (di|&men) quale deve essere (a$na*gkh fy&nai, con sott. e$ sti) per natura colui che saraÁ (to+n ... e$ so*menon) eccellente (kalo*n te ka$gauo*n)''; e$ kei& uen a$namnhsue* nteQ, lett. 628 ``cominciando a ricordare da laÁ'': l'idea del punto da cui si inizia eÁ suggerita dal preverbio a$na-; di|&men: impf. att. 1a pl. da di* eimi (ei#mi), usato come variante sinonimica di die* rxomai; kalo*n te ka$gauo*n: l'espressione tradizionale per indicare l'eccellenza di sangue viene qui attribuita all'intellettuale compiuto, il filosofo. 490.a. h<gei& to, ``lo guidava'', nella discussione che precede questa e la introduce. _ ei$ n{& e>xeiQ, ``se ricordi'', si memoria tenes: n{& eÁ dat. strumentale. _ h=n div*kein ... e>dei, h/ ... metei& nai, ``che bisognava che egli perseguisse (div*kein) in tutto e per tutto (pa*ntvQ kai+ pa*nt|), ovvero, se si fosse dimostrato un millantatore (a$lazo*ni o>nti), che non partecipasse (metei& nai) in alcun modo della vera filosofia''; anche se e> dei eÁ inserito in una delle due coordinate, regge sia div*kein sia metei& nai; pa*ntvQ kai+ pa*nt|: poliptoto?; come nella forma italiana ``in tutto e per tutto'', il rafforzamento espressivo eÁ dato dall'accumulazione dei due termini semanticamente tra loro non differenziati; a$lazo*ni o>nti: il dat. eÁ richiesto dall'impersonale metei& nai (me* testi* moi* tinoQ, ``a me eÁ parte di qualcosa'', con dat. di possesso e gen. partitivo; il part. eÁ congiunto; a$lazv*n era, nel linguaggio diffuso dalla commedia nuova, il ``(soldato) fanfarone'' che vantava imprese straordinarie e incredibili (cosõÁ si intito- lava la commedia di Difilo da cui Plauto trasse il suo Miles gloriosus); mhdam|&, ``per nulla'': locuzione avverbiale. _ oy$koy&n ... ay$toy&, ``dunque questo (toy&to) eÁ qualcosa (e% n) molto contrario (para+ do*jan) a cioÁ che ora si pensa (toi& Q dokoyme*noiQ) su di lui?''; para+ do*jan regge il dat. di relazione toi& Q dokoyme*noiQ; l'opinione corrente sul filosofo eÁ proprio che egli sia un a$lazv*n. _ a#r\ oy#n ... e<ka*stoiQ, ``forse dunque non prenderemo opportunamente (metri* vQ) la difesa, (dicendo) che il vero amante della sapienza eÁ disposto per natura (pefykv+Q ei> h) a combattere per cioÁ che eÁ (pro+Q to+ o>n) e non si arresta (oy$k e$ pime* noi) ai molti singoli oggetti (polloi& Q e< ka*stoiQ) che hanno l'apparenza di essere''; a#r\ oy#n, num, introduce l'interrogazione diretta, che prevede risposta negativa in relazione a metri* vQ: ``non prenderemo dunque opportunamente'', quindi ``saraÁ dunque una difesa opportuna quella che faremo dicendo che ...''; pefykv+Q ei> h, e$ pime* noi: ott. obliqui; qui Socrate riprende un pensiero giaÁ precedentemente espresso. 490.b. a$ll\ i> oi ... pri+ n d\ oy$, ``ma procede e non si fiacca (a$mbly*noito) e non cessa dal suo desiderio (a$polh*goi toy& e> rvtoQ), prima di aver toccato (a%casuai) la natura di ciascuna cosa qual eÁ (e< ka*stoy ay$toy& o% e$ stin), con quella parte dell'anima con cui conviene toccare simile cosa ({} ... toy& 490.c. h<goyme*nhQ ... a$koloyuh&sai, ``se la veritaÁ facesse da guida, credo, diciamo che non le si potrebbe mai (oy$k ... pote) accompagnare un coro di vizi'': in dipendenza da fame* n abbiamo un periodo ipotetico della possibilitaÁ, la cui protasi eÁ rappresentata dal gen. assoluto h<goyme* nhQ ... a$lhuei* aQ. _ a$ll\ y<gie*Q ... e%pesuai, ``ma (l'accompagnerebbe) un costume sano e giusto, al quale si accompagna anche la temperanza'': anche la relativa ha l'inf., come se il suo predicato fosse un verbo di dire, ``al quale (diciamo che) si accompagna''. _ kai+ dh+ ... ta*ttein, ``e che bisogno c'eÁ di disporre nuovamente da capo, costringendole, le altre virtuÁ che accompagnano la natura del filosofo?''; to+n a>llon ... xoro*n, lett. ``il rimanente coro della natura del filosofo''; a$nagka*zonta, ``costringendole'': riferito al sogg. sottinteso di ta*ttein. _ me*mnhsai ... mnh*mh, ``ricordi infatti, credo (poy), che risultoÁ (syne* bh) conveniente (prosh&kon) a questi il valore, la magnanimitaÁ, la facilitaÁ di apprendere, la memoria'': poy, lett. ``in qualche modo'', sfuma il concetto della frase; prosh&kon: il neutro, pur riferito a quattro soggetti femminili, generalizza l'idea. testi dopo aver generato intelligenza e veritaÁ (gennh*saQ ... a$lh*ueian), acquista conoscenza (gnoi* h) e vive veramente e si nutre (tre* foito) e cosõÁ eÁ liberato dalla doglia, non prima''; a$mbly*noito: il verbo propriamente significa all'attivo ``affievolire'', ``ottundere''; toy& e> rvtoQ: la ricerca della veritaÁ, per l'anima del filosofo, eÁ un vero e proprio eros che la sconvolge e si placa solo con la congiunzione dell'anima con l'idea e la generazione del pensiero e della veritaÁ; {} ... toioy*toy 4 e$ kei* n{ cyxh&Q {}, ``con quella parte dell'anima con cui'': il pronome relativo assorbe il suo antecedente dimostrativo; de+ syggenei& : tra le tre parti dell'anima quella cui spetta accostarsi all'idea eÁ naturalmente quella intelligibile, come viene precisato nell'inciso prosh*kei de+ syggenei& ; migei* Q: l'unione dell'anima e dell'idea eÁ indicata proprio con il verbo dell'unione sessuale, e da questa unione vengono generate ``intelligenza e veritaÁ (noy&n kai+ a$lh*ueian); gnoi* h: l'aoristo indica l'istantaneitaÁ dell'atto della conoscenza che si consegue con questa mistica unione; a$lhuv&Q: solo la vita nella conoscenza eÁ vera vita per l'anima; v$di& noQ: propriamente la doglia del parto, che cessa nel momento in cui la nuova creatura viene alla luce. _ v<Q ... metriv*tata, ``eÁ la difesa piuÁ opportuna'', lett. ``quanto piuÁ opportunamen- te possibile''. _ toy*t{ ti ... misei& n, ``a costui toccheraÁ (mete* stai) di amare la menzogna o, al contrario, di odiarla totalmente'': ormai superato il picco della definizione teorica che ha illustrato l'immagine del pilota, le conclusioni procedono con un discorso piuÁ agevole. Repubblica toioy*toy) ± e si addice alla parte che le eÁ affine (prosh*kei de+ syggenei& ) ± con la quale, accostatosi e unito (migei* Q) a cioÁ che eÁ veramente (t{& o>nti o>ntvQ), Platone gennh*saQ noy&n kai+ a$lh*ueian, gnoi* h te kai+ a$lhuv&Q z{*h kai+ tre* foito kai+ oy%tv lh*goi v$di& noQ, pri+ n d\ oy>; < VQ oi}o*n t$, e> fh, metriv*tata. Ti* oy#n; toy*t{ ti mete*stai cey&doQ a$gapa&n h/ pa&n toy$nanti* on misei& n; Misei& n, e> fh. 490.c. < Hgoyme* nhQ dh+ a$lhuei* aQ oy$k a>n pote oi#mai fame+ n ay$t|& xoro+n kakv&n a$koloyuh&sai. Pv&Q ga*r; $All\ y<gie* Q te kai+ di* kaion h#uoQ, {} kai+ svfrosy*nhn e% pesuai. $ Oruv&Q, e> fh. Kai+ dh+ to+n a>llon th&Q filoso*foy fy*sevQ xoro+n ti* dei& pa*lin e$ j a$rxh&Q a$nagka*zonta ta*ttein; me* mnhsai ga*r poy o%ti syne* bh prosh&kon toy*toiQ a$ndrei* a, megalopre*peia, ey$ma*ueia, mnh*mh " 490.d. kai+ soy& e$pilabome*noy o%ti pa&Q me+n a$nagkasuh*setai o<mologei& n oi}Q le* gomen, e$ a*saQ de+ toy+Q lo*goyQ, ei$ Q ay$toy+Q a$poble*caQ peri+ v}n o< lo*goQ, fai* h o<ra&n ay$tv&n toy+Q me+ n a$xrh*stoyQ, toy+Q de+ polloy+Q kakoy+Q pa&san kaki* an, th&Q diabolh&Q th+n ai$ ti* an e$ piskopoy&nteQ e$ pi+ toy*t{ ny&n gego*namen, ti* pou\ oi< polloi+ kakoi* , kai+ toy*toy dh+ e% neka pa*lin a$neilh*famen th+n tv&n a$lhuv&Q filoso*fvn fy*sin kai+ e$ j a$na*gkhQ v<risa*meua. 490.e. > Estin, e> fh, tay&ta. 490.d. soy& e$pilabome*noy ... v<risa*meua, ``e quando tu obiettavi (soy& e$ pilabome* noy) che ognuno saraÁ costretto a consentire a cioÁ che (oi}Q 4 toy*toiQ a%) diciamo, ma, lasciando i discorsi e volgendo lo sguardo (a$poble* caQ) alle persone stesse di cui si parla (peri+ v}n o< lo*goQ) affermava (fai* h) di vedere alcuni di loro inutili, e i piuÁ malvagi di ogni forma di malvagitaÁ (kakoy+Q pa&san kaki* an), noi, indagando la causa di questa accusa (th&Q diabolh&Q), siamo giunti ora a questo punto, (di vedere) in che i piuÁ sono malvagi, e per questo abbiamo ripreso (pa*lin a$neilh*famen) la natura dei veri filosofi e l'abbiamo definita conforme a necessitaÁ (e$ j a$na*gkhQ)''; oi}Q 4 toy*toiQ a%: attrazione del relativo; peri+ v}n o< lo*goQ, lett. ``riguardo ai quali (eÁ) il discorso''; fai* h: dipendente da me* mnhsai ... o%ti, con l'ott. obliquo; (e$ j a$na*gkhQ, ``come di necessitaÁ deve essere''). Colui che ha ricevuto una vera educazione filosofica assommeraÁ necessariamente dunque in se le piuÁ nobili virtuÁ, ma esiste, almeno in prospettiva, anche per questi la possibilitaÁ della corruzione: in questo caso anche le anime meglio dotate da natura, incontrando una perversione della vera educazione, possono divenire pessime: come nel percorso formativo delineato finora si prospettava la figura di Socrate, maestro dell'eros ideale, come apprendiamo dal Simposio, cosõÁ nella possibilitaÁ della corruzione si avverte la presenza della negazione dell'eros per la veritaÁ, impersonata in Alcibiade. 629 traduzione d'autore 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 487.b. Al che intervenne Adimanto: «O Socrate, su tale materia nessuno potrebbe coglierti in fallo, e d'altra parte eÁ questa l'impressione che ricava ogni volta chi ascolta le tue parole. Costoro sono convinti che, per la loro incapacitaÁ a porre problemi e a fornire risposte, ad ogni tua domanda siano impercettibilmente dirottati dalla giusta linea di discorso, siccheÂ, mettendo insieme uno dopo l'altro questi spostamenti, per quanto piccoli essi siano, alla fine ne vien una gran deviazione, al punto che uno si trova in contraddizione con le premesse da cui eÁ partito. Avviene come nel gioco degli scacchi, quando un giocatore veramente capace prima o poi finisce col metterne in trappola uno inesperto, non lasciandogli piuÁ alcuna mossa possibile; 487.c. allo stesso modo i tuoi uditori finiscono col trovarsi con le spalle al muro e restano privi di argomenti da giocare su questa strana scacchiera fatta non di pedine, ma di ragionamenti; e tutto cioÁ non torna certo utile alla veritaÁ. «Dico cioÁ, riferendomi al caso presente. A tal punto uno dovrebbe riconoscere di non aver piuÁ nessuna argomentazione da contrapporre in via teorica ai tuoi quesiti, salvo far vedere nella pratica come tutti quelli che, dopo aver studiato la filosofia nel loro programma scolastico non se ne sono ritratti in tempo, quando erano ancora giovani, 487.d. ma vi hanno insistito troppo a lungo, siano per lo piuÁ divenuti stravaganti per non dire assolutamente disgraziati. E pure quelli che sembrano i piuÁ normali traggono questo bel vantaggio da tale disciplina che tu vai lodando: d'essere inutili allo Stato». E io, intese queste parole, domandai: «Credi, dunque, che chi sostiene una tal tesi si inganni?». «Non saprei -- disse --, ma ascolterei volentieri la tua posizione». 487.e. «In tal caso, mi sentirai affermare che, a mio giudizio, essi dicono la veritaÁ». «Allora -- obiettoÁ --, che senso ha dire che gli Stati non avranno tregua dalle loro sciagure finche i filosofi non prenderanno il potere, se poi concordiamo sul fatto che eÁ gente politicamente inutile?». «La tua domanda -- gli risposi -- richiede che io risponda per metafore». «E tu? -- osservoÁ -- non sei certo abituato ad esprimerti per immagini». «E che? -- esclamai --. Oltre ad avermi intrappolato in una argomentazione cosõÁ complessa, ora mi prendi anche in giro? 488.a. Ma sta' un po' attento a questa immagine, cosõÁ potrai ancor meglio renderti conto di come io mi trovi a disagio in un discorso per immagini. «D'altra parte, gli uomini che sono piuÁ adatti al comando, hanno attualmente un rapporto cosõÁ difficile con lo Stato da non aver precedenti. Per tal motivo eÁ necessario che chi vuol difenderli, migliorando la loro immagine, raccolga elementi dai punti piuÁ disparati, come fanno i pittori che dalla fusione di diversi particolari tirano fuori la figura degli ircocervi e di altri mostri del genere. «Supponi che su molte navi -- ma anche su una sola nave -- si verifichi una scena del genere. Da una parte c'eÁ un capitano che pur superando tutto l'equipaggio 488.b. in forza e in prestanza fisica eÁ un po' sordo, un po' miope, e, oltre a cioÁ, poco esperto nelle tecniche della navigazione. Da un'altra parte ci sono i marinai fra loro in perenne disaccordo su come gestire la nave, ciascuno ritenendosi in diritto di far da nocchiero anche se digiuno di quest'arte; a tal proposito non saprebbero ne indicare il loro maestro, ne il tempo in cui avrebbero appreso le tecniche di navigazione. Anzi, asserendo che detta arte non eÁ in linea di massima insegnabile, costoro sarebbero pronti a malmenare chiunque sostenesse il contrario. Immagina, a tal punto, che questi marinai circondino senza tregua 488.c. il nocchiero pretendendo e facendo ogni genere di pressione perche sia loro affidato il timone. E se per caso talvolta non riuscissero a convincerlo e altri, in vece loro, la spuntassero, essi non esiterebbero a ucciderli oppure a buttarli in mare, in modo tale -- quand'anche il buon capitano fosse stato drogato con la mandragola o ubriacato o comunque messo fuori gioco con qualche altro mezzo -- da avere il dominio incontrastato del vascello per 630 Platone Repubblica testi poter disporre dei viveri: a tali condizioni, essi navigherebbero fra libagioni e gozzoviglie, come eÁ nel loro stile. «Oltre a cioÁ, questa ciurma 488.d. tesserebbe ogni elogio, e darebbe il titolo di lupo di mare, di nocchiero, di esperto navigatore a chiunque fosse stato capace di favorire le sue richieste di potere, convincendo o costringendo il capitano, e invece taccerebbe di inefficienza chi non si fosse comportato in tal modo. Purtroppo, questi individui non comprendono minimamente che un vero nocchiero, se vuole seriamente che la sua nave sia ben condotta, non puoÁ non tener conto del clima, delle stagioni, del cielo e degli astri, e cosõÁ pure dei venti e di tutto cioÁ che attiene alla sua arte. «In veritaÁ, a loro preme solo ottenere il comando 488.e. con o senza l'approvazione di una parte o dell'altra della ciurma, e, indipendentemente dal fatto che allo scopo non possiedano alcuna conoscenza ne teorica ne pratica, e questo perche sono convinti di poter apprendere l'arte della navigazione nel momento in cui ne assumano il comando. Orbene, stando cosõÁ le cose sulla nave, non credi tu che anche un fior di capitano finirebbe col meritarsi il titolo di acchiappanuvole, e di inconcludente chiacchierone, da parte dei marinai di un vascello cosõÁ mal combinato?». «Proprio cosõÁ», rispose Adimanto. 489.a. «Da parte mia -- osservai -- non credo affatto che tu abbia bisogno di un'ulteriore spiegazione di questa metafora, e di come rappresenti il rapporto fra lo stato e i veri filosofi; spero, anzi che sia riuscito a comprendere quello che intendo dire». «Molto bene», rispose. «Pertanto -- ripresi --, a quel tale che si meraviglia perche i filosofi sono poco apprezzati nelle cittaÁ, in primo luogo fa' interpretare questa immagine e poi cerca di convincerlo che, semmai, sarebbe molto piuÁ strano che essi fossero onorati». 489.b. «CercheroÁ di farglielo capire», disse. «Inoltre, spiega a quel tipo che dicevi il vero quando sostenevi che i piuÁ versati nella filosofia sono anche i piuÁ inutili; ma la responsabilitaÁ di questa inutilitaÁ attribuiscila a chi non sa servirsi di loro, e non a questi altri che, invece, sono all'altezza del proprio ruolo. «E, del resto, non eÁ nell'ordine delle cose che un capitano implori dai suoi marinai il permesso di guidarli, ne che il sapiente vada a battere alla porta dei ricchi; e chi ha detto questa battuta lo ha fatto a sproposito. La veritaÁ eÁ che tocca al malato -- ricco o povero che sia -- 489.c. recarsi alla porta del medico, e cosõÁ pure a chi eÁ privo di guida bussare alla porta di colui che potrebbe guidarlo. Il caso contrario, e cioeÁ che il conduttore abbia bisogno di chi deve essere condotto per condurlo, non si daraÁ mai, almeno se si prefigge di ottenere un qualche risultato utile. E, tuttavia, non sei fuori strada, se paragoni i politici dei nostri giorni a quei marinai di cui abbiamo detto, e gli uomini che quelli definiscono acchiappanuvole e buoni a nulla ai veri nocchieri». «Benissimo», disse lui. «Dunque, per i motivi suddetti, non eÁ certo facile che, in questo campo, il comportamento piuÁ serio possa godere i favori di chi vive in maniera esattamente opposta. E peroÁ, l'insidia piuÁ grave e micidiale per la filosofia viene da coloro che fingono di coltivarla. 489.d. Ed eÁ proprio riferendomi a questi che io mi dichiaravo d'accordo con te quando giustamente ti facevi portavoce dell'accusa alla filosofia: dicevi, infatti, che la maggior parte dei filosofi eÁ costituita da pessimi elementi, e quelli che pur sarebbero i migliori risultano persone inutili. O non eÁ vero?». «SõÁ, eÁ vero». «Con cioÁ ritieni che si sia trattato a sufficienza del fatto che i migliori non vengano utilizzati?». «Certamente». «Dopo questo, vuoi che trattiamo della necessitaÁ che i piuÁ siano malvagi e che cerchiamo, nel limite delle nostre possibilitaÁ, di fornire la prova che cioÁ non puoÁ essere imputato alla filosofia?». «Assolutamente». 631 489.e. «Facciamo, dunque, attenzione e nel discorso riportiamoci a quel punto in cui abbiamo illustrato la natura tipica dell'uomo di perfetta virtuÁ. 490.a. Se ben ti ricordi, egli aveva come guida in primo luogo la veritaÁ che doveva perseguire in ogni suo aspetto e ad ogni costo, pena l'esclusione dal campo della vera filosofia, come un qualsiasi ciarlatano». «Infatti avevamo detto proprio questo». «E non eÁ giaÁ questa convinzione del tutto contro corrente rispetto a quanto oggi si pensa del filosofo?». «Altro che!», esclamoÁ. «Sarebbe giaÁ un'adeguata difesa il sostenere che chi ama il sapere dev'essere per natura proteso verso l'essere, 490.b. non perdendosi dietro alla molteplicitaÁ dei particolari che eÁ oggetto di opinione, ma andandosene dritto per la sua via, senza tentennamenti, senza desistere dal suo amore, finche non abbia colto nella sua essenza l'essere di ciascun oggetto particolare con quella facoltaÁ dell'anima che eÁ destinata a comprendere una tale realtaÁ; ed eÁ destinata a cioÁ perche eÁ della sua stessa natura. Ora, non credi che solo per mezzo di questa facoltaÁ uno, accostandosi e fondendosi intimamente con l'essere che eÁ veramente e generando intelligenza e veritaÁ, riuscirebbe a conoscere e quindi a vivere una vita autentica, e solo a questo punto, ma non prima, grazie a un cibo nutriente, finalmente si libererebbe dalle doglie del parto?». «Certo -- disse --, una difesa di tal genere sarebbe la piuÁ adatta». «E che? In un uomo siffatto puoÁ trovar posto l'amore della menzogna, o non dovraÁ piuttosto odiarla?». «Certamente dovraÁ odiarla», ammise. 490.c. «Ora, quando alla guida eÁ la veritaÁ io credo che il seguito non possa essere composto da un coro di vizi». «Come pensarlo?». «Ma da un costume integro e onesto, al quale si aggiunga la temperanza?». «Questo va bene», disse. «E dobbiamo forse di bel nuovo rimetterlo in fila questo resto del coro che segue la natura del filosofo? Ti ricordi che a tali nature eravamo d'accordo di attribuire il valore, la magnanimitaÁ, la facilitaÁ di apprendimento e la memoria. 490.d. Tu peroÁ a un certo momento mi obiettavi che alle cose dette chiunque avrebbe dato il proprio assenso; ma quando si fosse lasciata la teoria, per guardare in concreto alle persone di cui si tratta, allora sarebbero apparsi in gran numero tristi figuri in tutto viziosi, o comunque gente inutile. Ora noi, cercando il movente di una siffatta accusa, ci siam fermati a questo punto: ossia a cercare la causa di una tale diffusa malvagitaÁ e, per far cioÁ, abbiamo dovuto considerare di bel nuovo la natura dell'autentico filosofo e definirla nei suoi caratteri necessari». 490.e. «EÁ andata proprio cosõÁ», ribadõÁ lui. (Trad. R. Radice) 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO ANALISI DEL TESTO " L'INTERLOCUTORE MESSO IN SCACCO Nel passo sono presenti termini che caratterizzano il diale* gesuai socratico quale arte della domanda e della risposta: e$rvta&n, e$rv*thma, a$pokri* nesuai. I primi due vocaboli vedono indebolito l'originario valore della radice er- che indica il ``manifestare'', ``ricambiare un segno'' quindi ``rendere chiaro grazie alla parola'' e significano rispettivamente ``chiedere'' e ± con il suffisso -ma a significare l'azione e l'effetto dell'azione ± ``domanda''. Il verbo a$pokri* nesuai, invece, dalla radice kri- che troviamo anche in kri* siQ o in krith*rion ``segno, norma, mezzo in base a cui giudicare'', indica il ``rispondere'' dopo aver passato al vaglio, al setaccio (cf. lat. cribrum, ``crivello'', ``setaccio''). 632 Da notare, la prolessi del pronome toio*nde che ha lo scopo di evidenziare lo smarrimento che vivono quelli che ascoltano Socrate. Successivamente, saranno anche la comparazione e la scelta dei termini a mettere sapientemente in parallelo il blocco sperimentato dai giocatori inesperti del gioco degli scacchi al blocco sperimentato dai destinatari del lo*goQ Svkratiko*Q: ± oi< mh+ teleytv&nteQ ? sfei& Q teleytv&nteQ ± a$poklei* ontai ? a$poklei* esuai (sott. h<goy&ntai) ± kai+ oy$k e> xoysin o%ti fe* rvsin ? kai+ oy$k e> xein o%ti le* gvsin Repubblica testi 15 Il mito della caverna avvicini: ``O Socrate, avevo udito, prima ancora di incontrarmi con te, che tu non fai altro che dubitare e che fai dubitare anche gli altri: ora, come mi sembra, mi affascini, mi incanti, mi ammalii completamente, cosõÁ che son diventato pieno di dubbi. E mi sembra veramente, se eÁ lecito celiare, che tu assomigli moltissimo, quanto alla figura e quanto al resto, alla piatta torpedine marina. Anch'essa, infatti, fa intorpidire chi le si avvicina e la tocca: e mi pare che, ora, anche tu abbia prodotto su di me un effetto simile. Infatti, veramente io ho l'anima e la bocca intorpidite e non so piuÁ che cosa risponderti'' (Menone 80a-b; trad. G. Reale). Platone Á interessante notare come il " UN MOTIVO RICORRENTE E motivo dello smarrimento dell'interlocutore di Socrate sia ricorrente nell'opera platonica. Si tratta dello smarrimento che sperimenta il bello e giovane Alcibiade, che arriva ad ammettere: ``Socrate, per gli deÁi! Io non so nemmeno piuÁ quello che dico, ma provo una sensazione molto strana e anomala: nel momento in cui tu mi poni delle domande, le cose mi appaiono ora in un modo, ora in un altro'' (Alc. I 116e; trad. D. Puliga). Ed eÁ lo stesso smarrimento che sperimenta il bello e giovane Menone che, proprio per questo motivo, paragona Socrate a una torpedine marina che fa intorpidire chiunque le si (514a-516c) L'esperienza dei nostri sensi, secondo Platone, eÁ assolutamente illusoria: questo concetto eÁ illustrato dal famoso mito della caverna. ``Paragona a una condizione di questo genere la nostra natura per quanto concerne l'educazione e la mancanza di educazione. Immagina di vedere degli uomini rinchiusi in una abitazione sotterranea a forma di caverna che abbia l'ingresso aperto verso la luce, estendentesi in tutta la sua ampiezza per tutta quanta la caverna; inoltre, che si trovino qui fin da fanciulli con le gambe e con il collo in catene in maniera da dover stare fermi 514.b. e guardare solamente davanti a seÂ, incapaci di volgere intorno la testa a causa di catene e che, dietro di loro e piuÁ lontano arda una luce di fuoco. Infine, immagina che fra il fuoco e i prigionieri ci sia, in alto, una strada lungo la quale sia costruito un muricciolo, come quella cortina che i giocatori pongono tra se e gli spettatori, sopra la quale fanno vedere i loro spettacoli di burattini''. ``Vedo'', disse. 514.c. ``Immagina, allora lungo questo muricciolo degli uomini portanti attrezzi di ogni genere, che sporgono al di sopra del muro, e statue 515.a. e altre figure di viventi fabbricate in legno e in pietra e in tutti i modi; e inoltre, come eÁ naturale, che alcuni dei portatori parlino e che altri stiano in silenzio''. ``Tratti di cosa ben strana ± disse ± e di ben strani prigionieri''. Sono simili a noi ± ribattei ±. Infatti, credi innanzi tutto che vedano di se e degli altri qualcos'altro, oltre alle ombre proiettate dal fuoco sulla parte della caverna che sta di fronte a loro?''. ``E come potrebbero ± rispose ±, se sono costretti a tenere la testa immobile 515.b. per tutta la vita?''. E degli oggetti portati non vedranno pure la loro ombra?''. ``E come no?''. ``Se, dunque, fossero in grado di discorrere fra di loro, non credi che riterrebbero come realtaÁ appunto quelle che vedono?''. ``Necessariamente''. 515.c. ``E se il carcere avesse anche un'eco proveniente dalla parete di fronte, ogni volta che uno dei passanti proferisse parola, credi che essi riterrebbero che cioÁ che proferisce parola sia altro se non l'ombra che passa?''. ``Per Zeus! ± esclamoÁ ±. No di certo''. ``In ogni caso ± continuai ±, riterrebbero che il vero non possa essere altro se non le ombre di quelle cose artificiali''. ``Per forza'', ammise lui. 633 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO ``Considera ora ± seguitai ± quale potrebbe essere la loro liberazione dalle catene e la loro guarigione dall'insensatezza e se non accadrebbero loro le seguenti cose. Poniamo che uno fosse sciolto e subito costretto ad alzarsi, a girare il collo, a camminare e a levare lo sguardo in su verso la luce e, facendo tutto questo, provasse dolore, e per il bagliore fosse incapace di riconoscere quelle cose delle quali prima 515.d. vedeva le ombre; ebbene, che cosa credi che risponderebbe, se uno gli dicesse che mentre prima vedeva solo vane ombre, ora, invece, essendo piuÁ vicino alla realtaÁ e rivolto a cose che hanno piuÁ essere, vede piuÁ rettamente, e, mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse a rispondere facendogli la domanda `che cos'eÁ?'? Non credi che egli si troverebbe in dubbio e che riterrebbe le cose che prima vedeva piuÁ vere di quelle che gli mostrano ora?''. ``Molto'', rispose. 515.e. ``E se uno poi lo sforzasse a guardare la luce medesima, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso quelle cose che puoÁ guardare, e non riterrebbe queste veramente piuÁ chiare di quelle mostrategli?''. ``EÁ cosõÁ'', disse. Ed io di rimando: ``E se di laÁ uno lo traesse a forza per la salita aspra ed erta, e non lo lasciasse prima di averlo portato alla luce del sole, forse non soffrirebbe e 516.a. non proverebbe una forte irritazione per essere trascinato e, dopo che sia giunto alla luce con gli occhi pieni di bagliore, non sarebbe piuÁ capace di vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere?''. ``Certo ± disse ±, almeno non subito''. ``Dovrebbe, invece, io credo, farvi abitudine, per riuscire a vedere le cose che sono al di sopra. E dapprima, potraÁ vedere piuÁ facilmente le ombre e, dopo queste, le immagini degli uomini e delle altre cose riflesse nelle acque e, da ultimo, le cose stesse. Dopo di cioÁ potraÁ vedere piuÁ facilmente quelle realtaÁ che sono nel cielo e il cielo stesso di notte, guardando la 516.b. luce degli astri e della luna, invece che di giorno il sole e la luce del sole''. ``Come no?''. ``Per ultimo, credo, potrebbe vedere il sole e non le sue immagini nelle acque o in un luogo esterno ad esso, ma esso stesso di per se nella sede che gli eÁ propria, e considerarlo cosõÁ come esso eÁ''. ``Necessariamente'', ammise. ``E, dopo questo, potrebbe trarre su di esso le conclusioni, ossia che eÁ proprio lui che produce le stagioni e gli anni e che governa tutte le cose 516.c. che sono nella regione visibile e che, in certo modo, eÁ causa anche di tutte quelle realtaÁ che lui e i suoi compagni prima vedevano''. ``EÁ evidente ± disse ±, che, dopo le precedenti, giungerebbe proprio a queste conclusioni''. ``E allora quando si ricordasse della dimora di un tempo, della sapienza che qui credeva di avere e dei suoi compagni di prigionia, non crederesti che sarebbe felice del cambiamento, e che proverebbe compassione per quelli?''. ``Certamente''. ``E se fra quelli c'erano onori ed encomi, e premi per chi mostrava la vista piuÁ acuta nell'osservare le cose che passavano, e ricordava maggiormente quali di esse fossero solite passare per prime o per ultime 516.d. o insieme e quindi dimostrasse grandissima abilitaÁ nell'indovinare che cosa stesse per arrivare, credi che costui potrebbe provare ancora desiderio di cioÁ o che invidierebbe coloro che sono onorati o che hanno potere presso quelli? Non pensi invece che accadrebbe quanto dice Omero, e che di molto preferirebbe vivere sopra la terra a servizio 634 Platone di un altro uomo senza ricchezze1 e patire qualsiasi cosa, anziche ritornare ad avere quelle opinioni e vivere in quel modo?'' EÁ cosõÁ ± disse ±. Io credo che egli soffrirebbe qualsiasi cosa piuttosto che vivere in quel modo''. (Trad. R. Radice) Repubblica 1. sopra la terra ... senza ricchezze: Odissea, XII, 489. testi GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. L'immagine della caverna eÁ un'allegoria. Analizzane i singoli elementi sulla base di questo schema: IMMAGINE SIGNIFICATO caverna condizione di chi conosce attraverso i sensi... prigionieri .................................................................................... muro .................................................................................... ombre .................................................................................... salita .................................................................................... sole .................................................................................... Elabora quindi uno scritto di 10 righe per spiegare il significato complessivo dell'allegoria. STILE E RETORICA 2. Lo stile di Platone mira alla ``visualizzazione'' del reale. Passando dal codice della lingua scritta a quello grafico e basandoti esclusivamente sui dati forniti dal testo, realizza un disegno che visualizzi l'ambiente della caverna cosõÁ come eÁ presentato in 514a-516c. Per approfondire La forza del mito in Platone Platone eÁ stato grande creatore di miti: noti a tutti sono i miti della biga alata (Fedro 246a-d), quello del soldato Er (a rappresentare, come in una visione, il destino dell'anima dopo la morte, Repubblica 614a-621d) o, ancora, quello della Caverna (che raffigura la condizione degli uomini e dice della loro conoscenza limitata e parziale, Repubblica 514a-517a). Il mito platonico si caratterizza per il fatto di esprimere in immagini le profonditaÁ della riflessione della ragione umana e di rivolgersi alla componente irrazionale dell'animo del destinatario. Il mito cosõÁ inteso eÁ radicalmente diverso dal mito tradizionale, peraltro ritenuto profondamente diseducativo: Platone, infatti, non si rifaÁ a storie note, collettivamente condivise, ma diventa egli stesso creatore di ``storie'' originali. GiaÁ gli antichi si chiedevano quali fossero le ragioni di questa sua particolare creazione: l'epicureo Colote, per esempio, rimproverava al filosofo ateniese il fatto di impiegare il mito perche in contraddizione con se stesso, ricorreva a storie menzognere e non si preoccupava di dimostrare per via razionale una veritaÁ scientifica. Lo studioso italiano Cerri, ribadisce che la questione del mito in Platone eÁ particolarmente complessa e si sofferma, nello specifico, sugli effetti del mito sul destinatario. La persuasione operata dal mito eÁ, infatti, di tipo particolare ``una persuasione che si opera tra le nebbie dell'inconscio, piuÁ che alla luce della coscienza, perche l'ascoltatore, in questo caso, non si rende conto di essere destinatario di un discorso persuasivo, ma crede di ascoltare per diletto un racconto verace sul passato. E, a differenza del discorso di un oratore, il mito non produce nel pubblico un cambiamento repentino di opinione, un'adesione immediata, e magari effimera, bensõÁ un'assuefazione progressiva, inavvertita e duratura ai messaggi depositati'' (G. Cerri, Platone sociologo della comunicazione, Argo, Lecce 1996, p. 84). Indipendentemente dagli effetti che il mito sortisce, resta comunque da ribadire che mito e filosofia, di fatto, rispondono entrambi ad un medesimo bisogno: l'esigenza di suscitare meraviglia. Lo stesso Aristotele, che ha visto nella meraviglia l'origine della filosofia (dia+ ga+r to+ uayma*zein oi< a>nurvpoi kai+ ny&n kai+ to+ prv&ton h>rjanto filosofei& n, Metafisica 982b) osserva che ``anche colui che ama il mito eÁ, in certo qual modo, un filosofo'' (ibidem). 635 16 L'idea del Bene (517c-521b) Proseguendo nella sua indagine, Socrate illustra l'educazione piuÁ adatta per la natura eletta del filosofo. Questa dottrina suprema, me* giston ma*uhma, costituisce la relazione delle singole virtuÁ con il principio che le raccoglie e le origina: questo principio eÁ il Bene, che viene presentato con l'immagine della Luce; una luce, anzitutto intellettuale e quindi fisica, che eÁ immagine della prima. Il processo che consente questa ascesa verso l'idea del Bene eÁ rappresentato, come abbiamo visto a p. 633, dal mito della caverna. 517.c. Ad ogni buon conto, questa eÁ la mia opinione: nel mondo delle realtaÁ 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO conoscibili l'Idea del Bene viene contemplata per ultima e con grande difficoltaÁ. Tuttavia, una volta che sia stata conosciuta non si puoÁ fare a meno di dedurre, in primo luogo, che eÁ la causa universale di tutto cioÁ che eÁ buono e bello -- e precisamente, nel mondo sensibile, essa genera la luce e il signore della luce, e in quello intelligibile procura, in virtuÁ della sua posizione dominante, veritaÁ e intelligenza -- e, in secondo luogo, che ad essa deve guardare chi voglia avere una condotta ragionevole nella sfera pubblica e privata». «Sono d'accordo con te: -- ammise --, almeno nella misura in cui mi riesce di seguirti». «Allora -- aggiunsi io --, concordi con me che non vi sia nulla di strano che persone che si sono elevate fino a tali vertici non vogliano piuÁ impegnarsi in imprese umane, ma che nel loro animo sempre siano attratti e sollecitati a tornare lassuÁ. 517.d. E cioÁ eÁ perfettamente logico, se ci si deve attenere alla metafora sopra illustrata». «Certo, eÁ logico», convenne. «E poi -- dissi -- ti sembrerebbe strano se qualcuno che discende dalla contemplazione delle realtaÁ divine ai fatti umani rischia di far una brutta figura, di apparire del tutto ridicolo, quando, muovendosi a tentoni, prima ancora di esser riuscito ad abituarsi alla presente oscuritaÁ eÁ costretto nei tribunali o in altro luogo a scendere in lizza solo per un'ombra di giustizia o per quel simulacro che proietta quell'ombra 517.e. e a stare a discutere sul modo in cui queste apparenze debbano essere interpretate da chi non ha mai visto la Giustizia in seÂ?». «Non ci sarebbe proprio nulla da meravigliarsi», disse. 518.a. «Ma -- ripresi -- se uno ha un po' di senno dovrebbe ricordare che ci sono due tipi di disturbi agli occhi con due cause diverse: quel disturbo che affligge la vista quando si passa dalla luce al buio e quello che l'affligge quando si passa dal buio alla luce. «Ora, si deve immaginare che qualcosa di analogo succeda anche per l'anima, sicche quando se ne incontri una in difficoltaÁ perche eÁ incapace di vedere, non se ne dovrebbe ridere stoltamente, ma prima bisognerebbe verificare se essa per caso non sia di ritorno da un mondo piuÁ luminoso e si trovi con la vista annebbiata perche non ancora avvezza all'oscuritaÁ, oppure se non stia passando da una condizione di maggiore ignoranza ad una di piuÁ viva conoscenza cosõÁ da essere completamente trafitta da luce abbagliante. 518.b. In tal senso egli dovrebbe, nel caso di quest'anima, congratularsi con essa per quanto le sta accadendo e per la vita hche la attendei, nel caso dell'altra dovrebbe aver compassione. E se proprio non potesse trattenersi dal ridere, sappia che, diretto a quest'ultima anima, il suo riso sarebbe comunque meno ridicolo che non se fosse indirizzato all'altra anima, quella discesa dall'alto e dalla luce. «Conviene ritenere -- dissi io -- che, se quanto si eÁ detto eÁ vero, l'educazione non sia quale la dipingono alcuni, che ne fanno professione. Dicono, infatti, che pur 636 Platone Repubblica testi non essendoci nell'anima la conoscenza, 518.c. essi ve la immettono, come se immettessero la vista in occhi ciechi». «Effettivamente lo sostengono», ammise. «Invece -- continuai --, il mio ragionamento mostra che questa facoltaÁ presente nell'anima di ognuno e l'organo con cui ognuno apprende, proprio come l'occhio, non sarebbe possibile rivolgerlo dalla tenebra alla luce se non insieme con tutto il corpo, cosõÁ bisogna girarlo via dal divenire con tutta intera l'anima, fino a che non risulti capace di pervenire alla contemplazione dell'essere e al fulgore supremo dell'essere; ossia questo che diciamo essere Bene. 518.d. O no?». «SõÁ». «Di cioÁ, ossia di questa conversione -- dissi io --, ci puoÁ essere un'arte, che insegni in che modo l'anima possa essere piuÁ facilmente e piuÁ efficacemente girata. E, quindi, non si tratta dell'arte di immettervi la vista, ma di metterci mano, tenuto conto che essa giaÁ la possiede, ma non riesce a volgerla nella giusta direzione, ne a vedere quel che dovrebbe». «CosõÁ sembra», disse. «Dunque, le altre virtuÁ che sono dette dell'anima puoÁ darsi che si avvicinino a quelle del corpo -- esse, infatti, 518.e. non preesistono al corpo, ma vi vengono in seguito infuse attraverso l'abitudine e l'esercizio --, invece, la virtuÁ dell'intelligenza piuÁ di ogni altra, a quanto pare, eÁ connessa a qualcosa di piuÁ divino, che non perde mai la propria potenza, 519.a. ma diventa utile o giovevole o, al contrario, inutile e dannosa, a seconda della piega che le si daÁ. O non hai notato che l'animuccia di coloro che sono detti malvagi, ma che sono intelligenti, vede in modo penetrante e distingue acutamente le cose alle quali si rivolge, in quanto ha la vista non cattiva, bensõÁ asservita alla malvagitaÁ, di guisa che quanto piuÁ acutamente vede, tanto maggiori mali produce?». «Certamente», disse. «Pertanto -- ripresi --, se ad una siffatta natura a partire dall'infanzia venissero tagliati tutt'intorno questa specie di 519.b. pesi di piombo collegati con il divenire -- e del resto sono essi che, attaccandosi a tale natura mediante i cibi, i piaceri e le mollezze di tal genere, trascinano in basso il suo sguardo --, e se, liberandosi da essi, si convertisse alla veritaÁ, ebbene questa medesima natura di tali uomini vedrebbe nella maniera piuÁ acuta anche queste cose, esattamente come ora vede quelle alle quali eÁ volta». «EÁ naturale», ammise lui. «E che? -- dissi --. Non ti sembra che sia naturale e che sia strettamente connesso con quello che si eÁ detto che gente ignorante e senza alcuna esperienza della veritaÁ non potrebbe mai amministrare in un modo decente uno Stato; 519.c. e che neppure lo potrebbero coloro che sono stati lasciati fino alla fine a studiare? I primi, in effetti non hanno nella vita neppure un ideale, ispirandosi al quale poter conformare tutto il proprio comportamento sia in pubblico che in privato; gli altri, invece, fosse per loro, non prenderebbero alcuna iniziativa, ritenendo di essere migrati, ancora in vita, nelle isole dei beati». «EÁ vero», ammise. «Pertanto -- continuai --, saraÁ nostro preciso dovere di fondatori dello Stato costringere le nature piuÁ dotate a indirizzarsi verso quella che prima avevamo definito conoscenza massima -- ossia la visione del Bene -- e a incamminarsi per quella erta salita. 519.d. PeroÁ, saraÁ anche nostro dovere, una volta che siano arrivati in cima ed abbiano contemplato quanto basta, non permettere loro cioÁ che oggi eÁ concesso». 637 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO «E che cosa eÁ concesso?». «Di starsene lassuÁ -- risposi -- e di non voler piuÁ saperne di tornare dai compagni in catene, e di condividere i loro onori e le loro fatiche, grandi o piccole che siano. «Ma, in tal modo -- osservoÁ -- non rischiamo forse di trattarli ingiustamente, costringendoli ad una vita peggiore, quando avrebbero la possibilitaÁ di una migliore?». 519.e. «Ed ecco, caro amico, che ancora una volta ti dimentichi che la legge non ha come obiettivo di privilegiare nella CittaÁ una sola classe, ma di fare in modo che cioÁ si verifichi in tutto lo Stato, creando consenso fra i cittadini con le buone o con le cattive, 520.a. e facendo in modo che si scambino reciprocamente quei servizi che ognuno individualmente ha la possibilitaÁ di rendere alla collettivitaÁ. Del resto il compito specifico della legge eÁ quello di formare nella societaÁ non uomini che prendono ognuno la strada che vuole, ma cittadini che essa stessa puoÁ impiegare in funzione del consolidamento dello Stato». «Hai ragione -- riconobbe lui --, me ne ero proprio dimenticato». Io, allora, continuai in questo modo: «Considera, Glaucone, che noi non tratteremo affatto ingiustamente coloro che sono divenuti filosofi che nasceranno nel nostro Stato, ma avremo buone motivazioni da addurre, quando li forzeremo a prendersi cura e a difendere il loro prossimo. 520.b. «Diremo che quelli che sono come loro negli altri Stati non partecipano alla vita della CittaÁ, e con tutte le ragioni, perche essi si sono fatti da seÂ, senza l'intervento del loro Stato; e chi si eÁ fatto da se e non deve nulla a nessuno per la sua formazione ha ogni diritto di non sentirsi vincolato a risarcire alcuno delle spese di mantenimento. Voi invece siete stati formati da noi, perche foste, come avviene negli alveari, per voi stessi e per l'intera comunitaÁ guide e sovrani: per questo avete avuto una formazione piuÁ elevata e piuÁ completa degli altri, per essere in grado di partecipare dell'una o dell'altra scienza. 520.c. «Dunque, per ciascuno di voi, a turno, saraÁ un dovere scendere nelle case degli altri ed abituarsi a scorgere gli oggetti avvolti dalle tenebre, in quanto, non appena vi sarete abituati a questa condizione vedrete assai meglio di quelli di laggiuÁ e riconoscerete ciascuna immagine per quel che eÁ e per quello che rappresenta proprio in quanto avete contemplato la vera essenza del Bello, del Giusto e del Bene. «E cosõÁ lo Stato potraÁ dirsi amministrato da gente desta e non trasognata, sia a nostro che a vostro vantaggio, mentre oggi la maggior parte delle CittaÁ eÁ retta da uomini che si azzuffano per delle ombre e sono in perpetua rivolta per il potere, come se fosse un gran bene. 520.d. «Ma in veritaÁ le cose stanno in tal modo: lo Stato che eÁ amministrato meglio di ogni altro e piuÁ pacificamente di ogni altro, eÁ senz'altro quello in cui detiene il potere chi meno lo desidera; viceversa, lo Stato che eÁ retto peggio sarebbe quello che ha uomini di governo di natura opposta a questa». «Esattamente», disse lui. «E dunque, udite tali ragioni, pensi che i nostri pupilli oseranno disubbidirci e non vorranno fare la loro parte nella vita dello Stato, ciascuno per quanto gli compete, per poter convivere tutti insieme per lungo tempo in un mondo non indegno?». Á impossibile -- rispose --, percheÂ, dopotutto, noi proponiamo cose 520.e. «E giuste a uomini giusti. Piuttosto, ciascuno di loro si avvicineraÁ al comando per senso del dovere, con un sentimento opposto a quello che oggi hanno gli uomini di potere in ogni altro Stato». 638 Platone Repubblica Ed io continuai dicendo: «Questa eÁ la veritaÁ, caro amico: potrai avere uno Stato ben governato solo se riuscirai a trovare, 521.a. per chi vorraÁ governarlo, un modo di vivere migliore del potere stesso. Effettivamente, eÁ solo in una societaÁ siffatta che i ricchi avranno accesso al comando; ma non saranno i ricchi di oro, bensõÁ di cioÁ di cui deve abbondare l'uomo felice: intendo dire una condotta di vita onesta e saggia. Ma se dei pezzenti avidi di trarre profitto personale si avventano sul bene pubblico, con tutte le intenzioni di doverne strappare il proprio tornaconto, non ti saraÁ possibile avere una CittaÁ ben governata, in quanto, essendo il potere oggetto di discordia, una guerra fratricida e intestina prima o poi manderaÁ in rovina i contendenti e con loro tutto il resto dello Stato». «EÁ la pura veritaÁ», riconobbe. 521.b. «E sapresti tu trovare un'altra vita che ha in spregio il potere politico, che non sia quella dedicata all'autentica filosofia?». «No, per Zeus!», esclamoÁ. «Ad ogni modo, bisogna rivolgersi al potere senza esservi spinti dal desiderio, altrimenti si andraÁ allo scontro con gli altri pretendenti». «Come no!». «E, d'altra parte, quali persone potrai spingere ad assumersi la responsabilitaÁ della difesa dello Stato, se non quelle che sono piuÁ ferrate sulle regole del buon governo, e si riservano ben altri onori e una vita migliore di quella del politico?». «Nessun'altra persona», ne convenne. testi (Trad. G. Reale) GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Rispondi alle seguenti domande: " di che cosa eÁ causa l'idea di Bene? " chi deve guardare ad essa? ............................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................................ 2. A quale personaggio storico si faraÁ riferimento con l'accenno ai tribunali (dikasth*ria) in 517d? ................................................................................................................................................................................ 3. Contrariamente ai Sofisti che ritenevano che l'educazione venisse da qualcosa di esterno all'anima secondo un procedimento paragonabile a quello dell'immettere la vista in occhi ciechi (518c), Platone afferma che la scienza eÁ potenzialmente in ogni anima e che l'insegnamento e l'istruzione non fanno che destarla. In che cosa consiste, quindi, la vera educazione? Motiva la tua risposta con un elaborato di 10 righe. 4. Rispondi alle seguenti domande: " qual eÁ il dovere del filosofo? ............................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................................ " chi eÁ il vero politico? ............................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................................ " in che senso paidei* a e politei* a sono connesse? ............................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................................ " chi sono i referenti polemici di Platone? ............................................................................................................................................................................ ............................................................................................................................................................................ 639 La voce della critica 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO 640 Le maschere del Simposio G. Reale Platone. Simposio, F riedrich Nietzsche ha scritto: «Tutto cioÁ che eÁ profondo ama Rusconi, la maschera», e ha precisato: «Ogni Milano 1993, spirito profondo ha bisogno di una pp. 5-31. maschera: e piuÁ ancora, intorno a ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioeÁ superficiale interpretazione di ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita che egli daÁ» (Al di laÁ del bene e del male, I 40). Forse il Simposio rappresenta l'esempio piuÁ tipico e piuÁ perfetto del modo in cui un genio quale Platone ha sentito questo profondo bisogno e lo ha espresso in forma artistica. In questo suo scritto, egli non solo si nasconde dietro una maschera, ma mette in gioco tutta una serie di maschere, e per nascondersi, e insieme rivelarsi, sceglie due di queste, e mette in atto un gioco complessissimo e insieme bellissimo con una abilitaÁ veramente straordinaria. Il luogo in cui si tiene il simposio eÁ la casa del poeta tragico Agatone, che festeggia la vittoria da lui ottenuta (416 a.C.) con la rappresentazione di una sua tragedia. [...] Il Simposio non viene presentato «in diretta», ma come una narrazione fatta alcuni anni dopo l'evento, e addirittura alla seconda potenza. Un discepolo di Socrate, Apollodoro, eÁ il narratore; ma non ha partecipato di persona al simposio, bensõÁ ne ha ascoltato, a sua volta, la narrazione da un altro discepolo di Socrate, Aristodemo, che invece aveva partecipato personalmente all'evento. Dunque, si ha a che fare con la narrazione di una narrazione. Ma c'eÁ ancora di piuÁ. Platone stesso avverte il lettore che, in questo scritto, eÁ ben lungi dal fare una narrazione storica. Precisa, infatti, che Aristodemo (la fonte originaria della narrazione) non si ricordava di tutto quello che i presenti al simposio avevano detto e, per giunta, non si ricordava neppure tutti i discorsi che erano stati pronunciati; a sua volta, poi, Apollodoro, narratore della narrazione di Aristodemo, non ricordava tutto quello che gli era stato narrato da Aristodemo medesimo (cfr. 178a, 180c). In conclusione: Platone fa una precisa scelta dei personaggi e di cioÁ che viene messo loro in bocca, con una straordinaria inventiva drammaturgica e poetica, secondo un progetto molto preciso che mira alla comunicazione di messaggi assai ricchi e per molti aspetti rivoluzionari. I personaggi chiamati in causa sono tutti maschere che esprimono non solo personaggi singoli, ma correnti di pensiero dell'epoca di Socrate e di Platone. Fedro, il primo che parla, eÁ simbolo di quel tipo di uomini che sanno piuÁ provocare discorsi che non farli loro medesimi (i convitati, nel fare l'elogio di Eros, prendono proprio spunto da un suo rilievo, che da tempo stava facendo, secondo cui i poeti hanno cantato molti deÁi, ma non Eros, che pur meriterebbe grandi elogi). Pausania eÁ la maschera del retore-politico, che parla con grandi abilitaÁ doxastiche e psicagogiche. Erissimaco esprime il personaggio del medico greco, assai colto e ispirantesi ai filosofi naturalistici. Aristofane eÁ la maschera della musa della commedia. Agatone eÁ la maschera della musa della tragedia. Socrate eÁ l'incarnazione del filosofo, che, peroÁ, qui non parleraÁ in prima persona per esprimere le veritaÁ ultimative su Eros, ma prenderaÁ la maschera di Diotima sacerdotessa indovina di Mantinea. Infine, Alcibiade incarna il personaggio del giovane che ha grandi doti, ma che eÁ incapace di ascoltare Socrate fino in fondo. [...] Molti studiosi hanno spesso ripetuto che il Simposio si presenta come uno scritto che sale a gradi alla veritaÁ, quasi che i personaggi, nell'ordine in cui vengono presentati, portino sempre piuÁ vicino al pensiero di Platone. Ma, se questo per un verso eÁ vero, per un altro verso trae in inganno. Infatti, alcuni di questi personaggi esprimono non solo e non tanto cioÁ che avvicina al pensiero di Platone, ma cioÁ da cui ci si deve allontanare, se si vuol guadagnare il pensiero di Platone. Come vedremo, Pausania esprime proprio quel pensiero che Platone intende rovesciare, Erissimaco quel pensiero che va trasceso con 641 La voce della critica impostino in modo adeguato e lo risolvano, e come solo il filosofo sappia fare questo in modo veramente esauriente. L'idea corrente del momento viene ben evidenziata soprattutto nel discorso messo in bocca a Pausania, piuttosto ampio. Nell'Atene di quei tempi si riteneva che fosse una cosa brutta e vergognosa che un giovane concedesse i propri favori all'innamorato che insisteva nella sua richiesta, solo nel caso che costui fosse una persona indegna; e che, pertanto, fosse lecito, se il richiedente fosse invece una persona proba, capace di aiutare il giovane a formarsi e a crescere, se il giovane stesso mirasse a questo, e se il rapporto venisse allacciato nel debito modo. Si legga in particolare il passo 184d [...]. EÁ proprio avvalendosi di questa concezione diffusa nell'alta societaÁ ateniese che Alcibiade cerca di offrirsi a Socrate, per avere in cambio la sua sapienza. Alcibiade dice infatti espressamente a Socrate: «Ho pensato che tu sia l'unico degno di diventare il mio amante e mi pare che tu esiti a farmene parola. Ma il mio sentimento, eÁ questo: mi pare che sia del tutto privo di senno non concederti i miei favori anche in questo, cosõÁ come in altro... Per me, infatti, nulla eÁ piuÁ importante di diventare quanto piuÁ eÁ possibile migliore, e per questo penso che non potrei trovare nessuno che mi possa dare un aiuto che sia piuÁ valido di te» (218c-d). La risposta che Platone fa dare a Socrate costituisce il rovesciamento piuÁ radicale di tale concezione: «Caro Alcibiade, si daÁ il caso che tu sia veramente un uomo non da poco, se cioÁ che dici di me eÁ proprio vero, e se in me c'eÁ una forza per la quale potresti diventare migliore. Tu vedresti in me una bellezza straordinaria, molto diversa dalla tua avvenenza fisica. E se, contemplandola, cerchi di averne parte con me, e di scambiare bellezza con bellezza, pensi, di trarre non poco vantaggio ai miei danni: in cambio dell'apparenza del bello, tu cerchi di guadagnarti la veritaÁ del bello, e veramente pensi di scambiare armi di bronzo con armi d'oro» (218e - 219a). Bellezza e amore del corpo non si scambiano con la virtuÁ dell'anima e con il sapere. Appunto questo eÁ il grande messaggio che Platone vuole comunicare all'uomo dei suoi tempi, e di tutti i tempi. In effetti, si tratta di cose che non sono scambiabili perche hanno valori differenti e fra loro non commensurabili. Platone quella che nel Fedone chiama la sua «seconda navigazione» (99c-d). La maschera di Aristofane, poi, come vedremo, eÁ utilizzata da Platone addirittura per esprimerere alcune delle idee-chiave delle sue dottrine: Platone gli fa presentare in forma di immagini, che solo sulla bocca di un commediografo potevano essere significative e apprezzabili, la sua dottrina dell'Uno e della Diade, che tanti dissensi e tante critiche avevano suscitato; e proprio con l'arte del ridere Platone si beffava di coloro che non lo capivano. La maschera del poeta tragico Agatone eÁ presentata come espressione tipica del poeta che sa parlare molto bene, ma con le sue pur belle immagini e parole non sa arrivare al dunque, ossia all'essenza delle cose. Infine, la maschera di Diotima, che non pare sia esistita, e che, comunque, non eÁ un personaggio noto e quindi, nella statura in cui eÁ presentata, eÁ una creazione di Platone, come rivelazione delle veritaÁ ultimative, serve a Platone per dare quel carattere ieratico al suo discorso sull'amore, e il carattere quasi sacrale dell'iniziazione. Si noti, infine, che Platone ha dato alla maschera di Aristofane un ruolo tanto importante che ha sentito il bisogno di farlo ben capire al «suo» lettore. Infatti, in questo gioco delle maschere che passano e che corrono, non lo fa parlare al momento che gli toccherebbe, facendogli venire un potente singhiozzo (185c-e); ne fa richiamare il discorso da Diotima medesima (205d-e); e infine, quando chiede la parola, non lo lascia parlare, facendo irrompere in sala il gruppo di festaioli, con alla testa Alcibiade. [...] Il messaggio di fondo su un tema che, allora, doveva essere molto dibattuto, ossia sull'amore omosessuale, e in particolare sulla questione se i ragazzi amati potevano o no concedere i loro favori agli innamorati, Platone lo offre in questo suo scritto in maniera splendida. Con il gioco bellissimo delle maschere, come abbiamo giaÁ sopra accennato, fa parlare gli esponenti di tutte le componenti culturali del momento, e fa esporre i loro messaggi in modo superbo. Dapprima mette molto bene in evidenza il problema di fondo, nonche le spiegazioni e soluzioni date dalle differenti componenti culturali nei vari discorsi, mostrando come ne i retori, ne gli scienziati, ne i poeti lo Nel discorso messo in bocca a Diotima, Platone spiega che il bello implica cinque livelli gerarchici: 1) il bello fisico, 2) quello delle anime, 3) quello delle attivitaÁ umane e delle leggi, 4) la bellezza della scienza, 5) il Bello assoluto che eÁ al di sopra di tutto, e da cui deriva ogni altra forma di bellezza. Il vero Eros eÁ quello che porta oltre la dimensione del fisico e che aiuta a salire sempre piuÁ in alto in quella scala d'amore che, al suo vertice, raggiunge l'assoluto. Si tenga inoltre presente quanto segue. Alcibiade eÁ entrato dopo che Socrate aveva parlato. Non ha quindi sentito, e dunque ignora la veritaÁ sull'amore. Proprio per questo, egli si ferma all'amore nella dimensione del fisico, e crede che con questo amore si possa acquistare tutto, anche cioÁ che lo trascende. Il non accettare le sue offerte da parte di Socrate significa, precisamente, andare al di laÁ del fisico verso l'ulteriore meta-fisico. Ma si noti come Platone, ben cosciente della rivoluzione che metteva in atto, avverte il lettore. Proprio prima della grande pagina sulla scala d'amore (una delle pagine piuÁ belle di tutti i tempi, e giustamente famosissima), vien fatto dire dalla sacerdotessa di Mantinea a Socrate: «Fino a queste cose d'amore forse, o Socrate, anche tu potrai essere iniziato, ma a quelle perfette e alla piuÁ alta iniziazione cui tendono anche queste, se si procede, in modo giusto, non so se tu saresti capace di essere iniziato» (209e - 210a). EÁ evidente che, essendo la sacerdotessa di Mantinea la maschera di Socrate-Platone, il dubbio sulla capacitaÁ di essere iniziato non eÁ certo rivolto a Socrate stesso (ossia da SocratePlatone a se medesimo); e meno che mai, come qualche studioso ha erroneamente creduto, si tratta di un messaggio di Platone che avverte di andare oltre Socrate (appunto entrando nel mondo dell'intelligibile, che eÁ sua scoperta), perche egli si cala in toto nella figura di Socrate (come in tutti gli altri suoi scritti, eccezion fatta solo di quelli dialettici). Si tratta, in realtaÁ, di un messaggio che Platone manda a tutti quelli che avrebbero letto questo suo scritto: voi sarete capaci di essere iniziati all'ascesa della scala d'Amore e giungere al vertice, se saprete comprendere che non esiste solamente il sensibile e tutto cioÁ che i sensi colgono, ma che esiste un'altra forma d'essere al di laÁ del sensibile: la dimensione del meta-fisico. Chi non sapraÁ comprendere e guadagnare questo punto essenziale, rimarraÁ piuÁ o meno al livello in cui si colloca Alcibiade che non ha sentito, o come chi, pur avendo sentito, non vuol capire e recepire il messaggio innovativo: il vero Eros, da qualsiasi parte si prendano le mosse, eÁ sempre e solo quella forza dinamica di ascesa che, al vertice supremo, perviene a contemplare il vertice assoluto, ossia il Bello assoluto (che eÁ la piuÁ alta manifestazione del Bene). EÁ proprio questo, e solo questo, a giudizio di Platone, quel momento della vita «che piuÁ di ogni altro eÁ degno di essere vissuto» (211d). Poche volte si eÁ tenuto ben presente questo, per capire le conclusioni che Platone trae nel suo discorso sul problema dell'amore dei ragazzi, che egli sentiva e comprendeva a fondo, ma che risolveva in modo opposto ai contemporanei, appunto come fece Socrate con Alcibiade. Se si rimane nella dimensione del fisico, in se e per se l'amore per i ragazzi non eÁ un positivo. Nel Fedro Platone lo qualifica addirittura espressamente come «un piacere contro natura» (251a), e ribadisce a tutto tondo questo concetto anche nelle Leggi (I 636c; VIII 835d ss.). L'amore maschile eÁ un positivo, se eÁ sfruttato non come impulso da soddisfare rimanendo nella dimensione del fisico, ma come forza che aiuta a trascendere il fisico e salire sempre piuÁ in alto nella dimensione dell'essere intelligibile e meta-sensibile. La scoperta del mondo metafisico delle Idee eÁ la base su cui Platone costruisce la sua dottrina dell'amore. RIFLESSIONI E CONFRONTI " Spiega la complessa struttura narrativa del dialogo e la finalita Á per cui, secondo Reale, Platone l'ha cosõÁ concepita. le funzioni che, secondo Reale, svolgono i vari discorsi del dialogo, cioeÁ le varie maschere che Platone attribuisce ai personaggi. " Spiega 642 quali ogni tesi di ordine morale veniva messa in discussione da una tesi contraria ed equipotente (cfr. Diels-Kranz, 90). Al suo limite estremo, la forma di argomentazione antilogica aveva dato luogo all'eristica, una tecnica della controversia capace di confutare qualsiasi asserzione a qualsiasi costo: Platone ne offriva un esempio vivace nell'atteggiamento dei sofisti Eutidemo e Dionisodoro in un dialogo intitolato appunto Eutidemo. Ma, nella societaÁ ateniese del V e del IV secolo, la discussione antilogica si era estesa, anche grazie alla sua tecnicizzazione sofistica, dalla pratica politica e giudiziaria a tutte le forme del confronto culturale: gli stessi medici, ad esempio, si confrontavano fra loro e con i detrattori del loro sapere in pubbliche discussioni di questo tipo, come attestano molti scritti del Corpus hippocraticum (quali la Natura dell'uomo, l'Arte o i Venti). E a regolamentare razionalmente la discussione antilogica Aristotele avrebbe dedicato uno dei suoi trattati piuÁ ampi, i Topici. Era del resto esattamente questo il terreno sul quale si era mosso Socrate, di fronte al pubblico cittadino, ai suoi rivali e naturalmente ai suoi allievi. Certo, la confutazione socratica (elenchos) poteva venire distinta dall'antilogica e dall'eristica dei sofisti per la sua intenzione morale e il suo desiderio filosofico di veritaÁ; ma i procedimenti argomentativi di Socrate non sembravano davvero intellettualmente diversi da quelli dei suoi rivali, e questi potevano a loro volta rivolgergli l'accusa di voler prevalere a tutti i costi nella discussione, la philonikia (cfr. ad esempio Protagora, 360e), o addirittura di comportarvisi come un ``sicofante'' e un ``malfattore'' (cosõÁ Trasimaco in Repubblica, I, 340d, 341 b). Del resto, lo stesso Platone [...] avrebbe segnalato nel libro VII della Repubblica i rischi di un insegnamento troppo precoce della dialettica confutatoria a giovani moralmente irresponsabili. Li ribadiva un passo pieno di humour del Filebo: ``quando un giovane la gusta per la prima volta, pensando di aver trovato un tesoro di sapienza, va in estasi dal piacere e con gioia scuote e agita ogni argo- 643 La voce della critica U na secolare tradizione, culminata nella filosofia hegeliana, ci ha resa familiare la parola ``dialetEinaudi, Torino 2003, tica'', tanto che non ci sorprende la pp. 175-179. decisione di Platone di chiamare con questo nome il principale strumento metodico del suo pensiero. Eppure, si trattava di una scelta linguistica e concettuale tutt' altro che ovvia, perche estranea al tradizionale lessico della ``sapienza'' (sophia). Dialektike eÁ un aggettivo riferito al sostantivo techne, ``tecnica'' o ``arte'', che designa in generale un ``saper fare''; il sostantivo veniva peroÁ spesso sottinteso, dando luogo di norma alla locuzione abbreviata ``la [tecnica] dialettica''. L'aggettivo deriva dal verbo dialegesthai, che significa primariamente ``dialogare'', ``discutere''; il verbo viene spesso usato da Platone nella forma sostantivata (to dialegesthai) come sinonimo di dialektike (che vale dunque ``saper usare l'arte della discussione'') . Questi termini indicano con chiarezza il retroterra culturale al quale Platone si riferiva nella sua decisione di fare della ``dialettica'' la tecnica per eccellenza dell'indagine filosofica. Si trattava, in primo luogo, di una pratica intellettuale che da gran tempo costituiva il fulcro della vita sociale di Atene. Le maggiori decisioni politiche venivano prese dopo ampie discussioni in cui le tesi rivali si confrontavano di fronte all'assemblea cittadina: memorabili documenti di queste discussioni pubbliche sono offerti dai discorsi contrapposti testimoniati dalla Storia di Tucidide (e, dopo di essa, dalle Elleniche di Senofonte). La stessa procedura veniva seguita nella pratica giudiziaria, in cui si contrapponevano, a turno, due discorsi della accusa e due della difesa (ne possediamo un'importante testimonianza in un manuale destinato alla preparazione degli avvocati, le Tetralogie di Antifonte). La sofistica aveva generalizzato questa pratica sociale trasformandola in una tecnica antilogica di argomentazione per tesi contrapposte, nella quale a quanto pare aveva eccelso Protagora: alla sua scuola sembra appartenessero i ``Discorsi duplici'', nei M. Vegetti Quindici lezioni su Platone, Platone Discutere: la potenza della dialettica mento [...] gettando nell'incertezza anzitutto e soprattutto se stesso, e poi chi gli sta vicino, sia questi piuÁ giovane di lui, piuÁ vecchio o suo coetaneo, non risparmiando ne il padre ne la madre, ne nessun altro di quanti lo possano udire, e poco ci manca che coinvolga non solo gli uomini, ma anche gli altri animali; dei barbari poi non risparmierebbe proprio nessuno, se solo potesse trovare un interprete da qualche parte'' (15d-e). La forma della discussione, del confronto argomentativo, si imponeva dunque a Platone ± per effetto del contesto culturale, della pratica dei suoi rivali e del suo stesso maestro ± come lo strumento ineludibile per la costruzione del sapere filosofico, oltre che come il suo specifico spazio intellettuale; al tempo stesso peroÁ risultava necessaria una rifondazione di quella forma, che la facesse uscire ± anche al di laÁ di Socrate ± dalle secche dell'antilogia eristica. Questa doppia necessitaÁ avrebbe configurato la struttura della ``dialettica'' platonica. Da un lato, essa restava ben radicata sul terreno intersoggettivo del confronto discorsivo fra uomini in carne e ossa, dell' argomentazione critica e razionale di tesi contrapposte; restava quindi caratterizzata da quell'atteggiamento ``raziocinante'', raÈsonierend, che secondo Hegel, e poi ancora secondo Heidegger, ne costituiva il limite filosofico perche incapace di mostrare il movimento ``reale'' delle ``cose stesse''. La dialettica procedeva soltanto nell'ambiente del discorso (logos), di cui rappresentava la piu efficace forma di organizzazione metodica, e mediante il logos (Repubblica, VI, 5IIb; VII, 532a). Lo stesso livello piuÁ elevato di conoscenza cui la dialettica poteva pervenire, quello delle idee (le essenze noetico-ideali), si configurava come un ``discorso sull'essenza'' (logos tes ousias); di questa conoscenza il dialettico doveva ``dar ragione'' (logon didonai) ``a se stesso e agli altri'', appunto mediante la discorsivitaÁ razionale (Repubblica, VII, 53Ie, 533c, 534b). PercioÁ il successo conoscitivo della ri- cerca dialettica doveva essere sancito dal raggiungimento di un ``accordo'' o ``consenso'' (homologia) tra gli interlocutori coinvolti nella discussione, in assenza del quale il discorso filosofico assumeva la precaria condizione di un esperimento mentale solitario. EÁ chiaro, da tutto questo, che la forma dialogica rappresentava per la filosofia platonica nella sua configurazione dialettica molto piuÁ che un espediente letterario, costituendone invece l'ineludibile ambiente di interazione discorsiva e argomentativa. Dall'altro lato, peroÁ, occorreva secondo Platone riorganizzare la procedura dialettica mettendola in grado di sostenere il progetto di una filosofia ``costruttiva'', mirante a un sapere positivo, non solo critica e confutatoria. Si trattava dunque di farne una tecnica capace di ``interrogare e rispondere nel modo piuÁ scientifico'' (Repubblica, VII, 534d), cioeÁ di ``condurre la confutazione non secondo l'opinione (doxa) ma secondo l'essenza (ousia) (534c). Questo rendeva necessario un mutamento radicale della forma della domanda socratica. Essa chiedeva all'interlocutore ``che cosa intendi'' quando parli di giustizia, bellezza e cosi via; sollecitava dunque l'esplicitazione di un'opinione, di un punto di vista soggettivo (appunto, una doxa), per poi mostrarne l'inconsistenza o l'inadeguatezza e sollecitare cosõÁ una riapertura della riflessione critica. Si trattava invece per Platone, secondo la versione ``matura'' dell'interrogazione dialettica, di chiedere ``che cosa eÁ'' in veritaÁ la giustizia, la bellezza e cosi via: di aprire cioeÁ la via all'enunciazione di un discorso relativo all'essenza oggettiva ± all'idea ± dell'oggetto indagato. In questo modo la dialettica restava pur sempre un ``percorso'' intellettuale (532b), un ``metodo'' d'indagine razionale (533b-c) ± dunque non un sistema chiuso e ``monologico'' della conoscenza ± ma l'orizzonte di questo cammino metodicamente organizzato era l'acquisizione consolidata di un sapere ``scientifico''. RIFLESSIONI E CONFRONTI " Dopo aver spiegato il significato dell'espressione dialektike techne, evidenzia come la tecnica della ``dialettica'' si inserisca nel contesto culturale della societaÁ di Atene. " Che funzione ha, secondo Vegetti, l'uso della dialettica nell'opera di Platone? " Sulla base dei testi letti, fai almeno un esempio di ``domanda socratica'' che conduce alla acquisizione della veritaÁ. 644 Aristotele testi Aristotele Metafisica 1 Il sapere eÁ un'esigenza primaria dell'uomo (980a-981a) 2 I filosofi della natura (983b-984d) Retorica 3 I generi della retorica (1358b in it.) Poetica 4 L'origine della tragedia (1449a in it.) A ristotele nacque a Stagira, nella Calcidica, nel 384, da NicoÁmaco, medico alla corte di Aminta III di Macedonia; nel 367, a diciassette anni, si recoÁ ad Atene, dove seguõÁ le lezioni prima di Isocrate e poi di Platone, e vi rimase fino alla morte di quest'ultimo. Quando nel 347 Platone morõÁ, fu designato alla guida dell'Accademia Speusippo; allora Aristotele si recoÁ ad Asso, in Cilicia, su invito di Ermia, tiranno di Atarneo; sposoÁ una figlia di Ermia e insegnoÁ per tre anni ad Asso; nel 343 passoÁ a Pella, in Macedonia, dove Filippo II gli affidoÁ l'educazione di suo figlio Alessandro. Dopo che questi successe al padre, Aristotele ritornoÁ nel 335 ad Atene, e vi aprõÁ una sua scuola, presso il tempio di Apollo Liceo sulle pendici del Licabetto, organizzandola in modo simile all'Accademia di Platone (un luogo dove si viveva, si studiava e si discuteva insieme), ma la dotoÁ anche di un piano organico di studi che comprendeva, oltre alla filosofia, altre scienze dell'uomo e della natura. Dal nome del luogo dove si trovava, la scuola di Aristotele fu detta Liceo, ed anche PerõÁpato perche le lezioni si tenevano presso il viale delle passeggiate (peri* patoQ) accanto al tempio. Alla morte di Alessandro, Aristotele preferõÁ allontanarsi da Atene, temendo che le sue antiche relazioni con la corte macedone gli procurassero guai in occasione della violenta reazione antimacedone in corso; si recoÁ a Calcide in Eubea, dove morõÁ l'anno seguente, a sessantadue anni. Si possono riconoscere tre periodi importanti nella vita di Aristotele: il primo soggiorno ateniese, quando si formoÁ alla scuola di Platone; i dodici anni successivi, in Cilicia e in Macedonia, in cui tra l'altro contribuõÁ fortemente ad influenzare il carattere di Alessandro, fornendogli una solida cultura greca e avviandolo al culto di Omero (secondo la tradizione il re avrebbe portato sempre con se una cassettina con la copia dell'Iliade curata per lui da Aristotele). Infine gli ultimi anni, in cui si stabilõÁ nuovamente in Atene e vi fondoÁ la sua scuola. Aristotele teneva due tipi di corsi: al mattino quelli riservati agli allievi, rigorosamente specialistici, e al pomeriggio altri destinati al pubblico, ovviamente con un linguaggio diverso; a questi due tipi di corsi corrispondevano due tipi di scritti diversi, quelli esoterici (da e> sv ``dentro'') e quelli essoterici (da e> jv ``fuori''). Scritti esoterici Gli scritti esoterici, che riflettevano l'insegnamento di scuola, non vennero pubblicati perche destinati alla scuola stessa: composti spesso in una forma poco elaborata, erano talvolta poco piuÁ che raccolte di appunti, con espressioni convenzionali, che spesso compendiavano quanto poteva essere facilmente inteso, data la familiaritaÁ dei destinatari con l'argomento; in generale questi testi erano 645 composti nella forma asciutta e apparentemente trascurata della prosa scientifica greca. Quasi tutto l'Aristotele che noi conosciamo eÁ costituito da questi scritti di scuola. Essi furono lasciati da Aristotele al suo allievo Teofrasto, che alla sua morte li affidoÁ a Neleo di Scepsi, figlio di un amico di Aristotele. Gli eredi di Neleo trascurarono questi manoscritti, che solo due secoli dopo, nel I secolo a.C., furono ritrovati in pessime condizioni e acquistati da Apellicone di Teo, un bibliofilo che li trasportoÁ ad Atene. Nell'84 a.C. Silla espugnoÁ Atene e portoÁ questi scritti a Roma, dove, una cinquantina di anni piuÁ tardi, furono studiati e pubblicati da AndronõÁco di Rodi. Scritti essoterici I libri essoterici, invece, erano scritti in uno stile vivace e piacevole, destinati a una larga cerchia di lettori. Questi ultimi scritti non ci sono stati trasmessi dalla tradizione medievale; solo nel 1891 eÁ stata pubblicata la Costituzione degli Ateniesi, ritrovata in un papiro, che ha confermato pienamente, per quanto riguarda lo stile, le notizie che le fonti antiche ci attestano. Di altre opere di questo genere ci sono giunti solo titoli e pochi frammenti: sappiamo di un Protrettico o Esortazione alla filosofia indirizzato a Temisone principe di Cipro, e di un Eudemo o Sull'anima, che in occasione della morte dell'amico Eudemo riprendeva il tema del Fedone platonico. Importante era ancora il dialogo Sulla filosofia, in cui Aristotele criticava la separazione tra realtaÁ sensibile e realtaÁ intelligibile: anche di questo abbiamo frammenti e testimonianze. Divisione delle opere Le opere esoteriche di Aristotele si possono dividere in diversi gruppi a esoteriche seconda dei contenuti. Scritti di logica Gli scritti di logica, che in etaÁ bizantina furono raccolti in un corpus a parte, con il nome di Organon sono: le Categorie, o principi della scienza; Dell'interpretazione; gli Analitici primi e gli Analitici secondi, che indagano le forme del ragionamento; i Topici e le Confutazioni sofistiche. Scritti di fisica Gli scritti di fisica e di scienze naturali comprendono: la Fisica e i trattati e scienze naturali Del cielo, la Meteorologia, le Ricerche sugli animali, Sulle parti degli animali e altri. Scritti di psicologia Agli scritti di psicologia appartiene il trattato Sull'anima. Scritti di ``filosofia ``Metafisica'' eÁ una denominazione che risale probabilmente ad Andronico, prima'' o ``metafisica'' per indicare gli scritti aristotelici che vengono ``dopo la fisica'', un termine 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO dunque di catalogazione; Aristotele li definiva invece ``filosofia prima''. In quest'opera il filosofo espone la sua idea dell'essere: non pura forma come le idee platoniche, ma un ``sinolo'', sintesi di materia e forma in una unitaÁ inscindibile che egli chiama anche ``sostanza'', cioeÁ l'``essere dell'essere''; la sostanza sta alla base di qualsiasi valore ed eÁ il principio di intelligibilitaÁ dell'essere stesso. Particolare importanza in quest'opera riveste il libro primo, in cui Aristotele traccia una storia critica dei filosofi che lo avevano preceduto, come anche il libro dodicesimo, che sviluppa la teoria di dio, pura forma separata dalla materia; dio muove la materia come motore immobile in quanto essa non puoÁ sussistere senza una forma. Infatti Aristotele divide le sostanze in due classi: sostanze incorruttibili del mondo sovralunare, non sensibili e immobili, che sono oggetto della teologia, e sostanze del mondo sublunare, generabili e corruttibili, oggetto della fisica. In questo modo Aristotele, che aveva criticato vivacemente le idee platoniche perche erano trascendenti, reintroduce al centro dell'universo un principio altrettanto trascendente per- 646 Scritti di etica Questi scritti comprendono: l'Etica a Nicomaco, dedicata al figlio che si chiamava come il nonno; l'Etica ad Eudemo e la Grande etica, sulla cui autenticitaÁ sono stati avanzati dubbi. Ogni attivitaÁ di un essere vivente eÁ compiuta in vista di un fine, ma si deve pensare che esista un bene sommo, al quale tendono tutte le azioni. Per un essere vivente il sommo bene eÁ indubbiamente la felicitaÁ, ma per un essere razionale la felicitaÁ non puoÁ prescindere dall'intelligenza, che gerarchizza i vari valori: questo vivere secondo ragione eÁ la virtuÁ. Essa si divide in due attivitaÁ: il controllo degli impulsi sensibili, che determina i buoni costumi, ossia la virtuÁ etica, e l'esercizio stesso della ragione in seÂ, che eÁ detta virtuÁ intellettiva o dianoetica. La prima comprende tutte le virtuÁ morali, coraggio, temperanza, magnanimitaÁ, mansuetudine, ognuna delle quali costituisce il giusto mezzo tra i vizi opposti (coraggio sta tra la viltaÁ e la temerarietaÁ, e cosõÁ via): esse si assommano tutte nella giustizia. La seconda attivitaÁ invece eÁ la forma piuÁ alta di virtuÁ propria dell'uomo, e comprende la scienza, l'arte, la saggezza, la sapienza e l'intelligenza. Poiche tale attivitaÁ eÁ quella piuÁ propria dell'uomo, praticarla conduce alla felicitaÁ. Scritti di politica Nella Politica Aristotele definisce l'uomo un ``animale nato per vivere in una polis'' (z{&on politiko*n), e quindi portato per natura ad associarsi in forme comunitarie; esamina poi le forme positive di costituzione, monarchia, aristocrazia e democrazia, che possono degenerare rispettivamente in tirannide, oligarchia e oclocrazia (governo della folla) quando viene smarrito il primato del bene comune e la costituzione viene piegata al servizio di un singolo gruppo sociale. Empiricamente Aristotele giunge a definire come migliore una forma mista tra oligarchia e democrazia, che egli denomina politia: nasce con lui l'idea della costituzione mista, che fu poi sviluppata e applicata da Polibio due secoli piuÁ tardi. Ad esempio, l'oligarchia incoraggia i ricchi a fare i giudici, imponendo una multa a chi si sottrae, mentre la democrazia offre un compenso a chi accetta: il filosofo suggerisce di adottare entrambi i provvedimenti per avere tribunali equilibrati. Riguardo alla struttura sociale dello stato egli propone una base censitaria moderata, in cui le cariche siano elettive e non sorteggiate. Per la composizione di questo trattato, Aristotele si era preparato descrivendo le costituzioni di centocinquantotto cittaÁ della Grecia: di questi saggi preliminari si eÁ salvata solo la Costituzione degli Ateniesi, di cui si eÁ detto. Retorica ed estetica La Retorica comprende tre libri: il primo tratta della natura della retorica, che ha come oggetto lo studio del verisimile al fine di indurre alla persuasione; il secondo tratta del modo con cui la parola puoÁ suscitare affetti e passioni, e il terzo dell'espressione e dell'ordine in cui debbono essere disposte le parti del discorso. Particolarmente fecondo per la teoria oratoria eÁ il passo del terzo libro, in cui Aristotele definisce i tre generi di retorica che divennero poi canonici. Essi si distinguono a seconda che il destinatario sia un semplice ascoltatore o un giudice che deve pronunciarsi sulle cose passate (nel caso di un processo) o su quelle future (e in tal caso saraÁ un'assemblea deliberativa che deve decidere se fare una cosa o un'altra). Nel primo caso, se il giudice eÁ un semplice ascoltatore, si tratteraÁ delle cose presenti, per lodarle o condannarle, come vere o false, buone o cattive: saraÁ l'oratoria dimostrativa; nel secondo caso si avraÁ la retorica giudiziale che tratta di fatti avvenuti, per convincere che sono giusti o ingiusti; infine, si tratteraÁ della retorica deliberativa, che riguarda il futuro, per dimostrare che una cosa eÁ utile o dannosa. 647 Aristotele che dio eÁ forma pura. Viene cosõÁ indebolito il principio originale della sua speculazione, cioeÁ che l'essere reale puoÁ venire concepito solamente come sintesi di materia e forma. Dei due libri della Poetica ce ne eÁ giunto uno soltanto, l'altro eÁ andato perduto. Nel librio rimasto leggiamo che l'arte in generale per Aristotele eÁ imitazione: sia per mezzo di colori e forme, come si fa nella pittura, sia per mezzo della voce, come nella poesia, sia per mezzo del suono, come nella musica. La poetica si presenta come teoria dell'imitazione, in una polemica aperta con Platone che aveva condannato l'arte poetica come imitazione della natura che, a sua volta, imita le idee: l'arte quindi eÁ doppiamente lontana dalle idee che sono la vera realtaÁ; per Aristotele invece essa eÁ imitazione del possibile, e quindi ``piuÁ filosofica e piuÁ elevata della storia'', giacche ``la poesia esprime piuttosto l'universale, la storia il particolare'' (Poet. 1451b). Inoltre alla tragedia egli attribuiva una liberazione dalle passioni (``catarsi'') (" pp. 44-45), come alla musica. Infine la Poetica contiene per noi le testimonianze piuÁ antiche sulle origini della tragedia e della commedia, e analisi precise sui vari tipi della prima. Della commedia, come sappiamo dall'autore stesso, si parlava nel secondo libro. VolontaÁ di superare Aristotele si eÁ posto il problema di risolvere il limite implicito nella filosofia di Platone Platone: questi, nell'affermare il primato del mondo intelligibile su quello sensibile, aveva lasciato un vuoto incolmabile tra queste due esperienze dell'uomo; per lui infatti, l'uomo eÁ in realtaÁ un'anima razionale prigioniera in un corpo carnale, che le impone le sue necessitaÁ e le sue imperfezioni, e le impedisce la contemplazione delle idee, che eÁ insita nella natura di essa. In questo modo Platone perdeva il senso della grande esperienza speculativa costituita dalla tradizione ionica, da Talete ad Anassagora; Aristotele invece, benche fosse convinto che le speculazioni dei filosofi ionici fossero imperfette, e destinate ad essere superate da una visione piuÁ organica dell'essere, non poteva pensare che potessero essere totalmente azzerate. Recupero della realtaÁ Per questo Aristotele, nella Metafisica, ha voluto recuperare la realtaÁ sensibile sensibile facendo della sostanza degli enti una sintesi di materia e forma. Nelle altre sue opere ha poi trattato a lungo problemi di fisica, di biologia, e anche questioni relative alla vita associata degli uomini (politica) e alla comunicazione (retorica e poetica). CosõÁ egli ha considerato per primo la filosofia come un sistema scientifico e si eÁ posto il problema di una concezione organica del sapere, articolato in varie branche ma in una prospettiva unitaria; ha cosõÁ organizzato il sapere a partire da rilievi empirici, come nei trattati di fisica e biologia, ed anche nella scienza politica, che parte dall'analisi delle costituzioni storiche delle diverse comunitaÁ. La filosofia come Mentre per Platone filosofia eÁ ``fare filosofia'', una ricerca continua e mai sistema organico compiutamente definita della veritaÁ, secondo l'impulso di Socrate, per 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO Aristotele la filosofia costituisce un sistema organico, che si basa su una dottrina dell'essere in quanto essere (filosofia prima) e affronta quindi analiticamente le varie forme in cui l'essere si realizza, in natura come nella vita associata degli uomini, nei loro comportamenti e nelle manifestazioni della loro attivitaÁ spirituale. I suoi allievi hanno proseguito l'impulso da lui dato alla scuola, affrontando problemi di fisica e di biologia, di geografia e di antropologia, di storia delle scienze, di retorica, di poesia e di musica. Per secoli la storia della filosofia si eÁ divisa tra seguaci dell'indirizzo idealistico di Platone e di quello, piuÁ realistico e volto al concreto, di Aristotele: attraverso l'antichitaÁ e il Medioevo ci sono stati periodi di prevalenza dell'una e dell'altra tendenza, finche si eÁ fatta luce l'idea che anche il sistema aristotelico aveva una impronta fortemente idealistica, e che il metodo empirico dei filosofi ionici aveva ancora qualcosa da insegnare all'umanitaÁ. 648 (980a-981a) testi Argomento del primo libro della Metafisica eÁ la costruzione del sapere: Aristotele risale per gradi dalle percezioni sensibili alla conoscenza filosofico-scientifica, e distingue poi entro quest'ultima la forma piuÁ elevata del sapere, quella filosofica, che eÁ conoscenza dei principi e delle cause prime. Presentiamo di seguito la prima pagina dell'opera, in cui Aristotele dimostra che la ricerca del sapere eÁ assolutamente naturale per l'uomo, indipendentemente dalle necessitaÁ legate alla sopravvivenza. Questo punto di partenza costituisce un'acquisizione fondamentale per la comprensione non solo di Aristotele, ma dell'esperienza dei Greci nella costruzione del sapere: stabilisce cioeÁ il primato dell'attivitaÁ intellettuale, esercitata in modo disinteressato, sulle necessitaÁ immediate. Questa eÁ una caratteristica di tutta la cultura greca, e lo eÁ anche della ricerca di base nelle scienze moderne: la filosofia, come la filologia, la matematica e la fisica teorica non sono esercitate in vista di una utilitaÁ immediata, ma per una istanza fondamentale propria della tradizione culturale che riconosce nell'esperienza greca la propria radice. Metafisica 1 Il sapere eÁ un'esigenza primaria dell'uomo Aristotele Metafisica 980.a Pa*nteQ a>nurvpoi toy& ei$ de* nai o$re* gontai fy*sei. 980.b shmei& on d\ h< tv&n ai$ suh*sevn a$ga*phsiQ " kai+ ga+r xvri+ Q th&Q xrei* aQ a$gapv&ntai di\ ay<ta*Q, kai+ ma*lista tv&n a>llvn h< dia+ tv&n o$mma*tvn. 980.c oy$ ga+r mo*non i% na pra*ttvmen a$lla+ kai+ mhue+ n me* llonteQ pra*ttein to+ o<ra&n ai< roy*meua a$nti+ pa*ntvn v<Q ei$ pei& n tv&n a>llvn. 980.d ai> tion d\ o%ti ma*lista poiei& gnvri* zein h<ma&Q ay%th tv&n ai$ suh*sevn kai+ polla+Q dhloi& diafora*Q. 980.e fy*sei me+n oy#n ai> suhsin e> xonta gi* gnetai ta+ z{&a, e$ k de+ tay*thQ toi& Q me+ n ay$tv&n oy$k e$ ggi* gnetai mnh*mh, toi& Q d\ e$ ggi* gnetai 980.f kai+ dia+ toy&to tay&ta fronimv*tera kai+ mauhtikv*tera tv&n mh+ dyname* nvn mnhmoney*ein e$ sti* , fro*nima me+n a>ney toy& manua*nein o%sa mh+ dy*natai tv&n co*fvn a$koy*ein (oi}on me* litta ka/n ei> ti toioy&ton a>llo ge* noQ z{*vn e> sti), manua*nei d\ o%sa pro+Q t|& mnh*m| kai+ tay*thn e> xei 980.a Pa*nteQ ... fy*sei, ``Tutti gli esseri umani per natura aspirano al sapere'' (il verbo o$re* gomai ha il suo complemento in genitivo): Aristotele inizia la sua riflessione enunciando il punto che vuole dimostrare; segue la dimostrazione, introdotta da un elemento di osservazione tratto dall'esperienza sensibile, ed assolutamente evidente, il desiderio di vedere cioÁ che ci sta intorno, che eÁ spontaneo negli esseri umani. 980.b shmei& on ... tv&n o$mma*tvn, ``prova ne eÁ l'amore per le percezioni: infatti anche senza necessitaÁ sono amate di per stesse, e soprattutto tra le altre quella che si realizza attraverso gli occhi''. In questo ulteriore segmento Aristotele insiste su quello che chiama ``l'amore delle percezioni'', aggiungendo che il piuÁ forte eÁ per quelle derivate dalla vista, ma soprattutto insiste sul carattere disinteressato di esse, che ``senza bisogno di necessitaÁ (xvri+ Q th&Q xrei* aQ) sono amate di per se (a$gapv&ntai di' ay<ta*Q)''. ± shmei& on eÁ il termine chiave di questo procedimento dimostrativo, in cui all'enunciazione dell'ipotesi segue la dimostrazione analitica. 980.c oy$ ga+r mo*non ... tv&n a>llvn, ``infatti non solo per agire, ma anche quando non ci accingiamo a far nulla scegliamo la vista, per cosõÁ dire, a preferenza di tutte le altre percezioni''. Si insiste ancora mettendo in luce, sempre sulla base dell'esperienza quotidiana, il carattere disinteressato del guardare, ``non solo per fare ma anche senza l'intenzione di fare alcuncheÂ''. _ v<Q ei$ pei& n, ``per cosõÁ dire''. 980.d ai> tion ... diafora*Q, ``causa eÁ che questa tra le percezioni soprattutto ci fa conoscere e minifesta molte differenze''. L'argomento procede cercando la causa del primato delle percezioni visive, e Aristotele suggerisce che soprattutto la vista ci consente di conoscere, giacche essa ci mostra molte differenze tra gli oggetti percepiti; argomento implicito eÁ che la conoscenza di un oggetto eÁ funzione della relazione in cui viene posto con gli altri compresi nell'esperienza. 980.e fy*sei me+n oy#n ... toi& Q d\ e$ggi* gnetai, ``infatti per natura gli esseri viventi nascono capaci di percezioni, e da questa per alcuni di loro non si riproduce memoria, per altri si produce''. Aristotele procede nella sua analisi, affrontando un fenomeno ulteriore: alcuni animali hanno memoria degli og- getti percepiti, altri no; nel periodo successivo avanzeraÁ una connessione con elementi che differenziano i primi animali rispetto agli altri. 980.f kai+ dia+ toy&to ... th+n ai> suhsin``e per questo i primi (tay&ta) sono piuÁ sagaci e piuÁ capaci di imparare (fronimv*tera kai+ mauhtikv*tera) di quelli che non possono ricordare; sagaci, ma senza capacitaÁ di imparare, quelli che non hanno l'udito (come ad esempio l'ape e tutti gli altri animali dello stesso genere), mentre imparano quelli che, oltre la memoria hanno anche questo senso''. _ ei> ti toioy&ton a>llo ge*noQ z{*vn e>sti: lett. ``se c'eÁ un altro genere simile di animali''. La distinzione tra gli animali forniti di udito e quelli che ne mancano, di necessitaÁ approssimativa date le conoscenze biologiche del tempo, ha una funzione pragmatica: essa si fonda, per Aristotele, sulla relazione con l'uomo, e cosõÁ il cane e il cavallo, ad es., possono udire il comando o le minacce, e quindi possono essere addomesticati, a differenza di altri; _ co*fvn a$koy*ein: il verbo a$koy*v ha il suo complemento in genitivo; ± oi} on: lett. ``quale'', diventa di fatto una congiunzione, ``come'', usata per introdurre un esempio. 649 th+n ai> suhsin. 980.g ta+ me+ n oy#n a>lla tai& Q fantasi* aiQ z|& kai+ tai& Q mnh*maiQ, e$ mpeiri* aQ de+ mete*xei mikro*n " to+ de+ tv&n a$nurv*pvn ge*noQ kai+ te* xn| kai+ logismoi& Q. 981.a gi* gnetai d\ e$ k th&Q mnh*mhQ e$ mpeiri* a toi& Q a$nurv*poiQ " ai< ga+r pollai+ mnh&mai toy& ay$toy& pra*gma toQ mia&Q e$ mpeiri* aQ dy*namin a$poteloy&sin. 980.g ta+ me+n oy#n ... toi& Q a$nurv*poiQ, ``dunque gli altri animali vivono di immagini e di ricordi, ma partecipano limitatamente all'esperienza, mentre l'uomo vive anche di arte e di ragionamento''. La distinzione tra l'uomo e gli altri animali (ta+ ... a>lla) consiste per Aristotele nella capacitaÁ di fare esperienza: i primi vivono di immagini (fantasi* aiQ) e di ricordo (tai& Q mnh*maiQ), ma partecipano limitatamente all'esperienza, mentre l'uomo vive anche di arte e di ragionamento (kai+ te* xn| kai+ logismoi& Q), e dalla memoria si forma all'uomo l'esperienza: si intenda che l'esperienza organizzata (la te* xnh) e i ragionamenti elaborano i contenuti della memoria facendone esperienza. 981.a gi* gnetai ... a$poteloy&sin, ``e dalla memoria si forma per gli uomini l'esperienza: infatti molti ricordi dello stesso oggetto realizzano (a$poteloy&sin) l'esperienza''. Questa dunque, per Aristotele, eÁ il risultato di una sintesi di molti ricordi connessi allo stesso oggetto. traduzione d'autore 980.a Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. 980.b Segno ne eÁ amore per le sensazioni: infatti, essi amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilitaÁ, e, piuÁ di tutte, amano la sensazione della vista: 980.c in effetti, non solo ai fini dell'azione, ma anche senza avere alcuna intenzione di agire, noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensazioni. 980.d E il motivo sta nel fatto che la vista ci fa conoscere piuÁ di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste numerose differenze fra le cose. 980.e Gli animali sono naturalmente forniti di sensazione; ma, in alcuni, dalla sensazione non nasce la memoria, in altri, invece, nasce. 980.f Per tale motivo questi ultimi sono piuÁ intelligenti e piuÁ atti ad imparare rispetto a quelli che non hanno capacitaÁ di ricordare. Sono intelligenti, ma senza capacitaÁ di imparare tutti quegli animali che non hanno facoltaÁ di udire i suoni (per esempio l'ape e ogni altro genere di animali di questo tipo); imparano, invece, tutti quelli che, oltre la memoria, posseggono anche il senso dell'udito. 980.g Orbene, mentre gli altri animali vivono con immagini sensibili e con ricordi, e poco partecipano dell'esperienza, il genere umano vive, invece, anche d'arte e di ragionamenti. Negli uomini, l'esperienza deriva dalla memoria: infatti, molti ricordi dello stesso oggetto giungono a costituire 981.a un'esperienza unica. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO (Trad. G. Reale) GUIDA ALL'ANALISI LESSICO E LINGUA 1. Nel testo vengono impiegati vocaboli appartenenti al lessico filosofico: spiega i seguenti termini dal punto di vista etimologico e del significato, anche con riferimento al contesto: fy*siQ (980a), shmei& on (980b), ai> suhsiQ (980b), ai> tion (980d), logismo*Q (980g), e$mpeiri* a (981a). TEMI E CONFRONTI 2. Soffermati sulle caratteristiche che Aristotele attribuisce alla conoscenza, legando il tuo discorso a due termini chiave: naturale; disinteressata. Motiva la tua risposta in un elaborato di 5 righe. 3. Quale il motivo del primato delle percezioni visive? Motiva la tua risposta in un elaborato di 5 righe. 4. Qual eÁ, dal punto di vista dell'esperienza, la differenza fra uomo ed animale? 650 (983b-984d) 983.b Tv&n dh+ prv*tvn filosofhsa*ntvn oi< plei& stoi ta+Q e$ n y%lhQ ei> dei mo*naQ 983.a Tv&n dh+ prv*tvn ... pa*ntvn, ``I piuÁ di coloro che hanno filosofato tra i primi, credettero che fossero principi di tutte le cose (a$rxa+Q ... pa*ntvn) soltanto quelli di specie materiale (ta+Q e$ n y%lhQ ei> dei mo*naQ)''. I filosofi ionici si posero come primo problema la definizione dell'a$rxh*, del principio universale delle cose esistenti, e diedero a questo principio il nome di una materia (aria, acqua o fuoco); alcuni tra i loro contemporanei intesero questi termini in puro senso materiale, ed Aristotele continua questo fraintendimento. 983.b e$j oy} ga+r ... svzome*nhQ, ``Infatti cioÁ da cui tutti gli esseri sono costituiti (e$ j oy} ga+r e> stin a%panta ta+ o>nta), e dal quale come primo si generano e in cui alla fine si corrompono, mentre la sostanza (th&Q me+ n oy$si* aQ) permane anche se si trasforma quanto alle sue affezioni (toi& Q de+ pa*uesi metaballoy*shQ), questo dicono elemento e questo il principio degli esseri (a$rxh*n ... tv&n o>ntvn), e credono per questo che nulla (oy$ue* n) abbia origine ne perisca, mentre questa natura sempre si conserva''. L'argomento eÁ che, se l'essenza di ogni cosa eÁ costituita da un elemento primo, aria, acqua o altro, questo permanga nelle varie trasforSCHEDA DI LESSICO "Il lessico della vita, p. 654 mazioni che danno luogo agli oggetti del mondo sensibile. 983.c v%sper ... ay$to*n, ``come non diciamo nemmeno che Socrate nasca assolutamente quando diviene bello o musico, ne che perisce quando perde queste proprietaÁ, per il fatto che resta il sostrato, cioeÁ Socrate stesso''. ± to+ y<pokei* menon eÁ termine tecnico per indicare la ``sostanza'' che ``giace sotto'' le varie forme che si succedono, come e% jiQ indica le proprietaÁ permanenti che si succedono in un essere che si trasforma. 983.d oy%tvQ ... e$kei* nhQ, ``similmente (avviene) di tutte le altre cose (lett. ``nemmeno nessuna''): infatti (eÁ necessario) che ci sia sempre una natura, o una sola o piuÁ di una, dalla quale si generano le altre mentre essa si conserva''. Il senso eÁ: come Socrate resta sempre Socrate, perche eÁ la sostanza che si mantiene attraverso le trasformazioni che egli subisce, come quando da giovane diventa vecchio, cosõÁ ognuna delle altre sostanze rimane al di sotto delle trasformazioni che esse incontrano. 983.e to+ me*ntoi ... zv&n, ``Ma quanto al numero e alla specie (to+ ei#doQ) di un simile principio, non dicono tutti la stessa testi {<h*uhsan a$rxa+Q ei#nai pa*ntvn " e$ j oy} ga+r e> stin a%panta ta+ o>nta kai+ e$ j oy} gi* gnetai prv*toy kai+ ei$Q o= fuei* retai teleytai& on, th&Q me+ n oy$si* aQ y<pomenoy*shQ toi& Q de+ pa*uesi metaballoy*shQ, toy&to stoixei& on kai+ tay*thn a$rxh*n fasin ei#nai tv&n o>ntvn, kai+ dia+ toy&to oy>te gi* gnesuai oy$ue+n oi> ontai oy>te a$po*llysuai, v<Q th&Q toiay*thQ fy*sevQ a$ei+ svzome*nhQ, 983.c v%sper oy$de+ to+n Svkra*thn fame+ n oy>te gi* gnesuai a<plv&Q o%tan gi* gnhtai kalo+Q h/ moysiko+Q oy>te a$po*llysuai o%tan a$poba*ll| tay*taQ ta+Q e% jeiQ, dia+ to+ y<pome* nein to+ y<pokei* menon to+n Svkra*thn ay$to*n, 983.d oy%tvQ oy$de+ tv&n a>llvn oy$de* n " a$ei+ ga+r ei#nai* tina fy*sin h/ mi* an h/ plei* oyQ mia&Q e$ j v}n gi* gnetai ta#lla svzome*nhQ e$ kei* nhQ. 983.e to+ me*ntoi plh&uoQ kai+ to+ ei#doQ th&Q toiay*thQ a$rxh&Q oy$ to+ ay$to+ pa*nteQ le* goysin, a$lla+ Ualh&Q me+ n o< th&Q toiay*thQ a$rxhgo+Q filosofi* aQ y%dvr fhsi+ n ei#nai (dio+ kai+ th+n gh&n e$ f\ y%datoQ a$pefh*nato ei#nai), labv+n i> svQ th+n y<po*lhcin tay*thn e$ k toy& pa*ntvn o<ra&n th+n trofh+n y<gra+n oy#san kai+ ay$to+ to+ uermo+n e$ k toy*toy gigno*menon kai+ toy*t{ zv&n 983.f (to+ d\ e$ j oy} gi* gnetai, toy&t\ e$ sti+ n a$rxh+ pa*ntvn) ± 983.g dia* te dh+ toy&to th+n y<po*lhcin labv+n tay*thn kai+ dia+ to+ pa*ntvn ta+ spe*rmata th+n fy*sin y<gra+n e> xein, to+ d\ y%dvr a$rxh+n Metafisica Dopo aver definito la ricerca delle cause prime come oggetto primario della filosofia, Aristotele passa in rassegna i primi filosofi che indicarono la causa prima in un elemento naturale (Talete, Anassimene, Empedocle ed Anassagora). Aristotele 2 I filosofi della natura cosa ma Talete, l'iniziatore (a$rxhgo*Q) di una simile filosofia, dice che eÁ acqua (percioÁ sosteneva [a$pefh*nato] che la terra galleggia sopra l'acqua) prendendo forse questa ipotesi (th+n y<po*lhcin tay*thn) dal vedere che il nutrimento di ogni cosa eÁ umido, e lo stesso calore (ay$to+ to+ uermo*n) nasce da questo e di questo vive''. ± e$k toy& pa*ntvn o<ra&n: eÁ un inf. sostantivato. o<ra&n regge il part. predicativo th+n trofh+n y<gra+n oy#san, come il gigno*menon che segue. Aristotele non approfondisce le ragioni della scelta di Talete, ma ipotizza una motivazione per essa. 983.f to+ d\ e$j oy} ... pa*ntvn, ``cioÁ da cui tutto deriva, questo eÁ il principio di tutto''. Aristotele precisa che puoÁ essere considerato principio di tutto (a$rxh+ pa*ntvn) cioÁ da cui tutto deriva; a lui non interessa la genesi della realtaÁ, ma cioÁ che la fonda, e tuttavia riconosce che in una prospettiva naturalistica i due concetti coincidono. 983.g dia* te dh+ ... toi& Q y<groi& Q, ``per questo motivo dunque, assumendo questa ipotesi, e per il fatto che i semi di tutto hanno natura umida, e per le cose umide l'acqua eÁ principio della loro natura''. 651 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO th&Q fy*sevQ ei#nai toi& Q y<groi& Q. 983.h ei$ si+ de* tineQ oi= kai+ toy+Q pampalai* oyQ kai+ poly+ pro+ th&Q ny&n gene* sevQ kai+ prv*toyQ ueologh*santaQ oy%tvQ oi> ontai peri+ th&Q fy*sevQ y<polabei& n " $ Vkeano*n te ga+r kai+ Thuy+n e$ poi* hsan th&Q gene*sevQ pate* raQ, kai+ to+n o%rkon tv&n uev&n y%dvr, th+n kaloyme* nhn y<p\ ay$tv&n Sty*ga " timiv*taton me+n ga+r to+ presby*taton, o%rkoQ de+ to+ timiv*tato*n e$ stin " 984.a ei$ me+ n oy#n a$rxai* a tiQ ay%th kai+ palaia+ tety*xhken oy#sa peri+ th&Q fy*sevQ h< do*ja, ta*x\ a/n a>dhlon ei> h, Ualh&Q me*ntoi le* getai oy%tvQ a$pofh*nasuai peri+ th&Q prv*thQ ai$ ti* aQ [...]. 984.b $Anajime* nhQ de+ a$e* ra kai+ Dioge* nhQ pro*teron y%datoQ kai+ ma*list\ a$rxh+n tiue*asi tv&n a<plv&n svma*tvn, % IppasoQ de+ py&r o< Metaponti& noQ kai+ $ Hra*kleitoQ o< $ Efe* sioQ, $ Empedoklh&Q de+ ta+ te* ttara, pro+Q toi& Q ei$ rhme* noiQ gh&n prostiuei+ Q te*tarton 984.c (tay&ta ga+r a$ei+ diame* nein kai+ oy$ gi* gnesuai a$ll\ h/ plh*uei kai+ o$ligo*thti, sygkrino*mena kai+ diakrino*mena ei$ Q e% n te kai+ e$ j e< no*Q) " 984.d $Anajago*raQ de+ o< Klazome* nioQ t|& me+ n h<liki* @ pro*teroQ v/n toy*toy toi& Q d\ e>rgoiQ y%steroQ a$pei* royQ ei#nai* fhsi ta+Q a$rxa*Q " sxedo+n ga+r a%panta ta+ o<moiomerh& kaua*per y%dvr h/ py&r oy%tv gi* gnesuai kai+ a$po*llysuai* fhsi, sygkri* sei kai+ diakri* sei mo*non, a>llvQ d\ oy>te gi* gnesuai oy>t\ a$po*llysuai a$lla+ diame* nein a$i^ dia. 983.h ei$ si+ de* ... e$stin, ``ci sono alcuni che credono che anche i piuÁ antichi e che hanno trattato degli deÁi per primi e molto prima della presente generazione, abbiano cosõÁ pensato della natura: posero Oceano e Teti come autori della generazione delle cose, e che cioÁ su cui gli deÁi giurano eÁ l'acqua, quella che essi chiamano Stige: infatti cioÁ che eÁ piuÁ antico eÁ piuÁ degno di rispetto, e il giuramento eÁ cioÁ che eÁ piuÁ degno di rispetto''. Qui Aristotele riferisce l'opinione di chi vorrebbe far risalire la dottrina di Talete ai tempi piuÁ antichi, al mito di Oceano e Teti autori della generazione, e alla pratica degli deÁi di giurare sullo Stige. ± toy+Q ... ueologh*santaQ, ``coloro che si sono occupati di teologia'': a questi Aristotele contrapporraÁ i ``fisiologi'', piuÁ vicini alle scienze naturali. ± pampalai* oyQ: ``gli antichissimi''. ± poly+ pro+ th&Q ny&n gene*sevQ: ``molto prima dell'attuale generazione''. Nella Teogonia di Esiodo (vv. 337 ss.) si narra che, dopo le stirpi piuÁ antiche dei Titani, nati dal Cielo e dalla Terra, una successiva generazione di deÁi fu generata dagli amori di Oceano e Teti¨. Si distingua tra Thuy*Q, la sposa di Oceano, e Ue*tiQ, la Nereide madre di Achille; il giuramento per lo Stige potrebbe far pensare che l'acqua di quel fiume fosse la cosa piuÁ antica, infatti ti- miv*taton ... timiv*tato*n e$ stin, ``merita rispetto cioÁ che eÁ piuÁ antico, e cioÁ per cui si giura eÁ piuÁ degno di rispetto che mai''. 984.a ei$ me+n oy#n ... ai$ ti* aQ, ``Se dunque questa opinione riguardo alla natura sia arcaica ed antica, potrebbe forse non essere chiaro; pure Talete si dice che si sia cosõÁ espresso riguardo alla prima causa''. Dopo aver riferito l'opinione dei teologizzanti, Aristotele esprime il suo scetticismo su di essa, riaffermando che solo di Talete si puoÁ dire con chiarezza che abbia riportato all'acqua la prima causa; solo a una posizione di questo tipo ci si puoÁ riferire per l'indagine sul fondamento dell'essere. 984.b A $ najime*nhQ ... te*tarton, ``Anassimene invece, e Diogene pongono (tiue* asi) l'aria prima dell'acqua, quale principio tra i corpi semplici (tv&n a<plv&n svma*tvn), e Ippaso di Metaponto e Eraclito di Efeso il fuoco, e Empedocle (ne pone) quattro, aggiungendo ai tre elementi predetti (ei$ rhme* noiQ) la terra come quarto''. Dopo Talete Aristotele accenna brevemente alle soluzioni offerte al problema dell'a$rxh* da altri filosofi ionici. 984.c tay&ta ... e$j e<no*Q, ``Questi infatti sono permanenti (a$ei+ diame* nein) e non sono soggetti a divenire, ma associandosi e separandosi in uno e dall'uno (ei$ Q e% n te kai+ e$ j e< no*Q), in numero grande o piccolo (h/ plh*uei kai+ o$ligo*thti)''. Mentre i predecessori spiegavano le differenze mediante la trasformazione qualitativa di un unico principio, Empedocle ne assunse quattro e ridusse il mutamento a movimento quantitativo di elementi tra loro in origine differenti. _ ei$ Q e%n te kai+ e$j e<no*Q: i movimenti si producevano quando gli elementi si riunivano in un solo oggetto (ei$ Q e% n) e quando invece da un solo oggetto (e$ j e< no*Q) si dissociavano. 984.d $Anajago*raQ ... a$i^ dia, ``Anassagora di Clazomene poi, che per etaÁ eÁ anteriore a costui, ma per gli scritti eÁ posteriore, dice che i principi sono infiniti (a$pei* royQ ei#nai* fhsi ta+Q a$rxa*Q): infatti dice che quasi tutte le cose, che hanno parti omogenee (a%panta ta+ o<moiomerh&) nascono e periscono nello stesso modo dell'acqua e del fuoco (kaua*per y%dvr h/ py&r), solo per associazione e separazione, e che non si generano ne muoiono altrimenti, ma rimangono eterne''. ± o<moiomerh&: sono gli enti che Anassagora chiamava o<moiomerei& ai, secondo Plutarco, qualitativamente diversi tra loro e divisibili all'infinito (vedi p. 19). traduzione d'autore 983.a La maggior parte di coloro che primi filosofarono pensarono che princõÁpi di tutte le cose fossero solo quelli materiali. Infatti essi affermano che cioÁ di cui tutti gli esseri sono costituiti e cioÁ da cui derivano originariamente e in cui 983.b si risolvono da ultimo, eÁ elemento ed eÁ principio degli esseri in quanto eÁ una realtaÁ che permane 652 Aristotele Metafisica identica pur nel trasmutarsi delle sue affezioni. E, per questa ragione, essi credono che nulla si generi e che nulla si distrugga, dal momento che una tale realtaÁ si conserva sempre. 983.c E come non diciamo che Socrate si genera in senso assoluto quando diviene bello o musico, ne diciamo che perisce quando perde questi modi di essere, per il fatto che il sostrato ± ossia Socrate stesso ± continua ad esistere, cosõÁ dobbiamo dire che non si corrompe, in senso assoluto, nessuna delle altre cose: infatti, deve esserci qualche realtaÁ naturale (o una sola o piuÁ di una) dalla quale derivano tutte le altre cose, mentre essa continua ad esistere immutata. 983.e Tuttavia, questi filosofi non sono tutti d'accordo circa il numero e la specie di un tale principio. Talete, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che quel principio eÁ l'acqua (per questo afferma anche che la terra galleggia sull'acqua), desumendo indubbiamente questa sua convinzione dalla costatazione che il nutrimento di tutte le cose eÁ umido, e che perfino il caldo si genera dall'umido e vive nell'umido. 983.f Ora, cioÁ da cui tutte le cose si generano eÁ, appunto, il principio di tutto. 983.g Egli desunse dunque questa convinzione da questo e inoltre dal fatto che i semi di tutte le cose hanno una natura umida, e l'acqua eÁ il principio della natura delle cose umide. 983.h Ci sono, poi, alcuni i quali credono che anche gli antichissimi che per primi hanno trattato degli deÁi, molto prima della presente generazione, abbiano avuto questa stessa concezione della realtaÁ naturale. Infatti, posero Oceano e Teti come autori della generazione delle cose, e dissero che cioÁ su cui gli deÁi giurano eÁ l'acqua, la quale da essi vien chiamata Stige. Infatti, cioÁ che eÁ piuÁ antico eÁ anche cioÁ che eÁ piuÁ degno di rispetto, e cioÁ su cui si giura eÁ, appunto, cioÁ che eÁ piuÁ degno di rispetto. 984.a Ma, che questa concezione della realtaÁ naturale sia stata cosõÁ originaria e cosõÁ antica, non risulta affatto in modo chiaro; al contrario, si afferma che Talete per primo abbia professato questa dottrina intorno alla causa prima. 984.b Anassimene, invece, e Diogene considerarono come originaria, piuÁ dell'acqua, l'aria e, fra i corpi semplici, la considerarono come principio per eccellenza, mentre Ippaso di Metaponto ed Eraclito di Efeso considerarono come principio il fuoco. Invece Empedocle pose come princõÁpi i quattro corpi semplici, aggiungendo ai tre sopra menzionati anche un quarto, cioeÁ la terra. 984.c Essi, infatti, restano sempre immutati e non sono soggetti a divenire se non per aumento o diminuzione di quantitaÁ, quando si congiungono in una unitaÁ o si sciolgono da essa. 984.d Anassagora di Clazomene, che per etaÁ viene prima di Empedocle ma eÁ posteriore per le opere, afferma che i principi sono infiniti: infatti egli dice che pressoche tutte le omeomerie si generano e si corrompono unicamente in quanto si riuniscono e si disgiungono cosõÁ come avviene per l'acqua o per il fuoco; mentre in altro modo non si generano ne si corrompono, ma permangono eterne. testi (Trad. G. Reale) GUIDA ALL'ANALISI LESSICO E LINGUA 1. Spiega i seguenti termini appartenenti al lessico filosofico: filosofi* a (983b), a$rxh* (983b), oy$si* a (983b), e% jiQ (983b), to+ y<pokei* menon (983b), o<moiomerh*Q (984a) TEMI E CONFRONTI 2. Aristotele riporta l'affermazione dei teologizzanti (983h: ei$ si+ de* tineQ oi= ...), ma subito fa intendere che il pensiero di Talete rappresenta qualcosa di totalmente nuovo. Rifacendoti anche alle tue conoscenze filosofiche, qual eÁ, secondo te, la novitaÁ portata da Talete rispetto al pensiero precedente? STILE E RETORICA 3. Analizza 983b-983d (e$ j oy} ga+r e>stin a%panta ta+ o>nta ... oy%tvQ oy$de+ tv&n a>llvn oy$de* n) dal punto di vista stilistico; considera anche la funzione della prolessi iniziale, la iniziale struttura trimembre e$ j oy} ... e$j oy} ... ei$ Q o% con ampliamento della terza parte). 653 l Scheda di essico Il lessico della vita bi* oQ zvh* bio*v za*v bi* otoQ bioth* biotey*v di* aita diaita*v ai$ v*n zvo*Q e> mbioQ e> mcyxoQ sv&ma cyxh* Ammonio di Alessandria, un allievo del grande filologo alessandrino Aristarco di Samotracia, autore di un trattato sui sinonimi greci, ci ha lasciato una definizione dei due termini fondamentali che indicano la vita: bi* oQ zvh&Q diafe* rei. bi* oQ me+n e$ pi+ tv&n logikv&n ta*ssetai z{*vn, toyte* stin a$nurv*pvn mo*non " zvh+ de+ e$pi+ a$nurv*pvn kai+ e$pi+ tv&n a$lo*gvn z{*vn. e$ntey&uen $Aristote*lhQ to+n bi* on v<ri* sato oy%tvQ " bi* oQ e$ sti+ logikh+ zvh*, ``bi* oQ differisce da zvh*: bi* oQ eÁ riferito agli animali dotati di ragione, cioeÁ solo agli uomini, mentre zvh* si dice degli uomini e degli animali irragionevoli. Pertanto Aristotele ha cosõÁ definito bi* oQ: `bi* oQ eÁ zvh* dotata di ragione' ''. Come spesso avviene, la distinzione dei grammatici, che nasce da un rigoroso criterio logico, eÁ piuÁ netta di quella che i testi suggeriscono. CosõÁ troviamo in Platone, Protagora 351 b le* geiQ de* tinaQ, v# Protago*ra, tv&n 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO a$nurv*pvn ey# zh&n, toy+Q de+ kakv&Q; ... ti* d$, ei$ h<de* vQ bioy+Q to+n bi* on teleyth*seien, oy$k ey# a>n soi dokoi& oy%toQ bebivke*nai, ``tu dici, Protagora, che alcuni degli uomini vi- vono bene, altri male ... ma che diresti, se concludesse la sua vita dopo esser vissuto piacevolmente, quest'uomo non ti sembrerebbe essere vissuto bene?'': in questo discorso l'alternanza tra bio*v e za*v sembra governata da criteri di stile, che suggeriscono di evitare la ripetizione dello stesso termine, e i due verbi sembrano assolutamente intercambiabili. Tuttavia si puoÁ ammettere che in generale zvh* indichi la vita fisica, con le funzioni direttamente ad essa connesse, come il nutrimento, mentre bi* oQ indichi il complesso dei comportamenti di un essere ragionevole: Aristotele, nel trattato Sull'anima 2, 4, 14 osserva e$ pei+ oy$de+ n tre* fetai mh+ me- te* xon zvh&Q, to+ e> mcyxon a/n ei> h sv&ma to+ trefo*menon, |} e> mcyxon ``poiche non si nutre nessun essere che non sia partecipe della vita, il corpo vivente potrebbe nutrirsi in quanto eÁ vivente''. CosõÁ anche Platone, descrivendo la sorte dei defunti nell'aldilaÁ, racconta che quando i morti giungono nel luogo dove ognuno eÁ accompagnato dal suo deÁmone, ``vengono giudicati separatamente quelli che sono vissuti in modo giusto e pio e quelli che non sono vissuti cosõÁ; e quelli che sembrino esser 654 vissuti a mezza via tra il bene e il male ... giungono alla palude'', diedika*santo oi% te kalv&Q kai+ oi< o<si* vQ biv*santeQ kai+ oi< mh* " kai+ oi= me+ n a/n do*jvsi me*svQ bebivke* nai, ... a$fiknoy&ntai ei$ Q th+n li* mnhn (Fedone 113 e). Talvolta bi* oQ assume il valore di ``mezzi di vita'', valore che il suo derivato bi* otoQ ha sempre: Esiodo, Opere 232 ricorda i sovrani giusti ``per i quali la terra produce abbondanti mezzi di vita'', toi& si fe*rei me+n gai& a poly+n bi* on, mentre in Omero Diomede ricorda che suo padre Tideo ``abitava una casa ricca di mezzi'', nai& e de+ dv&ma / a$fneio+n bio*toio (Iliade XIV, 121 s.); invece bioth* si riferisce al modo di vivere. A Menelao, in Odissea IV, 565, viene profetizzato che un giorno sarebbe stato accolto nei campi Elisi, ``dove eÁ dolcissima la vita per gli uomini'', t|&per r<hi* sth bioth+ pe* lei a$nurv*poisin. Nello stesso modo biotey*v eÁ un'espressione che abbraccia la vita in tutte le sue relazioni, non solo nel comportamento etico, ma altresõÁ nell'essere felici o meno. Altri termini di questo gruppo semantico sono di* aita (cf. Ippocrate, Arie, acque e luoghi, 1.5; 2.2), con il denominativo diaita*v, e il poetico ai$ v*n. Di* aita, diaita*v indicano un modo di trascorrere la vita e possono indicare la vita stessa come modalitaÁ di comportamento: cosõÁ in Eschine 2, 146 l'oratore dichiara che ``ritengo che voi siate in grado di valutare adeguatamente la mia vita e il mio comportamento di ogni giorno'', toy& me+n oy#n e$ moy& bi* oy kai+ th&Q kau$ h<me*ran diai* thQ y<ma&Q dokimasta+Q i< kanoy+Q ei#nai nomi* zv. Infine ai$ v*n, che indi- ca ``il tempo'', in varie accezioni che vanno da un tempo determinato all'eternitaÁ nella storia dei suoi usi, viene usato poeticamente per indicare il tempo assegnato alla vita degli uomini, come in Pindaro, Istmica 7, 16: do*lioQ ga+r ai$ v+n e$ p$ a$ndra*si kre*matai, e< li* ssvn bi* oy po*ron, ``giacche pende ingannevole sugli uomini il tempo, voltando il corso della loro esistenza''. Fra gli aggettivi che si formano in questo campo semantico, zvo*Q, ``vivente'', costituisce l'antonimo esatto di teunhkv*Q, ``morto'', e> mbioQ, detto di piante e di animali, eÁ chi ha in se la vita, mentre e> mcyxoQ, dato il valore di cyxh* (``principio vitale''), eÁ detto propriamente degli animali. Infine, alcune locuzioni che indicano la conservazione o la perdita della vita: tra queste, sv&ma sv*zein, letteralmente ``salvare il corpo'', significa ``salvare la vita'', come in Eschine 1, 5 ta+ me+ n tv&n dhmokratoyme* nvn sv*mata ... oi< no*moi sv*zoysi, ``le leggi garantiscono la vita di coloro che vivono in democrazia''. Un'analoga locuzione esiste per cyxh*, che propriamente eÁ il principio vitale che anima gli uomini e gli altri animali; cfr. Erodoto V, 92 e 2: Cipselo ``perseguitoÁ molti tra i Corinzi, molti privoÁ delle sostanze, e ancor molti di piuÁ della vita'', polloy+Q me+ n Korinui* vn e$di* vje, polloy+Q de+ tv&n xrhma*tvn a$pesth*rhse, polloy+Q d$ e> ti plei& stoyQ th&Q cyxh&Q. Aristotele Retorica (1358b) I generi della retorica sono tre, come di tre tipi possono essere gli ascoltatori dei discorsi; e a sua volta il discorso eÁ composto di tre elementi; chi parla, cioÁ di cui si parla e a chi si parla. Il fine del discorso eÁ rivolto a quest'ultimo, intendo dire all'ascoltatore. L'ascoltatore non puoÁ che essere spettatore o giudice, e se giudice, giudice del passato o del futuro. Un membro dell'Assemblea eÁ giudice del futuro, mentre un membro del tribunale eÁ giudice del passato, e lo spettatore eÁ giudice dell'abilitaÁ dell'oratore. Di conseguenza, ci sono tre generi di discorsi: deliberativo, giudiziario, epidittico. Il genere deliberativo consiste in un'esortazione o in una dissuasione; sempre infatti chi esprime il proprio parere in privato e chi parla in assemblea fa l'una o l'altra di queste cose. Il genere giudiziario consiste in una difesa o in una accusa; le parti in causa infatti non possono fare che l'una o l'altra di queste due cose. Il genere epidittico consiste in una lode o in un biasimo. Ognuno di questi discorsi ha un suo proprio tempo; il deliberativo il futuro (chi esorta o dissuade consiglia sempre per il futuro), il giudiziario il passato (l'accusa o la difesa riguardano fatti giaÁ avvenuti), l'epidittico il presente, perche tutti lodano o biasimano in riferimento al presente, anche se spesso ricordano il passato o prefigurano il futuro. Ognuno di questi discorsi ha un fine diverso, tre come tre sono i discorsi. Per il discorso deliberativo, il fine eÁ l'utile o il dannoso: chi raccomanda qualcosa consiglia per il meglio, chi dissuade da qualcosa cerca di evitare il peggio. Il resto, se sia giusto o ingiusto, bello o brutto, eÁ accessorio. Per il discorso giudiziario, il fine eÁ il giusto e l'ingiusto; il resto eÁ accessorio. Per il discorso epidittico, il fine eÁ il bello e il brutto, e tutto il resto viene ricondotto a questo. testi I tre tipi di discorso si distinguono in relazione al tempo cui fanno riferimento: se ci si riferisce al passato, abbiamo il discorso giudiziario; il discorso deliberativo o politico, riguarda il futuro, mentre il discorso epidittico, in lode o in biasimo di qualcosa o qualcuno, si riferisce al presente. (Trad. G. Paduano) GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. Aristotele, nel brano proposto, ha disegnato uno schema della retorica destinato a diventare classico. Ripercorrilo, completando la tabella che segue: GENERE DELLA RETORICA " DESTINATARIO " CONTENUTO TEMPO DI RIFERIMENTO FINE Deliberativo Membro dell'assemblea Epidittico " ................................ " " ................................ " ................................ " ........................................ " " ................................ " ........................................ " ................................ " " " ................................ " ................................ Utile e nocivo Accusa e difesa Retorica 3 I generi della retorica presente 2. Il semiologo Umberto Eco afferma che l'arte della persuasione, la te* xnh th&Q peiuoy&Q di un tempo, eÁ stata ereditata oggi dalla pubblicitaÁ. Discuti e giustifica tale giudizio, portando degli esempi (max. 20 righe). 3. A quale genere della retorica (deliberativo, giudiziario, epidittico) appartiene la pubblicitaÁ? 655 Poetica 4 L'origine della tragedia (1449a) Aristotele inizia la sua trattazione della tragedia con un rapido profilo storico sull'origine del genere, cui aggiunge qualche notizia anche sulla commedia, di cui si riprometteva di trattare piuÁ oltre. EÁ evidente ed eÁ stato sempre osservato che questo profilo eÁ condizionato dall'idea che Aristotele aveva dei generi letterari, considerati come esseri viventi che nascono, si sviluppano fino alla maturitaÁ fisica e poi degradano. In ogni caso, si tratta di una testimonianza preziosa, di cui eÁ necessario tenere conto. La tragedia dunque, sorta da un principio di improvvisazione ± sia essa sia la commedia, l'una da coloro che guidavano il ditirambo, l'altra da coloro che guidavano i cortei fallici che ancora oggi rimangono in uso in molte cittaÁ ± a poco a poco crebbe perche i poeti sviluppavano quanto in essa veniva manifestandosi, ed essendo passata per molti mutamenti la tragedia smise di mutare quando ebbe conseguito la propria natura. Eschilo fu il primo a portare il numero degli attori da uno a due, a ridurre la parte del coro e a conferire un ruolo rilevante alla parola; di Sofocle sono i tre attori e la pittura degli scenari. Per quanto poi riguarda la grandezza: da racconti piccoli e un linguaggio scherzoso, poiche il suo processo di trasformazione muoveva dal satiresco, assunse tardi toni solenni, e il verso di tetrametro si fece giambo. All'inizio si adoperava il tetrametro perche la poesia era satiresca e piuttosto ballabile, ma, affermatosi il parlato, fu la stessa natura a trovare il verso appropriato; il giambico eÁ in effetti il verso piuÁ colloquiale e un segno di cioÁ eÁ che nella nostra conversazione ci capita di dire spesso giambi, mentre eÁ raro che si dicano esametri, e solo quando ci si allontana dal tono discorsivo. Per quanto riguarda poi il numero degli episodi e il resto, come si dice che ciascun elemento abbia trovato la propria sistemazione, fermiamoci a quel che si eÁ detto. Considerare ogni particolare sarebbe probabilmente lavoro eccessivo. (Trad. D. Lanza) GUIDA ALL'ANALISI TEMI E CONFRONTI 1. A partire dal passo di Aristotele qui presentato e dalle considerazioni esposte alle pp. 46 ss., chiarifica ± ai fini 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO della formulazione di un'ipotesi sull'origine della tragedia ± le notizie che desumiamo dalle fonti antiche. Terrai presenti i seguenti elementi: " improvvisazione " coloro che guidavano il ditirambo " cori in onore di eroi 2. Spiega il significato dell'associazione tra improvvisazione ed origine della tragedia. 3. Seleziona le indicazioni presenti nel testo e realizza un breve schema riassuntivo della posizione di Aristotele riguardo alla storia del genere tragico. In esso terrai conto dei seguenti elementi: " numero degli attori " ampiezza dell'opera " rapporto stasimi/episodi " scenografia " metro/i impiegato/i 4. Aristotele indica nell'ambiente cultuale dionisiaco l'ambiente in cui nasce la tragedia. Sottolinea, nel testo, gli elementi che segnalano tale ``matrice'' dionisiaca. 656 A ristotele fu non solo una grande personalitaÁ di ricercatore, ma fu anche un organizzatore della ricerca collettiva eccezionalmente dotato e fortunato: non sarebbe stato possibile creare l'enciclopedia delle scienze umane e naturali che egli lascioÁ all'umanitaÁ senza la solida collaborazione di un gruppo affiatato di ricercatori; questo gruppo infatti proseguõÁ la ricerca anche dopo la morte del maestro, approfondendo molte delle direzioni di indagine da lui assunte, non tanto nel campo della metafisica quanto in quello dell'etica e delle virtuÁ morali, delle leggi e forme di governo, delle scienze naturali, della meteorologia, della geografia, della antropologia, della storia della scienza, ed altresõÁ della biografia, della retorica, della poesia e della musica. Eraclide Pontico Eraclide visse tra il 390 e il 310, fu in gioventuÁ allievo di Platone, poi subõÁ l'influenza del Peripato e scrisse di diversi argomenti filosofici e scientifici, ma soprattutto di letteratura (su Omero, Esiodo, Archiloco e sulla tragedia) e di musica, soffermandosi sulle armonie, che per lui si potevano ricondurre a tre tipi, corrispondenti alle tre stirpi elleniche, dorica, eolica e ionica. L'armonia dorica era la piuÁ semplice e austera, quella eolica era altera e un po' diffusa, mentre quella ionica era la piuÁ delicata. Dicearco da Messina Dicearco ebbe molteplici interessi che riguardavano la politica (studioÁ le costituzioni di varie cittaÁ greche, approfondendo la dottrina della costituzione mista), la storia letteraria, la storia della civiltaÁ e la geografia. Aristosseno di Taranto Nacque nel 370 e fu allievo dapprima del pitagorico Senofilo. Alla scuola di Aristotele approfondõÁ il genere biografico e scrisse vite di Socrate, Platone, Archita e del ditirambografo Teleste; ma fu soprattutto un grande teorico di problemi musicali. Di lui ci sono giunti gli Elementi armonici in tre libri e parte degli Elementi ritmici. Negli Elementi armonici sono trattati gli intervalli e i sistemi musicali, la composizione della melodia e i generi diacronico, cromatico e enarmonico: in questo modo egli affrontava nel quadro della filosofia di Aristotele una dottrina che era stata per lungo tempo studiata dai Pitagorici e che recentemente era stata rivoluzionata dai ditirambografi sulla base del concetto di ritmo. Altri allievi di Aristotele furono Demetrio del Falero e Cameleonte di Eraclea pontica. Il primo si occupoÁ di etica, di filologia e di storia, mentre il secondo divenne famoso per le biografie di molti poeti, di cui illustrava le vite attingendo alle loro opere. Teofrasto di Ereso Teofrasto fu il piuÁ stretto collaboratore di Aristotele e gli successe alla guida della scuola nel 322 a. C.; visse fino al 288. Fu il promotore della tendenza a privilegiare le discipline specialistiche rispetto alla metafisica, che era stata il primo interesse del fondatore della scuola. Abbiamo un catalogo dei suoi scritti, che con 226 titoli ci illustra una produzione che abbraccia tutta l'encilopedia dello scibile: dalla logica alla metafisica, dalle scienze naturali alla politica, dalla retorica alla letteratura. Di tutte queste opere ci sono giunti due trattati di botanica, Historia plantarum e De causis plantarum, un compendio di metafisica e alcuni opuscoli scientifici; inoltre un'operetta, intitolata I Caratteri, raccolta di trenta vivacissimi bozzetti che delineano tipi umani per qualche verso caratteriali, come lo spilorcio, lo scortese, l'avaro, il superbo. Ognuno di essi eÁ definito sinteticamente, e poi rappresentato icasticamente nei comportamenti in cui si manifesta. 657 La scuola di Aristotele La scuola di Aristotele 427 Nascita di Platone 399 Morte di Socrate IL CONTESTO n Epoca: IV secolo a.C. n Platone e Aristotele svolsero la loro attivitaÁ didattica e speculativa per lo piuÁ ad Atene: il primo ± allievo di Socrate ± vi fondoÁ nel 378 a.C. una scuola detta Accademia, il secondo ± allievo proprio di Platone ± vi aprõÁ nel 335 a.C. un'altra scuola detta Liceo (o Peripato). 347 Morte di Platone 322 Morte di Aristotele 350 400 387-361 378 Viaggi di Platone fonda Platone in Sicilia l’Accademia 384 Nascita di Aristotele 367 Morte di 335 Dionisio I 323 338 Aristotele di Siracusa, Morte di fonda il Battaglia gli succede Liceo Alessandro Dionisio II di Cheronea IL GENERE LETTERARIO n Per quanto concerne Platone, il genere prediletto fu il ``dialogo'', dove la speculazione filosofica ± in lingua attica ± si colorisce di vivacitaÁ dialettica; al centro di molte sue opere c'eÁ il ``personaggio'' di Socrate. n Aristotele invece produsse, con una lingua che anticipa la koineÂ: scritti cosiddetti esoterici che si configuravano come veri e propri ``strumenti di lavoro'', quasi ``dispense'' per gli allievi della sua scuola; scritti cosiddetti essoterici, pensati cioeÁ per la pubblicazione esterna: di essi resta solo La costituzione di Atene. GLI AUTORI, LE OPERE E LE IDEE n Platone (V-IV sec. a.C.) n Nacque e morõÁ ad Atene (427-347 a.C.), e qui lungamente operoÁ, segnato dal magistero di Socrate (che seguõÁ fino alla morte del maestro, nel 399); ebbe anche tre deludenti esperienze presso la corte dei tiranni di Siracusa, nella speranza di fare di loro dei ``sovrani filosofi''. n Di lui ci restano: l'Apologia di Socrate, trentaquattro dialoghi filosofici, tredici lettere. n Le opere scritte fino al 387 (primo viaggio in Sicilia) propongono una ricerca ± non sempre conclusa ± di concetti morali (coraggio, amicizia, pietaÁ religiosa, temperanza, giustizia): tra esse spiccano l'Apologia e il Critone. Á (387-367 a.C.) esprimono la metafisica platonica, attraverso la cosiddetta ``dottrina n Le opere della maturita delle idee'' (per la quale la realtaÁ terrena eÁ solo una ``copia'' del divino mondo delle idee, mentre il corpo umano eÁ ``prigione'' dell'anima): si segnalano soprattutto il Simposio, il Fedone, il Fedro, la Repubblica. Á il rapporto tra il mondo delle idee e n Le opere della vecchiaia (posteriori al 367 a.C.) affrontano per lo piu quello sensibile: tra le piuÁ importanti, il Timeo, il Crizia, le Leggi. 7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO n n Aristotele (IV sec. a.C.) n Á a lungo ad Atene; tra le sue altre esperienze, n Nacque a Stagira e morõÁ a Calcide (384-322 a.C.), ma opero quella ± assai lunga ± ad Assos presso il re Ermia, e in Macedonia presso Filippo, dove fu precettore di Alessandro Magno. Á sensibile (svalutata n Lo sforzo filosofico di Aristotele fu quello di valorizzare maggiormente la realta dall'idealismo platonico), ritenendola sintesi di forma e materia: per Platone la filosofia era il filosofare, una ricerca continua e senza fine della veritaÁ, mentre per Aristotele la filosofia eÁ un sistema organico, che si basa su una dottrina dell'essere in quanto essere (filosofia prima) e affronta le varie forme in cui l'essere si realizza, in natura, nella vita associata degli uomini, nei loro comportamenti, nelle loro manifestazioni spirituali; nelle sue opere (che trattano di logica, fisica e scienza, psicologia, filosofia prima o metafisica, etica, politica, retorica ed estetica) vi eÁ la volontaÁ di classificazione e catalogazione della realtaÁ. 658 300 a.C. ... per memorizzare 450 a.C. strumenti PLATONE E ARISTOTELE strumenti strumenti PLATONE E ARISTOTELE ... per verificare Quesiti a risposta multipla 1. Quale fu l'ultima opera scritta da Platone? a. & b. & c. & d. & Simposio Timeo Menesseno Leggi 2. In quale dialogo Platone affronta il problema dell'origine del mondo? a. & b. & c. & d. & Eutidemo Critone Timeo Filebo Quesiti a risposta singola (max. 5 righe) 6. Sintetizza il contenuto del Critone di Platone. 7. Spiega la dottrina dello Stato presentata nella Repubblica di Platone. 8. Delinea i concetti fondamentali esposti da Aristotele nella Metafisica. 9. Delinea i concetti fondamentali esposti da Aristotele nella Poetica. 10. Spiega in che senso per Aristotele la filosofia costituisce un sistema organico. 3. La scuola che fondoÁ Aristotele fu chiamata: a. & b. & c. & d. & Liceo StoaÁ Accademia Ginnasio 4. Aristotele fu precettore di: a. & b. & c. & d. & Filippo II di Macedonia Alessandro Magno Isocrate Alcibiade 5. Aristotele nella Poetica: a. & giustifica la poesia, opponendosi a Platone b. & condanna la poesia c. & condanna solo la poesia epica d. & condanna solo la tragedia Trattazione sintetica di argomenti (max. 15 righe) 11. Sintetizza il contenuto dell'Apologia e spiegane la sua importanza. 12. Delinea la concezione dell'amore esposta da Platone nel Simposio. 13. Spiega, facendo qualche riferimento ai testi, l'uso del mito nei dialoghi di Platone. 14. Delinea le caratteristiche dei dialoghi di Platone. 15. Esponi la problematica relativa alle opere esoteriche e a quelle essoteriche di Aristotele. 659