UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE”
FACOLTA’ D I SCIENZE POLITICHE
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE INTERNAZIONALI E DIPLOMATICHE
TESI DI LAUREA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI
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DA GSPC AD AQIM
“Branding” DELL’ESTREMISMO SALAFITA ALGERINO
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Relatore:
Prof. Fabio Petito
Correlatore:
Prof. Franco Mazzei
_______________________________________
Tesi di laurea di:
Mauro Lovecchio
_____________________________
A.A. 2007 / 2008
INDICE
Indice ....................................................................................................................................... i
Indice delle figure................................................................................................................... iii
Ringraziamenti ........................................................................................................................iv
Introduzione............................................................................................................................vi
Introduzione .............................................................................................................. 7
Capitolo 1: Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?....................................................13
1.1 Introduzione al concetto di Jihād...................................................................14
1.2 Le origini del Jihād............................................................................................15
1.3 Jihād e Guerra “Santa”........................................................................................17
1.4 La teoria contemporanea del Jihād ................................................................19
1.5 Jihād globale.......................................................................................................25
1.6 Morire per vincere: Jihād e martirio ..............................................................27
1.7 Conclusioni........................................................................................................30
Capitolo 2: Al-Qāʿida ...........................................................................................................32
2.1 Introduzione......................................................................................................33
2.2 La nascita di Al-Qāʿida....................................................................................33
2.3 La strategia di Al-Qāʿida..................................................................................36
2.4 9/11: Il “giro di boa” del Governo americano...........................................40
2.5 Conclusioni........................................................................................................42
Capitolo 3: Il Decennio Nero in Algeria...........................................................................44
3.1 Introduzione......................................................................................................45
3.2 Il Decennio Nero .............................................................................................46
3.3 Liberalizzazioni, preludio alla guerra.............................................................48
3.4 Il colpo di stato .................................................................................................50
3.5 Fallimento dei negoziati e lotte interne ........................................................54
3.6 Emersione delle milizie....................................................................................58
3.7 Massacri e riconciliazione................................................................................60
3.8 Il cambio della guardia tra GIA e GSPC......................................................63
3.9 Conclusioni........................................................................................................66
Capitolo 4: GSPC, Il Modus Operandi .................................................................................68
4.1 Introduzione......................................................................................................69
4.2 Finanziamento...................................................................................................71
4.3 Reclutamento ....................................................................................................73
4.4 Tipologia degli attacchi....................................................................................78
4.5 Collegamenti con altri gruppi radicali...........................................................80
4.6 Le iniziative internazionali ..............................................................................82
4.7 Conclusioni........................................................................................................86
Conclusioni.............................................................................................................................88
i
Conclusioni ..............................................................................................................89
Appendice...............................................................................................................................91
Cartografia ..............................................................................................................................92
Glossario.................................................................................................................................97
Biliografia..............................................................................................................................102
ii
INDICE DELLE FIGURE
Figura 1 – Stragi con più di 50 vittime tra il 1997 e il 1998.............................................................. 62
Figura 2 – Screenshot del video di propaganda virtuale (YouTube.com)..................................... 77
Figura 3 - Screenshot del video di propaganda virtuale (YouTube.com)...................................... 77
Figura 4 - Screenshot del video di propaganda virtuale (YouTube.com)...................................... 77
Figura 5 - Potenziale esplosivo VBIED (U.S. Bureau of Alcohol, Tobacco,
Firearms and Explosives) ......................................................................................................... 79
Figura 6 - Mappa del Pan Sahel Initiative (Globalsecurity.org)....................................................... 83
Figura 7 Mappa PSI e TSCTI (Globalsecurity.org) ........................................................................... 84
Figura 8 - Carta geografica dell'Algeria (Algerian Ministry of Energy and Mining)..................... 93
Figura 9 - Mappa degli Idrocarburi (Algerian Ministry of Energy and Mining)........................... 94
Figura 10 - Rete degli Oleodotti (Sonatrach) ...................................................................................... 95
Figura 11 - Mappa delle Concessioni Petrolifere (Sonatrach).......................................................... 96
iii
RINGRAZIAMENTI
Adesso che l’ultimo carattere delle conclusioni è stato battuto, è arrivato il
momento di fermarsi un attimo e rilassarsi dopo mesi di lavoro. Ancora non ho
pienamente realizzato che il frutto di mesi di ricerca e anni di studio sta per
vedere la luce racchiuso da una brossura blu, più che conclusione di un percorso
di crescita, inizio di un nuovo cammino verso un futuro che starà a me costruire
come meglio saprò fare.
Ritengo doveroso ringraziare chi, in tutti questi anni, mi ha accompagnato
lungo il cammino che si concluderà tra qualche giorno.
Il mio primo ringraziamento va ai miei genitori e alle mie nonne che in tutti
questi anni mi hanno supportato e appoggiato in tutte le avventure che mi hanno
portato ad essere quello che sono diventato. Mi hanno trasmesso quel
“nomadismo” che dall’età di undici anni mi ha permesso di confrontarmi con
mondi e culture diversi stimolando continuamente la mia curiosità e
infondendomi il coraggio necessario a compiere scelte inusuali e spesso radicali.
Un grazie speciale alla mia C.d.V. e a Enrica, da sempre al mio fianco più
sorelle acquisite che amiche, e a Claudio, amico riscoperto, che con il suo genio
informatico ha risolto non pochi problemi “tecnici” semplificandomi la scrittura
della tesi.
Un grazie va anche a Urka e al suo equipaggio, che negli ultimi mesi mi ha
fatto dimenticare per qualche ora a settimana le pagine che ancora avevo da
scrivere. Buon vento ragazzi!
Un saluto a tutti quegli amici, conquistati nelle mie avventure in giro per il
mondo, con cui si tenta di vedersi il più spesso possibile. Ai magnifici quattro Ex-
iv
Hamburger, Bea e la piccola Arianna, Åsa e Maria; al trio romano, Francesca e
Eleonora e a tutti gli altri amici sparsi per il mondo.
Ancora, ringrazio il Dr. Sač per la sua costante presenza, per il suo unico e
prezioso contributo nel mettere ordine al materiale ricercato e per i suoi
interventi, spesso graffianti.
Un ringraziamento particolare va ancora al personale del quartier generale
della NATO di Bruxelles, del NATO Office of Security, Policy Oversight Branch
e Security Intelligence Branch. È dal lavoro con loro che è scaturita l’idea per la
mia ricerca ed è a loro che devo gran parte del materiale.
Grazie anche al Professor Petito per la fiducia che ha voluto accordarmi sin
dalla mia prima proposta per l’argomento di tesi, ma soprattutto per la gentilezza
e disponibilità con cui ha saputo seguirmi in questi mesi di lavoro. In lui ho visto
lo spirito che ogni studente vorrebbe trovare in un docente.
E per finire, l’augurio a mio fratello Luca, a che possa concludere al più
presto anche lui il suo percorso di studio e essere orgoglioso di ciò che saprà
costruire.
v
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
1
Jihād: Guerra Santa o
impegno virtuoso?
‹‹ Chi parla in maniera rispettosa
ma incrementa i suoi preparativi
si predispone all’attacco.
Chi parla con spirito bellicoso
e avanza rapidamente
si prepara a una ritirata. ››
(“Arte della guerra” Sun Tzu)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
7
Introduzione
INTRODUZIONE
Sin dagli esordi della mia carriera universitaria ho subito il fascino delle
culture mediorientali e arabe più in generale. Un richiamo che, unito allo studio
della lingua, mi ha portato a viaggiare negli anni successivi in diversi Paesi arabi,
per studio, lavoro o semplicemente per diletto e curiosità, dandomi la possibilità
di confrontarmi con realtà da molti considerate aliene ai modi di vita della cultura
occidentale.
In un mondo sempre più interconnesso, sempre più simile ad un “alveare”
con i suoi canali di comunicazione in tempo reale, si rischia che per ignoranza,
disinteresse o semplice superficialità questi canali subiscano delle interruzioni con
conseguenze potenzialmente imprevedibili che, rimanendo nella metafora,
potrebbero portare ad una “sindrome del collasso dell’alveare”; un fenomeno che porta
“società” complesse come quelle delle api ad una rapida e inesorabile
autodistruzione.
Ritornando ad un contesto più congeniale allo studio delle Relazioni
Internazionali, la fine della Guerra Fredda ha messo in crisi il sistema delle
relazioni tra Stati rompendo il preesistente equilibrio bipolare USA - URSS. Il
crollo dell’Unione Sovietica ha creato un vuoto di potere che gli Stati Uniti non
sono stati in grado di colmare con il loro ruolo di sola potenza egemonica.
Questo vacuum ha permesso il proliferare di una costellazione di “competitors” che
in modo sempre più esplicito hanno lanciato la loro sfida alla supremazia degli
Stati Uniti e dei suoi alleati.
Gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 negli USA, dell’ 11 marzo 2004 a
Madrid e del 7 luglio 2005 a Londra hanno segnato il guanto della sfida lanciato
contro i simboli della vecchia egemonia di potere da parte di un’entità che di
questi simboli ha mutuato la struttura transnazionale e “cellulare”. Una sorta di
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
8
Introduzione
“franchising del terrore”, come verrebbe definito in Occidente, che ha fatto delle
multinazionali, simbolo dell’economia capitalista, un modello strutturale da far
proprio. Al-Qāʿida è diventato un “marchio”, un “brand” non diverso da altri
marchi come la Coca Cola o McDonalds, che hanno fatto la storia dell’economia
mondiale del ‘900. E come ogni marchio che si rispetti anche Al-Qāʿida ha
puntato sul “marketing”. Proprio come una multinazionale, dopo qualche “saggio
di mercato” nella seconda metà degli anni ’90, Al-Qāʿida ha conquistato la sua
“quota di mercato” con un vero e proprio “lancio pubblicitario” su scala
mondiale in quella tragica mattina dell’11 settembre. Da quel momento non passa
giorno senza che si parli di “terrorismo” nei media di tutto il mondo.
Lo scopo che mi prefiggo in questo lavoro è quello di seguire l’evoluzione
di una branca locale di questo sistema di “franchising” dalle sue origini di entità
territoriale fino all’acquisizione del marchio che gli ha permesso di entrare a pieno
titolo nella “galassia Al-Qāʿida”: il Gruppo Salafita per la Predicazione e il
Combattimento operante nella regione del Sahel.
La scelta di prendere in esame questa particolare area della “costellazione”
facente capo ad Al-Qāʿida è stata dettata da due fattori principali. L’interesse da
parte delle autorità italiane preposte alla sicurezza; il Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento risulta particolarmente attivo in Europa, e in
primo luogo in Francia e Italia, per via di una prossimità geografica e culturale che
ha permesso al GSPC di utilizzare i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo come
basi logistiche.
In secondo luogo per la quantità di materiale in mio possesso a seguito
dell’esperienza di stage presso il NATO Office of Secutiry a Bruxelles dove ho
lavorato a stretto contatto con la Terrorist Threat Intelligence Unit (TTIU) della
Security and Intelligence Branch (SIB) e con la Policy Oversight Branch (POB).
Durante i miei mesi di lavoro al Quartier Generale della NATO ho avuto modo
di avere accesso a materiale “classificato” e “open-source” per la redazione di report
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
9
Introduzione
utilizzati qui, con l’esclusione del materiale riservato, come base empirica per le
mie ricerche.
L’analisi partirà dallo studio del “concetto di Jihād” e del ruolo svolto da
Al-Qā’ida quale attore non statale nel contesto globale. Quest’analisi costituirà un
“framework” utile alla comprensione delle dinamiche di azione dei gruppi islamisti
esaminati e del linguaggio impiegato dalla propaganda, molto spesso poco
accurata dal punto di vista storico o della stessa interpretazione dei testi sacri.
Lo studio proseguirà indagando la nascita e la crescita dei movimenti
islamici salafiti in Algeria e nell’area del Sahel. Dalla guerra civile algerina, il
cosiddetto “Decennio Nero”, alla creazione del Gruppo Islamico Armato (GIA).
Seguirò la crescita e il declino del GIA e la nascita dalle sue ceneri del Gruppo
Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) arrivando fino ai più
recenti sviluppi e all’acquisizione del “marchio” Al-Qāʿida con il significativo
mutamento della denominazione in Al-Qāʿida nel Maghreb Islamico (AQIM). Il
cambio di nome da GSPC ad AQIM, come si vedrà non puro elemento lessicale,
ha significato di una profonda mutazione nel modus operandi dell’organizzazione e
ha portato il conflitto con le autorità statali ad un livello più alto, adottando
metodologie di combattimento proprie dell’organizzazione di Osāma Bin Lāden.
A partire dal 2003, almeno secondo l’opinione dei media occidentali, lo
“spettro del terrorismo islamico” sarebbe risorto in Algeria. Durante il Decennio
Nero iniziato nel 1991 con il colpo di stato militare e la lunga guerra civile che ne
è seguita, questo “spettro” è stato incarnato principalmente dal Gruppo Islamico
Armato (GIA). Dopo l’elezione alla Presidenza della Repubblica nell’aprile 1999
di Abdelaziz Bouteflika, promotore ufficiale della “concordia civile”, il GIA è
praticamente scomparso. La violenza condotta “in nome dell’Islam” è continuata
ad un livello più basso ed è pressoché scomparsa dalla stampa americana e
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
10
Introduzione
europea, fino alla rottura nel marzo del 2003.1 Da quel momento il Gruppo
Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), è divenuto una sorta di
citazione obbligata per la stampa occidentale nella pagina del “terrorismo
maghrebino”, fino ad essere presentato come una seria minaccia per la sicurezza
europea (ed essenzialmente francese, inglese e italiana) nel contesto di un’Europa
sconvolta dagli attentati di Madrid dell’11 marzo 2004 e di Londra del 7 luglio
2005. Una minaccia confermata dallo stesso GSPC che ha dato ufficialmente il
via a un processo di “internazionalizzazione” nel settembre del 2006, culminato
nel gennaio del 2007 con la nuova denominazione di Al-Qāʿida nel Maghreb
Islamico.
Nella parte dedicata all’analisi dei gruppi integralisti salafiti tenterò di
analizzarne i percorsi di crescita e di metamorfosi. L’indagine verte su quelle che
sono state le cause interne ed esterne che hanno portato alla formazione dei
gruppi armati di matrice religiosa basandomi su una letteratura di più ampio
respiro sul fenomeno dell’estremismo islamico su scala mondiale.
L’analisi dei gruppi salafiti algerini, inoltre, si inserisce nella discussione più
generale sul concetto di jihād e sulla sua evoluzione alla luce della “frattura”
costituita dai fatti dell’11 settembre. Mi soffermerò sugli aspetti più prettamente
sociologici dei fenomeni legati all’estremismo islamico sia nei paesi di origine che
in Occidente esaminando il complicato rapporto tra il cosiddetto “Islam
moderato” e le sue frange più oltranziste e le problematiche relative al momento
in cui si crea un contatto con l’Occidente.
Il capitolo conclusivo è dedicato ad una analisi più “tecnica” del Gruppo
Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) in cui verrà esaminata
l’evoluzione negli anni del modus operandi in relazione con i mutamenti del
contesto politico e sociale algerino e con i cambi di leadership all’interno
1
(Gèze e Mellah 2007)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
11
Introduzione
dell’organizzazione. In questa sezione privilegerò un approccio tematico
nell’esame degli aspetti strutturali dell’organizzazione. Analizzerò l’evoluzione
delle forme di finanziamento e i contatti con organizzazioni esterne per
l’approvvigionamento di armamenti e per il flusso di capitali; studierò le
metodologie impiegate per il reclutamento e l’evoluzione delle tecniche di
propaganda legate alla differenziazione del targhet da raggiungere. Un aspetto
significativo dell’evoluzione delle organizzazioni salafite in Algeria è la scelta degli
obiettivi da colpire e le metodologie utilizzate per gli attacchi. Si vedrà come
all’utilizzo di tattiche proprie della guerriglia nella prima fase, si sostituiranno
quelle proprie della strategia del terrore di Al-Qāʿida in concomitanza con il
cambio di leadership e di denominazione. L’impiego di autobomba (VBIED2) e
di attentatori suicidi, fino a non molto tempo fa sconosciuti in questa regione, ha
rimpiazzato le imboscate contro le pattuglie dell’esercito governativo, portando il
conflitto ad un livello differente, coinvolgendo la popolazione civile e gli interessi
occidentali nella regione secondo le linee guida tracciate dalla leadership di AlQāʿida.
Verranno esaminate, inoltre, le risposte del governo algerino e degli altri
Paesi occidentali alla formazione dei movimenti salafiti. Seguirò i flussi di
finanziamenti e di approvvigionamenti di equipaggiamento dall’Occidente al
Governo algerino per la lotta ai gruppi armati e il modo in cui questi sono
collegati con gli interessi occidentali nella regione. Parte della letteratura
sull’argomento concorda nel sostenere che, nell’arco dei prossimi dieci anni, il
continente africano diventerà, dopo il Medioriente, la seconda fonte di petrolio e
probabilmente di gas naturale degli Stati Uniti3. Due percorsi strategici sono al
centro del pensiero militare americano: a ovest, l’oleodotto Chad-Camerun e, ad
est, l’oleodotto Higleig – Port Sudan. Si parla anche del progetto di un oleodotto
che collegherebbe il Chad al Sudan.
2
Vehicle Born Improvised Explosive Device
3
Vedi cartografia degli idrocarburi allegata. Fonte Algerian Ministry of Energy and Mining e Sonatrach.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
12
Introduzione
L’analisi seguirà un percorso temporale mettendo in parallelo l’ammontare
dei finanziamenti e i progetti di cooperazione internazionale da una parte e le
trasformazioni dei rapporti di forze nella sfera politica algerina dall’altra, sulla base
dei risultati delle consultazioni elettorali e della posizione più o meno filo
occidentale dei governi in carica. Analizzerò la tesi di Françoise Gèze e Salima
Mellah4 che vuole il GSPC come una creatura dei Servizi di Sicurezza algerini nel
contesto della lotta intestina in Algeria tra Mohammed Tewfik Mediene (capo del
DRS5, dal 1990) e il Presidente Bouteflika. Questi presupposti, secondo Gèze e
Mellah, avrebbero giustificato un incremento negli attacchi del GSPC al fine di
destabilizzare i rapporti con gli USA per ostacolarne lo sfruttamento dei
giacimenti di idrocarburi nella regione6.
Bari, 15 ottobre 2008
4
(Gèze e Mellah 2007)
5
Servizi Segreti algerini.
6
(Mellah, Le mouvement islamiste algérien entre autonomie et manipulation 2004)
CAPITOLO 1: JIHĀD: GUERRA SANTA O IMPEGNO VIRTUOSO?
CAPITOLO
1
Jihād: Guerra Santa o
impegno virtuoso?
‹‹Finché il colore della pelle di un uomo non avrà più valore del colore dei suoi occhi;
finché i diritti umani fondamentali non saranno ugualmente garantiti a tutti,
senza distinzione di razza;
fino a quel giorno, il sogno di una pace duratura,
la cittadinanza del mondo e le regole della morale internazionale
resteranno solo una fuggevole illusione,
perseguita e mai conseguita. ››
(Haile Selassie I,“Discorso alle Nazioni Unite”, New York, 4 ottobre 1963)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
14
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
1.1 INTRODUZIONE AL CONCETTO DI JIHĀD
Sarebbe impensabile un’analisi dei gruppi islamici radicali senza aver prima
fatto un doveroso approfondimento del concetto di Jihād. Lo studio del
significato del termine Jihād si rende necessario per l’uso, e molto spesso l’abuso,
che di questo ne fanno i “leader” dei movimenti islamisti. È per tanto utile capire
quando questo termine nasce e quale accezione ha assunto nel corso degli anni
fino ad arrivare al prevalere del significato di “Guerra Santa” impiegato oggi nella
maggior parte delle traduzioni.
È necessario sfatare il falso mito che vede associato il Jihād esclusivamente
al concetto di “Guerra Santa”, ricollegandolo al suo significato principale di
<<sforzo di condurre una vita virtuosa, di rendere la società più morale e più
giusta, di diffondere l’islam mediante la preghiera e l’insegnamento>> (Esposito
1992). Occorre sottolineare che sin dal primo periodo, il concetto di Jihād nella
sua accezione spirituale fu, per il singolo musulmano, della massima importanza.
Furono individuati due tipi di Jihād, il grande Jihād (al-Jihād al-akbar) e il piccolo
Jihād (al-Jihād al-asghar). <<Il grande Jihād è la lotta che l’uomo deve combattere
contro la propria bassezza, ed è, in realtà, più meritorio della lotta militare contro
gli infedeli>> (Hillenbrand 2000).
Nel suo significato più generale, Jihād significa battaglia contro il male e
Satana; autodisciplina, con cui i credenti cercano di attuare la volontà di Allah, di
diventare musulmani migliori. È la lotta dell’intera vita per essere virtuosi, per
attenersi fedelmente alla retta via divina. Questo è il modo principale con cui il
musulmano osservante testimonia la verità del primo pilastro dell’islam nella sua
vita quotidiana. (Esposito 1992).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
15
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
1.2 LE ORIGINI DEL JIHĀD
Il Jihād non è una semplice parola ma, per usare la definizione di Tottoli, un
capitolo sostanzioso tra le concezioni islamiche e un concetto dal percorso
storico complesso (Cook 2007). Per via dell’abuso che di questo termine si è fatto
negli ultimi anni, molti autori musulmani contemporanei, consapevoli delle
connotazioni negative assunte da “Jihād” nelle lingue occidentali, ribadiscono che
l’interpretazione corretta deve essere esclusivamente quella “neutra” di
<<sforzo>>.
L’islam non iniziò con la violenza. Iniziò, invece, con la proclamazione
pacifica dell’assoluta unicità di Dio da parte del profeta Muhammad in una Mecca
dominata dai politeisti nel 610 d.C. circa. Negli anni successivi, il Profeta e i suoi
seguaci furono oggetto di forti persecuzioni da parte dell’élite dominante dei
Qurayshiti. Da qui ebbe inizio la storia musulmana, con l’hijra, ossia l’emigrazione
del Profeta a Medina.
È in questo contesto che nasce anche il Jihād, la cui accezione era una via di
mezzo tra proselitismo e scorreria armata7; fondamentale per la nascita delle
prime comunità musulmane.
La componente della giustizia nel Jihād è però ben evidente nel Corano che
ne sottolinea la sua essenzialità.
È dato permesso di combattere a coloro che combattono perché sono stati oggetto
di tirannia. Di certo [Allah] è ben presente a soccorrerli; cioè a coloro che sono stati
scacciati dalla loro patria ingiustamente, soltanto perché dicevano: <<Il nostro Signore è
Allah!>>. E certo se dio non respingesse alcuni uomini per mezzo di altri, sarebbero ora
distrutti monasteri e sinagoghe, oratori e templi, nei quali si menziona il nome di Allah di
7
Molti tra i primi biografi del Profeta Muhammad hanno denominato <<al-maghazi>>, ossia
<<incursioni>> i capitoli delle loro opere dedicati alla narrazione degli ultimi dieci anni della sua vita. Tra
questi Al-Waqidi e Ibn Hisham.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
16
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
frequente. Orbene, Allah soccorrerà per certo chi soccorre Lui. In verità Allah è potente e
possente. (Cor. 22:39-40)
Da questi versetti emerge senza dubbio l’accento posto sul basilare
elemento di giustizia insito nel Jihād
Anche nella Sura 9, denominata al-Tawba (Pentimento) è affrontato il tema
del Jihād. In questa Sura è contenuta l’illustrazione del patto tra dio e musulmani
che contribuisce a definire il Jihād con un linguaggio spesso ricorrente nel corano.
Questo patto è espresso in termini contrattuali e presenta un chiaro scambio.
Allah ha comprato dai credenti le loro persone e i loro averi pagandoli con i giardini
del Paradiso: essi combattono sulla via di Allah, uccidono e sono uccisi. Allah l’ha
promesso, con promessa solenne e obbligante, nella Torah, nel Vangelo e nel Corano, e
chi, più di Allah [è] fedele ai patti? Rallegratevi, dunque, per il contratto di vendita che
avete stipulato. Questo è il successo supremo. (Cor. 9:III)
Dalla lettura della Sura 9, emerge quindi come un obiettivo del Jihād sia
quello di conquistare e dominare i non musulmani. Leggendola attentamente e
tenendo presente che fu rivelata, probabilmente, verso la fine della vita di
Muhammad, pochi anni prima delle conquiste, si spiega l’aggressività dei primi
musulmani (Cook 2007).
I precetti del Corano in merito al Jihād sono particolarmente bellicosi e
articolati, ma anche scarsamente esaustivi. Molti hadith8 e larga parte della
giurisprudenza successiva sono stati dedicati alla definizione del Jihād. Dal
Corano emerge unicamente una giustificazione ben articolata della guerra contro i
nemici dell’islam e una trattazione dettagliata delle questioni relative ai prigionieri
e al destino e alla ricompensa dei <<martiri>>. Questi precetti hanno costituito
la base religiosa per le conquiste musulmane del VII e dell’VIII secolo.
8
Vedi glossario.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
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Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
1.3 JIHĀD E GUERRA “SANTA”
Anche nella sua accezione di “Guerra Santa”, il Jihād non può ignorare
delle regole che derivano dall’interpretazione dei testi sacri di riferimento. Il Jihād
prevede, infatti, di essere dichiarato in maniera formale unitamente alle sue cause;
l’annuncio delle condizioni che, qualora soddisfatte, lo prevengono; l’attenzione ai
non combattenti e ai loro avversari; il rispetto del nemico caduto; restrizioni sul
tipo di guerra consentita (Cook 2007). Tali argomenti sono regolarmente trattati,
in modo assai articolato, nella letteratura giuridica e religiosa in cui si propugna il
Jihād e se ne discute il significato. Il Jihād, di conseguenza, non può essere
legittimamente condotto in assenza di una pronuncia di un’autorità riconosciuta9.
I primi passi verso una codificazione del Jihād furono mossi all’inizio del IX
secolo da parte di giuristi musulmani che iniziarono a codificare il coacervo di
hadíth traendone un corpus giuridico di una certa coerenza, la sharī'a o <<diritto
divino>>. In realtà la sharī'a non arrivò mai ad essere un corpus legislativo
unificato, ma restò la somma di tutte le analisi e dei commentari forniti dai
giuristi. Si arrivò comunque ad una migliore e più puntuale definizione del Jihād
nelle parti rimaste lacunose dall’interpretazione del Corano o dalla lettura degli
hadíth. Emerge chiaramente l’intenzione dei giuristi dell’islam di definire la guerra,
alla stregua degli altri rapporti sociali. In questo modo il Jihād è definito e regolato
in una procedura di tipo legale.
Sarà nel XVII e XIX secolo che si avranno i primi casi di ricorso intensivo
al Jihād in risposta, ma non solo, alla dominazione da parte di potenze occidentali
su aree precedentemente sotto l’influenza della Mezzaluna.
9
I musulmani radicali respingono queste critiche.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
18
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
Prima dei Jihād contro gli occidentali, si verificarono dei casi di Jihād per
“purificare” altri musulmani. Il movimento più radicale di Jihād contro
musulmani fu, probabilmente, quello di Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab della
fine del ‘700. I principî ispiratori di al-Wahhab divennero i cardini dell’islam di
stato in Arabia Saudita e sono alla base oggi del movimento radicale wahhabita.
Agli inizi del XIX secolo, i Wahhabiti lanciarono la loro offensiva contro gli altri
musulmani nella penisola araba occupando e distruggendo Kerbala10. In seguito
avanzarono verso le altre città sante dell’islam, Mecca e Medina finchè non
vennero sconfitti da Ibrahim Pascià, figlio del sovrano d’Egitto, incaricato
dall’Impero Ottomano di difendere i luoghi sacri11.
Diversamente da quanto accadeva nella penisola arabica, la zona tra
Marocco e Algeria, tagliata dalla catena montuosa dell’Atlante, vide una forma di
Jihād difensivo. In queste terre, spagnoli e portoghesi, sull’onda della reconquista, si
spinsero fin nel nord africa conquistandone le principali città portuali. Con la
battuta d’arresto del 1578, data della sconfitta portoghese a Wadi al-Makhazim,
dove perse la vita lo stesso re del Portogallo, iniziò una controffensiva da parte
della dinastia regnante del Marocco, per mezzo di incursioni contro il naviglio da
trasporto europeo12.
Un altro esempio di Jihād difensivo nella regione, fu quello mosso da ‘Abd
al-Qadir, amir ereditario di Mascara13, contro l’occupazione francese degli anni
trenta del XIX secolo. La campagna militare francese durò dal 1832 al 1847 e non
fu facile per i francesi ottenere il controllo della regione e furono notevoli li sforzi
diplomatici, oltre che bellici, per raggiungere la vittoria14. ‘Abd al-Qadir, infatti,
10
Città santa degli Sciiti dove nel 680 era stato assassinato al-Husayn, nipode del Profeta.
11
Cfr. (Cook 2007)
12
Cfr. (De Bakker s.d.)
13
Città a Sud-Est di Algeri.
14
Cfr. (Bennison 2002)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
19
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
concepiva la guerra contro i francesi, non solo come mezzo per la liberazione, ma
anche come strumento per l’educazione del suo popolo alla disciplina e contro i
costumi dell’invasore. Per al-Qadir, il Jihād doveva differenziarsi, per la virtù e per
la correttezza, da una guerra volta a ottenere la vittoria a qualsiasi costo.
1.4 LA TEORIA CONTEMPORANEA DEL JIHĀD
Nel primo ventennio del XX secolo, la maggior parte del mondo
musulmano era governata, direttamente o indirettamente dagli europei. Tutte le
forme di opposizione o di ribellione all’occupazione coloniale erano state
debellate e non esisteva più un Califfo che potesse autorizzare i musulmani
sunniti a proclamare il Jihād15.
Questa condizione di assoggettamento creò un profondo disorientamento
nella comunità musulmana16, spesso in posizione di minoranza all’interno dei loro
stessi Paesi, dove cristiani ed ebrei assumevano la gestione del potere.
Senza più l’autorità per proclamare il Jihād e con la Sharī'ah non più fonte
del diritto, si rendeva necessaria una ridefinizione del concetto di Jihād stesso.
La prima risposta arrivò dall’Egitto, dove il conservatore Rashid Rida
espose il suo concetto di Jihād dalle pagine del giornale <<al-Manar>> nel 1913.
Il significato corrente di Jihād, ossia <<difesa>>, non è appropriato; né lo è la
suddivisione del Jihād in una parte offensiva e in una difensiva […]. Se <<difensivo>>
fosse il significato corretto, e quindi tale da richiedere che il nemico entri in azione per
primo, allora come potremmo dire che i persiani e i bizantini siano entrati in conflitto con
Muhammad e i suoi Compagni, quand’erano nel Higiaz, ragion per cui furono costretti a
ricacciarli ai confini con la Cina, a est, e in Africa a ovest?
15
(Cook 2007)
16
Secondo alcuni dettami, l’islam esige che i musulmani siano al governo del mondo per portare la “verità”.
(Friedmann 1979)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
20
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
Si resta sconcertati da coloro che considerano gli europei, con la loro occupazione
di terre dell’islam, l’imprigionamento dei suoi uomini, l’umiliazione delle sue donne e lo
sterminio dei suoi figli per il minimo beneficio economico che può venire loro, senza
ragione alcuna, persone civili e persino religiose, e non prendono in considerazione di
colpire con la spada o la scelta, offerta alla persona che ha un credo religioso, tra islam e
raggiungimento della sua eterna felicità da parte dei suoi discendenti, o accettazione di una
piccolissima jizya mantenendo i diritti umani tra la sua progenie come un diritto religioso
islamico17.
La domanda che si pone Rida è la seguente; come è possibile interpretare in
modo esclusivamente difensivo il Jihād, se questo affonda le sue origini nelle
prime conquiste che hanno portato all’emergere della comunità musulmana?
La posizione di Rida è particolarmente interessante in quanto evidenzia un
quesito che pone l’accento su una questione generalmente sottaciuta
dall’intellighenzia di lingua araba; la questione dell’imperialismo musulmano delle
origini, vista come concausa delle difficili relazioni con l’occidente.
La risposta che Rashid Rida evidenzia il ruolo fondamentale giocato dal
contesto storico del Profeta Muhammad, in cui la guerra era considerata la
normalità. Un contesto in cui l’islam non aveva alternative per offrire la sua
<<verità>> al mondo se non quella di imporla con la spada.
Usarono [i musulmani] la forza solo quando si trovarono in difficoltà o quando era
assolutamente necessario, poiché volevano offrire l’islam ai popoli, e se questi accettavano,
sarebbero stati assimilati, e se rifiutavano, allora [i musulmani] prelevavano una piccola jizya18
contro di loro […] e lasciavano loro la libertà personale, la proprietà, la loro religione che [ai
musulmani] non era richiesto di giudicare tra loro19.
In definitiva, in Rida prevale l’aspetto spirituale del Jihād, inteso come
proclamazione della <<verità>> e, anche nei casi in cui viene necessariamente
considerato come <<guerra>>, deve rispettare l’accezione di guerra puramente
17
(Rida 1970)
18
“Tributo”
19
(Rida 1970)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
21
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
difensiva. Questa interpretazione ha trovato diversi pareri critici, primi fra tutti
quelli dei Fratelli Musulmani.
Le posizioni di Hasan al-Banna’, fondatore nel 1928 dei Fratelli Musulmani,
coinvolgono una visione del Jihād in chiave strettamente difensiva come emerge
dal suo libretto, ricco di citazioni coraniche a supporto delle sue teorie. Il punto
centrale della sua tesi ruota intorno alla risposta che lui da al quesito <<Per che
cosa combattono i musulmani?>>.
Dio ha obbligato i musulmani al Jihād né come strumento di aggressione, né come
veicolo dei loro desideri personali, bensì per proteggere la proclamazione [dell’islam], come
garanzia di pace, e come strumento per realizzare la grande missione del cui fardello si
sono fatti carico i musulmani; ossia la missione di guidare il popolo alla verità e alla
giustizia. L’islam, proprio nel momento in cui combattere è reso obbligatorio, celebra la
pace: <<se [i nemici di Allah] preferiscono la pace, anche tu preferiscila, e confida in
dio>>(Cor. 8:61)20.
Al-Banna’ non vuole che i musulmani evitino di combattere semplicemente
perché si tratta di combattere; li invita, invece, ad appurare le ragioni del
combattimento stesso. Si preoccupa, inoltre, di evitare che i musulmani evitino di
desiderare l’altro mondo per paura della morte e perché sedotti dagli agi della vita
del
mondo
moderno21.
Tematica
questa
ricorrente
nella
propaganda
contemporanea per l’indottrinamento dei potenziali shahīd.
Con l’assassinio di Al-Banna’, il ruolo di ideologo del movimento dei
Fratelli Musulmani passò a Sayyid Qutb22. La permanenza in carcere fu
20
(Al-Banna' 1984)
21
Cfr. (Cook 2007)
22
Cresciuto in Egitto, in un ambiente laico e moderato, radicalizzò il suo pensiero politico a seguito di un
soggiorno di due anni negli Stati Uniti, dove si scontrò con la società consumistica e capitalista. Pochi anni
dopo il suo ritorno in patria fu arrestato dal regime di Nasser. Dopo la scarcerazione e un breve periodo di
libertà, venne nuovamente arrestato con l’accusa pretestuosa di aver attentato alla vita di Nasser e
condannato a morte.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
22
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
l’esperienza che forgiò la sua ideologia radicale. È in prigione che scrisse le sue
opere più importanti, divenute in seguito un riferimento per l’islam radicale. Sarà
proprio la pubblicazione di <<Ma’alim fi al-tariq>> (<<Pietre miliari sulla via>>)
a costargli il secondo arresto e la condanna a morte.
Le dure persecuzioni portarono Qutb su posizioni vicine alle
problematiche del mondo musulmano, spingendolo a teorizzare la necessità che i
musulmani, chiaramente in posizione di minoranza, si impegnassero per la
ricostruzione di una società musulmana. È in Ma’alim fi al-tariq che indica il
bisogno di combattere la Jāhiliyya 23, l’ignoranza. Preliminare a questa rinascita è la
liberazione dell’islam da costumi che distolgono l’attenzione del popolo dalla
“verità, attraverso un ritorno a quella che lui chiama <<prima generazione
coranica>>, ossia la prima generazione di musulmani che conobbe
esclusivamente il corano24.
In questa sua dissertazione sulla lotta alla Jāhiliyya trova spazio vitale una
teorizzazione sul Jihād visto come un programma progressivo che passa da uno
stadio all’altro in maniera razionale. Nella progressione delle prescrizioni sul Jihād
derivata dal Corano, esiste uno sviluppo logico che va dalla proclamazione
pacifica alla guerra su scala limitata, per vendicare i torti subiti dai musulmani, allo
stadio finale della guerra illimitata (Cook 2007).
Il Jihād è necessario per la proclamazione, poiché i suoi obiettivi sono annunciare la
liberazione dell’uomo in modo che affronti la realtà presente con strumenti equipollenti in
ogni aspetto, e non basta una proclamazione di carattere ipotetico o teorico, siano le terre
islamiche sicure o minacciate dai popoli limitrofi. […] Il Jihād islamico è una realtà a sé e
non ha alcuna relazione con la guerra moderna; né per le motivazioni né per la
23
Vedi glossario.
24
Cfr. (Cook 2007)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
23
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
conduzione. Le motivazioni del Jihād islamico affondano le radici nell’essenza stessa
dell’islam, nel suo vero ruolo nel mondo e negli altissimi principi che Allah gli ha dettato. 25
Il Jihād diviene quindi lo strumento cardine della proclamazione della
“verità” da parte dell’islam. Sulla base di questo principio, Qutb avvalora la teoria
che il Jihād possa essere proclamato liberamente in quelle parti del mondo ove
manchi un’autorità religiosa di riferimento. Teoria questa che collide con gli
aspetti tradizionali del Jihād. Secondo Qutb, infatti:
È diritto dell’islam fare il primo passo, perché l’islam non è la fede di un singolo
gruppo, né il sistema di uno Stato, ma il modo di operare per distruggere gli impedimenti,
siano sistemi o situazioni contingenti, che sottraggono alla persona la libertà di scelta. Non
attacca gli individui per costringerli ad abbracciare il suo credo; attacca sistemi e situazioni
per liberare gli individui dalle false influenze che corrompono la natura innata dell’uomo e
impediscono la libertà di scelta.26
Per Qutb, l’islam è una dichiarazione generale di libertà del genere umano.
Ne deriva quindi che il Jihād, per sua stessa natura, deve avere dimensione
mondiale ed essere aggressivo. In assenza di Jihād, infatti, le istituzioni di questo
mondo, negherebbero all’umanità il diritto di effettuare la scelta di seguire il
cammino segnato da Allah27.
Con riferimento al Jihād interiore o <<grande Jihād>>, Qutb ne apprezza
la levatura morale, ma lo ritiene insostituibile al Jihād combattente in quanto ne
impoverirebbe il significato, privandolo di quella militanza che ne è parte
fondamentale.
Con <<Ma’alim fi al-tariq>> Qutb piantò i semi per l’islam radicale
destinato a diffondersi nel mondo musulmano negli anni a venire, soprattutto
25
Sayyid Qutb, Ma'alim fi al tariq, a cura di Badrul S. Hasan (Karachi: International Islamic Publishers, 1981).
26
(Qutb 1981)
27
Cfr. (Cook 2007)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
24
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
negli anni ’80 e ’90, aiutato dal fallimento delle istituzioni dei Paesi arabi e della
percezione del fallimento dei leader islamici nel confronto con Israele. Momento
decisivo per la rinascita dei movimenti radicali, infatti, fu la sconfitta del fronte
arabo nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, che vide frustrata la speranza degli
arabi di una rottura con il passato e di un futuro di modernità; speranza cavalcata
dai regimi socialisti e laici del tempo. La prima conseguenza di questa delusione fu
l’assassinio del presidente egiziano Anwar al-Sadat da parte di un gruppo radicale
egiziano, capeggiato da Khalid al-Istambuli, il 6 ottobre 1981. Sadat fu accusato di
aver tradito la causa musulmana in seguito ai negoziati di pace del 1977-79 con
Menachem Begin. Questa accusa fu formalizzata in un documento, trovato dalla
polizia egiziana dopo l’assassinio, intitolato <<Al-Farida al-gha’iba>> (<<Il
dovere trascurato>>).
Gli studiosi che più di recente si sono interessati al fenomeno del Jihād
tendono a distinguerlo nelle due categorie già descritte di Jihād difensivo e Jihād
combattente. Muhammad Sa’id al-Buti, docente presso l’Università di Damasco,
ha privilegiato l’analisi della prima tipologia, pur non negando l’esistenza di un
Jihād combattente.
È diventato assiomatico che la responsabilità di sorvegliare e difendere questi due
patrimoni [territorio e società islamica] non può essere assolta dal Jihād pacifico con la
parola o da’wa. È un compito che può essere svolto unicamente ricacciando gli aggressori,
respingendoli e impedendo qualsiasi danno possano arrecare (Al-Buti 1997).
Al-Buti si schiera in modo fortemente critico nei confronti delle teorie di
Qutb che prevedevano la liceità del Jihād nei confronti di un regime politico.
Questa visione tollerante e difensiva del Jihād suscitò non poche critiche. I
musulmani radicali non condividevano l’opinione di Al-Burti secondo cui il Jihād
può essere lanciato unicamente per far fronte ad un’aggressione. Secondo Al-
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
25
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
Ghunaymi, critico di Al-Buti, i musulmani non combattono per respingere
un’aggressione, ma per porre fine alla miscredenza28.
L’opera sul Jihād di maggior rilievo scritta negli anni ’90, è il libro in tre
tomi di Muhammad Khayr Haykal, intitolato <<Al-Jihād wal-qital fi al-siyasa alshara’iyya>>29 (<<Jihād e combattimento secondo la politica della legge
rivelata>>). Nella sua opera Haykal prende in esame argomenti generalmente
tralasciati dalla dottrina sul Jihād, come ad esempio la possibilità delle donne di
partecipare al Jihād combattente; alla liceità, secondo l’islam, di ricorrere all’uso di
armi di distruzione di massa o all’ammissibilità della resa di un esercito
musulmano. Haykal affronta anche questioni da sempre problematiche all’interno
del dibattito sul Jihād, come ad esempio la possibilità di dichiarare il Jihād contro
un governante musulmano ingiusto, sostenendone la liceità30.
L’esame del Jihād da parte di Haykal si rivela essere estremamente
pragmatico e le sue dottrine basilari possono essere riassunte dicendo che il Jihād
è una forma di guerra regolamentata in cui le regole variano a seconda delle
contingenti esigenze della comunità musulmana.
1.5 JIHĀD GLOBALE
Il primo studioso contemporaneo a teorizzare un Jihād globale fu il
palestinese ‘Abdallah ‘Azzam in relazione al movimento nazionalista palestinese.
Azzam proponeva di combattere contro Israele in nome dell’islam e non
esclusivamente per la nazione palestinese. Le sue teorie non furono
28
Cfr. 'Abd Al-Akhir Hammad Al-Ghunaymi, Waqafat ma' al-Duktur al-Buti fi kitabihi 'an al-Jihad (Bayrut:
Dar al-Barayiq, 1999).
29
Muhammad Khayr Haykal, Al-Jihad wa-l-qital fi al-siyasa al-shara'iyya (Bayrut: Dar al-Barayiq, 1993).
30
Cfr. (Cook 2007)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
26
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
particolarmente apprezzate nella Palestina degli anni ’70 dove le varie componenti
dell’OLP erano schierate su posizioni laiche e di sinistra.
La sua teoria di un Jihād globale iniziò a prendere piede dopo il 1979
quando, durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan, si trasferì a Peshawar
(Pakistan) per reclutare volontari contro l’Armata Rossa. Per la prima volta
musulmani di tutto il mondo si riunirono sotto la bandiera dell’islam senza
differenza di nazionalità o di dottrina. I campi di battaglia afgani furono
l’incubatrice sociale e religiosa dell’islam radicale globale in quanto misero in
contatto e amalgamarono una vasta gamma di militanti su posizioni radicali
formatisi nei movimenti di resistenza e di opposizione ai regimi politici (Cook
2007).
‘Azzam mette direttamente in pratica quanto teorizzato, elevandosi ad
esempio virtuoso per il mondo musulmano come uomo che vive per l’islam e per
il Jihād. Nel suo più noto appello alla battaglia <<Ilhaq bi-l-qafila>> (<<Unisciti
alla carovana>>), invita i musulmani di tutto il mondo ad unirsi ai combattimenti
per respingere gli infedeli in Afghanistan e a proseguire nella lotta finché
Afghanistan e Palestina non fossero stati liberati dagli occupanti non musulmani.
Nel suo progetto, l’Afghanistan era un campo di addestramento dove formare i
mujāhidīn che avrebbero poi potuto combattere Israele per la liberazione della
Palestina31. Per ‘Azzam, il Jihād è un dovere al pari dei cinque pilastri dell’islam32 e
31
32
Cfr. Abdallah 'Azzam, 'Ibar wa-basa'ir li-l-jihad fi al-'asr al-hadir (Peshawar: s.e., 1986).
“I cinque pilastri dell'Islam” (Arkàn al-Islàm) è l'espressione usata per indicare i cinque obblighi
fondamentali di ogni musulmano, uomo o donna, in base alla legge religiosa (Shari'a) che il musulmano
devoto è tenuto a osservare, ritenendoli atti essenziali per compiacere Dio (Allah) che li ha ordinati. Tali
obblighi sono: La testimonianza di fede (Shahada); le preghiere rituali (Salāt o Namaaz); l'elemosina canonica
(Zakat); il digiuno durante il mese di Ramadan (Sawm o Siyam) e il pellegrinaggio alla Mecca (Hajj).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
27
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
il musulmano che non dovesse parteciparvi cadrebbe automaticamente nel
peccato.
Ritengo che ogni musulmano sulla Terra sia responsabile dell’abbandono del Jihād
e colpevole del peccato di abbandonare il fucile. Qualsiasi musulmano che muore senza il
fucile in mano compare al cospetto di Allah con il peccato di aver abbandonato il
combattimento. Il Jihād è obbligatorio per ogni musulmano sulla terra salvo per chi ne sia
esentato [ciechi, malati terminali, vittime dell’oppressione, impossibilitati a raggiungere il
campo di battaglia] e, per definizione, un atto obbligatori è un atto che comporta
ricompensa o punizione33.
La posizione di ‘Azzam rivoluziona totalmente la dottrina precedente
equiparando il musulmano che si astenga dal Jihād ad un peccatore.
1.6 MORIRE PER VINCERE: JIHĀD E MARTIRIO
La parola “martire”, in arabo shahīd, significa “testimone”. Il martirio ha la
stessa radice di “Shahada”, richiamata dalla professione di fede musulmana;
“Testimonio che non vi è altro dio all’infuori di Allah. Testimonio che
Muhammad è il suo profeta.”. Quando viene invocato il Jihād per spingere i
musulmani a prendere parte in guerre contro gli infedeli, la sua principale
motivazione è la credenza che chiunque sia ucciso sul campo di battaglia, lo shahīd
appunto, andrà direttamente in Paradiso34.
Il “martirio” è un fenomeno relativamente recente in seno all’islam sunnita,
tanto che lo stesso Haykal, nella sua opera sul Jihād del 199335 no ne fa alcun
33
Cfr. Abdallah 'Azzam, «The Will of 'Abdallah Yusuf 'Azzam, Who is Poor unto His Lord,»
www.alribat.com, 20 04 1986, http://www.alribat.com (consultato il giorno 09 27, 2001).
34
Cft. John L. Esposito, Guerra santa? Il terrore nel nome dell'Islam (Milano: Vita e Pensiero, 2004).
35
Muhammad Khayr Haykal, Al-Jihad wa-l-qital fi al-siyasa al-shara'iyya (Bayrut: Dar al-Barayiq, 1993).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
28
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
accenno. Nello sciismo, invece, il sacrificio era accettato come mezzo per
propagandare gli insegnamenti dei maestri.
Il Corano proibisce il suicidio (Cor. 2:195; 4:29) e anche per questo i paesi
islamici registrano tra i tassi di suicidio più bassi al mondo. I musulmani radicali
contemporanei cercano di farne passare il ricorso come un’operazione di
combattimento. Secondo uno scritto del Council of Scholars from the Arabian
Peninsula,
le operazioni di martirio o sacrificio di sé sono effettuate da una o più persone
contro nemici enormemente superiori per numero e armamento; costoro sono consapevoli
che l’operazione comporterà quasi inevitabilmente la morte.
D’altro canto, secondo Cook, definire le “operazioni martirio” come
“operazioni suicide” è fuori luogo. La differenza tra chi commette suicidio, per
infelicità, debolezza o mancanza di fede e colui che sacrifica se stesso in
un’operazione guidata dalla forza della fede e dalla convinzione per la vittoria
della causa è enorme (Cook 2007).
Per uno studio del fenomeno del martirio, è necessario partire dal Jihād a
cui l’estremo sacrificio è strettamente collegato anche se, come già detto, questo
concetto non è presente nella letteratura classica. Il versetto 2:207 del Corano,
estrapolato dal suo contesto dove contrappone il vero credente all’ipocrita, è
spesso utilizzato come fondamento giustificativo per le operazioni di martirio.
Ma c’è anche, tra gli uomini, chi si sacrifica bramoso del compiacimento di Allah, e
Allah è dolce con i suoi servitori (Cor. 2:207).
Letto isolatamente, il versetto sembra riferirsi al desiderio del fedele di
immolarsi per la gloria di Allah in attesa di una ricompensa futura.
Un altro versetto che sembra far riferimento al martirio è il 2:96.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
29
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
Invero vedrai che sono i perversi i più attaccati alla vita, persino più di coloro che
associano altri dèi ad Allah. Ciascuno di costoro desidera vivere mille anni. Una lunga vita
che, comunque, non li sottrarrà al castigo.
Per i musulmani emergerebbe, come priorità, la gloria di Allah rispetto alla
vita terrena a cui tanto sono attaccati i non musulmani. In quest’ottica i
musulmani, secondo l’islam radicale, saranno vittoriosi grazie alla loro
determinazione e all’aiuto di Allah, secondo la parabola di Davide e Golia.36
Grazie alla risonanza di cui beneficiano e alla forte carica emotiva che le
accompagna, le operazioni di martirio sono diventate un amplificatore della
propaganda dell’islam radicale, consentendo un’ampia diffusione dei suoi precetti
e minando la credibilità dei teorici della dottrina classica che spesso si sono dovuti
piegare avallandone il ricorso.
Un’altra critica rivolta dai teorici classici alle operazioni di martirio riguarda
gli obiettivi degli attacchi, che coinvolgono quasi sempre civili inermi, in piena
contraddizione con i dettami del Corano. Attaccare i civili è un problema spinoso
per la legge religiosa musulmana, ma Al-Qāʿida e altre organizzazioni radicali
hanno scavalcato queste obiezioni. Le operazioni di martirio, proprio per la loro
natura, possono avere utilità solo se condotte contro la popolazione civile. Le
installazioni militari, infatti, sono generalmente protette contro questo tipo di
attacchi e non consentirebbero di raggiungere un livello di terrore sufficiente 37.
36
<<Quanti piccoli eserciti non han vinto un esercito numeroso, con il permesso di Allah! Allah è con chi
persevera.>> (Cor. 2:249)
37
Cfr. Cook 2007
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
30
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
1.7 CONCLUSIONI
Dal materiale esaminato è apparso chiaramente come l’assimilazione del
Jihād all’interno del concetto di “Guerra Santa” praticata dai gruppi islamici
radicali, sia priva di qualunque fondamento coranico e risulta essere
esclusivamente un escamotage per legittimare il proprio ruolo e per garantire
visibilità al proprio “marchio”.
Le diverse interpretazioni del Jihād nel corso dei secoli evidenziano una
deriva radicalizzante nelle relazioni tra il mondo musulmano e l’Occidente. Si è
passati da una lettura in chiave filosofica del Jihād, visto come sforzo virtuoso, ad
una visione militaristica di annientamento reciproco. Questa trasformazione è
dovuta, in gran parte, al deteriorarsi delle relazioni tra Oriente e Occidente e al
formarsi di un sentimento di revànche all’interno della comunità islamica cavalcato
dai movimenti radicali. La sensazione, sempre più presente nel mondo
musulmano, di essere soggetti al dominio imperialista dell’“alleanza ebreocristiana”, creata e alimentata ad arte da gruppi fondamentalisti sulla base delle
pessime condizioni di vita che affliggono gran parte della popolazione dei Paesi
arabi, ha contribuito al prosperare di teorie del Jihād in chiave difensiva. Il Jihād è
visto da masse di disperati, come l’unica possibilità di combattere la loro
condizione. In un contesto di totale abbandono da parte dei governi e delle
istituzioni, anche l’estremo sacrificio del martirio viene visto come una possibilità
di affrancarsi dallo status di reietti in cui si è confinati e di conquistare per se e per
la propria famiglia una condizione di maggiore rispetto. In quest’ottica, il Jihād
viene “venduto” dall’estremismo islamico come produit miraculeux per guarire tutti
i mali della umma.
Il timore delle autorità occidentali preposte alla sicurezza, è che questo
nuovo modello di “eroe” negativo “pubblicizzato” dai gruppi islamici radicali,
conquisti “quote di mercato” all’interno delle periferie degradate delle città
europee dove condizioni economiche, alti livelli di immigrazione accompagnati da
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
31
Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso?
scarsi livelli di integrazione e una presenza dello Stato quasi inesistente, possono
costituire un humus fertile per la proliferazione del fondamentalismo. Le prime
avvisaglie del diffondersi di questo fenomeno si sono già avute con l’aumento, tra
le fila di Al-Qāʿida, di combattenti reclutati tra cittadini Occidentali, di sangue
arabo alla seconda generazione.
CAPITOLO 2: AL-QĀʿIDA
CAPITOLO
2
Al-Qāʿida
‹‹E così Shéhérazade entrò al cospetto del sovrano,
noto a tutti per la sua ferocia e la sua potenza.
Molti erano i nemici
che avevano trovato la morte per sua mano
e molte le persone giudicate infide
che avevano perso atrocemente la vita.
Ella era sola, disarmata,
ormai sicura che nemmeno il suo fascino
avrebbe potuto piegare la dura volontà del re.
A lungo studiò in attento silenzio il temuto avversario,
poi scoccò la sua prima parola.
Instancabile arciera
continuò a saettare il cuore e la mente del re,
finché non tolse la mano dalla spada,
scese la pace e si riconciliarono.››
(“Le mille e una notte”)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
33
Al-Qāʿida
2.1 INTRODUZIONE
Al fine di inquadrare il percorso evolutivo dei movimenti salafiti algerini,
oggetto di questa tesi, è necessario tracciare una sintetica cornice descrittiva della
rete globale di Al-Qāʿida in cui questi movimenti hanno finito per confluire in
una sorta di “franchising” del radicalismo islamico.
In
questo
capitolo
è
stata
seguita
la
nascita
e
l’evoluzione
dell’organizzazione di Osāma Bin Lāden dai primi tentativi di costituire un
movimento che riunisse sotto di se le varie anime dell’islam radicale, fino alla sua
affermazione internazionale come attore non statale. Sono stati analizzati gli
intrecci e le relazioni che legano i conflitti a sfondo etnico e religioso dello scorso
decennio, dalla prima guerra del Golfo al conflitto nei Balcani all’incremento di
popolarità delle teorie islamiche radicali come contrapposizione alle politiche
occidentali e alle accuse di collaborazionismo di molti governi arabi.
Un elemento di non secondaria importanza è l’analisi delle strategie
impiegate da Al-Qāʿida nel conflitto contro il “nemico occidentale” per la
“pubblicizzazione” del “prodotto Jihād” già discusso nel capitolo precedente. Si
vedrà come il ruolo di Bin Lāden non sia quello di impartire ordini alle branche
locali dell’organizzazione, ma semplicemente quello di indirizzare le politiche e di
fornire le linee guida per l’operato delle singole unità regionali e, ad azione
avvenuta, quello di “legittimarla” con la concessione del suo “brand”.
2.2 LA NASCITA DI AL-QĀʿIDA
Osāma Bin Lāden rappresenta senza dubbio la figura che meglio
impersona l’idea di islam radicale globale del XX secolo. Nato a Riyad nel 1957 da
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
34
Al-Qāʿida
una famiglia di origine yemenita, ha studiato con ‘Azzam e ha combattuto contro
le truppe sovietiche in Afghanistan. Nei primi anni novanta tentò invano di
unificare i combattenti mujāhidīn sotto una bandiera unificata con la sigla di AlQāʿidat al-Jihād (“la base del Jihād”). Così come non andò a buon fine il suo
tentativo, negli anni della guerra del Golfo, di trascinare il governo saudita su
posizioni più radicali. La numerosissima famiglia Bin Lāden ha avuto da sempre
strettissimi legami con la famiglia reale saudita e quando l’Iraq invase il Kuwait
nell’agosto del 1990, Bin Lāden scrisse al re Fahd, offrendo di portare i mujāhidīn
arabi afghani in Arabia Saudita per difendere il Regno. Il silenzio assordante
proveniente dal palazzo fu invece infranto dalla notizia che le forze americane
avrebbero costituito la difesa del Regno. L’ingresso e lo stanziamento di truppe
straniere non musulmane sul suolo sacro dell’islam, avrebbe detto Bin Lāden,
trasformò completamente la sua vita, portandolo alla rottura definitiva con il
governo saudita e con l’Occidente38. La reazione dei sauditi fu quella di imporre
notevoli restrizioni alla sua libertà di movimento finché, nell’aprile del 1991, fuggì
in Afghanistan attraverso il Pakistan.
Nel 1992 Bin Lāden lasciò un Afghanistan divorato dai conflitti interetnici
e si trasferì in Sudan, controllato dal generale ‘Umar Bashir, dove fornì asilo e
assistenza ai reduci dell’Afghanistan. Dopo sei anni fu però espulso dal regime di
Bashir e tornò in Afghanistan per dedicarsi interamente alla costituzione di un
regime totalmente incentrato sull’interpretazione radicale dell’islam. Il suo più
grande successo di quegli anni fu la trasformazione del movimento egiziano alJamā'a al-Islāmiyya39 da movimento antigovernativo a parte integrante dell’islam
radicale globale. La decisione di al-Jamā'a al-Islāmiyya di confluire in Al-Qāʿida fu
38
Cfr. John L. Esposito, Guerra santa? Il terrore nel nome dell'Islam (Milano: Vita e Pensiero, 2004).
39
Il gruppo è accusato di aver organizzato l’attentato del 1981 in cui morì il presidente egiziano Sadat.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
35
Al-Qāʿida
probabilmente dettata dal risultato inatteso degli attentati del 199540 che finirono
per allontanare la popolazione egiziana dalla causa dell’islam radicale costringendo
il leader Al-Zawahiri a prese di posizione contrastanti rispetto alla strategia del
terrore adottata fino a quel momento. Al-Zawahiri scriverà in seguito che la
topografia egiziana era inadatta alla guerriglia, senza spiegare come mai al-Jamā'a
al-Islāmiyya non fosse riuscita a conquistare il sostegno popolare (Cook 2007).
Un altro terreno di coltura importante per Al-Qāʿida fu quello della guerra
nella ex Jugoslavia negli anni tra il 1992 e il 1995. Numerosi ex mujāhidīn
confluirono in Bosnia per difendere i musulmani dagli stermini sistematici
perpetrati dall’esercito serbo, molto spesso sotto gli occhi della comunità
internazionale. Con gli accordi di Dayton del 1995 e la cessazione delle ostilità,
numerosi ex combattenti tra le fila bosniache furono espulsi e gran parte di loro
presero la via della Cecenia dove dal 1994 erano iniziate le schermaglie tra gli
indipendentisti e l’esercito russo. Il conflitto attirò numerosi combattenti stranieri.
Musulmani radicali affluirono dalla Bosnia, dall’Arabia Saudita e da altri Paesi del
mondo islamico; tuttavia la popolazione locale rimase sempre molto fredda nei
confronti della visione radicale dell’islam promossa dai combattenti41.
Contemporaneamente l’Afghanistan continuava ad essere il catalizzatore
dell’islam radicale globale ed è in Afghanistan che Bin Lāden cercò di sfruttare al
massimo il sentimento di unità musulmana sviluppatosi durante i vari conflitti.
Nel 1994, nella regione di Kandahar, nasce il movimento dei taliban42 che in pochi
anni riesce ad estendere il proprio controllo sull’intero Paese. I primi taliban erano
giovani orfani di guerra istruiti nelle scuole coraniche sotto la guida del Mullah
40
Tra gli attentati vanno ricordati il tentato assassinio del presidente Mubarak del 12 giugno 1995, l’attacco ad
un autobus di turisti che provocò la morte di 30 cittadini greci e l’uccisione di cinquantotto turisti europei
sulla spianata antistante al Tempio della Regina Hatchepsut a Luxor il 17 novembre 1997.
41
Cfr. Tracey German, Russia's Chechen War (New York: Routledge, 2003).
42
“studenti delle scienze islamiche”.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
36
Al-Qāʿida
‘Umar Muhammad Mujahid43. Memori del supporto ricevuto da Bin Lāden
contro l’invasione sovietica, lo ospitarono dopo la sua espulsione dal Sudan,
finendo per confluire nella sua organizzazione: Al-Qāʿida, “la base”.
2.3 LA STRATEGIA DI AL-QĀʿIDA
Forte dell’esperienza fallimentare di gruppi radicali come al-Jamā'a alIslāmiyya o il GIA algerino che a causa di una politica stragista avevano perso il
consenso delle masse popolari, Al-Qāʿida, pur provenendo dalla stessa radice
ideologica, si è impegnata nell’evitare di versare indiscriminatamente sangue
musulmano, concentrandosi su una distinzione tra <<veri>> e <<falsi>>
musulmani. Distinzione che verte prevalentemente sulla volontà di aderire o
meno al Jihād (Cook 2007).
La Weltanshauung offerta da Al-Qāʿida è quella di un profondo
esclusivismo, di un “noi e loro”, radicata in un’ideologia dalle connotazioni
religiose, nella convinzione di essere gli unici in possesso della <<verità>>.
L’impronta del “takfir”44 è al centro di questa visione, che non lascia spazio alla
possibilità di un negoziato. L’organizzazione non sembra essere strutturata in
un’ala politica e una militare come avviene in organizzazioni analoghe quali ad
esempio Ḥizbollāh o l’IRA irlandese, bensì su ali operative a livelli differenti di
decision-making, senza un contatto esplicito con il mondo esterno. La loro
partecipazione alla società reale è pressoché inesistente, almeno sul piano ufficiale.
Sarà improbabile vedere membri di Al-Qāʿida candidati a partecipare ad elezioni
43
Autoproclamatosi nel 1996 amir al-mu’minin, “comandante dei credenti”; titolo spettante ai califfi.
44
È l’equivalente della scomunica cattolica; si considera “infedele” un individuo o un gruppo
precedentemente considerato musulmano.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
37
Al-Qāʿida
come invece avviene in altri contesti analoghi45. Questa dedizione assoluta allo
scontro con “l’altro” e un’identità non basata sullo Stato nazione ma generata da
una “umma” senza confini, sono alla base di un’ideologia che non ammette la
possibilità di una coesistenza tra l’islam è l’Occidente e persegue l’ideale di un
califfato mondiale dei credenti non frammentato dalle divisioni nazionali, in uno
scontro perpetuo contro gli infedeli.
In un certo senso, Bin Lāden e Al-Qāʿida segnano uno spartiacque per
l’attuale radicalismo islamico. Per quanto nel passato l’Ayatollah Komeini e altri
importanti leader islamici attivisti avessero incitato a una grande rivoluzione
islamica, sia violenta sia non violenta, l’attenzione e l’impatto dei movimenti più
estremisti dal Nord Africa al Sud-Est asiatico sono stati limitati a livello locale o
regionale. Osāma Bin Lāden e Al-Qāʿida hanno compiuto il passo successivo: il
Jihād internazionale, che non solo è dichiarato contro i governi occidentali, ma
accusa di collaborazionismo alcuni regimi troppo vicini all’Occidente46. Fa
dell’America e delle istituzioni dell’Occidente il suo obiettivo primario, ma non
tralascia di compiere azioni di guerriglia contro il governo, come nel caso
dell’Algeria, o contro le truppe d’occupazione come nel caso dell’Iraq e
dell’Afghanistan.
A partire dal 1998, con gli attacchi alle ambasciate statunitensi in Kenya e
Tanzania, Al-Qāʿida lancia la sua offensiva transnazionale contro “l’alleanza
ebraico-cristiana”. Ma qual’era l’obiettivo di questa strategia? Cosa poteva
ottenere un’organizzazione transnazionale, priva di una base sociale e di una
reputazione come Ḥamās o Ḥizbollāh? Secondo Francesco Marelli47, l’obiettivo
45
Cfr. Giandomenico Pico in F. Cappè, F. Marelli e A. Zappalà, , La minaccia del terrorismo e le risposte
dell'antiterrorismo, a cura di F. Cappè, F. Marelli e A. Zappalà (Milano: Franco Angeli, 2006).
46 Cfr. John L. Esposito, Guerra santa? Il terrore nel nome dell'Islam (Milano: Vita e Pensiero, 2004).
47 In F. Cappè, F. Marelli e A. Zappalà, , La minaccia del terrorismo e le risposte dell'antiterrorismo, a cura di
F. Cappè, F. Marelli e A. Zappalà (Milano: Franco Angeli, 2006).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
38
Al-Qāʿida
di Al-Qāʿida era quello di radicalizzare il conflitto fino all’estremo in modo da
costringere “l’alleanza ebraico-cristiana” a
mostrare il suo vero volto anti-
islamico e spingere in tal modo le masse musulmane alla rivolta per abbattere i
loro stati corrotti. Gli attacchi all’Occidente avrebbero avuto lo scopo di
alimentare la tensione e fare in modo che il Jihād entrasse nelle case di tutti i civili,
spingendoli a prendere posizione per l’uno o l’altro schieramento. Questo tipo di
strategia, adottata in passato anche da organizzazioni come le Brigate Rosse
italiane, consiste nell’estremizzare il conflitto nel momento più acuto della crisi,
quando ci si rende conto che non è più possibile raggiungere gli obiettivi tattici
prefissati. Al-Qāʿida sta cercando di ottenere questo obiettivo mescolando
elementi millenaristici a elementi di realpolitik. L’utilizzo di mezzi e tecniche di
propaganda moderni, dei mass media e di attacchi spettacolari, servono ad
accrescere la tensione, sfruttare la rabbia e il senso di frustrazione al fine di
incanalare nuove risorse verso il Jihād globale. Se si analizza il background degli
attentatori di Londra e Madrid, ci si rende conto di come questi fossero lontani
dalla figura del mujāhidīn addestrato nei campi afghani degli anni ’80. Questo
potrebbe essere letto come un segnale che la propaganda di Al-Qāʿida stia
cercando di sfruttare problemi legati all’immigrazione e all’integrazione dei
musulmani in Europa.
Contemporaneamente Al-Qāʿida fornisce copertura logistica e finanziaria
ai gruppi locali che agiscono autonomamente. Secondo l’ex agente CIA Marc
Sageman, l’organizzazione possedeva tre “cluster”: la base araba del Maghreb, il
gruppo arabo con base nel Medio Oriente e in Germania (coinvolto negli attacchi
dell’11 settembre) e il gruppo del sudest asiatico48. Il risultato è stato quello di
aumentare il numero e la virulenza degli attacchi contro gli occidentali.49. Fra il 23
48
Cfr. Marc Sageman, Understanding Terror Networks (University of Pensylvania Press, 2004).
49
Nel 2002 vennero lanciati attacchi in Tunisia(l’11 aprile una bomba a Djerba uccise 20 persone), nel
Pakistan (l’8 maggio un autobomba a Karachi davanti all’hotel Sheraton causò oltre 10 morti), nello Yemen
(il 6 ottobre), in Kwait (8 ottobre), in Indonesia (il 12 ottobre a Bali una bomba in una discoteca provocò
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
39
Al-Qāʿida
e il 26 ottobre 2002 nel teatro Dubrovka di Mosca, l’11 marzo 2004 a Madrid, fra
l’1 e il 3 settembre in una scuola di Beslan e il 7 luglio 2005 a Londra, si sono
verificati gli attacchi che più anno colpito l’opinione pubblica occidentale ma la
rete degli attentati di quegli anni si estende dal Nord Africa all’Estremo Oriente,
passando per il Medio Oriente, segnando una nuova fase di espansione geografica
del Jihād. Una rete di organizzazioni indipendenti, che perseguono la loro lotta a
livello locale ma tutte collegate direttamente o indirettamente a Bin Lāden con il
nome di Al-Qāʿida.
In questo sistema, il ruolo di Bin Lāden non è quello di dare ordini o
comandi, dato che non sembra esserci una struttura gerarchica; il suo compito è
quello di fornire impulsi sotto forma di propaganda, logistica per gli attentati e
aiuti finanziari, al fine di promuovere, facilitare e “legittimare” gli attacchi delle
organizzazioni che fanno parte del “franchising”. Secondo alcuni esperti, a seguito
dell’occupazione dell’Afghanistan, Al-Qāʿida sarebbe diventata ulteriormente
decentralizzata e protaica, in grado di assumere diverse forme50, riuscendo
nell’intento di unire organizzazioni radicali che combattono differenti battaglie a
livello locale sotto un’unica bandiera.
oltre 200 vittime), in Giordania (un diplomatico americano ucciso ad Amman il 28 ottobre), in Kenya (a
Mombasa una bomba in un hotel uccise 15 persone). Nel 2003 fu la volta dell’Arabia Saudita (12 maggio e
8 novembre, quasi 50 morti in attentati in centri residenziali popolati da stranieri), il Marocco (16 maggio 5
attentati simultanei contro obiettivi ebraici e occidentali causarono 30 morti), l’Indonesia (la bomba del 5
agosto a Giakarta contro l’Hotel Marriott causò 12 morti), la Turchia (15 e 20 novembre attacchi contro
due sinagoghe, il consolato britannico e la banca HSBC causarono 50 morti), l’Arabia Saudita (11 attacchi
tra Ryad, Yanbu e Khobar uccisero 60 persone), e infine la Spagna, l’11 marzo attacchi simultanei
colpirono il sistema dei treni locali di Madrid provocando 191 vittime. Ugualmente, nel 2005 si
verificarono ulteriori attacchi contro obiettivi occidentali, l’esplosione di quattro bombe colpì il sistema dei
trasporti urbani di Londra il 7 luglio causando oltre 40 vittime; in Egitto il 23 luglio furono attaccati
alberghi e villaggi a Sharm el-Sheikh causando oltre 90 vittime.
50
Cfr. Jessica Stern, «The Protean Enemy,» Foreign Affairs, July/August 2003: 27-40.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
40
Al-Qāʿida
2.4 9/11: IL “GIRO DI BOA” DEL GOVERNO AMERICANO
Se la reazione degli Stati Uniti agli attacchi del 1998 fu una semplice
rappresaglia, l’opinione pubblica americana e mondiale si aspettava un forte
segnale dell’amministrazione Bush dopo l’11 settembre 2001. Il segnale arrivò il
18 settembre 2001, quando il Congresso autorizzò il Presidente George W. Bush
a <<usare tutta la forza necessaria e appropriata contro quelle nazioni,
organizzazioni, o persone che secondo lui avessero pianificato, autorizzato,
commesso o aiutato gli attacchi terroristici avvenuti l’11 settembre51>>. Iniziava
la “Guerra al Terrorismo”, cavallo di battaglia dell’amministrazione repubblicana
per i successivi anni. Il primo risultato fu la caduta del governo dei talebani in
Afghanistan in seguito all’invasione della coalizione a guida statunitense con
l’ausilio di Gran Bretagna e di altri Paesi inclusa la NATO. Il passo successivo fu
l’invasione dell’Iraq iniziata con i bombardamenti dell’aviazione USA su Baghdad
la notte del 20 marzo 2003. Al contrario della guerra in Afghanistan, l’attacco
all’Iraq creò numerose perplessità e divisioni all’interno della comunità
internazionale52. L’arbitraria interpretazione del diritto internazionale da parte del
presidente Bush non fu vista di buon occhio da diversi Paesi europei53. In
particolare, colpì il fatto che gli Stati Uniti decidessero di attaccare l’Iraq senza
aver ottenuto una risoluzione da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite che autorizzasse l’uso della forza. Questa politica era espressione delle
teorie dei “falchi” Dick Cheney, vice presidente, Donald Rumsfeld, vice
segretario alla difesa, e dei numerosi neocon del governo, tra cui il vice segretario
alla difesa Paul Wolfowitz, il vice segretario di stato Richard Armitage e il capo
51
U.S. 107th Congress;, «Public Law 107-40,» U.S. Government Printing Office, 18 09 2001,
http://www.access.gpo.gov/index.html (consultato il giorno 10 01, 2008).
52
Cfr. Lucia Annunziata, No. La seconda guerra irachena e i dubbi dell'Occidente (Roma: Donzelli Editore,
2002).
53
Cfr. F. Cappè, F. Marelli e A. Zappalà, , La minaccia del terrorismo e le risposte dell'antiterrorismo, a cura
di F. Cappè, F. Marelli e A. Zappalà (Milano: Franco Angeli, 2006).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
41
Al-Qāʿida
del Defence Advisory Board Richard Perle. Passati al partito repubblicano dalle
fila dei democratici, questi neocon influenzarono l’amministrazione Regan negli
anni ’80 verso una linea meno morbida nei confronti dell’Unione Sovietica,
abbandonando la politica del contenimento per passare a una strategia di aperta
sfida sul piano militare, tecnologico ed economico. Queste stesse teorie
“ultraidealiste”, tornate di moda con il governo Bush e applicate alla lotta al
terrorismo, ritenevano insufficienti le strategie di protezione della nazione e di
deterrenza a causa della tipologia asimmetrica della minaccia. Si arrivò quindi a
teorizzare l’uso unilaterale e preventivo della forza contro quegli Stati da loro
ritenuti responsabili o mandanti degli attacchi.
Gli errori di questa politica furono almeno tre. In primo luogo, si è
erroneamente identificato il terrorismo con i cosiddetti “rogue states” (“stati
canaglia”). In realtà, come emerso in seguito, questa relazione era tutt’altro che
certa e l’invasione ha ottenuto molto spesso l’effetto opposto a quello pianificato.
La campagna in Iraq, ad esempio, ha fatto confluire nel Paese migliaia di
combattenti stranieri, vicini ad Al-Qāʿida, per combattere contro le truppe di
occupazione, esacerbando il conflitto latente tra sunniti, sciiti e curdi. Un altro
risultato è stato quello di rinnovare il ruolo centrale di Bin Lāden ricalibrando la
strategia di lotta di Al-Qāʿida, messa in ombra dopo la fine della Guerra Fredda.
Lo scopo del Jihād globale, infatti, era quello di rilanciare il conflitto e di
ricollegare le diverse organizzazioni, isolate politicamente dopo il crollo
dell’Unione Sovietica, sotto il vessillo di Al-Qāʿida.
Il secondo errore della politica neocon è stato di tipo strategico. Dichiarando
la “guerra al terrorismo”, l’amministrazione Bush ha ottenuto di ufficializzare il
ruolo di Al-Qāʿida, fino a quel momento non particolarmente nota neanche
all’interno dello stesso mondo islamico, fornendo a Bin Lāden l’”autorità”
necessaria per la proclamazione di un Jihād globale. Lo stesso Bush fornì
involontariamente un alibi alla teoria del Jihād globale quando definì la campagna
contro i talebani una “crociata contro il terrorismo”, avallando le tesi di quanti, tra
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
42
Al-Qāʿida
le fila dell’islam radicale, paventano una coalizione “ebraico-cristiana” con lo
scopo di combattere l’islam. Da questo punto di vista, la radicalizzazione del
conflitto e la divisione netta tra “bene” e “male”, ha costituito il punto di
convergenza tra le strategie di neocon e Al-Qāʿida, rinforzando la percezione del
ruolo degli Stati Uniti come unici difensori legittimi della democrazia, e di AlQāʿida come paladina dell’islam contro l’aggressione ebraico-cristiana.
Il terzo errore è strettamente legato al secondo. Nel momento in cui la
percezione del conflitto aveva fatto il salto di qualità verso lo “scontro di civiltà”,
il Jihād entrò in una fase di grande espansione geografica. Numerosi combattenti
raggiunsero l’Iraq con l’obiettivo di trasformarlo nel “nuovo Afghanistan”.
Radicalizzarono la violenza e fecero convergere forze differenti come i nostalgici
del Baʻth e i rivoltosi sciiti contro le forze d’occupazione in una guerra contro
l’Occidente.
2.5 CONCLUSIONI
L’11 settembre 2001 ha senza dubbio cambiato la percezione delle relazioni
tra Oriente e Occidente, avvalorando le tesi che promuovono uno “scontro di
civiltà”. Alle ore 08:46 della costa orientale degli Stati Uniti, il mondo si è trovato
diviso tra “buoni” e “cattivi” in un “conflitto di faglia54” a livello planetario. Due
visioni del mondo contrapposte e apparentemente inconciliabili promosse e
“vendute” da due “multinazionali” in competizione. Da un lato il “mondo libero”
con il suo “prodotto democratico” da esportare, dall’altro “l’asse del male” con il
suo modello di “terrore”. Un duopolio auto-legittimante che non avrebbe modo
di esistere senza il conflitto e che dal conflitto trae la sua forza vitale. Un gioco
delle parti che non lascia spazio a mediazioni, a soluzioni alternative, in una
54
Cfr. Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale (Milano: Garzanti, 2000).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
43
Al-Qāʿida
trappola del “o con noi, o contro di noi”. Una lotta tra modelli contrapposti a
colpi di propaganda. Da un lato si sbandiera la minaccia terroristica come
catalizzatore di tutte le paure con il risultato di rendere accettabile al
“consumatore della politica”, al cittadino medio, l’adozione di limitazioni senza
precedenti delle libertà individuali come quelle che, sulla scia del “The National
Security Strategy of The United States”, sono state approvate dal Congresso con
l’“USA Patriot Act” (Public Law 107-5655). Dall’altra parte si cavalcano
frustrazioni e senso di inferiorità facendo passare il messaggio perverso che
dipinge come “eroi” giovani, donne e fin’anche bambini che si immolano
sull’altare del Jihād globale, abbagliati da vane promesse di salvezza eterna.
Una lotta all’ultimo “spot” e all’ultimo sangue per la conquista della più
ampia fetta di mercato, sia che si tratti di voti, sia che si tratti di “anime”.
55
U.S. 107th Congress, «Public Law 107-56,» U.S. Government Printing Office, 26 10 2001,
http://www.access.gpo.gov/index.html (consultato il giorno 10 07, 2008).
CAPITOLO 3: IL DECENNIO NERO IN ALGERIA
CAPITOLO
3
Il Decennio Nero
in Algeria
‹‹ Chi sopraffa con la forza,
ha sopraffatto il nemico
soltanto a metà. ››
(“Il paradiso perduto” John Milton)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
45
Il Decennio Nero in Algeria
3.1 INTRODUZIONE
A latere della Guerra del Golfo (1990-91) montò un’ondata di protesta
contro il governo che affondava le sue radici lungo i trent’anni dall’indipendenza
dell’Algeria. La causa era da ricercarsi nella scollatura tra la popolazione e l’èlite di
governo, rimasta ampiamente laica e francesizzata, accusata di non aver
mantenuto le promesse di modernizzazione e sviluppo e di aver sperperato i
proventi petroliferi degli anni settanta e ottanta. Nel contempo, il governo
francese aveva cambiato colore e la nuova politica della destra relativa
all’immigrazione prevedeva una forte riduzione dei permessi di soggiorno. Il venir
meno della valvola di sfogo storicamente rappresentata dall’emigrazione verso la
Francia, contribuì a far aumentare la pressione interna in Algeria.
Già negli anni settanta e ottanta si erano verificate numerose rivolte
capeggiate da musulmani radicali56. La rivolta del 1982 fu determinante per la
fondazione di al-Haraka al-Islamiyya al-Musallah, il Movimento Islamico Armato.
Tra il 1984 e il 1987, il MIA condusse una guerriglia contro il regime dalle sue
postazioni sulle colline a sud di Algeri. La strategia del MIA fu quella di evitare
accuratamente di colpire i civili per garantirsi il sostegno della popolazione. Il
Movimento si sarebbe disgregato nel 1987 dopo l’uccisione del suo leader da
parte dell’esercito.
Mentre il MIA combatteva l’esercito sulle montagne, la Jabha al-Islamiyya liInqadh (Front Islamique du Salut), sfidava il governo nelle città. Il FIS contestava
la corruzione del regime e sosteneva una soluzione islamica adottando posizioni
lontane da ogni estremismo, arrivando ad ottenere la vittoria alle elezioni politiche
56
Le più importanti furono capeggiate dallo sceicco al-Mahfuz Nahnah nel 1977 e da Muhammad BuSulyamani nel 1980. La più lunga fu quella guidata da Mustafa Bu-‘Ali tra il 1982 e i 1987.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
46
Il Decennio Nero in Algeria
del 1991. La reazione dell’esercito fu un colpo di stato e l’annullamento del
secondo turno delle elezioni. Questa mossa del governo fu la scintilla che innescò
la guerra civile d’Algeria, conosciuta anche come “Il Decennio nero”.
3.2 IL DECENNIO NERO
La guerra civile d’Algeria ha visto la contrapposizione tra l’Armata
Nazionale Popolare insieme alle altre forze della sicurezza nazionale del governo
algerino e diversi gruppi islamici a partire dal 1992.
Si stima che durante il decennio di conflitti più di 100.000 persone abbiano
perso la vita. Il Decennio Nero si è concluso con la resa dell’Armée Islamique du
Salut (AIS) e con la sconfitta nel 2002 del Gruppo Islamico Armato (GIA).
Gli scontri hanno avuto inizio nel dicembre del 1991 quando il governo
annullò con un colpo di mano le elezioni57 dopo che i risultati del primo turno
avevano anticipato una forte affermazione del Front Islamique du Salut (FIS),
determinato a creare una repubblica islamica. La messa al bando del FIS e
all’arresto di migliaia di sostenitori fu la causa del rapido emergere di gruppi di
guerriglia islamici che diedero il via ad una lotta armata contro il governo. La
costellazione di gruppi di guerriglia si costituì in diversi gruppi armati tra cui il
Movimento Islamico Armato (MIA)58, che aveva le sue basi logistiche nelle zone
montuose, e il Gruppo Islamico Armato (GIA), che cercava supporto nelle città.
57
Le elezioni per l’Assemblea Nazionale Algerina del 1991 furono annullate da un colpo di stato militare
dopo il primo turno che diede il via alla guerra civile algerina. I primi risultati indicarono che il Front
Islamique du Salut si sarebbe aggiudicato i due terzi dei seggi consentendogli di modificare la costituzione
algerina.Dei 430 seggi, 231 furono vinti al primo turno. Per i restanti 199 si sarebbe dovuti andare al
ballottaggio.
58
Rinato dalle sue ceneri.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
47
Il Decennio Nero in Algeria
Nel 1994, mentre il governo negoziava con i dirigenti del FIS in prigione, il
GIA dichiarava guerra al FIS e al MIA che, con diversi altri gruppi armati minori,
aveva costituito l’Armée Islamique du Salut (AIS) come braccio armato del FIS.
La conseguenza delle nuove elezioni del 199559, vinte dal candidato
dell’esercito, il Generale Liamine Zéroual, fu un intensificarsi del conflitto tra il
GIA e l’AIS. Nel corso degli anni successivi il GIA compì una serie di massacri
contro interi villaggi raggiungendo il picco nel 1997 durante le elezioni
parlamentari, vinte da un partito di nuova formazione vicino all’esercito, il
Rassemblement National Démocratique (RND).
L’AIS, esposto ad attacchi su due fronti, optò nel 1997 per un cessate il
fuoco unilaterale con il governo, in conseguenza anche della nuova politica dei
massacri intrapresa dal GIA.
Nel 1999, l’elezione a presidente di Abdelaziz Bouteflika fu seguita da una
nuova legge che concedeva l’amnistia alla maggior parte dei combattenti, motivata
dalla forte volontà di ritorno ad una vita normale. La violenza fu ridotta
sensibilmente segnando una netta vittoria del governo e la scomparsa di fatto del
GIA nel 2002.
Tuttavia, un gruppo di dissidenti del GIA, guidati da Hassan Hattab, si
costituirono nel Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC).
Fondato nel 1998, il GSPC si dissociava dalla politica dei massacri del GIA
scegliendo come obiettivi solo l’esercito e le forze di polizia; rigettò le offerte di
amnistia e continuò la lotta armata.
59
Le elezioni presidenziali del 19 novembre 1995 furono le prime elezioni pluraliste in Algeria. Si svolsero in
piena guerra civile e videro il Presidente dell’HCE (Haut Comité d'État), il generale Liamine Zeroual, eletto
con il 61,34% dei voti.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
48
Il Decennio Nero in Algeria
3.3 LIBERALIZZAZIONI, PRELUDIO ALLA GUERRA
Verso la fine del 1988, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), partito
unico in Algeria sin dagli anni ’60, sembra improvvisamente essere inadatto a
gestire la situazione. Il governo beneficiava del prezzo elevato del petrolio e,
quando nel 1986, il prezzo del petrolio passò da 30$ a 10$ al barile, l’economia
subì un brusco rallentamento con un forte aumento della disoccupazione.
Nell’ottobre del 1988, diverse manifestazioni contro il presidente Chadli
Bendjedid infiammarono tutte le città algerine contribuendo ad una rinascita
dell’estremismo islamico tra i manifestanti. Le manifestazioni furono represse nel
sangue dall’esercito che lasciò oltre 500 morti per le strade algerine e una
popolazione scioccata dalla brutalità delle forze armate.
La risposta del Presidente fu quella di intraprendere la via delle riforme
liberali. Nel 1989, propose una nuova costituzione che soppresse il partito unico e
i riferimenti al socialismo promettendo <<libertà di espressione e di
associazione>>. Entro la fine dell’anno diversi partiti politici, tra cui il Front
Islamique du Salut (FIS), si costituirono e vennero riconosciuti dal governo.
Il FIS diede voce a una larga parte del movimento d’opinione islamico
rappresentato dai suoi due dirigenti principali. Il presidente, Abbassi Madani,
professore e combattente nella guerra di indipendenza, rappresentava un
conservatorismo religioso relativamente moderato e simbolicamente legato alla
guerra di indipendenza algerina, da cui l’FLN traeva la sua legittimazione a
guidare il Paese. Madani manifestava un forte attaccamento alle istituzioni
democratiche che poneva al disopra della sharī'a60. Il vice presidente, Ali Belhadj,
più giovane e meno colto di Madani, aveva giocato un ruolo di spicco nelle
manifestazioni di ottobre. Belhadj era conosciuto per le sue prediche radicali e
60
Vedi glossario.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
49
Il Decennio Nero in Algeria
aggressive che allarmavano molto per il loro rigetto dei principi democratici e per
le opinioni fortemente conservatrici sul ruolo della donna nella società.
Il FIS divenne rapidamente il più influente partito islamista, con un vasto
elettorato particolarmente concentrato nelle zone urbane, uscendo vincitore dalle
elezioni locali del 1990 con il 54% delle preferenze. Anche la Guerra del Golfo
contribuì a rinforzare l’influenza del FIS che prevalse contro il governo
nell’opposizione all’operazione “Tempesta nel Deserto”.
Nel maggio del 1991, il FIS mobilitò uno sciopero per protestare contro la
nuova suddivisione dei seggi elettorali proposta dal governo, denunciando uno
<<scempio elettorale>>. Lo sciopero non ebbe successo ma le enormi
manifestazioni organizzate dal FIS ad Algeri furono efficaci e il Front Islamique
du Salut accettò di fermare gli scioperi nel mese di giugno in cambio di elezioni
eque.
Poco tempo dopo il governo, sempre più allarmato, arrestò Madani e
Belhadj insieme con altri membri meno influenti del FIS. Il partito restò tuttavia
legale e Abdelkader Hachani ne prese la guida.
La crescita del partito continuò e il FIS accettò di partecipare alle elezioni
successive espellendo membri del calibro di Saïd Mekhloufi che perseguivano la
linea dell’azione diretta contro il governo. Alla fine di novembre un gruppo di
fondamentalisti islamici, vicini a Takfir wal Hijra, attaccarono un posto di
frontiera a Guemmar, preannunciando il conflitto che sarebbe scoppiato di li a
poco.
Il 26 dicembre il FIS vinse largamente il primo turno delle elezioni per
l’Assemblea Nazionale con il 48% di voti, conquistando 188 dei 232 seggi. Un
governo guidato dal Front Islamique du Salut sembrava inevitabile e forte dei due
terzi dei seggi avrebbe avuto i numeri necessari per modificare la costituzione.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
50
Il Decennio Nero in Algeria
3.4 IL COLPO DI STATO
I risultati del primo turno delle elezioni per l’Assemblea Nazionale furono
considerati inaccettabili dall’esercito. Il FIS, d’altro canto, aveva minacciato
apertamente l’establishment politico bollandolo come antipatriottico, pro-francese e
corrotto. La stessa leadership del FIS era fortemente divisa sui vantaggi della
democrazia.
L’11 gennaio 1992 l’esercito annullò le elezioni, costrinse il Presidente
Chadli Bendjedid alle dimissioni e nominò Mohammed Boudiaf come nuovo
presidente richiamandolo dall’esilio.
Numerosi sostenitori del FIS furono arrestati61, compreso Abdelkader
Hachani. Le carceri si dimostrarono presto insufficienti e vennero creati dei
campi di internamento nel Sahara. L’esercito dichiarò lo stato di emergenza e
sospese la costituzione. Tutte le proteste vennero represse e organizzazioni per la
difesa dei diritti dell’uomo, come Amnesty International, segnalarono diversi casi
di tortura da parte di ufficiali del governo e la detenzione di individui senza alcuna
accusa e senza alcun processo. Il governo sciolse ufficialmente l’FSI il 4 marzo.
I pochi attivisti del FIS ancora in libertà accolsero questi avvenimenti come
una dichiarazione di guerra. Nella maggior parte del Paese, gli attivisti del FIS,
insieme ad alcuni fondamentalisti islamici ancora più radicali, si diedero alla
macchia con delle armi di fortuna. I primi attacchi contro le forze di sicurezza
governative iniziarono circa una settimana dopo il colpo di stato.
61
5.000 secondo fonti dell’esercito e 30.000 secondo il FIS.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
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Il Decennio Nero in Algeria
Come nei conflitti precedenti, i combattenti si arroccarono quasi
esclusivamente nelle montagne nel nord dell’Algeria o nelle foreste adottando
tattiche di guerriglia. Si spinsero ad attaccare anche alcune aree urbane e settori
del deserto ricchi di petrolio62 e scarsamente popolati.
La situazione già tesa, fu aggravata dal precipitare della situazione
economica. Le speranze riposte nel Presidente Mohammed Boudiaf subirono un
duro colpo quando cadde vittima di un attentato per mano di una delle sue
guardie del corpo. Poco dopo, Abbassi Madani e Ali Belhadj vennero condannati
a dodici anni di carcere.
Il 26 agosto divenne evidente che la guerriglia colpiva indistintamente i
civili e i rappresentanti dello Stato allorché il bombardamento dell’aeroporto di
Algeri causò 9 morti e 128 feriti. Il FIS condannò esplicitamente l’attacco ma fu
chiaro che l’influenza del FIS sui guerriglieri era ormai limitata.
Il Movimento Islamico Armato (MIA) nacque dalle ceneri dell’omonimo
movimento guidato da Mustafa Bouyali e sconfitto dall’esercito nel 1987. Risorto
a nuova vita nel 1991, fu rapidamente infiltrato dai servizi di sicurezza
dell’esercito algerino, il Département du Reseignement ed te la Sécurité63.
Preoccupata di controllare le fazioni armate islamiche in gestazione, la
dirigenza del DRS decise di infiltrare le varie organizzazioni. Questa politica
provocò, nelle fasi più avanzate della guerra civile, la manipolazione su larga scala
dei media e una escalation della violenza perpetrata “a nome dell’Islam”.
62
Vedi cartografia in appendice.
63
Nuova denominazione, a partire dal settembre del 1990, della famigerata Sécurité Militaire, al centro del
potere sin dall’indipendenza del 1962.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
52
Il Decennio Nero in Algeria
Fin dal 1991, il MIA venne equipaggiato dal DRS di “veicoli di servizio64”.
Il DRS, inoltre, redigeva, stampava e distribuiva direttamente opuscoli e volantini
e avrebbe creato delle “liste nere” di intellettuali da eliminare, presso il Centre
Ghermoul, sede della Direzione del Controspionaggio (DCE)65
Le prime schermaglie sembrarono essere state provocate dal piccolo
gruppo estremista Takfir wal-Hijra e da combattenti reduci dell’Afghanistan.
Tuttavia, il primo movimento armato di rilevo ad emergere fu il Movimento
Islamico Armato nel periodo che seguì il colpo di stato. Al vertice del MIA c’era
Abdelkader Chebouti, un estremista islamico radicale di lungo corso, che aveva
preso le distanze dal FIS prima delle elezioni.
Nel febbraio del 1992, l’ex militare, ex combattente in Afghanistan e ex
responsabile della sicurezza in seno al FIS, Said Mekhloufi, fondò il Movimento
per uno Stato Islamico (MEI), non ancora infiltrato dal DRS.
I diversi gruppi armati organizzarono numerose riunioni nel tentativo di
unire le loro forze contro il governo, accettando di riunirsi intorno alla figura di
Chebouti. L’1 settembre Chebouti denunciò la mancanza di disciplina nei gruppi
armati e condannò l’attacco all’aeroporto di Algeri che a suo avviso avrebbe
allontanato il sostegno della popolazione.
Nel momento in cui Takfir wal-Hijira e i reduci afgani guidati da
Noureddine Seddiki si unirono al MIA, le forze di sicurezza sferrarono un
sostanziale attacco contro i gruppi armati. Il clima di sospetto che ne derivò
impedì ulteriori riunioni tra i gruppi armati.
64
(Samraoui 2003)
65
(Samraoui 2003)
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“Branding” dell’estremismo salafita algerino
53
Il Decennio Nero in Algeria
Anche il FIS organizzò una rete clandestina attraverso la pubblicazione di
giornali e con una radio legata al MIA. Verso la fine del 1992, cominciò ad
intrattenere relazioni ufficiali con interlocutori stranieri. Ciò nonostante, la
considerazione dei movimenti di guerriglia nei confronti del FIS rimase tiepida.
La maggioranza sosteneva ugualmente il FIS ma una minoranza significativa,
guidata dagli “afgani” considerava l’attività politica del partito come non islamica
e rifiutò di intrattenere rapporti con il FIS.
Nel gennaio del 1993, Abdelhak Layda dichiarò l’indipendenza del suo
gruppo dalla leadership di Chebouti. La nuova fazione che ne nacque prese il
nome di Gruppo Islamico Armato (GIA). Il GIA fu particolarmente attivo ad
Algeri. La posizione del Gruppo Islamico Armato fu immediatamente di dura
opposizione al governo e al FIS. Il GIA dichiarava di rigettare <<la religione
della democrazia e afferma che il pluralismo politico equivale alla sedizione.66>> e
contemporaneamente pubblicava minacce di morte contro numerosi capi del FIS
e del MIA. Nettamente meno selettivo del MIA, che insisteva sulla formazione
ideologica, il GIA fu regolarmente infiltrato dai servizi di sicurezza, provocando
un frequente rinnovamento della leadership ogni volta che i dirigenti venivano
arrestati o uccisi.
Nel 1993, le divisioni tra i movimenti di guerriglia divennero più chiare. Il
MIA e il MEI, tentavano di sviluppare una strategia militare contro lo Stato,
colpendo prevalentemente i servizi di sicurezza e sabotando o bombardando le
infrastrutture dello Stato. Il GIA, invece, sin dalla sua creazione, si concentrò nei
settori urbani adottando una tattica stragista mirata contro chiunque
rappresentasse il potere, compresi gli impiegati dello Stato, senza risparmiare
professori e funzionari. Il GIA si rese responsabile dell’assassinio di giornalisti e
intellettuali67, dichiarando che <<i giornalisti che combattono l’Islam con la
66
(Layada 1994)
67
Tra cui Tahar Djaout che aprì la lunga stagione di sangue che vide vittime numerosi intellettuali algerini.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
54
Il Decennio Nero in Algeria
penna moriranno per la lama68>>. L’organizzazione intensificò i suoi attacchi
contro i civili che rifiutavano di rispettare i divieti imposti e diede il via a un
periodo di assassini indiscriminati nei confronti degli stranieri imponendo loro un
ultimatum di un mese per abbandonare il Paese69. Dopo diverse stragi
praticamente tutti gli stranieri lasciarono l’Algeria; l’emigrazione algerina (spesso
illegale) aumentò sensibilmente per via della popolazione che cercava di fuggire
dal conflitto. Contemporaneamente, il numero di visti concessi agli algerini dagli
altri paesi fu ridotto sensibilmente.
3.5 FALLIMENTO DEI NEGOZIATI E LOTTE INTERNE
Gli scontri continuarono per tutto il 1994, nonostante la situazione
economica avesse cominciato a ristabilizzarsi. I negoziati con il Fondo Monetario
Internazionale avevano permesso di ripianificare il rimborso del debito70 e il
governo ottenne un prestito di 40 miliardi di franchi dalla comunità
internazionale come contributo per liberalizzare l’economia.
Quando divenne chiaro che gli scontri sarebbero continuati ancora per
molto tempo, il Generale Liamine Zéroual fu nominato nuovo Presidente
dell’Alto Cosniglio di Stato. Zéroual aveva la reputazione di essere un uomo di
dialogo più che un militarista. Poco dopo aver preso servizio, intraprese dei
negoziati con i dirigenti del FIS in carcere, liberando alcuni prigionieri in segno di
buona volontà.
68
(Mourad 1994)
69
“ Islamic militants' death threat drives foreigners from Algeria, ” The Times, 20 novembre 1993
70
International Monetary Found, Press Release 22 maggio 1995
(http://www.imf.org/external/np/sec/pr/1995/pr9531.htm)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
55
Il Decennio Nero in Algeria
I negoziati crearono una frattura sulla scena politica; i grandi partiti e in
particolare l’FLN e il FFS, continuarono a reclamare un compromesso mentre di
ben altro avviso erano l’Union Générale des Travailleurs Algériens (UGTA) e i
gruppi di sinistra più radicali come l’ultra laico RCD71. Alcuni movimenti
paramilitari pro governativi come l’Organisation des Jeunes Algériens Libres
(OJAL) emersero in quel periodo e iniziarono a ergersi come difensori civili
dell’Islam. Il 10 marzo 1994, più di 1000 prigionieri (principalmente islamici
radicali) evasero dalla prigione di Tazoult. Questo fu un grande successo della
guerriglia. Più tardi i teorici della cospirazione suggerirono che si trattò di una
messa in scena per consentire ai servizi di sicurezza di infiltrare il GIA.
Nel frattempo, nel 1994, sotto la direzione di Cherif Gousmi, il GIA
divenne il gruppo più in vista. Nel mese di maggio, il FIS subì un duro colpo
quando diversi leader sfuggiti al carcere si unirono al GIA, nonostante il GIA
avesse pubblicato delle minacce di morte contro di loro nel 1993. Questo
sorprese non poco gli osservatori che lo interpretarono come un segno delle lotte
interne al FIS o come un tentativo di reindirizzare il GIA.
Il 26 agosto, il GIA dichiarò un Califfato72, un governo islamico, per
l’Algeria, con Gousmi come <<Comandante dei Credenti>>. Nel contempo,
Mekhloufi annunciò la sua uscita dal GIA, dichiarando che il GIA aveva deviato
dal vero Islam e che il Califfato era un tentativo dell’ex leader del FIS,
Mohammed Said, per controllare il GIA. Il GIA continuò i suoi attacchi contro i
civili, assassinando anche artisti come Cheb Hasni73, e aggiunse una nuova pratica
71
Rassemblement pour la Culture et la Démocratie.
72
Dall’arabo “Khil fah”. Vedi glossario.
73
Cantante amato dalla gioventù algerina, Cheb Hasni amava cantare dell’amore carnale. È stato autore di
oltre 400 titoli. Dopo essere stato il bersaglio di minacce di integralisti islamici, fu assassinato nel suo
quartiere di Oran (Gambetta) all’età di 26 anni per aver evocato i temi del divorzio e dell’alcool nelle sue
canzoni.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
56
Il Decennio Nero in Algeria
alle sue attività, minacciando di incendiare le scuole non <<sufficientemente
islamiche>>.
I guerriglieri fedeli al FIS, rischiando di rimanere ai margini della scena
politica, tentarono di unire le loro forze. Nel luglio del 1994 il MIA, quel che
restava del MEI e diversi gruppi minori, si unirono sotto il nome di Armée
Islamique du Salut74, dichiarando la loro alleanza al FIS. Verso la fine del 1994,
l’AIS controllava più della metà della guerriglia a oriente e a occidente, ma appena
il 20% nel centro del Paese e nella capitale, terreno di coltura favorito del GIA.
L’AIS emise dei comunicati condannando gli attentati del GIA contro le donne, i
giornalisti e i civili in genere <<non coinvolti nella repressione>>, e contro gli
incendi delle scuole.
A fine ottobre il governo annunciò il fallimento dei negoziati con il FIS.
Zéroual propose un nuovo piano, programmò una nuova elezione presidenziale
per il 1995, favorendo gli <<interventisti>> dell’esercito come Lamari e
organizzò delle <<milizie d’autodifesa>> nei villaggi per combattere la guerriglia.
La fine del 1994 fu segnata da un notevole incremento della violenza. Nel corso
del 1994, l’isolamento internazionale dell’Algeria crebbe e la maggior parte delle
agenzie di stampa internazionali lasciarono il Paese quando la frontiera con il
Marocco venne chiusa e i collegamenti aerei internazionali vennero interrotti. La
mancanza di copertura stampa fu ulteriormente aggravata nel mese di giugno
quando il governo proibì ai media algerini di menzionare le notizie collegate alla
guerriglia non riportate dai comunicati stampa ufficiali75.
Alcuni leader del FIS, fra cui Rabah Kebir, presero la via dell’esilio
all’estero. Su invito della Comunità di Sant’Egidio di Roma, nel novembre del
1994, avviarono un tavolo di negoziato a Roma con tutti gli altri partiti di
74
Denominazione già utilizzata in precedenza da gruppi di guerriglia vicini al FIS.
75
(Stora 2001)
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“Branding” dell’estremismo salafita algerino
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Il Decennio Nero in Algeria
opposizione, islamici e non. L’ accordo fu raggiunto il 14 gennaio 1995. La
“ Piattaforma di Sant’Egidio ” raggruppava una serie di principi :
•
Il rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e del
multipartitismo.
•
Il rifiuto del ruolo dell’esercito sulla scena politica e della dittatura.
•
Il riconoscimento dell’Islam, delle identità etniche araba e berbera
come aspetti essenziali dell’identità nazionale dell’Algeria.
•
Liberazione dei dirigenti del FIS e l’interruzione dei massacri e della
pratica delle torture nei campi di internamento.
A sorpresa di molti, lo stesso Ali Belhadj approvò l’accordo, cosa che
significò il ritorno alla legalità del FIS, di comune intesa con gli altri partiti
d’opposizione. Tuttavia un interlocutore fondamentale era assente: il Governo.
Di conseguenza, la “Piattaforma di Sant’Egidio” ebbe scarsi effetti immediati. I
mesi seguenti furono segnati dall’assassinio di circa 100 prigionieri islamici nella
rivolta della prigione di Serkadji e da un importante successo delle forze
governative nella battaglia di Ain Defla che causò la morte di centinaia di
guerriglieri.
Secondo Andrea Riccardi, che guidò i negoziati per la Comunità di
Sant’Egidio, la Piattaforma incitò i militari algerini ad abbandonare il solo
confronto armato e li costrinse a reagire con un atto politico, l’elezione
presidenziale del 1995.
Cherif Gousmi fu sostituito alla guida del GIA da Djamel Zitouni. Zitouni
estese gli attacchi del GIA contro i civili sul suolo francese, cominciando con il
DA GSPC AD AQIM
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58
Il Decennio Nero in Algeria
dirottamento del volo Air France 896976 il 24 dicembre 1994 e con diversi
attentati nel corso del 199577. Anche in Algeria, proseguirono gli attentati con
autobomba e l’assassinio di musicisti e atleti e di donne non velate, oltre ai
consueti obiettivi della guerriglia. Viene naturale interrogarsi sulla natura
apparentemente controproducente di questi attacchi che avvalora l’ipotesi
(sostenuta da membri del FIS all’estero), che il GIA fosse stato infiltrato dai
servizi segreti algerini. La regione a sud di Algeri, in particolare, fu quasi
totalmente dominata dal GIA che la denominava “la zona liberata”, prima che la
stessa zona fosse ribattezzata come “il triangolo della morte”.
Le minacce tra l’AIS e il GIA continuarono e il GIA rimarcò la sua
posizione contro i dirigenti del FIS e dell’AIS assassinando uno dei fondatori del
FIS, Abdelbaki Sahraoui a Parigi. Secondo delle fonti straniere, il GIA era stimato
contare su una forza di circa 27.000 guerriglieri.
3.6 EMERSIONE DELLE MILIZIE
In seguito all’interruzione dei negoziati con il FIS, il governo decise di
indire una tornata elettorale presidenziale. Il 16 novembre 1995, Liamine Zéroual
venne eletto presidente con il 60% dei voti. L’elezione fu contestata da diversi
candidati, compreso il candidato del partito islamico Mahfoud Nahnah (che
ottenne il 25%), Noureddine Boukrouh (con meno del 4%) e dal paladino della
laicità Said Sadi (attestato all 10%). Tuttavia, ad eccezione del FIS, tutti
76
Il volo Air France 8969 collegava Algeri a Parigi e fu dirottato il 24 dicembre 1994. Il dirottamento si risolse
con un numero limitato di vittime grazie all’intervento delle truppe speciali del Groupe d'Intervention de la
Gendarmerie Nationale (GIGN). Questo avvenimento causò l’interruzione dei voli Air France diretti in
Algeria fino al 2003.
77
Il 25 luglio 1995 Una bomba esplode alla stazione Saint-Michel della metropolitana di Parigi, provocando 8
morti e 117 feriti. Diverse altre esplosioni si registrarono nella capitale francese per tutto il 1995/1996.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
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Il Decennio Nero in Algeria
constatarono un alto tasso di partecipazione, stimato ufficialmente intorno al
75% e confermato dalla maggior parte degli osservatori internazionali. Il notevole
risultato si ottenne a discapito dell’appello all’astensione da parte del FIS, del FFS
e dell’FLN e nonostante le minacce di morte rivolte agli elettori da parte del GIA
con lo slogan “un voix, un balle” (un voto, una pallottola). Un alto livello di
allerta delle forze di sicurezza fu mantenuto per tutto il periodo elettorale fino al
giorno delle elezioni grazie ad una mobilitazione in massa delle forze armate. Gli
osservatori stranieri, dell’ONU e delle organizzazioni africane non espressero
alcuna riserva sostanziale sullo svolgimento delle elezioni che furono
generalmente percepite all’estero come libere78 e l’esito fu riconosciuto valido79.
I risultati riflettevano i diversi orientamenti della popolazione, dal sostegno
alla laicità e all’opposizione all’Islam radicale, a un desiderio di arrestare l’ondata
di violenza. Sorse la speranza che la politica algerina trovasse finalmente un punto
di equilibrio. Zéroual ne approfittò per presentare un nuovo progetto di
costituzione nel 1996 che rafforzava nettamente i poteri del presidente e creava
una seconda assemblea, in parte eletta e in parte di nomina presidenziale. Il testo
fu sottoposto a un referendum nel novembre del 1996 e, nonostante il tasso
ufficiale di partecipazione al voto fu dell’80%, le elezioni non furono controllate e
l’alto tasso di partecipazione fu considerato dagli osservatori come poco
verosimile.
La politica del governo fu combinata con un aumento sostanziale delle
milizie pro-governative. Queste “milizie d’autodifesa”, definite “patrioti” dalla
propaganda governativa, erano composte da cittadini addestrati dall’esercito e
armati dal governo. Furono organizzate nelle città e nelle aree limitrofe alle zone
di attività dei gruppi di guerriglia. Il programma fu ben accolto e fu
sostanzialmente rinforzato negli anni, in particolare dopo i massacri del 1997.
78
(Rich e Joseph 1997)
79
(Roberts 1998)
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Il Decennio Nero in Algeria
Le elezioni furono una sconfitta per i gruppi armati, che registrarono un
aumento significativo delle defezioni appena prima del voto. Il FIS rispose ai
cambiamenti nell’opinione pubblica adottando un tono più conciliante nei
confronti del governo. Questa nuova posizione però subì la condanna da parte
dell’AIS. Il Gruppo Islamico Armato, nel contempo, fu scosso da profondi
dissensi interni e, poco dopo le elezioni, la dirigenza del GIA ordinò l’omicidio
del capo del FIS che si era unito al GIA, accusandolo di tentare una
riconciliazione. Queste purghe accelerarono la disgregazione del GIA. Le fazioni
di Mustapha Kartali, Ali Benhadjar e Hassan Hattab rifiutarono di riconoscere
l’autorità di Zitouni verso la fine del 1995. A dicembre il GIA si rese responsabile
dell’omicidio del capo dell’AIS per l’Algeria centrale, Azzedine Baa, e a gennaio
aprì le ostilità contro l’AIS, in particolare nella zona ovest del Paese. Lo scontro
tra i due movimenti fu totale.
3.7 MASSACRI E RICONCILIAZIONE
Nel giugno del 1996, il capo del Gruppo Islamico Armato, Djamel Zitouni
venne assassinato da un ex fazione del GIA. Il suo successore, Antar Zouabri, si
rivelò ancora più sanguinario.
Le elezioni legislative si svolsero il 5 giugno 1997 e furono vinte dal
Rassemblement National Democratique (RND), un nuovo partito sorto all’inizio
del 1997 dai fiancheggiatori di Zéroual. L’RND ottenne 156 seggi su 380, seguito
dall’MSP e dal FLN con poco più di 60 seggi ciascuno. L’opinione degli analisti
sulle elezioni fu divisa. La maggior parte dei principali partiti di opposizione
ristagnò mentre il successo del neonato RND sorprese tutti gli osservatori.
L’RND, il FLN e il MSP formarono un governo di coalizione con Ahmed
Ouvahia (RND) come primo ministro. Ne seguirono delle misure di
DA GSPC AD AQIM
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Il Decennio Nero in Algeria
ammorbidimento nei confronti del FIS. Abdelkader Hachani fu liberato mentre
ad Abbassi Madani furono concessi gli arresti domiciliari.
Nello stesso periodo si manifestò un nuovo problema. Nel mese di aprile,
l’Algeria fu teatro di massacri di inaudita estensione e brutalità come la strage di
Thalit80. Colpendo principalmente i villaggi e le periferie, senza fare distinzione di
età o sesso delle vittime, i guerriglieri del GIA assassinarono decine e a volte
centinaia di civili alla volta. Queste stragi proseguirono fino alla fine del 1998,
modificando nettamente la situazione politica. L’area a Sud e a Est di Algeri, che
aveva votato per il FIS nel 1991, fu particolarmente colpita. Le stragi di Rais e di
Bentalha
colpirono
particolarmente
gli
osservatori
internazionali
per
l’ingiustificata violenza contro donne in gravidanza e bambini di pochi mesi. Una
citazione attribuita ad un capo della guerriglia descrive bene la crudezza degli
attacchi; “abbiamo tutta la notte per violare le vostre donne e i bambini e bere il
vostro sangue. Anche se ci scappate oggi, noi torneremo domani per finirvi!
Siamo qui per rimandarvi al vostro Dio!”81
80
Nel villaggio di Thalit, nella Wilaya di Médéa, a circa 70km da Algeri, il 3 e 4 aprile 1997, 52 dei 53 abitanti
del villaggio vennero sgozzati dai guerriglieri del Gruppo Islamico Armato. Lo stesso giorno stragi
analoghe ebbero luogo nei villaggi di Amroussa, Sidi Naamane, Moretti e Beni Slimane.
81
(Yous e Mellah 2000)
DA GSPC AD AQIM
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Il Decennio Nero in Algeria
Figura 1 – Stragi con più di 50 vittime tra il 1997 e il 1998
La responsabilità del GIA di queste stragi è incontestabile. Fu lo stesso
Gruppo Islamico Armato a rivendicare le azioni in un comunicato stampa
definendo le stragi di Rais e Bentalha delle “offerte a Dio” e le vittime come dei
“difensori empi dei tiranni”.
Questa politica delle stragi di civili fu una delle ragioni principali della
scissione del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC). In
questo stadio, il GIA aveva adottato l’ ideologia takfirista82, secondo cui tutti gli
algerini che non combattevano attivamente il governo erano corrotti al punto da
essere ritenuti Kāfir e da poter essere uccisi “legalmente” in completa impunità.
Un comunicato non confermato attribuito a Zouabri dichiarava che <<tranne
coloro che sono con noi, tutti gli altri sono degli apostati e meritano la morte!>>.
Tuttavia, per Rais e Bentalha, Amnesty International e i sopravvissuti
rilevarono che l’esercito aveva delle caserme a poche centinaia di metri dal luogo
82
O ideologia della scomunica, da Kāfir. Vedi glossario.
DA GSPC AD AQIM
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Il Decennio Nero in Algeria
della strage ma che non intervenne. Questo e altri dettagli emersi dalle inchieste
internazionali, condussero taluni a sostenere la tesi che vedeva di legami tra il
GIA e l’esercito e, in particolare, rimisero in luce la teoria secondo cui il GIA era
stato infiltrato dalla polizia segreta. Tale tesi iniziò a trovare dei sostenitori anche
tra alcuni ricercatori occidentali83.
Fu in questo periodo che l’AIS, impegnato in un conflitto totale con il GIA
e con il governo, si ritrovò in una situazione insostenibile. Il GIA appariva come
il nemico numero uno. I membri dell’AIS temevano che le stragi, che avevano
regolarmente condannato, sarebbero state loro imputate, vista la posizione
ambigua di una parte della stampa algerina nei confronti dell’AIS a cui venivano
imputati alcuni massacri84. Il 21 settembre 1997, il dirigente dell’AIS Madani
Mezrag, ordinò il cessate il fuoco unilaterale e senza condizioni a cominciare
dall’1 ottobre, <<delegittimando il nemico che si cela dietro questi abominevoli
massacri>>. L’AIS con questa mossa si pose in gran parte al di fuori della scena
politica. Restava esclusivamente la lotta tra il governo, il GIA e i piccoli gruppi
che poco alla volta uscivano dall’orbita del GIA. La Lega Islamica per Da’wa e il
Jihād di Ali Benhadjar (LIDD), formata nel febbraio del 1997, si alleò all’AIS e
aderì al cessate il fuoco. Nel corso dei tre anni seguenti, l’AIS negoziò una
graduale amnistia per i suoi membri.
3.8 IL CAMBIO DELLA GUARDIA TRA GIA E GSPC
A seguito delle numerose pressioni internazionali, l’Unione Europea inviò
in Algeria due delegazioni nel primo semestre del 1998, di cui una guidata da
Mario Soares, per investigare sulle stragi. Dai rapporti emergeva una forte
condanna dei gruppi islamici armati.
83
Tra cui François Gèze.
84
In particolare quelli di Guelb el-Kebir e di Sidi Hamed.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
64
Il Decennio Nero in Algeria
Le città stavano diventando più sicure, anche se i massacri continuarono
nelle aree rurali. La politica delle stragi di civili del GIA aveva già scavato un
fossato tra i leader. Alcuni dirigenti respingevano questa politica e il 14 settembre
1998 questo disaccordo fu formalizzato con la costituzione del Gruppo Salafita
per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), attestato sulle montagne a ovest
di Kabylua e guidato da Hassan Hattab85.
L’11 settembre, Zéroual sorprese gli osservatori annunciando le sue
dimissioni. Una nuova tornata elettorale fu organizzata e il 15 aprile 1999, l’ex
combattente nella guerra di indipendenza Abdelaziz Bouteflika, sostenuto
dall’esercito, fu eletto presidente con (secondo le autorità) il 74% dei voti. Tutti
gli altri candidati si erano ritirati dalle elezioni per paura di brogli.
Bouteflika proseguì i negoziati con l’AIS che, il 5 giugno, accettò di
sciogliersi. Il presidente accompagnò questo successo con un’amnistia per un
certo numero di guerriglieri islamici condannati per reati minori e inviando al
85
Hassan Hattab, nato il 14 gennaio 1967 a Rouiba, ha fondato il GSPC nel 1998, ma ne ha lasciato la guida
nel 2003 opponendosi alla decisione della maggior parte della leadership di rafforzare i legami con
organizzazioni estere e in particolar modo con Al-Qāʿida. È stato addestrato come paracadutista
dell’esercito algerino e durante il servizio militare ha incontrato il suo futuro luogotenente Amar Saïfi.
Dopo aver lasciato l’esercito nel 1989, ha lavorato come meccanico. Si è unito al Gruppo Islamico Armato
(GIA) nel 1992 dopo l’annullamento delle elezioni. Nel 1994 è stato promosso “amir”, comandante di
quella che lui chiamava la“seconda zona”, la regione di Cabilia. Ha lasciato il GIA il 14 settembre 1998, in
contrasto con la politica di massacri di massa di civili algerini del GIA accusando il Gruppo Islamico
Armato di essere stato infiltrato dai servizi di sicurezza algerini. Dopo la separazione dal GIA ha costituito
il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento che inizialmente operava soprattutto nella
regione orientale del Paese, principalmente nelle foreste della Cabilia occidentale. Il GSPC ha eclissato
rapidamente il GIA, fiaccato da lotte intestine e da vittorie dell’esercito governativo. Nel 2003 Hattab lascia
la guida del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento a Nabil Sahraoui. Alcune voci
volevano Hattabi ucciso dai suoi stessi commilitoni, mentre la versione ufficiale del GSPC confermava
semplicemente il suo ritiro. Nel 2004, il quotidiano Al-Hayat Al.Jadida pubblicò un intervista ad Hattab
subito dopo la morte del suo successore Nabil Sahraoui smentendo le voci sulla sua uccisione. Nel 2005 il
GSPC ha annunciato la completa esclusione di Hattab dal gruppo. Il 22 marzo 2007, l’Agenzia France
Presse ha riportato l’arresto e la condanna a morte di Hassan Hattab in Algeria. Il Ministro degli Interni
algerino Noureddine Yazid Zerhouni ha confermato che Hattab si è arreso alle truppe governative il 22
settembre. Con un colpo di scena nel mese di ottobre 2007 il Ministro degli Interni ha dichiarato che
Hattab non è mai stato direttamente coinvolto nei massacri del GIA e che per tanto potrebbe beneficiare
dell’amnistia nell’ambito del progetto di “riconciliazione nazionale”. Attualmente non è chiaro dove si trovi
Hattab ne se egli sia ancora sotto la custodia delle autorità algerine. (http://republique-algeriennecybernautique.blogspot.com/2007/10/le-sort-des-leaders-terroristes.html)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
65
Il Decennio Nero in Algeria
parlamento la “loi d’harmonie civile” che permetteva ai combattenti non colpevoli di
omicidio o di stupro di far cadere le accuse contro di loro se si fossero
consegnati. La legge venne approvata definitivamente tramite referendum il 16
settembre 1999 e diversi combattenti, tra cui Mustapha Kartali, ne approfittarono
per riprendere una vita normale. Questa operazione, tuttavia, provocò la forte
opposizione delle vittime della guerriglia. La direzione del FIS espresse il proprio
malcontento nei riguardi dei risultati dell’amnistia. In seguito all’assassinio del suo
portavoce Abdelkader Hachani da parte di membri del GIA, il 22 novembre dello
stesso anno, il FIS sostenne che l’AIS aveva cessato i combattimenti senza che
questa decisione unilaterale avesse sortito degli effetti concreti. Il risultato
dell’amnistia fu comunque un calo della violenza e il ripristino di una situazione di
calma ad Algeri.
L’AIS si sciolse completamente il primo gennaio del 2000, dopo aver
negoziato un’amnistia speciale con il Governo. Il GIA, lacerato dai dissensi e
dalle diserzioni e condannato da più parti, inclusi i movimenti islamici, fu
lentamente distrutto dalle operazioni militari del Governo nel corso degli anni
seguenti. Con la morte di Antar Zouabri all’inizio del 2002, il GIA divenne
totalmente incapace di continuare i combattimenti. Gli sforzi dell’esercito furono
ulteriormente sostenuti, all’indomani dell’11 settembre 2001, dagli Stati Uniti che
congelarono i beni riconducibili al GIA e al GSPC e fornirono equipaggiamento86
destinato alle truppe schierate nella lotta ai gruppi islamici armati.
Con il declino del GIA, il GSPC ne prese il posto come gruppo ribelle più
attivo, con circa 300 combattenti nel 200387. Il Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento continuò la campagna di assassini mirati contro
poliziotti e militari nella regione di Cabilia, iniziando anche ad avanzare nella zona
del Sahara, dove la divisione guidata da Amari Saifi (soprannominato Abderrezak
86
Tra cui i visori a infrarossi, preziosi nei combattimenti notturni.
87
BBC
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
66
Il Decennio Nero in Algeria
El-Para), rapì un gruppo di turisti europei nel 2003, prima di essere costretto a
fuggire in Mali, Niger e Chad dove fu catturato.
Alla fine del 2003, il fondatore del GSPC, Hassan Hattab, fu rimpiazzato
dall’ancora più radicale Nabil Sahraoui, che annunciò il proprio sostegno ad AlQāʿida, rinforzando di riflesso i rapporti tra l’Algeria e gli Stati Uniti nel contesto
della “lotta al terrorismo” dell’amministrazione Bush. Sahraoui venne ucciso poco
dopo.
La liberazione dei leader del FIS Madani e Belhadj nel 2003 non produsse
alcun effetto visibile, dimostrando una rinnovata fiducia nel governo, confermata
dalle elezioni presidenziali del 2004, da cui il Presidente Bouteflika uscì vincitore
con l’85% dei consensi e l’appoggio dei due principali partiti del Paese. L’elezione
fu vista dagli analisti come la conferma di un forte sostegno popolare alla politica
di Bouteflika contro i gruppi armati e come la riuscita del progetto presidenziale
di fermare la violenza su larga scala.
Nel settembre del 2005, un referendum che proponeva l’amnistia fu
proposto dal governo di Bouteflika. Come la legge del 1999 mirava a mettere un
punto alle accuse nei confronti delle persone non più coinvolte nei combattimenti
e per offrire dei risarcimenti alle famiglie delle persone uccise dalle forze
governative. La proposta fu accettata dal 97% dei votanti.
3.9 CONCLUSIONI
In questo capitolo si è esaminata la cornice storica entro cui i movimenti
islamici radicali sono nati e si sono sviluppati, tra alterne vicende, lungo il filo
rosso del “Decennio Nero”, fino alla relativa stabilizzazione con la presidenza
Bouteflika. È emerso come le politiche del governo algerino e le reazioni della
comunità internazionale siano state fondamentali nel condizionare il proliferare
dei movimenti di opposizione armata o la loro scomparsa.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
67
Il Decennio Nero in Algeria
Sullo stesso piano, la politica stragista del GIA ha ottenuto il risultato di
allontanare il sostegno popolare dalle posizioni dei gruppi islamici armati,
innescando il processo che avrebbe visto la nascita del Gruppo Salafita per la
Predicazione e il combattimento e, dopo quasi un decennio, la sua acquisizione
del “brand” Al-Qāʿida.
CAPITOLO 4: GSPC, IL MODUS OPERANDI
CAPITOLO
4
GSPC,
il Modus Operandi
‹‹ Per stimolare il caos è necessario possedere un saldo controllo;
per creare l’illusione della paura bisogna avere coraggio;
per fingere debolezza si deve essere forti.
Ordine e disordine richiedono capacità di controllo delle truppe. ››
(“Arte della guerra” Sun Tzu)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
69
GSPC il Modus Operandi
4.1 INTRODUZIONE
Creato da una costola del Gruppo Islamico Armato (GIA) nel settembre
del 1998, il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC) ha
progressivamente
soppiantato
l’organizzazione
madre
sula
scena
del
fondamentalismo islamico in Algeria.
Circoscritto inizialmente nella sola regione di Cabilia, dove è stato
relativamente inattivo per circa un quinquennio, è salito agli onori delle cronache
internazionali grazie al rapimento di una trentina di turisti europei nella regione
del Sahara nel primo semestre del 2003. Da quel momento il GSPC ha
moltiplicato il numero degli attacchi armati privilegiando obiettivi militari e
stranieri nella regione, fino ad essere considerato una seria minaccia da parte
dell’Europa, anche per via dei numerosi “agenti dormienti” presenti sul
continente europeo.
Definitivamente confluito in Al-Qāʿida assumendo la denominazione di
Al-Qāʿida nel Maghreb Islamico (AQIM), ha intensificato il lancio di “messaggi
pubblicitari” per raggiungere una maggiore audience e, di conseguenza,
incrementare il numero di adepti. Nell’arco di pochi anni, i “qaedisti” sono passati
dai video amatoriali, realizzati in una grotta, ad una catena di messaggi prodotti
con tecnologie di comunicazione semi professionali. Sono mutati anche i canali di
trasmissione delle informazioni: dalle tv satellitari si è passati ad una larga
diffusione di siti Internet. Chiunque, in qualunque parte del mondo può accedere
a Internet, ricevere messaggi, scambiarsi informazioni, preannunciare azioni e
sviluppare quello che gli esperti definiscono “terrorismo mediatico” che genera
timori e paure senza sparare un solo colpo88. Usando Internet gli ideologi di Al-
88
Cfr. Guido Olimpo, «Internet e Al Qaeda due "reti" per l'Islam,» GNOSIS (Agenzia Informazioni e
Sicurezza Interna), n. 1 (2008): 49-62.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
70
GSPC il Modus Operandi
Qāʿida hanno potuto tessere una rete virtuale che mettesse in contatto le varie
“filiali” nelle diverse regioni, trasmettendo gli insegnamenti e i precetti di Bin
Lāden , Al-Zawahiri, ‘Azzam e di una schiera di ideologi minori – ma molto citati
sul web – che hanno assunto il ruolo di ispiratori della strategia “qaedista”. Così
dall’Asia al Nord Africa, gruppi cresciuti con caratteristiche legate ai rispettivi
teatri, hanno provato ad assumere una fisionomia transnazionale. È il caso,
riuscito, di Al-Qāʿida nel Maghreb Islamico (AQIM), evoluzione del Gruppo
Salafita per la Predicazione e il Combattimento, che dall’Algeria ha allargato il suo
“bacino” a Mauritania, Mali e Tunisia.
Il “Jihād della parola”, oltre a surrogare quello armato, ha risposto ad
un’intuizione dello stesso Bin Lāden. In una lettera sequestrata dall’intelligence
americana in Afghanistan e precedente all’11 settembre, Bin Lāden spiegava al
capo dei talebani, il mullah Omar, che la battaglia si sarebbe svolta al novanta per
cento sul terreno della propaganda. Analisi che ha trovato d’accordo il suo
consigliere, Al-Zawahiri. In un libro, celebre tra i Jihādisti, “Cavalieri sotto lo
stendardo del Profeta”, l’egiziano scrive:
noi dobbiamo trasmettere il nostro messaggio alle masse della nazione e rompere
l’assedio mediatico imposto al movimento del Jihād. Questa è una battaglia indipendente
che dobbiamo lanciare al fianco di quella militare89.
Questo capitolo raccoglie il materiale più empirico della ricerca
sull’evoluzione dei gruppi salafiti algerini e ne studia le tecniche di finanziamento,
di reclutamento, il modus operandi impiegato nelle operazioni militari e i
collegamenti con altre organizzazioni analoghe. Infine verranno indicati alcune
iniziative del governo algerino e dei servizi di sicurezza occidentali per
contrastarne l’espansione.
89
Da Ayman Al-Zawahiri, Fursan Taht Rayah Al-Nabi (Knights under the Prophet's Banner) (Casablanca:
Dar-al-Najaah Al-Jadeedah, 2001).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
71
GSPC il Modus Operandi
4.2 FINANZIAMENTO
Nell’arco della sua storia, il GSPC ha fatto ricorso a numerose fonti per
finanziare le sue operazioni. Dopo la prima tranche creditizia da parte di Bin
Lāden, per mezzo di un suo luogotenente, con fondi provenienti da dissidenti di
origine saudita, sembrerebbero esserci stati dei flussi periodici di denaro
dall’organizzazione di Al-Qāʿida 90. Il Gruppo è stato parzialmente finanziato
anche dalle rimesse di algerini residenti all’estero e il governo algerino sospetta
inoltre Iran e Sudan di finanziare il Gruppo Salafita per la Predicazione e il
Combattimento. Attività criminali quali il contrabbando di sigarette, armi, droga e
veicoli sono attualmente tra le principali risorse del GSPC91. Nel marzo 2001 le
autorità britanniche hanno espulso diversi appartenenti al GSPC con l’accusa di
essere coinvolti in attività terroristiche, racket e riciclaggio di denaro sporco. Nel
2002 un giornalista francese infiltrato in una cellula del GSPC in Francia
(capeggiata da Karim Bourti) ha scoperto una lucrosa operazione di traffico di
marchi contraffatti. Secondo il giornalista Mohamed Sifaoui, la cellula esercitava
pressioni sui leader della comunità islamica parigina affinché concedessero loro il
permesso di raccogliere fondi nelle moschee locali. Il contrabbando
transfrontaliero92 nella regione occidentale dell’Algeria è reso relativamente
semplice dalla scarsa sorveglianza e dalla mancanza di strumenti di protezione
delle frontiere nei Paesi dell’Africa settentrionale. Il leader del GSPC
90
(Burke 2002)
91
“Profile: Algeria’s Salafist Group,” BBC News 14/05/2003
Di particolare rilevanza è il contrabbando di meteoriti. Si tratta di un’operazione da milioni di dollari che si
svolge lungo il labile confine tra Algeria e Marocco. Le condizioni climatiche e ambientali del Marocco
rendono questo Paese non particolarmente adatto al ritrovamento di meteoriti, eppure gran parte dei reperti
di provenienza nord africana vengono dichiarati in Marocco. I contrabbandieri hanno vita facile nel varcare la
frontiera con il Marocco e nel rivendere i reperti a collezionisti europei e americani. Commercianti occidentali
di meteoriti visitano ogni anno le zone di frontiera acquistando in contanti. Si parla di milioni di “turisti”.
92
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
72
GSPC il Modus Operandi
Benmokhtar93, accusato di avere stretti legami con Al-Qāʿida, è conosciuto per
essere un esperto contrabbandiere e per aver contribuito alla movimentazione di
armamenti del GSPC attraverso il Nord Africa.94
Un altro metodo di finanziamento adottato dal GSPC è quello legato al
“business dei rapimenti”. Il pagamento del riscatto di un episodio di rapimento ha
costituito il maggior finanziamento della storia del Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento. Il governo tedesco pagò nel 2003 al leader del
GSPC, Abderrezak El Para95, più di 5 milioni di Euro per il rilascio di alcuni
ostaggi tedeschi. Questa cifra corrisponderebbe a circa il 25% del budget della
difesa del Niger e costituirebbe una somma largamente sufficiente a ribilanciare il
rapporto di forze tra il GSPC e le forze governative.
(“NWA meteorites - money for terrorism?” SaharaMet consultato il 26/10/2007 su:http://www.saharamet.com/meteorite/data/Sahara/Nwa.html)
93 Mokhtar Benmokhtar, nato a Ghardaia l’1 giugno 1972, è un membro anziano del Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento. Diversi rapporti lo indicano come uno dei vice comandanti del GSPC.
Prima di unirsi al GSPC, Belmokhtar ha servito come soldato nell’esercito algerino per poi unirsi alla
guerriglia in Afghanistan (MIPT Terrorism). Si è unito al GSPC in qualità di capo di una banda di
contrabbandieri che in un secondo momento si è fusa con il Gruppo Salafita per la Predicazione e il
Combattimento. In seguito Benmokhtar è stato messo a capo della “Sesta Regione” del GSPC che copre
tutta l’area del Sahara algerino. La cellula di Benmokhtar si occupa del controllo di una grossa parte del
redditizio contrabbando tra i Paesi del Sahel e del Maghreb.
94
Country Report on Terrorism (D. o. United States, Country Reports on Terrorism 2006 2007)
95
Amar Saïfi, più noto come Abderrezak El Para, è originario della regione del Guelma. Nel 1991 viene
radiato dall’ Armée Nationale Populaire dove era in forze come paracadutista nelle truppe speciali della
regione di Biskra, da cui il suo soprannome di El Para. (Zerrouk 2005). Nel 1999 si unisce al Gruppo
Salafita per la Predicazione e il Combattimento di Hattab, poco dopo la sua fondazione da una costola del
Gruppo Islamico Armato (GIA). El Para avrebbe partecipato all’organizzazione di diverse operazioni del
GSPC. Ci sarebbe lui dietro l’imboscata ad una pattuglia dell’ Armée Nationale Populaire (ANP) nella zona
di Theniet El-Abed nel gennaio del 2003, costata 43 vittime all’esercito algerino. Ci sarebbe sempre lui
dietro il rapimento del Senatore Mohamed Bédiar e di 32 turisti. Questi rapimenti hanno fruttato al GSPC
un riscatto valutato intorno ai 5 milioni di euro (Ibrahim 2005). El Para aveva la responsabilità di guidare la
“Quinta Regione” del GSPC, che si estende dall’Aurès alla frontiera tunisina. È la “Regione” militarmente
più attiva. Ricercato anche dai governi del Mali e del Niger oltre che da quello algerino, è stato arrestato
con altri 16 commilitoni dopo una fuga attraverso il deserto del Chad dalle truppe ribelli Chadiane
dell’MJDT, il Movimento per la Democrazia e la Giustizia del Chad, un movimento di opposizione al
regime del presidente Idriss Déby. Da qui è stato consegnato alle autorità libiche e estradato in Algeria il 27
ottobre 2004. Sembrerebbe che l’operazione di cattura di El Para sia da inquadrare all’interno del
programma di assistenza militare Pan Sahel Initiative (PSI) e che abbia visto partecipare un numero
considerevole di truppe americane
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
73
GSPC il Modus Operandi
4.3 RECLUTAMENTO
È opinione diffusa tra studiosi e addetti alla sicurezza che criminalità,
diseguaglianza, alienazione culturale e estremismo religioso hanno creato un
humus fertile per una subcultura basata sulla rabbia e sulla violenza che giustifica le
sue azioni con retorica estremista.
Negli ultimi anni, Al-Qāʿida ha costruito un apparato di reclutamento che
guarda con attenzione agli immigrati appena arrivati nel Paese di destinazione, a
francesi-algerini di seconda generazione, a neoconvertiti disillusi96 e a tutti quelli
strati sociali che difficilmente trovano una reale integrazione nella società
ospitante.
Le
azioni
un’organizzazione
di
reclutamento
multinazionale
del
ben
GSPC
sono
equipaggiata
mirate a
con
individui
creare
dalle
competenze eterogenee. A questo scopo il GSPC ha reclutato in massa in Mali,
Niger, Mauritania e in Europa. Le autorità britanniche sospettano che il
reclutamento del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento in
Algeria avvenga principalmente sulla base di legami familiari.
In Europa il reclutamento più efficace è soprattutto quello indirizzato a
giovani francesi disillusi di origine algerina. Le cellule europee del gruppo hanno
costituito la loro “base algerina” attraverso il reclutamento di militanti radicali
ritornati in Europa dopo un periodo di “formazione” in aree di combattimento
quali la Bosnia, la Cecenia e l’Afghanistan.97 I servizi di sicurezza olandesi
96
(Rotella 2003)
97
Country Report on Terrorism (D. o. United States, Country Reports on Terrorism 2006 2007)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
74
GSPC il Modus Operandi
riportano che il GSPC ha reclutato giovani immigrati musulmani nelle moschee
dei Paesi Bassi e li ha incoraggiati ad unirsi a movimenti Jihādisti in aree di
conflitto come Afghanistan e Kashmir.
Mohamed Sifaui, un giornalista franco-algerino infiltrato nel GSPC e
reclutato da Karim Bourti98, descrive in un suo libro l’iter che lo ha portato ad
unirsi alle fila del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento99. Sifaui
riporta come Bourti organizzasse corsi gratuiti di arabo per le reclute in cui
venivano letti dei testi inneggianti al Jihād, ai combattenti mujāhidīn e ad Osāma
Bin Lāden. In seguito, piccoli gruppi formati dalle reclute più promettenti
vengono portati per un ritiro di una settimana in montagna o in aree remote per
esercitazioni, discussioni sull’Islam e per rinsaldare i legami all’interno del gruppo.
I più motivati hanno la possibilità di accedere ad un vero addestramento nei
campi di Al-Qāʿida in Cecenia, Pakistan o Afghanistan. Sifaoui scrive100 che
98
Cittadino algerino ed ex cittadino francese dal 2006, data della revoca della cittadinanza francese (D. o.
United States, Country Reports on Terrorism 2006 2007), è stato condannato per associazione terroristica
nel 1998 dalle autorità di Parigi. Bourti ha ricevuto il suo addestramento operativo in Pakistan, esperienza
che lo ha segnato a tal punto da indurlo ad adottare l’abbigliamento tradizionale pachistano (Is Pakistan a
launch-pad for terrorism? Daily Times 18 luglio (Daily 2005)). Bourti entra in Francia il 24 dicembre 1996
con un permesso di soggiorno valido per dieci anni. Sposa una cittadina francese di origine algerina al
consolato francese ad Algeri. È conosciuto dalle autorità per i suoi legami di lunga durata con il terrorismo
di matrice islamica. In una perquisizione nel suo appartamento il 26 maggio 1998, le autorità francesi
trovano 22 comunicati del GSPC e prove inconfutabili dei suoi legami con Omar Saiki, l’allora capo della
cellula parigina del GSPC, e con altri esponenti di spicco del fondamentalismo islamico (Chichizola 2006).
Principale agente operativo del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento a Parigi e
reclutatore per il Jihād internazionale, il <<Time>> ne parla come “un venditore professionista che sa
come ricamare su misura il suo discorso parlando a braccio al suo auditorio. Il prodotto che vende è il
terrorismo Islamico e Burti chiama la sua tecnica takiya, un approccio a due facce che cela il suo vero credo
ai profani. Quando parla a un “fratello” militante, il trentacinquenne Bourti, parla senza timore del suo
desiderio di morire in battaglia. Quando il suo auditorio è un potenziale convertito, ancora diffidente del
suo messaggio violento, Bourti plasma e ammorbidisce il suo linguaggio” (Crumley 2003). Arrivato a Parigi
nel 1996, Bourti inizia quasi immediatamente ad operare in gruppi islamisti. Il suo talento come reclutatore
e come procacciatore di finanziatori ha portato il GSPC a conferirgli ili ruolo di primo agente operativo a
Parigi. Nel 1998 Bourti e i membri della sua cellula vennero arrestati e accusati di pianificare attacchi in
concomitanza con i campionati del mondo di Francia del 1998. Trascorrerà tre anni in prigione. In
un’intervista a France 2 abbandona la sua abituale cautela e dichiara di “incoraggiare e incitare il popolo al
Jihād. Il mondo deve essere governato dalla parola di Allah. L’unica persona che oggi segue il vero Islam è
lo Sceicco Osama Bin Laden.” (Da un’intervista a France 2 del gennaio 2003).
99
(Crumley 2003)
100
(Sifaoui 2004)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
75
GSPC il Modus Operandi
Bourti si fregiava di aver personalmente inviato almeno due cittadini francesi nei
campi di addestramento di Al-Qāʿida101. Karim Bourti è sospettato di aver
reclutato in moschee102, sale di preghiera, ospedali e prigioni. Obbiettivo del suo
reclutamento sono stati diversi studenti universitari ed anche impiegati alla
manutenzione di aeroporti. Negli ultimi anni il GSPC ha assunto il ruolo di
maggior rilievo in Europa nell’ambito del reclutamento e del supporto logistico
per le operazioni di Al-Qāʿida.103
Oltre al reclutamento diretto, il GSPC utilizza supporti audio video di
propaganda per raggiungere i potenziali adepti. Secondo fonti del servizio di
sicurezza britannico, la prima copia di un video preparato dalla “sezione
audiovisivi del servizio di propaganda del Gruppo Salafita per la Predicazione e il
Combattimento” è arrivato in Inghilterra solo pochi giorni prima degli attacchi
dell’11 settembre. Da quel momento numerose copie sono circolate tra i gruppi
estremisti residenti in Gran Bretagna allo scopo di farle visionare a potenziali
reclute. Le proiezioni sono state effettuate in case private e, spesso, in luoghi di
culto e moschee104 nei momenti di maggiore affluenza in modo da garantire un
considerevole pubblico di studenti e giovani in generale. Questi video, uniti alla
carismatica presenza di personaggi del calibro di Bourti, hanno avuto un notevole
impatto sui giovani in cerca di una guida spirituale e di uno scopo di vita in
seguito agli avvenimenti dell’11 settembre e alle reazioni che hanno coinvolto i
giovani di fede musulmana in Occidente. Si tratta molto spesso di giovani che
101
Brahim Yadel, attualmente detenuto a Guantanamo, e Hervé Djamel Loiseau, trovato morto nelle
montagne di Tora Bora (Afganistan) nel dicembre 2001.
102
Secondo diversi testimoni dei comunicati del GSPC, che annunciavano la morte di truppe governative
algerine, erano affissi, almeno fino a tempi recenti, sulla bacheca della moschea di Rossmore Road a
Londra.
103
(Keats 2003)
104
Si sospetta che molte di queste proiezioni si siano tenute alla Moschea di Finsbury nella zona nord di
Londra dove Abu Hamza guidava le preghiere.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
76
GSPC il Modus Operandi
hanno una scarsa conoscenza dell’Islam e che sono facilmente condizionabili dal
carisma di “Imàm 105” che mostrano loro la strada della violenza.
Il contenuto dei video è generalmente molto simile. Il video circolato in
Gran Bretagna prima dell’11 settembre iniziava con una scritta in arabo su sfondo
nero che incitava a <<Combatterli finché la parola di Allah non sarà portata sulla
Terra>>. Quindi un testo scorre sullo schermo con il sottofondo di versi cantati
del Corano. << Dovete uccidere nel nome di Allah finché non sarete uccisi, così
conquisterete per sempre il vostro posto in Paradiso. Tutto il mondo islamico
deve alzarsi e combattere contro tutti i malati miscredenti. La bandiera del Jihād
sventolerà alta per sempre>>, e continuava quindi sancendo che << i nostri
nemici combattono nel nome di Shayṭān106. Voi combattete nel nome di Allah>>.
L’immagine cambia in una scena filmata da dietro un cespuglio sovrastante una
strada di montagna. I guerriglieri osservano l’avvicinarsi di un convoglio di truppe
governative fino all’esplosione di un ordigno piazzato sul ciglio della strada e al
fuoco prolungato di armi automatiche. L’immagine si sposta quindi sulla strada e
sulla macabra scena dei corpi dei militari e sulla raccapricciante fine rituale
imposta ai sopravvissuti. Il resto del video è meno cruento e mostra un leader del
Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento che pianifica un attacco
con dei guerriglieri, l’addestramento dei combattenti e scene di vita quotidiana al
campo.
105
Utilizzato nel senso di guida. Vedi glossario.
106
Analogo al Satana cristiano. In Arabo ha una doppia valenza sia come nome che come aggettivo. Come
nome è da intendersi come <<avversario>>, <<nemico>> o <<oppositore>>. Come aggettivo assume
spesso il significato di <<malvagio>>
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
77
GSPC il Modus Operandi
Secondo
fonti
della
sicurezza
algerina, numerose copie del video sono
state distribuite in Francia, dove la
comunità
algerina
è
particolarmente
nutrita, e nel resto d’Europa.
Sempre fonti del governo algerino
rivelano la presenza di circa 200 individui
in Gran Bretagna legati ad attività
Figura 2 – Screenshot del video di propaganda
virtuale (YouTube.com)
terroristiche in Algeria. Tuttavia non
viene fatta distinzione tra semplici
simpatizzanti,
attivisti
combattenti.
Alcuni
politici
di
o
loro
sembrerebbero aver seguito il sentiero
tipico
del
trascorrendo
radicalismo
qualche
islamico,
tempo
in
Afghanistan durante la guerra contro
l’Unione Sovietica prima di tornare in
patria ed entrare nella leadership di
Figura 3 - Screenshot del video di propaganda
virtuale (YouTube.com)
movimenti estremisti. Da li sono stati
costretti ad emigrare in Europa per
sfuggire alle misure restrittive dei loro
governi.
Un caso molto interessante di
propaganda è tra i video pubblicati su
Figura 4 - Screenshot del video di propaganda
virtuale (YouTube.com)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
78
GSPC il Modus Operandi
YouTube107. Si tratta di una ricostruzione in stile videogioco d’azione in 3D di
un’imboscata alle truppe governative algerine. È un esempio interessante di
propaganda diretta ad un pubblico giovane, avvezzo all’utilizzo di computer e
videogiochi. Il salto di qualità degli strumenti propagandistici è evidente non solo
per il target giovanile del messaggio, ma anche per la tecnologia impiegata. I
classici video di propaganda ritraggono generalmente azioni reali riprese da una o
più postazioni preceduti o seguiti da messaggi recitati, scritti o filmati dei leader
del gruppo. In questo caso, invece, assistiamo ad una evoluzione in senso virtuale
del messaggio. Dietro il video in questione c’è un notevole lavoro di computer
grafica in 3D che dimostra una partecipazione diretta alle attività del GSPC di
individui presumibilmente giovani e con un’educazione medio alta.
4.4 TIPOLOGIA DEGLI ATTACCHI
La tattica utilizzata dal Gruppo Salafita per la Predicazione e il
Combattimento per portare a termine I suoi attacchi contro le truppe governative
è quella tipica dell’imboscata da guerriglia.
Nell’economia degli attacchi il Gruppo Salafita per la Predicazione e il
Combattimento fa largo uso di “auto bomba” (VBIED108) per le operazioni di
guerriglia. La “Brigata Vulcano” del GSPC, ad esempio, ha rivendicato l’attacco
ad una centrale elettrica algerina condotto con un furgone imbottito di esplosivo
parcheggiato lungo il perimetro esterno dell’impianto109. Si tratta di uno degli
attacchi più cruenti del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento.
107
http://youtube.com/watch?v=RaT585jKwag
108
Acronimo per “Vehicle Borne Improvised Explosive Device"
109
Reuters, 27 giugno 2004
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
79
GSPC il Modus Operandi
Figura 5 - Potenziale esplosivo VBIED (U.S. Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives)
Oltre al collaudato impiego di VBIED, il GSPC ha mostrato interesse
nell’impiego di esplosivi contro bersagli navali come emerso dopo la cattura di un
membro del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento in una
scuola per immersioni olandese. Dalle indagini è emerso che la cellula a cui faceva
riferimento stava valutando la possibilità di attacchi contro unità navali,110 ponti,
dighe e piattaforme petrolifere.
Nella fase di transizione da Gruppo Salafita per la Predicazione e il
Combattimento ad Al-Qāʿida nel Maghreb Islamico, il GSPC ha mutuato
dall’organizzazione di Bin Lāden anche l’utilizzo di attentatori suicidi, come
110
Gruppi fondamentalisti non sono nuovi ad azioni contro unità navali, come dimostrato dal caso della USS
Cole. La U.S. Navy guided missile destroyer USS Cole (DDG 67) fu attaccata e gravemente danneggiata da
una piccola imbarcazione carica di esplosivo il 12 ottobre 2000 durante una sosta di routine nel porto di
Aden (Yemen). 17 marinai hanno perso la vita nell’attacco rivendicato da Al-Qāʿida.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
80
GSPC il Modus Operandi
dimostrano i recenti attacchi. Nel 2007 sono stati diversi gli attentati contro
istituzioni governative algerine per mezzo dei cosiddetti “Shahīd”, arma finora
sconosciuta agli estremisti islamici algerini111.
4.5 COLLEGAMENTI CON ALTRI GRUPPI RADICALI
Il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento è sospettato di essere
stato costituito con i fondi e la direzione strategica di Osāma Bin Lāden. Un ex
membro del GSPC ha testimoniato durante un processo che Osāma Bin Lāden e
Hassan Hattab comunicavano per mezzo di un telefono satellitare e che Bin
Lāden avrebbe esortato Hattab a fondare il GSPC per “dare un’immagine
migliore del Jihād contro le autorità miscredenti”112.
Già dalla sua fondazione, il GSPC ha utilizzato la sua rete in Europa per
facilitare il reclutamento e le operazioni di Al-Qāʿida. Il leader del Gruppo
Salafita per la Predicazione e il Combattimento, Doha, ha servito come figura di
rilievo in uno dei campi di addestramento di Al-Qāʿida in Afganistan prima di
trasferirsi in Gran Bretagna nel 1999. Il GSPC ha inoltre lavorato a stretto
contatto con esperti di Al-Qāʿida proveniente dalle Gole del Pankisi (Georgia)
per stabilire una “rete della ricina”113 in Europa114. L’interesse di Al-Qāʿida nei
111
AQIM ha già rivendicato gli attentati contro il palazzo del governo ad Algeri e un commissariato di polizia
in periferia (11 aprile 2007), l’attacco alla caserma dell’esercito algerino a Lakhdaria, la missione suicida di
Batna (6 settembre 2007) e l’attentato a Dellys contro una caserma della Guardia Costiera Algerina.
L’attentatore, Nabil Belkacemi, aveva appena 15 anni (RaiNews24)
112Agence
113
France Press (Agence 1999)
La ricina è una proteina presente nei semi della pianta Ricinus communis. È una potente citotossina naturale:
è infatti in grado di causare morte cellulare bloccando l'attività di sintesi proteica dei ribosomi. La dose
letale per l'uomo è generalmente indicata in 0.2 milligrammi, sebbene alcune fonti forniscano valori
superiori. La ricina è una potenziale arma di distruzione di massa per la sua alta tossicità e facile reperibilità
e preparazione. (www.wikipedia.org). Si calcola che nel mondo ogni anno vengano lavorate circa un
milione di tonnellate di semi di ricino per produrre olio. E' così potente che un solo seme sarebbe
sufficiente ad uccidere un bambino. La ricina può agire per inalazione o per ingestione. La rapidità e
l'intensità con cui si manifestano i sintomi dipendono dalle dosi. Nel primo caso provoca seri danni ai
polmoni nell'arco di otto ore e può uccidere in tre giorni. Se invece viene ingerita, causa disturbi
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
81
GSPC il Modus Operandi
confronti della ricina è stato dimostrato in diverse occasioni. Nel novembre 2003,
giornalisti al seguito delle truppe americane trovarono diversi documenti lasciati
dai talebani in fuga nelle case di Kabul, tra cui una “ricetta” per il trattamento
della ricina115. Sempre nel 2003 i reparti antiterrorismo della polizia britannica
hanno trovato tracce di ricina in un appartamento di Wood Green, a nord di
Londra, durante un blitz in cui furono arrestati cinque algerini vicini all’Imam
della moschea di Finsbury Park Abu Hamza Al-Masri116.
Nel 2003, quando Nabil Sahraoui117 ha assunto la guida del GSPC, il
gruppo ha riaffermato la sua lealtà ad Al-Qāʿida. La leadership di Sahraoui è
durata circa un anno ed è stata interrotta dalla sua morte durante uno scontro con
le truppe governative algerine. Se la leadership ha subito un cambiamento, lo
stesso non si può dire della linea strategica del GSPC che con la nuova guida di
Abou Moussab Abdelouadoud (Abdelmalek Droukdel118), ha rinsaldato
gastrointestinali, formazione di coaguli nei vasi sanguigni e danni agli organi. La tossina è un potente
veleno per le cellule, dato che agisce bloccandone il motore: la sintesi delle proteine. Nonostante
recentemente siano stati annunciati negli Stati Uniti risultati positivi sulla sperimentazione di un vaccino,
quest'ultimo non è ancora disponibile. In attesa di quest'unica arma efficace, l'unica raccomandazione per
difendersi dagli effetti della tossina in caso del suo uso come arma biologica è una maschera di protezione.
(La Repubblica 3 febbraio 2004)
114
(Mobley e Rosenbach 2005)
115
“Provoca la morte per asfissia, Al Qaeda l’avrebbe sperimentata” La Repubblica, (07 gennaio 2003)
116
“Londra, presi sei nordafricani, avevano un potente veleno” La Repubblica, (07 gennaio 2003)
117
Nabil Sahraoui, conosciuto anche come Mustapha Abou Ibrahim, è stato a capo del Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento dal 2003, in seguito al ritiro del fondatore del GSPC Hassan Hattab, fino
al 2004, data della sua morte. Sotto la sua leadership il GSPC ha stretto i suoi legami con Al-Qāʿida dando
via al percorso culminato con la fusione nell’organizzazione di Bin Laden e il cambio di nome in Al-Qāʿida
nel Maghreb Islamico. Nabil Sahraoui è morto il 20 giugno 2004 durante un conflitto a fuoco con l’esercito
algerino. È stato rimpiazzato alla guida del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento da
Abou Mossab Abdelouadoud, nonostante le obiezioni dell’ex leader e fondatore del GSPC Hassan Hattab.
118
Abdelmalek Droukdel, alias Abu Moussab Abdelouadoud, ha assunto la guida del Gruppo Salafita per la
Predicazione e il Combattimento nel 2004, dopo la morte in combattimento del suo predecessore Nabil
Sahraoui. Nel marzo 2006 entra in vigore la Rèconciliation Nationale, con cui il governo algerino mirava a
porre fine alla violenza per mezzo di un’amnistia generale. Il GSPC sotto la guida di Abdelouadoud rifiuta
l’amnistia e al suo leader e ai suoi rapporti con Al-Zarqawi si deve l’assunzione del “marchio” di Al-Qāʿida
e il cambiamento del nome in Al-Qāʿida nel Maghreb Islamico. Sotto la sua guida, AQIM punta a
raggruppare sotto un’unica sigla tutti i gruppi islamisti armati del Nord Africa. Abu Moussab
Abdelouadoud ha eletto Abou Moussab Al-Zarqawi a suo modello. Abdelouadoud mutua da Al-Qāʿida il
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
82
GSPC il Modus Operandi
ulteriormente i legami con Al-Qāʿida, grazie anche ai rapporti personali tra
Abdelouadoud e il luogotenente di Bin Lāden, Al-Zarqawi. Con Abdelouadoud il
Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento ha assunto il ruolo di
coordinatore di tutti i gruppi estremisti islamici del Nord Africa cambiando la sua
denominazione in Al-Qāʿida nel Maghreb Islamico (AQIM). Non si è trattato
solamente di un cambio formale; la nuova denominazione ha comportato
l’effettivo inserimento del GSPC nella “galassia” di Al-Qāʿida e all’interno di un
network più ampio incrementando i suoi contatti con analoghi gruppi in tutto il
Nord Africa, come dimostrano gli arresti di alcuni tunisini e marocchini ad Algeri
all’inizio del 2007. Durante gli interrogatori, gli arrestati hanno confessato di
appartenere a gruppi eversivi salafiti nei rispettivi Paesi di provenienza e di essere
in Algeria per contatti con il GSPC119
4.6 LE INIZIATIVE INTERNAZIONALI
Tra le varie iniziative regionali per la lotta all’estremismo salafita armato, è
degno di nota il Pan Sahel Initiative (PSI). Si tratta di un programma di assistenza
militare, operativo ufficialmente a partire dal novembre 2003, con uno
stanziamento di 6,5 milioni di dollari per il 2004120. Il PSI è nato come un
programma che puntava a supportare Mali, Chad, Niger e Mauritania a
combattere <<il contrabbando, la criminalità internazionale e i movimenti
terroristici>>. Circa 250 tonnellate di materiali e 350 militari tra effettivi del 32°
Gruppo operazioni speciali dell’esercito degli Stati Uniti e unità della CIA, sono
stati inviati nella regione con un ponte aereo dalla base di Rota in Spagna con una
ricorso agli attentati suicidi in Algeria, arma finora mai utilizzata dagli estremisti islamici algerini. A partire
dal dicembre 2006 si è vista una notevole recrudescenza delle operazioni di del GSPC in Algeria e un
moltiplicarsi di comunicati per voce di Abdelouadoud che chiedono agli algerini di unirsi alla lotta contro
gli interessi europei e in particolare francesi.
119
(Oberlé 2007)
120
U.S. Department of State (Fisher-Thompson 2004)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
83
GSPC il Modus Operandi
Figura 6 - Mappa del Pan Sahel Initiative (Globalsecurity.org)
copertura aerea dalle basi della RAF a Mildenhall e a Lakenheath in Gran
Bretagna.
Il 24 marzo 2004, i capi di stato maggiore di Algeria, Chad, Mali,
Mauritania, Marocco, Niger, Senegal e Tunisia, si sono riuniti presso la sede del
comando europeo dell’esercito americano (US-Eucom) a Stoccarda dando il via
ad una “cooperazione militare nella lotta globale contro il terrorismo” nell’area
del Sahel. L’interesse americano per la regione del Sahel è cresciuto negli anni
come dimostrano le numerose visite dell’allora segretario di stato Colin Powel e
dello stesso George W. Bush, oltre che di un gran numero di alti ufficiali
dell’esercito americano.
Sarebbe da inquadrare nell’ambito del Pan Sahel Initiative l’operazione che
ha portato alla cattura di Amar Saïfi (El Para) e l’uccisione di Nabil Sahraoui da
parte dell’esercito algerino.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
84
GSPC il Modus Operandi
Nel 2005 il Pan Sahel Initiative è stato esteso a sette Paesi africani
convergendo nel Trans-Sahara Counterterrorism Initiative (TSCI). Gli scopi del
TSCI sono sostanzialmente analoghi a quelli del Pan Sahel Initiative e consistono
nel rafforzamento delle misure anti-criminalità e anti-terrorismo nell’area
sahariana sotto il coordinamento degli Stati Uniti. Il TSCI prevede un budget di
spesa annuo di circa 100 milioni di dollari per cinque anni121.
Figura 7 Mappa PSI e TSCTI (Globalsecurity.org)
È previsto l’ingresso nel programma di diverse agenzie del Governo
americano. La US Agency for International Development, ad esempio, si
occuperà di sviluppare progetti per l’educazione; il Dipartimento di Stato si
occuperà della sicurezza aeroportuale e il Dipartimento del Tesoro del controllo
delle spese nella regione.
121
Globalsecurity.org
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
85
GSPC il Modus Operandi
L’aumento dell’impegno americano nella regione ha sollevato molte critiche
e diversi sospetti sulla non casualità di tale intervento122 dovute alla ricchezza di
materie prime della regione123. I critici guardano con sospetto a iniziative come
l’AGOA124 o l’ACOTA125, viste come la “longa manus” degli USA sulle risorse del
continente
Africano.
L’ACOTA,
ad
esempio,
prevedeva
inizialmente
l’addestramento delle truppe regolari con armi non letali per operazioni di
peacekeeping. Di fatto ha equipaggiato le truppe con standard americani sotto la
guida dell’Eucom. Il supporto logistico è assicurato da alcune imprese private
specializzate americane come ad esempio la Logicon del gruppo NorthropGrumman o Military Professional Resources Inc (Mpri)126. L’Mpri si occupa della
formazione del personale attraverso centri di formazione detti JCATS (Joint
Combined Arms Training Systems). I JACTS impiegano complessi software di
simulazione di teatri di guerra.
Anche la formazione dei quadri militari e della classe dirigente nei Paesi del
Sahel è stata oggetto di attenzione da parte del Governo degli Stati Uniti. Nel
1999 è stato costituito l’Africa Center for Strategic Studies (ACSS) da una branca
della National Defense University del Pentagono. L’ACSS si occupa della
122
(Abramovici 2004)
123
Essenzialmente manganese (per la produzione dell’acciaio), cromo e cobalto (per le leghe utilizzate in
aeronautica), oro, antimonio e fluoro. Zaire e Zambia possiedono il 50% delle riserve mondiali di cobalto,
mentre il 98% delle riserve mondiali di cromo si trova in Zimbabwe e Sudafrica. Non sono neanche da
sottovalutare i giacimenti di petrolio di Angola e Nigeria.
124
L’African Growth and Opportunity Act (AGOA) è un atto legislative approvato dal Congresso
Americano nel maggio 2000 (Title I, Trade and Development Act of 2000; P.L. 106-200). Lo scopo dichiarato è
di assistere i Paesi dell’Africa Sub-Sahariana nel miglioramento delle relazioni economiche con gli USA.
Questo atto è stato da molti visto come una violazione delle norme del WTO.
125
African Contingency Operations Training and Assistance (ACOTA). Precedentemente demoninato
African Crisis Response Initiative (ACRI). Si tratta ufficialmente di un programma degli Stati Uniti per
l’addestramento militare e l’equipaggiamento di eserciti regolari africani per il supporto di operazioni di
peacekeeping. L’ACOTA ha sostituito l’ACRI nel 2004 e ha l’obiettivo dichiarato di aumentare le capacità
degli eserciti nazionali in settori come i diritti umani, l’interazione con la società civile e il diritto
internazionale. Più di 40.000 effettivi sono stati addestrati in peacekeeping negli ultimi cinque anni.
126
Una ditta di consulenza privata nel settore della sicurezza, diretta da ex funzionari americani. Opera per
conto di governi, tra cui quelli iracheno.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
86
GSPC il Modus Operandi
formazione dei responsabili dei partiti politici, di capi di impresa e dei vertici
militari. I programmi vertono sulle relazioni tra militari e civili, sulla sicurezza
nazionale e sull’economia della difesa127. Questa capillare penetrazione nel sistema
difensivo dei Paesi africani, consente un controllo degli USA sulle materie prime e
sulle vie di comunicazione della regione e fornisce un accesso illimitato ai mercati
e alle risorse energetiche.
4.7 CONCLUSIONI
Il vero trampolino che ha proiettato ad altezze siderali la campagna
mediatica dei gruppi fondamentalisti islamici è stato il conflitto iracheno. I video
degli attacchi, le classifiche delle “migliori esplosioni”, le gesta dei cecchini, hanno
riempito Internet, invadendo spazi come YouTube o Liveleak. Oggi qualsiasi
fazione deve avere un sito, un logo e delle musiche per corredare le proprie
azioni, secondo le più comuni regole del marketing; altrimenti rischia di non essere
presa sul serio. Il grande spazio concesso da giornali e tv, sia occidentali che arabi,
hanno fatto il resto. Non hanno bisogno di comprare spazi nel palinsesto di una
emittente, la loro clip “promozionale” viene trasmessa comunque e
gratuitamente. In questo AQIM risulta essere tra i più esperti, alzando il volume
della propaganda su Internet.
Una maggiore visibilità, esattamente come nel commercio, garantisce un
maggiore afflusso di finanziamenti da parte dei sostenitori per aiutare “la causa” e
una crescente partecipazione alle operazioni.
Propaganda e uso delle nuove tecnologie di comunicazione si sono resi
indispensabili per aumentare l’apeal delle ideologie radicali islamiche tra i giovani,
sia nei Paesi arabi che nelle periferie europee. In contemporanea, l’aver alzato il
127
(Abramovici 2004)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
87
GSPC il Modus Operandi
livello del conflitto con attacchi sempre più spettacolari e in “diretta tv” ha
garantito una costante presenza sui media internazionali che, loro malgrado,
fungono involontariamente da megafono per il messaggio dell’islam radicale.
CONCLUSIONI
CONCLUSIONI
6
La lotta al GSPC
‹‹ Poiché la nave uscì dalle correnti
Del gran fiume Oceàno, ed all'Eèa
Isola giunse nell'immenso mare. ››
(“Odissea, 12”)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
89
Conclusioni
CONCLUSIONI
Lo scopo che mi sono prefisso con questo lavoro di ricerca è stato quello
di analizzare il fenomeno dell’islam radicale da una prospettiva razionale. Ho
intenzionalmente evitato di utilizzare termini come “terrorismo” o “fanatismo”, a
mio avviso fin troppo abusati in gran parte della letteratura e dei media, per non
lasciar condizionare la mia ricerca da elementi di propaganda e per evitare di
contribuire all’assioma, privo di alcun fondamento, “islam = terrorismo”.
Durante i miei ormai numerosi contatti con la cultura araba e islamica in
generale, ho avuto modo di apprezzarne gli aspetti più alti, rendendomi conto di
come posizioni estremiste e violente siano lontane dal pensiero islamico non
meno di quanto lo siano le posizioni xenofobe e razziste di alcuni gruppi
neonazisti dal pensiero dell’Occidentale medio. Purtroppo però non è sempre
l’immagine più veritiera a passare. La “pubblicità ingannevole” di chi
strumentalizza la cultura e la religione islamica rischia di offuscare la realtà con il
suo messaggio assordante e fazioso. Gli interessi di gruppi di potere, sia in
Oriente che in Occidente, sembrano molto spesso coincidere con una situazione
di conflitto permanente che stordisce le masse e le rende vulnerabili alla
propaganda di una parte o dell’altra.
Finché saranno solo le immagini delle Twin Towers che crollano o le
cronache di donne kamikaze a fare il giro dei network occidentali, finché gli arabi
resteranno “invisibili”, per citare la giornalista Paola Caridi128, l’immagine del
mondo islamico non potrà che essere falsata e largamente incompleta e la teoria
dello “scontro di civiltà” non potrà che auto avvalorarsi. Non si può permettere
che millenni di storia e cultura di un intero popolo vengano messi in ombra dalle
128
Cfr. Paola Caridi, Arabi invisibili (Milano: Feltrinelli, 2007).
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
90
Conclusioni
azioni scellerate di gruppi minoritari che si nascondono dietro una religione
ridotta a mero paravento per legittimare atti altrimenti ingiustificabili.
Fortunatamente, negli ultimi anni si sta verificando una reazione dal basso
per combattere quest’ignoranza reciproca. Dal 2000 ad oggi, il numero degli
studenti occidentali iscritti a corsi di lingua e cultura araba è più che decuplicato. I
nuovi mezzi di comunicazione e il cosiddetto “Web 2.0”, ossia quei canali di
scambio costituiti da social network come Facebook, MySpace, YouTube e la
diffusione sempre maggiore di blog e spazi di dialogo virtuale consentono un
maggiore scambio di conoscenze e un incontro, seppure virtuale, tra culture
diverse. Iniziative come quella della Regina Rania di Giordania, possono rivestire
un ruolo di grande rilievo per la lotta ai pregiudizi che condizionano la visione del
mondo islamico dalla prospettiva occidentale. Rania, con il suo canale
YouTube129 offre la possibilità a chiunque ne abbia voglia di mettersi in contatto
con lei per ottenere risposte dal punto di vista di chi vive nel mondo arabo. Solo
combattendo l’ignoranza si potranno scongiurare gli esiti catastrofici di uno
“scontro di civiltà”.
<<Solo l’uomo colto è libero.>>
Epitteto (130-50 a.C.)
129
http://it.youtube.com/user/queenrania
APPENDICE
CARTOGRAFIA
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
93
Cartografia
Figura 8 - Carta geografica dell'Algeria (Algerian Ministry of Energy and Mining)
DA GSPC AD AQIM
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94
Cartografia
Figura 9 - Mappa degli Idrocarburi (Algerian Ministry of Energy and Mining)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
95
Cartografia
Figura 10 - Rete degli Oleodotti (Sonatrach)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
96
Cartografia
Figura 11 - Mappa delle Concessioni Petrolifere (Sonatrach)
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
97
Glossario
GLOSSARIO
Al-Qāʿida (‫)القاع دة‬: Parola araba traducibile come “la base”. È guidato
dal miliardario saudita Osāma Bin Lāden che si avvale però della determinante
guida ideologica di Ayman Al-Zawāhirī (ex medico del Cairo, appartenente a una
nota famiglia di dotti religiosi e di magistrati), entrambi riconducibili all'attivismo
ideologico-politico dello shaykh ʿAbd Allāh Yūsuf ʿAzzām. Al-Qāʿida è nata
come
organizzazione
di
guerriglia
al
tempo
dell'invasione
sovietica
dell'Afghanistan ed è per questo stata aiutata e istruita dagli USA, favorevoli a
tutto ciò che potesse creare difficoltà all'URSS. Dopo la caduta del regime filosovietico, Osāma Bin Lāden inviò una lettera al re dell'Arabia Saudita
proponendogli di appoggiare Al-Qāʿida per bloccare l'invasione irachena del
Kuwait e impedire il conflitto. Il re rifiutò dichiarando l'organizzazione fuori
legge. Da allora Al-Qāʿida ha mosso guerra verso gli USA e i paesi loro alleati.
Fatwà (‫)فتوى‬: è la risposta fornita a un giudice musulmano da un
giurisperito ( faqīh ) su un quesito presentatogli per sapere se una data fattispecie
sia regolamentata dalla Sharī‘a e quali siano le modalità per applicarne il disposto.
In questo caso il faqīh viene detto Muftī.
Hadíth (‫)ح ديث‬: significa “racconto,” “narrazione” ma ha un significato
molto più importante perché è parte costitutiva della cosiddetta Sunna, la seconda
fonte della Legge islamica ( shari'a ) dopo lo stesso Corano
Imàm (‫)إمام‬:. termine arabo che fa riferimento a una radice lessicale che
indica lo "stare davanti" e, quindi, significa "guida". Può peraltro indicare tanto
una preclara guida morale o spirituale (ed è questo l'uso che per lo più se ne fa in
ambiente politico)
quanto un
semplice devoto musulmano
che sia
particolarmente esperto nei movimenti rituali obbligatori della preghiera canonica.
DA GSPC AD AQIM
“Branding” dell’estremismo salafita algerino
98
Glossario
Da un punto di vista religioso il termine Imàm indica storicamente il capo della
Comunità islamica (Umma) ed è per questo sinonimo di califfo.
Jāhiliyya (‫)جاھلي ة‬: È il termine che in arabo i musulmani danno al
periodo precedente la missione profetica di Maometto. Secondo i musulmani si
tratta quindi di "ignoranza" della verità salvifica che, il Profeta dell'islam avrebbe
avuto l'incarico da Allah di svelare agli uomini col Corano. Oggi il termine ha
conosciuto nuova fortuna dal momento che i movimenti fondamentalisti islamici
hanno preso a usarlo per indicare non tanto gli ambienti non musulmani, quanto
quelli che, ufficialmente musulmani, agiscono però in modo difforme da quanto
quei movimenti reputano essere il più puro e autentico Messaggio islamico. Da
qui il neologismo "giahilita" usato da parti della stampa scritta e parlata nel riferire
di queste polemiche, per buona parte interne al mondo musulmano.
Jihād (‫)جھاد‬: Parola araba che deriva dalla radice
‫ جھد‬che significa
"esercitare il massimo sforzo" o "combattere". La parola connota un ampio
spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede
fino alla guerra santa. In quanto termine istituzionale si raccomanda di conservare
il genere maschile, originario arabo ("il" jihād), anche alla luce del suo primario
significato letterale di "sforzo" o "impegno". Ciò consentirà inoltre di rendere
invece femminile la parola ("la" jihād) quando si voglia parlare di
un'organizzazione militante, tradizionalista o terrorista che faccia uso appropriato
o strumentale di questo termine, intendendolo chiaramente come "guerra santa".
Durante il periodo della rivelazione coranica, allorché Maometto si trovava a
Mecca, il jihād si riferiva essenzialmente alla lotta non violenta e personale. In
seguito al trasferimento (Egira) da Mecca a Medina nel 622, e alla fondazione di
uno Stato islamico, il Corano (22:39) autorizzò il combattimento difensivo. Il
Corano iniziò a incorporare la parola qitāl (combattimento o stato di guerra), e
due degli ultimi versi rivelati su questo argomento (9:5, 29) suggeriscono, secondo
studiosi classici come Ibn Kathīr, una continua guerra di conquista contro i
nemici non credenti.
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Glossario
Kāfir (‫)كافر‬: Ateo, miscredente. Infedele all’Islam. Da cui deriva il termine
Takfir, “scomunica”.
Khilāfah (‫ة‬
‫)خليف‬: Ampiamente considerato come la forma ideale di
governo islamico. Rappresenta l’unità politica e la leadership del mondo islamico.
Come Califfo (Khaleef), il leader politico della comunità (Umma) basa la sua
posizione sulla discendenza dall’autorità politica del Profeta Maometto
(significato coranico del termine Khilāfah). Il Califfato (Khilāfah) è l’unica forma di
governo che trova approvazione totale nella teologia islamica tradizionale e
costituisce il cuore del concetto politico dell’Islam Sunnita.
Mujāhidīn (‫)مجاھدين‬: Si traduce letteralmente dall'arabo con il termine
"combattente", qualcuno che si impegna nel Jihād, ma viene spesso tradotto
come "guerriero santo". Negli ultimi anni, il termine " mujāhidīn, " è divenuto
popolare sui mass-media per descrivere diversi combattenti armati che si ispirano
a ideologie islamiche, anche se la parola non reca sempre un significato esplicito
di "santo" o "guerriero". Infatti il vocabolo ha in sé anche il significato di
combattere, non solo per l'Islam, ma per la propria patria ed è quindi per questo
che il vocabolo significa anche "patriota", nel senso più laico e nazionalista (alMujāhid al-Akbar, "il Combattente Supremo" era l'espressione usualmente
adoperata per il "laico" Presidente tunisino Habib Bourguiba, mentre l'organo più
importante del FLN algerino era il quotidiano al-Mujāhid)
َ ): Nel mondo islamico il termine shahīd va inquadrato nel
Shahīd (‫شھيد‬
Jihād, shahīd è un termine arabo coranico che significa "testimone" e ha lo stesso
significato originario del termine cristiano di "martire" e in questo modo viene
tradotto correttamente dall'arabo. Il "martire" cristiano infatti è colui il quale
"testimonia" la sua fede anche se ciò comportava la morte di fronte all'autorità
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Glossario
romana. Il termine arabo shahīd ha il suo fondamento nel Corano130. Viene
promesso inoltre il paradiso sia a quelli che vincono sia a quelli che cadono nella
guerra santa. Non si accenna quindi al suicidio che invece è proibito dal Corano.
Nell’accezione originaria, il combattente islamico non intende suicidarsi ma
accetta di cadere in battaglia, come il martire cristiano si lascia condannare a
morte. Negli ultimi anni però il termine shahīd è stato impiegato per glorificare i
caduti in azioni mirate ad uccidere gli “infedeli” per mezzo della morte del
“martire”.
Sharī'ah (‫)شريعة‬: Indica la Legge divina contenuta nel Corano e nella
Sunna del fondatore dell'Islam Maometto. Se fonti della legge islamica sono
generalmente considerate il Corano, la Sunna del Profeta, il consenso dei dotti
(ijmā') e l'analogia giuridica (qiyās), la sharī'a accetta solo le prime due fonti in
quanto divinamente prodotte o ispirate.
Shaykh (‫)شيخ‬: Termine arabo che letteralmente significa "vecchio" ma che
in realtà indica una persona che gode di grande rispetto. In ambiente tribale
identifica il capo della tribù (in epoca pre-islamica e islamica antica si usava più
spesso il termine sayyid , ovvero "oratore", che oggi è passato invece a significare
genericamente "signore"). Al giorno d'oggi il termine è sganciato dalla reale
maturità anagrafica e può essere impiegato per chi sia considerato un “Maestro”,
nei campi più disparati dell'attività umana, anche se in quello delle discipline
religiose il fenomeno si realizza maggiormente (si veda, ad esempio, lo shaykh
della moschea-università cairota di al-Azhar), ma il termine può essere anche
riferito - ad esempio negli ambienti "radicali" islamici - a un personaggio quale
Osāma Bin Lādin, giudicato "guida" di quel movimento.
130
Sura Al-Fâtiha (L'Aprente) e Sura :An-Nisâ' (Le Donne)
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Glossario
Shayṭān (‫)شيطان‬:. Analogo al Satana della cristianità. In Arabo ha una
doppia valenza sia come nome che come aggettivo. Come nome è da intendersi
come <<avversario>>, <<nemico>> o <<oppositore>>. Come aggettivo
assume spesso il significato di <<malvagio>>
Umma (‫)أ ّمة‬: Termine arabo che significa letteralmente "Comunità di
fedeli". Designa la comunità dei musulmani al di la della loro nazionalità e della
parcellizzazione dei poteri politici che li governano. Con questo nome si indicò
fin dall'inizio la prima organizzazione politica dei fedeli musulmani che a Medina
(all'epoca Yathrib) vide la luce nel 622 d. C. grazie all'azione del profeta
Muhammad.
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Jihād: Guerra Santa o impegno virtuoso? - Mauro Lovecchio