UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA Facoltà di Giurisprudenza Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza TESI DI LAUREA La sottrazione internazionale dei minori e il richiamo del diritto giapponese Laureanda: Relatore: Martina Sayaka Angeletti Chiar.ma Prof.ssa Alessandra Lanciotti Matr. 221212 Anno Accademico 2011/2012 1 INDICE: Capitolo Primo: La sottrazione internazionale di minori nell'ordinamento internazionale 1. La definizione di sottrazione di minore.................................................................pag. 5 2. La disciplina del diritto convenzionale uniforme: le convenzioni dell'Aja elaborate in materia................................................................................................pag. 8 3. Il percorso evolutivo dei criteri di collegamento e la nozione di residenza abituale nella convenzione dell'Aja del 1980......................................................pag. 10 4. L' evoluzione della disciplina convenzionale inerente alla tutela del minore......pag. 14 5. La disciplina di diritto internazionale privato uniforme previsto dalla convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori.......................................................................................pag. 15 6. Il ruolo delle Autorità centrali..............................................................................pag. 19 7. La violazione del diritto di affidamento e di visita..............................................pag. 22 8. La sottrazione internazionale di un minore: aspetti psicologici..........................pag. 23 9. La sottrazione internazionale di minori italiani: prevenzione e procedura in caso di avvenuta sottrazione............................................................................pag. 26 2 Capitolo secondo: La sottrazione internazionale di minori nell'ordinamento europeo 1. La disciplina europea in tema di sottrazione internazionale di minori................pag. 29 2. La convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento di minori e sul ristabilimento dell'affidamento...........pag. 31 3. La disciplina apportata dalla convenzione europea del Lussemburgo 1980........pag. 32 4. La convenzione europea del Lussemburgodel 1980 e la convenzione dell'Aja del 1980 a confronto...............................................................................pag. 34 5. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003......................................................................pag. 39 6. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell'Aja del 1980: un legame indissolubile di complementarietà.......................................................................pag. 42 7. Le principali novità introdotte dal Regolamento (CE) n. 2201/2003.................pag. 43 8. Il procedimento di riesame introdotto dall'art. 11, parr. 6-8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 e casi giurisprudenziali........................................................pag. 47 Capitolo Terzo: La sottrazione internazionale di minori e il diritto giapponese 1. Cenni introduttivi................................................................................................pag. 54 2. L'evoluzione dell'istituto della famiglia giapponese............................................pag. 55 3. Gli ostacoli socio-culturali all'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja 3 del 1980..............................................................................................................pag. 57 4. L'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 e le principali incompatibilità con il diritto interno.................................................................pag. 59 5. Il rapporto tra diritto giapponese e diritto internazionale convenzionale............pag. 62 6. Le raccomandazioni della Japan Federation of Bar Association (JFBA)............pag. 64 7. Le iniziative intraprese dal governo giapponese ai fini dell'adesione alla convenzione dell'Aja del 1980......................................................................................................pag. 68 8. L'esemplare caso giurisprudenziale Berti contro Kakinuma...............................pag. 70 Considerazioni conclusive.......................................................................................pag. 74 Appendice................................................................................................................pag. 77 Bibliografia..............................................................................................................pag. 85 4 CAPITOLO PRIMO LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI NELL'ORDINAMENTO INTERNAZIONALE SOMMARIO: 1. La definizione di minore. - 2. La disciplina del diritto convenzionale uniforme: le convenzioni dell'Aja elaborate in materia. - 3. Il percorso evolutivo dei criteri di collegamento e la nozione di residenza abituale nella convenzione dell'Aja del 1980. - 4. L'evoluzione della disciplina convenzionale inerente alla tutela del minore. - 5. La disciplina di diritto internazionale privato uniforme previsto dalla convenzione dell'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. - 6. Il ruolo delle Autorità centrali. -7. La violazione del diritto di affidamento e di visita. - 8. La sottrazione internazionale di un minore: aspetti psicologici. -9. La sottrazione internazionale di minori italiani: prevenzione e procedura in caso di avvenuta sottrazione. 1. LA DEFINIZIONE DI SOTTRAZIONE DI MINORE Con sottrazione internazionale di minore si intende l'atto di sottrarre il proprio figlio all'altro genitore, trasferendolo in altro Paese rispetto a quello di residenza abituale, nell'intento di trattenerlo con sé e di creare una situazione di fatto internazionalmente definita child abduction. Questo tipo di fenomeno comprende sia l'ipotesi che l'illecita sottrazione avvenga tra persone di medesima cittadinanza, sia che avvenga tra "coppie miste", costituite da coniugi di nazionalità diversa e si verifica non solo quando il minore viene illecitamente trasferito all'estero, ma anche quando ne sia impedito il rientro nel Paese di residenza abituale. È possibile quindi parlare di sottrazione di minore con elementi di estraneità solamente nel caso in cui una persona, alla quale non sia attribuita potestà illimitata sul minore in questione, conduca il minore all'estero senza essere a ciò autorizzata, oppure non lo riconduca nello Stato alla scadenza del periodo di soggiorno all'estero autorizzato1. Come fenomeno storico la sottrazione del minore ha origini molto antiche. Nell'ordinamento romano e successivamente il quello germanico quest'ultima veniva concepita come un reato contro la patria potestà. Nel diritto canonico invece il consenso del minore sottratto iniziò ad avere un qualche peso, tale da dare vita ad una nuova 1 SIEHR K., “Questioni in materia di sottrazione intenzionale di minori da parte di un genitore”, in La sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore. Studi e documenti sul “kidnapping” internazionale, CEDAM, Padova, 1988. 5 configurazione dell'istituto come reato contro la libertà personale. Solo con l'avvento del codice penale del 1930 la sottrazione di minorenni in Italia venne ricompresa tra i delitti contro la famiglia2. Attualmente la sottrazione di un minore è un reato penale. L'articolo 574 c.p. infatti recita: "Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici o un infermo di mente, al genitore esercente la patria potestà, o al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la patria potestà, del tutore o del curatore, con la reclusione da uno a tre anni". Alla lettura, invece, della più specifica rubrica “Sottrazione e trattenimento di minore all'estero”dell'art. 574 bis si evince che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque sottrae un minore al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore, conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l’esercizio della potestà genitoriale, è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto di cui al primo comma è commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e con il suo consenso, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni. Se i fatti di cui al primo e secondo comma sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la condanna comporta la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori”. Gli strumenti pattizi nel tempo elaborati ed approvati hanno avuto come intento quello di uniformare, per quanto possibile, gli ordinamenti dei singoli Paesi aderenti, che autonomamente e diversamente affrontano e puniscono la sottrazione di minore. L'aspetto più importante introdotto dalla filosofia sottostante le convenzioni è certamente quello rappresentato dalla generale prevalenza dell'interesse del minore al ripristino della situazione precedente alla sottrazione, rispetto a qualsiasi implicazione inerente al diritto internazionale privato, soprattutto relativa alla competenza giurisdizionale e alla legislazione applicabile 3. L'affidamento dei figli minori costituisce inevitabilmente uno dei problemi più delicati quando i rapporti tra i genitori sono in crisi, e le frontiere che dividono gli Stati giocano in esso non di rado un ruolo fortemente negativo. Le prime vittime delle contese tra i 2 3 MANNA A., voce “Sottrazione di minorenni e persone incapaci”, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1994. La sottrazione internazionale di minori. Ministero della Giustizia, dipartimento giustizia minorile. Autorità centrali convenzionali, CONGEMI EDITORE, Roma, 2006. 6 genitori sono proprio i figli, oggetto talvolta di veri “rapimenti” anche se il “rapitore” spesso è convinto di agire legittimamente (da qui il frequente ricorrere dell'espressione legal kidnapping). Perciò, mentre i governi hanno cercato di predisporre specifici strumenti normativi uniformi, i giudici statali non hanno mancato di esplorare le soluzioni possibili sulla base delle più generali convinzioni relative alla protezione dei minori4. Negli ultimi anni il fenomeno della sottrazione internazionale dei minori è in continua crescita. L'intensificarsi dei matrimoni misti, che ammontano a circa 240 mila tra il 1996 e il 20085, della mobilità dei cittadini e delle unioni libere ha infatti reso imperativa la necessità di ricercare forme di cooperazione e di aiuto in grado di offrire alle coppie in conflitto concrete soluzioni per la risoluzione dei loro contrasti6. Non si può ignorare che le maggiori difficoltà siano oggi rappresentate non soltanto dalle oggettive differenze tra ordinamenti giuridici, ma anche dalla scarsa collaborazione fra gli organi giudiziari, spesso restii a riconoscere valore vincolante nel proprio ordinamento a provvedimenti esteri7. In considerazione delle situazioni precarie ed ambigue in cui vengono a trovarsi molti fanciulli in conseguenza di fenomeni migratori, di trasferimenti illegali e di conflitti coinvolgenti i membri della loro famiglia, si tende oggi a costruire un diritto internazionale dell'infanzia volto ad ottenere una maggiore autonomia della figura del minore nell'ambito del diritto internazionale, accentuando l'internazionalizzazione della posizione di essi. A questa tendenza ha contribuito in larga misura l'opera delle organizzazioni internazionali e delle convenzioni elaborate in materia, che tuttavia pongono problemi di compatibilità con certi sistemi politico-giuridici, i quali affermano in modo imperativo la concezione patriarcale della famiglia. Non deve farsi riferimento, tuttavia, a sistemi come quello musulmano, ma anche al sistema giapponese, che come si cercherà di mostrare compiutamente nei successivi capitoli, sta incontrando molteplici difficoltà nell'adesione alla convenzione dell'Aja del 1980. 4 5 6 7 MOSCONI F. RINOLDI D., “La sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore. Studi e documenti sul “kidnapping” internazionale”, CEDAM, Padova, 1988. Ministero degli Affari Esteri, Bambini contesi, guida per i genitori, Roma, 2011 Sul numero di casi di sottrazione internazionale di minori presentati alle Autorità centrali, relativi agli anni 2007/2009/2011 cfr. appendice a). VERUCCI L., “La sottrazione internazionale di minori da parte di uno dei genitori: la convenzione europea e la convenzione dell'Aja a confronto”, in Giustizia civile, 1995, pp. 531 e ss. 7 2. LA DISCIPLINA DEL DIRITTO CONVENZIONALE UNIFORME: LE CONVENZIONI DELL'AJA ELABORATE IN MATERIA Già dal periodo successivo al primo conflitto mondiale la questione della protezione del minore divenne un problema sociale dai caratteri internazionalistici, anche a seguito dell'esodo di popolazioni rifugiate. L'esigenza sempre più crescente fu quella di tutelare i minori all'interno dello Stato della nuova dimora. Si iniziò a parlare di "enfants internationalement deplacés" per indicare quel fenomeno di trasferimento illecito di bambini all'estero e della mancata restituzione nel paese di residenza abituale. Il problema che il diritto internazionale privato dovette affrontare fu quello di scegliere dei criteri in base ai quali individuare la giurisdizione competente e la legge applicabile ai casi di sottrazione internazionale di minori avvenuta da un Paese a un altro. A tale scopo vennero elaborate alcune convenzioni dell'Aja di diritto internazionale privato sulla protezione dei minori. Nella prima convenzione dell'Aja del 1902 la soluzione al conflitto di leggi veniva risolta dando prevalenza al criterio della cittadinanza. All'art. 1 si affermava, infatti, che "la tutela di un minore è disciplinata dalla legge nazionale di appartenenza" e solo in via sussidiaria quello della residenza abituale. Nella pratica internazionale, almeno nei rapporti tra Stati parti, iniziava a riscontrarsi la tendenza a confidare l'istituzione e l'esercizio della tutela all'autorità dello Stato della residenza abituale del minore, in quanto posto nella condizione migliore per valutare la situazione e decidere sulle misure della protezione. Tale considerazione fu alla base della revisione totale della convenzione del 1902 e portò la Conferenza dell'Aja all'elaborazione della nuova convezione conclusa il 5 ottobre 1961, avente ad oggetto “les misures tendant à la protection” del minore e dei suoi beni (art. 1)8. Fu la convenzione dell'Aja del 1961 la prima a considerare quale criterio di collegamento principale quello della residenza abituale. Rispetto alla convenzione del 1902 i ruoli del criterio della nazionalità e quello della residenza abituale furono quindi invertiti, e il criterio della nazionalità divenne sussidiario, ma venne mantenuto per assicurare continuità in caso di frequenti spostamenti del minore. 8 DEL VECCHIO A., “La protezione dei minori nell'evoluzione delle convenzioni internazionali in materia”, in Rivista di diritto internazionale dei diritti dell'uomo, 2000, pp. 655 e ss. 8 In seguito, il 19 ottobre 1996, al termine della XVIII sessione della conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato, venne adottata (e aperta alla firma, ai sensi dell'art. 57, par. 1) la progettata convenzione di revisione della convenzione del 19619. La nuova convenzione, assai più dettagliata è denominata Convention concernant la compétence, la loi applicable, la reconnaissance, l'exécution te la coopération en matière de responsabilité parentale et de mesures de protection des enfants 10. Il criterio di collegamento principale prescelto fu nuovamente quello della residenza abituale del minore (art. 5). Questa scelta venne adottata nell'intento di limitare, se non di evitare, il concorso di autorità egualmente competenti. Una competenza residuale, in tutti i casi di urgenza, è attribuita dall'art. 11 della convenzione del 1996 alle autorità di ogni Stato contraente sul territorio del quale si trovino il fanciullo ovvero i beni ad esso appartenenti. Le misure adottate da parte di queste ultime autorità cessano di avere effetto dal momento in cui le autorità normalmente competenti in base alla convenzione abbiano adottato le misure richieste11. Le disposizioni previste dalla convezione dell'Aja del 1996, si riferiscono e riguardano nello specifico gli enfants réfugiés e quelli che par suite de troubles prévalant dan leur pays sont internationalement déplacés. Si dispone che in casi delicati come questi siano le autorità dello Stato contraente nel cui territorio il minore si trova ad essere competenti circa le misure da adottare tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni. Nei casi inerenti a profughi o rifugiati di guerra la precarietà della dimora del minore è, infatti, solo temporanea e sempre che non si stabilizzi con il riconoscimento dello status di profugo, non può parlarsi di residenza abituale. Diverso è il caso invece della sottrazione o non restituzione illegale di un minore ai sensi della convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, approvata nel corso della Quattordicesima Sessione della Conferenza dell'Aja di diritto privato internazionale, il 25 Ottobre 1980 con il voto unanime di tutti gli Stati partecipanti12. Tale convenzione diversamente da altre, quali quella del Lussemburgo del 20 maggio 1980, ha come obiettivo primario quello di apprestare procedure urgenti volte a ripristinare la situazione precedente alla 9 PICONE P., “La nuova convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1996, pp. 705 e ss. 10 Conclusa il 19 ottobre 1996 nell'ambito della Conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato, in vigore dal 1° gennaio 2002. 11 PICONE P., “La nuova convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori”, cit., 1996, pp. 705 e ss. 12 PéREZ-VERA E., “Explanatory Report on the 1980 Hague Child Abduction Convention”, L'Aja, 1982, http://www.hcch.net/upload/expl28.pdf 9 sottrazione, prescindendo da considerazioni in ordine alla legittimità del trasferimento che sia stato messo in atto. Si applicherà pertanto la disciplina più opportuna rispetto al dato più rilevante, costituito dal mutamento improvviso e traumatico delle condizioni di vita del minore, affermando la prevalenza di principio di ogni diritto di affidamento giuridicamente efficace e effettivamente esercitato nel Paese di residenza abituale del minore, rispetto a situazioni contrarie e sopravvenute a seguito dell'illecito trasferimento dello stesso in altro Paese. Per le autorità di quest'ultimo Paese nascerà quindi l'obbligo alla restituzione del minore, anche qualora secondo il proprio ordinamento nazionale il diritto di affidamento non dovesse spettare alla persona che lo esercitava sino all'avvenuto allontanamento del minore. 13 Neri casi disciplinati dalla Convenzione dell'Aja del 1980 la scelta del criterio di collegamento si fonda sull'idea che la competenza circa la protezione debba restare alle autorità dello Stato in cui il fanciullo aveva la residenza abituale nel periodo immediatamente precedente al trasferimento illegale, sino al momento in cui abbia acquisito una residenza abituale in un altro Stato, potendo le autorità dello Stato in cui il minore è stato trasferito adottare misure urgenti necessarie alla protezione di esso e dei suoi beni. 3. IL PERCORSO EVOLUTIVO DEI CRITERI DI COLLEGAMENTO E LA NOZIONE DI RESIDENZA ABITUALE NELLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980. Il criterio di collegamento principale attualmente o quello della residenza abituale. L'art. 4 della convenzione dell'Aja del 1980, infatti, afferma che in caso di sottrazione internazionale di minore la sua disciplina “si applica ad ogni minore che aveva la propria residenza abituale in uno Stato contraente immediatamente prima della violazione dei diritti di affidamento o di visita”. Il concetto di residenza abituale rappresenta una delle nozioni più importanti dell'intero sistema internazionalprivatistico. Tale nozione è alla base di molteplici convenzioni internazionali e comunitarie, tra cui quella dell'Aja del 1980, e rappresenta strumento di armonizzazione delle norme di conflitto largamente utilizzato14. Il percorso che portò all'adozione del criterio della 13 14 DAVì A., “Il diritto internazionale privato della famiglia e le fonti di origine internazionale e comunitaria”, in Rivista di diritto internazionale, 2002, pp. 861 e ss. MELLONE M., “La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle 10 residenza abituale quale criterio principale, non si è di certo basato su scelte radicali ed improvvise. La convenzione dell'Aja del 1902, infatti, presenta come criterio di collegamento principale il criterio della cittadinanza. Ogni Stato adotta la propria definizione di cittadinanza in base alle norme interne che sono il frutto della sua storia e delle sue tradizioni giuridiche. Per cittadinanza si intende il complesso di diritti e di doveri spettanti alla persona che fa parte di una determinata consociazione politica, sanciti dalle leggi di questa, costituisce il vincolo che lega l'individuo alla consociazione, e si sostanzia in un rapporto tra Stato e cittadino e cittadino e Stato15. Stante la diversità che ogni ordinamento presenta nella scelta degli elementi in base ai quali attribuire la propria cittadinanza, e la difficoltà nel ravvisare modalità costanti di intendere il rapporto tra sovranità e singolo, il criterio della cittadinanza venne presto abbandonato in favore del criterio di collegamento del domicilio, la cui origine è ricollegabile a Joseph Story e a Friedrich Carl von Savigny. Secondo tali autori lo statuto personale era corretto che si determinasse sulla base di connessioni di tipo spaziale. Anche il criterio del domicilio presentava profonde diversità a seconda dell'ordinamento preso in considerazione16. Tuttavia, il sistema del diritto internazionale privato lo accolse per lungo tempo come criterio principale di collegamento17. Successivamente, l'introduzione del criterio di collegamento della residenza ebbe l'effetto di interrompere il predominio del criterio del domicilio come criterio di individuazione di collegamenti di tipo territoriale. Fu già a partire dalla terza sessione della Conferenza dell'Aja del 1900, che si propose di abbandonare il criterio della residenza semplice, per consacrare la residenza caratterizzata dall'abitualità, con l'obiettivo di conferirle maggiore stabilità, in modo da individuare un collegamento 15 16 17 norme di conflitto comunitarie”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2010, pp. 685 e ss. BERSANTI, voce “Cittadinanza”, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano, 1913, pp. 603 e ss. Nell'Europa continentale il domicilio indica il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei propri affari , e consta di due elementi, uno oggettivo che consiste nel concentrare in un dato luogo i propri interessi, e uno soggettivo, che si basa sulla precisa intenzione di concentrare in quel determinato luogo i propri interessi. Nel sistema anglo-americano la definizione di domicilio è diversa a seconda che si prenda in considerazione il Regno Unito o gli Stati Uniti d'America. La definizione inglese si avvicina al concetto di cittadinanza, ed appare nei suoi connotati estremamente rigida, poiché esprime il legame non con un determinato luogo ma con un intero territorio. Nel sistema statunitense, invece, la costituzione di un nuovo domicilio segue regole meno rigide. LETTIERI A. L., “I criteri di collegamento della cittadinanza e della residenza abituale: breve analisi con particolare riferimento agli sviluppi del diritto dell'Unione europea nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile”, in Saggi di diritto internazionale privato dell'Unione europea, Editoriale scientifica, Napoli, 2012. 11 territoriale genuino, così da superare tutte le difficoltà legate alla qualificazione dei criteri della cittadinanza e domicilio. Oltre le convenzione dell'Aja del 1980 e del 1996, anche altre convenzioni quali ad esempio la convenzione del 1956 sugli obblighi alimentari o quella del 1970 sul riconoscimento dei divorzi, adottano il criterio della residenza abituale, senza tuttavia darne una precisa definizione. Ciò ha dato adito ad accesi dibattiti dottrinali, poiché la scelta di non definire un concetto come questo, se da un lato offre la capacità di adattarsi facilmente alle singole situazioni, dall'altro resta soggetta inevitabilmente al rischio di interpretazioni discordanti. Questo dilemma è stato ben sottolineato dalla parole del Prof. Paul Lagarde che nella relazione di accompagnamento della convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, spiegava in questa maniera la scelta di non procedere ad alcuna definizione del termine: “toute définition dans une convention déterminée de la résidence habituelle, que ce soit par des éléments qualitatifs ou quantitatifs, aurait pour inconveniént de remettre en cause l'interprétration donnée à cette expression dans les autres conventions, très nombreuses, où elle est utilisée”.18 Il problema di individuare una definizione del concetto di residenza abituale risiede, quindi, nella natura puramente fattuale di questo criterio, per la cui rilevazione occorre far riferimento a due elementi fondamentali, uno oggettivo e l'altro soggettivo. Il primo è tra i due quello più indicativo poiché permette di identificare il legame tra un soggetto e un determinato territorio. Questo legame a sua volta è il risultato della combinazione di due elementi, uno quantitativo, dato dalla durata temporale della permanenza di un soggetto all'interno di un determinato Stato, e uno qualitativo, dato dalla natura e dalle caratteristiche di tale soggiorno. Questo secondo elemento consente di escludere la natura di residenza abituale a quei soggiorni che, seppur prolungati, non possono identificarsi come legame genuino tra soggetto e territorio. L'elemento soggettivo seppur meno incisivo di quello oggettivo, risulta cruciale in tutte quelle situazioni in cui, pur risultando la permanenza in un dato territorio non particolarmente apprezzabile, possa considerarsi comunque residenza abituale, in base all'intenzione seria ed effettiva del soggetto di permanere in quel determinato territorio. Un soggiorno inizialmente temporaneo può successivamente trasformarsi in soggiorno 18 MELLONE M., “La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitarie”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2010, pp. 685 e ss. 12 abituale, così come un soggiorno in un determinato Paese può sin da subito considerarsi abituale, poiché accompagnato dalla palese intenzione di trasferirvisi in maniera stabile. Allo stesso modo, l'elemento intenzionale può fare la differenza in tutte quelle situazioni in cui il periodo di permanenza pur prolungandosi a lungo, sia stato interrotto ripetutamente o costantemente, a causa ad esempio del ritorno abituale nel proprio Paese di origine. In tali situazioni l'elemento oggettivo da solo non può considerarsi decisivo per la valutazione dell'abitualità della residenza, dovendosi invece fare costante riferimento all'intenzione del soggetto. Nello specifico, la convenzione dell'Aja del 1980 instaura una competenza concorrente tra le autorità della residenza abituale e le autorità nazionali del minore, in caso di serio pericolo per lo stesso (art. 8: "Nonostante le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo capoverso, della seguente convenzione, le autorità dello stato di residenza abituale di un minore possono adottare misure di protezione fintantoché il minore è minacciato da un pericolo serio alla sua persona o ai suoi beni") e di urgenza (art.9: "In tutti i casi di urgenza le autorità di ogni stato contraente sul territorio del quale di trovano il minore o dei beni a questi appartenenti adottano le necessarie misure di protezione"). L'aspetto originale che la convenzione dell'Aja del 1980 presenta rispetto alle altre precedenti ma anche successive convenzioni emanate in materia, è il fatto di non aver affatto elaborato disposizioni volte a stabilire la competenza giurisdizionale e la legge applicabile. La convenzione dell'Aja del 1980 si limita al problema pratico: nel caso in cui si verifichi un kidnapping (rapimento) messo in atto da un genitore a danno dell'altro, la priorità immediata è quella di porre rimedio alla situazione venutasi a creare illegittimamente. In quest'ottica avviene concretamente l'eliminazione dei vantaggi che il genitore “abductor” tenta di ottenere con il trasferimento illecito del minore, si evita che quest'ultimo possa subire ulteriori traumi, ed infine si lascia il compito di pronunciarsi nel merito della delicata questione, al giudice dello Stato di residenza abituale, senz'altro il più adatto a valutare le esigenze del minore19. Come si chiarirà più avanti, la convenzione dell'Aja del 1980 ha il pregio di aver risolto negli anni centinaia di casi di children abduction. Il suo chiaro messaggio incentrato sul grave danno che l'allontanamento del minore da uno dei genitori può comportare sulla sua crescita e sul suo sviluppo, e la semplicità del suo rimedio, l'ordine di ritorno, sono 19 VERUCCI L., “La sottrazione internazionale dei minori da parte di uno dei genitori: la convenzione europea e la convenzione dell'Aja a confronto”, cit., 1995, pp. 531 e ss. 13 serviti nel tempo a limitare il fenomeno della sottrazione internazionale. Con attualmente più di 85 Paesi contraenti questa convenzione rappresenta uno degli strumenti di maggiore successo nel campo del diritto internazionale privato inerente al diritto di famiglia20. 4. L'EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA CONVENZIONALE INERENTE ALLA TUTELA DEL MINORE Nella considerazione e nell'analisi delle convenzioni dell'Aja, che nel tempo si sono susseguite, certamente non si può non tener conto dell'influenza esercitata, in maniera sempre più consolidata, dalla disciplina dedicata alla protezione del fanciullo a livello internazionalistico. Già dal 1919 venne adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro la convenzione sull'età minima del lavoratore, volta a limitare il fenomeno del lavoro minorile, anche se il primo vero riconoscimento di diritti al fanciullo venne consacrato con la Dichiarazione di Ginevra o Dichiarazione dei diritti del bambino adottata dalla Quinta Assemblea Generale della Società delle Nazioni Unite nel 1924. Successivamente, nel 1959, si arrivò all'emanazione, con approvazione unanime dell'Assemblea delle Nazioni Unite, della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, che seppur non dotata di valore vincolante, rappresenta ancora oggi fonte di grande autorevolezza morale. I principi elaborati dall'Assemblea delle Nazioni Unite riportati nella Dichiarazione dei diritti del fanciullo confluirono nel 1989 all'interno della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Quest'ultima è entrata in vigore il 2 settembre 1990 ed ha trovato larghissima adesione eccezion fatta per la Somalia e gli Stati Uniti. La convenzione in questione rappresenta lo strumento internazionale più completo in materia di promozione e di tutela dei diritti dell'infanzia. Tra questi diritti certamente spicca non solo il diritto per il fanciullo a preservare la propria identità, comprensiva della nazionalità, del nome e delle relazioni familiari (art 8), il diritto di intrattenere con 20 Www.hcch.net, The child abduction Section, Outline the convention: “The 1980 Hague Convention has contributed to resolving thousands of abduction cases and has served as a deterrent to many others through the clarity of its message (abduction is harmful to children, who have a right to contact with both parents) and through the simplicity of its central remedy (the return order). With currently more than 85 Contracting States, the 1980 Haugue Convention can be viewed as one f the most successful familylaw instrument to be completed under the auspices of the Hague Conference on Private International Law.” 14 entrambi i genitori, rapporti diretti e stabili (art. 9), ma anche il diritto di essere ascoltato nelle decisioni che lo riguardano (art. 12) 21. Quest'ultima esigenza è ribadita all'interno della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 8, che prevedono rispettivamente il rispetto del principio del giusto processo e della vita privata e familiare. 5. LA DISCIPLINA DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO UNIFORME PREVISTA DALLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 SUGLI EFFETTI CIVILI DELLA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI Gli effetti che derivano dalla sottrazione internazionale possono essere molto incisivi se si considera che il minore, nella quasi totalità dei casi, viene improvvisamente separato dall'ambiente ordinario di vita, per poi essere costretto ad adattarsi ad una nuova lingua, ad una nuova scuola, in luoghi spesso molto distanti e diversi da quelli di appartenenza. Tutelando la situazione di fatto, nell'interesse esclusivo del minore, la convenzione dell'Aja del 1980 si allinea con le più moderne concezioni del diritto minorile, sempre più orientate a concepire il minore come soggetto autonomo di diritto e non più subordinato all'illimitato potere dei genitori. La convenzione in questione si applica ai minori di sedici anni che avendo la residenza abituale in uno Stato contraente, vengono trasferiti o trattenuti in un altro Stato contraente. Il carattere dell'internazionalità seppur non esplicitamente previsto dalla convenzione, si evince dal combinato disposto degli artt. 1, lett. a) e 4. Criterio determinante ai fini dell'applicabilità della convenzione non è la natura o il fondamento del diritto di affidamento, ma l'effettività del relativo esercizio. Tra un diritto di affidamento ex lege effettivamente esercitato e un diritto di affidamento derivante da un provvedimento giudiziale, è il primo che potrà godere della tutela convenzionale, poiché sorretto dalla presunzione che il mantenimento dello status quo ante risponda al maggior interesse per il minore. La convenzione dell'Aja del 1980, pertanto, richiede due elementi ai fini della sua applicabilità: un elemento giuridico e uno di fatto. Ai sensi dell'art. 3 l'illiceità del 21 PORCHIA O., “Gli Strumenti sovranazionali in materia di ascolto del minore”, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, pp. 79 e ss. 15 trasferimento o del mancato rientro di un minore sussisterà quando sia stato violato un diritto attribuito ad una persona, ad un'istituzione, o ad ogni altro ente in base alla legislazione dello Stato di residenza abituale del minore immediatamente prima del suo trasferimento (l'elemento di diritto) e quando il diritto in questione sia effettivamente esercitato da tali soggetti (elemento di fatto). Ai sensi dell'art. 3, il diritto di affidamento può derivare direttamente dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa o da un accordo in vigore, in base al diritto dello Stato nel quale il minore aveva la residenza abituale. Il coordinamento tra ordinamenti in caso di sottrazione internazionale di minori avviene dando precedenza all'ordinamento dello Stato di residenza abituale del minore. In base a tale criterio verranno riconosciuti nel foro i provvedimenti e le situazioni giuridiche della categoria considerata che siano a loro volta validamente esistenti ed efficaci all'interno dell'ordinamento giuridico straniero assunto come punto di riferimento”.22 Quanto invece all'elemento di fatto, la convenzione richiede che il diritto di affidamento sia effettivamente esercitato. In base al dettato dell'art 3, non vi è attribuzione a chi subisce la sottrazione di un onere della prova . Pertanto, mentre l'esistenza dell'elemento giuridico va dimostrata da chi invoca la tutela, la sussistenza dell'elemento di fatto è presunta, pur ammettendosi la prova contraria. In taluni casi, tuttavia, l'applicabilità della convenzione può prescindere dall'elemento di fatto. Ciò accade nell'ipotesi dettata dall'art. 3 lett. b ultima parte, il quale prevede che la convenzione possa applicarsi nei casi in cui l'effettivo e concreto esercizio del diritto di affidamento sia impedito proprio dalla sottrazione. Venendo al cuore della disciplina convenzionale, questo è certamente rappresentato dal dettato delle disposizioni il cui obiettivo è quello di negare in maniera radicale qualsiasi effetto alle sottrazioni viene realizzato sia favorendo il ripristino immediato dello status quo ante, sia predisponendo misure opportune volte ad evitare che la sottrazione diventi un utile strumento per ottenere un giudizio sul merito dell'affidamento da parte del tribunale di propria scelta, su ricorso del genitore che ha attuato la sottrazione. Si ravvisa in maniera chiara tale intento nell'obbligo di restituzione previsto dall'art. 12, e nel “divieto per le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato richiesto di deliberare sul merito dell'affidamento e l'irrilevanza, ai fini dell'applicazione della 22 CARELLA G., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1994, pp. 777 e ss. 16 convenzione, di qualsiasi decisione sull'affidamento efficace nello Stato richiesto” (artt. 16 e 17). L'obbligo di restituzione e di ritorno del minore è imposto dall'art. 12 alle autorità giudiziarie o amministrative dello Stato richiesto, a seguito del semplice accertamento dei requisiti di applicabilità della convenzione ai sensi dell'art. 3: il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito: a) quando avviene in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione, o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o mancato rientro, e b) se tali diritti vanno effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze. Il diritto di custodia citato al capoverso a) di cui sopra può in particolare derivare direttamente dalla legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa, o da un accordo in vigore in base alla legislazione del predetto Stato. Sussistono, tuttavia, alcune eccezioni di cui poi si tratterà. Quanto invece al divieto imposto dall'art. 16 alle autorità dello Stato di rifugio di decidere nel merito dell'affidamento, esso vale a partire dal momento in cui tali autorità siano state informate circa la sottrazione. Tale divieto viene meno ove si accerti che non sussistono le condizioni che la convenzione prevede ai fini del rientro del minore, e ove trascorra un periodo ragionevole (di un anno o se opportuno anche un periodo minore), senza che venga presentata una domanda di applicazione della convenzione. Il sistema viene completato dall'art. 17, il quale prevede che l'obbligo imposto dalla convenzione di ordinare il ritorno del minore non è condizionato dall'esistenza di decisioni sull'affidamento efficaci nell'ordinamento dello Stato richiesto, perchè ivi pronunciate o suscettibili di essere riconosciute. La disposizione si applica sia alle decisioni anteriori, sia a quelle posteriori all'avvenuta sottrazione. Per ciò che concerne invece il generale obbligo di ordinare il ritorno del minore illecitamente sottratto, va precisato che questo subisce alcune eccezioni previste dagli articoli 13 e 20. In base al dettato di tali disposizioni l'obbligo di restituzione non viene meno ma è semplicemente attenuato. La prima ipotesi che giustifica il possibile rifiuto del ritorno del minore è disciplinata dall'art. 13 lett. b), che si verifica ove sussista “fondato rischio, 17 per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque trovarsi in una situazione intollerabile”. Se la situazione di pericolo fisico e psichico può certamente ricondursi ad ipotesi di maltrattamento ed abuso, meno circoscritto è invece il riferimento alla nozione di “situazione intollerabile”. Certamente non può ricomprendere valutazioni relative all'ambiente culturale o sociale, o condizioni di mero vantaggio economico o di educazione del minore. È richiesto pertanto lo stesso grado di gravità ed eccezionalità del rischio di essere esposto a “pericoli fisici e psichici”. Tale eccezione è tuttavia applicabile solo su richiesta dell'interessato, a seguito della presentazione di adeguato materiale di prova fondante la richiesta. Le ulteriori due eccezioni previste dall'art. 13 secondo comma e dall'art. 20 sono invece applicate dall'autorità giudiziaria o amministrativa procedente. La seconda ipotesi in base alla quale l'autorità giudiziaria o amministrativa può rifiutarsi di ordinare il ritorno, si basa sul rifiuto manifestato dal minore di rientrare nel paese di residenza abituale. Ciò a condizione che vengano rispettati due presupposti dettati dallo stesso art. 13 secondo comma: il raggiungimento di un certo livello di età e il possesso di un adeguato grado di maturità. Tali due condizioni devono pertanto essere valutate congiuntamente, non rilevando ad esempio la maturità dimostrata di un minore di età poco elevata, né l'invocazione dell'età raggiunta non accompagnata dalla dimostrazione del conseguimento di un adeguato grado di maturità. Questa scelta certamente esclude che possa darsi rilievo alla volontà di minori esposti a condizionamenti, minacce o promesse, e va incontro a legislazioni che già dal quattordicesimo anno di età riconoscono al minore libera scelta circa la sua residenza. Quanto all'art. 20, questo prevede che il ritorno del minore possa essere negato ove ciò sia contrario a principi fondamentali dello Stato (“Il ritorno del minore, in conformità con le disposizioni dell'art. 12, può essere rifiutato, nel caso che non fosse consentito dai principi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”). La norma richiede tre condizioni ai fini della sua applicabilità: 1) che il ritorno del minore sia effettivamente in contrasto con i principi relativi alla protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; 2) che tali principi siano vigenti nell'ordinamento dello Stato richiesto; 3) che tali principi siano qualificabili come diritti fondamentali. L'applicabilità dell'art. 20 non può basarsi sul semplice e astratto confronto tra ordinamenti, richiedendo al contrario una situazione concreta di contrasto tra il ritorno e il godimento dei diritti fondamentali. Si tratta, 18 infatti di una clausola di ordine pubblico che come vedremo si differenzia dalla corrispondente norma contenuta nelle convenzione del Lussemburgo del 1980 (art. 10 lett. a)), in quanto il confronto non deve essere attuato con i principi fondamentali del diritto di famiglia e del diritto dei minori, bensì con i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, di ben più ampia portata23. 6. IL RUOLO DELLE AUTORITA' CENTRALI L'obiettivo che la convenzione dell'Aja del 1980 si propone di raggiungere parte dal presupposto che qualsiasi attività intrapresa, debba basarsi su una “close co-operation among the judicial and admnistrative authorities of the Contracting States” nell'intento di rendere effettivo, da un lato, il pronto rientro del minore sottratto, e dall'altro, il rispetto del diritto di affidamento effettivamente vigente in uno degli Stati contraenti24. L'inevitabile differenza esistente fra i vari ordinamenti ha reso necessaria l'adozione di uno strumento che permettesse una maggiore e più efficace collaborazione tra le autorità dei vari Paesi. Questo obiettivo, su esplicita volontà della Special Commission. come riportato nel Preliminary Draft, è stato realizzato tramite la creazione di Autorità centrali, sulla cui figura ruotano molte delle disposizioni contenute nella convenzione. L'art. 7 è sicuramente norma basilare in tema di Autorità centrali. Quello che i redattori della convenzione si proposero di mettere in atto tramite tale disposizione, si sviluppa su due livelli e consiste da un lato nella cooperazione reciproca tra Autorità centrali, e dall'altro nella promozione della collaborazione tra Autorità competenti all'interno dei rispettivi ordinamenti: “Le Autorità centrali devono cooperare reciprocamente e promuovere la cooperazione tra le Autorità competenti dei loro rispettivi Stati, al fine di assicurare l'immediato rientro dei minori e conseguire gli altri obiettivi della Convenzione. […]”. È chiaro come il perseguimento di quest'ultimo obiettivo sia strettamente dipendente dalle funzioni e dal potere di azione attribuite da ogni Stato alla propria Autorità centrale. Il genitore che si ritrova coinvolto in un caso di sottrazione internazionale del proprio figlio ha la necessità di dover risolvere problemi principalmente di ordine pratico. 23 VERUCCI L., “La sottrazione internazionale dei minori da parte di uno dei genitori: la convenzione europea e la convenzione dell'Aja a confronto”, cit., 1995, pp. 531 e ss. 24 PéREZ-VERA E., “Explanatory Report on the 1980 Hague Child Abduction Convention”, cit., http://www.hcch.net/upload/expl28.pdf 19 L'Autorità centrale dello Stato in cui il minore ha la residenza abituale in questo può certamente essere molto utile, consentendo e rendendo più diretta la collaborazione con i corpi di polizia stranieri e le altre autorità competenti. Infatti, ai sensi dell'art. 6: “ciascuno Stato contraente nomina un'Autorità centrale, che sarà incaricata di adempiere agli obblighi che le vengono imposti dalla Convenzione”25. La convenzione dopo aver affermato il dovere di cooperazione tra le Autorità centrali, elenca all'art. 7 secondo comma, i principali obiettivi che queste devono perseguire, e pur trattandosi di un elenco non tassativo, appare in ogni caso dettagliato ed esaustivo. In tema di Autorità centrali nel 2003 è stata elaborata la “Guide to a good practice26” per favorire ed attuare in maniera più compiuta il dettato della convenzione dell'Aja del 1980. Secondo tale guida, le Autorità centrali dovrebbero essere destinatarie di mandati sufficientemente ampi, personale qualificato, moderni mezzi di comunicazione al fine di agire il più rapidamente possibile così da attuare in maniera compiuta la disciplina che la convenzione vuole apprestare. Il genitore il cui diritto di affidamento sia stato leso dalla sottrazione può rivolgersi a qualsiasi Autorità centrale per chiedere tutela, anche se presumibilmente risulterà più semplice rivolgersi all'Autorità centrale del proprio paese. La domanda non deve rispondere ai requisiti formali richiesti dal modulo27 cui la convenzione fa riferimento, poiché l'adozione del modulo stesso da parte degli Stati aderenti è solo facoltativa. Soluzione opposta avrebbe implicato una continua revisione del modello a seguito di ogni sviluppo applicativo della convenzione. Nel nostro ordinamento le funzioni di Autorità centrale sono state attribuite all'Ufficio per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia (art. 3 Legge n. 64/1994). L'Autorità centrale valuta la domanda che deve presentare tutti i requisiti predisposti dall'art. 8. Gli elementi essenziali sono pochi: le generalità del minore, della persona o dell'ente che ne richiede il ritorno, della persona che si presume abbia messo in atto la sottrazione, i motivi della richiesta, e ogni altra informazione utile a localizzare il minore. Se l'Autorità centrale la ritiene non irricevibile, è obbligata ad accettare la 25 26 27 L'art. 6 continua così: “Uno Stato federale, uno Stato nel quale sono in vigore molteplici ordinamenti legislativi, o uno Stato che abbia assetti territoriali autonomi, hanno la facoltà di nominare più di un'Autorità centrale e di specificare l'estensione territoriale dei poteri di ciascuna di dette autorità. Qualora uno Stato abbia nominato più di un'Autorità centrale, esso designerà l'Autorità centrale alla quale le domande possono essere inviate per essere trasmesse all'Autorità centrale competente nell'ambito di questo Stato”. Www.hcch.net/upload/abguide_e.pdf Si veda il modulo uniforme per la richiesta di rimpatrio del minore, cfr. appendice b) 20 richiesta e nel caso in cui il minore si trovi in un altro Stato estero, ha l'obbligo di informare l'Autorità centrale ivi competente. L'Autorità nel cui territorio si trova il minore sottratto ha l'onere di svolgere attività di ricerca anche tramite la collaborazione con il corpo di polizia e dei servizi sociali. Può, inoltre, emanare misure cautelari quali il ritiro del passaporto del minore e del parente che ne eserciti la custodia. La convenzione attribuisce importante peso al ritorno volontario (art.7 secondo comma lett c e art. 10), anche se il tentativo di soluzione amichevole non può essere considerata condizione indispensabile al cui fallimento consegua l'esperimento della procedura coatta. Le Autorità dei diversi Stati coinvolti sono tenute allo scambio di informazioni al fine di rendere più agevole e celere la procedura di rientro. Ai sensi dell'art. 7 della Legge n. 64 del 1994 l'Ufficio per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia trasmette senza indugio gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore. Il Procuratore è tenuto poi a richiedere con ricorso in via d'urgenza al suddetto tribunale l'ordine di restituzione28. L'assistenza delle Autorità permarrà sino all'avvenuto rientro del minore in condizioni di sicurezza. Disposizione centrale in tema di gratuità è costituita dall'art. 26 della convenzione, secondo cui ogni Autorità centrale sostiene i costi relativi all'applicazione della convenzione stessa e non potrà esigere dal richiedente i costi delle procedure o della eventuale partecipazione di un avvocato o di un consulente legale. Tali costi potranno, tuttavia, essere addebitati alla parte qualora lo Stato coinvolto si riservi di escludere dall'oggetto della tutela il pagamento delle spese derivanti dalle procedure giudiziarie. Sono invece, in ogni caso, a carico delle parti le spese di viaggio necessarie per il rientro del minore. Coloro che decidano di adire direttamente le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato in cui il minore è stato illecitamente trasferito, senza prima mettersi in contatto con l'Autorità centrale, dovranno sostenere personalmente le spese necessarie per l'applicazione della convenzione. Il principio di celerità sancito dall'art. 2, richiede che tutta la procedura si ispiri a tale principio ed impone agli Stati contraenti l'obbligo di utilizzare “procedure di urgenza a loro disposizione”. L'art 11 impone tale obbligo anche alle autorità giudiziarie o 28 DAVì A., “Il diritto internazionale provato della famiglia e le fonti di origine internazionale e comunitaria”, cit., pp. 861 e ss. 21 amministrative, prevedendo al secondo comma che trascorse sei settimane dall'inizio del procedimento di ritorno coatto, la parte interessata o l'Autorità centrale dello Stato richiesto possano sollecitare una dichiarazione in cui vengano esposti i motivi del ritardo.29 7. LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI AFFIDAMENTO E DI VISITA La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori prevede l'applicabilità delle sue disposizioni non solamente nel caso di allontanamento di minori dal luogo di residenza abituale, effettuato dalla persona fisica o giuridica che non eserciti la custodia, ma anche nel caso in cui l'allontanamento avvenga per mano del genitore affidatario e provochi la lesione del diritto di visita di cui è titolare il genitore non affidatario. Nel caso in cui a mettere in atto la sottrazione sia il genitore non affidatario, la convenzione dell'Aja risulta particolarmente utile, in quanto le sue disposizioni si incentrano proprio su questa fattispecie. Se ad essere violato è il diritto di affidamento, infatti, l'obiettivo della convenzione è quello di ripristinare la situazione precedente al trasferimento per permettere al minore di tornare il prima possibile a vivere con il genitore dal quale è stato allontanato e che in base a precedente decisione è stato valutato come il più adatto ad esercitare il diritto di affidamento. Nel caso in cui, invece, la sottrazione sia stata attuata dal genitore affidatario, il genitore non affidatario non avrà il potere di presentare domanda di rientro, poiché in questo caso il trasferimento non è configurabile come illecito, ma potrà richiedere l'applicazione delle norme convenzionali che ne tutelano il diritto di visita, ai sensi dell'art. 2130. 29 30 CARELLA G., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1994, pp. 777 e ss. Art. 21 convenzione dell'Aja 1980: “Una domanda concernente l'organizzazione o la tutela dell'esercizio e effettivo del diritto di visita, può essere inoltrata all'Autorità centrale di uno Stato contraente con le stesse modalità di quelle previste per la domanda di ritorno del minore. Le Autorità centrali sono vincolate dagli obblighi di cooperazione di cui all'art. 7, al fine di assicurare un pacifico esercizio del diritto di visita, nonché l'assolvimento di ogni condizione cui l'esercizio di tale diritto possa essere oggetto. Le Autorità centrali faranno i passi necessari, per quanto, possibile, ogni ostacolo all'esercizio di detti diritti. Le autorità centrali, sia direttamente, sia per il tramite di intermediari, possono avviare, o agevolare, una procedura legale al fine di organizzare o tutelare il diritto di visita e le condizioni cui l'esercizio di detto diritto di visita possa essere soggetto”. 22 L'art. 21 della convenzione attribuisce importanti funzioni all'Autorità centrale, al fine di consentire al genitore non affidatario di vedere il minore e di tenerlo con sé per brevi periodi, eventualmente anche all'estero. Tenendo conto che alla sottrazione del minore ricorrono il più delle volte i genitori non affidatari, che a causa del mancato rispetto del diritto di visita arrivano a situazioni di estrema tensione con l'altro genitore, può comprendersi l'importanza della disposizione in questione. La tutela del diritto di visita, inoltre, è di fondamentale rilievo anche per l'interesse del minore, che ha il concreto diritto di crescere nella piena e costante frequentazione di entrambi i genitori. È compito delle Autorità centrali di ogni Stato contraente, in collaborazione anche con le altre autorità, organizzare o ri-organizzare concretamente il diritto di visita, di tutelarne l'effettivo svolgimento, di rimuovere gli ostacoli all'esercizio di tale diritto. L'interessato è tenuto a presentare domanda secondo le medesime modalità stabilite per la richiesta di ritorno del minore31. 8. LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI UN MINORE: ASPETTI PSICOLOGICI I sempre maggiori flussi migratori di cittadini provenienti da diversi Paesi europei, africani, asiatici e americani, hanno certamente comportato un accrescimento numerico delle unioni miste, tra partner di diversa nazionalità. Se tuttavia, queste unioni che si caratterizzano per le differenze culturali, religiose, sociali diventano fonte di arricchimento anche per i figli, nei casi di elevato conflitto tra genitori, possono comportare situazioni altamente pregiudizievoli per i minori coinvolti. La spiccata mobilità della società contemporanea unita infatti all'aumento del tasso di litigiosità all'interno dei nuclei familiari fondati su matrimonio o unioni di fatto, rende a tutti gli effetti più traumatico l'eventuale scioglimento32 La sottrazione di un figlio messa in atto da un genitore a danno dell'altro, comporta il venir meno del diritto inalienabile del minore a poter mantenere con entrambi i genitori uno stabile rapporto. L'allontanamento improvviso dal proprio ambiente familiare e 31 32 CARELLA G., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione intenzionale dei minori”, cit., 1994, pp. 777 e ss. CORBETTA F., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori”, in Famiglia, persone, successioni, 2008, pp. 715 e ss. 23 sociale può essere vissuto dal minore come una vera e propria violenza. Si tratta certamente di un fenomeno complesso, multidimensionale che copre e coinvolge non solo i soggetti nella solo singolarità, ma anche il rapporto di coppia e il rapporto tra genitori e figli. Sono casi questi, in cui è in primo piano la compresenza di culture, regole familiari, modelli educativi diversi che necessitano di essere resi allo stesso tempo coesi ed omogenei. L'identità coniugale è un qualcosa che va costruito in funzione della nascita di un nuovo nucleo familiare ed è molto diverso dalla semplice somma delle identità dei partner. È continuamente necessario un monitoraggio della situazione affettiva, emotiva ed educativa della dimensione familiare al fine di armonizzare le difformità che l'appartenenza a due nazionalità diverse può comportare. L'elevata conflittualità all'interno della coppia, che il più delle volte caratterizza la fase iniziale della separazione, può portare un genitore a mettere in atto la sottrazione del proprio figlio nel solo intento di danneggiare l'altro, facendo prevalere evidentemente gli aspetti individuali sull'interesse effettivo del minore. La sottrazione quale evento traumatico, rappresenta per il figlio una crisi imposta in maniera improvvisa da parte di un genitore. Altri fattori quali il rapporto con le figure allevanti, il livello di sviluppo raggiunto e l'età, potranno incidere sulla sua reazione all'allontanamento, ma ciò non toglie che in ogni caso la sottrazione possa esser vissuta dal figlio come una vera e propria perdita. Il minore a doppia appartenenza e bilingue può vivere con minore trauma il trasferimento in un altro Paese del quale conosce già parte della cultura, appunto la lingua, le tradizioni, rendendo l'adattamento al nuovo contesto sociale più agevolato. Al contrario, quando invece il minore sia totalmente estraneo dal nuovo ambiente, sarà costretto ad abituarvisi velocemente e ciò renderà ancora più destabilizzante l'allontanamento subito. Dalla lettura della convenzione dell'Aja emerge in maniera significativa l'importanza che viene dedicata all'interpello del minore, sia per ciò che concerne l'esposizione a pericoli fisici e psichici ai sensi del già citato art. 13 lett. b), sia ai fini dell'opposizione del minore al ritorno nel paese di residenza abituale. Questo secondo aspetto è particolarmente delicato, considerando che molto spesso il comportamento assunto dai figli nel contesto intergenitoriale può sfociare in un atteggiamento ipercritico e denigratorio nei confronti di uno dei genitori, poiché evidentemente in tal senso influenzato dall'altro. In quest'ottica sarà quindi necessaria più che mai un'analisi e un 24 ascolto del minore ancor più approfondito e attento. Questa necessità è ribadita all'interno della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritto dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La Corte europea dei diritti dell'uomo ha ravvisato nel percorso tracciato dalla sua giurisprudenza un nesso di interdipendenza tra l'art. 6 della CEDU, inerente al giusto processo, e l'art. 8 sempre della medesima Convenzione, che afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Nello specifico, è stato affermato che nei procedimenti che coinvolgono soggetti appartenenti al medesimo nucleo familiare, ogni componente debba essere posto su un piano di assoluta parità rispetto agli altri, anche ove ad essere coinvolti siano minori. Questi ultimi, infatti andranno ascoltati tramite l'ausilio di esperti, soprattutto nei procedimenti ad alta conflittualità genitoriale, nei quali è fondamentale tenere conto della situazione psicologica e della volontà del minore, anche se ciò non necessariamente deve tradursi nell'obbligo del giudice a conformarvisi, essendo necessario che questi valuti il superiore interesse del minore, che certamente può non corrispondere alla sua volontà espressa dal bambino 33. Il necessario ascolto delle opinioni del bambino è previsto anche dalla convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia approvata nel 1989. L'art. 12, infatti, prevede il diritto dei bambini ad essere ascoltati in tutti i procedimenti che li riguardino, soprattutto in ambito legale. Rimane da specificare che in ordine alla necessità di limitare la drammaticità della sottrazione subita dal minore, si ravvisa l'esigenza di attuare le procedure previste dalla convenzione dell'Aja del 1980 in termini di urgenza ( artt. 10 e 11 ), soprattutto considerando l'enorme sforzo che il bambino investe nell'adattarsi al nuovo contesto di vita. Il periodo di dodici mesi contemplato dall'art 12, è da considerarsi pertanto termine massimo34. 9. LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI ITALIANI: PREVENZIONE E PROCEDURA IN CASO DI AVVENUTA SOTTRAZIONE Il sempre più crescente numero di casi di sottrazione internazionale di minori, da anni posto sotto il monitoraggio e l'attenta osservazione del Ministero degli Affari Esteri del 33 34 BUTTIGLIONE F., “Alla ricerca delle prassi virtuose in materia di famiglia dopo la L. 54/2006”, Roma, 2001, www.minoriefamiglia.it RE P. e SANCHEZ M., “La sottrazione internazionale dei minori: aspetti psicologici”, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2003, pp. 577 e ss. 25 nostro Paese, ha portato nel 2009 alla costituzione di un'apposita task force interministeriale tramite la collaborazione con il Ministero della Giustizia e del Ministero dell'Interno. Tale task force interministeriale, è un organo operativo e tecnico che si prefigge l'obiettivo di rendere più efficaci i già esistenti meccanismi di coordinamento per fornire una unitaria reazione da parte della istituzioni competenti a sottrazione avvenuta. Il frutto principale di questa maggiore consapevolezza sia parte delle Istituzioni sia della Direzione Generale per gli Italiani all'Estero e le Politiche Migratorie, è certamente rappresentato dall'opuscolo “Bambini contesi – guida per i genitori ”, giunto alla sua settima edizione, alla cui redazione la task force partecipa attivamente sin dal momento della sua costituzione. Le attività di prevenzione che ogni coppia mista può mettere in atto al fine di evitare la sottrazione del proprio figlio ad opera dell'altro genitore rende opportuno: - informarsi sulle disposizioni in materia di affidamento e diritto di visita vigenti nello stato di appartenenza dell'altro genitore; - far riconoscere, ove possibile, nello Stato di appartenenza dell'altro genitore, l'eventuale provvedimento di affidamento del minore in proprio favore; - se per un qualunque motivo il minore dovesse recarsi all'estero, far sottoscrivere dall'altro genitore un impegno di rientro in Italia alla data stabilita; - chiedere al giudice competente l'emissione di uno specifico provvedimento che vieti l'espatrio del minore senza il consenso esplicito dell'altro genitore. - verificare che il divieto di espatrio risulti registrato nelle liste di frontiera. Nel caso in cui invece la sottrazione sia già avvenuta il genitore può di comune accordo con l'altro, rivolgersi al Mediatore del Parlamento Europeo al fine di avviare la procedura di mediazione familiare. Il Mediatore del Parlamento Europeo è una carica creata nel 1987 nell'intento di contribuire alla soluzione delle situazioni di conflitto che sorgono quando un minore viene sottratto da un genitore e allontanato dall'altro. Questa innovativa figura ha la funzione di assistere i genitori nella ricerca della soluzione migliore ai conflitti e di tutelare al meglio gli interessi del minore sottratto. La mediazione familiare in questione è una forma alternativa di risoluzione delle controversie finalizzata alla gestione positiva dei conflitti, al fine di raggiungere una soluzione amichevole tra le parti tramite l'intervento di un soggetto terzo, appunto il mediatore. Requisito essenziale per intraprendere il percorso di mediazione è l'inesistenza di una controversia giudiziale in corso. 26 Come seconda possibilità, il genitore che ha subito la sottrazione del proprio figlio e voglia intervenire prontamente, può avvertire la Direzione Generale per gli italiani all'Estero, affinché vengano attivate le competenti rappresentanze diplomaticoconsolari. Se il Paese di presunta destinazione del minore aderisce alla convenzione dell'Aja del 1980 o è Paese destinatario del Regolamento (CE) n. 2201/ 2003, il genitore può rivolgersi all'Autorità centrale ivi competente, e può allo stesso tempo sporgere immediatamente denuncia presso gli organi di Polizia, Carabinieri o Procura della Repubblica del luogo della residenza abituale. Anche il Tribunale territorialmente competente può svolgere utili attività, quali sollecitare l'esperimento di una procedura urgente, ordinare la sospensione della potestà genitoriale nei confronti del genitore che abbia messo in atto la sottrazione, ritirare il passaporto del minore. Le richieste presentate all'Autorità centrale del paese in cui il minore si trova, va presentata entro un anno dalla sottrazione e il minore deve avere come resistenza abituale l'Italia. Nel caso in cui dovessero sorgere difficoltà ulteriori e dovessero appurarsi nella procedura di sottrazione violazioni del diritto dell'Unione Europea, sarà possibile presentare denuncia presso la Commissione Europea35. Inoltre, il ruolo svolto dal Ministero degli affari Esteri è primario nel caso in cui lo Stato presso il quale il minore è trattenuto non aderisca alla Convenzione dell'Aja del 1980 o al Regolamento (CE) n. 2201/2003. In tale caso la Direzione Generale per gli Italiani all'Estero e le Politiche Migratorie (DGIT) individua le modalità di intervento più idonee, fornisce informazioni ed assistenza al cittadino italiano e attiva le rappresentanze diplomatico-consolari al fine di ottenere tra le altre priorità, anche la visita del minore. Al contrario, quando lo Stato in cui il minore è stato condotto abbia aderito alla Convenzione dell'Aja del 1980 e/o sia destinatario del Regolamento (CE) . 2201/2003, 35 Poiché l'obbligo di assicurare il rispetto del diritto dell'Unione europea, da parte degli Stati membri, spetta in primo luogo alle autorità amministrative o giudiziarie o nazionali, chiunque ritenga che una disposizione (legislativa, regolamentare o amministrativa) o una prassi di uno Stato membro sia contraria al diritto dell'Unione europea è invitato a rivolgersi ai competenti organi amministrativi o giurisdizionali nazionali (e agli eventuali mediatori nazionali o regionali) e/o avviare le procedure di arbitrato e di conciliazione disponibili, prima di presentare denuncia alla Commissione. http://ec.europa.eu/community_low 27 la competenza primaria spetterà al Dipartimento Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia in veste di Autorità centrale italiana. In ogni caso le Rappresentanze diplomatico-consolari italiane potranno svolgere alcune importanti attività, quali quelle di sensibilizzare le Autorità o gli organismi locali ai fini del rilascio del minore, effettuare tentativi di conciliazione tra le parti, presenziare alle udienze in qualità di uditore, sostenere l'azione dell'Autorità centrale. Altrettanto importanti si rivelano le funzioni del Console, il quale esercita i poteri di giudice tutelare nei confronti del minore all'estero, e può effettuare visite consolari al minore, soprattutto nei casi in cui il genitore che ha subito la sottrazione non riesca ad avere contatti con il proprio figlio. La funzione essenziale della visita consolare, che deve essere concordata con il genitore presso cui il minore si trova e ottenuta tramite la mediazione delle autorità locali, è quella di verificare le condizioni di vita e di salute del minore italiano, acquisire informazioni sul contesto sociale, ambientale, parentale in cui vive il minore a seguito del suo sradicamento dalla residenza abituale in Italia36. 36 Ministero degli Affari Esteri, Bambini contesi, guida per i genitori, cit., pag. 21 e ss. 28 CAPITOLO SECONDO LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI NELL'ORDINAMENTO EUROPEO. SOMMARIO: 1. La disciplina europea in tema di sottrazione internazionale di minori. - 2. La convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento di minori e sul ristabilimento dell'affidamento. - 3. La disciplina apportata dalla convenzione europea del Lussemburgo 1980. - 4. La convenzione europea del Lussemburgo del 1980 e la convenzione dell'Aja del 1980 a confronto. - 5. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003. -6. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell'Aja del 1980: un legame indissolubile di complementarietà. - 7. Le principali novità introdotte dal Regolamento (CE) n. 2201/2003. - 8. Il procedimento di riesame introdotto dall'art. 11, parr. 6-8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 e casi giurisprudenziali. 1. LA DISCIPLINA EUROPEA IN TEMA DI SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI Da un'analisi della produzione normativa europea, dalle origini sino ai primi anni 2000, emerge in maniera chiara come la figura del minore raramente sia stata oggetto di disciplina elaborata dal legislatore di Bruxelles. Ciò vale non solo per il minore ma anche per la persona in generale, essendo stato “il buon funzionamento del mercato” per lungo tempo il principale obiettivo perseguito dalle politiche dell'Unione europea. Il mercato è stato quindi il dominus dei primi cinquant'anni di vita delle Comunità europee. Un primo segnale evolutivo si è registrato con l'emanazione del Trattato di Amsterdam, che modificando il Trattato istitutivo della Comunità europea e introducendo al suo interno il “ Titolo IV ”, ha di fatto creato i presupposti giuridici per la realizzazione di una maggiore cooperazione europea nell'ambito del diritto di famiglia. Tra i vari obiettivi che il Titolo in questione si propone di realizzare, al fine di una graduale costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, spicca quello volto ad una maggiore cooperazione giudiziaria in materia civile (artt. 67, co. 1, 81, co. 1, TFUE, già art. 61, lett. c, TCE). Queste materie precedentemente all'introduzione del Titolo IV erano disciplinate dal Titolo VI del Trattato sull'Unione europea, e costituivano il “terzo pilastro”, venuto meno a seguito delle modifiche apportate dal testo consolidato del 29 Trattato di Lisbona, che ha creato un sistema composto da due trattati: il trattato sull'Unione europea (TUE) e il trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). È chiaro come lentamente si stia tentando di realizzare quella che viene definita la “comunitarizzazione” dei principi fondamentali del diritto di famiglia, ossia un processo di condivisione dei valori di riferimento in materia37 e del relativo ampliamento, in tale ambito, delle competenze legislative dell'Unione europea. Un regime speciale è previsto, tuttavia, per il Regno Unito, l'Irlanda e la Danimarca. Secondo il disposto del Protocollo n. 21, allegato al Trattato di Lisbona, Regno Unito ed Irlanda possono sottrarsi alle norme del Trattato in materia di cooperazione giudiziaria civile e agli atti di diritto derivato adottati su questa base. Il Protocollo n. 22, invece, prevede per la Danimarca un diritto di opting out generale, ossia il diritto di non partecipare all'adozione di singoli atti. Con l'approvazione della convenzione di Bruxelles II, poi trasformatasi in regolamento (CE) n. 1347/2001, oggi sostituito dal regolamento (CE) n. 2201/2003, e del regolamento (CE) n. 44/2001, il diritto derivato dell'Unione europea sembrava essersi finalmente distaccato dalla logica del buon funzionamento del mercato, di fatto iniziando ad apportare una disciplina più consona e più attenta alla dimensione personale dei cittadini dell'Unione europea. Tramite i regolamenti di Bruxelles II (Regolamento (CE) n. 1347/2000) e Bruxelles II bis (Regolamento (CE) n. 2201/2003) la comunità europea ha di fatto interrotto quella convinzione che affermava l'incompetenza legislativa in materia di diritto di famiglia, ed ha superato la pretesa irrilevanza di tale ambito ai fini dell'integrazione europea. 38 A conferma di ciò, l'art. 81 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFCE), afferma, infatti, che l'Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l'adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Il terzo comma dell'art. 81 del TFCE, infatti, in considerazione della particolarità della materia, detta una procedura legislativa ad hoc più restrittiva. Si prevede che per l'approvazione di misure di diritto internazionale privato relative al 37 38 BARATTA R., “Verso la “comunitarizzazione” dei principi fondamentali del diritto di famiglia”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2005, pp. 573 e ss. LETTIERI A. L., “I criteri di collegamento della cittadinanza e della residenza abituale: breve analisi con particolare riferimento agli sviluppi del diritto dell'Unione europea nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile”, cit., Editoriale scientifica, Napoli, 2012, pag. 83 e ss. 30 diritto di famiglia e aventi implicazioni transnazionali, sia richiesta l'unanimità del Consiglio, che delibera previa consultazione del Parlamento europeo. 2. LA CONVENZIONE EUROPEA SUL RICONOSCIMENTO E L'ESECUZIONE DELLE DECISIONI IN MATERIA DI AFFIDAMENTO DI MINORI E SUL RISTABILIMENTO DELL'AFFIDAMENTO. L'esigenza di intensificare la cooperazione europea in materia di tutela di minori portò, nel corso della Conferenza dei ministri europei della giustizia tenutasi a Basilea nel 1972, all'elaborazione di una convenzione sul riconoscimento delle decisioni straniere in materia di “garde des enfants”. L'intento primario risultò essere quello di colmare la pesante lacuna esistente in tale ambito del diritto internazionale, tenuto conto che nemmeno la convenzione dell'Aja del 1970, concernente il rimpatrio del minore, garantiva il riconoscimento delle sentenze straniere. Tale convenzione da un lato apparve strumento tecnicamente perfezionato, ma dall'altro si presentava come uno schema molto complesso che di certo non riusciva a realizzare il fondamentale obiettivo di sistemazione del minore, soprattutto nei casi di child abduction, la sottrazione internazionale di minore. La prima soluzione prospettata per rimediare a tale inadeguatezza fu quella di elaborare una seconda convenzione, complementare alla prima, che doveva prevedere strumenti che anzitutto fossero in grado di ristabilire lo status quo ante al kidnapping (rapimento di minore). Tale prima proposta venne tuttavia accantonata, poiché incompatibile con le esigenze di celerità ed urgenza che i casi di sottrazione internazionale di minori inevitabilmente comportano. La soluzione al problema venne, invece, individuata nella revisione della prima convenzione in ordine ai meccanismi e alle procedure approvate precedentemente, nell'intento di elaborare una forma abbreviata e semplificata di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni straniere all'interno dello Stato in cui il minore viene condotto. E così l'accordo raggiunto in occasione della XXII Conferenza dei ministri europei della giustizia venne firmato a Lussemburgo il 20 maggio 1980, portando alla definitiva emanazione della Convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle 31 decisioni in materia di affidamento di minori e sul ristabilimento dell'affidamento. 3. LA DISCIPLINA APPORTATA DALLA CONVENZIONE EUROPEA DEL LUSSEMBURGO DEL 1980 La Convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento presenta molteplici norme inerenti alla sottrazione internazionale di minori. La presente convenzione risulta essere il risultato cui gli Stati aderenti sono convenuti in ordine all'importanza che l'interesse del minore rappresenta all'interno dei loro rispettivi ordinamenti. La necessità di istituire misure destinate a facilitare il riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti inerenti all'affidamento del minore nel senso di una maggiore cooperazione giudiziaria viene considerata dagli Stati aderenti, infatti, il presupposto fondamentale per ristabilire l'affidamento arbitrariamente interrotto. Nell'intento di superare le difficoltà e le lacune precedentemente esposte, il nucleo centrale formato dagli artt. 7- 8 e 9, vincola tutti gli Stati contraenti e che abbiano ratificato la convenzione, nella maniera che verrà di seguito esposta. Ai sensi dell'art. 7, i provvedimenti pronunciati in uno Stato contraente devono essere riconosciuti dagli altri stati parti ed ivi messi in esecuzione quando siano esecutivi nello Stato d'origine. In base al dettato dell'art. 8, l'Autorità centrale dello Stato richiesto deve procedere alla restituzione del minore agli affidatari indicati dall'Autorità centrale dello Stato d'origine: a) se al momento della presentazione dell'istanza di affidamento nel Paese d'origine, sia il minore sia i genitori avevano la cittadinanza di detto Stato e ivi il minore aveva anche la sua residenza abituale, ed altresì la domanda di restituzione del minore sia stata proposta all'Autorità dello Stato richiesto entro il termine di sei mesi dall'avvenuta sottrazione del minore; b) se, anche in assenza dei requisiti di cui al punto a), la mancata restituzione del minore integri un caso di violazione del diritto di visita, avendo, il genitore cui spetta tale diritto, trasferito il minore all'estero senza ricondurlo nello Stato di residenza abituale allo scadere del termine fissato; In siffatte ipotesi l'Autorità centrale dello Stato richiesto ha l'obbligo di rispondere all'istanza di restituzione con la massima celerità. 32 Nei casi di trasferimento illegittimo di minore diversi da quelli previsti dall'art. 8, interviene l'art. 9 che afferma che se si è fatto ricorso all'Autorità centrale, entro il termine di 6 mesi dal trasferimento, il riconoscimento e l'esecuzione non possono essere rifiutati se non quando: a) si tratti di provvedimento pronunciato in assenza del convenuto o non regolarmente notificato o comunicato al convenuto stesso, in tempo utile ai fini di un'adeguata difesa; b) si tratti di un provvedimento pronunciato in assenza del convenuto e la competenza dell'autorità che l'ha emanato non si basi sulla residenza del convenuto, sull'ultima residenza abituale comune dei genitori del minore purchè uno di essi vi risieda ancora abitualmente, ovvero sulla residenza abituale del minore; c) se sussiste incompatibilità tra il provvedimento di affidamento adottato nel Paese di origine e altro emanato nel Paese richiesto concernente il medesimo minore e divenuto esecutivo prima del trasferimento illecito dello stesso. Anche la convenzione europea del Lussemburgo del 1980 prevede, analogamente alla convenzione dell'Aja del 1980, l'istituzione di un'Autorità centrale presso ogni Stato membro, con la funzione fondamentale di fornire assistenza a tutti i soggetti che avendo ottenuto in uno stato contraente il riconoscimento e l'esecuzione di un determinato provvedimento, ne chiedano la collaborazione (art. 4). Secondo quanto disposto dall'art. 5 ogni Autorità centrale, ove adita, avrà l'obbligo di svolgere idonee indagini per individuare il luogo in cui si trova il minore, di assicurare ad opera delle autorità interne il riconoscimento e l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento del minore assunti da altra autorità estera, e di realizzare la consegna del minore. Al momento della sua approvazione, la convezione del Lussemburgo 1980, apparve subito un valido completamento della già approvata convezione dell'Aja aperta alla firma il 28 maggio 1970 inerente al rimpatrio dei minori. Da lì a poco, si sarebbe tenuta una nuova Conferenza dell'Aja per affrontare il problema della sottrazione internazionale di minori. Il settore in esame, caratterizzato da un sempre più ampio abbattimento delle frontiere fra gli Stati e, quindi, dal più rapido e frequente spostamento delle persone, fu in quegli anni oggetto di un complesso di Accordi che porterà all'emanazione, tra le altre, della convenzione dell'Aja del 198039. 39 GALBIATI R., LIBRANDO V., ROVELLI L., “La convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento di minori e sul ristabilimento dell'affidamento”, in Rivista di diritto europeo, 1980, pp. 377 e ss. 33 4. LA CONVENZIONE EUROPEA DEL LUSSEMBURGO DEL 1980 E LA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 A CONFRONTO Inserite entrambe nell'ordinamento italiano mediante l'ordine di esecuzione contenuto nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica (Legge n. 64/1994) 40 la convezione europea del Lussemburgo del 1980 e la convenzione dell'Aja del 1980 presentano elementi in comune, ma anche molteplici differenze. In linea generale, può dirsi che sia la convenzione europea sia la convenzione dell'Aja muovono dalla stessa premessa, che è quella di garantire il bene del minore, messo chiaramente in pericolo dall'illecito trasferimento in un altro Stato ad opera del genitore abductor. Entrambe, quindi, mirano a tutelare lo status quo ante, nella convinzione che il pronto ripristino della situazione antecedente al trasferimento risponda all'interesse del minore e costituisca il metodo migliore per tutelarlo efficacemente, per evitare il rischio che il minore possa, con il passare del tempo, ambientarsi nel nuovo contesto di vita. Ulteriore elemento affine tra i due trattati risulta, inoltre, essere il fatto che entrambi si occupino solo degli aspetti civili del fenomeno del child abduction, e non dei profili penalistici, diversi e autonomi in ogni singolo ordinamento. Un elemento che differenzia le due convenzioni, invece, può ravvisarsi nel diverso approccio al problema del kidnapping. La convenzione europea, elaborata antecedentemente rispetto a quella dell'Aja, si propone un duplice obiettivo: quello di provvedere alla restituzione del minore vittima del trasferimento illegittimo e di assicurare il riconoscimento e l'esecuzione di decisioni relative all'affidamento di un minore rese in uno Stato contraente, anche negli altri Paesi aderenti alla convenzione. L'oggetto della convenzione europea è, infatti, più vasto poiché non solo tratta il fenomeno del child abduction, ma disciplina anche il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento, e del ristabilimento dello stesso, ove illecitamente non rispettato. I delegati della Conferenza dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione 40 L'Italia ha ratificato la convenzione europea del 1980 in data 27. 05.1995, a seguito dell'emanazione della L. 15.01.1995 n. 64, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 23 del 29.01.1994, che ne ha autorizzato la ratifica. Essa è entrata in vigore, ai sensi dell'art. 22, par.1 della convenzione europea, il 1 giugno 1995. La convenzione dell'Aja del 1980 è stata autorizzata alla ratifica con L. 15.01.1995 n. 64. Il deposito dello strumento di ratifica è avvenuto il 22.02.1995 e ne è stata data notizia con un comunicato del Ministero degli Affari Esteri sul supplemento ordinario n. 48 della Gazzetta Ufficiale del 27.04.1995. La convenzione è entrata in vigore il 1 maggio 1995. 34 internazionale dei minori, contrariamente a quanto compiuto in seno alla conferenza europea, dopo lunghe riflessioni scartarono l'idea di elaborare una seconda convenzione sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni straniere in materia di custodia, poiché si ritenne che l'attribuzione di efficacia a tali pronunce avrebbe comportato procedimenti eccessivamente lunghi, tali da provocare possibili danni psicologici al minore. Questo diverso approccio al medesimo problema ha comportato anche una diversità di scopi: la convenzione dell'Aja persegue come unico obiettivo quello di ristabilire la precedente situazione di fatto il più rapidamente possibile, indipendentemente dall'esistenza di una precedente decisione straniera sull'affidamento e dal fatto che lo Stato in cui il minore è stato condotto l'abbia riconosciuta e le abbia attribuito efficacia vincolante. Una seconda importante differenza tra le due convenzioni si ravvisa, inoltre, in ordine al concetto di child abduction, intesa come illecito trasferimento di minore da un luogo ad un altro da parte di uno dei genitori. Le fattispecie di kidnapping sono innumerevoli. Le principali possono riassumersi descrivendone alcuni tratti distintivi. Un primo caso è costituito dall'illecito trasferimento del minore in uno Stato diverso da quello della residenza abituale, ad opera di uno genitori senza il consenso dell'altro e in assenza di una precedente decisione giudiziaria. In questa ipotesi rientra sia la situazione in cui il genitore, privato del minore a seguito della sottrazione, eserciti la custodia perché attribuitagli dalla legge, sia la diversa situazione in cui, invece, il genitore eserciti la custodia dopo la rottura del matrimonio solo di fatto, sia, infine, l'ipotesi in cui il genitore abductor quando ancora il matrimonio non è sciolto, decida di trasferire illecitamente il minore all'estero, in modo da costituire una situazione di fatto a sé favorevole in materia di affidamento. Il secondo caso si verifica quando l'abduction avviene solo dopo la pronuncia del giudice di uno Stato in ordine all'attribuzione della custodia. Vi rientrano le fattispecie di sottrazione di minore compiuta da parte del genitore che non ne aveva l'affidamento, come anche il caso in cui il minore venga illecitamente trattenuto in uno Stato diverso da quello di residenza abituale dal genitore non affidatario oltre il periodo di visita concessogli e, infine, il caso della sottrazione di minore condotto in uno Stato e poi condotto ancora in un altro, dopo che in quest'ultimo si sia ottenuta una decisione che 35 attribuisca al genitore abductor la piena custodia. Il terzo ordine di fattispecie di kidnapping può verificarsi quando il genitore non affidatario rapisca il minore e lo conduca in altro Paese in violazione non solo della decisione sull'affidamento, ma anche di un provvedimento di espresso divieto per il minore di abbandonare il territorio nazionale. La convenzione dell'Aja estende il proprio ambito di applicazione ad un gran numero di casi di sottrazione internazionale di minori, mentre la convenzione europea si applica solo ai casi di sottrazione internazionale avvenuti in violazione di un provvedimento di affidamento emesso dal giudice del Paese ove il minore risiedeva abitualmente al momento del rapimento. Stante questa differenza, entrambe le convenzioni si impegnano nel comune obiettivo di garantire non solo il ripristino della situazione precedente alla sottrazione, ma mirano anche a tutelare il diritto di visita del genitore non affidatario. Venendo ora al concetto di minore, anche quest'ultimo sembra essere elemento di differenza tra le due convenzioni. Entrambe si applicano ai “rapimenti” di minori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, ma mentre la convenzione dell'Aja estende la propria applicabilità a tutti i minori di sedici anni residenti in uno degli Stati contraenti (art. 4), il trattato europeo richiede anche che il minore risulti privo del diritto di fissare personalmente la propria residenza in base alla legge della propria cittadinanza o della residenza abituale oppure secondo il diritto interno dello Stato richiesto (art. 1, lett. a). La proposta di inserire un tale limite nella convenzione dell'Aja venne scartata, poiché prevalse l'opinione secondo la quale un simile limite avrebbe determinato una eccessiva restrizione dell'applicabilità della convenzione stessa. Molto importante è, poi, la diversa disciplina dedicata nelle due convenzioni ai possibili motivi che consentono allo Stato in cui il minore è stato condotto di rifiutarsi di riconsegnare il minore stesso allo Stato di residenza abituale. Secondo il dettato della convenzione europea gli Stati hanno l'obbligo di restituire il minore solo ove la domanda sia stata presentata entro sei mesi dall'avvenuta sottrazione, entrambi i genitori e il minore abbiano la cittadinanza dello Stato richiedente, e infine, il minore abbia nello Stato richiedente la residenza abituale. La convenzione dell'Aja, invece, prevede che la restituzione del minore debba essere attuata dagli Stati richiesti sempre, all'unica condizione che la domanda sia intervenuta entro un anno dall'illegittimo trasferimento o anche ove presentata oltre lo scadere di questo termine, non si dimostri che il minore si 36 sia integrato nel nuovo contesto di vita. Vista la fondamentale importanza che il fattore tempo può rivestire in queste dinamiche, le due convenzioni hanno cercato di stabilire un termine massimo di presentazione della domanda che sia in equilibrio tra le due contrapposte esigenze, consistenti da un lato nella necessità di una pronta ricostituzione dello status quo ante e dell'altro nel rispetto dell'eventuale integrazione del minore nel nuovo ambiente allo scadere, rispettivamente del termine di sei mesi o un anno. Quanto ai motivi che possono legittimare il rifiuto alla riconsegna del minore, la convenzione dell'Aja prevede tre ordini di motivazioni elencate all'art. 13, mentre la convenzione europea elenca una lunga serie di motivi che legittimano il non riconoscimento della decisione straniera, la cui portata è prevalentemente procedurale, soprattutto in riferimento alle modalità in base alle quali il provvedimento è stato emanato (artt. 9 e 10). Elemento che, inoltre, a prima vista potrebbe sembrare in comune tra i due trattati è l'inserimento di una clausola di ordine pubblico, che legittima a tutti gli effetti lo Stato richiesto a non ottemperare la richiesta di restituzione del minore. Ad una più attenta analisi anche questa clausola è motivo di divergenza tra le due convenzioni, in quanto la convenzione europea stabilisce che ogni obbligo venga meno tutte le volte in cui la decisione straniera risulti incompatibile con con i principi fondamentali del diritto di famiglia dello Stato richiesto (art. 10, lett. a), mentre la convenzione dell'Aja richiede che la restituzione del minore comporti la violazione dei diritto dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 20). La differenza trova conferma nei lavori preparatori della convenzione dell'Aja, dai quali emerge la volontà di inserire una clausola di ordine pubblico, ma allo stesso tempo di evitare anche l'eccessiva portata restrittiva mostrata dalla corrispondente disposizione della convenzione del Lussemburgo. Strettamente collegate con l'inserimento di clausole di ordine pubblico, risulta la questione inerente alle riserve, che di fatto costituiscono la misura dell'efficacia di una convenzione. La convenzione dell'Aja del 1980 ha evitato di lasciare agli Stati la facoltà di apporre troppe riserve, al fine di non ridurre la portata applicativa della convenzione stessa. Il trattato europeo, invece, oltre a contenere la clausola di ordine pubblico di cui sopra, permette agli Stati di estendere mediante riserva i motivi di rifiuto disciplinati dall'art. 10 anche alle ipotesi disciplinate dall'art. 8 e 9 della convenzione. Infine, l'ultima differenza che emerge dal confronto di queste due convenzioni, si 37 riscontra in ordine alle norme di carattere organizzativo che prevedono l'istituzione delle Autorità centrali presso ogni Stato contraente. La convenzione dell'Aja presenta molteplici disposizioni dedicate alle funzioni attribuite alle Autorità centrali, di fatto ampliando in maniera significativa il loro ruolo, rispetto a quello prospettato dalla disciplina della convenzione del Lussemburgo. Non solo detto organo è competente ad introdurre procedimenti giudiziari o amministrativi volti alla risoluzione del conflitto familiare, ma si dispone che, ove possibile, venga esperito, proprio dall'Autorità centrale, un procedimento di restituzione volontaria del minore al fine del raggiungimento di una soluzione amichevole che decida delle condizioni di vita del minore conteso (art. 7, lett. c). La convenzione del Lussemburgo non solo non prevede una corrispondente disposizione, ma attribuisce all'Autorità centrale ruoli marginali, di mera raccolta e scambio di informazioni con le altre Autorità centrali o organi giudiziari e amministrativi. Entrambe le convenzioni stabiliscono poi la gratuità delle attività compiute dalle Autorità centrali, che hanno quindi il dovere di non richiedere pagamenti o contributi. In conclusione può affermarsi che la convenzione del Lussemburgo del 20 maggio 1980 e la convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, affrontino la medesima problematica della sottrazione internazionale di minori da una diversa ottica. Il trattato dell'Aja appare più diretto, e forse più efficace, mentre il trattato europeo ha un approccio giuridico più tradizionale, meno nuovo ed incontra infatti gli ostacoli propri di questo tipo di convenzioni, senza dimenticare che le differenze sono inevitabili considerando che la prima ha una portata mondiale, mentre la seconda è un vero e proprio trattato tra paesi europei. 5. IL REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003 La protezione del fanciullo e la tutela dei suoi diritti, uniti alla necessità sempre più sentita di garantire, ai fini di una corretta educazione, uno stabile rapporto con entrambi i genitori, hanno portato all'entrata in vigore il 1° agosto 2004 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 relativo alla competenza al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. Tra i motivi che stanno all'origine dell'adozione del regolamento in questione vi è una 38 generale insoddisfazione da parte di alcuni Stati membri rispetto all'effettivo funzionamento della convenzione dell'Aja del 1980, in particolare del suo art. 13 lett. b), e cioè di quella disposizione che permette alle autorità dello Stato in cui il minore è stato condotto, di opporsi al suo rientro perché proprio dal rientro potrebbe derivare l'esposizione del minore a pericoli fisici e psichici o comunque ad una situazione intollerabile. Il frequente ricorso a tale norma ha impedito in molti casi non solo il rimpatrio di minori illecitamente trasferiti, ma ha anche fatto sì che le autorità dello Stato di destinazione del minore acquisissero competenza in ordine alla potestà genitoriale, facendo raggiungere ai genitori sottraenti l'obiettivo a cui maggiormente si aspira tramite l'illecita sottrazione del proprio figlio. Nell'intento di limitare quanto più possibile questo fenomeno, il Regolamento (CE) n. 2201/2003 presenta alcune norme specificamente applicabili nello spazio europeo, volte ad ovviare agli inconvenienti che la mera applicazione della convenzione dell'Aja del 1980 iniziava a comportare. L'obiettivo fondamentale fu quello di elaborare uno strumento giuridico comunitario che introducesse un procedimento automatico di riconoscimento delle sentenze emanate nello Stato in cui è avvenuta al sottrazione illecita del minore41. Grazie all'emanazione di questo regolamento, attualmente le sottrazioni di minore avvenute nell'ambito di due Stati membri sono regolamentate dalle disposizioni convenzionali, integrate e completate da quelle previste dal Regolamento (CE) n. 2201/2003. Tale regolamento, infatti, completa le disposizioni contenute all'interno della convenzione dell'Aja del 1980, ordinando in un unico testo le questioni concernenti le domande di separazione, divorzio, o annullamento del matrimonio e quelle relative alla responsabilità genitoriale sui figli avuti in comune dalla coppia. Già il 1° marzo 2001 era entrato in vigore il Regolamento (CE) n. 1347/2000 che prevede procedure semplici e rapide per il riconoscimento delle sentenze di separazione e divorzio e di responsabilità parentale purché connesse a cause matrimoniali. Proprio quest'ultima condizione rappresentava, tuttavia, motivo di discriminazione nei confronti 41 L'interesse e la preoccupazione per l'incremento delle sottrazioni internazionali di minori aveva portato il Parlamento europeo a proporre la creazione di tribunali specializzati nell'applicazione delle convenzioni esistenti. Questa proposta si aggiungeva ai lavori prodotti in seno alla conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato, tra i quali l'elaborazione della nota INDACAT (International Child Abduction Database) e i lavori finalizzati all'elaborazione di una banca dati complementare, l'INCASDAT (International Child Abduction Statistical Database). 39 di minori nati da genitori non sposati. Per questo motivo, è stato sostituito da un nuovo regolamento, il n. 2201/2003 che, nell'intento di colmare tale lacuna, prevede esplicitamente che le sue disposizioni possano applicarsi a tutti i procedimenti e le decisioni concernenti la responsabilità genitoriale, indipendentemente da un nesso con un procedimento matrimoniale, con ciò ampliando la portata applicativa dei precedenti regolamenti ed offrendo una tutela affettiva nei confronti di figli naturali o nati da eventuali unioni precedenti42. Il regolamento in questione non può applicarsi ai provvedimenti relativi alla filiazione, all'adozione, a tutte le materie inerenti all'immigrazione, la sanità, i provvedimenti civili emessi a seguito di illeciti penali commessi dal minore. Il criterio unico di competenza stabilito dal regolamento è quello della residenza abituale del minore43, anche se sono previste alcune deroghe alla disciplina generale al verificarsi di determinate condizioni. Anche nel Regolamento (CE) n. 2201/2003 si è scelto di non definire il concetto di residenza abituale, preferendo la via della valutazione caso per caso in base alle circostanze che una determinata situazione può presentare nell'ottica dell'interesse del minore. Tra i paesi membri dell'Unione coinvolti in un caso di sottrazione internazionale di minore, il giudice competente sarà quello del Paese in cui il minore risiede abitualmente precedentemente alla sottrazione. L'art 10, infatti, attribuisce al giudice della residenza abituale del minore, la competenza a decidere in relazione al trasferimento illecito o al mancato rientro. Il criterio della residenza abituale risulta quindi preferito a quello della cittadinanza, nell'ottica di una più effettiva tutela del minore. Il divieto di discriminazioni basate sulla nazionalità sancito dall'art. 18 TFUE (già art. 12 TCE) è alla base dell'affermata inconciliabilità del criterio di collegamento della cittadinanza con il diritto comunitario ed è per questo motivo che quest'ultima ha svolto, all'interno della normativa di diritto internazionale privato dell'Unione europea, un ruolo tendenzialmente residuale. Secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia 44 la residenza abituale, infatti, coincide con il luogo in cui il minore ha sviluppato la propria integrazione sociale e 42 43 44 TONOLO S., “La sottrazione dei minori nel diritto processuale civile europeo: il Regolamento Bruxelles II- bis e la convenzione dell'Aja del 1980 a confronto”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2011, pp. 81 e ss. Cfr. supra, Cap I, par. 4. CGCE, 25 febbraio 1999, C-90/97 (Swaddling) in Raccolta, 1999, I-1075, 1099 e CGCE, 12 luglio 2001, C-262/99 (Louloudakis) in Raccolta, 2001, I-5547, 5591. 40 familiare, tenuto conto di importanti circostanze di fatto quali la durata e la regolarità del soggiorno, la cittadinanza del minore, il luogo in cui si frequentano le attività scolastiche, le conoscenze linguistiche, ed infine, le relazioni sociali e familiari del minore radicate in quel determinato Stato. La residenza abituale, per quanto non definita all'interno del regolamento, risulta essere a tutti gli effetti il luogo in cui il minore ha fissato in maniera stabile il centro permanente o abituale dei propri interessi, con chiara natura sostanziale e non meramente formale o anagrafica45. Venendo all'analisi delle disposizioni, una delle principali novità introdotte dal Regolamento (CE) n. 2201/2003, questa consiste nella possibilità di rendere esecutive le sentenze in materia di ritorno del minore e di diritto di visita, senza più ricorrere al procedimento dell'exequatur. Sulla base di un certificato standard, rilasciato se la decisione è esecutiva e se tutte le parti compreso il minore saranno state ascoltate, sarà possibile eseguire una decisione in ogni stato membro. Analogamente alla convenzione dell'Aja del 1980, anche il Regolamento (CE) n. 2201/2003 prevede l'attribuzione di maggiori compiti alle Autorità centrali volta a facilitare ed incentivare la cooperazione giudiziaria, sulla base di un continuo scambio di informazioni, della promozione di iniziative, e della corretta attuazione degli strumenti internazionali. Competente a svolgere il ruolo di Autorità centrale per lo Stato italiano, così come per la convenzione dell'Aja del 1980, è il Dipartimento per la Giustizia Minorile. 6. IL REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003 E LA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980: UN LEGAME INDISSOLUBILE DI COMPLEMENTARIETA' Nell'ambito della problematica rappresentata dai numerosi casi di sottrazione internazionale di minori, che sempre più spesso coinvolgono Paesi europei, la principale problematica da risolvere consiste nel coordinare le disposizioni del Regolamento (CE) n. 2201/2003, inerente alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, con quelle contenute nella convenzione dell'Aja del 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. La questione di coordinamento si pone solo in ordine agli Stati 45 LETTIERI A. L., “I criteri di collegamento della cittadinanza e della residenza abituale: breve analisi con particolare riferimento agli sviluppi del diritto dell'Unione europea nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile”, cit., Editoriale scientifica, Napoli, 2012, pag. 83 e ss. 41 membri dell'unione europea che abbiano aderito alla convenzione dell'Aja, e nello specifico dell'Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera ed Ungheria. L'art. 60 del Regolamento prevede la preminenza delle sue disposizioni rispetto ad alcune convenzioni, espressamente elencate e tra cui rientra anche la convenzione dell'Aja del 1980, che pur restando in vigore, si applica solo sussidiariamente e in via residuale negli ambiti non coperti dal Regolamento. I rinvii che il Regolamento (CE) n. 2201/2003 presenta nei confronti della Convenzione dell'Aja del 1980, rende i due strumenti indissolubilmente connessi sul piano applicativo e comporta una stretta complementarietà tra le loro rispettive disposizioni46. L'art. 11, par. 1, del Regolamento infatti afferma che se il titolare del diritto di affidamento intende ottenere il ritorno del minore illecitamente trasferito in uno Stato membro diverso da quello in cui aveva la residenza abituale, deve seguire le procedure previste dalla convenzione dell'Aja del 1980, integrate dalle disposizioni dei parr.2-8 dell'art. 11 del Regolamento. Inoltre, è la stessa convenzione dell'Aja del 1980 a prevedere la possibilità di essere affiancata da altri strumenti di cooperazione regionale aventi il medesimo ambito di applicazione. L'art. 36 della convenzione infatti prevede la possibilità di derogare alle sue disposizioni per adottare procedure più favorevoli volte ad assicurare il rapido rientro del minore nello Stato di residenza abituale. Appare chiaro come l'obiettivo condiviso da entrambi gli strumenti sia quello di assicurare il pronto ripristino dello status quo ante. L'art. 11 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 presenta disposizioni tra loro eterogenee. I primi paragrafi, infatti, integrano la disciplina della convenzione dell'Aja, gli ultimi tre hanno al contrario molto più di una portata rafforzativa della stessa. Qualora le autorità dello Stato in cui si trova il minore ne neghino il rientro, fondandolo sulla possibilità che ciò possa comportare l'esposizione del minore a pericoli fisici e psichici o sull'espressa opposizione del minore al ritorno nel Paese di residenza abituale sulla base dell'art. 13 della convenzione dell'Aja del 1980, il Regolamento (CE) n. 2201/2003 prevede l'apertura di una fase giudiziale del procedimento che è eventuale e 46 PESCE C., “La sottrazione internazionale di minori nell'Unione Europea: il coordinamento tra il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell'Aja del 1980”, in Cuadernos de Derecho Transnacional, 2011, pp. 234 e ss. 42 si svolge di fronte al giudice dello Stato in cui il minore aveva la residenza abituale prima della avvenuta sottrazione. In tale fase verrà esaminata la questione inerente all'affidamento del minore (art. 11, par. 7), che potrà portare il giudice a confermare la decisione contraria al ritorno del minore, oppure ad emettere un ordine di rientro (art.11, par. 8). Nel primo caso, lo Stato in cui il minore si trova acquisirà la giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale, nel secondo invece il provvedimento emanato dal giudice dello Stato di residenza abituale sarà eseguibile in tutti gli Stati membri dell'Unione Europea senza bisogno dell'exequatur e senza possibilità di opposizione. Proprio quest'ultima procedura ha creato le maggiori difficoltà in ordine al coordinamento delle disposizioni contenute nella convenzione dell'Aja e nel Regolamento (CE) n. 2201/2003. 7. LE PRINCIPALI NOVITA' INTRODOTTE DAL REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003 Come precedentemente emerso, la convenzione dell'Aja del 1980 non contiene norme in riferimento alla competenza. La domanda di restituzione volta ad ottenere il rientro del minore, presentata dallo Stato in cui il minore ha la residenza abituale, verrà esaminata dallo Stato in cui si è verificato l'illecito trasferimento dello stesso, potendo il giudice adito applicare solamente le disposizioni della convenzione, senza poter deliberare in materia di affidamento. Di quest'ultima questione infatti potranno occuparsene solo i giudici dello Stato di residenza abituale. In pratica, nei due Stati interessati dal trasferimento illecito del minore, verranno condotti parallelamente due distinti procedimenti: il primo nello Stato in cui il minore è stato condotto circa la domanda di ritorno, il secondo nello Stato di residenza abituale circa la regolamentazione dei rapporti genitoriali e dell'affidamento. Una prima novità che il regolamento (CE) n. 2201/2003 presenta, è quella di aver introdotto norme imperative sulla competenza dirette a garantire la prevalenza del giudice del luogo in cui il minore risiedeva abitualmente prima del trasferimento illecito. Nel caso di trasferimento illecito di un minore da uno Stato membro all'altro, l'art. 10 del Regolamento infatti prevede una deroga al foro generale, secondo cui: “Le autorità giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla 43 responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato membro alla data in cui sono aditi”, affermando così che sarà competente il giudice del luogo in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima della sottrazione. A tale giudice spetterà in ogni caso la decisione definitiva sul ritorno del minore, sino all'avvenuta acquisizione della residenza abituale in altro Paese membro. Il trasferimento della competenza allo Stato in cui il minore si trova a seguito del trasferimento illecito del minore è ammesso solo al ricorrere delle circostanze tassativamente previste dall'art. 10 del regolamento. Ciò può accadere in due ipotesi: nel primo caso il giudice dello Stato di nuova residenza acquista competenza se (a) il minore ha acquisito la residenza abituale in tale Stato e (b) i titolari del diritto di affidamento hanno accettato l'avvenuta sottrazione. Nel secondo caso, la competenza sussiste se (a) il minore oltre ad aver acquisito la residenza in tale Stato, ha soggiornato per almeno un anno da quando i titolari del diritto di affidamento abbiano avuto (o avrebbero dovuto avere) conoscenza del trasferimento e risulti integrato in tale Stato e (b) nel periodo di un anno dall'avvenuto illecito trasferimento, i titolari della responsabilità genitoriale non abbiano assunto alcuna iniziativa volta ad ottenere il ritorno del minore ovvero abbiano assunto iniziative in tal senso, ma senza esiti positivi47. La disciplina della sottrazione internazionale di minore, all'interno del regolamento, è poi ripresa all'art. 11 nei sui vari paragrafi che certamente richiamano la disciplina del return remedy (procedimento di ritorno) apportata dalla convenzione dell'Aja del 1980, ma non mancano di integrarne la portata. In capo all'autorità adita in materia di sottrazione è posto l'obbligo di ascolto del minore nella logica di tutelarne l'interesse superiore (art. 11, par. 2), e l'obbligo di pronunciarsi rapidamente, entro il termine di sei settimane, facendo ricorso alle norme processuali più rapide previste dal diritto interno (art. 11, par. 5). L'art. 11, par. 4, prevede che un'autorità giurisdizionale non possa negare il rientro del minore sulla base dell'art. 13, lett. b, della convenzione dell'Aja del 1980, qualora venga dimostrato che sono previste misure di protezione volte ad evitare l'esposizione del minore a pericoli fisici o psichici, o comunque a situazioni intollerabili. La verifica della sussistenza di tali misure di protezione dovrà essere valutata in concreto, non bastando, ad esempio, la mera esistenza di procedure idonee 47 CARPANETO L., “Reciproca fiducia e sottrazione internazionale di minori nello spazio giuridico europeo”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2011, p. 361 e ss. 44 alla protezione del minore. Tale indagine se necessario, potrà essere compiuta anche tramite l'aiuto e la collaborazione delle Autorità centrali dello Stato di origine. Un ulteriore innovativo insieme di disposizioni introdotta dal Regolamento (CE) n. 2201/2003 e di cui la convenzione dell'Aja del 1980 non si occupa, riguarda il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni che ordinano il ritorno di un minore sottratto, ai sensi dell'art. 42 del regolamento. Il ritorno del minore di cui all'articolo 40, par. 1, lett. b), ordinato con una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è infatti, riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro anche senza una dichiarazione di esecutività. Nel sistema convenzionale è chiaro come questo aspetto non presenti caratteri di transnazionalità, rilevando solo secondo le procedure di diritto interno (art. 47 della convenzione). Il sistema istituito dal regolamento invece, assicura che l'ordine di rientro emesso in base all'art 11, par. 8, riceva attuazione nello Stato in cui il minore si trova. È predisposto un regime speciale di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni di rientro, che prevede che “le decisioni in materia di diritto di visita o di ritorno che siano state certificate nello Stato membro d'origine conformemente alle disposizioni del presente regolamento, dovrebbero essere riconosciute e hanno efficacia esecutiva in tutti gli altri Stati membri senza che sia richiesto qualsiasi altro procedimento o senza che sia possibile opporsi al riconoscimento o all'esecuzione” (ventitreesimo considerando del Regolamento (CE) n. 2201/2003). Per accedere a tale regime agevolato la decisione di ritorno deve essere certificata dall'autorità che l'ha emessa e, così come dettato del par. 2 dell'art. 42, deve essere rispettata la tassativa procedura in base alla quale le parti ed il minore siano stati ascoltati e siano stati tenuti in debito conto tutti i motivi e gli elementi probatori che avevano indotto il primo giudice a negare il rientro del minore. Una volta rilasciato il certificato, la decisione di ritorno del minore è automaticamente riconosciuta ed è immediatamente esecutiva in ogni Stato membro, senza la necessità dell'exequatur. Lo Stato in cui il minore è stato condotto e che pertanto deve dare attuazione alla decisione certificata non ha alcuna possibilità di paralizzare l'immediata esecutività del provvedimento, non essendo ammesso alcun mezzo di impugnazione, salvo la domanda di rettifica per la correzione degli errori materiali. Le questioni inerenti alla legittimità della decisione certificata potranno essere sollevate innanzi ai giudici dello Stato che ha emesso la decisione, secondo le procedure e gli 45 strumenti di impugnazione e di revisione ivi previsti. La sentenza Aguirre Zarraga48 mostra come la Corte di Giustizia dell'Unione europea abbia ormai affermato in via definitiva che l'opposizione all'esecuzione della decisione di rientro, certificata in base all'art. 42 non sia ammessa in alcun caso, nemmeno quando la decisione appaia viziata dalla violazione di diritti fondamentali. La controversia, che investiva la Corte di Giustizia europea tramite la presentazione di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del TFUE 49, riguardava una minore abitualmente residente in Spagna, condotta illecitamente dalla madre in Germania a seguito della separazione dal coniuge, padre della minore. Le autorità tedesche negavano il rientro della minore invocando l'art. 13 secondo comma della convenzione dell'Aja del 1980 a seguito dell'opposizione al rientro manifestata dalla minore stessa. Le autorità spagnole a loro volta riesaminata la questione, disponevano il rientro della minore tramite il certificato emesso ai sensi dell'art 42 Regolamento (CE) n. 2201/2003. I giudici tedeschi, a causa della non avvenuta l'audizione della minore 50 nel corso del procedimento spagnolo così come disposto dal Regolamento (CE) n. 2201/2003, invocavano un'importante violazione dei diritti fondamentali e decidevano di sospendere il giudizio pendente e di sottoporre la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea. Quest'ultima ribadiva che lo Stato deputato all'esecuzione del ritorno non ha alcun potere né in ordine alla legittimità della decisione, né sul rilascio del certificato. Tenuto conto del ventiquattresimo considerando del Regolamento (CE) n. 2201/2003, il quale afferma la non impugnabilità del certificato e che ne consente, pertanto, solo la correzione dell'errore materiale, può confermarsi a tutti gli effetti come la decisione ultima in ordine al ritorno del minore spetti al giudice della residenza abituale, senza che sia necessario dichiararne l'esecutività e senza che sia possibile opporvisi. La Corte di Giustizia europea affermava quindi che la violazione dell'art. 42 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 non può costituire un fondato motivo che giustifichi 48 49 50 CGUE, 22 dicembre 2010, C-491/10 PPU http://curia.europa.eu/ Il rinvio pregiudiziale è uno dei meccanismi più importanti previsti dal diritto comunitario, volto a preservare l'uniformità dell'interpretazione e dell'applicazione delle norme comunitarie. Esso consente al giudice nazionale di sottoporre alla Corte di Giustizia europea una o più questioni di diritto comunitario che dovessero emergere nel corso del giudizio innanzi a sé pendente e dalla risoluzione delle quali dipende la decisione della controversia. Ai sensi del diciassettesimo considerando del Regolamento (CE) n. 2201/2003: “L’audizione del minore è importante ai fini dell’applicazione del presente regolamento, senza che detto strumento miri a modificare le procedure nazionali applicabili in materia”. 46 l'opposizione all'esecuzione di una decisione certificata che prescrive il ritorno di una minore illecitamente trattenuta in altro Paese, poiché l'accertamento di una siffatta violazione compete solo ai giudici dello Stato membro di origine della minore. 8. IL PROCEDIMENTO DI RIESAME INTRODOTTO DALL'ART. 11, PARR. 6-8 DEL REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003 E CASI GIURISPRUDENZIALI Come già accennato le procedure previste dall'art. 11, parr. 6-8 prevedono l'apertura di una fase eventuale, a seguito della opposizione manifestata dallo Stato in cui il minore si trova circa il suo rientro, così come previsto dall'art. 13 della convenzione dell'Aja del 1980. Le autorità di tale Stato devono trasmettere direttamente o tramite la sua Autorità centrale una copia del provvedimento giudiziario che si opponga al rientro, all'autorità giurisdizionale competente o all'Autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento. Il regolamento non specifica quali siano i criteri in base ai quali debba essere adottata la decisione del giudizio che si apre di fronte al giudice della residenza abituale, né viene indicato quali elementi debbano essere presi in considerazione per l'adozione della decisione, con la quale si confermi il provvedimento di non restituzione oppure si ordini il rientro del minore. Differentemente dal giudice del luogo in cui il minore è stato condotto, infatti, il giudice della residenza abituale è competente a pronunciarsi anche in ordine all'affidamento. Secondo il disposto dell'art. 11, par. 7 del regolamento il giudice della residenza abituale deve valutare “la questione dell'affidamento del minore”. Parimenti, l'art. 10, iv) prevede un trasferimento di competenza dal giudice della residenza abituale a quello dello Stato in cui il minore sia stato condotto nel caso in cui il primo abbia emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore. Assegnando quindi l'ultima parola sulla questione del ritorno allo stesso giudice cui è riservata la competenza a deliberare sulla definitiva regolamentazione dei rapporti familiari, si deduce che il regolamento abbia inteso istituire un collegamento di tipo sostanziale tra l'eventuale ordine di restituzione e la deliberazione circa l'assetto definitivo dei rapporti genitoriali, per cui il ritorno potrebbe essere disposto solo qualora si decidesse di affidare il minore allo stesso genitore che ne richiede il rientro. Se si accogliesse un'interpretazione siffatta, la decisione sull'affidamento del minore conteso 47 assumerebbe carattere preliminare rispetto a quella sul ritorno51. La questione interpretativa è stata affrontata dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza Povse52, in relazione al trasferimento illecito di una minore dall'Italia all'Austria. Il padre italiano aveva richiesto il rientro immediato della minore alle autorità austriache presso il luogo della residenza abituale italiana, così come previsto dalla convenzione dell'Aja del 1980. Essendo stato, tuttavia, negato il rientro della minore sulla base dell'art. 13 lett. b) della convenzione, il Tribunale per i minorenni di Venezia aveva ordinato l'immediato ritorno della minore in Italia, prima ancora di deliberare in via definitiva sull'affidamento (art. 11, par. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003). A seguito della presentazione all'Austria dell'ordine di rientro, specificamente munito di certificato ai sensi dell'art 42, le autorità austriache presentavano ricorso in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Secondo l'opinione del giudice remittente infatti il ritorno del minore sottratto avrebbe dovuto in ogni caso fondarsi sull'attribuzione del diritto di affidamento allo stesso genitore che ne richiedeva il rientro, e questo per evitare inutili spostamenti del minore da un luogo a un altro. Inoltre, un accertamento più approfondito dei fatti rilevanti ai fini della decisione in materia di affidamento, avrebbe garantito maggiore fondatezza del provvedimento sul ritorno, rispetto ad una decisione assunta sulla base del procedimento monitorio previsto dalla convenzione dell'Aja del 1980. La Corte di Giustizia tuttavia non accoglieva tale interpretazione, reputandola priva di fondamento ed argomentando che quando l'art. 11, par. 7 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 affida al giudice della residenza abituale l'esame della questione inerente all'affidamento del minore, “non fa che indicare l'obiettivo finale dei procedimenti amministrativi e giudiziari, vale a dire la regolarizzazione della situazione del minore, ma da ciò non è lecito dedurre che la decisione sull'affidamento del minore costituisca condizione preliminare all'adozione di una decisione che dispone il ritorno del minore53”. Pertanto, il regolamento consente a tutti gli effetti di ordinare il rientro anche prima di decidere sull'affidamento, in quanto secondo la Corte non sussiste alcun collegamento necessario tra la deliberazione sull'affidamento del minore e il provvedimento che ne 51 52 53 PESCE C., “La sottrazione internazionale di minori nell'Unione Europea: il coordinamento tra il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell'Aja del 1980,” cit., pp. 234 e ss CGUE, 1° luglio 2010, C-211/10 PPU http://curia.europa.eu/ CGUE, 1° luglio 2010, C-211/10 PPU http://curia.europa.eu/ 48 dispone il ritorno. L'urgenza e la celerità con cui la decisione di rientro deve essere adottata non risulta compatibile con le tempistiche necessarie per poter assumere una congrua decisione circa la responsabilità genitoriale, poiché il giudice competente sarebbe costretto a decidere sull'affidamento senza disporre di tutti gli elementi e le informazioni pertinenti. Appare chiaro, quindi, come l'obiettivo comune della convenzione dell'Aja del 1980 e del Regolamento (CE) n. 2201/2003 sia quello di consentire che la decisione sul merito dell'affidamento venga presa in presenza del minore nel foro più appropriato, e cioè nel foro del luogo della residenza abituale. Ciò da un lato, esclude in maniera definitiva che una decisione in ordine all'affidamento debba essere necessariamente presa contestualmente all'emanazione dell'ordine di ritorno, mentre dall'altro nulla vieta che il giudice della residenza abituale, una volta ricevuti gli atti compiuti dal giudice del luogo in cui il minore è stato coinvolto, possa decidere immediatamente sull'affidamento. Emerge quindi una differenza fondamentale tra la convenzione dell'Aja del 1980 e il Regolamento (CE) n. 2201/2003. Nel giudizio previsto dall'art. 11, par. 7 del regolamento, infatti, la questione del ritorno non deve necessariamente essere distinta da quella sull'affidamento, come invece imposto nel procedimento di ritorno instaurato ai sensi della convenzione dell'Aja del 1980 in forza della preclusione dettata dall'art. 16, ma starà al giudice della residenza abituale valutare se al momento in cui riceve gli atti inerenti al procedimento di ritorno, dispone di sufficienti elementi per assumere una decisione definitiva sul merito. Ai fini di tale pronuncia sarà, tuttavia, necessario che tale giudice sia già stato prontamente investito del giudizio sul merito in base all'art. 10 del regolamento. L'ordine di rientro può essere inserito nel ben più ampio ambito di una decisione che riguardi anche l'assetto delle relazioni genitoriali, anche se la decisione inerente al ritorno si ritiene debba essere motivata separatamente e debba fondarsi sull'art. 13 della convenzione dell'Aja, come imposto dall'art. 42 del regolamento, che fissa il contenuto minimo che la decisione sul ritorno deve obbligatoriamente presentare. Le pronunce della Corte di Giustizia appena esaminate mostrano di considerare il procedimento istituito dalla convenzione dell'Aja del 1980 e il giudizio previsto dal Regolamento (CE) n. 2201/200 come momenti distinti di un solo procedimento. Il procedimento di riesame previsto dal regolamento, poiché non subordinato al previo esaurimento dei mezzi di impugnazione previsti dal diritto interno, produce notevoli 49 vantaggi sotto il profilo dell'economia processuale. L'unica condizione che permette al giudice della residenza abituale di potersi pronunciare sul ritorno, è che il giudice del luogo in cui il minore è stato trasferito abbia emanato un qualsiasi provvedimento sulla base dell'art. 13 della convenzione dell'Aja del 1980. Il riesame rappresenta a tutti gli effetti una valida alternativa ai mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento dello Stato in cui il minore è trattenuto. È così che la decisione in merito viene sottratta al primo giudice per essere trasferita allo Stato di residenza abituale. Un'ulteriore e significativa pronuncia della Corte di Cassazione in tema di sottrazione internazionale di minori è intervenuta il 14 luglio 2010 (sentenza n. 16549). La peculiarità e l'importanza di tale pronuncia si fonda sull'aver applicato, forse per la prima volta in maniera così esplicita, il principio di reciproca fiducia tra Stati membri. La controversia riguardava un caso di sottrazione internazionale di una minore, nata da una coppia di fatto residente in Italia, formata da madre spagnola e padre italiano. La madre il 15 gennaio 2008 faceva ritorno in Spagna, precisamente a Cordoba, portando con sé la figlia di circa un anno e mezzo di età. A seguito di ciò, il padre instaurava due distinti procedimenti: il primo, a circa due mesi e mezzo dall'avvenuta sottrazione, innanzi al Tribunale per i minorenni di Palermo, con l'intenzione di ottenere l'affidamento esclusivo della figlia e la contestuale dichiarazione di decadenza della madre dalla potestà genitoriale, e il secondo, di fronte alle autorità spagnole, invocando l'art. 12 della convenzione dell'Aja del 1980. Il Tribunale per i minorenni di Palermo, verificata la sussistenza della propria giurisdizione, disponeva con decreto dell' 8 luglio 2008, emesso inaudita altera parte, l'affidamento della minore in via provvisoria ed urgente al padre. Il Tribunale di Cordoba, invece, respingeva la richiesta di rimpatrio della minore avanzata dal padre, invocando l'art. 13 lett. b) della convenzione dell'Aja del 1980, ossia presumendo l'esposizione della minore a pericoli psichici e fisici a causa del ritorno nel luogo di residenza abituale. A seguito della pronuncia del Tribunale di Cordoba, la madre avviava un procedimento volto ad ottenere la custodia della figlia, mentre il padre adiva nuovamente il Tribunale di Palermo per ottenere un provvedimento di rientro ai sensi dell'art 11, par. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003. È in questo contesto che i giudici italiani, a quanto consta senza precedenti54, dimostrano di dare piena fiducia all'operato delle autorità 54 CARPANETO L., “Reciproca fiducia e sottrazione internazionale di minori nello spazio giuridico 50 spagnole, perché pur potendo esercitare i poteri loro conferiti dall'art. 11, par. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003, emanando un provvedimento che a tutti gli effetti poteva superare la decisione di diniego di rimpatrio, ritengono invece di confermare l'operato del Tribunale spagnolo, stante la sussistenza di fondati rischi per la minore in caso di rientro. Con decreto del 9 marzo 2009, il Tribunale per i Minorenni di Palermo, rigettava la richiesta di rimpatrio presentata dal padre, revocava il precedente decreto che affidava la minore al padre, e dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda di affidamento esclusivo e alla domanda di decadenza di potestà genitoriale della minore. Il padre, successivamente, proponeva ricorso in Cassazione affermando l'avvenuta violazione dell'art. 11, par. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003. La Suprema Corte respingeva inaspettatamente il ricorso, confermando in maniera definitiva la decisione del Tribunale dei Minorenni di Palermo. La sentenza della Cassazione n. 16549/2010 mostra profili apprezzabili, poiché rappresenta un rarissimo esempio di applicazione del principio della reciproca fiducia nell'ambito della sottrazione internazionale di minori, che da sempre è terreno molto delicato, in cui l'applicazione dell'art. 13, lett. b) della convenzione dell'Aja del 1980 non è stata sempre impeccabile da parte degli Stati aderenti. Proprio per limitare tale fenomeno, gli strumenti previsti dell'art. 11, parr. 4 e 8, ossia rispettivamente l'obbligo di rimpatrio del minore anche in caso di pericolo per lo stesso ove lo Stato di residenza abituale dimostri di aver adottato le necessarie misure, e l'assegnazione al giudice della residenza abituale del diritto a pronunciarsi per ultimo in ordine al rientro, rappresentano sicuramente un grande passo in avanti. Il ricorso dimostra come l'ambito della sottrazione internazionale di minori all'interno dello spazio giuridico europeo, necessiti di maggiore sviluppo e cooperazione. La decisione del Tribunale dei minorenni di Palermo di confermare la decisione delle autorità spagnole, sottolinea come gli strumenti apportati dal regolamento esortino un'interpretazione delle sue disposizioni nel senso della reciproca fiducia. Alla lettura del ventunesimo considerando del Regolamento (CE) n. 2201/2003 questa necessità emerge in maniera ancora più chiara, in quanto si afferma che il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro dovrebbero europeo”, cit., 2011, p. 361 e ss. 51 fondarsi sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento dovrebbero essere limitati al minimo indispensabile. La motivazione della sentenza della Cassazione n. 16549 è più che mai significativa nella parte in cui afferma che sia il giudice del luogo in cui il minore è stato trasferito, sia quello della residenza abituale hanno il compito di effettuare un bilanciamento tra l'obiettivo di ripristino dello status quo ante e l'eventuale interesse del minore al trasferimento. La valutazione dovrà quindi basarsi sulla considerazione di alcuni fattori fondamentali, quali i motivi della sottrazione, la portata emotiva del''iniziativa del genitore, le implicazioni che il trasferimento può aver comportato sulle condizioni di vita del minore. L'esigenza di bilanciamento dei vari interessi coinvolti nel caso specifico è perfettamente coerente con l'art. 13 della convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d'Europa il 25 gennaio 1996, che pone l'obbligo in incoraggiare il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione delle controversie familiari idoneo a favorire un accordo. L'applicabilità del principio della reciproca fiducia tra Stati potrebbe non risultare uniforme tra tutti gli Stati membri dell'Unione europea, ancor meno fra Stati che non vi appartengono. Ciò sarà facilmente realizzabile tra ordinamenti affini quali quello italiano e spagnolo, ma quando ad essere coinvolti in casi di sottrazione internazionale di minori siano ordinamenti estranei al contesto europeo l'applicazione del principio della reciproca fiducia potrebbe risultare più problematica. La condivisione di valori etici e socio-culturali risulta essere la base di una normazione sovrastatale uniforme ed omogenea. Di certo questo presupposto può venire meno quando ad essere coinvolti siano Paesi molto lontani dalla tradizione giuridica occidentale, così come si cercherà di far emergere nel capitolo successivo. 52 CAPITOLO TERZO LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DEI MINORI E IL DIRITTO GIAPPONESE. SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi. - 2. L'evoluzione dell'istituto della famiglia giapponese. - 3. Gli ostacoli socio-culturali all'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980. - 4. L'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 e le principali incompatibilità con il diritto interno. - 5. Il rapporto tra diritto giapponese e diritto internazionale. - 6. Le raccomandazioni della Japan Federation of Bar Association (JFBA). - 7. Le iniziative intraprese dal governo giapponese ai fini dell'adesione alla convenzione dell'Aja del 1980. - 8. L'esemplare caso giurisprudenziale Berti contro Kakinuma. 1. CENNI INTRODUTTIVI Il cammino verso l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, intrapreso a partire dal maggio 2011, trova le ragioni di un tale ritardo nella profonda difficoltà da sempre incontrata da questo Paese nell'adeguarsi e nell'uniformarsi ai principi generali del diritto di famiglia accolti da gran parte degli Stati del mondo occidentale. Aderire alla convenzione dell'Aja implica, per una Paese come il Giappone, modificare molti profili di diritto civile e costituzionale, frutto di una lunga tradizione sociogiuridica sviluppatasi all'interno di una comunità rimasta per molto tempo isolata e lontana dal mondo occidentale. Le autorità giapponesi sono perfettamente consapevoli che, per non rendere vana e meramente formale l'adesione alla convenzione in questione, sarà necessario apportare grandi modifiche al diritto interno, tali da renderlo coerente e rispettoso dei principi convenzionali. Per comprendere le ragioni di questo ultratrentennale ritardo può essere utile partire da una sia pur breve analisi dell'evoluzione del concetto di famiglia in Giappone e delle principali difficoltà incontrate da questo Paese nella trattazione del tema della sottrazione internazionale dei minori. 53 2. L'EVOLUZIONE DELL'ISTITUTO DELLA FAMIGLIA GIAPPONESE Sin dalle sue origini, l'esperienza giuridica giapponese appare fortemente influenzata dallo sviluppo del comunitarismo e dal sistema di valori apportato dal confucianesimo, in cui la figura del singolo doveva essere concepita come unità di un ordine onnicomprensivo, al cui funzionamento il singolo doveva necessariamente contribuire 55. Il principio di gerarchia e quello di differenzazione caratterizzavano anche l'ambito familiare, all'interno del quale ciascuno doveva seguire le regole relative al proprio status, nel pieno rispetto delle differenze gerarchiche, così da contribuire alla pace sociale del proprio gruppo e al mantenimento dell'ordine cosmico. I vari contesti sociali, tra cui spicca per primo quello della famiglia, infatti, si mostrarono sin da subito come apparati estremamente indipendenti l'uno dall'altro. Già con l'avvento del regime Tokugawa ( 徳川 1603-1867), i villaggi e i quartieri all'interno delle zone urbane finirono per divenire piccole comunità semiautonome. La penetrazione dei modelli giuridici occidentali sembrava dover necessariamente mettere fine a questa organizzazione comunitaria della società, eppure così non fu per precisa scelta da parte delle classi dirigenti, che decisero di guidare il processo di modernizzazione adottando, da un lato modelli esterni, ma dall'altro conservando i valori sociali fondamentali presenti all'interno del nucleo centrale della società: la famiglia. Quest'ultima venne vista come quell'istituto in grado di mantenere solidità, coesione e stabilità sociale, nel contesto del grande cambiamento apportato dall'apertura del Giappone al mondo occidentale. Sin dall'epoca Meiji ( 明治 1868-1912) la scelta maggiormente accolta fu quella sintetizzata nell'espressione “spirito giapponese-tecnica occidentale”, in cui il rifiuto per l'individualismo disgregatore che ispirava le codificazioni occidentali riusciva a coniugarsi con la piena recezione dell'apparato tecnico-giuridico frutto dell'esperienza europea. All'istituto giuridico della famiglia venne assegnata la funzione di conservare e mantenere saldi i principi che formavano l'identità nazionale giapponese. Il codice civile del 1898, negli ultimi due libri incentrati sulla famiglia e sulle successioni ereditarie, mostra come l'intero apparato sociale si sviluppi sul cosiddetto ie seido ( 家制度 = 55 TIMOTEO M., SERAFINO A., AJANI G., Diritto dell'Asia orientale, UTET GIURIDICA, Torino, 2007 54 sistema familiare), i cui principi fondanti si basavano sul wa (輪 = l'armonia) del gruppo e sull'autorità massima del koshu (戸主 = capofamiglia). Il koshu aveva il pieno controllo della ie, ossia della famiglia, potendo in ogni momento escludere qualsiasi membro che recasse danno all'interesse familiare, essendo egli il responsabile del registro di stato civile della famiglia (art. 747 Codice Civile giapponese del 1898). La tipica struttura familiare samuraica, la ie, venne ben presto estesa all'intera società e, pur basandosi su un complesso e rigido sistema di obbligazioni, venne adottata come modello organizzativo per eccellenza. L'ie seido ispirò la struttura delle imprese moderne e il modello politico incentrato sul concetto di kazoku-kokka (家族国家), uno Stato-famiglia retto dal Tenno ( 天皇= imperatore), che preso a modello da tutto il sistema giapponese, rimarrà invariato sino alla fine della seconda guerra mondiale. Nonostante l'apertura del Giappone a modelli europei, quindi, lo spirito comunitario non venne intaccato nemmeno a seguito delle riforme del dopoguerra e dell'abolizione della ie. I principi dell'armonia e della omogeneità sociale rimasero elementi imprescindibili per lo sviluppo della nuova società giapponese con inevitabili riflessi nell'ordinamento giuridico. Il periodo successivo al secondo conflitto mondiale, fu caratterizzato da particolare fervore nell'ambito della produzione normativa. Il 3 novembre 1946, infatti, veniva promulgata la Costituzione giapponese ( 憲法), subito seguita nell'anno successivo dal Codice Civile (民法). Tuttavia, nonostante quest'ultimo all'art.256 attui pienamente il contenuto dell'art. 24 della Costituzione57, riconoscendo il principio di uguaglianza tra uomo e donna, il forte senso della gerarchia e il predominio della figura maschile su quella femminile, continuarono a manifestarsi ancora per un lungo periodo nella prassi. Per molto tempo, ad esempio, non fu concesso alla donna di utilizzare nell'ambito professionale il proprio cognome da nubile, proprio alla luce della necessità di salvaguardare l'unità della 56 57 Art. 2 codice civile giapponese del 1947: “このコードは、名誉、個人の尊厳と両性の本質的平 等拠し、これに従って解釈されるもである”(“Questo codice deve essere interpretato in modo da onorarela dignità degli individui e l'uguaglianza essenziale tra i due sessi”.) Art. 24 Costituzione giapponese del 1946: “結婚は、両性の合意に基づくものとなることを基本 夫婦が同等の権利を持つ、相互の協力により、維持されなければならない” 配偶者、財産権、相続、住居の選定、離婚並びに婚姻及び家族に関するその他の事項に関 しての 選択に関しては、法律は、個人の尊厳と本質的平等に立脚して、制定されなければ ならない間。 55 famiglia58. In linea con il modello tradizionalista, la famiglia legittima per lungo tempo fu la sola concepita e riconosciuta a livello normativo. Solo nel 1993 è stata riconosciuta piena parità di trattamento tra figli legittimi e figli nati al di fuori di un contesto matrimoniale. È a partire dalla seconda metà degli anni '90 che, infatti, a seguito anche di una crisi economica, il sistema di valori tradizionali ha iniziato a manifestare evidenti segnali evolutivi non solo nella prassi sociale, ma anche a livello normativo, soprattutto a seguito del drastico aumento del numero di divorzi. Il tema della violenza domestica è stato finalmente affrontato da parte della Dieta giapponese ( 国会 Kokkai) nel 2001, ed ha portato all'emanazione di una legge per la prevenzione di questo invisibile ma dilagante fenomeno familiare. Dal quadro appena tracciato emerge chiaramente come la logica dell'integrazione e dell'omogeneità, che per così lungo tempo ha caratterizzato il sistema giapponese, stia lentamente declinando. Si prospetta la necessità di importanti modifiche normative di cui il Giappone sente fortemente il bisogno ma che fatica ad affermare definitivamente. 3. GLI OSTACOLI SOCIO-CULTURALI ALL'ADESIONE DEL GIAPPONE ALLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 Considerando che il numero di matrimoni misti tra un coniuge giapponese e l'altro di nazionalità straniera, dal 1970 sino al 2005, è aumentato da 5000 a 40 000 59, è facile comprendere come sia aumentato proporzionalmente anche il numero dei divorzi 60 e che, a seguito di alcuni di essi, siano aumentati pure i casi di sottrazione internazionale di minori. Ciò che preoccupa maggiormente è la constatazione del fatto che alla base del trasferimento illecito del minore vi siano sempre più spesso casi di violenza domestica in cui il genitore maltrattato mette in atto la pratica della sottrazione del figlio come modalità di allontanamento dal coniuge violento61. Questa situazione ha comportato la necessità per il Governo giapponese di doversi accordare con gli altri Stati ai fini della cooperazione internazionale in materia. 58 59 60 61 Corte distrettuale di Tokyo (東京地裁), decisione 19-11-1993 relativa all'utilizzo da parte della donna del proprio cognome da nubile in campo professionale, in 1486 Hanrei Jiho, p. 21. http://www.mofa.go.jp/mofaj/press/ Cfr. appendice c) ESPINOSA CALABUIG R., “La sottrazione dei minori nell'Unione europea: tra Regolamento n. 2201/2003 e convenzione dell'Aja del 1980”, in Diritto di famiglia e Unione europea, GIAPPICHELLI, TORINO, 2008. 56 La scelta del Giappone di non aderire per il lunghissimo periodo di circa trenta anni a questa convenzione, ha comportato un aumento consistente di trasferimenti illeciti di minore entro i confini giapponesi. Si è, infatti, registrato un elevato numero di casi in cui il genitore di nazionalità giapponese residente all'estero, soprattutto la madre, abbia condotto, a seguito del divorzio, il minore in Giappone all'insaputa dell'altro genitore. I Paesi maggiormente colpiti da tale pratica sono attualmente gli Stati Uniti, l'Inghilterra, il Canada e la Francia62. Come conseguenza di tale tendenza, si stanno registrando crescenti casi in cui viene di fatto negato al genitore giapponese divorziato e residente all'estero di poter trascorrere con i propri figli anche solo brevi periodi di vacanza in Giappone. Consapevoli dei rischi sopra esposti, infatti, molti Paesi, al fine di evitare conseguenze talvolta irreparabili, hanno deciso di adottare la pratica dell'emanazione di divieti di espatrio per i minori nati da coppie separate con la doppia nazionalità, tra cui quella giapponese. Due sono le ragioni principali che stanno alla base della tardiva adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980. La prima risiede nel timore di negare una tutela effettiva alle mogli giapponesi residenti all'estero e sposate con uomini di diversa nazionalità, nel caso in cui queste risultino vittime di violenza domestica, e la seconda viene ravvisata nella incompatibilità tra le disposizioni della convenzione dell'Aja del 1980 e il diritto interno giapponese63. Numerosi casi verificatisi dimostrano, infatti, che il motivo di rientro della donna nel proprio paese di origine, risiede nell'impossibilità di dare proseguo al rapporto coniugale, a causa delle violenze subite all'interno delle mura domestiche64. In realtà, la pratica di ritorno nel paese di origine insieme ai propri figli senza il consenso dell'altro genitore, trova fondamento nella cultura giapponese, che nel tempo si è mostrata, anche solo implicitamente, favorevole alla sottrazione dei minori, considerata una sorta di male minore, e allo stesso tempo necessario, per poter porre fine al problematico rapporto coniugale. Esistono, quindi, ragioni socio-culturali che nel tempo hanno in qualche misura giustificato e quindi indirettamente permesso la 62 Cfr. appendice d) “Japanese officials have identified two obstacles to Japan’s accession. First, Japan is concerned that many of the women fleeing the child’s habitual residence and returning to Japan may be trying to escape domestic violence. Second, Japan has expressed that cultural differences make Japanese law and custom incompatible with the Convention.” COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction: real change or political maneuvering”, in Oregon review oj International law, 2010, pp.369 e ss. 64 Www.mofa.go.jp/mofai/press/release/23/2/0202 63 57 diffusione di questo triste fenomeno. La non adesione del Giappone alle convenzioni internazionali che trattano questo problema rende a tutti gli effetti questo Paese esonerato dal dover rispondere degli obblighi internazionali che l'adesione invece comporterebbe. Proprio in ordine a questa considerazione, a seguito di numerosi casi di sottrazione internazionale di minori che hanno coinvolto Stati Uniti e Giappone, le autorità americane hanno più volte esortato il Giappone ad aderire alla convenzione dell'Aja del 1980. Secondo il pensiero di Kurt Campbell, segretario del Bureau of East Asian Affairs (dipartimento USA che si occupa di questioni legate all'Asia orientale), infatti, l'esigenza di protezione delle donne giapponesi vittime di violenza domestica, considerata come una delle principali ragioni di non adesione alla convenzione dell'Aja del 1980, sarebbe di per sé priva di fondamento. Anche il Vice Segretario Generale della Conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato William Duncan è intervenuto in una conferenza stampa ed ha affermato che particolari ostacoli tra il diritto interno giapponese e le disposizioni della convezione dell'Aja del 1980 non sarebbero ravvisabili. Il vero motivo della non adesione, infatti, secondo il suo avviso risiederebbe nelle difficoltà incontrate dal Giappone nel confronto con altri ordinamenti. Ma proprio per questo forse sarebbe auspicabile per questo Paese aderire alla convenzione. Le differenze culturali sono importanti, ma il rispetto per le culture è una strada a doppio senso65. Ogni giorno i Tribunali degli Stati aderenti alla convenzione dell'Aja del 1980 si misurano con culture diverse e il superiore interesse dei minori può essere il terreno comune su cui poter fondare una maggiore collaborazione. 4. L'ADESIONE DEL GIAPPONE ALLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 E LE PRINCIPALI INCOMPATIBILITA' CON IL DIRITTO INTERNO I primi passi verso l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, come anticipato, sono stati compiuti nel maggio 2011. Come si è visto, molteplici aspetti hanno reso problematica tale adesione, a causa dell'incompatibilità emersa tra le disposizioni della convenzione con i principi di diritto 65 “Our cultural differences are important, but respect for cultures is a two-way street”. COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction: real change or political maneuvering”, cit., 2010, pp. 369 e ss. 58 interno giapponese. Il primo ordine di problemi riguarda i profili costituzionali del diritto di famiglia. L'art. 22 della Costituzione giapponese prevede il diritto fondamentale che garantisce a chiunque, anche ai minori, di poter scegliere e modificare il proprio luogo di residenza. Ordini di rimpatrio provenienti dall'estero e diretti al minore così come previsti dalla convenzione potrebbero, pertanto, presentare dei contrasti con la costituzione e con la libertà di cui il minore è titolare66. Tuttavia l'aspetto problematico, forse il più rilevante, riguarda la disciplina giapponese dello scioglimento del matrimonio. Non si prevede l'esercizio congiunto della potestà genitoriale o di qualsiasi altra forma di collaborazione tra i coniugi separati o divorziati. A seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale la potestà, infatti, spetta in maniera esclusiva ad uno solo dei genitori, che ne diviene l'unico titolare. I primi due commi dell'art. 819 del Codice civile giapponese affermano che quando i due genitori divorziano consensualmente, l'accordo deve stabilire quale sia il genitore al quale viene affidata la potestà genitoriale. Se, invece, il divorzio è giudiziale, è il Tribunale a stabilirlo67. In entrambe le tipologie di divorzio, quindi, tramite accordo fra coniugi o tramite l'intervento del Tribunale, il minore verrà assegnato a solo uno dei due genitori. Ciò comporta l'inevitabile esclusione dell'altro genitore dalla vita del minore, da qualsiasi decisione in ordine alla sua educazione o alla sua istruzione. Attualmente nella maggioranza dei casi è il padre a perdere i contatti con il proprio figlio, mentre sino alla metà degli anni '60 la situazione era opposta68. Gli art. 82069 e seguenti del Codice Civile mettono in evidenza la normalità 66 67 68 69 Art. 22 della Costituzione giapponese: “それぞれの人が選択して、彼の住居を変更し、それが公 共の福祉に反しない程度に彼の職業を選択する自由を持っている必要があります。 外国に移住し、国籍を売却することをすべての人々の自由は不可侵である”.(Ogni persona avrà la libertà di scegliere e di cambiare la propria residenza e di scegliere la sua occupazione, nei limiti in cui ciò non sia in contrasto con il benessere pubblico.La libertà di tutte le persone di trasferirsi in un paese straniero e di spogliarsi della loro nazionalità è inviolabile”.) Art. 819 Codice civile giapponese: “両親は、双方の協議によって離婚をする場合、同意によっ て親権を得る。 協議離婚が成立しない場合は、裁判によって離婚、そして裁判所が親権を定める。” (Ove la separazione tra i coniugi avvenga consensualmente, le parti possono accordarsi circa la potestà dei minori coinvolti. Se la separazione è giudiziale, deciderà il Tribunale.) ORTOLANI A., “Convenzione dell'Aia sulla sottrazione internazionale di minori: dico la mia (parte II)”, in Il diritto c'è ma non si vede, 17 ottobre 2011, http://dirittogiapponese.wordpress.com/2011/10/17/convenzione-dellaia-sulla-sottrazioneinternazionale-di-minori-dico-la-mia-parte-ii/ Art: 820 del Codice Civile giapponese: “親権を持つ者は、子の監護及び教育に関しての権利、 59 dell'esclusione del genitore non affidatario dalla vita del minore, affermando che solo uno dei due genitori si assumerà l'obbligo e la responsabilità dell'educazione, della formazione e del mantenimento del figlio, il luogo in cui il minore dovrà vivere (art.82170), e la piena gestione dell'eventuale patrimonio di cui il minore sia titolare. Inoltre, se necessario il genitore affidatario potrà esercitare il proprio potere educativo anche tramite punizioni (art. 82271), e nel caso in cui il minore decida di intraprendere dopo la scuola dell'obbligo (15 anni) un'attività lavorativa, il genitore affidatario avrà la facoltà di esprimere il proprio rifiuto, negandogli di fatto tale possibilità (art.82372). In realtà, l'art. 76673 del Codice Civile giapponese prevede la libertà delle parti di accordarsi circa la custodia del minore, ma in ogni caso il Tribunale potrà intervenire ove lo ritenga necessario ai fini della protezione dell'interesse del minore. La custodia congiunta è praticamente inesistente, ed è anzi considerata contraria al benessere del minore. I rapporti tra coniugi separati o divorziati di fatto si interrompono drasticamente: le disposizioni del Codice Civile, sopra indicate, mirano ad attenuare le eventuali conseguenze pregiudizievoli alla serena crescita del minore, in una maniera che nell'ottica occidentale potrà sembrare paradossale, ossia affidando ad uno solo dei genitori la quasi totalità dei poteri sul minore. Oltre le incompatibilità tra la disciplina della separazione e le disposizioni contenute all'interno della convenzione dell'Aja del 1980, ulteriore aspetto problematico riguarda i poteri da attribuire all'Autorità centrale. Come precedentemente emerso dall'analisi delle disposizioni che la convenzione dell'Aja dedica all'Autorità centrale, si prevede che quest'ultima goda di poteri effettivi di esecuzione delle decisioni straniere in ordine al rimpatrio del minore. L'estrema 義務を保持する。” (“La persona che esercita la patria potestà gode del diritto e si assume il dovere di curare ed educare il minore) 70 Art. 821 del Codice Civile giapponese: “子の住居は親権者が決定しなければならない 権威” (“La residenza di un minore è determinata dalla persona che ne esercita la potestà”) 71 Art. 822 del Codice Civile giapponese: “親権を行う者は、子供をしつける義務を与えられる [...]” ( “La persona cui è affidata la potestà può esercitare sul minore il proprio potere disciplinare nella misura in cui sia necessario [...]”) 72 Art. 823 Codice Civile giapponese: “子供は人の許可を得ずに、職業を営むことができない人 親権を行う”(“Il minore non può svolgere attività lavorativa senza il consenso della persona che ne esercita la potestà”) 73 Art. 766 Codice Civile giapponese: “両親は、この協議によって離婚をした場合、子供の上に親 権を持つことになり、親権に関するその他必要な事項は、そのことによって決定されなけれ ばならない合意。合意がなされていない、又は協議をすることができない場合、家庭裁判所 で決定”(“Ove il divorzio avvenga consensualmente, l'accordo che stabilisce della potestà del minore deve disciplinare tutte le altre questioni necessarie in merito all'affidamento. Ove l'accordo non sia avvenuto, deciderà sulla questione il Tribunale”) 60 difficoltà di ottenere l'esecuzione forzata delle sentenze straniere in materia di diritto di famiglia rende a tutti gli effetti il Giappone un territorio ideale all'interno del quale poter compiere la sottrazione internazionale di un minore. Inoltre, considerando che in materia civile e più specificamente nelle questioni inerenti il diritto di famiglia, le autorità giapponesi hanno poteri estremamente limitati circa l'esecuzione forzata delle sentenze, appare immediatamente chiaro come l'istituzione nell'ordinamento giapponese di un'Autorità centrale, così come prevista dalla convenzione dell'Aja, possa essere particolarmente difficoltosa. Potrebbe essere auspicata una modifica radicale del sistema di esecuzione delle decisioni, ma anche ove questo fosse immediatamente realizzato, di certo non può pensarsi che un tale cambiamento possa essere maturato dalle corti locali in maniera così repentina. Ove, inoltre, dovessero essere attribuiti poteri più estesi all'Autorità centrale, rispetto a quelli normalmente goduti dalle corti interne giapponesi, potrebbero venirsi a creare disparità di trattamento tra casi di separazione che coinvolgono coppie miste e casi in cui, invece, i coniugi sono entrambi di nazionalità giapponese, disparità non costituzionalmente accettabile. Per questa serie di motivi si auspicherebbe una riforma della disciplina inerente alla custodia dei figli e alla potestà genitoriale, soprattutto considerando che secondo l'ordinamento giapponese il condurre un minore all'interno dello Stato da parte di uno solo dei genitori contro la volontà o all'insaputa dell'altro, di fatto non costituisce un illecito. 5. IL RAPPORTO ESISTENTE TRA DIRITTO GIAPPONESE E DIRITTO INTERNAZIONALE CONVENZIONALE Stante il generale obbligo di osservanza delle norme di diritto internazionale consuetudinario da parte di tutti gli Stati che compongono la comunità internazionale, e a cui anche il Giappone è sottoposto, nel corso della sua storia questo Paese ha dimostrato un atteggiamento di forte chiusura verso il diritto internazionale convenzionale. Per lungo tempo le corti giapponesi si sono mostrate, infatti, restie all'applicazione delle convenzioni cui il Giappone ha aderito negli anni, spesso ne hanno ignorato i principi e disapplicato le disposizioni. La semplice adesione ad una convenzione non è stata, e talvolta non è ancora, 61 sufficiente per modificare o apportare novità all'interno dell'ordinamento giapponese. Questa tendenza ha portato più di una volta la Federazione giapponese dell'Ordine degli Avvocati (JFBA), ad affermare che gli obblighi imposti dalle convenzioni di diritto internazionale cui il Giappone ha aderito esistano formalmente, ma che la percezione comune sia quella di negarne l'effettiva vincolatività, in quanto non esiste un solo esempio in cui il diritto internazionale abbia funzionato come una normale norma di diritto interno74. Anche Masami Ito, giudice della Corte Suprema giapponese non più in carica, ha affermato questa generale tendenza, ed anzi ha aggiunto che questo atteggiamento scarsamente collaborativo viene manifestato da parte delle Corti locali in tre principali maniere: la prima è quella di ignorare integralmente l'esistenza di norme internazionali convenzionali nelle controversie da loro trattate; la seconda è quella di preferire interpretazioni costituzionalmente orientate e molto raramente fare riferimento al diritto internazionale pattizio; infine, la terza è quella di riconoscere solo eccezionalmente l'avvenuta violazione di norme internazionali, soprattutto in tema di diritti umani. Gli ambiti maggiormente coinvolti riguardano la normativa sulle impronte digitali degli stranieri, la nazionalità dei minori, i diritti sociali e politici degli stranieri, il risarcimento di guerra agli stranieri e il trattamento dei minori nati da unioni di fatto. In un solo ed unico caso verificatosi nel 196675 le corti hanno comminato l'annullamento di uno statuto perché contrario ai trattati che affrontano la tematica dei diritti umani e nello specifico dell' ILO n. 9876. Anche in ordine alla diretta applicabilità della Convenzione sui diritti del fanciullo i Tribunali giapponesi hanno dimostrato le loro perplessità. Le opinioni sembrano dividersi tra chi ne afferma il diretto ed immediato valore vincolante e tra chi, invece, come il gruppo di Avvocati che collabora con il Governo e il Ministro della Giustizia, è di avviso contrario. Secondo l'opinione maggioritaria la diretta applicabilità di una convenzione internazionale a cui si decide di aderire dovrebbe rendersi effettiva solo ove le intenzioni degli Stati aderenti risulti in questo senso chiara e consapevole e ciò possa trovare conferma nel testo della convenzione e nei lavori preparatori. Nel caso specifico della Convenzione sui diritti del fanciullo la diretta applicabilità è stata negata 74 75 76 JFBA, “Report on the application and practice in Japan of the International covenant on civil and political rights”, 1993. Corte distrettuale di Tokyo, decisione del 20 settembre 1966, in ordine all'annullamento di uno statuto ritenuto contrario alla convenzione ILO n. 98. Convenzione ILO n. 98 concernente l'applicazione dei principi del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, adottata a Ginevra il 1 luglio 1949. 62 per una serie di ragioni che riguardavano soprattutto la scarsa precisione mostrata dalle disposizioni, dal fatto che la diretta applicabilità della convenzione non risultasse in maniera sufficientemente chiara dal disposto dei lavori preparatori, e che l'adesione degli Stati alla convenzione comportasse la necessità di adattare il diritto interno ai principi ispiratori della convenzione stessa. Appare immediatamente chiaro come l'impatto così peculiare che il diritto internazionale pattizio ha generato all'interno del sistema giapponese, renda complicata per questo Paese l'adesione a qualsiasi convenzione internazionale. I presupposti da cui si parte si mostrano totalmente diversi da quelli europei, o più in generale occidentali. Il Giappone per secoli chiuso e restio ad aprirsi al resto del mondo, ha conservato questa diffidenza anche nell'ambito normativo e nei rapporti con gli altri Stati. Quello che ci si propone tra gli Stati membri dell'Unione europea attraverso la diffusione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni anche tramite l'entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 2201/2003, sembra quasi del tutto irrealizzabile quando ad essere coinvolto è un sistema così anomalo. In quest'ottica forse può spiegarsi la difficoltà incontrata dal Giappone nell'aderire alla convenzione dell'Aja del 1980, la cui portata ha certamente diretta influenza anche nel diritto interno. 6. LE RACCOMANDAZIONI DELLA JFBA (JAPAN FEDERATION OF BAR ASSOCIATION) Il 18 febbraio 2011 la Japan Federation of Bar Associations (JFBA), la Federazione giapponese dell'Ordine degli Avvocati, dotata di grande rispetto e considerazione nel Paese, ha redatto un documento ufficiale 77 nel quale ha espresso la propria opinione circa l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. In questo documento ha elaborato delle raccomandazioni volte a guidare le attività governative verso una corretta ed effettiva adesione alla convenzione. La JFBA si è mostrata sin da subito favorevole all'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980, non solo perché apporta delle procedure necessarie ed 77 JFBA, Statement of opinion on Recommended Measures to be taken on the Conclusion of the Convention on the Civil Aspects of International Child Abduction ( the Hague Convention ), 2011, www.nichibenren.or.jp/en/document/data/110218.pdf 63 inesistenti nell'ordinamento nazionale nei casi di sottrazione internazionale di minori, ma anche perché l'aderire ad una convenzione che prevede procedure analoghe in ogni Stato aderente può di fatto scoraggiare i genitori ad attuare l'illecito trasferimento del proprio figlio, rendendo forse realizzabile la diminuzione di casi di sottrazione di minore, che per molto tempo hanno trovato nel territorio giapponese un luogo favorevole a questa pratica. Alcune dirette conseguenze che possono derivare dall'adesione alla convenzione dell'Aja del 1980, rimangono estremamente controverse se analizzate dall'ottica del diritto giapponese. Ad esempio, la convenzione partendo dal presupposto che ogni trasferimento di minore senza il consenso di entrambi i genitori sia per sua natura illecito, le motivazioni che spingono un genitore a sottrarre il minore, raramente vengono prese in considerazione. Ciò preoccupa in qualche maniera le autorità locali, in quanto la valutazione dei motivi che stanno alla base di una sottrazione di minore viene ritenuta in Giappone indispensabile in casi delicati come questi. Inoltre, la JFBA ritiene che al momento dell'adesione alla convenzione, sarebbe consigliabile per il Giappone ratificare anche il Protocollo addizionale previsto dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici del 1976 e il Protocollo addizionale previsto dalla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne del 1979, in modo da adottare le procedure che tali Protocolli addizionali prevedono. Questi Protocolli addizionali prevedono entrambi un procedimento per i reclami individuali, in base al quale i singoli cittadini degli Stati membri possono sottoporre reclami (le comunicazioni) al vaglio del Comitato per i Diritti Umani 78 e al Comitato per i diritti delle donne, il cui compito sarà quello di esaminare periodicamente le relazioni inviate dagli Stati membri circa il rispetto e l'osservanza delle Convenzioni. In più, dovrebbero essere incrementate le campagne volte ad una maggiore informazione, che precedendo e seguendo l'entrata in vigore della convenzione dell'Aja del 1980, tengano l'opinione pubblica costantemente informata. In particolar modo rivolte ai cittadini giapponesi che vivono all'estero, soprattutto nei Paesi aderenti alla convenzione, tali informazioni dovrebbero concentrarsi sulle tematiche della custodia dei figli, della legge sul divorzio e sulla sottrazione di minore, specificando se nel singolo Paese la sottrazione, in base al diritto penale interno, costituisca o meno un 78 Il Comitato per i Diritti Umani è un organo composto da 18 membri nominati dagli Stati membri delle Nazioni Unite. 64 crimine. In quest'ottica, infatti, il Giappone sta proponendo di avviare un dialogo con gli altri Stati aderenti alla convenzione dell'Aja del 1980 le cui normative penali prefigurano la sottrazione internazionale di minori come un reato, con l'intento di accordare che la volontaria restituzione del minore da parte del genitore che ha attuato il trasferimento, sia condizione sufficiente per non sottoporlo ad azione penale. La relazione redatta dalla JFBA mostra come secondo l'opinione della Federazione l'ordine di esecuzione, con il quale rendere vincolante il disposto della convenzione dell'Aja del 1980 all'interno dell'ordinamento giapponese, debba presentare le seguenti condizioni: 1) l'ordine di ritorno può non essere attuato in Giappone non solo nei casi di pericolo di esposizione del minore ad abuso o violenza domestica ma anche nel caso in cui il genitore che ha eseguito la sottrazione può essere soggetto a procedimento penale al ritorno nel Paese di residenza abituale; 2) il minore deve essere adeguatamente ascoltato, così da attuare il procedimento di rimpatrio nella maniera più adeguata; 3) la legge di ratifica deve specificamente prevedere delle disposizioni riguardanti nel dettaglio i poteri da attribuire all'Autorità centrale ed adeguate norme procedurali in materia di esecuzione dell'ordine di ritorno e della eventuale opposizione a quest'ultimo; 4) nel procedimento di adattamento deve affermarsi inequivocabilmente che la convenzione dell'Aja non ha valore retroattivo, non potendosi applicare a casi di sottrazione internazionale di minore verificatisi prima della sua entrata in vigore in Giappone; 5) deve essere concesso un periodo di circa tre anni prima dell'effettiva entrata in vigore della convenzione dell'Aja del 1980. Inoltre, nonostante la convenzione dell'Aja preveda delle eccezioni all'obbligo del ritorno (art. 13), quello che si teme in Giappone è la possibilità che tali clausole possano essere interpretate in maniera restrittiva, dando assoluta precedenza al rientro del minore. Non si tiene conto, infatti, che molto spesso la causa della sottrazione internazionale di un minore condotto in Giappone dalla madre, così come precedentemente esposto, è data dalla violenza domestica di cui è vittima nello Stato di nuova residenza. Per un ordinamento come quello giapponese è paradossale e quasi inaccettabile che il rientro di una donna nel proprio Paese di origine con il figlio, a causa di una situazione intollerabile all'interno del cotesto coniugale, non solo la 65 esponga all'obbligo della restituzione del minore, ma anche alla possibilità di essere sottoposta a procedimento penale a causa della sottrazione. Al momento dell'effettiva adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja, inoltre, sarà necessario che vengano definiti in maniera esauriente alcuni ulteriori aspetti. In primo luogo, le espressioni quali quella della “situazione intollerabile” di cui tratta l'art. 13, che ad una prima lettura appaiono eccessivamente vaghe ed imprecise, dovrebbero essere definite in maniera più compiuta. Altrettanto compitamente, dovrebbero essere elaborate disposizioni che iindichino i criteri in base ai quali individuare i tribunali che sono dotati di giurisdizione sulle azioni di restituzione del minore, sulla procedura di rimpatrio, e sulla possibilità di proporre impugnazione contro le decisioni pronunciate. Anche i metodi di assunzione delle prove non dovrebbero essere limitati alle prove documentali, ma si dovrebbe consentire l'adozione di altri metodi, purché compatibili con le esigenze di celerità prescritte dalla convenzione dell'Aja del 1980. Per quanto concerne il minore, infine, la relazione redatta dalla Federazione ha fatto emergere l'esigenza di adottare procedure per reperire il minore sottratto tentando la via della mediazione anche tramite il coinvolgimento di esperti come ad esempio gli investigatori che collaborano con i tribunali e psicologi infantili. Secondo quanto affermato dalla JFBA difficilmente l'entrata in vigore della convenzione dell'Aja del 1980 eliminerà le perplessità sopra esposte, ma proprio per questo si auspica una maggiore discussione e un maggiore confronto sul tema anche nei mesi a seguire. Infatti: “the JFBA will continue to dissiminate informations among its members on the issue of the removal or retention of children across borders, and express its opinion on and give consideration to the development of appropriate actions in such circumstances from the prospective of the protection of human rights79”. 7. LE INIZITIVE INTRAPRESE DAL GOVERNO GIAPPONESE AI FINI DELL'ADESIONE ALLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 Quello della sottrazione internazionale dei minori, che nella maggioranza dei casi è la conseguenza di un divorzio o di una crisi coniugale, è un tema al centro di un dibattito giuridico particolarmente acceso negli ultimi anni in Giappone. L'opinione pubblica si divide tra chi auspica l'accoglimento di una normativa internazionale che regoli e limiti tale fenomeno e chi, invece, si oppone fermamente all'adesione alla convezione dell'Aja 79 JFBA, cit., 2011, www.nichibenren.or.jp/en/document/data/110218.pdf, p. 11 66 del 1980. Già nel febbraio 2010 l'ex Primo Ministro giapponese Yukio Hatoyama aveva dichiarato, anche sulla base della forte pressione esercitata sul Giappone da altri Paesi, di voler intraprendere le attività necessarie all'adesione, precisando però la necessità per il Governo di lavorare sulla tematica ancora per un altro anno. L'incremento dell'interesse a che il Giappone aderisca alla convenzione dell'Aja del 1980 è dovuto all'aumento dei casi di sottrazione internazionale di minori in cui il Giappone risulta coinvolto. In Canada, Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Francia il numero di child abductions dal 2007 al 2009 è raddoppiato, mentre dal 2005 al 2009 risulta addirittura quadruplicato80. Il 21 maggio 2009 Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Francia hanno emesso un comunicato stampa comune il cui intento era quello di esortare l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja, in quanto questo Paese rappresenta per loro un alleato importante con cui condividono molti valori, e ciò rende l'incapacità di trovare una soluzione concreta ai casi di sottrazione internazionale di minori particolarmente preoccupante81. Il comunicato stampa congiunto non è l'unica azione comune intrapresa dagli Stati membri della convenzione dell'Aja del 1980. Gli inviati di otto Paesi, infatti, si sono incontrati con il Ministro degli Esteri giapponese Okada ( 岡 田 ) per spiegare ulteriormente l'importanza che l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja potrebbe assumere. Anche nel novembre 2009, a dimostrazione del grande interesse suscitato dalla questione e in vista del viaggio del Presidente americano Obama in Giappone, era stata redatta da ventidue Senatori del Congresso americano una relazione volta ad promuovere il dialogo tra il Primo Ministro Hatoyama e il Presidente Obama circa il coinvolgimento del Giappone in numerosi casi di sottrazione internazionale di minori. Sulla base di queste numerose esortazioni, è significativo ricordare le attività intraprese dal Governo giapponese finalizzate non solo allo studio delle modifiche da apportare alla normativa interna in vista dell'adattamento alla convenzione dell'Aja del 1980 ma 80 81 COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction: real change or political maneuvering”, cit., 2010, pp. 369 e ss. “Japan is an important ally and partner and we share many common values. This makes our failure to develop a tangible solution to most cases of parental child abduction in Japan particularly troubling.” COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction: realchange or political maneuvering”, cit., 2010, pp. 369 e ss. 67 anche a comprendere il pensiero comune dei cittadini giapponesi riguardo l'argomento. Tali attività sono state intraprese dal dicembre 2009, anno in cui è stata istituita all'interno del Ministero degli Esteri giapponese una sezione speciale il cui compito principale è quello fornire consulenza in ordine alla protezione dei minori. Nel febbraio 2010 è stata intrapresa un'importante collaborazione tra il Ministero degli Esteri e il Ministero di Grazia e Giustizia, volta allo svolgimento presso ogni ambasciata straniera con sede in Giappone di seminari, la cui funzione è quella di trattare il tema della sottrazione internazionale dei minori e discutere della probabile adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980. Dal maggio sino al novembre 2010 il Ministero degli Esteri ha pubblicato, sul proprio sito ufficiale, un sondaggio rivolto a tutti i cittadini giapponesi, il cui obiettivo è stato quello di comprendere il pensiero maggioritario all'interno dell'opinione pubblica, circa l'argomento della sottrazione internazionale dei minori. Le domande principali contenute nel sondaggio, riguardavano soprattutto la valutazione dei vantaggi e degli svantaggi che l'adesione alla convenzione dell'Aja può comportare in uno Stato come il Giappone che, insieme alla Russia, da anni si mostra restio all'accoglimento di una normativa internazionale che regoli la materia. Le opinioni favorevoli all'adesione alla convenzione dell'Aja mostrano chiaramente come ormai si senta la necessità di fornire una tutela internazionalistica effettiva ai casi di sottrazione di minore, per superare una mentalità che in un modo o in un altro sta assecondando questo fenomeno. Il Governo giapponese non può, infatti, perpetuare questa inattività e deve accettare che la convezione dell'Aja del 1980 può effettivamente fornire la tutela adeguata di cui i casi di questo tipo necessitano urgentemente. Le opinioni contrarie, invece, mettono in risalto l'incompatibilità della convenzione dell'Aja del 1980 con la cultura socio-giuridica del Giappone, evidenziando che la gestione dei casi di sottrazione internazionale di minori secondo il diritto interno rimanga l'unico modo per offrire una tutela completa ed effettiva ai casi che coinvolgono ex coniugi in difficoltà a seguito del divorzio con minori a carico, confermando con ciò la poca fiducia che l'ordinamento giapponese nutre nei confronti delle forme di cooperazione internazionale82. Ulteriori iniziative intraprese dal Governo giapponese si sono registrate nel gennaio 2011, quando il Segretario del Ministro di Grazia e Giustizia ( Fukuyama 福山) ha 82 Www.mofa.go.jp/mofai/press/release/23/2/0202_03.htlm 68 tenuto una conferenza il cui obiettivo era quello di spiegare apertamente il contenuto della convenzione dell'Aja del 1980 e le iniziative intraprese per aderirvi. Per il Giappone organizzare questo tipo di conferenza, rappresenta una vera eccezione, poiché raramente il Governo giapponese sente l'esigenza di riportare pubblicamente le decisioni governative adottate e giustificare il proprio operato. Ciò mette in evidenza l'importanza della materia anche a livello mediatico. 8. L'ESEMPLARE CASO GIURISPRUDENZIALE BERTI CONTRO KAKINUMA. Un caso giurisprudenziale, svoltosi in Giappone nel 1985, ben dimostra la tendenza per molto tempo reiterata dai tribunali giapponesi, a non riconoscere nulla di illecito nella sottrazione di minore compiuta da un genitore a danno dell'altro. Il caso in questione83 ha visto confrontarsi di fronte alla Suprema Corte giapponese la Sig.ra Mariarita Berti e il suo legale Toshiaki Hasegawa, contro il coniuge Hirotsugu Kakinuma circa la avvenuta conduzione dei due figli, David Takehiro Kakinuma e Nayumi kakinuma, in Giappone da parte del padre. Il 20 marzo 1970 Mariarita Berti, di nazionalità italiana, sposava a Torino, Hirotugu Kakinuma, di nazionalità giapponese. Nascono dall'unione tre figli, tutti di doppia nazionalità giapponese ed italiana: David Takehiro, Nayumi e Yoshinao, rispettivamente nati nel 1970, nel 1977 e nel 1980. Dopo un lungo periodo di crisi coniugale, la Sig.ra Berti nel 1982 decideva di presentare presso il Tribunale di Torino una richiesta di separazione. A circa un mese dall'avvio delle pratiche di separazione, il Sig. Kakinuma senza il previo consenso della moglie, conduceva i due figli più grandi David Takehiro e Nayumi in Giappone. Il 4 agosto 1984 anche la madre si recava in Giappone chiedendo, senza ottenere risposta, di poter incontrare i figli e decideva così di rivolgersi al Tribunale di Tokyo per chiedere l'applicazione del Protection of Personal Liberty Act. Il 31 ottore 1984 l'Alta Corte di Tokyo (高等裁判所= Koutousaibansho) rigettava la domanda, e la Sig.ra Berti decideva di rivolgersi alla Suprema Corte (最高裁判所= Saikousaibansho) . Il legale della Sig.ra Berti, l'Avv. Hasegawa, allegava alla presentazione della causa di fronte alla Suprema Corte una precisa relazione a sostegno della propria assistita. Innanzi tutto affermava che l'erronea interpretazione dell'art. 2 della Protection of 83 Suprema Corte giapponese (最高裁判所), caso n. 1388, 26 Febbraio 1985. 69 Personal Liberty Act (“Qualsiasi persona la cui libertà sia stata lesa senza lo svolgimento di un giusto processo potrà chiedere l'applicazione del presente Atto 84”) e dell'art. 3 del Rules on Protection of Personal Liberty ( “Sia nell'Atto sia nelle presenti Rules per restrizione o lesione della libertà personale si intende l'arresto, internamento, reclusione a causa delle quali la libertà della persona risulti limitata. Per persona in detenzione si intende, quella la cui libertà risulti limitata per il fatto di trovarsi in uffici governativi, ospedali e altri stabilimenti”) aveva portato l'Alta Corte di Tokyo ad una non corretta decisione. Stante il generale e poco chiaro disposto dell'art. 3 delle Rules on Protection of Personal Liberty, il legale Hasegawa affermava che era avvenuta da parte della Koutousaibansho un'interpretazione e un'applicazione delle disposizioni eccessivamente superficiale e poco circostanziata. Dall'analisi delle nuove condizioni di vita dei minori, che intanto avevano trovato sistemazione presso l'abitazione dei nonni paterni, emerge chiaramente come né Takehiro né Nayumi si trovassero in situazioni di arresto, internamento, reclusione ai sensi dell'art. 3 del Protection of Personal Liberty. Ciò, tuttavia, non poteva essere sufficiente per escludere l'avvenuta restrizione delle libertà dei due figli, stante la decisione del padre di sottrarli dalla frequentazione con la madre, impedendo loro per lungo tempo di incontrarsi. Il fatto di trovarsi coinvolti all'interno di una vicenda familiare di separazione, inoltre, secondo l'opinione dell'Avv. Hasegawa, non aveva permesso al più grande dei figli, nonostante l'età di tredici anni, di poter valutare la situazione di avvenuto distacco dalla madre con la dovuta lucidità. In secondo luogo, la Koutousaibansho aveva mostrato di dare piena fiducia alle dichiarazioni rilasciate dai due minori di trovarsi bene presso nella nuova città. Questa valutazione aveva portato la Corte a ritenere, in maniera forse troppo sbrigativa, che la nuova sistemazione presso i nonni paterni fosse la migliore per i minori, tralasciando ed ignorando l'innata capacità che il più delle volte i minori di doppia nazionalità presentano nell'adattarsi e nell'entrare in confidenza con realtà socio-culturali diverse. 84 Protection of Personal Lyberty Act. Art. 2: “Any person whose liberty of person in under restraint without due process of law may apply for relief pursuant to the provisions of this act”. Rules on Protection og Peronal Liberty Act. Art. 3: “In the Act and also in the present Rules, the detention or restraint shall mean such as arrest, internment, imprisonment, etc., wherey liberty of person is deprived or restricted, and the person detained shall mean, in cases where detention is being carried out in government offices, hospitals, or other establishments, the administrator of such an establishment, and in other cases, the person who is actually carrying out detention or restraint”. 70 Tuttavia, ciò non può essere il motivo che rende il kidnapping un legal-kidnapping: la facilità per un minore con doppia nazionalità di adattarsi ad un nuovo contesto di vita sociale, scolastico, linguistico non può di certo rendere legittima l'avvenuta sottrazione internazionale, compiuta tempestivamente proprio pochi giorni prima della convocazione del Sig. Kakinuma presso il Tribunale di Torino, nella totale assenza del consenso della moglie. Intanto, constatando la situazione di inattività del Tribunale di Tokyo, la Sig.ra Berti si rivolgeva al Tribunale di Torino per richiedere, ottenendolo, un provvedimento urgente e provvisorio che le conferiva l'affidamento dei due figli. Pur richiedendo, tuttavia, il riconoscimento del provvedimento nell'ordinamento giapponese tramite il procedimento di delibazione richiamato dall'art. 200 del Codice di Procedura Civile 85, che prevede la riconoscibilità dei provvedimenti stranieri alla condizione che la giurisdizione straniera non sia negata dalla legge, dai trattati o da altre forti normative e che il convenuto soccombente, ove giapponese, sia stato regolarmente citato in giudizio, questo le veniva negato. Il ricorso al superiore interesse dei minori, che veniva ravvisato nel benessere trovato all'interno della nuova condizione di vita dei minori in Giappone, permetteva alle corti giapponesi di non riconoscere il provvedimento italiano. La Suprema Corte rigettava non solo il ricorso della Sig.ra Berti, ma la condannava anche al pagamento delle intere spese del procedimento. Veniva confermato l'affidamento dei figli al padre in nome del welfare dei due minori coinvolti e si confermava l'impossibilità di riconoscere il provvedimento emanato dal tribunale di Torino per la mancanza del requisito della stabilità del provvedimento stesso. Essendo un provvedimento provvisorio e non e final and conclusive, così come richiede l'art. 200 del Codice di Procedura Civile giapponese, infatti, la sentenza emanata dalla Koutousaibansho veniva confermata all'unanimità dai giudici della Saikousaibansho (Suprema Corte). L'estrema importanza di questa sentenza risiede nella dimostrazione che una sottrazione internazionale di minori protrattasi come nel presente caso per due anni e sette mesi, possa essersi svolta in Giappone senza particolari difficoltà. Il caso giurisprudenziale 85 Art. 200 Japanese Civil Procedure Code: A foreign judgment which has become final and conlusive shall be valid only upon the fulfillment of the following condition: - (i) that the jurisdicion of the foreign court is not denied in laws or other treaties; (ii) that the defendant defeated, being a Japanese, has received service of summons or any other necessary orders to commence procedure otherwise by a public notice or has appeared without receiving service thereof. 71 Berti contro Kakinuma può considerarsi esemplare in quanto mostra le modalità attraverso le quali i casi di sottrazione internazionale di minori venivano e vengono ancora oggi risolti dai tribunali giapponesi, nella totale assenza di qualsiasi riferimento alle convenzioni internazionali elaborate in materia. Assume particolare rilievo la necessità di regole internazionali uniformi che consentano il riconoscimento delle decisioni straniere. La formale elaborazione di un disposto come quello dell'art. 200 del Codice di Procedura Civile giapponese non è sufficiente a garantire che il procedimento di delibazione delle decisioni straniere possa funzionare compiutamente. La totale assenza di obblighi internazionali in questo senso ha permesso al Tribunale di Tokyo, invocando semplicemente il principio dell'interesse superiore del minore, di poter ignorare e negare riconoscibilità ad un provvedimento emanato in Italia, luogo in cui per la maggior parte del tempo era stata condotta la vita familiare e per questo certamente più competente. L'esigenza di aderire alla Convenzione dell'Aja, che nelle sue previsioni tratta di tutte queste problematiche, si rende particolarmente urgente soprattutto in Paesi come il Giappone ancora così restii e lontani da questo tipo di collaborazione internazionale. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Con la presente tesi si è cercato di analizzare il fenomeno della sottrazione internazionale dei minori, argomento di grande attualità, che può dirsi il frutto di un'evoluzione della nostra società in senso sempre più cosmopolita. La problematica rileva in maniera evidente sul piano del diritto internazionale privato, in quanto la soluzione dei casi di sottrazione internazionale di minori, dipende dalla scelta della legge applicabile, scelta che risulta certamente facilitata se basata sulla collaborazione tra gli Stati. La dimensione in cui tale collaborazione è risultata maggiormente consolidata è evidentemente la dimensione europea. Questo è il risultato di un costante confronto tra ordinamenti che risultano diversi ma che allo stesso tempo condividono radici socioculturali comuni. È emerso come la cooperazione nel campo della sottrazione 72 internazionale dei minori, sia facilmente realizzabile tra ordinamenti affini, in cui il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni, basato sulla reciproca fiducia nell'operato delle autorità degli Stati membri, garantisce la possibilità di condividere valori ed obiettivi comuni. Uno dei principali strumenti di cooperazione interstatale è rappresentato dalla convezione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori. Tuttavia l'adattamento agli obblighi previsti da tale convenzione presenta difficoltà dovute alla necessità, che tutti gli Stati parti hanno incontrato a seguito dell'adesione, di dover adattare e coordinare il proprio diritto interno con le disposizioni previste dalla convenzione stessa. La previsione di procedure identiche cui tutti gli Stati parti devono attenersi e l'istituzione dell'Autorità centrale con importanti funzioni in ordine al procedimento di ritorno del minore presso lo Stato della sua residenza abituale, è risultata più semplice da attuare per gli ordinamenti che condividono un pensiero comune a riguardo, ossia che la sottrazione internazionale di un minore rappresenti un illecito. Così non risulta essere per il Giappone e proprio da questo punto di vista sono emerse le profonde difficoltà che questo Paese sta affrontando nel tortuoso percorso di adesione alla convenzione dell'Aja del 1980. Ai sensi del diritto di famiglia giapponese, che prevede l'affidamento esclusivo del minore ad uno solo dei genitori nella quasi totalità dei casi di scioglimento del vincolo coniugale, la sottrazione internazionale di un minore non ha particolari connotati di illiceità. E se da un lato, il sistema economico, estremamente proficuo e così simile ai modelli occidentali, rende il Giappone sotto questo aspetto affine ai Paesi che già hanno scelto di aderire alla convenzione dell'Aja del 1980, dall'altro, la lontananza e l'estraneità dal contesto occidentale e l'autonomo sviluppo del proprio sistema normativo, impediscono a questo Paese di potersi adattare facilmente alle disposizioni convenzionali, e quindi la sua adesione potrebbe risultare meramente formale ove non supportata da una riforma del diritto interno. Una tale riforma incontra varie difficoltà poiché si è riscontrata alla base una incompatibilità di valori e una forte resistenza all'apertura verso ordinamenti stranieri da parte del Giappone. Basti pensare alla collocazione geografica di questo Paese, arcipelago dell'estremo Oriente, per secoli in lotta soprattutto con Corea e Cina, per capire quanto l'isolamento e la chiusura verso il mondo esterno possano aver inciso sul suo sviluppo. 73 L'adozione di modelli codicistici europei durante il XIX secolo non poteva essere sufficiente per superare le differenze culturali che rendono il sistema giapponese peculiare e del tutto diverso da qualsiasi altro sistema straniero. Nonostante il Giappone abbia dimostrato negli anni di essere un Paese fortemente competitivo e all'avanguardia, le radici che l'hanno tenuto legato per lunghissimo tempo al sistema retto dal solo Tenno (Imperatore) in una sorta di monarchia assoluta, nel totale isolamento da qualsiasi altra realtà straniera sino alla fine del XIX secolo, hanno inevitabilmente influenzato il suo sistema normativo. Se si pensa che solo con la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, il popolo giapponese abbia iniziato a rinunciare all'idea di discendere da una dinastia divina, anche tramite la dichiarazione della natura umana dell'Imperatore ( Tenno no ningen sengen 天皇の人間宣言 ), dimenticando per sempre la convinzione di essere superiori a qualsiasi altra nazione straniera, può facilmente comprendersi come il processo di confronto paritario tra il Giappone e il resto del mondo sia appena cominciato. Con il presente lavoro si è cercato di mettere in evidenza l'influenza che le fondamenta culturali esercitano sul sistema normativo di tale Paese e che solo la cooperazione internazionale del Giappone con gli altri Stati renderà possibile l'arginarsi del triste fenomeno della sottrazione internazionale dei minori. A mio avviso, si tratta di uno dei processi evolutivi più difficili a cui questo Paese è andato incontro nel corso della sua storia, poiché realizzare un tale obiettivo potrebbe comportare per il Giappone la rinuncia a molti valori consolidatisi nei secoli sul piano socio-culturale e riflessi all'interno del sistema normativo. Naturalmente non si ritene che ciò sarà realizzabile in maniera indolore, ma dall'analisi che si è svolta è emerso quanto risulti ormai diffusa nel Paese la consapevolezza circa le reali e preoccupanti dimensioni del fenomeno della sottrazione internazionale di minori. Il convergere di molte esigenze tra cui quella di compiacere ed assecondare le richieste di Stati alleati nel campo economico, unite alla pressante esortazione internazionale registratasi negli ultimi mesi circa l'adesione alla convenzione dell'Aja del 1980, potrebbe conferire al Giappone la necessaria determinazione per procedere finalmente alla tanto auspicata adesione. 74 APPENDICE a) Le seguenti tabelle indicano il numero di casi di sottrazione internazionale di minori presentati presso l'Autorità centrale italiana e presso le Autorità centrali straniere negli anni 2007/2009/2011 1) Casi pervenuti relativi alla Convenzione dell'Aja 25 ottobre 1980, sottrazione internazionale di minori – Anno 2007 31 dicembre 2007 Nazioni interessate Argentina Australia Austria Belgio Bielorussia Bosnia Brasile Bulgaria Cile Colombia Costarica Croazia Ecuador Finlandia Francia Germania Grecia Hong Kong Inghilterra Irlanda Israele Lettonia Lituania Messico Casi pervenuti Attivi* Passivi** Totale 2 2 4 4 4 1 3 4 1 1 2 1 1 1 1 6 2 8 1 0 1 1 0 1 2 1 3 1 1 2 2 2 1 1 2 2 2 10 5 15 13 12 25 1 1 1 1 3 5 8 2 1 3 1 1 1 1 1 1 1 1 75 Moldova Norvegia Olanda Paraguay Perù Polonia Portogallo Principato di Monaco Repubblica Ceca Repubblica Dominicana Repubblica Slovacca Romania Scozia Spagna Stati Uniti Svezia Svizzera Turchia Ucraina Ungheria Venezuela Totale 2 1 3 1 12 2 1 1 1 2 19 1 7 8 0 6 4 1 1 127 3 1 9 2 2 6 3 5 1 8 1 1 82 2 1 6 1 1 21 2 1 3 1 4 25 1 10 13 1 14 1 4 2 1 209 *casi attivati dall'Autorità centrale italiana **casi attivati dalle Autorità centrali estere Fonte: Dipartimento per la giustizia minorile - Ufficio I del Capo dipartimento Servizio statistica 2) Casi pervenuti relativi alla Convenzione dell'Aja 25 ottobre 1980, sottrazione internazionale di minori - Anno 2009 31 dicembre 2009 Autorità Centrali Argentina Australia Casi pervenuti Totale Attivi* Passivi** 6 1 7 3 2 5 76 Austria Belgio Bielorussia Brasile Bulgaria Canada Colomba Croazia Ecuador Finlandia Francia Germania Inghilterra Irlanda Isdraele Lettonia Lituania Lussemburgo Messico Olanda Polonia Portogallo Romania San Marino Santo Domingo Scozia Serbia Slovacchia Slovenia Spagna Stati Uniti Sud Africa Svezia Svizzera Ucraina Ungheria Venezuela 2 2 1 11 1 2 1 1 4 1 8 8 6 1 1 2 1 20 17 1 1 1 2 2 1 4 8 1 4 7 3 3 2 1 3 2 1 1 5 6 12 2 1 1 1 2 6 1 4 2 1 6 1 7 10 1 - 4 3 1 14 3 3 1 2 4 1 13 14 18 2 1 1 1 1 3 3 26 1 21 1 1 1 2 4 1 5 14 1 1 11 17 4 3 77 Totale 137 82 219 *casi attivati dall'Autorità Centrale italiana **casi attivati dalle Autorità Centrali estere Fonte: Dipartimento per la giustizia minorile - servizio statistica 3) Casi pervenuti relativi alla Convenzione dell'Aja 25 ottobre 1980, sottrazione internazionale di minori - Anno 2011 31 dicembre 2011 Autorità Centrali Argentina Australia Austria Belgio Brasile Bulgaria Canada Cile Cipro Costa Rica Croazia Danimarca Ecuador Estonia Finlandia Francia Germania Grecia Inghilterra Lettonia Casi pervenuti Attivi* Passivi** 2 3 1 1 3 2 8 1 2 1 1 1 1 1 2 2 1 1 5 2 10 14 2 7 1 1 Totale 5 1 1 5 8 1 2 1 1 1 1 3 2 1 1 7 24 2 8 1 78 Lituania Malta Messico Moldavia Olanda Paraguay Perù Polonia Portogallo Repubblica Ceca Romania San Marino Santo Domingo Slovacchia Spagna Sri Lanka Stati Uniti Svezia Svizzera Thailandia Ucraina Ungheria Venezuela Totale 1 3 2 3 3 12 1 3 19 1 2 1 6 0 7 1 3 1 2 4 4 123 2 1 1 1 2 1 2 0 0 1 2 1 3 0 1 0 1 0 2 53 2 1 4 2 3 1 4 14 1 4 21 1 2 2 8 1 10 1 4 1 3 4 6 176 * casi attivati dall'Autorità centrale italiana ** casi attivati dalle Autorità centrali estere Fonte: Dipartimento per la giustizia minorile - Servizio statistica 79 b) Modulo per la richiesta di rimpatrio 80 81 c) In azzurro è indicato il numero dei matrimoni misti in Giappone dal 1979 al 2010. In giallo, il proporzionale aumento dei divorzi. http://www.mofa.go.jp/mofaj/press/ d) Lo schema riporta il numero di casi di sottrazione internazionale di minori verificatisi tra Giappone e Stati Uniti, Australia, Canada, Francia ed Inghilterra. Azzurro = Stati Uniti Verde = Canada Viola = Inghilterra Rosso = Australia Giallo = Francia 82 BIBLIOGRAFIA - BARATTA R., “Verso la "comunitarizzazione" dei principi fondamentali del diritto di famiglia”, in Rivista di diritto internazionale provato e processuale, 2005, pp. 573 e ss. - BERSANTI, voce “Cittadinanza”, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano, 1913, pp. 603. - BONOMI A., “Il regolamento comunitario sulla competenza e sul riconoscimento in materia matrimoniale e di potestà sui genitori”, in Rivista di diritto internazionale, 2001 fasc. 2, pp. 298 e ss. - BUTTIGLIONE F., “Alla ricerca delle prassi virtuose in materia di famiglia dopo la L. 54/2006”, Roma, 2001, www.minoriefamiglia.it - CARELLA G., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori”, Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1994, fasc. 4, pp. 777 e ss. - CARPANETO L., “Reciproca fiducia e sottrazione internazionale dei minori nello spazio giudiziario europeo”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale 2011 fasc 2 pp. 361 e ss. - CORBETTA F., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli effetti civili della sottrazione intenzionale dei minori”, in Famiglia, persone e successioni, 2008, pp. 715 e ss. - COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction: real change or political maneuvering”, in Oregon review of International Law, 2010, pp. 369 e ss. - DAVì A. “Il diritto internazionale privato della famiglia e le fonti di origine 83 internazionale e comunitaria”, in Rivista di diritto internazionale, 2002, p. 861 e ss. - DEL VECCHIO A., “La protezione dei minori nell'evoluzione delle convenzioni internazionali in materia”, in Rivista internazionale dei diritti dell'uomo, 2000, pp. 655 e ss. - ESPINOSA CALABUIG R., “La sottrazione di minori nell'Unione Europea: tra Regolamento n. 2201/2003 e convenzione dell'Aja del 1980”, in Diritto di famiglia e Unione europea, GIAPPICHELLI, Torino, 2008. - FERACI O., “Riconoscimento ed esecuzione all'estero di provvedimenti provvisori in materia familiare : alcune riflessioni sulla sentenza Parrucker”, in Rivista di diritto internazionale privato a processuale, 2011, pp. 107 e ss. - FUMIHIKO S., “The theory of international family law by Hiroshi Matsuoka”, in The japan annual of international law, 2003, pp. 156 e ss. - IWASAWA Y., International Law, Human Rights, and Japanese Law: the Impact of International Law on Japanese Law, OXFORD UP, 1998. - JFBA , Statement of opinion on Recommended Measures to be taken on the Conclusion of the Convention on the Civil Aspects of International Child Abduction ( the Hague Convention ), 2011. - LETTIERI A. 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