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P I E T R O
P I E R O
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L A R I Z Z A
G I O R G I N I
F R A N C E S C O
L O T I T O
FRANCESCO MARIA AMORUSO
G I A N
P A O L O
S A S S I
GIUSEPPINA
SANTIAPICHI
C E S A R E
D A M I A N O
D O M E N I C O
P R O I E T T I
Il futuro
degli Enti
Previdenziali
IL SINDACATO DEI CITTADINI
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Il futuro
degli Enti
Previdenziali
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Indice
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Relazione
Pietro Larizza
Interventi
Piero Giorgini
Francesco Lotito
Francesco Maria Amoruso
Gian Paolo Sassi
Giuseppina Santiapichi
Cesare Damiano
Conclusioni Domenico Proietti
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Bibliografia Web
www.uil.it/fisco
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Il futuro degli Enti Previdenziali
Pietro Larizza
I
l tema dell’accorpamento degli enti previdenziali è
stato inserito all’ottavo posto tra i dodici punti prioritari indicati dal Governo per rilanciare l’azione
programmatica.
Il governo ha indicato un obiettivo esplicito: creare
risparmi per le casse pubbliche grazie alla fusione degli
Enti Previdenziali.
In realtà l’unificazione degli Enti, così come prospettata,
non solo non comporta nel breve e medio periodo un
reale abbattimento dei costi ed un conseguente contenimento della spesa (come notato dalla stessa Corte dei
Conti), ma deve prevedere spese aggiuntive per armonizzare i vari comparti.
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Pietro Larizza
Risparmiare mediante unificazione, vuol dire adottare le
leggi economiche universali che sono molto chiare: unificare e ridurre le strutture fisiche; disporre di un solo
sistema informatico; un sistema unificato di servizi; unificazione dei sistemi organizzativi; una selezione della
dirigenza.
C’è anche la riduzione del personale, che in questo caso
significa ricollocazione nell’ambito del sistema pubblico.
Senza sollevare oggi obiezioni sindacali sulle conseguenze organizzative, economiche e contrattuali, poniamo una domanda assumendo il punto di vista degli utenti dei servizi: un unico grande ente offre maggiore efficienza per le prestazioni cui hanno diritto?
È possibile razionalizzare e risparmiare in modo diverso, senza ridurre la qualità del servizio?
Partiamo da alcuni punti critici degli enti interessati.
INPDAP
Il passaggio all’Inpdap delle competenze per il pagamento delle pensioni di tutto il pubblico impiego è avvenuto nel 1998, e solo dall’ottobre del 2005 tale pagamento è andato a regime anche se restano problemi irrisolti.
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Pietro Larizza
Un sistema previdenziale unificato tra “la previdenza da
lavoro pubblico e quella da lavoro privato”, dovrà
innanzitutto gestire le differenze non piccole tra l’uno e
l’altro, compresa la prospettiva di allargare a tutti la previdenza complementare.
Presso l’Inpdap c’è inoltre la Gestione separata per i
dipendenti dello Stato che, prima, era a carico del Ministero del Tesoro. Tale gestione è finanziata, oltre che dai
contributi previsti dalla legge, anche da un’aliquota
aggiuntiva a carico del bilancio statale, che varia in rapporto all’ammontare della spesa complessiva delle prestazioni pensionistiche dei dipendenti statali.
In un soggetto accorpato che gestisca previdenza pubblica e previdenza privata, non potrebbero convivere a
lungo, senza creare grandi problemi amministrativi,
diversi sistemi contributivi, diversi calcoli pensionistici
e possibilità diverse per la previdenza integrativa.
INPS
L’Inps conosce già i problemi e i costi dei trasferimenti
e accorpamento di altri enti.
La fusione dell’Inpdai nell’Inps ha avuto un costo altissimo per l’Istituto, il quale ha visto confluire e gravare
sulle proprie casse 93.000 dirigenti collocati a riposo
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con una pensione alta, e un disavanzo dell’ex Inpdai di
2.159 milioni di euro ripianato, di fatto, dagli avanzi del
Fondo lavoratori Dipendenti; un fondo che risulta in
attivo di 1.551 milioni di euro se calcolato al netto delle
perdite degli ex fondi speciali trasporti, telefonici, elettrici ed ex Inpdai.
L’Inps gestisce inoltre tutta una serie di altre voci non
previdenziali, con linee di confine opache tra prestazioni previdenziali e prestazioni di tipo assistenziale.
Un intreccio scientificamente indistinto tra diritti e solidarietà, che né l’Istituto né la politica hanno voluto fino
ad oggi distinguere con la separazione.
Una composizione poco trasparente dei dati di bilancio
che non permette una vera analisi dei capitoli di spesa,
creando con ciò un danno reale alla valutazione dei costi
della spesa pensionistica, presente e futura.
La separazione netta e definitiva tra assistenza e previdenza non è una fissazione della UIL, ma è una necessità per distinguere i diritti che nascono dalla prestazione
lavorativa da quelle della solidarietà, che la collettività
riconosce come valore.
Tra previdenza e assistenza sono diverse le finalità e le
fonti di finanziamento, e tuttavia, a livello nazionale ed
europeo, si continua nella classificazione unica di
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“spesa previdenziale” con una vittima predestinata: la
spesa pensionistica.
INAIL
In un dibattito come quello che si sta sviluppando nel
Paese, un’attenzione particolare deve essere rivolta
all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.
Un settore nel quale sono sconsigliabili operazioni
affrettate che possano compromettere il bisogno di sicurezza che emerge, anche in modo drammatico, dal
mondo del lavoro.
Qui non si tratta di semplici prestazioni assicurative, ma
di una funzione sociale assegnata al sistema pubblico
per salvaguardare la sicurezza del lavoratore e il suo
inalienabile diritto alla salute.
Il nostro Presidente della Repubblica ha più volte sottolineato la necessità di porre fine al dramma delle morti
bianche sul lavoro, e a chiesto di sviluppare in maniera
più efficace la politica per la sicurezza con tutti i necessari controlli preventivi volti a realizzarla. Anche oggi,
vogliamo ringraziarlo pubblicamente per questa sollecitazione che condividiamo.
In un mondo lavorativo frammentato, come quello che
si è configurato negli ultimi dieci anni, la prevenzione e
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l’assicurazione per gli infortuni collegati all’attività
lavorativa aumenta la responsabilità pubblica nella tutela delle persone.
Noi restiamo fermamente convinti della necessità di
preservare il carattere pubblico degli strumenti assicurativi e, nel contempo, crediamo che un istituto che li
garantisca nel modo migliore debba mantenere autonomia gestionale e specificità operativa.
Anche nei paesi dell’UE l’assicurazione infortunistica
costituisce un sistema autonomo che si basa sull’obbligatorietà dell’assicurazione.
L’INAIL, in Italia, assicura oggi circa 3 milioni di aziende e 17 milioni di lavoratori.
Accorpare l’Istituto all’interno di un grande contenitore
polifunzionale, significa sottovalutare la particolarità di
questa funzione sociale riguardo al bene primario della
tutela del lavoro.
I criteri puramente contabili non possono essere l’unico
o il prevalente parametro di riferimento: dietro i numeri, i tagli, gli accorpamenti e le razionalizzazioni c’è
infatti l’efficacia della funzione pubblica sulla vita delle
persone, con i loro bisogni ed i loro diritti.
Anche dal punto di vista della razionalità operativa e dei
costi di funzionamento, tutte le esperienze ci dicono che
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accentuando la specializzazione, soprattutto nella prevenzione degli infortuni, si realizza un forte contenimento delle spese in quanto si alleggerisce di molto il
costo sociale ed economico che tali eventi fanno gravare sulla collettività.
In definitiva, ci sono fondati motivi interni e esperienze
internazionali, che ci consentono di affermare che le
attività degli Enti a vocazione assicurativa sono difficilmente integrabili con quelle di istituti prettamente previdenziali-assistenziali.
Ho fatto una breve panoramica sui tre enti maggiori
sapendo perfettamente che le scelte che li riguardano
comprendono anche quelli minori che trattano materie
previdenziali o assicurative.
Le fusioni, e nuovi criteri di razionalità funzionale,
riguarderanno infatti anche l’Ipsema, l’Enpals, l’Ipost.
LA NOSTRA PROPOSTA
Tutti gli Enti grandi o piccoli sono importanti, ed esistono in quanto assolvono a una funzione di servizio che
la collettività ritiene necessaria.
Le attività non sono quindi sopprimibili, si possono
invece discutere gli strumenti per esercitarle.
Noi esprimiamo riserve e perplessità motivate sulla
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Pietro Larizza
decisione annunciata di accorpare tutti gli enti in un
unico soggetto giuridico. Non vogliamo però limitarci al
dissenso, ma offrire un contributo alla soluzione dei problemi: quando esistono e nei punti in cui si manifestano.
Se si vuole fare una riflessione seria, utile e producente
sull’insieme degli Enti previdenziali italiani, bisogna
partire da un’altra priorità: il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza delle prestazioni offerte agli utenti.
Questo deve essere l’obiettivo imprescindibile dell’azione riformatrice.
La qualità e l’efficienza del servizio sono le pre-condizioni da soddisfare per ogni ipotesi di intervento strutturale.
Dai tanti enti che operano emergono tre soli campi di
attività: la previdenza; le assicurazioni sul lavoro; l’assistenza.
I primi due nascono da diritti negoziati, il terzo invece
consolida la coesione sociale mediante la solidarietà
sostenuta dalla finanza pubblica.
Sono tre filiere distinte del nostro sistema sociale che è
bene restino tali operativamente.
Si dovrebbe perciò puntare a tre enti. Nella realtà,
sapendo come è organizzata la gestione dell’assistenza,
sarebbe controproducente e costoso separarla dalle
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strutture tecniche e informatiche dell’Inps.
Lo schema gestionale per materie omogenee potrebbe
perciò essere di due enti:
• un Ente unico con due missioni distinte: la previdenza e l’assistenza. Tutta la previdenza dei settori
pubblici e di quelli privati e, a fianco, un settore
autonomo di attività, interno allo stesso ente, che
gestisca con un proprio bilancio parallelo tutte le
prestazioni assistenziali, registrando i finanziamenti e i destinatari. In definitiva, nello stesso soggetto
giuridico ci deve essere gestione separata, anche
organizzativamente, senza commistione finanziaria
di alcun tipo tra previdenza e assistenza.
• Il secondo sarà un Ente unico di natura assicurativa.
Questo ci sembra un assetto di sistema coerente e funzionale verso il quale si possono orientare la politica e le
parti sociali interessate.
Una riorganizzazione che, tra le altre cose, permetterebbe finalmente quella effettiva separazione tra spesa previdenziale e spesa assistenziale che le confederazioni, e
la UIL in particolare, chiedono da anni senza trovare
mai risposte soddisfacenti.
Creare un ente che gestisca in modo autonomo i due
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regimi di prestazioni, significa non solo separare contabilmente le spese di previdenza da quelle di assistenza,
ma significa anche separarle dal punto di vista politico,
rendendo chiari i confini che separano i diritti dalla solidarietà.
È bene infatti ricordare che tutte le prestazioni che uno
Stato socialmente responsabile decide di mettere a disposizione delle fasce più deboli e svantaggiate del
Paese, sono interventi che devono essere finanziati dalla
fiscalità generale, con una ripartizione solidale della
spesa tra tutti i cittadini senza interferenze con i contributi previdenziali dei lavoratori: questi contributi devono avere una sola ed esclusiva finalità previdenziale,
senza distrazioni o sottrazioni di risorse.
GOVERNANCE
La riforma razionale degli Enti deve prevedere obbligatoriamente un modello di governabilità coerente con gli
obiettivi delle ristrutturazioni, sia per la gestione del
sistema che per interessi degli utenti.
Noi siamo favorevoli al mantenimento del sistema
duale, e riteniamo sia necessaria una più netta separazione tra l’attività di direzione amministrativa e l’attività di indirizzo strategico, prendendo a modello dal
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nostro ordinamento la riforma del diritto societario.
Nella sua applicazione pratica, questo schema dovrà
essere rimodulato in funzione delle caratteristiche degli
Enti che assolvono compiti di interesse pubblico destinati al mondo del lavoro e alle imprese.
La nostra idea di governo è quella di un moderno sistema duale, prevedendo per ciascun Ente un organo di
gestione, assimilabile alla figura di un amministratore
delegato, e un Consiglio di Indirizzo e Vigilanza.
Un organo di gestione che comprenda la rappresentanza
legale dell’Ente; quindi il CIV, rafforzato da effettivi
poteri e da una struttura adeguata, che esercita la rappresentanza politica degli interessi e delle finalità pubbliche.
Da ciò l’evidente conseguenza per i CIV, che debbono
poter esercitare efficacemente e pienamente le responsabilità di indirizzo e vigilanza.
Oggi registriamo invece un forte squilibrio tra il grado
di rappresentanza che le forze sociali hanno nel sistema
e l’effettiva possibilità di indirizzo e vigilanza che esercitano negli Enti.
Le forze sociali, per le stesse finalità degli Istituti, assolvono un ruolo fondamentale per il ruolo pubblico degli
Enti, e ogni tentativo politico o burocratico di ridurle a
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un mero ruolo consultivo deve essere considerato un
abuso contro la rappresentanza generale degli interessi
legittimi del lavoro e dell’impresa.
Proprio per ragioni di rappresentanza legittima degli
interessi che rappresentano, i sindacati hanno difeso i
Comitati provinciali di Inps e Inpdap che si volevano
abolire.
La presenza di questi comitati sul territorio garantisce
infatti la possibilità per i lavoratori di trovare una soluzione delle controversie più rapida, meno costosa e più
equa.
Se invece della passione polemica contro i sindacalisti
che ne fanno parte, qualche commentatore avesse chiesto a cosa servono forse ci sarebbero state meno disinformazioni.
C’è un elemento di analisi inconvertibile: l’abolizione
avrebbe creato un aumento notevole dei ricorsi per via
giudiziaria con nuovi costi, allungamento dei tempi e un
danno diretto agli interessi dei lavoratori.
Si può discutere sull’opportunità di una semplificazione
e un riordino dei comitati provinciali e regionali, ma per
noi la loro funzione è indispensabile: sono infatti uno
spazio di democrazia e comunicazione sociale che il sindacato intende difendere.
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Prima di concludere mi sembra giusto attirare l’attenzione su due altre questioni, che pur non essendo strettamente collegate al tema del riordino degli Enti, rivestono un interesse generale e certamente non sono estranee alle riforme del sistema.
Alludo alla questione delle totalizzazioni e delle regole
alla base del calcolo della pensione.
Anche se importanti passi in avanti sono stati effettuati
con recenti provvedimenti, la soglia dei 6 anni di versamento necessari per poter ricongiungere i contributi versati in diverse gestioni previdenziali, è un limite non
solo troppo alto ma anche incomprensibile.
Non va infatti dimenticato che per le nuove generazioni
di lavoratori, passare, con brevi percorsi di lavoro, da
una forma di lavoro autonomo ad una di lavoro dipendente e viceversa è sempre più frequente.
Nella discussione su un riordino degli Enti previdenziali anche questa questione deve essere affrontata e risolta. I contributi appartengono a chi li ha versati, e non si
capisce in virtù di quale logica economica, politica e
sociale si stabilisce, utilizzando gli anni di versamento,
la linea di demarcazione tra i contributi utili e quelli a
perdere.
C’è infine un enorme bisogno di equità sempre disatte19
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sa. Oltre alla esigenza di armonizzazione tra pubblico e
privato, crediamo fondamentale che si proceda alla unificazione delle regole previdenziali, abolendo privilegi
ancora presenti tra i diversi tipi di lavoro.
Le regole di calcolo e di accesso devono infatti essere
uguali per tutti, e la differenza nell’entità della prestazione dovrà essere esclusivamente frutto della quantità
di lavoro, del livello di retribuzione e della contribuzione effettuata negli anni.
Il mondo del lavoro non ha invidia sociale per le pensioni alte o anche altissime, esprime invece motivata
indignazione per le sottogliezze normative che producono e consolidano privilegi di corporazioni e di casta.
CONCLUSIONI
La ridefinizione degli assetti degli Enti e delle finalità
pubbliche, debbono essere parti di un progetto volto a
realizzare gradualmente l’obiettivo della piena efficienza e razionalità della gestione delle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative.
I percorsi devono quindi essere discussi e condivisi
tenendo conto sia delle esigenze di razionalità sia dei
diritti dei soggetti interessati.
Il sindacato non ha problemi a collaborare per ricercare
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obiettivi condivisi,con tempi definiti per le riforme che,
dopo il confronto, il governo dovrà elaborare.
Nessuno cerca pretesti per dilazionare le scelte, e confermiamo la disponibilità al confronto per attuare le
riforme: non c’è quindi bisogno di strappi, che avrebbero come unico risultato quello di compromettere la funzionalità degli istituti a danno degli utenti, senza peraltro nessun reale risparmio per le casse pubbliche.
Al contrario deve esserci una progettazione seria, che
parta da uno studio adeguato e partecipato, capace di
indicare con sicurezza i passaggi intermedi e i punti
conclusivi di una riforma utile al sistema e ai destinatari sociali.
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el generale quadro di razionalizzazione della
Pubblica Amministrazione al centro del dibattito
è posto l’accorpamento degli istituti previden-
ziali che viene esaminato secondo due opzioni: l’unificazione in un ente unico delle competenze previdenziali
e assicurative, ovvero, la creazione di due poli, uno pensionistico e l’altro assicurativo.
L’ipotesi del cosiddetto super ente non appare praticabile in quanto i recupero di efficienza e di efficacia sono
conseguibili accorpando enti che esercitino funzioni
omologhe o almeno similari.
A tale proposito si rileva che le funzioni dell’Inail sono
oggettivamente del tutto eterogenee rispetto a quelle
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tipiche degli istituti previdenziali e assistenziali in quanto gli interventi non sono limitati alla semplice erogazione delle provvidenze economiche ma comprendono
rilevanti attribuzioni in materia di sanità, sicurezza e
salute nei luoghi di lavoro, reinserimento sociale e lavorativo degli infortunati e dei tecnopatici.
L’imprescindibile natura assicurativa dell’Inal comporta
l’adozione di un modello economico finanziario completamente diverso da quello delle strutture previdenziali in quanto basato sull’autosufficienza e sull’autonomia, l’Inail ha sempre esercitato la funzione di protezione sociale dei lavoratori infortunati e tecnopatici senza
gravare sul bilancio dello Stato e assicurando, anzi, un
avanzo di amministrazione depositato presso la Tesoreria unica che per l’anno 2005 è stato di circa 2 miliardi
di euro e che per l’anno 2006 sarà di importo simile.
Ed ancora.
La specificità dell’assicurazione contro gli infortuni e le
malattie professionali è stabilito da un complesso quadro normativo che parte dal secondo comma dell’art. 38
della Costituzione dove è sancito il diritto ad una tutela
privilegiata per gli infortunati e i tecnopatici.
La peculiare natura della tutela assicurativa è caratterizzata da: l’automaticità delle prestazioni che sono eroga23
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te anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia versato i contributi o, addirittura, abbia omesso di denunciare il rapporto di lavoro; l’assoluta mancanza di proporzionalità tra i premi dovuti e l’importo delle prestazioni che sono ragguagliate soltanto alla gravità della
inabilità e alla retribuzione percepita; l’esigenza di
garantire il ciclo della tutela integrata, prevenzione,
cura, indennizzo, riabilitazione, reinserimento sociale e
lavorativo, che viene attuata attraverso un’attiva funzione sinergica con le altre strutture pubbliche e i soggetti
privati, che a diverso titolo sono titolari di competenze
in campo sanitario, prevenzionale e riabilitativo.
L’unicità del sistema assicurativo trova espressa e autorevole conferma nella recente legge delega sul Testo
Unico su salute e sicurezza sul lavoro all’esame del parlamento.
Il polo assicurativo deve essere gestito da un ente pubblico, autonomo, nazionale e assicuratore: pubblico,
perché è ormai ampiamente dimostrato che la privatizzazione non riuscirebbe a garantire l’attuale livello di
prestazione a parità di premio; autonomo, in quanto la
specificità della missione esclude ogni ipotesi di confluenza nel super ente, infatti, l’unificazione si risolverebbe in una mera sommatoria di competenze che diffi24
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cilmente potrebbe dare risultati migliori in termini di
efficienza ed efficacia della tutela assicurativa.
Al contrario, la configurazione come ente singolo dotato di poteri e autonomia, consente un rapido adeguamento dei livelli di tutela rispetto ai bisogni espressi dai
lavoratori e dalle aziende.
Nazionale, poiché nell’ambito delle autonomie assegnate alle regioni e in previsione dell’ampliamento dei
poteri delle stesse, è fondamentale la presenza di un ente
nazionale per garantire a tutti gli assicurati trattamenti
economici sanitari uniformi sull’intero territorio nazionale.
Sviluppare una politica nazionale nei settori della sicurezza e del reinserimento sociale lavorativo, non omogeneamente presidiati dalle regioni.
Assicuratori, infine, perché la natura assicurativa è l’elemento più qualificante per la realizzazione della tutela
privilegiata.
La forma assicurativa, infatti, esprime un principio politico, prima ancora che tecnico.
Il lavoro genera rischi e danni, chi trae profitto dal lavoro se ne deve assumere gli oneri.
Da tale assunto deriva l’elemento distintivo della tutela,
il premio assicurativo è totalmente a carico dei datori di
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lavoro a copertura della loro responsabilità civile.
Inoltre, un sistema contributivo svincolato dall’assicurazione del rischio non si adeguerebbe automaticamente
alle dinamiche lavorative che producono i rischi, finirebbe con il richiedere un ricorso sistematico alla fiscalità generale per garantire l’equilibrio finanziario con il
risultato di chiamare alla contribuzione anche i lavoratori.
L’attuale sistema di finanziamento è misto e prevede
una quota di capitalizzazione, le rendite per l’ammontare determinato alla data di decorrenza sono gestite a
capitalizzazione, mentre le spese sanitarie correnti e le
indennità temporanee sono così come i successivi
miglioramenti delle predette rendite, sono gestite con il
sistema finanziario della ripartizione pura.
Nel corso del dibattito generale è stato ipotizzato, tra
l’altro, il passaggio del sistema di finanziamento della
tutela anti-infortunistica a totale ripartizione, tale ipotesi deve essere fermamente respinta in quanto l’attuale
quota di capitalizzazione, pari a circa il 20%, riguarda
esclusivamente il valore capitale delle rendite e copre
pertanto il costo delle prestazioni riconosciute in relazione agli infortuni e le malattie professionali che determinano le conseguenze più gravi.
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Il passaggio al sistema di ripartizione pura determinerebbe il ribaltamento sulle imprese dei costi futuri, relativi agli infortuni più gravi, pregiudicando ogni sistema
di incentivazione alle imprese per la innovazione tecnologica e il conseguente miglioramento della sicurezza
dal momento che le imprese stesse, pur sostenendo i
costi dell’innovazione non ne trarrebbero alcun beneficio immediato continuando ad essere onerate per decenni dai costi degli infortuni pregressi.
In prospettiva di medio-lungo termine, si determinerebbe lo squilibrio finanziario del sistema con conseguente
necessità di aumento dei premi e ovvi riflessi negativi
sui costi del lavoro.
La razionalizzazione del sistema di welfare attraverso
l’istituzione di polo assicurativo può rappresentare una
fondamentale opportunità di sviluppo per la missione
dell’Inail.
Fermo restando gli obiettivi di incremento, di efficacia e
di efficienza, il concreto apporto dell’Inail alla realizzazione di misure strutturali per il contenimento del costo
del lavoro, deve essere rappresentato dalla riduzione del
numero e della gravità degli infortuni, da conseguirsi
attraverso l’azione prevenzionale, dalla gravità dei
danni subiti dai lavoratori raggiungibile attraverso la
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tempestività e qualità degli interventi curativi e riabilitativi, dei disagi economici e sociali determinati dall’infortunio, ottenibile attraverso la congruità dell’indennizzo economico e l’efficacia dei processi di reinserimento
sociale e lavorativo.
Il tutto in coerenza con la strategia adottata dalla Commissione Europea per il quinquennio 2007-2012 che
pone ai paesi membri un obiettivo di riduzione del 25%
degli infortuni sul lavoro.
Si tratta di riorientare l’assicurazione attraverso un
diverso modo di gestire rischi e danni, non più e non
solo per incassare premi e indennizzare le menomazioni, ma per analizzare fattori e cause degli infortuni, colti
nel contesto dei singoli settori di attività e attraverso la
comparazione di eventi simili verificatisi in contesti
produttivi diversi.
Finora il focus dell’assicurazione è stato rappresentato
dall’evento infortunistico che innesca, sul versante delle
entrate, una sequenza perversa, più rischio, più danni,
più premi, più costo del lavoro.
È indispensabile, al contrario, attivare nuove sequenze
virtuose, più prevenzione, meno rischi, minori premi,
riduzione del costo del lavoro, più riabilitazione, più
reinserimento sociale e lavorativo, meno danni, minori
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uscite, riduzione dei costi sociali.
È questo il nuovo punto di equilibrio gestionale che va
perseguito in quanto non si tratta solo di conseguire
obiettivi economico, bensì di rendere effettiva la tutela
prevista dalla Costituzione ponendo al centro dell’azione assicurativa il diritto del lavoratore alla integrità psicofisica.
Questo nuovo orientamento culturale prima e operativo
dopo, può rendere le strutture Inail valide interlocutrici
degli altri soggetti pubblici e privati, nella creazione di
un efficace sistema di sicurezza.
Infatti, fermo restando l’auspicabile intervento di razionalizzazione di ruoli e competenze che verrà attuato
attraverso il testo unico su salute e sicurezza sul lavoro,
le banche dati sugli andamenti infortunistici proposti
non in chiave meramente assicurativa, ma secondo logiche spiccatamente prevenzionali; il portale per la sicurezza, gli incentivi alle regioni per i piani di sicurezza,
le norme premiali per le aziende, le campagne di informazione e formazione, l’assistenza, il sostegno e gli
organismi bilaterali e trilaterali e alle organizzazioni sindacali di categoria rappresentano il vasto campo di azione che già da oggi è possibile nel quadro normativo
vigente.
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Piero Giorgini
Nell’ottica illustrata assume particolare rilievo il sistema di coordinamento tra i diversi soggetti coinvolti al
fine di assicurare l’efficacia delle azioni, evitare duplicazioni di interventi e dispersioni di risorse, massimizzare le risorse umane ed economiche disponibili.
È di tutta evidenza che le procedure di confronto e collaborazione tra i diversi attori che agiscono nel campo
della sanità, della sicurezza e della riabilitazione, debbono essere definite con puntualità e chiarezza, anche
attraverso il decreto di attuazione della legge delega,
affinché la realizzazione delle indispensabili sinergie
non sia rimessa alla volontà dei singoli.
Nell’ambito delle rinnovate modalità di gestione dei
rischi e dei danni e per completare la saldatura del rapporto salute e lavoro, nella riforma previdenziale
potrebbe essere previsto un ruolo dell’Inail nella gestione delle malattie di origine non professionale denunciate all’Inps.
In tale ottica l’impianto di una banca dati delle assenze
per malattia rappresenterà un fondamentale strumento a
sostegno della ricerca sulle nuove malattie professionali e sui nuovi rischi lavorativi che le determinano, fornirà dati anamnestici obiettivi a sostegno delle valutazioni medico-legali, potrà essere alimentata con gli esiti
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Piero Giorgini
delle attività sanitarie svolte nelle aziende dai medici
competenti, potrà essere messa a disposizione delle
strutture del Servizio Sanitario Nazionale sia per le attività mediche, che per gli interventi prevenzionali.
La divisione delle competenze fra il polo previdenziale
e il polo assicurativo non preclude la possibilità di realizzare interventi di razionalizzazione finalizzati al contenimento dei costi di gestione.
L’azione può svilupparsi su due direttrici, la prima
riguarda la revisione del modello di governance, attualmente ridondante e di scarsa efficacia che dovrà garantire adeguata rappresentanza e ruolo alle parti sociali,
normare puntualmente le attribuzioni degli organi, a
partire dai poteri e responsabilità che le attuali norme
attribuiscono alla dirigenza.
La seconda, è riferibile alle diverse attività /no-core/ che
possono comunque essere realizzate da strutture condivise permettendo il conseguimento di rilevanti economie di scala e di competenze.
In tal senso, gli approvvigionamenti, le elaborazioni di
gestione delle retribuzioni, le manutenzioni mobiliari, la
gestione dei servizi in termini di prevenzione e protezione, la gestione del contact centre, la gestione dei
servizi informatici, la gestione dei servizi legali, la
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Piero Giorgini
gestione dei servizi medico-legali, sono le più rilevanti
attività che possono essere gestite in comune coinvolgendo anche altri organismi della pubblica amministrazione.
Sulla base delle esperienze pregresse è necessario evidenziare l’assoluta necessità di stipulare veri e propri
contratti di collaborazione per razionalizzare i costi,
dove siano puntualmente definiti i tempi, le modalità di
collaborazione, gli impegni assunti dai singoli contraenti.
Diversamente, gli accordi, come è successo in passato
anche recente, rischiano di risolversi in meri protocolli
di intesa senza alcun seguito operativo.
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Francesco Lotito
P
otremmo agevolmente definire questo convegno
come il luogo politico in cui per la prima volta
dopo molti anni – e per la prima volta all’interno
del sindacato confederale, dopo molto tempo, si tenta un
ragionamento organico e di segno riformatore sulle prospettive del sistema previdenziale del nostro paese.
Operazione,questa, quanto mai opportuna e tempestiva;
visto l’incipit tutt’altro che entusiasmante del confronto
tra governo e parti sociali ed il ritardo con cui è decollato rispetto alla scadenza prevista dal memorandum di
settembre.
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Francesco Lotito
1) Tutto si tiene
Se è un discorso di riforma, quello che vogliamo affrontate (e non di una mera manutenzione dell’esistente)
allora è evidente che in questo discorso tutto si tiene:
• Il tema del riordino degli enti quello delle sinergie;
• Il nodo della riforma del sistema duale con quello della
riforma dei Comitati che per l’INPS in particolare è
questione di grande rilevanza e – a chiudere il cerchio
– il problema della forma di governance con il problema del ruolo delle parti sociali in un sistema previdenziale finalmente riorganizzato ed, aggiungo, rilanciato.
Provo dunque a ragionare partendo da quello che mi
pare essere il fatto politico preminente; vale a dire dagli
orientamenti ancora recentemente espressi dal governo
in materia di riordino degli Enti previdenziali.
Sto parlando – come è ovvio – del punto 8 dell’ormai
famoso “dodecalogo” del 22 febbraio u.s. con il quale il
Presidente del Consiglio ha ricompattato la maggioranza di governo prima di presentarsi davanti alle Camere
per riottenere la fiducia.
Come è noto quel punto prospetta il “Riordino del sistema previdenziale con grande attenzione alle compatibilità finanziarie e privilegiando le pensioni basse ed i giovani”.
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Francesco Lotito
Il punto prosegue affermando “l’impegno a reperire una
quota delle risorse necessarie attraverso una razionalizzazione della spesa che passa attraverso anche l’unificazione degli Enti previdenziali”.
La manifestazione di volontà politica del testo a me pare
molto chiara, ed il dibattito politico intorno a questo
tema è dunque aperto.
Per la verità lo è da tempo; almeno dallo scorso agosto,
quando i giornali si misero ad inseguire una “voce dal
sen fuggita” del ministro Nicolais, e poi da quando una
delle primissime stesure del disegno di legge Finanziaria prospettava un articolo 9 con il quale, a partire dal 1
gennaio 2007 si sarebbero dovuti sopprimere tutti gli
Enti previdenziali pubblici e sostituirli con un unico
ente: l’INPU.
Proposta, a dir poco bizzarra che – ove fosse stata accolta – avrebbe gettato nel caos l’intero sistema previdenziale pubblico.
Quell’articolo - come si ricorderà – fu lestamente ritirato, anche se in cambio della soppressione degli Enti il
nuovo art. 43 sanciva la soppressione dei Comitati INPS
ed INPDAP.
La portata della proposta soppressiva veniva così circoscritta, ma l’errore di valutazione era del tutto identico.
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Francesco Lotito
Per questo il CIV dell’INPS si è fortemente impegnato
e con esso tutti i Comitati perchè quell’articolo cambiasse segno.
In effetti il comma 469 dell’unico articolo di cui si compone la legge Finanziaria ha dato conto di questo impegno mutando la disposizione soppressiva in una prescrizione di riordino dei comitati.
Detto questo, torno rapidamente all’argomento principale.
Dunque è evidente che dopo il documento di governo
del 22 febbraio il tema dell’unificazione riprende posto
sulla ribalta, anzi sembra aver acquistato rango nel
senso che viene, per così dire, attualizzato come elemento di scambio politico.
Il punto in questione, infatti collega esplicitamente il
“reperimento di una quota di risorse da destinare alle
pensioni basse ed ai giovani” all’operazione di riunificazione degli Enti da cui distillare un risparmio di spesa.
Provo a ragionare su questo scambio.
Sull’entità del risparmio atteso e sulla chirurgia necessaria per ottenerlo, il Governo non si pronuncia: ma altri
lo fanno ad esempio lo ha fatto R.C. in un convegno del
17 gennaio u.s. e parlano di due, forse tre miliardi di
euro da realizzare con un taglio di 17.000 dipendenti.
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Francesco Lotito
Vorrei poter discutere con il Dr. Mazzieri che di quel
convegno è stato uno dei relatori, per poter capire l’alchimia che produce questi valori.
Quel che è certo e che i “media” che si sono occupati
della questione hanno preso in consegna l’imponenza di
queste grandezze che in assenza di un ragionamento (o
magari di una smentita) tengono banco nel dibattito.
Ebbene, quale che sia la verosimiglianza di questi
numeri, mi limito ad osservare che in questo modo di
impostare le cose, il tema del riordino degli Enti previdenziali cessa di essere un obiettivo razionale in sè, per
diventare una mera variabile di una partita finanziaria
che ha altra motivazione e che deve risolvere il problema del fabbisogno per pensioni, ammortizzatori sociali
e quant’altro.
Francamente faccio una certa fatica ad immaginare un
tavolo di concertazione in cui il problema si condensasse in una paradossale equazione: più pensioni meno
INPS.
Si può invece considerare il problema sotto un altro
punto di vista, e cioè che la proposta del governo,
affrancata dal vincolo di un risparmio fissato a priori, in
realtà possa funzionare come un elemento di spinta e
ponga all’ordine del giorno il tema del riordino in sè e
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per sè. In questo caso il cantiere del riordino degli Enti
previdenziali può essere aperto immediatamente, e può
portare ad ottimi risultati sia in termini di efficienza, sia
in termini di risparmi.
Qui io ripropongo il tema delle sinergie come politica di
innovazione gestionale ed organizzativa ed al tempo
stesso come punto centrale del discorso sul riassetto del
sistema previdenziale.
2) Le Sinergie
Il problema delle sinergie non è certo una novità nel vissuto degli Enti.
Esso si propose all’attenzione già otto anni or sono,
quando INPS, INAIL ed INPDAP sottoscrissero un protocollo che formulava il menù delle possibili sinergie e
prevedeva l’istituzione di un certo numero di commissioni di studio. Quel protocollo produsse sicuramente
una maggiore collaborazione, ma in fin del conti non
riuscì ad intaccare il principio di autoreferenzialità, che
sta nel D.N.A. di ogni struttura complessa.
Per la verità il tema delle sinergie trovò un’eco in una
legge delega del 17 maggio ’99.
Ma il governo la fece scadere, sicchè le sinergie vere e
proprie non decollarono.
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Francesco Lotito
Taluno può chiedere del tutto legittimamente che cosa è
cambiato perché si faccia oggi ciò che non è stato fatto
nel corso di questi otto anni.
La risposta – a mio modo di vedere – è che è mutato il
contesto socioeconomico in cui si svolge l’azione degli
Enti previdenziali nel senso che oggi sono in campo le
ragioni di una formidabile trasformazione del mercato
del lavoro, dei fabbisogni di tutela sociale e previdenziale che da sole motiverebbero l’esigenza del cambiamento.
In secondo luogo sono cambiate le condizioni politiche
di fondo.
Otto anni fa il progetto di sinergie nasceva da una intuizione di autoriforma interna alle logiche gestionali dei
tre Enti sottoscrittori.
Veniva cioè adottato un parametro razionalisticoamministrativo che doveva condurre ad una ridislocazione di
alcuni servizi, che però lasciava sullo sfondo il vero problema che occorre affrontare quando si pone mano alla
struttura dei compiti e delle competenze; che è il problema – tutto politico – della struttura e della ridislocazione dei poteri cioè la definizione di nuove gerarchie
funzionali e decisionali e dunque l’approntamento di
una normativa cogente.
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Questo nodo non fu mai affrontato.
Oggi c’è da chiedersi con onestà intellettuale se di fronte alla radicalità con cui il documento del governo pone
il problema del riordino degli Enti, quella delle sinergie
non possa apparire come un’offerta di retroguardia.
Con pari onestà rispondo di no.
L’unificazione così come prospettata dal punto 8 non è
un progetto di cui si possano stimare contenuti, tempistiche ed effetti.
In realtà esso ha le caratteristiche di una forte ipoteca
politica che costringe tutti gli interlocutori a misurarsi
finalmente in termini risolutivi con la questione del riordino.
Ed in questa chiave interpella il tema delle sinergie, ed
anzi lo strappa al suo originario carattere domestico per
consegnarlo interamente alla responsabilità politica.
A questo punto, poco importa che il tema del riordino
degli Enti sia stato o no contemplato nel programma
elettorale del centro sinistra.
Se il problema c’è va affrontato.
3) Gli obiettivi
Per la verità i CIV stanno già lavorando ad un progetto
di SINERGIE che si articola intorno ad 11 obiettivi, che
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Francesco Lotito
qui riassumo solo per titoli:
1) la riorganizzazione del sistema di governance sulla
base del principio di valorizzazione del ruolo delle
parti sociali, di razionalizzazione e di esemplificazione degli organi di vertice, nonchè dei compiti e
della composizione dei Comitati provinciali, regionali e centrali di cui si è occupato il comma n. 469
dell’art. 1 della legge finanziaria;
2) la esemplificazione del controllo contabile per
mezzo dell’unificazione dei Collegi dei sindaci;
3) la ristrutturazione e la riunificazione dei sistemi di
“Audit”, di controllo interno e di gestione;
4) l’unificazione delle Avvocature in funzione dello
smaltimento e della prevenzione del costosissimo
contenzioso giudiziario;
5) la riorganizzazione delle competenze di vigilanza
articolandole per filiere omogenee;
6) l’adozione di una politica del Patrimonio immobiliare comune agli Enti con l’obiettivo della razionalizzazione degli impieghi e della valorizzazione di
mercato;
7) la ristrutturazione della rete territoriale in vista della
creazione degli sportelli unici, della concentrazione
delle sedi, dell’unificazione delle funzioni di sup41
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porto tecnico-edilizio, della riunificazione dei
cosiddetti “processi abilitanti”;
8) la riorganizzazione delle funzioni medico-legali;
9) la ristrutturazione dei ruoli dirigenziali in funzione
di un ampio snellimento dei ranghi, di ringiovanimento e di riequilibrio a favore del territorio;
10) l’integrazione della rete informatica con l’obiettivo
di eliminare le duplicazioni, armonizzare le architetture, mettere in comune le piattaforme, unificare gli
archivi dei lavoratori attivi e quelli dei pensionati;
11) l’adozione di una politica del personale in grado di
unificare le procedure di selezione e al tempo stesso
liberata dal vincolo burocratico delle piante organiche, basata sul turn-over come strumento di ricambio e di mobilità professionale e sulla riqualificazione della mobilità interente.
Il compito dei CIV naturalmente non può andare al di la’
di quello del progettista, sapendo che tutti i poteri decisionali riposano sul tavolo del confronto tra governo e
parti sociali.
Tuttavia essi sono convinti che oggi esistono le condizioni politiche perché un progetto di SINERGIE tra gli
enti previdenziali:
• prenda corpo
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• sia vasto ed organico
• punti al superamento della autoreferenzialità istituzionale
• realizzi maggiore efficacia gestionale ed organizzativa
• produca risparmi
concreti
quantificabili
tempificabili
A questo punto è chiaro che sto parlando non dell’estetica dell’unificazione ma del modo di mettere con i piedi
per terra un vero processo di riordino che, per essere
tale, deve essere l’altra faccia di un’ampia e profonda
riforma dello Stato sociale, piuttosto che il mero riflesso delle esigenze di cassa e di tesoreria.
Dico di più.
L’adozione di una forte politica delle sinergie è lo strumento più efficace per portare allo scoperto il vero limite istituzionale dell’attuale assetto.
A ben guardare, il punto 8 del dodecalogo di cui si è già
detto prima, nei fatti chiama sul banco degli imputati il
pluralismo degli enti; che essendo eccessivo determina
diseconomie, le quali a loro volta vanno eliminate concentrandoli tutti in un punto!
Ora io penso che il problema di un pluralismo ridon43
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dante possa essere legittimamente posto, a condizione
però che si colga il vero elemento distorsivo che deforma il sistema, e che è rappresentato dal fatto che un po’
tutti gli enti fanno un po’ di tutto.
È da questo elemento distorsivo che discendono:
• sovrapposizione dei compiti
• superfetazione burocratica
• pletoricità strutturale
• e ridondanze organizzative con contorno di gelosie
identitarie, velleitarismi competitivi e dunque sprechi.
Ebbene, si riformulino le missioni strategiche intorno
alle quali si deve articolare lo stato sociale sulla base di
un disegno coerente.
Si ridefiniscano i compiti ed i ruoli ai quali si deve provvedere.
Ed il tema del riordino avrà finalmente trovato una sua
dimensione logica e razionale.
4) Il sistema duale
Se è vero che in questo discorso di riforma TUTTO SI
TIENE allora adesso è giunto il momento di parlare
della GOVERNANCE DUALE.
È tempo di bilancio.
Proposte di cambiamento.
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Francesco Lotito
Il sistema duale ha ormai sulle sue spalle 12 anni di
esperienza.
Disponiamo dunque di materiali più che sufficienti per
valutarne pregi e limiti.
Parto da un dato di fondo e cioè che il sistema duale è
vittima di una contraddizione di fondo; l’idea che la sorregge – vale a dire la separazione delle funzioni – è
moderna e fortemente innovativa perchè afferma la dialettica dei poteri come condizione della trasparenza e
del buon governo; ma così com’è, ha un chè di barocco
che ne pregiudica il funzionamento e lo fa apparire
insoddisfacente.
Detto brutalmente, il sistema così com’è, non va; e non
va bene almeno per tre buone ragioni.
La prima è che l’impianto normativo che ha dato vita
all’assetto duale e dunque al CIV appare lacunoso ed
imperfetto, nel senso che non chiarisce gli ambiti, le
competenze ed i poteri effettivi dell’organo di indirizzo
e vigilanza dal punto di vista della concreta esigibilità
delle disposizioni che emana.
Senza il supporto di un chiaro apparato sanzionatorio le
sue delibere sono poco più che colpi a salve.
La seconda ragione, largamente dipendente dalla prima,
è che non riesce a risolvere la tensione latente fra le
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rispettive sfere di competenza del Civ e degli Organi di
gestione.
In questo senso semmai è da rimarcare il fatto che il processo dialettico che da luogo alle scelte deve avvenire in
un contesto di forte asimmetria; a fronte di “UN” organo di indirizzo operano ben “TRE” organi di gestione: il
C.d.A., il Presidente dell’Istituto ed il Direttore Generale.
Per non dire poi del fatto che i dirimpettai del CIV in
materia di bilancio sono due, vale a dire il Collegio dei
Sindaci ed il Magistrato della Corte dei Conti. I quali a
loro volta interagiscono con il C.d.A. lungo tutto l’esercizio delle funzioni gestionali.
La verità che le parti sociali ci mettono del bello e del
buono per impedire che questo impianto normativo non
produca sprechi di risorse ed inefficienze insopportabili
ma il nodo di fondo ancora una volta è nella normativa
di legge.
Si pone dunque oggettivamente un problema di esemplificazione che merita di essere affrontato in un contesto di riforme.
La terza ragione a sua volta figlia delle prime due – è
che il ruolo del CIV così com’è non corrisponde nè al
grado di rappresentatività, nè all’impegno politico delle
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parti sociali all’interno dell’Istituto. Su questo punto è
bene parlar chiaro.
La funzione di governo delle parti sociali all’interno del
sistema non è alienabile.
Gli Enti previdenziali non sono aziende dello Stato, e
men che meno delle municipalizzate.
Il sistema degli Enti è un’espressione di quella che a
buon diritto può (e deve) essere definita “proprietà
sociale”.
È tale perchè la sua storia centenaria si intreccia continuamente con la vicenda del movimento sindacale dei
lavoratori, al punto da costituire una metafora delle sue
conquiste sociali e del processo di civilizzazione della
società industriale del XX secolo.
È tale perchè il capitale che amministra è costituito dai
versamenti contributivi dei lavoratori e delle imprese.
È tale perché ha di fronte a se non clienti, ma cittadini
portatori di diritti, sicchè la sua missione non è quella di
vendere merci o servizi al miglior prezzo possibile, ma
di assicurare il miglior funzionamento possibile dei
sistemi di welfare.
È tale perché riconosce il mercato, anche quando agisce
sul terreno dei servizi sociali, ma con esso non si confonde, come mostra chiaramente la sua posizione sulla
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previdenza complementare, sapendo che se per il mercato la missione è la certezza del profitto, per un sistema come quello previdenziale la missione è la certezza
dei diritti di cittadinanza sociale.
Nessuno dunque può pensare che questo sistema possa
vivere senza l’apporto di governo delle parti sociali.
Così come è ormai necessario che le parti sociali tornino ad occuparsi del problema del governo degli enti previdenziali come di un tema di primaria importanza.
Qui cogliendo anche l’opportunità di dialogare con il
Ministro del Lavoro, va posta (anzi riproposta) la questione davvero cruciale – dell’autonomia gestionale
degli Enti di fronte alla funzione vigilante dei ministeri
dell’Economia e del Lavoro, sapendo che il lascito che
questo governo ha ricevuto da quello precedente, è
molto negativo.
C’è – perché lo ha fissato la L. 88/89 – un confine che
separa l’una dall’altra. Sicchè i termini del discorso
sono molto semplici.
Se il sistema previdenziale è lo strumento tramite il
quale si materializza la legislazione sullo Stato sociale,
è quantomai giusto e doveroso che su di esso si eserciti
la vigilanza del Parlamento.
Se nella sua azione impiega risorse dello Stato, è altret48
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tanto giusta la vigilanza del governo.
Senonchè la vigilanza deve essere esercitata sugli atti
esecutivi e sui risultati, non sulle procedure.
Per questo fermo restando il massimo rispetto della
legge e delle funzioni di vigilanza, la responsabilità
delle scelte gestionali ed amministrative deve appartenere – senza equivoci – al sistema di governo dell’Istituto.
Ne va – oltre che della dignità professionale – della stessa efficienza operativa.
Ebbene, in questo discorso sull’autonomia ancora una
volta le forze sociali debbono considerarsi parte fondativa, debbono assegnare al suo inveramento carattere
dirimente per definire un buon progetto di riassetto della
governance.
Il bilancio dell’esperienza vissuta nel corso di questi 12
anni che ci separano dalla data della legge istitutiva dei
CIV è stato fatto.
Anche davanti al Parlamento come può testimoniare
l’On. Amoruso che nella passata legislatura presiedeva
la commissione bicamerale.
La denuncia dei limiti e delle criticità del sistema attuale è stata già depositata.
Ora siamo di fronte alla più classica delle domande:che
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fare. Se il compito del progettista è quello di fare una
proposta, il progettista prova a formulare una proposta
articolandola in 7 punti.
PROPOSTA
1) riconferma del principio della separazione delle funzioni di indirizzo da quelle di gestione;
2) riconferma della insostituibilità del ruolo delle parti
sociali;
3) piena valorizzazione del ruolo di governo delle parti
sociali nel senso della esigibilità’ e dunque del carattere vincolante degli indirizzi e di vigilanza sulla funzione gestionale;
4) esemplificazione della struttura della governance
mediante il superamento del C.d.A.;
5) trasferimento della responsabilità sulla figura dell’amministratore delegato che sostituisce quella del
Direttore Generale;
6) snellimento – ampio – nella composizione dell’Organo di indirizzo;
7) (Per l’INPS): Riorganizzazione dei comitati territoriali;
• Riduzione del numero dei Comitati Centrali
• Valorizzazione del ruolo dei Comitati Regionali
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Francesco Lotito
contestuale allo snellimento nella loro composizione;
• Riconferma dei Comitati Provinciali come presidi
impegnati nel ruolo di contenzioso amministrativo
anche in questo caso contestuale ad un ampio snellimento dei ranghi.
Se questo è il cantiere che vogliamo aprire allora l’aspettativa di un nuovo futuro degli enti previdenziali è
possibile e realizzabile.
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Francesco Maria Amoruso
R
Ringrazio per questa preziosa occasione in cui
oggi, forse per la prima volta a livello pubblico e
in questa maniera, si affronta l’importante tema
del riordino degli enti di previdenza pubblici.
Il dibattito oggi tanto d’attualità trae origine anche dal
lavoro svolto negli anni precedenti dalla Commissione
parlamentare di controllo sugli enti di previdenza (con
piacere osservo che la presidente Cordoni, che mi ha
sostituito nella nuova legislatura, sta lavorando egregiamente proprio su questo tema per continuare quel lavoro
iniziato nei passati cinque anni).
La legge delega sulla previdenza varata nella scorsa
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Francesco Maria Amoruso
Legislatura riguardava da una parte la riforma previdenziale, dall’altra la riforma degli enti.
Il governo precedente scelse di concentrarsi sulla riforma della previdenza con la previsione, se ce ne fosse
stato il tempo, di affrontare poi anche il problema della
riforma degli enti gestori.
Questo non è avvenuto, ma nel frattempo la Commissione che allora io presiedevo iniziò questo percorso in
un confronto intenso e qualificato in modo particolare
con il mondo sindacale, con i CIV e con gli enti stessi.
Proprio su sollecitazione della Commissione, per la
prima volta si cominciò a parlare di una rivisitazione del
sistema duale che allora compiva dieci anni.
Tutti quanti sottolineavamo che, pur valutando l’importanza e la fondatezza di quel sistema, esso era ormai
datato.
Il confronto fu subito serrato e di qualità.
Per la prima volta in quella occasione, in alcuni CIV, si
cominciò a discutere su come guardare a questi problemi e su come trovare le soluzioni più adeguate.
Fu un momento importante che avviò un percorso nel
quale, penso, il convegno di oggi si inserisce perfettamente.
Il dato principale riguardo alla governance degli enti
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Francesco Maria Amoruso
previdenziali consiste nella necessità di rivedere l’attuale sistema.
Nella legge istitutiva del sistema duale, infatti, c’erano
grandi lacune da colmare.
Anzitutto la mancanza di regole chiare.
Le funzioni per i vari organi di gestione non erano ben
definite.
Proprio quello è uno dei motivi di non perfetto funzionamento degli enti stessi.
Ed è là che bisogna intervenire.
L’idea della fusione degli enti (che mi pare non essere
condivisa da nessuno - questo mi fa personalmente
molto piacere perché io lo sostengo da parecchio tempo)
è inutile rispetto alla questione principale del risparmio.
La razionalizzazione e il miglioramento funzionale
degli enti sono le strade da seguire.
Accorpare non vuol dire rendere tutto efficiente.
Non vuol dire migliorare la qualità delle prestazioni che
sono un fatto importante cui non dobbiamo mai dimenticare di guardare perché la funzione primaria degli enti
di previdenza è una funzione sociale che deve guardare
agli utenti, ai cittadini e ai pensionati.
Tutte categoria, queste, che non possono essere abbandonate al loro destino.
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Francesco Maria Amoruso
Ecco il motivo per cui la qualità del servizio va controllata e il risparmio va guardato.
Quali sono queste priorità che è necessario affrontare
prima ancora di lanciare anche solo un’ipotesi di accorpamento?
Intanto c’è l’eccessivo numero di organi negli enti.
Chi mi ha preceduto ha già accennato alla proliferazione degli organi territoriali.
Nella passata legislatura, la Commissione parlamentare
di controllo aveva più volte denunciato la pletoricità e il
costo eccessivo di certi organi fornendo i dati: all’INPS
il sistema degli organi territoriali costa a bilancio 17
milioni di euro solo per quanto riguarda le spese di gettoni, che sono sì oggettivamente bassi presi singolarmente, ma che rapportati a 6.200 persone (dato del
2005) inevitabilmente incidono sui conti dell’Istituto.
Se poi si aggiunge che questi organi sono dotati di una
serie di strutture di supporto, è da immaginare che quei
17 milioni siano probabilmente solo una quota minimale del costo reale.
Il sistema dei comitati territoriali non va abrogato
all’improvviso, di punto in bianco, come si voleva fare
nella Finanziaria anche perché c’è il rischio di creare
delle distonie difficili.
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Francesco Maria Amoruso
Ad esempio, parlo sempre dell’INPS, alcuni di questi
organi sovrintendono ai ricorsi che avvengono sul territorio.
Se l’articolo 42 della Finanziaria fosse stato approvato,
l’INPS si sarebbe trovato esso stesso, con le sue strutture centrali, a dover risolvere i ricorsi che esso stesso
determinava da parte dei cittadini.
Sappiamo che l’articolo 42 non ha compiuto la sua strada. È stata una fortuna nel caso specifico.
È chiaro tuttavia che quel sistema va ridefinito, rivalutato e riqualificato nell’ottica di una gestione più razionale.
Inoltre è bene ricordare che l’INPS ha una tendenza
negli ultimi anni, riportata a bilancio, in cui il personale
si riduce sempre di più e la spesa relativa aumenta sempre di più.
Anche questo è un qualche cosa che va rivisto, va guardato e seguito per cercare di capire quali sono i meccanismi che portano persone ad avanzare di grado, anche
negli stipendi e poi rimanere nelle stesse funzioni.
Discorso in parte simile vale per l’INPDAP.
Bisogna quindi vedere come poter organizzare queste
strutture in modo che possano essere davvero di totale
utilità per l’ente stesso.
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Francesco Maria Amoruso
Altri settori d’intervento sono la gestione, l’indirizzo e il
sistema di controllo degli enti di previdenza.
Oggi ci sono cinque organi di gestione: il presidente del
Consiglio d’amministrazione, il Cda stesso, il Direttore
generale, i revisori che vengono considerati organi, il
CIV (il cui presidente, di fatto, anche se ciò non è previsto dalla legge, spesso vede le sue funzioni intrecciarsi con quelle del presidente del Cda).
Un’altra incongruenza su cui intervenire è il fatto che il
la mancanza di un sistema sanzionatorio fa sì che non ci
sia modo affinché gli organi di gestione seguano le indicazioni da parte degli organi di indirizzo.
Un altro problema è quello dei sistemi di controllo.
Abbiamo tre ministeri vigilanti (siccome non bastavano
il Lavoro e l’Economia, il recente spacchettamento dei
ministeri ha dato alcune competenze anche alla Solidarietà sociale – vi è poi, considerando il personale degli
enti stessi, anche la vigilanza della Funzione pubblica);
il Nucleo di valutazione della spesa pensionistica; la
Corte dei Conti; i revisori, che oltretutto costano molto
agli enti avendo quasi sempre la qualifica di direttori
generali prendendo compensi a volte superiori a quelli
del presidente e dei consiglieri d’amministrazione; infine vi è la Commissione parlamentare di controllo.
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Francesco Maria Amoruso
Vi sono poi problemi specifici dei vari enti che non sono
stati mai affrontati e che purtroppo hanno bisogno di
essere affrontati.
Ricordo un esponente non della mia parte politica, il
senatore Pizzicato, che in Commissione insisteva,
riguardo all’INPS,
sul problema dei fondi speciali, gli elettrici, i trasporti.
L’ENPALS ha il problema dei cosiddetti “dormienti”,
cioè gli sportivi non professionisti che pure partecipano
a campionati mondiali che costano fior di quattrini (nel
rugby, nella pallavolo ecc…).
Sono situazioni paradossali che vanno affrontate in
modo energico.
Nell’INAIL c’è poi il problema degli agricoli.
L’IPSEMA si rivolge a un mondo importante, quello dei
marittimi, che ha delle sue specificità molto particolari e
al tempo stesso assicura anche le hostess, ma non il personale di terra e i piloti.
Si tratta di un’incongruenza su cui la Commissione ha
più volte posto la sua attenzione.
E ancora: non è possibile accorpare un polo previdenziale con un polo assicurativo.
Sono funzioni completamente diverse che non possono
essere accorpate.
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Francesco Maria Amoruso
Una cosa è la previdenza. Un’altra sono l’assicurazione
e l’assistenza per quanto riguarda alcuni aspetti particolari, che poi è la funzione che svolge l’INAIL e fondamentalmente l’IPSEMA per quanto riguarda le sue categorie.
È poi da respingere qualunque tentativo di privatizzazione di cui ogni tanto si sente parlare.
Per quanto riguarda la parte politica che rappresento,
ribadisco fortemente il ruolo sociale dell’INAIL che non
può essere disgiunto da quella che è la funzione dello
Stato.
L’assicurazione per i cittadini verso le malattie e gli
incidenti sul lavoro non può essere demandata ad una
gestione privatistica.
Essa è propria di una funzione pubblica.
Bisogna salvaguardare il valore sociale dell’INAIL e,
semmai, più che pensare ad accorpamenti o altre operazioni secondo me poco utili, bisogna riflettere su un
fatto concreto e da me più volte denunciato: oggi la
maggior parte degli incidenti viene denunziata, guarda
caso, il primo giorno di lavoro, il che vuol dire che esiste ancora troppo lavoro nero che mette a rischio la vita
dei lavoratori.
Bisogna poi fare chiarezza su un altro tema – e qui forse
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Francesco Maria Amoruso
creerò qualche scossone –, cioè il rapporto tra enti di
previdenza e patronati.
Questi ultimi hanno certo la loro importanza e hanno
dimostrato spesso di essere strumenti positivi.
Ma non possono costare – riporto i dati del 2005 – 250
milioni di euro all’INPS, 60 milioni all’INPDAP, circa
15 milioni all’INAIL, soprattutto in un momento in cui
invece gli enti dovrebbero burocratizzare per andare
ancora più incontro al cittadino.
Dobbiamo anche ricordare che il blocco delle assunzioni tra qualche anno porrà seri problemi di sostenibilità
della previdenza pubblica che dovremo necessariamente affrontare.
Anche su questo piano mettere gli enti previdenziali
tutti insieme in un grande calderone non aiuterà affatto.
Ugualmente bisogna dare priorità al fatto che oggi i
sistemi informatici degli enti non sono coordinati tra
loro.
È necessario unificare le banche dati. L’INAIL solo un
paio di anni fa ha risolto dei gravi problemi di carattere
informativo.
Oggi mettere insieme sistemi che non si parlano è prioritario.
C’è infine un tema che mi sta particolarmente a cuore.
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Francesco Maria Amoruso
Ipsema, Enpals e Ipost sono certo soggetti piccoli, ma
hanno una loro valenza e una loro funzione non solo per
i positivi risultati di bilancio registrati in questi anni, ma
anche per la qualità del loro funzionamento.
Le categorie cui questi enti più piccoli si rivolgono non
possono essere disinvoltamente inglobate in un grande
ente che non avrebbe la possibilità neanche di colloquiare con esse: immaginate un marittimo che sta
imbarcato sei mesi l’anno.
Tutti questi sono problemi che noi abbiamo posto.
Mi fa piacere sentire che anche le parti sociali intervenute e i rappresentanti degli enti siano consci di essi.
Dobbiamo cominciare a confrontarci.
Approfittiamo di occasioni come queste per tracciare
percorsi di confronto che devono necessariamente portare a una riorganizzazione degli enti e non semplicemente ad enunciare accorpamenti che spesso danno l’idea, da parte di chi lo fa, di non voler affrontare le priorità della previdenza.
Sommare non è risparmiare.
L’ha dimostrato l’operazione INPDAI.
Con essa non abbiamo risparmiato assolutamente nulla.
Anzi, quell’operazione non è ancora completata.
E sommare non può significare che la funzione assi61
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Francesco Maria Amoruso
stenziale e quella previdenziale vengano confuse.
La funzione dell’INAIL è straordinariamente importante.
Oltre agli accorpamenti, anche tentativi di varia natura
per privatizzare l’INAIL vanno visto con grande sospetto.
Al contrario, bisogna ribadire fortemente il ruolo sociale dell’INAIL che è inscindibile dallo Stato.
In definitiva, occorre tutelare le specificità dei singoli
Enti mettendole sì in sinergia, ma anzitutto trovando il
modo di risolvere quelli che sono gli aspetti difficili che
oggi ho enunciato, ma che si stanno affrontando in
maniera seria e composta da parte di tutti quanti.
Risolviamo quei problemi e avremo un grande risparmio, una grande possibilità di offrire un grande servizio
sociale specialmente ai nostri pensionati, cioè la categoria che ci sta a cuore anzitutto perché rappresenta anche
il nostro futuro.
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Gian Paolo Sassi
A
nche io come l’onorevole Amoruso ho preso
solo degli appunti, perché mi interessava molto
sentire le cose che sarebbero state dette stamatti-
na, quindi andrò un po’ a braccio cercando di toccare
tutti gli argomenti che sono stati affrontati.
Innanzitutto, essendo un ottimista, dico che questo dibattito sul futuro degli enti previdenziali, sul loro accorpamento, su quello che dovranno essere, uno, due, tre ecc.,
tutto sommato lo reputo positivo, perché ci costringe a
guardarci in faccia, guardare dentro di noi come enti, a
confrontarci con l’esterno e vedere quello che va, quello
che non va e quello che si può fare.
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Gian Paolo Sassi
Quindi lo considero una provocazione estremamente
positiva.
Le tante cose che sono state dette oggi, che mi vedono
consenziente, sanciscono una sofferenza che comunque
c’è in questo momento negli enti previdenziali.
È anzitutto una sofferenza di governance, l’ha detto
bene Lotito, l’hanno ripetuto dopo gli altri oratori: noi
abbiamo, a prescindere dal fatto che gli enti siano tre,
uno o cinquanta, un problema reale di governance.
Tutti ne conosciamo il motivo: troppi organi, ne abbiamo cinque, non sto a ricordarli, però pensate a cosa succede effettivamente in un ente come il nostro in cui il
CIV elabora una linea di piano triennale che passa al
direttore generale il quale poi la deve tradurre in proposte per il Consiglio di Amministrazione, che quindi passano dal presidente che le deve mettere all’ordine del
giorno e spesso non è d’accordo, dice la sua, perché se
no cosa ci starebbe a fare?
Che poi vanno in consiglio di amministrazione dove
sono riviste, rielaborate, ridiscusse e magari modificate.
Ed ancora, che poi tornano al direttore generale perché
le trasmetta alle direzioni centrali per tradurle poi in
linee operative e così via.
Alla fine di tutto questo percorso, qualunque cosa sia
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Gian Paolo Sassi
uscito nei CIV può uscire completamente differente in
termini di linee operative. Non potrà che essere così in
un sistema come questo.
Anzitutto, quindi, se il sistema vuole essere duale, se
deve rimanere tale, non entro nel discorso se ci debbano
entrare le parti sociali direttamente nella gestione o
vanno bene le nomine, come vengono fatte in questo
momento dai ministri e dalla presidenza del Consiglio
dei ministri, a seconda delle competenze, non è una questione che mi appassiona più di tanto, se le parti sociali
vogliono rientrare nella gestione diretta degli enti,
benissimo, è un loro diritto pretenderlo e io non sarò
certo io a dire che non va bene.
Ma dico comunque che chiunque ci sia a gestire questo
meccanismo i problemi che ci sono resteranno intatti,
quindi sul sistema duale mi richiamo proprio all’esempio che faceva l’onorevole Amoruso quando evidenziava che qualcuno aveva detto: è una bizzaria del sistema
previdenziale. In realtà noi vediamo che oggi il sistema
di governance duale sta diventando una cosa molto
appetita, tant’è vero che noi siamo andati alla fusione tra
Banca Intesa e San Paolo e hanno costituito un sistema
duale che però ha una differenza rispetto al nostro, ha
dei paletti molto chiari in termini di competenze, cioè si
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Gian Paolo Sassi
sa esattamente chi fa cosa, perché, con quali responsabilità.
Un sistema come il nostro si tende a mischiare i vari
piani di competenza e soprattutto di responsabilità, che
non sono da poco, perché tutti questi organi, i ministeri
che ci vigilano, la Corte dei Conti, i sindaci, ci vigilano
tutti e vogliono dire la loro però poi la responsabilità
rimane sempre quella di pochi.
Tutto sommato, il sistema duale andrebbe rivisto alla
luce di una governance moderna, in cui siano chiare le
competenze e siano più strette le catene di comando e
ciò per me sarebbe una cosa estremamente positiva.
Sono d’accordo con quanto diceva Larizza, l’amministratore delegato ben venga, io avrei pagato, non posso
pagare molto dai miei compensi perché sono miserrimi,
specialmente in relazione a quelli di altri consiglieri e
dei sindaci, però avrei pagato per essere meno presidente e un po’ più amministratore delegato, mi piacerebbe,
ma non è così.
Poi c’è un’altra questione che non dobbiamo sottovalutare: le norme, noi non parliamo quasi mai di norme
quanto trattiamo di queste cose perché parliamo di politica; però quando io sento il presidente della sezione
lavoro della Corte di Cassazione, uno dei magistrati che
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Gian Paolo Sassi
in Italia sono tra i più esperti in materia previdenziale,
dire che non trova giudici nelle sue sezioni lavoro, nelle
sezioni previdenza, perché la materia è troppo complicata, io mi spavento.
Ha ragione quel presidente, ormai la normativa previdenziale è incontenibile, io credo non ci sia nessuno in
Italia che sia in grado di avere una piena contezza della
normativa previdenziale, ormai è diventata una stratificazione giurassica di norme, di decreti, di provvedimenti primari e secondari che si contraddicono, che non si
guardano, non si parlano e fanno danno.
Vi faccio un esempio banale che riguarda i pensionati,
cioè le persone di cui noi come INPS ci vogliamo occupare con più affetto, con più attenzione, il CUD.
Noi siamo i più grandi sostituti d’imposta in Italia, per
circa 13-14 milioni di persone, la recente Finanziaria
prevede che ci sia una possibilità impositiva fiscale dei
comuni, delle regioni per quanto riguarda il discorso
dell’IRPEF, le modifiche delle aliquote.
Ben venga, ci mancherebbe l’autonomia impositiva
degli enti locali.
Peccato che quella norma di Finanziaria si sia dimenticata di armonizzare i tempi per cui succede che 630
comuni grandi e piccoli, tra cui Roma, Genova, Paler67
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mo, non sto parlando di realtà piccoline, hanno usufruito di questa possibilità di modifica delle aliquote IRPEF,
le hanno modificate, nei tempi che la legge gli dava.
Ma quei tempi non erano quelli che servono ai pensionati per presentare la dichiarazione dei redditi.
Risultato: noi dobbiamo, come istituto, rinviare per la
seconda volta e in alcuni comuni addirittura per la terza
volta (metto subito le mani avanti, non è colpa nostra) il
CUD ai pensionati, i quali giustamente diranno che
l’INPS è inefficiente, che lo Stato fa pena, che noi siamo
degli stupidi.
Non è così, semplicemente chi ha fatto la norma che
consentiva l’autonomia impositiva non si è posta la questione successiva dell’armonizzazione dei tempi di consegna dei CUD, perché ormai un quadro d’insieme della
normativa non ce l’ha più nessuno e, quindi, andiamo
avanti un tanto al tot e poi si mettono assieme le cose.
Guardate che non è poco il rinviare dai due ai tre milioni di CUD, perché al di là dei costi di lavorazione nostri,
ci sono dei costi di spedizione e ci sono dei costi sociali, su questi ultimi ho già detto, per quanto riguarda i
costi di spedizione a noi costa un 5-6 milioni di euro in
più fare questa operazione.
Se non si sistema la normativa, l’anno prossimo il pro68
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blema si ripeterà pari, pari, anzi i comuni non saranno
più 630 ma 3-4.000, quindi questa cosa va affrontata ma
nessuno l’affronta perché nessuno ci ha pensato, semplicemente per questo.
I costi di questa operazione sono pari ai costi di gestione degli organi del nostro istituto, l’abbiamo detto alla
commissione bicamerale, mi fa piacere che ci sia il presidente, il costo degli organi dell’istituto, che sono troppi, è 0,002% del nostro fatturato. È una cosa ridicola.
È vero, sono troppe 6.000 persone che si occupano di
INPS, perché alla fine non incidono più di tanto,
dovrebbero essere 600, brave, essere meglio retribuite a
gettone. Io dico che però servono perché comunque a
prescindere dal fatto che le parti sociali rientrino nella
governance diretta degli istituti o ne stiano fuori, sul territorio serve un filtro tra la dirigenza e i cittadini, un filtro amministrativo.
Oggi i comitati provinciali regionali sono tanti – Franco
Lotito lo sa, ne abbiamo discusso, ci siamo anche un po’
accapigliati – non è necessario avere tanti comitati provinciali, 103, forse non servono i comitati regionali,
mettiamoci d’accordo, qualcosa si può semplificare senza nessun problema e senza nessuna questione di rappresentatività. Però non avere un filtro tra il cittadino
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Gian Paolo Sassi
pensionato o il lavoratore e la tecnostruttura che poi
decide i ricorsi amministrativi è una follia perché la tecnostruttura per sua natura è conservativa, tende a darsi
ragione, a non smentirsi, quindi è necessario che ci sia
un organo terzo.
In questo senso gli organismi sul territorio svolgono un
ruolo utilissimo e devono essere mantenuti a prescindere da chi governerà i futuri enti previdenziali.
Queste sono le riflessioni che volevo fare, poi per quanto riguarda l’accorpamento degli enti, consentitemi di
starne fuori, non sono io che posso esprimere un parere
tassativo su questo.
Le perplessità le abbiamo manifestate in parlamento,
che credo sia l’unica sede deputata in cui un presidente
di un istituto debba andare ad esprimere la propria opinione.
Noi ci dobbiamo anche porre il discorso della sostenibilità del sistema, perché nell’INPS rischiamo di essere
visti dalla politica, dal parlamento e dal governo come
una specie di grande contenitore in cui buttare dentro
tutto, questo è sbagliato nel momento in cui abbiamo
sempre meno personale e abbiamo le stesse risorse perché non vengono maggiorate.
Pongo una questione, l’ultima sul piano sociale che
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secondo me è delicatissima, la cessione del quinto delle
pensioni alle società finanziarie per il finanziamento del
credito al consumo, prevista da due finanziarie fa.
Ieri abbiamo avuto una lunga riunione con i miei dirigenti proprio su questa questione, è uscito che, se
vogliamo tutelare i pensionati, su questa vicenda noi ci
dobbiamo sporcare le mani, non possiamo essere semplicemente, come pretende anche il ministero del tesoro
nelle sue istruzioni quelli che ricevono in qualunque
modo forma cartacea, informatica, con piccioni viaggiatori, la notifica della cessione di un quinto di una pensione e noi essere quelli che pagano infischiandocene
delle conseguenze.
Non possiamo farlo, perché se noi dobbiamo tutelare i
nostri clienti di riferimento, che non sono le società
finanziarie, ma sono i pensionati, dobbiamo necessariamente creare, costruire un sistema di controllo e di
garanzie minimo per i nostri clienti, ma farlo ci costa un
sacco di soldi, ci costa risorse umane, ci costa spazi e
tempi che dovremmo dedicare a quello che è il nostro
lavoro, incassare i contributi e pagare prestazioni.
In realtà il legislatore, questa volta il legislatore di un
altro governo, ma vedo che le cose non cambiano, la
politica è assolutamente bipartisan in queste cose, non ci
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aveva pensato e non aveva pensato a quelle che potevano essere le conseguenze ultime di questi fatti e del fatto
che qualcuno non se ne doveva occupare.
Per cercare di tutelare i pensionati e per evitare che
finissero in finanziarie strozzine noi avevamo detto al
legislatore, all’altro: metti dei paletti alle società che
possono interloquire con i pensionati, non lasciare che
delle finanziarie che sono gestite a volte anche dalla
malavita, ci mettano le mani sopra.
Quel legislatore non ci ha pensato, devo dire che non ci
ha pensato neanche questo perché il ministero del tesoro alla fine, pur potendo dare delle indicazioni più
restrittive, consentirà a 1.700 società finanziarie iscritte
a non so quale registro, non sono un esperto in materia,
di interloquire con i pensionato e di sottoscrivere convenzioni. 1.700 soggetti sono troppi, lì c’è di tutto,
dovevano essere molto meno quelli autorizzati a fare
queste operazioni.
Facendo carico di questa questione noi investiamo soldi,
risorse e personale già scarso, su quello che non è un
nostro compito.
Quindi un invito anche al legislatore da parte mia, quando si occupa di pensioni, di pensare al contesto, cioè di
avere il quadro di insieme della situazione, di non lavo72
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Gian Paolo Sassi
rare in maniera settoriale, altrimenti saltano fuori i disastri del CUD a cui qualcuno dovrà prima o poi porre
mano, ma porre mano a quello che si è fatto in questo
paese è sempre complicatissimo.
Avevo altre questioni che volevo affrontare quale assistenza e previdenza, sono d’accordo con quanto ha detto
Larizza, lo sottoscrivo in pieno, così mischiate si prestano a speculazioni continue.
Qual è il costo reale delle pensioni in questo paese?
Non lo sa nessuno, perché noi abbiamo delle norme ibride che non consentono di scindere in maniera precisa
quello che è previdenza e quello che è assistenza, per
alcuni istituti.
È il legislatore che deve farsi carico di questo non può
essere un ente di previdenza, ogni tanto trovo un parlamentare che mi guarda con occhi supplicanti e mi dice:
per favore non potete farla voi questa scissione?
Non possiamo, deve essere il legislatore a farsene carico. Ma è importante che se ne faccia carico perché almeno la finiamo di dire che in Italia le pensioni costano più
che negli altri paesi, cosa che peraltro non è vera e noi
lo sappiamo.
Ma tra il saperlo e il dimostrarlo, c’è sempre di mezzo il
mare della speculazione che ci marcia.
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Giuseppina Santiapichi
C
ome direttore generale dell’INPDAP non posso
che affrontare in maniera sistematica o prioritaria
il ruolo che l’Istituto svolge all’interno di tutto il
panorama degli enti previdenziali.
Tutti gli interventi precedenti hanno segnalato come l’obiettivo del Governo, in ordine alla discussione sul riordino degli enti, sia sostanzialmente un obiettivo che mira
al recupero e al risparmio dei costi.
Quindi un obiettivo strettamente finanziario.
Vorrei analizzare con voi quali sono questi campi d’azione sui quali il Governo ritiene di poter incidere e che,
peraltro, non contraddistinguono soltanto l’Istituto da
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Giuseppina Santiapichi
me diretto ma sono fattor comune di tutti gli enti previdenziali coinvolti in questo processo.
Spese di funzionamento: noi non sappiamo i dati e i
numeri che ci vengono rappresentati da cosa nascono e
se siano effettivamente tali, però cominciamo a ragionare insieme.
A razionalizzare le spese di funzionamento credo ci
abbiano pensato abbondantemente tutte le finanziare
intervenute fino ad oggi e che hanno imposto necessariamente agli enti una drastica riduzione di tutti gli interventi in materia e, quindi, un’estrema razionalizzazione
dei nostri investimenti.
Dicasi altrettanto per il costo del personale. Per quanto
riguarda INPDAP, in particolare, rappresenta lo 0,59
della percentuale complessiva della spesa ed è un costo
del personale che risente fortemente del blocco delle
assunzioni per il turn over e, dunque, razionalizzato al
massimo.
Mi rifiuto in questo momento di ipotizzare che l’approccio sul personale sia di altra natura e sia indirizzato
ad un’ulteriore riduzione dello stesso.
Una via, questa, che sarebbe difficile da sostenere, sia
per effetto della molteplicità delle attività che si troverebbe a gestire il nuovo ente così accorpato, sia perché
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Il futuro degli Enti Previdenziali
Giuseppina Santiapichi
la storia ci insegna che qualunque ipotesi di accorpamento, dal punto di vista del personale, normalmente
sviluppa dei costi aggiuntivi, tendendo ad allineare la
spesa del personale nei livelli più alti.
Questo senza contare che un’operazione in tal senso
creerebbe inevitabilmente tensione all’interno di tutti i
soggetti rappresentati.
Noi, peraltro, abbiamo un terzo aspetto peculiare sul
quale potrebbe attivarsi l’azione del Governo, che è
quello del patrimonio.
È noto a tutti che siamo stati già coinvolti dai processi
di cartolarizzazione per quanto riguardava il patrimonio
a reddito.
Siamo stati coinvolti per l’aspetto del patrimonio ad uso
strumentale – ricordo l’operazione FIP, che ha coinvolto tutti i nostri enti – e, peraltro, con altre iniziative di
rilevanza e di strategia pubblica come quella dell’operazione di Patrimonio 1.
Sostanzialmente, parlo di INPDAP, l’Istituto era partito
con una proprietà di patrimonio immobiliare che superava circa il 40% di tutto il panorama degli enti pubblici, e si trova oggi a gestire sostanzialmente soltanto parti
residuali di patrimonio a reddito.
Prevalentemente ha svolto la funzione sociale, che era
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Giuseppina Santiapichi
finalizzata alla cartolarizzazione e alla dismissione ai
nostri inquilini, e si trova a gestire una parte di patrimonio con destinazione diversa dal residenziale e una parte
di patrimonio a destinazione strumentale. Situazione
pressoché analoga a quella degli altri entri.
L’INPDAP, peraltro, ha già vissuto un percorso di unificazione.
Un percorso che non è stato così tranquillo, così immediatamente felice.
Nel senso che ha prodotto i risultati nel medio periodo
ma non sicuramente nel breve periodo, perché abbiamo
unificato attività che erano diversificate ed abbiamo
avuto necessità di trasferire la formazione e la conoscenza in capo a soggetti che fino a ieri non erano depositari.
Questo probabilmente, anzi io dico sicuramente, nella
fase iniziale non ha prodotto un risultato positivo nei
confronti dei nostri iscritti e nei soggetti che noi andiamo a tutelare, perché la necessità di trasferimento di formazione ed anche di assetto organizzativo necessitata
dal nuovo Istituto ha fatto sì che venisse privilegiata la
formazione diffusa sul territorio a scapito del gradimento immediato dell’utenza.
Possiamo dire sostanzialmente che abbiamo razionaliz77
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zato il nostro intervento e lo abbiamo diffuso sul territorio, almeno per alcune attività che prima erano esclusivamente trattate e gestite all’interno della Direzione
Generale.
Questo percorso positivo per i nostri interlocutori ha
però necessitato di un tempo medio, che era assolutamente indispensabile per far sì che l’Istituto si appropriasse su tutto il territorio di tutte le competenze.
Competenze, peraltro, che si sono arricchite nel corso
del tempo, perché partendo da un’unificazione solo per
le attività esistenti abbiamo acquisito successivamente
ulteriori competenze.
Si ricordava prima la materia della cassa Stato che oggi
rappresenta una connotazione, una specificità assoluta
dell’Istituto.
Ma non tanto perché è particolare la modalità con cui
vengono gestiti i trattamenti pensionistici di questi
dipendenti, quanto perché è assolutamente particolare il
tipo di interlocutore che abbiamo – in questo caso l’amministrazione pubblica – con percorsi lavorativi, di carriera, di sviluppo, che sono oggettivamente indiscutibilmente diversi da quelli del mondo del privato.
Fatta questa breve panoramica, noi sosteniamo – perché
tutti noi ne siamo convinti – che gli enti previdenziali si
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collocano nel panorama ed hanno un ruolo che è determinato dalla forte specificità dei soggetti ai quali si
rivolgono, come per esempio il mondo del pubblico.
Non è banale dire che c’è un problema di virtualità del
TFR, c’è effettivamente un problema di disomogeneità
della contribuzione ed anche di trattamenti e, pertanto,
questo percorso che deve essere delineato è un percorso
che deve poi arrivare ad una omogeneizzazione di tutte
queste materie, per consentire che il processo di razionalizzazione degli enti sia veramente un processo ragionato e mirato.
Un processo che abbia come criterio fondamentale non
solo quello della riduzione dei costi – perché quello
potrà arrivare ed arriverà soltanto a regime – ma abbia
un aspetto che noi non dobbiamo e non possiamo permetterci di trascurare e che credo che tutti i soggetti
coinvolti in questa discussione sul riordino degli enti
abbiano a cuore, quello dell’assoluta centralità del cittadino.
Non è pensabile che si ipotizzino soluzioni di modifiche
non attentamente valutate, non attentamente ponderate e
che rischiano di creare disagio per il cittadino.
Io mi aspetto che qualunque forma o qualunque riforma
dia un valore aggiunto alle nostre prestazioni, garantisca
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un servizio migliore, risponda meglio alle esigenze e
pertanto la logica non può essere quella della immediata riduzione dei costi.
Proprio perché la centralità del cittadino è determinante.
Proprio perché è determinante il valore e la politica che
gli enti fanno e, soprattutto, gli interessi primari e
sostanziali che gestiscono gli enti nel momento in cui si
rapportano ai loro iscritti.
Sono questi interessi e diritti sostanziali che devono
essere tutelati in maniera adeguata ed in maniera opportuna.
Vorrei a questo punto fare un passaggio sullo strumento
che deve essere utilizzato per il riordino degli enti e che
non può che essere uno strumento del tipo della legge
delega.
Uno strumento con il quale tutte le parti discutono ed
approfondiscono le tematiche.
Mi preoccupa invece quel riferimento ad un semplice
strumento di regolamento, come indicato nella Finanziaria, che ovviamente non consentirebbe una ponderazione, un esame di tutte le partite in gioco e, andando ad
incidere su tematiche così importanti, lascerebbe tra
l’altro un po’ defilato anche il ruolo delle parti sociali,
che nell’ipotesi regolamentare sarebbe ridotto soltanto
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alla parte organizzativa e di gestione del personale.
Per quanto riguarda quello che dobbiamo fare, io non
amo parlare di sinergie.
Ritengo che sia un termine usato e forse anche abusato,
perché sostanzialmente si è verificato che la volontarietà delle sinergie traenti non sia stata sempre ben sentita.
Ricordo che noi, come Istituto, abbiamo già intrapreso
la strada delle sinergie attraverso il progetto del riuso dei
sistemi applicativi dell’INPS, un riuso che rientra completamente in questa visione ma che ha necessitato di
aggiustamenti legati alla tipicità dei nostri interlocutori
e delle nostre trattazioni.
Tanto è vero che nelle linee di indirizzo del CNIPA per
il prossimo triennio, si profila una forma di riuso che
non sia più un riuso necessitato, cioè riadattato alle attività dell’Istituto, ma una costruzione di applicativi che
siano immediatamente fruibili da tutti i soggetti coinvolti.
Allora quale può essere il percorso che auspichiamo,
che sosteniamo come Istituto?
Come ho già detto non voglio parlare di sinergie ma
sicuramente c’è necessità di razionalizzazione, sicuramente c’è la necessità di ammodernare il ruolo che gli
enti hanno in una società che sempre più si sta evolven81
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do da un punto di vista economico, da un punto di vista
sociale e demografico e che, peraltro, deve saper recepire tutti i segnali che ci arrivano dall’esterno.
Allora, senza ricordare tutti i punti che ha elencato in
maniera puntuale anche il collega Giorgini su ciò che è
immediatamente realizzabile come sinergie e come
razionalizzazione tra enti, voglio soltanto sottolineare la
tipicità che rappresenta l’INPDAP che, ricordo, che non
è un ente semplicemente erogatore di prestazioni ma è
una piccola-grande azienda di servizi ed è bene che questi servizi – che sono finalizzati alla tutela o per lo meno
all’ascolto e alla soddisfazione di esigenze primarie dei
nostri iscritti e che rappresentano ed investono tutto l’arco della vita del nostro iscritto – siano in qualche modo
sostenute ulteriormente.
Allora perché non pensare, se abbiamo parlato di interventi sul patrimonio ed avendo già attivato delle iniziative di fondi immobiliari, ad un apporto o ad investimenti per rispondere ad esigenze che attengono al
mondo della ricerca o dell’università?
Possiamo studiare anche lì delle forme di collaborazione, di azione comune e congiunta con gli altri enti per
fare in modo che il discorso del riordino non sia soltanto incentrato sul risparmio dei costi ma tenga conto di
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un tavolo sulla previdenza che si riapre, ed è una previdenza che non riguarda soltanto la previdenza obbligatoria.
Non dimentichiamoci infatti che c’è anche la previdenza complementare, sulla quale l’Istituto ha un’attività
istituzionale necessitata.
Occorre dunque sviluppare ulteriori collaborazioni, perché nelle politiche comuni ci sia un’attenzione comune.
Il welfare è anche questo, è anche attesa e sensibilità
nella risposta, nell’ascolto delle esigenze dei nostri
iscritti.
È trovare quindi una soluzione di intervento più moderno, perché probabilmente la società che si sta sviluppando richiede, da parte degli enti, una visione più
moderna del ruolo che gli stessi svolgono.
Per cui va benissimo il processo di razionalizzazione al
quale nessuno di noi è contrario – e sarebbe folle esserlo – si tratta però di stabilire prima su un tavolo di discussione politica l’omogeneizzazione di tutti i trattamenti, affinché poi si possa arrivare ad una previdenza
pubblica veramente ed effettivamente unita a quella privata.
Oggi ancora non è possibile. Si ragioni anche su come
potenziare l’intervento degli Istituti nella politica del
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welfare, nella politica della previdenza complementare
e come gli strumenti legislativi ad oggi esistenti consentano già da subito forme di collaborazione immediata e,
perché no, proporre anche noi, come enti e gestori del
futuro non tanto nostro quanto dei nostri iscritti, delle
soluzioni normative che sviluppino e migliorino le
nostre attività.
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Cesare Damiano
V
i ringrazio intanto per l’invito, anche se mi rendo
conto che l’argomento è abbastanza delicato e
per di più arriva in un momento altrettanto deli-
cato, quindi è più che mai giusto misurare le parole nel
trattare problemi che vanno comunque affrontati.
Dalla relazione e dagli interventi che ho ascoltato si
evince chiaramente come tante cose dovrebbero essere
migliorate.
Questi sono d’altra parte problemi non di oggi e che arrivano da lontano.
Il Presidente dell’Inps ricordava ad esempio alcune criticità molto rilevanti, anche di funzionamento. Natural85
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Cesare Damiano
mente mettere le cose subito a posto non è facile. Promettere è facile, fare è più difficile e allora cominciamo
a partire da un punto per vedere di dipanare una matassa estremamente complessa, che vedrà le parti sociali
impegnate, da qui all’estate, nell’affrontare tematiche
che vanno dallo stato sociale, alla competitività del
paese.
Arrivando subito all’argomento in discussione, penso
che la relazione di Larizza sia un importante punto di
riferimento.
Siamo infatti di fronte ad una proposta, ad un atto propositivo che per me è molto significativo.
Voi sapete che nel corso dei mesi mi sono occupato di
questo tema perché ci sono state diverse sortite, anche
sui mezzi di comunicazione, a proposito di ipotesi di
fusione degli enti previdenziali.
Circolavano anche delle ipotesi di nomi se ben ricordate.
Io avevo avuto già all’epoca un atteggiamento di prudenza, non ritenevo infatti opportuno accelerare i tempi
e, soprattutto, dare delle informazioni che fossero confuse su un argomento invece così delicato e che riguarda il sistema previdenziale e il sistema assicurativo.
Poi le cose si sono via via meglio definite e mi pare che
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Cesare Damiano
oggi la discussione comincia ad entrare su un binario
più costruttivo.
Il primo atto che ha coinvolto il Governo con CGIL,
CISL e UIL, su questo punto, è stato il memorandum
sottoscritto lo scorso autunno dove, al punto i, si indicava il riordino e il riassetto degli enti previdenziali.
Del resto questo argomento è stato successivamente
ripreso dal Presidente del Consiglio nel discorso che ha
tenuto all’apertura del tavolo della concertazione, la
questione circa il processo di unificazione degli enti previdenziali.
Di questo si sta parlando oggi ma vorrei subito chiarire
una cosa, perché ci tengo alle parole e al loro significato. Quando parliamo di unificazione degli enti previdenziali, come ho del resto sempre sostenuto e mi pare che
questo sia poi il senso della discussione che state facendo, ci teniamo tutti a distinguere con chiarezza la parte
previdenziale dalla parte assicurativa.
Questo è già un primo elemento di distinzione molto
importante.
Ripeto, io attribuisco importanza alle parole, non sono
di quelli che le usa con leggerezza, quindi il termine previdenziale ritengo che orienti, circoscriva e indirizzi già
la discussione.
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Cesare Damiano
Personalmente confermo di essere profondamente convinto della necessità di mantenere questa distinzione.
Concordo sostanzialmente con quanto detto dall’onorevole Amoruso circa il fatto che questi Enti hanno una
finalità sociale che soltanto la garanzia di una caratteristica pubblica può mantenere.
Ci sono delle esigenze di socialità e di solidarietà che
paiono alle volte non essere comprensibili se valutate
semplicemente con il parametro dei costi e dei ricavi.
Ma io credo che non tutto debba essere semplicemente
ricondotto a costo, ricavo ed equilibrio finanziario puro
e semplice.
C’è una mano dello Stato che deve intervenire, perché
una lettura prettamente economica dei processi non può
soddisfare quegli elementi di solidarietà che sono invece necessari.
Quando poi parliamo dell’aspetto assicurativo, entriamo
in un campo per alcuni aspetti esclusivo.
Noi sappiamo bene quali siano le implicazioni legate
all’ambito dell’assicurazione sul lavoro e sappiamo
altrettanto bene che cosa significa la specificità quando
parliamo di infortuni e di malattie professionali.
Parliamo di una sfera riguardo alla quale come Governo
abbiamo anche recentemente legiferato; pensate alla
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legge delega sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, legge che ritengo un piccolo passo avanti frutto di un
confronto proficuo con le parti sociali.
Proprio voi siete stati fra i protagonisti di quella discussione insieme a CISL e CGIL, e alle parti imprenditoriali.
Abbiamo avuto in questo caso anche l’avallo importantissimo delle regioni, della Conferenza Stato-Regioni,
su quell’impianto di legge delega.
Ricordo che nella passata legislatura il tentativo di portare avanti la legge delega si arenò, purtroppo, proprio
contro l’opposizione delle regioni e quindi non poté
arrivare in discussione al parlamento.
È chiaro che quando parliamo di sistema assicurativo lo
facciamo nell’ambito di una sfera che ha bisogno
anch’essa di un profondo ripensamento.
Penso ad esempio al discorso che si fa di solito per
quanto riguarda la sproporzione che esiste fra determinati premi assicurativi e l’entità degli incidenti. Si parla
dell’esigenza, che io condivido totalmente, di andare in
una direzione virtuosa.
Vale a dire, se ci sono meno incidenti, meno infortuni e
meno malattie, sarà normale pagare meno premi.
Dobbiamo invertire la tendenza piuttosto che accumula89
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re un risparmio; consentire un minor costo a condizione
che ci sia effettivamente la determinazione di un risultato che in questo caso va a vantaggio della condizione di
salute e della vita stessa dei lavoratori.
È chiaro che queste materie non possono essere mescolate ma devono essere distinte tra carattere previdenziale e carattere assicurativo.
È importante che su questi temi ci sia un indirizzo pubblico per continuare la lotta che abbiamo cominciato.
I primi risultati cominciano ad intravedersi.
Penso ad esempio all’orrenda piaga del lavoro nero, che
consiste in una grande anomalia nel sistema produttivo
di questo paese e nel mercato del lavoro, essendo un elemento di profonda distorsione che non può essere trascurato e non può essere avallato in nessun modo.
Anche perché 3,5 milioni di persone che lavorano in
nero nel nostro paese sono sicuramente un’anomalia
rispetto all’Europa ma sono anche il modo attraverso il
quale passa meno sicurezza, meno trasparenza e più
incidenti mortali che gravano poi sulle persone più
deboli e inesperte, sui giovani o sugli extracomunitari
che non hanno neanche la padronanza della lingua per
sapersi muovere o avere quel background culturale che
deriva da un’esperienza già fatta in luoghi delicati come
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possono essere un cantiere dell’edilizia o un campo
agricolo.
Sono tutte cose queste che vanno trattate con molta
attenzione, mi pare che noi ci stiamo muovendo con la
determinazione necessaria e spero si vedano anche risultati per quel che riguarda la diminuzione degli infortuni
e delle malattie professionali, altro argomento sul quale
abbiamo aperto un tavolo di discussione che deve essere attentamente trattato.
Sono risultati che potremo vedere nel lungo periodo ma
io riporto già oggi un dato dell’Inail che mi dice come,
soltanto nel settore dell’edilizia, da settembre a febbraio
e grazie alle norme che abbiamo introdotto, nelle nuove
assunzioni dell’edilizia risultano 77.000 persone sconosciute precedentemente all’istituto.
Saranno tutti nuovi assunti? Non credo.
Sono una quota rilevante di persone che emergono dal
nulla, dal nero, e che in qualche modo riconduciamo a
quell’elemento di chiarezza e di diritto al quale il sistema si deve adeguare.
L’Inps ha dichiarato che nell’edilizia da settembre a febbraio abbiamo recuperato contributi previdenziali per 33
milioni di euro.
Non è che con quella cifra abbiamo cambiato il mondo
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ma 33 milioni di euro in più pagati in termini di contributi previdenziali, nei tempi che viviamo a proposito di
risultati pensionistici, forse sono un risultato inaspettato
anche per l’Inps.
Non sto dicendo che abbiamo cambiato il mondo ma sto
dicendo che cominciamo a segnare il terreno con un’idea nuova.
Forse il tam-tam comincia a produrre qualche effetto,
forse anche tra le imprese non virtuose o che sono già al
confine con l’impresa malavitosa, visto che il confine
dal nero all’impresa malavitosa è assai labile.
Fare i conti con una capacità di governo del territorio un
po’ più efficace e con norme cogenti, comincia a produrre un qualche risultato.
Sono tutte materie estremamente delicate e sensibili,
sulle quali bisogna avere la capacità di ordinare i problemi secondo una razionalità e una precisa sensibilità
sociale.
L’iniziativa di oggi a me sembra intanto tempestiva e
anche propositiva, perché voi state intervenendo su uno
dei punti del memorandum e su uno degli argomenti
posti dallo stesso Presidente del Consiglio.
La razionalizzazione degli enti previdenziali bisogna
portarla avanti con la chiarezza necessaria.
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A questo punto non attribuirei quindi semplicemente
l’obiettivo del risparmio.
So che per quanto riguarda i costi di funzionamento di
tutti gli enti siamo nell’ordine dei 6 miliardi all’anno,
che è un dato rilevante.
Ma è anche rilevante il risultato di tutta l’azione previdenziale ed assicurativa.
Sicuramente ci sono standard di produttività che possono essere migliorati.
L’INPS, ad esempio, ha già ottenuto dei miglioramenti
importanti negli standard di produttività.
C’è quindi sicuramente un problema di risparmio ma c’è
anche un problema di tecnostruttura del welfare.
Se vogliamo avere un welfare moderno dobbiamo sapere che database in comunicazione fra enti previdenziali
e assicurativi, l’unificazione delle sedi e un funzionamento più sinergico delle singole strutture sono, non
solo un fatto necessario di risparmio, di razionalizzazione e di crescita della produttività, ma anche un modo di
servire meglio il cittadino, dal centro alla periferia, con
una presenza sul territorio più strutturata, appunto più
sinergica e più semplificata.
Credo, quindi, che intraprendere un’opera di questo
genere sia sicuramente un punto estremamente impor93
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tante anche se non certo facile. Per mia natura cerco
sempre di procedere per gradi.
Impostato un problema bisogna affrontarlo, bisogna preparare il terreno, sapere che ci sono dei tempi medi di
realizzazione e che le cose si realizzano creando le
sinergie necessarie.
Del resto di questo abbiamo discusso più volte, arrivando poi ad individuare un obiettivo che tutti vorremmo
raggiungere in tempi medi e senza strappi.
Concludo dicendo che naturalmente questo tema sta
dentro ad una discussione molto più grande com’è quella trattata dai tavoli di concertazione.
Voi sapete quanto il Governo e quanto il Ministro del
Lavoro in particolare attribuiscano importanza a questi
momenti di confronto con le parti sociali.
Posso dire, nel mio piccolo, che le cose che abbiamo
fatto e scritto in Finanziaria – per carità non tutte, non
voglio esagerare – ma le cose fondamentali che abbiamo
scritto, sono il frutto di un confronto con le parti sociali, sindacali ed imprenditoriali.
Alle volte, certamente, non c’è una totale condivisione
da parte di tutti, però, con questo modo di procedere, si
può andare verso una direzione sostanzialmente condivisa.
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Penso ad esempio alla normativa e all’avviso comune
sulla situazione dei call-center che è il frutto di una concertazione seria e proficua fra le parti sociali.
Su questa strada noi dobbiamo assolutamente continuare.
Del resto presto riprenderemo il tavolo di concertazione
che ha per oggetto i problemi delle tutele, degli ammortizzatori sociali, del mercato del lavoro e della previdenza.
Abbiamo davanti a noi dei temi estremamente importanti, anche innovativi, dei quali si è discusso per lungo
tempo senza arrivare a delle conclusioni.
Non è mia intenzione dilungarmi ma voglio semplicemente dire che, per quanto mi riguarda, ma anche per
quanto riguarda Romano Prodi, – e l’abbiamo detto con
chiarezza – un punto fondamentale è costituito da una
maggiore e più efficace tutela dell’anello debole del
mercato del lavoro.
I nostri figli, i giovani laureati, i diplomati che entrano
nel mondo del lavoro, le donne fra i 35-45 anni intrappolate nella precarietà, gli over 50, coloro che dopo i 50
anni perdono il lavoro e sono ancora troppo giovani per
collegarsi a mobilità e pensione e avanti negli anni per
avere sufficienti capacità di adeguamento e di ricolloca95
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Cesare Damiano
zione. Persone che rappresentano un anello debole del
sistema, a tutela delle quali occorre intervenire.
Come ho già detto in occasione dell’apertura del tavolo
delle tutele e del mercato del lavoro, bisogna pensare a
delle tutele per i momenti nei quali non si ha lavoro, si
è perso il lavoro, si è alla ricerca di un nuovo lavoro o si
è di passaggio fra un lavoro transitorio e un altro possibilmente più stabile.
Quelle tutele devono agire però a condizione che la persona accetti di intraprendere un percorso formativo ed
accetti il reimpiego.
Dobbiamo invece combattere atteggiamenti opportunistici.
Questi interventi chiaramente avranno un costo.
Al tavolo della concertazione dovremo quindi vedere,
nell’ambito delle risorse disponibili, quali sono le risorse che possono esservi destinate.
Ma anche questa è un’operazione che si può fare negli
anni e che in qualche modo si lega a questa capacità di
dare contorni più tutelati e sicuri alle prospettive che
offriamo ai giovani su tutto quanto riguarda il loro futuro previdenziale e il loro futuro di vita più in generale.
L’anticipo di un anno della partenza della previdenza
complementare credo sia già un fatto molto importante.
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La questione mi pare sia in cammino. C’è un grande
lavoro che va riconosciuto alle parti sociali e che coinvolge soprattutto le grandi imprese più sindacalizzate.
Abbiamo forse più difficoltà nelle imprese di minore
dimensione ma registriamo comunque già adesioni
significative.
Non abbiamo ancora i dati precisi ma, io e il dottor Scimia, abbiamo preso l’impegno di comunicarli insieme al
momento opportuno, quando avremo qualche dato più
certo oltre alle buone sensazioni che fin qui abbiamo
raccolto.
Tutto questo è anche un frutto di una forte cooperazione, in particolare con l’INPS.
Infatti, sapendo che l’Istituto manda una volta all’anno
a casa dei pensionati il riepilogo della loro situazione,
tramite questo abbiamo veicolato a 14 milioni di persone anche l’opuscolo sul trattamento di fine rapporto
redatto dal Ministero del Lavoro, dall’Inps e dalle Poste,
razionalizzando così al massimo i costi.
Sono tutte cose che credo siano importanti e dimostrano
anche una capacità di intervento molto razionale.
Sulla cessione del quinto, che è stata fortemente discussa dal Presidente Sassi, credo che un discorso sicuramente debba essere poi fatto.
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Cesare Damiano
Anche io ho la stessa preoccupazione perché, se può
essere giusto consentire tale utilizzo, non possiamo però
dimenticare chi sono i pensionati e come loro, spesso
soggetti socialmente deboli, possano in molti casi essere sospinti verso strade che non sono del tutto chiare.
È evidente che c’è una preoccupazione di cui dobbiamo
saperci far carico, anche perché quando si parla di cessione del quinto e di investimenti, il rischio di cattive
sorprese è sempre dietro l’angolo.
Quindi anche in questo caso occorre il massimo di trasparenza nella definizione del risultato e dei mezzi che
vengono utilizzati per raggiungerlo.
Mi pare che questo sia un argomento sul quale insieme
anche alle parti sociali dovremmo forse fare il punto
della situazione perché è una questione di grande rilevanza sociale.
Sempre nella presunzione di andare, un passo per volta,
nella direzione giusta.
Lo ripeto, non conosco altra strada che quella del confronto.
Non c’è alternativa al confronto con le parti sociali, alla
ricerca dell’accordo e del compromesso.
Quando un Governo procede da solo deve farlo come
ultima istanza, quando non c’è possibilità di compro98
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Cesare Damiano
messo e quando le parti sociali non riescono ad arrivare
ad un punto di equilibrio.
Ma la ricerca del punto di equilibrio deve essere costante. Per quanto mi riguarda è una sorta di segno, un DNA
che deve caratterizzare governi che abbiano la volontà
di guardare alla questione sociale come questione rilevante, e la questione sociale rilevante lo è sicuramente
per tutti noi.
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Domenico Proietti
C
on la proposta di riordino presentata oggi la UIL
dimostra ancora una volta di essere un sindacato
dalla forte vocazione propositiva.
La UIL è un sindacato veramente riformatore e, come
tale, non teme di confrontarsi con i cambiamenti e lavora affinché questi siano rivolti sempre a migliorare la
vita dei lavoratori e dei cittadini di questo paese.
Ecco perché oggi abbiamo voluto presentare una nostra
proposta organica nella discussione del riordino degli
Enti Previdenziali.
Una proposta contenuta nella relazione di Larizza che
crediamo, come hanno confermato gli interventi nel
dibattito, possa essere utile e proficua per il paese.
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Il futuro degli Enti Previdenziali
Domenico Proietti
Non un accorpamento senza senso di tutti gli Enti ma un
ragionamento più mirato che nei tempi opportuni possa
portare ad una riorganizzazione per filiere che preveda,
una volta a regime, un Ente di natura previdenziale –
che gestisca la previdenza del settore pubblico e del settore privato, dividendo nettamente al suo interno le prestazioni di carattere previdenziale da quelle di carattere
puramente assistenziale da finanziare con la fiscalità
generale – e un Ente di tipo assicurativo che salvaguardi il carattere pubblico dell’assicurazione degli infortuni sul lavoro come indice di civiltà e di protezione
del valore sociale, prima ancora che economico, del
lavoro.
Su questa proposta la UIL è pronta a confrontarsi con il
Governo con l’obiettivo di migliorare l’efficacia e l’efficienza delle prestazioni e dei servizi che gli Enti Previdenziali forniscono agli utenti.
Un obiettivo che può essere ottenuto razionalizzando il
settore senza snaturarne le finalità e, soprattutto, competenze frutto di anni di lavoro al servizio degli iscritti e
dei cittadini.
Prima di ogni intervento occorre prima di tutto valorizzare il patrimonio umano di cui questi Enti dispongono,
un patrimonio fatto di uomini e donne che quotidiana101
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Il futuro degli Enti Previdenziali
Domenico Proietti
mente lavorano in prima linea per garantire una qualità
di prestazioni e servizi in linea con la finalità sociale
degli Istituti che sono chiamati a gestire, a rappresentare e a comporre.
Il personale degli Enti, proprio per rispondere alle sfide
cui è chiamato, ha tra l’altro svolto in questi anni uno
sforzo di formazione e di riaggiornamento delle competenze e delle professionalità che va oggi salvaguardato e
valorizzato da un’attività di razionalizzazione che ne
tenga conto e che non crei confusione e malfunzionamenti che, oltre a mortificare l’opera del personale,
avrebbe ricadute sugli stessi cittadini cui gli Enti in questione si rivolgono.
Qualsiasi progetto di riorganizzazione non può in alcun
modo non tener conto di tutti questi aspetti.
L’obiettivo di conseguire risparmi, senz’altro auspicabile, è ottenibile quindi solo a seguito di quest’opera
ragionata di riordino che deve interessare anche il sistema di governance degli stessi Enti.
Sulla governance la proposta illustrata oggi da Pietro
Larizza, può rappresentare una sintesi importante tra le
diverse posizioni espresse in merito dalle altre sigle sindacali.
Il nostro contributo può quindi essere in tal modo deter102
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minante per arrivare ad una ridefinizione e riallocazione
degli assetti politico-gestionali che consenta una reale
distinzione delle responsabilità e delle competenze tra
tecnostruttura ed organo di indirizzo e vigilanza.
Un chiarimento dei ruoli che è condizione essenziale di
una gestione efficace ed efficiente degli Enti previdenziali italiani.
Le cose dette stamani dal Ministro del Lavoro sono
quindi molto importanti e credo siano un buon viatico
per iniziare un confronto su questi temi
La UIL si aspetta da tutto il Governo una politica più
attenta alle esigenze dei cittadini, in questo come in altri
ambiti.
È per questo che chiediamo all’Esecutivo di affrontare
con lo stesso spirito l’insieme dei temi legati al sistema
previdenziale.
Anche in questo campo gli interventi devono essere fatti
per migliorare la vita delle persone, non per compromettere la certezza del loro futuro.
Non si può sostenere che la revisione dei coefficienti di
trasformazione per il calcolo della prestazione pensionistica debba essere applicata in modo automatico in
quanto è prevista dalla legge Dini.
Non si fa un buon servizio alla verità quando si fanno
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simili affermazioni in quanto, se è vero che la legge Dini
prevedeva una revisione dei coefficienti ogni 10 anni,
è anche vero che quella stessa legge prevedeva la
partenza della previdenza complementare già dieci anni
fa.
Dieci anni per costruire una pensione integrativa adeguata che i lavoratori hanno perso e che nessuno potrà
loro restituire.
Per questo pensiamo che non si possa applicare la Legge
Dini a commi alterni.
La UIL propone quindi di rinviare al 2015 la verifica sui
coefficienti, per non penalizzare ulteriormente quei
lavoratori ai quali per dieci anni è stato di fatto impedito di finanziare efficacemente la previdenza complementare.
Al tempo stesso chiediamo politiche di sostegno alla
crescita e allo sviluppo del Paese, con interventi che
mirino a rendere stabile la crescita del PIL ben sopra il
2%. Una crescita sostenuta che possa risolvere i problemi dell’economia e, al tempo stesso, quelli del sistema
previdenziale italiano.
Per salvaguardare il vincolo di bilancio della spesa previdenziale si deve puntare soprattutto alla definizione di
politiche del lavoro che stimolino l’occupazione di qua104
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lità – e quindi anche una contribuzione adeguata – raggiungendo così gli obiettivi dell’agenda di Lisbona.
Questo gioverebbe all’insieme del sistema economico.
Per quanto riguarda il discorso aperto circa l’età di pensionamento, invece, la UIL continua a ritenere che
occorre far leva sulla libertà di scelta del lavoratore, prevedendo incentivi sulla prestazione pensionistica futura
che stimolino la permanenza volontaria al lavoro senza
obblighi che possono soltanto produrre ingiustizie.
Siamo convinti che questa sia la strada giusta e molti
dati sono a confermarlo.
Già oggi l’età media nella quale le persone vanno effettivamente in pensione è superiore ai 60 anni e i dati dell’Inps prevedono per il 2007 un calo significativo, del
21,6%, delle uscite dal lavoro anticipate rispetto all’età
di vecchiaia.
Questo a conferma che quella flessibilità prevista tra
l’altro proprio dalla legge Dini è lo strumento più efficace per elevare l’età pensionabile senza strappi.
Dai dati di previsione Inps, secondo i quali le pensioni
di anzianità passeranno dalle 205.675 del 2006 alle
161.306 del 2007, risulta come la tendenza a rimanere al
lavoro sia in sensibile aumento tra i lavoratori dipendenti a fronte, invece, di un evidente calo delle richieste
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di pensionamento di anzianità.
Non solo, ma l’Inps stessa evidenza come l’incidenza
della spesa pensionistica sul PIL sia in costante calo,
sconfessando gli allarmismi e confermando, ancora
una volta, la sostenibilità del sistema previdenziale italiano.
È per questo che chiediamo che il confronto sia impostato sui dati reali e non su previsioni astratte.
Le nostre proposte trovano fondamento in quei dati e
sono orientate ad un’azione riformatrice vera, al servizio del paese e della sua gente.
Si deve quindi puntare ad una crescita stabile e sostenuta, stimolando i consumi con la difesa del potere d’acquisto di salari e pensioni e promovendo politiche che
stimolino l’innovazione e gli investimenti.
La UIL è infatti fermamente convinta dell’assoluta
necessità di una più equa distribuzione della ricchezza
del Paese.
Una ricchezza più equamente ed efficacemente diffusa è
una condizione indispensabile per sostenere la crescita e
lo sviluppo.
Per questo, in merito alla discussione su come utilizzare
le risorse del cosiddetto tesoretto, chiediamo che queste
siano indirizzate ad adeguare i salari dei lavoratori, i
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loro rinnovi contrattuali e a rivalutare le pensioni maturate da contribuzione.
Questo per la UIL è un punto dirimente e il suo accoglimento condizionerà tutto il nostro giudizio sul confronto in corso con il Governo.
Distribuire e diffondere le risorse non è una richiesta
corporativa ma significa dare nuova linfa al Paese e
respiro all’economia, attivando un circolo virtuoso di
ripresa dei consumi, degli investimenti e di fiducia nel
futuro che giova, oltre che ai lavoratori, all’intero sistema economico.
Di questo, come UIL, siamo fermamente convinti e
chiediamo anche alle rappresentanze datoriali di fare
politiche in questa direzione, valutando i benefici che
anche per le stesse imprese scaturiscono da una redistribuzione più equa delle ricchezze a disposizione.
A questo proposito mi viene in mente il testo di una vecchia canzone di Gorny Kramer dal titolo “Crapa Pelada”:
“Crapa Pelada la fa i turtei,/ che ne dà minga ai so fradei./ I so fradei fan la fritada./
Che ne dan minga a Crapa Pelada.”
Ecco, noi vorremmo che Crapa Pelada capisse l’importanza di condividere i tortei con i fradei e i fradei, al
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tempo stesso, comprendessero l’importanza di condividere la fritada con Crapa Pelada.
Questa è la nostra visione di come dovrebbero essere i
rapporti economici in una società complessa come quella italiana.
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Pietro Larizza
Presidente dell’Istituto per le Riforme delle Istituzioni
Sociali
Piero Giorgini
Direttore Generale INAIL
Francesco Lotito
Presidente CIV INPS
Francesco Maria Amoruso
Gian Paolo Sassi
Presidente INPS
Giuseppina Santiapichi
Direttore Generale INPDAP
Cesare Damiano
Ministro del Lavoro
Domenico Proietti
Segretario Confederale UIL.
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IL SINDACATO DEI CITTADINI
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