Laboratorio di storia A.S. 2006\2007 35mila donne erano un esercito senza nome… (dalla Resistenza alla Costituzione Europea) Quaderni del Mameli n. 33 2007 INDICE: - “Inverno 1940, niente può andare sprecato” - “Giovanna Gaudioso: si andava alla ricerca affannosa del cibo “ - “35mila donne erano un esercito senza nome, senza comandante, senza bandiera, si batterono per crearne una” - “A Tor di nona le donne vendevano i corredi delle figlie per mezzo chilo di carne” - “Le donne nella Resistenza” - “Nilde Iotti…da staffetta partigiana a teorica della emancipazione femminile” - “Trecentotrentacinque…alle fosse Ardeatine” - “La donna…la donna ieri, la donna oggi, la donna domani” - “La donna nella costituzione europea” - “La costituzione italiana è forse un’utopia?” - “ Principi fondamentali” - “I valori della costituzione Europea” - “Islam” - “ Islam e modernità” Gli alunni che hanno partecipato a questo lavoro: Edoardo Cerbelli VB Daria Castrini IB Filippo Festuccia IB Maria Romana Mongiello IB Ludovica Nola IB Francesca Basso III B Alessandra De Clementi III B Martina Passetti III B Della Chiesa II D Responsabile grafica: M. Gloria Gallotti Coordinatrici del progetto: Prof.ssa Luisa Carrella Prof.ssa Irene Baratta Stampato in proprio INVERNO 1940, NIENTE PUÒ ANDARE SPRECATO "Se qualcuno le guarda lì, ferme, avvolte nei loro svolazzanti abiti a fiori, con le borse della spesa vuote in mano, la fame bruciante che attanaglia i loro corpi e gli occhi lucidi che sognano ciò che potevano avere un tempo, può pensare: Sono vittime." "Ma se sotto le gonne nascondessero messaggi segreti, se nelle borse della spesa ci fossero pistole e caricatori, se gli occhi brillassero per l'orgoglio e per la contentezza di essere quello che sono, Italiane, partigiane, allora si può pensare: Sono eroine." 10 Giugno 1940: L'Italia entra in guerra Inverno 1940: La fame comincia a farsi sentire nelle fasce meno abbienti di tutta Italia 1941-42: LA FAME COME REALTÀ DI TUTTI: Il motto era: "Niente può andare sprecato." Dai generi di prima necessità ai prodotti considerati di lusso, le cosiddette "primizie", tutto viene razionato. I sarti avevano un unico lavoro: restringere gli abiti, poichè la gente dimagriva di giorno in giorno. Cucinare era diventato un' impresa e riuscirci significava essere davvero abili nel fare torte senza farina, maionese senza olio e cioccolata calda senza cioccolata. I primi generi che sparirono furono i grassi: burro, olio, lardo furono sostituiti da ciò che poteva assomigliargli. Ad esempio nelle campagne girava una specie di olio vegetale, ottenuto dalla spremitura di noci e carrube, che poteva essere saporito con l' aggiunta di sale. Spezie, frutta pregiata, dolci elaborati, caffè cominciarono ad essere prodotti introvabili, sia perché erano considerati un lusso che non valeva la pena di permettersi, sia perché non era certo con quelli che si poteva mantenere una dieta equilibrata. Secondo una ricerca, nella primavera del 1942 circa 10 milioni di persone non riuscivano a nutrirsi a sufficienza. La carne divenne soggetta ad un sistema per cui veniva prenotata e, se arrivava, distribuita a chi l' aveva richiesta. Lo stesso sistema verrà applicato al latte. Era il modo migliore per averne di buona, visto che con la tessera ne davano di pessima. Inoltre la carne buona della macelleria era destinata alle sfere più alte; le Milizie, il Segretario Comunale, il Podestà...Il pesce, a meno che non si avesse la fortuna di poterlo pescare facilmente, faceva parte di un' azione speculativa dei venditori. Le uova erano molto apprezzate in quanto ricche di proteine. Se mangiate come pasto principale di un giorno intero, permettevano di passare il successivo anche con poco. Chi aveva contatti con la campagna si poteva far portare un cesto di uova fresche abbastanza spesso. Chi non ne aveva si arrangiava come poteva; nei quartieri popolari le donne allevavano qualche gallina per cercare di procurarsene. Inoltre le uova sbattute con lo zucchero rappresentavano una merenda sana e gustosa, data ai bambini, con il doppio vantaggio delle energie e del gusto. Le verdure rappresentavano una vera e propria salvezza. Come oggi, davano vitamine e proteine in abbondanza, erano economiche e facili da trovare. Asparagi, zucchine, melanzane, carciofi erano considerati più rari da trovare, perciò si ripiegava su cose più semplici: insalata, carote, piselli, patate e spinaci divennero le principali fonti di sostentamento vegetale. Da queste poi era possibile tirare fuori vere e proprie squisitezze; i tortini di verdura erano molto apprezzati, le minestre si potevano fare con le bucce dei piselli o con l'acqua di bollitura dei fagiolini e l'insalata era molto più gustosa se insaporita con l'acqua dei pomodori. Dalle campagne provenivano prodotti come le verdure sott'olio, le marmellate di frutta e le conserve di pomodoro fatte in casa. Tutte cose buone e genuine che chi aveva, talvolta scambiava volentieri con altri prodotti. Una vera e propria "moda" alimentare fu la cicoria, che ancora oggi fa parte della tradizione culinaria romana. Per il suo sapore forte dava l'illusione di essere anche più nutriente di quanto non fosse in realtà. Inoltre era recuperabile più facilmente di ogni altra verdura La pasta fu abbastanza trascurata. Era considerata dal Regime una spesa trascurabile sia per la produzione che per la vendita, in quanto poteva essere sostituita dal riso. Agli Italiani il riso non piaceva particolarmente; lo ritenevano un cibo da malati. Ma attraverso una propaganda martellante fu accolto più volentieri. La propaganda sosteneva la teoria che mangiando riso si aiutassero gli agricoltori e le mondine, più in difficoltà rispetto agli altri lavoratori della campagna. Tuttavia uno sciapo piatto di riso non era paragonabile ad uno di fumante pastasciutta La vera fonte di sostentamento era il pane. Era il cibo più buono e versatile che si poteva avere. Si mangiava a colazione con il latte, a pranzo con il prosciutto o il formaggio, a merenda con lo zucchero e a cena con la minestra. Ma anche con il sugo, con le verdure, con la marmellata, con l' olio e il sale, con il burro (se si aveva la fortuna di averlo) Con il tesseramento il suo prezzo salì da 30 a 35 lire al kg e ne veniva distribuito un kg e mezzo a famiglia(c'era un supplemento per donne incinte, anziani e addetti a lavori pesantissimi) purtroppo non dappertutto era buono; in alcune zone, come il nord dove il grano non cresceva, veniva importato da altre regioni, con il risultato che era vecchio e indurito. A Genova si faceva con la farina di veccia rendendolo piuttosto amaro. Si arrivò a farlo con farina di castagne, ceci, noci e persino ghiande. Ma non si mancò mai di farlo, poiché era considerato l' elemento "principe." Nelle scuole si fece imparare ai bambini una frase pronunciata dallo stesso Duce: "Amate il pane, cuore della casa, profumo della mensa, gioia del focolare......" Francesca Basso III B GIOVANNA GAUDIOSO: SI ANDAVA ALLA RICERCA AFFANNOSA DEL CIBO 25 Luglio 1943: Caduta del Fascismo 8 Settembre: Inizia la guerra contro la Germania. Badoglio afferma che " La guerra è finita." Non spiega però contro chi è finita....Roma si ritrova abbandonata e i Tedeschi non tardano ad occuparla "TU HAI SICURAMENTE VISSUTO LA CONDIZIONE DI DONNA IN GUERRA. COM'ERA?" "Ho vissuto la condizione di ragazza in guerra, che era ancora più triste, visto che ti impedivano di vivere. Ero al mio primo anno di università, ma dovetti smettere di andarci perché la chiusero. Roma fu occupata per nove mesi; dal settembre del ‘43 al 4 Giugno ‘44. In quel periodo tutto ciò che potevamo fare era andare al cinema dove proiettavano solo i vecchi film, visto che la produzione si era spostata a Salò. Inoltre facevamo delle passeggiate, ma solo fino ad Aprile, visto che alle cinque c'era il coprifuoco." "DI TUTTE LE COSE LA PIù TERRIBILE ERA SICURAMENTE LA FAME. QUANTO ERANO CAMBIATE LE VOSTRE ABITUDINI ALIMENTARI ?" "Moltissimo; prima si mangiava forse anche troppo. In guerra dovemmo rinunciare a tante cose: caffè, pasta, carne, pesce, perché non ne arrivava. Mangiavamo molte verdure, bucce di fave e piselli lessati e tanto pane. Talvolta riuscivamo a rimediare qualche dolce con degli intrugli al posto del burro e dello zucchero; il più usato si chiamava vegetina. Ricordo che i pochi dolci ancora fatti con tutti gli ingredienti giusti costavano anche 30 lire e li vendeva una pasticceria che si chiamava Ruschena." "CI FURONO DELLE RIPERCUSSIONI, A PARTE IL DIMAGRIRE, SUL PIANO FISICO ?" "No. Siccome non c'erano grassi nei cibi che mangiavamo il fegato ne traeva dei grossi benefici; alla fine della guerra i medici constatarono che si erano abbassati i livelli di colesterolo, i rischi di tumore e di infarti su alcuni soggetti. In inverno c'erano stati più casi di influenza e polmoniti per le basse difese immunitarie." "RICORDI QUALCHE EPISODIO CHE VI FECE CAPIRE CHE ERAVATE IN UNA SITUAZIONE DI EMERGENZA ?" " Bè la ricerca affannosa del cibo era una triste novità. Era difficile anche perché ad un certo punto decisero di chiudere il mercato; quindi o facevi la borsa nera o cercavi di barattare con chi aveva qualcosa. In casa eravamo tre: io, mia madre e mio zio Pietro che era un ufficiale della marina a cui avevano affondato la nave. Quindi non poteva tornare a servizio e restò con noi anche se non aveva la tessera; questo significava che ciò che prendevamo lo dovevamo dividere anche con lui, ed era veramente poco. Avevamo in casa un gran bel prosciutto che mia madre ci aveva fatto conservare in cucina, così che stesse all' aria, da mangiare quando fossero arrivati i tempi duri. Ad Aprile-Maggio decidemmo di aprirlo, ma purtroppo non potemmo mangiarlo perché dentro era pieno di vermi. Ora può sembrare una cosa buffa, ma giuro che quando accadde, piansi." "COME ERANO GLI ATTEGGIAMENTI DEI NEGOZIANTI ? CERCAVANO DI AIUTARE, MAGARI REGALANDO QUALCOSA OPPURE MANTENEVANO UN ATTEGGIAMENTO DI INDIFFERENZA?" "C'era dell' indifferenza, dovuta alla paura; ma la verità era che più di tanto non potevano fare, avendo i negozi sforniti. I fornai aiutavano più di tutti con il pane, ma per il resto non potevano proprio perché nei mesi dell' Occupazione non arrivava più nulla a Roma." "E TRA VOI ?" "Nel nostro palazzo c'erano persone che talvolta ci davano qualcosa che ci mancava; e noi eravamo felici di ricambiare il favore. Erano persone che ricordo con tanto piacere." "AVRESTE RUBATO PUR DI MANGIARE ?" "Io no, ma tanti lo facevano. Io e qualche altra andavamo a raccogliere la cicoria nei campi selvatici, ma mai più di questo. C'era chi aggrediva i borsari neri perché erano pieni di roba. Erano persone che si rifornivano di roba nelle loro case, quasi tutte in campagna, e che poi rivendevano a prezzi abbastanza alti. C'era chi diceva che erano dei ladri; per me erano dei benefattori." Francesca Basso III B 35MILA DONNE ERANO UN ESERCITO SENZA NOME, SENZA COMANDANTE, SENZA BANDIERA, SI BATTERONO PER CREARNE UNA. 4 Giugno 1944: Gli Alleati entrano a Roma e la liberano Fuggite da Roma, le truppe tedesche riparano al centro e al nord, lunga la cosiddetta "Linea Gotica" (una posizione difensiva tedesca che correva lungo il confine tra l'Italia settentrionale e centrale, da Pisa a Rimini, coprendo così la zona industriale della Val Padana) costringendo moltissime città ad un nuovo terrore. Quelli che un tempo erano alleati, ora devono difendersi dall' arrivo degli Americani che si fanno sempre più vicini. Ci sono rappresaglie, attentati, lotte armate, sparatorie e fucilazioni. Gli uomini, tornati dalla guerra, devono scampare ora all' arruolamento della Repubblica di Salò; inoltre vogliono tutti dare una mano per rendere le cose meno facili possibili ai tedeschi, finché non saranno liberi. "PIETA L'è MORTA!": INIZIA LA GUERRA PARTIGIANA. Nell' Italia liberata a metà, la lotta armata antifascista e antinazista iniziò dopo l'8 settembre 1943, giorno in cui fu firmato l' armistizio con gli Alleati. I tedeschi avevano preso possesso dell' Italia settentrionale fino alla Campania dove c'era l'ultimo baluardo della difesa nazista, la linea Gunter. I nuclei partigiani si formarono nel momento in cui le principali città al di sopra di questa linea, vennero occupate. Tutte le attività più intense della Resistenza si concentrarono fuori dai centri urbani, ben nascosti nelle campagne, tra monti, valli e colline; erano organizzazioni volontarie formate da semplici cittadini, anche se ancora oggi vengono ricordate come esempi di coraggio, cooperazione ( i vari militanti differivano di ceto, religione e partiti) solidarietà e organizzazione efficiente. I gruppi di azione più famosi erano due: I GAP (Gruppi di Azione Patriottica) formati nel 1943 su iniziativa del Partito Comunista Italiano. Erano formati da piccoli gruppi di partigiani (max sei o sette u omini, un caposquadra e un vice) e i componenti di una squadra erano in contatto solo con i compagni. Con le altre squadre capitava che si incontrassero al momento di rappresaglie o in caso di gravi perdite potevano esserci degli scambi. Erano molto preparati e col vantaggio del numero basso si spostavano con facilità ed era più facile la vita isolata e in clandestinità. Avevano come obiettivi l' incalzare il nemico senza tregua, in modo che no facesse in tempo a riorganizzarsi, e prediligevano i torturatori e delatori nazifascisti. I SAP (Squadre di Azione Patriottica) formati nell' estate del '44, avevano una composizione numerica maggiore rispetto ai GAP (15-20 uomini ciascuno) con l' intento di espandere la partecipazione popolare alla lotta. Purtroppo il numero maggiore rendeva la clandestinità meno sicura e quindi il loro fianco era spesso scoperto; rispetto ai GAP avevano una organizzazione più rigorosa e dettagliata, per compensare il fatto di essere così numerosi. Un famoso partecipante di questo gruppo fu Giacomo Buranello, medaglia al valor militare a Genova. Dal momento che ogni partigiano era considerato un criminale, stavano estremamente attenti a restare nascosti e ad uscire solo in caso di bisogno. In quel caso però era difficile restare in contatto tra loro, diffondere la stampa rivoluzionaria, scambiarsi messaggi, armi e strumenti o anche solo avere da mangiare. Fu allora che entrò in gioco l'ala partigiana più insospettabile e forse improbabile. A moltissime donne scattò la molla del patriottismo, per vari motivi: il desiderio di rendersi utili, di dimostrare che sapevano farsi valere, cercare di rimediare qualcosa, per una sorta di parità di diritti con gli uomini, per l'insofferenza davanti a tanti massacri e prepotenze. Dal canto loro gli uomini ne traevano un gran vantaggio; le donne erano più difficili da sospettare, passavano più inosservate, potevano girare in bicicletta (nella primavera del 44 scattò a Bologna un decreto che vietava agli uomini al di sopra dei 16 anni l' uso della bicicletta), non venivano quasi mai controllate se portavano borse o pacchetti, godevano di maggiore libertà. Inoltre erano ritenute troppo fragili, deboli impaurite per farsi coinvolgere; talvolta anche troppo ignoranti. Ma le donne che hanno padri, mariti, fidanzati , figli e fratelli partigiani non possono fare a meno di essere coinvolte. Perciò si informano; ascoltano ciò che avviene in casa loro, leggono..... Anche per chi non è capace di farsi coinvolgere, il passo verso la lotta è breve: si comincia magari portando da mangiare ad uno sbandato o curando un ferito. Dopo si porta un pacco ad un indirizzo stabilito, senza sapere nulla. Si crede ancora di non stare facendo nulla di male. O ancora, giusto per dare una mano, si distribuiscono dei giornali. Senza nemmeno accorgersene si è già diventate staffette. Se poi si decide di sapere con esattezza cosa si sta facendo, come, per chi e di continuare a farlo, allora si è proprio diventate partigiane. Gli archivi, i documenti e le testimonianze affermano che furono 35mila le donne partigiane combattenti; 4653 furono arrestate e torturate, 2750 furono portate in Germania, 2812 furono uccise, 1707 caddero in battaglia e 15 furono decorate al valore. Trentacinquemila cuori che batterono per il proprio paese. Non sopportarono di vivere sottomesse al nemico assassino e decisero di poter essere eroine, alla stregua di ogni uomo. Anche se ogni giorno sentivano gli spari della gente che moriva. NORMA PARENTI, LA TOSCANA Era un'operaia di 23 anni, abitava a Massa Marittima. Suo marito era nascosto sui monti e lei era rimasta a casa con il suo bambino e la madre anziana. Era una staffetta partigiana, ma non voleva nascondersi, anzi: distribuiva volantini, si teneva in contatto con i suoi compagni, li riforniva di armi e viveri e se per strada incontrava dei fascisti, li apostrofava come meritavano. Tuttavia nessuno osava toccarla per la fama che aveva ovunque in città e che la faceva voler bene da tutti; tutti le consigliavano di nascondersi, sapendo che c' erano luoghi più sicuri dove l' avrebbero sicuramente accolta. Ma lei restava; ed era presente quando i repubblichini massacrarono Guido Radi. Fu lei che ne raccolse il corpo in piazza, cercò aiuto, avvertì i genitori, li ospitò in casa sua e si occupò della sistemazione della salma nel cimitero. La sera del 22 giugno 1944 le SS, che stavano scappando da Massa, si ricordarono di lei. La portarono in un burrone fuori città e cominciarono a chiederle dei nomi. Tacque nonostante le sevizie che le inflissero. Allora la uccisero e bruciarono il suo corpo in una cascina poco distante. Non si seppe perché ma il suo corpo restò intatto, così quando i partigiani lo trovarono, poterono porlo in una bara intorno alla quale si radunò una folla mai vista. Fu ricordata come l' eroina della Resistenza toscana. ANNA MARIA AGNOLETTI, MEDAGLIA D' ORO AL VALOR PARTIGIANO Figlia di padre ebreo cominciò al lavorare come archivista e paleografa a Firenze. Dopo la promulgazione delle leggi razziali del 38 perse il lavoro e si trasferì a Roma dove prese contatto con intellettuali antifascisti e con loro decise di darsi alla clandestinità come esponenti attivi del movimento cristiano-sociale. Compì un lavoro di propaganda che fece avvicinare moltissimi alla causa che perseguivano, soprattutto nella zona dei Castelli Romani. Tornò a Firenze, sia per stare vicina alla madre preoccupata per la clandestinità del figlio maschio, sia per continuare la sua attività a favore dei cristiano-sociali; si collegò con un gruppo di Livorno con i quali aiutava i ricercati politici e gli ebrei, fornendo loro rifugio e documenti falsi. Verso la metà di Maggio del ‘44 fu arrestata e le furono trovati addosso giornali clandestini e congedi militari in bianco. Per l'accusa di aiuto a criminali e spionaggio, fu tenuta sei giorni tra interrogatori, percosse e il divieto di riposarsi in alcun modo. Il 12 Giugno, con altri sei compagni fu fucilata presso Firenze. Le dedicarono una lapide su cui scrissero che lei morì per "la libertà dell'uomo." Quella lapide c'è ancora. SILVESTRA, LA TRIESTINA Era una studentessa universitaria che abitava a Muggia e frequentava a Trieste. Quando i tedeschi annetterono al Reich anche Trieste e la zona circostante, ella ruppe ogni legame con i Gruppi Universitari Fascisti (Guf) e divenne amica di un compagno antifascista. Per aiutare lui e altri ragazzi che dovevano scampare all' arruolamento del maresciallo Graziani, sfruttò il fatto che era campionessa di nuoto; ogni notte di Luglio e Agosto del 1944 accompagnava a nuoto ragazzi da Punta Sottile a Punta Grossa, dove si trovava sempre un reparto di partigiani jugoslavi. Una notte di settembre, però ad attendere lei e il suo "passeggero" c'erano due ragazzi che non aveva mai visto. Accolsero il ragazzo che accompagnava ma quando lei, rispondendo alla loro domanda, rispose di essere italiana, quelli la portarono al largo e l' affogarono. Nessuno seppe mai perché. GEMMA, PARTIGIANA CON IL CUORE Lavorava come prostituta in un casino di Prè, tra i monti di Bavari. Era però anche un'amica dei ribelli che aiutava assiduamente. Con il suo "lavoro" viveva abbastanza tranquilla, e fare il suo dovere clandestino l'aiutava a sentirsi meno una cattiva persona. Aspettava ardentemente che la guerra finisse anche per smettere con quella vita, e temeva più di tutto le torture che si sapeva venissero inflitte ai partigiani. Una sera venne in camera con lei un giovane siciliano ventenne di nome Attilio. Stando insieme lui sentì che poteva fidarsi di lei e le raccontò un sacco di cose sul suo conto; era un sottotenente di fanteria, scappato ai tedeschi che avevano attaccato la loro caserma. Da allora viveva alla macchia e aveva cominciato a prendere parte nelle azioni in città. La più pericolosa era stata guidare un camion carico di sacchi contenti moschetti e bombe da consegnare ai partigiani di Chichero. Ma aveva fatto una cosa ancora più pericolosa: si era innamorato di Gemma, ed ella contraccambiava largamente. Poiché costituiva un aiuto notevole, i compagni ritennero opportuno trasferirla in un posto più sicuro. L'ordine parlava di Torino, ma passando di bocca in bocca, arrivò alterato e Gemma andò alla casa di Vico Spada. Attilio la rintracciò facilmente e stettero ancora insieme per un mese, felici e speranzosi di un futuro insieme. A metà Febbraio, lui fu arrestato, identificato grazie alle impronte sul suo fucile. Lo portarono alla Casa Dello Studente e morì sotto torture. Ma prima aveva rivelato ad un finto prete che condivideva con lui la cella, di Gemma e di tutte le cose che sapeva. Anche lei fu arrestata, ma resistette alle torture che tanto la spaventavano. Morì serena in una rappresaglia di fine Marzo. LUCIA OTTOBRINI E LA RESISTENZA DI ROMA Nata e cresciuta a Roma(tranne un periodo trascorso in Alsazia-Lorena) stette subito in contatto con quello che era un ambiaente antifascista, anche grazie agli insegnamenti di alcuni amici di famiglia quali Pietro Calamandrei o Rosario Bentivenga. Subito raggiunta la maggiore età cominciò a prendere parte ad azioni pericolose, diventando uno dei personaggi chiave della Resistenza romana. Per proteggere la famiglia, cambiò domicilio almeno dieci volte fino ad abitare in un' umida carbonaia. Le azioni a cui partecipò furono tante: un attacco alla caserma di Via Giulio Cesare, un attentato ai tedeschi che uscivano da un albergo di via Barberini, lancio di materiale incendiario contro alcuni camion tedeschi, persino un attacco al corpo di guardia del carcere di Regina Coeli. Era davvero preziosa in quanto, parlando il tedesco, riusciva ad infiltrarsi tra nazisti e fascisti e carpiva parecchie informazioni. Raccoglieva le armi prima e dopo le azioni in modo da non lasciarle al nemico, che poteva servirsene per rintracciarli. Negli ultimi mesi di Occupazione, nel 44, rappresentò l'unico collegamento tra Roma e i suoi amici nascosti a Tivoli e Castel Madama, facendo spesso la spola a piedi. Infine si recò a Tivoli per difendere insieme ad altri una centrale idroelettrica che i tedeschi volevano far saltare. Oggi vive ancora a Roma ed è stata decorata nel 1953 con la medaglia d'argento al valore militare. Erano un esercito senza nome, senza comandante e senza bandiera. Si batterono per crearne una. Per creare un paese libero, unito e felice. Cosa ci è rimasto oggi del loro sacrificio? Facciamo in modo di poter credere ancora nel sogno in cui credevano queste donne. Francesca Basso IIIB A TOR DI NONA LE DONNE VENDEVANO I CORREDI DELLE FIGLIE PER MEZZO CHILO DI CARNE UN FENOMENO DILAGANTE: LA BORSA NERA. Chiamato così per l' allusione al "nero" come a qualcosa di illegale e nascosto, fu invece un fenomeno che consentì di sopravvivere negli anni di guerra e durante l'Occupazione. Inizialmente si trattò di complicità, o tra i venditori e i clienti, o tra fornitori e venditori. La prima si svolgeva nel negozio dove il venditore, oltre alla spesa stabilita, consegnava un pacchetto chiuso con dentro qualcosa in aggiunta (un pò di lardo, del formaggio, un pezzo di sapone) che ovviamente non doveva essere pagato. Nel secondo caso si trattava solo dei primi che facevano credito ai secondi. Quando cominciò a dilagare la fame, la borsa nera divenne un vero e proprio contrabbando, che vide come protagoniste le donne. Siccome i prezzi erano aumentati, i venditori dovevano fare una scelta sul chi dare le cose a credito. Quindi dalle campagne, dove c'era più abbondanza, ogni giorno venivano le cosidette "borsare nere" che con prudenza rivendevano i prodotti alle loro clienti. Il gioco è in mano a chi vende: sono loro che stabiliscono i prezzi e talvolta sono anche più alti del solito, come risarcimento del rischio che corrono. Ma alle "borsare nere" conviene comprare, visto che ogni cosa che comprano probabilmente il giorno seguente costerà di più nei negozi. Le donne come amministratrici della casa sono piuttosto brave a suddividere il cibo affinché duri e a coservarlo, visto che non ci sono frigoriferi. Le uova si tengono nella calce, i salumi vanno tenuti al fresco, il burro va messo sotto sale, le patate vanno controllate ogni giorno così da non mettere le radici etc. A Roma il mercato nero ufficiale stava a Tor di Nona, così famoso che le cose non dovevano essere neanche troppo occultate. Sui ballatoi c'erano quarti interi di bue o capretti macellati che nessuno si prendeva la briga di nascondere. Potevi trovare di tutto. Durante l'Occupazione la farina aveva più valore dell' argento e al mercato nero vedevi donne che vendevano gli ori, le lenzuola, i corredi delle figlie per mezzo chilo di carne, asciugamani di lino contro dodici uova. Il caffè che era praticamente scomparso, in quei mesi fu sostituito da un surrogato fatto di radice di cicoria, il cui sapore ci si avvicinava abbastanza. Francesca Basso III B LE DONNE NELLA RESISTENZA Negli anni del fascismo e dell’occupazione tedesca diverse donne abbandonarono i focolari, i rosari, i doveri materni e si unirono alla lotta partigiana. Una lotta armata combattuta tra i boschi e le montagne, ma anche con quella lotta fatta di gesti meno eclatanti, ma altrettanto importanti, le donne, nascoste dietro la loro condizione femminile, potevano dare un maggiore contributo. La loro presenza alla lotta partigiana fu evidente fino agli ultimi giorni dell’aprile 1945, con la liberazione del Paese. I ruoli che ricoprirono furono diversi: dalla partecipazione all’agitazione nelle piazze, alla pericolosa attività di spola nell’Italia allora divisa in due, dall’aiuto umanitario dato ai feriti, alla raccolta di armi, munizioni e indumenti e, infine, alla dura e sanguinosa lotta sulle montagne. La Resistenza vide nascere idee di emancipazione femminile che avrebbero costituito il presupposto per l’inserimento della donna nella società e l’ampliamento dei suoi diritti civili, politici e sociali. Atti di sabotaggio, interruzione delle vie di comunicazione, aiuto ai partigiani, occupazione dei depositi alimentari tedeschi, approntamento di squadre di pronto soccorso furono solo alcuni dei compiti portati avanti con coraggio e tenacia dalle donne, a cui bisogna però aggiungere anche la loro attività di propaganda politica e di informazione. Tra i diversi fogli clandestini, da loro scritti e distribuiti, non bisogna dimenticare la nascita di molti giornali femminili in varie regioni. Il 31 gennaio 1945 il Consiglio dei ministri emanava il decreto, in seguito diventato noto come decreto De Gasperi-Togliatti, con cui veniva riconosciuto il diritto di voto alle donne che avessero compiuto il ventunesimo anno di età entro 31 dicembre 1944. L’iniziativa per il voto alle donne era stata presa dal PCI e dalla DC nell’estate del 1944, nonostante i dubbi dettati dal Partito Comunista per paura di un contributo femminile a favore della conservazione e del mondo politico cattolico. Ben presto tutti i partiti avrebbero accolto questa richiesta. In Italia, finalmente, il 2 Giugno 1946 le donne, per la prima volta, espressero il loro voto. Alessandra De Clementi e Martina Passetti III B NILDE IOTTI…DA STAFFETTA PARTIGIANA A TEORICA DELLA EMANCIPAZIONE FEMMINILE La politica fascista collocava le donne a casa come custodi e angeli del focolare, rilevando così il ruolo della madre e della massaia Era soprattutto il modello della donna-madre ad essere sostenuto dalla forte retorica a cui si unirono una serie d’interventi legislativi quale la creazione dell’O.M.N.I. (Opera Nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia). A questo, si aggiunse una vera politica per la formazione tutta al femminile. La donna venne istruita all’economia domestica, all’educazione dell’infanzia, all’assistenza sociale. Il suo ruolo primario era quello di madre e moglie. In tale concezione del mondo femminile, la donna mostra di avere una ferma coscienza della società in cui vive, della politica che la governa. E rispetto alla quale sviluppa un forte sentimento di opposizione e reazione che va a formare la “Resistenza al Femminile”. Fu proprio grazie a queste donne, al loro compito di porta-ordini, che i partigiani poterono tessere una fitta rete di intrecci politici che portarono, poi, alla Liberazione dell’Italia. Furono molte le donne che svolsero questo ruolo importante e significativo, tra loro spicca una figura di rilievo: Nilde lotti. Fu prima porta ordini e poi donna politica di spicco della Repubblica Italia Leonilde, nacque a Reggio Emilia il 10 aprile 1920. Il padre, un deviatore delle Ferrovie dello Stato, nonostante le disagiate condizioni economiche, iscrisse la giovane figlia all’Università Cattolica di Milano. Rimasta orfana di padre nel 1934, Nilde poté continuare a studiare grazie ai guadagni del lavoro della madre. Con l’ingresso dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, Nude s’iscrisse al PCI. Inizialmente fu porta-ordini, poi il suo impegno fra i partigiani della città natale, le consentì, poco più che ventenne, di essere designata responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna, struttura attivissima nella guerra di Liberazione. I Gruppi di Difesa della Donna e d’Assistenza ai Combattenti della Libertà, nacquero a Milano e si estesero su tutto il territorio italiano ancora occupato, perseguendo l’obiettivo di mobilitare, attraverso un’organizzazione capillare e clandestina, donne di età e condizioni sociali differenti, per far fronte a tutte le necessità, derivate dall’aggravarsi della guerra. Tali gruppi operativi femminili si segnalarono, durante la Resistenza, attraverso la raccolta d’indumenti, medicinali, alimenti per i partigiani e si adoperarono per portare messaggi, custodire liste di contatti, preparare case-rifugio, trasportare volantini, opuscoli ed armi. Come si è detto, Nilde lotti ricoprì, dal 1943, il ruolo più simbolico, ma anche più rischioso, che molte partigiane esercitarono: quello di staffetta. Nilde, oltre ad essere responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna, divenne anche interprete della coscienza civile e politica che ormai cominciava a manifestarsi nelle donne dopo anni e anni di esclusione dagli affari pubblici. I Gruppi di Difesa della Donna ebbero dunque il ruolo di promotori dell’emancipazione femminile. In seguito al Referendum del 2 giugno 1946, nel quale le donne italiane parteciparono per la prima volta alle votazioni, Nilde, a soli ventisei anni, fu mandata in parlamento. Dapprima come semplice deputato, poi come membro dell’Assemblea Costituente diede prova di uno spiccato talento politico. Entrò a far parte anche della “Commissione dei 75”, alla quale fu assegnato il compito di redigere la bozza della Costituzione repubblicana, da sottoporre al voto dell’intera Assemblea. I 556 membri dell’Assemblea Costituente, in rappresentanza del popolo italiano, si riunirono per la prima volta il 25 giugno1946 per nominare il Capo provvisorio dello Stato (fu eletto Enrico De Nicola) e per designare i 75 membri rappresentativi di tutta l’Assemblea. Dopo circa sei mesi d’attività, la commissione dei 75 sottopose il proprio progetto costituzionale all’intera Assemblea che, nel corso di quasi tutto il 1947 discusse, integrò, modificò, articolo per articolo la bozza iniziale. Solo il 22 dicembre1947 fu approvato, a larghissima maggioranza, il testo definitivo della Costituzione che, una volta promulgato dal Capo Provvisorio dello Stato, entrò in vigore il l gennaio 1948. Il ruolo svolto nell’ambito della Costituente, a favore dei diritti delle donne e per le famiglie, segnò profondamente l’impegno che Nilde spese nella sua attività parlamentare, condotta ininterrottamente, per 53 anni, con rigore, costanza e semplicità. Di gran risalto ed attualità fu la relazione sulla Famiglia, che Nilde predispose nel 1946, in qualità di membro della “Commissione dei 75”. In essa l’Onorevole lotti, auspicando il superamento dello Statuto Albertino con una nuova carta costituzionale, che si occupava dei diritti della famiglia, del tutto ignorati dallo Statuto, ormai obsoleto, peraltro non applicato durante i 20 anni di regime fascista, invitava l’Assemblea a voler regolare con leggi il diritto familiare. Caposaldo della nuova Costituzione doveva dunque essere il rafforzamento della famiglia. Altro elemento centrale della Relazione riguardava la posizione della donna: per Nilde, infatti, questa era legata a condizioni arretrate, che la ponevano in uno stato d’inferiorità che rendeva così la famiglia un peso più che una gioia. Dal momento che alla donna era stata riconosciuta, in campo politico, piena eguaglianza, col diritto di voto attivo e passivo, ne conseguiva che la donna stessa doveva essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non limitare la sua personalità e la sua dignità di cittadina. Punto importante per arrivare all’emancipazione era il lavoro, la nuova Costituzione, infatti, doveva assicurare il diritto al lavoro “senza differenza di sesso.” Altro elemento, oggetto di studio, da parte della giovane parlamentare e che rappresentò, nel corso delle successive legislature, uno degli impegni politici di maggiore rilievo, riguardava l’indissolubilità del matrimonio. Nilde manifestò la propria contrarietà ad inserire nella Costituzione il principio dell’indissolubilità “considerandolo tema della legislazione civile”. Infine, la relazione focalizzava la propria attenzione sulla maternità, non più intesa come “cosa di carattere privato”, bensì come “funzione sociale” da tutelare. Uno degli articoli di maggiore impatto innovativo della proposta costituente, riguardava il principio dell’uguaglianza giuridica dei coniugi. Questi ultimi hanno eguali diritti e doveri nei confronti dei figli (per la loro alimentazione, educazione ed istruzione). Bisogna, a proposito ricordare che il Codice Penale concepiva le donne “beni”, sul quale il padre e poi il marito esercitavano la propria autorità. Nilde proseguì la propria missione politica a favore dei diritti delle categorie più disagiate, le donne in primo luogo, sia in Parlamento, sia all’interno del P.C.I. Nel corso della sua vita Nilde fu promotrice della legge sul diritto di famiglia nel 1975, della battaglia sul referendum per il divorzio (1974) e per la legge sull’aborto (1978). Dal 1979 al 1992 ricoprì la carica di Presidente della Camera. Nel 1993 ottenne la Presidenza della Commissione Parlamentare per le riforme istituzionali. Nel 1997 fu eletta Vicepresidente del Consiglio d’Europa. Scomparve il 4 dicembre 1999. Martina Passetti III B, Alessandra De Clementi III B TRECENTOTRENTACINQUE…ALLE FOSSE ARDEATINE L'eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia per un attentato avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l’ordine scientifico nell’organizzazione e l'alto numero di vittime appartenenti a tutte le classi sociali di una città dichiarata “aperta” ,ovvero estranea a qualsiasi operazione militare, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Le "Fosse Ardeatine", antiche cave di pozzolana site nei pressi della via Ardeatina, furono scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri,prova evidente della volontà delle forze occupanti di terrorizzare la popolazione civile (la notizia venne infatti diffusa) ma senza suscitarne l’eccessivo sdegno, cosa che sarebbe avvenuta in caso di un’esecuzione plateale. Il 23 marzo alle ore 15 circa, ebbe luogo un attentato in Via Rasella ad opera di partigiani dei GAP (Gruppi d'Azione Patriottica) delle brigate Garibaldi, che dipendevano dalla Giunta militare; essa era emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale. Sembra che l'ordine di effettuare l'attentato sia stato dato solo dal rappresentante del PCI nella Giunta militare, senza interpellare gli altri membri, e ciò dette luogo, quando fu conosciuta la gravità della rappresaglia, a polemiche interne ai membri della Giunta militare. L'attentato venne compiuto da 12 partigiani (tra cui l’ esecutore materiale Bentivegna) e altri 5 parteciparono alla sua organizzazione. Fu utilizzata una bomba a miccia ad alto potenziale collocata in un carrettino per la spazzatura urbana, confezionata con 18 chilogrammi di esplosivo misto a spezzoni di ferro. In seguito furono lanciate alcune bombe a mano e colpi di mitragliatrice. L'esplosione uccise 32 uomini dell'11a Compagnia del 3° Battaglione del Polizeiregiment Bozen (appartenente a una delle branche delle SS), coscritti sud tirolesi arruolati a seguito della creazione della Zona di Operazione delle Prealpi. Un altro soldato morì per le ferite riportate il giorno successivo. L'esplosione uccise anche due passanti italiani ma non è stato mai chiarito se vi fosse la possibilità di evitare tali vittime, sebbene si possa certamente dire che avvisare la popolazione civile della preparazione dell'attacco o della sua imminenza avrebbe esposto l'azione ad un rischio non accettabile di fallimento, e i suoi esecutori (i quali avevano comunque l’ordine da parte del CLN di non consegnarsi) al pericolo di essere passati sommariamente per le armi non appena individuati. Alcuni altri italiani restarono uccisi nel corso delle ore successive a seguito della reazione tedesca. In un primo momento, il generale Mältzer comandante della piazza di Roma, accorso sul posto, parlò sconvolto di una rappresaglia molto grave. Dello stesso parere fu inizialmente Hitler che propose la deportazione di 10000 civili e addirittura la distruzione del centro di Roma. Successivamente il generale Kesserling si rese conto che una tale rappreseglia avrebbe impegnato forze militari utili al fronte e l'ordine fu di 10 ostaggi per ogni tedesco ucciso. La fucilazione di 10 ostaggi per ogni tedesco ucciso fu ordinata personalmente da Adolf Hitler, nonostante la Convenzione di Ginevra del 1929, nel contemplare il concetto di rappresaglia, ne limitasse l'uso secondo i criteri della proporzionalità rispetto all'entità dell'offesa subita e della salvaguardia dei civili. Nella scelta delle vittime, furono preferiti criteri di connessione con i partigiani che tendevano comunque a escludere persone rastrellate al momento ma le vittime furono poi prelevate dal carcere romano di Regina Coeli e di via Tasso, dove erano detenuti (oltre a membri della Resistenza) vari prigionieri comuni e di cultura ebraica. Sembra che circa 30 appartenessero alle formazioni clandestine di tendenze monarchiche, circa 52 alle formazioni del Partito d'Azione e Giustizia e Libertà, circa 68 a Bandiera Rossa, un'organizzazione comunista e circa 75 fossero di religione ebraica. Altri, fino a raggiungere il numero previsto, furono detenuti comuni. Non mancarono tuttavia tra gli uccisi i rastrellati a caso e gli arrestati a seguito di delazioni dell'ultima ora. Il massacro fu organizzato ed eseguito da Herbert Kappler, all'epoca ufficiale delle SS e comandante della polizia tedesca a Roma, già responsabile del rastrellamento del Ghetto di Roma nell'ottobre del 1943 e delle torture contro i partigiani detenuti nel carcere di via Tasso. L'ordine di esecuzione riguardò 320 persone, poiché inizialmente erano morti trentadue soldati tedeschi. Durante la notte successiva all'attacco di via Rasella morì un altro soldato tedesco e Kappler, di sua iniziativa, decise di uccidere altre 10 persone. Erroneamente furono aggiunte cinque persone in più ed i tedeschi, per eliminare scomodi testimoni, uccisero anche loro. Le SS, dopo l'atroce massacro, fecero esplodere numerose mine per far crollare le cave e nascondere o meglio rendere più difficoltosa la scoperta di tale eccidio. I sopravvissuti del Polizeiregiment "Bozen", si rifiutarono di vendicare i propri compagni uccisi e lo stesso Kappler si preoccupò di rincuorare i carnefici ai quali fu distribuito cognac in abbondanza. Un falso costruito ad arte per suscitare ostilità nei confronti della Resistenza e definitivamente dimostrato (anche grazie all’ammissione dello stesso Kesserling), fu quello del manifesto affisso sui muri di Roma (a strage avvenuta) in cui si prometteva di non dar corso alla decimazione in caso di consegna degli autori dell'attentato di via Rasella. Dopo l'attentato, ed in seguito nel dopoguerra, ci furono polemiche riguardo alla sua opportunità, in considerazione del gran numero complessivo di morti. Le polemiche sorsero all'interno della Giunta militare, ma anche tra i partiti del CLN e tra organizzazioni partigiane poiché si pose alla coscienza civile il problema di un giudizio sulla legittimità morale dell’azione e sulle responsabilità personali. Sebbene non vi fosse stato alcun invito delle autorità tedesche perché gli autori si costituissero, i gappisti non potevano però pensare che l’azione rimanesse senza conseguenze. Alcune organizzazioni, ritennero inoltre di essere state assai danneggiate dalla rappresaglia che in un certo senso fiaccò la resistenza romana: sembra che tra i 335 giustiziati ci fossero forse 68 membri dell'organizzazione Bandiera Rossa, che era mal vista dal PCI. Nel dopoguerra alcuni parenti delle vittime civili, sia morti in via Rasella sia alle Fosse Ardeatine, fecero causa agli attentatori chiedendo loro un risarcimento, ma le loro richieste furono respinte. La magistratura ordinaria considerò l'attentato «un'azione legittima di guerra», e con sentenza della Corte di Cassazione dell'11 maggio 1957 non accolse le richieste di risarcimento avanzate dai parenti delle vittime italiane nei confronti degli attentatori, già respinte dal Tribunale e dalla Corte d'Appello civili di Roma, e sentenziò definitivamente che ogni attacco contro i tedeschi costituiva un «atto di guerra». In seguito, l'attentato fu sempre rivendicato come azione di guerra da tutte le autorità dello Stato. Nel dopoguerra, Kappler venne processato e condannato all'ergastolo da un tribunale italiano e rinchiuso in carcere. La condanna riguardò i 15 giustiziati non compresi nell'ordine di rappresaglia datogli per vie gerarchiche. Colpito da un tumore inguaribile, con l'aiuto della moglie, riuscì ad evadere dall'ospedale militare del Celio pochi anni prima di morire. Anche il principale collaboratore di Kappler, l'ex-capitano delle SS Erich Priebke, dopo una lunga latitanza in Argentina, è stato arrestato e condannato per la strage delle Fosse Ardeatine. Oggi nel luogo sorgono un monumento, la cui costruzione venne iniziata già dagli americani subito dopo la liberazione, e un museo, visitato ogni anno da tantissime persone accomunate dal desiderio di ricordare una tragedia che coinvolge profondamente ogni animo umano. Lodovico Della Chiesa II D LA DONNA…LA DONNA IERI, LA DONNA OGGI, LA DONNA DOMANI In passato la donna in Italia era un accessorio del capo famiglia (padre o marito). Nel codice di famiglia del 1865 le donne non avevano il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi, né tanto meno quello di essere ammesse ai pubblici uffici. Le donne, se sposate, non potevano gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro perché ciò spettava al marito. Alla donna veniva chiesta anche “l’autorizzazione maritale” cioè il consenso del marito per donare, alienare beni immobili, sottoporla ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali. Tale autorizzazione era necessaria anche per ottenere la separazione legale. L’articolo 486 del codice penale prevedeva una pena detentiva da tre mesi a due anni per la donna adultera, mentre puniva il marito solo in caso di concubinato. Nel risorgimento, la donna era un ornamento al quale non competevano né diritti e né certezze. Alla donna spettava l’amministrazione della famiglia e dei figli mentre al marito spettavano le funzioni civili. Nell’Italia unita le donne erano escluse dal godimento dei diritti politici, alla donna veniva escluso il voto politico e amministrativo al pari degli analfabeti interdetti, detenuti in espiazione di pena e falliti. Anche nel campo del lavoro non aveva alcun diritto a meno che non fosse titolare di una proprietà o di un contratto di affitto. In ogni caso lo stipendio di coloro che lavoravano era in genere la meta dei lavoratori di sesso maschile. Nel 1897 le associazioni che si erano create per la difesa della donna cominciavano ad avviare finalmente una fase di dibattito per l’assurda disparità tra uomo e donna: a Roma infatti vi era l’associazione nazionale per la donna e a Milano l’unione femminile nazionale e nel 1903 si costituì il consiglio nazionale delle donne italiane aderente al consiglio internazionale femminile. Nella scuola venne permesso soltanto nel 1874 l’accesso ai licei e alle università anche se in realtà continuarono ad essere respinte le iscrizioni femminili, finalmente nel 1900 risultano iscritte all’università Italia 250 donne, 287 ai licei, 267 alle scuole di magistero superiore, 1178 ai ginnasi e quasi 10000 alle scuole professionali e commerciali. Nel 1914 le iscritte agli istituti di istruzione media saranno circa 100000. Il titolo di studio acquisito dalla donna però, non garantiva ancora l’accesso alle professioni. Nel 1881 infatti una sentenza del tribunale annulla la decisione dell’ordine degli avvocati di ammettere l’iscrizione di Lidia Poèt, laureata in legge e procuratrice legale. Nel 1897 veniva approvata però una legge che ammetteva le donne come testimoni negli atti di stato civile. Ai primi del ‘900 due associazioni come l’Udaci (Unione donne di azione cattoliche italiane) e l’Unione Nazionale delle donne Socialiste lavorarono molto e si batterono per la loro emancipazione nel settore lavorativo. Il Partito Socialista Italiano si impegnò moltissimo per l’emancipazione femminile, ma in alcuni casi fu guardingo quando si scontrava con le donne femministe, accusate di essere portatrici di interessi borghesi. Infatti il deputato Bissolati affermava: ”la lotta di classe porta con se una vera elevazione sociale della donna ma il femminismo non è altro che un fenomeno di incoscienza sociale, perché si sviluppa entro la cerchia delle forme di proprietà borghese e perciò un movimento conservatore, nel 1906 la studiosa di pedagogia Maria Montessori si appellò alle donne italiane affinché si iscrivessero alle liste elettorali cosi come era accaduto con successo negli Usa, tante lo fecero, ma le corti di appello di tante città respinsero tale iscrizioni tranne la corte di Ancona, ma anch’essa venne annullata dalla corte di Cassazione. Nel frattempo accaddero molti eventi a favore della donna: nel 1907 Enestina Prola fu la prima donna Italiana ad ottenere la patente, nel 1908 Emma Strada si laureò in ingegneria, nel 1912 Teresa Labriola si iscrisse all’Albo degli avvocati e Argentina Alto Belli e Carlotta Chierici vennero elette al consiglio superiore del lavoro. Intanto all’interno del partito Socialista si animò il dibattito per dare il voto alle donne. Mentre Turati resisteva a darlo, Anna Kulischioff difendeva il suffraggio femminile. Nel 1912 i socialisti proposero un emendamento per concedere il voto anche alle donne, il capo del Governo Giolitti si oppose strenuamente definendolo un salto nel buio. Con la prima guerra mondiale i posti di lavoro persi dagli uomini richiamati al fronte vennero occupati dalle donne, nei campi, ma soprattutto nelle fabbriche. Con la fine della guerra però, le donne, accusate di rubare lavoro ai reduci, persero questi posti di lavoro. Nel dopo guerra il neonato partito popolare Con Don Sturzo appoggiava il suffraggio femminile. Nel 1919 venne abolita l’autorizzazione maritale e il 6 settembre la camera approvò la legge sul suffraggio femminile, le camere però vennero sciolte prima che il senato potesse approvarlo. Lo stesso accadde nel 1920, con l’entrata del Fascismo la donna entrò in una fase di buio completo, le associazioni vennero sciolte e per la cultura fascista la donna doveva stare solo tra le mura domestiche a fare figli. Lo slogan nell’occasione era”La maternità sta alla donna come la guerra sta all’uomo”. Nel codice di famiglia fascista le donne vennero poste in uno stato di totale sudditanza al marito che poteva decidere praticamente tutto. Alla fine della 2° guerra mondiale, il 1° del 1945 su proposta di Togliatti e De Gasperi venne infine concesso il voto alle donne. La costituzione garantiva l’uguaglianza formale tra i due sessi, ma di fatto restavano in vigore tutte le discriminazioni legali, vigenti durante il periodo precedente. L’emancipazione femminile comunque andava avanti: nel 1951 viene nominata la prima donna in un governo, la democristiana Angela Cingolani, sottosegretaria all’industria e al commercio. Nel 1958 viene approvata la legge Merlin che abolisce lo sfruttamento statale della prostituzione e la minoranza dei diritti delle prostitute. Nel 1961 sono aperte alle donne la carriera nel corpo diplomatico e in magistratura. Tina Anzelmi viene nominata ministro del governo Italiano. Negli anni ’60 su spinta di avvenimenti europei e mondiali nascono anche in Italia gruppi femministi che chiedono libertà e autonomia della donna. All’inizio del 1970 il partito radicale Italiano promuove il movimento di liberazione della donna e nel 1973 lo stesso partito radicale crea il CISA (centro di informazione sterilizzazione aborto) per iniziativa di Adele Faccio. Nel 1970 viene concesso il divorzio ribadito anche nel referendum del 1974 e nel 1977 il parlamento approva una legge sulla legalizzazione dell’aborto. Protagonisti in questi anni furono i parlamentari del partito radicale Gianfranco Spadaccino Adele Faccio ed Emma Bonino e i socialisti come Loris Fortuna. Negli anni che seguirono la donna ha conquistato tutti gli spazi che erano necessari per raggiungere quelli dell’uomo, all’inizio del nuovo secolo è caduto anche l’ultimo baluardo statale: è concesso oggi prestare servizio militare anche alla donne. Maria Romana Mongiello I B LA DONNA NELLA COSTITUZIONE EUROPEA. Nell’ambito dell’unione Europea la carta dei diritti fondamentali che definisce il ruolo della donna è prevista dagli articoli 21 e 23. L’articolo 21 per la non discriminazione afferma”: 1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata in particolare sul sesso,la razza,il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. 2. Nell’ambito d’applicazione del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione Europea. E’ vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei tratti stessi.” L’Articolo 23 sancisce che la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione; il principio della parità non osta nel mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato. La donna...La donna oggi, la donna ieri, la donna domani. La donna, una donna, tutte le donne…Non eravamo...Ora possiamo dire e far vedere di essere. Tutto: uguaglianza, rispetto, legalità…Ma a discapito di cosa o di chi? Maria Romana Mongiello I B LA COSTITUZIONE ITALIANA È FORSE UN’ UTOPIA? Si cominciò a parlare di costituzione, o almeno di sovranità del popolo e dei diritti dei cittadini, con le rivoluzioni francese ed americana, quando l’uomo si rese conto delle sue possibilità e dei suoi diritti, e decise di prendere in mano il proprio destino. La costituzione è un insieme di norme che regolano l’andamento dello stato e corrisponde alla natura, agli interessi e ai valori del popolo che rappresenta. Vale certo la pena soffermarsi sulla costituzione italiana, redatta nel 1947 quando il capo dell’assemblea costituente, Enrico De Nicola, firmò il documento che racchiudeva tutti gli ideali liberali e democratici, coltivati anche durante la resistenza dei diversi partiti da cui era composta l’assemblea. La nostra costituzione è dunque l’emblema degli ideali democratici e ogni norma rispetta il singolo individuo. Cominciamo ad analizzare i primi dodici principi fondamentali, chiamati così perché inviolabili, che fungono da introduzione al documento. In questi principi si trovano ideali di libertà, tolleranza e uguaglianza fondamentali per vivere democraticamente e mai dati per scontati. Tutti gli articoli della carta costituzionale si ispirano a questi dodici. La repubblica attraverso la costituzione si pone come obbiettivo lo sviluppo della persona umana, il diritto al lavoro, pari diritti ai cittadini indistintamente dal sesso, dall’estrazione sociale, etnica e dalla religione, la emancipazione economica e sociale e la libertà di poter professare qualsiasi confessione religiosa. Nei riguardi dello straniero al quale viene impedito l’esercizio delle proprie libertà democratiche nel proprio paese lo stato italiano concede il diritto d’asilo. Quelli appena citati sono una piccolissima parte di tutti i principi espressi nella costituzione, li ho scelti tra tanti perché sono quelli che meglio esprimono la natura dei principi su cui si basa il nostro stato, ma anche perché sono l’esempio più lampante di quanto poi nella pratica non vengano rispettati perché condizionati dalla corruzione o dall’intolleranza. Con questo non voglio dire che la nostra costituzione sia un’utopia e che vada dunque cambiata, perché è perfetta cosi com’è, il problema è che per vivere davvero bene bisognerebbe che sia rispettata quasi letteralmente nella vita di tutti i giorni. Con il passare degli anni e il cambiare dei tempi molti sono stati i tentativi di cambiare la costituzione, il più recente è sicuramente il tentativo di modificare l’articolo 29, che riconosce la famiglia come società naturale basata sul matrimonio, attraverso la proposta dei DICO ovvero la richiesta allo stato di riconoscere come famiglie anche quelle unioni non sigillate dalla promessa matrimoniale. Si tratta sempre di una questione formale, secondo me, perché molte unioni non matrimoniali meritano di essere riconosciute come le altre, il problema è che regna sovrana l’ipocrisia ed ogni proposta di legge non è fatta nell’interesse della felicità dei cittadini, ma viene usata a volte, demagogicamente dall’opposizione. Con questo vorrei solo dire che se è vero che il fine ultimo dello stato e della legge è la felicità di ogni singolo individuo non bisognerebbe permettere che l’ambizione politica, i pregiudizi, il denaro, il potere e l’immagine impediscano il compimento di tale fine. Tutto ciò non è democratico, ma purtroppo è la realtà del nostro stato. L’Italia fa parte dell’unione europea e con la sua costituzione sembrerebbe uno degli stati più democratici e all’avanguardia, ma non è cosi. Quando si parla di Europa non si parla di un paese unito, ma semplicemente, per ora, di un accordo economico e amministrativo? Non sarebbe meglio che tutti gli stati fossero legati da un insieme di leggi democratiche, uguali per tutti? Come giovane io mi auguro che i nostri costituenti europei, attraverso un dialogo e un confronto attento alle problematiche della Società Civile, scrivano una Costituzione Europea fondata sulla difesa dei diritti umani prima di tutto, e sui valori liberali e democratici, attenti alle esigenze dell’ambiente, del mondo del lavoro, della ricerca scientifica e della Società tutta. Daria Castrini I B PRINCIPI FONDAMENTALI Art. 1. L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La specificazione: "fondata sul lavoro" esprime l' intenzione dei nostri legislatori di stabilire un valore etico prevalente avente a fondamento la collaborazione sociale. Impone allo Stato di promuovere le politiche, che contrastino la disoccupazione e a favore dei lavoratori. Da questo articolo deriva che l’Italia è una Repubblica democratica in cui ogni cittadino ha il diritto e il dovere di esercitare il potere, ed in cui non domina una certa classe sociale su un’altra, ma è il lavoro a dover essere inteso come elemento da cui dipende la crescita e lo sviluppo sociale del paese. Quindi solo con il lavoro l’uomo può essere pienamente inteso come cittadino. Inoltre la regola fondamentale che detta questo articolo è che in qualsiasi gruppo sociale e/o istituzione le decisioni spettano a tutti i componenti, e non ad un solo individuo che detiene un maggiore potere. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Nella nostra Costituzione, democrazia significa “governo del popolo”, infatti, il secondo comma sottolinea che “la sovranità appartiene al popolo”. Il popolo è l’insieme di numerosi soggetti e gruppi sociali con ideologie, programmi e interessi diversi. La sovranità del popolo non è onnipotente (altrimenti si parlerebbe di dittatura democratica), ma è esercitata nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione, la quale detta quindi le regole del gioco politico. Ogni tipo di democrazia, sia repubblicana che monarchica, per poter essere definita tale dev'essere fondata sul popolo, ovvero sugli aventi diritto alla cittadinanza, tutti regolati da una Legge di Stato certa, ma sempre discutibile e modificabile. Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L’espressione “La Repubblica riconosce i diritti…” significa che questi sono connaturati alla dignità della persona umana e quindi sono inviolabili anche da parte dello Stato. In questo articolo viene affermato che esistono i diritti dell’uomo (come il diritto alla vita, all’espressione del proprio pensiero, a formarsi una propria famiglia, ecc.) e che la Repubblica li tutela. Ma l’uomo, in quanto essere sociale, ha il dovere di partecipare al sostegno dello Stato, partecipando alle scelte comuni mediante elezioni, prestando servizio militare, pagando le imposte, ecc. Le norme costituzionali che li prevedono non possono essere eliminate, neppure da parte di un legislatore costituzionale. La parola solidarietà sta a indicare la partecipazione del singolo ai problemi di ordine collettivo, e la sua disponibilità a rinunciare a qualcosa di individuale in vista del bene degli altri. Lo Stato voluto dalla Costituzione è dunque uno Stato solidaristico. Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Pone il principio dell’ uguaglianza formale, cioè dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, e quindi il divieto di trattamenti di favore o sfavore. La Costituzione indica alcuni espliciti divieti di discriminazioni secondo: ⇒ Il sesso: impone l’eliminazione di ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica. ⇒ La razza: è la reazione ai crimini compiuti in Italia e Germania, soprattutto contro la comunità ebrea. ⇒ La lingua: alla visione nazionalistica del fascismo, si è oggi sostituita la convinzione che le diverse culture e identità linguistiche, costituiscano una ricchezza per tutti e devono perciò essere protette contro il rischio dell’assimilazione. Richiama l’art.6. ⇒ La religione: riporta all’art 8 e 20 secondo i quali tutte le confessioni religione sono ugualmente libere di fronte alla legge, e non possono essere causa di speciali limitazioni legislative. ⇒ Le opinioni pubbliche: è il presupposto fondamentale della democrazia, cioè del regime in cui tutti gli ordinamenti possono confrontarsi liberamente. Le condizioni personali e sociali: ogni persona vale quanto le altre, pertanto sono vietate leggi personali e di privilegio. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Pone il principio dell’uguaglianza sostanziale, la quale consiste nell’avere le stesse concrete possibilità di esercitare i propri diritti. Quindi richiede anche l’utilizzo di leggi che stabiliscono trattamenti diversificati, per favorire coloro che sono più deboli. Per far conciliare l’uguaglianza sostanziale con quella formale, la legge deve trattare in modo uguale le situazioni uguali e in modo diverso le situazioni diverse. Proprio in base a questa concezione si giustificano le azioni positive, cioè misure legislative a favore di particolari gruppi sociali. Occorre tener presente la differenza che c’è tra il caso in cui la legge distingue e quello in cui discrimina. Nel primo caso attribuisce a ciascuno ciò che ragionevolmente gli spetta, nel secondo caso, gli sottrae ciò che ragionevolmente gli compete. Dal principio di uguaglianza deriva quindi la ragionevolezza delle leggi, il quale controllo spetta alla Corte Costituzionale. In questo articolo viene inoltre definito il superamento dello Stato liberale, spettatore estraneo e la promozione di uno Stato interventista, che compatta gli squilibri della società attraverso politiche di riforma. Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Tale articolo, sancisce il diritto-dovere al lavoro. Il diritto al lavoro, non deve essere inteso come l’obbligo dello Stato a dare lavoro a tutti, ma come l’obbligo di potenziare le strutture al fine di raggiungere la piena occupazione. Lo Stato deve inoltre intervenire con norme che permettano a tutti piene possibilità di entrare nel mondo del lavoro. Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. Le autonomie locali prendono anche il nome di comunità. La Costituzione assicura ad esse autonomia, con i limiti che derivano dal fatto che ciascuna di esse non è sovrana ma deve armonizzarsi nell’attività nazionale. L’Italia è uno Stato unitario, che non consente separazioni del territorio, uno solo sarà il governo, una sola sarà la pubblica amministrazione. Tuttavia tale principio è attenuato dai principi d’autonomia e decentramento amministrativo. Art. 6. La Repubblica tutela, con apposite norme, le minoranze linguistiche . Richiama l’art.3. Nel nostro Paese esistono varie comunità di cittadini di lingua non italiana (francese, tedesca, greca, albanese, …), perciò la Costituzione attua una sorta di tutela delle minoranze linguistiche tesa a salvaguardare lo sviluppo di una società sempre più caratterizzata da una multietnia. Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Questa formula è diversa dall’espressione di Cavour “libera Chiesa in libero Stato”. Secondo quest’ultima lo Stato libero avrebbe dovuto assicurare la libertà della Chiesa; secondo la formula costituzionale, invece, la Chiesa è collocata fuori dallo Stato e i loro rapporti sono rapporti tra soggetti reciprocamente indipendenti. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. Stabilisce che i rapporti Stato-Chiesa cattolica, sono regolati dai Patti Lateranensi del 1929. Tuttavia tali Patti devono conformarsi hai principi supremi della Costituzione. In base a questo principio, la Corte Costituzionale, ha dichiarato incostituzionale la norma che rendeva efficaci in Italia le sentenze dei tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale, senza che vi fosse una deliberazione dei giudici italiani. Per quanto riguarda la modificazione dei Patti, se c’è l’accordo con la Chiesa, lo Stato può provvedere alla modifica con una semplice legge ordinaria; se non c’è l’accordo, occorre usare il procedimento di revisione Costituzionale. Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. In questo articolo viene affermato che qualsiasi religione può organizzare delle proprie istituzioni, e quindi ha il diritto di avere una certa autonomia purchè non vada contro l’ordinamento giuridico italiano, e quindi tutte le religioni dovrebbero essere uguali di fronte ad un qualsiasi ambiente sociale e culturale: ragazzi di altre religioni ad esempio devono essere trattati a scuola come tutti gli altri. Le confessioni religiose diverse da quella cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. Riconosce il diritto di organizzarsi secondo propri statuti, purché non in contrasto con l’ordinamento giuridico dello Stato. Queste confessioni godono quindi di autonomia, subordinatamente però al diritto dello Stato. Tale autonomia non è dunque paragonabile a quella della Chiesa Cattolica, totalmente indipendente dallo Stato. I loro rapporti con lo Stato sono regolati dalla legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. - Attualmente hanno raggiunto l’intesa con lo Stato: - Chiesa valdese - Chiese Cristiane avveniste del 7° giorno - Assemblee di Dio in Italia - Comunità ebraiche - Chiesa Luterana - Chiesa Evangelica e Battista Mentre sono in corso le trattative con: - Buddisti - Mussulmani Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Sancisce la promozione, molto importante, e la diffusione della cultura e della ricerca, quali indici delle radici della nazione. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Prevede politiche a difesa dell’ambiente e tutela del paesaggio, dall’aggressione dello smog, dell’inquinamento, nonché la tutela del patrimonio artistico e storico del nostro Paese. Art. 10. L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La Costituzione respinge il nazionalismo. L’Italia è uno Stato nazionale, non nazionalistico; in quanto riconosce e difende la propria identità rispetto gli altri Stati, ma adotta atteggiamenti di collaborazione e integrazione con questi. L’Italia si considera parte di un ordinamento più vasto, riguardante l’ordine internazionale, le cui norme sono obbligatorie anche in Italia. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Viene analizzata la condizione dello straniero al quale, se dimostra di non poter esercitare i suoi diritti nel proprio Paese, si riconoscono i diritti di asilo nel territorio italiano, nei limiti e nelle forme previste dalla legge, e il diritto di non essere estradato per motivi politici. Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici. Art. 11. L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Questo articolo è la base della partecipazione italiana al sistema internazionale di protezione dei diritti dell’uomo. Esso afferma che la sovranità può essere limitata in condizioni di parità con gli altri Stati, per creare un ordinamento internazionale che assicuri pace e giustizia tra le Nazioni. Un altro principio molto importante sopra riportato è il ripudio alla guerra, diverso dal pacifismo, che significa una concezione della guerra come male, pur se a volte necessaria per la difesa. L’art. 11 ha anche costituito la base per l’adesione italiana all’ONU e alla Comunità Europea. Art. 12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. ! " # $ % & '% " ( ) * +, - # # ## $ # . " " , , % # # / / # # # 0 # , ( 1 2 mentre verdi erano, fin dal 1782, le uniformi della Guardia civica milanese. '% I VALORI DELLA COSTITUZIONE EUROPEA Prima di trattare di quali debbano essere i valori e i principi su cui è necessario che una Costituzione Europea si basi, è da stabilire la finalità di un atto sicuramente complesso come una legislazione. Se cioè si voglia fare dell’Unione Europea una semplice organizzazione economica e politica sovranazionale (quale già è) oppure un vero e proprio Stato a sé, anche se sicuramente all’insegna del federalismo. Qualunque sia la scelta, in ogni caso l’UE deve farsi garante in tutti gli Stati membri del rispetto dei diritti dell’uomo di libertà, giustizia ed eguaglianza da ogni punto di vista. Ma dovrà necessariamente tener conto delle enormi differenze esistenti tra Paese e Paese e persino tra diverse regioni di un medesimo Stato. Il principale obiettivo è, dunque, il rafforzamento dell’unità dell’Europa, appianando dissidi e divergenze di vedute senza assolutamente minare la grande diversità culturale presente negli Stati dell’Unione: la creazione di una superpotenza multietnica in grado di opporsi a Stati Uniti, Russia, Giappone e agli astri nascenti dell’economia mondiale come la Cina può apparire un progetto ai limiti dell’utopico, e sicuramente non è di facile realizzazione, ma vi si può arrivare in tempi relativamente brevi. Si sta difatti già marciando in questa suggestiva direzione: il progetto di Costituzione Europea proposto nel 2004 e rifiutato da Francia e Paesi Bassi prevedeva anche la creazione di un Ministero degli Affari Esteri europeo in grado di rappresentare l’intera Unione davanti al mondo. Ma in questo modo andrebbero rimesse in discussione molti aspetti della politica estera degli Stati dell’UE, e soprattutto la loro partecipazione individuale ad organizzazioni come NATO ed ONU. Mentre lo scopo attuale dell’UE è essenzialmente l’eliminazione di divergenze sui principi-base della futura Unione, garantendo innanzitutto ad ogni cittadino europeo il pieno rispetto dei suoi diritti, per poi discutere – magari in un Parlamento apposito – su questioni secondarie. Dico questo pensando alle differenze anche consistenti tra le diverse realtà europee: con l’ingresso che pare ormai prossimo della Turchia nell’UE, sarà compito dell’Unione stessa garantire ad un cittadino turco i diritti e le libertà di ogni altro europeo, ma andrà trovata una comune linea di condotta anche su temi scottanti come i pacs e le radici giudaico-cristiane su cui tanto si è discusso e ancora si discute. A questo punto l’idea di un Parlamento Europeo con pieni poteri decisionali, come si trattasse di un parlamento nazionale, appare tutt’altro che fuori luogo, ma reca ulteriori problematiche con sé, legate alla quasi impossibilità di considerare contemporaneamente le molteplici realtà presenti nell’Unione. Ma è certo che, in qualsiasi modo sia organizzata, l’UE dovrà garantire assenza di ogni forma di discriminazione, sia essa dovuta a razza, sesso, orientamento sessuale o religione. E per questo dovrà essere svincolata da ogni legame con singole etnie o credi, e fare della multietnicità il suo punto di forza: l’impellente necessità di ricucire lo strappo con il Medio Oriente implica il rispetto delle numerose comunità islamiche sparse sul suolo europeo. E con rispetto si intende, ovviamente, il non imporre un’eredità cultural-religiosa che di certo non appartiene loro e il riconoscimento di tradizioni differenti dalle nostre. Dunque si tratterebbe di un’Europa politicamente ed economicamente forte, che possa incentivare immigrazione e occupazione, che sia per le pari opportunità e contro analfabetismo e ignoranza, priva delle contraddizioni dell’Oriente arabo e dell’America votata ad un miraggio di democrazia: un’Europa in un certo senso Illuminista, cosmopolita cioè e garante dei diritti dell’uomo, che non sia schiava né padrona di nessuno se non di se stessa. Un’Europa che difende l’ambiente e incentiva la ricerca scientifica, che agisca infine nel pieno rispetto dell’ “altro” e del “diverso”. Un sogno? Forse, ma di sicuro è realizzabile. Filippo Festuccia I B ISLAM INTRODUZIONE: Religione fondata all’ inizio del VII secolo d.c. da Maometto e praticata oggi da circa un miliardo di fedeli. Confessione diffusa in larghissima maggioranza non solo in tutti i paesi del Medio Oriente, a eccezione di Israele, ma anche in Africa centrosettentrionale in Turchia, Iran, e Albania. In Italia i mussulmani sono almeno 800.000, per gran parte immigrati dai paesi nordafricani e dal Senegal. Islam è una parola araba che indica il concetto di sottomissione assoluta all’onnipotenza di Allah, il Dio unico e invisibile: l’Islam si caratterizza infatti come espressione di un monoteismo radicale, fin dalla formula fondamentale-“Non vi è altro Dio all’ infuori di Allah, e Maometto è il profeta di Allah”-recitata nel segno dell’apparenza alla comunità degli adoratori dell’unico Dio. Maometto non si attribuì mai una natura sovrumana, presentandosi unicamente come il profeta al quale Allah avrebbe consegnato, con tramite dell’arcangelo Gabriele, la rivelazione divina destinata a essere custodita e venerata per sempre dai fedeli. Tale rivelazione è contenuta nel Corano, il libro sacro dettato da Dio all’umanità a completamento del messaggio parzialmente trasmesso dalla Bibbia ebraica e cristiana. Affiancando a questa concezione teologica un corpus normativo che regolamenta con precisione la condotta dei fedeli interamente sottomessi al volere divino, l’Islam ambisce ad identificare l’intera società con la comunità dei fedeli di Allah. A differenza del cristianesimo, il mondo musulmano non ha mai conosciuto un’autorità suprema ritenuta depositaria della verità in materia di fede e di etica. In assenza di una figura paragonabile a quella del papa del cattolicesimo, la tradizione islamica assegna all’ intera comunità dei fedeli il compito di custodire i precetti della religione e della retta condotta. LE ORIGINI Vissuto nell’Arabia occidentale all’inizio del VII secolo d.C., Maometto predicò agli abitanti di quella terra, in maggioranza seguaci rivelatagli direttamente dall’unico Dio. Nonostante l’ostilità incontrata nella sua città natale, La Mecca, il profeta riuscì a dar vita, nella città oggi nota come Medina, a una comunità politico-religiosa che sarebbe riuscita a imporre la propria autorità in tutta l’Arabia, nelle città come fra le tribù nomadi, elevando l’appartenenza all’Islam al ruolo di elemento di identificazione di una compagine politica unitaria. Se la tradizione musulmana, sottolineando il primato assoluto di Allah, gli attribuisce le parole rivelate a Maometto e registrate nel Corano, le cui pagine altro non sarebbero che copie di archetipo celeste unico e immutabile, la moderna ricerca storico-religiosa mira a chiarire le origini del monoteismo islamico considerando primariamente l’ influenza esercitata in Arabia dall’ ebraismo e dal cristianesimo, in particolare nell’ambiente culturale del profeta, al quale non erano ignote le Sacre Scritture degli ebrei e dei cristiani, salutati con rispetto come “popoli del libro”. Il Corano, infatti, fa riferimento a Mosè come al tramite in rivelazione divina contenuta nella Torah, mentre Gesù viene presentato come il custode di un “vangelo” in una prospettiva tendente a identificare il fondatore del cristianesimo con l’estensore di un libro dettato dalla divinità. Annoverando Gesù tra i profeti, analogamente ai personaggi considerati tali dall’Antico Testamento, il Corano lo presenta come , Messia, ma respinge come bestemmia suprema l’attribuzione di una natura divina, pur condividendo con i Vangeli il racconto della sua nascita da una vergine e dei miracoli compiuti, per poi divergere dalla tradizione cristiana in merito alla crocifissione: Gesù sarebbe stato infatti direttamente innalzato al cielo da Dio senza conoscere l’umiliazione del supplizio, patito in realtà da un uomo reso simile, davanti a lui gli occhi dei suoi persecutori e degli stessi discepoli. Queste altre asserzioni del Corano possono essere connesse più o meno precisamente con i racconti dei Vangeli apocrifi e con le dottrine delle differenti correnti ebraiche e cristiane diffuse, o comunque conosciute in qualche modo, in Arabia all’epoca di Maometto, ed è significativo che lo stesso libro sacro, presentando come fatto riprovevole la divisione dei cristiani in sette contrapposte l’una all’ altra, abbia coscienza dei numerosi movimenti sviluppatisi in seno al cristianesimo dei primi secoli in gran parte condannati come eretici. LA LEGGE E I RITI La professione di fede in Allah obbliga i seguaci dell’Islam all’osservanza di una serie di norme etiche e legali che, regolamentando ogni aspetto della vita della comunità, costituiscono un complesso e minuzioso codice giuridico concepito come modello ideale per società teocratica. Identificando infatti la società civile con la comunità dei fedeli, la teologia islamica innalza il diritto, “saggezza”, al rango di scienza religiosa, che deve essere coltivata dai dotti con la massima dedizione per garantire nel futuro la conformità della condotta dei fedeli ai principi della legge. Gli esperti di giurisprudenza, legiferano in relazione a ogni aspetto della vita civile e religiosa: essi elaborano sia le norme del codice penale sia le prescrizioni del diritto di famiglia, ponendo a fondamento delle loro decisioni non solo i dati del Corano e della sunnah, come si trovano nelle raccolte dei detti e delle azioni del profeta, ma anche l’orientamento concorde, di una o più generazioni di uomini di leggi in relazione a una determinata materia. IL DIRITTO DI FAMIGLIA E LA CONDIZIONE DELLA DONNA Nell’ambito di competenza della shariah rientrano anche nelle norme del diritto matrimoniale. Le nozze per l’uomo possono avere anche carattere poligamico: alla libertà di sposare fino a quattro donne si associa l’obbligo di assicurare un identico tenore di vita a ciascuna delle consorti e ai rispettivi figli. Il divorzio, possibile per iniziativa del marito anche in assenza di particolari motivazioni, e essere ottenuto dalla donna solo per mezzo di una complessa procedura giuridica, sulla base dello principio che consente il matrimonio fra un musulmano e una donna di diverso credo religioso, ma impedisce di dare in sposa una donna musulmana a un uomo non seguace dell’Islam. Per quanto concerne l’abbigliamento femminile, l’esortazione rivolta dal Corano alle donne affinché indossino un mantello che copre il loro corpo da capo a piedi non può essere posta a fondamento della prescrizione di nascondere anche il volto, introdotta dai califfi Abbasiti con la consuetudine di confinare le mogli nell’harem, ovvero “luogo interdetto” agli uomini, consentendo loro di comparire in pubblico soltanto con il volto coperto. Questo orientamento non univoco della tradizione antica fa si che le prescrizioni in materia di abbigliamento femminile siano tuttora più o meno rigide nei diversi paesi islamici, analogamente alle altre norme che regolano le attività delle donne in campo sociale e professionale. Allo stesso modo, l’applicazione letterale della Shariah come espressione principale del diritto è prerogativa di paesi, quali l’Arabia Saudita e l’Iran, più inclini a una visione integralista dell’Islam. LA PREGHIERA La preghiera, certamente la pratica più suggestiva dell’Islam, riunisce per cinque volte al giorno l’intera comunità dei fedeli che, ovunque si trovino interrompono all’ora stabilità qualsiasi attività per compiere i gesti di un preciso cerimoniale, rivolgendosi verso La Mecca su un tappeto, limite dello spazio sacro, a piedi scalzi e in stato di purità rituale dopo una serie di abluzioni. La preghiera quotidiana viene recitata in forma collettiva nella moschea, il luogo di culto dei musulmani, dove il venerdì, giorno di festivo per l’Islam, si tiene a mezzogiorno il rito solenne. LE PRINCIPALI CORRENTI DELL’ISLAM Per quanto concerne invece l’epoca moderna, il rapporto con la cultura europea ha certamente costituito il motivo di fondo che ha interessato, già dal XVII secolo, intero mondo musulmano, determinando talvolta uno stato di tensione a motivo dell’emergere, accanto alle posizioni decisamente riformistiche, di atteggiamenti di chiusura totale di fronte a qualsiasi cultura estranea all’antica tradizione religiosa, ai teorici di un Islam per così dire “moderato” che sappia far convivere i suoi ideali tradizionali con le esigenze di una società moderna e parzialmente occidentalizzata si contrappongono infatti quanti considerano il primato della legge religiosa nella vita sociale come elemento irrinunciabile dell’identità islamica, minacciata dal laicismo politico e sociale dell’Occidente secolarizzato. Il malcontento diffuso negli ambienti religiosi più tradizionali, fortemente critici verso la politica di quei governi ritenuti responsabili della corruzione di una società ligia da secoli al rispetto dei principi più puri dell’Islam, è alla base del fenomeno del cosiddetto fondamentalismo islamico. E’ questa una delle tendenze più vistose dell’Islam del XX secolo, per quanto sia scorretto sopravvalutarne l’importanza a scapito delle altre espressioni di questa religione. Sorto propriamente in ambito cristiano in riferimento alle istanze di quelle denominazioni del protestantesimo che, alla fine del XIX secolo, promisero negli Stati Uniti una battaglia a difesa dell’interpretazione letterale del testo biblico, il termine “fondamentalismo” indica oggi convenzionalmente l’ideologia dei numerosi movimenti nati nel mondo islamico per propugnare, anche con il ricorso alla violenza, ritorno alla rigida osservanza dei precetti della religione come forma di opposizione politica e culturale nell’Occidente. Se questi ideali caratterizzarono già dal 1928 un gruppo come quello dei “Fratelli musulmani”, il cui esponente di maggior prestigio, Sayyid Qutb, fu giustiziato per ordine delle autorità egiziane nel 1966, il fondamentalismo islamico ha conosciuto la massima diffusione nell’ultimo scorcio del secolo con l’attività di numerosi movimenti politico-religiosi capaci di influire sulla vita sociale in diversi paesi. GUERRA SANTA Motivo ispiratore per le azioni di queste compagini è il concetto di “guerra santa” contro gli infedeli, identificati indifferentemente con i non musulmani e con i membri della comunità islamica considerati i traditori a motivo delle loro posizioni in progressiste e filo-occidentali. A questo proposito occorre precisare che il termine arabo jihad, nel quale non solo la cultura occidentale, ma anche qualche settore dello stesso integralismo islamico, tende a cogliere la definizione della guerra santa come dottrina essenziale dell’Islam, nel Corano ha un’eccezione più ampia: jihad significa infatti “sforzo” e il libro sacro, considerando come sforzo maggiore sulla via di Dio l’impegno del fedele a vincere le proprie tentazioni per divenire un buon musulmano, presenta la guerra santa contro gli infedeli soltanto come dovere minore da compiersi in circostanze ben precise sulla base di una rigorosa definizione giuridica. Non si deve dimenticare inoltre che, per quanto l’Islam sia penetrato in Europa come conseguenza della forza espansionistica dell’impero ottomano dal 1300 alla fine della prima guerra mondiale, il diritto musulmano non ha mai previsto, di fatto, l’imposizione della fede islamica attraverso la guerra, tenendo distinti i successi militari dei popoli arabi dalla diffusione della religione predicata da Maometto. Martina Passetti III B, Alessandra De Clementi IIIB ISLAM E MODERNITÀ Questi due concetti chiave richiedono una rielaborazione, se si vuole far luce nella confusione attuale derivante da un uso polemico e ideologico dei termini, che tende a contrapporre due forze antagoniste a prescindere da qualsiasi analisi storica, sociologica, antropologica, teologica e filosofica che sia. Le dispute tra quello che si chiama complessivamente l'islam e l'occidente sono già chiaramente espresse nella volontà di rivendicare di essere l'unico depositario della verità rivelata con l'utilizzo di guerre sante che si susseguono dal 1945 fino ai giorni nostri. È facile notare che tutte queste guerre (canale di Suez, guerra gel golfo...) coinvolgono protagonisti legati a quelle che sono le tradizioni religiose. Oggi è politicamente importante e urgente che l'Unione Europea superi le ineguaglianze per costruire una storia solidale dei popoli fondata sul rispetto di tutti i principi e di tutti i valori; questa solidarietà implica l'inaugurazione di una diplomazia dedicata all'attuazione di una politica comune, alla ricerca nella scienze umane e nelle conoscenze sociali. l'SLAM E L'ITALIA Vengono affrontate le problematiche sull'intesa tra l'Italia e la confessione islamica, sulla base dell'articolo 8 della costituzione italiana che prevede il fine di regolare i rapporti tra l'Italia e confessioni religiose diverse da quella cattolica, nella prospettiva di uno stato che sia davvero cosa in grado di offrire anche ai cittadini stranieri pari opportunità. È stata creata una prima bozza di intesa nel 1992 dall'UCOI: unione della comunità e organizzazioni islamiche in Italia, e la stessa richiesta veniva avanzata nel 1993 con una lettera ufficiale allo stato italiano. L'ex presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il senatore a vita Giulio Andreotti, Susanna Agnelli, Luigi Manconi…hanno promosso il manifesto "condividere i diritti e i doveri" per sostenere l'esigenza di elaborare politiche e pubbliche regole condivise, capaci di costruire la possibile convivenza con le comunità islamiche presenti in Italia e di disinnescare i potenziali conflitti; ciò richiede un'intesa di tipo giuridico per garantire l'esercizio delle attività di culto e di organizzazione dei musulmani. FONDAMENTALISMO E DIRITTI DELLE DONNE NELL'UE Il fondamentalismo può svilupparsi come una minaccia e un attacco alla pace, alla libertà, ai diritti dell'uomo, e soprattutto ai diritti delle donne. È necessario affrontare politicamente questo grave problema cercando di apportare proposte utili che servano per combatterlo. Osserviamo che, nel corso della storia fino ad oggi le donne sono state una delle principali vittime dei fondamentalismi religiosi che possono comportare un regresso e un annullamento dei diritti di cui le donne hanno bisogno, essendo la situazione della donna legata al grado di libertà e di sviluppo del paese di appartenenza. Dove esiste la libertà le donne sono prospere, dove invece è negata le donne sono le prima a farne le spese. Il concetto di modernità non è culturalmente escludente né univoco: non si può parlare di un unico stampo di donna emancipata; i diritti umani espressi in legge garantiscono la protezione della dignità umana, i fondamentalisti tendono a frenare la modernità di cui le donne sono le vere portatrici; giacché se una donna si modernizza si modernizza anche tutta la società. Osserviamo che esiste un notevole numero di normative che emarginano la donna e la subordinano agli uomini, la schiavizzano, la sfruttano, la costringono a sposarsi, la puniscono fisicamente e psicologicamente. Vi sono fortunatamente anche delle donne che hanno frequentato e frequentano l'università e che stanno trasformando il proprio ruolo nella società e il loro campo d'azione riuscendo a legittimarsi nel processo di emancipazione e a denunciare le carenze educative e formative che i fondamentalisti gli creano. L’identità della donna deve poter essere personale e individuale e libera da costrizioni istituzionali; la donna deve denunciare la violenza dei fondamentalisti e reclamare la propria libertà e l'affermazione della propria autonomia. L'UE si sta adoperando affinché le donne possano ritenersi tali, affinché siano a conoscenza dei loro diritti e affinché denuncino le persecuzioni. l'UE invita anche ad anteporre cooperazione e associazione, ad aprire un dialogo politico con le autorità dell’Islam finalizzato a migliorare la condizione delle donne e a condannare l'oppressione inumana. l'UE propone la creazione di una commissione internazionale di pace, cui parteciperanno tutte le parti coinvolte, ed esorta gli stati che ne fanno parte ad esprimere riserve nei confronti dei governi che non garantiscono la difesa dei diritti umani, respingendo ogni forma di fondamentalismo religioso in quanto contrario alla dignità umana. Esorta inoltre tutti i leader religiosi a promuovere la parità dei diritti compreso quello di esercitare il controllo del proprio corpo e di decidere quando creare una famiglia propria e non riconoscere i paesi nei quali le donne non possono acquisire piena cittadinanza. Ludovica Nola I B