U
s o
d i
s o s t a n z e
e
c o m u n i c a z i o n e
Oltre la comunicazione dissuasiva.
La comunicazione del rischio
di Claudio Cippitelli
Introduzione
Almeno un morto in meno. Almeno qualche ragazzo in meno
in piazza ad attendere il pusher e
l’eroina. Questa, in estrema sintesi, la dichiarazione di chiunque,
operatore della prevenzione o
agenzia di comunicazione, si trovasse ad esplicitare l’obiettivo del
suo progetto o della sua campagna pubblicitaria dagli anni Ottanta sino alla prima metà degli anni
Novanta. In quegli anni la droga
rappresentava in maniera emblematica (a volte esaustiva) ciò che
veniva tematizzato come il disagio
giovanile. Dopo gli anni settanta,
decennio nel quale i movimenti ed
il protagonismo giovanile avevano
segnato profondamente la cultura, la società e la politica italiana,
arrivano gli anni del “riflusso” e
con essi compare il consumo di
oppiacei (in particolare di eroina)
in ampie fasce della popolazione giovanile. Sono gli anni in cui
sembra perdere di senso, in sociologia, l’approccio della scuola
struttural-funzionalista, che spiegava il fenomeno come il portato
della frustrazione di appartenere
ad una determinata classe sociale, di possedere un determinato
reddito, di vivere in un determinato ambiente o in un determinato
MDD 1 - Marzo 2011
Gli aspetti che possono
fare la differenza sono
l’autorevolezza delle fonti,
l’adeguatezza, l’utilità e la
specificità dei messaggi,
la capacità di penetrare
e permanere in ambiti
e livelli sociali diversi, la
formazione e la capacità
degli operatori sul campo.
Campagne sporadiche
e generaliste, discorsi
esortativi, affermazioni
in genere sulla droga
in genere, hanno, in
effetti, la sola funzione di
rassicurazione sociale.
__________
quartiere; al suo posto si afferma
una lettura inedita che si riferisce
ad una nuova categoria, frutto dei
mutamenti sociali in atto dal secondo dopoguerra:
“Ad una ad una cadono dunque
tutte le ipotesi interpretative le41
gate al modello strutturalista, il
quale sembra perdere in tal modo
gran parte della sua forza esplicativa, a meno che non si proceda a
ripensare l’ipotesi strutturalista in
un senso del tutto nuovo, proprio
a partire dalla sola variabile che
oggi rimane ancora a rendere ragione del fenomeno: la condizione
giovanile in sé, intesa come nuova classe sociale emergente dalla
società del benessere.” (Tartarotti
1986, pag.22)
Sono gli anni in cui si transita da
una interpretazione della droga (e
dei drogati) come la risultante del
rifiuto della norma, della devianza
e del reato ad una visione ispirata
da una progressiva medicalizzazione del fenomeno: la tossicomania
diviene una malattia sociale. La
legislazione muta, e si passa da
dispositivi fortemente criminalizzanti (anche del solo consumo di
sostanze psicotrope come disposto dalla legge n. 1041 del ’54) ad
un testo di legge (n. 685 del ‘75)
che tematizza la tossicodipendenza come una patologia sociale; si
passa dal criminale alla vittima,
che va difesa da se stessa, ma che
rimane comunque pericolosa.
Da queste considerazioni appare
evidente come, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, la
C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva
comunicazione pubblica in tema
di droghe sia plasmata dai due approcci appena citati: la droga è un
crimine e conduce al crimine, la
droga fa male (qualunque, comunque). Una comunicazione centrata
sul contenuto, un contenuto che
non intende apparire come controverso o discutibile, ma vero e
necessitante. Un messaggio deciso, in grado di fare fronte ad un
fenomeno che, come ormai ben
sappiamo, non può non essere
percepito e definito come emergenza.
Non è compito di queste brevi
note fare una ricostruzione della
comunicazione pubblica sulle droghe che si è andata dispiegando
nel nostro Paese: molto più semplicemente si intende segnalare
come, nel tempo, si sono modificati gli strumenti e gli approcci dei
tanti operatori sociali impegnati
in attività di prevenzione e, negli
ultimi quindici anni, nelle politiche
conosciute come di limitazione dei
rischi e riduzione dei danni.
dimostrano bene i titoli e le metafore adoperate. Il Comune di
Roma ne fece affiggere uno dove
compariva un grosso amo da pesca nel quale al posto del verme
faceva da esca uno spinello, circondato da pasticche, siringhe e
flaconcini vari. Un altro manifesto rappresentava una trappola,
di quelle usate per catturare i topi
in casa. La scritta recitava: ”Non
lasciarti intrappolare, la droga
non scherza”. Il messaggio quindi
mette in allerta rispetto alla droga
in generale, sempre declinata al
singolare, senza nessun tentativo
di distinzione tra le diverse sostanze. Un messaggio che vuole essere
esplicito, chiaro, ma che al contrario risulta essere quanto mai ambiguo e, dal punto di vista della
comunicazione, assai pericoloso.
Tali messaggi, infatti, nel parlare
di trappola e ami, legittimano la
droga come oggetto desiderabile, rispetto al quale può scattare il
meccanismo del desiderio e della
sfida:
“Ora se io utilizzo un’immagine
come quella della trappola è chiaro che voglio segnalare a livello
metaforico il perverso e incontrollabile meccanismo della dipendenza: ma una volta stabilita l’equivalenza metaforica dei termini
‘trappola - dipendenza’ non posso
illudermi che, automaticamente
non si sviluppino, nei destinatari
del mio messaggio, le altre equivalenze metaforiche implicate - nel
caso: ‘formaggio-droga’, ‘topoli-
Il manifesto murale
La comunicazione pubblica sul fenomeno droghe tra la fine degli
anni Settanta e gli anni Ottanta
trova nel manifesto murale uno
dei veicoli comunicativi più diffusi. Comuni, enti locali, istituzioni sanitarie nazionali, ma anche
partiti, sindacati e associazioni ne
producono un numero rilevante,
a dimostrazione della sensibilità
e dell’ansia che si andava diffondendo nella società di fronte ad
un fenomeno inedito, dai confini
ancora incerti, sospettato di possedere un forte potenziale criminogeno. La droga viene descritta
come un oggetto subdolo, come
42
MDD 1 - Marzo 2011
C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva
no-destinatario’, il che qualifica
la droga come desiderabile (e non
solo per il potenziale drogato, in
quanto il formaggio non piace solo
ai ‘topolini’) e il mio destinatario
come un soggetto naturalmente
affascinato dall’oggetto dal quale
io vorrei distoglierlo.” (Donghi in
Bartolomucci & Buscema, 1986,
pag. 65).
Inoltre, in tali messaggi le sostanze venivano trattate in modo indistinto, tutte accomunate dalla
stessa desiderabilità e dallo stesso
esito. Si tratta di uno stile comunicativo che, purtroppo, tende
ad essere replicato anche oggi,
nonostante la contrarietà di gran
parte della policy community e
contro le evidenze scaturite da
molti lavori di ricerca, sia europei
che nordamericani, che ne criticano pesantemente l’efficacia.
Infatti, se manifesti murali come
quelli appena descritti possono
raggiungere l’obiettivo di rassicurare l’opinione pubblica sul fatto
che le istituzioni si occupano del
problema “droga”, in una popolazione giovanile, magari adiacente
o implicata in consumi di cannabinoidi, tali produzioni raggiungono
lo scopo di togliere qualsiasi credibilità alla fonte emittente, alla
istituzione che li aveva ideati.
Le campagne informative nazionali
Dagli anni Novanta, anche su impulso della nuova legislazione su
droghe e tossicodipendenze che,
tra le altre cose, prevedeva e finanziava programmi comunicativi
annuali (legge n. 162/90), partono
le campagne nazionali, che punteranno in modo particolare alla
MDD 1 - Marzo 2011
produzione di spot trasmessi attraverso la radio e (soprattutto) la
televisione:
“Quella legge ha messo in moto
obblighi. Quindi Stato, Regioni,
Comuni e un sistema associativo di tipo culturale e scientifico,
che considero sempre in opportuna dialettica rispetto ai poteri
istituzionali, hanno cominciato a
riflettere su come presidiare la
comunicazione che quella legge
prevedeva, con tanto di copertura finanziaria assicurata (una vera
importante novità), nel suo articolato.” (Rolando, 2004, pag. 225).
Per la prima volta la comunicazione viene affidata in modo organico a professionisti, affiancati da
esperti di sostanze e trattamenti,
sia dei servizi pubblici che delle
diverse organizzazioni non governative. I messaggi assumono confezioni molto simili a quelle della
pubblicità, rispettando i tempi e
gli stilemi della comunicazione
commerciale. La vera differenza
è che, mentre nella pubblicità si
vuole vendere un prodotto, nel
caso della comunicazione in oggetto si vuole dissuadere da un
consumo, quello di stupefacenti,
spesso assai desiderabile, come
nel caso dei cannabinoidi:
“Naturalmente il messaggio del
‘mi faccio carico’ in pubblicità vale
relativamente, perché la pubblicità serve davvero quando dici
‘ti vendo un messaggio netto, un
sogno o una provocazione, perché tu faccia un atto di acquisto o
comunque una scelta’. Ha effetti
più problematici quando tende ad
impedirti una cosa. Già qui la pubblicità vale la metà. Ma quando la
pubblicità non solo non promuove
43
una vendita, ma sostanzialmente
si riduce a un valore alla sua soglia
minima, allora essa non è tanto
quello che ti dice un messaggio,
ma è la catena integrata che parte dal numero verde e si amplia
attraverso altri strumenti che determinano la capacità di essere
presenti in una sorta di call center allargato, la capacità di fare
sportello, la capacità di generare
prodotti di comunicazione in rete,
di costruire comunicazione.” (Rolando, 2004, pag. 229).
La comunicazione in rete, di cui
parla Rolando, per almeno alcune
delle campagne nazionali è stata
effettivamente possibile. Infatti,
il network dei servizi dedicati alla
prevenzione e cura, dagli anni
Novanta in poi, si era andato ampliando in modo significativo, sia
in termini quantitativi che qualitativi. Da quella data, operatori e
servizi sono rintracciabili non solo
in realtà indoor (SerT, Comunità
residenziali), ma anche direttamente nel territorio, nuovo campo
di azione delle “unità di strada”.
Negli anni Ottanta erano intervenute due novità che costringono la
policy community ad adottare approcci e metodologie inedite, che
modificheranno profondamente il
sistema dei servizi.
La prima novità è la comparsa dell’HIV e il suo rapido diffondersi tra
la popolazione dei tossicodipendenti da eroina per via iniettiva.
Per fare fronte alla diffusione di
tale virus, anche in Italia viene proposta l’adozione delle “politiche di
riduzione del danno” che prevedono, tra le altre cose, l’avvio di progetti di outreach, la ricerca attiva
dei consumatori e dei dipendenti,
allo scopo di promuovere pratiche
di prevenzione rispetto al diffon-
C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva
dersi dell’AIDS. Le politiche di riduzione del danno incontreranno
non poche difficoltà ad affermarsi,
in un dibattito che confronta decisi
oppositori (la riduzione del danno
è una resa alla droga), concezioni
prevalentemente sanitarie (r.d.d.
come insieme di pratiche medicofarmacologiche), visioni “etiche”
di tali politiche (il pieno recupero
del tossicodipendente deve restare
l’obiettivo ultimo degli interventi)
e coloro che intravedevano in tale
nuovo approccio l’inizio di una riforma radicale delle politiche sulle droghe. Il dibattito, e spesso lo
scontro, si protrarrà sino ad oggi,
assumendo un ruolo da protagonista in tutte le conferenze nazionali.
Ma già nella seconda conferenza,
tenuta nel ’97 a Napoli, le unità
di strada di riduzione del danno
saranno una realtà importante del
sistema.
Dal punto di vista comunicativo,
uno slogan assai efficace accompagnerà le ragioni dei favorevoli
alla riduzione del danno: “è impossibile recuperare un tossicodipendente morto!” Tale affermazione, a fronte dei tanti morti a
causa dell’AIDS tra la popolazione
dei tossicodipendenti, ha avuto,
ed ha ancora una notevole efficacia comunicativa.
Il secondo fenomeno che modificherà il panorama dei servizi è la
comparsa, già al finire degli anni
Ottanta, delle cosiddette nuove
droghe. Nelle discoteche, i nuovi
templi di quello che verrà definito da Aldo Bonomi il “distretto
del piacere”, accade qualcosa di
inedito nel nostro Paese, e più in
generale in Europa: una parte considerevole della giovane generazione scopre un nuovo significato
della notte (che viene colonizzata
per attività di loisir ben oltre la sua
durata reale), un nuovo ruolo del
corpo e del piacere, sceglie come
musica generazionale una nuova
sonorità, senza narrazione, spesso senza umane presenze e senza
spartito: la techno. In discoteca
una generazione scopre e consuma le metamfetamine, note fin
da subito con nomi di fantasia:
ecstasy, adam, eva, in gergo paste, chicche, giuggiole. L’MDMA,
MDEA, MDA e le oltre settanta
sorelle derivate costituiranno
quelle party drugs o dance drugs
che accompagneranno le notti
del ballo della nuova discoteca
degli anni novanta. Il consumo di
metamfetamine appare da subito
come un policonsumo, in quanto
tali sostanze, di norma, vengono
assunte contemporaneamente, o
in successione, con altre sostanze psicotrope, in particolare alcol
e superalcol. Inoltre, nella nuova
scena rappresentata dalla discoteca anni Novanta, si avvierà la
femminilizzazione delle pratiche
di consumo, con un numero sempre maggiore di donne coinvolte
in assunzioni di droghe legali ed
illegali. In tale contesto, nella seconda metà degli anni Novanta,
cominceranno ad operare unità di
strada che, partendo dalle esperienze di riduzione del danno, avvieranno progetti di limitazione
del rischio, con l’obiettivo di diffondere maggiore consapevolezza
sui rischi connessi all’assunzione e
all’abuso di droghe, in particolare
di stimolanti e alcol.
Le équipe che animeranno tali
progetti, innoveranno profondamente le metodologie e gli strumenti sino ad allora utilizzati per
fare prevenzione: allo scopo di
coinvolgere una popolazione giovanile altrimenti non raggiungibi44
le, adotteranno stili comunicativi
inediti nel panorama della prevenzione e del contrasto all’abuso di
sostanze psicotrope.
Le unità di strada, e segnatamente
le équipe dedicate ai contesti del
loisir notturno, rappresenteranno
nodi strategici nella comunicazione in rete di cui parla Rolando.
Da “Just say no” a “Just say
know”
Le campagne nazionali, tra alterne vicende, hanno comunque rappresentato un’innovazione nella
comunicazione sulle droghe, in
particolare nella costruzione di
significati e di narrazioni intorno
al fenomeno, in merito alle persone coinvolte nel consumo e negli
abusi (al tempo identificati esclusivamente con i giovani), e sulle
malattie correlate a tali abusi.
Le prime edizioni ripercorrono
tematizzazioni della droga e dei
consumi prevalentemente incentrate sullo stile Just say no, ovvero “è sufficiente che tu sappia che
devi semplicemente dire no alla
droga”.
Una discontinuità rispetto a tale
approccio è rappresentata dalla
settima campagna nazionale, dal
titolo NOXS. Come afferma l’allora
Ministro per la solidarietà sociale
Livia Turco, rispondendo ad una
interrogazione parlamentare nella
seduta n. 477 del 3/2/1999, se le
prime sei campagne:
“...avevano al centro la droga genericamente intesa o quella che
era considerata la droga per eccellenza, cioè l’eroina”, la settima
“è dedicata, invece, alle cosiddette
nuove droghe.(…)Obiettivo della
campagna è stato quello di far
MDD 1 - Marzo 2011
C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva
sapere che queste sostanze sono
droghe, fanno male e possono fare
peggio se usate sconsideratamente. (…) Per questo la campagna ha
cercato di raggiungere i ragazzi ed
i giovani nei loro luoghi di aggregazione – eventi musicali e sportivi, discoteche e scuole – e questo è
stato il filo conduttore, l’impegno
fondamentale ed anche la novità
più significativa della campagna.
Per questo la campagna si è articolata sul territorio con azioni
mirate che hanno coinvolto il volontariato, gli educatori e coloro
i quali lavorano nell’industria del
divertimento giovanile.” (Stenografico seduta camera n. 477 del
3/2/1999).
Il volontariato e gli educatori a cui
fa riferimento il testo sono, in realtà, quelle unità di strada di limitazione del rischio che, abbandonato
lo stile Just say no, sin dalla seconda metà degli anni Novanta avevano adottato lo slogan Just say
know, ponendo l’accento del loro
messaggio sulla conoscenza a la
consapevolezza. La 7° campagna,
adottando lo slogan “Fatti furbo,
non farti male”, puntava esattamente al raggiungimento di questi obiettivi, mutuando strumenti,
stili comunicativi e metodologie di
contatto sperimentate nei nuovi
progetti di limitazione del rischio.
Emblematicamente, la sigla NOXS
significa, nella coeva semantica
della club culture (l’ambito privilegiato di riferimento della campagna) NO EXCESS, individuando
nell’eccesso, quindi in un comportamento, il problema prioritario da
affrontare. Per veicolare tale messaggio, la 7° campagna si doterà
di strumenti inediti: giochi multimediali con giochi interattivi (the
X-game), promovan, camion-palMDD 1 - Marzo 2011
video di NOXS e con postazioni per
il gioco interattivo X-game. Anche
i prodotti video adotteranno un
linguaggio meno oleografico delle
campagne precedenti (niente corse sulla spiaggia, nessuna musica
eroico-evocativa), in favore di uno
stile asciutto, vero. A dirigere gli
spot è chiamato Davide Ferrario
(“Tutti giù per terra” del 1997, “Figli di Annibale” del 1998), mentre
gli attori saranno selezionati tra
trecento ragazzi, studenti e giovani lavoratori. Costoro saranno
i protagonisti di ben cinque film,
uno di trenta minuti, gli altri di
quindici: niente adulti, nessun
esperto, ma in un clima da cinema indipendente (bianco e nero,
sonoro in presa diretta) rapide
conversazioni tra ragazzi mettono
in discussione i luoghi comuni e i
miti che ruotano intorno ai consumi di party drugs.
La comunicazione del rischio
coscenico dotato di sedici schermi
video. Con tali mezzi operatori di
diverse associazioni e cooperative
porteranno NO EXCESS nei templi
della disco, il Cocoricò di Rimini,
l’Insomnia di Pisa, l’Ultimo Impero
di Torino, l’Aida di Jesolo, l’Ecu di
Riccione, il Number One di Brescia,
solo per citare i più noti. NOXS
sarà presente all’Adidas Streetball
Challenge, e il Treno Azzurro avrà
una carrozza dedicata alla campagna, con schermi dove scorrono i
45
Tutto questo non nasce dal nulla:
non è un caso che a “pensare” la
campagna sia stata chiamata Fabrizia Bagozzi, autrice del primo
saggio italiano sulle metamfetamine e nuovi stili di consumo, Generazione in Ecstasy, e che, come
operatrice del Gruppo Abele di
Torino, ben conosceva le innovazioni metodologiche e strumentali
introdotte dalle realtà più avanzate che intervenivano nei contesti
notturni. Daranno inoltre il loro
fondamentale contributo autorevoli membri della drugs policy
community, come Renato Bricolo,
responsabile del SerT di Padova e
pioniere dello studio e dell’intervento nel campo dei nuovi consumi. Il materiale cartaceo (oltre sei
milioni le copie del solo opuscolo
C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva
sulle droghe di sintesi), la diffusione di gadget (T-shirt, spillette),
l’uso del questionario, la presenza
attiva di operatori in grado di costruire relazioni direttamente nei
contesti del loisir notturno, indicano come la 7° campagna abbia
fatto tesoro del nuovo stile comunicativo adottato per fronteggiare in particolare la diffusione e
l’abuso di ecstasy. Un approccio
che si basava, e per molti ancora si
basa, sull’idea che la prima abilità
di un comunicatore deve essere la
capacità di ascolto, di empatia e
rispetto verso l’interlocutore, sia
individuale che collettivo. Vediamone, in estrema sintesi, gli elementi fondanti di tale approccio:
1) Adottare un metodo “antropologico”. Occorre frequentare i
contesti dove avvengono consumi
e gli abusi di sostanze psicotrope,
con l’obiettivo prioritario di conoscere, raccogliere informazioni, opinioni, osservare e studiare
i luoghi, avvicinare gli attori ed i
protagonisti dei contesti: trattare
tutte queste informazioni come
chiavi di lettura per approssimarsi alla comprensione. Adottando
tale metodo è fondamentale lasciare a casa preconcetti, letture
delle motivazioni al consumo di
terza mano, idee stereotipate sugli effetti ricercati. In altre parole,
adottare quanto raccomandato da
Maurizio Coletti nel sintetizzare
le proposte emerse nella sessione
di lavoro “Etica dei trattamenti e
della prevenzione”, III Conferenza
Nazionale sui problemi connessi
con la diffusione delle sostanze
stupefacenti e psicotrope, Genova
28-30 Novembre 2000:
“(…) necessità di un profondo rispetto dei soggetti destinatari. È
indispensabile conoscere e accettare, non sfidare le convinzioni
dei gruppi target, sia che si tratti
di azioni informative che di azioni dirette agli stili di vita o alla
rimozione di alcune concause.
(Rapporto sulle proposte emerse
nella sessione di lavoro “Etica dei
trattamenti e della prevenzione”,
Genova, 2000).
2) Avere la consapevolezza che
anche la migliore comunicazione
dissuasiva non è sufficiente a determinare una scelta di comportamento, soprattutto quando sono
in gioco pulsioni, desideri, piacere,
e in maniera particolare quando la
comunicazione è rivolta ai giovani.
Considerare quindi che l’obiettivo realistico della comunicazione
sulle droghe, ed in particolare la
comunicazione mirata alla prevenzione, è quello di fornire strumenti (di conoscenza, di riflessione, di
relazione) che aiutino le persone
ad autodeterminare comportamenti di salute.
3) Impostare la comunicazione
su evidenze scientifiche e non su
sollecitazioni morali. Gran parte
dei materiali cartacei prodotti dai
progetti di prossimità che in questi
anni sono intervenuti nei contesti del loisir notturno si ispirano a
tale impostazione: illustrare cos’è
ogni singola sostanza (dal punto
di vista storico, chimico e farmacologico, come si presenta, etc.),
quali sono i suoi effetti (desiderati
e indesiderati), quanto durano tali
effetti, quali i rischi connessi all’assunzione (sia nell’immediato che
nell’uso continuativo, ricercando
tali informazioni sulle pubblicazioni e riviste maggiormente accreditate in ambito internazionale), quali i rischi dei mix con altre
46
sostanze d’abuso e alcol. Infine,
quali sono le conseguenze legali
del consumo e del possesso di sostanze illegali e della guida in stato
di alterazione.
4) Essere consapevoli che una comunicazione che si vuole rivolgere a tutti, rischia di raggiungere
pochi. Saper produrre materiali, e
adottare stili relazionali differenti,
distinguendo tra la comunicazione rivolta a coloro che non hanno
familiarità con le droghe, quella
destinata a coloro che vivono in
contesti dove il consumo è presente (comunicazione selettiva),
ed infine quella dedicata agli individui e ai gruppi che normalmente
assumono sostanze (comunicazione dedicata). Assai utile e la produzione di materiale destinato a
specifici cluster: a titolo di esempio, produrre materiale rivolto
in modo particolare alle donne,
come quello prodotto da HIT di
Liverpool, “Information for women
who use drugs”, che affronta il rapporto tra consumo delle diverse
droghe e la salute della donna, il
ciclo, la contraccezione e la maternità; temi analoghi a quanto
tematizzato nel flyer “Da donna
a donna, qualche informazione in
più sulle droghe” prodotto dalla
Coop. Parsec di Roma.
5) Avere coscienza che nel mondo della rete, dei new media e dei
social network, la comunicazione
istituzionale e delle organizzazioni
non governative è solo una delle
tante offerte comunicative disponibili: gli aspetti che possono fare
la differenza sono l’autorevolezza
delle fonti, l’adeguatezza, l’utilità
e la specificità dei messaggi, la capacità di penetrare e permanere
in ambiti e livelli sociali diversi,
MDD 1 - Marzo 2011
C. Cippitelli - Oltre la comunicazione dissuasiva
la formazione e la capacità degli
operatori sul campo. Campagne
sporadiche e generaliste, discorsi
esortativi, affermazioni in genere
sulla droga in genere, hanno, in
effetti, la sola funzione di rassicurazione sociale.
Max Weber sosteneva l’esistenza
di una distinzione qualitativa tra
l’agire guidato dall’assunzione del
rischio, che trascende la banalità
della vita quotidiana, e l’agire guidato dall’eliminazione del rischio,
che appartiene alla banalità quotidiana. L’approccio di comunicazione del rischio, e gli operatori
che lo propongono, sono forse
una alternativa alla banalità che
l’approccio Just say no sembra inevitabilmente portare con se.
Bibliografia di riferimento
Amendt G. No drugs no future,
le droghe nell’età dell’ansia
sociale, Feltrinelli, Milano, 2004
Bagozzi F. Generazione in ecstasy, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1997
Bagozzi F, Cippitelli C. Giovani
e nuove droghe: sei città a confronto. Il progetto Mosaico come
modello di intervento, Franco Angeli, Milano, 2003
Bagozzi F, Cippitelli C. In estrema sostanza, servizi e interventi
sul consumo di cocaina, Iacobelli
Editore, Roma, 2008
Bartolomucci G, Buscema M.
Comunicazione dissuasiva, Comune di Roma, Assessorato ai servizi
sociali, Tipografia Coop. Villa Maraini, Roma, 1986
MDD 1 - Marzo 2011
Bonomi A. Il Distretto del piacere, Bollati Boringhieri, Milano,
1999
Bricolo R, Berto D, Schifano F.
Nuove droghe, nuovi utenti? Una
rilevazione delle sostanze d’abuso
utilizzate dai primi ingressi in un
SerT (1992 -1995), Bollettino per le
Farmacodipendenze e l’Alcolismo,
1996
Bricolo R. Intossicazione da sostanze e presa in carico. In Eventi,
consumi, sicurezza. Manuale sociosanitario per operatori della
prevenzione e riduzione dei rischi
nei contesti di uso e abuso di psicoattivi, Società Editrice Universo,
Roma, 2007
Cavalli A, De Lillo A. Giovani
anni 90, Terzo rapporto Iard sulla
condizione giovanile, Il Mulino,
Bologna, 1993
Cippitelli C. Mai prima di mezzanotte. In Se mi tingo i capelli di
verde è solo perché ne ho voglia,
Castelvecchi, Bologna, 1999
Cippitelli C. Il lavoro di strada
dentro le alchimie dei vissuti giovanili. In Castelli V (Ed): Ragionare coi piedi, saperi e pratiche del
lavoro di strada, Franco Angeli,
Milano, 2007
Cippitelli C. Giovani, luoghi comuni, città. In Everardo Minardi
et al. (Eds): La cattiva coscienza
della società del rischio: nuove
schiavitù, dinamiche giovanili e
interventi sociali, Il Piccolo Libro
Edizioni, Faenza, 2009
Mancini P. Manuale di comunicazione pubblica, Laterza, Bari,
2002
Rolando S. La comunicazione
di pubblica utilità, vol. 2, Franco
Angeli, Milano, 2004
Tartarotti L. Droga e prevenzione primaria. Giuffrè, Milano,
1986
Thornton S. Dai club ai rave,
Feltrinelli, Milano, 1998
Torti MT. Abitare la notte - attori e processi nei mondi delle discoteche, Costa e Nolan, Milano,
1997
Zuffa G. I drogati e gli altri, Sellerio, Palermo, 2000
Zuffa G (Ed). Cocaina. Il consumo controllato, Edizioni Gruppo
Abele, Torino, 2010
Cippitelli C, Bertoletti S. Nuovi
stili di consumo. Salute e Territorio, Rivista bimestrale di politica
sociosanitaria, anno XXIX, Marzo
- Aprile 2008, n. 167, 2008
Cippitelli C. Non è un paese per
giovani. In Meringolo, Bertoletti,
Chiodini (Eds): Giovani Creatività
Città, Edizioni Unicopli, Milano,
2009
47
Claudio Cippitelli
Parsec Consortium
Roma
Scarica

Oltre la comunicazione dissuasiva. La comunicazione del rischio