U s o d i s o s t a n z e e c o m u n i c a z i o n e Oltre la comunicazione dissuasiva. La comunicazione del rischio di Claudio Cippitelli Introduzione Almeno un morto in meno. Almeno qualche ragazzo in meno in piazza ad attendere il pusher e l’eroina. Questa, in estrema sintesi, la dichiarazione di chiunque, operatore della prevenzione o agenzia di comunicazione, si trovasse ad esplicitare l’obiettivo del suo progetto o della sua campagna pubblicitaria dagli anni Ottanta sino alla prima metà degli anni Novanta. In quegli anni la droga rappresentava in maniera emblematica (a volte esaustiva) ciò che veniva tematizzato come il disagio giovanile. Dopo gli anni settanta, decennio nel quale i movimenti ed il protagonismo giovanile avevano segnato profondamente la cultura, la società e la politica italiana, arrivano gli anni del “riflusso” e con essi compare il consumo di oppiacei (in particolare di eroina) in ampie fasce della popolazione giovanile. Sono gli anni in cui sembra perdere di senso, in sociologia, l’approccio della scuola struttural-funzionalista, che spiegava il fenomeno come il portato della frustrazione di appartenere ad una determinata classe sociale, di possedere un determinato reddito, di vivere in un determinato ambiente o in un determinato MDD 1 - Marzo 2011 Gli aspetti che possono fare la differenza sono l’autorevolezza delle fonti, l’adeguatezza, l’utilità e la specificità dei messaggi, la capacità di penetrare e permanere in ambiti e livelli sociali diversi, la formazione e la capacità degli operatori sul campo. Campagne sporadiche e generaliste, discorsi esortativi, affermazioni in genere sulla droga in genere, hanno, in effetti, la sola funzione di rassicurazione sociale. __________ quartiere; al suo posto si afferma una lettura inedita che si riferisce ad una nuova categoria, frutto dei mutamenti sociali in atto dal secondo dopoguerra: “Ad una ad una cadono dunque tutte le ipotesi interpretative le41 gate al modello strutturalista, il quale sembra perdere in tal modo gran parte della sua forza esplicativa, a meno che non si proceda a ripensare l’ipotesi strutturalista in un senso del tutto nuovo, proprio a partire dalla sola variabile che oggi rimane ancora a rendere ragione del fenomeno: la condizione giovanile in sé, intesa come nuova classe sociale emergente dalla società del benessere.” (Tartarotti 1986, pag.22) Sono gli anni in cui si transita da una interpretazione della droga (e dei drogati) come la risultante del rifiuto della norma, della devianza e del reato ad una visione ispirata da una progressiva medicalizzazione del fenomeno: la tossicomania diviene una malattia sociale. La legislazione muta, e si passa da dispositivi fortemente criminalizzanti (anche del solo consumo di sostanze psicotrope come disposto dalla legge n. 1041 del ’54) ad un testo di legge (n. 685 del ‘75) che tematizza la tossicodipendenza come una patologia sociale; si passa dal criminale alla vittima, che va difesa da se stessa, ma che rimane comunque pericolosa. Da queste considerazioni appare evidente come, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, la C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva comunicazione pubblica in tema di droghe sia plasmata dai due approcci appena citati: la droga è un crimine e conduce al crimine, la droga fa male (qualunque, comunque). Una comunicazione centrata sul contenuto, un contenuto che non intende apparire come controverso o discutibile, ma vero e necessitante. Un messaggio deciso, in grado di fare fronte ad un fenomeno che, come ormai ben sappiamo, non può non essere percepito e definito come emergenza. Non è compito di queste brevi note fare una ricostruzione della comunicazione pubblica sulle droghe che si è andata dispiegando nel nostro Paese: molto più semplicemente si intende segnalare come, nel tempo, si sono modificati gli strumenti e gli approcci dei tanti operatori sociali impegnati in attività di prevenzione e, negli ultimi quindici anni, nelle politiche conosciute come di limitazione dei rischi e riduzione dei danni. dimostrano bene i titoli e le metafore adoperate. Il Comune di Roma ne fece affiggere uno dove compariva un grosso amo da pesca nel quale al posto del verme faceva da esca uno spinello, circondato da pasticche, siringhe e flaconcini vari. Un altro manifesto rappresentava una trappola, di quelle usate per catturare i topi in casa. La scritta recitava: ”Non lasciarti intrappolare, la droga non scherza”. Il messaggio quindi mette in allerta rispetto alla droga in generale, sempre declinata al singolare, senza nessun tentativo di distinzione tra le diverse sostanze. Un messaggio che vuole essere esplicito, chiaro, ma che al contrario risulta essere quanto mai ambiguo e, dal punto di vista della comunicazione, assai pericoloso. Tali messaggi, infatti, nel parlare di trappola e ami, legittimano la droga come oggetto desiderabile, rispetto al quale può scattare il meccanismo del desiderio e della sfida: “Ora se io utilizzo un’immagine come quella della trappola è chiaro che voglio segnalare a livello metaforico il perverso e incontrollabile meccanismo della dipendenza: ma una volta stabilita l’equivalenza metaforica dei termini ‘trappola - dipendenza’ non posso illudermi che, automaticamente non si sviluppino, nei destinatari del mio messaggio, le altre equivalenze metaforiche implicate - nel caso: ‘formaggio-droga’, ‘topoli- Il manifesto murale La comunicazione pubblica sul fenomeno droghe tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta trova nel manifesto murale uno dei veicoli comunicativi più diffusi. Comuni, enti locali, istituzioni sanitarie nazionali, ma anche partiti, sindacati e associazioni ne producono un numero rilevante, a dimostrazione della sensibilità e dell’ansia che si andava diffondendo nella società di fronte ad un fenomeno inedito, dai confini ancora incerti, sospettato di possedere un forte potenziale criminogeno. La droga viene descritta come un oggetto subdolo, come 42 MDD 1 - Marzo 2011 C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva no-destinatario’, il che qualifica la droga come desiderabile (e non solo per il potenziale drogato, in quanto il formaggio non piace solo ai ‘topolini’) e il mio destinatario come un soggetto naturalmente affascinato dall’oggetto dal quale io vorrei distoglierlo.” (Donghi in Bartolomucci & Buscema, 1986, pag. 65). Inoltre, in tali messaggi le sostanze venivano trattate in modo indistinto, tutte accomunate dalla stessa desiderabilità e dallo stesso esito. Si tratta di uno stile comunicativo che, purtroppo, tende ad essere replicato anche oggi, nonostante la contrarietà di gran parte della policy community e contro le evidenze scaturite da molti lavori di ricerca, sia europei che nordamericani, che ne criticano pesantemente l’efficacia. Infatti, se manifesti murali come quelli appena descritti possono raggiungere l’obiettivo di rassicurare l’opinione pubblica sul fatto che le istituzioni si occupano del problema “droga”, in una popolazione giovanile, magari adiacente o implicata in consumi di cannabinoidi, tali produzioni raggiungono lo scopo di togliere qualsiasi credibilità alla fonte emittente, alla istituzione che li aveva ideati. Le campagne informative nazionali Dagli anni Novanta, anche su impulso della nuova legislazione su droghe e tossicodipendenze che, tra le altre cose, prevedeva e finanziava programmi comunicativi annuali (legge n. 162/90), partono le campagne nazionali, che punteranno in modo particolare alla MDD 1 - Marzo 2011 produzione di spot trasmessi attraverso la radio e (soprattutto) la televisione: “Quella legge ha messo in moto obblighi. Quindi Stato, Regioni, Comuni e un sistema associativo di tipo culturale e scientifico, che considero sempre in opportuna dialettica rispetto ai poteri istituzionali, hanno cominciato a riflettere su come presidiare la comunicazione che quella legge prevedeva, con tanto di copertura finanziaria assicurata (una vera importante novità), nel suo articolato.” (Rolando, 2004, pag. 225). Per la prima volta la comunicazione viene affidata in modo organico a professionisti, affiancati da esperti di sostanze e trattamenti, sia dei servizi pubblici che delle diverse organizzazioni non governative. I messaggi assumono confezioni molto simili a quelle della pubblicità, rispettando i tempi e gli stilemi della comunicazione commerciale. La vera differenza è che, mentre nella pubblicità si vuole vendere un prodotto, nel caso della comunicazione in oggetto si vuole dissuadere da un consumo, quello di stupefacenti, spesso assai desiderabile, come nel caso dei cannabinoidi: “Naturalmente il messaggio del ‘mi faccio carico’ in pubblicità vale relativamente, perché la pubblicità serve davvero quando dici ‘ti vendo un messaggio netto, un sogno o una provocazione, perché tu faccia un atto di acquisto o comunque una scelta’. Ha effetti più problematici quando tende ad impedirti una cosa. Già qui la pubblicità vale la metà. Ma quando la pubblicità non solo non promuove 43 una vendita, ma sostanzialmente si riduce a un valore alla sua soglia minima, allora essa non è tanto quello che ti dice un messaggio, ma è la catena integrata che parte dal numero verde e si amplia attraverso altri strumenti che determinano la capacità di essere presenti in una sorta di call center allargato, la capacità di fare sportello, la capacità di generare prodotti di comunicazione in rete, di costruire comunicazione.” (Rolando, 2004, pag. 229). La comunicazione in rete, di cui parla Rolando, per almeno alcune delle campagne nazionali è stata effettivamente possibile. Infatti, il network dei servizi dedicati alla prevenzione e cura, dagli anni Novanta in poi, si era andato ampliando in modo significativo, sia in termini quantitativi che qualitativi. Da quella data, operatori e servizi sono rintracciabili non solo in realtà indoor (SerT, Comunità residenziali), ma anche direttamente nel territorio, nuovo campo di azione delle “unità di strada”. Negli anni Ottanta erano intervenute due novità che costringono la policy community ad adottare approcci e metodologie inedite, che modificheranno profondamente il sistema dei servizi. La prima novità è la comparsa dell’HIV e il suo rapido diffondersi tra la popolazione dei tossicodipendenti da eroina per via iniettiva. Per fare fronte alla diffusione di tale virus, anche in Italia viene proposta l’adozione delle “politiche di riduzione del danno” che prevedono, tra le altre cose, l’avvio di progetti di outreach, la ricerca attiva dei consumatori e dei dipendenti, allo scopo di promuovere pratiche di prevenzione rispetto al diffon- C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva dersi dell’AIDS. Le politiche di riduzione del danno incontreranno non poche difficoltà ad affermarsi, in un dibattito che confronta decisi oppositori (la riduzione del danno è una resa alla droga), concezioni prevalentemente sanitarie (r.d.d. come insieme di pratiche medicofarmacologiche), visioni “etiche” di tali politiche (il pieno recupero del tossicodipendente deve restare l’obiettivo ultimo degli interventi) e coloro che intravedevano in tale nuovo approccio l’inizio di una riforma radicale delle politiche sulle droghe. Il dibattito, e spesso lo scontro, si protrarrà sino ad oggi, assumendo un ruolo da protagonista in tutte le conferenze nazionali. Ma già nella seconda conferenza, tenuta nel ’97 a Napoli, le unità di strada di riduzione del danno saranno una realtà importante del sistema. Dal punto di vista comunicativo, uno slogan assai efficace accompagnerà le ragioni dei favorevoli alla riduzione del danno: “è impossibile recuperare un tossicodipendente morto!” Tale affermazione, a fronte dei tanti morti a causa dell’AIDS tra la popolazione dei tossicodipendenti, ha avuto, ed ha ancora una notevole efficacia comunicativa. Il secondo fenomeno che modificherà il panorama dei servizi è la comparsa, già al finire degli anni Ottanta, delle cosiddette nuove droghe. Nelle discoteche, i nuovi templi di quello che verrà definito da Aldo Bonomi il “distretto del piacere”, accade qualcosa di inedito nel nostro Paese, e più in generale in Europa: una parte considerevole della giovane generazione scopre un nuovo significato della notte (che viene colonizzata per attività di loisir ben oltre la sua durata reale), un nuovo ruolo del corpo e del piacere, sceglie come musica generazionale una nuova sonorità, senza narrazione, spesso senza umane presenze e senza spartito: la techno. In discoteca una generazione scopre e consuma le metamfetamine, note fin da subito con nomi di fantasia: ecstasy, adam, eva, in gergo paste, chicche, giuggiole. L’MDMA, MDEA, MDA e le oltre settanta sorelle derivate costituiranno quelle party drugs o dance drugs che accompagneranno le notti del ballo della nuova discoteca degli anni novanta. Il consumo di metamfetamine appare da subito come un policonsumo, in quanto tali sostanze, di norma, vengono assunte contemporaneamente, o in successione, con altre sostanze psicotrope, in particolare alcol e superalcol. Inoltre, nella nuova scena rappresentata dalla discoteca anni Novanta, si avvierà la femminilizzazione delle pratiche di consumo, con un numero sempre maggiore di donne coinvolte in assunzioni di droghe legali ed illegali. In tale contesto, nella seconda metà degli anni Novanta, cominceranno ad operare unità di strada che, partendo dalle esperienze di riduzione del danno, avvieranno progetti di limitazione del rischio, con l’obiettivo di diffondere maggiore consapevolezza sui rischi connessi all’assunzione e all’abuso di droghe, in particolare di stimolanti e alcol. Le équipe che animeranno tali progetti, innoveranno profondamente le metodologie e gli strumenti sino ad allora utilizzati per fare prevenzione: allo scopo di coinvolgere una popolazione giovanile altrimenti non raggiungibi44 le, adotteranno stili comunicativi inediti nel panorama della prevenzione e del contrasto all’abuso di sostanze psicotrope. Le unità di strada, e segnatamente le équipe dedicate ai contesti del loisir notturno, rappresenteranno nodi strategici nella comunicazione in rete di cui parla Rolando. Da “Just say no” a “Just say know” Le campagne nazionali, tra alterne vicende, hanno comunque rappresentato un’innovazione nella comunicazione sulle droghe, in particolare nella costruzione di significati e di narrazioni intorno al fenomeno, in merito alle persone coinvolte nel consumo e negli abusi (al tempo identificati esclusivamente con i giovani), e sulle malattie correlate a tali abusi. Le prime edizioni ripercorrono tematizzazioni della droga e dei consumi prevalentemente incentrate sullo stile Just say no, ovvero “è sufficiente che tu sappia che devi semplicemente dire no alla droga”. Una discontinuità rispetto a tale approccio è rappresentata dalla settima campagna nazionale, dal titolo NOXS. Come afferma l’allora Ministro per la solidarietà sociale Livia Turco, rispondendo ad una interrogazione parlamentare nella seduta n. 477 del 3/2/1999, se le prime sei campagne: “...avevano al centro la droga genericamente intesa o quella che era considerata la droga per eccellenza, cioè l’eroina”, la settima “è dedicata, invece, alle cosiddette nuove droghe.(…)Obiettivo della campagna è stato quello di far MDD 1 - Marzo 2011 C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva sapere che queste sostanze sono droghe, fanno male e possono fare peggio se usate sconsideratamente. (…) Per questo la campagna ha cercato di raggiungere i ragazzi ed i giovani nei loro luoghi di aggregazione – eventi musicali e sportivi, discoteche e scuole – e questo è stato il filo conduttore, l’impegno fondamentale ed anche la novità più significativa della campagna. Per questo la campagna si è articolata sul territorio con azioni mirate che hanno coinvolto il volontariato, gli educatori e coloro i quali lavorano nell’industria del divertimento giovanile.” (Stenografico seduta camera n. 477 del 3/2/1999). Il volontariato e gli educatori a cui fa riferimento il testo sono, in realtà, quelle unità di strada di limitazione del rischio che, abbandonato lo stile Just say no, sin dalla seconda metà degli anni Novanta avevano adottato lo slogan Just say know, ponendo l’accento del loro messaggio sulla conoscenza a la consapevolezza. La 7° campagna, adottando lo slogan “Fatti furbo, non farti male”, puntava esattamente al raggiungimento di questi obiettivi, mutuando strumenti, stili comunicativi e metodologie di contatto sperimentate nei nuovi progetti di limitazione del rischio. Emblematicamente, la sigla NOXS significa, nella coeva semantica della club culture (l’ambito privilegiato di riferimento della campagna) NO EXCESS, individuando nell’eccesso, quindi in un comportamento, il problema prioritario da affrontare. Per veicolare tale messaggio, la 7° campagna si doterà di strumenti inediti: giochi multimediali con giochi interattivi (the X-game), promovan, camion-palMDD 1 - Marzo 2011 video di NOXS e con postazioni per il gioco interattivo X-game. Anche i prodotti video adotteranno un linguaggio meno oleografico delle campagne precedenti (niente corse sulla spiaggia, nessuna musica eroico-evocativa), in favore di uno stile asciutto, vero. A dirigere gli spot è chiamato Davide Ferrario (“Tutti giù per terra” del 1997, “Figli di Annibale” del 1998), mentre gli attori saranno selezionati tra trecento ragazzi, studenti e giovani lavoratori. Costoro saranno i protagonisti di ben cinque film, uno di trenta minuti, gli altri di quindici: niente adulti, nessun esperto, ma in un clima da cinema indipendente (bianco e nero, sonoro in presa diretta) rapide conversazioni tra ragazzi mettono in discussione i luoghi comuni e i miti che ruotano intorno ai consumi di party drugs. La comunicazione del rischio coscenico dotato di sedici schermi video. Con tali mezzi operatori di diverse associazioni e cooperative porteranno NO EXCESS nei templi della disco, il Cocoricò di Rimini, l’Insomnia di Pisa, l’Ultimo Impero di Torino, l’Aida di Jesolo, l’Ecu di Riccione, il Number One di Brescia, solo per citare i più noti. NOXS sarà presente all’Adidas Streetball Challenge, e il Treno Azzurro avrà una carrozza dedicata alla campagna, con schermi dove scorrono i 45 Tutto questo non nasce dal nulla: non è un caso che a “pensare” la campagna sia stata chiamata Fabrizia Bagozzi, autrice del primo saggio italiano sulle metamfetamine e nuovi stili di consumo, Generazione in Ecstasy, e che, come operatrice del Gruppo Abele di Torino, ben conosceva le innovazioni metodologiche e strumentali introdotte dalle realtà più avanzate che intervenivano nei contesti notturni. Daranno inoltre il loro fondamentale contributo autorevoli membri della drugs policy community, come Renato Bricolo, responsabile del SerT di Padova e pioniere dello studio e dell’intervento nel campo dei nuovi consumi. Il materiale cartaceo (oltre sei milioni le copie del solo opuscolo C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva sulle droghe di sintesi), la diffusione di gadget (T-shirt, spillette), l’uso del questionario, la presenza attiva di operatori in grado di costruire relazioni direttamente nei contesti del loisir notturno, indicano come la 7° campagna abbia fatto tesoro del nuovo stile comunicativo adottato per fronteggiare in particolare la diffusione e l’abuso di ecstasy. Un approccio che si basava, e per molti ancora si basa, sull’idea che la prima abilità di un comunicatore deve essere la capacità di ascolto, di empatia e rispetto verso l’interlocutore, sia individuale che collettivo. Vediamone, in estrema sintesi, gli elementi fondanti di tale approccio: 1) Adottare un metodo “antropologico”. Occorre frequentare i contesti dove avvengono consumi e gli abusi di sostanze psicotrope, con l’obiettivo prioritario di conoscere, raccogliere informazioni, opinioni, osservare e studiare i luoghi, avvicinare gli attori ed i protagonisti dei contesti: trattare tutte queste informazioni come chiavi di lettura per approssimarsi alla comprensione. Adottando tale metodo è fondamentale lasciare a casa preconcetti, letture delle motivazioni al consumo di terza mano, idee stereotipate sugli effetti ricercati. In altre parole, adottare quanto raccomandato da Maurizio Coletti nel sintetizzare le proposte emerse nella sessione di lavoro “Etica dei trattamenti e della prevenzione”, III Conferenza Nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, Genova 28-30 Novembre 2000: “(…) necessità di un profondo rispetto dei soggetti destinatari. È indispensabile conoscere e accettare, non sfidare le convinzioni dei gruppi target, sia che si tratti di azioni informative che di azioni dirette agli stili di vita o alla rimozione di alcune concause. (Rapporto sulle proposte emerse nella sessione di lavoro “Etica dei trattamenti e della prevenzione”, Genova, 2000). 2) Avere la consapevolezza che anche la migliore comunicazione dissuasiva non è sufficiente a determinare una scelta di comportamento, soprattutto quando sono in gioco pulsioni, desideri, piacere, e in maniera particolare quando la comunicazione è rivolta ai giovani. Considerare quindi che l’obiettivo realistico della comunicazione sulle droghe, ed in particolare la comunicazione mirata alla prevenzione, è quello di fornire strumenti (di conoscenza, di riflessione, di relazione) che aiutino le persone ad autodeterminare comportamenti di salute. 3) Impostare la comunicazione su evidenze scientifiche e non su sollecitazioni morali. Gran parte dei materiali cartacei prodotti dai progetti di prossimità che in questi anni sono intervenuti nei contesti del loisir notturno si ispirano a tale impostazione: illustrare cos’è ogni singola sostanza (dal punto di vista storico, chimico e farmacologico, come si presenta, etc.), quali sono i suoi effetti (desiderati e indesiderati), quanto durano tali effetti, quali i rischi connessi all’assunzione (sia nell’immediato che nell’uso continuativo, ricercando tali informazioni sulle pubblicazioni e riviste maggiormente accreditate in ambito internazionale), quali i rischi dei mix con altre 46 sostanze d’abuso e alcol. Infine, quali sono le conseguenze legali del consumo e del possesso di sostanze illegali e della guida in stato di alterazione. 4) Essere consapevoli che una comunicazione che si vuole rivolgere a tutti, rischia di raggiungere pochi. Saper produrre materiali, e adottare stili relazionali differenti, distinguendo tra la comunicazione rivolta a coloro che non hanno familiarità con le droghe, quella destinata a coloro che vivono in contesti dove il consumo è presente (comunicazione selettiva), ed infine quella dedicata agli individui e ai gruppi che normalmente assumono sostanze (comunicazione dedicata). Assai utile e la produzione di materiale destinato a specifici cluster: a titolo di esempio, produrre materiale rivolto in modo particolare alle donne, come quello prodotto da HIT di Liverpool, “Information for women who use drugs”, che affronta il rapporto tra consumo delle diverse droghe e la salute della donna, il ciclo, la contraccezione e la maternità; temi analoghi a quanto tematizzato nel flyer “Da donna a donna, qualche informazione in più sulle droghe” prodotto dalla Coop. Parsec di Roma. 5) Avere coscienza che nel mondo della rete, dei new media e dei social network, la comunicazione istituzionale e delle organizzazioni non governative è solo una delle tante offerte comunicative disponibili: gli aspetti che possono fare la differenza sono l’autorevolezza delle fonti, l’adeguatezza, l’utilità e la specificità dei messaggi, la capacità di penetrare e permanere in ambiti e livelli sociali diversi, MDD 1 - Marzo 2011 C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva la formazione e la capacità degli operatori sul campo. Campagne sporadiche e generaliste, discorsi esortativi, affermazioni in genere sulla droga in genere, hanno, in effetti, la sola funzione di rassicurazione sociale. Max Weber sosteneva l’esistenza di una distinzione qualitativa tra l’agire guidato dall’assunzione del rischio, che trascende la banalità della vita quotidiana, e l’agire guidato dall’eliminazione del rischio, che appartiene alla banalità quotidiana. L’approccio di comunicazione del rischio, e gli operatori che lo propongono, sono forse una alternativa alla banalità che l’approccio Just say no sembra inevitabilmente portare con se. Bibliografia di riferimento Amendt G. No drugs no future, le droghe nell’età dell’ansia sociale, Feltrinelli, Milano, 2004 Bagozzi F. Generazione in ecstasy, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1997 Bagozzi F, Cippitelli C. Giovani e nuove droghe: sei città a confronto. Il progetto Mosaico come modello di intervento, Franco Angeli, Milano, 2003 Bagozzi F, Cippitelli C. In estrema sostanza, servizi e interventi sul consumo di cocaina, Iacobelli Editore, Roma, 2008 Bartolomucci G, Buscema M. Comunicazione dissuasiva, Comune di Roma, Assessorato ai servizi sociali, Tipografia Coop. Villa Maraini, Roma, 1986 MDD 1 - Marzo 2011 Bonomi A. Il Distretto del piacere, Bollati Boringhieri, Milano, 1999 Bricolo R, Berto D, Schifano F. Nuove droghe, nuovi utenti? 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