Caminante no hay camino se hace camino al andar Caminante son tus huellas el camino y nada màs Anton Machado Passeggero non c'è una via la via si fa camminando Viandante sono le tue impronte l'itinerario e nulla più. metodologia pedagogia dei genitori Riziero Zucchi, Augusta Moletti* premessa Questo libro contiene un messaggio per tutte le persone di buona volontà: Ci siamo anche noi. Noi i genitori, quelli che sostengono il mondo, gli danno vita e forma, lo riempiono di amore, investono nel futuro, compiono quotidianamente atti di fiducia, offrono modelli di vita… Tutto questo è qui, in pagine uniche, raccolte interpellando il sapere dei genitori, accostandosi loro con rispetto, chiedendo: Mi spiega per favore suo figlio? Il mondo non deve rimanere orfano, orfano del sapere dei genitori, perché non accolto e valorizzato. È un sapere invisibile, ma efficace, umile, necessario come i fili d’erba che fanno un prato, che spesso calpestiamo senza renderci conto del suo valore. Queste narrazioni sono da leggere la sera, quando i bimbi dormono o quando si è soli, per riscoprire fiducia nel mondo, per procedere nonostante le difficoltà, per accogliere il senso della vita da chi l’ha data al mondo. Per ripensare a noi bimbi e ai pensieri lunghi dei nostri genitori, pensieri che spesso non abbiamo avuto la possibilità di ascoltare; il loro amore era spesso soffocato dal mondo che chiedeva solo lavoro e efficienza, non stava bene mostrarsi troppo affettuosi. Adesso questo amore può liberarsi nel mondo ed estendersi a tutti. Perché l’amore genitoriale espresso nelle narrazioni diventi professionalità di chi si occupa dell’uomo, di chi lo fa crescere, lo cura e lo assiste, gli insegna. Perché un medico o un infermiere non possono accostarsi al malato con la stessa dedizione di un padre o di una madre? È un sentimento presente in tutti, anche in chi non ha figli, ma l’ha provato come figlio e ne è testimone. L’amore genitoriale fa parte della dimensione educativa di chi insegna: quale miglior personalizzazione se non quella di considerare tutti gli allievi figlioli, come li chiamava e li trattava don Milani. E a don Milani Metodologia Pedagogia dei Genitori 1 si è rivolta quando si è voluto proporre la genitorialità come professionalità. Genitorialità di chi non ha figli carnali, ma sente in sé la disponibilità a far crescere il piccolo d’uomo. Abbiamo imparato dal Priore di Barbiana come può e deve esser la genitorialità del III millennio: rigore e tenerezza, che possono convivere per costruire personalità forti e nel contempo attente agli altri. C’è del metodo nelle scelte pedagogiche di don Milani e metodo ci deve esser per quanto riguarda la pedagogia dei genitori. Metodo significa valenza scientifica, sottolineare il valore del sapere dell’esperienza, indicare che ha la stessa importanza del sapere della scienza, è complementare alle conoscenze dei medici, degli insegnanti, degli educatori, ecc. Dietro la validazione delle conoscenze e delle competenze della famiglia vi è la rivoluzione culturale proposta dalla Metodologia Pedagogia dei Genitori che sottolinea come ogni individuo ha una specificità la cui costruzione inizia in ambito familiare. Ogni genitore agisce con intenzionalità educativa edificando giorno dopo giorno la personalità del figlio e da questa azione deriva la dignità del suo sapere sul figlio. Non esistono manuali o regole generali: ogni genitore è artigiano della vita che ha dato al mondo e che ha fatto crescere nel corpo e nell’anima. Chi viene dopo, insegnanti, educatori, medici costruisce, edifica sul lavoro genitoriale, ha il dovere di raccordarsi con la famiglia, di arricchirsi del suo sapere. Il suo tempo è sempre secondario rispetto a quello dei genitori, nel senso che segue, come dice l’etimologia, quello della famiglia. Di qui la necessità di una continuità che prenda le mosse dalla prima educazione, chiedendo ai genitori di narrare il figlio, invitandoli implicitamente a presentare i fondamenti dati alla sua formazione. Le narrazioni dei genitori hanno valenza sociale, poiché ricostruiscono l’itinerario educativo che dà fondamenti etici al futuro cittadino. La filosofa Roberta de Monticelli al capitolo Etica e verità, ovvero come si diventa moralmente adulti, nel libro La questione morale, sottolinea che lo si diventa emergendo da una comunità di vita il cui primo modello 1 A. Moletto R. Zucchi, La Metodologia Pedagogia dei Genitori. Valorizzare il sapere dell’esperienza, Maggioli editore 2013. è la famiglia. Il genitore porta ordine nel mondo rafforzando tutte e solo le posizioni adeguate. La mamma conferma anzi esegue insieme col bambino le risposte adeguate, boccia quelle inadeguate, gli segnala i pericoli, scioglie ansie e paure con le coccole. Senza una disciplina dei divieti e dei consensi con cui ogni comunità umana accoglie un nuovo venuto non avviene neppure l’individuazione primaria, non si forma la coerenza di una mente, il possibile, l’impossibile, la memoria, il linguaggio. Una persona si edifica solo sulla base delle risposte giuste che la nostra infanzia impara a dare nel lungo apprendistato di realtà e di valore che ci contraddistingue come la specie dall’infanzia più prolungata. La famiglia nella situazione sociopolitica contemporanea dovrà avere importanza sempre maggiore se intendiamo fare progredire la società. La sociologia le attribuisce funzioni di mediazione sociale tra l’individuo e la società: è la famiglia che fa da tramite tra il figlio e i vari ambiti che gli permetteranno di acquisire uno spazio sociale: scuola, istituzioni religiose, istituzioni amministrative, ecc. Attua il collegamento tra pubblico e privato presentando il figlio agli attori pubblici che se ne devono occupare, proponendo le prime regole sociali alla prole. Cruciale la mediazione della famiglia tra natura e cultura: i genitori sovrintendono alla crescita fisica, contemporaneamente ne formano il lato relazionale, il carattere, mediando le abitudini e la cultura della comunità. La famiglia diventa protagonista di un cambiamento culturale che può portare ad un miglioramento dei rapporti tra gli uomini e soprattutto a privilegiare l’essere all’avere, sottolineando la formazione e l’educazione delle persone come la vera ricchezza di una nazione. Gli economisti stanno rivedendo gli indici economici riguardanti il benessere e la ricchezza: prendono in considerazione non solo il Prodotto interno lordo (PIL) di una nazione, ma anche il Benessere equo e solidale (BES) 2. In questa ottica le narrazioni presentate dal libro permettono di rendere visibile il capitale sociale invisibile dell’educazione. Ogni racconto è un itinerario di formazione prezioso nella sua unicità e rivendica un’economia misurata sulla formazione dell’uomo e non viceversa. 2 ISTAT, Il benessere equo e solidale (BES), Roma 2013.; Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress, Parigi 2011. Nel Polo per l'Infanzia Madonna Pellegrina è iniziato il percorso fondato sulla Metodologia Pedagogia dei Genitori e durante l’anno si è svolto il Gruppo di narrazione dal quale deriva il libro. Deve andare per il mondo, conquistare le persone, diffondere la buona notizia che la grande maggioranza dei genitori compie il proprio dovere e si aspetta che questo impegno venga condiviso. Sono l’arco che lancia una vita nel mondo e quella freccia scoccata traccia un arcobaleno che collega e impegna tutti. Le narrazioni non vanno lette solo in famiglia per riprendere fiducia e riscaldare il cuore, sono messaggio collettivo per un maggior rispetto e considerazione sociale per i genitori, risorsa essenziale e non solo oggetto di sostegno. l libro è da consigliare agli amministratori pubblici perchè nella crisi del welfare si rendano conto che hanno risorse da valorizzare. Dovrebbe esser letto nelle scuole per fondare il patto educativo insegnanti genitori e creare solidarietà intergenerazionale nei ragazzi, perché la famiglia è quella descritta dal protagonista del film Una storia vera di David Linch. A una ragazza incontrata nel suo viaggio, iniziato per incontrare il fratello malato, egli racconta: Quando ero più giovane facevo un gioco con i miei figli. Davo a ciascuno un bastoncino e chiedevo di romperlo. Poi ne facevo un mazzetto e chiedevo di fare la stessa cosa. Non riuscivano a spezzarli. Allora dicevo: “Vedete, questa è la famiglia”. *Responsabili scientifici Metodologia Pedagogia dei Genitori con i miei occhi: presento mio figlio, mia figlia la prima narrazione V isino rotondo e paffuto, due grandi occhioni neri profondi e penetranti, capelli neri dritti in testa: ecco, così Elisa si è presentata al mondo trentaquattro anni fa. Da subito io e mio marito abbiamo capito che dietro a quel faccino si nascondeva un carattere forte e deciso che l'ha sicuramente aiutata in certe occasioni ma che a volte l'ha anche penalizzata. Lei però non ha modificato il suo modo di essere, decidendo quando imparare ad andare in bicicletta, quando imparare a nuotare, gli studi da intraprendere, il lavoro che voleva fare, le amicizie da frequentare. È sempre stata amante degli animali e della natura, tanto che non ha mai giocato con le bambole, come tutte le bambine, ma sempre con animali di peluche. Ricordo quando giocavamo insieme e facevamo parlare i rispettivi animali, inventando lunghi dialoghi e situazioni fantasiose, oppure i suoi molteplici disegni rappresentanti storie di cani, cerbiatti, volpi a seconda del momento; i tanti libri che prima leggevo io cambiando sempre le voci e che poi ha imparato a fare da sola. Eh sì; momenti molto semplici ma che non dimentico, sperando sia così anche per lei. È molto curiosa: quando qualcosa la interessa studia, ricerca e va a fondo fino a quando non è soddisfatta della sua conoscenza dalla quale, a volte, attingo anch'io. Ama l'arte (forse gliel'ho trasmessa io) e la musica (molto diversa da quella che ascoltiamo io e mio marito) e ciò la porta a desiderare di viaggiare per seguire concerti e mostre. Elisa è piuttosto riservata, perciò ho dovuto imparare a rispettare e capire i suoi silenzi, i momenti in cui potevo e posso insistere e quelli in cui è meglio soprassedere. Ora è una donna e vedo con soddisfazione che si sta realizzando nel lavoro, è sicura e decisa e, insieme a mio marito, siamo orgogliosi del suo percorso. Le auguriamo una vita piena di soddisfazioni e di amore, ma anche tanta forza e coraggio per superare le difficoltà che la vita le proporrà. Mia figlia si chiama Maria Cecilia, ha cinque anni. Maria Cristina Ricordo che, quando ero incinta, sono andata a fare l’ecografia del settimo mese: avendo visto il suo visino sul monitor ho pensato che era il ritratto del suo papà e non mi somigliava affatto, ed ancora oggi somiglia tutta al papà ed è bellissima. Nel tempo ho sperato che potesse cominciare a somigliare anche a me, per potermi riconoscere in lei e così è stato. Non fisicamente, certo, ma Maria Cecilia ha molti aspetti nei quali ora mi riconosco: è dolce, affabile, accogliente. Lo scorso anno dovevo fare un laboratorio con i suoi compagni di classe nel mio studio e lei ha aperto loro la porta dicendo: “benvenuti”, ed io ho pensato quanto in questo assomigliasse a me. Nella sua capacità di accogliere riconosco anche il suo papà, perché anche lui è così aperto e accogliente. Ancora vedo quanto ama dipingere, cosa che anch’io amo molto, e la vedo passare dal dipingere liberamente al mostrare competenze grafiche. Inoltre Maria Cecilia ha una buona proprietà linguaggio, sembra che abbia mangiato un dizionario ed io sono felice di vederla così competente ed accogliente, perché un giorno dovrò lasciarla volare via e sapere che ha delle buone risorse è per me importante. Molte volte nel mio ruolo di madre mi sento inadeguata, spero di agire sempre per il meglio, ma non è semplice, non sono mai certa di aver fatto la scelta giusta. Davo dire però che sono grata di questa sensazione d’inadeguatezza, perché mi spinge a interrogarmi e a cercare sempre di migliorare. Amo Maria Cecilia, la amo davvero moltissimo. Linda Mio figlio si chiama Mattia e compie tre anni sabato prossimo, il sette febbraio. È sicuramente un miracolo perché arrivato nella mia vita quando pensavo che sarebbe stato molto difficile per me diventare mamma. Ancora oggi quando lo guardo e lui mi guarda coi suoi occhioni blu e così trasparenti, provo meraviglia e una profonda gratitudine. È decisamente un bambino molto curioso ed intelligente. Ama moltissimo i libri e letteralmente li divora. Ha sviluppato una gran memoria e ora quando prende in mano un libro si ricorda le parole che abbiamo letto insieme e, sfogliandolo, le ripete come se stesse leggendo lui stesso. E se io leggendo un libro mi sbaglio, lui prontamente mi corregge e mi dice la parola giusta. Conosce i numeri, quasi tutte le lettere e si diverte a leggere le targhe delle macchine. È sempre stato molto precoce da un punto di vista motorio, e data la sua corporatura è sempre sembrato più grande della sua età: questo a volte ha comportato il rischio di aspettarci troppo da lui dal punto di vista delle competenze emotive e relazionali. È molto coraggioso, si butta nelle situazioni nuove, quasi sempre non ha paura ad esplorare il mondo, anche se poi nel lungo periodo può emergere una certa timidezza e permalosità. Gli piace moltissimo muoversi, correre, arrampicarsi, giocare all’aria aperta, per cui un po’ soffre d’inverno, quando si è più costretti a stare al chiuso. Ama la musica: lo stereo è il primo oggetto di casa che ha imparato ad usare. Mette su i cd e poi canta, balla e suona i suoi strumenti musicali, e se può coinvolge anche noi nelle sue performance. È un bimbo molto sensibile e riesce benissimo a captare i nostri umori: se noi siamo sereni anche lui è più tranquillo, se noi siamo nervosi se ne accorge e anche lui diventa più irritabile. Ci costringe a metterci sempre in gioco e a non dare mai nulla per scontato. Stiamo imparando e stiamo crescendo insieme a lui. Laura Io presento mio figlio Marco. Ha quindici anni e frequenta la seconda superiore con notevole successo. Quando è nato è stata una gioia grandissima perché è sempre stato un bambino sorridente, anche se aveva qualche piccolo problema di riflusso e per questo rimaneva spesso in braccio. Questo ha scatenato la gelosia della sorellina, ma con il tempo hanno trovato entrambi una loro sintonia. Fin da piccolo ha avuto la passione per la natura e si divertiva a giocare con i legnetti in giardino. Ha un bel carattere, anche se è molto timido e riservato. Lo sport lo ha aiutato molto a trovare fiducia in se stesso; soprattutto è riuscito a creare dei legami significativi con chi entra in relazione con lui, indipendentemente dall'età. È un ragazzo spensierato e sorridente, ma è anche molto sensibile. È appassionato di film di guerra; il suo pallino è quello di riuscire ad entrare nell'arma. La sua passione è la storia antica e moderna. Con tutta la famiglia abbiamo intrapreso un viaggio in Polonia e in Germania perché si rendesse conto degli orrori della guerra. Ogni figlio è un dono non solo per noi, ma anche per gli altri. Sabina Aurora, la mia primogenita, ha quasi tre anni e mezzo e frequenta il primo anno di scuola dell’infanzia. Non è andata al nido, quindi quello di settembre è stato il primo grande passo verso l’indipendenza. Ora che siamo in febbraio, ammetto che certe volte mi fa ancora effetto che lei non sia in casa. Aurora è la mia bambina speciale: la vedo così da sempre e da sempre glielo dico! Ha un carattere forte, che all’apparenza può sembrare duro, ma chi la conosce apprezza la sua profondità e sensibilità, che spesso la portano a fare considerazioni più grandi di lei che lasciano spiazzata me per prima. È in grado di comprendere situazioni difficili, in famiglia o nelle persone intorno a lei e se ne interessa, mostrando attenzione e cura verso di loro. La sua determinatezza di carattere è accompagnata da una prudenza che la porta a tastare il terreno e studiare ogni cosa nuova che deve affrontare, lasciandosi andare solo una volta che si sente sicura. Il mare, l’asilo, la scuola di inglese, e tante altre piccole e grandi novità o sfide che si è trovata davanti, Aurora le ha vissute tutte in questo modo. È ospitale: forse perché da sempre casa nostra accoglie persone di ogni tipo, per lei è naturale invitare qualcuno a giocare o a cena, gode della compagnia e non ha difficoltà a condividere i suoi giochi con gli altri bambini. È estremamente franca: nel bene e nel male lei esprime quello che sente e pensa. Se disapprova qualcosa lo dice in maniera chiara, ma altrettanto chiaramente e spontaneamente manifesta apprezzamento. Sa incoraggiare, come pochi che conosco: non manca mai di complimentarsi con chi riesce in qualcosa e di incoraggiare qualcuno in difficoltà. Per me il suo incoraggiamento è importante perché lo sento sincero e proveniente dal cuore e dunque io per prima tante volte ne beneficio. Il suo essere sorella maggiore già da quando aveva un anno e mezzo mi porta spesso a trattarla da più grande di quello che è. Questo ha prodotto in me spesso dei sensi di colpa, che so bene non essere molto utili se rimangono tali. Cerco piuttosto di usare saggezza per trattarla da più grande, ma non troppo da grande e in questo come in tutto il mio lavoro di mamma, confido nella guida di chi padri e madri li ha creati. Alice Mia Figlia. Aurora, questo è il suo nome. Ha cinque anni. Quando mi sono iscritta a questo corso pensavo che avrei imparato qualcosa da chi avrebbe tenuto l’incontro, invece ho scoperto quanto posso imparare da me, dalla semplice condivisione di emozioni, momenti di vita ed esperienze di altre mamme. Stasera ci è stato proposto di presentare i nostri figli. Io ho deciso di parlare di Aurora, mio marito di Filippo, suo fratello. Aurora è una bambina molto sensibile, grande osservatrice, assorbe anche i più piccoli cambiamenti di ciò che le sta intorno. Cerca sempre una soluzione da mediatrice sia con suo fratello che tra amiche. Quando ero incinta avrei voluto che fosse un maschio: la vita per loro, a mio parere, è più semplice. Quando poi ho scoperto che aspettavo una bambina mi sono domandata tante volte come sarebbe stata. Se, come donne, saremmo state simili. Man mano che cresce rivedo in lei me piccola, ma anche il padre, e ciò mi riempie di gioia. I figli sono anche lo specchio di ciò che siamo noi, per questo dobbiamo sempre metterci in discussione e cercare di dare il meglio. Per noi e per loro. Per la serenità della famiglia. Come mamma vorrei che fosse forte, che non piangesse mai, che la vita le potesse sorridere sempre e che sempre lei possa vedere solo il bello in ogni persona e cosa. Poi però mi dico che la vita è anche affrontare le difficoltà e trovare gli strumenti per superarle. Mi sono ripromessa che, per il futuro, cercherò di guardarla intervenendo nei momenti giusti, ma da ciò che ho imparato stasera. e cioè che sono una mamma inadeguata, cercherò di adeguarmi al meglio per crescere con mia figlia, mio figlio e mio marito come mamma, genitore e compagna. Gaia Inarrestabile, irresistibile, inafferrabile (Rosso d'emozione, Lorenzo Cherubini) Questi tre aggettivi mi fanno subito pensare a Vittorio, tre anni compiuti lo scorso diciannove gennaio. Un bambino che è la vivacità incarnata: costantemente indaffaratissimo e in perenne movimento, di volta in volta occupato nelle più disparate attività. Si va dall'accensione di un fuoco alla riparazione di una macchina, dall'annaffiare i fiori allo sfornare una pizza. Tutto ovviamente e rigorosamente "per finta", come dice lui. È proprio questa una delle sue qualità che ammiro di più: la grandissima creatività. Lui riesce a vedere cose meravigliose dappertutto: il profilo di un cavallo in un biscotto addentato, un ragno nelle venature del legno di un albero, un delfino nelle nuvole. E più che giocare con giocattoli veri e propri, già fin da quando aveva poco più di un anno si è sempre divertito con questi fantasiosi giochi simbolici. Vittorio è poi un bambino molto determinato, un vero capricorno. Nato un mese prima in tre ore, ha sempre "deciso" lui in autonomia i passi della sua crescita. A nove mesi ha smesso il seno autonomamente, a due anni - da un giorno all'altro - ha buttato il ciuccio perché si era "rotto" (lo mordeva e dopo non gli piaceva più) e in due settimane ha tolto il pannolino. É decisamente un bambino molto "motorio": a sette mesi e tre giorni gattonava e a undici correva! Probabilmente la sua corporatura leggera lo ha favorito in questa destrezza: tutt'ora si arrampica dappertutto con estrema facilità e, molto sicuro di sé, non ha mai voluto che lo aiutassi in niente. Anzi, con mio grande disappunto mi diceva "Vatti via" (vattene via), perché voleva riuscire a fare tutto da solo: vestirsi, lavarsi, mangiare... Ultimamente, non so se perché forte delle competenze ormai consolidate o perché con l'arrivo della sorellina desidera farsi coccolare di più, qualche volta mi dice "Mamma aiuti me?" e, finalmente, mi dá la possibilità di farlo. Ma fino ai due anni è stata durissima: era un vero terremoto! Vedevo i bimbi delle mie amiche che si perdevano con i librini, mentre lui... Me li tirava dietro! Piano piano ha cominciato ad ascoltare di più, a essere più riflessivo e relativamente tranquillo. Da sempre la sua fisicità è stata anche sinonimo di manifestazioni di affetto: noi in famiglia siamo molto calorosi: ci tocchiamo, ci baciamo e abbracciamo spesso, e questo credo proprio lo abbia assorbito fin da subito. Ad esempio io l'ho sempre massaggiato fin da quando era appena nato e lui ha continuato a farsi fare quelle carezze dopo il bagnetto per tantissimo tempo, fino quasi ai due anni. Ora, dopo la nascita della sorellina che adesso ha tre mesi, vedendo che facevo il "suo" massaggio anche a lei ha ripreso a farselo fare nelle gambe e nella schiena. Poi a volte mi dice "Mamma come sei bella" e io mi sciolgo come neve al sole... e non c'è volta che esca in cui non mi saluta con "un'abbracciatona e uno bacetto". Pare aver preso l'arrivo di Olimpia con serenità: anche lei è oggetto delle sue manifestazioni di affetto, anche se a volte non troppo delicate.. Ma è tenerissimo: quando piange è convinto che sia perché lui si è allontanato, allora comincia a dirle "Sono qui, sono qui", oppure "No pangi, poi io vieno". Altre volte invece fa il timidone: se siamo insieme ad altri magari fa lo scontroso o lo sciocchino, ma più per esorcizzare l'imbarazzo che perché lo sia veramente. Ogni giorno ringrazio il Signore perché lui ha scelto me come mamma, e fin da quando era nella pancia mi sono scusata con lui, perché sicuramente ho commesso e commetterò moltissimi errori. Ma penso che nel suo cuore sappia che faccio del mio meglio, con le mie risorse e i miei limiti! Luisa Mamma: Francesca è la nostra bambina di cinque anni! Ricorderò sempre quando è nata, perché essendo prematura, per i primi giorni la potevamo solo vedere nella “culletta termica”… Il primo giorno che ci hanno permesso di tenerla in braccio abbiamo chiesto di stare da soli con lei senza nessuno che ci venisse a trovare… Quel primo contatto è stato importantissimo!!! E a vederla ora… Francesca è una bimba gioiosa che tutte le mattine si alza con il sorriso. Papà: Cara Francesca, il mio ricordo più vivo è quando siamo tornati a casa tutti insieme dall’ospedale, sette giorni dopo che eri nata. Con i tuoi due chili e trecento grammi quanto eri piccolina e fragile! Le dita delle tue manine mi sembravano sottili come fili, ma che intensità e forza aveva il tuo sguardo! In realtà non ti tenevo in braccio, ma in mano, e ti appoggiavo sul mio cuore per sentire il tuo battito ed il tuo respiro. Il tuo bel nome è dedicato a S. Francesca Romana, una grande santa del XIV secolo, famosa ancora adesso in tutta Roma per i suoi doni di guaritrice miracolosa. Ma sei stata chiamata anche da subito “Picci” da mamma e papà e questo soprannome ancora adesso lo usiamo quando ti chiamiamo con affetto. Mentre crescevi, mese dopo mese, dimostravi sempre più il tuo carattere sorridente e tranquillo, ed infatti una fotografia fatta a dodici mesi in braccio ai tuoi fratelli, dove sei felice e radiosa, è diventata per me un’immagine indimenticabile. Scolpita veramente nel cuore. Il papà da un precedente matrimonio ha avuto altri due figli: Luca, di ventisette anni, ed Elena, di venticinque. Luca, sei nato di venerdì diciassette, in giugno, ed alcuni mi prendevano in giro per quella data, ma per me invece è stato un giorno fortunatissimo, perché per la prima volta sono diventato padre, e comunque per te la vita è sempre stata fortunata e positiva. Eri un bambino molto precoce, svelto ed agile, che amava moltissimo giocare; quando perdevi piangevi sconsolato con grosse lacrime. A quattro anni pedalavi veloce sulla biciclettina senza rotelle e per molto tempo è rimasta il tuo gioco preferito, la tua compagna di tanti pomeriggi d’estate. Quando sei cresciuto, a otto anni, hai scelto di non giocare nella squadra di calcio per potere andare il sabato pomeriggio all’attività scout dei lupetti (e questo mi aveva molto sorpreso), una scelta che hai continuato con entusiasmo fino a vent’anni. Un’altra tua passione naturale è stata il judo, dove hai avuto dei buoni risultasti agonistici nazionali e dove hai trovato un gruppo di amici negli anni della tua giovinezza, grazie alla paziente guida dell’allenatore. Adesso sei cresciuto e sei un uomo; spero che quest’anno terminerai la laurea magistrale in ingegneria civile e che, insieme alla fidanzata Cecilia, continuerai la tua vita fortunata e positiva. Buona strada. Elena, sei nata lunedì sette maggio e porti il nome di una carissima zia del papà, ma a te piaceva chiedermi se era invece il nome di una principessa, ed allora io ti rispondevo che era molto di più di una principessa: era un’imperatrice, la madre del grande imperatore romano Costantino, il primo imperatore della storia amico di Gesù. Sei sempre stata una bambina molto affettuosa e nei primi anni piangevi ed urlavi spesso, buttandoti per terra, perché non riuscivi ad esprimere bene quello che desideravi e quello che volevi dire. Il tuo legame con il fratellino maggiore Luca è sempre stato forte e lo è tuttora. Siete cresciuti insieme, insieme nella stessa scuola materna, elementare e media, stesso gruppo scout e stessa parrocchia. Penso però che mi hai fatto arrabbiare più di Luca, soprattutto da adolescente, perché hai sempre amato lo scontro diretto senza mediazioni. In questi ultimi anni sei stata molto vicina a tua sorella Francesca, e lei infatti parla affettuosamente con tutti della sua sorellona Elena, ma adesso che sei a Bologna per completare l’università di Assistente Sociale ci vediamo solamente in Skype. Spero che completerai presto gli ultimi due anni di studi e ti auguro di cuore di realizzare il tuo sogno di lavorare nei Servizi Sociali all’estero e di realizzare il tuo progetto di vita insieme al fidanzato Gregorio. Buon viaggio. Mamma e Papà Francesca ama leggere i libri, la musica e ha molta memoria visiva.. Sa riconoscere negli altri le loro capacità e le cose positive senza mai criticarli ..speriamo proprio che questa qualità le possa rimanere sempre!!!! La sua curiosità e il suo interesse per ciò che la circonda portano anche noi a riscoprire tante cose, rivedendole con occhi diversi da quelli adulti. Giuseppe e Maria Cecilia Vi presento mio figlio. Il suo nome è Filippo. Fra un mesetto compirà tre anni. Per tutta la gravidanza io e mio marito siamo stati certi del nome che avevamo scelto per questo nostro primo bambino. Mi ricordava un caro aneddoto legato ai miei nonni. In questo modo mi sentivo di affidarlo sin da subito anche a loro, purtroppo non più presenti fisicamente con noi, ma molto vivi nei nostri cuori. La gravidanza è stata veramente una bellissima esperienza per me, senza particolari disturbi e serena fino alla sua nascita. Sin da subito, posso dire che Filippo è arrivato in sordina, in punta di piedi, quasi a non volere rovinare l’equilibrio della vita di coppia che mi legava a mio marito. Buonissimo. Stava dove lo mettevi, mangiava di gusto e si è sempre addormentato da solo. Più volte, le persone che mi circondavano mi dicevano: “Ma questo bambino è finto!”. Avendo intrapreso l’asilo nido a sei mesi, ricordo che non stava neanche seduto da solo, lo abbiamo abituato sin da piccolo a rapportarsi con gli altri. Nel gruppo era il più buono, quello che prendeva più morsi e più spinte dai compagni. Non si è mai arreso però, anzi ancora oggi, se un compagno lo tratta male, prima di perdere la pazienza e magari restituire lo sgarbo, lo guarda come per dirgli: “Ma cosa stai facendo?”. Le coccole ci sono sempre state. Belle, dolci e reciproche. Sa essere molto affettuoso e spontaneamente spesso ricorda a me e a mio marito che ci vuole tanto bene e di quanto per lui siamo belli. Spesso in automobile, in un momento di silenzio, si sente da dietro una vocina che ci dice: “Vi voglio molto bene, capito?!?”. Noi rimaniamo anche un po’ spiazzati di quanto un bambino riesca ad essere così sincero e aperto. Filippo è molto sensibile e fin da piccolino mi ha dato l’impressione di comprendere i miei stati d’animo, la mia gioia e il mio entusiasmo, ma a volte anche la mia stanchezza dopo una lunga giornata di lavoro. Spesso si interessa di come stiamo e se mi vede un po’ indaffarata nelle faccende di casa, mi consola dicendo: “Mamma, non ti preoccupare, ci sono io qui con te…”. In questi momenti sento un forte senso di commozione che a volte si trasforma in senso di colpa per essermi spogliata della mia forza e del mio essere infallibile… Allo stesso tempo credo che sia importante che ci veda sempre come stiamo realmente, con i nostri stati d’animo, certo mediando quello che un bambino della sua età non comprenderebbe. Uno dei nostri obiettivi era che non crescesse mai in un mondo finto, non vero, non trasparente e per questo non gli abbiamo mai detto alcuna bugia. Lui sa che si può fidare di noi e di tutto quello che gli raccontiamo. Credo che questo lo abbia reso sì ancora più sensibile, ma altrettanto forte e con tanta sicurezza del proprio essere e delle proprie capacità. Non posso certo dire che sia un bambino timido. Si lancia nelle relazioni, si presenta con tutti i bambini che incontra per la prima volta al parco e inizia sempre le conversazioni volontariamente dicendo: “Ciao, io sono Filippo, tu come ti chiami?”. Non sempre trova un compagno nuovo disposto ad aprirsi con altrettanta spontaneità, ma non rinuncia a cercarlo ancora, a trovare un punto di incontro con lui… aspetta con pazienza che l’altro si inizi a fidare di lui. Solitamente poi i due nuovi amici per un giorno non si vorrebbero più salutare. Una volta tornati a casa, racconta nei dettagli le avventure vissute con il nuovo amichetto e spesso lo ricorda anche a distanza di giorni. È un bambino felice. Felice di intraprendere nuove esperienze, di andare ogni giorno all’asilo e persino di salutarmi quando lo lascio tutte le mattine fra le braccia delle tate. Non ho mai pensato che lo faccia perché non sta bene con noi, ma al contrario lo saluto molto soddisfatta di come riesce ad ambientarsi in tutte le situazioni, sicuramente più di quanto non sappia fare io. Da quando gli abbiamo comunicato che avrà una sorellina è molto entusiasta. Certamente non mi illudo che non ci saranno momenti difficili per lui, ma per ora mostra solamente il suo essere premuroso. Come non ha mai fatto con nessun altro. Si preoccupa spesso del fatto che non vede ancora in casa un nuovo lettino per la futura bambina. Ci chiede quando lo andremo a comprare e vuole sempre la conferma che lo metteremo nella stessa sua stanza. Poi continua dicendo che sarebbe più che contento anche a farla dormire nel suo stesso letto, mimando il gesto di un abbraccio, come per volerla già proteggere. Soddisfazione a mille. Più di quanto una coppia molto giovane come la nostra, insieme già da dieci anni, poteva aspettarsi. Un figlio, Filippo, ti insegna ad amare ancora di più. A non sentirti arrivato e a cercare la meta ogni giorno, affrontando tutte le prove senza prendere minimamente in considerazione il fatto che tu possa non farcela. Perché lui e loro dipendono da te e da noi. Caterina Sono Luana, non ho figli, parlerò di io-figlia, loro-genitori. Parlerò di io-figlia e loro-genitori attraverso tre ricordi, tre racconti. Il primo vede i miei genitori protagonisti indirettamente. Era estate, l'ultima settimana di luglio, l'ultima settimana di lavoro in un centro estivo come educatrice di nido, ultimi giorni dopo un intero anno scolastico. Ero stanca, quell'anno come lavoro estivo per alleggerire il precariato avevo accettato un incarico di educatrice nido a quarantacinque chilometri da casa, sentivo di non riuscire a rendere come avrei voluto, sentivo che non riuscivo a dare a quei bambini il massimo. Ero seduta a tavola e stavo aiutando un bambino nel suo tentativo di stare composto e comodo sulla seggiolina, quando l'ausiliaria addetta a mantenere pulito l'ambiente e ad aiutare nel frazionamento pasti con semplicità mi disse: “Hai avuto dei buoni genitori”. Alzai lo sguardo in un mix di sorpresa ed incomprensione. Perché quell'osservazione? “Si vede da come curi i bambini” terminò con un sorriso. Da allora non ho mai scordato quelle parole pronunciate con naturalezza e spontaneità. Si racconta che siamo l'insieme delle persone che incontriamo, che portiamo con noi un po' di loro. I miei genitori mi hanno cresciuta, li ho incontrati trentasei anni fa e continuo ad incontrarli, in me c'è un po' di mia madre, in me c'è un po' di mio padre. Il secondo ricordo potrei intitolarlo: quello che vuoi lo ottieni. Un giorno, a tavola con mia madre le stavo confessando le mie difficoltà nel raggiungere gli obiettivi, le mie insicurezze ed inadeguatezze, le mie paure di non riuscire. Lei con sicurezza mi disse: “Tu sei una che, quando ti metti in testa una cosa, riesci ad ottenerla”. Iniziai ad innervosirmi, dimostrando il mio essere incompresa, ma lei mi fermò con un suo ricordo. “Avevi nove anni, ti abbiamo accompagnato al tuo primo centro estivo, quindici giorni fuori casa da sola. Esposti nella sala di accoglienza c'era una fila di coppe e medaglie che qualcuno di voi avrebbe vinto con un punteggio, risultato di una sommatoria tra giochi della gioventù, lavoro di squadra e comportamento. Tu dissi: tornerò a casa con una coppa. Per me non era necessario, ma tu tornasti a casa con una coppa”. Erano ormai passati quindici anni e lei con mio padre avevano vissuto le mie sfide, le mie insicurezze, paure e ansie con la certezza che ce l'avrei fatta. Loro lo sapevano, io no. Il terzo ricordo è uno sguardo. Sono gli occhi di mio padre, uomo taciturno di pochi consigli e solo se richiesti. Il suo è sempre stato uno sguardo di chi ti lascia fare, tentare, sbagliare e riuscire. Il suo è sempre stato uno sguardo silenziosamente presente. Luana Caterina ha quasi un anno e mezzo, e da quando è nata gli equilibri in famiglia sono cambiati innumerevoli volte. All'inizio tutto era una novità, dalle cose più semplici (e ora come la tengo in braccio?) a quelle più complicate che ci hanno messo in discussione sulle scelte educative e sul nostro percorso di figli. È una bambina decisa, determinata; sa farsi intendere perfettamente anche se conosce ancora poche parole. Fin da piccolissima era impossibile cercare di distrarla se aveva deciso qualcosa; ora che ha anche imparato a dire “NO” è praticamente impossibile farla desistere. È una bambina che, a prima vista, sembra non volersi mai staccare da noi due: diffidente all'inizio, non si butta nelle situazioni o nelle relazioni con gli altri, ma preferisce, esattamente come il papà, studiare in silenzio la situazione e farsi coinvolgere solo quando è perfettamente sicura e tranquilla. È molto abitudinaria, ma credo che questo derivi più dalla nostra educazione che dal carattere. Sensibile e timida, non viene spesso ad abbracciarci o a darci baci, e quando succede è una sorpresa inaspettata che trasforma quel momento in qualcosa di prezioso. Caterina è una bambina fortemente indipendente, in questo mi ricorda me stessa, e penso che questo suo lato le possa essere di grande aiuto nella vita, se riusciremo ad aiutarla nell'incanalarlo nella giusta direzione. Non mi aspettavo che avere una figlia potesse trascinarci, coinvolgerci e riempirci così tanto la giornata, la testa e la vita. Il suo esserci e il suo averci reso genitori ci richiede continuamente il pensare a quello che facciamo e a quello che siamo, nella ricerca di un costante miglioramento di noi stessi, affinché lei possa vivere la sua infanzia in modo sereno, sincero e gratificante. Teresa fratelli e sorelle rapporti tra fratelli, figli unici, figli di genitori diversi, solidarietà, gelosie, rivalità... la seconda narrazione Io ho un fratello più piccolo di me di alcuni anni, e con lui sono sempre andata molto d'accordo. Ricordo qualche lite per futili motivi legati a qualche giocattolo del momento, come lo scacciapensieri. Attualmente non ci vediamo molto spesso, anche se abitiamo nella stessa casa in appartamenti separati. I compleanni e le feste sono le occasioni per passare più tempo insieme. Per quanto riguarda i miei figli, tra di loro si cercano molto, ma non sempre sono in armonia. Maggiore affinità c'è tra la prima ed il terzo, mentre più gelosia c'è tra i primi due. Ognuno di loro ha caratteristiche molto speciali, ma sono tutte diverse. Nei momenti di difficoltà si danno da fare per far emergere il meglio del loro carattere. Come tutti gli adolescenti prendono le cose di petto e vivono intensamente sia i momenti tristi che quelli felici, e questo ci permette di essere in continua evoluzione e di crescere con loro, tenendo presente le loro diversità. L`amore che li lega rimarrà per sempre, e ringrazio Dio per il loro dono. Sabina Io sono figlia unica e per questo motivo ho sempre detto che avrei voluto avere almeno due figli. Per tanto tempo ho chiesto ai miei genitori di farmi un fratellino o una sorellina, ma loro non hanno mai ceduto… Per questo da piccola ho sofferto molto, soprattutto nei lunghi pomeriggi d’inverno passati a giocare da sola in casa. Chiedevo spesso di andare a dormire a casa dei miei cugini per stare in compagnia. Tra l’altro, mia madre ha cinque tra fratelli e sorelle, ciascuno dei quali ha due figli, per cui io ero l’unica tra i cugini ad essere figlia unica. Pensavo "Da grande non diventerò mai zia…”. Insomma, l’esperienza da figlia unica non mi è proprio piaciuta: è come se mi mancasse un pezzo di esperienza e mi fosse rimasto un certo vissuto di solitudine. In realtà io un fratello ce l’ho: tre anni prima che io nascessi, mia madre perse un bimbo proprio all’inizio della gravidanza, e da quando l’ho saputo mi è sempre piaciuto pensare che da qualche parte lassù lui (sicuramente era un maschio) fosse lì a guardarmi e a vegliare su di me. Adesso Mattia, mio figlio, è figlio unico, e un po’ soffro all’idea che lui possa rimanere tale. L’ho avuto abbastanza avanti negli anni (al consultorio ci chiamano ‘primipare attempate’), per cui sono consapevole che non sarà facile, e forse nemmeno possibile, averne un altro, ma voglio comunque continuare a credere che i miracoli accadono… Però una cosa è successa: sono diventata zia! Mio marito ha una sorella che ha una figlia di tre mesi più piccola di Mattia, e pochi giorni fa ha avuto un altro bimbo: la famiglia cresce e i cuginetti potranno crescere insieme…quasi come fratelli. Laura Maria Cecilia non ha fratelli, anche se li desidererebbe tanto, ma per motivi diversi non è possibile darglieli. Fortunatamente però i miei fratelli, dei quali vi parlerò oggi, ne hanno avuti, dandomi così la gioia di diventare zia e dando in qualche modo dei fratellini a mia figlia. Sono fortunata perché vengo da una famiglia numerosa: ho due fratelli e una sorella tutti più piccoli di me, e sono stata felice ogni volta che ne è nato uno. Anche se ogni nuovo arrivo mi toglieva un po’ di attenzioni, sento che per me sono stati un dono. Con mia sorella e i miei fratelli ho potuto condividere molte cose: abbiamo giocato, ci siamo sostenuti, accompagnati e protetti; siamo anche entrati in conflitto, come è normale tra fratelli, ma bastava poco per fare pace. Dicevo che i miei due fratelli hanno avuto dei figli: Rino ne ha due, Francesco che ha quasi due anni e Diego di sei mesi; Pasquale invece ha un bimbo di tre mesi, Michele, che è stato realmente un dono, perché inaspettato a causa di un tumore che aveva colpito mio fratello anni fa. Mia sorella invece non ha figli suoi, ma con infinito amore si occupa dei nostri. Maria Cecilia è stata felicissima di avere dei cuginetti: lei che per più di tre anni è stata l’unica bimba della famiglia, ora ha qualcuno con cui giocare, è molto tenera e se ne occupa con amore. Ricordo che quando aspettavamo la nascita di Francesco, ho riconosciuto in mia figlia gioia e gelosia; mi ha fatto molto ridere quando ha preparato per il cuginetto un disegno che ha modificato e strappato in tanti pezzettini, e io, che faccio l’arteterapeuta, ho avuto ben chiaro cosa stava succedendo: gelosia, gelosia e ancora gelosia... ma lei ha conservato i pezzettini e li ha effettivamente regalati al cuginetto, che ha accolto con gioia, dicendo “È il mio fratellino”, e così ha poi fatto anche con gli altri. Tre maschi, quando lei avrebbe tanto voluto una femmina, tanto che quando le mie cognate erano in attesa, lei andava a toccare i pancioni chiedendo se dentro ci fosse una bimba. Ora spera in mia cugina che si sposerà a breve: da quando ha saputo delle nozze le ha detto “Bene, così mi fai una sorellina”; chissà, magari sarà la volta buona.Non posso che essere grata per l’esistenza dei miei fratelli e di mia sorella, e anche se a causa dei miei impegni riesco a vederli poco, li ho nel cuore in ogni momento. Linda Io sono un fratello di mezzo, e per me questo ha sempre significato tantissimo. Ho avuto la fortuna di avere un modello davanti da quando sono nato, un modello vicino, non inarrivabile; un compagno di giochi ma anche una spalla su cui appoggiarmi. Poi è arrivata anche una sorellina e ho avuto la fortuna di poter ridare ciò che avevo ricevuto. Noi tre fratelli siamo sempre stati uniti; i nostri genitori ci hanno cresciuti insieme pur stando attenti alle nostre diverse esigenze. La nostra unione si è rinsaldata quando ci venne a mancare il nido sicuro nel quale eravamo cresciuti: mentre i nostri genitori si separavano noi ci siamo scoperti necessari, gli uni per gli per gli altri; ci siamo fatti forza con il bene che ci volevamo e ci siamo curati le ferite a vicenda. Per questo per me essere un fratello è un fatto identitario: io sono perché noi siamo. Daniele Sono cresciuta in una famiglia numerosa e un po’ anomala: all’età di sei anni, quando avevo già un fratello di due, i miei genitori hanno accolto un bambino di dieci anni in affidamento che è rimasto con noi definitivamente, uscendo di casa quando si è sposato. Dopo alcuni anni la famiglia si è allargata con l’affidamento di una bambina di due anni (io ne avevo undici), che ora ne ha ventidue, e continua ad abitare con i miei genitori. Sebbene io sia passata dall’essere primogenita e sorella maggiore all’essere la seconda, ho apprezzato la scelta dei miei genitori. Mi è piaciuto crescere in una famiglia numerosa: credo sia una forza, e l’accogliere bambini con difficoltà, che hanno bisogno di attenzione e comprensione, mi è certamente servito per imparare a farmi da parte, a fare spazio agli altri, ad avere cura e attenzione verso le persone. I fratelli sono anche un punto di riferimento, un aiuto reciproco, quindi, come la Bibbia ci insegna, è proprio vero che “È dando che si riceve”. Dalla mia esperienza ho tratto il desiderio di una famiglia sicuramente con più di un figlio - meglio tre che due - e anche l’idea che una casa aperta e ospitale arricchisce chi vi abita oltre che chi vi entra! Anche mio marito, sebbene cresciuto in un contesto molto diverso e in una famiglia più “standard”, ha apprezzato l’impostazione della mia famiglia. Tutto ciò ci ha portati alla scelta di avere due figli molto vicini (diciannove mesi di differenza) e così ora Aurora, tre anni e mezzo, e Viola, quasi due anni, stanno crescendo insieme. Si vogliono molto bene e sebbene non manchino i litigi si cercano tanto; e ora che la più piccola parla e inizia a giocare davvero, si fanno compagnia e sono spesso complici nel gioco e nelle marachelle! Aurora ha accolto da subito la sorella con amore e senza particolari manifestazioni di gelosia, se non piccoli, sporadici e normali episodi. Di fondo comunque le vuole molto bene, e nei suoi confronti è protettiva al punto di arrivare a difenderla anche dai nostri dovuti e ragionevoli rimproveri. Viola è entusiasta ogni volta che Aurora torna dall’asilo, quando si sveglia o se la rivede dopo alcune ore di separazione. La copia in tutto e vorrebbe sempre giocare con lei, che però a volte esprime chiaramente il desiderio stare da sola e giocare in pace. Posso già vedere come siano d’aiuto l’una per l’altra: Aurora, per esempio, non è particolarmente affettuosa di indole e difficilmente, fin da quando era piccola, sta in braccio a farsi coccolare; mentre Viola è l’opposto: coccolona e capace di stare in braccio a lungo. Ho notato un cambiamento di Aurora dopo l’arrivo di Viola: credo che il fatto che la sorella sia così affettuosa abbia aiutato anche lei ad esprimere maggiormente quell’aspetto del carattere. Avere due figli così vicini è senza dubbio una fatica, ma io sono molto contenta della scelta, forse un po’ incosciente, che abbiamo fatto. Alice Tre: il numero perfetto? Nel mio caso potrei confermare di sì... Noi siamo tre, due sorelle e un fratello, e quando è nato mio figlio una delle prime cose che ho pensato lucidamente dopo tutto il "trambusto" del suo arrivo era che, assolutamente, anche lui avrebbe dovuto avere un fratellino o una sorellina. Perché probabilmente è uno dei regali più belli che gli si possa fare, perché un fratello - se hai la fortuna di andarci d'accordo come è capitato a me - è qualcuno che ha condiviso con te il tuo vissuto dalla nascita: i genitori, i parenti, la casa, le cose... Ed è fantastico perché è come avere il tuo migliore amico che abita sotto lo stesso tetto! Certo, per quanto mi riguarda non è sempre stato tutto rose e fiori: io sono la più piccola di tre anni, mentre tra mio fratello, il maggiore, e mia sorella, ci sono solo undici mesi, e quando eravamo piccini ne ho subite di tutti i colori! Loro si somigliano moltissimo: scuri, ricci, occhi neri, sembravano gemelli, mentre io ero arrivata "diversa", con gli occhi azzurri, bionda e i capelli lisci. Mi prendevano in giro dicendomi che ero stata adottata e la mamma era andata a prendermi a Milano... Tremendi! Poi, crescendo, diciamo dall'inizio del Liceo, abbiamo cominciato a condividere amicizie e frequentazioni, soprattutto al mare. Questo ha fatto si che imparassimo a conoscerci e apprezzarci, e siamo diventati davvero "amici". Dopo la morte dei nostri genitori, se non avessi avuto loro vicino e non ci fossimo aiutati e sostenuti, non so proprio come avrei fatto... È stato un grandissimo conforto. Anche adesso, se ho un problema o semplicemente ho voglia di fare due chiacchiere, ci vediamo sempre e ci confrontiamo. E il bello è che ciascuno di noi ha avuto due figli nell'arco di pochi anni: dal 2010 al 2014 sono nati sei bambini! È fantastico perché stanno crescendo tutti insieme come altri fratellini, non solo cuginetti. L'ultima è la mia piccola, Olimpia, che ha appena compiuto quattro mesi. E sono convinta che suo fratello Vittorio, tre anni da gennaio, l'abbia accettata così bene perché era già molto abituato a stare con altri bambini, più grandi e piccini, anche all'interno della sua famiglia. Certo, dividere la mamma è un'altra cosa, ma se continua così sono felicissima, perché lui la adora! Le si avvicina per abbracciarla e baciarla, poi la guarda e le dice "patatona", oppure "ciccetta" - nomignoli ideati da lui - poi quando piange le si avvicina e dice "Sono qui, sono qui", convinto che le lacrime siano dovute al suo allontanamento. O ancora le suona la chitarra e se io gli dico di fare piano perché lei si sta addormentando, lui risponde "No mamma, la mia chitarra è speciale per Olimpa" (come la chiama lui). Realisticamente credo che mio marito ed io ci fermeremo a due, anche perché desidero seguirli in un certo modo, però capisco i miei genitori che hanno pensato... "Non c'è due senza tre!" Luisa Mamma: Ho un fratello più piccolo di me di otto anni. Siamo molto diversi sia come carattere che interessi. Ma adesso, pur con modalità diverse, ci aiutiamo e siamo sempre da supporto insieme nella rete famigliare. Mi piacerebbe molto (perchè non lo sono) diventare zia! La mia Francesca ha due fratelli grandi a cui lei è molto affezionata, ma loro ormai sono fuori casa, in un’altra città. Mi piacerebbe fare un’esperienza di affido, perché penso che per lei sarebbe molto importante, dal momento che di fatto sta crescendo come figlia unica!! Ma per fare questo occorrerebbero tempo, orari di lavoro flessibili, molta disponibilità ed energia… e la nostra scelta di volontariato è stata di impegnarci nel catechismo. Ho sempre pensato che avere tanti fratelli, da piccoli ma soprattutto da grandi, possa essere una grande “risorsa” e un’opportunità di crescita. Papà: Sono cresciuto con tre sorelle, il papà e la mamma. Io sono il secondo dei quattro figli, tutti nati nel breve periodo di otto anni. La nostra è stata una famiglia serena ed unita, ed anche adesso che i genitori non ci sono più noi fratelli sentiamo un forte legame d’affetto. Mi ricordo che da piccolo le mie sorelle riuscivano a coinvolgermi nel gioco delle bambole e dei tegamini, ma qualche volta facevo dei brutti scherzi, come staccare la testa e le gambe alle bambole o rovesciare per terra la minestra di pasta cruda. Crescendo, poi, gli svaghi e gli interessi si sono sempre più differenziati e divisi, anche se le mie sorelle hanno sempre continuato a fare squadra fra di loro. Sono tutte sposate e tutte fanno le insegnanti in ogni ordine e grado della scuola, con grande “gioia” dei miei otto nipoti, che si trovano obbligati a fare i compiti dalla mamma maestra o professoressa. Purtroppo, anche se abitiamo tutti a Modena, ci vediamo raramente, perché siamo molto impegnati con la famiglia ed il lavoro, ma le feste obbligatorie di ritrovo tutti insieme sono l’Immacolata, il Natale, S. Stefano e l’Epifania, a turno a casa di ciascuno. Ringrazio molto i miei genitori che ci hanno donato una famiglia numerosa, perché si cresce imparando la disponibilità verso gli altri e la condivisione delle cose. Giuseppe e Maria Cecilia Io e mio marito diciamo sempre che "siamo partiti presto", ma poi ci siamo fermati, infatti nostra figlia Elisa è rimasta figlia unica. Io sono stata follemente desiderata da mio fratello, che ha fatto di tutto fino a quando i nostri genitori non lo hanno accontentato; purtroppo però se ne è andato giovane e la nostra convivenza è durata troppo poco, ma abbastanza perché io abbia ricordi bellissimi e molto nitidi. Speravo che anche Elisa chiedesse un fratellino, ma lei se ne è ben guardata: diceva infatti con sicurezza che stava bene così. Noi abbiamo cercato di non viziarla, di non agevolarla perché unica figlia. Io poi, essendo insegnante, ho dovuto cercare di scindere i due ruoli per evitare di essere troppo maestra e poco mamma; a volte però penso di avere preteso da lei di più rispetto ai suoi coetanei. È sempre stata una bambina tranquilla e ubbidiente, poi nell'età dell'adolescenza sono nati alcuni contrasti di opinioni, ma senza che mai si creassero problemi insormontabili. Certo non ha mai dovuto dividere nulla con un fratellino: né giochi, né spazi, e neppure le coccole di mamma e papà o i racconti della nonna. Nonostante i nostri sforzi, però, secondo noi un pò di egoismo é entrato a far parte del suo carattere. Fortunatamente ha una zia non molto più grande di lei con la quale condivide passioni ed interessi e che quindi, in determinate circostanze, supplisce alla mancanza di un fratello o di una sorella. Maria Cristina Io sono figlia unica e non ho mai sentito particolarmente la mancanza di fratelli e sorelle, forse semplicemente perché non so bene cosa mi manca. Solo da adolescente ho desiderato un fratello più grande perché lo vedevo come una figura che avrebbe potuto proteggermi al di fuori della famiglia, tra gli amici. Ora da adulta, invece, sento un po' la responsabilità di essere figlia unica, perché se i miei genitori avranno bisogno di aiuto ci sarò solo io e non potrò dividere le responsabilità con un fratello o una sorella. Osservando i legami parentali tra fratelli dei miei genitori e di mio marito, non ho mai visto niente di idilliaco o che mi abbia spinto a desiderare fratelli o sorelle. Mio padre ha un fratello più piccolo di undici anni, che è nato quando lui usciva di casa per andare a studiare, quindi sono sempre cresciuti come figli unici. Sono sempre stati molti diversi e ora da adulti hanno più cose in comune, e insieme aiutano i genitori anziani. Mia madre è la terza di quattro sorelle, e la sensazione principale che ho sempre percepito io è che abbiano sempre fatto molta fatica ad andare d'accordo. Se osservo mio marito e suo fratello, invece, vedo due persone abbastanza legate, ma con modi di fare e di pensare diversi, che ad esempio si relazionano in modo differente coi genitori che ovviamente sono gli stessi, e mi sembra cerchino di comportarsi allo stesso modo coi figli. Io come mamma ho cercato e ho avuto la fortuna di avere due bimbi, due maschietti che hanno due anni di differenza. Sono contenta che siano vicini per età perché penso che crescere insieme li possa aiutare. I miei figli non sono mai stati gelosi l'uno dell'altro e per ora non sono molto litigiosi. Sentendo di altre esperienze e di fratelli che litigano di continuo o sono molto gelosi, ogni tanto mi chiedo se siamo stati bravi noi o semplicemente fortunati. Per ora io e mio marito continuiamo così e speriamo che questo buon rapporto continui e si fortifichi. Uno dei dubbi che ogni tanto mi pongo è: “devo trattarli allo stesso modo? Sì, sarebbe meglio, però devo anche ricordarmi che sono due persone diverse, con esigenze differenti quindi non posso. Che fare?”. Elisa Io sono stata molto fortunata, perché ho potuto vivere la mia infanzia insieme ad un fratello e una sorella. Essendo la più piccola, ho anche potuto godere di alcuni privilegi legati a ciò: essere l’ultima della nidiata comporta, infatti, la possibilità di godere “della strada già spianata” dai tuoi fratelli più grandi, sia per ciò che riguarda il conseguimento di concessioni e diritti, sia per “l’attenuante generica” di essere la più piccola e quindi ottenere, senza faticare, l’esclusione o la riduzione di certi oneri. C’è, naturalmente, anche l’altro lato della medaglia: spesso i tuoi giochi e i tuoi abiti sono prima appartenuti ai tuoi fratelli e inoltre loro, poiché maggiori, possono zittirti e arrogarsi il diritto di dirti cosa devi fare o non fare. Se devo comunque fare un bilancio, questo pende sicuramente a favore dell’essere fratello o sorella, anche se minore. Quando sono diventata più grande, l’unione e la complicità tra noi figli si è rinsaldata ancora di più, fino a farci diventare una vera squadra, stile “uno per tutti, tutti per uno”. Io, infatti, avevo la possibilità di avere sempre un amico con il quale condividere i miei interessi e le mie passioni Con mio fratello Andrea spartivo la passione per lo sport fattivo: entrambi praticavamo uno sport agonistico ed entrambi, l’estate, lavoravamo nella stessa piscina come bagnini ed istruttori di nuoto; inoltre amavamo i film d’azione e i western di Sergio Leone. Con mia sorella Marcella amavo filosofeggiare, fare interminabili ed incredibili discussioni sui massimi sistemi, ma anche andare a fare shopping selvaggio nei negozi di moda. Essere fratelli è stato determinante soprattutto quando abbiamo dovuto affrontare prove molto dolorose, come la malattia e la conseguente dipartita di mia madre, donna ancora giovane e vitale; tale evento ci ha colto assolutamente impreparati e ci ha disorientato, oltre alla successiva e vicinissima, solo cinque settimane dopo, morte di mio fratello. È stata un’altra prova molto dura da affrontare, che solo l’essere uniti e solidali ci ha permesso di contenere senza danni. Per quanto riguarda i miei figli credo che l’essere fratelli, nello specifico gemelli, li abbia resi più forti nei confronti degli accadimenti dolorosi, piccoli o grandi, che la vita inevitabilmente mescola ai momenti di gioia e serenità. La loro complicità da piccoli mi ha sempre dato una sensazione di calda tenerezza. Le loro grandi diversità, sia fisiche, sia caratteriali, che spesso sfociavano - e tuttora sfociano - in grandi litigate, non hanno scalfito il loro fortissimo legame. Ciò è evidente, oggi più che mai, dalla decisione, avvenuta circa cinque mesi fa alla soglia dei venticinque anni, di affrancarsi dalla casa genitoriale e di andare a vivere insieme. Ciò nella probabile attesa di una loro totale autonomia, dove ognuno correrà da solo, ma dove genitori, fratelli/sorelle ed amici saranno sempre un pubblico fedele di fans/sostenitori pronti a tifare per loro e, se necessario, a correre insieme a loro. Maria Luisa Io sono il secondo di tre figli. E la mia esperienza di figli con fratelli è stata, e continua ad essere, molto positiva. Ho avuto lo stimolo di un fratello più grande, e ho affrontato insieme a lui esperienze che normalmente si sarebbero affrontate ad una età maggiore. Ho una sorella più piccola nei confronti della quale ho sperimentato comportamenti protettivi, quasi paterni, che credo abbiano stimolato la mia socialità e generosità. Ritengo che avere dei fratelli aiuti tanto a crescere, perché con loro è più facile costruire forme di autonomia anche dai genitori. Oggi mi ritrovo padre di un figlio unico, e vivo ciò, se non con senso di colpa, con dispiacere: posso dare a mio figlio molte cose, ma non gli ho dato un fratello. Che per me è una cosa molto importante. Ritengo un limite il fatto di non avere fratelli, poiché non si sperimenta in modo così forte quella condivisione, ma anche quel conflitto tra pari, che nessuna amicizia può generare allo stesso modo. Non si sperimenta la convivenza, con tutto ciò che comporta in termini di condivisione degli affetti, sentimenti, stati d’animo ma anche degli spazi, della gestione delle cose e del tempo. Non si costruiscono quelle regole necessarie a qualsiasi convivenza: regole di rispetto delle esigenze altrui, ma anche di affermazione positiva delle nostre esigenze secondo principi di giustizia. Il fatto di non aver fratelli, inoltre, modifica il modo sostanziale il mio rapporto con mio figlio, il modo in cui io sono genitore. Mi sento infatti in obbligo di fare anche il fratello, o perlomeno il compagno di giochi. Gran parte del tempo che trascorro con mio figlio è dedicato al gioco. Questa è un’attività particolarmente faticosa, probabilmente a causa della mia età - due ore di giochi (Lego Skylanders) in ginocchio, per terra, seguendo avventure e personaggi fantastici – che mette a dura prova non solo il mio fisico, ma anche la mia psicologia. Inoltre mi accorgo che per quanto riesca a farlo ridere e divertire, le dinamiche di un gioco tra un bimbo ed un adulto sono molto diverse di quelle fra due bambini. Mi accorgo che il mio giocare con mio figlio (attività che ritengo comunque importante e necessaria) spazza via o compromette in modo pesante quella autorevolezza che un genitore deve comunque mantenere. Quando sgrido, rimprovero o cerco di educare mio figlio, probabilmente lui sta pensando a suo padre che cinque minuti prima faceva il pagliaccio per farlo divertire. Matteo Io e mia sorella Eleonora abbiamo tre anni e tre mesi di differenza. Essendo quasi coetanee abbiamo sempre giocato insieme e per me, quando ero piccola, avere una compagna di giochi in casa era il massimo. Crescendo, abbiamo raggiunto quegli steps che caratterizzano i cambiamenti di età: quando io frequentavo le scuole medie, lei frequentava le elementari e, successivamente, quando lei frequentava le scuole medie io frequentavo le scuole superiori. In questi momenti, anche se vivevamo sotto lo stesso tetto, c’eravamo un po’ allontanate, recuperando il rapporto intorno ai miei quindici anni. Da quel momento siamo sempre andate molto d’accordo, anche se abbiamo caratteri e temperamenti completamente differenti sappiamo essere complici. Mia sorella è un’amica,: è bello sapere di avere vicino una persona sulla quale poter contare sempre, che so che non mi deluderà e tradirà mai. Avere una persona quasi coetanea in casa è sempre stato un bell’allenamento per la condivisione degli spazi della casa, del tempo, dell’attenzione dei genitori e delle risorse economiche. È un’esperienza che arricchisce, ti insegna a non pensare solo a te stesso e a condividere tutto nel bene e nel male. Fortunatamente non sono mai stata gelosa di lei, un po’ perché non è una caratteristica che mi appartiene e un po’ perché i miei genitori sono sempre stati molto bravi a trattarci nello stesso modo e a dare attenzioni ad entrambe. Giorgia Il legame con un fratello o una sorella è unico, inscindibile ed esclusivo. Io ho una sorella gemella e, come si può bene immaginare, sono cresciuta con lei, condividendo piccole e grandi esperienze che ci hanno legato sempre di più. Da piccole c'era anche una grossa conflittualità e gelosia che di norma sfociava in litigi, anche piuttosto violenti, ma crescendo e maturando ci siamo avvicinate sempre di più e, avendo la stessa età, abbiamo da sempre condiviso le nostre esperienze di vita, aiutandoci e consigliandoci fino ad oggi, nella quotidianità del nostro essere educatrici e colleghe di lavoro. Per questo, quando guardo i miei due figli, spero sempre che possano vivere un'esperienza di condivisione e di vicinanza come io l'ho vissuta e la sto vivendo con mia sorella. Non sono gemelli, ma hanno solamente due anni di differenza e questo li aiuta a capirsi e comprendersi già da ora, che hanno solamente tre e cinque anni. Sono, in effetti, molto vicini e si vogliono un gran bene. Condividono spesso le loro esperienze di gioco e la più grande cerca di coinvolgere il più piccolo in molte attività, spiegandogli con molta pazienza cosa stanno per fare. Dal canto suo, Riccardo ha imparato molte cose emulando la sorella ed osservando i suoi comportamenti. Non sono mai stati gelosi l'uno dell'altro, o meglio, non hanno mai riversato la loro voglia di essere considerati da mamma e papà l'uno contro l'altra. Arianna ha passato i primi mesi di vita del fratellino a coccolarlo, e solamente con noi genitori ha mostrato una normale insofferenza per non essere più l'unica e l'esclusiva. Riccardo ha mostrato anche lui questo tipo di reazione nei nostri confronti, ma non ha mai rivolto la sua rabbia verso la sorella. Come è abitudine tra fratelli, non mancano gli episodi litigiosi, ma, tutto sommato, sono spesso in grado di risolverli da soli, senza grosse tragedie e capricci. Ruena Durante la narrazione della volta scorsa ho sentito raccontare cose bellissime sul rapporto tra fratelli. Legami forti che nascono da un vissuto comune. Condivisione di gioie e sofferenze. Senso di protezione da parte dei fratelli maggiori e necessità di accudimento nei confronti dei fratelli minori. Burrasche e rappacificazioni senza rancori. Figure sulle quali si puo` contare in maniera incondizionata. Consiglieri sempre pronti a dare un parere senza giudicare. Io sono figlia unica, e posso solo affermare che tutto ciò mi manca! Mi manca soprattutto ora, che sono adulta, e che mi rendo conto di quanto poteva essere diverso. Durante la mia infanzia non ho mai sofferto di solitudine. Infatti ho vissuto una situazione privilegiata, circondata dai miei cugini coetanei che abitavano nella stessa casa. Avevo sempre compagni di gioco, di vacanze, di chiacchierate, con il vantaggio che quando tornavo in casa mia godevo di tranquillità e di spazi tutti miei che a loro mancavano. Poi, crescendo, ognuno di noi ha preso la propria strada: abitiamo in luoghi diversi ed ognuno ha creato una nuova famiglia. Nonostante il legame sia rimasto forte, soprattutto con le femmine, non è quello che ci sarebbe stato con un fratello. Mi manca quel qualcuno che ti fa un favore anche senza la necessità di chiederlo, o che sa quando è ora di esserci anche senza chiamarlo. Detto ciò, avrei desiderato avere più di un figlio, invece le circostanze della vita hanno reso più prudente che Pietro restasse figlio unico. Per lui la necessità di avere qualcuno con cui condividere le sue attività, i suoi giochi, il suo tempo, si fa sentire forte già da adesso. Molto spesso siamo noi genitori, i nonni, lo zio, a doverci trasformare in compagni di gioco, con la difficoltà che la fantasia e la resistenza fisica non sono paragonabili a quelle di un bambino. Allora, ben vengano gli amici! Pietro li cerca in modo anche fin troppo insistente. Credo che i suoi abbracci soffocanti nei confronti dei nuovi amici esprimano la ricerca di confermare un legame che per lui è molto importante. Devo dire che nei confronti dell’amicizia anche io ho molta cura. Coltivo con pazienza le amicizie del passato, a volte passando sopra eventuali torti pur di non perdere o allentare il contatto. Nei confronti dei nuovi legami spesso sento di essere io a prendere l’iniziativa (una telefonata, un messaggio, un pensiero…), correndo il rischio di essere un po’ invadente. Tutto ciò viene dalla mancanza di un legame fraterno, e dal desiderio di creare comunque attorno a me una rete di protezione, di persone sulle quali poter contare, con le quali condividere le emozioni. Elena Sono figlia e sorella: la terza dopo un fratello e una sorella più grandi di me di nove e otto anni, e forse sono partita avvantaggiata, con la strada spianata. Tutti e tre diversi, con caratteri e personalità molto differenti, ma accomunati dalle stesse radici e dagli stessi valori. I miei fratelli sono stati, e sono ancora adesso, una palestra di allenamento alla condivisione. Non c’era un mio o un tuo, ma un nostro; non c’era solo il mio “io” con le mie esigenze e i miei capricci, ma c’erano anche loro. E un po’ alla volta e con fatica ho imparato a togliere un po’ del “mio” per fare spazio ai miei fratelli. E proprio tra fratelli, nella diversità, ci si scontra e si impara a perdonare, e ad accettarsi così come si è, senza la pretesa che l’altro si comporti o pensi come noi. Mio fratello e mia sorella sono sempre stati e sono un punto di riferimento, un modello; quando ero piccola erano il mio “mito” da imitare. Ora sono mamma di Giacomo e Susanna, diversi per carattere ma molto complici tra loro, premurosi e protettivi l’uno nei confronti dell’altra. Il “rischio” è che si confondano l’uno nell’altra e per questo, come genitori, li aiutiamo a creare spazi, amicizie, mondi separati che però sanno incontrarsi e parlare insieme. Anche i momenti di litigio sono un’occasione per imparare a chiedersi scusa, a capirsi e ad accettarsi nella diversità. Mi auguro che nei momenti di difficoltà, come anche nelle piccole cose, sappiano essere l’uno per l’altra una sorgente alla quale dissetarsi per poi riprendere il cammino. Raffaella Sono la terza di sei fratelli, e quando penso al mio rapporto con loro la prima cosa che mi viene in mente sono gli anni in cui vivevamo tutti insieme. Di quegli anni mi ricordo soprattutto che la casa era sempre piena: di voci, di rumore, di musica. La condivisione, più o meno voluta, partiva dai vestiti e arrivava a coinvolgere gli spazi vitali: si poteva sempre contare su qualcuno che entrava e usciva liberamente da camera tua, non importa che tu stessi leggendo, dormendo, studiando o confessandoti; che fossi sola, con le amiche o con il fidanzato. La lotta per la sopravvivenza era una vera e propria corsa alle risorse, che fossero soldi o cibo: solo i più veloci ad attingere al portafoglio della mamma avevano la merenda garantita a scuola, e l'unico giorno in cui si poteva stare tranquilli a mangiare era il mercoledì, in cui veniva il nonno a cucinare e lì ci si rifaceva della settimana. Non parliamo poi dei litigi: era impossibile pensare di stare tranquilli più di due secondi senza che ne scoppiasse uno in qualche parte della casa. Per fortuna lo stile di tutta la famiglia è sempre stato l'etremo della polarità in tutti e due i sensi: grandi urla, grandi scenate e grandi drammi... e dopo un minuto e mezzo ci si era completamente scordati di tutto. Il fratello maggiore è sempre stato per tutti un modello; un po' per la sua bontà, per il suo carattere positivo e per la sua incredibile capacità di gestire ogni situazione in modo scherzoso (è la tipica persona che riesce a fare battute anche mentre ti sta sgridando), un po' perché in qualche modo ha “preso il posto” del papà quando abbiamo capito che non sarebbe più tornato. Gli altri due fratelli, anche se più piccoli, sono per me punti di riferimento importanti: verso di me hanno un grande senso di protezione, come se fossi io la più piccolina. Le due sorelle, simili tra loro e diverse da me, sono quelle che mi danno uno sguardo diverso ma famigliare sulla vita, e con cui complicità ed intimità vengono spontanee. Ora non viviamo più insieme, siamo cresciuti ed il nostro rapporto è ovviamente cambiato con il tempo; ci sono però due cose che sono sempre rimaste. L'ironia è sempre stata un modo per noi di costruire la relazione, anche nei momenti in cui si faceva più fatica a stare insieme, e di affrontare le esperienze della nostra vita, positive e negative. Non era né un modo di scappare dalle situazioni né un modo di svilire l'altro; personalmente l'ho sempre vista come la possibilità di sentirsi liberi di parlare (in modo più leggero) anche di quello che non va o che fa stare male. L'altro elemento è l'esserci: loro ci sono sempre stati; la mia vita e tutte le mie esperienze si sono costruite all'interno della relazione con loro. E questa fortuna del mio passato è per me una sicurezza per il presente e per il futuro. Teresa Da figlia Sono la prima di dodici tra fratelli e sorelle, nati ad un anno o poco più di distanza gli uni dagli altri. Non ricordo di essere stata gelosa dei miei fratelli e sorelle, ma piuttosto di essere stata oggetto di gelosia; forse perchè al lungo tavolo rettangolare, in cui mio padre e mia madre sedevano a capotavola ai lati opposti, eravamo disposti per età: i più piccoli in fondo, vicino alla mamma (e alla cucina), i più grandi vicino al papà; io ero proprio alla sua destra. Nella conversazione a voci sovrapposte durante il pranzo, che era il momento privilegiato per le comunicazioni di qualsiasi tipo - dalla religione alla filosofia ai turni per le pulizie domestiche alle rivendicazioni ed alle sgridate - il mio posto favoriva senz'altro un rapporto privilegiato tra me e mio padre. Non intenzionale, credo, ma piuttosto dovuto alla distanza spaziale dagli altri e alla vicinanza sintonica tra noi, per carattere, modo di sentire, interessi. Di una certa gelosia in questo senso ne è prova il fatto che mio fratello, di un anno più giovane di me, ha sempre affermato di essere lui il vero primogenito, essendo l'onore di tale status (di ebraica concezione) valevole solo per i figli di sesso maschile. Lo dice anche adesso che siamo vicini ai sessanta: ridendo, ma lo dice! Ho sofferto molto invece per una certa fatica di rapporto tra me ed una sorella più giovane, che ho attribuito, nella mia percezione, ad una gelosia con radici nell'infanzia, ferita forse mai curata e ancora dolorante. Per fortuna eravamo e siamo in tanti: la ricerca di equilibrio nelle nostre relazioni di fratelli e sorelle ha sempre trovato una soluzione. Abbiamo alternato momenti di grande vicinanza, sintonia, aiuto reciproco con altri di (sana) distanza. La cosa di cui più sono riconoscente alla famiglia numerosa è che è stata scuola di realzione: abbiamo imparato a litigare; abbiamo imparato a fare pace. Mio papà soleva richiamarci la frase di san Paolo Non tramonti il sole sulla vostra ira: sosteneva che per scrivere una cosa così, doveva essere un gran attaccabrighe. E citava come archetipo il rapporto tra lui e san Pietro quale appare dal Nuovo Testamento: una relazione di pacifico conflitto. Paradossalmente, il lavoro che su di noi abbiamo dovuto fare in età adulta è stato invece quello di sentirci meno responsabili gli uni degli altri, soprattutto verso i "piccoli" e, conseguentemente, entrare meno nelle reciproche vite; le salde radici di vero affetto reciproco, di solidarietà, di comunanza di idee e di intenti, e l'abitudine a prenderci cura gli uni degli altri, hanno avuto come ambivalenza l'aspettativa che ciò potesse continuare per tutta la vita... come quando eravamo tutti insieme nella casa del papà e della mamma. Da madre Credo sia molto naturale provare gelosia verso fratelli e sorelle, nel senso di "inevitabile" e come tappa obbligata per la crescita. Dei miei figli ricordo alcune manifestazioni, soprattutto da piccoli quando non ci sono i freni inibitori del "non si deve/ non si può fare". Ricordo la visita in ospedale alla nascita dell'ultimo di turno, le faccine tra contento e timoroso (Quanto posto mi ruberà questo qui?) e, a casa, quelle ambivalenti manifestazioni tra abbraccio e violenta stritolante stretta, che facevano venire in mente la scena di Amarcord in cui la mamma urlante ferma il figlio col mattone in mano, pronto a lanciarlo nella culla del neonato... Ho fatto tesoro delle parole di mia madre, che mi consigliava di preparare la nascita del fratellino o sorellina: non troppo presto, per non creare ansie o dolore nel caso la gravidanza non avesse proseguito; raccontare come sarebbe stato il nascituro: piccolino, fermo nella sua culla, che mangia e dorme solamente... perchè, sai, loro si immaginano un bimbo già grande, che possa rubare loro il posto... e poi, che l'affetto non è una torta che in più si è più si divide, ma anzi è un moltiplicatore: al volere bene di papà e mamma si aggiunge quello di tutti gli altri! La gelosia più manifestata che ricordo è stata quella di mia figlia grande che studiava a Milano. Quando tornava nel fine settimana cercava affannosamente di riprendere il suo posto di sorella maggiore e di recuperare tutti gli avvenimenti della settimana, con scarsi risultati. Allora si arrabbiava moltissimo: Voi mi tagliate fuori da questa famiglia!, e non c'era spiegazione o convincimento che la tranquillizzasse. Non abbiamo trovato soluzioni. Recita l'art 147 del Codice Civile, "il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni". Se si traduce questo obbligo-indirizzo educativo nel concreto della vita familiare, credo sia il migliore antidoto alla gelosia: capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni sono diverse per ciascuno, come profondamente diversi tra loro sono i figli e le figlie. Ognuno trova il suo spazio se se ne coltiva la peculiarità, in modo da rimandarne l'unicità e la preziosità: e la diversità, più è diversa, più è ricchezza per tutti. Credo però che tutti i miei figli, in un qualche momento della loro vita, abbiano formulato silenziosamente il desiderio di essere se non proprio figli unici almeno di avere un po' meno fratelli e sorelle. Come mia sorella Agnese, ultimogenita, che, amicissima di una bambina figlia unica, un giorno sbottò: Io vorrebbi chiamarmi Katiuscia! (come lei). Maria Ascolterò con interesse questa esperienza dagli altri perché io non l’ho potuta fare. Sono, infatti, figlia unica. Da piccola per me questo costituiva un grande dispiacere. Ero una bambina molto estroversa e non mi davo pace di non potere avere qualcuno con cui giocare ogni momento e condividere la casa. Ero al tempo stesso anche molto apprensiva: temevo per la sorte dei miei genitori, e non poter spartire quest’ansia con qualcuno me la faceva acuire. Giacché comunque non ci potevo fare gran che, ho rivolto tutte le mie attenzioni all’esterno. La mia mamma è stata molto brava ad aprire la mia casa a vicini e amici che fortunatamente avevano bambini della mia età. Abitavo a Milano e ancora si giocava a casa di uno o dell’altro, in cortile e ai giardinetti, per cui con il passare del tempo ho trovato grande consolazione e felicità con tanti amici a casa e fuori. Ho avuto casualmente sempre amici maschi, i cui giochi trovavo tra l’altro molto più divertenti di quelli delle femmine. Solo più tardi, pre-adolescente, ho formato un trio inseparabile di bambine, con cui ancora oggi sono in contatto, e con cui ho condiviso momenti di spensieratezza indimenticabili. Anche se ho compensato, rimpiango comunque e sempre il non sapere cosa sia l’affetto fraterno. Non ho dato purtroppo un fratellino o una sorellina a Sofia. Mi sembrava di togliere qualcosa a lei, e invece non mi rendevo conto che le toglievo di più non dandoglielo. Comunque penso dovesse andare così, e sono tanto grata di avere lei che, a differenza mia, non sembra risentire troppo di questa mancanza. Ha equilibrio, perché sta bene con se stessa quando è in casa e anche che fuori con gli amici e le amiche, ed è molto generosa, tanto da non sembrare davvero una figlia unica! Tiziana essere coppia essere genitore la terza narrazione Io e mio marito ci siamo sposati giovani, era un nostro desiderio: ci sentivamo pronti ad iniziare un cammino insieme e, nonostante qualche perplessità da parte dei nostri genitori, siamo diventati "coppia" molto presto. Pensavamo però di aspettare un po' più di tempo per diventare anche genitori. Elisa invece, come già detto altre volte, è arrivata presto, e quindi ha un po' scombussolato i nostri piani. I primi mesi eravamo presi dalle sue coliche e dai suoi ripetuti risvegli notturni, quindi tempo per noi non ne trovavamo molto, anzi... Con il passare dei mesi, però, Elisa si è dimostrata una bimba molto tranquilla, quindi siamo riusciti a conciliare il ruolo di genitori e quello di coppia, senza naturalmente pretendere chissà quale libertà. Pensando a quel periodo, quando Elisa era ancora neonata, mi rendo conto che io ero veramente pronta a diventare mamma; mio marito forse avrebbe avuto bisogno di un po' di tempo in più. Si è poi rifatto quando Elisa è cresciuta, instaurando un bel rapporto con lei... Era bello andare ad aspettare papà al lavoro e passeggiare insieme nel parco, oppure raggiungerlo ad una gara di pesca per fare il tifo per lui... Per educare Elisa abbiamo sempre lavorato in coppia, e anche se uno dei due non era d'accordo con l'altro su come affrontare un problema, ne abbiamo sempre discusso da soli, mai in presenza di Elisa. Lei ci vedeva uniti e decisi: accettava le nostre decisioni sapendo che nessuno dei due avrebbe ceduto. Ora nostra figlia ha trentacinque anni; noi non ci siamo mai dimenticati di essere una coppia, imparando a godere anche di piccoli momenti tutti per noi. Cristina Essere coppia ed essere genitori non sempre collimano perfettamente. A volte e in certe fasi della vita il ruolo genitoriale è messo in continuazione al centro, a scapito della relazione di coppia. Mi riferisco in particolare all`adolescenza, in cui si lotta in continuazione per non perdere i ruoli acquisiti come genitori. La coppia a questo punto ne può uscire annientata o può cercare nuove strategie per ripartire. Anche le diverse visioni - maschile e femminile - delle situazioni contribuiscono ad inasprire la relazione tra i coniugi che sono entrambi genitori alla pari, ma vedono la stessa situazione con occhi diversi. Quindi? Per fare in modo che la coppia non esploda occorre affidarsi di volta in volta al coniuge più fiducioso, perché solo con santa pazienza si riesce a trovare una soluzione ai tanti problemi che la vita ci riserva e a trovare il modo di affrontarli insieme. È proprio quando la coppia capisce che il centro non sono più i figli, ma l`amore dei due che rimangono insieme, che si creano i presupposti per una crescita della stessa che va oltre la sua dimensione. Per mantenere la relazione occorre un confronto continuo sulle plurirealtà, e nel nostro caso tanta preghiera, che ci è servita a non perdere mai la speranza per andare avanti. Sabina La nostra storia di coppia di genitori è stata fin dall’inizio provata da molte difficoltà: pochi giorni prima della nascita della nostra bambina, ad esempio, mio suocero è scomparso, e da allora, come in altre storie di vita, si sono avvicendate diverse fatiche. Forse è stato proprio questo insieme di cose a renderci capaci di sostenerci sempre, coesi anche davanti alla bambina, che senza sforzo trova le stesse risposte in me e nel papà: in questo modo, per trovare un terreno più accondiscendente, si deve rivolgere ai nonni. I nonni, infatti, sono più facili da ammorbidire e portare dalla sua parte: per farsi comprare un regalino in più, mangiare solo ciò che le piace o uscire anche quando la temperatura non è proprio ideale, ma va bene così. Diversi sono i ruoli, diverse le responsabilità, uguale il grandissimo amore che nutriamo per lei. Probabilmente per lo stesso motivo non abbiamo desiderio di uno spazio solo per noi, ma amiamo condividere gli spazi con la nostra bimba: per noi gioia è uscire insieme per fare cose piccole come la spesa, o divertenti come andare al cinema a guardare un film. Sostegno nella vita e nei progetti, sostegno che è possibilità d’intraprendere percorsi anche lontani da casa, nel mio caso certa che il papà è un ottimo padre, che ha con nostra figlia un rapporto meraviglioso, tanto che a volte sembra conoscerla anche meglio di me. Sostegno nei sogni e nelle passioni del papà, che io e la bimba, dopo avergli regalato un nuovo corso di cucina, condividiamo, con la gioia degli occhi e della pancia. Questo per noi è essere coppia e coppia di genitori. Linda Ci siamo sposati tardi e quindi i primi anni di matrimonio sono stati importantissimi per continuare a conoscerci e fare tante cose insieme. E proprio quando stavamo progettando il bellissimo cammino di Santiago con tanto allenamento, abbiamo dovuto rinunciare per la nascita di Francesca. Con lei questi sei anni sono proprio “volati”… Fin da piccola ha sempre dormito molto e serena, da sempre alla sera va a letto alle nove e dorme fino al mattino… Questo ci ha permesso di avere del tempo per noi per parlare e, quando non siamo troppo stanchi, per guardare qualche film insieme… Abbiamo deciso di continuare a fare i catechisti in parrocchia anche se è un servizio molto impegnativo, che però ci permette di riflettere, condividere e crescere insieme. È indubbio che la bambina, la casa, il lavoro a tempo pieno e le attività in parrocchia ci assorbano completamente, ed è per questo che da poco abbiamo deciso di uscire almeno una serata ogni quindici giorni e di lasciare Francesca alla tata per avere dei momenti per noi…. Abbiamo molte cose in comune e ad entrambi piacciono le stesse cose: ci basta proprio poco per “rilassarci” e “ricaricarci”, come ad esempio una passeggiata nel parco. Per ora anche Francesca cammina volentieri, quindi in futuro speriamo di poter andare a Santiago con lei... Giuseppe e Maria Cecilia Sul tema “essere coppia, essere genitori” la mia frase di riferimento è quella che mia mamma mi disse ben prima che mi sposassi: “Non trascurare tuo marito per i figli”. Si è impressa nella mia mente e, poiché la condivido, ho cercato di applicarla alla mia vita. Così, dopo la nascita delle bambine, ho considerato gesti d’amore e di cura verso mio marito quelli di continuare a preparare da mangiare e tenere in ordine la casa come meglio potevo, perché non ritenevo giusto mettere in stand-by tutto per curare i figli. È una piccola cosa che per me significa amore. D’altra parte la Genesi, parlando del marito e della moglie, dice che “i due saranno una sola carne”. Credo fortemente che questa unione tra i due vada difesa, nutrita e alimentata, poiché costituisce il nucleo della famiglia, al quale si vanno ad aggiungere i figli. Questi ultimi assorbono tante attenzioni, tempo ed energia, e a mio avviso è fondamentale la consapevolezza che la prima unione è quella tra i coniugi, e che sia questa a reggere il resto. Tale consapevolezza permette all’”essere coppia” di non ridursi al solo “essere genitori”; spinge marito e moglie a cercare momenti nei quali essere coppia e basta, per meglio riuscire anche ad essere genitori. È così che io e mio marito abbiamo impostato la vita della famiglia, cercando di ritagliarci dei momenti solo per noi, in cui passare un po’ di tempo tranquillo insieme. Lo facciamo ogni tre settimane circa, uscendo a cena da soli o con amici. Sono momenti che apprezziamo molto, perché con due bambine piccole anche fare una conversazione senza continue interruzioni è abbastanza raro. In ogni caso, siccome le nostre figlie vanno a letto abbastanza presto, non dobbiamo aspettare l’uscita per avere un po’ di tempo tranquillo! Concludo dicendo che nella mia esperienza, anche se breve perché di soli cinque anni di matrimonio, diventare genitori ha arricchito enormemente la coppia, ci ha portati ad approfondire la conoscenza reciproca e ci ha uniti ulteriormente. Di una cosa però sono convinta: se “essere genitori” richiede un continuo mettersi in discussione, confrontarsi e cercare di crescere anche imparando dagli errori, “essere coppia” richiede lo stesso sforzo ed impegno per non ritrovarci tra molti anni, quando i figli saranno cresciuti, ad aver perso la nostra identità di coniugi, guardandoci quasi come sconosciuti, magari con qualche ferita che ci si è trascinata per anni… Alice La buona notizia è che il mio amore per mio marito, da quando sono nati i nostri bambini, non è cambiato di una virgola; quella meno buona è che nel tourbilloun della loro crescita, presi da una routine gioiosa sì, ma anche vorticosa e sfinente, avrei tanto tanto bisogno e voglia di stare un po' insieme a lui da sola, come una "vera coppia". Quello che abbiamo costruito è meraviglioso, e ne sono molto fiera e soddisfatta, però avrei voglia ogni tanto di tornare a quella leggerezza dei primi tempi, dove l'unica preoccupazione era dove andare a cena fuori! A volte sono sopraffatta... Il mio amore per i nostri figli non conosce limiti, ma quello per me e per noi dove va a finire? Come fanno le altre coppie? Forse delegano di più e lasciano i figli ad altri? E chi come noi non può farlo, come si ritrova in questo turbine - meraviglioso, per carità - però senz'altro abbruttente..?. In questi primi mesi da quando è nata la nostra secondogenita il nostro amore si è trasformato, e sono consapevole che si manifesta nell'accudimento dei nostri bambini, ma é un reato rivolere mio marito tutto per me? Ho fiducia che presto le cose si riassestino, come era stato dopo la nascita di Vittorio, ma mentre uno ci è dentro è dura. Comunque siamo una bella squadra e al novantanove per cento condividiamo atteggiamenti e stili educativi; anche questo mi conforta molto, perché so che in mio marito posso avere fiducia incondizionata e quando c'è lui coi nostri figli è come se ci fossi io. E non è poco. Luisa saper gestire la fatica e le difficoltà dei figli la quarta narrazione Io penso che la fatica sia una nota frequente nella vita di un genitore: la percorre ininterrottamente cambiando continuamente la sua essenza, sia per quantità, sia per qualità. Essere mamma, quando i miei figli Andrea e Chiara erano piccoli, è stato fisicamente molto impegnativo. Accudire due gemelli prematuri e allergici ai pannolini, che mangiano otto volte al giorno e almeno altrettante volte vanno puliti e cambiati (questa stima del cambio pecca tantissimo per difetto) implica un esercito di biberon da sterilizzare e preparare e una gigantesca fila di pannolini di stoffa da lavare, sterilizzare e stirare, naturalmente tutto questo moltiplicato per due. Se poi a ciò, aggiungi gli oneri della casa, del lavoro e del marito, che in quanto non vedente, necessita spesso dei tuoi occhi, beh! La mole della fatica fisica risulta considerevole. Col trascorrere degli anni le mie fatiche si sono pian piano trasformate: da prettamente fisiche a prettamente mentali. Quando Chiara e Andrea erano più grandicelli, intorno agli undici - dodici anni, ho dovuto apprendere come “tenere a bada” il mio istinto di mamma, che tendeva a eliminare ogni possibile problema relativo ai miei figli e iniziare a lasciarli liberi di fare le loro esperienze, per permettere loro di vivere la loro vita in modo un po’ più autonomo, mantenendo io un controllo molto più circoscritto e non invadente, assegnando loro gradualmente sempre più fiducia. Ho capito che non tutti i problemi sono risolvibili e quando sia giusto permettere ai figli di provare da soli, ed eventualmente anche di sbagliare, per poi imparare ad attivarsi autonomamente per correggere e modificare il tiro. Ho dovuto imparare a perdonare me stessa quando, pur mettendocela tutta, non riuscivo a realizzare ciò che avevo pensato per i miei figli, per la mia famiglia; e ad ammettere che non sempre si riesce a essere la mamma ideale che avresti voluto essere. Ho sperimentato che il senso di colpa può diventare una scomoda prigione. Essere una mamma, una moglie, un’insegnante, un’amica non sempre è realizzabile con perfezione. Con i miei figli ci sono stati momenti in cui la stanchezza, le preoccupazioni hanno prevalso e l’iniziale dialogo si è trasformato in un’accesa discussione con tanto di urla e strepiti. La fatica maggiore, in questi casi, avviene dopo, quando ti rendi conto di aver esagerato, di aver detto anche quello che non pensavi e non avresti voluto dire, o di aver usato un tono non giusto, o una modalità sbagliata. È proprio in questi momenti che occorre fare pace, con te stessa e con i tuoi figli, per riallacciare quel ponte di comprensione che per un attimo si è dissolto. Io ho imparato a mostrare ai miei figli anche il mio lato fragile e a chiedere loro scusa se a volte non ero disponibile ad ascoltarli o a fare ciò che loro desideravano e si aspettavano da me. Questo non ha sgretolato il mio essere mamma, anzi, ha creato un ponte di dialogo tra le mie fatiche e le loro fatiche. Anche essere figlio comporta molte fatiche e oneri legati alla crescita, agli studi, alla cerchia amicale e soprattutto, naturalmente, al dover vivere insieme ai propri genitori. Coccole e discussioni per me e i miei figli sono state gli strumenti che hanno realizzato una fiducia reciproca, che rende liberi ma legati al tempo stesso in un vincolo generatore di positività. Maria Luisa Davide è un bambino di sei anni; se devo quindi pensare alla parola fatica associata ad un bimbo della sua età, penso soprattutto a situazioni, impegni e vincoli imposti da noi genitori. Alcuni di questi vincoli sono in parte inevitabili: si deve adeguare ai nostri orari lavorativi, tutte le mattine deve andare a scuola, deve fare i compiti, non può fare sempre ciò che gli piace nel momento in cui vorrebbe farlo... Altri impegni invece derivano dalla volontà dei genitori di gestire il proprio figlio secondo criteri di efficienza e successo: occorre organizzare per lui attività come quelle fisiche, palestra e nuoto, e quelle legate all’apprendimento, sebbene non derivino da una sua espressa richiesta (vedi inglese o musica). Una volta iniziate queste attività, dopo aver cercato di persuadere il proprio figlio del fatto che queste gli piacciano moltissimo, diventa difficile per un genitore fargliele abbandonare, non solo perché si vuole giustificare la spesa sostenuta, ma anche perché, se lo si facesse, si avrebbe la sensazione di aver sprecato tempo o di non aver raggiunto l'obiettivo prefissato. Per un genitore l’idea di non essere invadente è pura teoria: abbiamo valori da insegnare o più spesso imporre; abbiamo pretese educative, alcune fondate ed altre meno; abbiamo speranze e aspettative sui nostri figli che forse li aiuteranno, ma che ora devono subire. I bimbi per natura non pensano troppo al loro futuro e quindi ci sentiamo in dovere di pensarci noi: questo senza dubbio comporta fatica per i nostri figli. Matteo Parlando di gestire le difficoltà dei figli mi viene alla mente quando i miei due bimbi di quattro e sei anni litigano tra loro, e io mi domando: “Devo intervenire o riusciranno a risolvere la questione da soli?”. Per loro è una fatica ed una difficoltà riuscire ad andare sempre d'accordo, e quando sorge un conflitto è ancora più difficile trovare una soluzione. Se però la soluzione la trovo sempre io, loro non impareranno mai, allora cerco di trattenermi per dar loro modo di confrontarsi da soli. Gli altri dubbi che mi sorgono se penso alle difficoltà dei miei figli sono: “Quando io non li vedo e sono a scuola, come si troveranno con gli amici e i compagni? Avranno problemi e difficoltà di relazione?”. A volte i bimbi, soprattutto in gruppo, riescono ad essere cattivi, prendendo in giro ed emarginando alcuni compagni. Ovviamente vorrei che mio figlio non fosse in nessuno dei due schieramenti e vorrei che, se preso di mira, riuscisse a difendersi e a superare le difficoltà. In tutte queste situazioni cerco di non essere troppo invadente e magari non subito, ma in un secondo tempo cerco di affrontare il problema e di parlarne insieme ai bimbi, cercando di dar loro gli strumenti per superare quelle stesse situazioni in futuro. Elisa Mio figlio Pietro, sei anni, di energia ne ha da vendere…! Pertanto a me risulta difficile associare il termine fatica alle sue azioni. Sono le situazioni che lo annoiano o che non catturano la sua attenzione a farlo lamentare per la stanchezza. Allora una fatica insostenibile gli provoca mal di testa e male alla mano: quando non ha voglia di finire i compiti (a disegnare però resta due ore senza nessun problema…); un sonno terribile gli fa cadere la testa quando in tavola trova il minestrone; dolorosissimi crampi lo fanno smettere di camminare se siamo diretti a fare spese in centro, mentre sarebbe in grado di sostenere una maratona se a camminare con lui ci fosse un amico… In questi casi la mia tattica è quella di distrarlo e di coinvolgerlo in qualche racconto o gara a tempo. Per ora funziona! Diverso è parlare delle difficoltà che, a mio avviso, derivano da situazioni intime ed emotive e possono sfociare in disagi profondi. Al momento Pietro è piccolo e non mi sembra soffrire di particolari disagi, ma la mia preoccupazione per il futuro è già alta. La mia tendenza a proteggerlo e ad anticipare le situazioni che potrebbero metterlo in difficoltà è già manifesta e faccio fatica a tenerla a bada. Il comportamento migliore sarebbe quello di fargli sentire la mia presenza, la mia disponibilità e il mio appoggio, ma nello stesso tempo lasciargli affrontare i problemi con le sue sole risorse che, a detta di chi lo conosce, sono tante! Mi piacerebbe molto saper riflettere il modello dei miei genitori dai quali mi sono sempre sentita protetta e sostenuta, ma nello stesso tempo spronata a tante esperienze. Probabilmente anche a loro saranno venute ansie e preoccupazioni, ma sono stati capaci di metterle a tacere e di non farmele mai pesare. Elena Sono sempre stata una persona molto sensibile e questo può essere visto come un pregio o come un difetto. Nel primo caso, perché mi permette di provare empatia nei confronti degli altri tentando di andare incontro alle loro esigenze; nel secondo caso, perché può essere vista come una debolezza. In passato questa cosa mi creava delle difficoltà, ma crescendo e grazie al supporto dei miei genitori posso affermare ora di coglierne solo il lato positivo. Non è stato sempre immediato trovare un punto di incontro nei momenti di difficoltà, ma loro si sono sempre mostrati molto decisi nell’anteporre ciò che ritenevano giusto rispetto a ciò che sarebbe stato più semplice fare; mi hanno sempre messa di fronte alla realtà dei fatti senza ovattare il mondo intorno a me (questo mi ha portata ad essere una persona molto razionale); ma allo stesso tempo hanno sempre creduto in me, supportandomi nei momenti in cui avevo bisogno ed incoraggiandomi. Giorgia Con Arianna e Riccardo, più che di fatica, parlerei di impegno. Un impegno costante e continuo, vista la loro enorme energia e vitalità. Non sono mai fermi, sempre con una nuova attività ed esperienza da provare. Sono entrambi bambini solari ed allegri e di ciò siamo molto contenti, ma questa loro caratteristica li rende instancabili. Ogni giorno, quindi, ci troviamo di fronte alla "fatica" di spiegare loro l'importanza di essere autonomi nelle loro scelte, pur con il rischio di poter sbagliare. Con Arianna il nostro tentativo sta già dando i suoi primi frutti: è infatti una bambina molto autonoma ed indipendente. Non ha paura di fare le sue scelte e di provarci; infatti spesso ci ripete: "Provaci e vedrai che se vuoi ci riuscirai". Riccardo, invece, cerca ancora il nostro sostegno, ma con l'aiuto e l'esempio di sua sorella confidiamo possa presto rendersi più indipendente. Arianna, crescendo, sta cominciando a farci e farsi delle domande su alcuni aspetti complessi della vita e persino sulla morte. Essendo solitamente molto solare, riusciamo subito a capire quando è distratta da certi pensieri. Fortunatamente, è lei che viene a confidarsi e così ci permette di non essere troppo invadenti. In questo modo, possiamo parlare di argomenti "complicati" senza forzature, cercando di spiegarle le cose come realmente sono, ma non soffermandoci solo sugli elementi negativi. Riccardo, invece, non ha ancora cominciato a farsi queste domande, ma ci "tempesta" comunque di innumerevoli interrogativi a cui dobbiamo per forza dare una risposta convincente per farlo smettere, almeno per qualche minuto. Ruena La prima parola che mi viene in mente è pazienza, nel significato più bello che può avere: saper aspettare e rispettare i tempi e il cammino che Giacomo e Susanna stanno facendo. Ognuno di loro, con caratteri e qualità diverse, incontra difficoltà e fatiche più o meno grandi: dalla difficoltà ad aprirsi agli altri, a imparare a controllare le emozioni; dalla fatica di chiedersi scusa a vicenda nei momenti di litigio, ad aver fiducia in sé stessi e saper osare con più coraggio. E ogni volta mi chiedo quando intervenire e quando invece fare un passo indietro perché siano loro ad avanzare e se la cavino un po’ da soli, nelle discussioni tipiche tra fratelli, nelle difficoltà concrete: c’è un problema, bene, prova a pensare a come risolverlo; non riesci a fare una determinata cosa?, prova lo stesso. In tutte queste fatiche ritorna la pazienza. Se negli anni della giovinezza non la conoscevo, o meglio, non sapevo metterla in pratica, oggi, come mamma, mi ritrovo a far tesoro di un cammino personale che mi ha insegnato che cosa sia la pazienza. Non è sempre facile capire le fatiche, le difficoltà dei propri figli: bisogna imparare a sintonizzarsi, perché quello che per me può essere una banalità, per loro può essere una montagna da scalare. Ma volte capita anche il contrario: la mia visione contorta viene smontata pezzo per pezzo dalla semplicità dei bimbi. E allora mi ritrovo da capo, a rimettermi in gioco e imparo a guardare le cose con gli occhi di Giacomo e Susanna. Mi piace pensare a un’immagine: un porto che lascia andare una nave nel mare aperto, ma sa anche accoglierla in un grande abbraccio quando ritorna dal mare in burrasca. Raffaella Le difficoltà dei figli variano, come è naturale, con l’età e con le tappe della loro crescita. Quando mia figlia era piccola, ho fatto molto spesso l’errore di attribuire alcuni dei suoi momenti difficili a chissà quali ragioni psicologiche ed emotive, per poi scoprire che si trattava semplicemente di un calo di zuccheri. Siccome a me non capita quasi mai, non era contemplato nel mio prontuario di pronto intervento. Siamo persone diverse le une dalle altre, ed è importante riconoscere le proprie qualità e limiti senza assumere che i nostri siano anche quelli degli altri! In riferimento invece a difficoltà più prettamente appartenenti alla sfera emotivo-comportamentale, confesso di avere un atteggiamento INTERVENTISTA: mi sento subito oppressa dalle situazioni di disagio, pertanto cerco immediatamente di porvi fine, non lasciando il tempo per una corretta interpretazione del problema. Questo, va da sé, porta ad un notevole dispendio di energie da parte mia, con un medio-scarso livello di successo. Mi è piaciuto molto il suggerimento e l’esperienza di una mamma che consigliava di ascoltare i nostri bambini, lasciarli parlare senza dovere per forza anticipare le risposte o intervenire. Una volta mia figlia si è lasciata scappare: “Mamma, a volte noi bambini facciamo delle storie come un modo per esprimere i nostri pensieri”. Ho capito che questa può essere anche solo una modalità che li aiuta ad esplicitare qualcosa altrimenti difficile da esprimere. Quindi, le riflessioni che mi sono portata a casa sono: ascoltare i bambini, stimolarli con domande aperte e non sempre intervenire. Riflessione numero due: non possiamo controllare tutto, a volte si può e si deve anche lasciare correre, magari il tutto si risolve da solo. Insegnamento numero tre che si collega ai precedenti anzi, conditio sine qua non: avere ed esercitare PAZIENZA con noi stessi e con chi ci sta accanto! Tiziana Quando, durante il primo incontro di quest’anno, abbiamo scelto la tematica della prima serata eravamo tutti desiderosi di affrontare questo GRANDE tema... Nel rileggere il titolo ho pensato: “Ma questa è una grande sfida, è uno dei compiti più importanti come genitore, ma che fatica!!”. Certo che poi alla fine la soddisfazione sarà enorme e ci ripagherà di tutte le nottate insonni e le chiacch iere di coppia per dipanare i nostri dubbi e le nostre domande: “Cosa è meglio fare?”. Saper gestire la fatica e le difficoltà dei figli è riuscire come singolo genitore e come coppia a trasmettere al proprio figlio fiducia in se stesso, per permettergli di affrontare il “ mondo”. Questo penso sia il regalo più bello che si possa fare al proprio figlio. Ma, ragazzi, da dove cominciamo? Sono una mamma di una bambina di nove anni e alla fine mi sono detta: “Perchè farsi dei viaggi mentali “solitari” per cercare di risolvere certe situazioni prima che si verifichino, o per pensare cosa pensa o ha pensato mia figlia in questa o quella situazione, per cercare di aiutarla?”. Cosa fare? La cosa migliore è ASCOLTARE mia figlia, ma ascoltare nel vero senso della parola, e cioè “vuotare la mia mente” liberandola di tutto, perchè solo così potrò essere libera di capire veramente quello che prova e sente mia figlia. Poi mi sono guardata allo specchio e ho visto le mie orecchie, e mi sono chiesta perchè siano fatte così: sporgono dalla mia testa perchè hanno bisogno di essere “fuori”, di sentire e ascoltare quello che gli altri dicono. Solo dopo aver correttamente ascoltato entrano nel mio corpo (sono attaccate), per portare dentro quello che hanno ascoltato. Un giorno ho visto mia figlia un po’ turbata e triste, le ho fatto qualche domanda e lei ha cominciato a parlare raccontando cosa le era successo. Ho cercato di applicare il vero “ascolto” e l’ho lasciata parlare senza farle troppe domande. Aveva solo bisogno di essere ascoltata. Poi, alla fine, mi ha chiesto: “Mamma, mi abbracci?”. L’ho abbracciata forte forte, e in quel momento lei come figlia e io come madre siamo state la figlia e la mamma più felici del mondo. Ecco, basta poco, ma a volte quel poco non lo vediamo e non lo facciamo perchè andiamo troppo di fretta. Ciò che i nostri figli desiderano da noi è soltanto “esserci” con l’ascolto e/o con un abbraccio. Simona le esperienze che fanno crescere la quinta narrazione Mi sono sforzata di pensare a questo tema rivolta a mia figlia, mentre ho sentito tanti altri genitori che invece sono partiti dal proprio vissuto. Ascoltandoli, penso sia stata una scelta giusta, per evidenziare le differenze, ma anche per trovare le similarità tra noi e l'educazione ricevuta. Ritengo che alcune leve di crescita siano valide attraverso il tempo, indipendentemente dall’epoca in cui viviamo. Pur consapevole che i maggiori stimoli alla crescita siano determinati dall’autonomia, ammetto di non cercare di metter deliberatamente mia figlia troppo spesso in tali situazioni, per apprensione, e quindi, mi viene da dire, per egoismo. Per mia figlia motivi/momenti di crescita ho notato che sono stati: Il contatto con gli altri, ed in particolare cuginetti e amici sia più piccoli che più grandi, nei momenti di svago. Con i più piccoli manifesta senso di protezione e di responsabilità, con i più grandi conosce e sperimenta cose “da grandi”. Uscire dalla routine e dagli ambienti conosciuti, ad esempio tramite gite in città diverse dalla nostra, soggiornare per brevi periodi in ambienti inconsueti (montagna, mare). Fare piccole esperienze e sfide fuori dalla sua comfort zone, per avere riscontro dei propri limiti. Riguardo alla sofferenza, ritengo senza dubbio che sia una delle principali leve di crescita, ma al riguardo non penso di dover “preparare il terreno” per Sofia. Le sofferenze arrivano in modi e tempi imprevedibili, quindi per me l’unico modo per prepararsi a ciò, se mai fosse possibile, è costruire la forza e la fiducia in se stessi e in chi si ha accanto. Non ho cercato di nasconderle la morte e la malattia, ma solo fino al punto in cui lei era disposta a tollerare e a capire. Tiziana Penso che le esperienze che fanno crescere siano per tutti, ma soprattutto per i bimbi, quelle legate al vivere in comunità. Per i miei figli la comunità è quella famigliare, poi i compagni di scuola o quelli della palestra. In ogni comunità bisogna condividere le regole e le cose. Imparando le leggi e le norme, e rispettandole, il bambino cresce, capisce che ogni luogo ha le sue regole e impara pian piano a relazionarsi con gli altri, sia coi suoi pari che con gli adulti. Poi, soprattutto per i bimbi piccoli, è un grande impegno anche condividere gli oggetti, i giocattoli, ad esempio, e queste esperienze sono quelle che serviranno più avanti per diventare, si spera, adulti migliori: più aperti, disponibili ed accoglienti. Ho pensato queste cose perché ritengo di essere cresciuta soprattutto grazie alle esperienze che ho fatto con la mia famiglia, la scuola e la parrocchia. Oltre che di esperienze, però, parlerei anche di incontri con alcune persone. Quelle due o tre figure che ho incontrato sul mio cammino e che mi hanno fatto crescere, insegnandomi tante cose con le parole, ma soprattutto con l'esempio e con la loro vita. Elisa Pur avendo una figlia che sicuramente sta già attraversando esperienze che le permettono di crescere, la mia riflessione si è concentrata su di me e sulla mia vita. Ciò perché da un lato per me “un'esperienza che fa crescere” non è dettata solo da qualcosa che accade, ma anche dalla riflessione a posteriori che ci permette di collocarla nella nostra vita dandole un senso. Dall'altro lato penso che le mie esperienze influiscano profondamente sul modo in cui educo mia figlia, quindi siano legate anche alla sua crescita. Due sono i tipi di esperienze che, nella mia vita, sono state fondamentali: le relazioni e la sofferenza. Sono parte di una famiglia numerosa: il contatto con gli altri, che lo volessimo o no, è sempre stato all'ordine del giorno. A casa nostra c'era sempre qualcuno - parenti, amici, amici di amici... ad ogni ora del giorno e della notte. Potrei contare sulle dita di una mano le volte in cui sono stata veramente “da sola”. Pur portando con sé anche qualche svantaggio sulla gestione della privacy, questo focus sulle relazioni ha fatto sì che sviluppassimo uno sguardo aperto agli altri. Credo fermamente che questo mi abbia dato ricchezza e capacità di cambiare, potendomi sempre mettere in discussione attraverso il confronto. La sofferenza, piombata nelle nostre vite all'improvviso e forse troppo presto, ha necessitato di molto tempo e di dolorose riflessioni per essere vista in positivo. Penso però che alcune mie caratteristiche come l'empatia e l'immedesimarmi negli altri derivino proprio da questa maturazione. Spero che, così come è stato per me, anche io e mio marito potremo essere per mia figlia un punto di riferimento saldo, permettendole di trovare in sé gli strumenti più efficaci per vivere al meglio tutte le esperienze della vita. Teresa Sono convinto che le esperienze che fanno crescere siano normalmente quelle che toccano in modo profondo lo stato emotivo di una persona: quelle che ci fanno piangere, quelle che ci procurano una grande gioia o sofferenza. La nostra società si è impegnata con un lodevole sforzo ad eliminare, per quanto possibile, la sofferenza dalla vita dei suoi cittadini, attraverso conquiste sul piano medico-scientifico e la creazione di un diffuso stato di benessere e di eguaglianza sociale. La mancanza di sofferenza non solo ci ha tolto uno dei motori della crescita, ma ci ha portato anche a godere meno dei momenti di gioia, limitando quindi anche l’altro motore. Noi genitori, nei confronti dei nostri figli, abbiamo fatto la stessa cosa. Nel tentativo di proteggerli cerchiamo continuamente di evitare loro momenti di sofferenza, tenendo conto che il loro animo molto più sensibile è soggetto a grandi momenti di felicità e ad altrettanti momenti di sofferenza e paura. Quando parlo di sofferenza per un bambino mi riferisco anche alla mancanza di qualcosa, e quindi alla possibilità di imparare a formularne la richiesta o ad impegnarsi/lottare per ottenerla. Parlo della possibilità di confrontarsi con persone diverse da lui, magari migliori, e che lo spronano ad impegnarsi maggiormente per raggiungerle in termini di intelligenza, creatività, ricchezza o altro. Matteo Appena mi sono messa a riflettere su questo tema, ho subito pensato alla mia famiglia. Sicuramente anche le esperienze con gli amici, i compagni di scuola e i parenti sono altamente significative, ma visto che avevo pensato ai miei genitori continuerò parlando di loro e di noi. Sono sempre stata molto seguita dalla mia famiglia: essendo una maestra, mia madre aveva più tempo di mio padre da dedicare a me e a mia sorella, e allo stesso tempo ci teneva sempre “monitorate”: le regole dovevano essere rispettate senza tante negoziazioni. Riflettendo sulla mia famiglia mi sono venuti in mente quattro elementi che caratterizzavano il rapporto con i miei genitori e che mi hanno accompagnata nel mio processo di maturazione e di crescita: amore, discussioni, guadagnarsi le cose e l’autonomia. Come primo elemento ho inserito l’amore perché è una cosa che non è mai mancata nella mia famiglia: i miei genitori mi hanno sempre fatta sentire importante e riempita di affetto. Come secondo elemento ho pensato alle discussioni, specialmente quelle che hanno accompagnato i cambiamenti di età. I miei genitori non erano sempre accondiscendenti nelle mie scelte di vita, e se pensavano che una mia decisione fosse sbagliata cercavano sempre di farmi ragionare. Inizialmente mi arrabbiavo e non mi sentivo capita, poi quando mi tranquillizzavo o quando arrivavo al punto di sbagliare capivo le motivazioni della loro insistenza. Come terzo elemento mi è venuto in mente il fatto che ogni cosa deve essere guadagnata, meritata e niente arriva a caso. Per questo devo ringraziarli veramente tantissimo, perché solo ora posso capire il valore di questo insegnamento. Noto molto la differenza tra me e alcuni miei coetanei che sono sempre stati abituati ad avere tutto: io mi tolgo i miei sfizi ma allo stesso tempo so anche apprezzare le cose semplici, che sono le più belle. Quando desideri una cosa e riesci a raggiungerla, ad ottenerla perché te la sei guadagnata, questo ti porta a valorizzarla molto di più. Come ultimo elemento (ma non meno importante) ho pensato all’autonomia, infatti i miei genitori hanno sempre cercato di rendere me e mia sorella il più autonome possibile, e anche questo riesco ad apprezzarlo pienamente solo ora. Un’ulteriore esperienza che mi è venuta in mente è il rapporto con mia sorella: avere una persona quasi coetanea con la quale condividere spazi, regole, giochi e momenti della vita quotidiana mi ha portata a pensare sempre anche agli altri e non solo a me stessa, e penso che questa sia una cosa fondamentale per vivere serenamente all’interno della società. Giorgia La prima cosa che mi viene in mente, pensando ad un’esperienza formativa che permetta di crescere, è sicuramente l’esperienza dello scoutismo. Essa presenta una duplicità di incidenza formativa: fa evolvere i diretti protagonisti, cioè i bimbi/ragazzi che la praticano, e nel contempo anche i loro genitori. I miei figli sono scout da tredici anni. Hanno iniziato questo percorso di crescita in concomitanza con il nostro trasferimento da un piccolo paesino in provincia di Torino, città natale di mio marito, a Modena, mia città natale, quando avevano appena terminato la scuola primaria. Ora sono entrambi capi scout e vivono questo bel viaggio evolutivo con grande passione e dedizione. Ho pensato di realizzare questo mio scritto facendo un elenco di tutti gli aspetti valoriali che ho visto nascere o rafforzarsi nei miei figli e quelli che altresì hanno inciso su di me come mamma di ragazzi scout. Verso i figli, lo scoutismo educa alla frugalità; al rispetto della natura, alla sua conoscenza e alla sua valorizzazione; alla condivisione; all'amicizia; ad un cammino di fede e spiritualità; all'impegno sociale; al servizio; all'avventura; al privilegiare l'essere sull'apparire; all'arte di arrangiarsi; alla creatività e laboriosità; a tollerare ed accogliere gli altri con le loro diversità; al rispetto dei ruoli; alla fatica insita nel raggiungimento di una meta, sia essa concreta o valoriale; ad essere d'esempio per i più piccoli; alla gioia dello stare insieme; a progettare le scelte per il tuo cammino di vita futura; al fare squadra. Verso i genitori, lo scoutismo educa alla frugalità; allo sdrammatizzare (soprattutto le mamme con tutte le loro ansie); alla condivisione, con gli altri genitori, delle esperienze vissute dai tuoi figli, soprattutto nel condividerne il senso e la direzione; all'amicizia; al fare rete; al fidarsi delle capacità e dell'autonomia dei tuoi figli; al servizio; all'accoglienza; al fidarsi dei ragazzi scout che hanno in carico i tuoi figli; all'apertura verso nuove idee. Maria Luisa Parlando di esperienze importanti che lasciano il segno nella vita di ciascuno, mi sento di distinguerle in due gruppi: quelle che ci si trova a vivere senza possibilità di scegliere e quelle che si affrontano per scelta. Tra le prime mi vengono in mente eventi quali la perdita prematura di un familiare, la separazione dei genitori, l’arrivo di un fratello, il trasferimento in un’altra città, una malattia. Si tratta di eventi, alcuni positivi, altri negativi, che portano con sé un grosso cambiamento, che obbligano a rivedere i propri punti di riferimento e che toccano profondamente la sfera emotiva. Nel secondo gruppo includo le esperienze che si sceglie di vivere per convinzione, perchè aderenti al proprio modo di essere o perchè associate a situazioni piacevoli. Personalmente non mi sono trovata a vivere esperienze di quelle appartenenti al primo gruppo; pertanto, cercando nel gruppo delle seconde, mi rendo conto che i momenti che hanno lasciato il segno nella mia vita e che mi hanno fatto fare un passo in avanti sono quelli associati a situazioni nuove, a cambiamenti, all’apertura verso ciò che è diverso dall’abituale. Mi riferisco ad esempio alle prime volte lontana da casa quando ero bambina, all’andare a vivere da sola quando studiavo, ai viaggi, al trasferimento a Modena dopo il matrimonio. Ogni volta che mi sono misurata con qualcosa di diverso, di nuovo, ho acquisito la consapevolezza di essere in grado di farcela e la sicurezza verso esperienze nuove. Posso trasferire le stesse considerazioni anche a mio figlio: dargli la possibilità di sentirsi abbastanza grande per fare qualcosa di nuovo gli fa fare un passo in avanti e aggiungere un mattoncino al suo bagaglio. Devo constatare, però, che tra le esperienze nuove per lui ci sono quelle che portano subito ad un cambiamento irreversibile: “Non mi devi aiutare, mi so lavare i denti da solo”; “Voglio anch’io il coltello a tavola, adesso lo so usare”; “Entro da solo dalla nonna, tu non mi devi accompagnare”… Ve ne sono altre, invece, rispetto alle quali è più restio, come se non volesse ammettere che sta crescendo. Ad esempio la sera quando va a letto e gli porto da bere mi dice: “La camomilla sarebbe più buona nel biberon!” oppure, anche se da tempo ha imparato ad addormentarsi da solo, chiede che il papà sia l’ultimo a salutarlo, perchè: “Il papà resta qua finchè non lo sento andare via…” Elena Guardando all'infanzia dei miei figli non mi veniva in mente alcun episodio significativo in particolare; ma, mi sono detta, sono cresciuti, e mi sembra bene, quindi almeno qualche esperienza positiva l'avranno fatta... Poi ho pensato che in realtà si impara da tutte le esperienze, con la consapevolezza che deriva dalla condivisione e dalla rielaborazione dei vissuti; quelle ancora ben presenti al mio ricordo riguardano i momenti più intensi vissuti con ciascuno di loro, che, direi, hanno fatto crescere molto anche me. Intensi, dunque: momenti della vita particolarmente faticosi o particolarmente felici; più spesso, tutte e due le cose insieme. Il primo ricordo riguarda mio figlio Ignazio quando aveva sette anni, subito dopo la morte del suo papà. Era estate, eravamo insieme in una passeggiata nel bosco, sulle colline bolognesi, ospiti di amici. Ad un certo punto, molto all'improvviso, Ignazio si è messo a piangere disperato: "Mi manca il papà". In un attimo ho pensato a tutte le parole consolatorie che avrei potuto dirgli... e in un attimo ho percepito che nessuna delle mie parole lo sarebbe stata. Così mi sono seduta, l'ho preso in braccio abbracciandolo forte e piangendo gli ho detto "Manca anche a me". Siamo rimasti lì, in silenzio, a piangere e a stringere in quell'abbraccio tutto il nostro dolore e tutta la nostra forza: per impugnare quel dolore non subendolo, ma con volontà di assumerlo e trasformarlo in amore vicendevole. Così abbiamo stretto un patto: ogni volta che il dolore sarebbe ritornato, insopportabile, avremmo chiesto all'altro consolazione. Non ricordo per quanto tempo sia durato questa alleanza, penso fino a quando ne abbiamo avuto bisogno. Oggi siamo qui, Ignazio è rimasto l'unico figlio (di sei) ancora in casa con me. Possiamo ricordare il papà con serena nostalgia. Era invece un po' più grande mio figlio Francesco quando, al terzo anno di università, mi comunicò la sua decisione irrevocabile, e per me abbastanza improvvisa, di interrompere gli studi e lavorare. Aveva già trovato un incarico presso una ditta del settore delle ceramiche, come apprendista magazziniere. Date le sue attitudini e capacità, nonchè per le mie aspettative sulla sua vita professionale futura, lo giudicavo un passaggio negativo, forte della consapevolezza di che cosa significhi oggi introdursi nel mondo del lavoro senza un titolo universitario o di specializzazione. Abbiamo contrattato un corso post-diploma di specializzazione, ma comunque Francesco prese subito servizio nella ditta. Quando lo vedevo tornare a casa nella sua tenuta operaia, e soprattutto quando sentivo i suoi racconti sui colleghi, il suo linguaggio imbarbarirsi e fiorire di colorate espressioni gergali dall'albanese al rumeno all'arabo... mi rafforzavo nell'idea che fosse tutto un grande sbaglio. Sono riuscita a stare abbastanza silenziosa (abbastanza) nel rispetto della sua scelta, nonostante lasciassi in giro per casa opuscoli vari su altri corsi di specializzazione, da tecnico del suono - ha un gran talento musicale - a informatico - altrettanto, con altrettanta passione... Sono passati quattro anni, nei quali ha lavorato in due ditte diverse. Oggi Francesco è sposato ed ha una figlia, lavora per una solida ditta nel settore delle energie rinnovabili. È cresciuto in fretta e precocemente. Tra i miei figli è forse professionalmente il più completo, penso proprio in virtù della sua esperienza fresca di giovinezza nel mondo del lavoro, che ha sviluppato in lui capacità di adattamento, duttilità, direi molta "saggezza" ed equilibrio nelle relazioni professionali. L'immissione a ventidue anni nel mondo del lavoro è stata inoltre una porta spalancata per aprirgli diverse possibilità, tra le quali ha potuto scegliere. Spesso mi rivolgo a lui per consiglio nelle questioni riguardanti la gestione degli affari di famiglia. Maria Ogni esperienza è, per sua stessa natura, un momento di crescita, sia per la persona che la vive che per quelli che le stanno attorno. Vale per noi genitori come per i nostri figli. Le esperienze sono soprattutto piccoli momenti che viviamo in famiglia o in società: la prima torta che si fa con la mamma, i primi calci al pallone con il papà, il campeggio con gli amici della parrocchia. Sono tutti frammenti di vita che ci portiamo dietro e che, inevitabilmente, ci fanno crescere, con la consapevolezza che hanno insegnato a noi e agli altri qualche cosa in più. Con i nostri figli è lo stesso, ma noi siamo dall'altra parte; ciò non significa, però, che non ci sia altrettanto da imparare. Quando un figlio vive un esperienza con un genitore o con entrambi, tutta la famiglia cresce, anche quando siamo solo spettatori di un traguardo da lui raggiunto in autonomia. Ricordo ad esempio la scorsa primavera, quando Arianna ha deciso di imparare ad andare in bicicletta senza le ruotine. Io non ho dovuto fare molto se non stare lì a guardare, perché è lei che ha stabilito le regole del gioco. E questo ha sicuramente fatto crescere lei, ma anche me. Perfino dagli errori e dalle esperienze negative che ne conseguono si impara a crescere. Il dolore è un compagno scomodo, ma che ci può insegnare tante cose. Una brutta caduta ci farà stare più attenti e cauti la volta successiva. Un errore nell'approcciarsi a un figlio ci farà capire di essere più rispettosi in un'altra occasione. Lo sbotto d'ira per la perdita di pazienza ci farà pensare un po' di più a moderare la nostra reazione in una situazione simile. È proprio vero, quindi: dai propri errori, molto spesso, si impara. Ruena Quando ho letto questo tema non ho pensato a quali tipi di esperienze fanno crescere mia figlia, ma piuttosto ho riflettuto sul fatto che “qualsiasi esperienza aiuta a crescere”, che sia un’esperienza positiva o negativa, e che la crescita non è solo individuale (solo del genitore o solo dei figli), ma è una crescita collettiva: si cresce insieme. Tutto quello che accade in una giornata è esperienza, e raccontare alla sera in famiglia, durante la cena, quello che si è fatto e ciò che si provato durante la giornata, è un ottimo ingrediente per una sana alimentazione. È importante riuscire a raccontare e a crescere anche con le esperienze negative, perchè senza le esperienze negative non si riescono ad assaporare quelle positive. Quando mia figlia racconta a me e a mio marito le sue esperienze, cresciamo noi come genitori, e perchè torniamo a guardare le cose con gli occhi e con la semplicità di un bambino, ma anche come coppia, perchè questo ci permette il confronto. Forse la parte più difficile è la condivisione dell’esperienza: il parlarne in famiglia, il far uscire ciò che si è provato in quel momento. Noi adulti tendiamo a dare per scontato tante cose e tante emozioni. Se riusciamo a “condividere le nostre esperienze”, i nostri figli capiranno che esistono momenti di gioia e momenti di tristezza, ma che alla fine insieme e uniti si supera ogni cosa. L’esperienza, se condivisa, porta a vedere altri punti di vista, a non rimanere “chiusi e ottusi”, perchè tanti occhi sono sicuramente meglio di due. Se dovessi indicare quali esperienze fanno crescere, indicherei anche l’arte e la musica, perchè trasportano ognuno di noi in un’altra dimensione, arricchendo quella parte di noi che rimane spesso nascosta. Simona Sono innumerevoli le esperienze che mi hanno fatto crescere e ancora mi fanno crescere. Non sono in grado di farne l’elenco, ma ciò che le accomuna è l’incontro con l’altro/i che inevitabilmente mi ha portato e mi porta ancora adesso a confrontarmi con il mio io. E se penso a Giacomo e Susanna vedo i loro occhi brillare quando vivono o fanno qualcosa che li fa crescere e li aiuta ad aver fiducia in se stessi: dal preparare lo zainetto per la piscina, ad imparare ad allacciare le scarpe con i lacci, dal far rotolare una palla e metterla in rete al cantare insieme ai compagni. In tutto questo c’è sempre l’incontro con l’altro che diventa compagno di viaggio. Anche un sano umorismo aiuta a crescere: a volte, quando qualcosa di poca importanza va storto, mi ritrovo a riderci sopra e a far ridere anche i miei figli. Ci sono poi certe esperienze per me speciali che mi piace vivere insieme ai bimbi: tante volte abbiamo guardato le stelle in cielo, cercato gli animali del bosco e aspettato di sera che arrivassero; abbiamo visto i pesci nel mare insieme per mano. Ci siamo guardati attorno, abbiamo aperto gli occhi su un mondo da conoscere e rispettare che va oltre le pareti di casa, e apre così i nostri orizzonti. E io, mamma, ritorno ancora bambina insieme ai miei figli. Raffaella osservazioni Maria A. Piacentini, Luana Borellini Tre anni di sperimentazione della Metodologia Pedagogia dei Genitori al polo per l'infanzia Madonna Pellegrina ne confermano la genialità dell'intuizione, nonchè la sua efficacia, come è di tante cose in quanto semplici e veritiere. Narrare, narrarsi, è semplice tradizione di tutte le culture, poichè attraverso la parola detta (e lo scrivere quella parola) avviene il processo di incarnazione dei valori e di rielaborazione dell'esperienza che consente di imparare a vivere dalla vita, e trarne sapienza per le generazioni a venire. La verità, in questo caso nel porsi di fronte agli altri onestamente e sinceramente, nella misura che ognuno decide per sè, contiene una forza intrinseca ed esponenziale di bene e di bellezza. Se all'inizio si pensava ad una "riqualificazione dei rapporti scuola-famiglia" attraverso la Metodologia, il cammino è stato piuttosto un cambio di mentalità: porsi su un altro piano nelle relazioni, individuali e dentro la collettività scolastica. L'incontro tra persone ha cambiato il modo di guardare, pensare, accogliere, capire l'altro/l'altra, mamma, papà, insegnante; e porre così la premessa indispensabile per una reale comunità educante, dove tutti imparano da tutti, rafforzando entrambi i ruoli ed i saperi di cui si è portatori, l'uno esperienziale e l'altro professionale. Ma la Metodologia, essendo un cambiamento culturale, ha osmoticamente un'estensione nella dimensione più "larga" della società civile: cioè una valenza politica, per certo verso rivoluzionaria. Due parole difficili da pronunciare (e scrivere) oggi, per quanto di negativo ci evocano. Eppure, prescindere o disinteressarsi del contesto – polis - in cui si vive significa disinteressarsi del futuro; rivoluzionare, nel senso etimologico di voltare, rivolgere... significa rivendicare a se stessi, come singoli cittadini e come insieme di cittadini, la possibilità di incidere nella realtà, dandole una direzione concreta e di senso. Semplicemente: se la scuola diventa quel contesto di relazioni positive, nell'entrare la mattina accompagnando il proprio figlio o figlia, magari viene più facile un saluto od un sorriso ad illuminare la giornata. Questo, lo possiamo fare. nella pagina precedente POLTRONCINA DEL CONFORTO integratore di felicità a disposizione all'ingresso della scuola Indicazioni Casi di ridotto apporto di felicità, aumentato fabbisogno di ottimismo. Intensa attività di pensiero negativo. Eccessiva preoccupazione, stanchezza e affaticamento da prestazioni educative e/o di cura. Modalità d'uso Si consigliano sedute di prima mattina e/o al bisogno; indispensabile mantenere il silenzio durante l'assunzione. Seduta minima di 30 secondi per invitare al sorriso e migliorare l'umore. Seduta di 60 secondi per indurre a pensieri felici. Seduta da 2 minuti in su per partorire idee geniali. L'assunzione nelle giornate di sole ottimizza gli effetti. Avvertenze Tenere fuori dalla portata dei disfattisti cronici. Superare tranquillamente la dose giornaliera indicata. Modalità di conservazione Conservare al riparo da pessimismo cosmico. Senza data di scadenza. La poltroncina del conforto non va intesa come sostituta di una dieta spirituale variata ed equilibrata e di relazioni affettive gratificanti appendici metodologia La Pedagogia dei Genitori è una metodologia che valorizza la componente famigliare nell’azione educativa, attraverso le narrazioni che i genitori fanno dei loro figli, per integrare le informazioni di tipo scolastico. Lo scopo è appunto quello di arrivare ad una descrizione della personalità e del “funzionamento” dei figli “più allargata” che tenga conto di tanti aspetti che solo chi vive a contatto quotidianamente con loro può conoscere, al fine di promuovere il successo formativo, non solo scolastico, e l’orientamento alle future scelte di vita dei figli-studenti. Inizialmente promossa per i genitori dei figli in situazione di disabilità, la pedagogia dei genitori é diventata un importante strumento di osservazione, confronto e narrazione scientifica, tra genitori, insegnanti, educatori ed operatori sanitari, non solo dei giovani in situazioni di disabilità, ma di tutti i bambini ed adolescenti; perché, come dice un vecchio proverbio africano: “Per educare un bambino occorre tutto un villaggio”. “…La metodologia delle narrazioni dei genitori consente un recupero dell’identità individuale e una rigenerazione dei legami sociali e delle alleanze educative nella comunità locale, inducendo processi virtuosi di inclusione, ed il recupero della solidarietà intergenerazionale. Occorre valorizzare le competenze delle famiglie, per metterle in grado di dialogare in modo efficace con le ASL, i Servizi socio educativi e le Istituzioni scolastiche, attraverso la raccolta, la pubblicazione e la diffusione delle narrazioni dei percorsi educativi. La Pedagogia dei Genitori è la Pedagogia della Responsabilità, dell’Identità, della Speranza, della Fiducia e della crescita: promuove la centralità della persona, con attenzione alle sue potenzialità...” Cultura della genitorialità Il sapere concreto situato e quotidiano dei genitori è volto verso la crescita e l’evoluzione, costruisce il Progetto di vita basandosi sul funzionamento dei figlio di cui rivendica la positività. La famiglia che promuove l’itinerario di crescita del figlio non è solo contesto, fattore ambientale, costruzione di personalità, ma portatrice di un sapere che riguarda i fattori personali. Nel corso della crescita del soggetto i genitori vengono a conoscenza delle capacità del figlio di eseguire compiti o azioni (performances) nello spazio del tempo famiglia e in ambito sociale. Per le situazioni di gravità propongono i fattori facilitanti che permettono di superare le barriere. Trasmettono conoscenze apprese nello spazio famiglia che possono esser utilizzate all’interno dello spazio scuola. I genitori nella loro azione quotidiana mettono in atto valori pedagogici. Pedagogia della responsabilità Caratteristica fondamentale dell’azione della famiglia, è alla base dell'educazione genitoriale e come tale ha uno stile ed un approccio specifico. Il bimbo le appartiene e non vi è nessuno che se ne può occupare con la stessa intensità. Si sviluppa un legame strettissimo ed una forma di educazione che si modella su questa impostazione. La famiglia porta il peso dell’educazione e ne risponde al mondo. Il successo e la felicità del figlio è il suo successo e la sua felicità. Non si può sottrarre, non può dare le dimissioni. Non può colpevolizzare altre istituzioni. Questa responsabilità, assunta positivamente, le attribuisce una forza ed una capacità che nessuna altra agenzia educativa ha. Deve riuscire. Deve trovare le soluzioni. Di qui le capacità di organizzazione e ricerca che possiede. La pedagogia della responsabilità fa in modo che non possa cercare scappatoie o alibi: il figlio deve riuscire, e bene. La comunità di villaggio, che permetteva a tutti di intervenire sul bambino, e la famiglia allargata, in cui le funzioni parentali venivano assunte in modo collettivo, sono scomparse. Attualmente l’educazione dei figli spetta unicamente alla coppia o, come capita spesso, a un singolo genitore. Il senso di responsabilità continua e consapevole mutuato dalla famiglia è funzionale ai compiti e della scuola e della sanità che devono verificare nel lungo periodo i risultati della loro azioni. Pedagogia dell’identità “Ogni scarrafone è bello a mamma sua”. Diventare una persona significa acquisire un’identità e soprattutto riconoscerla ed accettarla. Questo non passa attraverso un’attività singola, legata all’individuo, quanto mediante un’azione sociale. Io mi riconosco negli altri tramite gli altri. E gli altri, nel momento più difficile e delicato della crescita, sono i genitori. Sono loro che impostano all’inizio il rapporto dell’uomo con se stesso. Per la mamma e il papà il figlio è il più bello ed intelligente del mondo, è unico, ed è giusto che sia così, altrimenti non si opererebbe quell’enorme investimento di energie umane che è la crescita dei figli. Il figlio ha la necessità di sentirsi unico al mondo: una condizione fondamentale per accettarsi. Da questo riconoscimento si sviluppano qualità che formano la persona, più saranno fondate sull’accettazione dei genitori, maggiore sarà la sicurezza dell’individuo. Pedagogia della speranza Profondamente insita nell'azione dei genitori è la spinta verso il futuro, verso uno sviluppo positivo. Speranza significa crescita e superamento delle difficoltà, investimento e tensione verso un’evoluzione che non può non avvenire con esiti felici. “Fortis imaginatio generat casum” (una forte immaginazione produce un risultato), sottolinea Montaigne. La speranza dei genitori è l’anima del progetto di vita, del pensami adulto. Una dimensione che a torto è stata definita irrazionale. Andare al di là di ogni ragionevole aspettativa significa proporre una continua tensione verso la soluzione dei problemi. La speranza dei genitori si misura sul figlio, sulle sue capacità, sulla necessità di andare oltre, di superare le difficoltà. In questa dimensione possono esserci stati eccessi, dovuti all’abbandono sociale dei genitori, lasciati soli di fronte alla sfida educativa. La speranza è alimento per una continua ricerca di soluzioni in ogni campo delle scienze umane e diventa qualità necessaria per lo sviluppo della persona. Pedagogia della fiducia Mentre la pedagogia della speranza è caratterizzata da una dimensione ‘lunga’: si sviluppa, nel corso dell’esistenza, in un progetto che ambisce a diventare progetto di vita, la pedagogia della fiducia ha una dimensione quotidiana, più vestita sulle capacità del singolo. È legata alle scelte ed alle forze che il bambino mette in campo. Egli percepisce che le sue energie non vengono avvertite come ostili o estranee, ma accettate e inserite in un progetto di cui i genitori sono consapevoli e responsabili. Le capacità vengono nutrite e rafforzate da un rapporto diretto, la fiducia del genitore non solo sostiene le potenzialità del figlio, ma le fa nascere. È necessaria anche quando egli diventa consapevole delle proprie capacità ed inizia a fare delle scelte. I genitori lo conoscono meglio di qualsiasi altra persona e il loro sostegno e la loro approvazione hanno un peso incomparabile. Sono strumenti di crescita attraverso i quali la famiglia attribuisce autonomia al figlio e lo distacca da sé, pur mantenendo uno strettissimo legame che si rafforza nell’esercizio della fiducia. Pedagogia della crescita L'intervento dei genitori possiede una continuità che altre situazioni educative non hanno. La loro azione ha la caratteristica di un esperimento scientifico di cui pongono le premesse e che possono seguire nello spazio e nel tempo. Assistono all'evoluzione di una personalità che essi determinano e dalla quale sono determinati. Sono costretti e sollecitati dall'evoluzione fisica e spirituale del figlio che produce in loro una necessaria flessibilità da conquistare quotidianamente. L'educazione si pone come contrattazione continua che non permette chiusure a priori, ma l'adattarsi a cambiamenti successivi. I genitori propongono incessantemente soluzioni creative a situazioni determinate dalla richieste di una individualità in continuo sviluppo. Nell'attuale modernità liquida, priva di punti di riferimento stabili, il loro intervento acquista importanza significativa perché, accanto alla necessaria flessibilità, devono contemporaneamente proporre argini stabili. necessari a uno sviluppo sicuro, indirizzato verso valori costanti. gruppo di narrazione Nessuno insegna a nessuno, tutti imparano da tutti. Paulo Freire Il Gruppo di Narrazione, strumento della Metodologia Pedagogia dei Genitori, ha l’obiettivo di coscientizzare i genitori, valorizzare e raccogliere le narrazioni degli itinerari educativi compiuti coi figli. Partecipano i genitori e tutti coloro che sono interessati alla Metodologia: insegnanti, studenti, educatori, amministratori, operatori sanitari, medici, giudici, assistenti sociali, ecc., portando la propria esperienza di come educano i figli o di come sono stati educati in quanto figli. Ogni partecipante responsabilmente narra solo quello che egli vuole gli altri sappiano, racconta liberamente l’itinerario educativo compiuto come genitore o come figlio, la sua crescita, gli episodi più significativi, il carattere, il comportamento, senza schemi prefissati, partendo dalla propria esperienza. Non vi sono dichiarazioni di ordine generale, si narrano situazioni vissute e sperimentate. I Gruppi di narrazione si attuano a livello territoriale, nelle scuole (classe, gruppo di classi, istituto), nelle associazioni, nelle parrocchie, ecc. Nei Gruppi non vi sono conduttori o esperti, alcuni partecipanti si assumono la responsabilità del buon funzionamento: • illustrano i principi della Metodologia Pedagogia dei Genitori; • garantiscono la continuità; • assicurano gli spazi e calendarizzano gli incontri; • sollecitano le presenze; • fanno in modo che ciascuno narri a turno senza esser interrotto e mentre uno parla tutti gli altri ascoltano; • raccolgono le narrazioni per eventuali pubblicazioni; • curano una relazione su quanto esposto nei gruppi, leggendola come continuità nella riunione successiva, testimonianza del valore educativo delle riflessioni dei partecipanti. I componenti dei Gruppi narrano oralmente gli itinerari di crescita, in seguito: • si invita chi ha narrato a scrivere quanto esposto; • le narrazioni vengono lette collettivamente e raccolte dai responsabili; • le riunioni proseguono su temi educativi scelti dai partecipanti: ognuno narra come li ha affrontati secondo la propria esperienza; • periodicamente il gruppo approfondisce le componenti teoriche della Metodologia; • a distanza di un certo periodo si aggiornano gli itinerari di crescita; • i partecipanti presentano pubblicamente le narrazioni nelle istituzioni in cui sono attivi i gruppi (scuole, associazioni, parrocchie, ecc.); • gli itinerari raccolti vengono diffusi a livello più vasto, col consenso dei partecipanti, come testimonianza delle competenze educative della famiglia. I Gruppi di narrazione permettono ai partecipanti di acquisire la consapevolezza delle competenze educative dei genitori e della necessità della loro valorizzazione. Le narrazioni hanno valore sociale: la loro pubblicazione e diffusione sono testimonianza di cittadinanza attiva, rendono visibile il capitale sociale costituito dall’educazione familiare e sono opportunità per la professionalizzazione degli esperti che si occupano di rapporti umani. Le riunioni periodiche dei Gruppi di narrazione permettono la costruzione di reti territoriali di genitorialità collettiva e l’attuazione del patto intergenerazionale. scuole “Parrocchia della Madonna Pellegrina” nido, scuole d'infanzia e primaria paritarie largo madre teresa di calcutta quaranta modena http://www.scuolemadonnapellegrina.it/ La Fondazione San Filippo Neri è stata istituita con decreto del Presidente della Giunta Regionale n.178 del 27 Agosto 2008, a seguito della depubblicizzazione dell’IPAB San Filippo Neri e San Bernardino, come previsto dalla normativa vigente. Ha lo scopo di offrire servizi convittuali e residenziali, nonché educativi e formativi a studenti universitari e di Istituti di Istruzione secondaria. L’attività educativa a favore dei propri ospiti è l’obiettivo prioritario, elemento fondante della missione della Fondazione, che oltre ad ospitare nelle proprie strutture gli studenti, fornendo loro vitto e alloggio, organizza attività educative e formative secondo modalità decise dal Consiglio di Amministrazione e attuate da personale specializzato. Si propone come struttura aperta, di servizio alla comunità locale, operante in collegamento con Enti pubblici, Enti privati, Istituzioni educative ed Istituzioni scolastiche, attraverso l’organizzazione di Convegni e Seminari di approfondimento pedagogico e l’offerta progettuale nei diversi ambiti educativi. ringraziamenti ai bambini ed alle bambine, cui appartengono le storie a chi le ha narrate e scritte ilustrazioni: grafiche di bambini e bambine di cinque anni scuola dell'infanzia Madonna Pellegrina, Modena © tutto il materiale è di proprietà di "Scuole Parrocchia della Madonna Pellegrina"