7 La filosofia
nel IV secolo
Platone Aristotele
Eraclide Pontico Dicearco
Aristosseno Teofrasto
La po*liQ e l'organizzazione del sapere
N
el corso del V secolo la filosofia, attraverso l'umanesimo sofistico e socratico,
aveva rivolto la sua attenzione soprattutto alla vita associata che si svolgeva
nella comunitaÁ politica (" pp. 10 ss.). Nel IV secolo ± in cui si assiste alla crisi della
po*liQ ± gli obiettivi della ricerca filosofica saranno due: da un lato, la riflessione
sull'interioritaÁ della coscienza personale, con lo sviluppo di un'istanza che era stata
propria dell'eleatismo (" p. 15); dall'altro, l'impegno concreto nella verifica scientifica secondo gli insegnamenti della scuola ionica (" p. 15).
La comunitaÁ civile continuoÁ a essere oggetto di riflessione filosofica anche
durante il IV secolo, ma assai spesso i pensatori si chiesero come la cittaÁ potesse
meglio rispondere alle istanze che nascevano dalla coscienza del singolo. Del resto,
nell'Atene che aveva fondato la sua grandezza sullo sfruttamento degli alleati
sudditi, giaÁ Socrate aveva sostenuto che la giustizia non doveva essere ricercata
nelle assemblee popolari, ma nella privata ricerca della veritaÁ e che il vero tribunale
a cui l'uomo deve rispondere eÁ la sua coscienza.
Platone Interprete coerente delle istanze del socratismo eÁ Platone, che, prendendo
atto delle contraddizioni evidenti del mondo sensibile, indica il criterio della
veritaÁ nella sfera esclusiva del razionale e delle idee pure: una dimensione a cui gli
oggetti del mondo in cui viviamo partecipano solo in parte. Benche per Platone la
realtaÁ si fondi sul mondo distaccato e interiore dell'idea, non viene meno nella sua
filosofia l'interesse per la creazione di una comunitaÁ civile che tenda all'ideale
trascendente del giusto. Proprio a questi principi si ispira la piuÁ vasta e complessa
delle sue opere, la Repubblica, mentre il tentativo di realizzare in concreto quel
modello ideale indusse Platone a compiere ripetuti viaggi in Sicilia, anche a costo di
fatiche fisiche (aveva sessantasette anni quando partõÁ per la terza volta) e a rischio
della sua stessa vita (" p. 562).
Aristotele Il maggiore tra gli allievi di Platone, Aristotele, individuoÁ la realtaÁ concreta
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
in una sintesi di materia sensibile e di forma ideale, il ``tutt'uno'' (sinolo).
Egli riconobbe, al centro di tutta la realtaÁ nella sua poliedrica multiformitaÁ, una
forma pura, pensiero di pensiero, motore immobile di tutto l'universo. Aristotele si
sforzoÁ anche di organizzare ± attraverso le ricerche e gli scritti suoi e della sua scuola
± le scienze del mondo umano: nella sua ricerca incluse la politica, la poetica e la
retorica, secondo l'istanza sofistica e socratica, ma anche la scienza della natura,
dalla biologia alla fisica all'astronomia, secondo la tradizione ionica. Gran parte
dell'enciclopedia delle scienze che caratterizzoÁ soprattutto il secolo seguente eÁ
dovuta all'opera di Aristotele e dei suoi allievi.
560
testi
Platone
Platone
1
2
3
4
Apologia di Socrate
I primi accusatori (18a-19a)
Il sapere di Socrate (20c-21d)
Restare al proprio posto (28a-d in it.)
Il congedo (40c-42a)
Critone
5 Il discorso delle Leggi (50a-54e)
Simposio
6 Eros desidera cioÁ
che non ha (119c-201d in it.)
7 Eros eÁ figlio di Poros e Penia (203b-203e)
8 Eros eÁ amore di immortalitaÁ (205d-207a in it.)
9 Per conoscere cioÁ che eÁ bello
in se (209a-212b in it.)
10 Socrate come Marsia (215a-216c in it.)
11 Ha qualitaÁ che nessuno
possiede (219d-222b in it.)
Fedone
12 Introduzione al dialogo (59d-63b in it.)
13 La morte (115b-118a)
Repubblica
14 I filosofi e il governo dello Stato (487b-490e)
15 Il mito della caverna (514a-516c in it.)
16 L'idea del Bene (517c-521b in it.)
P
latone nacque ad Atene nel 427 a.C. da una famiglia della piuÁ alta nobiltaÁ attica:
da parte di padre discendeva dall'ultimo re di Atene, il mitico Codro, da parte di
madre dal grande legislatore Solone; cugino della madre fu l'oligarca Crizia, uno
dei Trenta tiranni. Il suo vero nome era ArõÁstocle: fu soprannominato Platone dal
suo maestro di ginnastica, perche aveva le spalle larghe.
L'incontro con Socrate L'evento fondamentale della sua vita fu, a vent'anni, l'incontro con Socrate,
che otto anni piuÁ tardi, nel 399, sarebbe stato condannato a morte con
l'accusa di empietaÁ. La vita politica allora attraeva il giovane Platone, che era imparentato con molti esponenti del partito conservatore; ben presto tuttavia rimase
deluso, sia dai Trenta, che avevano instaurato un governo sanguinario, sia dalla
restaurata democrazia, che aveva condannato a morte il suo maestro, l'uomo piuÁ
giusto da lui conosciuto. L'esperienza del processo e della condanna di Socrate fu
decisiva per lui, giaÁ profondamente turbato dai delitti perpetrati dai Trenta in nome
della restaurazione dei valori morali.
In relazione a queste esperienze Platone andoÁ formando la propria personalitaÁ:
per lui, come per qualsiasi Ateniese e per la maggior parte dei Greci dei suoi tempi,
il problema politico era fondamentale; Platone non riusciva ad accettare nessuna
delle forme politiche che aveva sperimentato, e per tutta la sua vita coltivoÁ l'idea di
costituire una cittaÁ giusta, in antitesi a quelle ingiuste che aveva conosciuto.
561
In Magna Grecia A circa quarant'anni, nel 387, Platone visitoÁ la Magna Grecia e frequentoÁ
e in Sicilia gli ambienti pitagorici di Taranto e di Crotone. In seguito, in Sicilia,
conobbe Dionisio, tiranno di Siracusa, e cercoÁ di convincerlo a costituire
uno Stato giusto, che fosse ispirato all'idea del Bene. Per questo progetto poteÂ
contare sull'aiuto del cognato di questi, Dione, giovane ed entusiasta degli studi
filosofici; tuttavia Dionisio espulse immediatamente Platone da Siracusa, mandandolo ad Egina che allora era in guerra contro Atene: il filosofo fu fatto prigioniero e
rischioÁ di essere venduto come schiavo.
Fonda l'Accademia Ritornato ad Atene, Platone fondoÁ in quello stesso anno, il 387, la sua
scuola, sull'esempio delle comunitaÁ pitagoriche della Magna Grecia: la
chiamoÁ Accademia, perche si trovava nei giardini consacrati all'eroe AcadeÁmo.
Nella scuola i discepoli vivevano prendendo i pasti in comune, studiando e discutendo di filosofia con il maestro.
Secondo viaggio Nel 367 Dionisio di Siracusa morõÁ e gli successe il giovane figlio Dionisio II.
in Sicilia Lo zio di questi, quel Dione che Platone aveva conosciuto durante il primo
viaggio in Sicilia, insistette perche il filosofo rinnovasse il suo progetto di
costruire a Siracusa uno stato conforme a giustizia; allora Platone, nonostante il
fallimento del suo primo viaggio, ritenne di non dover rinunciare a questa possibilitaÁ
e partõÁ ancora una volta. Fu accolto splendidamente, ma l'ambiente di corte era
ostile e sospettoso; due anni dopo, quando Dionisio, per gelosia, mandoÁ in esilio
Dione, Platone, deluso, rientroÁ in patria.
Terzo viaggio in Sicilia Nel 361 fu Dionisio II stesso a richiamarlo ancora una volta. Platone esitoÁ a
lungo, ma alla fine partõÁ: la situazione peroÁ si era ulteriormente complicata,
per i permanenti contrasti tra Dione e il tiranno, e per le continue ingerenze di
quest'ultimo che, tra l'altro, tratteneva Platone contro la sua volontaÁ impedendogli
di lasciare la Sicilia; solo grazie all'intervento del pitagorico Archita di Taranto, nel
360, Platone rientroÁ in Atene, dove continuoÁ a insegnare e a scrivere fino al 347,
quando, a ottant'anni, morõÁ.
L'opera platonica Gli scritti di Platone ci sono giunti tutti. Il corpus delle trentasei opere di
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
Platone che l'antichitaÁ ci ha trasmesso (l'Apologia di Socrate, trentaquattro
dialoghi, tredici lettere) contiene peroÁ alcuni scritti probabilmente non suoi. Sull'ordine di composizione sappiamo solo che le Leggi furono la sua ultima opera. Le
opere di Platone sono distinte in tre gruppi. Questa distinzione si fonda, da un lato,
su osservazioni stilistiche (la complessitaÁ crescente della struttura sintattica), dall'altro, su considerazioni di ordine contenutistico: certe opere sembrano restituire piuÁ
fedelmente l'atteggiamento problematico di Socrate, mentre in altre ha sempre piuÁ
spazio la metafisica delle idee propria della filosofia di Platone. All'interno dei tre
gruppi, ricordiamo i dialoghi principali:
a) opere della giovinezza, anteriori al primo viaggio in Sicilia (dal 396 fino al
387): LacheÁte, LõÁside, EutõÁfrone, Carmide, Protagora, Ippia minore, Gorgia, Apologia di
Socrate, Critone, Ione, Alcibiade I, Ippia Maggiore, Repubblica libro I, Menesseno;
b) opere della maturitaÁ, composte tra il primo e il secondo viaggio (387-367):
Menone, Cratilo, Eutidemo, Simposio, Fedone, Repubblica libri II-X, Fedro, Clitofonte;
c) opere della vecchiaia, posteriori al secondo viaggio in Sicilia (dopo il 367):
Parmenide, Teeteto, Sofista, Filebo, Timeo, Politico, Leggi (in dodici libri), Crizia,
Lettere (tredici, non tutte autentiche).
562
Lachete, Liside Nel Lachete diversi personaggi discutono tra loro per definire il coraggio
ed Eutifrone (dialogo diretto), mentre nel Liside Socrate riferisce una conversazione
avuta con due giovani per definire l'amicizia.
Nell'Eutifrone Socrate ed Eutifrone discutono sul concetto di pietaÁ religiosa, ey$se* beia. In questi tre dialoghi eÁ evidente l'intenzione di rendere testimonianza a
Socrate, ma nell'Eutifrone appare giaÁ il tema del processo e della morte del Giusto.
Nell'atrio dell'arconte re, che giudica in via preliminare i delitti contro la religione,
Socrate attende di essere rinviato a giudizio per l'accusa di empietaÁ: nell'attesa,
discute con Eutifrone, che vuole trascinare in giudizio suo padre per l'uccisione
involontaria di uno schiavo; oggetto della discussione eÁ cosa si deve considerare pio
e cosa, invece, empio.
Carmide Nel Carmide oggetto della discussione eÁ la temperanza; nel Protagora Soe Protagora crate discute con il sofista se la virtuÁ sia insegnabile o meno.
Protagora eÁ convinto che lo sia, e adduce come prova il fatto che in tutte
le cittaÁ i cittadini si preoccupano che i propri figli apprendano cioÁ che debbono fare:
e questo fa pensare che nell'opinione comune la virtuÁ sia insegnabile; Socrate
obietta che spesso i figli di uomini eccellenti sono assai inferiori ai loro padri: se la
virtuÁ fosse insegnabile, questi l'avrebbero insegnata ai loro figli. Ma, nel corso della
discussione, mentre Protagora si avvicina al punto di vista di Socrate, questi chiarisce il suo concetto di virtuÁ, che consiste nel sapere cioÁ che si deve fare; in questo
modo Socrate passa al punto di vista assunto prima da Protagora (la virtuÁ eÁ insegnabile), e ritorce contro di lui la pretesa sofistica che su ogni argomento si possano
dire cose opposte.
Ippia minore Nell'Ippia minore Socrate afferma che chi mente sapendo di mentire eÁ
moralmente superiore a chi mente senza sapere; contesta cosõÁ la dottrina
giuridica secondo la quale chi sbaglia volontariamente deve essere punito piuÁ
severamente di chi sbaglia involontariamente. La base di questo paradosso eÁ evidentemente il principio socratico che ``nessuno sbaglia volontariamente'', in quanto
la virtuÁ eÁ conoscenza, come si concludeva giaÁ nel Protagora.
Gorgia Il Gorgia affronta il problema dell'uso della retorica: secondo Gorgia la
retorica ha la semplice funzione di creare persuasione, in giudizio o in
assemblea, indipendentemente dall'uso positivo o negativo che qualcuno ne potrebbe fare; Socrate contesta questa asserzione, e illustra il principio che eÁ meglio subire
ingiustizia piuttosto che farla. Questo dialogo si allontana dall'atteggiamento aporetico proprio del socratismo, e annuncia un metodo costruttivo che saraÁ piuttosto
quello di Platone.
563
Platone
Quanto ad Alcibiade II, Ipparco, AnterastaÁi, Minosse, Teage, Epinomide la critica
generalmente li considera spuri, mentre eÁ divisa per Alcibiade I, Menesseno, Ippia
maggiore, Clitofonte. Un problema a se stante eÁ infine quello dell'autenticitaÁ delle
Lettere (delle quali parrebbero autentiche la VI, la VII e l'VIII).
Gli scritti del primo gruppo si propongono la definizione di alcuni concetti
morali, come il coraggio, l'amicizia, la pietaÁ religiosa, la temperanza, la giustizia,
ponendo problemi che spesso restano aperti; quelli del secondo gruppo esprimono
la metafisica platonica delle idee, mentre quelli del terzo gruppo affrontano i problemi conseguenti all'accettazione della teoria delle idee, vale a dire il rapporto
dialettico tra la sfera dell'intelligibile e quella del sensibile, tra il mondo delle idee,
accessibile solo all'intelletto, e quello che eÁ certificato dai nostri sensi.
Apologia di Socrate Con l'Apologia di Socrate, Platone vuole riprodurre a distanza di parecchi
anni il discorso di difesa che Socrate avrebbe pronunciato davanti al tribunale di Atene, nel corso del processo che lo vide imputato per a$se* beia. Anche se non
sempre Platone riporta fedelmente il pensiero del maestro nell'Apologia, dietro la
dottrina dell'immortalitaÁ dell'anima, eÁ riconoscibile l'atteggiamento tipicamente
socratico della sospensione del giudizio.
Dall'opera emerge chiaramente la funzione che Socrate assunse nei confronti
della comunitaÁ civile e politica di Atene: la missione affidata dal dio a lui, unico
saggio ± in quanto consapevole della propria ignoranza ± eÁ di sollecitare i suoi
concittadini a interrogare la propria coscienza e a rendersi conto dei limiti del loro
sapere (" Testi 1-4).
Critone Il Critone eÁ un dialogo tra Socrate, in carcere dopo essere stato condannato
a morte, e il suo vecchio amico Critone, che lo sollecita ad accettare la
proposta sua e di altri amici: corrompere i guardiani e fuggire dal carcere evitando
l'esecuzione capitale, perche la gente non creda che Socrate non ha potuto salvarsi
per la scarsa disponibilitaÁ degli amici. Socrate risponde sorridendo che non bisogna
preoccuparsi di cioÁ che pensa la gente: importa solo quello che pensano coloro che
sanno davvero. Afferma inoltre di essere stato allevato ed educato secondo i principi
stabiliti dalle leggi, che considera inviolabili (" Testo 5).
Menone Nel Menone si dimostra che la veritaÁ sta nell'interno della coscienza e non
viene appresa ``dal di fuori''. Socrate interroga lo schiavo di Menone, che
non sa nulla di geometria, e gli chiede come si puoÁ costruire un quadrato doppio di
un quadrato dato. Naturalmente lo schiavo non eÁ in grado di rispondere, ma
attraverso una serie accorta di domande Socrate riesce a fargli trovare la soluzione
giusta. Dato che Socrate non gli ha fornito alcuna informazione, si deve concludere
che lo schiavo ha ritrovato nella sua memoria una conoscenza innata.
Cratilo Nel Cratilo: Socrate discute con il parmenideo Ermogene e con l'eracliteo
Cratilo sulla natura del linguaggio e, in particolare, sulla relazione fra parole e
significati; da un lato, Ermogene ritiene che i nomi delle cose non siano legati per natura
alle cose stesse (in accordo con l'idea della convenzionalitaÁ dei nomi), dall'altro Cratilo eÁ
convinto che il rapporto tra parola e cosa sia insito nella natura della cosa. Socrate
accetta di dare credito a Cratilo, per suffragare la sua ipotesi, esamina le etimologie di
alcuni nomi. Risulta allora chiaro che certi nomi possono essere analizzati in modi
differenti; di conseguenza Socrate considera con scetticismo la possibilitaÁ che l'analisi
del linguaggio conduca ad una corretta comprensione dell'essenza delle cose.
Eutidemo L'Eutidemo attacca il relativismo che Platone attribuisce alla sofistica, at7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
traverso lo scontro dialettico tra i due sofisti Eutidemo e Dionisodoro.
Simposio Il Simposio eÁ il primo dei grandi dialoghi in cui Platone espone la propria
dottrina. Il dialogo riproduce una discussione (dialogo narrato) avvenuta a
casa del poeta Agatone, in occasione del convito per festeggiare la sua vittoria nelle
Lenee del 416: gli invitati sono Fedro, appassionato di retorica, il suo amico
prediletto Pausania, il medico Erissimaco, il poeta comico Aristofane e Socrate.
Ognuno degli intervenuti pronuncia un elogio di Eros: Fedro narra un mito secondo cui Eros sarebbe un demone capace di ispirare l'eroismo in chi ama, e dimostra
la sua affermazione con l'esempio di Alcesti, che aveva accettato di morire al posto
del marito Admeto; secondo Pausania ci sono due tipi di Eros, come esistono due
564
Fedone Che il sapere debba essere cercato in se stessi era stato giaÁ indicato nel
Menone; questo concetto tuttavia trova la sua giustificazione piena nel
Fedone, il dialogo in cui Fedone racconta al suo amico Echecrate delle ultime ore
di vita di Socrate. Ai suoi discepoli, il maestro spiega che non devono affliggersi per la
sua morte imminente, perche Socrate non eÁ il corpo ormai cadente per la vecchiaia
che sta loro davanti, ma la sua anima immortale; l'anima, una volta libera dalle
catene che la vincolano al corpo, potraÁ finalmente contemplare le idee, e raggiungere
cosõÁ la beatitudine per cui eÁ nata e che ha sempre desiderato. L'argomento decisivo
per la dottrina delle idee eÁ costituito dall'idea di uguale: spesso vediamo due oggetti,
dice Socrate, che si assomigliano in tutto, e diciamo che sono uguali; poi li osserviamo con maggiore attenzione, e correggiamo la nostra prima impressione; non sono
del tutto uguali, ma ci sono sembrati tali. Dunque l'idea dell'uguale non puoÁ venirci
dall'esperienza, di cui non possiamo essere mai sicuri: questa idea saraÁ invece una
pura forma innata dell'intelletto, con cui confrontiamo le sensazioni fornite dall'esperienza, per concludere che non c'eÁ mai corrispondenza tra l'intelletto e i sensi. In
questo modo Platone recupera l'idea del primato dell'intelligibile sul sensibile, che
era stata formulata a suo tempo dagli Eleati (" Testi 12-13).
La veritaÁ dunque si trova nella coscienza del singolo, ma per un greco del
IV secolo un uomo non puoÁ essere pensato se non nell'ambito di una
comunitaÁ. Socrate nel Critone escludeva di poter vivere in esilio, fuggendo
da quelle leggi che avevano regolato la sua nascita e la sua educazione; cosõÁ
anche Platone concepiva la vita umana solo nell'ambito di uno Stato, per
quanto di uno Stato ideale che potrebbe non realizzarsi mai nell'ambito dell'esperienza. Se questo Stato si realizzasse, sarebbe la CittaÁ giusta in opposizione assoluta
alla CittaÁ ingiusta in cui il Giusto viene condannato a morte.
L'uomo non puoÁ non
essere pensato se non
nell'ambito di una
comunitaÁ
Repubblica Lo Stato perfetto eÁ descritto nei dieci libri della Repubblica, forse il capo-
lavoro di Platone. Il dialogo si svolge al Pireo, nella casa del vecchio Cefalo,
il padre dell'oratore Lisia e di Polemarco, e vi partecipano anche i due fratelli di
Platone, Glaucone e Adimanto. Nel primo libro, si confuta la tesi esposta dal sofista
565
Platone
Afroditi, una celeste e una volgare; Erissimaco sostiene che Eros eÁ presente in tutti gli
esseri; Aristofane racconta una storia fantasiosa, come le sue commedie: in origine gli
esseri viventi erano dotati di due sessi ciascuno, di solito uno maschile e uno femminile,
ma alcuni avevano due sessi maschili, altri due femminili; per reprimere l'arroganza di
questi esseri, Zeus li divise a metaÁ e, da allora, le due parti si ricercano reciprocamente
per ricostruire l'unitaÁ originaria. Dopo Agatone e il suo elogio della delicatezza e della
bellezza di Eros, eÁ la volta di Socrate, che riferisce ai convitati la storia che un tempo gli
aveva raccontato Diotima di Mantinea: Eros eÁ figlio di Poros e di Penia, di Astuzia e di
PovertaÁ; nel giorno in cui gli deÁi festeggiavano la nascita di Afrodite, Poros si ubriacoÁ e
Penia volle concepire un figlio da lui: gli si sdraioÁ accanto, e concepõÁ Eros, che essendo
figlio di Poros e di Penia eÁ povero ma ama la ricchezza, non eÁ bello ma ama la bellezza,
eÁ ignorante e quindi ama la sapienza, che delle cose belle eÁ la piuÁ bella. Il filosofo eÁ
come Eros: non eÁ sapiente, ma ama e desidera la sapienza che non ha.
Il dialogo eÁ concluso dall'arrivo di Alcibiade, ubriaco, che pronuncia un
singolare elogio di Eros, identificandolo con Socrate, che ispira a chi sta con lui
il desiderio della bellezza e della sapienza. Se la filosofia eÁ eros, ossia desiderio di
conoscere l'essenza ultima delle cose, il filosofo eÁ un innamorato, inquieto e
appassionato come tutti gli innamorati, in grado di ispirare a chi sta con lui
l'amore che prova (" Testi 6-11).
Trasimaco, che la giustizia eÁ l'interesse del piuÁ forte (questo libro potrebbe essere
stato composto nella fase ``socratica'' del pensiero di Platone). In seguito Socrate va
delineando la struttura di uno Stato che sia governato dai filosofi (Custodi), difeso
dai guerrieri, e sostenuto dall'attivitaÁ economica di artigiani e commercianti. In
ognuna di queste classi prevale una delle tre funzioni dell'anima: la ragione guidata
dalla saggezza (filosofi), la volontaÁ guidata dalla fortezza (guerrieri), il desiderio
guidato dalla temperanza (artigiani e commercianti). I Custodi devono mettere in
comune non solo i beni, ma anche le donne e i figli, in modo da essere liberi da ogni
passione privata e preoccuparsi soltanto del bene della comunitaÁ. Da questo Stato
devono essere esclusi i poeti, soprattutto quelli che compongono poesia, epica o
drammatica. I poeti epici infatti producono immagini immorali degli deÁi, soggetti a
passioni vili quali l'ira e la lussuria, colpevoli di azioni immorali (come gli adulteÁri
di Zeus), o violente, come la battaglia degli deÁi sotto le mura di Troia. I poeti imitano
la realtaÁ sensibile, che eÁ a sua volta imitazione del mondo ideale, quindi la loro poesia
costituisce un'imitazione di secondo grado, ancor piuÁ contraddittoria e remota dal
mondo delle idee di quanto possa esserlo il mondo sensibile (" Testi 14-15).
Fedro Il tema dell'amore eÁ oggetto anche del Fedro: Socrate e Fedro ne discu-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
tono sotto un platano presso le rive dell'Ilisso, appena fuori Atene. Fedro
legge a Socrate un discorso che attribuisce a Lisia, secondo cui eÁ meglio compiacere chi non ci ama piuttosto che chi ci ama: chi non ci ama, infatti, saraÁ
molto meno turbato dalla passione, piuÁ ragionevole e quindi piuÁ gradevole;
Socrate propone un ragionamento analogo, ma dopo averlo concluso si pente,
e dichiara che non vorrebbe aver pronunciato un discorso cosõÁ blasfemo. Spiega
invece che l'amore eÁ una sorta di divina follia che turba l'anima e la spinge alla
ricerca della bellezza ideale e della veritaÁ che coincide con essa. Per illustrare
l'idea racconta un mito: le anime degli uomini sono come bighe alate trascinate
da un cavallo bianco e da uno nero; prima di incarnarsi nei corpi, hanno
percorso una via nello spazio che sta sopra al cielo, l'iperuranio. L'auriga che
regge la biga rappresenta la parte razionale dell'anima, il cavallo bianco eÁ
l'anima passionale, mentre quello nero eÁ l'anima soggetta agli istinti: l'auriga
punta verso l'alto, per meglio contemplare da vicino le idee intelligibili, e l'anima
passionale collabora con lui, mentre il cavallo nero, cioeÁ l'anima che eÁ soggetta
alla concupiscenza, cerca di tirare la biga verso il basso. Le anime i cui aurighi
riescono meglio a governare la biga giungendo a contemplare piuÁ da vicino le
idee, dopo la reincarnazione, conservano piuÁ chiaro il ricordo dei modelli immortali che hanno contemplato.
Il dialogo si conclude con una riflessione sulla retorica: la vera retorica eÁ quella
che conosce l'essenza intelligibile (le idee), e procede attraverso la dialettica, che
divide e riunisce i concetti, organizzandoli secondo la loro essenza.
Parmenide Argomento del Parmenide eÁ appunto la dialettica, che indaga sul rapporto,
e Teeteto non chiaramente definibile, tra i modelli ideali della realtaÁ e gli oggetti della
conoscenza sensibile. Il Teeteto invece affronta i vari gradi della conoscenza,
soffermandosi in particolare sulla funzione che ha in questa ricerca lo studio della
matematica. Il problema che questi dialoghi affrontano eÁ come l'idea (una e reale),
puoÁ sussistere, senza cessare di essere una, nelle cose sensibili, che sono molte.
Mentre i dialoghi maggiori esaminavano la dialettica interna al mondo ideale, nella
sua separatezza da quello sensibile, questi due dialoghi iniziano a porre il problema
di evitare una separazione totale tra l'essere in seÂ, che eÁ oggettivo e fisso, e la
soggettivitaÁ di chi conosce.
566
delle idee; cioeÁ, eÁ impossibile che ``l'essere perfetto sia privo di movimento,
di anima, d'intelligenza, che non viva ne pensi''; invece, l'essere deve comprendere
in se l'intelligenza che lo conosce, e quindi deve essere movimento e quiete: quiete,
in quanto la stabilitaÁ eÁ condizione perche l'essere sia, ma anche movimento, percheÂ
l'intelligenza implica vita e quindi movimento. La dialettica eÁ la scienza che scopre
come il ``non essere'' non implica il nulla, come voleva Parmenide, ma semplicemente cioÁ che eÁ diverso, l'altro essere.
Filebo Nel Filebo si affronta nuovamente l'indagine sul bene, e si giunge alla con-
clusione che per l'uomo il bene non puoÁ essere semplice piacere; infatti, una
vita fondata sul piacere, senza sapere cosa sia piacere, sarebbe animale, ma anche
una vita di pura intelligenza non sarebbe umana. Per risolvere il problema, Platone
ricorre ai concetti pitagorici di limite e di illimitato. Funzione del limite eÁ riunire cioÁ
che eÁ disperso perche illimitato (principi come il caldo e il freddo, il piacere e il
dolore): decade cosõÁ l'opposizione tra l'uno e i molti, perche determinare il numero
dei molti significa ricondurli all'unitaÁ. Nella vita umana dunque si mescolano
piacere e intelligenza, in una proporzione determinata dall'intelligenza.
Timeo A questo punto il compito dell'indagine diviene il recupero del mondo
naturale: il Timeo affronta il problema dell'origine del mondo. Questo
problema non puoÁ essere trattato con la dialettica, che riguarda solo cioÁ che eÁ
modificabile. Platone si serve dunque di un mito: il Demiurgo, divinitaÁ artigiana,
ha prodotto il mondo trasferendo l'idea nella materia, attraverso il tempo, che eÁ
``immagine mobile dell'eternitaÁ''.
Politico Con il Politico Platone ritorna al problema dell'organizzazione della comu-
nitaÁ civile, ma non piuÁ per tracciarne un'immagine ideale come nella
Repubblica, bensõÁ in termini empirici, suggerendo al legislatore l'uso della misura,
come nel progetto etico del Filebo: grazie alla misura, saraÁ possibile conciliare
l'indole degli uomini coraggiosi e di quelli prudenti. Anche le leggi costituiscono
una necessitaÁ: prescrivono in modo sommario cioÁ che eÁ il meglio per tutti, e
costituiscono anche l'elemento che distingue le forme positive di governo da quelle
deteriori; le leggi, infatti, distinguono la monarchia dalla sua degenerazione, la
tirannide; distinguono l'aristocrazia dall'oligarchia, mentre la democrazia eÁ sempre
senza leggi e quindi eÁ in assoluto il peggiore di tutti i governi possibili.
Leggi Il tema delle leggi, che debbono governare la comunitaÁ, eÁ quindi affrontato
nell'ultima opera di Platone, appunto le Leggi. Il dialogo, in dodici libri, fu
pubblicato da Filippo di Opunte dopo la morte del maestro. La natura umana eÁ
inevitabilmente fragile e insicura, e lo stato deve necessariamente imporre le leggi;
queste non solo devono prescrivere i migliori modi di comportamento, ma devono
anche convincere i cittadini della loro necessitaÁ.
Lettere Con il nome di Platone ci sono giunte tredici lettere: di esse solo la VI, la
VII e l'VIII sono certamente autentiche. In particolare, la VII, in cui
Platone riferisce le proprie esperienze di partecipazione alla politica ± al tempo dei
Trenta e durante la restaurazione della democrazia, ma soprattutto in occasione dei
suoi viaggi in Sicilia ± eÁ di fondamentale importanza per ricostruire la vita del
filosofo e le esperienze che orientarono il suo cammino nella ricerca.
567
Platone
Sofista Il Sofista mette in discussione, l'interpretazione oggettivistica della teoria
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
Per approfondire
Il dialogo platonico
Diogene Laerzio (fine II-III d.C.), nel terzo libro della sua
opera Vite e dottrine dei filosofi antichi, pur indicando ± fra
altri ± un certo Alessameno di Teo o di Stirea come iniziatore del dialogo quale forma letteraria, ritiene che il
suo reale inventore sia stato Platone, in quanto fu proprio
lui a perfezionare il genere (a$kribv*saQ to+ ei#doQ).
Possiamo qui indicare i modelli del dialogo filosofico nel mimografo Sofrone di Siracusa, contemporaneo di Euripide, e nel dramma attico. Entrambi erano
ben noti a Platone: quanto al primo, fu proprio il filosofo ateniese (sempre secondo Diogene Laerzio) a
farlo conoscere ai suoi concittadini; a proposito del
dramma, invece, ricordiamo che l'antichitaÁ riteneva
che Platone fosse stato autore di tragedie e che solo
per il decisivo incontro con Socrate, che ne segnoÁ
definitivamente l'esistenza, vi avesse rinunciato. Ci
racconta Diogene Laerzio (III, 5) che, mentre stava
per partecipare ad un concorso con una tragedia,
Platone udita la voce di Socrate, diede la sua opera
alle fiamme.
Riflettere sulla forma del dialogo permette inoltre di
comprendere anche il modo in cui, secondo Platone, si
puoÁ giungere alla conoscenza. La sapienza non si trasmette, infatti, come un liquido da un recipiente pieno
ad uno vuoto. CosõÁ dice ironicamente Socrate in Simposio 175d: «Sarebbe bello, Agatone, se la sapienza
fosse tale da scorrere da chi di noi ne eÁ piuÁ colmo a chi
ne eÁ piuÁ vuoto, se veniamo a contatto l'uno dell'altro,
alla maniera dell'acqua delle coppe, che scorre attraverso un filo di lana dalla piuÁ colma alla piuÁ vuota»
(trad. S. Nannini). La
sapienza puoÁ essere
raggiunta solo attraverso il dialogo fra discepoli e solo il dialogo
accende la scintilla
della veritaÁ. Condizioni
indispensabili sono la
convivenza (syzh&n) e
la lunga frequentazione (synoysi* a): «dopo
molte discussioni fatte
su questi temi, e dopo
una comunanza di vita,
improvvisamente, come luce che si accende dallo scoccare di
una scintilla, essa nasce dall'anima e da essa stessa si alimenta
(trad. R. Radice)» (Lettera VII 341c-d). La
contemplazione solitaria non eÁ dunque amata
dal filosofo che cosõÁ fa
esprimere Socrate nel
Protagora 348c: «Cre-
568
do, infatti, che Omero non abbia torto laÁ dove dice: se
due vanno insieme, uno puoÁ vedere prima dell'altro. In tale
maniera tutti ci sentiamo piuÁ sicuri di fronte ad ogni
azione, discorso o pensiero. Se, invece, uno da solo
concepisce un pensiero, va subito in cerca di qualcuno
per poterglielo esporre e per poterne saggiare la consistenza, e non si ferma prima di averlo trovato» (trad. G.
Reale).
EÁ da osservare che i dialoghi di Platone ± dal punto di
vista formale suddivisibili in dialoghi diretti (per es.
Lachete) o narrati (per es. Simposio) ± sono talora inseriti in scene descritte con cura attenta (pensiamo al
locus amoenus raffigurato nel Fedro: la campagna ateniese lungo la riva dell'Ilisso); la loro struttura, in qualche caso, vede sovrapposti piuÁ livelli narrativi e drammatici: i discorsi del Simposio, ad esempio, sono riferiti
da Apollodoro cui li ha raccontati Aristodemo presente
al convito a casa di Agatone (416). Tale cura per l'aspetto piuÁ prettamente letterario si spiega percheÂ, i
dialoghi venivano letti ad alta voce (come testimonia
ancora Diogene), ed erano destinati alla divulgazione
all'esterno della scuola.
Quanto alla loro organizzazione, essi sono inseriti in
un corpus composto di trentasei opere e spesso presentano due titoli, che, per lo piuÁ, si riferiscono, rispettivamente, al nome dell'interlocutore e all'argomento
(per es. Alcibiade I o Sulla natura dell'uomo, Eutifrone o
Sul santo ecc.). Fondamentale nella storia delle edizioni
di Platone quella del 1578 del filologo francese Henri
Estienne, latinizzato in Stephanus, alla quale anche le
edizioni moderne si richiamano citandone in margine al
testo la numerazione delle pagine; le pagine vengono poi
ulteriormente suddivise in sezioni contrassegnate con
lettere dalla a alla e.
n La scuola di Platone.
EtaÁ imperiale. Napoli,
Museo Archeologico
Nazionale (Foto Scala).
(18a-19a)
Come di norma nei tribunali ateniesi (cf. p. 467), Socrate parla personalmente in propria difesa, e inizia (17a18a) accennando all'imbarazzo in cui si trova, a settant'anni compiuti, a parlare come imputato; inoltre i suoi
accusatori sono abili parlatori, mentre lui, inesperto di retorica, e confida solo nel fatto che diraÁ cose giuste: a
questo la corte deve fare attenzione, piuttosto che all'eleganza dei discorsi.
prv&ta* moy ceydh& kathgorhme* na kai+ toy+Q prv*toyQ kathgo*royQ, e> peita de+ pro+Q ta+
y%steron kai+ toy+Q y<ste* royQ. 18.b. e$ moy& ga+r polloi+ kath*goroi gego*nasi pro+Q y<ma&Q
kai+ pa*lai polla+ h>dh e> th kai+ oy$de+ n a$lhue+ Q le* gonteQ, oy=Q e$ gv+ ma&llon foboy&mai h/
toy+Q a$mfi+ >Anyton, kai* per o>ntaQ kai+ toy*toyQ deinoy*Q " a$ll\ e$ kei& noi deino*teroi, v#
a>ndreQ, oi= y<mv&n toy+Q polloy+Q e$k pai* dvn paralamba*nonteQ e> peiuo*n te kai+ kathgo*royn e$ moy& ma&llon oy$de+n a$lhue* Q, v<Q e> stin tiQ Svkra*thQ sofo+Q a$nh*r, ta* te
mete* vra frontisth+Q kai+ ta+ y<po+ gh&Q pa*nta a$nezhthkv+Q kai+ to+n h%ttv lo*gon
krei* ttv poiv&n. oy}toi, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, 18.c. oi< tay*thn th+n fh*mhn kataskeda*santeQ, oi< deinoi* ei$ si* n moy kath*goroi " oi< ga+r a$koy*onteQ h<goy&ntai toy+Q
tay&ta zhtoy&ntaQ oy$de+ ueoy+Q nomi* zein. e> peita* ei$ sin oy}toi oi< kath*goroi polloi+ kai+
poly+n xro*non h>dh kathgorhko*teQ, e> ti de+ kai+ e$ n tay*t| t|& h<liki* @ le*gonteQ pro+Q
y<ma&Q e$ n |} a/n ma*lista e$ pistey*sate, pai& deQ o>nteQ e> nioi y<mv&n kai+ meira*kia, a$texnv&Q
18.a. prv&ton ... kathgo*royQ, ``anzitutto eÁ giusto (di* kaio*Q ei$ mi), cittadini
d'Atene, che io mi difenda dapprima
(prv&ton) contro le prime accuse rivolte
falsamente contro di me (ta+ prv&ta ...
kathgorhme* na) e contro i primi accusatori''; inaspettatamente Socrate, dopo
aver accennato all'abilitaÁ retorica di
coloro che lo hanno trascinato in tribunale, fa un lungo passo indietro, rifacendosi ad accuse calunniose circolate
molti anni prima, quando i giudici di
oggi erano ragazzi (pai& deQ ... kai+ meira*kia, 18 c 6-7) ed erano piuÁ che ora
disposti a credere alle voci che sentivano dire; in seguito Socrate accenneraÁ
a poeti comici che avevano diffuso una
certa immagine sua: tra questi uno era
certo Aristofane (nelle Nuvole, di ventiquattro anni prima), ma l'indicazione
di tempo, per quanto sommaria, ci
porta assai piuÁ indietro, ad accusatori
piuÁ antichi, verso il tempo del processo
contro Anassagora. ± dikaio*Q ei$ mi:
costruzione personale, mentre in italiano abbiamo quella impersonale (``eÁ
giusto che io ...''). ± a>ndreQ $Auhnai& oi,
``cittadini d'Atene'': in quanto maschi
adulti, a>ndreQ, gli Ateniesi partecipavano alla giuria come anche all'assemblea popolare ± ta+ prv&ta* moy ... kathgorhme*na: il verbo kathgore* v ha il
SCHEDA DI LESSICO "Il lessico
del divino, p. 572
complemento in gen., richiesto dal preverbio. ± e>peita ... y<ste*royQ: si sottintenda ta+ y%steron < kathgorhme* na >
kai+ toy+Q y%steron < kathgo*royQ >; l'ellissi rafforza l'espressione.
18.b. e$moy& ... pro+Q y<ma&Q, ``molti ci sono
stati che mi (e$ moy&) hanno accusato presso di voi''; e$ moy&: la forma piena eÁ collocata enfaticamente all'inizio del periodo; gego*nasi: il pf., aspetto compiuto del
presente, marca l'idea che l'effetto di
quelle accuse perdura nel momento in
cui nuovi accusatori hanno trascinato
Socrate in tribunale. ± pa*lai ... e>th,
``da tempo, ormai da molti anni'': su
questo elemento, sia pur sempre in
modo sempre indeterminato, Socrate
insiste. ± toy+Q a$mfi+ >Anyton, ``Anito e la
sua gente'': Socrate qui nomina non giaÁ
Meleto, che aveva sottoscritto l'accusa,
ma quello tra i sinegori (avvocati pubblici) che era certamente il personaggio
piuÁ autorevole, cui risaliva tutta l'operazione.
Anito era un esponente di
spicco del partito democratico, che aveva dato corpo al risentimento diffuso nei
confronti di Socrate e che aveva pensato
di allontanarlo dalla cittaÁ. In questo modo Socrate mostra di riconoscere benissimo qual era il senso e l'intenzione dell'accusa ¨. ± a$ll\ e$kei& noi deino*teroi:
LA VOCE DELLA CRITICA "Le maschere
del Simposio, p. 640
testi
18.a. Prv&ton me+ n oy#n di* kaio*Q ei$ mi a$pologh*sasuai, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, pro+Q ta+
Apologia di Socrate
1 I primi accusatori
Platone
Apologia di Socrate
deino*teroi eÁ predicativo, ``quelli sono
piuÁ pericolosi''. ± e>peiuo*n te kai+ kathgo*royn: gli imperfetti durativi esprimono
un'opera persistente e sistematica di
convinzione e di calunnia. ± oy$de+n a$lhue*Q: acc. di relazione retto da kathgo*royn. ± sofo*Q, ``sapiente'': naturalmente
nelle sue pretese, come i sofisti; la descrizione di questo ``uomo sapiente'' corrisponde al Socrate sofista delle Nuvole
aristofanee, ``che specula sulle cose celesti, che investiga sui segreti di sotterra (ta+
y<po+ gh&Q ... a$nazhthkv*Q) e che rende piuÁ
forte il discorso piuÁ debole''; quest'ultima, to+n h%ttv ... poiv&n, era la caratteristica piuÁ propriamente sofistica del Socrate aristofaneo, mentre le altre lo accostavano piuttosto agli studi di filosofia
naturale che Socrate aveva effettivamente praticato in giovinezza, sotto la
guida di Archelao, allievo di Anassagora.
18.c. oi< ... kataskeda*santeQ, ``quelli
che hanno diffuso questa voce'': fh*mh,
dalla rad. di fhmi* , eÁ ``cioÁ che si dice'', in
bene o in male, la fama come la chiacchiera. ± toy+Q tay&ta ... nomi* zein, ``che
quelli che fanno simili ricerche non
credano nemmeno agli deÁi'': si fa riferimento alle dottrine di Anassagora sul
sole; pai& deQ ... kai+ meira*kia: cf. la nota a
18a. ± e$rh*mhn, sott. di* khn: si dice di
569
e$ rh*mhn kathgoroy&nteQ a$pologoyme* noy oy$deno*Q. o= de+ pa*ntvn a$logv*taton, o%ti
oy$de+ ta+ o$no*mata oi}o*n te ay$tv&n ei$ de* nai kai+ ei$ pei& n, 18.d. plh+n ei> tiQ kvm{dopoio+Q
tygxa*nei v>n. o%soi de+ fuo*n{ kai+ diabol|& xrv*menoi y<ma&Q a$ne*peiuon ± oi< de+ kai+
ay$toi+ pepeisme* noi a>lloyQ pei* uonteQ ± oy}toi pa*nteQ a$porv*tatoi* ei$ sin " oy$de+ ga+r
a$nabiba*sasuai oi}o*n t\ e$ sti+ n ay$tv&n e$ ntayuoi& oy$d\ e$ le* gjai oy$de* na, a$ll\ a$na*gkh
a$texnv&Q v%sper skiamaxei& n a$pologoy*meno*n te kai+ e$ le* gxein mhdeno+Q a$pokrinome* noy. a$jiv*sate oy#n kai+ y<mei& Q, v%sper e$ gv+ le* gv, dittoy*Q moy toy+Q kathgo*royQ
gegone* nai, e< te*royQ me+ n toy+Q a>rti kathgorh*santaQ, e< te* royQ de+ 18.e. toy+Q pa*lai oy=Q
e$ gv+ le* gv, kai+ oi$ h*uhte dei& n pro+Q e$ kei* noyQ prv&to*n me a$pologh*sasuai " kai+ ga+r
y<mei& Q e$ kei* nvn pro*teron h$koy*sate kathgoroy*ntvn kai+ poly+ ma&llon h/ tv&nde tv&n
y%steron.
19.a Ei#en " a$pologhte* on dh*, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, kai+ e$ pixeirhte* on y<mv&n e$ jele* suai
th+n diabolh+n h=n y<mei& Q e$n poll{& xro*n{ e> sxete tay*thn e$n oy%tvQ o$li* g{ xro*n{.
boyloi* mhn me+ n oy#n a/n toy&to oy%tvQ gene*suai, ei> ti a>meinon kai+ y<mi& n kai+ e$ moi* , kai+
ple*on ti* me poih&sai a$pologoy*menon " oi#mai de+ ay$to+ xalepo+n ei#nai, kai+ oy$ pa*ny me
lanua*nei oi}o*n e$ stin. o%mvQ toy&to me+ n i> tv o%p| t{& ue{& fi* lon, t{& de+ no*m{ peiste* on
kai+ a$pologhte* on.
un'accusa pronunciata in assenza della
difesa (a$pologoyme* noy oy$deno*Q, gen.
assol.).
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
18.d. plh+n ei> tiQ ... v>n, ``tranne se uno
eÁ un commediografo'': noi pensiamo
immediatamente ad Aristofane, ma
era normale che la commedia antica
prendesse di mira i personaggi piuÁ noti
della cittaÁ e i problemi che la loro presenza suscitava: cosõÁ per le Nuvole il
tema centrale eÁ quello dell'educazione
moderna, ispirata alle dottrine della
sofistica, e Socrate ne eÁ presentato come un esponente. ± fuo*n{ ... xrv*menoi, ``con odio e con calunnia''. ± a$ne*peiuon ... pepeisme*noi ... pei* uonteQ: il
poliptoto daÁ l'impressione del montare
della campagna di persuasione ai danni di Socrate. ± oy$de+ ga+r ... oy$de*na, ``neÂ
d'altra parte eÁ possibile convocare
(a$nabiba*sasuai) qui uno di loro neÂ
confutarlo''. ± a$nabiba*sasuai: il verbo indica propriamente l'azione di
``far salire'' uno alla tribuna per rispondere alle domande del calunniato che
avrebbe potuto in questo modo confutarlo (e$ le* gjai). ± a$ll\ a$na*gkh ... a$pokrinome*noy, ``ma eÁ inevitabile combattere vanamente (a$texnv&Q) come con
delle ombre (v%sper skiamaxei& n) cercando di difendermi e cercare di confutare senza che nessuno risponda (genitivo assoluto mhdeno+Q a$pokrinome* noy)'': propriamente v%sper skiamaxei& n sarebbe ``come combattere con
ombre''. ± dittoy*Q: di due specie, quelli
di ora e quelli di un tempo la cui efficacia perdura. ± kai+ oi$ h*uhte ... a$pologh*sasuai, ``e pensate che io debbo
fare la mia difesa anzitutto nei confronti di quelli'': dunque la prima parte
della difesa, che procederaÁ fino alla fine
del cap. X (24b 2), affronteraÁ le accuse
degli antichi avversari, e illustreraÁ in
opposizione a quelle la vera natura del
suo sapere, e le ragioni per cui eÁ nata
tanta ostilitaÁ nei suoi confronti.
19.a. ei# en, ``e sia'': formula che esprime la decisione a procedere in un discorso che risulta ostico. ± a$pologhte*on
... a$pologhte*on: in questa riflessione,
aperta e chiusa dall'agg. verbale a$pologhte* on come in una composizione
ad anello, Socrate ritorna ancora un
attimo sulle difficoltaÁ del compito che
lo attende. ± e$pixeirhte*on ... xro*n{,
``bisogna cercare di rimuovere da voi
(y<mv&n e$ jele*suai) la calunnia che per
molto tempo riceveste, ora in cosõÁ breve
tempo'': cioeÁ nel tempo concesso per il
discorso difensivo; e$ jele* suai eÁ inf. aor.
dal tema suppletivo di e$ jaire* v; e$ n
poll{& xro*n{ costituisce antitesi con
e$ n oy%tvQ o$li* g{ xro*n{; o%mvQ ... a$pologhte*on, ``pure questo vada ( i> tv) come piace al dio, e bisogna obbedire alla
legge e fare la propria difesa'': Socrate si
accinge a pronunciare la propria difesa
piuÁ con lo spirito di chi deve adempiere
un dovere civico (t{& no*m{ peiste*on) che
seguendo l'istinto di sopravvivenza.
traduzione d'autore
18.a. Prima di tutto, dunque, eÁ giusto che io mi difenda, o cittadini ateniesi, dalle
prime false accuse e dai primi falsi accusatori, e poi dalle accuse successive e dagli
accusatori successivi. 18.b. Infatti, ci sono stati molti che mi hanno accusato davanti a
voi, giaÁ da tempo e per parecchi anni e senza che dicessero niente di vero. E io temo
questi accusatori molto piuÁ di Anito e dei suoi amici, anche se pure questi sono
terribili. PeroÁ quelli sono piuÁ terribili, o cittadini, ossia quei primi i quali, prendendo
la maggior parte di voi fin da fanciulli, vi hanno persuaso e hanno rivolto contro di me
570
Platone
Apologia di Socrate
accuse per niente vere: che c'eÁ un certo Socrate uomo sapiente, che fa indagini sulle
cose celesti e fa ricerche su tutte le cose che stanno sotto terra, e che rende piuÁ forte il
ragionamento piuÁ debole. 18.c. Questi che hanno diffuso tali voci, o cittadini ateniesi,
sono gli accusatori terribili. Infatti, chi li ascolta ritiene che i ricercatori di tali cose non
credano all'esistenza degli deÁi. Inoltre, questi accusatori sono numerosi e mi hanno
rivolto accuse giaÁ da molto tempo. E, per giunta, parlavano a voi in quella etaÁ nella
quale eravate particolarmente disposti a credere, vale a dire quando alcuni di voi
erano fanciulli e giovinetti, accusandomi in contumacia, senza che nessuno mi difendesse.
E la cosa piuÁ strana di tutte eÁ che di costoro non si possono sapere ne dire nomi,
18.d. fatta eccezione di un commediografo.
Ma quanti, mossi da invidia e servendosi di calunnie vi persuasero ± persone che si
sentivano esse stesse persuase, persuadendo gli altri ±, ebbene, tutti costoro sono
assolutamente irraggiungibili. Infatti, non eÁ possibile portare qui sulla tribuna alcuno
di loro a testimoniare, ne confutarli; ma mi trovo davvero nella necessitaÁ di difendermi come combattendo con delle ombre, e di confutarli senza che ci sia nessuno che mi
risponda.
Dunque, dovete credere anche voi, come vi dico, che sono sorti contro di me
accusatori di due tipi: alcuni che mi hanno messo sotto accusa da poco, altri, invece,
18.e. che mi hanno messo sotto accusa da tempo e dei quali vi sto parlando. E dovete
credere che bisogna che io mi difenda, in primo luogo, proprio nei confronti di questi.
E, infatti, voi avete ascoltato le accuse di questi accusatori, prima e molto piuÁ di quelle
degli altri che sono venuti dopo.
19.a. Bene! Allora devo difendermi, cittadini ateniesi, e devo cercare di rimuovere
da voi, in cosõÁ poco tempo, quella calunnia che vi tenete dentro da molto tempo. E
desidererei proprio che questo si verificasse, se cosõÁ eÁ il meglio per me e per voi, e che
col difendermi traessi qualche vantaggio. PeroÁ ritengo che cioÁ sia difficile, e non mi
sfugge affatto quale sia tale difficoltaÁ.
In ogni caso, vada come eÁ caro al dio; bisogna ubbidire alla legge e difendersi!
testi
(Trad. G. Reale)
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Socrate identifica e contrappone due specie di accusatori (vedi l'espressione dittoi+ kath*goroi di 18d).
Facendo puntuale riferimento al testo, evidenzia le informazioni che esso ci daÁ sugli uni e sugli altri (quanti sono,
chi sono, che sentimenti suscitano nell'accusato ecc.) in un elaborato di max 15 righe.
2. Rispondi alle seguenti domande:
"
Nei confronti di chi Socrate ritiene di dover innanzitutto fare la sua difesa?
"
PercheÂ?
"
Quali i criteri che Socrate seguiraÁ nella difesa?
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
3. Chi eÁ il commediografo a cui allude Socrate? A quale commedia si fa riferimento?
.....................................................................................................................................................................................
571
l
Scheda di essico
Il lessico del divino
ueo*Q
dai* mvn
di& oQ
uei& oQ
daimo*nioQ
i$ so*ueoQ
i$ sodai* mvn
ueoei* keloQ
ueoeidh*Q
a$nti* ueoQ
ey$dai* mvn
dysdai* mvn
Il lessico del divino in greco ruota intorno a due termini,
ueo*Q e dai* mvn, oltre che alla radice di- che ha dato luogo
al nome del primo degli deÁi, Zey*Q, gen. Dio*Q, e all'aggettivo di& oQ, variamente impiegato e inteso.
Propriamente ueo*Q (maschile e femminile, anche se
esiste una forma femminile uea*) esprime una personalitaÁ superiore alla misura terrena, potente ma non
onnipotente, comunque sempre personale e nettamente caratterizzata nei suoi tratti e nelle sue funzioni, di norma anche nella rappresentazione degli attributi che la accompagnano; invece dai* mvn ``eÁ una oscura
potenza sotterranea, spesso impersonale, concepita come la semplice sorte; quando viene chiamata in questo
modo una distinta personalitaÁ divina, si vuole mettere
in rilievo l'elemento incomprensibile, che si sottrae alla
nostra umana conoscenza, implicito nel complesso del
suo essere'' (Schmidt): in qualche modo, il dai* mvn eÁ
quello che i moderni chiamano il ``numinoso''. CosõÁ
nello Ione di Euripide (vv. 1374 s.) il protagonista riflette
sulla propria sorte di illegittimo, partorito ed esposto, e
accolto in seguito benignamente da Apollo nel suo
tempio delfico, ta+ toy& ueoy& xrhsta*, toy& de+ dai* monoQ /
bare*a, ``il trattamento da parte del dio eÁ stato generoso,
ma la mia sorte eÁ stata dura'': ueo*Q eÁ Apollo che lo ha
accolto, mentre il dai* mvn eÁ la sua triste sorte di illegittimo. Nell'Edipo re di Sofocle, il Coro riflette sulla terribile sorte dell'uomo che improvvisamente eÁ passato
dalla potenza sovrana alla miseria piuÁ atroce, ``avendo
davanti agli occhi il tuo esempio, la tua sorte, infelice
Edipo, non posso chiamare felice nessuno dei mortali'',
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
to+n so*n toi para*deigm$ e> xvn, to+n so+n dai* mona, v# tla&mon
Oi$ dipo*da, brotv&n oy$de+ n makari* zv (vv. 1192 ss.). In
Odissea IX, 142 s. ueo*Q eÁ accompagnato dal pronome
indefinito, per indicare una personalitaÁ divina che resta
ignota, piuÁ che indefinita, e> nua kateple*omen, kai* tiQ ueo*Q
h<gemo*neyen/ ny*kta di$ o$rfnai* hn, ``allora noi procedevamo nella nostra navigazione, e un dio ci guidava attraverso la notte oscura''. Nel contrasto tra Apollo e le
Erinni che caratterizza le Eumenidi eschilee, le antiche
dee della vendetta sono dai* moneQ, mentre il giovane dio
eÁ ueo*Q: esse lamentano i$ v+ pai& Dio*Q, e$ pi* klopoQ pe* lei, ne* oQ
de+ grai* aQ dai* monaQ kauippa*sv ... to+n mhtraloi* an d\ e$ je* klecaQ v/n ueo*Q, ``o figlio di Zeus, tu sei un ladro, tu che sei
giovane hai fatto violenza a noi antiche divinitaÁ, ... hai
572
sottratto a noi il matricida tu che sei un dio''. Quando
Afrodite costringe a forza Elena a piegarsi al desiderio amoroso di Paride che si eÁ sottratto al duello con
Menelao, Elena tace sgomenta davanti all'imposizione della dea, h#rxe de+ dai* mvn: Afrodite eÁ cosõÁ detta
perche si eÁ manifestata nella sua forza oscura e terribile, cui la donna mortale eÁ soggiogata.
La riflessione piuÁ tarda trasformoÁ profondamente
questa opposizione che risale ad un concetto arcaico
e complesso del divino: nell'Apologia platonica Socrate
risponde all'accusa di non onorare gli deÁi, ma nuovi ed
oscuri dai* moneQ, obiettando, che questi sono figli degli
deÁi, e non si puoÁ pensare che uno creda ai figli e non ai
padri (per alcuni esempi di ueo*Q nell'Apologia, cf. i paragrafi 18, 19, 21, 23, 41, 42). Nel neoplatonismo dai* moneQ sono esseri intermedi nella complessa serie degli enti
divini, mentre nel Nuovo Testamento sono i ``diavoli''.
La radice di- in origine indicava il dio del cielo
luminoso, e per questo eÁ entrata nel nome di Zey*Q,
Dio*Q, come in quello di Iouis, e in un aggettivo che in
origine significava appunto ``luminoso'': pare proprio
che poly*tlaQ di& oQ $ Odyssey*Q dovesse esprimere inizialmente ``il molto audace chiaro Odisseo'', anche se poi
questa formula divenne alternativa di uei& oQ $Odyssey*Q.
Il valore originale tuttavia si rivela in espressioni del
tipo ai$ ue* ra di& on, ``l'etere luminoso'' o $ Hv+ di& an, ``l'aurora luminosa''. Invece in Eschilo, Prometeo incatenato
1032 s. ceydhgorei& n ga+r oy$k e$ pi* statai sto*ma to+ Di& on,
l'aggettivo viene chiaramente connesso con Zeus, e la
frase significa ``la bocca di Zeus non puoÁ mentire''.
Altri aggettivi del gruppo sono uei& oQ e daimo*nioQ, che
implicano un riferimento alla sfera della divinitaÁ non
meglio distinta, o talvolta un segno di eccellenza, come
in Odissea IX, 203 ss. Odisseo ricorda il vino rosso
dolcissimo che gli era stato donato da Marone, ad
Ismaro, in segno di gratitudine per aver risparmiato
lui, la sua sposa e i suoi figli, ``dodici anfore piene di
vino puro, dolcissimo, divina bevanda'': questo uei& on
poto*n saraÁ un vino straordinario, ``divino'', con l'idea di
eccellenza che anche noi diamo a questo aggettivo. Un
rapporto piuÁ preciso doveva essere in origine in diogenh*Q e in diotrefh*Q, che in Omero indicano i sovrani
``discendenti da Zeus'' o ``allevati da Zeus'': si allevano i
propri figli e quindi i due aggettivi sono sinonimi, prima
di divenire formulari. Altri aggettivi denotanti eccellenza sono i$ so*ueoQ e il simmetrico i$ sodai* mvn; ancora
ueoei* keloQ, ``simile a un dio'', ueoeidh*Q, ``che ha l'aspetto di un dio'' e a$nti* ueoQ, ``che puoÁ star innanzi a un dio'',
come nell'esposizione della propria stirpe che fa Enea
rivolto ad Achille, ``da Troo nacquero tre nobili figli,
# IloQ t\ A
$ ssa*rako*Q te kai+ a$nti* ueoQ Ganymh*dhQ.
Ancora da dai* mvn, in relazione all'idea di ``sorte'',
``destino'', derivano gli aggettivi ey$dai* mvn, ``fortunato'' (``cui eÁ toccato un buon deÁmone'') e dysdai* mvn,
``sfortunato''.
Platone
Testi a confronto
Socrate visto da Aristofane
testi
STREPSIADE ± E quello chi eÁ, quello che sta appeso per aria?
DISCEPOLO ± EÁ lui.
STREPSIADE ± Lui chi?
DISCEPOLO ± Socrate!
STREPSIADE ± Me lo potresti chiamare tu a voce alta, per favore?
DISCEPOLO ± Chiamatelo da solo; io non ho tempo (Il discepolo rientra nel pensatoio).
STREPSIADE ± Socrate! Socrate, amico mio!
SOCRATE ± Perche mi chiami, creatura di un giorno?
STREPSIADE ± Prima di tutto, per favore, dimmi cosa stai facendo.
SOCRATE ± Aerostatizzo, e me ne sto qui a scrutare il sole.
STREPSIADE ± E tu gli deÁi li squadri dall'alto d'un corbello, invece che coi piedi per terra,
casomai?
SOCRATE ± Senza sospendere la mente e il pensiero in modo da mescolarli all'aria, che eÁ
della stessa leggerezza, non avrei mai potuto fare scoperte esatte sui fenomeni celesti. Se
me ne fossi stato a terra a osservare da laggiuÁ le cose di lassuÁ, non ci sarei mai arrivato.
Devi sapere che la terra attrae a se con forza l'umore del pensiero, proprio come succede
col crescione.
STREPSIADE ± Come dici? Il pensiero che attira l'umido nel crescione? Ma adesso scendi,
caro Socrate, ti prego, vieni a insegnarmi quello per cui sono venuto.
SOCRATE ± CioeÁ?
STREPSIADE ± Voglio imparare a parlare. EÁ una cosa incontrollabile: interessi, creditori, e
mi spingono, mi tirano, mi sequestrano la roba.
SOCRATE ± Come hai potuto fare tanti debiti senza rendertene conto?
STREPSIADE ± Mi ha distrutto una febbre da cavalli, un male divorante. Ma tu insegnami
uno dei tuoi discorsi, quello che non paga i debiti. Fammi il prezzo che ti pare e io te lo
do, lo giuro sugli deÁi.
SOCRATE ± Ma che deÁi vai giurando? Tanto per cominciare, qui da noi gli deÁi sono
moneta fuori corso. [...]
STREPSIADE ± Che pazzia! Che follia, per colpa di Socrate, ripudiare anche gli deÁi! (rivolgendosi a un'immagine del dio presente in scena) Hermes, caro Hermes, non ti adirare con me,
non mi distruggere. Perdonami, con tutte quelle chiacchiere ero delirante. Anzi, dammi un
consiglio, se devo denunciarli, o cos'altro. Come dici? Non devo impegnarmi in un
processo? Hai ragione: devo bruciargli subito la casa, a quei mascalzoni. Santia, Santia,
vieni qui. Piglia scala e piccone, arrampicati sul Pensatoio e comincia a scoperchiare il tetto;
fallo per il padrone, buttagli giuÁ la casa. Qualcuno mi porti una torcia accesa. E adesso a
loro: saranno pure dei gran furbacchioni, ma oggi qualcuno me la paga! ...
SOCRATE ± Che ci fai tu sul tetto?
STREPSIADE ± «Aerostatizzo, e me ne sto qui a scrutare il sole» ....
SOCRATE ± Povero me! Sto per soffocare! ...
STREPSIADE ± Chi vi ha insegnato a bestemmiare gli deÁi e a curiosare il corso della luna?
Dagli addosso, forza, picchia! Per un sacco di ragioni ± prima di tutto, come sai, per
l'empietaÁ verso gli deÁi.
(Trad. A. Grilli)
Apologia di Socrate
EÁ, in particolare, alle Nuvole di Aristofane (vedi p. 263) che allude Socrate quando, nell'Apologia, ricostruisce l'origine lontana delle calunnie che ormai da tempo circolavano sul suo conto. Dalla commedia
aristofanea ti proponiamo il primo incontro fra Strepsiade e Socrate (vv. 219-248) e la parte finale (14761509), in cui Strepsiade appicca il fuoco al ``pensatoio''.
CONFRONTI
" Dopo aver riletto Apologia 18d p. 569, verifica se il ritratto di Socrate lõÁ proposto coincide con quello fatto da
Aristofane. Sottolinea in un elaborato di max 10 righe similitudini e differenze.
nell'ultima parte del brano gli elementi che testimoniano come l'idea di sbarazzarsi ``legalmente''
di Socrate era presente ad Atene in tempi di molto precedenti l'effettivo processo.
" Rintraccia
573
2 Il sapere di Socrate
(20c-21d)
Cherefonte, un allievo di Socrate, domanda all'oracolo di Delfi se c'eÁ qualcuno piuÁ sapiente del maestro.
EÁ domanda provocatoria, ma imprevedibilmente l'oracolo risponde di no. Quando Cherefonte gli riferisce la
risposta ricevuta, Socrate rimane turbato e comincia ad interrogare gli uomini politici per dimostrare che
l'oracolo eÁ in errore.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
20.c. < Ypola*boi a/n oy#n tiQ y<mv&n i> svQ " `` $All\, v# Sv*krateQ, to+ so+n ti* e$ sti pra&gma;
po*uen ai< diabolai* soi ay}tai gegonasin; oy$ ga+r dh*poy soy& ge oy$de+ n tv&n a>llvn
peritto*teron pragmateyome* noy e> peita tosay*th fh*mh te kai+ lo*goQ ge* gonen, ei$ mh*
ti e>pratteQ a$lloi& on h/ oi< polloi* . le* ge oy#n h<mi& n ti* e$ stin, i% na mh+ h<mei& Q peri+ soy&
ay$tosxedia*zvmen''. 20.d. tayti* moi dokei& di* kaia le* gein o< le* gvn, ka$gv+ y<mi& n
peira*somai a$podei& jai ti* pot\ e$ sti+ n toy&to o= e$ moi+ pepoi* hken to* te o>noma kai+ th+n
diabolh*n. a$koy*ete dh*. kai+ i> svQ me+ n do*jv tisi+ n y<mv&n pai* zein " ey# me* ntoi i> ste,
pa&san y<mi& n th+n a$lh*ueian e$ rv&. e$ gv+ ga*r, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, di\ oy$de+ n a$ll\ h/ dia+
sofi* an tina+ toy&to to+ o>noma e> sxhka. poi* an dh+ sofi* an tay*thn; h%per e$ sti+ n i> svQ
a$nurvpi* nh sofi* a " t{& o>nti ga+r kindyney*v tay*thn ei#nai sofo*Q. 20.e. oy}toi de+ ta*x\
a>n, oy=Q a>rti e> legon, mei* zv tina+ h/ kat\ a>nurvpon sofi* an sofoi+ ei#en, h/ oy$k e> xv ti*
le* gv " oy$ ga+r dh+ e> gvge ay$th+n e$ pi* stamai, a$ll\ o%stiQ fhsi+ cey*detai* te kai+ e$ pi+
diabol|& t|& e$ m|& le* gei. kai* moi, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, mh+ uorybh*shte, mhd\ e$ a+n
do*jv ti y<mi& n me* ga le* gein " oy$ ga+r e$ mo+n e$ rv& to+n lo*gon o=n a/n le* gv, a$ll\ ei$ Q
a$jio*xrevn y<mi& n to+n le* gonta a$noi* sv. th&Q ga+r e$mh&Q, ei$ dh* ti* Q e$stin sofi* a kai+ oi% a,
ma*rtyra y<mi& n pare* jomai to+n ueo+n to+n e$ n Delfoi& Q. Xairefv&nta ga+r i> ste poy.
20.c. y<pola*boi ... i> svQ, ``forse qualcuno di voi potrebbe intervenire'': Socrate
ha ricordato ancora una volta come sono corse su di lui calunnie strane, del
tipo di quelle di cui si dice nella commedia di Aristofane, e ha affermato vigorosamente che esse non sono vere, come non eÁ vero che egli si sia proposto di
istruire altri. Quando ha sentito un cittadino che si proponeva di affidare il
proprio figlio a un maestro di sapere,
ha sempre pensato quanto sarebbe stato
bello per lui conoscere quella dottrina:
ma purtroppo egli non sa nulla di simile.
Qualcuno peroÁ potrebbe a questo punto chiedergli come mai hanno potuto
avere origine queste strane calunnie.
_
to+ so+n ... pra*gma, ``che eÁ che tu
fai?''. ± oy$ ga+r dh*poy ... ge*gonen, ``certo,
un simile giro di chiacchiere (tosay*th
fh*mh te kai+ lo*goQ) non si eÁ certo prodotto (oy$ ... ge*gonen) mentre tu non facevi nulla di strano (soy& ... oy$de+n ... peritto*teron pragmateyome*noy, gen. ass.)
rispetto agli altri'': peritto*Q, ``superfluo'', passa facilmente all'idea di ``strano'', ``straordinario'', e il suo comparativo (peritto*teron) eÁ determinato dal
secondo termine di paragone tv&n
a>llvn; il senso viene cosõÁ completato
da una protasi di periodo ipotetico dell'irrealtaÁ: ei$ mh* ti ... polloi* , ``se tu non
facessi nulla di differente da quello che
574
fa la gente''; oi< polloi* , ``i piuÁ'', indica
qui la maggioranza della gente, la gente
comune che non fa nulla di strano. ± i% na
mh+ ... ay$tosxedia*zvmen, ``perche noi
non ci mettiamo ad inventare'', ``percheÂ
non siamo costretti ad inventare''.
20.d. tayti* ... le*gvn, ``chi dice questo
(tayti* ) mi sembra che dica il giusto'':
tayti* eÁ marcato dallo iota ``deittico'',
che attira l'attenzione. ± to* te o>noma ...
diabolh*n, ``sia il nome sia la calunnia'':
il nome eÁ di essere sofo*Q, la calunnia si
riferisce alle dottrine che gli venivano
attribuite. ± kai+ i> svQ ... pai* zein, ``e forse
ad alcuni di voi sembreraÁ che io scherzi'': questa asserzione vuole marcare
per contrasto la serietaÁ di cioÁ che Socrate sta per dire, e che sottolineeraÁ con ey#
me*ntoi i> ste. ± do*jv, videbor: il verbo
doke* v, come il lt. videor, ha costruzione
personale. ± e$gv+ ga*r ... e>sxhka, ``io infatti, o cittadini di Atene, non ho questo
nome se non per una sorta di sapienza
(dia+ sofi* an tina*)'': l'affermazione eÁ ancora solenne, se anche temperata da
una sfumatura di indeterminazione (tina*); Socrate sta preparando un vero e
proprio colpo di scena, quando, dopo
aver negato in ogni modo di esser sapiente ed aver definito calunniosa questa voce, faraÁ proclamare la propria sapienza proprio dal dio di Delfi; e> sxhka,
perf. resultativo di e> xv. ± h%per ... sofi* a:
la nuova definizione di sapienza eÁ tuttavia chiaramente condizionata dall'aggettivo a$nurvpi* nh, e prospettata problematicamente ancora da i> svQ, come
dall'espressione tipica kindyney*v ... sofo*Q, ``in questa c'eÁ rischio (kindyney*v)
che io sia sapiente''.
20.e. oy}toi ... ei# en, ``costoro forse, dei
quali dicevo poco fa, potrebbero essere
sapienti (a>n ... sofoi+ ei#en) di una sapienza superiore alla misura umana (mei* zv ...
a>nurvpon)'': questa definizione, chiaramente ironica, esclude da qualsiasi discorso la cosiddetta sofi* a degli avversari di Socrate. ± h/ oy$k ... le*gv, ``o non so
che dire'': una definizione alternativa
sarebbe certo piuÁ chiaramente critica,
e Socrate preferisce dichiararsi incapace di esprimersi. ± oy$ ga+r ... e$pi* stamai:
inizia il grande tema socratico del ``non
sapere''. ± e$pi+ diabol|& ... le*gei, ``parla
per calunniarmi'': e$ pi+ diabol|& t|& e$ m|& eÁ
compl. di fine. ± mhd\ e$a+n ... le*gein,
``nemmeno se vi sembri che io dica qualcosa di molto grande'': ti ... me* ga, cosõÁ
indeterminato, preannuncia una notizia straordinaria. ± le*gein ... lo*gon ...
le*gv: la serie preannuncia a$jiv*xrevn
to+n le*gonta, ``colui che parla, degno
della vostra considerazione'', nominato
alla fine del periodo, ``il dio di Delfi''.
21.c. v<Q e$ntay&ua ... to+ mantei& on, ``pensando che (v<Q) in questo (e$ ntay&ua) avrei
finalmente (ei> per poy) confutato l'oracolo'': ei> per poy, lett. ``se mai in qualche
punto''. ± diaskopv&n oy#n toy&ton, ``mentre dunque esaminavo costui'': la frase si
interrompe, come se qualcuno avesse
testi
21.b. v}n e%neka, ``per quali ragioni'':
per necessitaÁ, non per vanagloria, Socrate ha raccontato ai giudici il responso
straordinario che l'oracolo ha dato su di
lui a Cherefonte. ± tay&ta ... oy<tvsi* , ``dopo aver udito quel responso (tay&ta) io
ragionai in questo modo'': l'imperfetto
e$ neuymoy*mhn vuol seguire il filo delle riflessioni di Socrate esposte di seguito. ± ti*
pote ai$ ni* ttetai, ``che cosa vuole nascondere sotto l'enigma?'': tipico dell'enigma
eÁ infattiunenunciatoinapparenza assurdo, che vuole obbligare a riflettere per
trovare il significato riposto. ± oy>te me*ga
oy>te smikro*n, ``ne molto ne poco'': acc. di
relazione; sy*noida ... v>n: il verbo regge il
part. predic. ± oy$ ... cey*detai* ge: nel suo
smarrimento Socrate ha una sola certezza, che l'oracolo ``certamente non mente'', perche non puoÁ. ± poly+n ... h$po*royn:
insieme al complemento di durata, l'imperfetto descrittivo continua a rappresentarci le riflessioni imbarazzate di Socrate, che alla fine contro voglia (mo*giQ) si
decide a ricercare il senso del responso. ±
tv&n dokoy*ntvn ... ei# nai, ``di quelli che
avevano fama di essere sapienti'': il gen.
sofv&n, nome del predicato, eÁ attratto da
tv&n dokoy*ntvn.
Apologia di Socrate
21.a. e$k ne*oy, ``fin da giovane'': segue
una breve caratterizzazione del personaggio, amico e discepolo di Socrate,
presentato con lui nelle Nuvole aristofanee; fu esiliato nel 404 con i democratici
(syne*fyge ... tay*thn) e rientroÁ insieme a
Trasibulo (kai+ ... kath&lue); nel 399 era
giaÁ morto. ± th+n fygh+n tay*thn: acc. dell'oggetto interno connesso al verbo per
figura etimologica. ± v<Q sfodro+Q ...
o<rmh*seien, ``come era impetuoso, a
qualsiasi cosa si accingesse'': v<Q introduce una interr. indiretta dipendente da
i> ste, riprendendo oi}oQ h#n per specificarne il senso. ± o%per le*gv, ``come vi dico'',
lett. ``la cosa che vi dico'': eÁ una forma
colloquiale per invitare il suo pubblico a
non rumoreggiare; ma, mentre prima
aveva detto mh+ uorybh*shte, cong. aor.,
ora dice mh+ uorybei& te, come se la gente
avesse giaÁ cominciato a far rumore, ed
egli la pregasse di ``non continuare a far
rumore''. ± a$nei& len, ``rispose'': da a$naire*v eÁ verbo tecnico del responso dell'oracolo. _ toy*tvn pe*ri 4 peri+ toy*tvn:
l'anastrofe?, tipico costrutto del discorso poetico, eÁ marcata dalla ritrazione
dell'accento (baritonesi?).
Platone
oy}toQ 21.a. e$ mo*Q te e< tai& roQ h#n e$ k ne* oy kai+ y<mv&n t{& plh*uei e< tai& ro*Q te kai+
syne* fyge th+n fygh+n tay*thn kai+ meu\ y<mv&n kath&lue. kai+ i> ste dh+ oi}oQ h#n Xairefv&n, v<Q sfodro+Q e$f\ o%ti o<rmh*seien. kai+ dh* pote kai+ ei$ Q Delfoy+Q e$ luv+n
e$ to*lmhse toy&to mantey*sasuai ± kai* , o%per le* gv, mh+ uorybei& te, v# a>ndreQ ± h>reto
ga+r dh+ ei> tiQ e$ moy& ei> h sofv*teroQ. a$nei& len oy#n h< Pyui* a mhde* na sofv*teron ei#nai.
kai+ toy*tvn pe* ri o< a$delfo+Q y<mi& n ay$toy& oy<tosi+ martyrh*sei, e$ peidh+ e$ kei& noQ teteley*thken. 21.b. Ske*casue dh+ v}n e% neka tay&ta le* gv " me* llv ga+r y<ma&Q dida*jein o%uen
moi h< diabolh+ ge*gonen. tay&ta ga+r e$ gv+ a$koy*saQ e$ neuymoy*mhn oy<tvsi* " `` Ti* pote
le* gei o< ueo*Q, kai+ ti* pote ai$ ni* ttetai; e$ gv+ ga+r dh+ oy>te me* ga oy>te smikro+n sy*noida
e$ mayt{& sofo+Q v>n " ti* oy#n pote le*gei fa*skvn e$ me+ sofv*taton ei#nai; oy$ ga+r dh*poy
cey*detai* ge " oy$ ga+r ue* miQ ay$t{&''. kai+ poly+n me+ n xro*non h$po*royn ti* pote le*gei "
e> peita mo*giQ pa*ny e$pi+ zh*thsin ay$toy& toiay*thn tina+ e$ trapo*mhn. h#luon e$ pi* tina tv&n
dokoy*ntvn sofv&n ei#nai, 21.c. v<Q e$ntay&ua ei> per poy e$le* gjvn to+ mantei& on kai+
a$pofanv&n t{& xrhsm{& o%ti ``Oy<tosi+ e$ moy& sofv*tero*Q e$ sti, sy+ d\ e$ me+ e> fhsua.''
diaskopv&n oy#n toy&ton o$no*mati ga+r oy$de+n de* omai le*gein, h#n de* tiQ tv&n politikv&n
pro+Q o=n e$ gv+ skopv&n toioy&to*n ti e> pauon, v# a>ndreQ $Auhnai& oi, kai+ dialego*menoQ
ay$t{& ± e> doje* moi oy}toQ o< a$nh+r dokei& n me+ n ei#nai sofo+Q a>lloiQ te polloi& Q
a$nurv*poiQ kai+ ma*lista e< ayt{&, ei#nai d\ oy> " ka>peita e$ peirv*mhn ay$t{& deikny*nai o%ti
oi> oito me+ n ei#nai sofo*Q, ei> h d\ oy>. e$ ntey&uen oy#n toy*t{ te a$phxuo*mhn kai+ polloi& Q
tv&n paro*ntvn " 21.d. pro+Q e$ mayto+n d\ oy#n a$piv+n e$ logizo*mhn o%ti toy*toy me+ n toy&
chiesto a Socrate il nome dell'interrogato,
ed egli approfittasse per dire che non intende nominarlo, ma che era un politico
importante; qualcuno si eÁ chiesto se per
caso non si trattasse di Anito, che effettivamente in giovinezza ebbe qualche contatto con Socrate, ma eÁ un falso bersaglio:
Socrate non intende tanto attaccare il suo
accusatore, quanto mettere in evidenza
l'ignoranza dei politici. ± o$no*mati ... le*gein, ``non occorre chiamarlo per nome'':
o$no*mati eÁ dat. strumentale. ± h#n de* tiQ ...
e>pauon, ``ma era uno dei nostri uomini
politici quello, esaminando il quale feci
una simile esperienza'', cioeÁ ``quello che
allora interrogavo e con cui ...'' . ± e>doje*
moi ... e<ayt{&, ``mi sembroÁ che quest'uomo
sembrasse esser sapiente sia a molti altri
uomini sia soprattutto a se stesso'': il politico eÁ la prima vittima della sua presunzione di sapere; Socrate tenta quindi di
dimostrargli (e$ peirv*mhn ay$t{& deikny*nai)
che credeva di esser sapiente, ma non lo
era (o%ti oi> oito ... d\ oy>). ± e$ntey&uen ... paro*ntvn, ``da quel momento io venni in
odio (a$phxuo*mhn) a costui e a molti dei
presenti'': il risentimento del politico,
del quale aveva dimostrato l'ignoranza,
fu dunque l'inizio delle molte antipatie
cui andoÁ incontro Socrate.
21.d. pro+Q e$mayto+n ... a$piv*n, ``mentre
me ne andavo ragionavo tra me e me''.
575
a$nurv*poy e$ gv+ sofv*tero*Q ei$ mi " kindyney*ei me+ n ga+r h<mv&n oy$de* teroQ oy$de+n kalo+n
ka$gauo+n ei$ de*nai, a$ll\ oy}toQ me+ n oi> etai* ti ei$ de*nai oy$k ei$ dv*Q, e$ gv+ de* , v%sper oy#n oy$k
oi#da, oy$de+ oi> omai " e> oika goy&n toy*toy ge smikr{& tini ay$t{& toy*t{ sofv*teroQ ei#nai,
o%ti a= mh+ oi#da oy$de+ oi> omai ei$ de* nai. e$ ntey&uen e$ p\ a>llon |#a tv&n e$ kei* noy dokoy*ntvn
sofvte*rvn ei#nai kai* moi tay$ta+ tay&ta e> doje, kai+ e$ ntay&ua ka$kei* n{ kai+ a>lloiQ
polloi& Q a$phxuo*mhn.
± kindyney*ei ... ei$ de*nai, ``eÁ dunque possibile (kindyney*ei) che nessuno di noi
due sappia nulla di bello ne di buono'':
la progressione nelle verifiche eÁ sempre
marcata dall'incertezza (i> svQ) e dal rischio (kindyney*ei), finche si raggiunge,
sia pure in via di probabilitaÁ, l'unica
acquisizione, nel senso di sapere di
non sapere. ± e>oika ... ei$ de*nai, ``mi
sembra dunque di essere piuÁ saggio di
costui (toy*toy ... sofv*teroQ ei#nai) proprio per questo piccolo vantaggio
(smikr{& tini ay$t{& toy*t{), per il fatto
che cioÁ che non so, non credo nemmeno di saperlo''. ± e$ntey&uen ... |#a, ``quindi mi rivolsi a un altro'': |#a eÁ impf. ind.
di ei#mi, ``andare''; anche questa nuova
intervista si concluse con uno scacco.
traduzione d'autore
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
20.c. Forse qualcuno di voi potrebbe prendere la parola per dirmi: «Ma allora,
Socrate, di cos'eÁ che ti occupi? Da dove sono venute quelle calunnie sul tuo conto?
Perche poi, se tu non facevi niente di straordinario rispetto agli altri, non nascevano
tante voci e dicerie ± se non facevi insomma nulla di diverso da quel che fanno i piuÁ ±.
Dicci cos'eÂ, perche non vogliamo improvvisare un giudizio sul tuo conto». 20.d. Chi
dice cosõÁ pare dire giusto, e io cercheroÁ di mostrarvi da dove sian partite fama e
calunnia insieme.
State a sentire. A qualcuno di voi forse sembreraÁ che io scherzi: sappiate bene peroÁ
che vi diroÁ tutta la veritaÁ. Perche io, Ateniesi, per nient'altro che per una forma di
sapienza mi sono guadagnato questa fama. Quale sapienza? Certo una sapienza
umana. Difatti eÁ in questa che forse io sono sapiente. 20.e. E costoro, di cui parlavo
poco fa, saranno certo sapienti di una sapienza superiore a quella umana, oppure non
so che dire: io almeno non la conosco, e chi lo afferma mente, e parla per denigrarmi.
E voi, Ateniesi, non protestate contro di me, neppure se vi pare che io parli con
presunzione: perche non saraÁ mio il discorso che vi faccio, bensõÁ devo riferirne la
paternitaÁ a chi guadagna la vostra fiducia. Della mia sapienza, se pure ce n'eÁ una e di
che natura sia, chiamo a testimone per voi il dio di Delfi.
Cherefonte lo conoscete certamente.
21.a. Fu mio compagno fin da giovane. E fu compagno vostro di partito, e con voi
visse quest'esilio e con voi rientroÁ. E sapete anche che uomo fosse Cherefonte, quanto
fosse impetuoso in ogni sua iniziativa. CosõÁ un giorno andoÁ a Delfi ed ebbe l'audacia
di chiedere questo all'oracolo ± e voi, signori, vi prego, non interrompete ± gli chiese
infatti se c'era qualcuno piuÁ sapiente di me. E la Pizia rispose che di piuÁ sapiente di me
non c'era nessuno. Ma di questa circostanza vi saraÁ testimone ± eÁ qui presente ± il
fratello di Cherefonte, perche questi eÁ morto.
21.b. Guardate ora la ragione di queste mie parole: perche intendo dirvi l'origine
della calunnia contro la mia persona. Al sentire il responso, riflettevo in questo modo:
«Cosa mai intende il dio, a cosa allude? Perche io, per parte mia, non sono convinto
ne tanto ne poco della mia sapienza; cosa intende mai quando dice che io sono tanto
sapiente? Perche non mente il dio ± non puoÁ mentire ±».
Per molto tempo non riuscii a cogliere il senso; ma poi, e certo con fatica, mi misi a
ricercarlo in questo modo. Mi recai da uno di quelli che hanno fama di sapienti, 21.c. e
pensavo che cosõÁ avrei in qualche modo confutato 1'oracolo e avrei risposto al vaticinio:
«EÁ questi piuÁ sapiente di me, mentre tu eÁ di me che hai parlato». Mentre esaminavo
576
Apologia di Socrate
testi
(Trad. E. AvezzuÁ)
Platone
attentamente quest'uomo ± non occorre che ve ne dica il nome, perche era un politico il
personaggio con il quale, tra indagini e discorsi, feci questa esperienza, Ateniesi ±, mi
sembroÁ che quest'uomo apparisse sapiente agli occhi, tra gli altri, soprattutto di se
stesso, ma che in realtaÁ non lo fosse. E allora mi provai a dimostrargli che riteneva di
essere sapiente, ma che non lo era. Ne risultoÁ dunque che me lo feci nemico e, con lui, mi
inimicai molti dei presenti. 21.d. Ma fra me e me, andandomene via, ragionavo che io
ero piuÁ sapiente di quest'uomo: perche forse nessuno di noi due conosceva qualcosa di
bello e di buono, ma lui riteneva di sapere ± e non sapeva ±, mentre io come non so cosõÁ
non penso neppure di sapere; mi pareva percioÁ di essere piuÁ sapiente di lui proprio in
questo piccolo particolare, e cioeÁ che le cose che non so non penso neanche di saperle.
Poi mi recai da un altro che aveva fama di essere piuÁ sapiente dell'altro, e ne ricavai
un'impressione identica ± e cosõÁ mi attirai l'odio suo e di molti altri.
ANALISI DEL TESTO
" TRA STRANEZZA E SAGGEZZA Socrate continua la sua difesa ipotizzando che gli venga chiesto quale suo strano
comportamento sia stato all'origine delle calunnie che lo
hanno travolto. L'obiezione -- secondo un uso comune nel
greco ± viene introdotta, dopo la pausa, da i> svQ accompagnato dall'ottativo potenziale di un verbo di dire, interrompere, meravigliarsi e da tiQ o equivalente del soggetto.
Due termini sono da sottolineare:
n peritto*teron (20 c): composto con il prefisso peri* , ha
in se l'idea del sopra, dell'oltre la misura, quindi, come nel
nostro passo, dello straordinario, dello strano. La stranezza, l'a$topi* a di Socrate eÁ peraltro un motivo topico,
legato alla piuÁ generale considerazione che la sua vita non
puoÁ essere paragonata a nessuna altra esistenza, non ha
precedenti, come ben si legge in Symp. 221c: Alcibiade,
nell'elogio del suo maestro, sostiene che se con Achille
puoÁ essere messo a confronto Brasida, con Nestore Antenore, con altri Pericle, Socrate, invece, non eÁ raffrontabile con nessuno ne fra gli antichi, ne fra i moderni.
n sofi* a (20 d): dice Socrate di dovere fama e calunnie ad
una forma di sapienza che possiederebbe; tiQ (tina+ ...
sofi* an) attenua il valore del sostantivo sofi* a poiche la
sapienza come possesso stabile non eÁ prerogativa
umana: per l'uomo, infatti, esiste solo l'amore, mai completamente appagato, per essa (da qui filosofi* a). La
sapienza di Socrate non eÁ la sapienza positiva di chi
tanto sa, ma rappresenta, da un lato, la consapevolezza
dell'inconsistenza delle opinioni, dall'altro, l'esigenza di
andare sempre a fondo nelle cose, al di laÁ delle apparenze.
Altrove, per esempio in Simposio 177d oy$de*n fhmi+ a>llo
e$ pi* stasuai h/ ta+ e$ rvtika*, Socrate sosterraÁ, invece, di sapere qualcosa, nell'ambito delle cose d'amore. Ci sarebbe
quindi un dato positivo di conoscenza da cui partire e
proprio l'amore sarebbe la fonte che permette a Socrate di
apportare un beneficio agli altri. Sottile, nel passo del
Simposio, eÁ l'ironia del filosofo. Egli non sa nulla se non cioÁ
che riguarda l'amore: quindi in realtaÁ conosce tutto, dato
che Eros eÁ quella forza che porta alla piuÁ alta vetta del
sapere.
" MODULI STILISTICI Nel brano e
Á da evidenziare l'obiezione
di un ipotetico interlocutore, secondo un modulo tipico
dell'oratoria giudiziaria; allitterazione e figura etymologica
presenti in tayti* moi dokei& di* kaia le*gein o< le*gvn (20 d)
± insieme allo iota `deittico' di tayti* proprio del linguaggio
drammatico e oratorio ± contribuiscono a sottolineare il
credito che si attribuisce a tale obiezione in quanto elemento significativo per il procedere del discorso di difesa.
Sono da segnalare nel passo anche le espressioni del
lessico colloquiale (to+ so+n ti* e$ sti pra&gma) e i frequenti
richiami al destinatario per tenerne desta l'attenzione
(a$koy*ete, i> ste, mh+ uorybh*shte).
577
3 Restare al proprio posto
(28 a-d)
Segue la difesa contro l'accusa di MeleÁto. Socrate che non sa non puoÁ avere intenzione di corrompere i
giovani; se lo fa senza averne l'intenzione, non puoÁ essere accusato. D'altra parte l'accusa di non riconoscere
gli deÁi della cittaÁ non puoÁ essere provata: Socrate parla di demoni, che sono per loro natura figli degli deÁi. Del
resto il filosofo non puoÁ rinunciare al mandato ricevuto dal dio, che lo ha scelto perche stimolasse i suoi
concittadini.
28.a. Dunque, cittadini ateniesi, mi pare che non ci sia bisogno di una lunga difesa
per convincere che io non ho la colpa che mi viene imputata nell'atto di accusa di
Meleto. Sono sufficienti queste cose che ho detto. Ma quello che vi dicevo
all'inizio, ossia che contro di me eÁ sorto in molti un grave odio, sappiate bene
che eÁ vero.
E quello che mi infligge condanna, se pure ci saraÁ condanna, non sono neÂ
Meleto ne Anito, bensõÁ la calunnia e l'invidia dei piuÁ. E queste cose hanno inflitto
condanna a molti altri uomini valenti e credo che ne infliggeranno anche in
futuro. E non c'eÁ da temere che 28.b. si arrestino a me.
Qualcuno potrebbe forse dirmi: «Allora, o Socrate, non ti vergogni di esserti
dedicato a questa attivitaÁ, per la quale sei in pericolo di morire?».
A questi io potrei rispondere con un giusto ragionamento: «Non dici bene, o
amico, se tu ritieni che un uomo che possa essere di qualche giovamento anche
piccolo, debba tener conto altresõÁ anche del pericolo della vita o del morire e non
debba, invece, quando agisce, guardare solo a questo, ossia se possa fare cose
giuste o ingiuste, e se le sue azioni sono azioni di un uomo buono, oppure di un
uomo cattivo. 28.c. Se si sta al tuo ragionamento, sarebbero state persone di poco
valore tutti quei semidei che sono morti a Troia. E come gli altri anche il figlio di
Tetide, il quale, invece di sopportare l'infamia, disprezzoÁ il pericolo a tal punto
che, allorche la madre, che era dea, disse a lui che desiderava ardentemente di
uccidere Ettore, all'incirca cosõÁ: ``O figlio, se tu vendicherai la morte del tuo amico
Patroclo e ucciderai Ettore, morirai anche tu, perche a quello di Ettore subito segue
giaÁ pronto il tuo destino, nell'ascoltare queste parole non si diede pensiero del
pericolo e della morte. 28.d. E invece, temendo molto di piuÁ il vivere da codardo
e il non vendicare l'amico, disse: ``Che io muoia subito, non appena abbia punito
chi ha commesso la colpa, e che non rimanga qui deriso presso le curve navi, e
inutile peso della terra. E allora, o amico, pensi che egli si sia preoccupato per la
morte e per il pericolo?».
(Trad. G. Reale)
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. L'inevitabilitaÁ della condanna, secondo Socrate, non dipenderaÁ tanto dall'atto d'accusa. Da che cosa dipenderaÁ
allora?
.....................................................................................................................................................................................
.....................................................................................................................................................................................
2. Qual eÁ l'argomento addotto dall'ipotetico interlocutore di Socrate per sostenere che l'attivitaÁ praticata dal
filosofo eÁ vergognosa?
.....................................................................................................................................................................................
.....................................................................................................................................................................................
3. Qual eÁ, invece, il criterio che, secondo Socrate, decide della bontaÁ di un'azione?
.....................................................................................................................................................................................
.....................................................................................................................................................................................
578
Platone
Testi a confronto
Apologia di Socrate
PiuÁ della vita
Antiloco, figlio di Nestore, ha portato ad Achille la terribile notizia della morte di Patroclo. A consolare
l'eroe, che piange disperatamente e sostiene che la vita per lui non avraÁ piuÁ valore se non vendicheraÁ
Patroclo, arriva la madre Teti: questa ribadisce al figlio che, se affronteraÁ Ettore, il suo tempo si faraÁ breve
(Iliade XVIII, 94-106).
95
105
testi
100
To+n d\ ay#te prose*eipe Ue*tiQ kata+ da*kry xe*oysa "
``v$ky*moroQ dh* moi, te* koQ, e> sseai, oi}\ a$gorey*eiQ "
ay$ti* ka ga*r toi e> peita meu\ % Ektora po*tmoQ e< toi& moQ.''
Th+n de+ me*g\ o$xuh*saQ prose*fh po*daQ v$ky+Q \Axilley*Q "
ay$ti* ka teunai* hn, e$ pei+ oy$k a>r\ e>mellon e< tai* r{
kteinome* n{ e$ pamy&nai " o< me+n ma*la thlo*ui pa*trhQ
e>fuit\, e$mei& o de+ dh&sen a$rh&Q a$lkth&ra gene* suai.
ny&n d\ e$pei+ oy$ ne* omai* ge fi* lhn e$ Q patri* da gai& an,
oy$de* ti Patro*kl{ geno*mhn fa*oQ oy$d\ e< ta*roisi
toi& Q a>lloiQ, oi= dh+ pole* eQ da*men % Ektori di* {,
a$ll\ h}mai para+ nhysi+ n e$tv*sion a>xuoQ a$roy*rhQ,
toi& oQ e$v+n oi}oQ oy> tiQ \Axaiv&n xalkoxitv*nvn
e$n pole* m{ " a$gor|& de* t\ a$mei* none* Q ei$ si kai+ a>lloi.
traduzione d'autore
95
100
105
Teti allora versando lacrime disse:
``Ah! Sei vicino alla morte, creatura, come mi parli.
Subito dopo Ettore t'eÁ preparata la Moira''.
Ma con gemito grave rispose Achille piede rapido:
«Potessi morire anche adesso, poiche non dovevo all'amico
portar soccorso in morte; molto lontano dalla patria
eÁ morto; e io gli sono mancato, difensore dal male.
E ora, che in patria non devo tornare mai piuÁ,
che non fui luce per Patroclo, ne pei compagni,
per gli altri, molti son stati uccisi da Ettore luminoso,
siedo qui presso le navi, inutile peso della terra,
io che son forte quanto nessuno dei Danai chitoni di bronzo
in guerra. Altri son migliori in consiglio»
(Trad. R. Calzecchi Onesti)
CONFRONTI
" C'e
Á
un bene piuÁ grande per cui pare giusto sacrificare anche la vita: Socrate sceglie un esempio tratto dal
mito omerico per esemplificare quest'idea e cita liberamente da Iliade XVIII, 94 ss. Rileggi i versi di Omero che
abbiamo proposto e mettili a confronto con il testo dell'Apologia di p. 578 in un elaborato di 10 righe.
579
4 Il congedo
(40c-42a)
L'Apologia platonica contiene ancora una sezione, in cui Socrate prende congedo dai suoi giudici, da quelli che
avevano votato per la sua condanna a morte come dagli altri. Rivolto a questi ultimi, egli spiega che sicuramente
quanto gli eÁ accaduto eÁ destinato ad essere per lui un bene, e cerca di fornirne la dimostrazione.
40.c. $ Ennoh*svmen de+ kai+ t|&de v<Q pollh+ e$ lpi* Q e$ stin a$gauo+n ay$to+ ei#nai. dyoi& n ga+r
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
ua*tero*n e$ stin to+ teuna*nai " h/ ga+r oi}on mhde+ n ei#nai mhde+ ai> suhsin mhdemi* an
mhdeno+Q e> xein to+n teunev&ta, h/ kata+ ta+ lego*mena metabolh* tiQ tygxa*nei oy#sa kai+
metoi* khsiQ t|& cyx|& toy& to*poy toy& e$ nue*nde ei$ Q a>llon to*pon. kai+ ei> te dh+ mhdemi* a
ai> suhsi* Q e$ stin a$ll\ 40.d. oi}on y%pnoQ, e$ peida*n tiQ kauey*dvn mhd\ o>nar mhde+ n o<r@&,
uayma*sion ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ ± e$ gv+ ga+r a/n oi#mai, ei> tina e$ kleja*menon de* oi
tay*thn th+n ny*kta e$ n |} oy%tv kate* daruen v%ste mhde+ o>nar i$ dei& n, kai+ ta+Q a>llaQ
ny*ktaQ te kai+ h<me* raQ ta+Q toy& bi* oy toy& e< aytoy& a$ntiparaue* nta tay*t| t|& nykti+ de* oi
skeca*menon ei$ pei& n po*saQ a>meinon kai+ h%dion h<me* raQ kai+ ny*ktaQ tay*thQ th&Q nykto+Q
bebi* vken e$ n t{& e< aytoy& bi* {, oi#mai a/n mh+ o%ti i$ div*thn tina*, a$lla+ to+n me* gan basile* a
ey$ariumh*toyQ a/n ey<rei& n ay$to+n tay*taQ pro+Q ta+Q a>llaQ h<me*raQ kai+ ny*ktaQ ± 40.e. ei$
oy#n toioy&ton o< ua*nato*Q e$ stin, ke* rdoQ e> gvge le* gv " kai+ ga+r oy$de+ n plei* vn o< pa&Q
xro*noQ fai* netai oy%tv dh+ ei#nai h/ mi* a ny*j. ei$ d\ ay# oi}on a$podhmh&sai* e$ stin o<
ua*natoQ e$ nue* nde ei$ Q a>llon to*pon, kai+ a$lhuh& e$ stin ta+ lego*mena, v<Q a>ra e$ kei& ei$ si
pa*nteQ oi< teunev&teQ, ti* mei& zon a$gauo+n toy*toy ei> h a>n, v# a>ndreQ dikastai* ; ei$ ga*r tiQ
a$fiko*menoQ ei$ Q %Aidoy, 41.a. a$pallagei+ Q toytvni+ tv&n fasko*ntvn dikastv&n ei#nai,
ey<rh*sei toy+Q v<Q a$lhuv&Q dikasta*Q, oi% per kai+ le*gontai e$ kei& dika*zein, Mi* nvQ te kai+
< Rada*manuyQ kai+ Ai$ ako+Q kai+ Tripto*lemoQ kai+ a>lloi o%soi tv&n h<miue*vn di* kaioi e$ ge*40.c. e$nnoh*svmen ... ei# nai, ``riflettiamo anche da questo punto di vista
(kai+ t|&de) che ho molti motivi per sperare che essa sia un bene''; e$ nnoh*svmen:
cong. esortativo; kai+ t|&de: avverbio di
modo, il punto di vista che Socrate sta
per esporre. ± dyoi& n ... teunev&ta: ``di
due cose una (ua*teron) eÁ il morire: o eÁ
come se il morto (to+n teunev&ta) non sia
piuÁ nulla e non abbia alcuna percezione
di nulla'': ua*teron 4 to+ e% teron, ``una
delle due cose'', alterum; to+n teunev&ta: eÁ
meglio intenderlo come sogg. sia di
mhde+ n ei#nai sia di e> xein; mhdemi* an mhdeno*Q: poliptoto. ± h/ kata+ ... to*pon, ``o,
secondo quanto si dice, eÁ (tygxa*nei oy#sa) una trasformazione e una trasmigrazione per l'anima da questo luogo
quaggiuÁ (toy& e$ nue*nde) in un altro luogo''; kata+ ta+ lego*mena: cosõÁ dicevano
soprattutto orfici e pitagorici. L'alternativa che qui Socrate prospetta costituisce indubbiamente una posizione assolutamente diversa da quella che poi saraÁ esposta, per bocca dello stesso Socrate, nel Fedone, dove l'immortalitaÁ dell'anima eÁ una certezza luminosa. ± kai+
ei> te, ``e se'': introduce un periodo ipotetico misto, la cui apodosi eÁ uayma*sion
ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ, ed eÁ ripresa in
40e da ei$ oy#n ... ke*rdoQ e> gvge le*gv.
580
40.d-e. e$peida*n ... o<r@&, ``quando uno
dormendo non fa nemmeno un sogno'':
in prospettiva eventuale, con a>n di e$ peida*n e il cong. o<r@&; il greco dice o<ra&n
y%pnon, ``vedere un sogno'', dove l'italiano usa un verbo assai piuÁ generico, ``fare un sogno''. ± uayma*sion ... o< ua*natoQ,
``la morte sarebbe un profitto meraviglioso'': apodosi della possibilitaÁ, dove
ke*rdoQ eÁ termine del linguaggio commerciale, propr. ``guadagno''. ± ei> tina
... bi* {, ``se bisognasse che uno, dopo
aver scelto (e$ kleja*menon), questa
(tay*thn) notte in cui (e$ n |}) ha dormito
cosõÁ da non fare alcun sogno e confrontando (a$ntiparaue*nta) a questa notte le
altre notti e giorni della sua vita, dovesse dire riflettendo (skeca*menon) quanti
giorni e quante notti ha vissuto meglio e
piuÁ piacevolmente di questa notte nella
sua vita''; tay*thn costituisce prolessi rispetto al relativo e$ n |} che segue. ± oi# mai
... ny*ktaQ, ``io credo che non solo un
privato cittadino (i$ div*thn tina), ma il
Gran Re potrebbe trovare (a/n ey<rei& n)
ben poche (ey$ariumh*toyQ) queste notti
in relazione agli altri giorni e notti'':
oi#mai, annunciato dapprima come inciso, ritorna con ben altro peso come
proposizione principale, a reggere l'infinito a/n ey<rei& n.
40.e. ei$ oy#n ... le*gv, ``se dunque la
morte eÁ una cosa di questo genere
(toioy&ton), io certo (e> gvge) lo chiamo
un vantaggio'': ritorna insistente il termine finanziario ke* rdoQ; e> gvge, ``io,
per conto mio'': il ge limitativo sottolinea il punto di vista di chi sta parlando.
± oy$de+n plei* vn, ``per nulla maggiore'':
oy$de* n eÁ acc. avverbiale di relazione.
_
ei$ d\ ay# ... ei> h a>n, ``se poi la morte eÁ
come emigrare (a$podhmh&sai) di qui in
un altro luogo, e sono veri i racconti
che si fanno, che sono laÁ tutti quelli
che sono morti (oi< teunev&teQ), quale
bene maggiore di questo potrebbe esserci'': ritorna il tema dell'al di laÁ; la
protasi di primo tipo non implica realtaÁ, ma la prospettiva, pur non dimostrata, eÁ presentata come attraente e
questo effetto Socrate intende produrre sui suoi ascoltatori. ± a$fiko*menoQ ei$ Q
%Aidoy, ``giungendo all'Ade'': ei$ Q richiede normalmente l'acc. e giaÁ gli antichi
intendevano che fosse sottinteso un
acc. come do*mon, come nel lt. ventum
erat ad Vestae, sott. templum.
41.a. a$pallagei+ Q ... dikasta*Q, ``allontanandosi (a$pallagei* Q) da questi qui
che pretendono (fasko*ntvn) essere
giudici, troveraÁ quelli che sono davveSCHEDA DI LESSICO "Il lessico della
morte, p. 585
41.b. e>moige kai+ ay$t{&, ``per me in
particolare''. ± o<po*te ... te*unhken,
``quando mi imbattessi in Palamede o
in Aiace figlio di Telamone o in quanti
altri (ei> tiQ a>lloQ) tra gli antichi sono
morti per un giudizio ingiusto''; ei> tiQ
a>lloQ: questa locuzione si presenta come una protasi di periodo ipotetico, ma
ha la funzione di una proposizione relativa: ``se qualcun altro morõÁ'' 4 ``tutti
gli altri che morirono''. ± Palamh*dei,
``Palamede''.
Odisseo, per non andare a Troia, fingeva di essere pazzo,
ma Palamede scoprõÁ il suo piano e lo
costrinse a partecipare alla spedizione;
Odisseo si vendicoÁ su di lui facendo
nascondere nella tenda di Palamede
dell'oro e una falsa lettera di Priamo:
cosõÁ Palamede fu accusato di tradimento e lapidato. Questo argomento era
svolto in varie tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide¨. ± Ai> anti, ``Aiace''.
Aiace invece, dopo la morte di
Achille, considerandosi il piuÁ forte dei
Greci dopo quello, pretendeva che a lui
fossero attribuite la armi del morto:
Odisseo riuscõÁ con l'astuzia a farle assegnare a seÂ, e Aiace, per il dolore del
torto subito, impazzõÁ e si uccise: la vicenda era rappresentata in una trilogia
perduta di Eschilo e nell'Aiace di Sofocle, che conserviamo¨. ± a$ntiparaba*llonti, ``confrontando'': part. congiunto con e> moige. ± kai+ dh+ ... dia*gein,
``e poi soprattutto, trascorrere il tempo
(dia*gein) esaminando ed interrogando
(e$ jeta*zonta kai+ e$ reynv&nta in acc. perche concordano con il sogg. sottinteso
dell'infinitiva) quelli di laÁ (toy+Q e$ kei& )
come quelli di qua (toy+Q e$ ntay&ua), chi
di loro eÁ sapiente e chi crede di esserlo
ma non lo eÁ'': l'inf. dia*gein dipende
sintatticamente da e$ pi+ po*s{ a>n tiQ de*jait(o) di 41 a 7, come syggene* suai:
testi
racconti sono veri'': e$ ue* lv esprime la
disponibilitaÁ ad adeguarsi alla volontaÁ
altrui o ad una situazione.
Apologia di Socrate
ro giudici'': in quest'ultima parte dell'Apologia inizia il tema che saraÁ comune alla prima riflessione di Platone e
degli altri socratici, quello del Giusto
condannato: esso eÁ qui marcato dal
poliptoto dikastai* ... dikastv&n ... dikasta*Q ... dika*zein e dalla serie dei mitici
giudici giusti dell'al di laÁ, in opposizione a quelli ingiusti che hanno condannato a morte Socrate. ± oi% per kai+ ...
Tripto*lemoQ: ``coloro che si dice amministrino la giustizia, Minosse, Radamanto, Eaco e Trittolemo''.
Radamanto e Minosse erano figli di Zeus ed
Europa: il primo fu re di Creta e stabilõÁ
le leggi che furono imitate da molte
cittaÁ greche; gli successe il fratello minore Minosse; Eaco, figlio di Zeus e
della ninfa Egina, fu re dell'isola cui
diede il nome di sua moglie, e padre
di Peleo e Telamone; a questi che la
tradizione considerava i giudici dell'Ade, Platone aggiunge il re attico Trittolemo, che aiutoÁ Demetra nella ricerca
di Persefone e ottenne da lei il dono del
grano: era associato alle due dee nei
misteri di Eleusi¨. ± a>ra fay*lh ...
a$podhmi* a, ``sarebbe questo un mutamento di sede spregevole?'': a>ra introduce una interr. diretta retorica che
suggerisce al destinatario una risposta
negativa; fay*lh, ``da poco'': certo non
sarebbe stata da poco la possibilitaÁ di
ottenere una nuova vita presso i semidei che si distinsero in vita per la loro
giustizia. ± $ Orfei& ... Moysai* {, ``stare
insieme a Orfeo e a Museo'': gli esponenti mitici della letteratura religiosa
della tradizione orfica, accostati qui
ai fondatori della mitologia classica,
Omero ed Esiodo. ± e$pi+ po*s{ ... y<mv&n,
``per che prezzo non lo accetterebbe
uno di voi'', cioeÁ ``quanto uno di voi
sarebbe disposto a pagare per questo?'': oggetto di de* jait(o) eÁ l'inf. syggene* suai, ``stare insieme a''. ± e$gv+ me+n
... a$lhuh&, ``io infatti sono disposto
(e$ ue* lv) a morire molte volte se questi
Platone
nonto e$ n t{& e< aytv&n bi* {, a#ra fay*lh a/n ei> h h< a$podhmi* a; h/ ay# $ Orfei& syggene* suai kai+
Moysai* { kai+ < Hsio*d{ kai+ < Omh*r{ e$ pi+ po*s{ a>n tiQ de*jait\ a/n y<mv&n; e$ gv+ me+n ga+r
polla*kiQ e$ ue*lv teuna*nai ei$ tay&t\ e> stin a$lhuh&. e$ pei+ 41.b. e> moige kai+ ay$t{& uaymasth+ a/n
ei> h h< diatribh+ ay$to*ui, o<po*te e$ nty*xoimi Palamh*dei kai+ Ai> anti t{& Telamv&noQ kai+ ei> tiQ
a>lloQ tv&n palaiv&n dia+ kri* sin a>dikon te*unhken, a$ntiparaba*llonti ta+ e$ maytoy& pa*uh
pro+Q ta+ e$ kei* nvn ± v<Q e$ gv+ oi#mai, oy$k a/n a$hde+ Q ei> h ± kai+ dh+ to+ me* giston, toy+Q e$ kei&
e$ jeta*zonta kai+ e$ reynv&nta v%sper toy+Q e$ ntay&ua dia*gein, ti* Q ay$tv&n sofo*Q e$ stin kai+
ti* Q oi> etai me* n, e>stin d\ oy>. e$ pi+ po*s{ d\ a>n tiQ, v# a>ndreQ dikastai* , de* jaito e$ jeta*sai
to+n e$ pi+ Troi* an a$gago*nta th+n pollh+n stratia+n 41.c. h/ $ Odysse*a h/ Si* syfon h/
a>lloyQ myri* oyQ a>n tiQ ei> poi kai+ a>ndraQ kai+ gynai& kaQ, oi}Q e$ kei& diale* gesuai kai+
synei& nai kai+ e$ jeta*zein a$mh*xanon a/n ei> h ey$daimoni* aQ; pa*ntvQ oy$ dh*poy toy*toy ge
e% neka oi< e$ kei& a$poktei* noysi " ta* te ga+r a>lla ey$daimone* steroi* ei$ sin oi< e$ kei& tv&n
Socrate sarebbe felice di andare nell'al
di laÁ a continuare la stessa opera che
compiva in Atene, di sollecitare ognuno a conoscere se stesso, secondo il
comando di Apollo. ± e$pi+ po*s{ a>n tiQ
... de*jaito: ritorna emblematicamente
la frase, per far riflettere i destinatari.
_
e$jeta*sai ... stratia*n, ``di interrogare
colui che condusse a Troia il grande
esercito'': Agamennone, che giaÁ nei
poemi daÁ prova di presunzione e arroganza anziche di sofi* a.
41.c. h/ $ Odysse*a h/ Si* syfon: eroi dell'astuzia e dell'inganno; queste, che erano virtuÁ per l'etica arcaica, ripugnavano
alla moralitaÁ di Socrate come a quella di
Platone. ± oi} Q e$kei& ... ey$daimoni* aQ, ``con
i quali conversare laÁ e stare con loro ed
interrogarli sarebbe il colmo della felicitaÁ''; a$mh*xanon ... ey$daimoni* aQ, ``l'impossibilitaÁ della felicitaÁ'', cioeÁ una felicitaÁ impossibile ad esprimersi: a$mh*xanoQ eÁ
cioÁ per cui non esistono mhxanai* , ``artifici'', ed eÁ quindi impossibile. ± pa*ntvQ
... a$poktei* noysi, ``in ogni caso, per questo motivo (toy*toy e% neka), quelli di laÁ
non mandano a morte''; toy*toy e% neka:
per il fatto di discutere e di confutare
quelli che credono di esser saggi senza
esserlo; quindi nel regno dei morti Socrate non avrebbe corso rischio di esser
condannato a morte. Egli eÁ giunto a una
tale serena luciditaÁ che si permette di
ironizzare perfino sulla propria morte.
± ta* te ga+r a>lla ... kai+ , ``sia nel resto ...
sia anche''. ± ei> per ge ... a$lhuh&, ``se eÁ
vero cioÁ che si racconta'': ritorna l'apparente riserva (ei> per ge) che riafferma
in modo distaccato la certezza morale
di Socrate. ± a$lla+ kai+ ... ua*naton, ``ma
anche voi, cittadini giudici, dovete essere fiduciosi (ey$e* lpidaQ) riguardo la
morte'': ha inizio cosõÁ l'ultimo capitolo,
in tono di perorazione; quanto alla procedura giudiziaria non dovrebbe esserci luogo per una perorazione, giaccheÂ
la sentenza di morte eÁ irrevocabile; ma
581
e$ nua*de, kai+ h>dh to+n loipo+n xro*non a$ua*natoi* ei$ sin, ei> per ge ta+ lego*mena a$lhuh&.
$Alla+ kai+ y<ma&Q xrh*, v# a>ndreQ dikastai* , ey$e* lpidaQ ei#nai pro+Q to+n ua*naton, kai+ e% n ti
toy&to dianoei& suai a$lhue*Q, 41.d. o%ti oy$k e> stin a$ndri+ a$gau{& kako+n oy$de+n oy>te zv&nti
oy>te teleyth*santi, oy$de+ a$melei& tai y<po+ uev&n ta+ toy*toy pra*gmata " oy$de+ ta+ e$ ma+ ny&n a$po+
toy& ay$toma*toy ge*gonen, a$lla* moi dh&lo*n e$ sti toy&to, o%ti h>dh teuna*nai kai+ a$phlla*xuai
pragma*tvn be*ltion h#n moi. dia+ toy&to kai+ e$ me+ oy$damoy& a$pe*trecen to+ shmei& on, kai+
e> gvge toi& Q katachfisame* noiQ moy kai+ toi& Q kathgo*roiQ oy$ pa*ny xalepai* nv. kai* toi oy$
tay*t| t|& dianoi* @ katechfi* zonto* moy kai+ kathgo*royn, a$ll\ oi$ o*menoi bla*ptein " 41.e.
toy&to ay$toi& Q a>jion me*mfesuai. toso*nde me*ntoi ay$tv&n de*omai " toy+Q y<ei& Q moy, e$ peida+n
h<bh*svsi, timvrh*sasue, v# a>ndreQ, tay$ta+ tay&ta lypoy&nteQ a%per e$ gv+ y<ma&Q e$ ly*poyn,
e$ a+n y<mi& n dokv&sin h/ xrhma*tvn h/ a>lloy toy pro*teron e$ pimelei& suai h/ a$reth&Q, kai+ e$ a+n
dokv&si* ti ei#nai mhde+n o>nteQ, o$neidi* zete ay$toi& Q v%sper e$ gv+ y<mi& n, o%ti oy$k e$ pimeloy&ntai
v}n dei& , kai+ oi> ontai* ti ei#nai o>nteQ oy$deno+Q a>jioi. kai+ e$a+n tay&ta poih&te, di* kaia peponuv+Q
e$ gv+ e> somai y<f\ y<mv&n ay$to*Q 42.a. te kai+ oi< y<ei& Q. a$lla+ ga+r h>dh v%ra a$pie* nai, e$ moi+ me+n
a$pouanoyme* n{, y<mi& n de+ bivsome* noiQ " o<po*teroi de+ h<mv&n e> rxontai e$ pi+ a>meinon pra&gma,
a>dhlon panti+ plh+n h/ t{& ue{&.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
Socrate perora la causa delle sue idee, e
vuole che, quale che sia la sorte delle
anime dopo la morte, i giudici che hanno avuto fiducia in lui abbiano chiara
coscienza che l'uomo non deve esitare a
seguire la voce del dio, che parla nella
sua coscienza.
41.d. o%ti ... teleyth*santi, ``che per
l'uomo virtuoso non c'eÁ alcun male,
ne da vivo ne da morto'': la dichiarativa ha funzione epesegetica rispetto a e% n
ti toy&to, mentre zv&nti e teleyth*santi
sono predicativi di a$ndri+ a$gau{&. ± oy$de+
... ge*gonen, ``ne le mie vicende (ta+ e$ ma*)
sono avvenute a caso (a$po+ toy& ay$toma*toy)''. ± teuna*nai kai+ a$phlla*xuai
pragma*tvn, ``esser morto ed essermi
liberato dai fastidi''; l'idea eÁ rappresentata da due infiniti perfetti (da un|*skv
e a$palla*ssv) nella prospettiva di esser
compiuta: solo allora si realizzeraÁ cioÁ
che eÁ meglio per Socrate. ± e$me+ ... to+
shmei& on, ``il segno non mi distolse per
nulla'': il segno misterioso (to+ shmei& on)
che talvolta lo distoglieva dal compiere
un'azione era quello che Socrate chiamava il suo deÁmone; Socrate interpreta
ora la mancanza di quel segno come la
conferma che per lui eÁ stato meglio
esser condannato dal tribunale. ± e>gvge ... xalepai* nv, ``e io, per conto mio
(e> gvge) non me la prendo (xalepai* nv)
con coloro che hanno votato per la mia
condanna (toi& Q katachfisame* noiQ moy)
ne con gli accusatori'': i verbi giudiziari
composti con kata- si costruiscono con
il gen., retto da kata- (4 ``contro''),
della persona accusata o condannata.
± kai* toi, ``eppure'': Socrate si ferma un
attimo a riflettere che se anche gli accusatori e i giudici a lui ostili non gli
hanno fatto alcun male, non era questa
la loro intenzione. ± oy$ tay*t| t|& dianoi* @, ``non con questa intenzione''.
41.e. toy&to ... me*mfesuai, ``di questo eÁ
giusto rimproverarli''. ± toso*nde .... de*omai, lett. ``di tanto io li prego'': de*omai,
con il gen. della persona, vale ``pregare''
(oltre che, talvolta, ``aver bisogno di''),
mentre toso*nde anticipa l'imperativo
che segue, timvrh*sasue. ± tay$ta* ... e$ly*poyn, ``infliggendo loro gli stessi fastidi
che io infliggevo a voi'': lype*v, ``affliggere uno'', qui ripetuto per poliptoto, eÁ
costruito con l'acc. della persona e l'acc.
di relazione della cosa con cui uno viene
afflitto; nella traduzione la carica semantica di lype*v viene trasferita all'oggetto, che in greco eÁ reso genericamente
con il neutro. ± e$a+n y<mi& n ... a$reth&Q, ``nel
caso che vi sembri (e$ a+n ... dokv&sin) che si
diano pensiero o (h>) del denaro o (h>) di
qualche altra cosa prima che (h>) della
virtuÁ'': e$ a+n ... dokv&sin eÁ una protasi di
periodo ipotetico dell'eventualitaÁ, la cui
protasi eÁ l'imp. timvrh*sasue; i primi
due h> sono disgiuntivi (lt. aut), mentre
il terzo introduce il secondo termine di
paragone (lt. quam); a>lloy toy: toy eÁ
pron. indefinito. ± oi> ontai ... a>jioi, ``e
credono di esser qualcosa mentre non
meritano nulla'': oy$deno*Q eÁ gen. di stima.
± di* kaia ... e>somai, ``avroÁ ricevuto cioÁ
che eÁ giusto'': peponuv+Q e> somai eÁ futuro
perfetto dal tema di pa*sxv.
42.a. e$moi+ ... bivsome*noiQ, ``per me a
morire, per voi a vivere'': i due part.
futuri hanno valore finale. ± o<po*teroi
... h<mv&n, ``chi tra me e voi'': o<po*teroi
esprime due gruppi contrapposti, anche
se il primo di essi eÁ costituito da una sola
persona; o<po*teroi e> rxontai, prop. interr. indiretta, eÁ soggettiva rispetto alla
sovraordinata a>dhlon, sott. e$ sti* .
traduzione d'autore
40.c. Consideriamo anche da questo lato il fatto che c'eÁ molta speranza che il morire
sia un bene. In effetti, una di queste due cose eÁ il morire: o eÁ come un non essere nulla
e chi eÁ morto non ha piuÁ alcuna sensazione di nulla; oppure, stando ad alcune cose
che si tramandano, eÁ un mutamento e una migrazione dell'anima da questo luogo che
eÁ quaggiuÁ ad un altro luogo.
Ora, se la morte eÁ il non aver piuÁ alcuna sensazione, 40.d. ma eÁ come un sonno che si ha
quando nel dormire non si vede piuÁ nulla neppure in sogno, allora la morte sarebbe un
582
Platone
Apologia di Socrate
testi
guadagno meraviglioso. Infatti, io ritengo che se uno, dopo aver scelto questa notte in cui
avesse dormito cosõÁ bene da non vedere nemmeno un sogno, e, dopo aver messo a
confronto con questa le altre notti e gli altri giorni della sua vita, dovesse fare un esame
e dirci quanti giorni e quante notti abbia vissuto in modo piuÁ felice e piuÁ piacevole di quella
notte durante tutta la sua vita; ebbene, io credo che costui, anche se fosse non solo un
qualche privato cittadino, ma il Gran Re, troverebbe lui pure che questi giorni e queste
notti sono pochi da contare rispetto agli altri giorni e alle altre notti. 40.e. Se, dunque, la
morte eÁ qualcosa di tal genere, io dico che eÁ un guadagno. Infatti, tutto quanto il tempo
della morte non sembra essere altro che un'unica notte. Invece, se la morte eÁ come un
partire di qui per andare in un altro luogo, e sono vere le cose che si raccontano, ossia che in
quel luogo ci sono tutti i morti, quale bene, o giudici, ci potrebbe essere piuÁ grande di
questo?
Infatti, se uno, giunto all'Ade, 41.a. liberatosi di quelli che qui da noi si dicono
giudici, ne troveraÁ di veri, quelli che si dice che laÁ pronunciano sentenza: Minosse,
Radamante, Eaco, Trittolemo e quanti altri dei semidei sono stati giusti nella loro
vita; ebbene, in tal caso, questo passare nell'aldilaÁ sarebbe forse una cosa da poco?
E poi, quanto non sarebbe disposto a pagare ciascuno di voi, per stare insieme con
Orfeo e con Museo, con Omero e con Esiodo? Per quello che mi riguarda, sono
disposto a morire molte volte, se questo eÁ vero. 41.b. Infatti, per me, sarebbe straordinario trascorrere il mio tempo, allorche mi incontrassi con Palamede, con Aiace
figlio di Telamonio e con qualche altro degli antichi che sono morti a causa di un
ingiusto giudizio, mettendo a confronto i miei casi con i loro!
E io credo che questo non sarebbe davvero spiacevole.
Ma la cosa per me piuÁ bella sarebbe sottoporre ad esame quelli che stanno di laÁ,
interrogandoli come facevo con questi che stanno qui, per vedere chi eÁ sapiente e chi
ritiene di essere tale, ma non lo eÁ.
Quanto sarebbe disposto a pagare uno di voi, o giudici, per esaminare chi ha
portato a Troia 41.c. il grande esercito, oppure Odisseo o Sisifo e altre innumerevoli
persone che si possono menzionare, sia uomini che donne?
E il discutere e lo stare laÁ insieme con loro e interrogarli, non sarebbe davvero il
colmo della felicitaÁ? E certamente, per questo, quelli di laÁ non condannano nessuno a
morte. Infatti, quelli di laÁ, oltre ad essere piuÁ felici di quelli di qua, sono altresõÁ per
tutto il tempo immortali, se sono vere le cose che si dicono.
Ebbene, anche voi, o giudici, bisogna che abbiate buone speranze davanti alla
morte, e dovete pensare che una cosa eÁ vera in modo particolare, 41.d. che ad un
uomo buono non puoÁ capitare nessun male, ne in vita ne in morte. Le cose che lo
riguardano non vengono trascurate dagli deÁi.
E anche le cose che ora mi riguardano non sono successe per caso; ma per me eÁ
evidente questo, che ormai morire e liberarmi degli affanni era meglio per me.
Per questo motivo il segno divino non mi ha mai deviato dalla via seguita.
PercioÁ io non ho un grande rancore contro coloro che hanno votato per la mia
condanna, ne contro i miei accusatori, anche se mi hanno condannato e mi hanno
accusato non certo con tale proposito, bensõÁ nella convinzione di farmi del male.
41.e. E in cioÁ meritano biasimo.
PeroÁ io vi prego proprio di questo. Quando i miei figli saranno diventati adulti, puniteli,
o cittadini, procurando a loro quegli stessi dolori che io ho procurato a voi, se vi sembreranno prendersi cura delle ricchezze o di qualche altra cosa prima che della virtuÁ.
E se si daranno arie di valere qualche cosa, mentre non valgono nulla, rimproverateli
cosõÁ come io ho rimproverato voi, perche non si danno cura di cioÁ di cui dovrebbero
darsi cura, e perche credono di valere qualche cosa, mentre in realtaÁ non valgono niente.
42.a. Se farete questo, avroÁ ricevuto da voi quello che eÁ giusto: io e i miei figli.
Ma eÁ ormai venuta l'ora di andare: io a morire, e voi, invece, a vivere.
Ma chi di noi vada verso cioÁ che eÁ meglio, eÁ oscuro a tutti, tranne che al dio.
(Trad. G. Reale)
583
GUIDA ALL'ANALISI
LINGUA E LESSICO
1. Nel testo ricorrono alcuni termini legati alla radice uan(e)-. Dopo aver letto la Scheda di lessico (p. 585), elencali
ed evidenziane la differenza dal punto di vista del significato.
TERMINE LEGATO ALLA RADICE uan(e)-
SIGNIFICATO
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
TEMI E CONFRONTI
2. In 40d-e alle due opzioni concernenti la morte vengono associate due immagini. Quali?
" ................................................................................................................................................................................
" ................................................................................................................................................................................
3. Trova, nel testo greco, le espressioni che sottolineano la differenza fra il credere di essere e l'essere. Trascrivile
poi nello schema seguente:
CREDERE DI ESSERE
ESSERE
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
4. Ripercorri, nella struttura e nello sviluppo del ragionamento, i paragrafi 40c-41c. Completa la tabella:
RIGUARDO AL
teuna*nai,
VENGONO
POSTE DUE ALTERNATIVE
h/ mhde+ n ei#nai mhde+ ai> suhsin mhdemi* an mhdeno+Q e> xein to+n teunev&ta
h/
.....................................................................................................................
PRIMA POSSIBILITAÁ
ei> te dh+ mhdemi* a ai> suhsi* Q e$ stin a$ll\ oi}on y%pnoQ, e$peida*n tiQ kauey*dvn
mhd\ o>nar mhde+ n o<r@&, uayma*sion ke*rdoQ a/n ei> h o< ua*natoQ
SECONDA POSSIBILITAÁ
..........................................................................................................................
..........................................................................................................................
LE CATEGORIE DI PERSONAGGI
DELL'OLTRETOMBA:
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
a)
b)
c)
d)
I VERI GIUDICI
Mi* nvQ te kai+ < Rada*manuyQ kai+ Ai$ ako+Q kai+ Tripto*lemoQ
..............................................
..........................................................................................................................
..............................................
..........................................................................................................................
.............................................
..........................................................................................................................
5. L'ultimo pensiero di Socrate eÁ per i figli: esprimendo una sua preoccupazione nei loro confronti, ritorna su un
motivo ricorrente del suo pensiero. Sai dire quale?
.....................................................................................................................................................................................
584
Platone
Testi a confronto
Il dai* mvn socratico
Apologia di Socrate
Nelle opere indiscutibilmente platoniche, il demone, che si manifesta come un segno o una voce, viene
presentato sempre come elemento impediente. Esso, infatti, dissuade e non incita ad agire. Diversamente,
nei testi senofontei (su Senofonte quale fonte di Socrate vedi p. 38) il demone socratico ha anche una
funzione critica positiva. Nei seguenti passi eÁ il ``segno demonico'' ad impedire a Socrate, seduto in palestra,
di alzarsi per andarsene (Eutidemo 272e), a non permettergli di attraversare il fiume (Fedro 242b-c).
Per un'ispirazione del dio mi trovavo seduto laÁ dove mi hai visto, da solo, nello spogliatoio e avevo
giaÁ in mente di alzarmi per andarmene. Mentre mi stavo per alzare, si produsse in me il consueto
segno divino (to+ ei$ vuo+Q shmei& on to+ daimo*nion). Pertanto, tornai a sedermi; poco dopo, entrarono
questi due, Eutidemo e Dionisodoro e, insieme con loro, molti altri, che mi parvero loro discepoli.
Mentre mi accingevo ad attraversare il fiume, mio buon amico, mi si eÁ presentato quel solito segno
demonico (to+ ei$ vuo+Q shmei& on) che sempre mi trattiene da cioÁ che sto per fare, e mi eÁ sembrato di
sentire una voce proveniente da esso, che non mi lasica andar via prima di aver fatto espiazione,
perche mi sono macchiato di una colpa nei confronti della divinitaÁ. Sono sicuramente un indovino,
anche se non molto bravo, un po' come quelli che non se la cavano troppo bene con le lettere
dell'alfabeto, ma solo per quel tanto che basta per me stesso.
testi
(Trad. M. Luisa Gatti, Eutidemo 272e)
(Trad. R.Velardi, Fedro 242b-c).
CONFRONTI
" Socrate nell'Apologia parla di shmei& on (41d) e di dai* mvn; che rapporto c'e
Á fra i due? Fai una sintesi delle tue
riflessioni sul significato di shmei& on e dai* mvn nel pensiero socratico tenendo conto anche dei due brani qui
proposti.
l
Scheda di essico
Il lessico della morte
unh*skv
kataunh*skv
a$pounh*skv
e$ kunh*skv
ua*natoQ
a$ua*natoQ
teleyth*
teleyta*v
La distinzione tra unh*skv, kataunh*skv e a$pounh*skv eÁ quella che intercorre tra espressioni denotative e connotative. L'idea della morte di per se non
ammette sfumature, ma il modo in cui gli uomini
rappresentano la morte ne ammette diverse.
Unh*skv dunque indica il morire in se (cf. Platone,
Apologia 28, 40, 41), mentre kataunh*skv vi aggiunge l'idea di uno che cade a terra colpito da un'asta o
da una freccia e a$pounh*skv quella di uno che era
qui con noi e poi se ne va via (a$po-: cf. Platone,
Apologia 28, 41, 42). Il participio di kataunh*skv,
proprio perche indica un modo particolare di morire, puoÁ determinare un nome che significa semplicemente ``morto''.
Per a$pounh*skv ricordiamo il lamento disperato di
Ecuba sul figlio appena ucciso da Achille, ti* ny bei* omai ai$ na+ pauoy&sa /soy& a$poteunhv&toQ, ``come potroÁ
ora vivere dopo questa sciagura, ora che tu te ne sei
andato morendo?''. Analogo eÁ il senso del piuÁ raro
e$ kunh*skv, detto ad esempio di Tespesio di Soli che
``cadendo dall'alto sul collo, uscõÁ di vita senza che si
producesse una ferita, ma in seguito al solo colpo'',
katenexuei+ Q ga+r e> j y%coyQ tino+Q ei$ Q tra*xhlon, oy$ genome* noy tray*matoQ, a$lla+ plhgh&Q mo*non, e$ je* uane (Plutarco, I ritardi della vendetta divina). Unh*skv si forma da
una radice uan(e)-, con il grado zero alla prima sillaba: da essa derivano anche ua*natoQ, ``morte'', e
l'aggettivo a$-ua*natoQ ``immortale''. Il greco conosce
anche una forma composta con il suffisso -i-sko- da
cui risulta un|*skv, con lo iota sottoscritto.
Le espressioni teleyth*, ``fine'', teleyta*v, ``finire''
(cf. Platone, Apologia 21, 28, 41) non sono eufemismi,
ma ricorrono spesso in connessione con l'idea di una
conclusione onorevole della vita. CosõÁ eÁ nel discorso
funebre per i caduti a Cheronea, attribuito a
Demostene: kai+ teleyth&sai kalv&Q ma&llon e$ boylh*uhsan h/ zv&nteQ th+n < Ella*da i$ dei& n a$tyxoy&san, ``e preferirono morire onorevolmente piuttosto che, sopravvivendo, vedere la Grecia nella sventura''.
585
Critone
5 Il discorso delle Leggi
(50a-54e)
Il Critone di Platone si colloca, per la cronologia degli eventi rappresentati, tra l'Apologia e il Fedone, tra il dialogo
che rievoca il discorso difensivo di Socrate davanti al tribunale popolare che lo condannoÁ a morte e quello che
rappresenta l'ultima giornata di vita del filosofo. Nel Fedone Socrate conversa serenamente con i discepoli,
spiegando loro le ragioni che lo portano a credere che l'anima umana sia immortale e che non gli sarebbe
avvenuto nulla di grave con l'esecuzione della condanna. In questo dialogo poi, agli amici che, comunque si
offrono di aiutarlo per evadere, Socrate risponde pacatamente che, se avesse voluto salvarsi, avrebbe potuto
chiedere l'esilio, come pena alternativa: non lo ha fatto perche aveva chiara coscienza di essere innocente e non
poteva pensare di proporre per se alcuna pena. Ma soprattutto Socrate spiega a Critone che la sua vita eÁ nata
sotto il segno delle leggi della cittaÁ: secondo quelle leggi suo padre ha sposato sua madre, e i genitori lo hanno
allevato; in qualche modo egli eÁ figlio delle leggi di Atene prima che dei suoi stessi genitori. D'altronde, se durante
la sua vita non fosse stato soddisfatto di quelle leggi, avrebbe potuto in qualsiasi momento andarsene da Atene in
un'altra cittaÁ e con altre leggi. L'errore del tribunale eÁ stato commesso da singoli uomini e non dalla cittaÁ non c'eÁ
quindi ragione di vendicarsi del torto subito offendendo le leggi e la cittaÁ. Critone deve riconoscere di non aver
nulla da replicare a queste ragioni, e Socrate conclude l'incontro invitando se stesso e l'amico ad agire conformemente alla volontaÁ del dio.
50.a. {SV.} \All\ v}de sko*pei. ei$ me* lloysin h<mi& n e$ nue*nde ei> te a$podidra*skein, ei> u\
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
o%pvQ dei& o$noma*sai toy&to, e$ luo*nteQ oi< no*moi kai+ to+ koino+n th&Q po*levQ e$ pista*nteQ
e> rointo " ``Ei$ pe* moi, v# Sv*krateQ, ti* e$ n n{& e> xeiQ poiei& n; a>llo ti h/ toy*t{ 50.b. t{&
e> rg{ {} e$ pixeirei& Q diano|& toy*Q te no*moyQ h<ma&Q a$pole*sai kai+ sy*mpasan th+n po*lin
to+ so+n me*roQ; h/ dokei& soi oi}o*n te e> ti e$ kei* nhn th+n po*lin ei#nai kai+ mh+ a$natetra*fuai,
e$ n |} a/n ai< geno*menai di* kai mhde+ n i$ sxy*vsin a$lla+ y<po+ i$ divtv&n a>kyroi* te gi* gnvntai
kai+ diafuei* rvntai;'' ti* e$ roy&men, v# Kri* tvn, pro+Q tay&ta kai+ a>lla toiay&ta; polla+
ga+r a>n tiQ e> xoi, a>llvQ te kai+ r<h*tvr, ei$pei& n y<pe+ r toy*toy toy& no*moy a$pollyme*noy
o=Q ta+Q di* kaQ ta+Q dikasuei* saQ prosta*ttei kyri* aQ ei#nai. 50.c. h/ e$ roy&men pro+Q ay$toy+Q o%ti `` $ Hdi* kei ga+r h<ma&Q h< po*liQ kai+ oy$k o$ruv&Q th+n di* khn e> krinen;'' tay&ta h/ ti*
e$ roy&men; {KR.} Tay&ta nh+ Di* a, v# Sv*krateQ. {SV.} Ti* oy#n a/n ei> pvsin oi< no*moi " `` #V
50.a. \All\ ... sko*pei, ``ma esamina la
questione anche da questo punto di vista''. ± ei$ me*lloysin ... e>rointo, protasi
di periodo ipotetico della possibilitaÁ,
``se, mentre stiamo sul punto (me* lloysi,
part. dat. concordato con h<mi& n) di scappare da qui, o come bisogna chiamare
questo, venendoci incontro le leggi e la
cittaÁ tutta (to+ koino+n th&Q po*levQ), mettendosi davanti a noi (e$ pista*nteQ), ci
chiedessero''; l'apodosi che segue, dell'obiettivitaÁ, eÁ ti* e$ roy&men, ``cosa risponderemo?''. Da questo punto iniziano a
parlare le leggi: si ricordi che quando si
introduce a parlare un ente inanimato
si ha la cosiddetta ``prosopopea''. ± ti* e$n
n{& ... poiei& n, ``cosa intendi fare?''. ± a>llo ti h/ ... diano|&, ``(intendi fare) qualcosa d'altro o ... pensi'', ``forse che non
pensi''. ± {} e$pixeirei& Q 4 o= e$ pixeirei& Q,
attrazione del relativo.
586
50.b. to+ so+n me*roQ, ``da parte tua'',
``per quanto ti riguarda'': acc. avverbiale di relazione. ± oi} o*n te: sott. ei#nai,
``che sia possibile''. ± kai+ mh+ a$natetra*fuai, ``e non sia sovvertita'': il verbo
a$natre* pv propriamente indica il capovolgimento di una nave nel mare in
tempesta. ± e$n |} a/n ... i$ sxy*vsin: relativa con valore eventuale, ``in cui le
sentenze pronunciate (ai< geno*menai di* kai) non abbiano efficacia (mhde+ n
i$ sxy*vsin)''. ± a>kyroi* te gi* gnvntai,
``vengano invalidate'': la climax viene
coronata dalla conclusione kai+ diafuei* rvntai. ± a>llvQ te kai+ r<h*tvr, ``soprattutto un uomo politico'': r<h*tvr,
nella terminologia della polis, eÁ colui
che parla in assemblea. ± ta+Q di* kaQ ...
ei# nai, ``impone che le sentenze pronunciate siano valide''; ta+Q di* kaQ ta+Q dikasuei* saQ eÁ figura etymologica? e tutti i
termini che qui ricorrono sono tecnici
del linguaggio giuridico.
50.c. h/ e$roy&men ...: qui Socrate prospetta, per confutarlo, il punto di vista
implicito nella proposta di Critone.
_
tay&ta h/ ti* e$roy&men: ``questo o che
altro diremo?'': Socrate propone la sua
domanda in termini alternativi per obbligare il suo interlocutore a chiarire la
sua intenzione. ± Ti* oy#n ... oi< no*moi, ``E
che diremo (e$ roy&men, sottinteso) dunque, se le leggi ci chiedessero'': il periodo ipotetico eÁ dell'eventualitaÁ. ± h#: ``forse non'', come il latino nonne, per introdurre una interrogativa retorica che sollecita una risposta positiva; per maggiore effetto espressivo la particella eÁ ripetuta due volte; kai+ tay&ta ... soi* , ``anche
questo era stato convenuto da noi e da
te''; h<mi& n e soi* sono dativi di agente.
50.e. ei# en, ``bene'': formula prosecutiva. ± prv&ton me*n: prosegue qui la serie
delle argomentazioni che mostrano che
Socrate, uomo e cittadino, come giaÁ i
suoi antenati (ay$to*Q te kai+ oi< soi+ pro*gonoi), dipende interamente per la sua
stessa esistenza e per il suo status dalle
leggi che ordinano la cittaÁ e le sue istituzioni. ± a#r\ e$j i> soy ... h<mi& n, ``credi tu
che la situazione di diritto sia alla pari
per te e per noi''; quindi Socrate non
potraÁ nemmeno replicare a un torto
che gli fosse eventualmente fatto dalla
cittaÁ. ± ei> soi v/n e$ty*gxanen, ``se ne avessi uno''. ± kakv&Q a$koy*onta a$ntile*gein,
``replicare con male parole se offeso''.
51.a-b. L'argomentazione prosegue
mostrando che il cittadino non potraÁ
mai ricambiare male per male alla cittaÁ, perche non si trova in una posizione
giudica equivalente a essa. _ o< t|& a$lhuei* @ ... e$pimelo*menoQ, ``tu che davvero
testi
50.d. oy$: particella che introduce una
interrogazione retorica, come , ``non eÁ
forse vero che?''; h<mei& Q, enfatico, ``siamo stati noi che'': le leggi che nella polis
istituiscono il matrimonio sono la prima causa che rendono possibile la nascita civile, oltre a quella biologica, degli individui. ± toy*toiQ ... me*mf| ti ...
e>xoysin, ``a queste leggi tra noi relative
alle nozze hai qualche critica da rivol-
gere, che non sono ben fatte'' e (qui e> xv
ha valore intransitivo, ``stare''). ± a$lla+
toi& Q ... sott. no*moiQ.
Critone
e$mmenei& n tai& Q di* kaiQ ai} Q, lett. ``che
saremmo stati fermi alle sentenze che
la cittaÁ eventualmente pronunci'', quindi ``avremmo accettato le sentenze ...'';
tai& Q di* kaiQ ai}Q eÁ attrazione del relativo. ±
ei$ ... uayma*zoimen ... a/n ei> poien: periodo
ipotetico della possibilitaÁ; lego*ntvn eÁ
part. predicativo di ay$tv&n. ± e$peidh+ ...
a$pokri* nesuai, ``giacche sei solito (ei> vuaQ) praticare il far domande e rispondere'': richiamo provocatorio al metodo di Socrate di procedere nell'indagine
attraverso un dibattito continuo per domande e risposte. ± ti* e$gkalv&n ... a$polly*nai, lett. ``che cosa rimproverando ...
ti accingi a distruggerci''.
_
Platone
Sv*krateQ, h# kai+ tay&ta v<molo*ghto h<mi& n te kai+ soi* , h/ e$ mmenei& n tai& Q di* kaiQ ai}Q a/n h<
po*liQ dika*z|;'' ei$ oy#n ay$tv&n uayma*zoimen lego*ntvn, i> svQ a/n ei> poien o%ti `` # V
Sv*krateQ, mh+ uay*maze ta+ lego*mena a$ll\ a$pokri* noy, e$ peidh+ kai+ ei> vuaQ xrh&suai t{&
e$ rvta&n te kai+ a$pokri* nesuai. fe* re ga*r, ti* e$ gkalv&n 50.d. h<mi& n kai+ t|& po*lei e$ pixeirei& Q h<ma&Q a$polly*nai; oy$ prv&ton me* n se e$ gennh*samen h<mei& Q, kai+ di\ h<mv&n e> labe
th+n mhte* ra soy o< path+r kai+ e$ fy*teyse*n se; fra*son oy#n, toy*toiQ h<mv&n, toi& Q no*moiQ
toi& Q peri+ toy+Q ga*moyQ, me* mf| ti v<Q oy$ kalv&Q e> xoysin;'' ``Oy$ me* mfomai,'' fai* hn a>n.
`` $Alla+ toi& Q peri+ th+n toy& genome* noy trofh*n te kai+ paidei* an e$n |} kai+ sy+ e$ paidey*uhQ; h/ oy$ kalv&Q prose*tatton h<mv&n oi< e$ pi+ toy*t{ tetagme* noi no*moi, paragge*llonteQ t{& patri+ t{& s{& se e$ n 50.e. moysik|& kai+ gymnastik|& paidey*ein;''
``Kalv&Q,'' fai* hn a>n. ``Ei#en. e$ peidh+ de+ e$ ge*noy te kai+ e$ jetra*fhQ kai+ e$ paidey*uhQ, e> xoiQ
a/n ei$ pei& n prv&ton me+ n v<Q oy$xi+ h<me* teroQ h#sua kai+ e> kgonoQ kai+ doy&loQ, ay$to*Q te kai+
oi< soi+ pro*gonoi; kai+ ei$ toy&u\ oy%tvQ e> xei, a#r\ e$j i> soy oi> ei ei#nai soi+ to+ di* kaion kai+
h<mi& n, kai+ a%tt\ a/n h<mei& Q se e$ pixeirv&men poiei& n, kai+ soi+ tay&ta a$ntipoiei& n oi> ei di* kaion
ei#nai; h/ pro+Q me+n a>ra soi to+n pate* ra oy$k e$ j i> soy h#n to+ di* kaion kai+ pro+Q despo*thn, ei> soi v/n e$ ty*gxanen, v%ste a%per pa*sxoiQ tay&ta kai+ a$ntipoiei& n, oy>te kakv&Q
a$koy*onta 51.a. a$ntile* gein oy>te typto*menon a$ntity*ptein oy>te a>lla toiay&ta polla* "
pro+Q de+ th+n patri* da a>ra kai+ toy+Q no*moyQ e$ je*stai soi, v%ste, e$ a*n se e$ pixeirv&men
h<mei& Q a$polly*nai di* kaion h<goy*menoi ei#nai, kai+ sy+ de+ h<ma&Q toy+Q no*moyQ kai+ th+n
patri* da kau\ o%son dy*nasai e$ pixeirh*seiQ a$ntapolly*nai, kai+ fh*seiQ tay&ta poiv&n
di* kaia pra*ttein, o< t|& a$lhuei* @ th&Q a$reth&Q e$ pimelo*menoQ; h/ oy%tvQ ei# sofo+Q v%ste
le* lhue* n se o%ti mhtro*Q te kai+ patro+Q kai+ tv&n a>llvn progo*nvn a<pa*ntvn timiv*tero*n e$ stin patri+ Q kai+ semno*teron kai+ a<giv*teron 51.b. kai+ e$ n mei* zoni moi* r@
kai+ para+ ueoi& Q kai+ par\ a$nurv*poiQ toi& Q noy&n e> xoysi, kai+ se* besuai dei& kai+ ma&llon
y<pei* kein kai+ uvpey*ein patri* da xalepai* noysan h/ pate* ra, kai+ h/ pei* uein h/ poiei& n a=
a/n keley*|, kai+ pa*sxein e$ a*n ti prosta*tt| pauei& n h<syxi* an a>gonta, e$ a*nte ty*ptesuai
ti preoccupi sempre della virtuÁ'': l'espressione eÁ ironica, giacche se Socrate
decidesse di ricambiare male con male
alla cittaÁ sarebbe in assoluta contraddizione con cioÁ che ha sempre proclamato di essere. ± h/ oy%tvQ ... o%ti, ``oppure
sei tanto saggio che ti eÁ sfuggito (le* lhue* n se) il fatto che ...'': l'alternativa all'esser disonesto sarebbe l'ignorare cioÁ
di cui tutta la vita Socrate si occupato,
la ricerca della sofi* a. ± timiv*teron ...
e>xoysi: la frase eÁ costruita in crescendo
(climax), e anche le determinazioni divengono sempre piuÁ corpose secondo
lo stesso criterio; si noti la concordanza
dell'appellativo neutro (timiv*teron)
con un sostantivo femminile (patri* Q) e
le locuzioni e$ n mei* zoni moi* r@, ``in maggior considerazione'' e toi& Q noy&n e> xoysi, ``assennati''. ± se*besuai ... y<pei* kein
... uvpey*ein, ``venerare ... inchinarsi ...
rendere omaggio'': i tre verbi puntualizzano l'atteggiamento deferente del
cittadino verso la patria. ± xalepai* noysan, ``quando eÁ in collera'', part. congiunto. ± e$a*n ti prosta*tt| ... e$a*nte ei$ Q
po*lemon a>g|, ``sia che imponga di su-
587
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
e$ a*nte dei& suai, e$ a*nte ei$ Q po*lemon a>g| trvuhso*menon h/ a$pouanoy*menon, poihte* on
tay&ta, kai+ to+ di* kaion oy%tvQ e> xei, kai+ oy$xi+ y<peikte* on oy$de+ a$naxvrhte* on oy$de+
leipte*on th+n ta*jin, a$lla+ kai+ e$ n pole* m{ kai+ e$ n dikasthri* { kai+ pantaxoy& poihte* on
a= a/n keley*| h< 51.c. po*liQ kai+ h< patri* Q, h/ pei* uein ay$th+n |} to+ di* kaion pe* fyke "
bia*zesuai de+ oy$x o%sion oy>te mhte* ra oy>te pate*ra, poly+ de+ toy*tvn e> ti h}tton th+n
patri* da;'' ti* fh*somen pro+Q tay&ta, v# Kri* tvn; a$lhuh& le* gein toy+Q no*moyQ h/ oy>;
{KR.} > Emoige dokei& . {SV.} ``Sko*pei toi* nyn, v# Sv*krateQ,'' fai& en a/n i> svQ oi< no*moi,
``ei$ h<mei& Q tay&ta a$lhuh& le*gomen, o%ti oy$ di* kaia h<ma&Q e$ pixeirei& Q dra&n a= ny&n e$ pixeirei& Q. h<mei& Q ga*r se gennh*santeQ, e$ kure* canteQ, paidey*santeQ, metado*nteQ a<pa*ntvn
v}n oi}oi* t\ 51.d. h#men kalv&n soi+ kai+ toi& Q a>lloiQ pa&sin poli* taiQ, o%mvQ proagorey*omen t{& e$ joysi* an pepoihke*nai \Auhnai* vn t{& boylome*n{, e$ peida+n dokimasu|&
kai+ i> d| ta+ e$ n t|& po*lei pra*gmata kai+ h<ma&Q toy+Q no*moyQ, {} a/n mh+ a$re* skvmen h<mei& Q,
e$jei& nai labo*nta ta+ ay<toy& a$pie* nai o%poi a/n boy*lhtai. kai+ oy$dei+ Q h<mv&n tv&n no*mvn
e$ mpodv*n e$ stin oy$d\ a$pagorey*ei, e$ a*nte tiQ boy*lhtai y<mv&n ei$ Q a$poiki* an i$ e* nai, ei$ mh+
a$re*skoimen h<mei& Q te kai+ h< po*liQ, e$ a*nte metoikei& n a>llose* poi e$ luv*n, i$ e* nai e$ kei& se
o%poi 51.e. a/n boy*lhtai, e> xonta ta+ ay<toy&. o=Q d\ a/n y<mv&n paramei* n|, o<rv&n o=n
tro*pon h<mei& Q ta*Q te di* kaQ dika*zomen kai+ ta#lla th+n po*lin dioikoy&men, h>dh fame+ n
toy&ton v<mologhke* nai e> rg{ h<mi& n a= a/n h<mei& Q keley*vmen poih*sein tay&ta, kai+ to+n mh+
peiuo*menon trix|& famen a$dikei& n, o%ti te gennhtai& Q oy#sin h<mi& n oy$ pei* uetai, kai+ o%ti
trofey&si, kai+ o%ti o<mologh*saQ h<mi& n pei* sesuai oy>te pei* uetai oy>te pei* uei h<ma&Q, ei$ mh+
kalv&Q ti poioy&men, 52.a. protiue* ntvn h<mv&n kai+ oy$k a$gri* vQ e$ pitatto*ntvn poiei& n
a= a/n keley*vmen, a$lla+ e$ fie* ntvn dyoi& n ua*tera, h/ pei* uein h<ma&Q h/ poiei& n, toy*tvn
bire alcuncheÂ, standosene tranquillo
(h<syxi* an a>gonta), sia che (imponga) di
ricevere percosse o di essere incarcerato, sia che ti conduca in guerra'': la
serie delle protasi dell'eventualitaÁ insiste sulla necessitaÁ della sottomissione a
qualsiasi comando che venga dalla patria, senza reagire; h<syxi* an a>gonta:
part. congiunto concordato con il sogg.
inespresso di pa*sxein. ± trvuhso*menon
h/ a$pouanoy*menon, part. fut. con valore
finale, il primo passivo da titrv*skv, il
secondo da a$pounh*skv ``perche tu sia
ferito o muoia''± kai+ oy$xi+ y<peikte*on ...
poihte*on a= a/n keley*| h< po*liQ, ``non
bisogna cedere ne ritirarsi ne abbandonare il posto di combattimento, ma ...
bisogna fare ...'': altra serie di imperativi di azioni doverose per il cittadino,
in negativo e in positivo.
51.c. h< po*liQ kai+ h< patri* Q, ``la cittaÁ
che eÁ la tua patria'': coppia sinonimica
con valore di endiadi. ± |} to+ di* kaion
pe*fyke, ``come eÁ per natura la giustizia'': il comportamento nei confronti
della patria non eÁ dettato dal no*moQ,
come sostenevano i sofisti, ma dalla fy*siQ. ± bia*zesuai ... o%sion, ``non eÁ lecito
far violenza'', in quanto offende la giustizia divina, oy$x o%sion, trattandosi dei
legami piuÁ sacri, e ancora una volta la
588
patria, piuÁ sacra del padre e della madre. ± poly+ de+ toy*tvn e>ti h}tton (sott.
bia*zesuai) th+n patri* da: toy*tvn eÁ secondo termine di paragone. ± a$lhuh&
le*gein: sott. fh*somen. ± o%ti oy$ ... e$pixeirei& Q, ``che non sono giuste le azioni
che ora ti accingi a fare nei nostri riguardi'', ma nel greco dra&n eÁ costruito
con due accusativi, della cosa (a=, di cui
di* kaia eÁ predicativo) e della persona,
h<ma&Q; quindi letteralmente sarebbe
``che non ti accingi a far cose giuste a
noi, quelle che (a=) ti accingi ora a fare''.
± metado*nteQ ... toi& Q a>lloiQ, ``che abbiamo reso partecipi di tutti i beni che
potevamo te e gli altri...'': la costruzione del verbo eÁ metadi* dvmi* tini* tinoQ,
``rendere partecipe qualcuno di qualcosa'', con il gen. partitivo della cosa
di cui si rende qualcuno partecipe, e il
dativo di termine di quest'ultimo; inoltre l'antecedente del relativo (kalv&n) eÁ
stato attratto dentro la relativa.
51.d. proagorey*omen, ``dichiariamo
pubblicamente''. ± t{& ... boylome*n{,
``a chi voglia''. ± e$peida+n dokimasu|&,
``dopo che sia stato iscritto nel registro
dei cittadini'': la dokimasi* a era un esame
in cui uno doveva dimostrare sia la legittimitaÁ della sua nascita sia quella del
suo comportamento nei confronti degli
obblighi verso la cittaÁ. ± {} a/n mh+ ... h<mei& Q,
``al quale noi non siamo gradite'', relativa con il cong. eventuale. ± e$jei& nai ...
boy*lhtai, ``che gli eÁ possibile andarsene,
una volta prese le proprie cose, dove
voglia'', e$ jei& nai eÁ infinito retto da proagorey*omen. ± kai+ oy$dei+ Q ... a$pagorey*ei ...
metoikei& n, ``nessuna di noi leggi eÁ d'ostacolo o impedisce che uno vada laÁ ...
sia che uno di voi desideri andare in una
colonia ... sia vivere da meteco ... ''.
_
a>llose* poi e$luv*n ``recandosi da qualche parte altrove'': meteco era uno straniero residente in una cittaÁ.
51.e. o%Q ... toy&ton, anticipazione del
relativo; ``colui di voi che rimanga ...
diciamo che questo''. ± o=n tro*pon, ``in
che modo'', acc. di relazione; ta*Q te
di* kaQ dika*zomen: figura etymologica?;
ta#lla, ``quanto al resto'', altro acc. di
relazione. ± gennhtai& Q, come trofey&si,
eÁ predicativo di oy#sin, part. congiunto
concordato con h<mi& n, dat. retto da
pei* uetai. ± pei* uei, ``cerca di convincere'', pres. di conato.
52.a. protiue*ntvn h<mv&n kai+ ... e$pitatto*ntvn poiei& n ... a$lla+ e$fie*ntvn, ``sebbene noi gli proponiamo ... e non gli ordiniamo rudemente (a$gri* vQ), ma gli sottoponiamo'': gen. assoluti con valore con-
52.b. toy*tvn: prolettico della dichiarativa o%ti h$re* skomen, ``che ti piacevamo'', ``che eravamo approvati da te''.
_
tv&n a>llvn ... diafero*ntvQ, ``molto
piuÁ che tutti gli altri Ateniesi''. ± e$pi+
uevri* an, ``per assistere a una festa''.
_
o%ti mh+ a%paj ``se non una sola volta''.
do che la cittaÁ ti piaceva'': causale soggettiva con v<Q e il gen. assoluto. ± fygh&Q
timh*sasuai, ``proporre per te la pena
dell'esilio''; il verbo indica che si faceva
una specie di valutazione comparativa
tra la pena proposta dall'accusatore e
quella proposta dall'accusato. ± kai+
o%per ... poih&sai ``e (ti era possibile) fare
allora, essendo la cittaÁ disponibile, cioÁ
che ora tenti contro la volontaÁ della
cittaÁ''. _ e$kallvpi* zoy ... teuna*nai se,
``ti facevi bello, facendo capire che (v<Q
con il part.) non te la saresti presa se tu
avessi dovuto morire''. ± e$pixeirv&n
diafuei& rai, ``accingendoti ad annientarci''.
52.c. oy%tv ... |<roy&, ``cosõÁ fortemente ci
amavi'', propr. ``ci sceglievi'' (ai< re* v);
kau\ h<ma&Q, ``conformemente a noi''. ± v<Q
52.d. a%per a/n ... pra*jeien, ``cioÁ che
farebbe lo schiavo piuÁ spregevole''.
_
para+ ta+Q ... o<mologi* aQ, ``contro i patti
testi
a$reskoy*shQ soi th&Q po*levQ, ``mostran-
Critone
cessivo. ± tay*taiQ ... e$ne*jesuai, ``proprio
in queste accuse diciamo che tu, Socrate, ti troverai coinvolto''. ± o%ti e$n toi& Q ...
o<mologi* an, ``che mi trovo ad aver convenuto questo accordo piuÁ di qualsiasi
altro Ateniese'' (lett. ``tra quelli degli
Ateniesi che piuÁ [lo hanno convenuto]);
l'argomento eÁ marcato dalla figura etymologica v<mologhkv+Q ... th+n o<mologi* an.
Platone
oy$de* tera poiei& . tay*taiQ dh* famen kai+ se* , v# Sv*krateQ, tai& Q ai$ ti* aiQ e$ ne* jesuai,
ei> per poih*seiQ a= e$ pinoei& Q, kai+ oy$x h%kista \Auhnai* vn se* , a$ll\ e$ n toi& Q ma*lista.''
ei$ oy#n e$ gv+ ei> poimi " ``Dia+ ti* dh*;'' i> svQ a>n moy dikai* vQ kaua*ptointo le* gonteQ o%ti e$ n
toi& Q ma*lista \Auhnai* vn e$ gv+ ay$toi& Q v<mologhkv+Q tygxa*nv tay*thn th+n o<mologi* an.
fai& en ga+r a/n o%ti 52.b. # V Sv*krateQ, mega*la h<mi& n toy*tvn tekmh*ria* e$ stin, o%ti soi
kai+ h<mei& Q h$re* skomen kai+ h< po*liQ " oy$ ga+r a>n pote tv&n a>llvn \Auhnai* vn
a<pa*ntvn diafero*ntvQ e$ n ay$t|& e$ pedh*meiQ ei$ mh* soi diafero*ntvQ h>resken, kai+
oy>t\ e$ pi+ uevri* an pv*pot\ e$ k th&Q po*levQ e$ jh&lueQ, o%ti mh+ a%paj ei$ Q \Isumo*n, oy>te
a>llose oy$damo*se, ei$ mh* poi strateyso*menoQ, oy>te a>llhn a$podhmi* an e$ poih*sv
pv*pote v%sper oi< a>lloi a>nurvpoi, oy$d\ e$ piuymi* a se a>llhQ po*levQ oy$de+ a>llvn
no*mvn e> laben ei$ de* nai, a$lla+ h<mei& Q 52.c. soi i< kanoi+ h#men kai+ h< h<mete* ra po*liQ "
oy%tv sfo*dra h<ma&Q |<roy& kai+ v<molo*geiQ kau\ h<ma&Q politey*sesuai, ta* te a>lla
kai+ pai& daQ e$n ay$t|& e$poih*sv, v<Q a$reskoy*shQ soi th&Q po*levQ. e> ti toi* nyn e$n ay$t|&
t|& di* k| e$ jh&n soi fygh&Q timh*sasuai ei$ e$ boy*loy, kai+ o%per ny&n a$koy*shQ th&Q
po*levQ e$ pixeirei& Q, to*te e< koy*shQ poih&sai. sy+ de+ to*te me+ n e$ kallvpi* zoy v<Q oy$k
a$ganaktv&n ei$ de* oi teuna*nai se, a$lla+ |<roy&, v<Q e> fhsua, pro+ th&Q fygh&Q ua*naton "
ny&n de+ oy>t\ e$ kei* noyQ toy+Q lo*goyQ ai$ sxy*n|, oy>te h<mv&n tv&n no*mvn e$ ntre* p|,
e$ pixeirv&n diafuei& rai, pra*tteiQ 52.d. te a%per a/n doy&loQ o< faylo*tatoQ pra*jeien, a$podidra*skein e$ pixeirv&n para+ ta+Q synuh*kaQ te kai+ ta+Q o<mologi* aQ kau\
a=Q h<mi& n syne* uoy politey*esuai. prv&ton me+ n oy#n h<mi& n toy&t\ ay$to+ a$po*krinai, ei$
a$lhuh& le* gomen fa*skonte*Q se v<mologhke* nai politey*sesuai kau\ h<ma&Q e> rg{
a$ll\ oy$ lo*g{, h/ oy$k a$lhuh&.'' ti* fv&men pro+Q tay&ta, v# Kri* tvn; a>llo ti h/ o<mologv&men; {KR.} \Ana*gkh, v# Sv*krateQ. {SV.} `` >Allo ti oy#n,'' a/n fai& en, ``h/ synuh*kaQ ta+Q pro+Q 52.e. h<ma&Q ay$toy+Q kai+ o<mologi* aQ parabai* neiQ, oy$x y<po+
a$na*gkhQ o<mologh*saQ oy$de+ a$pathuei+ Q oy$de+ e$ n o$li* g{ xro*n{ a$nagkasuei+ Q
boyley*sasuai, a$ll\ e$ n e> tesin e< bdomh*konta, e$ n oi}Q e$ jh&n soi a$pie* nai, ei$ mh+
h$re* skomen h<mei& Q mhde+ di* kaiai e$ fai* nonto* soi ai< o<mologi* ai ei#nai. sy+ de+ oy>te
Lakedai* mona pro|roy& oy>te Krh*thn, a=Q dh+ e< ka*stote f|+Q ey$nomei& suai, oy>te
a>llhn oy$demi* an 53.a. tv&n < Ellhni* dvn po*levn oy$de+ tv&n barbarikv&n, a$lla+
e$ la*ttv e$ j ay$th&Q a$pedh*mhsaQ h/ oi< xvloi* te kai+ tyfloi+ kai+ oi< a>lloi a$na*phroi "
e gli accordi''. ± kau\ a=Q ... politey*esuai, ``secondo i quali concordasti
con noi (syne* uoy, aor. III di synti* uhmi)
di vivere da cittadino. ± a$po*krinai,
ei$ ... fa*skonteQ, ``rispondi, se diciamo
la veritaÁ quando diciamo ...''; ei$ introduce una interrrogativa indiretta,
fa*skonteQ eÁ part. congiunto con valore temporale. ± ti* fv&men, ``che dovremmo dire?'', cong. dubitativo, come o<mologv&men. ± a>llo ti oy#n ...
parabai* neiQ, ``tu fai altro, direbbero,
se non violare i patti e gli accordi nei
confronti di noi stessi'', lett. ``qualcosa
d'altro (sott. `tu fai') se non violi ...''.
52.e. e$n oi} Q ... a$pie*nai ``nei quali ti
sarebbe stato possibile'': e$ jh&n eÁ potenziale del passato.
53.a. e$la*ttv ... a$na*phroi, ``ti sei allon-
589
oy%tv soi diafero*ntvQ tv&n a>llvn \Auhnai* vn h>resken h< po*liQ te kai+ h<mei& Q oi<
no*moi dh&lon o%ti " ti* ni ga+r a/n po*liQ a$re* skoi a>ney no*mvn; ny&n de+ dh+ oy$k
e$ mmenei& Q toi& Q v<mologhme* noiQ; e$ a+n h<mi& n ge pei* u|, v# Sv*krateQ " kai+ oy$ katage* lasto*Q ge e> s| e$ k th&Q po*levQ e$ jeluv*n. ``Sko*pei ga+r dh*, tay&ta paraba+Q kai+
e$ jamarta*nvn ti toy*tvn ti* a$gauo+n e$ rga*s| sayto+n h/ toy+Q e$ pithdei* oyQ toy+Q
53.b. saytoy&. o%ti me+ n ga+r kindyney*soysi* ge* soy oi< e$ pith*deioi kai+ ay$toi+ fey*gein
kai+ sterhuh&nai th&Q po*levQ h/ th+n oy$si* an a$pole* sai, sxedo*n ti dh&lon " ay$to+Q de+
prv&ton me+ n e$ a+n ei$ Q tv&n e$ ggy*tata* tina po*levn e> lu|Q, h/ Uh*baze h/ Me*gara*de
ey$nomoy&ntai ga+r a$mfo*terai, pole* mioQ h%jeiQ, v# Sv*krateQ, t|& toy*tvn politei* @, kai+
o%soiper kh*dontai tv&n ay<tv&n po*levn y<poble* contai* se diafuore* a h<goy*menoi tv&n
no*mvn, kai+ bebaiv*seiQ toi& Q dikastai& Q th+n do*jan, v%ste dokei& n o$ruv&Q th+n
53.c. di* khn dika*sai " o%stiQ ga+r no*mvn diafuorey*Q e$ stin sfo*dra poy do*jeien a/n
ne* vn ge kai+ a$noh*tvn a$nurv*pvn diafuorey+Q ei#nai. po*teron oy#n fey*j| ta*Q te
ey$nomoyme*naQ po*leiQ kai+ tv&n a$ndrv&n toy+Q kosmivta*toyQ; kai+ toy&to poioy&nti a#ra
a>jio*n soi zh&n e> stai; h/ plhsia*seiQ toy*toiQ kai+ a$naisxynth*seiQ dialego*menoQ ti* naQ
lo*goyQ, v# Sv*krateQ; h/ oy%sper e$ nua*de, v<Q h< a$reth+ kai+ h< dikaiosy*nh plei* stoy
a>jion toi& Q a$nurv*poiQ kai+ ta+ no*mima kai+ oi< no*moi; kai+ oy$k oi> ei a>sxhmon [a/n]
53.d. fanei& suai to+ toy& Svkra*toyQ pra&gma; oi> esuai* ge xrh*. a$ll\ e$k me+ n toy*tvn
tv&n to*pvn a$parei& Q, h%jeiQ de+ ei$ Q Uettali* an para+ toy+Q je* noyQ toy+Q Kri* tvnoQ; e$ kei&
ga+r dh+ plei* sth a$taji* a kai+ a$kolasi* a, kai+ i> svQ a/n h<de* vQ soy a$koy*oien v<Q geloi* vQ
e$ k toy& desmvthri* oy a$pedi* draskeQ skeyh*n te* tina periue* menoQ, h/ difue*ran labv+n
h/ a>lla oi}a dh+ ei$ v*uasin e$ nskeya*zesuai oi< a$podidra*skonteQ, kai+ to+ sxh&ma to+
saytoy& metalla*jaQ " o%ti de+ ge*rvn a$nh*r, smikroy& xro*noy t{& bi* { loipoy& o>ntoQ v<Q
to+ 53.e. ei$ ko*Q, e$ to*lmhsaQ oy%tv gli* sxrvQ e$ piuymei& n zh&n, no*moyQ toy+Q megi* stoyQ
paraba*Q, oy$dei+ Q o=Q e$ rei& ; i> svQ, a/n mh* tina lyp|&Q " ei$ de+ mh*, a$koy*s|, v# Sv*krateQ,
polla+ kai+ a$na*jia saytoy&. y<perxo*menoQ dh+ biv*s| pa*ntaQ a$nurv*poyQ kai+ doy-
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
tanatodaessamenocheglizoppieiciechi
e gli altri menomati''. ± dh&lon o%ti, ``evidentemente''. ± ny&n de+ dh+ ... v<mologhme*noiQ, ``ora dunque non resterai fedele agli
accordi convenuti''. _ sko*pei: ogni volta
unanuovaseriediargomentazionisiapre
con questo imperativo.
53.b. o%ti me+n ... dh&lon, ``eÁ piuttosto
evidente che i tuoi cari rischieranno di
essere esuli ed essere privati della cittaÁ o
di perdere i beni'': la dichiarativa o%ti me+n
... a$pole* sai eÁ anticipata per prolessi rispetto alla principale sxedo*n ti dh&lon.
_
ey$nomoy&ntai ga+r a$mfo*terai: l'una e
l'altra avevano governi aristocratici, e
questo dato eÁ significativo per le tendenze politiche di Platone, piuttosto che per
quelle di Socrate. ± o%soiper ... y<poble*contai* se , ``quanti hanno cura delle
loro cittaÁ ti guarderanno con sospetto''.
53.c-d. o%stiQ ga+r no*mvn ... ei# nai, ``infatti chiunque eÁ corruttore delle leggi,
potrebbe senz'altro apparire di essere
corruttore dei giovani e degli uomini insensati'': il Socrate platonico non esita a
590
ricordare la sua vicenda privata. ± kai+
a$naisxynth*seiQ dialego*menoQ, ``avrai la
sfrontatezza di pronunciare''. ± ti* naQ lo*goyQ: la figura dell'aposiopesi? sospende
il periodo, giacche le Leggi si mostrano
imbarazzate a dire quali discorsi mai Socrate potrebbe pubblicamente rivolgere
ai suoi nuovi interlocutori. _ h/ oy%sper
e$nua*de, l'ipotesi che Socrate possa ricominciare a parlare degli argomenti di cui
parlava ad Atene ± indicati nella seguente dichiarativa epesegetica v<Q h< a$reth+ ...
kai+ oi< no*moi ± appare decisamente inaccettabile, e in tal caso il comportamento
di Socrate (to+ toy& ... pra&gma) apparirebbe decisamente indecoroso (a>sxhmon).
_
a$ll\ ... h%jeiQ: in alternativa alla prima
prospettiva. Socrate, potrebbe recarsi in
un paese in preda all'anarchia, come la
Tessaglia, dove Critone ha degli amici
cui ha accennato in precedenza. ± plei* sth a$taji* a kai+ a$kolasi* a, ``disordine e
scostumatezza''. ± skeyh*n te* tina, ``un
travestimento''. ± oi< a$podidra*skonteQ,
``gli schiavi fuggiaschi''. ± smikroy& ...
v<Q to+ ei$ ko*Q, ``sebbene verosimilmente
(v<Q to+ ei$ ko*Q) ti resti poco tempo da vive-
re'': gen. assoluto con valore concessivo.
53.e. e$to*lmhsaQ ... paraba*Q, ``hai
osato attaccarti cosõÁ viscosamente
(gli* sxrvQ) al desiderio di vivere, violando le leggi piuÁ sacre''. ± oy$dei+ Q ... e$rei& ,
''non ci saraÁ nessuno che diraÁ?'', eÁ la
principale che regge la dichiarativa o%ti
... e$ to*lmhsaQ che eÁ anticipata. ± i> svQ,
a/n mh* tina lyp|&Q, ``forse, se non darai
fastidio a qualcuno''. ± y<perxo*menoQ ...
doyley*vn, ``vivrai chinando il capo davanti a tutti gli uomini e servendoli'':
continua l'immagine della sottomissione dell'uomo che si esclude dalla comunitaÁ civile in cui eÁ nato, la polis, e che
diventa simile all'essere piuÁ vile, appunto lo schiavo. ± ti* poiv&n h>, lett. ``facendo che cosa, se non''. ± ey$vxoy*menoQ,
``passando il tempo in banchetti'', quindi al servizio del ventre e non piuÁ dell'anima. _ v%sper ... ei$ Q Uettali* an, ``come se tu te ne fossi andato all'estero
(a$podedhmhkv+Q), in Tessaglia, per un
banchetto''. ± y<perxo*menoQ ... doyle*yvn, ``vivrai cercando di ingraziarti
tutti gli uomini e facendo il servo''.
54.b-c. oi> esuai* ge xrh*, ``bisogna pur
crederlo'': apodosi del periodo ipotetico
dell'oggettivitaÁ introdotto dalla protasi
ei> per ... e$ stin. ± a$ll\, v# ... pro+ toy&
dikai* oy: inizia qui la perorazione del
discorso delle Leggi; a$ll(a*): la congiunzione eÁ conclusiva e non avversativa;
peiuo*menoQ: part. congiunto; ± h<mi& n toi& Q
soi& Q trofey&si, ``a noi che ti abbiamo
allevato''; mh*te pai& daQ ... poioy&, ``non tenere in maggior conto ne ...''; il medio
poioy& eÁ di interesse, mentre peri+ plei* onoQ eÁ complemento di stima, in forma
comparativa alla quale corrisponde il
secondo termine di paragone pro+ toy&
dikai* oy, ``in confronto alla giustizia''.
_
i% na ei$ Q A
% idoy e$luv+n e>x|Q, ``percheÂ
giungendo nell'Ade tu possa''; a$pologh*sasuai, inf. retto da e> x|Q, da cui dipende il dat. di termine toi& Q e$ kei& a>rxoysin,
``a quelle (leggi) che governano laÁ''.
_
oy>te ga+r ... a>meinon ei# nai, ``infatti
mentre ti trovi qui (e$ nua*de) non ti sembra che sia meglio se agisci cosõÁ (tay&ta
pra*ttonti, part. congiunto con valore
ipotetico)''; e$ kei& se a$fikome*n{, ``una volta che tu sia giunto laÁ'', altro part. congiunto. ± a$lla+ ny&n me+n ... y<p\ a$nurv*pvn,
testi
dono le apodosi e$ pimelh*sontai ... oy$xi+
e$ pimelh*sontai. ± ei> per ge* ti ... e$stin,
``sõÁ, se almeno c'eÁ qualche utilitaÁ ...''.
Critone
54a. lo*goi ... h<mi& n e>sontai, ``e che fine
avranno fatto per noi quei discorsi sulla
giustizia e tutte le altre forme della virtuÁ?'': se Socrate decidesse di sottrarsi
alla condanna fuggendo lontano da
Atene, si troverebbe in contraddizione
con se stesso e con tutta la sua vita
passata. ± a$lla+ ... paidey*s|Q: il discorso delle Leggi affronta ora uno dei punti piuÁ commoventi delle argomentazione di Critone, che aveva pregato Socrate di salvarsi per non abbandonare i
suoi figli; ma anche per amore dei figli
egli non deve negare ora l'esempio dell'obbedienza alle leggi. ± ei$ Q Uettali* an
... poih*saQ: anzitutto Socrate non puoÁ
pensare di poter educare i figli portandoli fuori della cittaÁ; i% na ... a$polay*svsin, ``perche godano anche di questo''.
Diversamente interpreta Savino: sarcasmo. ± ay$toy&, ``laÁ'', in Tessaglia;
soy& zv&ntoQ ``mentre tu sei vivo'' gen.
assoluto con valore temporale, mentre
mh+ syno*ntoQ soy& ha valore concessivo,
e ay$toi& Q eÁ dat. sociativo richiesto dal
preverbio di syno*ntoQ. ± e$pimelh*sontai ay$tv&n, ``si prenderanno cura di loro''. ± po*teron ... e$pimelh*sontai: la
struttura interrogativa retorica introdotta da po*teron eÁ scandita dalle due
protasi di periodi ipotetici dell'eventualitaÁ e$ a+n me+ n ... e$ a+n de* , cui corrispon-
Platone
ley*vn ti* poiv&n h/ ey$vxoy*menoQ e$ n Uettali* @, v%sper e$ pi+ dei& pnon a$podedhmhkv+Q ei$ Q
Uettali* an; 54.a. lo*goi de+ e$ kei& noi oi< peri+ dikaiosy*nhQ te kai+ th&Q a>llhQ a$reth&Q poy&
h<mi& n e> sontai; a$lla+ dh+ tv&n pai* dvn e% neka boy*lei zh&n, i% na ay$toy+Q e$ kure* c|Q kai+
paidey*s|Q; ti* de* ; ei$ Q Uettali* an ay$toy+Q a$gagv+n ure* ceiQ te kai+ paidey*seiQ, je* noyQ
poih*saQ, i% na kai+ toy&to a$polay*svsin; h/ toy&to me+n oy>, ay$toy& de+ trefo*menoi soy&
zv&ntoQ be* ltion ure* contai kai+ paidey*sontai mh+ syno*ntoQ soy& ay$toi& Q; oi< ga+r
e$ pith*deioi oi< soi+ e$ pimelh*sontai ay$tv&n. po*teron e$ a+n me+ n ei$ Q Uettali* an
a$podhmh*s|Q, e$ pimelh*sontai, e$ a+n de+ ei$ Q %Aidoy a$podhmh*s|Q, oy$xi+ e$ pimelh*sontai;
ei> per ge* ti o>feloQ ay$tv&n 54.b. e$ stin tv&n soi fasko*ntvn e$ pithdei* vn ei#nai, oi> esuai* ge xrh*.'' A
$ ll\, v# Sv*krateQ, peiuo*menoQ h<mi& n toi& Q soi& Q trofey&si mh*te pai& daQ
peri+ plei* onoQ poioy& mh*te to+ zh&n mh*te a>llo mhde+ n pro+ toy& dikai* oy, i% na ei$ Q A
% idoy
e$ luv+n e> x|Q pa*nta tay&ta a$pologh*sasuai toi& Q e$ kei& a>rxoysin " oy>te ga+r e$ nua*de soi
fai* netai tay&ta pra*ttonti a>meinon ei#nai oy$de+ dikaio*teron oy$de+ o<siv*teron, oy$de+
a>ll{ tv&n sv&n oy$deni* , oy>te e$ kei& se a$fikome* n{ a>meinon e> stai. a$lla+ ny&n me+n
h$dikhme*noQ a>pei, 54.c. e$ a+n a$pi* |Q, oy$x y<f\ h<mv&n tv&n no*mvn a$lla+ y<p\ a$nurv*pvn "
e$ a+n de+ e$ je* lu|Q oy%tvQ ai$ sxrv&Q a$ntadikh*saQ te kai+ a$ntika koyrgh*saQ, ta+Q saytoy&
o<mologi* aQ te kai+ synuh*kaQ ta+Q pro+Q h<ma&Q paraba+Q kai+ kaka+ e$ rgasa*menoQ toy*toyQ oy=Q h%kista e> dei, sayto*n te kai+ fi* loyQ kai+ patri* da kai+ h<ma&Q, h<mei& Q te* soi
xalepanoy&men zv&nti, kai+ e$ kei& oi< h<me* teroi a$delfoi+ oi< e$ n A
% idoy no*moi oy$k ey$menv&Q
se y<pode* jontai, ei$ do*teQ o%ti kai+ h<ma&Q e$ pexei* rhsaQ a$pole* sai to+ so+n me* roQ. a$lla+ mh*
se 54.d. pei* s| Kri* tvn poiei& n a= le* gei ma&llon h/ h<mei& Q.'' Tay&ta, v# fi* le e< tai& re
Kri* tvn, ey# i> sui o%ti e$ gv+ dokv& a$koy*ein, v%sper oi< korybantiv&nteQ tv&n ay$lv&n
``ma ora tu te ne andrai, nel caso che tu
vada, non offeso da noi leggi ma dagli
uomini'': il periodo ipotetico dell'eventualitaÁ sancisce la precisa distinzione tra
la cittaÁ e le sue leggi e il torto che Socrate
potrebbe legittimamente pensare di aver
ricevuto; ne consegue che sarebbe sommamente ingiusto se egli pensasse di poter ricambiare il torto subito dai cittadini
offendendo la cittaÁ. Questa conseguenza
eÁ espressa nell'ampio e articolato periodo ipotetico che segue: e$ a+n de+ e$ je*lu|Q ...
h<mei& Q te* soi xalepanoy&men ..., kai+ e$ kei& oi<
h<me* teroi a$delfoi+ ... oy$k ey$menv&Q se y<pode*jontai, ``qualora tu evada ... noi ti sa-
remo ostili ... e, laÁ, le nostre sorelle ... non
ti accoglieranno benevolmente''; dalla
protasi dipendono ben quattro part.
congiunti: a$ntadikh*saQ, koyrgh*saQ, paraba*Q, e$ rgasa*menoQ. ± zv&nti, ``finche sarai vivo''. ± to+ so+n me*roQ acc. di relazione
``per parte tua'' ± a$lla*, conclusivo, come giaÁ in 54b 2. Qui si conclude la prosopopea delle Leggi.
54.d. Tay&ta ... a$koy*ein: riprende a
parlare Socrate, concludendo il dialogo con Critone; v# fi* le ... Kri* tvn,
``mio buon amico Critone''; dokv& regge l'infinito a$koy*ein, perche si tratta
di una impressione soggettiva, come
quella di coloro che sono pervasi dalla
591
dokoy&sin a$koy*ein, kai+ e$ n e$ moi+ ay%th h< h$xh+ toy*tvn tv&n lo*gvn bombei& kai+ poiei& mh+
dy*nasuai tv&n a>llvn a$koy*ein " a$lla+ i> sui, o%sa ge ta+ ny&n e$ moi+ dokoy&nta, e$ a+n le*g|Q
para+ tay&ta, ma*thn e$ rei& Q. o%mvQ me*ntoi ei> ti oi> ei ple*on poih*sein, le* ge. {KR.} \All\,
v# Sv*krateQ, oy$k e> xv le* gein. 54.e. {SV.} > Ea toi* nyn, v# Kri* tvn, kai+ pra*ttvmen
tay*t|, e$ peidh+ tay*t| o< ueo+Q y<fhgei& tai.
frenesia dei Coribanti (oi< korybantiv&nteQ) hanno l'impressione di sentire il suono degli oboe. ± o%sa ... ge e$a+n
le*g|Q ... e$rei& Q, ``se parlerai contro
queste ragioni, quante (o%sa) in questo
momento (ta+ ny&n) mi sembrano valide, parlerai invano''; si ha la prolessi
del relativo o%sa, ripreso poi dal para+
tay&ta; Socrate ha chiara coscienza
che non potraÁ modificare il suo punto
di vista, e ne avverte l'amico, pur concedendogli di ascoltarlo, ei> ti oi> ei
ple* on poih*sein, ``se credi di ricavare
qualcosa''. Critone ora non puoÁ non
riconoscere di non aver nulla da dire.
54.e. e>a toi* nyn, ``lascia andare'': il
dialogo eÁ concluso, e Socrate conclude pacatamente, invitando il suo interlocutore ad adeguarsi alla volontaÁ
del dio. ± tay*t| eÁ avverbiale.
traduzione d'autore
SOCRATE
CRITONE
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
SOCRATE
592
Guardala da quest'altro lato. Un'ipotesi. Noi siamo lõÁ lõÁ per tagliare la corda, o come
vuoi chiamarla, questa cosa. Arrivano le Leggi e l'istituzione pubblica. Un'apparizione, e poi questo discorso: «Di' a me, caro Socrate, cos'hai in mente di fare? Mediti di
farci stramazzare, se ci riesci, noi Leggi e il paese tutto quanto, o cos'altro, con questa
bravata che hai fra le mani? O t'illudi che sappia sopravvivere dopo, e non finire
sottosopra quel paese dove i giudizi celebrati nulla valgono e l'uomo della strada puoÁ
svilirli, cancellarli?». Di', Critone, cosa risponderemmo a questo e al seguito di
questo? Ci sarebbe abbondanza d'argomenti, piuttosto, specie per un professionista
della parola, a difesa della legge attaccata che comanda: siano validi i giudizi giaÁ
giudicati! O a questi personaggi noi diremo: «A noi Atene faceva offesa: in piuÁ, la sua
sentenza non fu retta»? Diremo questo, o che altro?
SõÁ, per dio, questo, Socrate.
Supponiamo che le Leggi aggiungano: «Socrate, fra noi e te c'era quest'altro accordo,
o quello di star fedeli ai giudizi della giustizia ateniese?». Se noi fossimo imbarazzati
dalla domanda, probabilmente direbbero: «Socrate, non lasciarti imbarazzare, su,
rispondi: sei abituato, tu, a maneggiare domanda e risposta. Ecco il punto: di che
c'incrimini, noi Leggi e il tuo paese, per metter mano ad annientarci? Primo: non
t'abbiamo messo noi in questo mondo? E tuo padre non sposoÁ tua madre in nome
nostro, per poi darti vita? Ci sono le Leggi sulle nozze, qui fra noi: vuoi criticarle per
qualche punto difettoso? Parla chiaro». «Non ho critiche» dovrei dire io. «Ne hai per
quelle sulla protezione del bambino, sulla scuola, della quale tu pure fosti scolaro?
Forse, fra noi, non erano all'altezza quelle schierate in questo campo, che comandavano a tuo padre di mandarti a scuola di musica, e d'esercizio fisico?» «All'altezza»
dovrei ammettere. «CosõÁ va bene. E dopo che sei nato, che hai ricevuto cure e
un'istruzione, avresti la forza di dire, proprio adesso, che tu non ci appartieni, no,
non sei un frutto ed un soggetto nostro: tu, con le tue radici? E se la realtaÁ eÁ questa,
t'illudi che fra te e noi esista equilibrio di diritti? T'illudi che qualunque azione su di te
noi avviamo, ritorcerla sia tuo pacifico diritto? Ah, non avevi certo equilibrio di diritti
con tuo padre, tu, o con un tuo padrone, se esisteva, un tuo padrone: al punto da
ritorcere gli eventuali colpi, restituire le parole dure, le bastonate prese e tutto il resto.
E questo ti permetterai con la tua patria, con le tue Leggi? Al punto che se c'impegniamo a cancellarti -- nella coscienza che sia giusto -- pure tu t'impegnerai, reagendo
con tutte le tue forze, a cancellare noi, tue Leggi, e il tuo paese? In piuÁ proclamerai che
questa scelta tua eÁ un atto di giustizia: tu, l'autentico amatore della perfezione! O sei
tanto colto da scordarti che di tua madre, di tuo padre, delle tue ultime radici piuÁ
preziosa cosa eÁ la tua patria, piuÁ solenne, piuÁ sacra, su un piedistallo piuÁ elevato, agli
occhi di dio e degli uomini dotati di cervello? Si deve culto, alla patria. E disciplina, e
SOCRATE
testi
CRITONE
Critone
SOCRATE
Platone
CRITONE
dolcezza, con lei, se s'inquieta, piuÁ che con un padre. O calmarla, o fare i suoi
comandi: e pazientare con serenitaÁ, ti imponga pure sofferenze, schiaffi e la prigione.
Magari ti chiama alla battaglia, futuro mutilato, o morto ucciso: devi andare, perche eÁ
giusto, non imboscarti, non defilarti, non disertare. In guerra, in aula di giustizia,
ovunque tu sia, devi eseguire gli ordini del paese nativo. O convincerlo che la radice di
giustizia eÁ lõÁ, dalla tua parte. Essere brutali con padre e madre eÁ sacrilegio: ma peggio
ancora con la patria.» Che ne diremo, Critone? Parlano giusto le Leggi o no?
Per me, sõÁ; credo di sõÁ.
«Allora, Socrate, rifletti» potrebbero aggiungere le Leggi «se siamo giuste a dire che tu
non hai diritto a farci quanto intendi fare. Noi t'abbiamo dato una vita, cure, un'istruzione; l'accesso a quei vantaggi che dipendevano da noi, e non solo a te, a tutti gli
ateniesi. Ma non basta. Noi comunichiamo dall'inizio -- prova ne eÁ la facoltaÁ, da noi
ratificata, per chiunque qui in Atene lo decida -- che l'ateniese, giaÁ ammesso alla
cittadinanza, giaÁ a conoscenza delle istituzioni nostre, e di noi Leggi, se proprio noi
non gli piacciamo, eÁ padrone d'emigrare dove vuole, con la roba sua. Non c'eÁ Legge
che sia una catena, o una porta chiusa, nel caso in cui voglia trasferirsi in uno
stanziamento via da Atene -- se eÁ Atene la sgradita, e noi con lei -- o andare in altre
parti a fare l'emigrante, vada dove vuole, lui con la sua roba. Ma all'uomo che
rimane, che ha sott'occhio i nostri modi di giustizia, le regole politiche, noi diciamo
chiaro che con il suo gesto giaÁ si obbliga, concordemente, a eseguire in futuro i nostri
vari comandi. Non obbedire eÁ un'ingiustizia tripla: perche quell'uomo non obbedisce
ai genitori (noi lo siamo); non ai suoi tutori; e lui, che ha concordato d'obbedire, non
lo fa. Nemmeno cerca di persuaderci, se commettiamo qualcosa di poco pulito!
Eppure noi offriamo scelta, non imponiamo brutalmente d'eseguire ordini: anzi
lasciamo l'alternativa, o convincerci, o eseguire. Ma lui non fa ne questo, ne quello.
«In questi crimini cadrai pure tu, Socrate, se farai quanto mediti: non meno d'altri
ateniesi, anzi piuÁ di tutti.» Io potrei dire ``PercheÂ?'', e credo che loro contrattaccherebbero, con argomenti lineari, che quell'accordo, guarda caso, l'ho concordato io
con loro, piuÁ di chiunque altro qui in Atene. Direbbero subito: «Socrate, abbiamo
prove importanti che a te noi Leggi, noi e il tuo paese, piacevamo: non saresti stato qui
in Atene con quella tua costanza eccezionale, se non ti fosse piaciuto in modo
eccezionale. Tu dalla cittaÁ non sei uscito mai, neanche per vedere feste (tranne che
all'Istmo quella volta sola), ne in nessun altro posto, se non sotto le armi. Non hai mai
fatto un viaggio, come l'altra gente. Non t'ha mai preso la curiositaÁ d'un altro stato,
d'altre leggi. Noi ti bastavamo: noi e Atene. Che scelta appassionata, era: e poi eri
d'accordo, tu cittadino al nostro modo, tanto che, tra l'altro, hai messo al mondo figli,
qui in Atene. Segno che il paese ti piaceva. Proprio nel processo, se volevi, t'era dato
di candidarti all'esilio. Ora non arrossisci di quelle tue parole. Di noi, le Leggi, non
t'importa. Sei pronto ad annientarci. Agisci come il peggiore schiavo, ti prepari a
tagliare la corda, contro le intese e i patti: contro quel tuo impegno con noi, a
civilmente vivere. Comincia dunque a risponderci su questo punto: eÁ vero o non eÁ
vero che hai concordato, concretamente, non a parole, di vivere da essere civile, al
modo nostro?». Che ribatteremmo, Critone: che concordiamo, o altro?
Per forza, Socrate.
«Quanto alle intese» forse aggiungeranno «agli accordi particolari con noi Leggi, tu
sconfini: eppure non li hai concordati sotto torchio, ne vittima d'imbroglio, ne premuto a scegliere in poco tempo, settant'anni, anzi, e t'era sempre dato d'emigrare, se
non ti piacevamo noi e non ti pareva lineare il nostro accordo. Ma tu non hai scelto
Sparta, o Creta, stati d'ottima legislazione, come dici sempre; e nessun altro paese,
greco o forestiero. Da Atene ti sei allontanato meno di storpi, orbi, malandati. Era un
amore eccezionale, il tuo, per Atene e per noi altre Leggi, eÁ chiaro. Un paese senza
leggi a chi puoÁ mai piacere? Non starai agli accordi, adesso? Certo: se vorrai seguirci,
Socrate. Non farai la buffonata di evadere da Atene.
«Cerca d'intuire che bel vantaggio tu procuri, a te e al tuo gruppo, se sgarri, se fai
593
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
CRITONE
SOCRATE
questo sbaglio. I tuoi uomini rischiano l'esilio anche loro, il distacco da Atene e la
perdita di tutto, eÁ trasparente. Poi tu. Supponiamo che tu vada in una cittaÁ del
circondario, Tebe, o Megara (buone leggi in entrambe), vi entrerai nemico dei loro
ordinamenti e gli uomini, preoccupati del paese proprio, ti guarderanno storto, ti
penseranno guastatore delle leggi. Tu avrai consolidato nei tuoi giudici l'idea, ormai
definitiva, che quel giudizio loro era giustificato. Chi guasta leggi ha tutta l'aria, se
non sbaglio, di poter guastare anche ragazzi, e uomini incoscienti. Schiverai le cittaÁ
che hanno leggi buone? Le comunitaÁ disciplinate meglio? AvraÁ senso vivere, per te,
facendo questo? O t'affiancherai alle persone, avrai la sfacciataggine di ragionare ...
che razza di ragionamenti, Socrate? I tuoi, di qui, cioeÁ che la morale, la condotta retta
sono i valori sommi dell'umanitaÁ, insieme alle regole civili ed alle leggi? SaraÁ una
parte disgustosa, Socrate. Ci pensi? Eh sõÁ, devi pensarci. Ma no. Tu leverai le tende da
quei posti. Punterai alla Tessaglia, ai conoscenti di Critone? C'eÁ il caos, laggiuÁ, e
l'anarchia. ChissaÁ, potresti divertirli con la tua storia comica, di te che te la squagli
dalla cella, con il costume addosso, un pastrano conciato, magari, o l'altra solita
mascheratura degli evasi: ed eccoti travestito da solo, Socrate. Che tu, vecchio uomo,
con un rimasuglio di tempo da vivere, hai avuto il coraggio di sgarrare dalle piuÁ alte
leggi per passione vischiosa della vita, dõÁ, non ci saraÁ nessuno pronto a dirlo? Forse, se
non darai noia. Altrimenti ne sentirai tante, Socrate, e non meritate. GiaÁ: dovrai
vivere strisciando ai piedi della gente. Un servo. E intanto? T'ingrasserai per bene,
in Tessaglia: che saraÁ, un viaggio gastronomico in Tessaglia, il tuo? E quei tuoi
ragionamenti di rettitudine, di perfezione, dove li ritroveremo? Forse per i figli vuoi
ostinarti a vivere, per curarli, educarli? Ah sõÁ? Per allevarli ed educarli li trascinerai in
Tessaglia, li farai stranieri, questo vuoi che sia il loro bene? Oppure no, verranno
grandi qui: e se tu resti vivo cresceranno meglio, piuÁ istruiti, anche senza la presenza
tua? I tuoi cari amici provvederanno a tutto. Ed ecco un dubbio: provvederanno se tu
sparirai in Tessaglia, e se sparirai nell'aldilaÁ, no? CosõÁ devi pensarla, se si puoÁ contare
su chi dice in giro che t'eÁ tanto amico.»
«Socrate, obbedisci a noi, tue nutrici: non dare peso al vivere, ai figli, a null'altro piuÁ
che a giustizia, per avere gli argomenti di difesa, con le autoritaÁ dell'altro mondo,
quando arriverai. Fare quell'altra cosa non eÁ l'azione piuÁ fruttuosa, eÁ chiaro, ne per te,
ne per i tuoi cari: nemmeno la piuÁ giusta e religiosa. Non ti daraÁ frutti, al tuo arrivo laÁ.
Ora, almeno, tu scompari -- se scompari -- vittima di un torto, non di noi Leggi, ma di
esseri umani. Se evadi, per quella strada infame, se tu reagisci col delitto, con
cattiveria criminale sconfinando dagli accordi e patti tuoi con noi, colpendo duramente chi proprio non dovresti, cioeÁ te stesso, i tuoi della famiglia, il tuo paese e noi,
ebbene ti saremo ostili noi, finche vivi, ed anche le Leggi, giuÁ del morto mondo, sorelle
nostre, non t'abbracceranno col sorriso sapendo che hai alzato su di noi le mani per
finirci, se potevi. Che Critone non ti pieghi a fare quanto dice: piuÁ che noi!»
Ecco che parole, Critone mio, vecchio amico, mi sembra di sentire, come quell'impressione che hanno i coribanti, di flauti nelle orecchie, ed anche in me risuona
quest'onda di ragionamenti, e la conseguenza eÁ che non percepisco gli altri. Bada,
se tu ragioni in modo discordante, parlerai al vento. Alla luce, almeno, delle idee mie
di adesso. Ma non importa, parla, se speri in qualche risultato.
Ah, Socrate: non so che dire.
Lascia perdere, Critone. Procediamo in questa via, perche in questa via il dio pilota.
(Trad. E. Savino)
594
Platone
GUIDA ALL'ANALISI
LINGUA E LESSICO
1. In 50a viene impiegato a$podidra*skein; indica che differenza c'eÁ tra questo verbo e fey*gein.
.....................................................................................................................................................................................
Motiva la tua risposta in un elaborato di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................
testi
3. Trascrivi apodosi e protasi dei periodi ipotetici di 50a-c (usa le parentesi per eventuali elementi sottintesi);
specificane poi il tipo.
.....................................................................................................................................................................................
4. Rileggi 50a-c: in due casi, si verifica il fenomeno dell'attrazione del relativo: spiega brevemente (max 5 righe) in
che cosa consiste, indicando poi in quale caso dovrebbe trovarsi il relativo se non fosse attratto.
.....................................................................................................................................................................................
5. Rileggi 52a-d (da tay*taiQ dh* famen kai+ se*, v# Sv*krateQ, tai& Q ai$ ti* aiQ e$ ne*jesuai, a a>llo ti h/ o<mologv&men;),
sottolinea sul testo gli infiniti e, per ciascuno di essi, fai un'analisi morfologica e della funzione.
.....................................................................................................................................................................................
6. Spiega, considerando l'aspetto, l'impiego di tempi diversi nei due participi paraba*Q e e$jamarta*nvn di 53a.
"
"
Critone
2. Secondo te, qual eÁ il motivo per cui, in 50c, Socrate dice h$di* kei ... h< po*liQ e non, invece, h$di* koyn ... oi< no*moi?
paraba*Q: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
e$ jamarta*nvn: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
................................................................................................................................................................................
TEMI E CONFRONTI
7. In che senso Socrate eÁ figlio e servo delle Leggi? Perche Socrate ha il dovere di obbedire alle Leggi? Motiva la
tua risposta in un elaborato di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................
8. Qual eÁ l'atteggiamento che il cittadino deve avere nei confronti della patria? Motiva la tua risposta in un
elaborato di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................
9. Perche il vecchio Socrate fuggendo si coprirebbe di disonore e di ridicolo? Motiva la tua risposta in un elaborato
di max 10 righe.
.....................................................................................................................................................................................
10. In un passo precedente rispetto a quello appena letto (48b), Socrate pronuncia una frase destinata a rimanere
famosa: ``non bisogna tenere in massima considerazione il vivere in quanto tale, ma il vivere bene, ed il vivere
bene eÁ lo stesso che il vivere con virtuÁ e con giustizia''. Che cosa ne pensi? Motiva la tua risposta in un elaborato di
max 20 righe.
....................................................................................................................................................................................
STILE E RETORICA
11. Le Leggi impiegano lo stesso metodo dialettico di Socrate; spiega, facendo puntuale riferimento a casi specifici,
in che cosa consista il diale*gesuai. Motiva la tua risposta in un elaborato di max 15 righe.
....................................................................................................................................................................................
12. Evidenzia la funzione assolta dalle climakes di 50b e 51a.
....................................................................................................................................................................................
13. Individua e spiega (max 5 righe) la funzione dell'aposiopesi di 53c.
....................................................................................................................................................................................
14. Nel passo letto eÁ presente, in piuÁ di un caso, la figura etymologica: proponine almeno due esempi
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15. Platone, nei Dialoghi, tende a riprodurre ``mimeticamente'' il parlato e nei testi si incontrano spesso apostrofi,
anacoluti, ripetizioni, particelle da sole o in formule che sollecitano risposte, segnano la conclusione di
un'argomentazione, conferiscono enfasi alle domande. Soffermati su questi tre aspetti, cercando esempi nel
testo e sottolineandoli con tre diversi colori
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16. Tenendo conto delle caratteristiche del dialogo socratico, scrivi tu, in italiano, un dialogo di 20 righe che veda
protagonisti Critone e le Leggi ed in cui Critone sostenga le ragioni della fuga di Socrate.
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595
Simposio
6 Eros desidera cioÁ che non ha
(199c-201d)
Il Simposio rievoca un banchetto fra amici, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la vittoria da lui
riportata nel concorso tragico delle Grandi Dionisie del 416 a.C. Il simposio era, nel costume greco fin dall'etaÁ
arcaica, un'occasione di scambio di esperienze sociali e culturali: gran parte della lirica arcaica era destinata ad
essere eseguita in occasione della festa simposiaca.
Dal punto di vista della struttura narrativa, anche il Simposio appartiene ai dialoghi narrati: nelle prime pagine
Apollodoro riferisce ad un amico dell'incontro a casa di Agatone che gli eÁ stato riferito da uno dei partecipanti,
Aristodemo.
Nel simposio di Agatone i convitati decidono (176e-178a) che ciascuno faraÁ un elogio di Eros, secondo una
prassi retorica che era stata inaugurata dai sofisti e che continueraÁ in seguito fino alla Nuova Sofistica e a Luciano.
A turno quindi, Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane ed Agatone pronunciano il loro elogio.
In 194e-197e interviene Agatone che dichiara necessario definire in via preliminare le qualitaÁ del dio Eros:
egli eÁ il piuÁ felice degli deÁi perche eÁ il piuÁ bello e il piuÁ buono; eÁ bellissimo in quanto giovanissimo, delicatissimo,
flessuoso, ben conformato e leggiadro nel colore; eÁ il piuÁ buono in quanto si distingue per giustizia, temperanza,
valore e sapienza, e di tutte queste virtuÁ fa partecipi gli uomini.
Dopo l'intervento di Agatone, Socrate (198b) dichiara la propria ammirazione per le parole degli amici che lo
hanno preceduto e nello stesso tempo il proprio smarrimento. ``PercheÂ, da quel semplice che sono, credevo che
si dovesse dire la veritaÁ su ciascuna delle cose lodate, e che questo fosse il nostro compito, scegliendo da queste
veritaÁ le piuÁ belle, disporle nel modo piuÁ conveniente. Ed ero molto fiducioso di me, pensando che avrei parlato
bene, giacche sapevo come lodare ogni cosa secondo veritaÁ'' (198d). Ma ora si trova in difficoltaÁ, perche non
sapeva che per fare un elogio si dovesse attribuire al soggetto in questione tutto cioÁ che c'eÁ di grande e di bello,
indipendentemente dalla veritaÁ. Agatone insomma ha eluso il problema fondamentale: ``che cosa eÁ Eros, e in virtuÁ
di cosa opera?''. Socrate, in questo modo, dichiara la propria riluttanza di fronte al metodo retorico adottato dai
suoi amici, e chiede loro se gli consentiranno di parlare come saraÁ capace, con le prime parole che gli verranno
alle labbra. Gli amici acconsentono in coro, ed egli inizia ponendo alcune domande preliminari ad Agatone.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
199.c. «Mi sembra, caro Agatone, che tu abbia incominciato bene il tuo discorso,
dicendo che per prima cosa bisogna mostrare chi eÁ Eros e poi le sue opere1. Questo
inizio mi piace. Su Eros, dunque, poiche per il resto hai fatto un'esposizione in
modo bello e grandioso, spiegando chi per natura eÁ, dimmi 199.d. anche questo:
Eros eÁ tale da essere amore di qualcuno, oppure di nessuno? Non ti domando se sia
di una madre o di un padre ± sarebbe ridicola la domanda se Eros sia di una madre
o di un padre ±; te lo domando, invece, come se del padre io ti domandassi questo:
il padre eÁ padre di qualcuno, oppure no? E certamente tu mi diresti, se volessi
rispondere bene, che il padre eÁ padre di un figlio o di una figlia; o no?»
«Sicuramente», rispose Agatone.
«Non eÁ cosõÁ anche la madre?» Fu d'accordo anche su questo.
199.e. «Rispondimi» riprese Socrate, «ancora un poco di piuÁ, perche tu possa
capire meglio cioÁ che io voglio. Se io ti domandassi: e che? un fratello, in quanto
tale, eÁ fratello di qualcuno, oppure no?»
Disse che lo era.
«E non eÁ fratello di un fratello o di una sorella?» Lo ammise.
«Cerca quindi di dirlo» proseguõÁ Socrate «anche sull'amore: Eros eÁ amore di
nulla, oppure di qualcosa?»
1. e poi le sue opere: le azioni di Eros
devono essere illustrate in relazione alla
sua essenza. Il metodo di indagine pla-
596
tonico, che ricerca l'essenza degli esseri,
si scontra qui con il metodo sofistico di
persuadere mediante un discorso ele-
gante e ricco; quest'ultimo, secondo Platone, non si basa su una conoscenza
compiuta della realtaÁ.
Simposio
testi
2. amore delle cose belle: dopo aver
indotto Agatone ad ammettere che si ha
amore di cioÁ che non si ha ma si vorrebbe
Platone
«Certamente di qualcosa.»
200.a. «Questo» soggiunse Socrate «custodiscilo in te, ricordandoti di chi eÁ
amore. Dimmi invece questo: Eros desidera o no la cosa di cui egli eÁ amore?»
«Certamente», rispose.
«Perche possiede cioÁ che desidera e ama, per questo lo desidera e ama, o
perche non lo possiede?»
«Perche non lo possiede, come eÁ verosimile», rispose.
«Considera peroÁ» proseguõÁ Socrate, «se anziche verosimile, non sia proprio
necessario che il desiderare sia desiderio di cioÁ che manca, e che non vi sia
200.b. desiderio se non c'eÁ mancanza. Io, Agatone, ho la piena convinzione che
sia necessario. E a te come sembra?»
«Sembra anche a me», rispose.
«Dici bene! Uno che eÁ grande, desidera forse di essere grande, o uno che eÁ
forte desidera forse di essere forte?»
«EÁ impossibile, dopo quello che si eÁ convenuto.»
«Non puoÁ mancare infatti di certe qualitaÁ chi giaÁ le possiede.»
«Dici il vero.»
«Supponiamo» riprese Socrate, «che chi eÁ forte desideri essere forte, veloce chi eÁ
veloce e sano chi eÁ sano. Forse qualcuno potrebbe infatti credere che, per tutte
queste qualitaÁ e per le altre di questo genere, coloro che ne sono dotati e 200.c. le
posseggono, desiderino anche cioÁ che giaÁ posseggono. Dico questo, per non lasciarci
ingannare. Ebbene, Agatone, se tu rifletti, eÁ necessario che costoro, nel momento
presente, posseggano ognuno ciascuna delle qualitaÁ che hanno, lo vogliano o no; e
questo chi lo potrebbe mai desiderare? E se qualcuno, poi, mi dicesse: ``Io, pur
essendo sano, voglio anche essere sano; ricco, pur essendo ricco, e desidero cioÁ
che ho'', noi gli risponderemmo questo: ``Tu, caro, che hai ricchezza, salute e forza,
vuoi in realtaÁ averle anche in 200.d. futuro, perche nel momento presente, che tu
voglia o no, le possiedi giaÁ. Bada, dunque, se quando affermi: ``Desidero le cose che
ora ho'', tu, in veritaÁ, non dica altro se non questo: ``Desidero che le cose che ho al
presente mi rimangano anche in futuro''. Potrebbe non essere d'accordo?».
Agatone ne convenne.
Socrate continuoÁ: «E questo non significa amare cioÁ che non si ha a disposizione e ancora non si possiede, ossia desiderare che queste cose ci siano conservate
e siano presenti anche in futuro?».
200.e. «Certamente», rispose.
«Costui, dunque, e ogni altra persona che abbia desiderio, desidera cioÁ che
non ha a sua disposizione e che non eÁ presente, cioÁ che non possiede, cioÁ che egli
non eÁ, e di cui manca. Sono queste le cose di cui sente desiderio e amore?»
«Certo», rispose.
«Suvvia», disse Socrate, «ricapitoliamo le cose che abbiamo detto. Eros non eÁ
forse, innanzi tutto, amore di alcune cose e, poi, di quelle cose di cui sente mancanza?»
201.a. «SõÁ», rispose.
«Dopo questo, ricorda a quali cose nel tuo discorso hai detto che Eros si
rivolge. Se vuoi, te lo ricorderoÁ io. Credo che tu abbia detto press'a poco questo:
che le vicende degli deÁi hanno ricevuto ordine per l'amore delle cose belle2; delle
avere, Socrate gli ricorda che nel suo discorso aveva detto come le contese tra gli
deÁi si placarono per amore del bello.
597
cose brutte, infatti, non c'eÁ amore. Non hai detto all'incirca questo?»
«SõÁ, l'ho detto», rispose Agatone.
«E lo hai detto a proposito, amico» disse Socrate. «E se eÁ veramente cosõÁ, che
altro eÁ Eros se non amore di bellezza, e non giaÁ di bruttezza?»
Lo ammise.
201.b. «E non si eÁ ammesso che Eros ama cioÁ di cui eÁ privo e non possiede?»
«SõÁ», disse.
«Eros, dunque, eÁ privo di bellezza e non la possiede.»
«Per forza», disse.
«E che? CioÁ che eÁ privo di bellezza e non la possiede in nessun modo, dici che eÁ
bello?»
«Proprio no.»
«E se eÁ cosõÁ, ammetti ancora che Eros eÁ bello?»
E Agatone disse: «C'eÁ pericolo, Socrate, che non sapessi nulla di quello che
dicevo».
201.c. «Eppure» disse Socrate, «hai parlato bene, Agatone. Ma mi devi dire
ancora una piccola cosa: le cose buone non ti sembrano anche belle?»
«A me sõÁ.»
«Se, allora, Eros eÁ privo delle cose belle, e le cose belle sono buone, egli eÁ privo
anche delle cose buone.»
«Socrate, non posso contraddirti» rispose Agatone. «Sia pure come tu dici!»
«EÁ alla veritaÁ» disse Socrate, «che non puoi contraddire, caro Agatone, percheÂ
contraddire a Socrate non eÁ per nulla difficile.»
(Trad. G. Reale)
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Completa la tabella, sintetizzando i passaggi del dialogo fra Socrate e Agatone.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
PASSAGGI
SINTESI DEL DIALOGO
1ë
Eros non eÁ amore di nulla, ma eÁ amore di qualcosa
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2. Cita le parti in cui si evidenzia l'antinomia che esiste fra un tipo di discorso, quello dei sofisti, che mira alla
persuasione e il discorso dialettico di Socrate che mira alla veritaÁ.
3. Ad Agatone che aveva detto di non essere in grado di controbattere (a$ntile*gein) Socrate, questi ribatte che non
eÁ in grado di controbattere la veritaÁ, giacche non eÁ per nulla difficile controbattere Socrate. Che cosa intende dire?
Che cos'eÁ, in realtaÁ, la discussione socratica?
598
(203b-203e)
$Afrodi* th, h<stiv&nto oi< ueoi+ oi% te a>lloi kai+ o< th&Q Mh*tidoQ y<o+Q Po*roQ. e$ peidh+ de+
e$ dei* pnhsan, prosaith*soysa oi}on dh+ ey$vxi* aQ oy>shQ a$fi* keto h< Peni* a, kai+ h#n peri+
ta+Q uy*raQ. o< oy#n Po*roQ meuysuei+ Q toy& ne* ktaroQ ± oi#noQ ga+r oy>pv h#n ± ei$ Q to+n
toy& Dio+Q kh&pon ei$ seluv+n bebarhme* noQ hy}den. h< oy#n Peni* a e$piboyley*oysa dia+
th+n ay<th&Q a$pori* an paidi* on poih*sasuai e$ k toy& Po*roy, katakli* netai* te par\ ay$t{&
kai+ e$ ky*hse to+n > Ervta. dio+ dh+ 203.c. kai+ th&Q $Afrodi* thQ a$ko*loyuoQ kai+ uera*pvn
ge* gonen o< > ErvQ, gennhuei+ Q e$ n toi& Q e$ kei* nhQ geneuli* oiQ, kai+ a%ma fy*sei e$ rasth+Q v/n
peri+ to+ kalo+n kai+ th&Q $Afrodi* thQ kalh&Q oy>shQ. a%te oy#n Po*roy kai+ Peni* aQ y<o+Q v/n
o< > ErvQ e$ n toiay*t| ty*x| kaue* sthken. prv&ton me+ n pe* nhQ a$ei* e$ sti, kai+ polloy& dei&
a<palo*Q te kai+ kalo*Q, oi}on oi< polloi+ 203.d. oi> ontai, a$lla+ sklhro+Q kai+ ay$xmhro+Q
kai+ a$nypo*dhtoQ kai+ a>oikoQ, xamaipeth+Q a$ei+ v/n kai+ a>strvtoQ, e$ pi+ uy*raiQ kai+ e$ n
o<doi& Q y<pai* urioQ koimv*menoQ, th+n th&Q mhtro+Q fy*sin e> xvn, a$ei+ e$ ndei* @ sy*noikoQ.
kata+ de+ ay# to+n pate* ra e$pi* boylo*Q e$ sti toi& Q kaloi& Q kai+ toi& Q a$gauoi& Q, a$ndrei& oQ v/n
kai+ i> thQ kai+ sy*ntonoQ, uhreyth+Q deino*Q, a$ei* tinaQ ple* kvn mhxana*Q, kai+ fronh*sevQ
e$ piuymhth+Q kai+ po*rimoQ, filosofv&n dia+ panto+Q toy& bi* oy, deino+Q go*hQ kai+ far-
203.b. makro*teron: intensivo, ``piuttosto lungo'', ``un po' lungo''. ± o%te
ga+r ... $Afrodi* th: nel mito platonico,
Eros fu concepito nel giardino di Zeus,
nell'occasione del banchetto che gli deÁi
celebrarono per la nascita di Afrodite.
Madre e padre di Eros furono due
divinitaÁ immaginate da Platone, in funzione dell'idea che si proponeva di illustrare: Penia eÁ la ``PovertaÁ'', o la ``Privazione'', mentre il padre Poros eÁ
l'``Espediente'', o la ``Risorsa'' (propriamente il ``mezzo'', che si attraversa o
che serve per raggiungere uno scopo)¨. Eros porta in seÂ, quindi, le caratteristiche di entrambi i genitori: dalla
madre Penia ha ricevuto lo stato di
privazione e di desiderio, che aspira a
soddisfare con tutte le sue forze, dal
padre Poros l'astuzia sagace, con cui
cerca di procurarsi cioÁ di cui eÁ privo.
In questo modo, Eros diviene funzione
dell'aspirazione dell'anima alla conoscenza dell'intelligibile, di cui essa ha
un ricordo ma il cui possesso le manca.
± Mh*tidoQ: la dea Metis, secondo Esiodo, Teogonia 886, fu la prima moglie di
Zeus, che la inghiottõÁ quando era gravida di Atena. ± y<o*Q: forma attica per il
piuÁ comune yi< o*Q. ± oi} on dh+ ey$vxi* aQ
oy>shQ: causale oggettiva, ``come era
naturale giacche c'era un banchetto''.
± h#n peri+ ta+Q uy*raQ, ``stava sulla porta''. ± h< oy#n Peni* a ... dia+ th+n ... a$pori* an
paidi* on poih*sasuai e$k toy& Po*roy: lo
stile viene elevato dalla serie allitterante, in cui a$pori* an e Po*roy sono uniti
anche in figura etymologica?, in antitesi?.
203.c. a$ko*loyuoQ kai+ uera*pvn, ``seguace e ministro''.
Afrodite era
normalmente accompagnata da una
schiera di divinitaÁ connesse con la sua
azione di dea del sesso, come la Persuasione; una di queste era, anche nel mito
tradizionale, il fanciullo Eros¨. ± e$n
toi& Q e$kei* nhQ geneuli* oiQ, ``nella festa natalizia di lei''. ± a%te oy#n ... v%n, participio
congiunto con a%te, indica causale oggettiva. ± polloy& dei& ... kalo*Q, ``tutt'altro che bello'': frase colloquiale che
vorrebbe dire propriamente ``molto ci
manca (che sia) bello''.
203.d. sklhro+Q kai+ ay$xmhro*Q, ``aspro
e irsuto''.
EÁ stata notata una significativa analogia tra l'Eros descritto
da Diotima e il Socrate descritto da
Alcibiade (215b ss.). ``Eros eÁ `aspro e
irsuto', e Socrate eÁ paragonato a un
rozzo e sgraziato sileno. Entrambi si
testi
203.b. < Makro*teron me* n\, e>fh, < dihgh*sasuai " o%mvQ de* soi e$ rv&. o%te ga+r e$ ge* neto h<
Simposio
Nel passo seguente viene ricordata la genealogia di Eros cosõÁ come a Socrate eÁ stata riferita da Diotima, la
sacerdotessa di Mantinea che pare quasi un ``doppio'' del filosofo e di cui Socrate espone il pensiero. Era stata lei
ad allontanare da Atene il flagello della peste e ad insegnare a Socrate le dottrine sull'essenza dell'amore esposte
nel Simposio.
Platone
7 Eros eÁ figlio di Poros e Penia
aggirano scalzi, sono coraggiosi e arditi, pieni di astuzie, abili a dare la
caccia, nel tendere insidie a cioÁ che
eÁ bello. Entrambi infine sono terribili
`incantatori' che passano la vita a filosofare'' (Susanetti)¨. ± e$ndei* @ sy*noikoQ, ``coabitante con il bisogno''.
_
e$pi* boyloQ, ``insidioso''; poco prima
anche Penia era stata rappresentata
come e$ piboyley*oysa; l'aggettivo regge il dativus incommodi ? toi& Q kaloi& Q
kai+ toi& Q a$gauoi& Q. ± a$ei* tinaQ ple*kvn
mhxana*Q: giacche anche l'inganno fa
parte dell'attivitaÁ di Eros e di Afrodite, che da Saffo, fr. 1,2, eÁ invocata
come dolo*ploke, ``tessitrice di inganni''. ± fronh*sevQ e$piuymhth*Q, ``desideroso di intendere'': meno determinato del successivo participio filosofv&n. ± deino+Q go*hQ kai+ farmakey+Q
kai+ sofisth*Q, ``imbroglione terribile,
stregone e sofista'': si noti quest'ultimo termine, allineato con i due precedenti. Anche se sofisth*Q significava in origine ``maestro di sapienza'',
ben presto passoÁ ad indicare gli esponenti di una particolare scuola filosofica, i sofisti: Platone ne fa qui un
termine ingiurioso, e con questa connotazione esso eÁ passato nel linguaggio filosofico e in quello corrente.
599
makey+Q 203.e. kai+ sofisth*Q " kai+ oy>te v<Q a$ua*natoQ pe* fyken oy>te v<Q unhto*Q, a$lla+
tote+ me+ n th&Q ay$th&Q h<me*raQ ua*llei te kai+ z|&, o%tan ey$porh*s|, tote+ de+ a$poun|*skei,
pa*lin de+ a$nabiv*sketai dia+ th+n toy& patro+Q fy*sin, to+ de+ porizo*menon a$ei+ y<pekrei& ,
v%ste oy>te a$porei& > ErvQ pote+ oy>te ploytei& , sofi* aQ te ay# kai+ a$maui* aQ e$ n me*s{
e$ sti* n.
203.e. pe*fyken, ``eÁ''. ± tote+ me+n ... z|&,
``talvolta nello stesso giorno (gen. di
tempo) fiorisce e vive''. ± to+ de+ porizo*-
menon a$ei+ y<pekrei& , ``cioÁ che si procura
sempre gli sfugge'': y<pekrei& risulta da
y<p(o)-, ``di sotto'', e$ k-, ``via'', r<ei& , ``scor-
re'', per indicare il processo per cui
qualcosa sfugge via senza che uno se
ne accorga.
traduzione d'autore
Á cosa un po' lunga da spiegare, pure te la diroÁ. Quando nacque Afrodite,
203.b. «``E
gli deÁi tennero banchetto, e fra gli altri c'era Poros, figlio di Metis. Dopo che ebbero
tenuto il banchetto, venne Penia a mendicare, poiche c'era stata una grande festa, e se
ne stava vicino alla porta. Poros, ubriaco di nettare ± il vino non c'era ancora ±,
entrato nel giardino di Zeus, appesantito com'era, fu colto dal sonno. A causa della
sua povertaÁ, Penia escogitoÁ di avere un figlio da Poros; giacque con lui e concepõÁ Eros.
Per questo, Eros divenne anche 203.c. seguace e ministro di Afrodite, perche fu
generato durante le feste natalizie di lei; ed eÁ nello stesso tempo per natura amante
di bellezza, perche anche Afrodite eÁ bella. PoicheÂ, dunque, Eros eÁ figlio di Penia e di
Poros, gli eÁ toccato un destino di questo tipo. Prima di tutto eÁ povero sempre, ed eÁ
tutt'altro che bello e delicato, come ritengono i piuÁ. EÁ duro, invece, e ispido, scalzo e
senza casa, si sdraia sempre per 203.d. terra senza copertura, e dorme all'aperto
davanti alle porte o in mezzo alle strade, e, perche ha la natura della madre, coabita
sempre con la povertaÁ. Per cioÁ che riceve dal padre, invece, egli eÁ insidiatore di cioÁ che
eÁ bello e cioÁ che eÁ buono, eÁ coraggioso, temerario, impetuoso, straordinario cacciatore, intento sempre a tramare intrighi, appassionato di saggezza, pieno di risorse,
filosofo per tutta la vita, straordinario incantatore, mago, sofista. E per sua natura non
eÁ ne mortale ne 203.e. immortale, ma, in uno stesso giorno, talora fiorisce e vive,
quando riesce nei suoi espedienti, talora, invece, muore, ma poi torna in vita, a causa
della natura del padre. E cioÁ che si procura gli sfugge sempre di mano, sicche Eros
non eÁ mai ne povero di risorse, ne ricco. Inoltre sta in mezzo tra sapienza e ignoranza.
(Trad. E. Savino)
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
ANALISI DEL TESTO
" LA FAVOLA DI EROS Il racconto del concepimento di Eros e
Á
collocato da subito, grazie al connettivo subordinante
temporale o%te ed all'indicativo aoristo e$ ge* neto che richiama
un lontano passato, in una dimensione favolistica. Una
favola perfettamente inserita nel contesto del dialogo e i cui
singoli elementi hanno una ben precisa funzione nella riflessione sulla natura di Eros.
" SEQUENZA RACCONTO-SPIEGAZIONE L'ordinata struttura
del testo, che fa succedere racconto e spiegazione, la
rende evidente.
a. Eros eÁ stato concepito durante le feste per la nascita
di Afrodite (gennhuei+ Q e$ n toi& Q e$ kei* nhQ geneuli* oiQ, con il
participio e aggettivo sostantivato legati da figura etymologica): questo spiegherebbe percheÂ, oltre ad essere per natura amante della bellezza, egli eÁ anche
seguace e ministro della dea. Stretto era il legame che
600
veniva percepito fra l'occasione del concepimento e il
carattere del bambino ed eÁ questo il motivo per cui, in
Le opere e i giorni 735, Esiodo invita a non procreare di
ritorno da un funerale, ma piuttosto dopo aver partecipato ad una festa per gli deÁi immortali.
b. EÁ figlio di Poros, che eÁ personificazione dell'Espediente, della Risorsa e nipote di Metis, personificazione
della Prudenza, della Saggezza e dell'AbilitaÁ e divinitaÁ
tanto sapiente che Zeus, per assicurarsi il suo sapere,
prima la sposa e poi la ingoia: questo spiegherebbe
l'abilitaÁ di Eros nel tramare intrighi e nel tendere insidie ai belli e ai buoni.
c. La madre del demone eÁ la Personificazione della PovertaÁ: questo spiegherebbe la mancanza che caratterizza la natura di Eros, essere che cerca qualcosa che
non ha.
testi
8 Eros eÁ amore di immortalitaÁ
Simposio
a$pore*v e suffisso verbale -i* a per indicare qualitaÁ; il termine
rimanda, etimologicamente, al padre ma eÁ legato allo stato di
privazione di Peni* a, la madre. Da notare, inoltre, che il sostantivo a$pori* an eÁ unito al successivo Po*roy anche da
antitesi e figura etymologica.
In 203d abbiamo po*r-imoQ (da por- e suffisso degli aggettivi in -imoQ per indicare possibilitaÁ sia in senso passivo
che, come nel nostro caso, in senso attivo e detto del
nostro Eros ``che puoÁ procurare'', quindi ``scaltro''), in
203e, in successione, ey$-por-h*s| (da ey$-por-e* v con ey$
`bene' e suffisso verbale in -e* v per indicare situazione,
stato), por-izo*-menon (participio sostantivato da por-i* zv,
por con suffisso -i* zv per indicare attivitaÁ con valore causativo e detto di cioÁ che Eros si procura), a$-por-ei& (con a$
privativo e suffisso -e* v, ``sono senza mezzi'').
Platone
LESSICALE Ci sembra interessante sottolineare come fine sia la tessitura del testo e non sia casuale la
scelta di alcuni termini: questi, come luci che si accendono
a mo' di segnale, hanno lo scopo, invece, di sottolineare
rimarcandolo il legame Eros-Poros-Penia. A Peni* a sono
efficacemente connessi tre aggettivi che presentano a$
privativo: Eros non ha calzari (a$n-ypo*-dh-toQ), eÁ senza
casa (a>-oik-oQ), non ha un posto ove dormire (a>-strvtoQ). Un'altra serie di vocaboli richiama, invece, la natura del
padre, Po*roQ: il nome appartiene alla famiglia linguistica
contrassegnata dalla radice por- che indica il ``luogo di
passaggio'', ``la via'' da cui, per mezzo del richiamo a ``cioÁ
che si attraversa'' o ``che eÁ utile per raggiungere un obiettivo'', ``l'espediente'', ``la risorsa''. Nel testo, oltre a Po*roQ,
abbiamo, con efficace rimando, a$-por-i* an, da a$-por- di
" RICERCATEZZA
(205d-207a)
All'inizio del passo che segue, Diotima contesta il mito raccontato da Aristofane (199d), secondo cui gli esseri
umani erano in origine doppi ma, da quando sono stati divisi da Zeus, le rispettive metaÁ si ricercano, a seconda di
come era composto il tutto di cui facevano parte. In realtaÁ, invece, quelli che amano non cercano la loro metaÁ, ma
il bene. Muovendo dalla premessa che Eros eÁ desiderio della bellezza, sulla base dell'identificazione tra il bene e
il bello, si afferma che Eros eÁ amore del bene per concludere che Eros eÁ desiderio di possedere il bene. E,
siccome Eros eÁ desiderio di avere il bene, eÁ anche desiderio di generare, perche nella generazione si realizza
l'immortalitaÁ, che eÁ l'aspirazione massima per un essere mortale.
``PeroÁ si sente fare un certo discorso, per il quale quelli che amano sono 205.e. coloro che cercano la loro metaÁ. Il mio discorso dice, invece, che l'amore non eÁ
amore ne della metaÁ ne dell'intero, se questo, caro amico, non si trovi a essere un
bene. Gli uomini preferiscono farsi tagliare piedi e mani, se queste parti di seÂ
risultano loro in cattivo stato. Ciascuno ± io penso ± non eÁ attaccato a cioÁ che gli eÁ
proprio, a meno che non si chiami bene cioÁ che gli eÁ proprio, e male cioÁ che eÁ
estraneo, dal momento che non c'eÁ altro che gli 206.a. uomini amano se non il
bene. O tu non sei di questo parere?''
``Per Zeus, no certo'', risposi.
``Possiamo'' disse ``affermare semplicemente che gli uomini amano il bene?''
``SõÁ'', risposi.
``E che? Non bisogna aggiungere'' proseguõÁ, ``che amano che il bene sia anche
in loro possesso?''
``Bisogna aggiungerlo'', risposi.
``E non solo che sia in loro possesso'' disse, ``ma che lo sia per sempre?''
``Bisogna aggiungere anche questo.''
``In breve'' disse ``l'amore eÁ tendenza a essere in possesso del bene per sempre.''
``Quello che dici eÁ verissimo'', risposi.
206.b. ``Dal momento che l'amore eÁ sempre questo'' proseguõÁ, ``in quale modo e
in quale azione l'impegno e la tensione di coloro che lo perseguono possono
chiamarsi amore? Quale mai eÁ questa opera? Sei capace di dirlo?''
``Se fossi capace di dirlo, Diotima, io non ti ammirerei'' risposi ``per la sapien601
za, ne verrei da te per imparare proprio queste cose!'' «``Allora te lo diroÁ io: eÁ un
parto nella bellezza, sia secondo il corpo sia secondo l'anima.''
``Ci vorrebbe un indovino'' dissi ``per intendere quello che dici! Io non capisco.''
206.c. ``Te lo diroÁ piuÁ chiaramente. Tutti gli uomini, Socrate'' proseguõÁ, ``diventano gravidi secondo il corpo e secondo l'anima e, quando sono giunti a una certa
etaÁ della vita, la nostra natura brama partorire. Partorire nel brutto non eÁ possibile, mentre eÁ possibile nel bello. L'unione dell'uomo e della donna eÁ parto.
Questa eÁ cosa divina: nell'essere vivente che eÁ mortale vi eÁ questo di immortale:
la gravidanza e la procreazione. Ma queste non possono avvenire 206.d. in cioÁ
che sia disarmonico. E disarmonico con tutto cioÁ che eÁ divino eÁ il brutto; il bello eÁ
invece in armonia con esso. Dunque, Callone (la Bellezza) nella generazione ha la
funzione di Moira e di Ilitia1. Per questo cioÁ che eÁ gravido, quando si avvicina al
bello, si allieta e, rallegrato, si effonde, partorisce e genera; quando si avvicina,
invece, al brutto, si rattrista e, addolorato, si contrae e si rinchiude in seÂ, si tira
indietro e non genera, e, tenendo dentro di se cioÁ di cui eÁ gravido; ne soffre molto.
Di qui, in chi eÁ gravido e turgido, nasce 206.e. una forte eccitazione per il bello,
perche puoÁ liberare da grandi doglie chi lo possiede. L'amore, Socrate, non eÁ
desiderio del bello, come ritieni tu.''
``Di che cosa, allora?''
``Di procreare e partorire nel bello.''
``E sia!'', dissi.
E lei rispose: ``EÁ proprio cosõÁ! Ma perche amore della procreazione? Perche la
procreazione eÁ cioÁ che ci puoÁ essere di sempre nascente e di immortale in un
mortale. E per cioÁ che si eÁ convenuto, eÁ necessario che l'immortalitaÁ si 207.a. desideri insieme con il bene, se eÁ vero che Eros eÁ amore di possedere sempre il bene.
Da questo ragionamento consegue, necessariamente, che Eros eÁ anche amore di
immortalitaÁ''.
(Trad. E. Savino)
1. Moira e di Ilitia: Moira eÁ un'entitaÁ
omerica, impersonale, il destino, che
qui Platone trasforma in una personalitaÁ divina, mentre Ilitia eÁ la dea dei parti.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Se l'amore eÁ tendenza ad essere in possesso eterno del bene, qual eÁ l'azione che caratterizza e connota lo sforzo
e la tensione di coloro che amano (206b)? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 5 righe.
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2. In 206c sembra implicito che l'anima non possa «partorire nel brutto». PercheÂ? Motiva la tua risposta in un
elaborato di max 5 righe.
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602
(209a-212b)
corpi1, di quelle cose che all'anima si addicono concepire e partorire; e che cosa,
precisamente, si addice all'anima, se non la saggezza e ogni altra virtuÁ? Tra i quali
sono da annoverare tutti i poeti che sono creatori e quelli fra gli artefici che sono
detti inventori. Ma la saggezza di gran lunga piuÁ grande e piuÁ bella eÁ quella che
riguarda l'ordinamento delle cittaÁ e 209.b. delle case, cui si daÁ il nome di temperanza e di giustizia. E quando uno di costoro fin da giovane abbia l'anima gravida
di queste virtuÁ e, essendo celibe, giunta l'etaÁ, desideri ormai partorire e generare,
egli pure, credo, andando attorno, cerca cioÁ che eÁ bello nel quale possa generare,
perche nel brutto non potraÁ mai generare. Allora, in quanto eÁ gravido, si unisce ai
corpi belli piuÁ che ai brutti. E se mai incontra un'anima bella, nobile e di buona
natura, allora si attacca a questa bellezza, e di fronte a quest'uomo abbonda di
discorsi intorno alla virtuÁ e sul come debba essere l'uomo buono e di quali cose
209.c. debba prendersi cura, e incomincia a educarlo. Venendo a contatto con cioÁ
che eÁ bello, credo, e conversando con lui, partorisce e genera quelle cose di cui era
gravido da tempo; sia quando eÁ presente sia quando eÁ assente lo ricorda sempre, e
insieme a lui alleva cioÁ che eÁ nato. CosõÁ che queste persone hanno fra loro una
comunanza maggiore di quella che daÁ la comunanza dei figli, e una piuÁ solida
amicizia, poiche hanno in comune dei figli piuÁ immortali e piuÁ belli. E ognuno
preferirebbe che gli nascessero figli di questo genere piuttosto che 209.d. figli,
umani, guardando a Omero e a Esiodo2 e invidiando gli altri grandi poeti e le
creature che essi hanno lasciato, le quali procurano loro gloria immortale e
ricordo, immortali esse stesse; o se vuoi'' soggiunse, ``ammirando i figli che
Licurgo3 lascioÁ a Sparta, che furono salvatori di Sparta e, per cosõÁ dire, dell'Ellade.
Da voi eÁ tenuto in onore anche Solone4, per la generazione delle leggi. E ci sono
poi anche altri in molti altri luoghi, e fra gli Elleni e fra i barbari, che hanno dato
alla luce molte e belle opere, generando ogni specie di virtuÁ. Per questi figli sono
stati innalzati a loro giaÁ molti templi, mentre per i figli umani non ne eÁ stato
ancora innalzato a nessuno''.
``Fino a questo punto delle cose d'amore forse, Socrate, anche tu potresti
210.a. essere iniziato; quanto ai riti perfetti e contemplativi cui tendono anche
queste, se si procede in modo giusto, non so se potresti. Ne parleroÁ io'' disse ``e non
risparmieroÁ l'impegno; tu cerca di seguirmi, se ne sei capace. Chi procede'' disse
``per la giusta via verso questo termine, deve cominciare fin da giovane ad
avvicinarsi ai corpi belli, e dapprima -- se chi gli fa da guida lo guida bene -- deve
amare un corpo solo e in quello generare discorsi belli; bisogna poi che rifletta che
1. gravidi nell'anima ... nei corpi:
si distinguono due modi diversi di generare: uno piuÁ terreno e volgare, secondo
cui si genera nei corpi, proprio di coloro
che amando donne e, fecondandole, si
assicurano l'immortalitaÁ attraverso la
prole, mentre l'altro eÁ di coloro che generano nell'anima, come i poeti e gli
artisti, ed in particolare coloro che
amando i bei fanciulli, si impegnano a
renderli nobili ed eccellenti e a guidarli
alla perfezione morale.
2. a Omero e a Esiodo: giaÁ in precedenza si era detto (209a) che soprattutto
i poihtai* concepiscono con l'anima.
testi
209.a. ``Ci sono infatti'' disse ``quelli che sono gravidi nell'anima piuÁ che nei
Simposio
La sacerdotessa Diotima delinea infine un itinerario iniziatico che prevede vari stadi e che, alla fine, conduce chi eÁ
educato nelle cose d'amore alla visione del Bello in seÂ: questo non nasce e non muore ma, rimanendo sempre se
stesso, fa sõÁ che tutte le altre cose belle partecipino di lui.
Platone
9 Per conoscere cioÁ che eÁ bello in seÂ
3. i figli che Licurgo ... : cioeÁ le leggi.
4. Solone: mentre Licurgo eÁ considerato salvatore non solo di Sparta ma di
tutta la Grecia, Solone eÁ "tenuto in onore da voi", dice all'ateniese Socrate Diotima che eÁ di Mantinea.
603
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
il bello presente in un corpo qualsiasi eÁ fratello del 209.b. bello che eÁ in un altro
corpo e che, se si deve tener dietro a cioÁ che eÁ bello per la forma, sarebbe una
grande insensatezza non ritenere una e identica la bellezza che traluce in tutti i
corpi. Dopo aver compreso questo, deve diventare amante di tutti i corpi belli e
moderare l'eccessivo ardore per un corpo solo, disprezzandolo e giudicandolo una
piccola cosa. DovraÁ poi ritenere la bellezza che eÁ nelle anime di maggior pregio di
quella che eÁ nei corpi; e percioÁ, se uno ha un'anima bella, ma ha poco fiore nel
corpo, dovraÁ 209.c. essere pago di amarlo, prendersi cura di lui, e partorire e
ricercare discorsi che potranno rendere migliori i giovani, per essere poi spinto a
considerare il bello che eÁ nelle varie attivitaÁ umane e nelle leggi, e a vedere che
esso eÁ sempre tutto quanto congenere a se stesso, in modo da rendersi conto che il
bello che concerne il corpo eÁ piccola cosa. Dopo le attivitaÁ umane, deve essere
condotto alle scienze, affinche possa vederne anche la bellezza e, guardando
209.d. alla bellezza ormai molteplice, non piuÁ amando come uno schiavo la
bellezza che eÁ in una sola cosa, la bellezza di un giovanetto o di un uomo o di
un'unica attivitaÁ umana, non sia piuÁ, servendo a quella, un uomo da poco e di
animo meschino, e rivolto invece lo sguardo al vasto mare del bello e contemplandolo, partorisca molti discorsi, belli e splendidi, e pensieri in un amore del
sapere senza limite, fino a che, rafforzatosi e cresciuto in questo modo, sapraÁ
vedere una scienza unica come questa che riguarda il bello di cui ora ti diroÁ''.
209.e. ``Ora'' disse, ``cerca di fare attenzione quanto piuÁ ti eÁ possibile. Chi eÁ stato
educato fino a questo punto nelle cose d'amore, contemplando una dopo l'altra e
nel modo giusto le cose belle, quando sta per giungere ormai al termine delle cose
d'amore, scorgeraÁ immediatamente qualcosa di bello, per sua natura meraviglioso, proprio quello, Socrate, per il quale sono state sostenute tutte le fatiche di
prima: in primo luogo, qualcosa che sempre eÁ, che 211.a. non nasce ne perisce,
non cresce ne diminuisce; qualcosa, inoltre, che non eÁ bello da un lato e dall'altro
brutto, ne talora bello e talora no, ne bello in relazione a una cosa e brutto in
relazione a un'altra, ne bello in una parte e brutto in altra parte, ne quasi che
possa essere bello per alcuni e brutto per altri. E questo bello neppure si mostreraÁ
a lui come un volto, o come delle mani, ne come alcun'altra delle cose di cui il
corpo partecipa; ne gli si mostreraÁ come un discorso e come una scienza, ne come
qualcosa che si trovi in qualcos'altro, per esempio in un essere vivente, oppure in
terra o in cielo, o 211.b. in qualcos'altro, ma si manifesteraÁ in se stesso, per seÂ
stesso, con se stesso, come forma unica che sempre eÁ. Tutte le altre cose belle,
invece, partecipano di quello in un modo tale che, mentre esse nascono e periscono, quello in nulla diventa maggiore o minore, ne patisce nulla''.
``E quando uno, partendo dalle cose di quaggiuÁ, attraverso il retto amore dei
giovanetti, sollevandosi in alto comincia a vedere quel bello, eÁ vicino a toccare il
termine. La giusta maniera di procedere, o di essere condotto da un altro, nelle
cose d'amore eÁ questa: prendendo le mosse dalle cose belle di 211.c. quaggiuÁ, al
fine di raggiungere quel bello, bisogna salire sempre, come procedendo per
gradini, da un solo corpo bello a due, e da due a tutti i corpi belli, e da tutti i
corpi belli alle belle attivitaÁ umane, e da queste alle belle conoscenze, e dalle
conoscenze procedere fino a che non si giunga a quella conoscenza che eÁ conoscenza di null'altro se non del bello stesso, e cosõÁ, giungendo al termine, conoscere
cioÁ che eÁ il bello in seÂ''.
Á questo il momento nella vita, caro Socrate'' disse la straniera di Manti211.d. ``E
nea, ``che piuÁ di ogni altro eÁ degno di essere vissuto da un uomo, quando egli
contempla il bello in seÂ. E se mai potrai vederlo, non come l'oro e le vesti ti
604
Platone
Simposio
sembreraÁ, ne come i bei fanciulli e i giovanetti alla vista dei quali ora tu resti
turbato e sei pronto, tu come molti altri, pur di poter vedere l'amato e stare
sempre insieme a lui, a non mangiare e bere se fosse possibile, ma contemplarlo
solo e stare insieme a lui. Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare'' disse, ``se a
uno capitasse di vedere il bello in se assoluto, puro, non mescolato, non contaminato da carni umane e da colori e da altre sciocchezze mortali, ma potesse
contemplare nella sua forma unica lo stesso bello divino? Consideri'' 212.a. disse
``una vita da poco quella di un uomo che guardasse laÁ e che contemplasse quel
bello con cioÁ con cui si deve contemplare, e rimanesse unito a esso? Non pensi
piuttosto'' soggiunse ``che, lõÁ solo, guardando la bellezza con cioÁ con cui eÁ visibile,
costui partoriraÁ non giaÁ immagini di virtuÁ, dal momento che non si accosta a una
immagine di bello, ma partoriraÁ virtuÁ vere, dal momento che si accosta al bello
vero? E non credi che, generando e coltivando virtuÁ vera, saraÁ caro agli deÁi, e saraÁ,
se mai un altro uomo lo fu, egli pure immortale?''
testi
(Trad. E. Savino)
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Quanti e quali sono i gradini della scala dell'Eros (210a-211a)? Sintetizza la tua risposta nello schema
seguente:
LA SCALA DELL'EROS
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2. Per quale motivo Platone sceglie una donna, Diotima, quale ``iniziatrice'', ``mistagoga'' di Socrate ai misteri di
Eros? Sapresti precisare status e funzione di questo enigmatico personaggio? Puoi aiutarti leggendo il Per
approfondire riportato qui di seguito.
3. Evidenzia, nel discorso di Diotima, elementi strutturali e linguistici che richiamino un `rituale' dell'iniziazione.
4. Evidenzia le caratteristiche e le modalitaÁ di manifestazione del Bello in seÂ.
Per approfondire
Diotima: un mistero femminile?
Per cioÁ che concerne l'universo femminile, va rilevato che
la donna occupa nel Simposio quella posizione marginale
che il costume tradizionalmente sanciva (cfr., tra l'altro,
176 e, quando la flautista viene allontanata dal simposio
maschile e invitata a suonare per le donne di casa; 181ad, ove l'amore omosessuale fra maschi eÁ giudicato superiore a quello eterosessuale). Unica eccezione eÁ Diotima, cui Platone affida il nucleo teorico piuÁ rilevante
dell'intero dialogo: le ragioni di tale scelta platonica
devono essere valutate con cautela: vedere in essa
``un'ostentata provocazione del filosofo ... un atteggia-
mento dissacrante nei confronti dei convincimenti classici'' (L. Furiani) non ci pare, in ogni caso, corretto, in
quanto Diotima non eÁ presentata semplicemente come
una donna, bensõÁ come una figura sacerdotale (fra l'altro, il
nome del luogo da cui proviene ± Mantinea ± puoÁ suggerire per similaritaÁ fonica il termine mantis, ``indovina'').
Diotima appartiene ad un ambito ± quello della religione,
delle ``cose divine'' ± nel quale, tradizionalmente, le donne
avevano un ruolo rilevante e significativo. Ad altre considerazioni dunque ci si deve volgere per penetrare il gioco
sottile ed ambiguo che il testo platonico mette in opera
con l'evocazione di questa voce femminile.
(D. Susanetti, Il Simposio, Marsilio,
Venezia 1992, p. 52)
605
10 Socrate come Marsia
(215a-216c)
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
Dopo che Socrate ha finito il suo discorso, Aristofane sta per replicare quando si sente battere alla porta con
grandeschiamazzo. Agatonemandaunservoa vederechieÁ;pocodopo,entraAlcibiadecompletamenteubriaco,
che pretende di essere condotto da Agatone per bere alla sua salute e in suo onore: appena entrato, comincia ad
incoronare Agatone con nastrie fiori e lo stesso fa, non appena lo vede, con Socrate. Erissimaco allora gli dice che
in quel simposio si era convenuto di limitare le bevute e di comporre invece a turno un elogio di Eros. Alcibiade
pur rifiutandosi di mettersi in gara con gli altri, ubriaco com'eÁ, fa comunque un elogio particolare di Eros.
Ricordiamo che Alcibiade eÁ un esponente di primo piano nella societaÁ ateniese della seconda metaÁ del V
secolo. Discendente della nobile famiglia degli Alcmeonidi e nipote di Pericle, si segnala ben presto per la sua
grande bellezza e le straordinarie doti del suo carattere, nonche come uomo abilissimo e spregiudicato.
Signori miei, io incominceroÁ a lodare Socrate cosõÁ, mediante immagini. Forse egli
crederaÁ che io voglia rappresentarlo in modo ridicolo. Ma l'immagine mira allo
scopo del vero e non a quello del riso. Dico, dunque, che egli assomiglia moltissimo a quei Sileni1, 215.b. messi in mostra nelle botteghe degli scultori, che gli
artigiani costruiscono con zampogne e flauti in mano, e che, quando vengono
aperti in due, rivelano di contenere dentro immagini di deÁi. E inoltre dico che egli
assomiglia al satiro Marsia2. In effetti, o Socrate, neppure tu potresti mettere in
dubbio che nella tua figura sei simile a questi. Che, poi, tu assomigli ad essi anche
in altre cose, ora sta' a sentirlo.
Sei arrogante, no? Se non lo ammetti, io porteroÁ qui dei testimoni. E non sei forse
un suonatore di flauto? Anzi, sei molto piuÁ mirabile di quello. 215.c. Marsia incantava gli uomini mediante strumenti, con la potenza che gli veniva dalla bocca; e cosõÁ
fa ancora oggi chi suona le sue melodie con il flauto. Infatti, io dico che quelle
melodie che suonava Olimpo3 sono di Marsia, che gliele aveva insegnate. Dunque,
le sue musiche, sia che le suoni un bravo flautista sia un flautista di scarso valore, da
sole comunicano ispirazione e manifestano coloro che hanno bisogno degli deÁi e
dell'iniziazione ai misteri, perche sono divine. E tu sei diverso da lui solamente in
questo, ossia che, senza usare strumenti, produci questo stesso effetto con le nude
parole. 215.d. Noi, in ogni caso, quando ascoltiamo qualche altro oratore far
discorsi, anche se molto bravo, non ce ne importa, per cosõÁ dire, un bel niente;
invece, quando uno ascolta te, o sente i discorsi che tu fai riferiti da qualcun altro,
anche se l'oratore che li riferisce eÁ di scarso valore, sia che li ascolti una donna, o un
uomo, o un giovanetto, ne restiamo tutti quanti colpiti e posseduti.
Cari amici, se non rischiassi di sembrare completamente ubriaco, vi riferirei,
con giuramento, che cosa ho provato io stesso nell'ascoltare i discorsi di quest'uomo, e anche ora continuo a provare. 215.e. Infatti, quando io lo ascolto, nel
sentire le sue parole, mi batte il cuore e mi vengono le lacrime, molto piuÁ che
ai coribanti4; e vedo che moltissimi altri provano le stesse cose. Invece, quando
ascoltavo Pericle5 e altri bravi oratori, pensavo che parlassero bene, ma non
1. Sileni: come i satiri, erano esseri di
natura ibrida, con testa e tronco umani,
zampa e coda animaleschi; facevano
parte del corteo di Dioniso e con le loro
smoderatezze e la loro impudenza rappresentavano nella festa dionisiaca l'antitesi della cultura e dell'ordine insiti
nella polis. I sileni di cui parla qui Alcibiade erano statuette che si trovavano
nelle botteghe degli scultori, vuote al-
606
l'interno, e apribili in modo da riporvi
delle statuette di divinitaÁ.
2. Marsia: i satiri sono simili ai sileni e
sono spesso confusi con quelli. Marsia
aveva sfidato ad una gara di musica
Apollo, ma fu da lui vinto e scuoiato vivo.
3. Olimpo: non abbiamo molte notizie su Olimpo; a lui doveva essere attri-
buita l'``invenzione'' di alcune melodie.
4. coribanti: erano sacerdoti di Cibele, che si esibivano in canti e danze
frenetiche.
5. Pericle: la fama di oratore di cui
godeva Pericle eÁ ricordata piuÁ volte dallo stesso Platone, tra l'altro in Fedro 269
e Protagora 329.
LA VOCE DELLA CRITICA "Le maschere
del Simposio, p. 640
Platone
Simposio
sentivo qualcosa di simile, ne la mia anima veniva messa in tumulto, ne si
arrabbiava, come se io mi trovassi nelle condizioni di schiavo. Ma nel sentire
questo Marsia qui, piuÁ volte 216.a. mi sono trovato in una situazione di questo
genere, tanto da sembrarmi che non valesse piuÁ la pena di vivere, comportandosi
come mi comporto io.
E queste cose, o Socrate, non dirai che non siano vere. E anche ora so bene
che, se volessi prestargli orecchio, non saprei opporgli resistenza, ma proverei le
medesime cose. Infatti, egli mi costringe ad ammettere che, pur avendo molte
mancanze, io non mi prendo ancora cura di me stesso e, invece, mi occupo delle
cose degli Ateniesi6.
A viva forza, quindi, come dalle Sirene7, io me ne allontano, turandomi le
orecchie e dandomi alla fuga. Io non voglio proprio invecchiare 216.b. stando
seduto qui, vicino a lui.
E solamente nei confronti di quest'uomo io ho provato quello che nessuno
penserebbe esserci dentro di me, ossia il vergognarsi di fronte a qualcuno. Solo di
fronte a lui, in veritaÁ, io mi vergogno. Infatti, io sono ben consapevole di non
essere in grado di contraddirlo, mostrandogli che non bisogna fare le cose che egli
mi esorta a fare. Ma poi, non appena io mi allontano da lui, mi lascio avvincere
dagli onori che la moltitudine tributa. PercioÁ mi sottraggo a lui e lo rifuggo. E
quando lo rivedo, mi vergogno per quelle cose che mi aveva fatto ammettere.
216.c. E piuÁ volte mi viene voglia di non vederlo piuÁ fra i vivi. Ma se questo, poi, si
verificasse, so bene che proverei un dolore molto maggiore: e, allora, io non so
proprio come regolarmi con quest'uomo.
testi
(Trad. G. Reale)
6. delle cose degli Ateniesi: in un
altro dialogo, l'Alcibiade I, Socrate invita il giovane e ambizioso Alcibiade a
seguire il precetto delfico di conoscere
se stessi, infatti chi ``ignora le proprie
cose'' ± afferma Socrate ± non puoÁ
prendersi cura degli interessi comuni.
7. Sirene: si fa riferimento al celebre
episodio dell'Odissea (XII, 37-54 e 154-
200) in cui Ulisse tappa le orecchie dei
compagni perche non siano sedotti dall'ammaliante canto delle Sirene.
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Compila una scheda di 20 righe su Alcibiade, cercandone notizie anche sul tuo manuale di storia greca.
2. Soffermati sugli effetti prodotti dai discorsi di Socrate sul destinatario. Elabora uno scritto di max 10 righe.
3. Come si evince dalla lettura di Reale (Le maschere del Simposio p. 640), la vicenda del rifiuto di Alcibiade
(e$rv*menoQ) da parte di Socrate (e$rasth*Q) segna, attraverso un'esperienza presentata come effettiva, il profondo
cambiamento attuato da Diotima/Socrate nella concezione della relazione tra amante e amato. Spiega come era
concepita tale relazione nella cultura tradizionale e come, invece, da Socrate.
607
11 Ha qualitaÁ che nessuno possiede
(219d-222b)
In 216d-219a Alcibiade racconta come ha sempre desiderato conoscere a fondo la sapienza di Socrate:
vedendolo osservare con interesse i bei ragazzi ed essendo ben consapevole della propria bellezza, avrebbe
avuto piacere di essere sedotto da lui per poter aver in cambio il dono di quella sapienza. Ma Socrate si eÁ sempre
mostrato incorruttibile, verso la bellezza come verso il denaro, cosõÁ che gli approcci di Alcibiade non hanno sortito
alcun effetto. Nel passo che segue Alcibiade elogia Socrate per la sua karteri* a (fino a 220d) e la sua a$ndrei* a
(fino a 221c).
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
219.d. Dopo questo1, quale credete che fosse il mio proposito, dal momento che,
da un lato, mi pareva d'essere stato disprezzato2 e, dall'altro, ammiravo la sua
natura, la sua temperanza e la sua fortezza, e mi ero imbattuto in un uomo quale
non avrei mai creduto di trovare, per saggezza e forza d'animo?
Pertanto, io non ero in condizione ne di adirarmi con lui e di privarmi della sua
compagnia, ne trovavo espedienti con cui attirarlo a me. 219.e. Sapevo bene,
infatti, che era da ogni parte invulnerabile dalle ricchezze piuÁ di quanto non lo
fosse Aiace dal ferro3, mi era sfuggito proprio in quella cosa con cui soltanto
credevo che potesse essere preso. PercioÁ mi trovavo privo di espedienti e, fatto
schiavo da quest'uomo come nessuno da nessun altro, gli giravo intorno.
Tutte queste cose erano giaÁ accadute, quando ci trovammo insieme nella
campagna militare di Potidea4, e laÁ eravamo compagni di mensa.
Prima di tutto, nelle fatiche era superiore non solo a me, ma anche a tutti gli
altri. Quando, restando isolati da qualche parte, come avviene in guerra,
220.a. eravamo costretti a rimanere senza cibo, gli altri, nel resistere alla fame,
non valevano nulla nei suoi confronti. Ma quando c'erano molte provviste, era il
solo che sapesse godersele, e, fra le altre cose, anche nel bere, quando era costretto
a farlo anche se non lo voleva spontaneamente, batteva tutti. E la cosa piuÁ
straordinaria di tutte eÁ che nessun uomo ha mai visto Socrate ubriaco.
Nella sua resistenza, poi, ai freddi dell'inverno che laÁ sono terribili, fece cose
mirabili. Fra l'altro 220.b. una volta, essendoci una gelata veramente terribile,
mentre noi tutti ce ne stavamo al coperto senza uscire, o, se uscivamo, ci avvolgevamo in una incredibile quantitaÁ di indumenti, e si calzavano e avvolgevano i
piedi con panni di feltro e pelli di agnello, costui, invece, uscõÁ fuori con addosso
quello stesso mantello che anche prima soleva portare, e si muoveva scalzo sul
ghiaccio, meglio degli altri che avevano ai piedi i calzari, e i soldati lo guardavano
220.c. irritati, come se li mortificasse.
Su questo basti quanto ho detto. Ma quel che fece e sopportoÁ il forte eroe5, laÁ, una
volta in quella campagna, vale la pena di ascoltarlo.
Preso da qualche pensiero, era rimasto in piedi fermo al medesimo posto a
meditare fino all'alba; e poiche non riusciva a venirne a capo, non desisteva e
rimaneva lõÁ fermo, continuando a cercare. Era ormai mezzogiorno e gli uomini se
1. Dopo questo: dopo il tentativo di
Alcibiade di ``sedurre'' Socrate e il rifiuto di quest'ultimo.
2. d'essere stato disprezzato: perche la sua bellezza non era stata tenuta
nella considerazione meritata. Alcibiade era confuso e perplesso, diviso fra
il risentimento per l'offesa patita e la
608
sua grande ammirazione per Socrate.
3. dal ferro: secondo una versione del
mito che conosciamo da Pindaro, Istmica 6, 47ss. e da Eschilo, fr. 83, Aiace era
invulnerabile in tutto il corpo tranne
che nell'ascella.
4. Potidea: cittaÁ della Calcidica, si ri-
belloÁ ad Atene nel 432 e resistette all'assedio ateniese fino al 429.
5. ... forte eroe: eÁ una citazione ± leggermente modificata per adattarla al
discorso ± di Odissea IV, 242, dove Elena rievoca l'audace impresa di Odisseo
che, travestito, era riuscito a penetrare
a Troia.
8. armi pesanti: secondo la divisione
censitaria, i cavalieri erano piuÁ agiati
degli opliti, perche potevano permettersi il mantenimento del cavallo con il
relativo equipaggiamento.
10. Lachete: fu stratego nel 427 e nel
418, quando morõÁ nella battaglia di
Mantinea; nel dialogo socratico che
prende il suo nome elogia il valore di
Socrate a Delio.
testi
7. Delio: a Delio, ai confini con la Beozia, un esercito ateniese fu annientato
dai Tebani nel 424.
9. si erano giaÁ dispersi: si intenda
gli Ateniesi.
Simposio
6. posizione sociale: si ricordi che
Alcibiade discendeva da una delle famiglie piuÁ nobili e potenti di Atene.
Platone
ne erano accorti e, stupiti, dicevano l'uno all'altro che Socrate se ne stava lõÁ fin
dall'alba in piedi a pensare qualcosa. Alla fine, alcuni soldati ionici, quando era
venuta la sera, dopo che avevano cenato, 220.d. poiche era estate, portarono fuori
il loro letto da campo, e, mentre riposavano al fresco, lo sorvegliavano, per vedere
se restasse laÁ in piedi tutta la notte. E lui rimase veramente in piedi finche venne
l'alba e si levoÁ il sole. E poi, rivolta una preghiera al sole, si mosse e se ne andoÁ.
E se volete, parliamo di lui nelle battaglie. EÁ giusto, infatti, rendergliene
merito.
Quando ci fu la battaglia in cui gli strateghi diedero a me il premio di valore,
nessun altro uomo mi salvoÁ la vita 220.e. se non costui, che non volle abbandonarmi ferito, e riuscõÁ a trarre in salvo me stesso e le armi insieme. E io, Socrate, giaÁ
allora esortai gli strateghi a dare a te il premio al valore; e quanto a questo non
potrai farmi rimproveri, ne potrai dire che io mento. Ma gli strateghi, per riguardo alla mia posizione sociale6, volevano dare a me il premio al valore, e tu ti sei
dato piuÁ premura degli strateghi perche il premio lo ricevessi io e non tu.
E poi ancora, o amici, valeva davvero la pena contemplare Socrate quando da
Delio7 221.a. l'esercito si ritirava in fuga. Mi capitoÁ di trovarmi accanto a cavallo,
mentre lui era a piedi con armi pesanti8. Mentre gli altri si erano giaÁ dispersi9,
costui si ritirava insieme con Lachete10. Io, capitando lõÁ e vedendoli, subito li
esortai a farsi coraggio e dissi che non li avrei abbandonati. E qui io potei
contemplare Socrate meglio che a Potidea, dato che avevo meno paura, percheÂ
ero a cavallo, e vedere anzitutto quanto fosse superiore 221.b. a Lachete per
presenza di spirito. E poi mi pareva, o Aristofane, per dirla con le tue parole,
che anche laÁ camminasse come qui a testa alta e gettando occhiate di traverso11, cioeÁ
guardando di sbieco amici e nemici, per fare intendere a tutti, anche da lontano,
che, se qualcuno lo avesse attaccato, si sarebbe difeso con molto vigore. E percioÁ si
ritirava con sicurezza, e con lui il suo compagno. Infatti, chi si comporta in questa
maniera i nemici non lo toccano neppure e inseguono, invece, chi fugge in
disordine.
221.c. Di molte e di altre straordinarie cose si potrebbe continuare a lodare
Socrate. Ma per queste altre qualitaÁ si potrebbero dire le stesse cose anche di altri.
Invece, del fatto che egli non sia simile a nessuno degli uomini, ne degli antichi neÂ
dei contemporanei, questa eÁ la cosa degna di ogni meraviglia.
Infatti, Achille12 per le qualitaÁ che ebbe si potrebbe paragonare anche a
Brasida o ad altri, e le qualitaÁ di Pericle si potrebbero paragonare anche a quelle
di Nestore e Antenore; e ci sono anche altri esempi. 221.d. E allo stesso modo si
potrebbe fare il paragone anche per altri.
12. Achille: ad Achille seguono esempi di grandi guerrieri ed oratori: Brasida (valoroso comandante spartano
caduto ad Anfipoli nel 422) eÁ accostato ad Achille per il valore; Pericle eÁ
paragonato a Nestore e ad Antenore,
figure mitiche di saggi per le capacitaÁ
oratorie.
11. ... di traverso: si tratta di una citazione da Nuvole 362s.; tuttavia, nella
commedia, Socrate eÁ ridicolizzato, tronfio e presuntuoso del suo sapere.
609
Ma non si troverebbe, cercandolo, un uomo fuori del normale simile a costui, sia
per quello che lui stesso eÁ sia per i discorsi che fa, neppure uno che gli si avvicini,
ne fra i contemporanei ne fra gli antichi. A meno che non lo si paragoni a quello
che io dico, ossia non a uomini, ma ai Sileni e ai Satiri, e lui e i suoi discorsi.
Anche questo in principio non vi ho detto: che i suoi discorsi assomigliano
moltissimo ai Sileni che si aprono.
221.e. Infatti, se uno intendesse ascoltare i discorsi di Socrate, gli potrebbero
sembrare del tutto ridicoli: tali sono i termini e le espressioni con cui sono avvolti
dal di fuori, appunto come la pelle di un arrogante Satiro. Infatti, parla di asini da
soma e di fabbri e di calzolai e conciapelli, e sembra che dica sempre le medesime
cose con le medesime parole13, al punto che ogni uomo che non lo abbia praticato
e non capisca 222.a. riderebbe dei suoi discorsi.
Ma se uno li vede aperti ed entra in essi, troveraÁ, in primo luogo, che sono i soli
discorsi che hanno dentro un pensiero, e, poi, che sono divinissimi e hanno in seÂ
moltissime immagini di virtuÁ, e che mirano alla maggior parte delle cose, e anzi,
meglio ancora, a tutte quelle cose sulle quali deve riflettere colui che vuole
diventare un uomo buono.
Queste, o amici, sono le cose per cui elogio Socrate. E mescolando anche con
esse le cose per cui lo biasimo, io ho riferito le cose per cui mi ha offeso.
Del resto, 222.b. non ha fatto questo solo a me, ma anche a Carmide14 figlio di
Glaucone, a Eutidemo figlio di Diocle e a moltissimi altri, che costui ha ingannato
presentandosi loro come amante, per mettersi nelle condizioni di diventare lui
stesso l'amato invece che l'amante15.
«Queste cose le dico anche a te, o Agatone, perche tu non ti debba lasciar
ingannare da quest'uomo, ma, venuto a conoscenza delle cose che ci sono capitate, te ne stia in guardia, perche non ti accada, come dice il proverbio16, di
imparare come l'improvvido, dopo aver sofferto».
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
(Trad. G. Reale)
13. con le medesime parole: la ripetitivitaÁ eÁ una delle caratteristiche del
dialogo socratico: egli stesso in Apologia
30e, si definisce assillante come un tafano; in Gorgia 490e-491a, Callicle lo accusa invece di parlar sempre di ``calzolai, cardatori, cuochi e medici''. EÁ stato
osservato che, d'altronde, il riferimento
continuo di Socrate al lavoro degli artigiani e alle tecniche deve essere inteso
in riferimento alla tesi socratica, secondo la quale la virtuÁ eÁ scienza.
610
14. Carmide: figlio di Glaucone, era
zio materno di Platone, che gli intitoloÁ
il dialogo sulla temperanza, mentre Eutidemo eÁ un altro devoto discepolo di
Socrate, ricordato piuÁ volte nei Memorabili di Senofonte e da non confondere
con il presuntuoso sofista cui si intitola
un altro dialogo platonico.
15. l'amante: in quanto, fingendo di
corteggiare la loro bellezza, suscita invece in quelli la passione per i suoi discorsi.
16. proverbio: questo proverbio eÁ citato in varie forme, ad esempio in Esiodo (Le opere e i giorni 218) ``a sue spese
anche lo sciocco apprende''.
TEMI E CONFRONTI
1. Alcibiade, con fare agiografico, mette a fuoco, attraverso degli esempi tratti dalla sua biografia, due particolari
qualitaÁ di Socrate. Compila una scheda che realizzerai sul tuo quaderno secondo l'esempio:
karteri* a
Simposio
QUALITAÁ
AZIONI CHE NE METTONO IN LUCE IL POSSESSO DA PARTE DI SOCRATE
Durante l'assedio di Potidea sta a lungo senza mangiare
..................................................................................................................................
..................................................................................................................................
a$ndrei* a
..................................................................................................................................
..................................................................................................................................
testi
..................................................................................................................................
..................................................................................................................................
2. Sottolinea i punti in cui si insiste sul motivo della straordinaria singolaritaÁ di Socrate.
3. Riproponi, nello schema seguente, il ritratto di Socrate (segui le indicazioni):
RITRATTO DI SOCRATE
" aspetto fisico
(ne abbiamo evidenza dal confronto con i sileni ed i
satiri, esseri di natura ibrida, umana ed animalesca)
"
abbigliamento
grosso ventre, labbra tumide, naso camuso ed occhi
sporgenti
.......................................................................................
.......................................................................................
carattere
(per definirne gli aspetti, ricorri ad aggettivi)
"
"
eloquio
Platone
GUIDA ALL'ANALISI
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
.......................................................................................
STILE E RETORICA
4. Evidenzia le caratteristiche dei discorsi di Socrate, quali emergono dal testo.
Perche vengono assimilati ai Sileni che si aprono?
5. Evidenzia i punti di contatto fra l'aspetto fisico di Socrate e quello di Eros (nel discorso di Socrate, p. 599).
Spiega poi il motivo di questa coincidenza certamente non casuale.
.....................................................................................................................................................................................
6. Dopo aver letto i testi tratti dal Simposio e le pagine di Reale (pp. 640 ss.) puoi riconoscere la ``cornice'' in cui il
dialogo eÁ collocato e la sovrapposizione di piani cronologici e di livelli narrativi e drammatici che la sua
struttura presenta. Evidenzia tutto questo in un elaborato di 30 righe, spiegandone la funzione e l'importanza ai
fini della trasmissione del pensiero.
.....................................................................................................................................................................................
611
Fedone
12 Introduzione al dialogo
(59d-63b)
Il Fedone ha un'importanza particolare nell'opera di Platone, sia per la testimonianza che l'autore vi ha reso alla
memoria di Socrate, sia per le dottrine specificatamente platoniche che vi sono esposte in modo organico.
Argomento del dialogo eÁ la morte di Socrate. Prima di bere la cicuta, il filosofo si intrattiene a lungo con alcuni dei
suoi discepoli piuÁ devoti, tra cui Critone, Fedone, Apollodoro e due pitagorici di Tebe, Simmia e Cebete, e discute
con loro di un tema che aveva giaÁ affrontato in molte occasioni, ma che in quel momento si imponeva con
urgenza alla sua come alla loro attenzione: la sopravvivenza delle anime dopo la morte.
All'inizio del dialogo, Fedone incontra Echecrate, che gli chiede se era stato presente alla morte di Socrate,
e se ricorda quali discorsi questi aveva tenuto con gli amici. Fedone risponde volentieri.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
59.d. CercheroÁ di raccontarti ogni cosa da principio.
Sempre, anche nei giorni prima, io e gli altri eravamo soliti far visita a Socrate. Ci
radunavamo di buon'ora nel tribunale in cui si svolse il processo, perche si trovava nei
pressi del carcere. Restavamo lõÁ, ogni volta, fino a quando il carcere non fosse aperto,
discorrendo fra noi; infatti, non si apriva di buon'ora. Poi, appena aperto, entravamo
da Socrate, e trascorrevamo con lui, per lo piuÁ, la maggior parte della giornata.
Ebbene, anche quel giorno ci radunammo, ma ancora piuÁ presto, perche la
sera prima, 59.e. quando uscimmo dal carcere, sentimmo dire che era giunta la
nave da Delo1. Ci demmo parola di incontrarci la mattina dopo al solito posto, il
piuÁ presto possibile.
E ci trovammo.
Il portinaio che era solito aprirci, ci venne incontro e ci disse di attendere e di
non entrare prima che egli ce ne desse il permesso, e soggiunse: «Gli Undici ora
sciolgono Socrate2 e gli danno l'annuncio che oggi egli deve morire».
Dopo poco ritornoÁ e ci invitoÁ a entrare.
Entrammo, dunque, 60.a. e trovammo Socrate da poco slegato e Santippe3 -tu la conosci -- col loro figlio piccolo4 in braccio, seduta accanto a lui.
Non appena ci vide, Santippe incomincioÁ a lamentarsi e a dire quelle cose che
le donne sono solite dire: «O Socrate, questa eÁ l'ultima volta che i tuoi amici
parleranno con te e tu parlerai con loro!». E Socrate, rivolto lo sguardo a Critone,
disse: «O Critone, qualcuno la porti a casa!».
E alcuni del seguito5 di Critone la portarono a casa, mentre ella gridava 60.b. e
si batteva il petto.
E Socrate, ponendosi a sedere sopra il letto, ripiegoÁ la gamba e la sfregoÁ con la
mano, e mentre la sfregava, disse: «Quanto eÁ mai strano questo che gli uomini
chiamano piacere e in quale straordinaria maniera si comporta verso quello che
1. Delo: in ricordo dell'impresa che
vide vincitore Teseo contro il Minotauro, gli Ateniesi inviavano tutti gli anni
una nave a Delo, ad offrire un sacrificio
di ringraziamento ad Apollo e, fino al
momento del ritorno della sacra ambasceria, non era lecito eseguire condanne
a morte. La partenza della nave era
avvenuta il giorno stesso della condanna di Socrate, e per questo l'esecuzione
era stata rinviata. La notizia del ritorno
612
della nave appresa la sera prima significava che la morte di Socrate era ormai
imminente.
2. sciolgono Socrate: i carcerati portavano una catena al piede e, prima
dell'esecuzione, i magistrati che sovraintendevano alle carceri, appunto
gli Undici qui nominati, li liberavano
e davano le disposizioni necessarie per
procedere all'esecuzione stessa.
3. Santippe: la moglie di Socrate.
4. piccolo: cioeÁ MeneÁsseno, il piuÁ piccolo dei tre figli di Socrate. Gli altri due
si chiamavano LaÁmprocle e Sofronisco.
5. del seguito: una persona di condizione sociale elevata andava in giro accompagnata da alcuni schiavi, che in
questo caso avranno aspettato fuori gli
ordini del padrone.
Fedone
testi
6. Esopo: scrittore di favole di origine
tracia, vissuto intorno al VI secolo a.C.
Platone
pare il suo contrario, il dolore! Essi non vogliono mai stare insieme ambedue
nell'uomo; ma, se qualcuno insegue e prende uno dei due, eÁ pressoche costretto a
prendere sempre anche l'altro, quasi che essi, pur essendo due, pendessero da un
unico capo. 60.c. E credo che, se Esopo6 ci avesse pensato, ne avrebbe tratta una
favola: cioeÁ che il dio, volendo pacificare questi due che si fanno la guerra, dal
momento che non poteva, legoÁ i loro estremi ad un medesimo capo: e, cosõÁ, dove
compare l'uno, subito dopo segue anche l'altro. E questo appunto pare che sia
capitato anche a me: mentre, prima, qui nella gamba c'era il dolore prodotto dalla
catena, ora ecco che a quello vien dietro il piacere».
Allora prese la parola Cebete e disse: «Per Zeus! Hai fatto bene a ricordarmelo, o Socrate. Infatti a proposito 60.d. delle poesie che hai composto mettendo in
versi le favole di Esopo e l'inno di Apollo, alcuni, e in particolare Eveno7 l'altro
ieri, mi hanno domandato con quale intenzione ti fossi messo a fare queste cose,
da quando sei venuto qua, mentre non le avevi mai fatte prima. Se ti sta a cuore
che io abbia di che rispondere a Eveno, quando egli mi domanderaÁ di nuovo -- e
so bene che me lo domanderaÁ --, ebbene, dimmi che cosa debbo rispondere».
O Cebete -- disse --, devi rispondere la veritaÁ, e cioeÁ che io ho composto queste
poesie non con l'intenzione di gareggiare con lui e con i suoi carmi, 60.e. percheÂ
sapevo bene che questo non era facile; ma le ho composte per mettere a prova
certi sogni e intendere che cosa volessero dire, e per liberarmi da uno scrupolo, se
mai fosse stata proprio questa la musica che essi spesso mi comandavano di fare.
Infatti, nella mia vita passata, mi capitoÁ, spesso, di sognare il medesimo sogno,
ora sotto una forma ora sotto un'altra, che mi ripeteva sempre la medesima cosa:
``Socrate, componi e pratica musica!'' E io, per il passato, ritenni che il sogno mi
stimolasse e mi spronasse a fare quello che giaÁ stavo facendo. 61.a. E come coloro
che incoraggiano quelli che corrono, cosõÁ io credevo che il sogno mi volesse
incoraggiare a fare quello che facevo, cioeÁ a fare quella musica che giaÁ facevo,
in quanto la filosofia eÁ la musica piuÁ grande.
Ma, dopo che il processo ha avuto luogo e la festa del dio ha differito la mia
morte, mi parve opportuno, nel caso che il sogno mi comandasse di fare proprio
questa musica nel senso comune del termine, di non disubbidirgli e di farla,
perche era piuÁ sicuro non andarmene prima di essermi liberato dallo scrupolo,
61.b. facendo poesie e ubbidendo a quel sogno.
E, cosõÁ, per prima cosa, composi un carme al dio di cui ricorreva la festa. E,
dopo aver composto quel carme al dio, pensando che un poeta, se vuole essere
veramente poeta, debba comporre miti e non discorsi, e, d'altra parte, non essendo
io un creatore di miti, per questo misi in versi i racconti di Esopo, che avevo a
portata di mano e sapevo a memoria, nell'ordine in cui mi capitavano in mente.
«Questo, o Cebete, devi riferire a Eveno; e anche che io gli do il mio addio e
che, se eÁ saggio, mi deve seguire al piuÁ presto. 61.c. Io, come pare, me ne vado
oggi stesso, perche cosõÁ gli Ateniesi comandano».
E Simmia: «Che invito eÁ mai questo che mandi a Eveno, o Socrate? Mi eÁ
capitato di trovarmi con lui parecchie volte, ma, per la veritaÁ, dall'impressione che
ho avuto, non mi sembra che abbia alcuna intenzione di ubbidirti».
«Ma come? Non eÁ un filosofo Eveno?», disse.
A me pare proprio di sõÁ», rispose Simmia.
7. Eveno: Eveno di Paro (V sec. a.C.)
fu sofista e poeta.
613
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
«Allora vorraÁ seguirmi non solo Eveno, ma anche chiunque altro pratichi la
filosofia come si deve; peroÁ non dovraÁ fare violenza a se medesimo, perche dicono
che questo non sia lecito». E, mentre diceva queste cose, posoÁ 61.d. le gambe a
terra, e, stando cosõÁ seduto, continuoÁ tutto il resto del suo ragionamento.
Allora Cebete gli domandoÁ: «Come puoi sostenere, o Socrate, che non eÁ lecito
fare violenza contro se stessi, e che, d'altro canto, il filosofo dovrebbe aver voglia
di seguire chi muore?».
«Ma come, o Cebete? Tu e Simmia, quando siete stati con Filolao8, non avete
sentito parlare di queste cose?».
«Certamente, ma nulla di chiaro, o Socrate».
«Ma anch'io ne parlo per sentito dire. Tuttavia, niente mi impedisce di dirvi quello
che mi eÁ accaduto di sentire. E, del resto, 61.e. eÁ la cosa piuÁ conveniente di tutte, per
chi eÁ sul punto di intraprendere il viaggio verso l'altro mondo, indagare con la ragione
e discorrere con miti su questo viaggio verso l'altro mondo e dire come crediamo che
sia. Se no, che altro si potrebbe fare in tutto questo tempo fino al tramonto del sole?»
«E percheÂ, allora, dicono che non eÁ lecito uccidere se stessi, o Socrate? Che
non si debba fare questo, come tu ora dicevi, l'ho giaÁ sentito anche da Filolao,
quando egli era con noi, e anche da alcuni altri. Ma qualcosa di chiaro su questo
non l'ho sentito mai da nessuno».
62.a. «Allora -- disse --, devi rassicurarti! Presto la potrai udire. A te, forse, faraÁ
meraviglia che solo questo caso, fra tutti gli altri, non ammetta eccezioni, e che non
accada mai che, per l'uomo, cosõÁ come avviene per le altre cose, si possano eccettuare casi o persone per cui sia meglio morire che vivere. E, forse, ti faraÁ meraviglia
che anche per costoro, per i quali eÁ meglio morire, non sia cosa santa fare a se stessi
questo beneficio e che, invece, debbano stare ad aspettare un altro benefattore!».
E Cebete, nel suo dialetto, ridendo tranquillamente, disse: «Ci capisca Zeus!».
62.b. E Socrate: «Certo, detta cosõÁ, la cosa pare non ragionevole; eppure una sua
ragione, forse, ce l'ha. Quello che viene espresso a questo proposito nei misteri9, che
noi uomini siamo come chiusi in una custodia, e che, percioÁ, non dobbiamo liberarcene e fuggire, mi sembra un profondo pensiero non facile da penetrare. Ma questo
almeno, o Cebete, mi pare che sia ben detto: che sono gli deÁi quelli che si prendono
cura di noi, e che noi siamo un possesso degli deÁi. O non ti pare che sia cosõÁ?».
«A me sõÁ», rispose Cebete.
62.c. «Allora anche tu -- disse Socrate --, se mai qualcuno che fosse tuo possesso
uccidesse se stesso, senza che tu gli avessi dato alcun segno di volere la sua morte, non ti
infurieresti contro di lui, e, se potessi infliggergli qualche punizione, non lo puniresti?».
«Certo», rispose.
«Allo stesso modo, dunque, non eÁ cosa irragionevole che nessuno debba
uccidere se stesso prima che il dio non gli mandi un necessario comando, come
ha fatto ora con noi».
«Questo mi pare naturale -- disse Cebete --. Ma quello che poco fa affermavi,
cioeÁ che i filosofi dovrebbero volere di buon animo 62.d. la morte, a me pare
insensato, o Socrate, se quello che dicevamo prima era sensato, vale a dire che il
dio eÁ colui che ha cura di noi e che noi siamo suo possesso. Infatti, che gli uomini
8. Filolao: filosofo pitagorico, attivo a
Tebe intorno alla metaÁ del V secolo.
Fra i suoi allievi, come apprendiamo
da qui, ci furono anche Simmia e Cebete.
614
9. misteri: eÁ possibile che qui si alluda
ai misteri orfici.
Platone
Fedone
piuÁ saggi non si rammarichino di uscire da questo servizio in cui sono tutelati dai
migliori tutori che esistano, quali sono appunto gli deÁi, eÁ cosa che non ha senso.
Ne si puoÁ credere che uno sia convinto di provvedere a se stesso con maggiore
vantaggio, una volta liberatosi da quel servizio. Un folle potrebbe credere questo e
pensare che si deve fuggire 62.e. dal padrone; e solo un folle non penserebbe che
non si deve fuggire dal padrone buono, ma che, anzi, conviene rimanere con lui, e
che, fuggendo, si commetterebbe una follia. Invece chi eÁ saggio desidera stare
sempre accanto a chi eÁ migliore di lui. Ma, se si ragiona cosõÁ, risulta naturale
esattamente il contrario, o Socrate, di quello che prima si diceva, ossia che ai saggi
conviene rammaricarsi della morte, agli stolti rallegrarsene».
Socrate, udito questo, mi parve compiacersi di 63.a. quella vivace argomentazione di Cebete, e, rivolgendo verso di noi lo sguardo, disse: «Cebete tira sempre
fuori ragionamenti nuovi e non si lascia mai convincere immediatamente da
quello che uno gli dice».
E Simmia: «Ma questa volta, o Socrate, sembra anche a me che Cebete abbia
qualche ragione: perche mai uomini veramente sapienti si sottrarrebbero a padroni
migliori di loro e se ne andrebbero lontano da essi cosõÁ facilmente? E mi sembra che
Cebete rivolga il suo ragionamento proprio a te, che sopporti cosõÁ a cuor leggero di
abbandonare sia noi, sia quei buoni governanti, che sono, come tu dici, gli deÁi!».
E Socrate rispose: «Dite cose giuste! Credo, infatti, 63.b. che voi vogliate dire
che io, di fronte a queste obiezioni, mi debbo difendere come se fossi in tribunale».
«Proprio cosõÁ», disse Simmia.
(Trad. G. Reale)
testi
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Luogo
"
Dove si colloca la scena del dialogo narrato?
................................................................................................................................................................................
2. Tempo
"
Quando si svolge il dialogo narrato?
................................................................................................................................................................................
3. Il viaggio della nave di Delo lega, in una sorta di trilogia, Apologia, Critone, Fedone. PercheÂ?
.....................................................................................................................................................................................
4. Personaggi
Desumi, dal testo che ti proponiamo in traduzione, le informazioni relative ai personaggi indicati in tabella:
Fedone
...........................................................................................................................................................
Portinaio
...........................................................................................................................................................
Santippe
...........................................................................................................................................................
Critone
...........................................................................................................................................................
Cebete
...........................................................................................................................................................
Eveno
...........................................................................................................................................................
Simmia
...........................................................................................................................................................
5. Che cosa significa per Platone l'espressione «la filosofia eÁ la musica piuÁ grande» (61a)?
6. Qual eÁ il messaggio di Socrate? Cosa desidera massimamente il filosofo?
7. Qual eÁ il contenuto dell'obiezione di Cebete? Motiva la tua risposta in un elaborato di max 5 righe.
8. Proponi in un elaborato di max 10 righe le argomentazioni usate da Socrate contro il suicidio.
615
13 La morte
(115b-118a)
Dopo aver proposto tre prove dell'immortalitaÁ dell'anima (rispettivamente in 69e-77d, in 78b-80b e in
95a-107b), Socrate introduce un secondo mito escatologico relativo al destino delle anime dopo la morte
che si accompagna ad alcune considerazioni di tipo etico (107c-115a). La sua conclusione eÁ che certo
non si puoÁ essere sicuri che tutto sia proprio come lui ha ipotizzato, ma dato che l'anima eÁ immortale e che
siamo convinti che gli deÁi si prenderanno cura dei buoni, qualcosa di buono dopo la morte si puoÁ sperare.
Per questo, Socrate crede che non debba aver paura del trapasso chi in vita ha saputo rinunciare ai piaceri
del corpo e ha coltivato esclusivamente la propria anima nella pratica della virtuÁ e aggiunge di essere
pronto per il suo viaggio. Va cosõÁ a lavarsi per non dare alle donne il fastidio di pulire il cadavere.
115.b. Tay&ta dh+ ei$ po*ntoQ ay$toy& o< Kri* tvn, ``Ei#en'', e> fh, ``v# Sv*krateQ " ti* de+
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
toy*toiQ h/ e$ moi+ e$ piste* lleiQ h/ peri+ tv&n pai* dvn h/ peri+ a>lloy toy, o%ti a>n soi
poioy&nteQ h<mei& Q e$ n xa*riti ma*lista poioi& men;''
`` %Aper a$ei+ le* gv'', e> fh, ``v# Kri* tvn, oy$de+ n kaino*teron " o%ti y<mv&n ay$tv&n e$ pimeloy*menoi y<mei& Q kai+ e$ moi+ kai+ toi& Q e$ moi& Q kai+ y<mi& n ay$toi& Q e$ n xa*riti poih*sete a%tt\ a/n
poih&te, ka/n mh+ ny&n o<mologh*shte " e$ a+n de+ y<mv&n me+ n ay$tv&n a$melh&te kai+ mh+ $ ue* lhte
v%sper kat\ i> xnh kata+ ta+ ny&n te ei$ rhme* na kai+ ta+ e$ n t{& e> mprosuen xro*n{ zh&n, oy$de+
115.c. e$ a+n polla+ o<mologh*shte e$ n t{& paro*nti kai+ sfo*dra, oy$de+n ple* on poih*sete''.
``Tay&ta me+n toi* nyn prouymhso*meua'', e> fh, ``oy%tv poiei& n " ua*ptvmen de* se ti* na
tro*pon;''
`` % OpvQ a>n'', e> fh, ``boy*lhsue, e$ a*nper ge la*bhte* me kai+ mh+ e$ kfy*gv y<ma&Q''. Gela*saQ de+ a%ma h<syx|& kai+ pro+Q h<ma&Q a$poble* caQ ei#pen " ``Oy$ pei* uv, v# a>ndreQ,
Kri* tvna, v<Q e$ gv* ei$ mi oy}toQ Svkra*thQ, o< nyni+ dialego*menoQ kai+ diata*ttvn e% kaston tv&n legome* nvn, a$ll\ oi> etai* me e$ kei& non ei#nai o=n o>cetai o$li* gon y%steron
115.d. nekro*n, kai+ e$ rvt@& dh+ pv&Q me ua*pt|. o%ti de+ e$ gv+ pa*lai poly+n lo*gon pe115.b-c. tay&ta ... ay$toy&, si riferisce a
quanto Socrate ha appena detto riguardo al fatto che eÁ pronto per il viaggio ed ha intenzione di andare a lavarsi. _ ti* ... e$piste*lleiQ ..., ``che disposizioni vuoi dare ... ?''. Critone si informa premurosamente sulle intenzioni di
Socrate e sugli incarichi che desidera
dare a lui e agli amici presenti nei confronti dei figli, delle altre persone che
gli sono care, e per il suo funerale. A
questo allude con il neutro generico
peri+ a>lloy toy (toy eÁ pronome indefinito). _ o%ti a>n ... poioi& men, relativa a cui
a>n 1 ott. daÁ valore potenziale. _ a%per
a$ei+ le*gv, ``cioÁ che sempre vi dico''.
Socrate fa finta di non aver capito a
cosa alluda Critone con peri+ a>lloy
toy e risponde ricordando gli insegnamenti morali su cui ha sempre (a$ei* )
insistito, piuÁ importanti di ogni altra
questione. A questo punto Critone eÁ
costretto a formulare la domanda in
modo meno elusivo (ua*ptvmen de* se
ti* na tro*pon). ± y<mv&n ... e$pimeloy*menoi:
part. cong. con valore condizionale, ``se
vi prenderete cura'', protasi di periodo ipotetico dell'eventualitaÁ, la cui apodosi eÁ poih*sete; il ``prendersi cura di se
stessi'', nella terminologia corrente di So-
616
crate e della sua scuola, ha un significato
preciso, che si puoÁ esprimere come il
precetto di praticare la virtuÁ intellettuale
e morale; ha come antonimo? il ``trascurare se stessi'' (e$ a+n de+ ... a$melh&te). ± toi& Q
e$moi& Q eÁ un neutro che comprende, genericamente, tutto cioÁ che riguarda Socrate, dai suoi familiari al suo patrimonio
alla sua memoria. _ v%sper, ``per cosõÁ
dire'', attenua la metafora? venatoria
rappresentata da kat\ i> xnh, ``sulle orme''.
± oy$de+ e$a+n ... poih*sete: non eÁ con le
promesse inutili, rivolte ad una persona
in punto di morte, che si puoÁ progredire
sul piano morale.
115.c. e$a*nper ... y<ma&Q, ``nel caso mi
prendiate e non vi scappi''. Critone,
che insiste a chiedere istruzioni per la
sepoltura di Socrate, non ha ancora
compreso la differenza tra ``questo''
Socrate (oy}toQ eÁ il deittico? riferito a
cosa o persona vicino a chi parla), che si
trova in mezzo agli amici e che sta per
morire bevendo la cicuta, e ``quello''
(e$ kei& noQ, riferito a cosa o persona lontana da chi parla e da chi ascolta), che
dopo la morte sfuggiraÁ ad ogni prigione
terrena, al carcere in cui eÁ rinchiuso e
nello stesso tempo al corpo, prigione
dell'anima. ± pv&Q me ua*pt|: interrogativa indiretta con il congiuntivo di tipo
dubitativo.
115.d. o%ti ... pepoi* hmai, sostantiva dichiarativa con funzione esplicativa di
tay&ta che segue; tay&ta* moi dokv& ay$t{&
a>llvQ le* gein, ``queste mi sembrano
per lui chiacchiere senza senso''; da
poly+n lo*gon dipendono poi le due dichiarative v<Q paramenv&, a$ll$ oi$ xh*somai, ``non resteroÁ, ma me ne androÁ''.
± to+ fa*rmakon eÁ vox media? che puoÁ
indicare un rimedio per la salute o un
veleno, a seconda del contesto. Socrate
berraÁ la cicuta e moriraÁ avvelenato,
ma con le sue ultime parole pregheraÁ
gli amici di offrire per lui un gallo ad
Asclepio. Il veleno che uccideraÁ il suo
corpo saraÁ cosõÁ una medicina per la sua
anima. _ ei$ Q maka*rvn ... ey$daimoni* aQ,
``verso le felicitaÁ dei beati'': Socrate nei
capitoli precedenti aveva detto che le
anime dei giusti, e in particolare di
coloro che si sono dedicati alla filosofia, sono destinate ad una dimora di
beatitudine eterna. La particella asseverativa dh* sottolinea la convinzione
che questo luogo esiste veramente ed
eÁ cosa nota, mentre il pronome inde-
115.e. oi$ xh*sesuai a$pio*nta riprende
la ridondanza oi$ xh*somai a$piv*n. ± v<Q
deina+ pa*sxontoQ, ``come se io subissi
un torto atroce'': participio congiunto
con valore comparativo ipotetico. ± e$n
t|& taf|&, ``durante il funerale''. ± proti* uetai ... e$kfe*rei ... katory*ttei, esprimono i tre momenti della cerimonia
funebre.
Tale cerimonia prevede
116.a. a$ni* stato ei$ Q oi> khma* ti, ``si levoÁ (per andare) in una stanzetta''. ± v<Q
loyso*menoQ, ``per lavarsi'': finale implicita con il participio futuro. ± kai+ o$
Kri* tvn ... ay$t{&: l'espressione eÁ parentetica, perche il successivo e$ ke* leye ha
ancora per soggetto Socrate.
Il vecchio Critone eÁ l'amico piuÁ intimo di
Socrate: eÁ suo coetaneo e nativo dello
testi
l'esposizione del defunto, perche riceva
l'estremo omaggio da parte di parenti
ed amici (proti* uesiQ), il suo trasporto
(e$ kfora*) e la cremazione o la sepoltura¨. Critone, insomma, non deve pensare di rendere le onoranze funebri a
questo Socrate che parla, ma a quello
che rimarraÁ, al semplice corpo. ± ey#
ga+r i> sui, ``sappi bene'', con tono di
comprensione affettuosa nei confronti
del buon Critone. _ h# d\ o%Q ``diceva
quello'', imperf. 3a s. di h$mi* , ``dire''.
_
ei$ Q ay$to+ ... plhmmele*Q, ``eÁ di per seÂ
sconveniente'': analogamente all'italiano ``stonato'', l'aggettivo viene da plh*n
1 me* loQ, ``contro il tono o il metro'', e
per estensione ``difettoso'', ``inopportuno''. ± kako*n ti ... cyxai& Q, ``produce
anche qualche danno alle anime''. Il
danno consiste nel fatto che esse perdono l'abitudine al ragionamento.
Fedone
finito tinaQ aggiunge all'espressione un
tono di mistero e di indeterminatezza.
_
th+n e$nanti* an ... h$ggya&to, ``la garanzia opposta a quella che questi ha fatto
davanti ai giudici'': eÁ probabile che si
riferisca alla garanzia che Critone aveva dato per Socrate quando, dopo la
condanna a morte, aveva chiesto per
lui la libertaÁ provvisoria fino al ritorno
della nave da Delo, impegnandosi a
versare una certa somma di denaro se
Socrate non si fosse presentato al supplizio in quel momento. L'offerta, peraltro, non fu accettata e Socrate fu
subito incarcerato. La garanzia opposta a quella eÁ che Socrate non resteraÁ
dopo la condanna a morte, ma se ne
andraÁ via libero. ± oy}toQ ... paramenei& n:
sott. e$ m\ h$ggya&to. _ h# mh*n eÁ una formula asseverativa (``senza dubbio'') propria dei giuramenti.
Platone
poi* hmai, v<Q, e$peida+n pi* v to+ fa*rmakon, oy$ke* ti y<mi& n paramenv&, a$ll\ oi$ xh*somai
a$piv+n ei$ Q maka*rvn dh* tinaQ ey$daimoni* aQ, tay&ta* moi dokv& ay$t{& a>llvQ le* gein,
paramyuoy*menoQ a%ma me+ n y<ma&Q, a%ma d\ e$ mayto*n. e$ ggyh*sasue oy#n me pro+Q
Kri* tvna'', e> fh, ``th+n e$ nanti* an e$ ggy*hn h/ h=n oy}toQ pro+Q toy+Q dikasta+Q h$ggya&to.
oy}toQ me+n ga+r h# mh+n paramenei& n " y<mei& Q de+ h# mh+n mh+ paramenei& n e$ ggyh*sasue
115.e. e$ peida+n a$poua*nv, a$lla+ oi$ xh*sesuai a$pio*nta, i% na Kri* tvn r<@&on fe*r|, kai+ mh+
o<rv&n moy to+ sv&ma h/ kao*menon h/ katorytto*menon a$ganakt|& y<pe+ r e$ moy& v<Q deina+
pa*sxontoQ, mhde+ le* g| e$ n t|& taf|& v<Q h/ proti* uetai Svkra*th h/ e$ kfe* rei h/ katory*ttei. ey# ga+r i> sui'', h# d\ o%Q, ``v# a>riste Kri* tvn, to+ mh+ kalv&Q le* gein oy$ mo*non ei$ Q
ay$to+ toy&to plhmmele* Q, a$lla+ kai+ kako*n ti e$ mpoiei& tai& Q cyxai& Q. a$lla+ uarrei& n te xrh+
kai+ fa*nai toy$mo+n sv&ma ua*ptein, kai+ ua*ptein oy%tvQ o%pvQ a>n soi fi* lon |# kai+
ma*lista h<g|& no*mimon ei#nai''.
116.a. Tay&t\ ei$pv+n e$kei& noQ me+ n a$ni* stato ei$Q oi> khma* ti v<Q loyso*menoQ, kai+ o<
Kri* tvn ei% peto ay$t{&, h<ma&Q d\ e$ ke* leye perime*nein. perieme* nomen oy#n pro+Q h<ma&Q
ay$toy+Q dialego*menoi peri+ tv&n ei$ rhme* nvn kai+ a$naskopoy&nteQ, tote+ d\ ay# peri+ th&Q
symfora&Q diejio*nteQ o%sh h<mi& n gegonyi& a ei> h, a$texnv&Q h<goy*menoi v%sper patro+Q
sterhue*nteQ dia*jein o$rfanoi+ to+n e> peita bi* on. e$ peidh+ de+ e$ loy*sato 116.b. kai+
h$ne*xuh par\ ay$to+n ta+ paidi* a ± dy*o ga+r ay$t{& yi< ei& Q smikroi+ h#san, ei}Q de+ me* gaQ ± kai+
ai< oi$ kei& ai gynai& keQ a$fi* konto e$ kei& nai, e$ nanti* on toy& Kri* tvnoQ dialexuei* Q te kai+
e$ pistei* laQ a%tta e$ boy*leto, ta+Q me+ n gynai& kaQ kai+ ta+ paidi* a a$pie* nai e$ke* leysen, ay$to+Q
de+ h}ke par\ h<ma&Q. kai+ h#n h>dh e$ ggy+Q h<li* oy dysmv&n " xro*non ga+r poly+n die* tricen
e> ndon. e$luv+n d\ e$ kaue* zeto leloyme*noQ kai+ oy$ polla+ a>tta meta+ tay&ta diele* xuh, kai+
stesso demo. In questi momenti non lo
lascia nemmeno per un attimo, assistendolo anche nei servizi piuÁ umili¨.
_
symfora&Q: il termine eÁ vox media?,
e indica ``cioÁ che la sorte porta con seÂ
(sym-fe* rv)''; in base al contesto puoÁ assumere una connotazione neutra (``circostanza'') oppure negativa (``sventura''). _ diejio*nteQ, part. cong. da diejei*mi, ``esaminando''. _ o%sh ... ei> h: interrogativa indiretta con l'ott. obliquo
di una formazione perifrastica con
part. perf. di gi* gnomai 1 ott. di ei$ mi* .
_
a$texnv&Q, ``davvero'', rafforza o$rfanoi* : gli amici di Socrate sentivano
davvero che stavano per rimanere come orfani nel momento in cui lo
avrebbero perduto.
116.b. h$ne*xuh par$ ay$to*n, ``gli furono
portati'', perche lo salutassero per l'ultima volta. ± dy*o ga+r ... h#san, ``ne aveva due piccoli'': ay$t{& eÁ dat. del possessore. I tre figli di Socrate sono giaÁ stati
ricordati in 60 a. ± e$kei& nai: le donne
della famiglia di Socrate erano ben note ai suoi discepoli, come ad Echecrate
che ascolta il racconto. ± e$ggy+Q ...
dysmv&n: si avvicina il momento della
morte, perche le esecuzioni capitali si
compivano dopo il tramonto. ± e>ndon,
617
h}ken o< tv&n e% ndeka y<phre* thQ kai+ sta+Q par\ ay$to*n, 116.c. `` # V Sv*krateQ'', e> fh, ``oy$
katagnv*somai* ge soy& o%per a>llvn katagignv*skv, o%ti moi xalepai* noysi kai+ katarv&ntai e$ peida+n ay$toi& Q paraggei* lv pi* nein to+ fa*rmakon a$nagkazo*ntvn tv&n
a$rxo*ntvn. se+ de+ e$ gv+ kai+ a>llvQ e> gnvka e$ n toy*t{ t{& xro*n{ gennaio*taton kai+
pr@o*taton kai+ a>riston a>ndra o>nta tv&n pv*pote dey&ro a$fikome* nvn, kai+ dh+ kai+ ny&n
ey# oi#d\ o%ti oy$k e$ moi+ xalepai* neiQ, gignv*skeiQ ga+r toy+Q ai$ ti* oyQ, a$lla+ e$ kei* noiQ. ny&n
oy#n, oi#sua ga+r a= h#luon a$gge* llvn, xai& re* te kai+ peirv& v<Q r<@&sta fe* rein ta+
116.d. a$nagkai& a''. Kai+ a%ma dakry*saQ metastrefo*menoQ a$p|*ei.
Kai+ o< Svkra*thQ a$nable*caQ pro+Q ay$to*n, ``Kai+ sy*'', e> fh, ``xai& re, kai+ h<mei& Q tay&ta
poih*somen''. Kai+ a%ma pro+Q h<ma&Q, `` < VQ a$stei& oQ'', e> fh, ``o< a>nurvpoQ " kai+ para+
pa*nta moi to+n xro*non pros|*ei kai+ diele* geto e$ ni* ote kai+ h#n a$ndrv&n l{&stoQ, kai+
ny&n v<Q gennai* vQ me a$podakry*ei. a$ll\ a>ge dh*, v# Kri* tvn, peiuv*meua ay$t{&, kai+
e$negka*tv tiQ to+ fa*rmakon, ei$ te*triptai " ei$ de+ mh*, trica*tv o< a>nurvpoQ''.
116.e. Kai+ o< Kri* tvn, `` $All\ oi#mai'', e> fh, ``e> gvge, v# Sv*krateQ, e> ti h%lion ei#nai e$ pi+
toi& Q o>resin kai+ oy>pv dedyke*nai. kai+ a%ma e$ gv+ oi#da kai+ a>lloyQ pa*ny o$ce+ pi* nontaQ,
e$ peida+n paraggelu|& ay$toi& Q, deipnh*santa*Q te kai+ pio*ntaQ ey# ma*la, kai+ syggenome* noyQ g\ e$ ni* oyQ v}n a/n ty*xvsin e$ piuymoy&nteQ. a$lla+ mhde+n e$ pei* goy " e> ti ga+r e$ gxvrei& ''.
Kai+ o< Svkra*thQ, ``Ei$ ko*tvQ ge'', e> fh, ``v# Kri* tvn, e$ kei& noi* te tay&ta poioy&sin, oy=Q
sy+ le*geiQ ± oi> ontai ga+r kerdai* nein tay&ta poih*santeQ ± kai+ e> gvge tay&ta ei$ ko*tvQ oy$
poih*sv " oy$de+ n ga+r oi#mai kerdanei& n o$li* gon y%steron piv+n a>llo ge h/ ge* lvta
117.a. o$flh*sein par\ e$ mayt{&, glixo*menoQ toy& zh&n kai+ feido*menoQ oy$deno+Q e> ti
e$ no*ntoQ. a$ll\ i> ui'', e> fh, ``pei* uoy kai+ mh+ a>llvQ poi* ei''.
``dentro'', nella stanza vicina, in compagnia dei familiari. ± o< tv&n e%ndeka
y<phre*thQ: gli Undici erano i magistrati
che sovraintendevano alla polizia urbana, alle prigioni ed alle esecuzioni
capitali; erano uno per ognuna delle
dieci tribuÁ, piuÁ un segretario.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
116.c. oy$ katagnv*somai ... katagignv*skv, ``non avroÁ da lamentarmi
di te per cioÁ per cui mi lamento degli
altri'': il verbo katagignv*skv, con il
genitivo richiesto dal preverbio, eÁ propriamente un verbo giudiziario che significa ``pronunciare una sentenza di
condanna contro uno''; qui, in senso
traslato, sta per ``lamentarsi di uno''.
_
o%ti moi ... katarv&ntai (la proposizione introdotta da o%ti spiega o%per),
``per il fatto che si irritano e imprecano
contro di me'': a$ra*omai eÁ ``pregare'',
ma il suo composto kat-ara*omai vale
``pregare contro'' e quindi ``maledire''.
_
a$nagkazo*ntvn tv&n a$rxo*ntvn, ``per
ordine dei magistrati'', gen. assoluto causale: qui oi< a>rxonteQ non sono gli arconti,
ma genericamente ``i magistrati'', in particolare gli Undici. ± se+ ... e>gnvka ...
a>ndra o>nta: costruzione del participio
predicativo in dipendenza da gignv*skv.
± gignv*skeiQ ga+r toy+Q ai$ ti* oyQ: parentetica.
618
116.d. kai+ a%ma ... a$p|*ei, ``e nello stesso tempo, scoppiando in lacrime, si volse e se ne andoÁ'': dakry*saQ esprime
l'azione incipiente. La frequentazione
di Socrate ha intenerito anche il rozzo
carceriere. _ a$nable*caQ, ``levando lo
sguardo'', che aveva tenuto evidentemente abbassato mentre l'uomo parlava. La scena eÁ fatta anche di questi
piccoli ma precisi tocchi: il carceriere
che parla, si volta e scappa via, senza
aver l'animo di aspettare la risposta,
Socrate che leva lo sguardo e commenta con umanitaÁ le sue parole. _ a$stei& oQ,
``civile'', ``cortese'', da a>sty, ``cittaÁ'', come il lt. urbanus; ha come antonimo?
a$grei& oQ, ``rustico'', da a>groQ, lt. ager,
``campo'', ``campagna''. L'opposizione
nasce evidentemente dall'ideologia del
cittadino, che disprezza il contadino come rozzo ed ignorante. ± peiuv*meua
ay$t{&, ``diamogli ascolto'': congiuntivo
esortativo; il successivo e$ negka*tv eÁ invece imper. aor. I da fe* rv. ± te*triptai
eÁ pf. di tri* bv: il veleno era costituito da
semi di cicuta pestati in un mortaio.
116.e. a$ll$ oi# mai ... dedyke*nai, ``ma
credo, almeno io, Socrate, che ci sia
ancora sole sui monti e non sia ancora
tramontato''. Sulle pendici dell'Imetto,
ad oriente di Atene, il sole si sofferma
quando in cittaÁ si eÁ giaÁ fatto scuro: Critone vorrebbe in tutti i modi rimandare
il piuÁ possibile il momento del distacco
da Socrate, e ricorda come altri condannati si siano ancora soffermati fino
a tardi a mangiare, bere e a fare l'amore
con chi desideravano (syggenome*noyQ
(e$ kei* noiQ sott.) ... v}n a/n ty*xvsin e$ piuymoy&nteQ). Socrate non puoÁ non giudicare penoso questo attaccamento ai piaceri terreni, e lo ricorda con un leggero
tono di rimprovero per il buon Critone
che continua a non rendersi conto della
situazione. Il distacco tra Socrate e gli
altri eÁ marcato dal chiasmo ei$ ko*tvQ ...
e$ kei& noi ... e> gvge ... ei$ ko*tvQ. Per gli altri eÁ
forse ragionevole cercare di ritardare il
momento estremo, aggrappandosi ai
piaceri terreni, ma per Socrate eÁ ragionevole e naturale andarvi incontro con
serenitaÁ, sapendo a che cosa si deve
dare veramente valore.
117.a. feido*menoQ ... e$no*ntoQ, ``e risparmiando mentre non c'eÁ piuÁ nulla'',
eÁ un genitivo assoluto con valore avversativo: eÁ un detto proverbiale. ± t{& paidi* :
il servo che stava in piedi (e$ stv&ti, part.
perf. di i% sthmi) accanto a lui, in attesa
di un ordine; to+n me* llonta, part. sost.
``colui che doveva'' regge l'inf. futuro
dv*sein, nella frase successiva il participio
117.b. kai+ ... poih*sei, ``e cosõÁ esso agiraÁ da seÂ'': il verbo poie* v, nei trattati
medici, indica propriamente l'azione
di un medicinale. ± kai+ o%Q, ``e quello'':
si ricordi che o%Q eÁ un dimostrativo.
_
kai+ ma*la i% levQ, ``molto lietamente'':
il kai* ha qui, unito a ma*la, valore intensivo. ± v# $ Exe*krateQ: l'apostrofe? ci
riporta alla prima cornice, quella del
dialogo tra Fedone ed Echecrate, e ha
qui una funzione espressiva; il narratore interrompe il suo racconto come
vinto anch'egli dalla commozione della
scena che sta evocando. ± oy$de+ diafuei* raQ, ``senza la minima alterazione''. ± a$ll$ v%sper ... to+n a>nurvpon,
``ma, come era solito, guardando verso
l'uomo con il suo sguardo taurino''.
Questa eÁ l'ultima immagine di Socrate,
fissata nel ricordo di chi fu presente a
quel colloquio: l'uomo aveva occhi
grandi e sporgenti, quasi taurini, e so-
117.c. a= dh+ ... tay*t|, ``e questo io prego, e cosõÁ sia'': l'ottativo ge* noito ha qui il
suo valore proprio, di esprimere augurio.
Socrate formula ora la preghiera implicita nella precedente domanda al servo
degli Undici. ± e$pisxo*menoQ, ``trattenendo il fiato'', cioeÁ ``tutto d'un fiato'': spesso
il verbo e$ pe* xv, in unione a pi* nv, assume
questa accezione; e$ je* pien significa ``bevve fino in fondo'': il preverbio e$ j- ha qui
testi
Socrate si rivolge gentilmente al suo carnefice, chiedendogli istruzioni, e trova
ancora la voglia di scherzare chiamandolo e$ pisth*mvn, ``esperto'' di queste cose. ± pio*nta (part. congiunto con valore
temporale) periie*nai, ``dopo aver bevuto
camminare un po' intorno'': l'interrogato risponde con la sobrietaÁ del tecnico.
leva guardare di sotto in su, y<poble* caQ,
chinando un po' il capo, con un'espressione ironica e sottilmente maliziosa.
_
pv*matoQ: il termine pv&ma, nomen rei
actae? da pi* nv, ``bere'', indica la ``bevanda'' oppure la ``coppa'' da cui si
beve. ± pro+Q to+ a$pospei& sai* tini,
``quanto al fare libagione (inf. aor. di
a$pospe* ndv) per qualcuno'': nei conviti
le libagioni erano fatte di norma agli
deÁi, come offerta di ringraziamento e
di propiziazione. Socrate porta fino in
fondo il suo atteggiamento ironico, indice di estremo distacco nei confronti
di cioÁ che accade. L'interrogato ovviamente non coglie l'ironia, e risponde
con esattezza. Tuttavia la domanda di
Socrate nascondeva un significato piuÁ
profondo: per lui, in quel momento,
non era inopportuno un atto di preghiera e di ringraziamento. Questo risulteraÁ evidente dal paragrafo 117d.
_
manua*nv, ``capisco''.
Fedone
fe* ronta eÁ riferito a to+n me* llonta, mentre
il part. perf. tetrimmenon a to+ fa*rmakon.
± ei# en ... v# be*ltiste, ``su, mio caro'':
Platone
Kai+ o< Kri* tvn a$koy*saQ e> neyse t{& paidi+ plhsi* on e< stv&ti. kai+ o< pai& Q e$ jeluv+n kai+
syxno+n xro*non diatri* caQ h}ken a>gvn to+n me* llonta dv*sein to+ fa*rmakon, e$ n ky*liki fe* ronta tetrimme* non. i$ dv+n de+ o< Svkra*thQ to+n a>nurvpon, ``Ei#en'', e> fh, ``v#
be* ltiste, sy+ ga+r toy*tvn e$ pisth*mvn, ti* xrh+ poiei& n;''
``Oy$de+ n a>llo'', e> fh, ``h/ pio*nta periie*nai, e% vQ a>n soy ba*roQ e$ n toi& Q ske* lesi
117.b. ge* nhtai, e> peita katakei& suai " kai+ oy%tvQ ay$to+ poih*sei''. Kai+ a%ma v>reje th+n
ky*lika t{& Svkra*tei.
Kai+ o=Q labv+n kai+ ma*la i% levQ, v# $ Exe*krateQ, oy$de+ n tre* saQ oy$de+ diafuei* raQ oy>te
toy& xrv*matoQ oy>te toy& prosv*poy, a$ll\ v%sper ei$ v*uei tayrhdo+n y<poble* caQ pro+Q
to+n a>nurvpon, ``Ti* le* geiQ'', e> fh, ``peri+ toy&de toy& pv*matoQ pro+Q to+ a$pospei& sai*
tini; e> jestin h/ oy>;''
``Tosoy&ton'', e> fh, ``v# Sv*krateQ, tri* bomen o%son oi$ o*meua me* trion ei#nai piei& n''.
117.c. ``Manua*nv'', h# d\ o%Q " ``a$ll\ ey>xesuai* ge* poy toi& Q ueoi& Q e> jesti* te kai+ xrh*, th+n
metoi* khsin th+n e$ nue*nde e$ kei& se ey$tyxh& gene* suai " a= dh+ kai+ e$ gv+ ey>xomai* te kai+
ge* noito tay*t|''. Kai+ a%m\ ei$ pv+n tay&ta e$ pisxo*menoQ kai+ ma*la ey$xerv&Q kai+ ey$ko*lvQ
e$ je* pien. kai+ h<mv&n oi< polloi+ te* vQ me+ n e$ pieikv&Q oi}oi* te h#san kate*xein to+ mh+ dakry*ein, v<Q de+ ei> domen pi* nonta* te kai+ pepvko*ta, oy$ke* ti, a$ll\ e$ moy& ge bi* @ kai+ ay$toy&
a$stakti+ e$ xv*rei ta+ da*krya, v%ste e$ gkalyca*menoQ a$pe* klaon e$ mayto*n ± oy$ ga+r dh+
117.d. e$ kei& no*n ge, a$lla+ th+n e$ maytoy& ty*xhn, oi% oy a$ndro+Q e< tai* roy e$ sterhme*noQ
ei> hn. o< de+ Kri* tvn e> ti pro*teroQ e$ moy&, e$ peidh+ oy$x oi}o*Q t\ h#n kate*xein ta+ da*krya,
e$ jane* sth. $Apollo*dvroQ de+ kai+ e$ n t{& e> mprosuen xro*n{ oy$de+ n e$ pay*eto dakry*vn,
valore esaustivo. Socrate, anche in questo momento, non mostra alcuna esitazione, ma beve la cicuta tutta d'un fiato e
con estrema tranquillitaÁ (kai+ ma*la ey$xerv&Q kai+ ey$ko*lvQ). Fanno contrasto
con questa calma il turbamento e le lacrime degli amici presenti. ± kate*xein to+
mh+ dakry*ein, ``trattenersi dal piangere'',
continere se ne flerent, con la costruzione
dei verba impediendi. ± pi* nonta ... pepvko*ta: il poliptoto? giocato sui tempi diversi del verbo pi* nv rende la concitazione del racconto in questo momento di
alta emotivitaÁ, segnalata anche dalla
stretta connessione di te kai* , che indica
la rapida successione dei due attimi: gli
amici vedono Socrate che beve (il presente sottolinea l'aspetto progressivo dell'azione) e immediatamente dopo vedono che ha ormai bevuto (il perfetto sottolinea l'azione compiuta, di cui si attendono le conseguenze: il veleno assunto
porteraÁ ormai inevitabilmente la morte). ± a$stakti* eÁ un avverbio formato
da a$- privativo con la radice di sta*zv,
``gocciolare'': ``non a gocce'', quindi ``a
fiotti''.
117.d. oi% oy a$ndro+Q ... ei> hn, ``(pensando) di quale uomo ero privato'': in 116
a, Fedone aveva detto di se e degli altri
v%sper patro+Q sterhue* nteQ. ± e$pay*eto
dakry*vn: il verbo pay*omai, regge il
participio predicativo del soggetto.
619
kai+ dh+ kai+ to*te a$nabryxhsa*menoQ kla*vn kai+ a$ganaktv&n oy$de*na o%ntina oy$ kate* klase tv&n paro*ntvn plh*n ge ay$toy& Svkra*toyQ.
$ Ekei& noQ de* , ``Oi}a'', e> fh, ``poiei& te, v# uayma*sioi. e$ gv+ me* ntoi oy$x h%kista toy*toy
e% neka ta+Q gynai& kaQ a$pe*pemca, i% na mh+ toiay&ta plhmmeloi& en " 117.e. kai+ ga+r a$kh*koa
o%ti e$ n ey$fhmi* @ xrh+ teleyta&n. a$ll\ h<syxi* an te a>gete kai+ karterei& te''.
Kai+ h<mei& Q a$koy*santeQ |$sxy*nuhme*n te kai+ e$ pe* sxomen toy& dakry*ein. o< de+ perieluv*n, e$ peidh* oi< bary*nesuai e> fh ta+ ske* lh, katekli* nh y%ptioQ ± oy%tv ga+r e$ ke*leyen o< a>nurvpoQ ± kai+ a%ma e$ fapto*menoQ ay$toy& oy}toQ o< doy+Q to+ fa*rmakon,
dialipv+n xro*non e$ pesko*pei toy+Q po*daQ kai+ ta+ ske* lh, ka>peita sfo*dra pie* saQ
118.a. ay$toy& to+n po*da h>reto ei$ ai$ sua*noito, o< d\ oy$k e> fh. kai+ meta+ toy&to ay#uiQ ta+Q
knh*maQ " kai+ e$ paniv+n oy%tvQ h<mi& n e$ pedei* knyto o%ti cy*xoito* te kai+ ph*gnyto. kai+
ay$to+Q h%pteto kai+ ei#pen o%ti, e$ peida+n pro+Q t|& kardi* @ ge* nhtai ay$t{&, to*te oi$ xh*setai.
> Hdh oy#n sxedo*n ti ay$toy& h#n ta+ peri+ to+ h#tron cyxo*mena, kai+ e$kkalyca*menoQ
± e$ nekeka*lypto ga*r ± ei#pen ± o= dh+ teleytai& on e$ fue*gjato ± ``v# Kri* tvn'', e> fh, ``t{&
$Asklhpi{& o$fei* lomen a$lektryo*na " a$lla+ a$po*dote kai+ mh+ a$melh*shte''.
`` $Alla+ tay&ta'', e> fh, ``e> stai'', o< Kri* tvn " ``a$ll\ o%ra ei> ti a>llo le* geiQ''.
Tay&ta e$ rome*noy ay$toy& oy$de+n e> ti a$pekri* nato, a$ll\ o$li* gon xro*non dialipv+n
e$ kinh*uh te kai+ o< a>nurvpoQ e$ jeka*lycen ay$to*n, kai+ o=Q ta+ o>mmata e> sthsen " i$ dv+n de+
o< Kri* tvn syne* labe to+ sto*ma kai+ toy+Q o$fualmoy*Q.
% Hde h< teleyth*, v# $ Exe*krateQ, toy& e$ tai* roy h<mi& n e$ ge*neto, a$ndro*Q, v$Q h<mei& Q fai& men
a>n, tv&n to*te v}n e$ peira*uhmen a$ri* stoy kai+ a>llvQ fronimvta*toy kai+ dikaiota*toy.
oy$de*na o%ntina oy$ kate*klase: attrazione del relativo per oy$dei+ Q h#n o%ntina
..., ``non ci fu nessuno che non fece
piangere''; da katakla*v, causativo. ±
v# uayma*sioi, ``o gente strana''. oy$x h%kista, ``non minimamante'' quindi ``soprattutto'' litote?.
rimasto presente e controlla gli effetti del
veleno. ± dialipv+n xro*non, ``lasciando
passare del tempo''. Man mano il veleno
paralizza gli arti inferiori: dopo un po' il
carceriere gli preme forte un piede, per
constatare se sente, ei$ ai$ sua*noito. Socrate dice di no, o< d\ oy$k e> fh.
117.e. kai+ ga+r a$kh*koa ... teleyta&n,
``infatti ho sentito dire che bisogna morire con parole di buon augurio'': e$ n
ey$fhmi* @ puoÁ anche significare ``in silenzio''. Questa era dottrina pitagorica, ed
infatti Socrate dice di averne sentito
parlare, a$kh*koa: in particolare, il garbato rimprovero era rivolto ai pitagorici presenti, Simmia e Cebete. ± a$ll(a*) con un imperativo significa ``suvvia'', ``orsuÁ''. Socrate ora passeggia un
po', poi si sdraia supino, secondo le
istruzioni del servo degli Undici, che eÁ
118.a. A poco a poco, risalendo il
corpo, il carceriere constata e fa osservare ai presenti come si va raffreddando e irrigidendo, o%ti cy*xoito* te kai+
ph*gnyto. ± ay$to+Q h%pteto ... oi$ xh*setai,
``ed egli (il carceriere) lo andava toccando e spiegoÁ che, quando gli fosse
giunto (si intenda: l'effetto del veleno)
al cuore, allora se ne sarebbe andato''.
± e$kkalyca*menoQ, ``scoprendosi il
volto''. Come il narratore precisa subito dopo, Socrate si era coperto il volto mentre si sentiva morire; ma a un
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
_
tratto gli venne in mente un'ultima raccomandazione e si scoprõÁ un attimo.
_
t{& $Asklhpi{& ... a$lektryo*na, ``siamo
debitori di un gallo ad Asclepio''. Era uso
offrire sacrifici ad Asclepio, dio della medicina, per ringraziare di una guarigione
ricevuta. Socrate eÁ debitore di un gallo ad
Asclepio percheÂ, morendo, si eÁ liberato
della malattia peggiore, la vita. ± a$lla*:
asseverativo, ``senz'altro''. ± ei> ti a>llo
le*geiQ, ``se hai qualche altra cosa da dire''. ± e$kinh*uh, ``sussultoÁ'', nel momento
in cui la vita venne meno. Il carceriere lo
scopre e Socrate rimane con gli occhi
fissi, ta+ o>mmata e> sthsen. A questo punto,
Critone gli chiude gli occhi e la bocca. Le
ultime parole del dialogo sono ancora
pronunciate da Fedone, ma si sente chiaramente in esse la pietas di Platone verso
``l'uomo migliore e piuÁ saggio e piuÁ giusto
che abbiamo conosciuto''.
traduzione d'autore
115.b. Come Socrate ebbe detto cosõÁ, Critone gli domandoÁ: -- Ebbene, Socrate, quali
ordini ci daÁi, a questi tuoi amici o a me, riguardo ai tuoi figli o a qualche altra cosa?
Che cosa possiamo fare per te che ti riesca particolarmente gradito?
-- Quello che dico sempre, Critone, disse, niente di nuovo. Ecco, se vi prenderete
cura di voi stessi farete cosa gradita a me e ai miei e a voi stessi qualunque cosa
facciate, anche se ora non prendete nessun impegno; se invece non vi prenderete cura
di voi stessi e non vorrete vivere seguendo le tracce di quello che si eÁ detto ora e in
passato, 115.c. nemmeno se in questo momento vi impegnaste con tante promesse e
con forza, non farete niente di meglio.
620
Platone
Fedone
testi
-- Ebbene, disse Critone, quanto a questo procureremo di fare come tu dici. Ma in
che modo dobbiamo seppellirti?
-- Come volete, rispose, a condizione che riusciate a prendermi e che io non vi
sfugga dalle mani. Allora sorrise tranquillamente e voÁlto lo sguardo verso di noi
aggiunse: -- Non riesco a persuadere Critone, cari amici, che sono io, Socrate, quello
che ora sta ragionando con voi e che cerca di mettere in ordine ciascuna delle cose che
vengono dette; egli crede che Socrate sia quello che di qui a poco vedraÁ cadavere, e
115.d. naturalmente mi domanda come mi debba seppellire. E cioÁ che da un pezzo
ho discusso a lungo con voi, che, dopo aver bevuto la pozione, io non saroÁ piuÁ con voi,
ma me ne androÁ via recandomi naturalmente tra le beatitudini dei beati, queste cose,
mi pare, per lui le dico inutilmente, intese solo a consolare voi e allo stesso tempo
anche me. Siatemi dunque garanti presso Critone, disse, ma di una garanzia contraria
a quella che egli mi dette davanti ai giudici. Egli garantõÁ in fede sua che io sarei
rimasto; voi garantitegli in fede vostra che io non rimarroÁ qui 115.e. dopo morto, e
me ne androÁ via lontano, perche Critone possa sopportare piuÁ facilmente la cosa, e
per evitare che, vedendo bruciare o sotterrare il mio corpo, possa rammaricarsi per
me come se stessi soffrendo pene terribili, ed evitare anche che durante il funerale
possa dire che eÁ Socrate quello che egli espone o che porta via per la sepoltura o che
sotterra. Perche sappi, ottimo Critone, che parlare in modo non corretto non solo eÁ
brutto per se stesso, ma reca anche danno all'anima. Bisogna dunque essere fiduciosi e
dire che eÁ mio il corpo che bisogna seppellire, e il mio corpo puoi seppellirlo come ti
piaccia e come ritieni sia piuÁ conforme agli usi.
116.a. CosõÁ detto Socrate si alzoÁ per andare in una stanza a lavarsi; e Critone lo
seguiva, e a noi disse di rimanere. E noi rimanemmo in attesa ragionando tra noi delle
cose dette e riconsiderandole, e talora anche considerando la nostra sventura, quanto
era grande, ritenendo che il resto della nostra vita come privati del padre l'avremmo
116.b. trascorso davvero da orfani. E quando si fu lavato e gli ebbero portati i suoi
figli -- ne aveva due piccoli, ed uno giaÁ grande -- ed erano giunte anche le sue donne di
casa, dopo aver parlato con loro alla presenza di Critone e aver fatto le raccomandazioni che desiderava fare, disse alle donne e ai figli di andarsene, e ritornoÁ fra noi. E
ormai vicini al tramonto del sole, giacche si era trattenuto dentro parecchio tempo.
Tornato dal bagno si mise a sedere e dopo di allora non si disse piuÁ molto; e venne
116.c. l'inviato degli Undici e fermatosi davanti a lui: -- Caro Socrate, disse, non avroÁ
certo a muovere a te i rimproveri che muovo agli altri, che se la prendono con me e mi
maledicono, quando vengo ad annunciare loro, per ordine degli arconti, che devono
bere la pozione. Ma te, in tutto questo tempo, ho avuto molte occasioni per conoscere
che sei il piuÁ gentile e il piuÁ mite e il migliore di quanti siano mai capitati qui, e ora
specialmente so bene che tu non con me sei irritato, perche li conosci i responsabili,
ma con loro. Ora dunque, giacche tu sai quello che sono venuto ad annunciarti,
116.d. addio, e cerca di sopportare meglio che puoi cioÁ che eÁ inevitabile. E cosõÁ
dicendo scoppioÁ a piangere, voltoÁ le spalle e se ne andoÁ.
E Socrate levoÁ lo sguardo verso di lui: -- E anche a te, disse, addio, e noi faremo
come tu dici. E poi rivolto a noi: -- Che persona gentile, disse. Per tutto questo tempo
era solito venire a trovarmi e talvolta si tratteneva a conversare con me, ed era il
migliore degli uomini; e anche ora con quanta sinceritaÁ mi piange. Ma via, Critone,
obbediamogli, e qualcuno mi porti la pozione, se la pestatura eÁ stata fatta; se no,
l'uomo proceda a pestare.
116.e. E Critone: -- Ma il sole, disse, eÁ ancora sui monti, credo, e non eÁ ancora
tramontato. Ed io so anche che altri bevono assai piuÁ tardi, dopo che eÁ stato dato
loro l'annuncio, e dopo aver ben mangiato e ben bevuto, e alcuni perfino dopo
essere stati insieme con chi desideravano. Tu, almeno, non aver fretta, perche c'eÁ
ancora tempo.
E Socrate: -- EÁ naturale senza dubbio, Critone, disse, che facciano cosõÁ quelli di cui
tu parli -- giacche pensano di avere qualcosa da guadagnare facendo cosõÁ -- ed eÁ anche
621
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
naturale che io non faccia cosõÁ. Perche penso di non guadagnare altro, bevendo un po'
117.a. piuÁ tardi, se non di rendermi ridicolo ai miei stessi occhi, attaccandomi alla vita
e cercando di farne risparmio quando non c'eÁ piuÁ niente. Su via, disse, dammi retta e
non fare altrimenti.
E Critone, udite queste parole, fece cenno a un suo servo in piedi vicino a lui.
E il servo uscõÁ e rimase fuori un po' di tempo; e tornoÁ conducendo con se l'uomo
che doveva dare la pozione, che portava dopo la pestatura in una coppa. Socrate, vedutolo: -- Bene, disse, brav'uomo, tu che te ne intendi, che cosa si deve
fare?
-- Nient'altro, rispose, che, dopo aver bevuto, camminare per la stanza, finche tu
117.b. non senta pesantezza alle gambe; dopo rimanere sdraiato; cosõÁ faraÁ effetto da
seÂ. E cosõÁ dicendo porse la coppa a Socrate.
Ed egli la prese con vera letizia, Echecrate, senza un tremito, senza la minima
alterazione ne del colore ne del volto, ma guardando in su verso l'uomo con quei suoi
occhi da toro, come era solito: -- Che dici, disse, di questa bevanda, se ne puoÁ fare una
libagione a qualche divinitaÁ oppure no?
-- Noi, Socrate, ne pestiamo, disse, giusto quanto crediamo sia sufficiente a bere.
117.c. -- Capisco, disse Socrate. Ma almeno eÁ permesso, credo, ed anzi eÁ un dovere,
pregare gli deÁi che questo trasferirmi da qui a laÁ avvenga felicemente; ed eÁ questa
appunto la mia preghiera; e cosõÁ possa avvenire. E detto cioÁ, levoÁ la coppa alle labbra
e, senza segno di disgusto, bevve di buon grado tutto d'un fiato. E la maggior parte di
noi fino a quel momento erano riusciti alla meglio a trattenere le lacrime; ma appena
vedemmo che beveva, e che aveva bevuto, non fu piuÁ possibile; ed anche a me,
malgrado ogni mio sforzo, le lacrime scesero a fiotti, dimodoche mi nascosi il volto
e piansi me stesso -- giacche certamente non lui piangevo, ma la mia sventura --, di tale
117.d. amico restavo privato. E Critone, ancor prima di me, incapace di trattenere le
lacrime, si era alzato per uscire. E Apollodoro, che anche prima non aveva mai
smesso di piangere, allora poi scoppioÁ in grida, gemendo e rammaricandosi, a tal
punto che non ci fu tra noi lõÁ presenti chi non si sentõÁ spezzare il cuore; ad eccezione di
lui, Socrate.
Ed anzi egli: -- Strano modo di comportarvi questo, cari amici, disse. EÁ soprattutto per questa ragione che ho mandato via le donne, perche non facessero simili
117.e. stonature. E poi ho anche sentito che bisogna morire con parole di buon
augurio. State dunque calmi e siate forti.
E noi a sentirlo, provammo vergogna e ci trattenemmo dal piangere. Socrate
camminava per la stanza; e quando disse che le gambe gli si appesantivano, si
mise a giacere supino -- giacche cosõÁ gli raccomandava l'uomo --; e intanto
costui, l'uomo che gli aveva dato la pozione, lo andava toccando e a intervalli
gli esaminava i piedi e le gambe; e poi, premendogli forte un piede, gli domandoÁ
se sentiva; ed egli rispose di no. 118.a. E poi ancora gli premette le gambe; e cosõÁ
risalendo via via ci mostrava che si raffreddava e si irrigidiva. E continuava a
toccarlo, e ci disse quando si fosse giunti alla regione del cuore, allora se ne
sarebbe andato. E ormai le parti intorno al basso ventre si erano quasi raffreddate; ed egli si scoprõÁ -- giacche si era coperto -- e parloÁ, -- e furono le ultime
parole che pronuncioÁ: -- Mio caro Critone, disse, siamo in debito di un gallo ad
Asclepio; dateglielo e non ve ne dimenticate.
-- SõÁ, disse Critone, saraÁ fatto. Ma guarda se hai altro da dire.
A questa domanda Socrate non rispose piuÁ; passato poco tempo ebbe un movimento e l'uomo lo scoprõÁ, ed egli restoÁ con gli occhi fissi. E Critone, vedutolo, gli
chiuse le labbra e gli occhi.
Questa, mio caro Echecrate, fu la fine dell'amico nostro, un uomo, possiamo ben
dirlo, tra quelli che allora conoscemmo, il migliore, e inoltre il piuÁ saggio e il piuÁ
giusto.
(Trad. P. Fabrini)
622
LINGUA E LESSICO
1. Seleziona termini che facciano parte di lessici specifici (giudiziario, medico) e spiegane (in max 10 righe)
l'uso nel contesto platonico.
Fedone
LESSICO GIUDIZIARIO
LESSICO MEDICO
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
testi
.....................................................................................
2. Trascrivi i connettori subordinanti presenti in 115b-e indicando il tipo di subordinata che introducono.
CONNETTORI SUBORDINANTI
TIPO DI SUBORDINATA
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
TEMI E CONFRONTI
3. Proponi in successione le varie fasi della morte di Socrate, dividendo in sequenze. Elabora uno schema.
NUMERO SEQUENZE
SEQUENZE
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
................................................................................................................................................................................
4. Sono rintracciabili, nel testo, diversi punti in cui viene sottolineata una differenza tra il modo comune di
intendere le cose e il modo di Socrate; giaÁ in 115c, Socrate reagisce vivacemente a Critone che aveva
dimostrato di non aver chiara un'opposizione evidente. Rintraccia, nelle pagine lette, i passi in cui sono
marcate delle differenze che vedono protagonista Socrate e riportali nello schema seguente.
MODO TRADIZIONALE
MODO SOCRATICO
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
.....................................................................................
5. Il parlare ``in modo non corretto non solo eÁ brutto per se stesso, ma reca anche danno all'anima'' (115e).
"
PercheÂ?
............................................................................................................................................................................
Che cosa pensi tu al riguardo: la lingua influisce sul pensiero? Motiva la tua risposta in un elaborato di max
20 righe.
6. Qual eÁ il senso dell'invito di Socrate a sacrificare un gallo ad Asclepio?
"
................................................................................................................................................................................
STILE E RETORICA
7. Segnala almeno un poliptoto ed esplicitane la funzione nel contesto.
POLIPTOTO
FUNZIONE
.....................................................................................
.....................................................................................
Platone
GUIDA ALL'ANALISI
623
Repubblica
14 I filosofi e il governo dello Stato
(487b-490e)
Il governo dello Stato eÁ come la pratica di un'arte: solo coloro che ne sono esperti possono esercitarla. Dunque
soltanto i filosofi, che sono in grado di distinguere il bene dal male e di non farsi fuorviare da meschini interessi
personali, possono e debbono assumere il governo dello Stato.
487.b. Kai+ o< $Adei* mantoQ, v# Sv*krateQ, e> fh, pro+Q me+ n tay&ta* soi oy$dei+ Q a/n oi}o*Q t\
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
ei> h a$nteipei& n. a$lla+ ga+r toio*nde ti pa*sxoysin oi< a$koy*onteQ e< ka*stote a= ny&n le* geiQ "
h<goy&ntai di\ a$peiri* an toy& e$rvta&n kai+ a$pokri* nesuai y<po+ toy& lo*goy par\ e% kaston
to+ e$ rv*thma smikro+n parago*menoi, a<uroisue* ntvn tv&n smikrv&n e$ pi+ teleyth&Q tv&n
lo*gvn me* ga to+ sfa*lma kai+ e$ nanti* on toi& Q prv*toiQ a$nafai* nesuai, kai+ v%sper y<po+
tv&n pettey*ein deinv&n oi< mh+ teleytv&nteQ a$poklei* ontai kai+ oy$k e> xoysin o%ti
fe* rvsin, 487.c. oy%tv kai+ sfei& Q teleytv&nteQ a$poklei* esuai kai+ oy$k e> xein o%ti
le* gvsin y<po+ pettei* aQ ay# tay*thQ tino+Q e< te*raQ, oy$k e$ n ch*foiQ a$ll\ e$ n lo*goiQ " e$ pei+ to*
ge a$lhue+ Q oy$de* n ti ma&llon tay*t| e>xein. le*gv d\ ei$ Q to+ paro+n a$poble* caQ. ny&n ga+r
fai* h a>n ti* Q soi lo*g{ me+ n oy$k e> xein kau\ e% kaston to+ e$ rvtv*menon e$ nantioy&suai,
e> rg{ de+ o<ra&n, o%soi a/n e$ pi+ filosofi* an o<rmh*santeQ mh+ toy& pepaidey&suai 487.d.
e% neka a<ca*menoi ne* oi o>nteQ a$palla*ttvntai, a$lla+ makro*teron e$ ndiatri* cvsin, toy+Q
me+ n plei* stoyQ kai+ pa*ny a$lloko*toyQ gignome* noyQ, i% na mh+ pamponh*royQ ei> pvmen,
toy+Q d\ e$ pieikesta*toyQ dokoy&ntaQ o%mvQ toy&to* ge y<po+ toy& e$ pithdey*matoQ oy} sy+
e$ painei& Q pa*sxontaQ, a$xrh*stoyQ tai& Q po*lesi gignome* noyQ.
Kai+ e$ gv+ a$koy*saQ, Oi> ei oy#n, ei#pon, toy+Q tay&ta le* gontaQ cey*desuai;
Oy$k oi#da, h# d\ o%Q, a$lla+ to+ soi+ dokoy&n h<de* vQ a/n a$koy*oimi.
487.b. toio*nde ti ... le*geiQ, ``quelli che
di volta in volta ascoltano cioÁ che tu dici
provano qualcosa di questo genere'';
Adimanto prospetta a Socrate la difficoltaÁ in cui si trovano quelli che discutono
con lui: come giocatori inesperti nel gioco degli scacchi, a forza di spostare le
pedine qua e laÁ a un certo punto restano
bloccati nei loro ragionamenti e non
sanno piuÁ cosa rispondere. _ h<goy&ntai
... a$nafai* nesuai, ``ritengono che, per l'inesperienza del domandare e rispondere, fuorviati (parago*menoi) un po', ad
ogni domanda (par\ e% kaston to+ e$ rv*thma), dalla discussione, una volta che le
piccole deviazioni si sono accumulate
(a<uroisue*ntvn tv&n smikrv&n) alla conclusione del discorso (e$ pi+ teleyth&Q tv&n
lo*gvn), lo scarto (to+ sfa*lma) appare
enorme e opposto alle premesse'': il periodo muove avendo per soggetto di
h<goy&ntai ancora oi< a$koy*onteQ, e il verbo
di dire introduce una oggettiva che ha
per soggetto to+ sfa*lma e il predicato
a$nafai* nesuai. _ kai+ v%sper ... a$poklei* ontai, ``e come da quelli che sono
abili nel gioco delle pedine (y<po+ ...
624
deinv&n) quelli che non lo sono (oi< mh*) alla
fine (teleytv&nteQ) restano bloccati''; oi<
mh*: sott. deinoi* . ± oy$k e>xoysin ... fe*rvsin,
``e non sanno che mosse fare'': fe* rv qui eÁ
verbo tecnico del gioco degli scacchi, per
indicare l'atto di spostare un pezzo.
487.c-d. oy%tv kai+ sfei& Q ... lo*goiQ,
``cosõÁ (pensano) che anch'essi alla fine
restano bloccati (a$poklei* esuai) e non
sanno che dire, per effetto di quest'altra
specie di gioco degli scacchi, (che consiste) non nei pezzi, ma negli argomenti'': a$poklei* esuai eÁ retto ancora dal
verbo di pensare h<goy&ntai. _ le*gv ...
a$poble*caQ, ``parlo riferendomi (a$poble* caQ) alla situazione presente'': a$poble* caQ significa propriamente ``rivolgendo lo sguardo''. _ fai* h a>n tiQ,
``uno potrebbe dire'': regge i due infiniti correlati lo*g{ me+ n oy$k e> xein ... e$ nantioy&suai (``di non avere, a parole, da
contraddire'': e$ nantioy&suai eÁ inf. oggetto dipendente da e> xein) e e> rg{ de+
o<ra&n. _ o%soi a/n ... gignome*noyQ ... ei> pvmen, ``che, quanti dopo essersi rivolti
alla filosofia (e$ pi+ filosofi* an o<rmh*san-
teQ) non se ne allontanano (mh+ ... a$palla*ttvntai) ancor giovani, dopo averla
sfiorata (a<ca*menoi) per essere educati,
ma vi si trattengono abbastanza a lungo, i piuÁ diventano assolutamente stravaganti (a$lloko*toyQ), per non dire assolutamente pessimi''; in dipendenza
da o<ra&n si ha il part. predicativo gignome* noyQ, preceduto dalle relative anticipate o%soi a/n ... mh+ ... a$palla*ttvntai ...
a$lla+ e$ ndiatri* cvsin: la seconda eÁ coordinata avversativa (con a$lla*) alla prima. _ toy+Q de+ ... gignome* noyQ, ``mentre
quelli che sembrano del tutto ragionevoli (e$ pieikesta*toyQ), pure dalla disciplina che tu lodi, diventano inutili
(a$xrh*stoyQ) alle cittaÁ'': toy+Q ... dokoy&ntaQ eÁ part. sostantivato, mentre ancora
da o<ra&n dipendono i part. predicativi
pa*sxontaQ e gignome* noyQ; oy}: relativo
attratto per o%n, che ci attenderemmo
in dipendenza da e$ painei& Q. _ oy$k oi# da,
``non so'': se mentiscono o no. _ h# d\ o%Q,
``disse quello'': h# eÁ impf. di h$mi* , lt. aio; o%Q
eÁ un dimostrativo, sopravvissuto in formule standard come questa. _ to+ soi+
dokoy&n, ``cioÁ che a te pare''.
Platone
487.e. $Akoy*oiQ a/n o%ti e> moige fai* nontai ta$lhuh& le* gein.
488.a. a>koye ... ei$ ka*zv, ``sta a sentire
l'immagine, perche tu veda ancor di
piuÁ con che difficoltaÁ (gli* sxrvQ) io
procedo per immagini'': l'aggettivo
gli* sxroQ propriam. significa ``appiccicaticcio''. _ oy%tv ga+r ... peponuo*Q,
``eÁ cosõÁ difficile la condizione (to+
pa*uoQ) dei migliori, in cui si trovano
(o= pepo*nuasin) di fronte alle cittaÁ, che
non c'eÁ nessun'altra cosa (oy$d\ e> stin
e= n oy$de+ n a>llo) che subisca nulla di
simile'': eÁ ossessiva l'insistenza sulla
situazione subita (to+ pa*uoQ ... o= pepo*nuasin ... peponuo*Q) dagli e$ pieike* sta-
toi, dei quali si era detto (487 d) che
erano ``inutili alle cittaÁ''. _ a$lla+ dei& ...
gra*foysin, ``ma bisogna comporla
(synagagei& n ay$to*) descrivendone
un'immagine (ei$ ka*zonta) e facendo
la loro difesa (a$pologoy*menon y<pe+ r
ay$tv&n), come i pittori descrivono caprocervi (tragela*foyQ) ed esseri simili
fondendo varie forme''; synagagei& n
ay$to*: il neutro eÁ riferito a to+ pa*uoQ;
ei$ ka*zonta: il part. congiunto eÁ concordato in acc. con il sogg. inespresso di
synagagei& n; y<pe+ r ay$tv&n: il riferimento eÁ agli e$ pieike* statoi; tragela*foyQ: il
termine, composto da tra*goQ, ``capro'' ed e> lafoQ, ``cervo'' eÁ inventato
da Aristofane, Rane 937, come esempio delle mostruositaÁ lessicali introdotte da Eschilo, qui indica animali
fantastici inventati dai pittori per decorazione, come si vede nell'arte persiana e scitica. _ no*hson ... mia&Q, ``immagina un fatto di questo genere accaduto o riguardo a molte navi o a
una sola''.
488.b. nay*klhron ... toiay&ta, ``un capitano superiore per statura e vigore a
tutti quelli che stanno sulla nave, ma
un po' sordo (y<po*kvfon) e che vede
altrettanto poco e che ha analoghe
(e% tera toiay&ta) conoscenze intorno alle
cose nautiche''; y<po*kvfon: con il prefisso y<po- si formano composti che riducono il significato dell'aggettivo
semplice; e% tera toiay&ta, lett. ``altre di
tal genere'': il gigante mezzo sordo,
miope ed incompetente eÁ il popolo,
testi
487.e. a$koy*oiQ a>n: riecheggia a/n
a$koy*oimi di Adimanto, e corrisponde ad
un'espressione di consenso. _ ta$lhuh& 4
ta+ a$lhuh&. _ oy$ pro*teron ... a>rjvsin, ``le
cittaÁ non cesseranno dai mali (kakv&n pay*sontai) prima che in esse governino i
filosofi''. _ oy=Q a$xrh*stoyQ ... ei# nai: l'espressione eÁ dichiaratamente ironica.
_
e$rvt@&Q ... legome*nhQ, ``tu mi poni una
domanda che richiede una risposta
espressa mediante un'immagine'': saraÁ
l'immagine del capitano debole di vista
e di udito, e inesperto della guida della
nave, per rappresentare il popolo vittima
volta per volta dei politici senza scrupoli;
e$ rvt@&Q ... e$ rv*thma: figura etymologica?.
_
skv*pteiQ ... dysapo*deikton, ``tu ti
prendi gioco di me, dopo avermi cacciato
(e$ mbeblhkv*Q) in un argomento cosõÁ difficile (dys-) a dimostrarsi'': e$ mbeblhkv*Q eÁ
part. pf. da e$ m-ba*llv, dysapo*deikton risulta dal prefisso dys- con l'agg. verbale
di a$po-dei* knymi.
Repubblica
Pv&Q oy#n, e> fh, ey# e> xei le* gein o%ti oy$ pro*teron kakv&n pay*sontai ai< po*leiQ, pri+ n
/an e$ n ay$tai& Q oi< filo*sofoi a>rjvsin, oy=Q a$xrh*stoyQ o<mologoy&men ay$tai& Q ei#nai;
$ Ervt@&Q, h#n d\ e$ gv*, e$ rv*thma deo*menon a$pokri* sevQ di\ ei$ ko*noQ legome*nhQ.
Sy+ de* ge, e> fh, oi#mai oy$k ei> vuaQ di\ ei$ ko*nvn le* gein.
Ei#en, ei#pon " skv*pteiQ e$ mbeblhkv*Q me ei$ Q lo*gon oy%tv dysapo*deikton; 488.a.
a>koye d\ oy#n th&Q ei$ ko*noQ, i% n\ e> ti ma&llon i> d|Q v<Q gli* sxrvQ ei$ ka*zv. oy%tv ga+r
xalepo+n to+ pa*uoQ tv&n e$ pieikesta*tvn, o= pro+Q ta+Q po*leiQ pepo*nuasin, v%ste oy$d\
e> stin e= n oy$de+ n a>llo toioy&ton peponuo*Q, a$lla+ dei& e$ k pollv&n ay$to+ synagagei& n
ei$ ka*zonta kai+ a$pologoy*menon y<pe+r ay$tv&n, oi}on oi< grafh&Q tragela*foyQ kai+ ta+
toiay&ta meigny*nteQ gra*foysin. no*hson ga+r toioytoni+ geno*menon ei> te pollv&n
nev&n pe* ri ei> te mia&Q " 488.b. nay*klhron mege*uei me+ n kai+ r<v*m| y<pe+ r toy+Q e$ n t|& nhi+
pa*ntaQ, y<po*kvfon de+ kai+ o<rv&nta v<say*tvQ braxy* ti kai+ gignv*skonta peri+ naytikv&n e% tera toiay&ta, toy+Q de+ nay*taQ stasia*zontaQ pro+Q a$llh*loyQ peri+ th&Q kybernh*sevQ, e% kaston oi$ o*menon dei& n kyberna&n, mh*te mauo*nta pv*pote th+n te* xnhn
me* te e> xonta a$podei& jai dida*skalon e< aytoy& mhde+ xro*non e$ n {} e$ ma*nuanen, pro+Q de+
toy*toiQ fa*skontaQ mhde+ didakto+n ei#nai, a$lla+ kai+ to+n le*gonta v<Q didakto+n e< toi* moyQ katate* mnein, 488.c. ay$toy+Q de+ ay$t{& a$ei+ t{& nayklh*r{ perikexy*suai deome*noyQ kai+ pa*nta poioy&ntaQ o%pvQ a/n sfi* si to+ phda*lion e$ pitre* c|, e$ ni* ote d\ a/n mh+
che finisce per essere travolto nelle
sue scelte dai marinai in dissidio tra
loro. _ toy+Q de+ nay*taQ ... kyberna&n,
``e i marinai che litigano tra loro per
il governo della nave, mentre ognuno
crede di doverla governare'': sono questi i demagoghi che cercano ognuno di
influenzare le scelte del Demos. _ mh*te
mauo*nta ... katate*mnein, ``senza mai
aver appreso l'arte e senza essere in
grado di indicare un proprio maestro
ne il tempo in cui ha appreso, ma per
giunta (pro+Q toy*toiQ) affermando che
essa non eÁ nemmeno insegnabile, ma
pronti anche a fare a pezzi (katate* mnein) chi afferma che eÁ insegnabile'': in
questa rappresentazione dei marinai
ignoranti il Socrate platonico pensa
ai sofisti rappresentati nei dialoghi come il Protagora e il Gorgia.
Protagora
stesso, nel dialogo che da lui prende il
nome, partendo da una affermazione
contraria, giunge paradossalmente a
sostenere che la virtuÁ non eÁ insegnabile, mentre Socrate, che la fa coincidere
con il sapere, conclude affermando
quello che dapprima aveva messo in
dubbio, cioeÁ che essa eÁ perfettamente
insegnabile¨. L'accenno ai marinai
rissosi pronti a fare a pezzi il capitano
che li contraddicesse rievoca poi la
condanna di Socrate.
488.c. ay$toy+Q de+ ... e$pitre*c|, ``ed essi
stessi si affollano (perikexy*suai) intorno al capitano stesso, pregandolo e facendo di tutto (pa*nta poioy&ntaQ) perche affidi loro il timone''; perikexy*-
625
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
pei* uvsin a$lla+ a>lloi ma&llon, toy+Q me+ n a>lloyQ h/ a$pokteiny*ntaQ h/ e$ kba*llontaQ e$ k
th&Q nev*Q, to+n de+ gennai& on nay*klhron mandrago*r@ h/ me* u| h> tini a>ll{ sympodi* santaQ th&Q nev+Q a>rxein xrvme*noyQ toi& Q e$ noy&si, kai+ pi* nonta*Q te kai+ ey$vxoyme* noyQ
plei& n v<Q to+ ei$ ko+Q toy+Q toioy*toyQ, 488.d. pro+Q de+ toy*toiQ e$painoy&ntaQ naytiko+n me+n
kaloy&ntaQ kai+ kybernhtiko+n kai+ e$ pista*menon ta+ kata+ nay&n, o=Q a/n syllamba*nein
deino+Q |# o%pvQ a>rjoysin h/ pei* uonteQ h/ biazo*menoi to+n nay*klhron, to+n de+ mh+
toioy&ton ce*gontaQ v<Q a>xrhston, toy& de+ a$lhuinoy& kybernh*toy pe*ri mhd\ e$ pai^ onteQ,
o%ti a$na*gkh ay$t{& th+n e$ pime*leian poiei& suai e$ niaytoy& kai+ v<rv&n kai+ oy$ranoy& kai+
a>strvn kai+ pneyma*tvn kai+ pa*ntvn tv&n t|& te*xn| proshko*ntvn, ei$ me*llei t{& o>nti
nev+Q a$rxiko+Q e> sesuai, 488.e. o%pvQ de+ kybernh*sei e$ a*nte tineQ boy*lvntai e$ a*nte mh*,
mh*te te*xnhn toy*toy mh*te mele*thn oi$ o*menoi dynato+n ei#nai labei& n a%ma kai+ th+n kybernhtikh*n. toioy*tvn dh+ peri+ ta+Q nay&Q gignome*nvn to+n v<Q a$lhuv&Q kybernhtiko+n
oy$x h<g|& a/n t{& o>nti metevrosko*pon te kai+ a$dole*sxhn kai+ a>xrhsto*n sfisi kalei& suai y<po+ tv&n e$ n tai& Q oy%tv kateskeyasme*naiQ naysi+ plvth*rvn;
Kai+ ma*la, e> fh o< $Adei* mantoQ.
489.a. Oy$ dh*, h#n d\ e$ gv*, oi#mai dei& suai* se e$ jetazome* nhn th+n ei$ ko*na i$ dei& n, o%ti tai& Q
po*lesi pro+Q toy+Q a$lhuinoy+Q filoso*foyQ th+n dia*uesin e> oiken, a$lla+ manua*nein o=
le* gv.
suai: inf. pf. di peri-xe* v, ``riversarsi
intorno''; il periodo, iniziato con una
serie di participi complementari retti
da no*hson, prosegue anacoluticamente con l'infinito. _ e<ni* ote ... toy+Q toioy*toyQ, ``e talvolta, se non lo convincono,
ma (lo convincono, sott.) piuttosto altri,
ammazzando (questi) altri e gettandoli
fuori dalla nave, e impedendo (sympodi* santaQ) quel valente (gennai& on) capitano con la mandragora o con l'ebbrezza o con qualche altro mezzo, governano la nave facendo uso di cioÁ che
trovano (toi& Q e$ noy&si) e, bevendo e banchettando, navigano come eÁ naturale
che (navighi) simile gente''; a$lla+ a>lloi
ma&llon: sott. pei* uvsin; a$lla+ a>lloi costituisce una parechesi; gennai& on: eÁ ironico; mandrago*r@: un tempo alla radice di questa pianta si attribuivano qualitaÁ afrodisiache; toi& Q e$ noy&si, lett. ``di
cioÁ che c'eÁ'': part. sostantivato; i demagoghi si impadroniscono dunque del
potere eliminando i rivali, ingannando
il popolo e sfruttando nel proprio interesse le pubbliche risorse: sono questi
gli argomenti correnti nella pubblicistica dei conservatori.
488.d. pro+Q de+ toy*toiQ ... a>xrhston,
``e inoltre (pro+Q ... toy*toiQ) lodano, chiamandolo abile marinaio ed esperto timoniere e conoscitore dell'arte del navigare chi sia abile (deino*Q) a collaborare
con loro perche comandino, o persuadendo o costringendo il comandante, e
biasimano chi non eÁ come loro (to+n mh+
626
toioy&ton) dichiarandolo (v<Q) inutile'';
e$ painoy&ntaQ eÁ predicativo del soggetto
di a>rxein, mentre kaloy&ntaQ eÁ part.
congiunto e spiega e$ painoy&ntaQ; kybernhtiko*Q, ``esperto nell'arte del kybernh*thQ'', secondo la stessa struttura
per cui naytiko*Q deriva da nay*thQ;
a>xrhston: come i filosofi nella questione posta da Adimanto. _ toy& de+ a$lhuinoy& ... e>sesuai, ``mentre non si intendono affatto del vero pilota (toy& ... pe*ri),
del fatto che egli deve prendersi cura
(e$ pime*leian poiei& suai) dell'anno e delle
stagioni e del cielo e degli astri e dei
venti e di tutto cioÁ che concerne l'arte,
se deve essere davvero (t{& o>nti) capace
di comandare la nave''; toy& ... pe*ri: baritonesi? con anastrofe?; e$ pime*leian
poiei& suai: il medio indica che il vero
timoniere eÁ personalmente coinvolto
in tutte queste preoccupazioni; e$ pai^ onteQ: il nom. eÁ attratto da pei* uonteQ e
biazo*menoi che precedono; t|& te*xn|: come quella della navigazione, anche
quella del governo dello Stato eÁ per Platone un'arte, che richiede altresõÁ una
conoscenza e non puoÁ essere di tutti.
_
a$rxiko*Q, ``capace di comandare'', formato come kybernhtiko*Q e naytiko*Q.
488.e. o%pvQ de+ ... kybernhtikh*n, ``e
come egli governeraÁ, sia che qualcuno
lo voglia, sia che non voglia, di questo
(toy*toy) non credendo (oi$ o*menoi) che
sia possibile apprendere l'arte (te* xnhn)
ne la pratica (mele* thn) e il modo di
reggere il timone''; il periodo eÁ retto
da oi$ o*menoi, correlato con de* a e$ pai^ onteQ: toy*toy ricapitola (funzione epanalettica) l'interr. indiretta che precede,
o%pvQ ... kybernh*sei. Il senso dell'allegoria eÁ che il vero politico deve possedere
la scienza e la pratica del governo, e
deve perseguire il bene collettivo senza
darsi cura del favore della moltitudine:
il filosofo al governo viene cosõÁ a costituire
l'antitesi
del
demagogo.
_
toioy*tvn ... plvth*rvn, ``quando simili vicende accadono nelle navi, non
credi tu che chi sia davvero un timoniere sarebbe chiamato in realtaÁ un
acchiappanuvole (metevrosko*pon) e
un chiacchierone (a$dole* sxhn) e un essere inutile per loro, da parte di quelli
che navigano (plvth*rvn) in navi in
queste condizioni?''; tutta la struttura
del periodo eÁ retta dalla principale
oy$x h<g|&, nonne putas?, interr. retorica,
che regge l'infinitiva to+n kybernh*thn
a/n kalei& suai, dalla quale dipende ancora il gen. assoluto toioy*tvn ... gignome* nvn, con valore di protasi di periodo
ipotetico dell'eventualitaÁ; entro di esso
peri+ ta+Q nay&Q eÁ in posizione attributiva;
metevrosko*pon: colui che sta ad osservare (skope* v) i fenomeni celesti, ta+ me* tevra, come il Socrate delle Nuvole; si
noti ancora l'antitesi? tra kybernh*thQ
e plvth*r.
489.a. oy$ dh* ... le*gv, ``io non credo
che tu abbia bisogno (oy$ ... oi#mai dei& suai* se) di vedere l'immagine spiegata
(e$ jetazome* nhn), nel senso che (o%ti) essa
489.c. e$a*nte ... o>feloQ |#, ``sia che sia
malato (ka*mn|) un ricco sia un povero,
che sia necessario andare alle porte dei
medici, e che ognuno che ha bisogno
(pa*nta to+n ... deo*menon) di essere governato vada a quelle di chi eÁ in grado di
governare (toy& a>rxein dyname* noy) e che
non giaÁ chi governa, del quale ci sia in
veritaÁ qualche utilitaÁ (ti o>feloQ) preghi
i sudditi di lasciarsi governare'': l'avversione di Platone verso la democrazia si manifesta nell'insistenza e nell'infittirsi della figura etymologica? a>rxesuai ... a>rxein ... a>rxonta ... a$rxome* nvn
a>rxesuai, che vorrebbe sottolineare la
perversitaÁ del procedimento per cui chi
dovrebbe governare prega coloro cui
dovrebbe comandare. _ a$lla+ toy+Q ...
a<marth*s|, ``pertanto, paragonando i
politici governanti (toy+Q ... politikoy+Q
a>rxontaQ) di ora ai marinai di cui poco
testi
489.b. kai+ o%ti ... filosofi* @, ``e (digli)
anche che afferma il vero, che i piuÁ
saggi (oi< e$ pieike* statoi) tra quelli che
si dedicano alla filosofia sono inutili
per i piuÁ''; o%ti le* geiQ prosegue, coordinato da kai* iniziale, di* daske kai+ peirv&
pei* uein o%ti. _ th&Q me*ntoi ... e$pieikei& Q,
``ma pregalo (ke* leye) che di quella inutilitaÁ diano la colpa a quelli che non si
servono di loro, non ai saggi''._ oy$ ga+r
e>xei ... y<f\ ay$toy&, ``non eÁ infatti naturale
che il pilota preghi i marinai di lasciarsi
comandare da lui''; oy$ ... e> xei fy*sin,
lett. ``non ha natura'', quindi ``non eÁ
conforme a natura''. _ e$pi+ ta+Q ... uy*raQ:
come fanno i mendicanti. _ o< toy&to ...
e$cey*sato, ``chi pronuncioÁ questa spiritosaggine si sbaglioÁ''.
L'episodio eÁ
riferito dettagliatamente da Aristotele,
Retorica 2, 16, 1391 a 8 ss.: Simonide,
interrogato dalla moglie del tiranno Ierone se fossero preferibili le ricchezze o
la sapienza, rispose che erano preferibili le ricchezze, perche i saggi si trovano alla corte dei ricchi¨. ± to+ de+ ...
pe*fyken, ``mentre la veritaÁ eÁ per natura'': segue l'illustrazione di questo
enunciato.
Repubblica
somiglia nell'atteggiamento (th+n dia*uesin) alle cittaÁ nei confronti dei veri filosofi, ma che tu intenda cioÁ che dico'';
e$ jetazome* nhn, lett. ``indagata'': la spiegazione eÁ come un'indagine nei confronti del testo che deve essere illustrato; th+n dia*uesin: acc. di relazione; Socrate intende che Adimanto non avraÁ
certo bisogno che l'immagine della nave e del timoniere gli sia spiegata, ma
intenderaÁ da se quello che essa significa. _ e$kei& non ... e$timv&nto, ``spiega (di* daske) l'immagine a quello che si meravigliava del fatto che i filosofi non
sono onorati nelle cittaÁ, e cerca di convincerlo che sarebbe molto piuÁ singolare (uaymasto*teron) se fossero onorati'': Glaucone in 487 c-d aveva espresso
questa meraviglia.
Platone
Kai+ ma*l$, e> fh.
Prv&ton me+ n toi* nyn e$ kei& non to+n uayma*zonta o%ti oi< filo*sofoi oy$ timv&ntai e$ n
tai& Q po*lesi di* daske* te th+n ei$ ko*na kai+ peirv& pei* uein o%ti poly+ a/n uaymasto*teron
h#n ei$ e$ timv&nto.
$Alla+ dida*jv, e> fh.
489.b. Kai+ o%ti toi* nyn ta$lhuh& le*geiQ, v<Q a>xrhstoi toi& Q polloi& Q oi< e$ pieike*statoi
tv&n e$ n filosofi* @ " th&Q me*ntoi a$xrhsti* aQ toy+Q mh+ xrvme* noyQ ke* leye ai$ tia&suai,
a$lla+ mh+ toy+Q e$ pieikei& Q. oy$ ga+r e> xei fy*sin kybernh*thn naytv&n dei& suai a>rxesuai
y<f\ ay<toy& oy$de+ toy+Q sofoy+Q e$ pi+ ta+Q tv&n ploysi* vn uy*raQ i$ e* nai, a$ll\ o< toy&to
komceysa*menoQ e$ cey*sato, to+ de+ a$lhue+ Q pe* fyken, 489.c. e$ a*nte ploy*sioQ e$ a*nte
pe* nhQ ka*mn|, a$nagkai& on ei#nai e$ pi+ i$ atrv&n uy*raQ i$ e* nai kai+ pa*nta to+n a>rxesuai
deo*menon e$ pi+ ta+Q toy& a>rxein dyname* noy, oy$ to+n a>rxonta dei& suai tv&n a$rxome*nvn
a>rxesuai, oy} a/n t|& a$lhuei* @ ti o>feloQ |#. a$lla+ toy+Q ny&n politikoy+Q a>rxontaQ
a$peika*zvn oi}Q a>rti e$ le* gomen nay*taiQ oy$x a<marth*s|, kai+ toy+Q y<po+ toy*tvn a$xrh*stoyQ legome* noyQ kai+ metevrole* sxaQ toi& Q v<Q a$lhuv&Q kybernh*taiQ.
$ Oruo*tata, e> fh.
> Ek te toi* nyn toy*tvn kai+ e$ n toy*toiQ oy$ r<@*dion ey$dokimei& n to+ be* ltiston e$ pith*deyma y<po+ tv&n ta$nanti* a e$ pithdeyo*ntvn " poly+ de+ megi* sth kai+ i$ sxyrota*th diabolh+
gi* gnetai filosofi* @ 489.d. dia+ toy+Q ta+ toiay&ta fa*skontaQ e$ pithdey*ein, oy=Q dh+ sy+
f|+Q to+n e$ gkaloy&nta t|& filosofi* @ le*gein v<Q pampo*nhroi oi< plei& stoi tv&n i$ o*ntvn
e$ p\ ay$th*n, oi< de+ e$ pieike*statoi a>xrhstoi, kai+ e$ gv+ synexv*rhsa a$lhuh& se le* gein. h# ga*r;
fa dicemmo, non sbaglierai''; a$peika*zvn: part. cong. con valore suppositivo; toy+Q ... politikoy+Q a>rxontaQ: eÁ ben
chiaro che per Platone l'aggettivo nega
il sostantivo cui viene attribuito; oi}Q:
attratto in dativo da nay*taiQ, assorbito
entro la relativa in seguito all'attrazione. _ metevrole*sxaQ: combina le due
qualifiche attribuite in 488 e al filosofo,
metevrosko*pon te kai+ a$dole* sxhn. _ e>k
te ... e$pithdeyo*ntvn, ``in conseguenza
di cioÁ e in queste situazioni non eÁ facile
(oy$ r<a*dion) che la pratica piuÁ nobile sia
in onore presso quelli che praticano il
suo contrario''; oy$ r<a*dion presenta l'ellissi del verbo essere e la lõÁtote?; ey$dokimei& n ... y<po+ tv&n ... e$ pithdeyo*ntvn: il
verbo ey$dokimei& n eÁ costruito con il
complemento di agente come se fosse
un passivo (``goder di buona fama'' =
``essere lodato''), con un procedimento
intenzionalmente arcaicizzante; to+
be* ltiston e$ pith*deyma, ``la pratica piuÁ
eccellente'': perifrasi per ``la filosofia'';
e$ pith*deyma ... e$ pithdeyo*ntvn: la figura
etymologica marca l'antitesi.
489.d. dia+ toy+Q ... e$p\ ay$th*n, ``a causa
di coloro che affermano di praticare
simili attivitaÁ (ta+ toiay&ta), dei quali tu
dici che l'accusatore (to+n e$ gkaloy&nta)
della filosofia afferma (le* gein) che (sono) pessimi i piuÁ di quelli che si rivolgono ad essa (tv&n i$ o*ntvn e$ p\ ay$th*n)'';
oy=Q sy+ f|&Q: dipende da le* gein, ma al
627
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
Nai* .
Oy$koy&n th&Q me+ n tv&n e$ pieikv&n a$xrhsti* aQ th+n ai$ ti* an dielhly*uamen;
Kai+ ma*la.
Th&Q de+ tv&n pollv&n ponhri* aQ th+n a$na*gkhn boy*lei to+ meta+ toy&to die* luvmen, kai+
o%ti oy$de+ toy*toy filosofi* a ai$ ti* a, a/n dynv*meua, peirauv&men dei& jai;
Pa*ny me+ n oy#n.
489.e. $Akoy*vmen dh+ kai+ le* gvmen e$ kei& uen a$namnhsue*nteQ, o%uen di|&men th+n fy*sin
oi}on a$na*gkh fy&nai to+n kalo*n te ka$gauo+n e$ so*menon. 490.a. h<gei& to d\ ay$t{&, ei$ n{&
e> xeiQ, prv&ton me+ n a$lh*ueia, h=n div*kein ay$to+n pa*ntvQ kai+ pa*nt| e> dei h/ a$lazo*ni o>nti
mhdam|& metei& nai filosofi* aQ a$lhuinh&Q.
# Hn ga+r oy%tv lego*menon.
Oy$koy&n e= n me+n toy&to sfo*dra oy%tv para+ do*jan toi& Q ny&n dokoyme*noiQ peri+
ay$toy&;
Kai+ ma*la, e> fh.
#Ar\ oy#n dh+ oy$ metri* vQ a$pologhso*meua o%ti pro+Q to+ o/n pefykv+Q ei> h a<milla&suai
o% ge o>ntvQ filomauh*Q, kai+ oy$k e$ pime*noi e$pi+ toi& Q dojazome* noiQ ei#nai polloi& Q
e< ka*stoiQ, 490.b. a$ll\ i> oi kai+ oy$k a$mbly*noito oy$d\ a$polh*goi toy& e> rvtoQ, pri+ n
ay$toy& o= e> stin e< ka*stoy th&Q fy*sevQ a%casuai {} prosh*kei cyxh&Q e$ fa*ptesuai toy&
toioy*toy ± prosh*kei de+ syggenei& ± {} plhsia*saQ kai+ migei+ Q t{& o>nti o>ntvQ,
posto dell'infinito annunciato dal soggetto in accusativo troviamo una dichiarativa con v<Q e l'ellissi del verbo
essere. _ h# ga*r, ``o non eÁ cosõÁ?''. _ oy$koy&n ... dielhly*uamen;, ``dunque non
abbiamo esaminato a fondo la causa
dell'inutilitaÁ dei saggi?'': dielhly*uamen:
l'idea del ``passare attraverso'' (dia-)
implica quella di una verifica ``penetrante''. _ th&Q de+ tv&n pollv&n ... dei& jai,
``vuoi (boy*lei) che esaminiamo in seguito la causa necessaria (th+n a$na*gkhn)
della malvagitaÁ dei piuÁ, e che cerchiamo di dimostrare, se potremo (a/n
dynv*meua), che nemmeno di questo
la filosofia eÁ causa?''; boy*lei presenta
la desinenza in -ei alla 2a persona singolare del medio al posto di quella piuÁ
diffusa in -|; da boy*lei dipende il
cong. sostantivo die* luvmen, senza
congiunzione come nel lt. visne percurramus, cui si coordina il seguente peirauv&men; th+n a$na*gkhn, lett. ``la necessitaÁ''; a/n dynv*meua: protasi di periodo
ipotetico dell'eventualitaÁ.
489.e. a$koy*vmen dh+ kai+ le*gvmen,
``ascoltiamo e parliamo'': cong. esortativi. _ e$kei& uen ... e$so*menon, ``rifacendoci con la memoria a questo punto da
dove (o%uen) esaminavamo (di|&men) quale deve essere (a$na*gkh fy&nai, con sott.
e$ sti) per natura colui che saraÁ (to+n ...
e$ so*menon) eccellente (kalo*n te ka$gauo*n)''; e$ kei& uen a$namnhsue* nteQ, lett.
628
``cominciando a ricordare da laÁ'': l'idea
del punto da cui si inizia eÁ suggerita dal
preverbio a$na-; di|&men: impf. att. 1a pl.
da di* eimi (ei#mi), usato come variante
sinonimica di die* rxomai; kalo*n te ka$gauo*n: l'espressione tradizionale per
indicare l'eccellenza di sangue viene
qui attribuita all'intellettuale compiuto, il filosofo.
490.a. h<gei& to, ``lo guidava'', nella discussione che precede questa e la introduce. _ ei$ n{& e>xeiQ, ``se ricordi'', si memoria tenes: n{& eÁ dat. strumentale. _ h=n
div*kein ... e>dei, h/ ... metei& nai, ``che bisognava che egli perseguisse (div*kein) in
tutto e per tutto (pa*ntvQ kai+ pa*nt|), ovvero, se si fosse dimostrato un millantatore (a$lazo*ni o>nti), che non partecipasse
(metei& nai) in alcun modo della vera filosofia''; anche se e> dei eÁ inserito in una
delle due coordinate, regge sia div*kein
sia metei& nai; pa*ntvQ kai+ pa*nt|: poliptoto?; come nella forma italiana ``in tutto
e per tutto'', il rafforzamento espressivo
eÁ dato dall'accumulazione dei due termini semanticamente tra loro non differenziati; a$lazo*ni o>nti: il dat. eÁ richiesto
dall'impersonale metei& nai (me* testi* moi*
tinoQ, ``a me eÁ parte di qualcosa'', con
dat. di possesso e gen. partitivo; il part. eÁ
congiunto; a$lazv*n era, nel linguaggio
diffuso dalla commedia nuova, il ``(soldato) fanfarone'' che vantava imprese
straordinarie e incredibili (cosõÁ si intito-
lava la commedia di Difilo da cui Plauto
trasse il suo Miles gloriosus); mhdam|&, ``per
nulla'': locuzione avverbiale. _ oy$koy&n
... ay$toy&, ``dunque questo (toy&to) eÁ qualcosa (e% n) molto contrario (para+ do*jan) a
cioÁ che ora si pensa (toi& Q dokoyme*noiQ)
su di lui?''; para+ do*jan regge il dat. di
relazione toi& Q dokoyme*noiQ; l'opinione
corrente sul filosofo eÁ proprio che egli
sia un a$lazv*n. _ a#r\ oy#n ... e<ka*stoiQ,
``forse dunque non prenderemo opportunamente (metri* vQ) la difesa, (dicendo)
che il vero amante della sapienza eÁ disposto per natura (pefykv+Q ei> h) a combattere per cioÁ che eÁ (pro+Q to+ o>n) e non si
arresta (oy$k e$ pime* noi) ai molti singoli
oggetti (polloi& Q e< ka*stoiQ) che hanno
l'apparenza di essere''; a#r\ oy#n, num, introduce l'interrogazione diretta, che
prevede risposta negativa in relazione
a metri* vQ: ``non prenderemo dunque
opportunamente'', quindi ``saraÁ dunque
una difesa opportuna quella che faremo
dicendo che ...''; pefykv+Q ei> h, e$ pime* noi:
ott. obliqui; qui Socrate riprende un
pensiero giaÁ precedentemente espresso.
490.b. a$ll\ i> oi ... pri+ n d\ oy$, ``ma procede e non si fiacca (a$mbly*noito) e
non cessa dal suo desiderio (a$polh*goi
toy& e> rvtoQ), prima di aver toccato
(a%casuai) la natura di ciascuna cosa
qual eÁ (e< ka*stoy ay$toy& o% e$ stin), con
quella parte dell'anima con cui conviene toccare simile cosa ({} ... toy&
490.c. h<goyme*nhQ ... a$koloyuh&sai,
``se la veritaÁ facesse da guida, credo,
diciamo che non le si potrebbe mai
(oy$k ... pote) accompagnare un coro
di vizi'': in dipendenza da fame* n abbiamo un periodo ipotetico della possibilitaÁ, la cui protasi eÁ rappresentata dal
gen. assoluto h<goyme* nhQ ... a$lhuei* aQ.
_
a$ll\ y<gie*Q ... e%pesuai, ``ma (l'accompagnerebbe) un costume sano e giusto,
al quale si accompagna anche la temperanza'': anche la relativa ha l'inf.,
come se il suo predicato fosse un verbo
di dire, ``al quale (diciamo che) si accompagna''. _ kai+ dh+ ... ta*ttein, ``e che
bisogno c'eÁ di disporre nuovamente da
capo, costringendole, le altre virtuÁ che
accompagnano la natura del filosofo?'';
to+n a>llon ... xoro*n, lett. ``il rimanente
coro della natura del filosofo''; a$nagka*zonta, ``costringendole'': riferito al
sogg. sottinteso di ta*ttein. _ me*mnhsai
... mnh*mh, ``ricordi infatti, credo (poy),
che risultoÁ (syne* bh) conveniente
(prosh&kon) a questi il valore, la magnanimitaÁ, la facilitaÁ di apprendere, la memoria'': poy, lett. ``in qualche modo'',
sfuma il concetto della frase; prosh&kon: il neutro, pur riferito a quattro
soggetti femminili, generalizza l'idea.
testi
dopo aver generato intelligenza e veritaÁ (gennh*saQ ... a$lh*ueian), acquista
conoscenza (gnoi* h) e vive veramente
e si nutre (tre* foito) e cosõÁ eÁ liberato
dalla doglia, non prima''; a$mbly*noito:
il verbo propriamente significa all'attivo ``affievolire'', ``ottundere''; toy&
e> rvtoQ: la ricerca della veritaÁ, per l'anima del filosofo, eÁ un vero e proprio
eros che la sconvolge e si placa solo
con la congiunzione dell'anima con
l'idea e la generazione del pensiero e
della veritaÁ; {} ... toioy*toy 4 e$ kei* n{
cyxh&Q {}, ``con quella parte dell'anima
con cui'': il pronome relativo assorbe
il suo antecedente dimostrativo; de+
syggenei& : tra le tre parti dell'anima
quella cui spetta accostarsi all'idea eÁ
naturalmente quella intelligibile, come viene precisato nell'inciso prosh*kei de+ syggenei& ; migei* Q: l'unione dell'anima e dell'idea eÁ indicata proprio
con il verbo dell'unione sessuale, e
da questa unione vengono generate
``intelligenza e veritaÁ (noy&n kai+ a$lh*ueian); gnoi* h: l'aoristo indica l'istantaneitaÁ dell'atto della conoscenza che
si consegue con questa mistica unione; a$lhuv&Q: solo la vita nella conoscenza eÁ vera vita per l'anima; v$di& noQ:
propriamente la doglia del parto, che
cessa nel momento in cui la nuova
creatura viene alla luce. _ v<Q ... metriv*tata, ``eÁ la difesa piuÁ opportuna'', lett. ``quanto piuÁ opportunamen-
te possibile''. _ toy*t{ ti ... misei& n, ``a
costui toccheraÁ (mete* stai) di amare la
menzogna o, al contrario, di odiarla
totalmente'': ormai superato il picco
della definizione teorica che ha illustrato l'immagine del pilota, le conclusioni procedono con un discorso
piuÁ agevole.
Repubblica
toioy*toy) ± e si addice alla parte che le
eÁ affine (prosh*kei de+ syggenei& ) ± con
la quale, accostatosi e unito (migei* Q) a
cioÁ che eÁ veramente (t{& o>nti o>ntvQ),
Platone
gennh*saQ noy&n kai+ a$lh*ueian, gnoi* h te kai+ a$lhuv&Q z{*h kai+ tre* foito kai+ oy%tv
lh*goi v$di& noQ, pri+ n d\ oy>;
< VQ oi}o*n t$, e> fh, metriv*tata.
Ti* oy#n; toy*t{ ti mete*stai cey&doQ a$gapa&n h/ pa&n toy$nanti* on misei& n;
Misei& n, e> fh.
490.c. < Hgoyme* nhQ dh+ a$lhuei* aQ oy$k a>n pote oi#mai fame+ n ay$t|& xoro+n kakv&n
a$koloyuh&sai.
Pv&Q ga*r;
$All\ y<gie* Q te kai+ di* kaion h#uoQ, {} kai+ svfrosy*nhn e% pesuai.
$ Oruv&Q, e> fh.
Kai+ dh+ to+n a>llon th&Q filoso*foy fy*sevQ xoro+n ti* dei& pa*lin e$ j a$rxh&Q a$nagka*zonta ta*ttein; me* mnhsai ga*r poy o%ti syne* bh prosh&kon toy*toiQ a$ndrei* a, megalopre*peia, ey$ma*ueia, mnh*mh " 490.d. kai+ soy& e$pilabome*noy o%ti pa&Q me+n a$nagkasuh*setai o<mologei& n oi}Q le* gomen, e$ a*saQ de+ toy+Q lo*goyQ, ei$ Q ay$toy+Q a$poble*caQ
peri+ v}n o< lo*goQ, fai* h o<ra&n ay$tv&n toy+Q me+ n a$xrh*stoyQ, toy+Q de+ polloy+Q kakoy+Q
pa&san kaki* an, th&Q diabolh&Q th+n ai$ ti* an e$ piskopoy&nteQ e$ pi+ toy*t{ ny&n gego*namen, ti*
pou\ oi< polloi+ kakoi* , kai+ toy*toy dh+ e% neka pa*lin a$neilh*famen th+n tv&n a$lhuv&Q
filoso*fvn fy*sin kai+ e$ j a$na*gkhQ v<risa*meua. 490.e. > Estin, e> fh, tay&ta.
490.d. soy& e$pilabome*noy ... v<risa*meua, ``e quando tu obiettavi (soy& e$ pilabome* noy) che ognuno saraÁ costretto a
consentire a cioÁ che (oi}Q 4 toy*toiQ a%)
diciamo, ma, lasciando i discorsi e volgendo lo sguardo (a$poble* caQ) alle persone stesse di cui si parla (peri+ v}n o<
lo*goQ) affermava (fai* h) di vedere alcuni di loro inutili, e i piuÁ malvagi di ogni
forma di malvagitaÁ (kakoy+Q pa&san kaki* an), noi, indagando la causa di questa
accusa (th&Q diabolh&Q), siamo giunti ora
a questo punto, (di vedere) in che i piuÁ
sono malvagi, e per questo abbiamo
ripreso (pa*lin a$neilh*famen) la natura
dei veri filosofi e l'abbiamo definita
conforme a necessitaÁ (e$ j a$na*gkhQ)'';
oi}Q 4 toy*toiQ a%: attrazione del relativo;
peri+ v}n o< lo*goQ, lett. ``riguardo ai quali
(eÁ) il discorso''; fai* h: dipendente da
me* mnhsai ... o%ti, con l'ott. obliquo; (e$ j
a$na*gkhQ, ``come di necessitaÁ deve essere''). Colui che ha ricevuto una vera
educazione filosofica assommeraÁ necessariamente dunque in se le piuÁ nobili virtuÁ, ma esiste, almeno in prospettiva, anche per questi la possibilitaÁ
della corruzione: in questo caso anche
le anime meglio dotate da natura, incontrando una perversione della vera
educazione, possono divenire pessime: come nel percorso formativo delineato finora si prospettava la figura
di Socrate, maestro dell'eros ideale,
come apprendiamo dal Simposio, cosõÁ
nella possibilitaÁ della corruzione si avverte la presenza della negazione dell'eros per la veritaÁ, impersonata in Alcibiade.
629
traduzione d'autore
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
487.b. Al che intervenne Adimanto: «O Socrate, su tale materia nessuno potrebbe
coglierti in fallo, e d'altra parte eÁ questa l'impressione che ricava ogni volta chi ascolta
le tue parole. Costoro sono convinti che, per la loro incapacitaÁ a porre problemi e a
fornire risposte, ad ogni tua domanda siano impercettibilmente dirottati dalla giusta
linea di discorso, siccheÂ, mettendo insieme uno dopo l'altro questi spostamenti, per
quanto piccoli essi siano, alla fine ne vien una gran deviazione, al punto che uno si
trova in contraddizione con le premesse da cui eÁ partito. Avviene come nel gioco degli
scacchi, quando un giocatore veramente capace prima o poi finisce col metterne in
trappola uno inesperto, non lasciandogli piuÁ alcuna mossa possibile; 487.c. allo stesso
modo i tuoi uditori finiscono col trovarsi con le spalle al muro e restano privi di
argomenti da giocare su questa strana scacchiera fatta non di pedine, ma di ragionamenti; e tutto cioÁ non torna certo utile alla veritaÁ.
«Dico cioÁ, riferendomi al caso presente. A tal punto uno dovrebbe riconoscere di
non aver piuÁ nessuna argomentazione da contrapporre in via teorica ai tuoi quesiti,
salvo far vedere nella pratica come tutti quelli che, dopo aver studiato la filosofia nel
loro programma scolastico non se ne sono ritratti in tempo, quando erano ancora
giovani, 487.d. ma vi hanno insistito troppo a lungo, siano per lo piuÁ divenuti
stravaganti per non dire assolutamente disgraziati. E pure quelli che sembrano i
piuÁ normali traggono questo bel vantaggio da tale disciplina che tu vai lodando:
d'essere inutili allo Stato».
E io, intese queste parole, domandai: «Credi, dunque, che chi sostiene una tal tesi si
inganni?».
«Non saprei -- disse --, ma ascolterei volentieri la tua posizione».
487.e. «In tal caso, mi sentirai affermare che, a mio giudizio, essi dicono la veritaÁ».
«Allora -- obiettoÁ --, che senso ha dire che gli Stati non avranno tregua dalle loro
sciagure finche i filosofi non prenderanno il potere, se poi concordiamo sul fatto che eÁ
gente politicamente inutile?».
«La tua domanda -- gli risposi -- richiede che io risponda per metafore».
«E tu? -- osservoÁ -- non sei certo abituato ad esprimerti per immagini».
«E che? -- esclamai --. Oltre ad avermi intrappolato in una argomentazione cosõÁ
complessa, ora mi prendi anche in giro? 488.a. Ma sta' un po' attento a questa
immagine, cosõÁ potrai ancor meglio renderti conto di come io mi trovi a disagio in
un discorso per immagini.
«D'altra parte, gli uomini che sono piuÁ adatti al comando, hanno attualmente un
rapporto cosõÁ difficile con lo Stato da non aver precedenti. Per tal motivo eÁ necessario
che chi vuol difenderli, migliorando la loro immagine, raccolga elementi dai punti piuÁ
disparati, come fanno i pittori che dalla fusione di diversi particolari tirano fuori la
figura degli ircocervi e di altri mostri del genere.
«Supponi che su molte navi -- ma anche su una sola nave -- si verifichi una scena del
genere. Da una parte c'eÁ un capitano che pur superando tutto l'equipaggio 488.b. in
forza e in prestanza fisica eÁ un po' sordo, un po' miope, e, oltre a cioÁ, poco esperto
nelle tecniche della navigazione. Da un'altra parte ci sono i marinai fra loro in
perenne disaccordo su come gestire la nave, ciascuno ritenendosi in diritto di far
da nocchiero anche se digiuno di quest'arte; a tal proposito non saprebbero neÂ
indicare il loro maestro, ne il tempo in cui avrebbero appreso le tecniche di navigazione. Anzi, asserendo che detta arte non eÁ in linea di massima insegnabile, costoro
sarebbero pronti a malmenare chiunque sostenesse il contrario. Immagina, a tal
punto, che questi marinai circondino senza tregua 488.c. il nocchiero pretendendo
e facendo ogni genere di pressione perche sia loro affidato il timone. E se per caso
talvolta non riuscissero a convincerlo e altri, in vece loro, la spuntassero, essi non
esiterebbero a ucciderli oppure a buttarli in mare, in modo tale -- quand'anche il buon
capitano fosse stato drogato con la mandragola o ubriacato o comunque messo fuori
gioco con qualche altro mezzo -- da avere il dominio incontrastato del vascello per
630
Platone
Repubblica
testi
poter disporre dei viveri: a tali condizioni, essi navigherebbero fra libagioni e gozzoviglie, come eÁ nel loro stile.
«Oltre a cioÁ, questa ciurma 488.d. tesserebbe ogni elogio, e darebbe il titolo di lupo
di mare, di nocchiero, di esperto navigatore a chiunque fosse stato capace di favorire
le sue richieste di potere, convincendo o costringendo il capitano, e invece taccerebbe
di inefficienza chi non si fosse comportato in tal modo. Purtroppo, questi individui
non comprendono minimamente che un vero nocchiero, se vuole seriamente che la
sua nave sia ben condotta, non puoÁ non tener conto del clima, delle stagioni, del cielo
e degli astri, e cosõÁ pure dei venti e di tutto cioÁ che attiene alla sua arte.
«In veritaÁ, a loro preme solo ottenere il comando 488.e. con o senza l'approvazione di una parte o dell'altra della ciurma, e, indipendentemente dal fatto che allo
scopo non possiedano alcuna conoscenza ne teorica ne pratica, e questo perche sono
convinti di poter apprendere l'arte della navigazione nel momento in cui ne assumano
il comando. Orbene, stando cosõÁ le cose sulla nave, non credi tu che anche un fior di
capitano finirebbe col meritarsi il titolo di acchiappanuvole, e di inconcludente
chiacchierone, da parte dei marinai di un vascello cosõÁ mal combinato?».
«Proprio cosõÁ», rispose Adimanto.
489.a. «Da parte mia -- osservai -- non credo affatto che tu abbia bisogno di
un'ulteriore spiegazione di questa metafora, e di come rappresenti il rapporto fra lo
stato e i veri filosofi; spero, anzi che sia riuscito a comprendere quello che intendo dire».
«Molto bene», rispose.
«Pertanto -- ripresi --, a quel tale che si meraviglia perche i filosofi sono poco
apprezzati nelle cittaÁ, in primo luogo fa' interpretare questa immagine e poi cerca
di convincerlo che, semmai, sarebbe molto piuÁ strano che essi fossero onorati». 489.b.
«CercheroÁ di farglielo capire», disse.
«Inoltre, spiega a quel tipo che dicevi il vero quando sostenevi che i piuÁ versati nella
filosofia sono anche i piuÁ inutili; ma la responsabilitaÁ di questa inutilitaÁ attribuiscila a
chi non sa servirsi di loro, e non a questi altri che, invece, sono all'altezza del proprio
ruolo.
«E, del resto, non eÁ nell'ordine delle cose che un capitano implori dai suoi marinai il
permesso di guidarli, ne che il sapiente vada a battere alla porta dei ricchi; e chi ha
detto questa battuta lo ha fatto a sproposito. La veritaÁ eÁ che tocca al malato -- ricco o
povero che sia -- 489.c. recarsi alla porta del medico, e cosõÁ pure a chi eÁ privo di guida
bussare alla porta di colui che potrebbe guidarlo. Il caso contrario, e cioeÁ che il
conduttore abbia bisogno di chi deve essere condotto per condurlo, non si daraÁ
mai, almeno se si prefigge di ottenere un qualche risultato utile. E, tuttavia, non sei
fuori strada, se paragoni i politici dei nostri giorni a quei marinai di cui abbiamo detto,
e gli uomini che quelli definiscono acchiappanuvole e buoni a nulla ai veri nocchieri».
«Benissimo», disse lui.
«Dunque, per i motivi suddetti, non eÁ certo facile che, in questo campo, il comportamento piuÁ serio possa godere i favori di chi vive in maniera esattamente opposta.
E peroÁ, l'insidia piuÁ grave e micidiale per la filosofia viene da coloro che fingono di
coltivarla. 489.d. Ed eÁ proprio riferendomi a questi che io mi dichiaravo d'accordo
con te quando giustamente ti facevi portavoce dell'accusa alla filosofia: dicevi, infatti,
che la maggior parte dei filosofi eÁ costituita da pessimi elementi, e quelli che pur
sarebbero i migliori risultano persone inutili. O non eÁ vero?».
«SõÁ, eÁ vero».
«Con cioÁ ritieni che si sia trattato a sufficienza del fatto che i migliori non vengano
utilizzati?».
«Certamente».
«Dopo questo, vuoi che trattiamo della necessitaÁ che i piuÁ siano malvagi e che
cerchiamo, nel limite delle nostre possibilitaÁ, di fornire la prova che cioÁ non puoÁ essere
imputato alla filosofia?».
«Assolutamente».
631
489.e. «Facciamo, dunque, attenzione e nel discorso riportiamoci a quel punto in
cui abbiamo illustrato la natura tipica dell'uomo di perfetta virtuÁ. 490.a. Se ben ti
ricordi, egli aveva come guida in primo luogo la veritaÁ che doveva perseguire in ogni
suo aspetto e ad ogni costo, pena l'esclusione dal campo della vera filosofia, come un
qualsiasi ciarlatano».
«Infatti avevamo detto proprio questo».
«E non eÁ giaÁ questa convinzione del tutto contro corrente rispetto a quanto oggi si
pensa del filosofo?».
«Altro che!», esclamoÁ.
«Sarebbe giaÁ un'adeguata difesa il sostenere che chi ama il sapere dev'essere per
natura proteso verso l'essere, 490.b. non perdendosi dietro alla molteplicitaÁ dei
particolari che eÁ oggetto di opinione, ma andandosene dritto per la sua via, senza
tentennamenti, senza desistere dal suo amore, finche non abbia colto nella sua essenza
l'essere di ciascun oggetto particolare con quella facoltaÁ dell'anima che eÁ destinata a
comprendere una tale realtaÁ; ed eÁ destinata a cioÁ perche eÁ della sua stessa natura. Ora,
non credi che solo per mezzo di questa facoltaÁ uno, accostandosi e fondendosi
intimamente con l'essere che eÁ veramente e generando intelligenza e veritaÁ, riuscirebbe a conoscere e quindi a vivere una vita autentica, e solo a questo punto, ma non
prima, grazie a un cibo nutriente, finalmente si libererebbe dalle doglie del parto?».
«Certo -- disse --, una difesa di tal genere sarebbe la piuÁ adatta».
«E che? In un uomo siffatto puoÁ trovar posto l'amore della menzogna, o non dovraÁ
piuttosto odiarla?».
«Certamente dovraÁ odiarla», ammise.
490.c. «Ora, quando alla guida eÁ la veritaÁ io credo che il seguito non possa essere
composto da un coro di vizi».
«Come pensarlo?».
«Ma da un costume integro e onesto, al quale si aggiunga la temperanza?».
«Questo va bene», disse.
«E dobbiamo forse di bel nuovo rimetterlo in fila questo resto del coro che segue la
natura del filosofo? Ti ricordi che a tali nature eravamo d'accordo di attribuire il
valore, la magnanimitaÁ, la facilitaÁ di apprendimento e la memoria. 490.d. Tu peroÁ a
un certo momento mi obiettavi che alle cose dette chiunque avrebbe dato il proprio
assenso; ma quando si fosse lasciata la teoria, per guardare in concreto alle persone di
cui si tratta, allora sarebbero apparsi in gran numero tristi figuri in tutto viziosi, o
comunque gente inutile. Ora noi, cercando il movente di una siffatta accusa, ci siam
fermati a questo punto: ossia a cercare la causa di una tale diffusa malvagitaÁ e, per far
cioÁ, abbiamo dovuto considerare di bel nuovo la natura dell'autentico filosofo e
definirla nei suoi caratteri necessari». 490.e. «EÁ andata proprio cosõÁ», ribadõÁ lui.
(Trad. R. Radice)
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
ANALISI DEL TESTO
" L'INTERLOCUTORE MESSO IN SCACCO Nel passo sono presenti termini che caratterizzano il diale* gesuai socratico
quale arte della domanda e della risposta: e$rvta&n,
e$rv*thma, a$pokri* nesuai. I primi due vocaboli vedono indebolito l'originario valore della radice er- che indica il
``manifestare'', ``ricambiare un segno'' quindi ``rendere
chiaro grazie alla parola'' e significano rispettivamente
``chiedere'' e ± con il suffisso -ma a significare l'azione e
l'effetto dell'azione ± ``domanda''. Il verbo a$pokri* nesuai,
invece, dalla radice kri- che troviamo anche in kri* siQ o in
krith*rion ``segno, norma, mezzo in base a cui giudicare'',
indica il ``rispondere'' dopo aver passato al vaglio, al setaccio (cf. lat. cribrum, ``crivello'', ``setaccio'').
632
Da notare, la prolessi del pronome toio*nde che ha lo
scopo di evidenziare lo smarrimento che vivono
quelli che ascoltano Socrate. Successivamente, saranno anche la comparazione e la scelta dei termini a
mettere sapientemente in parallelo il blocco sperimentato dai giocatori inesperti del gioco degli scacchi al blocco sperimentato dai destinatari del lo*goQ
Svkratiko*Q:
± oi< mh+ teleytv&nteQ ? sfei& Q teleytv&nteQ
± a$poklei* ontai ? a$poklei* esuai (sott. h<goy&ntai)
± kai+ oy$k e> xoysin o%ti fe* rvsin ? kai+ oy$k e> xein o%ti
le* gvsin
Repubblica
testi
15 Il mito della caverna
avvicini: ``O Socrate, avevo udito, prima ancora di incontrarmi con te, che tu non fai altro che dubitare e che
fai dubitare anche gli altri: ora, come mi sembra, mi affascini, mi incanti, mi ammalii completamente, cosõÁ che
son diventato pieno di dubbi. E mi sembra veramente, se
eÁ lecito celiare, che tu assomigli moltissimo, quanto alla
figura e quanto al resto, alla piatta torpedine marina.
Anch'essa, infatti, fa intorpidire chi le si avvicina e la
tocca: e mi pare che, ora, anche tu abbia prodotto su di
me un effetto simile. Infatti, veramente io ho l'anima e la
bocca intorpidite e non so piuÁ che cosa risponderti''
(Menone 80a-b; trad. G. Reale).
Platone
Á interessante notare come il
" UN MOTIVO RICORRENTE E
motivo dello smarrimento dell'interlocutore di Socrate
sia ricorrente nell'opera platonica. Si tratta dello smarrimento che sperimenta il bello e giovane Alcibiade, che
arriva ad ammettere: ``Socrate, per gli deÁi! Io non so
nemmeno piuÁ quello che dico, ma provo una sensazione
molto strana e anomala: nel momento in cui tu mi poni
delle domande, le cose mi appaiono ora in un modo, ora
in un altro'' (Alc. I 116e; trad. D. Puliga). Ed eÁ lo stesso
smarrimento che sperimenta il bello e giovane Menone
che, proprio per questo motivo, paragona Socrate a una
torpedine marina che fa intorpidire chiunque le si
(514a-516c)
L'esperienza dei nostri sensi, secondo Platone, eÁ assolutamente illusoria: questo concetto eÁ illustrato dal famoso
mito della caverna.
``Paragona a una condizione di questo genere la nostra natura per quanto concerne l'educazione e la mancanza di educazione. Immagina di vedere degli
uomini rinchiusi in una abitazione sotterranea a forma di caverna che abbia
l'ingresso aperto verso la luce, estendentesi in tutta la sua ampiezza per tutta
quanta la caverna; inoltre, che si trovino qui fin da fanciulli con le gambe e
con il collo in catene in maniera da dover stare fermi 514.b. e guardare solamente
davanti a seÂ, incapaci di volgere intorno la testa a causa di catene e che, dietro di
loro e piuÁ lontano arda una luce di fuoco. Infine, immagina che fra il fuoco e i
prigionieri ci sia, in alto, una strada lungo la quale sia costruito un muricciolo,
come quella cortina che i giocatori pongono tra se e gli spettatori, sopra la quale
fanno vedere i loro spettacoli di burattini''.
``Vedo'', disse.
514.c. ``Immagina, allora lungo questo muricciolo degli uomini portanti attrezzi di ogni genere, che sporgono al di sopra del muro, e statue 515.a. e altre figure
di viventi fabbricate in legno e in pietra e in tutti i modi; e inoltre, come eÁ naturale,
che alcuni dei portatori parlino e che altri stiano in silenzio''.
``Tratti di cosa ben strana ± disse ± e di ben strani prigionieri''.
Sono simili a noi ± ribattei ±. Infatti, credi innanzi tutto che vedano di se e degli
altri qualcos'altro, oltre alle ombre proiettate dal fuoco sulla parte della caverna
che sta di fronte a loro?''.
``E come potrebbero ± rispose ±, se sono costretti a tenere la testa immobile
515.b. per tutta la vita?''.
E degli oggetti portati non vedranno pure la loro ombra?''.
``E come no?''.
``Se, dunque, fossero in grado di discorrere fra di loro, non credi che riterrebbero come realtaÁ appunto quelle che vedono?''.
``Necessariamente''.
515.c. ``E se il carcere avesse anche un'eco proveniente dalla parete di fronte,
ogni volta che uno dei passanti proferisse parola, credi che essi riterrebbero che
cioÁ che proferisce parola sia altro se non l'ombra che passa?''.
``Per Zeus! ± esclamoÁ ±. No di certo''.
``In ogni caso ± continuai ±, riterrebbero che il vero non possa essere altro se
non le ombre di quelle cose artificiali''. ``Per forza'', ammise lui.
633
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
``Considera ora ± seguitai ± quale potrebbe essere la loro liberazione dalle catene
e la loro guarigione dall'insensatezza e se non accadrebbero loro le seguenti cose.
Poniamo che uno fosse sciolto e subito costretto ad alzarsi, a girare il collo, a
camminare e a levare lo sguardo in su verso la luce e, facendo tutto questo,
provasse dolore, e per il bagliore fosse incapace di riconoscere quelle cose delle
quali prima 515.d. vedeva le ombre; ebbene, che cosa credi che risponderebbe,
se uno gli dicesse che mentre prima vedeva solo vane ombre, ora, invece, essendo
piuÁ vicino alla realtaÁ e rivolto a cose che hanno piuÁ essere, vede piuÁ rettamente, e,
mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse a rispondere
facendogli la domanda `che cos'eÁ?'? Non credi che egli si troverebbe in dubbio
e che riterrebbe le cose che prima vedeva piuÁ vere di quelle che gli mostrano
ora?''.
``Molto'', rispose.
515.e. ``E se uno poi lo sforzasse a guardare la luce medesima, non gli farebbero
male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso quelle cose che puoÁ
guardare, e non riterrebbe queste veramente piuÁ chiare di quelle mostrategli?''.
``EÁ cosõÁ'', disse.
Ed io di rimando: ``E se di laÁ uno lo traesse a forza per la salita aspra ed erta, e
non lo lasciasse prima di averlo portato alla luce del sole, forse non soffrirebbe e
516.a. non proverebbe una forte irritazione per essere trascinato e, dopo che sia
giunto alla luce con gli occhi pieni di bagliore, non sarebbe piuÁ capace di vedere
nemmeno una delle cose che ora sono dette vere?''.
``Certo ± disse ±, almeno non subito''.
``Dovrebbe, invece, io credo, farvi abitudine, per riuscire a vedere le cose che
sono al di sopra. E dapprima, potraÁ vedere piuÁ facilmente le ombre e, dopo
queste, le immagini degli uomini e delle altre cose riflesse nelle acque e, da ultimo,
le cose stesse. Dopo di cioÁ potraÁ vedere piuÁ facilmente quelle realtaÁ che sono nel
cielo e il cielo stesso di notte, guardando la 516.b. luce degli astri e della luna,
invece che di giorno il sole e la luce del sole''.
``Come no?''.
``Per ultimo, credo, potrebbe vedere il sole e non le sue immagini nelle acque o
in un luogo esterno ad esso, ma esso stesso di per se nella sede che gli eÁ propria, e
considerarlo cosõÁ come esso eÁ''.
``Necessariamente'', ammise.
``E, dopo questo, potrebbe trarre su di esso le conclusioni, ossia che eÁ proprio lui
che produce le stagioni e gli anni e che governa tutte le cose 516.c. che sono nella
regione visibile e che, in certo modo, eÁ causa anche di tutte quelle realtaÁ che lui e i
suoi compagni prima vedevano''.
``EÁ evidente ± disse ±, che, dopo le precedenti, giungerebbe proprio a queste
conclusioni''. ``E allora quando si ricordasse della dimora di un tempo, della
sapienza che qui credeva di avere e dei suoi compagni di prigionia, non crederesti
che sarebbe felice del cambiamento, e che proverebbe compassione per quelli?''.
``Certamente''.
``E se fra quelli c'erano onori ed encomi, e premi per chi mostrava la vista piuÁ
acuta nell'osservare le cose che passavano, e ricordava maggiormente quali di esse
fossero solite passare per prime o per ultime 516.d. o insieme e quindi dimostrasse
grandissima abilitaÁ nell'indovinare che cosa stesse per arrivare, credi che costui
potrebbe provare ancora desiderio di cioÁ o che invidierebbe coloro che sono
onorati o che hanno potere presso quelli? Non pensi invece che accadrebbe
quanto dice Omero, e che di molto preferirebbe vivere sopra la terra a servizio
634
Platone
di un altro uomo senza ricchezze1 e patire qualsiasi cosa, anziche ritornare ad avere
quelle opinioni e vivere in quel modo?''
EÁ cosõÁ ± disse ±. Io credo che egli soffrirebbe qualsiasi cosa piuttosto che vivere
in quel modo''.
(Trad. R. Radice)
Repubblica
1. sopra la terra ... senza ricchezze:
Odissea, XII, 489.
testi
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. L'immagine della caverna eÁ un'allegoria. Analizzane i singoli elementi sulla base di questo schema:
IMMAGINE
SIGNIFICATO
caverna
condizione di chi conosce attraverso i sensi...
prigionieri
....................................................................................
muro
....................................................................................
ombre
....................................................................................
salita
....................................................................................
sole
....................................................................................
Elabora quindi uno scritto di 10 righe per spiegare il significato complessivo dell'allegoria.
STILE E RETORICA
2. Lo stile di Platone mira alla ``visualizzazione'' del reale. Passando dal codice della lingua scritta a quello grafico
e basandoti esclusivamente sui dati forniti dal testo, realizza un disegno che visualizzi l'ambiente della
caverna cosõÁ come eÁ presentato in 514a-516c.
Per approfondire
La forza del mito in Platone
Platone eÁ stato grande creatore di miti: noti a tutti sono i
miti della biga alata (Fedro 246a-d), quello del soldato Er
(a rappresentare, come in una visione, il destino dell'anima dopo la morte, Repubblica 614a-621d) o, ancora, quello della Caverna (che raffigura la condizione
degli uomini e dice della loro conoscenza limitata e
parziale, Repubblica 514a-517a).
Il mito platonico si caratterizza per il fatto di esprimere
in immagini le profonditaÁ della riflessione della ragione
umana e di rivolgersi alla componente irrazionale dell'animo del destinatario. Il mito cosõÁ inteso eÁ radicalmente
diverso dal mito tradizionale, peraltro ritenuto profondamente diseducativo: Platone, infatti, non si rifaÁ a storie
note, collettivamente condivise, ma diventa egli stesso
creatore di ``storie'' originali.
GiaÁ gli antichi si chiedevano quali fossero le ragioni di
questa sua particolare creazione: l'epicureo Colote, per
esempio, rimproverava al filosofo ateniese il fatto di impiegare il mito perche in contraddizione con se stesso,
ricorreva a storie menzognere e non si preoccupava di
dimostrare per via razionale una veritaÁ scientifica.
Lo studioso italiano Cerri, ribadisce che la questione
del mito in Platone eÁ particolarmente complessa e si
sofferma, nello specifico, sugli effetti del mito sul destinatario. La persuasione operata dal mito eÁ, infatti, di
tipo particolare ``una persuasione che si opera tra le
nebbie dell'inconscio, piuÁ che alla luce della coscienza, perche l'ascoltatore, in questo caso, non si
rende conto di essere destinatario di un discorso
persuasivo, ma crede di ascoltare per diletto un racconto verace sul passato. E, a differenza del discorso
di un oratore, il mito non produce nel pubblico un
cambiamento repentino di opinione, un'adesione immediata, e magari effimera, bensõÁ un'assuefazione
progressiva, inavvertita e duratura ai messaggi depositati'' (G. Cerri, Platone sociologo della comunicazione,
Argo, Lecce 1996, p. 84).
Indipendentemente dagli effetti che il mito sortisce,
resta comunque da ribadire che mito e filosofia, di fatto,
rispondono entrambi ad un medesimo bisogno: l'esigenza di suscitare meraviglia.
Lo stesso Aristotele, che ha visto nella meraviglia
l'origine della filosofia (dia+ ga+r to+ uayma*zein oi<
a>nurvpoi kai+ ny&n kai+ to+ prv&ton h>rjanto filosofei& n,
Metafisica 982b) osserva che ``anche colui che ama il
mito eÁ, in certo qual modo, un filosofo'' (ibidem).
635
16 L'idea del Bene
(517c-521b)
Proseguendo nella sua indagine, Socrate illustra l'educazione piuÁ adatta per la natura eletta del filosofo. Questa
dottrina suprema, me* giston ma*uhma, costituisce la relazione delle singole virtuÁ con il principio che le raccoglie e le
origina: questo principio eÁ il Bene, che viene presentato con l'immagine della Luce; una luce, anzitutto intellettuale e quindi fisica, che eÁ immagine della prima. Il processo che consente questa ascesa verso l'idea del Bene
eÁ rappresentato, come abbiamo visto a p. 633, dal mito della caverna.
517.c. Ad ogni buon conto, questa eÁ la mia opinione: nel mondo delle realtaÁ
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
conoscibili l'Idea del Bene viene contemplata per ultima e con grande difficoltaÁ.
Tuttavia, una volta che sia stata conosciuta non si puoÁ fare a meno di dedurre, in
primo luogo, che eÁ la causa universale di tutto cioÁ che eÁ buono e bello -- e
precisamente, nel mondo sensibile, essa genera la luce e il signore della luce, e
in quello intelligibile procura, in virtuÁ della sua posizione dominante, veritaÁ e
intelligenza -- e, in secondo luogo, che ad essa deve guardare chi voglia avere una
condotta ragionevole nella sfera pubblica e privata».
«Sono d'accordo con te: -- ammise --, almeno nella misura in cui mi riesce di
seguirti».
«Allora -- aggiunsi io --, concordi con me che non vi sia nulla di strano che
persone che si sono elevate fino a tali vertici non vogliano piuÁ impegnarsi in
imprese umane, ma che nel loro animo sempre siano attratti e sollecitati a tornare
lassuÁ. 517.d. E cioÁ eÁ perfettamente logico, se ci si deve attenere alla metafora sopra
illustrata».
«Certo, eÁ logico», convenne.
«E poi -- dissi -- ti sembrerebbe strano se qualcuno che discende dalla contemplazione delle realtaÁ divine ai fatti umani rischia di far una brutta figura, di
apparire del tutto ridicolo, quando, muovendosi a tentoni, prima ancora di esser
riuscito ad abituarsi alla presente oscuritaÁ eÁ costretto nei tribunali o in altro luogo
a scendere in lizza solo per un'ombra di giustizia o per quel simulacro che proietta
quell'ombra 517.e. e a stare a discutere sul modo in cui queste apparenze debbano essere interpretate da chi non ha mai visto la Giustizia in seÂ?».
«Non ci sarebbe proprio nulla da meravigliarsi», disse.
518.a. «Ma -- ripresi -- se uno ha un po' di senno dovrebbe ricordare che ci sono
due tipi di disturbi agli occhi con due cause diverse: quel disturbo che affligge la
vista quando si passa dalla luce al buio e quello che l'affligge quando si passa dal
buio alla luce.
«Ora, si deve immaginare che qualcosa di analogo succeda anche per l'anima,
sicche quando se ne incontri una in difficoltaÁ perche eÁ incapace di vedere, non se
ne dovrebbe ridere stoltamente, ma prima bisognerebbe verificare se essa per caso
non sia di ritorno da un mondo piuÁ luminoso e si trovi con la vista annebbiata
perche non ancora avvezza all'oscuritaÁ, oppure se non stia passando da una
condizione di maggiore ignoranza ad una di piuÁ viva conoscenza cosõÁ da essere
completamente trafitta da luce abbagliante. 518.b. In tal senso egli dovrebbe, nel
caso di quest'anima, congratularsi con essa per quanto le sta accadendo e per la
vita hche la attendei, nel caso dell'altra dovrebbe aver compassione. E se proprio
non potesse trattenersi dal ridere, sappia che, diretto a quest'ultima anima, il suo
riso sarebbe comunque meno ridicolo che non se fosse indirizzato all'altra anima,
quella discesa dall'alto e dalla luce.
«Conviene ritenere -- dissi io -- che, se quanto si eÁ detto eÁ vero, l'educazione non
sia quale la dipingono alcuni, che ne fanno professione. Dicono, infatti, che pur
636
Platone
Repubblica
testi
non essendoci nell'anima la conoscenza, 518.c. essi ve la immettono, come se
immettessero la vista in occhi ciechi».
«Effettivamente lo sostengono», ammise.
«Invece -- continuai --, il mio ragionamento mostra che questa facoltaÁ presente
nell'anima di ognuno e l'organo con cui ognuno apprende, proprio come l'occhio,
non sarebbe possibile rivolgerlo dalla tenebra alla luce se non insieme con tutto il
corpo, cosõÁ bisogna girarlo via dal divenire con tutta intera l'anima, fino a che non
risulti capace di pervenire alla contemplazione dell'essere e al fulgore supremo
dell'essere; ossia questo che diciamo essere Bene. 518.d. O no?».
«SõÁ».
«Di cioÁ, ossia di questa conversione -- dissi io --, ci puoÁ essere un'arte, che
insegni in che modo l'anima possa essere piuÁ facilmente e piuÁ efficacemente
girata. E, quindi, non si tratta dell'arte di immettervi la vista, ma di metterci
mano, tenuto conto che essa giaÁ la possiede, ma non riesce a volgerla nella giusta
direzione, ne a vedere quel che dovrebbe».
«CosõÁ sembra», disse.
«Dunque, le altre virtuÁ che sono dette dell'anima puoÁ darsi che si avvicinino a
quelle del corpo -- esse, infatti, 518.e. non preesistono al corpo, ma vi vengono in
seguito infuse attraverso l'abitudine e l'esercizio --, invece, la virtuÁ dell'intelligenza
piuÁ di ogni altra, a quanto pare, eÁ connessa a qualcosa di piuÁ divino, che non
perde mai la propria potenza, 519.a. ma diventa utile o giovevole o, al contrario,
inutile e dannosa, a seconda della piega che le si daÁ. O non hai notato che
l'animuccia di coloro che sono detti malvagi, ma che sono intelligenti, vede in
modo penetrante e distingue acutamente le cose alle quali si rivolge, in quanto ha
la vista non cattiva, bensõÁ asservita alla malvagitaÁ, di guisa che quanto piuÁ acutamente vede, tanto maggiori mali produce?».
«Certamente», disse.
«Pertanto -- ripresi --, se ad una siffatta natura a partire dall'infanzia venissero
tagliati tutt'intorno questa specie di 519.b. pesi di piombo collegati con il divenire
-- e del resto sono essi che, attaccandosi a tale natura mediante i cibi, i piaceri e le
mollezze di tal genere, trascinano in basso il suo sguardo --, e se, liberandosi da
essi, si convertisse alla veritaÁ, ebbene questa medesima natura di tali uomini
vedrebbe nella maniera piuÁ acuta anche queste cose, esattamente come ora vede
quelle alle quali eÁ volta».
«EÁ naturale», ammise lui.
«E che? -- dissi --. Non ti sembra che sia naturale e che sia strettamente connesso
con quello che si eÁ detto che gente ignorante e senza alcuna esperienza della veritaÁ
non potrebbe mai amministrare in un modo decente uno Stato; 519.c. e che
neppure lo potrebbero coloro che sono stati lasciati fino alla fine a studiare? I
primi, in effetti non hanno nella vita neppure un ideale, ispirandosi al quale poter
conformare tutto il proprio comportamento sia in pubblico che in privato; gli altri,
invece, fosse per loro, non prenderebbero alcuna iniziativa, ritenendo di essere
migrati, ancora in vita, nelle isole dei beati».
«EÁ vero», ammise.
«Pertanto -- continuai --, saraÁ nostro preciso dovere di fondatori dello Stato
costringere le nature piuÁ dotate a indirizzarsi verso quella che prima avevamo
definito conoscenza massima -- ossia la visione del Bene -- e a incamminarsi per
quella erta salita. 519.d. PeroÁ, saraÁ anche nostro dovere, una volta che siano
arrivati in cima ed abbiano contemplato quanto basta, non permettere loro cioÁ
che oggi eÁ concesso».
637
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
«E che cosa eÁ concesso?».
«Di starsene lassuÁ -- risposi -- e di non voler piuÁ saperne di tornare dai compagni
in catene, e di condividere i loro onori e le loro fatiche, grandi o piccole che siano.
«Ma, in tal modo -- osservoÁ -- non rischiamo forse di trattarli ingiustamente,
costringendoli ad una vita peggiore, quando avrebbero la possibilitaÁ di una migliore?».
519.e. «Ed ecco, caro amico, che ancora una volta ti dimentichi che la legge
non ha come obiettivo di privilegiare nella CittaÁ una sola classe, ma di fare in
modo che cioÁ si verifichi in tutto lo Stato, creando consenso fra i cittadini con le
buone o con le cattive, 520.a. e facendo in modo che si scambino reciprocamente
quei servizi che ognuno individualmente ha la possibilitaÁ di rendere alla collettivitaÁ. Del resto il compito specifico della legge eÁ quello di formare nella societaÁ non
uomini che prendono ognuno la strada che vuole, ma cittadini che essa stessa puoÁ
impiegare in funzione del consolidamento dello Stato».
«Hai ragione -- riconobbe lui --, me ne ero proprio dimenticato».
Io, allora, continuai in questo modo: «Considera, Glaucone, che noi non
tratteremo affatto ingiustamente coloro che sono divenuti filosofi che nasceranno
nel nostro Stato, ma avremo buone motivazioni da addurre, quando li forzeremo
a prendersi cura e a difendere il loro prossimo.
520.b. «Diremo che quelli che sono come loro negli altri Stati non partecipano
alla vita della CittaÁ, e con tutte le ragioni, perche essi si sono fatti da seÂ, senza
l'intervento del loro Stato; e chi si eÁ fatto da se e non deve nulla a nessuno per la
sua formazione ha ogni diritto di non sentirsi vincolato a risarcire alcuno delle
spese di mantenimento. Voi invece siete stati formati da noi, perche foste, come
avviene negli alveari, per voi stessi e per l'intera comunitaÁ guide e sovrani: per
questo avete avuto una formazione piuÁ elevata e piuÁ completa degli altri, per
essere in grado di partecipare dell'una o dell'altra scienza.
520.c. «Dunque, per ciascuno di voi, a turno, saraÁ un dovere scendere nelle
case degli altri ed abituarsi a scorgere gli oggetti avvolti dalle tenebre, in quanto,
non appena vi sarete abituati a questa condizione vedrete assai meglio di quelli di
laggiuÁ e riconoscerete ciascuna immagine per quel che eÁ e per quello che rappresenta proprio in quanto avete contemplato la vera essenza del Bello, del Giusto
e del Bene.
«E cosõÁ lo Stato potraÁ dirsi amministrato da gente desta e non trasognata, sia a
nostro che a vostro vantaggio, mentre oggi la maggior parte delle CittaÁ eÁ retta da
uomini che si azzuffano per delle ombre e sono in perpetua rivolta per il potere,
come se fosse un gran bene.
520.d. «Ma in veritaÁ le cose stanno in tal modo: lo Stato che eÁ amministrato
meglio di ogni altro e piuÁ pacificamente di ogni altro, eÁ senz'altro quello in cui
detiene il potere chi meno lo desidera; viceversa, lo Stato che eÁ retto peggio
sarebbe quello che ha uomini di governo di natura opposta a questa».
«Esattamente», disse lui.
«E dunque, udite tali ragioni, pensi che i nostri pupilli oseranno disubbidirci e
non vorranno fare la loro parte nella vita dello Stato, ciascuno per quanto gli
compete, per poter convivere tutti insieme per lungo tempo in un mondo non
indegno?».
Á impossibile -- rispose --, percheÂ, dopotutto, noi proponiamo cose
520.e. «E
giuste a uomini giusti. Piuttosto, ciascuno di loro si avvicineraÁ al comando per
senso del dovere, con un sentimento opposto a quello che oggi hanno gli uomini di
potere in ogni altro Stato».
638
Platone
Repubblica
Ed io continuai dicendo: «Questa eÁ la veritaÁ, caro amico: potrai avere uno Stato
ben governato solo se riuscirai a trovare, 521.a. per chi vorraÁ governarlo, un
modo di vivere migliore del potere stesso. Effettivamente, eÁ solo in una societaÁ
siffatta che i ricchi avranno accesso al comando; ma non saranno i ricchi di oro,
bensõÁ di cioÁ di cui deve abbondare l'uomo felice: intendo dire una condotta di vita
onesta e saggia. Ma se dei pezzenti avidi di trarre profitto personale si avventano
sul bene pubblico, con tutte le intenzioni di doverne strappare il proprio tornaconto, non ti saraÁ possibile avere una CittaÁ ben governata, in quanto, essendo il
potere oggetto di discordia, una guerra fratricida e intestina prima o poi manderaÁ
in rovina i contendenti e con loro tutto il resto dello Stato».
«EÁ la pura veritaÁ», riconobbe.
521.b. «E sapresti tu trovare un'altra vita che ha in spregio il potere politico,
che non sia quella dedicata all'autentica filosofia?».
«No, per Zeus!», esclamoÁ.
«Ad ogni modo, bisogna rivolgersi al potere senza esservi spinti dal desiderio,
altrimenti si andraÁ allo scontro con gli altri pretendenti».
«Come no!».
«E, d'altra parte, quali persone potrai spingere ad assumersi la responsabilitaÁ
della difesa dello Stato, se non quelle che sono piuÁ ferrate sulle regole del buon
governo, e si riservano ben altri onori e una vita migliore di quella del politico?».
«Nessun'altra persona», ne convenne.
testi
(Trad. G. Reale)
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Rispondi alle seguenti domande:
"
di che cosa eÁ causa l'idea di Bene?
"
chi deve guardare ad essa?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
2. A quale personaggio storico si faraÁ riferimento con l'accenno ai tribunali (dikasth*ria) in 517d?
................................................................................................................................................................................
3. Contrariamente ai Sofisti che ritenevano che l'educazione venisse da qualcosa di esterno all'anima secondo
un procedimento paragonabile a quello dell'immettere la vista in occhi ciechi (518c), Platone afferma che la
scienza eÁ potenzialmente in ogni anima e che l'insegnamento e l'istruzione non fanno che destarla. In che
cosa consiste, quindi, la vera educazione? Motiva la tua risposta con un elaborato di 10 righe.
4. Rispondi alle seguenti domande:
"
qual eÁ il dovere del filosofo?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
"
chi eÁ il vero politico?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
"
in che senso paidei* a e politei* a sono connesse?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
"
chi sono i referenti polemici di Platone?
............................................................................................................................................................................
............................................................................................................................................................................
639
La voce della critica
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
640
Le maschere del Simposio
G. Reale
Platone.
Simposio,
F
riedrich Nietzsche ha scritto:
«Tutto cioÁ che eÁ profondo ama
Rusconi, la maschera», e ha precisato: «Ogni
Milano 1993, spirito profondo ha bisogno di una
pp. 5-31. maschera: e piuÁ ancora, intorno a
ogni spirito profondo cresce continuamente una maschera, grazie alla costantemente falsa, cioeÁ superficiale interpretazione di
ogni parola, di ogni passo, di ogni segno di vita
che egli daÁ» (Al di laÁ del bene e del male, I 40).
Forse il Simposio rappresenta l'esempio piuÁ
tipico e piuÁ perfetto del modo in cui un genio
quale Platone ha sentito questo profondo bisogno e lo ha espresso in forma artistica.
In questo suo scritto, egli non solo si nasconde dietro una maschera, ma mette in gioco tutta
una serie di maschere, e per nascondersi, e insieme rivelarsi, sceglie due di queste, e mette in
atto un gioco complessissimo e insieme bellissimo con una abilitaÁ veramente straordinaria.
Il luogo in cui si tiene il simposio eÁ la casa
del poeta tragico Agatone, che festeggia la vittoria da lui ottenuta (416 a.C.) con la rappresentazione di una sua tragedia. [...]
Il Simposio non viene presentato «in diretta», ma come una narrazione fatta alcuni anni
dopo l'evento, e addirittura alla seconda potenza. Un discepolo di Socrate, Apollodoro, eÁ il
narratore; ma non ha partecipato di persona al
simposio, bensõÁ ne ha ascoltato, a sua volta, la
narrazione da un altro discepolo di Socrate,
Aristodemo, che invece aveva partecipato personalmente all'evento. Dunque, si ha a che fare
con la narrazione di una narrazione.
Ma c'eÁ ancora di piuÁ.
Platone stesso avverte il lettore che, in questo scritto, eÁ ben lungi dal fare una narrazione
storica. Precisa, infatti, che Aristodemo (la fonte originaria della narrazione) non si ricordava
di tutto quello che i presenti al simposio avevano detto e, per giunta, non si ricordava neppure tutti i discorsi che erano stati pronunciati;
a sua volta, poi, Apollodoro, narratore della
narrazione di Aristodemo, non ricordava tutto
quello che gli era stato narrato da Aristodemo
medesimo (cfr. 178a, 180c).
In conclusione: Platone fa una precisa scelta dei personaggi e di cioÁ che viene messo loro
in bocca, con una straordinaria inventiva
drammaturgica e poetica, secondo un progetto
molto preciso che mira alla comunicazione di
messaggi assai ricchi e per molti aspetti rivoluzionari.
I personaggi chiamati in causa sono tutti
maschere che esprimono non solo personaggi
singoli, ma correnti di pensiero dell'epoca di
Socrate e di Platone. Fedro, il primo che parla,
eÁ simbolo di quel tipo di uomini che sanno piuÁ
provocare discorsi che non farli loro medesimi
(i convitati, nel fare l'elogio di Eros, prendono
proprio spunto da un suo rilievo, che da tempo
stava facendo, secondo cui i poeti hanno cantato molti deÁi, ma non Eros, che pur meriterebbe grandi elogi). Pausania eÁ la maschera del
retore-politico, che parla con grandi abilitaÁ
doxastiche e psicagogiche. Erissimaco esprime
il personaggio del medico greco, assai colto e
ispirantesi ai filosofi naturalistici. Aristofane eÁ
la maschera della musa della commedia. Agatone eÁ la maschera della musa della tragedia.
Socrate eÁ l'incarnazione del filosofo, che, peroÁ,
qui non parleraÁ in prima persona per esprimere le veritaÁ ultimative su Eros, ma prenderaÁ la
maschera di Diotima sacerdotessa indovina di
Mantinea. Infine, Alcibiade incarna il personaggio del giovane che ha grandi doti, ma
che eÁ incapace di ascoltare Socrate fino in
fondo. [...]
Molti studiosi hanno spesso ripetuto che il
Simposio si presenta come uno scritto che sale a
gradi alla veritaÁ, quasi che i personaggi, nell'ordine in cui vengono presentati, portino
sempre piuÁ vicino al pensiero di Platone. Ma,
se questo per un verso eÁ vero, per un altro verso
trae in inganno. Infatti, alcuni di questi personaggi esprimono non solo e non tanto cioÁ che
avvicina al pensiero di Platone, ma cioÁ da cui ci
si deve allontanare, se si vuol guadagnare il
pensiero di Platone.
Come vedremo, Pausania esprime proprio
quel pensiero che Platone intende rovesciare,
Erissimaco quel pensiero che va trasceso con
641
La voce della critica
impostino in modo adeguato e lo risolvano, e
come solo il filosofo sappia fare questo in modo
veramente esauriente.
L'idea corrente del momento viene ben evidenziata soprattutto nel discorso messo in bocca a Pausania, piuttosto ampio. Nell'Atene di
quei tempi si riteneva che fosse una cosa brutta
e vergognosa che un giovane concedesse i propri favori all'innamorato che insisteva nella sua
richiesta, solo nel caso che costui fosse una
persona indegna; e che, pertanto, fosse lecito,
se il richiedente fosse invece una persona proba, capace di aiutare il giovane a formarsi e a
crescere, se il giovane stesso mirasse a questo, e
se il rapporto venisse allacciato nel debito modo. Si legga in particolare il passo 184d [...].
EÁ proprio avvalendosi di questa concezione
diffusa nell'alta societaÁ ateniese che Alcibiade
cerca di offrirsi a Socrate, per avere in cambio
la sua sapienza. Alcibiade dice infatti espressamente a Socrate: «Ho pensato che tu sia l'unico
degno di diventare il mio amante e mi pare che
tu esiti a farmene parola. Ma il mio sentimento,
eÁ questo: mi pare che sia del tutto privo di senno
non concederti i miei favori anche in questo,
cosõÁ come in altro... Per me, infatti, nulla eÁ piuÁ
importante di diventare quanto piuÁ eÁ possibile
migliore, e per questo penso che non potrei
trovare nessuno che mi possa dare un aiuto
che sia piuÁ valido di te» (218c-d).
La risposta che Platone fa dare a Socrate
costituisce il rovesciamento piuÁ radicale di tale
concezione: «Caro Alcibiade, si daÁ il caso che
tu sia veramente un uomo non da poco, se cioÁ
che dici di me eÁ proprio vero, e se in me c'eÁ una
forza per la quale potresti diventare migliore.
Tu vedresti in me una bellezza straordinaria,
molto diversa dalla tua avvenenza fisica. E se,
contemplandola, cerchi di averne parte con
me, e di scambiare bellezza con bellezza, pensi,
di trarre non poco vantaggio ai miei danni:
in cambio dell'apparenza del bello, tu cerchi di
guadagnarti la veritaÁ del bello, e veramente pensi
di scambiare armi di bronzo con armi d'oro»
(218e - 219a).
Bellezza e amore del corpo non si scambiano con la virtuÁ dell'anima e con il sapere. Appunto questo eÁ il grande messaggio che Platone
vuole comunicare all'uomo dei suoi tempi, e di
tutti i tempi. In effetti, si tratta di cose che non
sono scambiabili perche hanno valori differenti
e fra loro non commensurabili.
Platone
quella che nel Fedone chiama la sua «seconda
navigazione» (99c-d).
La maschera di Aristofane, poi, come vedremo, eÁ utilizzata da Platone addirittura per esprimerere alcune delle idee-chiave delle sue dottrine: Platone gli fa presentare in forma di immagini, che solo sulla bocca di un commediografo
potevano essere significative e apprezzabili, la
sua dottrina dell'Uno e della Diade, che tanti
dissensi e tante critiche avevano suscitato; e proprio con l'arte del ridere Platone si beffava di
coloro che non lo capivano.
La maschera del poeta tragico Agatone eÁ
presentata come espressione tipica del poeta
che sa parlare molto bene, ma con le sue pur
belle immagini e parole non sa arrivare al dunque, ossia all'essenza delle cose.
Infine, la maschera di Diotima, che non
pare sia esistita, e che, comunque, non eÁ un
personaggio noto e quindi, nella statura in
cui eÁ presentata, eÁ una creazione di Platone,
come rivelazione delle veritaÁ ultimative, serve
a Platone per dare quel carattere ieratico al suo
discorso sull'amore, e il carattere quasi sacrale
dell'iniziazione.
Si noti, infine, che Platone ha dato alla maschera di Aristofane un ruolo tanto importante
che ha sentito il bisogno di farlo ben capire al
«suo» lettore. Infatti, in questo gioco delle maschere che passano e che corrono, non lo fa
parlare al momento che gli toccherebbe, facendogli venire un potente singhiozzo (185c-e);
ne fa richiamare il discorso da Diotima medesima (205d-e); e infine, quando chiede la parola, non lo lascia parlare, facendo irrompere
in sala il gruppo di festaioli, con alla testa
Alcibiade. [...]
Il messaggio di fondo su un tema che, allora, doveva essere molto dibattuto, ossia sull'amore omosessuale, e in particolare sulla questione se i ragazzi amati potevano o no concedere i loro favori agli innamorati, Platone lo
offre in questo suo scritto in maniera splendida.
Con il gioco bellissimo delle maschere, come
abbiamo giaÁ sopra accennato, fa parlare gli
esponenti di tutte le componenti culturali del
momento, e fa esporre i loro messaggi in modo
superbo. Dapprima mette molto bene in evidenza il problema di fondo, nonche le spiegazioni e soluzioni date dalle differenti componenti culturali nei vari discorsi, mostrando come ne i retori, ne gli scienziati, ne i poeti lo
Nel discorso messo in bocca a Diotima, Platone
spiega che il bello implica cinque livelli gerarchici: 1) il bello fisico, 2) quello delle anime, 3) quello
delle attivitaÁ umane e delle leggi, 4) la bellezza
della scienza, 5) il Bello assoluto che eÁ al di sopra
di tutto, e da cui deriva ogni altra forma di
bellezza. Il vero Eros eÁ quello che porta oltre la
dimensione del fisico e che aiuta a salire sempre
piuÁ in alto in quella scala d'amore che, al suo
vertice, raggiunge l'assoluto.
Si tenga inoltre presente quanto segue. Alcibiade eÁ entrato dopo che Socrate aveva parlato. Non ha quindi sentito, e dunque ignora la
veritaÁ sull'amore. Proprio per questo, egli si
ferma all'amore nella dimensione del fisico, e
crede che con questo amore si possa acquistare
tutto, anche cioÁ che lo trascende. Il non accettare le sue offerte da parte di Socrate significa,
precisamente, andare al di laÁ del fisico verso
l'ulteriore meta-fisico.
Ma si noti come Platone, ben cosciente della rivoluzione che metteva in atto, avverte il
lettore. Proprio prima della grande pagina sulla scala d'amore (una delle pagine piuÁ belle di
tutti i tempi, e giustamente famosissima), vien
fatto dire dalla sacerdotessa di Mantinea a Socrate: «Fino a queste cose d'amore forse, o
Socrate, anche tu potrai essere iniziato, ma a
quelle perfette e alla piuÁ alta iniziazione cui tendono anche queste, se si procede, in modo
giusto, non so se tu saresti capace di essere iniziato» (209e - 210a).
EÁ evidente che, essendo la sacerdotessa di
Mantinea la maschera di Socrate-Platone, il
dubbio sulla capacitaÁ di essere iniziato non eÁ
certo rivolto a Socrate stesso (ossia da SocratePlatone a se medesimo); e meno che mai, come
qualche studioso ha erroneamente creduto, si
tratta di un messaggio di Platone che avverte di
andare oltre Socrate (appunto entrando nel
mondo dell'intelligibile, che eÁ sua scoperta),
perche egli si cala in toto nella figura di Socrate
(come in tutti gli altri suoi scritti, eccezion fatta
solo di quelli dialettici). Si tratta, in realtaÁ, di un
messaggio che Platone manda a tutti quelli che
avrebbero letto questo suo scritto: voi sarete
capaci di essere iniziati all'ascesa della scala
d'Amore e giungere al vertice, se saprete comprendere che non esiste solamente il sensibile e
tutto cioÁ che i sensi colgono, ma che esiste
un'altra forma d'essere al di laÁ del sensibile:
la dimensione del meta-fisico.
Chi non sapraÁ comprendere e guadagnare
questo punto essenziale, rimarraÁ piuÁ o meno al
livello in cui si colloca Alcibiade che non ha
sentito, o come chi, pur avendo sentito, non
vuol capire e recepire il messaggio innovativo:
il vero Eros, da qualsiasi parte si prendano le
mosse, eÁ sempre e solo quella forza dinamica di
ascesa che, al vertice supremo, perviene a contemplare il vertice assoluto, ossia il Bello assoluto (che eÁ la piuÁ alta manifestazione del Bene).
EÁ proprio questo, e solo questo, a giudizio
di Platone, quel momento della vita «che piuÁ di
ogni altro eÁ degno di essere vissuto» (211d).
Poche volte si eÁ tenuto ben presente questo,
per capire le conclusioni che Platone trae nel
suo discorso sul problema dell'amore dei ragazzi, che egli sentiva e comprendeva a fondo,
ma che risolveva in modo opposto ai contemporanei, appunto come fece Socrate con Alcibiade. Se si rimane nella dimensione del fisico,
in se e per se l'amore per i ragazzi non eÁ un
positivo. Nel Fedro Platone lo qualifica addirittura espressamente come «un piacere contro
natura» (251a), e ribadisce a tutto tondo questo
concetto anche nelle Leggi (I 636c; VIII 835d
ss.). L'amore maschile eÁ un positivo, se eÁ sfruttato non come impulso da soddisfare rimanendo nella dimensione del fisico, ma come forza
che aiuta a trascendere il fisico e salire sempre
piuÁ in alto nella dimensione dell'essere intelligibile e meta-sensibile.
La scoperta del mondo metafisico delle
Idee eÁ la base su cui Platone costruisce la sua
dottrina dell'amore.
RIFLESSIONI E CONFRONTI
" Spiega la complessa struttura narrativa del dialogo e la finalita
Á per cui, secondo Reale, Platone l'ha cosõÁ concepita.
le funzioni che, secondo Reale, svolgono i vari discorsi del dialogo, cioeÁ le varie maschere che Platone
attribuisce ai personaggi.
" Spiega
642
quali ogni tesi di ordine morale veniva messa in
discussione da una tesi contraria ed equipotente (cfr. Diels-Kranz, 90). Al suo limite estremo,
la forma di argomentazione antilogica aveva
dato luogo all'eristica, una tecnica della controversia capace di confutare qualsiasi asserzione a qualsiasi costo: Platone ne offriva un
esempio vivace nell'atteggiamento dei sofisti
Eutidemo e Dionisodoro in un dialogo intitolato appunto Eutidemo. Ma, nella societaÁ ateniese del V e del IV secolo, la discussione antilogica si era estesa, anche grazie alla sua tecnicizzazione sofistica, dalla pratica politica e
giudiziaria a tutte le forme del confronto culturale: gli stessi medici, ad esempio, si confrontavano fra loro e con i detrattori del loro sapere in
pubbliche discussioni di questo tipo, come attestano molti scritti del Corpus hippocraticum
(quali la Natura dell'uomo, l'Arte o i Venti). E
a regolamentare razionalmente la discussione
antilogica Aristotele avrebbe dedicato uno dei
suoi trattati piuÁ ampi, i Topici.
Era del resto esattamente questo il terreno
sul quale si era mosso Socrate, di fronte al
pubblico cittadino, ai suoi rivali e naturalmente ai suoi allievi. Certo, la confutazione socratica (elenchos) poteva venire distinta dall'antilogica e dall'eristica dei sofisti per la sua intenzione morale e il suo desiderio filosofico di veritaÁ;
ma i procedimenti argomentativi di Socrate
non sembravano davvero intellettualmente diversi da quelli dei suoi rivali, e questi potevano
a loro volta rivolgergli l'accusa di voler prevalere a tutti i costi nella discussione, la philonikia
(cfr. ad esempio Protagora, 360e), o addirittura
di comportarvisi come un ``sicofante'' e un
``malfattore'' (cosõÁ Trasimaco in Repubblica, I,
340d, 341 b). Del resto, lo stesso Platone [...]
avrebbe segnalato nel libro VII della Repubblica i rischi di un insegnamento troppo precoce
della dialettica confutatoria a giovani moralmente irresponsabili. Li ribadiva un passo pieno di humour del Filebo: ``quando un giovane la
gusta per la prima volta, pensando di aver
trovato un tesoro di sapienza, va in estasi dal
piacere e con gioia scuote e agita ogni argo-
643
La voce della critica
U
na secolare tradizione, culminata nella filosofia hegeliana,
ci
ha
resa
familiare la parola ``dialetEinaudi,
Torino 2003, tica'', tanto che non ci sorprende la
pp. 175-179. decisione di Platone di chiamare con
questo nome il principale strumento
metodico del suo pensiero. Eppure, si trattava
di una scelta linguistica e concettuale tutt' altro
che ovvia, perche estranea al tradizionale lessico della ``sapienza'' (sophia). Dialektike eÁ un
aggettivo riferito al sostantivo techne, ``tecnica''
o ``arte'', che designa in generale un ``saper
fare''; il sostantivo veniva peroÁ spesso sottinteso, dando luogo di norma alla locuzione abbreviata ``la [tecnica] dialettica''. L'aggettivo deriva dal verbo dialegesthai, che significa primariamente ``dialogare'', ``discutere''; il verbo
viene spesso usato da Platone nella forma sostantivata (to dialegesthai) come sinonimo di
dialektike (che vale dunque ``saper usare l'arte
della discussione'') .
Questi termini indicano con chiarezza il
retroterra culturale al quale Platone si riferiva
nella sua decisione di fare della ``dialettica'' la
tecnica per eccellenza dell'indagine filosofica.
Si trattava, in primo luogo, di una pratica intellettuale che da gran tempo costituiva il fulcro
della vita sociale di Atene. Le maggiori decisioni politiche venivano prese dopo ampie discussioni in cui le tesi rivali si confrontavano di
fronte all'assemblea cittadina: memorabili documenti di queste discussioni pubbliche sono
offerti dai discorsi contrapposti testimoniati
dalla Storia di Tucidide (e, dopo di essa, dalle
Elleniche di Senofonte). La stessa procedura
veniva seguita nella pratica giudiziaria, in cui
si contrapponevano, a turno, due discorsi della
accusa e due della difesa (ne possediamo
un'importante testimonianza in un manuale
destinato alla preparazione degli avvocati, le
Tetralogie di Antifonte). La sofistica aveva generalizzato questa pratica sociale trasformandola in una tecnica antilogica di argomentazione per tesi contrapposte, nella quale a quanto
pare aveva eccelso Protagora: alla sua scuola
sembra appartenessero i ``Discorsi duplici'', nei
M. Vegetti
Quindici lezioni
su Platone,
Platone
Discutere:
la potenza della dialettica
mento [...] gettando nell'incertezza anzitutto e
soprattutto se stesso, e poi chi gli sta vicino, sia
questi piuÁ giovane di lui, piuÁ vecchio o suo
coetaneo, non risparmiando ne il padre ne la
madre, ne nessun altro di quanti lo possano
udire, e poco ci manca che coinvolga non solo
gli uomini, ma anche gli altri animali; dei barbari poi non risparmierebbe proprio nessuno,
se solo potesse trovare un interprete da qualche
parte'' (15d-e).
La forma della discussione, del confronto
argomentativo, si imponeva dunque a Platone
± per effetto del contesto culturale, della pratica dei suoi rivali e del suo stesso maestro ± come lo strumento ineludibile per la costruzione
del sapere filosofico, oltre che come il suo specifico spazio intellettuale; al tempo stesso peroÁ
risultava necessaria una rifondazione di quella
forma, che la facesse uscire ± anche al di laÁ di
Socrate ± dalle secche dell'antilogia eristica.
Questa doppia necessitaÁ avrebbe configurato
la struttura della ``dialettica'' platonica.
Da un lato, essa restava ben radicata sul
terreno intersoggettivo del confronto discorsivo fra uomini in carne e ossa, dell' argomentazione critica e razionale di tesi contrapposte;
restava quindi caratterizzata da quell'atteggiamento ``raziocinante'', raÈsonierend, che secondo Hegel, e poi ancora secondo Heidegger, ne
costituiva il limite filosofico perche incapace di
mostrare il movimento ``reale'' delle ``cose stesse''. La dialettica procedeva soltanto nell'ambiente del discorso (logos), di cui rappresentava
la piu efficace forma di organizzazione metodica, e mediante il logos (Repubblica, VI, 5IIb;
VII, 532a). Lo stesso livello piuÁ elevato di conoscenza cui la dialettica poteva pervenire,
quello delle idee (le essenze noetico-ideali), si
configurava come un ``discorso sull'essenza''
(logos tes ousias); di questa conoscenza il dialettico doveva ``dar ragione'' (logon didonai) ``a se
stesso e agli altri'', appunto mediante la discorsivitaÁ razionale (Repubblica, VII, 53Ie, 533c,
534b). PercioÁ il successo conoscitivo della ri-
cerca dialettica doveva essere sancito dal raggiungimento di un ``accordo'' o ``consenso''
(homologia) tra gli interlocutori coinvolti nella
discussione, in assenza del quale il discorso
filosofico assumeva la precaria condizione di
un esperimento mentale solitario. EÁ chiaro,
da tutto questo, che la forma dialogica rappresentava per la filosofia platonica nella sua configurazione dialettica molto piuÁ che un espediente letterario, costituendone invece l'ineludibile ambiente di interazione discorsiva e
argomentativa.
Dall'altro lato, peroÁ, occorreva secondo
Platone riorganizzare la procedura dialettica
mettendola in grado di sostenere il progetto
di una filosofia ``costruttiva'', mirante a un sapere positivo, non solo critica e confutatoria. Si
trattava dunque di farne una tecnica capace di
``interrogare e rispondere nel modo piuÁ scientifico'' (Repubblica, VII, 534d), cioeÁ di ``condurre la confutazione non secondo l'opinione
(doxa) ma secondo l'essenza (ousia) (534c).
Questo rendeva necessario un mutamento radicale della forma della domanda socratica. Essa
chiedeva all'interlocutore ``che cosa intendi''
quando parli di giustizia, bellezza e cosi via;
sollecitava dunque l'esplicitazione di un'opinione, di un punto di vista soggettivo (appunto,
una doxa), per poi mostrarne l'inconsistenza o
l'inadeguatezza e sollecitare cosõÁ una riapertura della riflessione critica. Si trattava invece per
Platone, secondo la versione ``matura'' dell'interrogazione dialettica, di chiedere ``che cosa
eÁ'' in veritaÁ la giustizia, la bellezza e cosi via: di
aprire cioeÁ la via all'enunciazione di un discorso relativo all'essenza oggettiva ± all'idea ± dell'oggetto indagato. In questo modo la dialettica
restava pur sempre un ``percorso'' intellettuale
(532b), un ``metodo'' d'indagine razionale
(533b-c) ± dunque non un sistema chiuso e
``monologico'' della conoscenza ± ma l'orizzonte di questo cammino metodicamente organizzato era l'acquisizione consolidata di un
sapere ``scientifico''.
RIFLESSIONI E CONFRONTI
" Dopo aver spiegato il significato dell'espressione dialektike techne, evidenzia come la tecnica della ``dialettica'' si
inserisca nel contesto culturale della societaÁ di Atene.
" Che funzione ha, secondo Vegetti, l'uso della dialettica nell'opera di Platone?
" Sulla base dei testi letti, fai almeno un esempio di ``domanda socratica'' che conduce alla acquisizione della
veritaÁ.
644
Aristotele
testi
Aristotele
Metafisica
1 Il sapere eÁ un'esigenza primaria dell'uomo
(980a-981a)
2 I filosofi della natura (983b-984d)
Retorica
3 I generi della retorica (1358b in it.)
Poetica
4 L'origine della tragedia (1449a in it.)
A
ristotele nacque a Stagira, nella Calcidica, nel 384, da NicoÁmaco, medico alla
corte di Aminta III di Macedonia; nel 367, a diciassette anni, si recoÁ ad Atene,
dove seguõÁ le lezioni prima di Isocrate e poi di Platone, e vi rimase fino alla morte di
quest'ultimo. Quando nel 347 Platone morõÁ, fu designato alla guida dell'Accademia
Speusippo; allora Aristotele si recoÁ ad Asso, in Cilicia, su invito di Ermia, tiranno di
Atarneo; sposoÁ una figlia di Ermia e insegnoÁ per tre anni ad Asso; nel 343 passoÁ a
Pella, in Macedonia, dove Filippo II gli affidoÁ l'educazione di suo figlio Alessandro.
Dopo che questi successe al padre, Aristotele ritornoÁ nel 335 ad Atene, e vi aprõÁ
una sua scuola, presso il tempio di Apollo Liceo sulle pendici del Licabetto, organizzandola in modo simile all'Accademia di Platone (un luogo dove si viveva, si
studiava e si discuteva insieme), ma la dotoÁ anche di un piano organico di studi che
comprendeva, oltre alla filosofia, altre scienze dell'uomo e della natura. Dal nome
del luogo dove si trovava, la scuola di Aristotele fu detta Liceo, ed anche PerõÁpato
perche le lezioni si tenevano presso il viale delle passeggiate (peri* patoQ) accanto al
tempio.
Alla morte di Alessandro, Aristotele preferõÁ allontanarsi da Atene, temendo che
le sue antiche relazioni con la corte macedone gli procurassero guai in occasione
della violenta reazione antimacedone in corso; si recoÁ a Calcide in Eubea, dove
morõÁ l'anno seguente, a sessantadue anni.
Si possono riconoscere tre periodi importanti nella vita di Aristotele: il primo
soggiorno ateniese, quando si formoÁ alla scuola di Platone; i dodici anni successivi,
in Cilicia e in Macedonia, in cui tra l'altro contribuõÁ fortemente ad influenzare il
carattere di Alessandro, fornendogli una solida cultura greca e avviandolo al culto di
Omero (secondo la tradizione il re avrebbe portato sempre con se una cassettina con
la copia dell'Iliade curata per lui da Aristotele). Infine gli ultimi anni, in cui si stabilõÁ
nuovamente in Atene e vi fondoÁ la sua scuola. Aristotele teneva due tipi di corsi: al
mattino quelli riservati agli allievi, rigorosamente specialistici, e al pomeriggio altri
destinati al pubblico, ovviamente con un linguaggio diverso; a questi due tipi di corsi
corrispondevano due tipi di scritti diversi, quelli esoterici (da e> sv ``dentro'') e quelli
essoterici (da e> jv ``fuori'').
Scritti esoterici Gli scritti esoterici, che riflettevano l'insegnamento di scuola, non vennero
pubblicati perche destinati alla scuola stessa: composti spesso in una forma
poco elaborata, erano talvolta poco piuÁ che raccolte di appunti, con espressioni
convenzionali, che spesso compendiavano quanto poteva essere facilmente inteso,
data la familiaritaÁ dei destinatari con l'argomento; in generale questi testi erano
645
composti nella forma asciutta e apparentemente trascurata della prosa scientifica
greca. Quasi tutto l'Aristotele che noi conosciamo eÁ costituito da questi scritti di
scuola. Essi furono lasciati da Aristotele al suo allievo Teofrasto, che alla sua morte li
affidoÁ a Neleo di Scepsi, figlio di un amico di Aristotele. Gli eredi di Neleo trascurarono questi manoscritti, che solo due secoli dopo, nel I secolo a.C., furono
ritrovati in pessime condizioni e acquistati da Apellicone di Teo, un bibliofilo che
li trasportoÁ ad Atene. Nell'84 a.C. Silla espugnoÁ Atene e portoÁ questi scritti a Roma,
dove, una cinquantina di anni piuÁ tardi, furono studiati e pubblicati da AndronõÁco
di Rodi.
Scritti essoterici I libri essoterici, invece, erano scritti in uno stile vivace e piacevole, destinati
a una larga cerchia di lettori. Questi ultimi scritti non ci sono stati trasmessi
dalla tradizione medievale; solo nel 1891 eÁ stata pubblicata la Costituzione degli
Ateniesi, ritrovata in un papiro, che ha confermato pienamente, per quanto riguarda
lo stile, le notizie che le fonti antiche ci attestano.
Di altre opere di questo genere ci sono giunti solo titoli e pochi frammenti:
sappiamo di un Protrettico o Esortazione alla filosofia indirizzato a Temisone principe di Cipro, e di un Eudemo o Sull'anima, che in occasione della morte dell'amico
Eudemo riprendeva il tema del Fedone platonico. Importante era ancora il dialogo
Sulla filosofia, in cui Aristotele criticava la separazione tra realtaÁ sensibile e realtaÁ
intelligibile: anche di questo abbiamo frammenti e testimonianze.
Divisione delle opere Le opere esoteriche di Aristotele si possono dividere in diversi gruppi a
esoteriche seconda dei contenuti.
Scritti di logica Gli scritti di logica, che in etaÁ bizantina furono raccolti in un corpus a parte,
con il nome di Organon sono: le Categorie, o principi della scienza; Dell'interpretazione; gli Analitici primi e gli Analitici secondi, che indagano le forme del
ragionamento; i Topici e le Confutazioni sofistiche.
Scritti di fisica Gli scritti di fisica e di scienze naturali comprendono: la Fisica e i trattati
e scienze naturali Del cielo, la Meteorologia, le Ricerche sugli animali, Sulle parti degli animali e
altri.
Scritti di psicologia Agli scritti di psicologia appartiene il trattato Sull'anima.
Scritti di ``filosofia ``Metafisica'' eÁ una denominazione che risale probabilmente ad Andronico,
prima'' o ``metafisica'' per indicare gli scritti aristotelici che vengono ``dopo la fisica'', un termine
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
dunque di catalogazione; Aristotele li definiva invece ``filosofia prima''. In
quest'opera il filosofo espone la sua idea dell'essere: non pura forma come le idee
platoniche, ma un ``sinolo'', sintesi di materia e forma in una unitaÁ inscindibile che
egli chiama anche ``sostanza'', cioeÁ l'``essere dell'essere''; la sostanza sta alla base di
qualsiasi valore ed eÁ il principio di intelligibilitaÁ dell'essere stesso. Particolare importanza in quest'opera riveste il libro primo, in cui Aristotele traccia una storia
critica dei filosofi che lo avevano preceduto, come anche il libro dodicesimo, che
sviluppa la teoria di dio, pura forma separata dalla materia; dio muove la materia
come motore immobile in quanto essa non puoÁ sussistere senza una forma. Infatti
Aristotele divide le sostanze in due classi: sostanze incorruttibili del mondo sovralunare, non sensibili e immobili, che sono oggetto della teologia, e sostanze del
mondo sublunare, generabili e corruttibili, oggetto della fisica. In questo modo
Aristotele, che aveva criticato vivacemente le idee platoniche perche erano trascendenti, reintroduce al centro dell'universo un principio altrettanto trascendente per-
646
Scritti di etica Questi scritti comprendono: l'Etica a Nicomaco, dedicata al figlio che si
chiamava come il nonno; l'Etica ad Eudemo e la Grande etica, sulla cui
autenticitaÁ sono stati avanzati dubbi. Ogni attivitaÁ di un essere vivente eÁ compiuta
in vista di un fine, ma si deve pensare che esista un bene sommo, al quale tendono
tutte le azioni. Per un essere vivente il sommo bene eÁ indubbiamente la felicitaÁ, ma
per un essere razionale la felicitaÁ non puoÁ prescindere dall'intelligenza, che gerarchizza i vari valori: questo vivere secondo ragione eÁ la virtuÁ. Essa si divide in due
attivitaÁ: il controllo degli impulsi sensibili, che determina i buoni costumi, ossia la
virtuÁ etica, e l'esercizio stesso della ragione in seÂ, che eÁ detta virtuÁ intellettiva o
dianoetica. La prima comprende tutte le virtuÁ morali, coraggio, temperanza, magnanimitaÁ, mansuetudine, ognuna delle quali costituisce il giusto mezzo tra i vizi
opposti (coraggio sta tra la viltaÁ e la temerarietaÁ, e cosõÁ via): esse si assommano tutte
nella giustizia. La seconda attivitaÁ invece eÁ la forma piuÁ alta di virtuÁ propria
dell'uomo, e comprende la scienza, l'arte, la saggezza, la sapienza e l'intelligenza.
Poiche tale attivitaÁ eÁ quella piuÁ propria dell'uomo, praticarla conduce alla felicitaÁ.
Scritti di politica Nella Politica Aristotele definisce l'uomo un ``animale nato per vivere in una
polis'' (z{&on politiko*n), e quindi portato per natura ad associarsi in forme
comunitarie; esamina poi le forme positive di costituzione, monarchia, aristocrazia e
democrazia, che possono degenerare rispettivamente in tirannide, oligarchia e oclocrazia (governo della folla) quando viene smarrito il primato del bene comune e la
costituzione viene piegata al servizio di un singolo gruppo sociale. Empiricamente
Aristotele giunge a definire come migliore una forma mista tra oligarchia e democrazia, che egli denomina politia: nasce con lui l'idea della costituzione mista, che fu
poi sviluppata e applicata da Polibio due secoli piuÁ tardi. Ad esempio, l'oligarchia
incoraggia i ricchi a fare i giudici, imponendo una multa a chi si sottrae, mentre la
democrazia offre un compenso a chi accetta: il filosofo suggerisce di adottare entrambi i provvedimenti per avere tribunali equilibrati. Riguardo alla struttura sociale
dello stato egli propone una base censitaria moderata, in cui le cariche siano elettive e
non sorteggiate. Per la composizione di questo trattato, Aristotele si era preparato
descrivendo le costituzioni di centocinquantotto cittaÁ della Grecia: di questi saggi
preliminari si eÁ salvata solo la Costituzione degli Ateniesi, di cui si eÁ detto.
Retorica ed estetica La Retorica comprende tre libri: il primo tratta della natura della retorica, che
ha come oggetto lo studio del verisimile al fine di indurre alla persuasione; il
secondo tratta del modo con cui la parola puoÁ suscitare affetti e passioni, e il terzo
dell'espressione e dell'ordine in cui debbono essere disposte le parti del discorso.
Particolarmente fecondo per la teoria oratoria eÁ il passo del terzo libro, in cui Aristotele
definisce i tre generi di retorica che divennero poi canonici. Essi si distinguono a
seconda che il destinatario sia un semplice ascoltatore o un giudice che deve pronunciarsi sulle cose passate (nel caso di un processo) o su quelle future (e in tal caso saraÁ
un'assemblea deliberativa che deve decidere se fare una cosa o un'altra). Nel primo
caso, se il giudice eÁ un semplice ascoltatore, si tratteraÁ delle cose presenti, per lodarle o
condannarle, come vere o false, buone o cattive: saraÁ l'oratoria dimostrativa; nel
secondo caso si avraÁ la retorica giudiziale che tratta di fatti avvenuti, per convincere
che sono giusti o ingiusti; infine, si tratteraÁ della retorica deliberativa, che riguarda il
futuro, per dimostrare che una cosa eÁ utile o dannosa.
647
Aristotele
che dio eÁ forma pura. Viene cosõÁ indebolito il principio originale della sua speculazione, cioeÁ che l'essere reale puoÁ venire concepito solamente come sintesi di
materia e forma.
Dei due libri della Poetica ce ne eÁ giunto uno soltanto, l'altro eÁ andato perduto. Nel
librio rimasto leggiamo che l'arte in generale per Aristotele eÁ imitazione: sia per
mezzo di colori e forme, come si fa nella pittura, sia per mezzo della voce, come
nella poesia, sia per mezzo del suono, come nella musica. La poetica si presenta
come teoria dell'imitazione, in una polemica aperta con Platone che aveva condannato l'arte poetica come imitazione della natura che, a sua volta, imita le idee: l'arte
quindi eÁ doppiamente lontana dalle idee che sono la vera realtaÁ; per Aristotele
invece essa eÁ imitazione del possibile, e quindi ``piuÁ filosofica e piuÁ elevata della
storia'', giacche ``la poesia esprime piuttosto l'universale, la storia il particolare''
(Poet. 1451b). Inoltre alla tragedia egli attribuiva una liberazione dalle passioni
(``catarsi'') (" pp. 44-45), come alla musica. Infine la Poetica contiene per noi le
testimonianze piuÁ antiche sulle origini della tragedia e della commedia, e analisi
precise sui vari tipi della prima. Della commedia, come sappiamo dall'autore stesso,
si parlava nel secondo libro.
VolontaÁ di superare Aristotele si eÁ posto il problema di risolvere il limite implicito nella filosofia di
Platone Platone: questi, nell'affermare il primato del mondo intelligibile su quello
sensibile, aveva lasciato un vuoto incolmabile tra queste due esperienze
dell'uomo; per lui infatti, l'uomo eÁ in realtaÁ un'anima razionale prigioniera in un
corpo carnale, che le impone le sue necessitaÁ e le sue imperfezioni, e le impedisce la
contemplazione delle idee, che eÁ insita nella natura di essa. In questo modo Platone
perdeva il senso della grande esperienza speculativa costituita dalla tradizione ionica,
da Talete ad Anassagora; Aristotele invece, benche fosse convinto che le speculazioni
dei filosofi ionici fossero imperfette, e destinate ad essere superate da una visione piuÁ
organica dell'essere, non poteva pensare che potessero essere totalmente azzerate.
Recupero della realtaÁ Per questo Aristotele, nella Metafisica, ha voluto recuperare la realtaÁ sensibile
sensibile facendo della sostanza degli enti una sintesi di materia e forma. Nelle altre sue
opere ha poi trattato a lungo problemi di fisica, di biologia, e anche questioni
relative alla vita associata degli uomini (politica) e alla comunicazione (retorica e
poetica). CosõÁ egli ha considerato per primo la filosofia come un sistema scientifico
e si eÁ posto il problema di una concezione organica del sapere, articolato in varie
branche ma in una prospettiva unitaria; ha cosõÁ organizzato il sapere a partire da
rilievi empirici, come nei trattati di fisica e biologia, ed anche nella scienza politica,
che parte dall'analisi delle costituzioni storiche delle diverse comunitaÁ.
La filosofia come Mentre per Platone filosofia eÁ ``fare filosofia'', una ricerca continua e mai
sistema organico compiutamente definita della veritaÁ, secondo l'impulso di Socrate, per
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
Aristotele la filosofia costituisce un sistema organico, che si basa su una
dottrina dell'essere in quanto essere (filosofia prima) e affronta quindi analiticamente le varie forme in cui l'essere si realizza, in natura come nella vita associata
degli uomini, nei loro comportamenti e nelle manifestazioni della loro attivitaÁ
spirituale. I suoi allievi hanno proseguito l'impulso da lui dato alla scuola, affrontando problemi di fisica e di biologia, di geografia e di antropologia, di storia delle
scienze, di retorica, di poesia e di musica.
Per secoli la storia della filosofia si eÁ divisa tra seguaci dell'indirizzo idealistico di
Platone e di quello, piuÁ realistico e volto al concreto, di Aristotele: attraverso
l'antichitaÁ e il Medioevo ci sono stati periodi di prevalenza dell'una e dell'altra
tendenza, finche si eÁ fatta luce l'idea che anche il sistema aristotelico aveva una
impronta fortemente idealistica, e che il metodo empirico dei filosofi ionici aveva
ancora qualcosa da insegnare all'umanitaÁ.
648
(980a-981a)
testi
Argomento del primo libro della Metafisica eÁ la costruzione del sapere: Aristotele risale per gradi dalle percezioni
sensibili alla conoscenza filosofico-scientifica, e distingue poi entro quest'ultima la forma piuÁ elevata del sapere,
quella filosofica, che eÁ conoscenza dei principi e delle cause prime. Presentiamo di seguito la prima pagina
dell'opera, in cui Aristotele dimostra che la ricerca del sapere eÁ assolutamente naturale per l'uomo, indipendentemente dalle necessitaÁ legate alla sopravvivenza. Questo punto di partenza costituisce un'acquisizione
fondamentale per la comprensione non solo di Aristotele, ma dell'esperienza dei Greci nella costruzione del sapere:
stabilisce cioeÁ il primato dell'attivitaÁ intellettuale, esercitata in modo disinteressato, sulle necessitaÁ immediate.
Questa eÁ una caratteristica di tutta la cultura greca, e lo eÁ anche della ricerca di base nelle scienze moderne: la
filosofia, come la filologia, la matematica e la fisica teorica non sono esercitate in vista di una utilitaÁ immediata, ma per
una istanza fondamentale propria della tradizione culturale che riconosce nell'esperienza greca la propria radice.
Metafisica
1 Il sapere eÁ un'esigenza primaria dell'uomo
Aristotele
Metafisica
980.a Pa*nteQ a>nurvpoi toy& ei$ de* nai o$re* gontai fy*sei. 980.b shmei& on d\ h< tv&n
ai$ suh*sevn a$ga*phsiQ " kai+ ga+r xvri+ Q th&Q xrei* aQ a$gapv&ntai di\ ay<ta*Q, kai+ ma*lista
tv&n a>llvn h< dia+ tv&n o$mma*tvn. 980.c oy$ ga+r mo*non i% na pra*ttvmen a$lla+ kai+ mhue+ n
me* llonteQ pra*ttein to+ o<ra&n ai< roy*meua a$nti+ pa*ntvn v<Q ei$ pei& n tv&n a>llvn. 980.d
ai> tion d\ o%ti ma*lista poiei& gnvri* zein h<ma&Q ay%th tv&n ai$ suh*sevn kai+ polla+Q dhloi&
diafora*Q. 980.e fy*sei me+n oy#n ai> suhsin e> xonta gi* gnetai ta+ z{&a, e$ k de+ tay*thQ toi& Q
me+ n ay$tv&n oy$k e$ ggi* gnetai mnh*mh, toi& Q d\ e$ ggi* gnetai 980.f kai+ dia+ toy&to tay&ta
fronimv*tera kai+ mauhtikv*tera tv&n mh+ dyname* nvn mnhmoney*ein e$ sti* , fro*nima me+n
a>ney toy& manua*nein o%sa mh+ dy*natai tv&n co*fvn a$koy*ein (oi}on me* litta ka/n ei> ti
toioy&ton a>llo ge* noQ z{*vn e> sti), manua*nei d\ o%sa pro+Q t|& mnh*m| kai+ tay*thn e> xei
980.a Pa*nteQ ... fy*sei, ``Tutti gli esseri umani per natura aspirano al sapere'' (il verbo o$re* gomai ha il suo complemento in genitivo): Aristotele inizia la
sua riflessione enunciando il punto che
vuole dimostrare; segue la dimostrazione, introdotta da un elemento di osservazione tratto dall'esperienza sensibile,
ed assolutamente evidente, il desiderio
di vedere cioÁ che ci sta intorno, che eÁ
spontaneo negli esseri umani.
980.b shmei& on ... tv&n o$mma*tvn, ``prova
ne eÁ l'amore per le percezioni: infatti
anche senza necessitaÁ sono amate di
per stesse, e soprattutto tra le altre quella
che si realizza attraverso gli occhi''. In
questo ulteriore segmento Aristotele insiste su quello che chiama ``l'amore delle
percezioni'', aggiungendo che il piuÁ forte
eÁ per quelle derivate dalla vista, ma soprattutto insiste sul carattere disinteressato di esse, che ``senza bisogno di necessitaÁ
(xvri+ Q th&Q xrei* aQ) sono amate di per seÂ
(a$gapv&ntai di' ay<ta*Q)''. ± shmei& on eÁ il
termine chiave di questo procedimento
dimostrativo, in cui all'enunciazione dell'ipotesi segue la dimostrazione analitica.
980.c oy$ ga+r mo*non ... tv&n a>llvn, ``infatti non solo per agire, ma anche quando
non ci accingiamo a far nulla scegliamo
la vista, per cosõÁ dire, a preferenza di tutte
le altre percezioni''. Si insiste ancora mettendo in luce, sempre sulla base dell'esperienza quotidiana, il carattere disinteressato del guardare, ``non solo per fare ma
anche senza l'intenzione di fare alcuncheÂ''. _ v<Q ei$ pei& n, ``per cosõÁ dire''.
980.d ai> tion ... diafora*Q, ``causa eÁ che
questa tra le percezioni soprattutto ci fa
conoscere e minifesta molte differenze''. L'argomento procede cercando
la causa del primato delle percezioni
visive, e Aristotele suggerisce che soprattutto la vista ci consente di conoscere, giacche essa ci mostra molte differenze tra gli oggetti percepiti; argomento implicito eÁ che la conoscenza di
un oggetto eÁ funzione della relazione in
cui viene posto con gli altri compresi
nell'esperienza.
980.e fy*sei me+n oy#n ... toi& Q d\ e$ggi* gnetai, ``infatti per natura gli esseri viventi
nascono capaci di percezioni, e da questa per alcuni di loro non si riproduce
memoria, per altri si produce''. Aristotele procede nella sua analisi, affrontando un fenomeno ulteriore: alcuni animali hanno memoria degli og-
getti percepiti, altri no; nel periodo successivo avanzeraÁ una connessione con
elementi che differenziano i primi animali rispetto agli altri.
980.f kai+ dia+ toy&to ... th+n ai> suhsin``e
per questo i primi (tay&ta) sono piuÁ sagaci
e piuÁ capaci di imparare (fronimv*tera
kai+ mauhtikv*tera) di quelli che non possono ricordare; sagaci, ma senza capacitaÁ di imparare, quelli che non hanno
l'udito (come ad esempio l'ape e tutti
gli altri animali dello stesso genere), mentre imparano quelli che, oltre la memoria hanno anche questo senso''. _ ei> ti
toioy&ton a>llo ge*noQ z{*vn e>sti: lett. ``se
c'eÁ un altro genere simile di animali''. La
distinzione tra gli animali forniti di udito
e quelli che ne mancano, di necessitaÁ
approssimativa date le conoscenze biologiche del tempo, ha una funzione pragmatica: essa si fonda, per Aristotele, sulla
relazione con l'uomo, e cosõÁ il cane e il
cavallo, ad es., possono udire il comando
o le minacce, e quindi possono essere
addomesticati, a differenza di altri;
_
co*fvn a$koy*ein: il verbo a$koy*v ha il
suo complemento in genitivo; ± oi} on:
lett. ``quale'', diventa di fatto una congiunzione, ``come'', usata per introdurre
un esempio.
649
th+n ai> suhsin. 980.g ta+ me+ n oy#n a>lla tai& Q fantasi* aiQ z|& kai+ tai& Q mnh*maiQ, e$ mpeiri* aQ de+ mete*xei mikro*n " to+ de+ tv&n a$nurv*pvn ge*noQ kai+ te* xn| kai+ logismoi& Q.
981.a gi* gnetai d\ e$ k th&Q mnh*mhQ e$ mpeiri* a toi& Q a$nurv*poiQ " ai< ga+r pollai+ mnh&mai
toy& ay$toy& pra*gma toQ mia&Q e$ mpeiri* aQ dy*namin a$poteloy&sin.
980.g ta+ me+n oy#n ... toi& Q a$nurv*poiQ,
``dunque gli altri animali vivono di
immagini e di ricordi, ma partecipano limitatamente all'esperienza,
mentre l'uomo vive anche di arte e
di ragionamento''. La distinzione
tra l'uomo e gli altri animali (ta+ ...
a>lla) consiste per Aristotele nella
capacitaÁ di fare esperienza: i primi
vivono di immagini (fantasi* aiQ) e di
ricordo (tai& Q mnh*maiQ), ma partecipano limitatamente all'esperienza,
mentre l'uomo vive anche di arte e
di ragionamento (kai+ te* xn| kai+ logismoi& Q), e dalla memoria si forma all'uomo l'esperienza: si intenda che
l'esperienza organizzata (la te* xnh) e i
ragionamenti elaborano i contenuti
della memoria facendone esperienza.
981.a gi* gnetai ... a$poteloy&sin, ``e dalla memoria si forma per gli uomini l'esperienza: infatti molti ricordi dello stesso oggetto realizzano (a$poteloy&sin) l'esperienza''. Questa dunque, per Aristotele, eÁ il risultato di una sintesi di molti
ricordi connessi allo stesso oggetto.
traduzione d'autore
980.a Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. 980.b Segno ne eÁ amore per le
sensazioni: infatti, essi amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente
dalla loro utilitaÁ, e, piuÁ di tutte, amano la sensazione della vista: 980.c in effetti, non
solo ai fini dell'azione, ma anche senza avere alcuna intenzione di agire, noi preferiamo il vedere, in certo senso, a tutte le altre sensazioni. 980.d E il motivo sta nel
fatto che la vista ci fa conoscere piuÁ di tutte le altre sensazioni e ci rende manifeste
numerose differenze fra le cose.
980.e Gli animali sono naturalmente forniti di sensazione; ma, in alcuni, dalla
sensazione non nasce la memoria, in altri, invece, nasce. 980.f Per tale motivo questi
ultimi sono piuÁ intelligenti e piuÁ atti ad imparare rispetto a quelli che non hanno
capacitaÁ di ricordare. Sono intelligenti, ma senza capacitaÁ di imparare tutti quegli
animali che non hanno facoltaÁ di udire i suoni (per esempio l'ape e ogni altro genere di
animali di questo tipo); imparano, invece, tutti quelli che, oltre la memoria, posseggono anche il senso dell'udito.
980.g Orbene, mentre gli altri animali vivono con immagini sensibili e con ricordi,
e poco partecipano dell'esperienza, il genere umano vive, invece, anche d'arte e di
ragionamenti. Negli uomini, l'esperienza deriva dalla memoria: infatti, molti ricordi
dello stesso oggetto giungono a costituire 981.a un'esperienza unica.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
(Trad. G. Reale)
GUIDA ALL'ANALISI
LESSICO E LINGUA
1. Nel testo vengono impiegati vocaboli appartenenti al lessico filosofico: spiega i seguenti termini dal punto di vista
etimologico e del significato, anche con riferimento al contesto: fy*siQ (980a), shmei& on (980b), ai> suhsiQ
(980b), ai> tion (980d), logismo*Q (980g), e$mpeiri* a (981a).
TEMI E CONFRONTI
2. Soffermati sulle caratteristiche che Aristotele attribuisce alla conoscenza, legando il tuo discorso a due termini
chiave: naturale; disinteressata. Motiva la tua risposta in un elaborato di 5 righe.
3. Quale il motivo del primato delle percezioni visive? Motiva la tua risposta in un elaborato di 5 righe.
4. Qual eÁ, dal punto di vista dell'esperienza, la differenza fra uomo ed animale?
650
(983b-984d)
983.b Tv&n dh+ prv*tvn filosofhsa*ntvn oi< plei& stoi ta+Q e$ n y%lhQ ei> dei mo*naQ
983.a Tv&n dh+ prv*tvn ... pa*ntvn, ``I
piuÁ di coloro che hanno filosofato tra i
primi, credettero che fossero principi di
tutte le cose (a$rxa+Q ... pa*ntvn) soltanto
quelli di specie materiale (ta+Q e$ n y%lhQ
ei> dei mo*naQ)''. I filosofi ionici si posero
come primo problema la definizione
dell'a$rxh*, del principio universale delle
cose esistenti, e diedero a questo principio il nome di una materia (aria, acqua o fuoco); alcuni tra i loro contemporanei intesero questi termini in puro
senso materiale, ed Aristotele continua
questo fraintendimento.
983.b e$j oy} ga+r ... svzome*nhQ, ``Infatti cioÁ da cui tutti gli esseri sono costituiti (e$ j oy} ga+r e> stin a%panta ta+ o>nta),
e dal quale come primo si generano e
in cui alla fine si corrompono, mentre
la sostanza (th&Q me+ n oy$si* aQ) permane
anche se si trasforma quanto alle sue
affezioni (toi& Q de+ pa*uesi metaballoy*shQ), questo dicono elemento e
questo il principio degli esseri (a$rxh*n
... tv&n o>ntvn), e credono per questo
che nulla (oy$ue* n) abbia origine ne perisca, mentre questa natura sempre si
conserva''. L'argomento eÁ che, se l'essenza di ogni cosa eÁ costituita da un
elemento primo, aria, acqua o altro,
questo permanga nelle varie trasforSCHEDA DI LESSICO "Il lessico della
vita, p. 654
mazioni che danno luogo agli oggetti
del mondo sensibile.
983.c v%sper ... ay$to*n, ``come non diciamo nemmeno che Socrate nasca assolutamente quando diviene bello o
musico, ne che perisce quando perde
queste proprietaÁ, per il fatto che resta il
sostrato, cioeÁ Socrate stesso''. ± to+ y<pokei* menon eÁ termine tecnico per indicare
la ``sostanza'' che ``giace sotto'' le varie
forme che si succedono, come e% jiQ indica le proprietaÁ permanenti che si succedono in un essere che si trasforma.
983.d oy%tvQ ... e$kei* nhQ, ``similmente
(avviene) di tutte le altre cose (lett.
``nemmeno nessuna''): infatti (eÁ necessario) che ci sia sempre una natura, o
una sola o piuÁ di una, dalla quale si
generano le altre mentre essa si conserva''. Il senso eÁ: come Socrate resta sempre Socrate, perche eÁ la sostanza che si
mantiene attraverso le trasformazioni
che egli subisce, come quando da giovane diventa vecchio, cosõÁ ognuna delle
altre sostanze rimane al di sotto delle
trasformazioni che esse incontrano.
983.e to+ me*ntoi ... zv&n, ``Ma quanto al
numero e alla specie (to+ ei#doQ) di un simile principio, non dicono tutti la stessa
testi
{<h*uhsan a$rxa+Q ei#nai pa*ntvn " e$ j oy} ga+r e> stin a%panta ta+ o>nta kai+ e$ j oy} gi* gnetai
prv*toy kai+ ei$Q o= fuei* retai teleytai& on, th&Q me+ n oy$si* aQ y<pomenoy*shQ toi& Q de+
pa*uesi metaballoy*shQ, toy&to stoixei& on kai+ tay*thn a$rxh*n fasin ei#nai tv&n o>ntvn,
kai+ dia+ toy&to oy>te gi* gnesuai oy$ue+n oi> ontai oy>te a$po*llysuai, v<Q th&Q toiay*thQ
fy*sevQ a$ei+ svzome*nhQ, 983.c v%sper oy$de+ to+n Svkra*thn fame+ n oy>te gi* gnesuai
a<plv&Q o%tan gi* gnhtai kalo+Q h/ moysiko+Q oy>te a$po*llysuai o%tan a$poba*ll| tay*taQ
ta+Q e% jeiQ, dia+ to+ y<pome* nein to+ y<pokei* menon to+n Svkra*thn ay$to*n, 983.d oy%tvQ
oy$de+ tv&n a>llvn oy$de* n " a$ei+ ga+r ei#nai* tina fy*sin h/ mi* an h/ plei* oyQ mia&Q e$ j v}n
gi* gnetai ta#lla svzome*nhQ e$ kei* nhQ. 983.e to+ me*ntoi plh&uoQ kai+ to+ ei#doQ th&Q
toiay*thQ a$rxh&Q oy$ to+ ay$to+ pa*nteQ le* goysin, a$lla+ Ualh&Q me+ n o< th&Q toiay*thQ
a$rxhgo+Q filosofi* aQ y%dvr fhsi+ n ei#nai (dio+ kai+ th+n gh&n e$ f\ y%datoQ a$pefh*nato
ei#nai), labv+n i> svQ th+n y<po*lhcin tay*thn e$ k toy& pa*ntvn o<ra&n th+n trofh+n y<gra+n
oy#san kai+ ay$to+ to+ uermo+n e$ k toy*toy gigno*menon kai+ toy*t{ zv&n 983.f (to+ d\ e$ j oy}
gi* gnetai, toy&t\ e$ sti+ n a$rxh+ pa*ntvn) ± 983.g dia* te dh+ toy&to th+n y<po*lhcin labv+n
tay*thn kai+ dia+ to+ pa*ntvn ta+ spe*rmata th+n fy*sin y<gra+n e> xein, to+ d\ y%dvr a$rxh+n
Metafisica
Dopo aver definito la ricerca delle cause prime come oggetto primario della filosofia, Aristotele passa in rassegna
i primi filosofi che indicarono la causa prima in un elemento naturale (Talete, Anassimene, Empedocle ed
Anassagora).
Aristotele
2 I filosofi della natura
cosa ma Talete, l'iniziatore (a$rxhgo*Q) di
una simile filosofia, dice che eÁ acqua
(percioÁ sosteneva [a$pefh*nato] che la
terra galleggia sopra l'acqua) prendendo forse questa ipotesi (th+n y<po*lhcin
tay*thn) dal vedere che il nutrimento
di ogni cosa eÁ umido, e lo stesso calore
(ay$to+ to+ uermo*n) nasce da questo e di
questo vive''. ± e$k toy& pa*ntvn o<ra&n: eÁ
un inf. sostantivato. o<ra&n regge il part.
predicativo th+n trofh+n y<gra+n oy#san,
come il gigno*menon che segue. Aristotele non approfondisce le ragioni della
scelta di Talete, ma ipotizza una motivazione per essa.
983.f to+ d\ e$j oy} ... pa*ntvn, ``cioÁ da cui
tutto deriva, questo eÁ il principio di
tutto''. Aristotele precisa che puoÁ essere
considerato principio di tutto (a$rxh+
pa*ntvn) cioÁ da cui tutto deriva; a lui
non interessa la genesi della realtaÁ,
ma cioÁ che la fonda, e tuttavia riconosce che in una prospettiva naturalistica
i due concetti coincidono.
983.g dia* te dh+ ... toi& Q y<groi& Q, ``per
questo motivo dunque, assumendo
questa ipotesi, e per il fatto che i semi
di tutto hanno natura umida, e per le
cose umide l'acqua eÁ principio della
loro natura''.
651
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
th&Q fy*sevQ ei#nai toi& Q y<groi& Q. 983.h ei$ si+ de* tineQ oi= kai+ toy+Q pampalai* oyQ kai+
poly+ pro+ th&Q ny&n gene* sevQ kai+ prv*toyQ ueologh*santaQ oy%tvQ oi> ontai peri+ th&Q
fy*sevQ y<polabei& n " $ Vkeano*n te ga+r kai+ Thuy+n e$ poi* hsan th&Q gene*sevQ pate* raQ,
kai+ to+n o%rkon tv&n uev&n y%dvr, th+n kaloyme* nhn y<p\ ay$tv&n Sty*ga " timiv*taton me+n
ga+r to+ presby*taton, o%rkoQ de+ to+ timiv*tato*n e$ stin " 984.a ei$ me+ n oy#n a$rxai* a tiQ
ay%th kai+ palaia+ tety*xhken oy#sa peri+ th&Q fy*sevQ h< do*ja, ta*x\ a/n a>dhlon ei> h,
Ualh&Q me*ntoi le* getai oy%tvQ a$pofh*nasuai peri+ th&Q prv*thQ ai$ ti* aQ [...]. 984.b
$Anajime* nhQ de+ a$e* ra kai+ Dioge* nhQ pro*teron y%datoQ kai+ ma*list\ a$rxh+n tiue*asi tv&n
a<plv&n svma*tvn, % IppasoQ de+ py&r o< Metaponti& noQ kai+ $ Hra*kleitoQ o< $ Efe* sioQ,
$ Empedoklh&Q de+ ta+ te* ttara, pro+Q toi& Q ei$ rhme* noiQ gh&n prostiuei+ Q te*tarton 984.c
(tay&ta ga+r a$ei+ diame* nein kai+ oy$ gi* gnesuai a$ll\ h/ plh*uei kai+ o$ligo*thti, sygkrino*mena kai+ diakrino*mena ei$ Q e% n te kai+ e$ j e< no*Q) " 984.d $Anajago*raQ de+ o< Klazome* nioQ t|& me+ n h<liki* @ pro*teroQ v/n toy*toy toi& Q d\ e>rgoiQ y%steroQ a$pei* royQ ei#nai*
fhsi ta+Q a$rxa*Q " sxedo+n ga+r a%panta ta+ o<moiomerh& kaua*per y%dvr h/ py&r oy%tv
gi* gnesuai kai+ a$po*llysuai* fhsi, sygkri* sei kai+ diakri* sei mo*non, a>llvQ d\ oy>te
gi* gnesuai oy>t\ a$po*llysuai a$lla+ diame* nein a$i^ dia.
983.h ei$ si+ de* ... e$stin, ``ci sono alcuni
che credono che anche i piuÁ antichi e
che hanno trattato degli deÁi per primi e
molto prima della presente generazione, abbiano cosõÁ pensato della natura:
posero Oceano e Teti come autori della generazione delle cose, e che cioÁ su
cui gli deÁi giurano eÁ l'acqua, quella che
essi chiamano Stige: infatti cioÁ che eÁ
piuÁ antico eÁ piuÁ degno di rispetto, e il
giuramento eÁ cioÁ che eÁ piuÁ degno di
rispetto''. Qui Aristotele riferisce l'opinione di chi vorrebbe far risalire la dottrina di Talete ai tempi piuÁ antichi, al
mito di Oceano e Teti autori della generazione, e alla pratica degli deÁi di
giurare sullo Stige. ± toy+Q ... ueologh*santaQ, ``coloro che si sono occupati di
teologia'': a questi Aristotele contrapporraÁ i ``fisiologi'', piuÁ vicini alle scienze naturali. ± pampalai* oyQ: ``gli antichissimi''. ± poly+ pro+ th&Q ny&n gene*sevQ: ``molto prima dell'attuale generazione''.
Nella Teogonia di Esiodo
(vv. 337 ss.) si narra che, dopo le stirpi
piuÁ antiche dei Titani, nati dal Cielo e
dalla Terra, una successiva generazione
di deÁi fu generata dagli amori di Oceano
e Teti¨. Si distingua tra Thuy*Q, la sposa
di Oceano, e Ue*tiQ, la Nereide madre di
Achille; il giuramento per lo Stige potrebbe far pensare che l'acqua di quel
fiume fosse la cosa piuÁ antica, infatti ti-
miv*taton ... timiv*tato*n e$ stin, ``merita rispetto cioÁ che eÁ piuÁ antico, e cioÁ per cui si
giura eÁ piuÁ degno di rispetto che mai''.
984.a ei$ me+n oy#n ... ai$ ti* aQ, ``Se dunque
questa opinione riguardo alla natura sia
arcaica ed antica, potrebbe forse non
essere chiaro; pure Talete si dice che si
sia cosõÁ espresso riguardo alla prima
causa''. Dopo aver riferito l'opinione
dei teologizzanti, Aristotele esprime il
suo scetticismo su di essa, riaffermando
che solo di Talete si puoÁ dire con chiarezza che abbia riportato all'acqua la
prima causa; solo a una posizione di
questo tipo ci si puoÁ riferire per l'indagine sul fondamento dell'essere.
984.b A
$ najime*nhQ ... te*tarton, ``Anassimene invece, e Diogene pongono
(tiue* asi) l'aria prima dell'acqua, quale
principio tra i corpi semplici (tv&n
a<plv&n svma*tvn), e Ippaso di Metaponto e Eraclito di Efeso il fuoco, e
Empedocle (ne pone) quattro, aggiungendo ai tre elementi predetti (ei$ rhme* noiQ) la terra come quarto''. Dopo Talete Aristotele accenna brevemente alle
soluzioni offerte al problema dell'a$rxh*
da altri filosofi ionici.
984.c tay&ta ... e$j e<no*Q, ``Questi infatti
sono permanenti (a$ei+ diame* nein) e non
sono soggetti a divenire, ma associandosi e separandosi in uno e dall'uno (ei$ Q
e% n te kai+ e$ j e< no*Q), in numero grande o
piccolo (h/ plh*uei kai+ o$ligo*thti)''. Mentre i predecessori spiegavano le differenze mediante la trasformazione qualitativa di un unico principio, Empedocle ne assunse quattro e ridusse il mutamento a movimento quantitativo di
elementi tra loro in origine differenti.
_
ei$ Q e%n te kai+ e$j e<no*Q: i movimenti si
producevano quando gli elementi si
riunivano in un solo oggetto (ei$ Q e% n) e
quando invece da un solo oggetto (e$ j
e< no*Q) si dissociavano.
984.d $Anajago*raQ ... a$i^ dia, ``Anassagora di Clazomene poi, che per etaÁ eÁ
anteriore a costui, ma per gli scritti eÁ
posteriore, dice che i principi sono infiniti (a$pei* royQ ei#nai* fhsi ta+Q a$rxa*Q):
infatti dice che quasi tutte le cose, che
hanno parti omogenee (a%panta ta+
o<moiomerh&) nascono e periscono nello
stesso modo dell'acqua e del fuoco
(kaua*per y%dvr h/ py&r), solo per associazione e separazione, e che non si
generano ne muoiono altrimenti, ma
rimangono eterne''. ± o<moiomerh&: sono gli enti che Anassagora chiamava
o<moiomerei& ai, secondo Plutarco, qualitativamente diversi tra loro e divisibili all'infinito (vedi p. 19).
traduzione d'autore
983.a La maggior parte di coloro che primi filosofarono pensarono che princõÁpi di
tutte le cose fossero solo quelli materiali. Infatti essi affermano che cioÁ di cui tutti gli
esseri sono costituiti e cioÁ da cui derivano originariamente e in cui 983.b si risolvono
da ultimo, eÁ elemento ed eÁ principio degli esseri in quanto eÁ una realtaÁ che permane
652
Aristotele
Metafisica
identica pur nel trasmutarsi delle sue affezioni. E, per questa ragione, essi credono che
nulla si generi e che nulla si distrugga, dal momento che una tale realtaÁ si conserva
sempre. 983.c E come non diciamo che Socrate si genera in senso assoluto quando
diviene bello o musico, ne diciamo che perisce quando perde questi modi di essere,
per il fatto che il sostrato ± ossia Socrate stesso ± continua ad esistere, cosõÁ dobbiamo
dire che non si corrompe, in senso assoluto, nessuna delle altre cose: infatti, deve
esserci qualche realtaÁ naturale (o una sola o piuÁ di una) dalla quale derivano tutte le
altre cose, mentre essa continua ad esistere immutata.
983.e Tuttavia, questi filosofi non sono tutti d'accordo circa il numero e la specie di
un tale principio. Talete, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che quel principio eÁ
l'acqua (per questo afferma anche che la terra galleggia sull'acqua), desumendo
indubbiamente questa sua convinzione dalla costatazione che il nutrimento di tutte
le cose eÁ umido, e che perfino il caldo si genera dall'umido e vive nell'umido. 983.f
Ora, cioÁ da cui tutte le cose si generano eÁ, appunto, il principio di tutto. 983.g Egli
desunse dunque questa convinzione da questo e inoltre dal fatto che i semi di tutte le
cose hanno una natura umida, e l'acqua eÁ il principio della natura delle cose umide.
983.h Ci sono, poi, alcuni i quali credono che anche gli antichissimi che per primi
hanno trattato degli deÁi, molto prima della presente generazione, abbiano avuto
questa stessa concezione della realtaÁ naturale. Infatti, posero Oceano e Teti come
autori della generazione delle cose, e dissero che cioÁ su cui gli deÁi giurano eÁ l'acqua, la
quale da essi vien chiamata Stige. Infatti, cioÁ che eÁ piuÁ antico eÁ anche cioÁ che eÁ piuÁ
degno di rispetto, e cioÁ su cui si giura eÁ, appunto, cioÁ che eÁ piuÁ degno di rispetto. 984.a
Ma, che questa concezione della realtaÁ naturale sia stata cosõÁ originaria e cosõÁ antica,
non risulta affatto in modo chiaro; al contrario, si afferma che Talete per primo abbia
professato questa dottrina intorno alla causa prima.
984.b Anassimene, invece, e Diogene considerarono come originaria, piuÁ dell'acqua, l'aria e, fra i corpi semplici, la considerarono come principio per eccellenza,
mentre Ippaso di Metaponto ed Eraclito di Efeso considerarono come principio il
fuoco.
Invece Empedocle pose come princõÁpi i quattro corpi semplici, aggiungendo ai tre
sopra menzionati anche un quarto, cioeÁ la terra. 984.c Essi, infatti, restano sempre
immutati e non sono soggetti a divenire se non per aumento o diminuzione di
quantitaÁ, quando si congiungono in una unitaÁ o si sciolgono da essa.
984.d Anassagora di Clazomene, che per etaÁ viene prima di Empedocle ma eÁ
posteriore per le opere, afferma che i principi sono infiniti: infatti egli dice che
pressoche tutte le omeomerie si generano e si corrompono unicamente in quanto si
riuniscono e si disgiungono cosõÁ come avviene per l'acqua o per il fuoco; mentre in
altro modo non si generano ne si corrompono, ma permangono eterne.
testi
(Trad. G. Reale)
GUIDA ALL'ANALISI
LESSICO E LINGUA
1. Spiega i seguenti termini appartenenti al lessico filosofico: filosofi* a (983b), a$rxh* (983b), oy$si* a (983b),
e% jiQ (983b), to+ y<pokei* menon (983b), o<moiomerh*Q (984a)
TEMI E CONFRONTI
2. Aristotele riporta l'affermazione dei teologizzanti (983h: ei$ si+ de* tineQ oi= ...), ma subito fa intendere che il pensiero
di Talete rappresenta qualcosa di totalmente nuovo. Rifacendoti anche alle tue conoscenze filosofiche, qual eÁ,
secondo te, la novitaÁ portata da Talete rispetto al pensiero precedente?
STILE E RETORICA
3. Analizza 983b-983d (e$ j oy} ga+r e>stin a%panta ta+ o>nta ... oy%tvQ oy$de+ tv&n a>llvn oy$de* n) dal punto di vista
stilistico; considera anche la funzione della prolessi iniziale, la iniziale struttura trimembre e$ j oy} ... e$j oy} ... ei$ Q o%
con ampliamento della terza parte).
653
l
Scheda di essico
Il lessico della vita
bi* oQ
zvh*
bio*v
za*v
bi* otoQ
bioth*
biotey*v
di* aita
diaita*v
ai$ v*n
zvo*Q
e> mbioQ
e> mcyxoQ
sv&ma
cyxh*
Ammonio di Alessandria, un allievo del grande filologo alessandrino Aristarco di Samotracia, autore di un
trattato sui sinonimi greci, ci ha lasciato una definizione dei due termini fondamentali che indicano la vita:
bi* oQ zvh&Q diafe* rei. bi* oQ me+n e$ pi+ tv&n logikv&n ta*ssetai
z{*vn, toyte* stin a$nurv*pvn mo*non " zvh+ de+ e$pi+ a$nurv*pvn
kai+ e$pi+ tv&n a$lo*gvn z{*vn. e$ntey&uen $Aristote*lhQ to+n
bi* on v<ri* sato oy%tvQ " bi* oQ e$ sti+ logikh+ zvh*, ``bi* oQ differisce da zvh*: bi* oQ eÁ riferito agli animali dotati di ragione,
cioeÁ solo agli uomini, mentre zvh* si dice degli uomini e
degli animali irragionevoli. Pertanto Aristotele ha cosõÁ
definito bi* oQ: `bi* oQ eÁ zvh* dotata di ragione' ''.
Come spesso avviene, la distinzione dei grammatici,
che nasce da un rigoroso criterio logico, eÁ piuÁ netta di
quella che i testi suggeriscono. CosõÁ troviamo in Platone, Protagora 351 b le* geiQ de* tinaQ, v# Protago*ra, tv&n
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
a$nurv*pvn ey# zh&n, toy+Q de+ kakv&Q; ... ti* d$, ei$ h<de* vQ bioy+Q
to+n bi* on teleyth*seien, oy$k ey# a>n soi dokoi& oy%toQ bebivke*nai, ``tu dici, Protagora, che alcuni degli uomini vi-
vono bene, altri male ... ma che diresti, se concludesse
la sua vita dopo esser vissuto piacevolmente, quest'uomo non ti sembrerebbe essere vissuto bene?'': in questo
discorso l'alternanza tra bio*v e za*v sembra governata
da criteri di stile, che suggeriscono di evitare la ripetizione dello stesso termine, e i due verbi sembrano
assolutamente intercambiabili. Tuttavia si puoÁ ammettere che in generale zvh* indichi la vita fisica, con le
funzioni direttamente ad essa connesse, come il nutrimento, mentre bi* oQ indichi il complesso dei comportamenti di un essere ragionevole: Aristotele, nel trattato
Sull'anima 2, 4, 14 osserva e$ pei+ oy$de+ n tre* fetai mh+ me-
te* xon zvh&Q, to+ e> mcyxon a/n ei> h sv&ma to+ trefo*menon, |}
e> mcyxon ``poiche non si nutre nessun essere che non sia
partecipe della vita, il corpo vivente potrebbe nutrirsi
in quanto eÁ vivente''. CosõÁ anche Platone, descrivendo
la sorte dei defunti nell'aldilaÁ, racconta che quando i
morti giungono nel luogo dove ognuno eÁ accompagnato dal suo deÁmone, ``vengono giudicati separatamente
quelli che sono vissuti in modo giusto e pio e quelli che
non sono vissuti cosõÁ; e quelli che sembrino esser
654
vissuti a mezza via tra il bene e il male ... giungono
alla palude'', diedika*santo oi% te kalv&Q kai+ oi< o<si* vQ
biv*santeQ kai+ oi< mh* " kai+ oi= me+ n a/n do*jvsi me*svQ bebivke* nai, ... a$fiknoy&ntai ei$ Q th+n li* mnhn (Fedone 113 e).
Talvolta bi* oQ assume il valore di ``mezzi di vita'',
valore che il suo derivato bi* otoQ ha sempre: Esiodo,
Opere 232 ricorda i sovrani giusti ``per i quali la terra
produce abbondanti mezzi di vita'', toi& si fe*rei me+n gai& a
poly+n bi* on, mentre in Omero Diomede ricorda che suo
padre Tideo ``abitava una casa ricca di mezzi'', nai& e de+
dv&ma / a$fneio+n bio*toio (Iliade XIV, 121 s.); invece bioth*
si riferisce al modo di vivere. A Menelao, in Odissea IV,
565, viene profetizzato che un giorno sarebbe stato
accolto nei campi Elisi, ``dove eÁ dolcissima la vita per
gli uomini'', t|&per r<hi* sth bioth+ pe* lei a$nurv*poisin. Nello stesso modo biotey*v eÁ un'espressione che abbraccia
la vita in tutte le sue relazioni, non solo nel comportamento etico, ma altresõÁ nell'essere felici o meno.
Altri termini di questo gruppo semantico sono di* aita (cf. Ippocrate, Arie, acque e luoghi, 1.5; 2.2), con il
denominativo diaita*v, e il poetico ai$ v*n. Di* aita, diaita*v indicano un modo di trascorrere la vita e possono
indicare la vita stessa come modalitaÁ di comportamento: cosõÁ in Eschine 2, 146 l'oratore dichiara che ``ritengo che voi siate in grado di valutare adeguatamente
la mia vita e il mio comportamento di ogni giorno'',
toy& me+n oy#n e$ moy& bi* oy kai+ th&Q kau$ h<me*ran diai* thQ y<ma&Q
dokimasta+Q i< kanoy+Q ei#nai nomi* zv. Infine ai$ v*n, che indi-
ca ``il tempo'', in varie accezioni che vanno da un
tempo determinato all'eternitaÁ nella storia dei suoi usi,
viene usato poeticamente per indicare il tempo assegnato alla vita degli uomini, come in Pindaro, Istmica
7, 16: do*lioQ ga+r ai$ v+n e$ p$ a$ndra*si kre*matai, e< li* ssvn
bi* oy po*ron, ``giacche pende ingannevole sugli uomini
il tempo, voltando il corso della loro esistenza''.
Fra gli aggettivi che si formano in questo campo
semantico, zvo*Q, ``vivente'', costituisce l'antonimo
esatto di teunhkv*Q, ``morto'', e> mbioQ, detto di piante e
di animali, eÁ chi ha in se la vita, mentre e> mcyxoQ, dato il
valore di cyxh* (``principio vitale''), eÁ detto propriamente degli animali.
Infine, alcune locuzioni che indicano la conservazione o la perdita della vita: tra queste, sv&ma sv*zein,
letteralmente ``salvare il corpo'', significa ``salvare la
vita'', come in Eschine 1, 5 ta+ me+ n tv&n dhmokratoyme* nvn sv*mata ... oi< no*moi sv*zoysi, ``le leggi garantiscono la vita di coloro che vivono in democrazia''.
Un'analoga locuzione esiste per cyxh*, che propriamente eÁ il principio vitale che anima gli uomini e gli
altri animali; cfr. Erodoto V, 92 e 2: Cipselo ``perseguitoÁ molti tra i Corinzi, molti privoÁ delle sostanze, e
ancor molti di piuÁ della vita'', polloy+Q me+ n Korinui* vn
e$di* vje, polloy+Q de+ tv&n xrhma*tvn a$pesth*rhse, polloy+Q d$ e> ti plei& stoyQ th&Q cyxh&Q.
Aristotele
Retorica
(1358b)
I generi della retorica sono tre, come di tre tipi possono essere gli ascoltatori dei
discorsi; e a sua volta il discorso eÁ composto di tre elementi; chi parla, cioÁ di cui si
parla e a chi si parla. Il fine del discorso eÁ rivolto a quest'ultimo, intendo dire
all'ascoltatore. L'ascoltatore non puoÁ che essere spettatore o giudice, e se giudice,
giudice del passato o del futuro. Un membro dell'Assemblea eÁ giudice del futuro,
mentre un membro del tribunale eÁ giudice del passato, e lo spettatore eÁ giudice
dell'abilitaÁ dell'oratore. Di conseguenza, ci sono tre generi di discorsi: deliberativo, giudiziario, epidittico.
Il genere deliberativo consiste in un'esortazione o in una dissuasione; sempre
infatti chi esprime il proprio parere in privato e chi parla in assemblea fa l'una o
l'altra di queste cose. Il genere giudiziario consiste in una difesa o in una accusa; le
parti in causa infatti non possono fare che l'una o l'altra di queste due cose. Il
genere epidittico consiste in una lode o in un biasimo. Ognuno di questi discorsi
ha un suo proprio tempo; il deliberativo il futuro (chi esorta o dissuade consiglia
sempre per il futuro), il giudiziario il passato (l'accusa o la difesa riguardano fatti
giaÁ avvenuti), l'epidittico il presente, perche tutti lodano o biasimano in riferimento al presente, anche se spesso ricordano il passato o prefigurano il futuro.
Ognuno di questi discorsi ha un fine diverso, tre come tre sono i discorsi. Per il
discorso deliberativo, il fine eÁ l'utile o il dannoso: chi raccomanda qualcosa
consiglia per il meglio, chi dissuade da qualcosa cerca di evitare il peggio. Il resto,
se sia giusto o ingiusto, bello o brutto, eÁ accessorio. Per il discorso giudiziario, il
fine eÁ il giusto e l'ingiusto; il resto eÁ accessorio. Per il discorso epidittico, il fine eÁ il
bello e il brutto, e tutto il resto viene ricondotto a questo.
testi
I tre tipi di discorso si distinguono in relazione al tempo cui fanno riferimento: se ci si riferisce al passato, abbiamo
il discorso giudiziario; il discorso deliberativo o politico, riguarda il futuro, mentre il discorso epidittico, in lode o in
biasimo di qualcosa o qualcuno, si riferisce al presente.
(Trad. G. Paduano)
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. Aristotele, nel brano proposto, ha disegnato uno schema della retorica destinato a diventare classico.
Ripercorrilo, completando la tabella che segue:
GENERE DELLA RETORICA
"
DESTINATARIO
"
CONTENUTO
TEMPO DI RIFERIMENTO
FINE
Deliberativo
Membro dell'assemblea
Epidittico
" ................................
"
" ................................
" ................................
" ........................................
"
" ................................
" ........................................
" ................................
"
"
" ................................
" ................................
Utile e nocivo
Accusa e difesa
Retorica
3 I generi della retorica
presente
2. Il semiologo Umberto Eco afferma che l'arte della persuasione, la te* xnh th&Q peiuoy&Q di un tempo, eÁ stata
ereditata oggi dalla pubblicitaÁ. Discuti e giustifica tale giudizio, portando degli esempi (max. 20 righe).
3. A quale genere della retorica (deliberativo, giudiziario, epidittico) appartiene la pubblicitaÁ?
655
Poetica
4 L'origine della tragedia
(1449a)
Aristotele inizia la sua trattazione della tragedia con un rapido profilo storico sull'origine del genere, cui aggiunge
qualche notizia anche sulla commedia, di cui si riprometteva di trattare piuÁ oltre. EÁ evidente ed eÁ stato sempre
osservato che questo profilo eÁ condizionato dall'idea che Aristotele aveva dei generi letterari, considerati come
esseri viventi che nascono, si sviluppano fino alla maturitaÁ fisica e poi degradano. In ogni caso, si tratta di una
testimonianza preziosa, di cui eÁ necessario tenere conto.
La tragedia dunque, sorta da un principio di improvvisazione ± sia essa sia la
commedia, l'una da coloro che guidavano il ditirambo, l'altra da coloro che
guidavano i cortei fallici che ancora oggi rimangono in uso in molte cittaÁ ± a
poco a poco crebbe perche i poeti sviluppavano quanto in essa veniva manifestandosi, ed essendo passata per molti mutamenti la tragedia smise di mutare
quando ebbe conseguito la propria natura. Eschilo fu il primo a portare il numero
degli attori da uno a due, a ridurre la parte del coro e a conferire un ruolo
rilevante alla parola; di Sofocle sono i tre attori e la pittura degli scenari. Per
quanto poi riguarda la grandezza: da racconti piccoli e un linguaggio scherzoso,
poiche il suo processo di trasformazione muoveva dal satiresco, assunse tardi toni
solenni, e il verso di tetrametro si fece giambo. All'inizio si adoperava il tetrametro
perche la poesia era satiresca e piuttosto ballabile, ma, affermatosi il parlato, fu la
stessa natura a trovare il verso appropriato; il giambico eÁ in effetti il verso piuÁ
colloquiale e un segno di cioÁ eÁ che nella nostra conversazione ci capita di dire
spesso giambi, mentre eÁ raro che si dicano esametri, e solo quando ci si allontana
dal tono discorsivo. Per quanto riguarda poi il numero degli episodi e il resto,
come si dice che ciascun elemento abbia trovato la propria sistemazione, fermiamoci a quel che si eÁ detto. Considerare ogni particolare sarebbe probabilmente
lavoro eccessivo.
(Trad. D. Lanza)
GUIDA ALL'ANALISI
TEMI E CONFRONTI
1. A partire dal passo di Aristotele qui presentato e dalle considerazioni esposte alle pp. 46 ss., chiarifica ± ai fini
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
della formulazione di un'ipotesi sull'origine della tragedia ± le notizie che desumiamo dalle fonti antiche.
Terrai presenti i seguenti elementi:
" improvvisazione
" coloro che guidavano il ditirambo
" cori in onore di eroi
2. Spiega il significato dell'associazione tra improvvisazione ed origine della tragedia.
3. Seleziona le indicazioni presenti nel testo e realizza un breve schema riassuntivo della posizione di Aristotele
riguardo alla storia del genere tragico. In esso terrai conto dei seguenti elementi:
" numero degli attori
" ampiezza dell'opera
" rapporto stasimi/episodi
" scenografia
" metro/i impiegato/i
4. Aristotele indica nell'ambiente cultuale dionisiaco l'ambiente in cui nasce la tragedia. Sottolinea, nel testo, gli
elementi che segnalano tale ``matrice'' dionisiaca.
656
A
ristotele fu non solo una grande personalitaÁ di ricercatore, ma fu anche un
organizzatore della ricerca collettiva eccezionalmente dotato e fortunato:
non sarebbe stato possibile creare l'enciclopedia delle scienze umane e naturali
che egli lascioÁ all'umanitaÁ senza la solida collaborazione di un gruppo affiatato di
ricercatori; questo gruppo infatti proseguõÁ la ricerca anche dopo la morte del
maestro, approfondendo molte delle direzioni di indagine da lui assunte, non
tanto nel campo della metafisica quanto in quello dell'etica e delle virtuÁ morali,
delle leggi e forme di governo, delle scienze naturali, della meteorologia, della
geografia, della antropologia, della storia della scienza, ed altresõÁ della biografia,
della retorica, della poesia e della musica.
Eraclide Pontico Eraclide visse tra il 390 e il 310, fu in gioventuÁ allievo di Platone, poi subõÁ
l'influenza del Peripato e scrisse di diversi argomenti filosofici e scientifici,
ma soprattutto di letteratura (su Omero, Esiodo, Archiloco e sulla tragedia) e di
musica, soffermandosi sulle armonie, che per lui si potevano ricondurre a tre tipi,
corrispondenti alle tre stirpi elleniche, dorica, eolica e ionica. L'armonia dorica era
la piuÁ semplice e austera, quella eolica era altera e un po' diffusa, mentre quella
ionica era la piuÁ delicata.
Dicearco da Messina Dicearco ebbe molteplici interessi che riguardavano la politica (studioÁ le
costituzioni di varie cittaÁ greche, approfondendo la dottrina della costituzione mista), la storia letteraria, la storia della civiltaÁ e la geografia.
Aristosseno di Taranto Nacque nel 370 e fu allievo dapprima del pitagorico Senofilo. Alla scuola di
Aristotele approfondõÁ il genere biografico e scrisse vite di Socrate, Platone,
Archita e del ditirambografo Teleste; ma fu soprattutto un grande teorico di problemi musicali. Di lui ci sono giunti gli Elementi armonici in tre libri e parte degli
Elementi ritmici. Negli Elementi armonici sono trattati gli intervalli e i sistemi musicali, la composizione della melodia e i generi diacronico, cromatico e enarmonico:
in questo modo egli affrontava nel quadro della filosofia di Aristotele una dottrina
che era stata per lungo tempo studiata dai Pitagorici e che recentemente era stata
rivoluzionata dai ditirambografi sulla base del concetto di ritmo.
Altri allievi di Aristotele furono Demetrio del Falero e Cameleonte di Eraclea
pontica. Il primo si occupoÁ di etica, di filologia e di storia, mentre il secondo divenne
famoso per le biografie di molti poeti, di cui illustrava le vite attingendo alle loro
opere.
Teofrasto di Ereso Teofrasto fu il piuÁ stretto collaboratore di Aristotele e gli successe alla guida
della scuola nel 322 a. C.; visse fino al 288. Fu il promotore della tendenza a
privilegiare le discipline specialistiche rispetto alla metafisica, che era stata il primo
interesse del fondatore della scuola. Abbiamo un catalogo dei suoi scritti, che con
226 titoli ci illustra una produzione che abbraccia tutta l'encilopedia dello scibile:
dalla logica alla metafisica, dalle scienze naturali alla politica, dalla retorica alla
letteratura. Di tutte queste opere ci sono giunti due trattati di botanica, Historia
plantarum e De causis plantarum, un compendio di metafisica e alcuni opuscoli
scientifici; inoltre un'operetta, intitolata I Caratteri, raccolta di trenta vivacissimi
bozzetti che delineano tipi umani per qualche verso caratteriali, come lo spilorcio, lo
scortese, l'avaro, il superbo. Ognuno di essi eÁ definito sinteticamente, e poi rappresentato icasticamente nei comportamenti in cui si manifesta.
657
La scuola di Aristotele
La scuola di Aristotele
427
Nascita
di Platone
399
Morte
di Socrate
IL CONTESTO
n Epoca: IV secolo a.C.
n Platone e Aristotele svolsero la
loro attivitaÁ didattica e speculativa
per lo piuÁ ad Atene: il primo
± allievo di Socrate ± vi fondoÁ nel
378 a.C. una scuola detta
Accademia, il secondo ± allievo
proprio di Platone ± vi aprõÁ nel 335
a.C. un'altra scuola detta Liceo
(o Peripato).
347
Morte
di Platone
322
Morte di
Aristotele
350
400
387-361
378
Viaggi di
Platone fonda
Platone in Sicilia l’Accademia
384
Nascita
di Aristotele
367
Morte di
335
Dionisio I
323
338 Aristotele
di Siracusa,
Morte di
fonda il
Battaglia
gli succede
Liceo Alessandro
Dionisio II di Cheronea
IL GENERE LETTERARIO
n Per quanto concerne Platone, il
genere prediletto fu il ``dialogo'',
dove la speculazione filosofica ± in
lingua attica ± si colorisce di
vivacitaÁ dialettica; al centro di
molte sue opere c'eÁ il
``personaggio'' di Socrate.
n Aristotele invece produsse, con
una lingua che anticipa la koineÂ:
scritti cosiddetti esoterici che si
configuravano come veri e propri
``strumenti di lavoro'', quasi
``dispense'' per gli allievi della sua
scuola; scritti cosiddetti essoterici,
pensati cioeÁ per la pubblicazione
esterna: di essi resta solo La
costituzione di Atene.
GLI AUTORI, LE OPERE E LE IDEE
n Platone (V-IV sec. a.C.) n
Nacque e morõÁ ad Atene (427-347 a.C.), e qui lungamente operoÁ, segnato dal magistero di Socrate (che
seguõÁ fino alla morte del maestro, nel 399); ebbe anche tre deludenti esperienze presso la corte dei tiranni di
Siracusa, nella speranza di fare di loro dei ``sovrani filosofi''.
n Di lui ci restano: l'Apologia di Socrate, trentaquattro dialoghi filosofici, tredici lettere.
n Le opere scritte fino al 387 (primo viaggio in Sicilia) propongono una ricerca ± non sempre conclusa ± di concetti
morali (coraggio, amicizia, pietaÁ religiosa, temperanza, giustizia): tra esse spiccano l'Apologia e il Critone.
Á (387-367 a.C.) esprimono la metafisica platonica, attraverso la cosiddetta ``dottrina
n Le opere della maturita
delle idee'' (per la quale la realtaÁ terrena eÁ solo una ``copia'' del divino mondo delle idee, mentre il corpo umano eÁ
``prigione'' dell'anima): si segnalano soprattutto il Simposio, il Fedone, il Fedro, la Repubblica.
Á il rapporto tra il mondo delle idee e
n Le opere della vecchiaia (posteriori al 367 a.C.) affrontano per lo piu
quello sensibile: tra le piuÁ importanti, il Timeo, il Crizia, le Leggi.
7 LA FILOSOFIA NEL IV SECOLO
n
n
Aristotele (IV sec. a.C.)
n
Á a lungo ad Atene; tra le sue altre esperienze,
n Nacque a Stagira e morõÁ a Calcide (384-322 a.C.), ma opero
quella ± assai lunga ± ad Assos presso il re Ermia, e in Macedonia presso Filippo, dove fu precettore di
Alessandro Magno.
Á sensibile (svalutata
n Lo sforzo filosofico di Aristotele fu quello di valorizzare maggiormente la realta
dall'idealismo platonico), ritenendola sintesi di forma e materia: per Platone la filosofia era il filosofare, una
ricerca continua e senza fine della veritaÁ, mentre per Aristotele la filosofia eÁ un sistema organico, che si basa su
una dottrina dell'essere in quanto essere (filosofia prima) e affronta le varie forme in cui l'essere si realizza, in
natura, nella vita associata degli uomini, nei loro comportamenti, nelle loro manifestazioni spirituali; nelle sue
opere (che trattano di logica, fisica e scienza, psicologia, filosofia prima o metafisica, etica, politica, retorica ed
estetica) vi eÁ la volontaÁ di classificazione e catalogazione della realtaÁ.
658
300 a.C.
... per memorizzare
450 a.C.
strumenti
PLATONE E ARISTOTELE
strumenti
strumenti
PLATONE E ARISTOTELE
... per verificare
Quesiti a risposta multipla
1. Quale fu l'ultima opera scritta da Platone?
a. &
b. &
c. &
d. &
Simposio
Timeo
Menesseno
Leggi
2. In quale dialogo Platone affronta il
problema dell'origine del mondo?
a. &
b. &
c. &
d. &
Eutidemo
Critone
Timeo
Filebo
Quesiti a risposta singola
(max. 5 righe)
6. Sintetizza il contenuto del Critone
di Platone.
7. Spiega la dottrina dello Stato presentata
nella Repubblica di Platone.
8. Delinea i concetti fondamentali esposti
da Aristotele nella Metafisica.
9. Delinea i concetti fondamentali esposti
da Aristotele nella Poetica.
10. Spiega in che senso per Aristotele la filosofia
costituisce un sistema organico.
3. La scuola che fondoÁ Aristotele fu chiamata:
a. &
b. &
c. &
d. &
Liceo
StoaÁ
Accademia
Ginnasio
4. Aristotele fu precettore di:
a. &
b. &
c. &
d. &
Filippo II di Macedonia
Alessandro Magno
Isocrate
Alcibiade
5. Aristotele nella Poetica:
a. & giustifica la poesia, opponendosi
a Platone
b. & condanna la poesia
c. & condanna solo la poesia epica
d. & condanna solo la tragedia
Trattazione sintetica di argomenti
(max. 15 righe)
11. Sintetizza il contenuto dell'Apologia
e spiegane la sua importanza.
12. Delinea la concezione dell'amore esposta
da Platone nel Simposio.
13. Spiega, facendo qualche riferimento ai testi,
l'uso del mito nei dialoghi di Platone.
14. Delinea le caratteristiche dei dialoghi
di Platone.
15. Esponi la problematica relativa alle opere
esoteriche e a quelle essoteriche di
Aristotele.
659
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