DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww PRIMO PIANO educa An no IV I nuovi standard pedagogici appena fra quindici anni? di Silvano Silvani C ome stanno attualmente le cose, dovremo pazientare ancora un minimo di quindici anni per assicurare a tutti quanti un’adeguata istruzione a pari condizioni! Quanto sia complesso l’intero processo, lo testimonia il fatto che sul documento che fissa medesimi criteri in tutte le istituzioni scolastiche della Croazia, si sta lavorando già da una decina di anni a questa parte. I nuovi standard pedagogici, trattano il numero di alunni per ogni classe, il materiale didattico, il necessario numero di insegnanti e via di questo passo. Secondo i dati a disposizione del Ministero della Scienza, Educazione e Sport, le classi nelle scuole delle maggiori città in Croazia, contano in media 35 alunni, contro i 30 nelle municipalità minori. I piani prevedono la riduzione a 24 alunni per classe. Tanto, considerato che nella classi maggiori, dicono gli esperti, è impossibile realizzare le disposizioni fissate dall'HNOS, ossia dello standard educativo nazionale. Questi, tra l’altro, prevede che le lezioni si dovrebbero svolgere in un solo turno e solamente in via eccezionale in due. Si tratterà di un procedimento molto lungo, se si tiene conto del fatto che, attualmente, nel dieci per cento delle scuole le lezioni si svolgono in tre turni. Tra le altre novità, va messo in evidenza che ogni aula, per “accogliere” 24 alunni, dovrebbe avere una superficie minima di sessanta metri quadrati, ossia 2,5 metri per ogni alunno. I gabinetti di fisica, chimica e biologia dovrebbero, invece, avere un minimo di tre, quelli d’informatica di 3,5 metri quadrati di superficie per ogni alunno. Non basta ancora, ogni istituzione scolastica dovrà avere anche la propria palestra e vani multifunzionali, non inferiori ai novanta metri di superficie, per il soggiorno degli alunni, manifestazioni di vario genere ecc. Neanche la biblioteca non dovrebbe essere inferiore ai sessanta metri quadrati di superficie. Per fare in modo che anche i docenti si trovino a proprio agio, si prevede che nelle scuole con venti sezioni, le sale insegnanti devono avere almeno trenta posti a sedere, in linea di principio posti attorno a tavoli uniti, e non essere inferiori a una superficie di sessanta metri quadrati. Per le scuole medie, sarebbero ottimali venti sezioni al massimo, ossia cinquecento alunni circa. Gli standard vanno tanto avanti, che stabiliscono anche la temperatura ambientale, ma anche quanti alunni possono venire seguiti da un professore. Non ba- • n. 2 sta, fissano addirittura le persone addette all’impianto di riscaldamento. Si suppone che ogni scuola dovrà disporre anche del controllo video e di un sistema antifurto funzionante. Come stanno attualmente le cose, tutte le spese in questo senso cadranno sulle spalle dei contribuenti. “Gli standard pedagogici sono già stati vagliati dall’apposito Comitato parlamentare e, prossimamente, dovrebbero venire analizzati dal Governo. Il Consiglio preposto alla sua stesura, ha fatto il proprio lavoro ma quanto deciso in questa sede non è la bozza definitiva. Non so chi e per quali ragioni ha fatto delle modifiche. So soltanto che tutti i presupposti non potranno venire applicati subito, considerato che comporterebbero una spesa di 10 miliardi di kune”. Lo afferma Zvonimir Laktašić, presidente del Sindacato degli insegnanti croati. Tenendo conto del fatto che le novità riguarderanno tutte le scuole in Croazia, è lecito chiedersi la dinamica di realizzazione. Viste le specificità delle varie zone del Paese, l’ex ministro Gvozden Flego ritiene che per portare a termine l’intero progetto bisognerà attendere il 2023. Egli spiega che dei nuovi standard pedagogici si parla già dai tempi del ministro Ljilja Vokić ma che, tutti i suoi successori, quando hanno compreso quanto 8 200 • Martedì, 12 febbraio costa un progetto del genere, l’anno messo… in aspettativa. Dragan Primorac, l’ha rispolverato, pur ammettendo che potrebbe venir applicato completamente fra quindici anni. Nel frattempo, nonostante un fatto del genere venga sancito dalla Costituzione, non tutti gli alunni che frequentano le scuole in Croazia, avranno le medesime condizioni. Primorac accusa l’amministrazione “Non voglio fare parte di un sistema nel quale gli alunni tornano a casa da scuola alle 21. Fra un anno e mezzo in Croazia, passeranno nel dimenticatoio i tre turni di lavoro. Fra due anni, le statistiche dimostreranno che abbiamo infranto il mito e che abbiamo più del sette per cento di cittadini altamente istruiti, mentre il numero di studenti che otterranno il dottorato, passerà dagli attuali 300 a 700 l’anno”. Lo ha promesso il ministro Dragan Primorac. Secondo lui, la causa principale per lo stato attuale nel campo dell’istruzione e dell’educazione, va ricercata nella Segue a pagina 2 2 educa Martedì, 12 febbraio 2008 Dalla prima pagina vecchia amministrazione statale. “Questa, che rappresenta un’eredità del socialismo, deve venire infranta quanto prima per poter pensare al futuro”, afferma. A suo avviso, ancora, il Ministero a cui fa capo lavora molto bene e le modifiche al settore, avviate quattro anni fa, stanno andando a gonfie vele. In questo contesto, ha spiegato che sono stati aperti settemila nuovi posti di lavoro nelle scuole e che sono stati creati tutti i presupposti necessari per 1.700 nuovi scienziati. Nello stesso periodo, sono stati inaugurati 268 impianti scolastici, aperte 63 nuove scuole con l’inclusione delle unità dell’autogoverno locale. “Anche l’introduzione degli esami di Stato, che da quest’anno si svolgerà in via sperimentale in alcune scuole, rappresenterà un significativo passo avanti per valorizzare il sapere degli alunni”, è categorico. Primorac ammette che il Processo di Bologna non è l’ideale ma che, finalmente i diplomi croati vengono riconosciuti all’estero. Da «curatore degli animali a cuoco wellness» Cambiano i tempi, cambia la tecnologia, cambia anche l'interesse per specifici profili professionali o mestieri. Quelli prettamente artigianali, purtroppo, non attirano più di tanto, sicché l’interesse maggiore riguarda servizi di vario genere quali, tanto per fare qualche esempio, il tecnico di computer, l'arredatore floreale per interni, il "curatore" di animali e il "cuoco wellness". Nonostante il fatto che "mestieri" del genere non possono assolutamente concorrere con "attrattive" del genere praticate in America, quali, ad esempio, il "legale per animali domestici", il "necroforo", sempre per animali domestici, l'"arredatore di sandwich" e chi più ne ha più ne metta, nel sistema scolastico nazionale si stanno introducendo sempre maggiori novità. Dopo che per l'anno scolastico in corso il Ministero ha approvato una cinquantina di nuovi profili, quali il tecnico agroturistico, per l'anno prossimo si prevedono nuovi programmi. Il più "altisonante" è quello che si riferisce all'istruzione di nuovi "cuochi wellness", che dovrebbe venire introdotta in via sperimentale il prossimo autunno. Su modello dei Paesi vicini, avrebbe una durata di tre anni e mezzo. Lo stesso Ministero ha inviato alle scuole una circolare nella quale si mette in rilievo che rimane disponibile per tutte le nuove proposte, ma consiglia pure di contattare dapprima le rispettive Camera d'economia e dell'artigianato. Il ministro Dragan Primorac INIZIATIVE Come trasmettere i valori di pace, solidarietà e responsabilità Sviluppare nei giovani l’empatia aiutandoli a fare la scelta giusta S iamo noi sempre tenuti a ubbidire alla “legge umana” oppure è “un sacro dovere”, un obbligo civile e morale di ciascun individuo resistere e opporsi (anche a costo di prendere le armi) a leggi e norme intrinsicamente ingiuste, arbitrarie, inique, inumane, che violano i principi fondamentali della non discriminazione, limitano o sopprimono libertà personali, istigano all’odio e autorizzano l’uccisione, come le leggi razziali emanate nel 1935 (a alcune già due anni prima) nella Germania nazista e dal regime fascista in Italia esattamente sessant’anni fa? L’Olocausto si verificò alla luce del giorno, nei centri abitati, davanti agli occhi di migliaia di tedeschi che nulla fecero per fermare quella terribile “soluzione finale” del problema ebraico annunciata da Heinrich Himmler (Ministro dell’Interno e uno degli uomini più importanti del Terzo Reich) nell’ottobre del 1943. Partendo dal presupposto che l’obiettivo dell’insegnamento di qualsiasi materia è quello di impegnare la curiosità intellettuale degli studenti, al fine di promuovere il pensiero critico e la crescita personale, l’Olocausto fornisce un contesto quasi “ideale” per esaminare il pericolo del silenzio e dell’indifferenza di fronte all’oppressione degli altri, può aiutare gli studenti a riflettere sugli usi e sugli abusi del potere, sui ruoli e le responsabilità degli individui, delle organizzazioni e delle nazioni in si- della Repubblica croata Patrizia Pitacco, l’inusuale “ora” (in effetti ne sono state svolte ben tre della durata di quarantacinque minuti) ha avuto come “argomento” portante la vita e la figura di Placido Cortese, un frate francescano originario di Cherso, la sua testimonianza di fede e di un profondo amore verso il prossimo. All’appuntamento – è intenzione della prof. Dessardo portare i ragazzi a visitare i luoghi in cui ha operato fra Placido, a Padova –, che si è svolto in un ambiente extra-scolastico ma comunque pertinente alle specifiche finalità pedagogiche delle tuazioni in cui vengono poste a confronto con la violazione dei diritti umani, a politiche distruttive. E dunque, lo studio ampio ed esaustivo dei molti fattori storici, sociali, religiosi, politici ed economici che, sommati assieme, hanno dato origine al triste fenomeno, gli studenti possono acquisire sia la consapevolezza della complessità del processo storico – ossia di come una convergenza di fattori possa contribuire alla disintegrazione dei valori democratici – e rendersi conto del fatto che i cittadini di una società democratica hanno la responsabilità sia di imparare a identificare i segnali di pericolo sia di identificare il momento in cui a tali segnali debbono reagire. Partendo dalla convinzione che sviluppare l’empatia – vale a dire la capacità di mettersi nei panni dell’altro, pensare e sentire “come se” si fosse l’altro, mantenendo nel contempo il contatto con se stessi e con le proprie emozioni – può diventare uno degli strumenti chiave per trasmettere il senso di partecipazione e di responsabilità, di accettazione positiva dell’altro, del “diverso” (indicando una strada fondamentale per la sopravvivenza di un gruppo e di una società), alcune docenti delle scuole italiane di Fiume hanno voluto intraprendere i primi passi in questa direzione organizzando una lezione-laboratorio sull’Olocausto. Promossa dall’insegnante di catechismo Katica Dessardo, con il coinvolgimento della professoressa Norma Zani e alla presenza della consulente pedagogica superiore per le scuole della Comunità Nazionale Italiana in Croazia presso l’Agenzia nazionale per l’educazione e l’istruzione scuole CNI, ossia alla Comunità degli Italiani, hanno partecipato gli alunni di settima e ottava delle scuole “Gelsi” e “Dolac” (con l’accompagnamento degli insegnanti Michele Scalembra, Jenny Chinchella e suor Caterina) e i ragazzi di prima e seconda indirizzo turistico-alberghiero della Scuola media superiore italiana (guidati dalla prof.ssa Norma Zani). Obiettivo? Conoscere sì l’operato del frate francescano ma soprattutto aiutare a individuare e valorizzare il ruolo e il potere del singolo in circostanze avverse, stimolare la comprensione come la scelta del bene sia sempre in armonia con il comandamento evangelico dell’amore, imparare a riconoscere il prossimo nell’altro da noi, saper riconoscere il valore del sacrificio di noi stessi per l’amore verso il prossimo e riuscire a vedere chiaramen- te quali esempi forniscono santi e martiri per applicare il loro insegnamento nell’ambito della nostra vita. E non solo. Leggendo e ragionando sul testo biblico, su brani della monografia di Ljudevit A. Maračić, “Il Kolbe di Cherso – fra Placido Cortese, francescano conventuale” e sull’opuscolo rilasciato in occasione del centesimo anniversario dalla nascita di fra Placido Cortese (predisposto dal Provincialato dei francescani conventuali), i ragazzi sono stati guidati all’acquisizione di un’ulteriore competenza: la comprensione di un testo, l’espressione verbale. Divisi in gruppi, hanno analizzato i brani della monografia su Placido Cortese, valutandone il comportamento e le scelte. Alla fine, ciascun gruppo ha presentato al “pubblico” dei coetanei e dei docenti le proprie osservazioni e conclusioni. Quale la risposta dei giovani? Nessun dubbio sul fatto che siano effettivamente riusciti a cogliere il senso e il messaggio che gli insegnanti hanno voluto trasmettergli, ossia la questione della libertà di scelta che ogni individuo, posto di fronte a una situazione problematica, ha davanti a sé, il concetto di responsabilità contro l’indifferenza perché anche l’esperienza di fra Placido Cortese insegna che non è vero che un singolo, da solo, non può cambiare niente. Durante la Seconda Guerra mondiale, il frate chersino – classe 19079, formatosi in una famiglia nazionalmente “mista” (agli inizi del Ventesimo secolo la cittadina contava all’incirca 4000 anime, di cui secondo il censimento austriaco del 1910, 1796 si dichiaravano Croati, mentre 2255 si dichiaravano Italiani) – dimostrò un forte coraggio e impegno pubblico dedicandosi al salvataggio dei ricercati e all’assistenza dei reclusi nel campo d’internamento civile di Chiesanuova, alla periferia di Padova, dove c’era un gran numero di internati provenienti dai territori del vecchio regno jugoslavo. Tradito da un amico, un tale Mirko, rapito dal suo convento, verrà condotto a Trieste, nella tana della Gestapo di Piazza Oberdan, dove morirà nel 1944. Ilaria Rocchi Rukavina educa 3 Martedì, 12 febbraio 2008 L’INTERVISTA Maria Bradanović, consulente superiore per la lingua italiana Istruzione: sostituire la mediocrità con l’eccellenza di Sandro Petruz M aria Bradanović è la consulente superiore per la lingua italiana dell'Agenzia nazionale per l’educazione e la formazione. La signora Bradanović si è laureata nel ‘78 in letteratura italiana e sociologia a Zagabria, e subito dopo la laurea ha iniziato la sua carriera scolastica presso la scuola media superiore rovignese, sia nelle sezioni croate sia in quelle italiane. Nel 2003 diventa direttrice della Scuola media superiore italiana di Rovigno. Una volta scaduto il mandato da direttore, nel 2007, vince il bando di concorso organizzato dall’Agenzia per l’educazione e la formazione e intraprende il suo nuovo incarico di consulente. Ci può spiegare quali sono i suoi compiti come consulente superiore per la lingua italiana? Le mie mansioni sono identiche a quelle di ogni altro consulente e sono stabilite in conformità a dei regolamenti ministeriali. Per semplificare al massimo si può dire che la mansione principa- consulente può eseguire la supervisione scolastica, che nel caso specifico riguarda le classi elementari dalla quinta all’ottava e tutte le classi delle scuole medie superiori. Sinceramente considero questo metodo d’intervento troppo limitante perché si corre il rischio di far perdere il contatto diretto con il mondo scolastico indispensabile per capire al meglio le varie problematiche e le relative soluzioni. Proprio per questo motivo riteniamo che i consulenti della CNI, oltre ad avere delle mansioni specifiche non previste dal regolamento, dovrebbero avere anche una maggiore libertà di intervento sempre con il benestare delle scuole e non aspettando una denuncia per poter visitare i vari istituti. Qual è il suo giudizio sull’attuale situazione dell’educazione e formazione in lingua italiana? A mio giudizio, la situazione è molto buona se non ottima. Sono tanti i fattori che rendono le nostre scuole migliori, come per esempio il numero di alunni che se da un punto di vista politico - economico è un tasto dolente dal punto di vista Al termine dell’Università e una volta conseguito l’esame di Stato che porta alla conquista di un posto di lavoro sicuro, molti docenti tendono a rilassarsi e a smettere di studiare. Un lusso che un professionista non si può permettere Maria Bradanović li all’Hnos. Le aspettative e le incertezze sono comuni a tutto il mondo dell’educazione nazionale. Le scuole della minoranza hanno però dei problemi peculiari che molte volte vengono risolti grazie all’impegno e all’intervento dell’UI. Ad esempio, l’annosa questione della lingua italiana che logicamente dovrebbe essere materia obbligatoria agli esami nazio- Nelle scuole della CNI è presente un calo delle iscrizioni conseguente a quello demografico e una confusione sulle modalità di applicazione delle novità ministeriali, dagli esami nazionali all’Hnos le è quella di seguire la realizzazione del piano e del programma della propria materia specifica. Un consulente segue tutti gli insegnati della propria materia durante tutta la loro carriera professionale, dal periodo di tirocinio, all’esame professionale di Stato fino al raggiungimento della pensione. Il consulente superiore si occupa dall’avanzamento professionale dei docenti, che possono diventare prima mentori e successivamente consulenti. Da qui l’appellativo superiore dato ai consulenti dell’agenzia per diversificare i due ruoli. Tra le altre incombenze ci sono il controllo dei libri di testo, degli esami nazionali fino all’esame di maturità, l’applicazione dello HNOS, il nuovo Standard formativo per l’educazione elementare. La specificità delle nostre scuole ci porta a occuparci di mansioni che di norma non sono previste, come gli esami nazionali che sono di competenza del NCVVO, il centro nazionale per la valutazione esterna dell’istruzione. In realtà esiste ancora della confusione riguardante il ruolo di consulente superiore sia da parte dei docenti sia dei genitori che spesso confondono questa figura professionale con l’ispettore pedagogico. L’ispettorato pedagogico è un ente autonomo è può esaminare un istituto a sua discrezione, mentre un consulente superiore può entrare in azione solo su mandato del direttore dell’istituto, previa richiesta formale da parte di un’insegnante o di un genitore e su incarico specifico dell’Agenzia. Solo in quel caso il didattico - umano è un vantaggio perché crea una scuola a misura di bambino. In tutti i Paesi sviluppati dell’Europa, la tendenza è di eliminare le scuole a struttura mastodontica, dove gli stessi insegnati si conoscono a malapena e gli alunni sono poco più di meri numeri. L’intenzione è di creare istituti di formazione dove ogni alunno possa trovare il suo posto e che sia trattato come un individuo unico e irripetibile, con la possibilità di ampliare i propri orizzonti e interessi. Molte scuole della nostra minoranza lavorano in questo senso offrendo delle lezioni pomeridiane con un sistema di lavoro molto simile al tutoring cioè basato sulla preparazione individuale lavorando sui problemi particolari di ogni alunno. Questo tipo di programma ha trovato l’approvazione di molti genitori perché va a sostituire le costose lezioni private dando un servizio adeguato a ogni ragazzo. Per quanto riguarda la lingua italiana ci troviamo di fronte a una realtà molto diversa di 10,20 anni fa, in continuo cambiamento perciò citerò la professoressa Milotti dicendo, “Bisogna prendere atto della realtà e puntare sulla qualità”. Quali sono le differenze tra le scuole in lingua croata e quelle della nostra minoranza? La situazione attuale nelle scuole della CNI è speculare rispetto alle scuole della maggioranza, con il calo delle iscrizioni conseguente al calo demografico, confusione sulle modalità di applicazione delle novità ministeriali, dagli esami naziona- I docenti devono dare e chiedere di più, abbandonando l’idea di un sapere pressappochista e linguisticamente scadente nali. Ogni volta che diamo per scontata l’approvazione di questa richiesta legittima, ci ritroviamo a dover dare nuovamente spiegazioni e allegare documentazioni varie. Purtroppo chi credeva che lo Stato si sarebbe impegnato per risolvere questo problema senza le nostre costanti pressioni si sbagliava di grosso. Qui si crea la maggiore differenza, perché se da un lato abbiamo gli stessi obblighi e le stesse problematiche da un altro abbiamo questioni che si ripetono anche quando crediamo siano risolte, senza contare gli imprevisti che possono sempre capitare a causa della nostra specificità. Quali sono i progetti a medio e lungo termine? Nell’immediato futuro l’obiettivo è di creare una banca dati con i nominativi e le caratteristiche specifiche di tutti i do- centi di lingua italiana di tutta la verticale scolastica in modo da poter seguire da vicino ogni singolo docente. In seguito, assieme alla mia collega Patrizia Pitacco, sarà creato un piano adeguato di corsi di aggiornamento in collaborazione con l’UI. Per il futuro prossimo la volontà è di creare un percorso di scuole di eccellenza, e attraverso attività specifiche e interventi mirati di migliorare il livello linguistico e culturale dei nostri docenti con l’accento sul fattore umano e con il ruolo di insegnate - persona al primo posto. In generale ai docenti viene richiesta abilità e competenza che una volta acquisite non vengono valorizzate. L’insegnante ha perso il suo prestigio sociale e molte volte viene costretto al quel concetto di “flessibilità” da parte dei genitori nei confronti dei propri figli che lo porta alla mediocrità. Nel nostro lavoro di formazione delle giovani leve non possiamo permetterci di essere mediocri per questo vanno sostenuti e premiati quegli insegnati desiderosi di svolgere con professionalità e coerenza il loro delicatissimo e importantissimo lavoro, senza farsi intimorire da pressioni di vario genere che spesso arrivano proprio dalle famiglie, che dovrebbero dare un sostegno maggiore. I docenti devono dare e chiedere di più, abbandonando l’idea di un sapere pressappochista e linguisticamente scadente. Al termine dell’Università e una volta conseguito l’esame di Stato che porta alla conquista di un posto di lavoro sicuro, molti docenti tendono a rilassarsi e a smettere di studiare. Un lusso che un educatore professionista non si può permettere, ma deve continuare il suo percorso formativo con un costante aggiornamento, non solo dal punto di vista professionale ma anche da quello emotivo e umano. Non esiste niente di più gratificante per il mestiere di maestro che di contribuire alla formazione intellettuale dei suoi alunni, dando loro la possibilità di conoscersi meglio e di usufruire del proprio potenziale. Qual è il suo parere riguardante il numero sempre maggiore di ragazzi della nostra minoranza che decidono di rimanere a vivere in Italia una volta terminati gli studi? La cosiddetta “fuga di cervelli” si spiega con le retribuzioni dei docenti che sono a livelli minimi e non sono paragonabili alle possibilità che offre la vicina Italia. Per risolvere questo problema sarebbe utile creare un fondo motivazionale che premi i professori più capaci basato su una valutazione meritocratica che stimolerebbe il ritorno di diversi ragazzi perché, come disse Platone riferendosi all’importanza del mestiere dell’insegnante: "Se gli ateniesi avranno cattivi calzolai gli ateniesi andranno scalzi, ma se gli ateniesi avranno cattivi maestri … Atene cadrà". 4 educa L’INCHIESTA Martedì, 12 febbraio 2008 Scoraggianti i risultati dell’indagine internazionale All-Ocse Nell’Italia dei laureati che non sanno scrivere D irimere un’ambiguità lessicale è un problema per un laureato su cinque. A dir la verità, anche solo comprendere la frase che avete appena letto è un problema per un laureato su cinque. “Termini come dirimere, duttile, faceto, proroga si trovano comunemente sui giornali, ma per molti italiani con pergamena appesa al muro sono parole opache”. Analfabeti con la laurea. Non è un paradosso. E nessuno s’offenda: ci sono riscontri scientifici. Il report 2006 del ramo italiano dell’indagine internazionale All-Ocse (Adult Literacy and Life Skill), coordinato dalla pedagogista Vittoria Gallina, non lascia spazio a dubbi: 21 laureati su cento non riescono ad andare oltre il livello elementare di decifrazione di una pagina scritta (il bugiardino di un medicinale, le istruzioni di un elettrodomestico). E non sanno produrre un testo minimamente complesso (una relazione, un referto medico, ma anche una banale lettera al capo condominio) che sia comprensibile e corretto. Una minoranza? Sì: un laureato italiano su due, per fortuna, raggiunge il quinto e massimo livello. Ma è una minoranza terribilmente cospicua, anche se si maschera bene. Negli Usa tre anni fa fu uno shock scoprire che i graduate fermi al livello base sono il 14%. In Italia il buco nero si manifesta a tratti, in modo clamoroso, come un mese fa, a Roma, al termine dell’ultimo dei concorsi per l’accesso alla magistratura. Preso d’assalto da 4.000 candidati, in gara per 380 posti. Nonostante questo, 58 posti sono rimasti scoperti: 3.700 candidati, tutti ovviamente laureati (magari anche più) hanno presentato prove irricevibili sul piano puramente linguistico. “Per pudore vi risparmio le indicibili citazioni”, commentò uno dei commissari d’esame, il giudice di corte d’appello Matteo Frasca. Analfabetismo ai vertici Il campanello d’allarme dovrebbe suonare forte. Non si tratta più di scandalizzarsi (e divertirsi) per gli strafalcioni nozionistici degli studenti. No, episodi come il concorso di Roma mettono a nudo il grado zero del problema. Stiamo parlando di chi è senza parole. Di chi dopo cinque (sei, sette...) anni di studio universitario non è riuscito a mettere nella cassetta degli attrezzi le chiavi inglesi del sapere: grammatica, ortografia, vocabolario. Analfabetismo: anche questa parola sembrava scomparsa dal lessico, ma per esaurimento di funzione. Consegnata ai ricordi in bianco e nero del maestro Manzi. Falsa impressione, perché di italiani che non sanno leggere né scrivere se ne contavano ancora, al censimento 2001, quasi ottocentomila. Se aggiungiamo gli italiani senza neanche un pezzo di carta, neppure la licenza elementare, arriviamo a sei milioni, con allarmanti quote di uno su dieci nelle regioni meridionali. Ma almeno sono numeri che scendono. Aggrediti dal lavoro di meritorie istituzioni come l’Unla, capillarmente contrastati dai corsi ministeriali di alfabetizzazione funzionale per adulti dell’Indire (frequentati l’ultimo anno scolastico da 425 mila persone, tra cui, guarda un po’, 30.407 laureati, in gran parte, però, stranieri). Nobilmente contrastato ai livelli più bassi della scala del sapere, però, ecco che l’analfabetismo riappare dove meno te l’aspetti: ai vertici. Gli studiosi, è vero, preferiscono chiamarlo illetteratismo: non si tratta infatti dell’incapacità brutale di compitare l’abicì, di decifrare una singola parola; ma della forte difficoltà a comunicare efficacemente e comprensibilmente con gli altri attraverso la scrittura. Ma non è proprio questo l’analfabetismo più minaccioso del terzo millennio? Nadine Gordimer, per il bene della sua Africa, è di questo analfabetismo relativo che ha più paura: “Saper leggere la scritta di un cartellone pubblicitario e le nuvolette dei fumetti, ma non saper comprendere il lessico di un poema, questa non è alfabetizzazione”. Siamo sicuri che l’Italia di Dante sia messa meglio del Sudafrica? Proprio no. Per niente sicuri. Quanti, del nostro già magro 8,8% di laureati (la media dei paesi Ocse è del 15%), leggono ogni giorno qualcosa di più delle réclame e delle didascalie della tivù? Quanti invece sono prigionieri più o meno consapevoli di quella che Italo Calvino chiamò l’antilingua? Non saper scrivere nasconde il non saper leggere. Sette laureati su cento non leggono mai (e sono quelli che hanno il coraggio di dichiararlo all’Istat: mancano quelli che se ne vergognano). Altri sette leggono solo l’indispensabile per il lavoro: e siamo già vicini al fatidico uno su cinque. Ma andiamo avanti: uno su tre possiede meno di cento libri, praticamente solo i suoi vecchi testi scolastici. Uno su cinque non ha in casa un’enciclopedia. Quasi nessuno (73 per cento) va in biblioteca, e quando ci va, raramente prende libri in prestito. “Manca il tempo”, “sono troppo stanco”, le scuse più comuni. Ma ci sono anche quelli che non accampano giustificazioni imbarazzate, anzi rivendicano il loro illetteratismo come atteggiamento moderno e aggiornato: “leggere oggi non serve”, “è un medium lento”, “preferisco altre forme di comunicazione sociale”. Difficoltà e paura di affrontare testi scritti “La società sprintata”, come la chiama il pedagogista Franco Frabboni, preside di Scienze della formazione a Bologna, uno degli autori della riforma universitaria, è arrivata negli atenei. E gli atenei la assecondano: “La trasmissione del sapere universitario è regredita dalla scrittura all’oralità”, spiega. Nelle aule della nostra istruzione superiore, il grado di padronanza della lingua italiana non è mai messo alla prova. Persino l’arte dell’argomentazione orale, ponte fra i due universi semantici, è svanita, racconta Frabboni: “Professori sempre più incerti fanno lezione con diapositive, seguendo una traccia fissa. Ai laureandi si lascia esporre la tesi con presentazioni Powerpoint. I “test oggettivi” d’ingresso sono crocette su questionari”. La competenza linguistica non è considerata un pre-requisito indispensabile: “Devi guadagnarti cinque crediti per la lingua straniera, e cinque per l’informatica, ma non c’è alcun obbligo per quanto riguarda la buona pratica dell’italiano”. Un tacito accordo fissa tetti massimi di lettura ridicoli per i testi d’esame: “Quando un professore assegna più di 150-180 pagine, davanti al mio ufficio c’è la fila di studenti che protestano”. Protestano, e poi si sfracellano contro il muro dell’esame. Sugli esiti dell’idiosincrasia per la lettura, agenzie private di tutoraggio hanno costruito imperi aziendali, come il Cepu, diecimila studenti l’anno. “Ci chiedono di aiutarli a passare un esame”, racconta il responsabile marketing Maurizio Pasquetti, “ma scopriamo quasi sempre che alla radice c’è la difficoltà o la paura di affrontare testi scritti. Escono da scuole superiori abituati a libri di testo ancora simili a quelli delle elementari, con testi spezzettati, già schematizza- ti, con tante figure e specchietti: di fronte al terribile “libro bianco”, fatto solo di pagine di scrittura continua, restano terrorizzati”. “In Francia e Germania gli atenei organizzano gare di ortografia “, sospira il professor Serianni. Da noi è difficile perfino reclutare iscritti per i laboratori di scrittura che alcuni atenei, allarmati, hanno messo a disposizione degli studenti in debito di lingua. Quello di Modena è affidato al professor Gabriele Pallotti: “Di solito comincio da virgole e apostrofi...”. Pallotti nel cassetto tiene una cartellina di orrori: email, biglietti affissi alle bacheche, “esito profiquo”, “le chiedo una prologa”, “attendo subitanea risposta”. Ma correggere le asinate non è ancora abbastanza. “Saper annotare correttamente parole sulla carta non è saper scrivere” spiega. “Parlare e scrivere sono due diversi modi di pensare. Troppi ragazzi escono dall’università sapendo solo trascrivere la propria oralità, ovvero un flusso continuo di idee non ordinato e difficilmente comunicabile. Cioè restano mentalmente analfabeti”. Ma se avessero ragione loro? Perché alla fine si scopre che il laureato analfabeta non fa necessariamente più fatica a trovare lavoro rispetto ai suoi quattro colleghi più letterati. Le imprese non sembrano granché interessate a selezionare i propri quadri dirigenti sulla base delle competenze linguistiche di base. E non perché non si accorgano delle deficienze dei loro nuovi assunti. “Non c’è alcuna sanzione sociale verso l’analfabetismo con laurea”, commenta con sconforto Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. Forse perché non si riconoscono immediatamente, si mascherano bene da alfabetizzati. “Fino a cinquant’anni fa l’incompetenza linguistica era palese: otto italiani su dieci usavano ancora il dialetto. Oggi il 95 per cento degli italiani parla italiano. Ma che italiano è? Solo in apparenza parliamo tutti la stessa lingua. Quando si prende in mano una penna, però, carta canta, e le stonature si sentono”. Non è una questione di stile: l’analfabetismo laureato può fare danni concreti. Il paziente che legge sulla sua prescrizione medica “una pillola per tre giorni”, alla fine del terzo giorno avrà preso tre pillole o una sola? “Ci sono guasti immediati come questo. Ci sono guasti a medio e lungo termine, e ben più pericolosi. Chi non legge smette anche di studiare. In Italia solo un venti per cento di quadri segue corsi di aggiornamento: quattro volte meno della media europea. Una classe dirigente male alfabetizzata, quindi non aggiornata, è la rovina di un Paese, molto più di un crollo della Borsa”. Chi parla male pensa male e vive male: è ormai un aforisma, quella battuta di Nanni Moretti. Se pensa male anche solo un quinto dell’élite dirigente, per De Mauro è un’emergenza nazionale: “Per il futuro economico dell’Italia migliorare l’italiano degli imprenditori, dei professionisti, dei politici, è perfino più vitale e urgente che migliorare i salari dei dipendenti. E non lo prenda come un paradosso”. Anno IV / n. 2 12 febbraio 2008 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: EDUCA e-mail: [email protected] Redattore esecutivo: Viviana Ban / Impaginazione: Tiziana Raspor Collaboratori: Ilaria Rocchi Rukavina, Sandro Petruz, Silvano Silvani Il supplemento esce con il sostegno finanziario della Regione Istriana, Assessorato alla Comunità nazionale italiana e altri gruppi etnici. La pubblicazione del presente supplemento viene supportata finanziariamente dall’Unione Italiana di Fiume e dall’Università Popolare di Trieste.