UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA
Facoltà di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
TESI DI LAUREA
La sottrazione internazionale dei minori e
il richiamo del diritto giapponese
Laureanda:
Relatore:
Martina Sayaka Angeletti
Chiar.ma Prof.ssa Alessandra Lanciotti
Matr. 221212
Anno Accademico 2011/2012
1
INDICE:
Capitolo Primo: La sottrazione internazionale di minori nell'ordinamento
internazionale
1. La definizione di sottrazione di minore.................................................................pag. 5
2. La disciplina del diritto convenzionale uniforme: le convenzioni dell'Aja
elaborate in materia................................................................................................pag. 8
3. Il percorso evolutivo dei criteri di collegamento e la nozione di residenza
abituale nella convenzione dell'Aja del 1980......................................................pag. 10
4. L' evoluzione della disciplina convenzionale inerente alla tutela del minore......pag. 14
5. La disciplina di diritto internazionale privato uniforme previsto dalla
convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione
internazionale di minori.......................................................................................pag. 15
6. Il ruolo delle Autorità centrali..............................................................................pag. 19
7. La violazione del diritto di affidamento e di visita..............................................pag. 22
8. La sottrazione internazionale di un minore: aspetti psicologici..........................pag. 23
9. La sottrazione internazionale di minori italiani: prevenzione e procedura
in caso di avvenuta sottrazione............................................................................pag. 26
2
Capitolo secondo: La sottrazione internazionale di minori nell'ordinamento
europeo
1. La disciplina europea in tema di sottrazione internazionale di minori................pag. 29
2. La convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni
in materia di affidamento di minori e sul ristabilimento dell'affidamento...........pag. 31
3. La disciplina apportata dalla convenzione europea del Lussemburgo 1980........pag. 32
4. La convenzione europea del Lussemburgodel 1980 e la convenzione
dell'Aja del 1980 a confronto...............................................................................pag. 34
5. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003......................................................................pag. 39
6. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell'Aja del 1980: un legame
indissolubile di complementarietà.......................................................................pag. 42
7. Le principali novità introdotte dal Regolamento (CE) n. 2201/2003.................pag. 43
8. Il procedimento di riesame introdotto dall'art. 11, parr. 6-8 del Regolamento
(CE) n. 2201/2003 e casi giurisprudenziali........................................................pag. 47
Capitolo Terzo: La sottrazione internazionale di minori e il diritto
giapponese
1. Cenni introduttivi................................................................................................pag. 54
2. L'evoluzione dell'istituto della famiglia giapponese............................................pag. 55
3. Gli ostacoli socio-culturali all'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja
3
del 1980..............................................................................................................pag. 57
4. L'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 e le principali
incompatibilità con il diritto interno.................................................................pag. 59
5. Il rapporto tra diritto giapponese e diritto internazionale convenzionale............pag. 62
6. Le raccomandazioni della Japan Federation of Bar Association (JFBA)............pag. 64
7. Le iniziative intraprese dal governo giapponese ai fini dell'adesione alla convenzione
dell'Aja del 1980......................................................................................................pag. 68
8. L'esemplare caso giurisprudenziale Berti contro Kakinuma...............................pag. 70
Considerazioni conclusive.......................................................................................pag. 74
Appendice................................................................................................................pag. 77
Bibliografia..............................................................................................................pag. 85
4
CAPITOLO PRIMO
LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI NELL'ORDINAMENTO
INTERNAZIONALE
SOMMARIO: 1. La definizione di minore. - 2. La disciplina del diritto convenzionale uniforme: le
convenzioni dell'Aja elaborate in materia. - 3. Il percorso evolutivo dei criteri di collegamento e la
nozione di residenza abituale nella convenzione dell'Aja del 1980. - 4. L'evoluzione della disciplina
convenzionale inerente alla tutela del minore. - 5. La disciplina di diritto internazionale privato uniforme
previsto dalla convenzione dell'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. - 6. Il
ruolo delle Autorità centrali. -7. La violazione del diritto di affidamento e di visita. - 8. La sottrazione
internazionale di un minore: aspetti psicologici. -9. La sottrazione internazionale di minori italiani:
prevenzione e procedura in caso di avvenuta sottrazione.
1. LA DEFINIZIONE DI SOTTRAZIONE DI MINORE
Con sottrazione internazionale di minore si intende l'atto di sottrarre il proprio figlio
all'altro genitore, trasferendolo in altro Paese rispetto a quello di residenza abituale,
nell'intento di trattenerlo con sé e di creare una situazione di fatto internazionalmente
definita child abduction. Questo tipo di fenomeno comprende sia l'ipotesi che l'illecita
sottrazione avvenga tra persone di medesima cittadinanza, sia che avvenga tra "coppie
miste", costituite da coniugi di nazionalità diversa e si verifica non solo quando il
minore viene illecitamente trasferito all'estero, ma anche quando ne sia impedito il
rientro nel Paese di residenza abituale.
È possibile quindi parlare di sottrazione di minore con elementi di estraneità solamente
nel caso in cui una persona, alla quale non sia attribuita potestà illimitata sul minore in
questione, conduca il minore all'estero senza essere a ciò autorizzata, oppure non lo
riconduca nello Stato alla scadenza del periodo di soggiorno all'estero autorizzato1.
Come fenomeno storico la sottrazione del minore ha origini molto antiche.
Nell'ordinamento romano e successivamente il quello germanico quest'ultima veniva
concepita come un reato contro la patria potestà. Nel diritto canonico invece il consenso
del minore sottratto iniziò ad avere un qualche peso, tale da dare vita ad una nuova
1
SIEHR K., “Questioni in materia di sottrazione intenzionale di minori da parte di un genitore”, in La
sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore. Studi e documenti sul “kidnapping”
internazionale, CEDAM, Padova, 1988.
5
configurazione dell'istituto come reato contro la libertà personale. Solo con l'avvento del
codice penale del 1930 la sottrazione di minorenni in Italia venne ricompresa tra i delitti
contro la famiglia2.
Attualmente la sottrazione di un minore è un reato penale. L'articolo 574 c.p. infatti
recita: "Chiunque sottrae un minore degli anni quattordici o un infermo di mente, al
genitore esercente la patria potestà, o al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la
vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a
querela del genitore esercente la patria potestà, del tutore o del curatore, con la
reclusione da uno a tre anni".
Alla lettura, invece, della più specifica rubrica “Sottrazione e trattenimento di minore
all'estero”dell'art. 574 bis si evince che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato,
chiunque sottrae un minore al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore,
conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore o
tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l’esercizio della potestà genitoriale, è
punito con la reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto di cui al primo comma è
commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e con il
suo consenso, si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni. Se i fatti di cui al
primo e secondo comma sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la
condanna comporta la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori”.
Gli strumenti pattizi nel tempo elaborati ed approvati hanno avuto come intento quello
di uniformare, per quanto possibile, gli ordinamenti dei singoli Paesi aderenti, che
autonomamente e diversamente affrontano e puniscono la sottrazione di minore.
L'aspetto più importante introdotto dalla filosofia sottostante le convenzioni è
certamente quello rappresentato dalla generale prevalenza dell'interesse del minore al
ripristino della situazione precedente alla sottrazione, rispetto a qualsiasi implicazione
inerente al diritto internazionale privato, soprattutto relativa alla competenza
giurisdizionale e alla legislazione applicabile 3.
L'affidamento dei figli minori costituisce inevitabilmente uno dei problemi più delicati
quando i rapporti tra i genitori sono in crisi, e le frontiere che dividono gli Stati giocano
in esso non di rado un ruolo fortemente negativo. Le prime vittime delle contese tra i
2
3
MANNA A., voce “Sottrazione di minorenni e persone incapaci”, in Enciclopedia Giuridica Treccani,
Roma, 1994.
La sottrazione internazionale di minori. Ministero della Giustizia, dipartimento giustizia minorile.
Autorità centrali convenzionali, CONGEMI EDITORE, Roma, 2006.
6
genitori sono proprio i figli, oggetto talvolta di veri “rapimenti” anche se il “rapitore”
spesso è convinto di agire legittimamente (da qui il frequente ricorrere dell'espressione
legal kidnapping). Perciò, mentre i governi hanno cercato di predisporre specifici
strumenti normativi uniformi, i giudici statali non hanno mancato di esplorare le
soluzioni possibili sulla base delle più generali convinzioni relative alla protezione dei
minori4.
Negli ultimi anni il fenomeno della sottrazione internazionale dei minori è in continua
crescita. L'intensificarsi dei matrimoni misti, che ammontano a circa 240 mila tra il
1996 e il 20085, della mobilità dei cittadini e delle unioni libere ha infatti reso
imperativa la necessità di ricercare forme di cooperazione e di aiuto in grado di offrire
alle coppie in conflitto concrete soluzioni per la risoluzione dei loro contrasti6.
Non si può ignorare che le maggiori difficoltà siano oggi rappresentate non soltanto
dalle oggettive differenze tra ordinamenti giuridici, ma anche dalla scarsa
collaborazione fra gli organi giudiziari, spesso restii a riconoscere valore vincolante nel
proprio ordinamento a provvedimenti esteri7.
In considerazione delle situazioni precarie ed ambigue in cui vengono a trovarsi molti
fanciulli in conseguenza di fenomeni migratori, di trasferimenti illegali e di conflitti
coinvolgenti i membri della loro famiglia, si tende oggi a costruire un diritto
internazionale dell'infanzia volto ad ottenere una maggiore autonomia della figura del
minore nell'ambito del diritto internazionale, accentuando l'internazionalizzazione della
posizione di essi. A questa tendenza ha contribuito in larga misura l'opera delle
organizzazioni internazionali e delle convenzioni elaborate in materia, che tuttavia
pongono problemi di compatibilità con certi sistemi politico-giuridici, i quali affermano
in modo imperativo la concezione patriarcale della famiglia. Non deve farsi riferimento,
tuttavia, a sistemi come quello musulmano, ma anche al sistema giapponese, che come
si cercherà di mostrare compiutamente nei successivi capitoli, sta incontrando
molteplici difficoltà nell'adesione alla convenzione dell'Aja del 1980.
4
5
6
7
MOSCONI F. RINOLDI D., “La sottrazione internazionale di minori da parte di un genitore. Studi e
documenti sul “kidnapping” internazionale”, CEDAM, Padova, 1988.
Ministero degli Affari Esteri, Bambini contesi, guida per i genitori, Roma, 2011
Sul numero di casi di sottrazione internazionale di minori presentati alle Autorità centrali, relativi agli
anni 2007/2009/2011 cfr. appendice a).
VERUCCI L., “La sottrazione internazionale di minori da parte di uno dei genitori: la convenzione
europea e la convenzione dell'Aja a confronto”, in Giustizia civile, 1995, pp. 531 e ss.
7
2. LA DISCIPLINA DEL DIRITTO CONVENZIONALE UNIFORME: LE
CONVENZIONI DELL'AJA ELABORATE IN MATERIA
Già dal periodo successivo al primo conflitto mondiale la questione della protezione del
minore divenne un problema sociale dai caratteri internazionalistici, anche a seguito
dell'esodo di popolazioni rifugiate.
L'esigenza sempre più crescente fu quella di tutelare i minori all'interno dello Stato della
nuova dimora. Si iniziò a parlare di "enfants internationalement deplacés" per indicare
quel fenomeno di trasferimento illecito di bambini all'estero e della mancata restituzione
nel paese di residenza abituale.
Il problema che il diritto internazionale privato dovette affrontare fu quello di scegliere
dei criteri in base ai quali individuare la giurisdizione competente e la legge applicabile
ai casi di sottrazione internazionale di minori avvenuta da un Paese a un altro.
A tale scopo vennero elaborate alcune convenzioni dell'Aja di diritto internazionale
privato sulla protezione dei minori.
Nella prima convenzione dell'Aja del 1902 la soluzione al conflitto di leggi veniva
risolta dando prevalenza al criterio della cittadinanza. All'art. 1 si affermava, infatti, che
"la tutela di un minore è disciplinata dalla legge nazionale di appartenenza" e solo in via
sussidiaria quello della residenza abituale.
Nella pratica internazionale, almeno nei rapporti tra Stati parti, iniziava a riscontrarsi la
tendenza a confidare l'istituzione e l'esercizio della tutela all'autorità dello Stato della
residenza abituale del minore, in quanto posto nella condizione migliore per valutare la
situazione e decidere sulle misure della protezione. Tale considerazione fu alla base
della revisione totale della convenzione del 1902 e portò la Conferenza dell'Aja
all'elaborazione della nuova convezione conclusa il 5 ottobre 1961, avente ad oggetto
“les misures tendant à la protection” del minore e dei suoi beni (art. 1)8.
Fu la convenzione dell'Aja del 1961 la prima a considerare quale criterio di
collegamento principale quello della residenza abituale. Rispetto alla convenzione del
1902 i ruoli del criterio della nazionalità e quello della residenza abituale furono quindi
invertiti, e il criterio della nazionalità divenne sussidiario, ma venne mantenuto per
assicurare continuità in caso di frequenti spostamenti del minore.
8
DEL VECCHIO A., “La protezione dei minori nell'evoluzione delle convenzioni internazionali in
materia”, in Rivista di diritto internazionale dei diritti dell'uomo, 2000, pp. 655 e ss.
8
In seguito, il 19 ottobre 1996, al termine della XVIII sessione della conferenza dell'Aja
di diritto internazionale privato, venne adottata (e aperta alla firma, ai sensi dell'art. 57,
par. 1) la progettata convenzione di revisione della convenzione del 19619. La nuova
convenzione, assai più dettagliata è denominata Convention concernant la compétence,
la loi applicable, la reconnaissance, l'exécution te la coopération en matière de
responsabilité parentale et de mesures de protection des enfants 10. Il criterio di
collegamento principale prescelto fu nuovamente quello della residenza abituale del
minore (art. 5). Questa scelta venne adottata nell'intento di limitare, se non di evitare, il
concorso di autorità egualmente competenti. Una competenza residuale, in tutti i casi di
urgenza, è attribuita dall'art. 11 della convenzione del 1996 alle autorità di ogni Stato
contraente sul territorio del quale si trovino il fanciullo ovvero i beni ad esso
appartenenti. Le misure adottate da parte di queste ultime autorità cessano di avere
effetto dal momento in cui le autorità normalmente competenti in base alla convenzione
abbiano adottato le misure richieste11.
Le disposizioni previste dalla convezione dell'Aja del 1996, si riferiscono e riguardano
nello specifico gli enfants réfugiés e quelli che par suite de troubles prévalant dan leur
pays sont internationalement déplacés. Si dispone che in casi delicati come questi siano
le autorità dello Stato contraente nel cui territorio il minore si trova ad essere
competenti circa le misure da adottare tendenti alla protezione della sua persona e dei
suoi beni. Nei casi inerenti a profughi o rifugiati di guerra la precarietà della dimora del
minore è, infatti, solo temporanea e sempre che non si stabilizzi con il riconoscimento
dello status di profugo, non può parlarsi di residenza abituale.
Diverso è il caso invece della sottrazione o non restituzione illegale di un minore ai
sensi della convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione
internazionale di minori, approvata nel corso della Quattordicesima Sessione della
Conferenza dell'Aja di diritto privato internazionale, il 25 Ottobre 1980 con il voto
unanime di tutti gli Stati partecipanti12. Tale convenzione diversamente da altre, quali
quella del Lussemburgo del 20 maggio 1980, ha come obiettivo primario quello di
apprestare procedure urgenti volte a ripristinare la situazione precedente alla
9
PICONE P., “La nuova convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori”, in Rivista di diritto
internazionale privato e processuale, 1996, pp. 705 e ss.
10 Conclusa il 19 ottobre 1996 nell'ambito della Conferenza dell'Aja di diritto internazionale privato, in
vigore dal 1° gennaio 2002.
11 PICONE P., “La nuova convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori”, cit., 1996, pp. 705 e ss.
12 PéREZ-VERA E., “Explanatory Report on the 1980 Hague Child Abduction Convention”, L'Aja,
1982, http://www.hcch.net/upload/expl28.pdf
9
sottrazione, prescindendo da considerazioni in ordine alla legittimità del trasferimento
che sia stato messo in atto. Si applicherà pertanto la disciplina più opportuna rispetto al
dato più rilevante, costituito dal mutamento improvviso e traumatico delle condizioni di
vita del minore, affermando la prevalenza di principio di ogni diritto di affidamento
giuridicamente efficace e effettivamente esercitato nel Paese di residenza abituale del
minore, rispetto a situazioni contrarie e sopravvenute a seguito dell'illecito trasferimento
dello stesso in altro Paese. Per le autorità di quest'ultimo Paese nascerà quindi l'obbligo
alla restituzione del minore, anche qualora secondo il proprio ordinamento nazionale il
diritto di affidamento non dovesse spettare alla persona che lo esercitava sino
all'avvenuto allontanamento del minore. 13
Neri casi disciplinati dalla Convenzione dell'Aja del 1980 la scelta del criterio di
collegamento si fonda sull'idea che la competenza circa la protezione debba restare alle
autorità dello Stato in cui il fanciullo aveva la residenza abituale nel periodo
immediatamente precedente al trasferimento illegale, sino al momento in cui abbia
acquisito una residenza abituale in un altro Stato, potendo le autorità dello Stato in cui il
minore è stato trasferito adottare misure urgenti necessarie alla protezione di esso e dei
suoi beni.
3. IL PERCORSO EVOLUTIVO DEI CRITERI DI COLLEGAMENTO E LA
NOZIONE DI RESIDENZA ABITUALE NELLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL
1980.
Il criterio di collegamento principale attualmente o quello della residenza abituale. L'art.
4 della convenzione dell'Aja del 1980, infatti, afferma che in caso di sottrazione
internazionale di minore la sua disciplina “si applica ad ogni minore che aveva la
propria residenza abituale in uno Stato contraente immediatamente prima della
violazione dei diritti di affidamento o di visita”. Il concetto di residenza abituale
rappresenta una delle nozioni più importanti dell'intero sistema internazionalprivatistico.
Tale nozione è alla base di molteplici convenzioni internazionali e comunitarie, tra cui
quella dell'Aja del 1980, e rappresenta strumento di armonizzazione delle norme di
conflitto largamente utilizzato14. Il percorso che portò all'adozione del criterio della
13
14
DAVì A., “Il diritto internazionale privato della famiglia e le fonti di origine internazionale e
comunitaria”, in Rivista di diritto internazionale, 2002, pp. 861 e ss.
MELLONE M., “La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle
10
residenza abituale quale criterio principale, non si è di certo basato su scelte radicali ed
improvvise. La convenzione dell'Aja del 1902, infatti, presenta come criterio di
collegamento principale il criterio della cittadinanza.
Ogni Stato adotta la propria definizione di cittadinanza in base alle norme interne che
sono il frutto della sua storia e delle sue tradizioni giuridiche. Per cittadinanza si intende
il complesso di diritti e di doveri spettanti alla persona che fa parte di una determinata
consociazione politica, sanciti dalle leggi di questa, costituisce il vincolo che lega
l'individuo alla consociazione, e si sostanzia in un rapporto tra Stato e cittadino e
cittadino e Stato15. Stante la diversità che ogni ordinamento presenta nella scelta degli
elementi in base ai quali attribuire la propria cittadinanza, e la difficoltà nel ravvisare
modalità costanti di intendere il rapporto tra sovranità e singolo, il criterio della
cittadinanza venne presto abbandonato in favore del criterio di collegamento del
domicilio, la cui origine è ricollegabile a Joseph Story e a Friedrich Carl von Savigny.
Secondo tali autori lo statuto personale era corretto che si determinasse sulla base di
connessioni di tipo spaziale. Anche il criterio del domicilio presentava profonde
diversità a seconda dell'ordinamento preso in considerazione16. Tuttavia, il sistema del
diritto internazionale privato lo accolse per lungo tempo come criterio principale di
collegamento17.
Successivamente, l'introduzione del criterio di collegamento della residenza ebbe
l'effetto di interrompere il predominio del criterio del domicilio come criterio di
individuazione di collegamenti di tipo territoriale. Fu già a partire dalla terza sessione
della Conferenza dell'Aja del 1900, che si propose di abbandonare il criterio della
residenza semplice, per consacrare la residenza caratterizzata dall'abitualità, con
l'obiettivo di conferirle maggiore stabilità, in modo da individuare un collegamento
15
16
17
norme di conflitto comunitarie”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2010, pp.
685 e ss.
BERSANTI, voce “Cittadinanza”, in Enciclopedia giuridica italiana, Milano, 1913, pp. 603 e ss.
Nell'Europa continentale il domicilio indica il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale
dei propri affari , e consta di due elementi, uno oggettivo che consiste nel concentrare in un dato luogo
i propri interessi, e uno soggettivo, che si basa sulla precisa intenzione di concentrare in quel
determinato luogo i propri interessi. Nel sistema anglo-americano la definizione di domicilio è diversa
a seconda che si prenda in considerazione il Regno Unito o gli Stati Uniti d'America. La definizione
inglese si avvicina al concetto di cittadinanza, ed appare nei suoi connotati estremamente rigida,
poiché esprime il legame non con un determinato luogo ma con un intero territorio. Nel sistema
statunitense, invece, la costituzione di un nuovo domicilio segue regole meno rigide.
LETTIERI A. L., “I criteri di collegamento della cittadinanza e della residenza abituale: breve analisi
con particolare riferimento agli sviluppi del diritto dell'Unione europea nell'ambito della cooperazione
giudiziaria in materia civile”, in Saggi di diritto internazionale privato dell'Unione europea, Editoriale
scientifica, Napoli, 2012.
11
territoriale genuino, così da superare tutte le difficoltà legate alla qualificazione dei
criteri della cittadinanza e domicilio.
Oltre le convenzione dell'Aja del 1980 e del 1996, anche altre convenzioni quali ad
esempio la convenzione del 1956 sugli obblighi alimentari o quella del 1970 sul
riconoscimento dei divorzi, adottano il criterio della residenza abituale, senza tuttavia
darne una precisa definizione. Ciò ha dato adito ad accesi dibattiti dottrinali, poiché la
scelta di non definire un concetto come questo, se da un lato offre la capacità di
adattarsi facilmente alle singole situazioni, dall'altro resta soggetta inevitabilmente al
rischio di interpretazioni discordanti. Questo dilemma è stato ben sottolineato dalla
parole del Prof. Paul Lagarde che nella relazione di accompagnamento della
convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei
minori, spiegava in questa maniera la scelta di non procedere ad alcuna definizione del
termine: “toute définition dans une convention déterminée de la résidence habituelle,
que ce soit par des éléments qualitatifs ou quantitatifs, aurait pour inconveniént de
remettre en cause l'interprétration donnée à cette expression dans les autres conventions,
très nombreuses, où elle est utilisée”.18
Il problema di individuare una definizione del concetto di residenza abituale risiede,
quindi, nella natura puramente fattuale di questo criterio, per la cui rilevazione occorre
far riferimento a due elementi fondamentali, uno oggettivo e l'altro soggettivo. Il primo
è tra i due quello più indicativo poiché permette di identificare il legame tra un soggetto
e un determinato territorio. Questo legame a sua volta è il risultato della combinazione
di due elementi, uno quantitativo, dato dalla durata temporale della permanenza di un
soggetto all'interno di un determinato Stato, e uno qualitativo, dato dalla natura e dalle
caratteristiche di tale soggiorno. Questo secondo elemento consente di escludere la
natura di residenza abituale a quei soggiorni che, seppur prolungati, non possono
identificarsi come legame genuino tra soggetto e territorio.
L'elemento soggettivo seppur meno incisivo di quello oggettivo, risulta cruciale in tutte
quelle situazioni in cui, pur risultando la permanenza in un dato territorio non
particolarmente apprezzabile, possa considerarsi comunque residenza abituale, in base
all'intenzione seria ed effettiva del soggetto di permanere in quel determinato territorio.
Un soggiorno inizialmente temporaneo può successivamente trasformarsi in soggiorno
18
MELLONE M., “La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto
comunitarie”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2010, pp. 685 e ss.
12
abituale, così come un soggiorno in un determinato Paese può sin da subito considerarsi
abituale, poiché accompagnato dalla palese intenzione di trasferirvisi in maniera stabile.
Allo stesso modo, l'elemento intenzionale può fare la differenza in tutte quelle situazioni
in cui il periodo di permanenza pur prolungandosi a lungo, sia stato interrotto
ripetutamente o costantemente, a causa ad esempio del ritorno abituale nel proprio
Paese di origine. In tali situazioni l'elemento oggettivo da solo non può considerarsi
decisivo per la valutazione dell'abitualità della residenza, dovendosi invece fare costante
riferimento all'intenzione del soggetto.
Nello specifico, la convenzione dell'Aja del 1980 instaura una competenza concorrente
tra le autorità della residenza abituale e le autorità nazionali del minore, in caso di serio
pericolo per lo stesso (art. 8: "Nonostante le disposizioni degli artt. 3, 4 e 5, terzo
capoverso, della seguente convenzione, le autorità dello stato di residenza abituale di un
minore possono adottare misure di protezione fintantoché il minore è minacciato da un
pericolo serio alla sua persona o ai suoi beni") e di urgenza (art.9: "In tutti i casi di
urgenza le autorità di ogni stato contraente sul territorio del quale di trovano il minore o
dei beni a questi appartenenti adottano le necessarie misure di protezione").
L'aspetto originale che la convenzione dell'Aja del 1980 presenta rispetto alle altre
precedenti ma anche successive convenzioni emanate in materia, è il fatto di non aver
affatto elaborato disposizioni volte a stabilire la competenza giurisdizionale e la legge
applicabile. La convenzione dell'Aja del 1980 si limita al problema pratico: nel caso in
cui si verifichi un kidnapping (rapimento) messo in atto da un genitore a danno
dell'altro, la priorità immediata è quella di porre rimedio alla situazione venutasi a
creare illegittimamente. In quest'ottica avviene concretamente l'eliminazione dei
vantaggi che il genitore “abductor” tenta di ottenere con il trasferimento illecito del
minore, si evita che quest'ultimo possa subire ulteriori traumi, ed infine si lascia il
compito di pronunciarsi nel merito della delicata questione, al giudice dello Stato di
residenza abituale, senz'altro il più adatto a valutare le esigenze del minore19.
Come si chiarirà più avanti, la convenzione dell'Aja del 1980 ha il pregio di aver risolto
negli anni centinaia di casi di children abduction. Il suo chiaro messaggio incentrato sul
grave danno che l'allontanamento del minore da uno dei genitori può comportare sulla
sua crescita e sul suo sviluppo, e la semplicità del suo rimedio, l'ordine di ritorno, sono
19
VERUCCI L., “La sottrazione internazionale dei minori da parte di uno dei genitori: la convenzione
europea e la convenzione dell'Aja a confronto”, cit., 1995, pp. 531 e ss.
13
serviti nel tempo a limitare il fenomeno della sottrazione internazionale. Con
attualmente più di 85 Paesi contraenti questa convenzione rappresenta uno degli
strumenti di maggiore successo nel campo del diritto internazionale privato inerente al
diritto di famiglia20.
4. L'EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA CONVENZIONALE INERENTE ALLA
TUTELA DEL MINORE
Nella considerazione e nell'analisi delle convenzioni dell'Aja, che nel tempo si sono
susseguite, certamente non si può non tener conto dell'influenza esercitata, in maniera
sempre più consolidata, dalla disciplina dedicata alla protezione del fanciullo a livello
internazionalistico.
Già dal 1919 venne adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro la convenzione
sull'età minima del lavoratore, volta a limitare il fenomeno del lavoro minorile, anche se
il primo vero riconoscimento di diritti al fanciullo venne consacrato con la
Dichiarazione di Ginevra o Dichiarazione dei diritti del bambino adottata dalla Quinta
Assemblea Generale della Società delle Nazioni Unite nel 1924.
Successivamente, nel 1959, si arrivò all'emanazione, con approvazione unanime
dell'Assemblea delle Nazioni Unite, della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, che
seppur non dotata di valore vincolante, rappresenta ancora oggi fonte di grande
autorevolezza morale. I principi elaborati dall'Assemblea delle Nazioni Unite riportati
nella Dichiarazione dei diritti del fanciullo confluirono nel 1989 all'interno della
Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Quest'ultima è entrata in vigore il 2
settembre 1990 ed ha trovato larghissima adesione eccezion fatta per la Somalia e gli
Stati Uniti.
La convenzione in questione rappresenta lo strumento internazionale più completo in
materia di promozione e di tutela dei diritti dell'infanzia. Tra questi diritti certamente
spicca non solo il diritto per il fanciullo a preservare la propria identità, comprensiva
della nazionalità, del nome e delle relazioni familiari (art 8), il diritto di intrattenere con
20
Www.hcch.net, The child abduction Section, Outline the convention: “The 1980 Hague Convention
has contributed to resolving thousands of abduction cases and has served as a deterrent to many others
through the clarity of its message (abduction is harmful to children, who have a right to contact with
both parents) and through the simplicity of its central remedy (the return order). With currently more
than 85 Contracting States, the 1980 Haugue Convention can be viewed as one f the most successful
familylaw instrument to be completed under the auspices of the Hague Conference on Private
International Law.”
14
entrambi i genitori, rapporti diretti e stabili (art. 9), ma anche il diritto di essere
ascoltato nelle decisioni che lo riguardano (art. 12) 21. Quest'ultima esigenza è ribadita
all'interno della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU), ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 8, che
prevedono rispettivamente il rispetto del principio del giusto processo e della vita
privata e familiare.
5. LA DISCIPLINA DI DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO UNIFORME
PREVISTA DALLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 SUGLI EFFETTI CIVILI
DELLA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI
Gli effetti che derivano dalla sottrazione internazionale possono essere molto incisivi se
si considera che il minore, nella quasi totalità dei casi, viene improvvisamente separato
dall'ambiente ordinario di vita, per poi essere costretto ad adattarsi ad una nuova lingua,
ad una nuova scuola, in luoghi spesso molto distanti e diversi da quelli di appartenenza.
Tutelando la situazione di fatto, nell'interesse esclusivo del minore, la convenzione
dell'Aja del 1980 si allinea con le più moderne concezioni del diritto minorile, sempre
più orientate a concepire il minore come soggetto autonomo di diritto e non più
subordinato all'illimitato potere dei genitori.
La convenzione in questione si applica ai minori di sedici anni che avendo la residenza
abituale in uno Stato contraente, vengono trasferiti o trattenuti in un altro Stato
contraente. Il carattere dell'internazionalità seppur non esplicitamente previsto dalla
convenzione, si evince dal combinato disposto degli artt. 1, lett. a) e 4.
Criterio determinante ai fini dell'applicabilità della convenzione non è la natura o il
fondamento del diritto di affidamento, ma l'effettività del relativo esercizio. Tra un
diritto di affidamento ex lege effettivamente esercitato e un diritto di affidamento
derivante da un provvedimento giudiziale, è il primo che potrà godere della tutela
convenzionale, poiché sorretto dalla presunzione che il mantenimento dello status quo
ante risponda al maggior interesse per il minore.
La convenzione dell'Aja del 1980, pertanto, richiede due elementi ai fini della sua
applicabilità: un elemento giuridico e uno di fatto. Ai sensi dell'art. 3 l'illiceità del
21
PORCHIA O., “Gli Strumenti sovranazionali in materia di ascolto del minore”, in Diritti umani e
diritto internazionale, 2012, pp. 79 e ss.
15
trasferimento o del mancato rientro di un minore sussisterà quando sia stato violato un
diritto attribuito ad una persona, ad un'istituzione, o ad ogni altro ente in base alla
legislazione dello Stato di residenza abituale del minore immediatamente prima del suo
trasferimento (l'elemento di diritto) e quando il diritto in questione sia effettivamente
esercitato da tali soggetti (elemento di fatto).
Ai sensi dell'art. 3, il diritto di affidamento può derivare direttamente dalla legge, da una
decisione giudiziaria o amministrativa o da un accordo in vigore, in base al diritto dello
Stato nel quale il minore aveva la residenza abituale.
Il coordinamento tra ordinamenti in caso di sottrazione internazionale di minori avviene
dando precedenza all'ordinamento dello Stato di residenza abituale del minore. In base a
tale criterio verranno riconosciuti nel foro i provvedimenti e le situazioni giuridiche
della categoria considerata che siano a loro volta validamente esistenti ed efficaci
all'interno dell'ordinamento giuridico straniero assunto come punto di riferimento”.22
Quanto invece all'elemento di fatto, la convenzione richiede che il diritto di affidamento
sia effettivamente esercitato. In base al dettato dell'art 3, non vi è attribuzione a chi
subisce la sottrazione di un onere della prova . Pertanto, mentre l'esistenza dell'elemento
giuridico va dimostrata da chi invoca la tutela, la sussistenza dell'elemento di fatto è
presunta, pur ammettendosi la prova contraria. In taluni casi, tuttavia, l'applicabilità
della convenzione può prescindere dall'elemento di fatto. Ciò accade nell'ipotesi dettata
dall'art. 3 lett. b ultima parte, il quale prevede che la convenzione possa applicarsi nei
casi in cui l'effettivo e concreto esercizio del diritto di affidamento sia impedito proprio
dalla sottrazione.
Venendo al cuore della disciplina convenzionale, questo è certamente rappresentato dal
dettato delle disposizioni il cui obiettivo è quello di negare in maniera radicale qualsiasi
effetto alle sottrazioni viene realizzato sia favorendo il ripristino immediato dello status
quo ante, sia predisponendo misure opportune volte ad evitare che la sottrazione diventi
un utile strumento per ottenere un giudizio sul merito dell'affidamento da parte del
tribunale di propria scelta, su ricorso del genitore che ha attuato la sottrazione. Si
ravvisa in maniera chiara tale intento nell'obbligo di restituzione previsto dall'art. 12, e
nel “divieto per le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato richiesto di
deliberare sul merito dell'affidamento e l'irrilevanza, ai fini dell'applicazione della
22
CARELLA G., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale
dei minori”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1994, pp. 777 e ss.
16
convenzione, di qualsiasi decisione sull'affidamento efficace nello Stato richiesto” (artt.
16 e 17).
L'obbligo di restituzione e di ritorno del minore è imposto dall'art. 12 alle autorità
giudiziarie o amministrative dello Stato richiesto, a seguito del semplice accertamento
dei requisiti di applicabilità della convenzione ai sensi dell'art. 3: il trasferimento o il
mancato rientro di un minore è ritenuto illecito: a) quando avviene in violazione dei
diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione, o ogni altro ente,
congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il
minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o
mancato rientro, e b) se tali diritti vanno effettivamente esercitati, individualmente o
congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o
avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze. Il diritto di
custodia citato al capoverso a) di cui sopra può in particolare derivare direttamente dalla
legge, da una decisione giudiziaria o amministrativa, o da un accordo in vigore in base
alla legislazione del predetto Stato. Sussistono, tuttavia, alcune eccezioni di cui poi si
tratterà.
Quanto invece al divieto imposto dall'art. 16 alle autorità dello Stato di rifugio di
decidere nel merito dell'affidamento, esso vale a partire dal momento in cui tali autorità
siano state informate circa la sottrazione. Tale divieto viene meno ove si accerti che non
sussistono le condizioni che la convenzione prevede ai fini del rientro del minore, e ove
trascorra un periodo ragionevole (di un anno o se opportuno anche un periodo minore),
senza che venga presentata una domanda di applicazione della convenzione.
Il sistema viene completato dall'art. 17, il quale prevede che l'obbligo imposto dalla
convenzione di ordinare il ritorno del minore non è condizionato dall'esistenza di
decisioni sull'affidamento efficaci nell'ordinamento dello Stato richiesto, perchè ivi
pronunciate o suscettibili di essere riconosciute. La disposizione si applica sia alle
decisioni anteriori, sia a quelle posteriori all'avvenuta sottrazione.
Per ciò che concerne invece il generale obbligo di ordinare il ritorno del minore
illecitamente sottratto, va precisato che questo subisce alcune eccezioni previste dagli
articoli 13 e 20.
In base al dettato di tali disposizioni l'obbligo di restituzione non viene meno ma è
semplicemente attenuato. La prima ipotesi che giustifica il possibile rifiuto del ritorno
del minore è disciplinata dall'art. 13 lett. b), che si verifica ove sussista “fondato rischio,
17
per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o
comunque trovarsi in una situazione intollerabile”. Se la situazione di pericolo fisico e
psichico può certamente ricondursi ad ipotesi di maltrattamento ed abuso, meno
circoscritto è invece il riferimento alla nozione di “situazione intollerabile”. Certamente
non può ricomprendere valutazioni relative all'ambiente culturale o sociale, o condizioni
di mero vantaggio economico o di educazione del minore. È richiesto pertanto lo stesso
grado di gravità ed eccezionalità del rischio di essere esposto a “pericoli fisici e
psichici”. Tale eccezione è tuttavia applicabile solo su richiesta dell'interessato, a
seguito della presentazione di adeguato materiale di prova fondante la richiesta.
Le ulteriori due eccezioni previste dall'art. 13 secondo comma e dall'art. 20 sono invece
applicate dall'autorità giudiziaria o amministrativa procedente. La seconda ipotesi in
base alla quale l'autorità giudiziaria o amministrativa può rifiutarsi di ordinare il ritorno,
si basa sul rifiuto manifestato dal minore di rientrare nel paese di residenza abituale.
Ciò a condizione che vengano rispettati due presupposti dettati dallo stesso art. 13
secondo comma: il raggiungimento di un certo livello di età e il possesso di un adeguato
grado di maturità. Tali due condizioni devono pertanto essere valutate congiuntamente,
non rilevando ad esempio la maturità dimostrata di un minore di età poco elevata, né
l'invocazione
dell'età
raggiunta
non
accompagnata
dalla
dimostrazione
del
conseguimento di un adeguato grado di maturità. Questa scelta certamente esclude che
possa darsi rilievo alla volontà di minori esposti a condizionamenti, minacce o
promesse, e va incontro a legislazioni che già dal quattordicesimo anno di età
riconoscono al minore libera scelta circa la sua residenza.
Quanto all'art. 20, questo prevede che il ritorno del minore possa essere negato ove ciò
sia contrario a principi fondamentali dello Stato (“Il ritorno del minore, in conformità
con le disposizioni dell'art. 12, può essere rifiutato, nel caso che non fosse consentito dai
principi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali”). La norma richiede tre condizioni ai fini della sua
applicabilità: 1) che il ritorno del minore sia effettivamente in contrasto con i principi
relativi alla protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; 2) che tali
principi siano vigenti nell'ordinamento dello Stato richiesto; 3) che tali principi siano
qualificabili come diritti fondamentali. L'applicabilità dell'art. 20 non può basarsi sul
semplice e astratto confronto tra ordinamenti, richiedendo al contrario una situazione
concreta di contrasto tra il ritorno e il godimento dei diritti fondamentali. Si tratta,
18
infatti di una clausola di ordine pubblico che come vedremo si differenzia dalla
corrispondente norma contenuta nelle convenzione del Lussemburgo del 1980 (art. 10
lett. a)), in quanto il confronto non deve essere attuato con i principi fondamentali del
diritto di famiglia e del diritto dei minori, bensì con i diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, di ben più ampia portata23.
6. IL RUOLO DELLE AUTORITA' CENTRALI
L'obiettivo che la convenzione dell'Aja del 1980 si propone di raggiungere parte dal
presupposto che qualsiasi attività intrapresa, debba basarsi su una “close co-operation
among the judicial and admnistrative authorities of the Contracting States” nell'intento
di rendere effettivo, da un lato, il pronto rientro del minore sottratto, e dall'altro, il
rispetto del diritto di affidamento effettivamente vigente in uno degli Stati contraenti24.
L'inevitabile differenza esistente fra i vari ordinamenti ha reso necessaria l'adozione di
uno strumento che permettesse una maggiore e più efficace collaborazione tra le autorità
dei vari Paesi. Questo obiettivo, su esplicita volontà della Special Commission. come
riportato nel Preliminary Draft, è stato realizzato tramite la creazione di Autorità
centrali, sulla cui figura ruotano molte delle disposizioni contenute nella convenzione.
L'art. 7 è sicuramente norma basilare in tema di Autorità centrali. Quello che i redattori
della convenzione si proposero di mettere in atto tramite tale disposizione, si sviluppa
su due livelli e consiste da un lato nella cooperazione reciproca tra Autorità centrali, e
dall'altro nella promozione della collaborazione tra Autorità competenti all'interno dei
rispettivi ordinamenti: “Le Autorità centrali devono cooperare reciprocamente e
promuovere la cooperazione tra le Autorità competenti dei loro rispettivi Stati, al fine di
assicurare l'immediato rientro dei minori e conseguire gli altri obiettivi della
Convenzione. […]”. È chiaro come il perseguimento di quest'ultimo obiettivo sia
strettamente dipendente dalle funzioni e dal potere di azione attribuite da ogni Stato alla
propria Autorità centrale.
Il genitore che si ritrova coinvolto in un caso di sottrazione internazionale del proprio
figlio ha la necessità di dover risolvere problemi principalmente di ordine pratico.
23
VERUCCI L., “La sottrazione internazionale dei minori da parte di uno dei genitori: la convenzione
europea e la convenzione dell'Aja a confronto”, cit., 1995, pp. 531 e ss.
24 PéREZ-VERA E., “Explanatory Report on the 1980 Hague Child Abduction Convention”, cit.,
http://www.hcch.net/upload/expl28.pdf
19
L'Autorità centrale dello Stato in cui il minore ha la residenza abituale in questo può
certamente essere molto utile, consentendo e rendendo più diretta la collaborazione con
i corpi di polizia stranieri e le altre autorità competenti. Infatti, ai sensi dell'art. 6:
“ciascuno Stato contraente nomina un'Autorità centrale, che sarà incaricata di adempiere
agli obblighi che le vengono imposti dalla Convenzione”25.
La convenzione dopo aver affermato il dovere di cooperazione tra le Autorità centrali,
elenca all'art. 7 secondo comma, i principali obiettivi che queste devono perseguire, e
pur trattandosi di un elenco non tassativo, appare in ogni caso dettagliato ed esaustivo.
In tema di Autorità centrali nel 2003 è stata elaborata la “Guide to a good practice26”
per favorire ed attuare in maniera più compiuta il dettato della convenzione dell'Aja del
1980. Secondo tale guida, le Autorità centrali dovrebbero essere destinatarie di mandati
sufficientemente ampi, personale qualificato, moderni mezzi di comunicazione al fine di
agire il più rapidamente possibile così da attuare in maniera compiuta la disciplina che
la convenzione vuole apprestare.
Il genitore il cui diritto di affidamento sia stato leso dalla sottrazione può rivolgersi a
qualsiasi Autorità centrale per chiedere tutela, anche se presumibilmente risulterà più
semplice rivolgersi all'Autorità centrale del proprio paese. La domanda non deve
rispondere ai requisiti formali richiesti dal modulo27 cui la convenzione fa riferimento,
poiché l'adozione del modulo stesso da parte degli Stati aderenti è solo facoltativa.
Soluzione opposta avrebbe implicato una continua revisione del modello a seguito di
ogni sviluppo applicativo della convenzione.
Nel nostro ordinamento le funzioni di Autorità centrale sono state attribuite all'Ufficio
per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia (art. 3 Legge n. 64/1994).
L'Autorità centrale valuta la domanda che deve presentare tutti i requisiti predisposti
dall'art. 8. Gli elementi essenziali sono pochi: le generalità del minore, della persona o
dell'ente che ne richiede il ritorno, della persona che si presume abbia messo in atto la
sottrazione, i motivi della richiesta, e ogni altra informazione utile a localizzare il
minore. Se l'Autorità centrale la ritiene non irricevibile, è obbligata ad accettare la
25
26
27
L'art. 6 continua così: “Uno Stato federale, uno Stato nel quale sono in vigore molteplici ordinamenti
legislativi, o uno Stato che abbia assetti territoriali autonomi, hanno la facoltà di nominare più di
un'Autorità centrale e di specificare l'estensione territoriale dei poteri di ciascuna di dette autorità.
Qualora uno Stato abbia nominato più di un'Autorità centrale, esso designerà l'Autorità centrale alla
quale le domande possono essere inviate per essere trasmesse all'Autorità centrale competente
nell'ambito di questo Stato”.
Www.hcch.net/upload/abguide_e.pdf
Si veda il modulo uniforme per la richiesta di rimpatrio del minore, cfr. appendice b)
20
richiesta e nel caso in cui il minore si trovi in un altro Stato estero, ha l'obbligo di
informare l'Autorità centrale ivi competente.
L'Autorità nel cui territorio si trova il minore sottratto ha l'onere di svolgere attività di
ricerca anche tramite la collaborazione con il corpo di polizia e dei servizi sociali. Può,
inoltre, emanare misure cautelari quali il ritiro del passaporto del minore e del parente
che ne eserciti la custodia. La convenzione attribuisce importante peso al ritorno
volontario (art.7 secondo comma lett c e art. 10), anche se il tentativo di soluzione
amichevole non può essere considerata condizione indispensabile al cui fallimento
consegua l'esperimento della procedura coatta. Le Autorità dei diversi Stati coinvolti
sono tenute allo scambio di informazioni al fine di rendere più agevole e celere la
procedura di rientro. Ai sensi dell'art. 7 della Legge n. 64 del 1994 l'Ufficio per la
giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia trasmette senza indugio gli atti al
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui si
trova il minore. Il Procuratore è tenuto poi a richiedere con ricorso in via d'urgenza al
suddetto tribunale l'ordine di restituzione28. L'assistenza delle Autorità permarrà sino
all'avvenuto rientro del minore in condizioni di sicurezza.
Disposizione centrale in tema di gratuità è costituita dall'art. 26 della convenzione,
secondo cui ogni Autorità centrale sostiene i costi relativi all'applicazione della
convenzione stessa e non potrà esigere dal richiedente i costi delle procedure o della
eventuale partecipazione di un avvocato o di un consulente legale. Tali costi potranno,
tuttavia, essere addebitati alla parte qualora lo Stato coinvolto si riservi di escludere
dall'oggetto della tutela il pagamento delle spese derivanti dalle procedure giudiziarie.
Sono invece, in ogni caso, a carico delle parti le spese di viaggio necessarie per il
rientro del minore.
Coloro che decidano di adire direttamente le autorità giudiziarie o amministrative dello
Stato in cui il minore è stato illecitamente trasferito, senza prima mettersi in contatto
con l'Autorità centrale, dovranno sostenere personalmente le spese necessarie per
l'applicazione della convenzione.
Il principio di celerità sancito dall'art. 2, richiede che tutta la procedura si ispiri a tale
principio ed impone agli Stati contraenti l'obbligo di utilizzare “procedure di urgenza a
loro disposizione”. L'art 11 impone tale obbligo anche alle autorità giudiziarie o
28
DAVì A., “Il diritto internazionale provato della famiglia e le fonti di origine internazionale e
comunitaria”, cit., pp. 861 e ss.
21
amministrative, prevedendo al secondo comma che trascorse sei settimane dall'inizio del
procedimento di ritorno coatto, la parte interessata o l'Autorità centrale dello Stato
richiesto possano sollecitare una dichiarazione in cui vengano esposti i motivi del
ritardo.29
7. LA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI AFFIDAMENTO E DI VISITA
La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei
minori prevede l'applicabilità delle sue disposizioni non solamente nel caso di
allontanamento di minori dal luogo di residenza abituale, effettuato dalla persona fisica
o giuridica che non eserciti la custodia, ma anche nel caso in cui l'allontanamento
avvenga per mano del genitore affidatario e provochi la lesione del diritto di visita di cui
è titolare il genitore non affidatario.
Nel caso in cui a mettere in atto la sottrazione sia il genitore non affidatario, la
convenzione dell'Aja risulta particolarmente utile, in quanto le sue disposizioni si
incentrano proprio su questa fattispecie.
Se ad essere violato è il diritto di affidamento, infatti, l'obiettivo della convenzione è
quello di ripristinare la situazione precedente al trasferimento per permettere al minore
di tornare il prima possibile a vivere con il genitore dal quale è stato allontanato e che in
base a precedente decisione è stato valutato come il più adatto ad esercitare il diritto di
affidamento.
Nel caso in cui, invece, la sottrazione sia stata attuata dal genitore affidatario, il genitore
non affidatario non avrà il potere di presentare domanda di rientro, poiché in questo
caso il trasferimento non è configurabile come illecito, ma potrà richiedere
l'applicazione delle norme convenzionali che ne tutelano il diritto di visita, ai sensi
dell'art. 2130.
29
30
CARELLA G., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale
dei minori”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1994, pp. 777 e ss.
Art. 21 convenzione dell'Aja 1980: “Una domanda concernente l'organizzazione o la tutela
dell'esercizio e effettivo del diritto di visita, può essere inoltrata all'Autorità centrale di uno Stato
contraente con le stesse modalità di quelle previste per la domanda di ritorno del minore. Le Autorità
centrali sono vincolate dagli obblighi di cooperazione di cui all'art. 7, al fine di assicurare un pacifico
esercizio del diritto di visita, nonché l'assolvimento di ogni condizione cui l'esercizio di tale diritto
possa essere oggetto. Le Autorità centrali faranno i passi necessari, per quanto, possibile, ogni
ostacolo all'esercizio di detti diritti. Le autorità centrali, sia direttamente, sia per il tramite di
intermediari, possono avviare, o agevolare, una procedura legale al fine di organizzare o tutelare il
diritto di visita e le condizioni cui l'esercizio di detto diritto di visita possa essere soggetto”.
22
L'art. 21 della convenzione attribuisce importanti funzioni all'Autorità centrale, al fine
di consentire al genitore non affidatario di vedere il minore e di tenerlo con sé per brevi
periodi, eventualmente anche all'estero. Tenendo conto che alla sottrazione del minore
ricorrono il più delle volte i genitori non affidatari, che a causa del mancato rispetto del
diritto di visita arrivano a situazioni di estrema tensione con l'altro genitore, può
comprendersi l'importanza della disposizione in questione.
La tutela del diritto di visita, inoltre, è di fondamentale rilievo anche per l'interesse del
minore, che ha il concreto diritto di crescere nella piena e costante frequentazione di
entrambi i genitori.
È compito delle Autorità centrali di ogni Stato contraente, in collaborazione anche con
le altre autorità, organizzare o ri-organizzare concretamente il diritto di visita, di
tutelarne l'effettivo svolgimento, di rimuovere gli ostacoli all'esercizio di tale diritto.
L'interessato è tenuto a presentare domanda secondo le medesime modalità stabilite per
la richiesta di ritorno del minore31.
8.
LA SOTTRAZIONE
INTERNAZIONALE
DI
UN
MINORE: ASPETTI
PSICOLOGICI
I sempre maggiori flussi migratori di cittadini provenienti da diversi Paesi europei,
africani, asiatici e americani, hanno certamente comportato un accrescimento numerico
delle unioni miste, tra partner di diversa nazionalità.
Se tuttavia, queste unioni che si caratterizzano per le differenze culturali, religiose,
sociali diventano fonte di arricchimento anche per i figli, nei casi di elevato conflitto tra
genitori, possono comportare situazioni altamente pregiudizievoli per i minori coinvolti.
La spiccata mobilità della società contemporanea unita infatti all'aumento del tasso di
litigiosità all'interno dei nuclei familiari fondati su matrimonio o unioni di fatto, rende a
tutti gli effetti più traumatico l'eventuale scioglimento32
La sottrazione di un figlio messa in atto da un genitore a danno dell'altro, comporta il
venir meno del diritto inalienabile del minore a poter mantenere con entrambi i genitori
uno stabile rapporto. L'allontanamento improvviso dal proprio ambiente familiare e
31
32
CARELLA G., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione intenzionale dei
minori”, cit., 1994, pp. 777 e ss.
CORBETTA F., “La convenzione dell'Aja del 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale
di minori”, in Famiglia, persone, successioni, 2008, pp. 715 e ss.
23
sociale può essere vissuto dal minore come una vera e propria violenza. Si tratta
certamente di un fenomeno complesso, multidimensionale che copre e coinvolge non
solo i soggetti nella solo singolarità, ma anche il rapporto di coppia e il rapporto tra
genitori e figli.
Sono casi questi, in cui è in primo piano la compresenza di culture, regole familiari,
modelli educativi diversi che necessitano di essere resi allo stesso tempo coesi ed
omogenei. L'identità coniugale è un qualcosa che va costruito in funzione della nascita
di un nuovo nucleo familiare ed è molto diverso dalla semplice somma delle identità dei
partner. È continuamente necessario un monitoraggio della situazione affettiva, emotiva
ed educativa della dimensione familiare al fine di armonizzare le difformità che
l'appartenenza a due nazionalità diverse può comportare.
L'elevata conflittualità all'interno della coppia, che il più delle volte caratterizza la fase
iniziale della separazione, può portare un genitore a mettere in atto la sottrazione del
proprio figlio nel solo intento di danneggiare l'altro, facendo prevalere evidentemente
gli aspetti individuali sull'interesse effettivo del minore.
La sottrazione quale evento traumatico, rappresenta per il figlio una crisi imposta in
maniera improvvisa da parte di un genitore. Altri fattori quali il rapporto con le figure
allevanti, il livello di sviluppo raggiunto e l'età, potranno incidere sulla sua reazione
all'allontanamento, ma ciò non toglie che in ogni caso la sottrazione possa esser vissuta
dal figlio come una vera e propria perdita. Il minore a doppia appartenenza e bilingue
può vivere con minore trauma il trasferimento in un altro Paese del quale conosce già
parte della cultura, appunto la lingua, le tradizioni, rendendo l'adattamento al nuovo
contesto sociale più agevolato. Al contrario, quando invece il minore sia totalmente
estraneo dal nuovo ambiente, sarà costretto ad abituarvisi velocemente e ciò renderà
ancora più destabilizzante l'allontanamento subito.
Dalla lettura della convenzione dell'Aja emerge in maniera significativa l'importanza
che viene dedicata all'interpello del minore, sia per ciò che concerne l'esposizione a
pericoli fisici e psichici ai sensi del già citato art. 13 lett. b), sia ai fini dell'opposizione
del minore al ritorno nel paese di residenza abituale. Questo secondo aspetto è
particolarmente delicato, considerando che molto spesso il comportamento assunto dai
figli nel contesto intergenitoriale può sfociare in un atteggiamento ipercritico e
denigratorio nei confronti di uno dei genitori, poiché evidentemente in tal senso
influenzato dall'altro. In quest'ottica sarà quindi necessaria più che mai un'analisi e un
24
ascolto del minore ancor più approfondito e attento.
Questa necessità è ribadita all'interno della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritto dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La Corte europea dei diritti
dell'uomo ha ravvisato nel percorso tracciato dalla sua giurisprudenza un nesso di
interdipendenza tra l'art. 6 della CEDU, inerente al giusto processo, e l'art. 8 sempre
della medesima Convenzione, che afferma il diritto al rispetto della vita privata e
familiare. Nello specifico, è stato affermato che nei procedimenti che coinvolgono
soggetti appartenenti al medesimo nucleo familiare, ogni componente debba essere
posto su un piano di assoluta parità rispetto agli altri, anche ove ad essere coinvolti
siano minori. Questi ultimi, infatti andranno ascoltati tramite l'ausilio di esperti,
soprattutto nei procedimenti ad alta conflittualità genitoriale, nei quali è fondamentale
tenere conto della situazione psicologica e della volontà del minore, anche se ciò non
necessariamente deve tradursi nell'obbligo del giudice a conformarvisi, essendo
necessario che questi valuti il superiore interesse del minore, che certamente può non
corrispondere alla sua volontà espressa dal bambino 33. Il necessario ascolto delle
opinioni del bambino è previsto anche dalla convenzione internazionale sui diritti
dell'infanzia approvata nel 1989. L'art. 12, infatti, prevede il diritto dei bambini ad
essere ascoltati in tutti i procedimenti che li riguardino, soprattutto in ambito legale.
Rimane da specificare che in ordine alla necessità di limitare la drammaticità della
sottrazione subita dal minore, si ravvisa l'esigenza di attuare le procedure previste dalla
convenzione dell'Aja del 1980 in termini di urgenza ( artt. 10 e 11 ), soprattutto
considerando l'enorme sforzo che il bambino investe nell'adattarsi al nuovo contesto di
vita. Il periodo di dodici mesi contemplato dall'art 12, è da considerarsi pertanto termine
massimo34.
9.
LA
SOTTRAZIONE
INTERNAZIONALE
DI
MINORI
ITALIANI:
PREVENZIONE E PROCEDURA IN CASO DI AVVENUTA SOTTRAZIONE
Il sempre più crescente numero di casi di sottrazione internazionale di minori, da anni
posto sotto il monitoraggio e l'attenta osservazione del Ministero degli Affari Esteri del
33
34
BUTTIGLIONE F., “Alla ricerca delle prassi virtuose in materia di famiglia dopo la L. 54/2006”,
Roma, 2001, www.minoriefamiglia.it
RE P. e SANCHEZ M., “La sottrazione internazionale dei minori: aspetti psicologici”, in Il diritto di
famiglia e delle persone, 2003, pp. 577 e ss.
25
nostro Paese, ha portato nel 2009 alla costituzione di un'apposita task force
interministeriale tramite la collaborazione con il Ministero della Giustizia e del
Ministero dell'Interno. Tale task force interministeriale, è un organo operativo e tecnico
che si prefigge l'obiettivo di rendere più efficaci i già esistenti meccanismi di
coordinamento per fornire una unitaria reazione da parte della istituzioni competenti a
sottrazione avvenuta. Il frutto principale di questa maggiore consapevolezza sia parte
delle Istituzioni sia della Direzione Generale per gli Italiani all'Estero e le Politiche
Migratorie, è certamente rappresentato dall'opuscolo “Bambini contesi – guida per i
genitori ”, giunto alla sua settima edizione, alla cui redazione la task force partecipa
attivamente sin dal momento della sua costituzione.
Le attività di prevenzione che ogni coppia mista può mettere in atto al fine di evitare la
sottrazione del proprio figlio ad opera dell'altro genitore rende opportuno:
- informarsi sulle disposizioni in materia di affidamento e diritto di visita vigenti nello
stato di appartenenza dell'altro genitore;
- far riconoscere, ove possibile, nello Stato di appartenenza dell'altro genitore,
l'eventuale provvedimento di affidamento del minore in proprio favore;
- se per un qualunque motivo il minore dovesse recarsi all'estero, far sottoscrivere
dall'altro genitore un impegno di rientro in Italia alla data stabilita;
- chiedere al giudice competente l'emissione di uno specifico provvedimento che vieti
l'espatrio del minore senza il consenso esplicito dell'altro genitore.
- verificare che il divieto di espatrio risulti registrato nelle liste di frontiera.
Nel caso in cui invece la sottrazione sia già avvenuta il genitore può di comune accordo
con l'altro, rivolgersi al Mediatore del Parlamento Europeo al fine di avviare la
procedura di mediazione familiare. Il Mediatore del Parlamento Europeo è una carica
creata nel 1987 nell'intento di contribuire alla soluzione delle situazioni di conflitto che
sorgono quando un minore viene sottratto da un genitore e allontanato dall'altro. Questa
innovativa figura ha la funzione di assistere i genitori nella ricerca della soluzione
migliore ai conflitti e di tutelare al meglio gli interessi del minore sottratto. La
mediazione familiare in questione è una forma alternativa di risoluzione delle
controversie finalizzata alla gestione positiva dei conflitti, al fine di raggiungere una
soluzione amichevole tra le parti tramite l'intervento di un soggetto terzo, appunto il
mediatore. Requisito essenziale per intraprendere il percorso di mediazione è
l'inesistenza di una controversia giudiziale in corso.
26
Come seconda possibilità, il genitore che ha subito la sottrazione del proprio figlio e
voglia intervenire prontamente, può avvertire la Direzione Generale per gli italiani
all'Estero, affinché vengano attivate le competenti rappresentanze diplomaticoconsolari.
Se il Paese di presunta destinazione del minore aderisce alla convenzione dell'Aja del
1980 o è Paese destinatario del Regolamento (CE) n. 2201/ 2003, il genitore può
rivolgersi all'Autorità centrale ivi competente, e può allo stesso tempo sporgere
immediatamente denuncia presso gli organi di Polizia, Carabinieri o Procura della
Repubblica del luogo della residenza abituale.
Anche il Tribunale territorialmente competente può svolgere utili attività, quali
sollecitare l'esperimento di una procedura urgente, ordinare la sospensione della potestà
genitoriale nei confronti del genitore che abbia messo in atto la sottrazione, ritirare il
passaporto del minore.
Le richieste presentate all'Autorità centrale del paese in cui il minore si trova, va
presentata entro un anno dalla sottrazione e il minore deve avere come resistenza
abituale l'Italia.
Nel caso in cui dovessero sorgere difficoltà ulteriori e dovessero appurarsi nella
procedura di sottrazione violazioni del diritto dell'Unione Europea, sarà possibile
presentare denuncia presso la Commissione Europea35.
Inoltre, il ruolo svolto dal Ministero degli affari Esteri è primario nel caso in cui lo Stato
presso il quale il minore è trattenuto non aderisca alla Convenzione dell'Aja del 1980 o
al Regolamento (CE) n. 2201/2003. In tale caso la Direzione Generale per gli Italiani
all'Estero e le Politiche Migratorie (DGIT) individua le modalità di intervento più
idonee, fornisce informazioni ed assistenza al cittadino italiano e attiva le
rappresentanze diplomatico-consolari al fine di ottenere tra le altre priorità, anche la
visita del minore.
Al contrario, quando lo Stato in cui il minore è stato condotto abbia aderito alla
Convenzione dell'Aja del 1980 e/o sia destinatario del Regolamento (CE) . 2201/2003,
35
Poiché l'obbligo di assicurare il rispetto del diritto dell'Unione europea, da parte degli Stati membri,
spetta in primo luogo alle autorità amministrative o giudiziarie o nazionali, chiunque ritenga che una
disposizione (legislativa, regolamentare o amministrativa) o una prassi di uno Stato membro sia
contraria al diritto dell'Unione europea è invitato a rivolgersi ai competenti organi amministrativi o
giurisdizionali nazionali (e agli eventuali mediatori nazionali o regionali) e/o avviare le procedure di
arbitrato e di conciliazione disponibili, prima di presentare denuncia alla Commissione.
http://ec.europa.eu/community_low
27
la competenza primaria spetterà al Dipartimento Giustizia Minorile del Ministero della
Giustizia in veste di Autorità centrale italiana.
In ogni caso le Rappresentanze diplomatico-consolari italiane potranno svolgere alcune
importanti attività, quali quelle di sensibilizzare le Autorità o gli organismi locali ai fini
del rilascio del minore, effettuare tentativi di conciliazione tra le parti, presenziare alle
udienze in qualità di uditore, sostenere l'azione dell'Autorità centrale.
Altrettanto importanti si rivelano le funzioni del Console, il quale esercita i poteri di
giudice tutelare nei confronti del minore all'estero, e può effettuare visite consolari al
minore, soprattutto nei casi in cui il genitore che ha subito la sottrazione non riesca ad
avere contatti con il proprio figlio. La funzione essenziale della visita consolare, che
deve essere concordata con il genitore presso cui il minore si trova e ottenuta tramite la
mediazione delle autorità locali, è quella di verificare le condizioni di vita e di salute del
minore italiano, acquisire informazioni sul contesto sociale, ambientale, parentale in cui
vive il minore a seguito del suo sradicamento dalla residenza abituale in Italia36.
36
Ministero degli Affari Esteri, Bambini contesi, guida per i genitori, cit., pag. 21 e ss.
28
CAPITOLO SECONDO
LA SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE DI MINORI NELL'ORDINAMENTO
EUROPEO.
SOMMARIO: 1. La disciplina europea in tema di sottrazione internazionale di minori. - 2. La
convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento di minori
e sul ristabilimento dell'affidamento. - 3. La disciplina apportata dalla convenzione europea del
Lussemburgo 1980. - 4. La convenzione europea del Lussemburgo del 1980 e la convenzione dell'Aja del
1980 a confronto. - 5. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003. -6. Il Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la
convenzione dell'Aja del 1980: un legame indissolubile di complementarietà. - 7. Le principali novità
introdotte dal Regolamento (CE) n. 2201/2003. - 8. Il procedimento di riesame introdotto dall'art. 11,
parr. 6-8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 e casi giurisprudenziali.
1. LA DISCIPLINA EUROPEA IN TEMA DI SOTTRAZIONE INTERNAZIONALE
DI MINORI
Da un'analisi della produzione normativa europea, dalle origini sino ai primi anni 2000,
emerge in maniera chiara come la figura del minore raramente sia stata oggetto di
disciplina elaborata dal legislatore di Bruxelles.
Ciò vale non solo per il minore ma anche per la persona in generale, essendo stato “il
buon funzionamento del mercato” per lungo tempo il principale obiettivo perseguito
dalle politiche dell'Unione europea. Il mercato è stato quindi il dominus dei primi
cinquant'anni di vita delle Comunità europee.
Un primo segnale evolutivo si è registrato con l'emanazione del Trattato di Amsterdam,
che modificando il Trattato istitutivo della Comunità europea e introducendo al suo
interno il “ Titolo IV ”, ha di fatto creato i presupposti giuridici per la realizzazione di
una maggiore cooperazione europea nell'ambito del diritto di famiglia. Tra i vari
obiettivi che il Titolo in questione si propone di realizzare, al fine di una graduale
costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, spicca quello volto ad una
maggiore cooperazione giudiziaria in materia civile (artt. 67, co. 1, 81, co. 1, TFUE, già
art. 61, lett. c, TCE). Queste materie precedentemente all'introduzione del Titolo IV
erano disciplinate dal Titolo VI del Trattato sull'Unione europea, e costituivano il “terzo
pilastro”, venuto meno a seguito delle modifiche apportate dal testo consolidato del
29
Trattato di Lisbona, che ha creato un sistema composto da due trattati: il trattato
sull'Unione europea (TUE) e il trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
È chiaro come lentamente si stia tentando di realizzare quella che viene definita la
“comunitarizzazione” dei principi fondamentali del diritto di famiglia, ossia un processo
di condivisione dei valori di riferimento in materia37 e del relativo ampliamento, in tale
ambito, delle competenze legislative dell'Unione europea. Un regime speciale è
previsto, tuttavia, per il Regno Unito, l'Irlanda e la Danimarca. Secondo il disposto del
Protocollo n. 21, allegato al Trattato di Lisbona, Regno Unito ed Irlanda possono
sottrarsi alle norme del Trattato in materia di cooperazione giudiziaria civile e agli atti
di diritto derivato adottati su questa base. Il Protocollo n. 22, invece, prevede per la
Danimarca un diritto di opting out generale, ossia il diritto di non partecipare
all'adozione di singoli atti.
Con l'approvazione della convenzione di Bruxelles II, poi trasformatasi in regolamento
(CE) n. 1347/2001, oggi sostituito dal regolamento (CE) n. 2201/2003, e del
regolamento (CE) n. 44/2001, il diritto derivato dell'Unione europea sembrava essersi
finalmente distaccato dalla logica del buon funzionamento del mercato, di fatto
iniziando ad apportare una disciplina più consona e più attenta alla dimensione
personale dei cittadini dell'Unione europea.
Tramite i regolamenti di Bruxelles II (Regolamento (CE) n. 1347/2000) e Bruxelles II
bis (Regolamento (CE) n. 2201/2003) la comunità europea ha di fatto interrotto quella
convinzione che affermava l'incompetenza legislativa in materia di diritto di famiglia,
ed ha superato la pretesa irrilevanza di tale ambito ai fini dell'integrazione europea. 38
A conferma di ciò, l'art. 81 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFCE),
afferma, infatti, che l'Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili
con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle
decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l'adozione di
misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati
membri. Il terzo comma dell'art. 81 del TFCE, infatti, in considerazione della
particolarità della materia, detta una procedura legislativa ad hoc più restrittiva. Si
prevede che per l'approvazione di misure di diritto internazionale privato relative al
37
38
BARATTA R., “Verso la “comunitarizzazione” dei principi fondamentali del diritto di famiglia”, in
Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2005, pp. 573 e ss.
LETTIERI A. L., “I criteri di collegamento della cittadinanza e della residenza abituale: breve analisi
con particolare riferimento agli sviluppi del diritto dell'Unione europea nell'ambito della cooperazione
giudiziaria in materia civile”, cit., Editoriale scientifica, Napoli, 2012, pag. 83 e ss.
30
diritto di famiglia e aventi implicazioni transnazionali, sia richiesta l'unanimità del
Consiglio, che delibera previa consultazione del Parlamento europeo.
2. LA CONVENZIONE EUROPEA SUL RICONOSCIMENTO E L'ESECUZIONE
DELLE DECISIONI IN MATERIA DI AFFIDAMENTO DI MINORI E SUL
RISTABILIMENTO DELL'AFFIDAMENTO.
L'esigenza di intensificare la cooperazione europea in materia di tutela di minori portò,
nel corso della Conferenza dei ministri europei della giustizia tenutasi a Basilea nel
1972, all'elaborazione di una convenzione sul riconoscimento delle decisioni straniere in
materia di “garde des enfants”. L'intento primario risultò essere quello di colmare la
pesante lacuna esistente in tale ambito del diritto internazionale, tenuto conto che
nemmeno la convenzione dell'Aja del 1970, concernente il rimpatrio del minore,
garantiva il riconoscimento delle sentenze straniere.
Tale convenzione da un lato apparve strumento tecnicamente perfezionato, ma dall'altro
si presentava come uno schema molto complesso che di certo non riusciva a realizzare il
fondamentale obiettivo di sistemazione del minore, soprattutto nei casi di child
abduction, la sottrazione internazionale di minore.
La prima soluzione prospettata per rimediare a tale inadeguatezza fu quella di elaborare
una seconda convenzione, complementare alla prima, che doveva prevedere strumenti
che anzitutto fossero in grado di ristabilire lo status quo ante al kidnapping (rapimento
di minore). Tale prima proposta venne tuttavia accantonata, poiché incompatibile con le
esigenze di celerità ed urgenza che i casi di sottrazione internazionale di minori
inevitabilmente comportano.
La soluzione al problema venne, invece, individuata nella revisione della prima
convenzione in ordine ai meccanismi e alle procedure approvate precedentemente,
nell'intento di elaborare una forma abbreviata e semplificata di riconoscimento ed
esecuzione delle decisioni straniere all'interno dello Stato in cui il minore viene
condotto.
E così l'accordo raggiunto in occasione della XXII Conferenza dei ministri europei della
giustizia venne firmato a Lussemburgo il 20 maggio 1980, portando alla definitiva
emanazione della Convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle
31
decisioni in materia di affidamento di minori e sul ristabilimento dell'affidamento.
3. LA DISCIPLINA APPORTATA DALLA CONVENZIONE EUROPEA DEL
LUSSEMBURGO DEL 1980
La Convenzione europea sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia di
affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento presenta molteplici norme
inerenti alla sottrazione internazionale di minori.
La presente convenzione risulta essere il risultato cui gli Stati aderenti sono convenuti
in ordine all'importanza che l'interesse del minore rappresenta all'interno dei loro
rispettivi ordinamenti. La necessità di istituire misure destinate a facilitare il
riconoscimento e l'esecuzione di provvedimenti inerenti all'affidamento del minore nel
senso di una maggiore cooperazione giudiziaria viene considerata dagli Stati aderenti,
infatti, il presupposto fondamentale per ristabilire l'affidamento arbitrariamente
interrotto. Nell'intento di superare le difficoltà e le lacune precedentemente esposte, il
nucleo centrale formato dagli artt. 7- 8 e 9, vincola tutti gli Stati contraenti e che
abbiano ratificato la convenzione, nella maniera che verrà di seguito esposta.
Ai sensi dell'art. 7, i provvedimenti pronunciati in uno Stato contraente devono essere
riconosciuti dagli altri stati parti ed ivi messi in esecuzione quando siano esecutivi nello
Stato d'origine.
In base al dettato dell'art. 8, l'Autorità centrale dello Stato richiesto deve procedere alla
restituzione del minore agli affidatari indicati dall'Autorità centrale dello Stato d'origine:
a) se al momento della presentazione dell'istanza di affidamento nel Paese d'origine, sia
il minore sia i genitori avevano la cittadinanza di detto Stato e ivi il minore aveva anche
la sua residenza abituale, ed altresì la domanda di restituzione del minore sia stata
proposta all'Autorità dello Stato richiesto entro il termine di sei mesi dall'avvenuta
sottrazione del minore;
b) se, anche in assenza dei requisiti di cui al punto a), la mancata restituzione del minore
integri un caso di violazione del diritto di visita, avendo, il genitore cui spetta tale
diritto, trasferito il minore all'estero senza ricondurlo nello Stato di residenza abituale
allo scadere del termine fissato;
In siffatte ipotesi l'Autorità centrale dello Stato richiesto ha l'obbligo di rispondere
all'istanza di restituzione con la massima celerità.
32
Nei casi di trasferimento illegittimo di minore diversi da quelli previsti dall'art. 8,
interviene l'art. 9 che afferma che se si è fatto ricorso all'Autorità centrale, entro il
termine di 6 mesi dal trasferimento, il riconoscimento e l'esecuzione non possono essere
rifiutati se non quando: a) si tratti di provvedimento pronunciato in assenza del
convenuto o non regolarmente notificato o comunicato al convenuto stesso, in tempo
utile ai fini di un'adeguata difesa; b) si tratti di un provvedimento pronunciato in assenza
del convenuto e la competenza dell'autorità che l'ha emanato non si basi sulla residenza
del convenuto, sull'ultima residenza abituale comune dei genitori del minore purchè uno
di essi vi risieda ancora abitualmente, ovvero sulla residenza abituale del minore; c) se
sussiste incompatibilità tra il provvedimento di
affidamento adottato nel Paese di
origine e altro emanato nel Paese richiesto concernente il medesimo minore e divenuto
esecutivo prima del trasferimento illecito dello stesso.
Anche la convenzione europea del Lussemburgo del 1980 prevede, analogamente alla
convenzione dell'Aja del 1980, l'istituzione di un'Autorità centrale presso ogni Stato
membro, con la funzione fondamentale di fornire assistenza a tutti i soggetti che avendo
ottenuto in uno stato contraente il riconoscimento e l'esecuzione di un determinato
provvedimento, ne chiedano la collaborazione (art. 4). Secondo quanto disposto dall'art.
5 ogni Autorità centrale, ove adita, avrà l'obbligo di svolgere idonee indagini per
individuare il luogo in cui si trova il minore, di assicurare ad opera delle autorità interne
il riconoscimento e l'esecuzione dei provvedimenti di affidamento del minore assunti da
altra autorità estera, e di realizzare la consegna del minore.
Al momento della sua approvazione, la convezione del Lussemburgo 1980, apparve
subito un valido completamento della già approvata convezione dell'Aja aperta alla
firma il 28 maggio 1970 inerente al rimpatrio dei minori. Da lì a poco, si sarebbe tenuta
una nuova Conferenza dell'Aja per affrontare il problema della sottrazione
internazionale di minori. Il settore in esame, caratterizzato da un sempre più ampio
abbattimento delle frontiere fra gli Stati e, quindi, dal
più rapido e frequente
spostamento delle persone, fu in quegli anni oggetto di un complesso di Accordi che
porterà all'emanazione, tra le altre, della convenzione dell'Aja del 198039.
39
GALBIATI R., LIBRANDO V., ROVELLI L., “La convenzione europea sul riconoscimento e
l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento di minori e sul ristabilimento dell'affidamento”,
in Rivista di diritto europeo, 1980, pp. 377 e ss.
33
4. LA CONVENZIONE EUROPEA DEL LUSSEMBURGO DEL 1980 E LA
CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 A CONFRONTO
Inserite entrambe nell'ordinamento italiano mediante l'ordine di esecuzione contenuto
nella stessa legge di autorizzazione alla ratifica (Legge n. 64/1994) 40 la convezione
europea del Lussemburgo del 1980 e la convenzione dell'Aja del 1980 presentano
elementi in comune, ma anche molteplici differenze.
In linea generale, può dirsi che sia la convenzione europea sia la convenzione dell'Aja
muovono dalla stessa premessa, che è quella di garantire il bene del minore, messo
chiaramente in pericolo dall'illecito trasferimento in un altro Stato ad opera del genitore
abductor. Entrambe, quindi, mirano a tutelare lo status quo ante, nella convinzione che
il pronto ripristino della situazione antecedente al trasferimento risponda all'interesse
del minore e costituisca il metodo migliore per tutelarlo efficacemente, per evitare il
rischio che il minore possa, con il passare del tempo, ambientarsi nel nuovo contesto di
vita. Ulteriore elemento affine tra i due trattati risulta, inoltre, essere il fatto che
entrambi si occupino solo degli aspetti civili del fenomeno del child abduction, e non
dei profili penalistici, diversi e autonomi in ogni singolo ordinamento.
Un elemento che differenzia le due convenzioni, invece, può ravvisarsi nel diverso
approccio al problema del kidnapping. La convenzione europea, elaborata
antecedentemente rispetto a quella dell'Aja, si propone un duplice obiettivo: quello di
provvedere alla restituzione del minore vittima del trasferimento illegittimo e di
assicurare il riconoscimento e l'esecuzione di decisioni relative all'affidamento di un
minore rese in uno Stato contraente, anche negli altri Paesi aderenti alla convenzione.
L'oggetto della convenzione europea è, infatti, più vasto poiché non solo tratta il
fenomeno del child abduction, ma disciplina anche il riconoscimento e l'esecuzione
delle decisioni in materia di affidamento, e del ristabilimento dello stesso, ove
illecitamente non rispettato.
I delegati della Conferenza dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione
40
L'Italia ha ratificato la convenzione europea del 1980 in data 27. 05.1995, a seguito dell'emanazione
della L. 15.01.1995 n. 64, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 23 del
29.01.1994, che ne ha autorizzato la ratifica. Essa è entrata in vigore, ai sensi dell'art. 22, par.1 della
convenzione europea, il 1 giugno 1995.
La convenzione dell'Aja del 1980 è stata autorizzata alla ratifica con L. 15.01.1995 n. 64. Il deposito
dello strumento di ratifica è avvenuto il 22.02.1995 e ne è stata data notizia con un comunicato del
Ministero degli Affari Esteri sul supplemento ordinario n. 48 della Gazzetta Ufficiale del 27.04.1995.
La convenzione è entrata in vigore il 1 maggio 1995.
34
internazionale dei minori, contrariamente a quanto compiuto in seno alla conferenza
europea, dopo lunghe riflessioni scartarono l'idea di elaborare una seconda convenzione
sul riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni straniere in materia di custodia, poiché
si ritenne che l'attribuzione di efficacia a tali pronunce avrebbe comportato
procedimenti eccessivamente lunghi, tali da provocare possibili danni psicologici al
minore.
Questo diverso approccio al medesimo problema ha comportato anche una diversità di
scopi: la convenzione dell'Aja persegue come unico obiettivo quello di ristabilire la
precedente situazione di fatto il più rapidamente possibile, indipendentemente
dall'esistenza di una precedente decisione straniera sull'affidamento e dal fatto che lo
Stato in cui il minore è stato condotto l'abbia riconosciuta e le abbia attribuito efficacia
vincolante.
Una seconda importante differenza tra le due convenzioni si ravvisa, inoltre, in ordine al
concetto di child abduction, intesa come illecito trasferimento di minore da un luogo ad
un altro da parte di uno dei genitori.
Le fattispecie di kidnapping sono innumerevoli. Le principali possono riassumersi
descrivendone alcuni tratti distintivi.
Un primo caso è costituito dall'illecito trasferimento del minore in uno Stato diverso da
quello della residenza abituale, ad opera di uno genitori senza il consenso dell'altro e in
assenza di una precedente decisione giudiziaria. In questa ipotesi rientra sia la
situazione in cui il genitore, privato del minore a seguito della sottrazione, eserciti la
custodia perché attribuitagli dalla legge, sia la diversa situazione in cui, invece, il
genitore eserciti la custodia dopo la rottura del matrimonio solo di fatto, sia, infine,
l'ipotesi in cui il genitore abductor quando ancora il matrimonio non è sciolto, decida di
trasferire illecitamente il minore all'estero, in modo da costituire una situazione di fatto
a sé favorevole in materia di affidamento.
Il secondo caso si verifica quando l'abduction avviene solo dopo la pronuncia del
giudice di uno Stato in ordine all'attribuzione della custodia. Vi rientrano le fattispecie
di sottrazione di minore compiuta da parte del genitore che non ne aveva l'affidamento,
come anche il caso in cui il minore venga illecitamente trattenuto in uno Stato diverso
da quello di residenza abituale dal genitore non affidatario oltre il periodo di visita
concessogli e, infine, il caso della sottrazione di minore condotto in uno Stato e poi
condotto ancora in un altro, dopo che in quest'ultimo si sia ottenuta una decisione che
35
attribuisca al genitore abductor la piena custodia.
Il terzo ordine di fattispecie di kidnapping può verificarsi quando il genitore non
affidatario rapisca il minore e lo conduca in altro Paese in violazione non solo della
decisione sull'affidamento, ma anche di un provvedimento di espresso divieto per il
minore di abbandonare il territorio nazionale.
La convenzione dell'Aja estende il proprio ambito di applicazione ad un gran numero di
casi di sottrazione internazionale di minori, mentre la convenzione europea si applica
solo ai casi di sottrazione internazionale avvenuti in violazione di un provvedimento di
affidamento emesso dal giudice del Paese ove il minore risiedeva abitualmente al
momento del rapimento. Stante questa differenza, entrambe le convenzioni si
impegnano nel comune obiettivo di garantire non solo il ripristino della situazione
precedente alla sottrazione, ma mirano anche a tutelare il diritto di visita del genitore
non affidatario.
Venendo ora al concetto di minore, anche quest'ultimo sembra essere elemento di
differenza tra le due convenzioni. Entrambe si applicano ai “rapimenti” di minori che
non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, ma mentre la convenzione dell'Aja
estende la propria applicabilità a tutti i minori di sedici anni residenti in uno degli Stati
contraenti (art. 4), il trattato europeo richiede anche che il minore risulti privo del diritto
di fissare personalmente la propria residenza in base alla legge della propria cittadinanza
o della residenza abituale oppure secondo il diritto interno dello Stato richiesto (art. 1,
lett. a). La proposta di inserire un tale limite nella convenzione dell'Aja venne scartata,
poiché prevalse l'opinione secondo la quale un simile limite avrebbe determinato una
eccessiva restrizione dell'applicabilità della convenzione stessa.
Molto importante è, poi, la diversa disciplina dedicata nelle due convenzioni ai possibili
motivi che consentono allo Stato in cui il minore è stato condotto di rifiutarsi di
riconsegnare il minore stesso allo Stato di residenza abituale. Secondo il dettato della
convenzione europea gli Stati hanno l'obbligo di restituire il minore solo ove la
domanda sia stata presentata entro sei mesi dall'avvenuta sottrazione, entrambi i genitori
e il minore abbiano la cittadinanza dello Stato richiedente, e infine, il minore abbia nello
Stato richiedente la residenza abituale. La convenzione dell'Aja, invece, prevede che la
restituzione del minore debba essere attuata dagli Stati richiesti sempre, all'unica
condizione che la domanda sia intervenuta entro un anno dall'illegittimo trasferimento o
anche ove presentata oltre lo scadere di questo termine, non si dimostri che il minore si
36
sia integrato nel nuovo contesto di vita.
Vista la fondamentale importanza che il fattore tempo può rivestire in queste dinamiche,
le due convenzioni hanno cercato di stabilire un termine massimo di presentazione della
domanda che sia in equilibrio tra le due contrapposte esigenze, consistenti da un lato
nella necessità di una pronta ricostituzione dello status quo ante e dell'altro nel rispetto
dell'eventuale integrazione del minore nel nuovo ambiente allo scadere, rispettivamente
del termine di sei mesi o un anno.
Quanto ai motivi che possono legittimare il rifiuto alla riconsegna del minore, la
convenzione dell'Aja prevede tre ordini di motivazioni elencate all'art. 13, mentre la
convenzione europea elenca una lunga serie di motivi che legittimano il non
riconoscimento della decisione straniera, la cui portata è prevalentemente procedurale,
soprattutto in riferimento alle modalità in base alle quali il provvedimento è stato
emanato (artt. 9 e 10).
Elemento che, inoltre, a prima vista potrebbe sembrare in comune tra i due trattati è
l'inserimento di una clausola di ordine pubblico, che legittima a tutti gli effetti lo Stato
richiesto a non ottemperare la richiesta di restituzione del minore. Ad una più attenta
analisi anche questa clausola è motivo di divergenza tra le due convenzioni, in quanto la
convenzione europea stabilisce che ogni obbligo venga meno tutte le volte in cui la
decisione straniera risulti incompatibile con con i principi fondamentali del diritto di
famiglia dello Stato richiesto (art. 10, lett. a), mentre la convenzione dell'Aja richiede
che la restituzione del minore comporti la violazione dei diritto dell'uomo e delle libertà
fondamentali (art. 20). La differenza trova conferma nei lavori preparatori della
convenzione dell'Aja, dai quali emerge la volontà di inserire una clausola di ordine
pubblico, ma allo stesso tempo di evitare anche l'eccessiva portata restrittiva mostrata
dalla corrispondente disposizione della convenzione del Lussemburgo.
Strettamente collegate con l'inserimento di clausole di ordine pubblico, risulta la
questione inerente alle riserve, che di fatto costituiscono la misura dell'efficacia di una
convenzione. La convenzione dell'Aja del 1980 ha evitato di lasciare agli Stati la facoltà
di apporre troppe riserve, al fine di non ridurre la portata applicativa della convenzione
stessa. Il trattato europeo, invece, oltre a contenere la clausola di ordine pubblico di cui
sopra, permette agli Stati di estendere mediante riserva i motivi di rifiuto disciplinati
dall'art. 10 anche alle ipotesi disciplinate dall'art. 8 e 9 della convenzione.
Infine, l'ultima differenza che emerge dal confronto di queste due convenzioni, si
37
riscontra in ordine alle norme di carattere organizzativo che prevedono l'istituzione delle
Autorità centrali presso ogni Stato contraente.
La convenzione dell'Aja presenta molteplici disposizioni dedicate alle funzioni attribuite
alle Autorità centrali, di fatto ampliando in maniera significativa il loro ruolo, rispetto a
quello prospettato dalla disciplina della convenzione del Lussemburgo. Non solo detto
organo è competente ad introdurre procedimenti giudiziari o amministrativi volti alla
risoluzione del conflitto familiare, ma si dispone che, ove possibile, venga esperito,
proprio dall'Autorità centrale, un procedimento di restituzione volontaria del minore al
fine del raggiungimento di una soluzione amichevole che decida delle condizioni di vita
del minore conteso (art. 7, lett. c).
La convenzione del Lussemburgo non solo non prevede una corrispondente
disposizione, ma attribuisce all'Autorità centrale ruoli marginali, di mera raccolta e
scambio di informazioni con le altre Autorità centrali o organi giudiziari e
amministrativi.
Entrambe le convenzioni stabiliscono poi la gratuità delle attività compiute dalle
Autorità centrali, che hanno quindi il dovere di non richiedere pagamenti o contributi.
In conclusione può affermarsi che la convenzione del Lussemburgo del 20 maggio 1980
e la convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980, affrontino la medesima problematica
della sottrazione internazionale di minori da una diversa ottica. Il trattato dell'Aja appare
più diretto, e forse più efficace, mentre il trattato europeo ha un approccio giuridico più
tradizionale, meno nuovo ed incontra infatti gli ostacoli propri di questo tipo di
convenzioni, senza dimenticare che le differenze sono inevitabili considerando che la
prima ha una portata mondiale, mentre la seconda è un vero e proprio trattato tra paesi
europei.
5. IL REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003
La protezione del fanciullo e la tutela dei suoi diritti, uniti alla necessità sempre più
sentita di garantire, ai fini di una corretta educazione, uno stabile rapporto con entrambi
i genitori, hanno portato all'entrata in vigore il 1° agosto 2004 del Regolamento (CE) n.
2201/2003 relativo alla competenza al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in
materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale.
Tra i motivi che stanno all'origine dell'adozione del regolamento in questione vi è una
38
generale insoddisfazione da parte di alcuni Stati membri rispetto all'effettivo
funzionamento della convenzione dell'Aja del 1980, in particolare del suo art. 13 lett. b),
e cioè di quella disposizione che permette alle autorità dello Stato in cui il minore è
stato condotto, di opporsi al suo rientro perché proprio dal rientro potrebbe derivare
l'esposizione del minore a pericoli fisici e psichici o comunque ad una situazione
intollerabile.
Il frequente ricorso a tale norma ha impedito in molti casi non solo il rimpatrio di
minori illecitamente trasferiti, ma ha anche fatto sì che le autorità dello Stato di
destinazione del minore acquisissero competenza in ordine alla potestà genitoriale,
facendo raggiungere ai genitori sottraenti l'obiettivo a cui maggiormente si aspira
tramite l'illecita sottrazione del proprio figlio.
Nell'intento di limitare quanto più possibile questo fenomeno, il Regolamento (CE) n.
2201/2003 presenta alcune norme specificamente applicabili nello spazio europeo, volte
ad ovviare agli inconvenienti che la mera applicazione della convenzione dell'Aja del
1980 iniziava a comportare. L'obiettivo fondamentale fu quello di elaborare uno
strumento giuridico comunitario che introducesse un procedimento automatico di
riconoscimento delle sentenze emanate nello Stato in cui è avvenuta al sottrazione
illecita del minore41. Grazie all'emanazione di questo regolamento, attualmente le
sottrazioni di minore avvenute nell'ambito di due Stati membri sono regolamentate dalle
disposizioni convenzionali, integrate e completate da quelle previste dal Regolamento
(CE) n. 2201/2003.
Tale regolamento, infatti, completa le disposizioni contenute all'interno della
convenzione dell'Aja del 1980, ordinando in un unico testo le questioni concernenti le
domande di separazione, divorzio, o annullamento del matrimonio e quelle relative alla
responsabilità genitoriale sui figli avuti in comune dalla coppia.
Già il 1° marzo 2001 era entrato in vigore il Regolamento (CE) n. 1347/2000 che
prevede procedure semplici e rapide per il riconoscimento delle sentenze di separazione
e divorzio e di responsabilità parentale purché connesse a cause matrimoniali. Proprio
quest'ultima condizione rappresentava, tuttavia, motivo di discriminazione nei confronti
41
L'interesse e la preoccupazione per l'incremento delle sottrazioni internazionali di minori aveva
portato il Parlamento europeo a proporre la creazione di tribunali specializzati nell'applicazione delle
convenzioni esistenti. Questa proposta si aggiungeva ai lavori prodotti in seno alla conferenza dell'Aja
di diritto internazionale privato, tra i quali l'elaborazione della nota INDACAT (International Child
Abduction Database) e i lavori finalizzati all'elaborazione di una banca dati complementare,
l'INCASDAT (International Child Abduction Statistical Database).
39
di minori nati da genitori non sposati. Per questo motivo, è stato sostituito da un nuovo
regolamento, il n. 2201/2003 che, nell'intento di colmare tale lacuna, prevede
esplicitamente che le sue disposizioni possano applicarsi a tutti i procedimenti e le
decisioni concernenti la responsabilità genitoriale, indipendentemente da un nesso con
un procedimento matrimoniale, con ciò ampliando la portata applicativa dei precedenti
regolamenti ed offrendo una tutela affettiva nei confronti di figli naturali o nati da
eventuali unioni precedenti42.
Il regolamento in questione non può applicarsi ai provvedimenti relativi alla filiazione,
all'adozione, a tutte le materie inerenti all'immigrazione, la sanità, i provvedimenti civili
emessi a seguito di illeciti penali commessi dal minore.
Il criterio unico di competenza stabilito dal regolamento è quello della residenza
abituale del minore43, anche se sono previste alcune deroghe alla disciplina generale al
verificarsi di determinate condizioni. Anche nel Regolamento (CE) n. 2201/2003 si è
scelto di non definire il concetto di residenza abituale, preferendo la via della
valutazione caso per caso in base alle circostanze che una determinata situazione può
presentare nell'ottica dell'interesse del minore.
Tra i paesi membri dell'Unione coinvolti in un caso di sottrazione internazionale di
minore, il giudice competente sarà quello del Paese in cui il minore risiede abitualmente
precedentemente alla sottrazione.
L'art 10, infatti, attribuisce al giudice della residenza abituale del minore, la competenza
a decidere in relazione al trasferimento illecito o al mancato rientro. Il criterio della
residenza abituale risulta quindi preferito a quello della cittadinanza, nell'ottica di una
più effettiva tutela del minore. Il divieto di discriminazioni basate sulla nazionalità
sancito dall'art. 18 TFUE (già art. 12 TCE) è alla base dell'affermata inconciliabilità del
criterio di collegamento della cittadinanza con il diritto comunitario ed è per questo
motivo che quest'ultima ha svolto, all'interno della normativa di diritto internazionale
privato dell'Unione europea, un ruolo tendenzialmente residuale.
Secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia 44 la residenza abituale, infatti,
coincide con il luogo in cui il minore ha sviluppato la propria integrazione sociale e
42
43
44
TONOLO S., “La sottrazione dei minori nel diritto processuale civile europeo: il Regolamento
Bruxelles II- bis e la convenzione dell'Aja del 1980 a confronto”, in Rivista di diritto internazionale
privato e processuale, 2011, pp. 81 e ss.
Cfr. supra, Cap I, par. 4.
CGCE, 25 febbraio 1999, C-90/97 (Swaddling) in Raccolta, 1999, I-1075, 1099 e CGCE, 12 luglio
2001, C-262/99 (Louloudakis) in Raccolta, 2001, I-5547, 5591.
40
familiare, tenuto conto di importanti circostanze di fatto quali la durata e la regolarità
del soggiorno, la cittadinanza del minore, il luogo in cui si frequentano le attività
scolastiche, le conoscenze linguistiche, ed infine, le relazioni sociali e familiari del
minore radicate in quel determinato Stato. La residenza abituale, per quanto non definita
all'interno del regolamento, risulta essere a tutti gli effetti il luogo in cui il minore ha
fissato in maniera stabile il centro permanente o abituale dei propri interessi, con chiara
natura sostanziale e non meramente formale o anagrafica45.
Venendo all'analisi delle disposizioni, una delle principali novità introdotte dal
Regolamento (CE) n. 2201/2003, questa consiste nella possibilità di rendere esecutive le
sentenze in materia di ritorno del minore e di diritto di visita, senza più ricorrere al
procedimento dell'exequatur. Sulla base di un certificato standard, rilasciato se la
decisione è esecutiva e se tutte le parti compreso il minore saranno state ascoltate, sarà
possibile eseguire una decisione in ogni stato membro.
Analogamente alla convenzione dell'Aja del 1980, anche il Regolamento (CE) n.
2201/2003 prevede l'attribuzione di maggiori compiti alle Autorità centrali volta a
facilitare ed incentivare la cooperazione giudiziaria, sulla base di un continuo scambio
di informazioni, della promozione di iniziative, e della corretta attuazione degli
strumenti internazionali.
Competente a svolgere il ruolo di Autorità centrale per lo Stato italiano, così come per
la convenzione dell'Aja del 1980, è il Dipartimento per la Giustizia Minorile.
6. IL REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003 E LA CONVENZIONE DELL'AJA DEL
1980: UN LEGAME INDISSOLUBILE DI COMPLEMENTARIETA'
Nell'ambito della problematica rappresentata dai numerosi casi di sottrazione
internazionale di minori, che sempre più spesso coinvolgono Paesi europei, la principale
problematica da risolvere consiste nel coordinare le disposizioni del Regolamento (CE)
n. 2201/2003, inerente alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle
decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, con quelle
contenute nella convenzione dell'Aja del 1980, sugli aspetti civili della sottrazione
internazionale di minori. La questione di coordinamento si pone solo in ordine agli Stati
45
LETTIERI A. L., “I criteri di collegamento della cittadinanza e della residenza abituale: breve analisi
con particolare riferimento agli sviluppi del diritto dell'Unione europea nell'ambito della cooperazione
giudiziaria in materia civile”, cit., Editoriale scientifica, Napoli, 2012, pag. 83 e ss.
41
membri dell'unione europea che abbiano aderito alla convenzione dell'Aja, e nello
specifico dell'Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna e
Irlanda del Nord, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Norvegia,
Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania,
Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera ed Ungheria. L'art. 60 del Regolamento prevede la
preminenza delle sue disposizioni rispetto ad alcune convenzioni, espressamente
elencate e tra cui rientra anche la convenzione dell'Aja del 1980, che pur restando in
vigore, si applica solo sussidiariamente e in via residuale negli ambiti non coperti dal
Regolamento.
I rinvii che il Regolamento (CE) n. 2201/2003 presenta nei confronti della Convenzione
dell'Aja del 1980, rende i due strumenti indissolubilmente connessi sul piano
applicativo e comporta una stretta complementarietà tra le loro rispettive disposizioni46.
L'art. 11, par. 1, del Regolamento infatti afferma che se il titolare del diritto di
affidamento intende ottenere il ritorno del minore illecitamente trasferito in uno Stato
membro diverso da quello in cui aveva la residenza abituale, deve seguire le procedure
previste dalla convenzione dell'Aja del 1980, integrate dalle disposizioni dei parr.2-8
dell'art. 11 del Regolamento. Inoltre, è la stessa convenzione dell'Aja del 1980 a
prevedere la possibilità di essere affiancata da altri strumenti di cooperazione regionale
aventi il medesimo ambito di applicazione. L'art. 36 della convenzione infatti prevede la
possibilità di derogare alle sue disposizioni per adottare procedure più favorevoli volte
ad assicurare il rapido rientro del minore nello Stato di residenza abituale. Appare
chiaro come l'obiettivo condiviso da entrambi gli strumenti sia quello di assicurare il
pronto ripristino dello status quo ante.
L'art. 11 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 presenta disposizioni tra loro eterogenee. I
primi paragrafi, infatti, integrano la disciplina della convenzione dell'Aja, gli ultimi tre
hanno al contrario molto più di una portata rafforzativa della stessa.
Qualora le autorità dello Stato in cui si trova il minore ne neghino il rientro, fondandolo
sulla possibilità che ciò possa comportare l'esposizione del minore a pericoli fisici e
psichici o sull'espressa opposizione del minore al ritorno nel Paese di residenza abituale
sulla base dell'art. 13 della convenzione dell'Aja del 1980, il Regolamento (CE) n.
2201/2003 prevede l'apertura di una fase giudiziale del procedimento che è eventuale e
46
PESCE C., “La sottrazione internazionale di minori nell'Unione Europea: il coordinamento tra il
Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell'Aja del 1980”, in Cuadernos de Derecho
Transnacional, 2011, pp. 234 e ss.
42
si svolge di fronte al giudice dello Stato in cui il minore aveva la residenza abituale
prima della avvenuta sottrazione. In tale fase verrà esaminata la questione inerente
all'affidamento del minore (art. 11, par. 7), che potrà portare il giudice a confermare la
decisione contraria al ritorno del minore, oppure ad emettere un ordine di rientro (art.11,
par. 8). Nel primo caso, lo Stato in cui il minore si trova acquisirà la giurisdizione in
materia di responsabilità genitoriale, nel secondo invece il provvedimento emanato dal
giudice dello Stato di residenza abituale sarà eseguibile in tutti gli Stati membri
dell'Unione Europea senza bisogno dell'exequatur e senza possibilità di opposizione.
Proprio quest'ultima procedura ha creato le maggiori difficoltà in ordine al
coordinamento
delle disposizioni contenute nella convenzione dell'Aja e nel
Regolamento (CE) n. 2201/2003.
7. LE PRINCIPALI NOVITA' INTRODOTTE DAL REGOLAMENTO (CE) N.
2201/2003
Come precedentemente emerso, la convenzione dell'Aja del 1980 non contiene norme in
riferimento alla competenza. La domanda di restituzione volta ad ottenere il rientro del
minore, presentata dallo Stato in cui il minore ha la residenza abituale, verrà esaminata
dallo Stato in cui si è verificato l'illecito trasferimento dello stesso, potendo il giudice
adito applicare solamente le disposizioni della convenzione, senza poter deliberare in
materia di affidamento. Di quest'ultima questione infatti potranno occuparsene solo i
giudici dello Stato di residenza abituale. In pratica, nei due Stati interessati dal
trasferimento illecito del minore, verranno condotti parallelamente due distinti
procedimenti: il primo nello Stato in cui il minore è stato condotto circa la domanda di
ritorno, il secondo nello Stato di residenza abituale circa la regolamentazione dei
rapporti genitoriali e dell'affidamento.
Una prima novità che il regolamento (CE) n. 2201/2003 presenta, è quella di aver
introdotto norme imperative sulla competenza dirette a garantire la prevalenza del
giudice del luogo in cui il minore risiedeva abitualmente prima del trasferimento
illecito.
Nel caso di trasferimento illecito di un minore da uno Stato membro all'altro, l'art. 10
del Regolamento infatti prevede una deroga al foro generale, secondo cui: “Le autorità
giurisdizionali di uno Stato membro sono competenti per le domande relative alla
43
responsabilità genitoriale su un minore, se il minore risiede abitualmente in quello Stato
membro alla data in cui sono aditi”, affermando così che sarà competente il giudice del
luogo in cui il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima della
sottrazione. A tale giudice spetterà in ogni caso la decisione definitiva sul ritorno del
minore, sino all'avvenuta acquisizione della residenza abituale in altro Paese membro.
Il trasferimento della competenza allo Stato in cui il minore si trova a seguito del
trasferimento illecito del minore è ammesso solo al ricorrere delle circostanze
tassativamente previste dall'art. 10 del regolamento. Ciò può accadere in due ipotesi: nel
primo caso il giudice dello Stato di nuova residenza acquista competenza se (a) il
minore ha acquisito la residenza abituale in tale Stato e (b) i titolari del diritto di
affidamento hanno accettato l'avvenuta sottrazione. Nel secondo caso, la competenza
sussiste se (a) il minore oltre ad aver acquisito la residenza in tale Stato, ha soggiornato
per almeno un anno da quando i titolari del diritto di affidamento abbiano avuto (o
avrebbero dovuto avere) conoscenza del trasferimento e risulti integrato in tale Stato e
(b) nel periodo di un anno dall'avvenuto illecito trasferimento, i titolari della
responsabilità genitoriale non abbiano assunto alcuna iniziativa volta ad ottenere il
ritorno del minore ovvero abbiano assunto iniziative in tal senso, ma senza esiti
positivi47.
La disciplina della sottrazione internazionale di minore, all'interno del regolamento, è
poi ripresa all'art. 11 nei sui vari paragrafi che certamente richiamano la disciplina del
return remedy (procedimento di ritorno) apportata dalla convenzione dell'Aja del 1980,
ma non mancano di integrarne la portata. In capo all'autorità adita in materia di
sottrazione è posto l'obbligo di ascolto del minore nella logica di tutelarne l'interesse
superiore (art. 11, par. 2), e l'obbligo di pronunciarsi rapidamente, entro il termine di sei
settimane, facendo ricorso alle norme processuali più rapide previste dal diritto interno
(art. 11, par. 5). L'art. 11, par. 4, prevede che un'autorità giurisdizionale non possa
negare il rientro del minore sulla base dell'art. 13, lett. b, della convenzione dell'Aja del
1980, qualora venga dimostrato che sono previste misure di protezione volte ad evitare
l'esposizione del minore a pericoli fisici o psichici, o comunque a situazioni
intollerabili. La verifica della sussistenza di tali misure di protezione dovrà essere
valutata in concreto, non bastando, ad esempio, la mera esistenza di procedure idonee
47
CARPANETO L., “Reciproca fiducia e sottrazione internazionale di minori nello spazio giuridico
europeo”, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2011, p. 361 e ss.
44
alla protezione del minore. Tale indagine se necessario, potrà essere compiuta anche
tramite l'aiuto e la collaborazione delle Autorità centrali dello Stato di origine.
Un ulteriore innovativo insieme di disposizioni introdotta dal Regolamento (CE) n.
2201/2003 e di cui la convenzione dell'Aja del 1980 non si occupa, riguarda il
riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni che ordinano il ritorno di un minore
sottratto, ai sensi dell'art. 42 del regolamento. Il ritorno del minore di cui all'articolo 40,
par. 1, lett. b), ordinato con una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro, è
infatti, riconosciuto ed è eseguibile in un altro Stato membro anche senza una
dichiarazione di esecutività. Nel sistema convenzionale è chiaro come questo aspetto
non presenti caratteri di transnazionalità, rilevando solo secondo le procedure di diritto
interno (art. 47 della convenzione). Il sistema istituito dal regolamento invece, assicura
che l'ordine di rientro emesso in base all'art 11, par. 8, riceva attuazione nello Stato in
cui il minore si trova. È predisposto un regime speciale di riconoscimento ed esecuzione
delle decisioni di rientro, che prevede che “le decisioni in materia di diritto di visita o di
ritorno che siano state certificate nello Stato membro d'origine conformemente alle
disposizioni del presente regolamento, dovrebbero essere riconosciute e hanno efficacia
esecutiva in tutti gli altri Stati membri senza che sia richiesto qualsiasi altro
procedimento o senza che sia possibile opporsi al riconoscimento o all'esecuzione”
(ventitreesimo considerando del Regolamento (CE) n. 2201/2003). Per accedere a tale
regime agevolato la decisione di ritorno deve essere certificata dall'autorità che l'ha
emessa e, così come dettato del par. 2 dell'art. 42, deve essere rispettata la tassativa
procedura in base alla quale le parti ed il minore siano stati ascoltati e siano stati tenuti
in debito conto tutti i motivi e gli elementi probatori che avevano indotto il primo
giudice a negare il rientro del minore. Una volta rilasciato il certificato, la decisione di
ritorno del minore è automaticamente riconosciuta ed è immediatamente esecutiva in
ogni Stato membro, senza la necessità dell'exequatur. Lo Stato in cui il minore è stato
condotto e che pertanto deve dare attuazione alla decisione certificata non ha alcuna
possibilità di paralizzare l'immediata esecutività del provvedimento, non essendo
ammesso alcun mezzo di impugnazione, salvo la domanda di rettifica per la correzione
degli errori materiali.
Le questioni inerenti alla legittimità della decisione certificata potranno essere sollevate
innanzi ai giudici dello Stato che ha emesso la decisione, secondo le procedure e gli
45
strumenti di impugnazione e di revisione ivi previsti.
La sentenza Aguirre Zarraga48 mostra come la Corte di Giustizia dell'Unione europea
abbia ormai affermato in via definitiva che l'opposizione all'esecuzione della decisione
di rientro, certificata in base all'art. 42 non sia ammessa in alcun caso, nemmeno quando
la decisione appaia viziata dalla violazione di diritti fondamentali.
La controversia, che investiva la Corte di Giustizia europea tramite la presentazione di
una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell'art. 267 del TFUE 49, riguardava
una minore abitualmente residente in Spagna, condotta illecitamente dalla madre in
Germania a seguito della separazione dal coniuge, padre della minore. Le autorità
tedesche negavano il rientro della minore invocando l'art. 13 secondo comma della
convenzione dell'Aja del 1980 a seguito dell'opposizione al rientro manifestata dalla
minore stessa. Le autorità spagnole a loro volta riesaminata la questione, disponevano il
rientro della minore tramite il certificato emesso ai sensi dell'art 42 Regolamento (CE)
n. 2201/2003. I giudici tedeschi, a causa della non avvenuta l'audizione della minore 50
nel corso del procedimento spagnolo così come disposto dal Regolamento (CE) n.
2201/2003, invocavano un'importante violazione dei diritti fondamentali e decidevano
di sospendere il giudizio pendente e di sottoporre la questione in via pregiudiziale alla
Corte di Giustizia europea. Quest'ultima ribadiva che lo Stato deputato all'esecuzione
del ritorno non ha alcun potere né in ordine alla legittimità della decisione, né sul
rilascio del certificato. Tenuto conto del ventiquattresimo considerando del
Regolamento (CE) n. 2201/2003, il quale afferma la non impugnabilità del certificato e
che ne consente, pertanto, solo la correzione dell'errore materiale, può confermarsi a
tutti gli effetti come la decisione ultima in ordine al ritorno del minore spetti al giudice
della residenza abituale, senza che sia necessario dichiararne l'esecutività e senza che sia
possibile opporvisi.
La Corte di Giustizia europea affermava quindi che la violazione dell'art. 42 del
Regolamento (CE) n. 2201/2003 non può costituire un fondato motivo che giustifichi
48
49
50
CGUE, 22 dicembre 2010, C-491/10 PPU http://curia.europa.eu/
Il rinvio pregiudiziale è uno dei meccanismi più importanti previsti dal diritto comunitario, volto a
preservare l'uniformità dell'interpretazione e dell'applicazione delle norme comunitarie. Esso consente
al giudice nazionale di sottoporre alla Corte di Giustizia europea una o più questioni di diritto
comunitario che dovessero emergere nel corso del giudizio innanzi a sé pendente e dalla risoluzione
delle quali dipende la decisione della controversia.
Ai sensi del diciassettesimo considerando del Regolamento (CE) n. 2201/2003: “L’audizione del
minore è importante ai fini dell’applicazione del presente regolamento, senza che detto strumento miri
a modificare le procedure nazionali applicabili in materia”.
46
l'opposizione all'esecuzione di una decisione certificata che prescrive il ritorno di una
minore illecitamente trattenuta in altro Paese, poiché l'accertamento di una siffatta
violazione compete solo ai giudici dello Stato membro di origine della minore.
8. IL PROCEDIMENTO DI RIESAME INTRODOTTO DALL'ART. 11, PARR. 6-8
DEL REGOLAMENTO (CE) N. 2201/2003 E CASI GIURISPRUDENZIALI
Come già accennato le procedure previste dall'art. 11, parr. 6-8 prevedono l'apertura di
una fase eventuale, a seguito della opposizione manifestata dallo Stato in cui il minore
si trova circa il suo rientro, così come previsto dall'art. 13 della convenzione dell'Aja del
1980. Le autorità di tale Stato devono trasmettere direttamente o tramite la sua Autorità
centrale una copia del provvedimento giudiziario che si opponga al rientro, all'autorità
giurisdizionale competente o all'Autorità centrale dello Stato membro nel quale il
minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell'illecito trasferimento.
Il regolamento non specifica quali siano i criteri in base ai quali debba essere adottata la
decisione del giudizio che si apre di fronte al giudice della residenza abituale, né viene
indicato quali elementi debbano essere presi in considerazione per l'adozione della
decisione, con la quale si confermi il provvedimento di non restituzione oppure si ordini
il rientro del minore. Differentemente dal giudice del luogo in cui il minore è stato
condotto, infatti, il giudice della residenza abituale è competente a pronunciarsi anche in
ordine all'affidamento. Secondo il disposto dell'art. 11, par. 7 del regolamento il giudice
della residenza abituale deve valutare “la questione dell'affidamento del minore”.
Parimenti, l'art. 10, iv) prevede un trasferimento di competenza dal giudice della
residenza abituale a quello dello Stato in cui il minore sia stato condotto nel caso in cui
il primo abbia emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del
minore. Assegnando quindi l'ultima parola sulla questione del ritorno allo stesso giudice
cui è riservata la competenza a deliberare sulla definitiva regolamentazione dei rapporti
familiari, si deduce che il regolamento abbia inteso istituire un collegamento di tipo
sostanziale tra l'eventuale ordine di restituzione e la deliberazione circa l'assetto
definitivo dei rapporti genitoriali, per cui il ritorno potrebbe essere disposto solo qualora
si decidesse di affidare il minore allo stesso genitore che ne richiede il rientro. Se si
accogliesse un'interpretazione siffatta, la decisione sull'affidamento del minore conteso
47
assumerebbe carattere preliminare rispetto a quella sul ritorno51.
La questione interpretativa è stata affrontata dalla Corte di Giustizia dell'Unione
Europea nella sentenza Povse52, in relazione al trasferimento illecito di una minore
dall'Italia all'Austria. Il padre italiano aveva richiesto il rientro immediato della minore
alle autorità austriache presso il luogo della residenza abituale italiana, così come
previsto dalla convenzione dell'Aja del 1980. Essendo stato, tuttavia, negato il rientro
della minore sulla base dell'art. 13 lett. b) della convenzione, il Tribunale per i
minorenni di Venezia aveva ordinato l'immediato ritorno della minore in Italia, prima
ancora di deliberare in via definitiva sull'affidamento (art. 11, par. 8 del Regolamento
(CE) n. 2201/2003). A seguito della presentazione all'Austria dell'ordine di rientro,
specificamente munito di certificato ai sensi dell'art 42, le autorità austriache
presentavano ricorso in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Secondo l'opinione del
giudice remittente infatti il ritorno del minore sottratto avrebbe dovuto in ogni caso
fondarsi sull'attribuzione del diritto di affidamento allo stesso genitore che ne richiedeva
il rientro, e questo per evitare inutili spostamenti del minore da un luogo a un altro.
Inoltre, un accertamento più approfondito dei fatti rilevanti ai fini della decisione in
materia di affidamento, avrebbe garantito maggiore fondatezza del provvedimento sul
ritorno, rispetto ad una decisione assunta sulla base del procedimento monitorio previsto
dalla convenzione dell'Aja del 1980.
La Corte di Giustizia tuttavia non accoglieva tale interpretazione, reputandola priva di
fondamento ed argomentando che quando l'art. 11, par. 7 del Regolamento (CE) n.
2201/2003 affida al giudice della residenza abituale l'esame della questione inerente
all'affidamento del minore, “non fa che indicare l'obiettivo finale dei procedimenti
amministrativi e giudiziari, vale a dire la regolarizzazione della situazione del minore,
ma da ciò non è lecito dedurre che la decisione sull'affidamento del minore costituisca
condizione preliminare all'adozione di una decisione che dispone il ritorno del
minore53”.
Pertanto, il regolamento consente a tutti gli effetti di ordinare il rientro anche prima di
decidere sull'affidamento, in quanto secondo la Corte non sussiste alcun collegamento
necessario tra la deliberazione sull'affidamento del minore e il provvedimento che ne
51
52
53
PESCE C., “La sottrazione internazionale di minori nell'Unione Europea: il coordinamento tra il
Regolamento (CE) n. 2201/2003 e la convenzione dell'Aja del 1980,” cit., pp. 234 e ss
CGUE, 1° luglio 2010, C-211/10 PPU http://curia.europa.eu/
CGUE, 1° luglio 2010, C-211/10 PPU http://curia.europa.eu/
48
dispone il ritorno. L'urgenza e la celerità con cui la decisione di rientro deve essere
adottata non risulta compatibile con le tempistiche necessarie per poter assumere una
congrua decisione circa la responsabilità genitoriale, poiché il giudice competente
sarebbe costretto a decidere sull'affidamento senza disporre di tutti gli elementi e le
informazioni pertinenti. Appare chiaro, quindi, come l'obiettivo comune della
convenzione dell'Aja del 1980 e del Regolamento (CE) n. 2201/2003 sia quello di
consentire che la decisione sul merito dell'affidamento venga presa in presenza del
minore nel foro più appropriato, e cioè nel foro del luogo della residenza abituale. Ciò
da un lato, esclude in maniera definitiva che una decisione in ordine all'affidamento
debba essere necessariamente presa contestualmente all'emanazione dell'ordine di
ritorno, mentre dall'altro nulla vieta che il giudice della residenza abituale, una volta
ricevuti gli atti compiuti dal giudice del luogo in cui il minore è stato coinvolto, possa
decidere immediatamente sull'affidamento.
Emerge quindi una differenza fondamentale tra la convenzione dell'Aja del 1980 e il
Regolamento (CE) n. 2201/2003. Nel giudizio previsto dall'art. 11, par. 7 del
regolamento, infatti, la questione del ritorno non deve necessariamente essere distinta da
quella sull'affidamento, come invece imposto nel procedimento di ritorno instaurato ai
sensi della convenzione dell'Aja del 1980 in forza della preclusione dettata dall'art. 16,
ma starà al giudice della residenza abituale valutare se al momento in cui riceve gli atti
inerenti al procedimento di ritorno, dispone di sufficienti elementi per assumere una
decisione definitiva sul merito. Ai fini di tale pronuncia sarà, tuttavia, necessario che
tale giudice sia già stato prontamente investito del giudizio sul merito in base all'art. 10
del regolamento. L'ordine di rientro può essere inserito nel ben più ampio ambito di una
decisione che riguardi anche l'assetto delle relazioni genitoriali, anche se la decisione
inerente al ritorno si ritiene debba essere motivata separatamente e debba fondarsi
sull'art. 13 della convenzione dell'Aja, come imposto dall'art. 42 del regolamento, che
fissa il contenuto minimo che la decisione sul ritorno deve obbligatoriamente
presentare.
Le pronunce della Corte di Giustizia appena esaminate mostrano di considerare il
procedimento istituito dalla convenzione dell'Aja del 1980 e il giudizio previsto dal
Regolamento (CE) n. 2201/200 come momenti distinti di un solo procedimento. Il
procedimento di riesame previsto dal regolamento, poiché non subordinato al previo
esaurimento dei mezzi di impugnazione previsti dal diritto interno, produce notevoli
49
vantaggi sotto il profilo dell'economia processuale. L'unica condizione che permette al
giudice della residenza abituale di potersi pronunciare sul ritorno, è che il giudice del
luogo in cui il minore è stato trasferito abbia emanato un qualsiasi provvedimento sulla
base dell'art. 13 della convenzione dell'Aja del 1980. Il riesame rappresenta a tutti gli
effetti una valida alternativa ai mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento dello
Stato in cui il minore è trattenuto. È così che la decisione in merito viene sottratta al
primo giudice per essere trasferita allo Stato di residenza abituale.
Un'ulteriore e significativa pronuncia della Corte di Cassazione in tema di sottrazione
internazionale di minori è intervenuta il 14 luglio 2010 (sentenza n. 16549). La
peculiarità e l'importanza di tale pronuncia si fonda sull'aver applicato, forse per la
prima volta in maniera così esplicita, il principio di reciproca fiducia tra Stati membri.
La controversia riguardava un caso di sottrazione internazionale di una minore, nata da
una coppia di fatto residente in Italia, formata da madre spagnola e padre italiano. La
madre il 15 gennaio 2008 faceva ritorno in Spagna, precisamente a Cordoba, portando
con sé la figlia di circa un anno e mezzo di età. A seguito di ciò, il padre instaurava due
distinti procedimenti: il primo, a circa due mesi e mezzo dall'avvenuta sottrazione,
innanzi al Tribunale per i minorenni di Palermo, con l'intenzione di ottenere
l'affidamento esclusivo della figlia e la contestuale dichiarazione di decadenza della
madre dalla potestà genitoriale, e il secondo, di fronte alle autorità spagnole, invocando
l'art. 12 della convenzione dell'Aja del 1980.
Il Tribunale per i minorenni di Palermo, verificata la sussistenza della propria
giurisdizione, disponeva con decreto dell' 8 luglio 2008, emesso inaudita altera parte,
l'affidamento della minore in via provvisoria ed urgente al padre. Il Tribunale di
Cordoba, invece, respingeva la richiesta di rimpatrio della minore avanzata dal padre,
invocando l'art. 13 lett. b) della convenzione dell'Aja del 1980, ossia presumendo
l'esposizione della minore a pericoli psichici e fisici a causa del ritorno nel luogo di
residenza abituale.
A seguito della pronuncia del Tribunale di Cordoba, la madre avviava un procedimento
volto ad ottenere la custodia della figlia, mentre il padre adiva nuovamente il Tribunale
di Palermo per ottenere un provvedimento di rientro ai sensi dell'art 11, par. 8 del
Regolamento (CE) n. 2201/2003. È in questo contesto che i giudici italiani, a quanto
consta senza precedenti54, dimostrano di dare piena fiducia all'operato delle autorità
54
CARPANETO L., “Reciproca fiducia e sottrazione internazionale di minori nello spazio giuridico
50
spagnole, perché pur potendo esercitare i poteri loro conferiti dall'art. 11, par. 8 del
Regolamento (CE) n. 2201/2003, emanando un provvedimento che a tutti gli effetti
poteva superare la decisione di diniego di rimpatrio, ritengono invece di confermare
l'operato del Tribunale spagnolo, stante la sussistenza di fondati rischi per la minore in
caso di rientro.
Con decreto del 9 marzo 2009, il Tribunale per i Minorenni di Palermo, rigettava la
richiesta di rimpatrio presentata dal padre, revocava il precedente decreto che affidava
la minore al padre, e dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda
di affidamento esclusivo e alla domanda di decadenza di potestà genitoriale della
minore.
Il padre, successivamente, proponeva ricorso in Cassazione affermando l'avvenuta
violazione dell'art. 11, par. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003.
La Suprema Corte respingeva inaspettatamente il ricorso, confermando in maniera
definitiva la decisione del Tribunale dei Minorenni di Palermo.
La sentenza della Cassazione n. 16549/2010 mostra profili apprezzabili, poiché
rappresenta un rarissimo esempio di applicazione del principio della reciproca fiducia
nell'ambito della sottrazione internazionale di minori, che da sempre è terreno molto
delicato, in cui l'applicazione dell'art. 13, lett. b) della convenzione dell'Aja del 1980
non è stata sempre impeccabile da parte degli Stati aderenti.
Proprio per limitare tale fenomeno, gli strumenti previsti dell'art. 11, parr. 4 e 8, ossia
rispettivamente l'obbligo di rimpatrio del minore anche in caso di pericolo per lo stesso
ove lo Stato di residenza abituale dimostri di aver adottato le necessarie misure, e
l'assegnazione al giudice della residenza abituale del diritto a pronunciarsi per ultimo in
ordine al rientro, rappresentano sicuramente un grande passo in avanti.
Il ricorso dimostra come l'ambito della sottrazione internazionale di minori all'interno
dello spazio giuridico europeo, necessiti di maggiore sviluppo e cooperazione.
La decisione del Tribunale dei minorenni di Palermo di confermare la decisione delle
autorità spagnole, sottolinea come gli strumenti apportati dal regolamento esortino
un'interpretazione delle sue disposizioni nel senso della reciproca fiducia.
Alla lettura del ventunesimo considerando del Regolamento (CE) n. 2201/2003 questa
necessità emerge in maniera ancora più chiara, in quanto si afferma che il
riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni rese in uno Stato membro dovrebbero
europeo”, cit., 2011, p. 361 e ss.
51
fondarsi sul principio della fiducia reciproca e i motivi di non riconoscimento
dovrebbero essere limitati al minimo indispensabile.
La motivazione della sentenza della Cassazione n. 16549 è più che mai significativa
nella parte in cui afferma che sia il giudice del luogo in cui il minore è stato trasferito,
sia quello della residenza abituale hanno il compito di effettuare un bilanciamento tra
l'obiettivo di ripristino dello status quo ante e l'eventuale interesse del minore al
trasferimento. La valutazione dovrà quindi basarsi sulla considerazione di alcuni fattori
fondamentali, quali i motivi della sottrazione, la portata emotiva del''iniziativa del
genitore, le implicazioni che il trasferimento può aver comportato sulle condizioni di
vita del minore.
L'esigenza di bilanciamento dei vari interessi coinvolti nel caso specifico è
perfettamente coerente con l'art. 13 della convenzione europea sull'esercizio dei diritti
dei fanciulli, adottata dal Consiglio d'Europa il 25 gennaio 1996, che pone l'obbligo in
incoraggiare il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione delle
controversie familiari idoneo a favorire un accordo.
L'applicabilità del principio della reciproca fiducia tra Stati potrebbe non risultare
uniforme tra tutti gli Stati membri dell'Unione europea, ancor meno fra Stati che non vi
appartengono. Ciò sarà facilmente realizzabile tra ordinamenti affini quali quello
italiano e spagnolo, ma quando ad essere coinvolti in casi di sottrazione internazionale
di minori siano ordinamenti estranei al contesto europeo l'applicazione del principio
della reciproca fiducia potrebbe risultare più problematica. La condivisione di valori
etici e socio-culturali risulta essere la base di una normazione sovrastatale uniforme ed
omogenea. Di certo questo presupposto può venire meno quando ad essere coinvolti
siano Paesi molto lontani dalla tradizione giuridica occidentale, così come si cercherà di
far emergere nel capitolo successivo.
52
CAPITOLO TERZO
LA
SOTTRAZIONE
INTERNAZIONALE
DEI
MINORI
E
IL
DIRITTO
GIAPPONESE.
SOMMARIO: 1. Cenni introduttivi. - 2. L'evoluzione dell'istituto della famiglia giapponese. - 3. Gli
ostacoli socio-culturali all'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980. - 4. L'adesione del
Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 e le principali incompatibilità con il diritto interno. - 5. Il
rapporto tra diritto giapponese e diritto internazionale. - 6. Le raccomandazioni della Japan Federation of
Bar Association (JFBA). - 7.
Le iniziative intraprese dal governo giapponese ai fini dell'adesione
alla convenzione dell'Aja del 1980. - 8. L'esemplare caso giurisprudenziale Berti contro Kakinuma.
1. CENNI INTRODUTTIVI
Il cammino verso l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 sugli
aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, intrapreso a partire dal maggio
2011, trova le ragioni di un tale ritardo nella profonda difficoltà da sempre incontrata da
questo Paese nell'adeguarsi e nell'uniformarsi ai principi generali del diritto di famiglia
accolti da gran parte degli Stati del mondo occidentale.
Aderire alla convenzione dell'Aja implica, per una Paese come il Giappone, modificare
molti profili di diritto civile e costituzionale, frutto di una lunga tradizione sociogiuridica sviluppatasi all'interno di una comunità rimasta per molto tempo isolata e
lontana dal mondo occidentale. Le autorità giapponesi sono perfettamente consapevoli
che, per non rendere vana e
meramente formale l'adesione alla convenzione in
questione, sarà necessario apportare grandi modifiche al diritto interno, tali da renderlo
coerente e rispettoso dei principi convenzionali.
Per comprendere le ragioni di questo ultratrentennale ritardo può essere utile partire da
una sia pur breve analisi dell'evoluzione del concetto di famiglia in Giappone e delle
principali difficoltà incontrate da questo Paese nella trattazione del tema della
sottrazione internazionale dei minori.
53
2. L'EVOLUZIONE DELL'ISTITUTO DELLA FAMIGLIA GIAPPONESE
Sin dalle sue origini, l'esperienza giuridica giapponese appare fortemente influenzata
dallo sviluppo del comunitarismo e dal sistema di valori apportato dal confucianesimo,
in cui la figura del singolo doveva essere concepita come unità di un ordine
onnicomprensivo, al cui funzionamento il singolo doveva necessariamente contribuire 55.
Il principio di gerarchia e quello di differenzazione caratterizzavano anche l'ambito
familiare, all'interno del quale ciascuno doveva seguire le regole relative al proprio
status, nel pieno rispetto delle differenze gerarchiche, così da contribuire alla pace
sociale del proprio gruppo e al mantenimento dell'ordine cosmico. I vari contesti sociali,
tra cui spicca per primo quello della famiglia, infatti, si mostrarono sin da subito come
apparati estremamente indipendenti l'uno dall'altro. Già con l'avvento del regime
Tokugawa ( 徳川 1603-1867), i villaggi e i quartieri all'interno delle zone urbane
finirono per divenire piccole comunità semiautonome. La penetrazione dei modelli
giuridici occidentali sembrava dover necessariamente mettere fine a questa
organizzazione comunitaria della società, eppure così non fu per precisa scelta da parte
delle classi dirigenti, che decisero di guidare il processo di modernizzazione adottando,
da un lato modelli esterni, ma dall'altro conservando i valori sociali fondamentali
presenti all'interno del nucleo centrale della società: la famiglia. Quest'ultima venne
vista come quell'istituto in grado di mantenere solidità, coesione e stabilità sociale, nel
contesto del grande cambiamento apportato dall'apertura del Giappone al mondo
occidentale.
Sin dall'epoca Meiji ( 明治 1868-1912) la scelta maggiormente accolta fu quella
sintetizzata nell'espressione “spirito giapponese-tecnica occidentale”, in cui il rifiuto per
l'individualismo disgregatore che ispirava le codificazioni occidentali riusciva a
coniugarsi con la piena recezione dell'apparato tecnico-giuridico frutto dell'esperienza
europea.
All'istituto giuridico della famiglia venne assegnata la funzione di conservare e
mantenere saldi i principi che formavano l'identità nazionale giapponese. Il codice civile
del 1898, negli ultimi due libri incentrati sulla famiglia e sulle successioni ereditarie,
mostra come l'intero apparato sociale si sviluppi sul cosiddetto ie seido ( 家制度 =
55
TIMOTEO M., SERAFINO A., AJANI G., Diritto dell'Asia orientale, UTET GIURIDICA, Torino,
2007
54
sistema familiare), i cui principi fondanti si basavano sul wa (輪 = l'armonia) del gruppo
e sull'autorità massima del koshu (戸主 = capofamiglia).
Il koshu aveva il pieno controllo della ie, ossia della famiglia, potendo in ogni momento
escludere qualsiasi membro che recasse danno all'interesse familiare, essendo egli il
responsabile del registro di stato civile della famiglia (art. 747 Codice Civile giapponese
del 1898).
La tipica struttura familiare samuraica, la ie, venne ben presto estesa all'intera società e,
pur basandosi su un complesso e rigido sistema di obbligazioni, venne adottata come
modello organizzativo per eccellenza. L'ie seido ispirò la struttura delle imprese
moderne e il modello politico incentrato sul concetto di kazoku-kokka (家族国家), uno
Stato-famiglia retto dal Tenno ( 天皇= imperatore), che preso a modello da tutto il
sistema giapponese, rimarrà invariato sino alla fine della seconda guerra mondiale.
Nonostante l'apertura del Giappone a modelli europei, quindi, lo spirito comunitario non
venne intaccato nemmeno a seguito delle riforme del dopoguerra e dell'abolizione della
ie. I principi dell'armonia e della omogeneità sociale rimasero elementi imprescindibili
per lo sviluppo della nuova società giapponese con inevitabili riflessi nell'ordinamento
giuridico.
Il periodo successivo al secondo conflitto mondiale, fu caratterizzato da particolare
fervore nell'ambito della produzione normativa. Il 3 novembre 1946, infatti, veniva
promulgata la Costituzione giapponese ( 憲法), subito seguita nell'anno successivo dal
Codice Civile (民法).
Tuttavia, nonostante quest'ultimo all'art.256 attui pienamente il contenuto dell'art. 24
della Costituzione57, riconoscendo il principio di uguaglianza tra uomo e donna, il forte
senso della gerarchia e il predominio della figura maschile su quella femminile,
continuarono a manifestarsi ancora per un lungo periodo nella prassi. Per molto tempo,
ad esempio, non fu concesso alla donna di utilizzare nell'ambito professionale il proprio
cognome da nubile, proprio alla luce della necessità di salvaguardare l'unità della
56
57
Art. 2 codice civile giapponese del 1947: “このコードは、名誉、個人の尊厳と両性の本質的平
等拠し、これに従って解釈されるもである”(“Questo codice deve essere interpretato in modo da
onorarela dignità degli individui e l'uguaglianza essenziale tra i due sessi”.)
Art. 24 Costituzione giapponese del 1946: “結婚は、両性の合意に基づくものとなることを基本
夫婦が同等の権利を持つ、相互の協力により、維持されなければならない”
配偶者、財産権、相続、住居の選定、離婚並びに婚姻及び家族に関するその他の事項に関
しての 選択に関しては、法律は、個人の尊厳と本質的平等に立脚して、制定されなければ
ならない間。
55
famiglia58. In linea con il modello tradizionalista, la famiglia legittima per lungo tempo
fu la sola concepita e riconosciuta a livello normativo. Solo nel 1993 è stata riconosciuta
piena parità di trattamento tra figli legittimi e figli nati al di fuori di un contesto
matrimoniale.
È a partire dalla seconda metà degli anni '90 che, infatti, a seguito anche di una crisi
economica, il sistema di valori tradizionali ha iniziato a manifestare evidenti segnali
evolutivi non solo nella prassi sociale, ma anche a livello normativo, soprattutto a
seguito del drastico aumento del numero di divorzi. Il tema della violenza domestica è
stato finalmente affrontato da parte della Dieta giapponese ( 国会 Kokkai) nel 2001, ed
ha portato all'emanazione di una legge per la prevenzione di questo invisibile ma
dilagante fenomeno familiare.
Dal quadro appena tracciato emerge chiaramente come la logica dell'integrazione e
dell'omogeneità, che per così lungo tempo ha caratterizzato il sistema giapponese, stia
lentamente declinando. Si prospetta la necessità di importanti modifiche normative di
cui il Giappone sente fortemente il bisogno ma che fatica ad affermare definitivamente.
3. GLI OSTACOLI SOCIO-CULTURALI ALL'ADESIONE DEL GIAPPONE ALLA
CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980
Considerando che il numero di matrimoni misti tra un coniuge giapponese e l'altro di
nazionalità straniera, dal 1970 sino al 2005, è aumentato da 5000 a 40 000 59, è facile
comprendere come sia aumentato proporzionalmente anche il numero dei divorzi 60 e
che, a seguito di alcuni di essi, siano aumentati pure i casi di sottrazione internazionale
di minori. Ciò che preoccupa maggiormente è la constatazione del fatto che alla base del
trasferimento illecito del minore vi siano sempre più spesso casi di violenza domestica
in cui il genitore maltrattato mette in atto la pratica della sottrazione del figlio come
modalità di allontanamento dal coniuge violento61.
Questa situazione ha comportato la necessità per il Governo giapponese di doversi
accordare con gli altri Stati ai fini della cooperazione internazionale in materia.
58
59
60
61
Corte distrettuale di Tokyo (東京地裁), decisione 19-11-1993 relativa all'utilizzo da parte della donna
del proprio cognome da nubile in campo professionale, in 1486 Hanrei Jiho, p. 21.
http://www.mofa.go.jp/mofaj/press/
Cfr. appendice c)
ESPINOSA CALABUIG R., “La sottrazione dei minori nell'Unione europea: tra Regolamento n.
2201/2003 e convenzione dell'Aja del 1980”, in Diritto di famiglia e Unione europea,
GIAPPICHELLI, TORINO, 2008.
56
La scelta del Giappone di non aderire per il lunghissimo periodo di circa trenta anni a
questa convenzione, ha comportato un aumento consistente di trasferimenti illeciti di
minore entro i confini giapponesi. Si è, infatti, registrato un elevato numero di casi in
cui il genitore di nazionalità giapponese residente all'estero, soprattutto la madre, abbia
condotto, a seguito del divorzio, il minore in Giappone all'insaputa dell'altro genitore. I
Paesi maggiormente colpiti da tale pratica sono attualmente gli Stati Uniti, l'Inghilterra,
il Canada e la Francia62.
Come conseguenza di tale tendenza, si stanno registrando crescenti casi in cui viene di
fatto negato al genitore giapponese divorziato e residente all'estero di poter trascorrere
con i propri figli anche solo brevi periodi di vacanza in Giappone. Consapevoli dei
rischi sopra esposti, infatti, molti Paesi, al fine di evitare conseguenze talvolta
irreparabili, hanno deciso di adottare la pratica dell'emanazione di divieti di espatrio per
i minori nati da coppie separate con la doppia nazionalità, tra cui quella giapponese.
Due sono le ragioni principali che stanno alla base della tardiva adesione del Giappone
alla convenzione dell'Aja del 1980. La prima risiede nel timore di negare una tutela
effettiva alle mogli giapponesi residenti all'estero e sposate con uomini di diversa
nazionalità, nel caso in cui queste risultino vittime di violenza domestica, e la seconda
viene ravvisata nella incompatibilità tra le disposizioni della convenzione dell'Aja del
1980 e il diritto interno giapponese63. Numerosi casi verificatisi dimostrano, infatti, che
il motivo di rientro della donna nel proprio paese di origine, risiede nell'impossibilità di
dare proseguo al rapporto coniugale, a causa delle violenze subite all'interno delle mura
domestiche64.
In realtà, la pratica di ritorno nel paese di origine insieme ai propri figli senza il
consenso dell'altro genitore, trova fondamento nella cultura giapponese, che nel tempo
si è mostrata, anche solo implicitamente, favorevole alla sottrazione dei minori,
considerata una sorta di male minore, e allo stesso tempo necessario, per poter porre
fine al problematico rapporto coniugale. Esistono, quindi, ragioni socio-culturali che nel
tempo hanno in qualche misura giustificato e quindi indirettamente permesso la
62
Cfr. appendice d)
“Japanese officials have identified two obstacles to Japan’s accession. First, Japan is concerned that
many of the women fleeing the child’s habitual residence and returning to Japan may be trying to escape
domestic violence. Second, Japan has expressed that cultural differences make Japanese law and custom
incompatible with the Convention.”
COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction: real
change or political maneuvering”, in Oregon review oj International law, 2010, pp.369 e ss.
64 Www.mofa.go.jp/mofai/press/release/23/2/0202
63
57
diffusione di questo triste fenomeno. La non adesione del Giappone alle convenzioni
internazionali che trattano questo problema rende a tutti gli effetti questo Paese
esonerato dal dover rispondere degli obblighi internazionali che l'adesione invece
comporterebbe. Proprio in ordine a questa considerazione, a seguito di numerosi casi di
sottrazione internazionale di minori che hanno coinvolto Stati Uniti e Giappone, le
autorità americane hanno più volte esortato il Giappone ad aderire alla convenzione
dell'Aja del 1980. Secondo il pensiero di Kurt Campbell, segretario del Bureau of East
Asian Affairs (dipartimento USA che si occupa di questioni legate all'Asia orientale),
infatti, l'esigenza di protezione delle donne giapponesi vittime di violenza domestica,
considerata come una delle principali ragioni di non adesione alla convenzione dell'Aja
del 1980, sarebbe di per sé priva di fondamento.
Anche il Vice Segretario Generale della Conferenza dell'Aja di diritto internazionale
privato William Duncan è intervenuto in una conferenza stampa ed ha affermato che
particolari ostacoli tra il diritto interno giapponese e le disposizioni della convezione
dell'Aja del 1980 non sarebbero ravvisabili. Il vero motivo della non adesione, infatti,
secondo il suo avviso risiederebbe nelle difficoltà incontrate dal Giappone nel confronto
con altri ordinamenti. Ma proprio per questo forse sarebbe auspicabile per questo Paese
aderire alla convenzione. Le differenze culturali sono importanti, ma il rispetto per le
culture è una strada a doppio senso65. Ogni giorno i Tribunali degli Stati aderenti alla
convenzione dell'Aja del 1980 si misurano con culture diverse e il superiore interesse
dei minori può essere il terreno comune su cui poter fondare una maggiore
collaborazione.
4. L'ADESIONE DEL GIAPPONE ALLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980 E
LE PRINCIPALI INCOMPATIBILITA' CON IL DIRITTO INTERNO
I primi passi verso l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 sugli
aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, come anticipato, sono stati
compiuti nel maggio 2011.
Come si è visto, molteplici aspetti hanno reso problematica tale adesione, a causa
dell'incompatibilità emersa tra le disposizioni della convenzione con i principi di diritto
65
“Our cultural differences are important, but respect for cultures is a two-way street”.
COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction:
real change or political maneuvering”, cit., 2010, pp. 369 e ss.
58
interno giapponese.
Il primo ordine di problemi riguarda i profili costituzionali del diritto di famiglia. L'art.
22 della Costituzione giapponese prevede il diritto fondamentale che garantisce a
chiunque, anche ai minori, di poter scegliere e modificare il proprio luogo di residenza.
Ordini di rimpatrio provenienti dall'estero e diretti al minore così come previsti dalla
convenzione potrebbero, pertanto, presentare dei contrasti con la costituzione e con la
libertà di cui il minore è titolare66.
Tuttavia l'aspetto problematico, forse il più rilevante, riguarda la disciplina giapponese
dello scioglimento del matrimonio. Non si prevede l'esercizio congiunto della potestà
genitoriale o di qualsiasi altra forma di collaborazione tra i coniugi separati o divorziati.
A seguito dello scioglimento del vincolo matrimoniale la potestà, infatti, spetta in
maniera esclusiva ad uno solo dei genitori, che ne diviene l'unico titolare.
I primi due commi dell'art. 819 del Codice civile giapponese affermano che quando i
due genitori divorziano consensualmente, l'accordo deve stabilire quale sia il genitore al
quale viene affidata la potestà genitoriale. Se, invece, il divorzio è giudiziale, è il
Tribunale a stabilirlo67.
In entrambe le tipologie di divorzio, quindi, tramite accordo fra coniugi o tramite
l'intervento del Tribunale, il minore verrà assegnato a solo uno dei due genitori. Ciò
comporta l'inevitabile esclusione dell'altro genitore dalla vita del minore, da qualsiasi
decisione in ordine alla sua educazione o alla sua istruzione. Attualmente nella
maggioranza dei casi è il padre a perdere i contatti con il proprio figlio, mentre sino alla
metà degli anni '60 la situazione era opposta68.
Gli art. 82069 e seguenti del Codice Civile mettono in evidenza la normalità
66
67
68
69
Art. 22 della Costituzione giapponese: “それぞれの人が選択して、彼の住居を変更し、それが公
共の福祉に反しない程度に彼の職業を選択する自由を持っている必要があります。
外国に移住し、国籍を売却することをすべての人々の自由は不可侵である”.(Ogni persona
avrà la libertà di scegliere e di cambiare la propria residenza e di scegliere la sua occupazione, nei
limiti in cui ciò non sia in contrasto con il benessere pubblico.La libertà di tutte le persone di
trasferirsi in un paese straniero e di spogliarsi della loro nazionalità è inviolabile”.)
Art. 819 Codice civile giapponese: “両親は、双方の協議によって離婚をする場合、同意によっ
て親権を得る。
協議離婚が成立しない場合は、裁判によって離婚、そして裁判所が親権を定める。” (Ove
la separazione tra i coniugi avvenga consensualmente, le parti possono accordarsi circa la potestà dei
minori coinvolti. Se la separazione è giudiziale, deciderà il Tribunale.)
ORTOLANI A., “Convenzione dell'Aia sulla sottrazione internazionale di minori: dico la mia (parte
II)”, in Il diritto c'è ma non si vede, 17 ottobre 2011,
http://dirittogiapponese.wordpress.com/2011/10/17/convenzione-dellaia-sulla-sottrazioneinternazionale-di-minori-dico-la-mia-parte-ii/
Art: 820 del Codice Civile giapponese: “親権を持つ者は、子の監護及び教育に関しての権利、
59
dell'esclusione del genitore non affidatario dalla vita del minore, affermando che solo
uno dei due genitori si assumerà l'obbligo e la responsabilità dell'educazione, della
formazione e del mantenimento del figlio, il luogo in cui il minore dovrà vivere
(art.82170), e la piena gestione dell'eventuale patrimonio di cui il minore sia titolare.
Inoltre, se necessario il genitore affidatario potrà esercitare il proprio potere educativo
anche tramite punizioni (art. 82271), e nel caso in cui il minore decida di intraprendere
dopo la scuola dell'obbligo (15 anni) un'attività lavorativa, il genitore affidatario avrà la
facoltà di esprimere il proprio rifiuto, negandogli di fatto tale possibilità (art.82372).
In realtà, l'art. 76673 del Codice Civile giapponese prevede la libertà delle parti di
accordarsi circa la custodia del minore, ma in ogni caso il Tribunale potrà intervenire
ove lo ritenga necessario ai fini della protezione dell'interesse del minore.
La custodia congiunta è praticamente inesistente, ed è anzi considerata contraria al
benessere del minore. I rapporti tra coniugi separati o divorziati di fatto si interrompono
drasticamente: le disposizioni del Codice Civile, sopra indicate, mirano ad attenuare le
eventuali conseguenze pregiudizievoli alla serena crescita del minore, in una maniera
che nell'ottica occidentale potrà sembrare paradossale, ossia affidando ad uno solo dei
genitori la quasi totalità dei poteri sul minore.
Oltre le incompatibilità tra la disciplina della separazione e le disposizioni contenute
all'interno della convenzione dell'Aja del 1980, ulteriore aspetto problematico riguarda i
poteri da attribuire all'Autorità centrale.
Come precedentemente emerso dall'analisi delle disposizioni che la convenzione
dell'Aja dedica all'Autorità centrale, si prevede che quest'ultima goda di poteri effettivi
di esecuzione delle decisioni straniere in ordine al rimpatrio del minore. L'estrema
義務を保持する。” (“La persona che esercita la patria potestà gode del diritto e si assume il
dovere di curare ed educare il minore)
70 Art. 821 del Codice Civile giapponese: “子の住居は親権者が決定しなければならない
権威” (“La residenza di un minore è determinata dalla persona che ne esercita la potestà”)
71 Art. 822 del Codice Civile giapponese: “親権を行う者は、子供をしつける義務を与えられる
[...]” ( “La persona cui è affidata la potestà può esercitare sul minore il proprio potere disciplinare
nella misura in cui sia necessario [...]”)
72 Art. 823 Codice Civile giapponese: “子供は人の許可を得ずに、職業を営むことができない人
親権を行う”(“Il minore non può svolgere attività lavorativa senza il consenso della persona che ne
esercita la potestà”)
73 Art. 766 Codice Civile giapponese: “両親は、この協議によって離婚をした場合、子供の上に親
権を持つことになり、親権に関するその他必要な事項は、そのことによって決定されなけれ
ばならない合意。合意がなされていない、又は協議をすることができない場合、家庭裁判所
で決定”(“Ove il divorzio avvenga consensualmente, l'accordo che stabilisce della potestà del minore
deve disciplinare tutte le altre questioni necessarie in merito all'affidamento. Ove l'accordo non sia
avvenuto, deciderà sulla questione il Tribunale”)
60
difficoltà di ottenere l'esecuzione forzata delle sentenze straniere in materia di diritto di
famiglia rende a tutti gli effetti il Giappone un territorio ideale all'interno del quale poter
compiere la sottrazione internazionale di un minore. Inoltre, considerando che in
materia civile e più specificamente nelle questioni inerenti il diritto di famiglia, le
autorità giapponesi hanno poteri estremamente limitati circa l'esecuzione forzata delle
sentenze, appare immediatamente chiaro come l'istituzione nell'ordinamento giapponese
di un'Autorità centrale, così come prevista dalla convenzione dell'Aja, possa essere
particolarmente difficoltosa.
Potrebbe essere auspicata una modifica radicale del sistema di esecuzione delle
decisioni, ma anche ove questo fosse immediatamente realizzato, di certo non può
pensarsi che un tale cambiamento possa essere maturato dalle corti locali in maniera
così repentina. Ove, inoltre, dovessero essere attribuiti poteri più estesi all'Autorità
centrale, rispetto a quelli normalmente goduti dalle corti interne giapponesi, potrebbero
venirsi a creare disparità di trattamento tra casi di separazione che coinvolgono coppie
miste e casi in cui, invece, i coniugi sono entrambi di nazionalità giapponese, disparità
non costituzionalmente accettabile.
Per questa serie di motivi si auspicherebbe una riforma della disciplina inerente alla
custodia dei figli e alla potestà genitoriale, soprattutto considerando che secondo
l'ordinamento giapponese il condurre un minore all'interno dello Stato da parte di uno
solo dei genitori contro la volontà o all'insaputa dell'altro, di fatto non costituisce un
illecito.
5. IL RAPPORTO ESISTENTE TRA DIRITTO GIAPPONESE E DIRITTO
INTERNAZIONALE CONVENZIONALE
Stante il generale obbligo di osservanza delle norme di diritto internazionale
consuetudinario da parte di tutti gli Stati che compongono la comunità internazionale, e
a cui anche il Giappone è sottoposto, nel corso della sua storia questo Paese ha
dimostrato un atteggiamento di forte chiusura verso il diritto internazionale
convenzionale. Per lungo tempo le corti giapponesi si sono mostrate, infatti, restie
all'applicazione delle convenzioni cui il Giappone ha aderito negli anni, spesso ne hanno
ignorato i principi e disapplicato le disposizioni.
La semplice adesione ad una convenzione non è stata, e talvolta non è ancora,
61
sufficiente per modificare o apportare novità all'interno dell'ordinamento giapponese.
Questa tendenza ha portato più di una volta la Federazione giapponese dell'Ordine degli
Avvocati (JFBA), ad affermare che gli obblighi imposti dalle convenzioni di diritto
internazionale cui il Giappone ha aderito esistano formalmente, ma che la percezione
comune sia quella di negarne l'effettiva vincolatività, in quanto non esiste un solo
esempio in cui il diritto internazionale abbia funzionato come una normale norma di
diritto interno74. Anche Masami Ito, giudice della Corte Suprema giapponese non più in
carica, ha affermato questa generale tendenza, ed anzi ha aggiunto che questo
atteggiamento scarsamente collaborativo viene manifestato da parte delle Corti locali in
tre principali maniere: la prima è quella di ignorare integralmente l'esistenza di norme
internazionali convenzionali nelle controversie da loro trattate; la seconda è quella di
preferire interpretazioni costituzionalmente orientate e molto raramente fare riferimento
al diritto internazionale pattizio; infine, la terza è quella di riconoscere solo
eccezionalmente l'avvenuta violazione di norme internazionali, soprattutto in tema di
diritti umani. Gli ambiti maggiormente coinvolti riguardano la normativa sulle impronte
digitali degli stranieri, la nazionalità dei minori, i diritti sociali e politici degli stranieri,
il risarcimento di guerra agli stranieri e il trattamento dei minori nati da unioni di fatto.
In un solo ed unico caso verificatosi nel 196675 le corti hanno comminato
l'annullamento di uno statuto perché contrario ai trattati che affrontano la tematica dei
diritti umani e nello specifico dell' ILO n. 9876.
Anche in ordine alla diretta applicabilità della Convenzione sui diritti del fanciullo i
Tribunali giapponesi hanno dimostrato le loro perplessità. Le opinioni sembrano
dividersi tra chi ne afferma il diretto ed immediato valore vincolante e tra chi, invece,
come il gruppo di Avvocati che collabora con il Governo e il Ministro della Giustizia, è
di avviso contrario. Secondo l'opinione maggioritaria la diretta applicabilità di una
convenzione internazionale a cui si decide di aderire dovrebbe rendersi effettiva solo
ove le intenzioni degli Stati aderenti risulti in questo senso chiara e consapevole e ciò
possa trovare conferma nel testo della convenzione e nei lavori preparatori. Nel caso
specifico della Convenzione sui diritti del fanciullo la diretta applicabilità è stata negata
74
75
76
JFBA, “Report on the application and practice in Japan of the International covenant on civil and
political rights”, 1993.
Corte distrettuale di Tokyo, decisione del 20 settembre 1966, in ordine all'annullamento di uno statuto
ritenuto contrario alla convenzione ILO n. 98.
Convenzione ILO n. 98 concernente l'applicazione dei principi del diritto di organizzazione e di
negoziazione collettiva, adottata a Ginevra il 1 luglio 1949.
62
per una serie di ragioni che riguardavano soprattutto la scarsa precisione mostrata dalle
disposizioni, dal fatto che la diretta applicabilità della convenzione non risultasse in
maniera sufficientemente chiara dal disposto dei lavori preparatori, e che l'adesione
degli Stati alla convenzione comportasse la necessità di adattare il diritto interno ai
principi ispiratori della convenzione stessa.
Appare immediatamente chiaro come l'impatto così peculiare che il diritto
internazionale pattizio ha generato all'interno del sistema giapponese, renda complicata
per questo Paese l'adesione a qualsiasi convenzione internazionale. I presupposti da cui
si parte si mostrano totalmente diversi da quelli europei, o più in generale occidentali. Il
Giappone per secoli chiuso e restio ad aprirsi al resto del mondo, ha conservato questa
diffidenza anche nell'ambito normativo e nei rapporti con gli altri Stati. Quello che ci si
propone tra gli Stati membri dell'Unione europea attraverso la diffusione del principio
del mutuo riconoscimento delle decisioni anche tramite l'entrata in vigore del
Regolamento (CE) n. 2201/2003, sembra quasi del tutto irrealizzabile quando ad essere
coinvolto è un sistema così anomalo. In quest'ottica forse può spiegarsi la difficoltà
incontrata dal Giappone nell'aderire alla convenzione dell'Aja del 1980, la cui portata ha
certamente diretta influenza anche nel diritto interno.
6. LE RACCOMANDAZIONI DELLA JFBA (JAPAN FEDERATION OF BAR
ASSOCIATION)
Il 18 febbraio 2011 la Japan Federation of Bar Associations (JFBA), la Federazione
giapponese dell'Ordine degli Avvocati, dotata di grande rispetto e considerazione nel
Paese, ha redatto un documento ufficiale 77 nel quale ha espresso la propria opinione
circa l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della
sottrazione internazionale di minori. In questo documento ha elaborato delle
raccomandazioni volte a guidare le attività governative verso una corretta ed effettiva
adesione alla convenzione.
La JFBA si è mostrata sin da subito favorevole all'adesione del Giappone alla
convenzione dell'Aja del 1980, non solo perché apporta delle procedure necessarie ed
77
JFBA, Statement of opinion on Recommended Measures to be taken on the Conclusion of the
Convention on the Civil Aspects of International Child Abduction ( the Hague Convention ), 2011,
www.nichibenren.or.jp/en/document/data/110218.pdf
63
inesistenti nell'ordinamento nazionale nei casi di sottrazione internazionale di minori,
ma anche perché l'aderire ad una convenzione che prevede procedure analoghe in ogni
Stato aderente può di fatto scoraggiare i genitori ad attuare l'illecito trasferimento del
proprio figlio, rendendo forse realizzabile la diminuzione di casi di sottrazione di
minore, che per molto tempo hanno trovato nel territorio giapponese un luogo
favorevole a questa pratica.
Alcune dirette conseguenze che possono derivare dall'adesione alla convenzione
dell'Aja del 1980, rimangono estremamente controverse se analizzate dall'ottica del
diritto giapponese. Ad esempio, la convenzione partendo dal presupposto che ogni
trasferimento di minore senza il consenso di entrambi i genitori sia per sua natura
illecito, le motivazioni che spingono un genitore a sottrarre il minore, raramente
vengono prese in considerazione. Ciò preoccupa in qualche maniera le autorità locali, in
quanto la valutazione dei motivi che stanno alla base di una sottrazione di minore viene
ritenuta in Giappone indispensabile in casi delicati come questi. Inoltre, la JFBA ritiene
che al momento dell'adesione alla convenzione, sarebbe consigliabile per il Giappone
ratificare anche il Protocollo addizionale previsto dalla Convenzione internazionale sui
diritti civili e politici del 1976 e il Protocollo addizionale previsto dalla Convenzione
sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne del 1979, in modo da
adottare le procedure che tali Protocolli addizionali prevedono. Questi Protocolli
addizionali prevedono entrambi un procedimento per i reclami individuali, in base al
quale i singoli cittadini degli Stati membri possono sottoporre reclami (le
comunicazioni) al vaglio del Comitato per i Diritti Umani 78 e al Comitato per i diritti
delle donne, il cui compito sarà quello di esaminare periodicamente le relazioni inviate
dagli Stati membri circa il rispetto e l'osservanza delle Convenzioni.
In più, dovrebbero essere incrementate le campagne volte ad una maggiore
informazione, che precedendo e seguendo l'entrata in vigore della convenzione dell'Aja
del 1980, tengano l'opinione pubblica costantemente informata. In particolar modo
rivolte ai cittadini giapponesi che vivono all'estero, soprattutto nei Paesi aderenti alla
convenzione, tali informazioni dovrebbero concentrarsi sulle tematiche della custodia
dei figli, della legge sul divorzio e sulla sottrazione di minore, specificando se nel
singolo Paese la sottrazione, in base al diritto penale interno, costituisca o meno un
78
Il Comitato per i Diritti Umani è un organo composto da 18 membri nominati dagli Stati membri delle
Nazioni Unite.
64
crimine. In quest'ottica, infatti, il Giappone sta proponendo di avviare un dialogo con gli
altri Stati aderenti alla convenzione dell'Aja del 1980 le cui
normative penali
prefigurano la sottrazione internazionale di minori come un reato, con l'intento di
accordare che la volontaria restituzione del minore da parte del genitore che ha attuato il
trasferimento, sia condizione sufficiente per non sottoporlo ad azione penale.
La relazione redatta dalla JFBA mostra come secondo l'opinione della Federazione
l'ordine di esecuzione, con il quale rendere vincolante il disposto della convenzione
dell'Aja del 1980 all'interno dell'ordinamento giapponese, debba presentare le seguenti
condizioni:
1) l'ordine di ritorno può non essere attuato in Giappone non solo nei casi di pericolo di
esposizione del minore ad abuso o violenza domestica ma anche nel caso in cui il
genitore che ha eseguito la sottrazione può essere soggetto a procedimento penale al
ritorno nel Paese di residenza abituale;
2) il minore deve essere adeguatamente ascoltato, così da attuare il procedimento di
rimpatrio nella maniera più adeguata;
3) la legge di ratifica deve specificamente prevedere delle disposizioni riguardanti nel
dettaglio i poteri da attribuire all'Autorità centrale ed adeguate norme procedurali in
materia di esecuzione dell'ordine di ritorno e della eventuale opposizione a quest'ultimo;
4) nel procedimento di adattamento deve affermarsi inequivocabilmente che la
convenzione dell'Aja non ha valore retroattivo, non potendosi applicare a casi di
sottrazione internazionale di minore verificatisi prima della sua entrata in vigore in
Giappone;
5) deve essere concesso un periodo di circa tre anni prima dell'effettiva entrata in vigore
della convenzione dell'Aja del 1980.
Inoltre, nonostante la convenzione dell'Aja preveda delle eccezioni all'obbligo del
ritorno (art. 13), quello che si teme in Giappone è la possibilità che tali clausole possano
essere interpretate in maniera restrittiva, dando assoluta precedenza al rientro del
minore. Non si tiene conto, infatti, che molto spesso la causa della sottrazione
internazionale di un minore condotto in Giappone dalla madre, così come
precedentemente esposto, è data dalla violenza domestica di cui è vittima nello Stato di
nuova residenza. Per un ordinamento come quello giapponese è paradossale e quasi
inaccettabile che il rientro di una donna nel proprio Paese di origine con il figlio, a
causa di una situazione intollerabile all'interno del cotesto coniugale, non solo la
65
esponga all'obbligo della restituzione del minore, ma anche alla possibilità di essere
sottoposta a procedimento penale a causa della sottrazione.
Al momento dell'effettiva adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja, inoltre, sarà
necessario che vengano definiti in maniera esauriente alcuni ulteriori aspetti. In primo
luogo, le espressioni quali quella della “situazione intollerabile” di cui tratta l'art. 13,
che ad una prima lettura appaiono eccessivamente vaghe ed imprecise, dovrebbero
essere definite in maniera più compiuta. Altrettanto compitamente, dovrebbero essere
elaborate disposizioni che iindichino i criteri in base ai quali individuare i tribunali che
sono dotati di giurisdizione sulle azioni di restituzione del minore, sulla procedura di
rimpatrio, e sulla possibilità di proporre impugnazione contro le decisioni pronunciate.
Anche i metodi di assunzione delle prove non dovrebbero essere limitati alle prove
documentali, ma si dovrebbe consentire l'adozione di altri metodi, purché compatibili
con le esigenze di celerità prescritte dalla convenzione dell'Aja del 1980.
Per quanto concerne il minore, infine, la relazione redatta dalla Federazione ha fatto
emergere l'esigenza di adottare procedure per reperire il minore sottratto tentando la via
della mediazione anche tramite il coinvolgimento di esperti come ad esempio gli
investigatori che collaborano con i tribunali e psicologi infantili.
Secondo quanto affermato dalla JFBA difficilmente l'entrata in vigore della convenzione
dell'Aja del 1980 eliminerà le perplessità sopra esposte, ma proprio per questo si
auspica una maggiore discussione e un maggiore confronto sul tema anche nei mesi a
seguire. Infatti: “the JFBA will continue to dissiminate informations among its members
on the issue of the removal or retention of children across borders, and express its
opinion on and give consideration to the development of appropriate actions in such
circumstances from the prospective of the protection of human rights79”.
7. LE INIZITIVE INTRAPRESE DAL GOVERNO GIAPPONESE AI FINI
DELL'ADESIONE ALLA CONVENZIONE DELL'AJA DEL 1980
Quello della sottrazione internazionale dei minori, che nella maggioranza dei casi è la
conseguenza di un divorzio o di una crisi coniugale, è un tema al centro di un dibattito
giuridico particolarmente acceso negli ultimi anni in Giappone. L'opinione pubblica si
divide tra chi auspica l'accoglimento di una normativa internazionale che regoli e limiti
tale fenomeno e chi, invece, si oppone fermamente all'adesione alla convezione dell'Aja
79
JFBA, cit., 2011, www.nichibenren.or.jp/en/document/data/110218.pdf, p. 11
66
del 1980.
Già nel febbraio 2010 l'ex Primo Ministro giapponese Yukio Hatoyama aveva
dichiarato, anche sulla base della forte pressione esercitata sul Giappone da altri Paesi,
di voler intraprendere le attività necessarie all'adesione, precisando però la necessità per
il Governo di lavorare sulla tematica ancora per un altro anno.
L'incremento dell'interesse a che il Giappone aderisca alla convenzione dell'Aja del
1980 è dovuto all'aumento dei casi di sottrazione internazionale di minori in cui il
Giappone risulta coinvolto. In Canada, Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Francia il
numero di child abductions dal 2007 al 2009 è raddoppiato, mentre dal 2005 al 2009
risulta addirittura quadruplicato80.
Il 21 maggio 2009 Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Francia hanno emesso un
comunicato stampa comune il cui intento era quello di esortare l'adesione del Giappone
alla convenzione dell'Aja, in quanto questo Paese rappresenta per loro un alleato
importante con cui condividono molti valori, e ciò rende l'incapacità di trovare una
soluzione concreta ai casi di sottrazione internazionale di minori particolarmente
preoccupante81.
Il comunicato stampa congiunto non è l'unica azione comune intrapresa dagli Stati
membri della convenzione dell'Aja del 1980. Gli inviati di otto Paesi, infatti, si sono
incontrati con il Ministro degli Esteri giapponese Okada ( 岡 田 ) per spiegare
ulteriormente l'importanza che l'adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja
potrebbe assumere.
Anche nel novembre 2009, a dimostrazione del grande interesse suscitato dalla
questione e in vista del viaggio del Presidente americano Obama in Giappone, era stata
redatta da ventidue Senatori del Congresso americano una relazione volta ad
promuovere il dialogo tra il Primo Ministro Hatoyama e il Presidente Obama circa il
coinvolgimento del Giappone in numerosi casi di sottrazione internazionale di minori.
Sulla base di queste numerose esortazioni, è significativo ricordare le attività intraprese
dal Governo giapponese finalizzate non solo allo studio delle modifiche da apportare
alla normativa interna in vista dell'adattamento alla convenzione dell'Aja del 1980 ma
80
81
COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction:
real change or political maneuvering”, cit., 2010, pp. 369 e ss.
“Japan is an important ally and partner and we share many common values. This makes our failure to
develop a tangible solution to most cases of parental child abduction in Japan particularly troubling.”
COSTA J., “If Japan signs the Hague convention on the civil aspects of international child abduction:
realchange or political maneuvering”, cit., 2010, pp. 369 e ss.
67
anche a comprendere il pensiero comune dei cittadini giapponesi riguardo l'argomento.
Tali attività sono state intraprese dal dicembre 2009, anno in cui è stata istituita
all'interno del Ministero degli Esteri giapponese una sezione speciale il cui compito
principale è quello fornire consulenza in ordine alla protezione dei minori.
Nel febbraio 2010 è stata intrapresa un'importante collaborazione tra il Ministero degli
Esteri e il Ministero di Grazia e Giustizia, volta allo svolgimento presso ogni
ambasciata straniera con sede in Giappone di seminari, la cui funzione è quella di
trattare il tema della sottrazione internazionale dei minori e discutere della probabile
adesione del Giappone alla convenzione dell'Aja del 1980.
Dal maggio sino al novembre 2010 il Ministero degli Esteri ha pubblicato, sul proprio
sito ufficiale, un sondaggio rivolto a tutti i cittadini giapponesi, il cui obiettivo è stato
quello di comprendere il pensiero maggioritario all'interno dell'opinione pubblica, circa
l'argomento della sottrazione internazionale dei minori. Le domande principali
contenute nel sondaggio, riguardavano soprattutto la valutazione dei vantaggi e degli
svantaggi che l'adesione alla convenzione dell'Aja può comportare in uno Stato come il
Giappone che, insieme alla Russia, da anni si mostra restio all'accoglimento di una
normativa internazionale che regoli la materia.
Le opinioni favorevoli all'adesione alla convenzione dell'Aja mostrano chiaramente
come ormai si senta la necessità di fornire una tutela internazionalistica effettiva ai casi
di sottrazione di minore, per superare una mentalità che in un modo o in un altro sta
assecondando questo fenomeno. Il Governo giapponese non può, infatti, perpetuare
questa inattività e deve accettare che la convezione dell'Aja del 1980 può effettivamente
fornire la tutela adeguata di cui i casi di questo tipo necessitano urgentemente.
Le opinioni contrarie, invece, mettono in risalto l'incompatibilità della convenzione
dell'Aja del 1980 con la cultura socio-giuridica del Giappone, evidenziando che la
gestione dei casi di sottrazione internazionale di minori secondo il diritto interno
rimanga l'unico modo per offrire una tutela completa ed effettiva ai casi che
coinvolgono ex coniugi in difficoltà a seguito del divorzio con minori a carico,
confermando con ciò la poca fiducia che l'ordinamento giapponese nutre nei confronti
delle forme di cooperazione internazionale82.
Ulteriori iniziative intraprese dal Governo giapponese si sono registrate nel gennaio
2011, quando il Segretario del Ministro di Grazia e Giustizia ( Fukuyama 福山) ha
82
Www.mofa.go.jp/mofai/press/release/23/2/0202_03.htlm
68
tenuto una conferenza il cui obiettivo era quello di spiegare apertamente il contenuto
della convenzione dell'Aja del 1980 e le iniziative intraprese per aderirvi. Per il
Giappone organizzare questo tipo di conferenza, rappresenta una vera eccezione, poiché
raramente il Governo giapponese sente l'esigenza di riportare pubblicamente le
decisioni governative adottate e giustificare il proprio operato. Ciò mette in evidenza
l'importanza della materia anche a livello mediatico.
8. L'ESEMPLARE CASO GIURISPRUDENZIALE BERTI CONTRO KAKINUMA.
Un caso giurisprudenziale, svoltosi in Giappone nel 1985, ben dimostra la tendenza per
molto tempo reiterata dai tribunali giapponesi, a non riconoscere nulla di illecito nella
sottrazione di minore compiuta da un genitore a danno dell'altro.
Il caso in questione83 ha visto confrontarsi di fronte alla Suprema Corte giapponese la
Sig.ra Mariarita Berti e il suo legale Toshiaki Hasegawa, contro il coniuge Hirotsugu
Kakinuma circa la avvenuta conduzione dei due figli, David Takehiro Kakinuma e
Nayumi kakinuma, in Giappone da parte del padre.
Il 20 marzo 1970 Mariarita Berti, di nazionalità italiana, sposava a Torino, Hirotugu
Kakinuma, di nazionalità giapponese. Nascono dall'unione tre figli, tutti di doppia
nazionalità giapponese ed italiana: David Takehiro, Nayumi e Yoshinao, rispettivamente
nati nel 1970, nel 1977 e nel 1980.
Dopo un lungo periodo di crisi coniugale, la Sig.ra Berti nel 1982 decideva di
presentare presso il Tribunale di Torino una richiesta di separazione. A circa un mese
dall'avvio delle pratiche di separazione, il Sig. Kakinuma senza il previo consenso della
moglie, conduceva i due figli più grandi David Takehiro e Nayumi in Giappone.
Il 4 agosto 1984 anche la madre si recava in Giappone chiedendo, senza ottenere
risposta, di poter incontrare i figli e decideva così di rivolgersi al Tribunale di Tokyo per
chiedere l'applicazione del Protection of Personal Liberty Act. Il 31 ottore 1984 l'Alta
Corte di Tokyo (高等裁判所= Koutousaibansho) rigettava la domanda, e la Sig.ra Berti
decideva di rivolgersi alla Suprema Corte (最高裁判所= Saikousaibansho) .
Il legale della Sig.ra Berti, l'Avv. Hasegawa, allegava alla presentazione della causa di
fronte alla Suprema Corte una precisa relazione a sostegno della propria assistita.
Innanzi tutto affermava che l'erronea interpretazione dell'art. 2 della Protection of
83
Suprema Corte giapponese (最高裁判所), caso n. 1388, 26 Febbraio 1985.
69
Personal Liberty Act (“Qualsiasi persona la cui libertà sia stata lesa senza lo
svolgimento di un giusto processo potrà chiedere l'applicazione del presente Atto 84”) e
dell'art. 3 del Rules on Protection of Personal Liberty ( “Sia nell'Atto sia nelle presenti
Rules per restrizione o lesione della libertà personale si intende l'arresto, internamento,
reclusione a causa delle quali la libertà della persona risulti limitata. Per persona in
detenzione si intende, quella la cui libertà risulti limitata per il fatto di trovarsi in uffici
governativi, ospedali e altri stabilimenti”) aveva portato l'Alta Corte di Tokyo ad una
non corretta decisione.
Stante il generale e poco chiaro disposto dell'art. 3 delle Rules on Protection of Personal
Liberty, il legale Hasegawa affermava che era avvenuta da parte della Koutousaibansho
un'interpretazione e un'applicazione delle disposizioni eccessivamente superficiale e
poco circostanziata.
Dall'analisi delle nuove condizioni di vita dei minori, che intanto avevano trovato
sistemazione presso l'abitazione dei nonni paterni, emerge chiaramente come né
Takehiro né Nayumi si trovassero in situazioni di arresto, internamento, reclusione ai
sensi dell'art. 3 del Protection of Personal Liberty. Ciò, tuttavia, non poteva essere
sufficiente per escludere l'avvenuta restrizione delle libertà dei due figli, stante la
decisione del padre di sottrarli dalla frequentazione con la madre, impedendo loro per
lungo tempo di incontrarsi.
Il fatto di trovarsi coinvolti all'interno di una vicenda familiare di separazione, inoltre,
secondo l'opinione dell'Avv. Hasegawa, non aveva permesso al più grande dei figli,
nonostante l'età di tredici anni, di poter valutare la situazione di avvenuto distacco dalla
madre con la dovuta lucidità.
In secondo luogo, la Koutousaibansho aveva mostrato di dare piena fiducia alle
dichiarazioni rilasciate dai due minori di trovarsi bene presso nella nuova città. Questa
valutazione aveva portato la Corte a ritenere, in maniera forse troppo sbrigativa, che la
nuova sistemazione presso i nonni paterni fosse la migliore per i minori, tralasciando ed
ignorando l'innata capacità che
il più delle volte i minori di doppia nazionalità
presentano nell'adattarsi e nell'entrare in confidenza con realtà socio-culturali diverse.
84
Protection of Personal Lyberty Act. Art. 2: “Any person whose liberty of person in under restraint
without due process of law may apply for relief pursuant to the provisions of this act”.
Rules on Protection og Peronal Liberty Act. Art. 3: “In the Act and also in the present Rules, the
detention or restraint shall mean such as arrest, internment, imprisonment, etc., wherey liberty of
person is deprived or restricted, and the person detained shall mean, in cases where detention is being
carried out in government offices, hospitals, or other establishments, the administrator of such an
establishment, and in other cases, the person who is actually carrying out detention or restraint”.
70
Tuttavia, ciò non può essere il motivo che rende il kidnapping un legal-kidnapping: la
facilità per un minore con doppia nazionalità di adattarsi ad un nuovo contesto di vita
sociale, scolastico, linguistico non può di certo rendere legittima l'avvenuta sottrazione
internazionale,
compiuta
tempestivamente
proprio
pochi
giorni
prima
della
convocazione del Sig. Kakinuma presso il Tribunale di Torino, nella totale assenza del
consenso della moglie.
Intanto, constatando la situazione di inattività del Tribunale di Tokyo, la Sig.ra Berti si
rivolgeva al Tribunale di Torino per richiedere, ottenendolo, un provvedimento urgente
e provvisorio che le conferiva l'affidamento dei due figli. Pur richiedendo, tuttavia, il
riconoscimento del provvedimento nell'ordinamento giapponese tramite il procedimento
di delibazione richiamato dall'art. 200 del Codice di Procedura Civile 85, che prevede la
riconoscibilità dei provvedimenti stranieri alla condizione che la giurisdizione straniera
non sia negata dalla legge, dai trattati o da altre forti normative e che il convenuto
soccombente, ove giapponese, sia stato regolarmente citato in giudizio, questo le veniva
negato.
Il ricorso al superiore interesse dei minori, che veniva ravvisato nel benessere trovato
all'interno della nuova condizione di vita dei minori in Giappone, permetteva alle corti
giapponesi di non riconoscere il provvedimento italiano.
La Suprema Corte rigettava non solo il ricorso della Sig.ra Berti, ma la condannava
anche al pagamento delle intere spese del procedimento.
Veniva confermato l'affidamento dei figli al padre in nome del welfare dei due minori
coinvolti e si confermava l'impossibilità di riconoscere il provvedimento emanato dal
tribunale di Torino per la mancanza del requisito della stabilità del provvedimento
stesso. Essendo un provvedimento provvisorio e non e final and conclusive, così come
richiede l'art. 200 del Codice di Procedura Civile giapponese, infatti, la sentenza
emanata dalla Koutousaibansho veniva confermata all'unanimità dai giudici della
Saikousaibansho (Suprema Corte).
L'estrema importanza di questa sentenza risiede nella dimostrazione che una sottrazione
internazionale di minori protrattasi come nel presente caso per due anni e sette mesi,
possa essersi svolta in Giappone senza particolari difficoltà. Il caso giurisprudenziale
85
Art. 200 Japanese Civil Procedure Code: A foreign judgment which has become final and conlusive
shall be valid only upon the fulfillment of the following condition: - (i) that the jurisdicion of the
foreign court is not denied in laws or other treaties; (ii) that the defendant defeated, being a Japanese,
has received service of summons or any other necessary orders to commence procedure otherwise by
a public notice or has appeared without receiving service thereof.
71
Berti contro Kakinuma può considerarsi esemplare in quanto mostra le modalità
attraverso le quali i casi di sottrazione internazionale di minori venivano e vengono
ancora oggi risolti dai tribunali giapponesi, nella totale assenza di qualsiasi riferimento
alle convenzioni internazionali elaborate in materia.
Assume particolare rilievo la necessità di regole internazionali uniformi che consentano
il riconoscimento delle decisioni straniere. La formale elaborazione di un disposto come
quello dell'art. 200 del Codice di Procedura Civile giapponese non è sufficiente a
garantire che il procedimento di delibazione delle decisioni straniere possa funzionare
compiutamente. La totale assenza di obblighi internazionali in questo senso ha
permesso al Tribunale di Tokyo, invocando semplicemente il principio dell'interesse
superiore del minore, di poter ignorare e negare riconoscibilità ad un provvedimento
emanato in Italia, luogo in cui per la maggior parte del tempo era stata condotta la vita
familiare e per questo certamente più competente.
L'esigenza di aderire alla Convenzione dell'Aja, che nelle sue previsioni tratta di tutte
queste problematiche, si rende particolarmente urgente soprattutto in Paesi come il
Giappone ancora così restii e lontani da questo tipo di collaborazione internazionale.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Con
la presente tesi si è cercato di analizzare il fenomeno della sottrazione
internazionale dei minori, argomento di grande attualità, che può dirsi il frutto di
un'evoluzione della nostra società in senso sempre più cosmopolita.
La problematica rileva in maniera evidente sul piano del diritto internazionale privato,
in quanto la soluzione dei casi di sottrazione internazionale di minori, dipende dalla
scelta della legge applicabile, scelta che risulta certamente facilitata se basata sulla
collaborazione tra gli Stati.
La dimensione in cui tale collaborazione è risultata maggiormente consolidata è
evidentemente la dimensione europea. Questo è il risultato di un costante confronto tra
ordinamenti che risultano diversi ma che allo stesso tempo condividono radici socioculturali comuni. È emerso come la cooperazione nel campo della sottrazione
72
internazionale dei minori, sia facilmente realizzabile tra ordinamenti affini, in cui il
principio del mutuo riconoscimento delle decisioni, basato sulla reciproca fiducia
nell'operato delle autorità degli Stati membri, garantisce la possibilità di condividere
valori ed obiettivi comuni.
Uno dei principali strumenti di cooperazione interstatale è rappresentato dalla
convezione dell'Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei
minori. Tuttavia l'adattamento agli obblighi previsti da tale convenzione presenta
difficoltà dovute alla necessità, che tutti gli Stati parti hanno incontrato a seguito
dell'adesione, di dover adattare e coordinare il proprio diritto interno con le disposizioni
previste dalla convenzione stessa. La previsione di procedure identiche cui tutti gli Stati
parti devono attenersi e l'istituzione dell'Autorità centrale con importanti funzioni in
ordine al procedimento di ritorno del minore presso lo Stato della sua residenza
abituale, è risultata più semplice da attuare per gli ordinamenti che condividono un
pensiero comune a riguardo, ossia che la sottrazione internazionale di un minore
rappresenti un illecito.
Così non risulta essere per il Giappone e proprio da questo punto di vista sono emerse le
profonde difficoltà che questo Paese sta affrontando nel tortuoso percorso di adesione
alla convenzione dell'Aja del 1980. Ai sensi del diritto di famiglia giapponese, che
prevede l'affidamento esclusivo del minore ad uno solo dei genitori nella quasi totalità
dei casi di scioglimento del vincolo coniugale, la sottrazione internazionale di un
minore non ha particolari connotati di illiceità.
E se da un lato, il sistema economico, estremamente proficuo e così simile ai modelli
occidentali, rende il Giappone sotto questo aspetto affine ai Paesi che già hanno scelto
di aderire alla convenzione dell'Aja del 1980, dall'altro, la lontananza e l'estraneità dal
contesto occidentale e l'autonomo sviluppo del proprio sistema normativo, impediscono
a questo Paese di potersi adattare facilmente alle disposizioni convenzionali, e quindi la
sua adesione potrebbe risultare meramente formale ove non supportata da una riforma
del diritto interno. Una tale riforma incontra varie difficoltà poiché si è riscontrata alla
base una incompatibilità di valori e una forte resistenza all'apertura verso ordinamenti
stranieri da parte del Giappone. Basti pensare alla collocazione geografica di questo
Paese, arcipelago dell'estremo Oriente, per secoli in lotta soprattutto con Corea e Cina,
per capire quanto l'isolamento e la chiusura verso il mondo esterno possano aver inciso
sul suo sviluppo.
73
L'adozione di modelli codicistici europei durante il XIX secolo non poteva essere
sufficiente per superare le differenze culturali che rendono il sistema giapponese
peculiare e del tutto diverso da qualsiasi altro sistema straniero.
Nonostante il Giappone abbia dimostrato negli anni di essere un Paese fortemente
competitivo e all'avanguardia, le radici che l'hanno tenuto legato per lunghissimo tempo
al sistema retto dal solo Tenno (Imperatore) in una sorta di monarchia assoluta, nel
totale isolamento da qualsiasi altra realtà straniera sino alla fine del XIX secolo, hanno
inevitabilmente influenzato il suo sistema normativo.
Se si pensa che solo con la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, il
popolo giapponese abbia iniziato a rinunciare all'idea di discendere da una dinastia
divina, anche tramite la dichiarazione della natura umana dell'Imperatore ( Tenno no
ningen sengen 天皇の人間宣言 ), dimenticando per sempre la convinzione di essere
superiori a qualsiasi altra nazione straniera, può facilmente comprendersi come il
processo di confronto paritario tra il Giappone e il resto del mondo sia appena
cominciato.
Con il presente lavoro si è cercato di mettere in evidenza l'influenza che le fondamenta
culturali esercitano sul sistema normativo di tale Paese e che solo la cooperazione
internazionale del Giappone con gli altri Stati renderà possibile l'arginarsi del triste
fenomeno della sottrazione internazionale dei minori.
A mio avviso, si tratta di uno dei processi evolutivi più difficili a cui questo Paese è
andato incontro nel corso della sua storia, poiché realizzare un tale obiettivo potrebbe
comportare per il Giappone la rinuncia a molti valori consolidatisi nei secoli sul piano
socio-culturale e riflessi all'interno del sistema normativo. Naturalmente non si ritene
che ciò sarà realizzabile in maniera indolore, ma dall'analisi che si è svolta è emerso
quanto risulti ormai diffusa nel Paese la consapevolezza circa le reali e preoccupanti
dimensioni del fenomeno della sottrazione internazionale di minori. Il convergere di
molte esigenze tra cui quella di compiacere ed assecondare le richieste di Stati alleati
nel campo economico, unite alla pressante esortazione internazionale registratasi negli
ultimi mesi circa l'adesione alla convenzione dell'Aja del 1980, potrebbe conferire al
Giappone la necessaria determinazione per procedere finalmente alla tanto auspicata
adesione.
74
APPENDICE
a) Le seguenti tabelle indicano il numero di casi di sottrazione internazionale di minori
presentati presso l'Autorità centrale italiana e presso le Autorità centrali straniere negli
anni 2007/2009/2011
1) Casi pervenuti relativi alla Convenzione dell'Aja 25 ottobre 1980, sottrazione
internazionale di minori – Anno 2007
31 dicembre 2007
Nazioni interessate
Argentina
Australia
Austria
Belgio
Bielorussia
Bosnia
Brasile
Bulgaria
Cile
Colombia
Costarica
Croazia
Ecuador
Finlandia
Francia
Germania
Grecia
Hong Kong
Inghilterra
Irlanda
Israele
Lettonia
Lituania
Messico
Casi pervenuti
Attivi* Passivi** Totale
2
2
4
4
4
1
3
4
1
1
2
1
1
1
1
6
2
8
1
0
1
1
0
1
2
1
3
1
1
2
2
2
1
1
2
2
2
10
5
15
13
12
25
1
1
1
1
3
5
8
2
1
3
1
1
1
1
1
1
1
1
75
Moldova
Norvegia
Olanda
Paraguay
Perù
Polonia
Portogallo
Principato di Monaco
Repubblica Ceca
Repubblica Dominicana
Repubblica Slovacca
Romania
Scozia
Spagna
Stati Uniti
Svezia
Svizzera
Turchia
Ucraina
Ungheria
Venezuela
Totale
2
1
3
1
12
2
1
1
1
2
19
1
7
8
0
6
4
1
1
127
3
1
9
2
2
6
3
5
1
8
1
1
82
2
1
6
1
1
21
2
1
3
1
4
25
1
10
13
1
14
1
4
2
1
209
*casi attivati dall'Autorità centrale italiana
**casi attivati dalle Autorità centrali estere
Fonte: Dipartimento per la giustizia minorile - Ufficio I del Capo dipartimento Servizio statistica
2) Casi pervenuti relativi alla Convenzione dell'Aja 25 ottobre 1980, sottrazione
internazionale di minori - Anno 2009
31 dicembre 2009
Autorità Centrali
Argentina
Australia
Casi pervenuti
Totale
Attivi* Passivi**
6
1
7
3
2
5
76
Austria
Belgio
Bielorussia
Brasile
Bulgaria
Canada
Colomba
Croazia
Ecuador
Finlandia
Francia
Germania
Inghilterra
Irlanda
Isdraele
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Messico
Olanda
Polonia
Portogallo
Romania
San Marino
Santo Domingo
Scozia
Serbia
Slovacchia
Slovenia
Spagna
Stati Uniti
Sud Africa
Svezia
Svizzera
Ucraina
Ungheria
Venezuela
2
2
1
11
1
2
1
1
4
1
8
8
6
1
1
2
1
20
17
1
1
1
2
2
1
4
8
1
4
7
3
3
2
1
3
2
1
1
5
6
12
2
1
1
1
2
6
1
4
2
1
6
1
7
10
1
-
4
3
1
14
3
3
1
2
4
1
13
14
18
2
1
1
1
1
3
3
26
1
21
1
1
1
2
4
1
5
14
1
1
11
17
4
3
77
Totale
137
82
219
*casi attivati dall'Autorità Centrale italiana
**casi attivati dalle Autorità Centrali estere
Fonte: Dipartimento per la giustizia minorile - servizio statistica
3) Casi pervenuti relativi alla Convenzione dell'Aja 25 ottobre 1980, sottrazione
internazionale di minori - Anno 2011
31 dicembre 2011
Autorità Centrali
Argentina
Australia
Austria
Belgio
Brasile
Bulgaria
Canada
Cile
Cipro
Costa Rica
Croazia
Danimarca
Ecuador
Estonia
Finlandia
Francia
Germania
Grecia
Inghilterra
Lettonia
Casi pervenuti
Attivi* Passivi**
2
3
1
1
3
2
8
1
2
1
1
1
1
1
2
2
1
1
5
2
10
14
2
7
1
1
Totale
5
1
1
5
8
1
2
1
1
1
1
3
2
1
1
7
24
2
8
1
78
Lituania
Malta
Messico
Moldavia
Olanda
Paraguay
Perù
Polonia
Portogallo
Repubblica Ceca
Romania
San Marino
Santo Domingo
Slovacchia
Spagna
Sri Lanka
Stati Uniti
Svezia
Svizzera
Thailandia
Ucraina
Ungheria
Venezuela
Totale
1
3
2
3
3
12
1
3
19
1
2
1
6
0
7
1
3
1
2
4
4
123
2
1
1
1
2
1
2
0
0
1
2
1
3
0
1
0
1
0
2
53
2
1
4
2
3
1
4
14
1
4
21
1
2
2
8
1
10
1
4
1
3
4
6
176
* casi attivati dall'Autorità centrale italiana
** casi attivati dalle Autorità centrali estere
Fonte: Dipartimento per la giustizia minorile - Servizio statistica
79
b) Modulo per la richiesta di rimpatrio
80
81
c) In azzurro è indicato il numero dei matrimoni misti in Giappone dal 1979 al 2010. In
giallo, il proporzionale aumento dei divorzi. http://www.mofa.go.jp/mofaj/press/
d) Lo schema riporta il numero di casi di sottrazione internazionale di minori verificatisi
tra Giappone e Stati Uniti, Australia, Canada, Francia ed Inghilterra.
Azzurro = Stati Uniti
Verde = Canada
Viola = Inghilterra
Rosso = Australia
Giallo = Francia
82
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http://ec.europa.eu/community_low
http://www.esteri-it.com/mae/doc/BambiniContesi_Guida.pdf
http://www.giustizia.it/
http://www.hcch.net/
http://www.hcch.net/upload/expl28.pdf
http://www.hcch.net/upload/abdguide_e.pdf
http://www.minoriefamiglia.it
http://www.mofa.go.jp/mofaj/press/
http://www.nichibenren.or.jp/en/
87
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA Facoltà di Giurisprudenza