Le sentinelle in piedi: il senso di una manifestazione silenziosa
L’Ufficio diocesano della Famiglia auspica che la manifestazione silenziosa, promossa
dalle “Sentinelle in piedi”, vada spiegata e sostenuta a partire dalle motivazioni che ne
sono alla base.
Tale manifestazione, che si sta tenendo e si terrà in diverse piazze d’Italia e che è
strettamente legata ad altre simili iniziative organizzate in Francia e in altri Paesi europei,
ha lo scopo anzitutto di difendere la libertà di civilmente dissentire da chi, in tema di
matrimonio, famiglia, educazione dei figli, libertà educativa dei genitori, diversità di genere,
vorrebbe imporre un pensiero e un modello unico, violando in tal modo quel diritto che
tutti hanno di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione”, che la nostra Costituzione garantisce all’art. 21. Un segno di
intolleranza – che anche nel linguaggio ha superato i limiti di una legittima critica - è
accaduto in questi giorni nei confronti di un recente intervento del card. Bagnasco,
presidente dei vescovi italiani, aspramente criticato non tanto sul merito delle questioni in
gioco, ma sul metodo usato: il card. Bagnasco avrebbe violato la laicità dello Stato,
sconfinando in temi che non sarebbero di pertinenza della Chiesa, ma dello Stato. A parte
il fatto che anche i cattolici – vescovi compresi – sono cittadini italiani, e dunque del tutto
legittimati ad esprimere liberamente il proprio pensiero, ribadiamo il principio, anche
questo fondato nella nostra Costituzione (cfr. art. 30: “È dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”) e ribadito dal
Concilio Vaticano II (cfr. Gravissimum Educationis, n. 3: “I genitori, poiché han trasmesso
la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati
come i primi e i principali educatori di essa) che il primato nell’educazione dei figli non
spetta né allo Stato, né alla Chiesa, né a circoli di esperti, né a salotti mediatici, bensì ai
genitori, i quali possono ricorrere ad altri soggetti che li aiutino nell’educazione dei figli:
soggetti non imposti da nessuno, ma liberamente scelti dai genitori in base alle loro
convinzioni culturali, etiche e religiose. Questo principio è ribadito anche da tutte le Carte
internazionali ed europee, in quanto principio fondato sulla legge naturale, che assegna ai
genitori, ossia a coloro che hanno trasmesso la vita ai loro figli, il compito educativo.
Non possiamo tacere, ad esempio, che nei tre opuscoli dal titolo “Educare alla diversità” e
che stavano per essere distribuiti nelle scuole italiane (elementari, medie e superiori), la
famiglia composta da un uomo, una donna e i loro figli, possa essere descritta come “uno
stereotipo da pubblicità”.
Come cittadini e come cattolici riconosciamo la ricchezza insostituibile della differenza
sessuale e la specificità assoluta della famiglia come “unione stabile dell’uomo e della
donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore (…), dal riconoscimento e
dall’accettazione della bontà della differenza sessuale per cui i coniugi possono unirsi in
una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita” (Papa Francesco, Lumen fidei,
n. 52).
Per queste motivazioni, crediamo significativa e doverosa una pubblica manifestazione,
affinchè venga garantita la libertà di espressione e si possa, su questi temi, ragionare in
modo argomentativo, e non ideologico.
Don Alberto Franzini
Parroco di Santo Stefano e San Leonardo
In Casalmaggiore
Casalmaggiore, 29 marzo 2014
DALLA PROLUSIONE DEL CARD. ANGELO BAGNASCO
AL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI
Educare intelligenza e cuore
“Come sappiamo, l’annuncio di Cristo è fondamento e criterio dell’educazione delle
intelligenze e dei cuori, una educazione integrale che la scuola è chiamata a offrire: “Il compito
educativo è una missione chiave”, affermava recentemente il Santo Padre (Discorso ai Superiori
Generali degli Istituti maschili di vita religiosa, 29.11.2013). E noi, Vescovi Italiani, con rinnovato
impegno camminiamo nella via del decennio che abbiamo dedicato a questa missione. Per questo,
con tutte le persone di buona volontà e di retto sentire, guardiamo all’appuntamento del 10
maggio prossimo in piazza San Pietro con il Papa. Davanti a Lui e con Lui, riaffermeremo
l’urgenza del compito educativo; la sacrosanta libertà dei genitori nell’educare i figli; il grave
dovere della società – a tutti i livelli e forme – di non corrompere i giovani con idee ed esempi che
nessun padre e madre vorrebbero per i propri ragazzi; il diritto ad una scuola non ideologica e
supina alle mode culturali imposte; la preziosità irrinunciabile e il sostegno concreto alla scuola
cattolica. Essa è un patrimonio storico e plurale del nostro Paese, offrendo un servizio pubblico
seppure in mezzo a grandi difficoltà e a prezzo di sacrifici imposti dall’ingiustizia degli uomini:
ingiustizia che i responsabili fanno finta di non vedere pur sapendo – tra l’altro – l’enorme
risparmio che lo Stato accantona ogni anno grazie a questa peculiare presenza. È in questo
orizzonte che riaffermiamo il primato della persona, e quindi la tutela che si deve ad ogni persona
specialmente se in situazione di fragilità – contro ogni forma di discriminazione e violenza. E nello
stesso tempo non possiamo non ricordare il grave pericolo che deriva dallo stravolgere o
disattendere i fondamentali fatti e principi di natura che riguardano i beni della vita, della famiglia
e dell’educazione. La preparazione alla grande Assise del Sinodo sulla Famiglia, che si celebrerà
in due fasi nel 2014 e nel 2015, nonché il recente Concistoro sul medesimo tema, hanno
provvidenzialmente riposto l’attenzione su questa realtà tanto “disprezzata e maltrattata”, come ha
detto il Papa: commenterei, “disprezzata” sul piano culturale e “maltratta” sul piano politico.
Colpisce che la famiglia sia non di rado rappresentata come un capro espiatorio, quasi l’origine dei
mali del nostro tempo, anziché il presidio universale di un’umanità migliore e la garanzia di
continuità sociale. Non sono le buone leggi che garantiscono la buona convivenza – esse sono
necessarie – ma è la famiglia, vivaio naturale di buona umanità e di società giusta. In questa
logica distorta e ideologica, si innesta la recente iniziativa – variamente attribuita – di tre volumetti
dal titolo “Educare alla diversità a scuola”, che sono approdati nelle scuole italiane, destinati alle
scuole primarie e alle secondarie di primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di
sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” (è questo il
termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la
differenza tra padre e madre…parole dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma
persino imbarazzanti, tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte. È la lettura ideologica del
“genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare
l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare
della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di
educare i propri figli oppure sono stati esautorati? Si è chiesto a loro non solo il parere ma anche
l’esplicita autorizzazione? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure
di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di reagire con
determinazione e chiarezza: non c’è autorità che tenga. Anche il fenomeno dell’“alcol estremo” –
cioè di bere fino allo sfinimento o peggio – non può lasciare indifferente nessuno, tranne chi si
arricchisce sul male degli altri. Si dovrebbe, invece, sprigionare nell’intera società un brivido di
rifiuto e di seria preoccupazione, tale da provocare investimenti seri di risorse umane, economiche
e valoriali, ben più meritorie rispetto a iniziative ideologiche e maldestre”.
6.
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