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ANNALI
DELL’ACCADEMIA
DI AGRICOLTURA
DI TORINO
VOLUME CLIII
2011
Arti Grafiche San Rocco
Via Del Prete, 13 - Grugliasco (TO)
volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 4
Stampato con il contributo
de
• La Piemontese Assicurazioni S.p.A.
• Ministero per i Beni e le Attività Culturali
La responsabilità dei lavori pubblicati è degli Autori
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V
CONSIGLIO DIRETTIVO
PICCAROLO DOTT. PROF. PIETRO - PRESIDENTE
VIORA DI BASTIDE CONTE DOTT. VITTORIO - VICE PRESIDENTE
FINASSI DOTT. ANTONIO - SEGRETARIO
SCAPIN DOTT. IVANO - TESORIERE-ECONOMO
CANTINI CORTELLEZZI DOTT. PROF. GIULIO - CONSIGLIERE
CIOTTI DOTT. PROF. ANGELO - CONSIGLIERE
MASOERO DOTT. GIORGIO - CONSIGLIERE
VALFRÈ DOTT. PROF. FRANCO - CONSIGLIERE
ZOCCARATO DOTT. PROF. IVO - CONSIGLIERE
REVISORI DEI CONTI
SEBASTIANI DOTT. MARIA LETIZIA, DIRETTORE BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE DI FIRENZE
NOMINATO DAL
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
CASTELLANI DOTT. PROF. LUIGI
CROSETTI PROF. AVV. ALESSANDRO
CONTI DOTT. PROF. MAURIZIO - SUPPLENTE
FASSI DOTT. PROF. BRUNO - SUPPLENTE
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VI
COMITATO DI REDAZIONE
EDITING COMMITTEE
Direttore: PICCAROLO DOTT. PROF. PIETRO
Director
Direttore Responsabile: MAINARDI DOTT. PROF. GIUSI
Executive Director
Componenti il Consiglio Editoriale:
Members of Editorial Board
CANTINI CORTELLEZZI DOTT. PROF. GIULIO
CIOTTI DOTT. PROF. ANGELO
FINASSI DOTT. ANTONIO
MASOERO DOTT. GIORGIO
SCAPIN DOTT. IVANO
VALFRÈ DOTT. PROF. FRANCO
VIORA DI BASTIDE CONTE DOTT. VITTORIO
ZOCCARATO DOTT. PROF. IVO
Redattore Capo: FINASSI DOTT. ANTONIO
Editor in Chief
Segretaria di redazione: GAY EYNARD DOTT. GIULIANA
Editor Secretary
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VII
ELENCO DEGLI ACCADEMICI
ACCADEMICI ONORARI
Data di nomina
a corrispondente
ad onorario
BARBERO DOTT. GIUSEPPE
14.12.2011
già Ordinario di Sociologia nell’Università La Sapienza, Roma
DIANA CAV. DEL LAVORO M.SE DOTT. SEN. ALFREDO
27.11.1981
26.06.1998
16.06.1989
14.12.2011
16.12.1988
26.06.1998
19.06.1987
26.06.1998
Agricoltore; già Ministro delle Risorse Agricole,
Alimentari e Forestali; già Presidente della Confagricoltura
FRANZO DOTT. ON. RENZO
già Presidente Nazionale dell’Ente Utenti Motori Agricoli;
già Presidente dell’Ente Nazionale Risi
MANCINI DOTT. PROF. FIORENZO
Emerito nell’Università di Firenze;
già Ordinario di Geologia Applicata;
Presidente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali di Firenze
SCARAMUZZI DOTT. PROF. FRANCO
Emerito nell’Università di Firenze;
già Ordinario di Coltivazioni Arboree;
Presidente dell’Accademia dei Georgofili di Firenze
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VIII
ACCADEMICI EMERITI
Data di nomina
a corrispondente
ad emerito
ARZONE DOTT. PROF. ALESSANDRA
26.06.1981
già Ordinario di Entomologia Agraria nell’Università di Torino
16.06.2006
AUXILIA DOTT. PROF. MARIA TERESA
già Direttore della Sezione Operativa di Torino
dell’Istituto Sperimentale per la Zootecnia di Roma
11.02.1971
19.03.2006
BARATTI PROF. ING. SERGIO
già Direttore Generale dell’Associazione Irrigazione Est Sesia;
già Incaricato di Bonifica e Irrigazione nell’Università di Pavia
22.06.1979
19.07.2009
DIANZANI DOTT. PROF. MARIO UMBERTO
Emerito nell’Università di Torino;
già Ordinario di Patologia Generale;
già Rettore dell’Università di Torino
27.11.1981
13.06.2005
DURANDI DOTT. LUCA
Agricoltore
19.06.1987
27.04.2009
FASSI DOTT. PROF. BRUNO
già Direttore dell’Istituto per le Piante da Legno
e l’Ambiente di Torino della Regione Piemonte
3.07.1969
3.08.2005
FINASSI DOTT. ANTONIO
13.06.1980
Agronomo; già Primo Ricercatore nell’Istituto per la Meccanizzazione
Agricola del Consiglio Nazionale delle Ricerche
6.10.2011
FONTANA DOTT. PROF. ANNA
già Direttore del Centro di Studio sulla Micologia del Terreno
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
19.12.1986
2.10.2010
GHISLENI DOTT. PROF. PIER LUIGI
già Ordinario di Miglioramento Genetico delle Piante Agrarie
nell’Università di Milano
6.07.1958
1.11.1995
GIOIA CAV. DEL LAVORO DOTT. GIUSEPPE
Agricoltore; già Presidente della Confagricoltura
24.11.1978
22.12.2008
GIULIO DOTT. PROF. LUDOVICO
19.11.1976
già Ordinario di Fisiologia e Chimica Biologica nell’Università di Torino
29.09.2006
GUIDOBONO CAVALCHINI
BARONE DOTT. PROF. ALESSANDRO
2.12.1977
Agricoltore; già Incaricato di Ecologia Agraria nell’Università di Torino
LISA DOTT. LUIGI
già Direttore dell’Istituto per la Meccanizzazione Agricola
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
7.12.1977
8.08.2003
10.04.2010.
volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 9
IX
Data di nomina
a corrispondente
ad emerito
LOVISOLO DOTT. PROF. OSVALDO
già Direttore dell’Istituto di Fitovirologia Applicata
di Torino del Consiglio Nazionale delle Ricerche
5.07.1964
20.02.2003
LUPPI MOSCA DOTT. PROF. ANNA MARIA
già Ordinario di Micologia nell’Università di Torino
11.02.1971
21.12.2009
MAGGI PROF. ING. FRANCO
14.12.1984
già Associato di Topografia e Costruzioni Rurali nell’Università di Torino
24.12.2005
MANFREDI PROF. ING. ENZO
Emerito nell’Università di Bologna;
già Ordinario di Meccanica Agraria
18.06.1982
30.07.2004
MORGANDO DOTT. ALDO
già Direttore Generale dell’Istituto di Credito
Agrario per il Piemonte, la Liguria e la Valle d’Aosta
4.07.1965
26.01.1996
ODDERO COMM. DOTT. GIACOMO
23.11.1979
Agricoltore; Vice Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
16.09.2009
PAGELLA DOTT. PROF. MARIO
già Ordinario di Economia Agraria
nell’Università di Torino
18.01.1974
2.11.2010
POTECCHI PROF. ING. SANDRO
già Direttore dell’Istituto per la Meccanizzazione Agricola
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
19.12.1986
1.11.2008
RICOSSA DOTT. PROF. SERGIO
Emerito nell’Università di Torino;
già Ordinario di Politica Economica e Finanziaria;
Socio Nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei
18.01.1974
6.06.2007
SAPPA DOTT. ORAZIO
già Segretario Generale della Camera di Commercio,
Industria, Artigianato e Agricoltura di
Imperia SA
23.07.1999
16.12.2002
† SCARASCIA MUGNOZZA DOTT. PROF. GIAN TOMMASO 23.11.1979
Emerito nell’Università della Tuscia;
già Ordinario di Genetica Agraria;
Socio Nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei;
Presidente dell’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL di Roma
27.05.2005
TOURNON PROF. ING. GIOVANNI
Emerito nell’Università di Torino;
già Ordinario di Idraulica Agraria
17.07.2003
4.07.1965
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X
ACCADEMICI ORDINARI
·
Data di nomina
a corrispondente
ad ordinario
(*) (**)
1- 9-
ACCATI GARIBALDI DOTT. PROF. ELENA
14.12.1984
Straordinario di Floricoltura nell’Università di Torino
28.05.1993
2- 7-
ALLIO DOTT. PROF. RENATA
Ordinario di Storia Economica dell’Europa
nell’Università di Torino
13.06.1986
13.12.1991
3 - 36 - ALMA DOTT. PROF. ALBERTO
Ordinario di Entomologia generale ed applicata
nell’Università di Torino
15.12.2006
12.11.2010
4 - 30 - BARBERIS DOTT. PROF. ELISABETTA
Ordinario di Fertilità del Suolo e Nutrizione
delle Piante nell’Università di Torino
19.12.2003
27.11.2009
5 - 41 - BODO di ALBARETTO DOTT. EDOARDO
19.12.2003
Presidente dell’Associazione della Proprietà Fondiaria
della Provincia di Torino
14.12.2011
6 - 27 -
BONFANTE DOTT. PROF. PAOLA
23.07.1999
Ordinario di Botanica nell’Università di Torino;
Responsabile della Sezione di Torino dell’Istituto per
la Protezione delle Piante del Consiglio Nazionale delle Ricerche
23.01.2009
7 - 21 - BOYAZOGLU DOTT. PROF. JEAN
23.07.1999
Vice Presidente Esecutivo dell’Associazione Europea
di Produzione Animale
16.12.2002
8 - 31 - BUTERA PROF. ING. LUIGI
Ordinario di Idraulica nel Politecnico di Torino
14.12.2001
27.11.2009
9 - 24 - CANTINI CORTELLEZZI DOTT. PROF. GIULIO 18.12.1987
già Direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
27.05.2005
10 - 15 - CASTELLANI DOTT. PROF. LUIGI
Ordinario di Economia e Politica Agraria
nell’Università di Torino
16.12.1983
26.06.1998
11 - 5 -
CAVALLERO DOTT. PROF. ANDREA
26.06.1981
già Ordinario di Alpicoltura nell’Università di Torino
16.12.1988
12 - 2 -
CERETI DOTT. PROF. CARLO FAUSTO
19.01.1973
Ordinario di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee
nell’Università della Tuscia
24.11.1978
·
(*) Numero d’ordine alfabetico
(**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario
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XI
Data di nomina
a corrispondente
ad ordinario
·
(*) (**)
13 - 6 -
CIOTTI DOTT. PROF. ANGELO
26.06.1981
già Ordinario di Produzione e Conservazione dei Foraggi
nell’Università di Torino
15.12.1989
14 - 10 - CONTI DOTT. PROF. MAURIZIO
già Direttore dell’Istituto di Virologia Vegetale
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
13.12.1985
28.05.1993
15 - 12 - CROSETTI PROF. AVV. ALESSANDRO
Ordinario di Diritto Amministrativo
nell’Università di Torino
14.12.1990
26.06.1997
16 - 18 - DOLCI DOTT. PROF. MARCELLO
Associato di Chimica degli Antiparassitari
nell’Università di Torino
16.06.1989
23.07.1999
17 - 37 - FERRERO DOTT. PROF. ALDO
Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee
nell’Università di Torino
15.12.2006
12.11.2010
18 - 1 -
GANDINI DOTT. PROF. ANNIBALE
già Ordinario di Microbiologia Enologica
nell’Università di Torino
7.07.1972
2.12.1977
19 - 8 -
GARIBALDI DOTT. PROF. ANGELO
Ordinario di Fitoiatria nell’Università di Torino
16.12.1983
13.12.1991
20 - 19 - GAY EYNARD DOTT. GIULIANA
28.04.1995
già Direttore del Centro di Studio per il Miglioramento
Genetico e la Biologia della Vite
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
28.01.2000
21 - 42 - GENNARO DOTT. ENRICO
Presidente dell’Associazione Laureati in Economia
25.02.2008
14.12.2011
22 - 16 - GIAU DOTT. PROF. BRUNO
Ordinario di Economia e Politica Forestale
nell’Università di Torino
16.12.1988
26.06.1998
23 - 32 - GRIGNANI DOTT. PROF. CARLO
Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee
nell’Università di Torino
14.12.2001
27.11.2009
24 - 20 - GULLINO DOTT. PROF. MARIA LODOVICA
28.05.1993
Ordinario di Patologia Vegetale nell’Università di Torino
14.12.2001
·
(*) Numero d’ordine alfabetico
(**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario
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XII
·
Data di nomina
a corrispondente
ad ordinario
(*) (**)
25 - 28 - LEPORI DOTT. PROF. GIACOMO
Associato di Miglioramento Genetico
delle Piante Agrarie nell’Università di Torino
18.12.1987
23.01.2009
26 - 26 - MAINARDI DOTT. PROF. GIUSI
Giornalista e Studioso di Storia della Vite e del Vino
28.06.1996
25.02.2008
27 - 17 - MARCHESINI DOTT. PROF. AUGUSTO
13.06.1980
già Direttore della Sezione Operativa di Torino
dell’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante del CRA
26.06.1998
28 - 23 - MASOERO DOTT. GIORGIO
già Direttore della Sezione Operativa di Torino
dell’Istituto Sperimentale per la Zootecnia del CRA
13.12.1985
3.02.2005
MATTA DOTT. PROF. ALBERTO
2.12.1977
già Ordinario di Patologia Vegetale nell’Università di Torino
19.12.1986
29 - 4 -
30 - 25 - NOVELLO DOTT. PROF. VITTORINO
Ordinario di Viticoltura nell’Università di Torino
14.12.1990
15.12.2006
31 - 33 - ODONE DOTT. PAOLO
28.05.1993
già Dirigente del Settore Verde Pubblico del Comune di Torino
27.11.2009
32 - 34 - PAGLIETTA DOTT. PROF. ROBERTO
già Ordinario di Coltivazioni Arboree
nell’Università di Torino
16.12.1983
27.11.2009
33 - 11 - PICCAROLO DOTT. PROF. PIETRO
14.12.1984
già Ordinario di Meccanica e Meccanizzazione Agricola
nell’Università di Torino
28.05.1993
34 - 43 - QUAGLINO DOTT. PROF. ALBERTO
Associato di Ecologia applicata all’Ingegneria
nel Politecnico di Torino
14.12.2011
35 - 3 -
19.12.1986
QUAGLIOTTI AUXILIA DOTT. PROF. LUCIANA 6.07.1967
già Ordinario di Genetica Agraria nell’Università di Torino
24.06.1983
36 - 38 - REYNERI di LAGNASCO DOTT. PROF. AMEDEO 16.12.2002
Ordinario di Agronomia e Coltivazioni Erbacee
nell’Università di Torino
12.11.2010
37 - 35 - SARASSO DOTT. GIUSEPPE
Agricoltore
27.11.2009
·
(*) Numero d’ordine alfabetico
27.05.2005
(**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario
volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 13
XIII
Data di nomina
a corrispondente
ad ordinario
·
(*) (**)
38 - 39 - SCAPIN DOTT. IVANO
già Dirigente Responsabile
del Settore Fitosanitario della Regione Piemonte
3.02.2005
12.11.2010
39 - 22 - STORNELLO DOTT. GIANNI
Giornalista
10.12.1993
16.12.2002
40 - 29 - UBIGLI DOTT. MARIO
già Direttore incaricato del CRA
Centro di Ricerca per l’Enologia
14.12.1992
23.01.2009
41 - 13 - VALFRÈ DOTT. PROF. FRANCO
19.11.1976
già Ordinario di Approvvigionamenti Annonari, Mercati
ed Industrie dei Prodotti di Origine Animale
nell’Università di Milano
26.06.1997
42 - 14 - VIORA DI BASTIDE CONTE DOTT. VITTORIO
11.12.1992
Agricoltore; Membro della Giunta Esecutiva della Confagricoltura
26.06.1997
43 - 40 - ZOCCARATO DOTT. PROF. IVO
Ordinario di Zooculture nell’Università di Torino
12.11.2010
·
(*) Numero d’ordine alfabetico
27.05.2005
(**) Numero d’ordine dell’anzianità come ordinario
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XIV
ACCADEMICI CORRISPONDENTI
Data di nomina
1-
ACTIS CAPORALE DOTT. ALDO
Studioso di Storia Agronomica del Piemonte
3.02.2005
2-
ALLAVENA PROF. ING. LORENZO
già Ordinario di Idraulica Agraria nell’Università di Torino
19.06.1987
3-
ANSELMI DOTT. PROF. NALDO
Ordinario di Patologia Vegetale Forestale nell’Università della Tuscia
16.06.1989
4-
APPENDINO DOTT. PROF. GIOVANNI BATTISTA
Ordinario di Chimica Organica nell’Università di Torino
28.01.2000
5-
BALLAURI DOTT. GIUSEPPE
Presidente G.A.L. Mongioie di Mombasiglio (Cuneo);
Vice Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
27.05.2005
6-
BALSARI DOTT. PROF. PAOLO
Ordinario di Meccanizzazione Agricolo-forestale
nell’Università di Torino
28.06.1996
7-
BARBIERI DOTT. PAOLO
della Provincia di Alessandria
19.06.1987
8-
BATTAGLINI DOTT. PROF. LUCA MARIA
Ordinario di Zootecnica Speciale nell’Università di Torino
27.05.2005
9-
BERTA DOTT. PIERSTEFANO
Direttore delle Distillerie Fratelli Ramazzotti
25.02.2008
10 - BERTOLINO DOTT. PROF. RINALDO
Ordinario di Diritto Ecclesiastico e Diritto Canonico
nell’Università di Torino; già Rettore dell’Università di Torino
23.07.1999
11 - BIANCHI DOTT. PROF. MARCELLO
già Ordinario di Alpicoltura II nell’Università di Torino
28.05.1993
12 - BOFFA PROF. ING. CESARE
Ordinario di Fisica Tecnica nel Politecnico di Torino
24.11.2000
13 - BOLOGNINO ING. PROF. BRUNO
Direttore Generale e Ingegnere Capo
dell’Associazione Irrigazione Est Sesia
21.11.2008
14 - BORREANI DOTT. PROF. GIORGIO
Associato di Agronomia e Coltivazioni erbacee nell’Università di Torino
27.11.2009
15 - BOSIO DOTT. GIUSEPPE
Agricoltore
15.12.1989
16 - BOVIO DOTT. PROF. GIOVANNI
Ordinario di Assestamento Forestale nell’Università di Torino
26.06.1998
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XV
Data di nomina
17 - BRUNO DOTT. PROF. RENATO
24.11.2000
già Ordinario di Biochimica Sistematica e Comparata nell’Università di Torino
18 - BUSSANDRI DOTT. ING. LUCA
Direttore dell’Associazione Irrigazione Ovest Sesia
23.01.2009
19 - CACIAGLI DOTT. PIERO CARLO
Ricercatore all’Istituto di Fitovirologia applicata del CNR
12.11.2010
20 - CALZONI DOTT. MARIA GRAZIA
già Direttore del Laboratorio Chimico della Camera
di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Torino
10.12.1993
21 - CAMILLA DOTT. VITTORIO
già Segretario del Comitato Nazionale per la Tutela
delle Denominazioni di Origine dei Vini
16.12.2002
22 - CANALE DOTT. PROF. ANDREA
13.12.1991
già Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche
nel Centro di Studio per l’Alimentazione degli Animali in Produzione Zootecnica
23 - CARAMIELLO DOTT. PROF. ROSANNA
già Ordinario di Botanica forestale nell’Università di Torino
12.11.2010
24 - CELLERINO DOTT. PROF. GIAN PIETRO
già Ordinario di Patologia Vegetale Forestale nell’Università di Torino
14.06.1985
25 - CERÈ DOTT. PROF. LUCIANO
già Ordinario di Tecnologia della Produzione nell’Università di Torino
19.12.1986
26 - CHIABRANDO PROF. ING. ROBERTO
Ordinario di Topografia e Tecniche Cartografiche nell’Università di Torino
26.06.1997
†
CHIRIOTTI SIG. GIOVANNI
Presidente della Chiriotti Editori S.p.A.
23.07.1999
†
CICOGNA MOZZONI di TERDOBBIATE
ALESSANDRO
Agricoltore
19.05.1977
CAV. DEL LAVORO CONTE DOTT.
27 - COMBA DOTT. PROF. RINALDO
Ordinario di Storia medievale nell’Università di Milano
14.12.2011
28 - DANIELE CAV. CARLO
Agricoltore
5.07.1974
29 - D’AUTRICHE-ESTE ARCIDUCA DOTT. MARTIN
Agricoltore
14.12.2001
30 - DELMASTRO GEOM. RENATO
Collaboratore Tecnico dell’Imamoter
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
25.02.2008
31 - DONNA D’OLDENICO SIG. MAURIZIO
Agricoltore
25.11.2005
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XVI
Data di nomina
32 - ECCHER DOTT. PROF. TOMMASO
già Ordinario di Arboricoltura Generale nell’Università di Milano
28.04.1995
33 - FERRERO DOTT. ALDO
Primo Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche
nell’Unità Staccata di Torino dell’Istituto per le Macchine
Agricole e Movimento Terra di Cassana
13.12.1991
34 - GALLIANO DOTT. PROF. ALDO
Responsabile del Servizio Sperimentale Tecnica
Colturale dell’Associazione Produttori Ortofrutticoli Piemontesi
24.11.2000
35 - GARRIONE DOTT. PIERO
Presidente dell’Ente Nazionale Risi
26.06.1998
36 - GERBI DOTT. PROF. VINCENZO
Ordinario di Scienza e Tecnologie alimentari nell’Università di Torino
27.11.2009
37 - GIRARDI DOTT. PROF. CARLO
Ordinario di Farmacologia, Farmacodinamica e Farmacia Veterinaria
nell’Università di Torino
24.11.2000
38 - GIULIANO SIG. WALTER
Giornalista; Membro della Consulta Stato-Regioni per l’Arco Alpino
25.02.2008
39 - GOIO GEOM. CARLO
Presidente del Consorzio Tutela del riso DOP
della Barraggia biellese e vercellese
23.01.2009
40 - JONA DOTT. PROF. ROBERTO
già Associato di Tecnica Vivaistica nell’Università di Torino
26.06.1997
41 - LADETTO DOTT. PROF. GIUSEPPE
13.12.1991
già Ordinario di Alimentazione e Nutrizione Animale nell’Università di Torino
42 - LANTERI PROF. SERGIO
Ordinario di Genetica Agraria nell’Università di Torino
21.11.2008
43 - LAZZARONI DOTT. PROF. CARLA
Associato di Zootecnia Speciale nell’Università di Torino
12.11.2010
44 - LISA DOTT. VITTORIA
già Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche
nell’Istituto di Fitovirologia Applicata
25.06.1994
45 - LORETI DOTT. PROF. FILIBERTO
Ordinario di Arboricoltura Generale
nell’Università di Pisa
19.12.2003
46 - LUISONI DOTT. PROF. ENRICO
già Associato di Virologia Vegetale nell’Università di Torino
13.12.1991
47 - MAFFEI DOTT. PROF. MASSIMO
Ordinario di Morfologia e Fisiologia Vegetale nell’Università di Torino
26.06.1997
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XVII
Data di nomina
48 - MAGGIORA DOTT. MICHELE
Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti
27.11.2009
49 - MANACHINI DOTT. PROF. PIER LUIGI
già Ordinario di Microbiologia e Immunologia Generale
nell’Università di Milano
16.06.1989
50 - MANCINI DOTT. GENNARO
già dirigente del Ministero Agricoltura e Foreste
12.11.2010
51 - MANNINI DOTT. FRANCO
Primo Ricercatore dell’Istituto di Virologia Vegetale
del Consiglio Nazionale delle Ricerche
28.01.2000
52 - MARCHETTI DOTT. BRUNO
Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti
28.06.1996
53 - MARELLO DOTT. ARMANDO
Direttore dell’Associazione Provinciale Allevatori di Torino
26.06.1998
54 - MARTELLI DOTT. PROF. GIOVANNI PAOLO
già Ordinario di Patologia Vegetale nell’Università di Bari
26.06.1998
55 - MELLANO PER. AGR. DINO
Agricoltore
26.05.2006
56 - MINETTI DOTT. GIOVANNI
Direttore dell’Azienda Fontanafredda di Serralunga d’Alba
27.11.2009
57 - MONDINO DOTT. PROF. GIAN PAOLO
già Associato di Botanica Forestale nell’Università di Torino
25.06.1994
58 - MORETTI DOTT. PROF. VITTORIO MARIA
Ordinario di Zootecnica Speciale nell’Università di Milano
25.11.2005
59 - MOSCHETTI DOTT. ISABELLA
Vicepresidente dell’Unione regionale per le Bonifiche del Piemonte
27.11.2009
60 - ONORE DOTT. PROF. GIOVANNI
Docente di Zoologia degli Invertebrati
nella Pontificia Università Cattolica di Quito (Ecuador)
19.12.2003
61 - PALENZONA DOTT. MARIO
Direttore dell’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente
della Regione Piemonte
26.06.1998
62 - PEJRONE DOTT. ARCH. PAOLO
Presidente dell’Accademia Piemontese del Giardino di Torino
23.07.1999
63 - PELIZZETTI DOTT. PROF. EZIO
Ordinario di Chimica Analitica; Rettore dell’Università di Torino
15.12.2006
64 - PENNAZIO DOTT. SERGIO
già Primo Ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche
nell’Istituto di Fitovirologia Applicata
14.12.1990
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XVIII
Data di nomina
65 - PERCIVALE PROF. FRANCO
Ordinario di Scienze Merceologiche nell’Università di Torino
23.01.2009
66 - PERRUCCHIETTI DOTT. PROF. PASQUALE
già Direttore del Settore Verde Pubblico del Comune di Torino
14.12.1984
67 - PIRRA AVV. PIER GIORGIO
Libero Professionista
19.12.2003
68 - QUAGLINO DOTT. ANDREA
21.11.2008
Direttore dell’Associazione Nazionale Allevatori Bovini di Razza Piemontese
69 - REMMERT DOTT. LUCA
Agricoltore; vicepresidente della Compagnia di San Paolo
14.12.2011
70 - SANDRONE PROF. ING. RICCARDO
Associato di Petrografia nel Politecnico di Torino
26.05.2006
71 - SARACCO DOTT. ANNA MARIA
Libero Professionista, Direttore Eurolab
12.11.2010
72 - SCALFARI DOTT. FRANCESCO
Direttore di Asti Studi Superiori Consortile
25.02.2008
73 - SCHIVA DOTT. TITO
Direttore della Sezione di Miglioramento Genetico
dell’Istituto Sperimentale per la Floricoltura di Sanremo (Imperia)
16.12.2002
74 - SILENGO DOTT. PROF. LORENZO
Ordinario di Biologia Molecolare nell’Università di Torino
27.05.2005
75 - SILVESTRELLI DOTT. PROF. MAURIZIO
Ordinario di Zootecnia Generale e Miglioramento Genetico
nell’Università di Perugia
23.07.1999
76 - SORDO PROF. ING. SEBASTIANO TERESIO
Ordinario di Idraulica nel Politecnico di Torino
25.11.2005
77 - SPANNA DOTT. FEDERICO
Assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte;
presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia
14.12.2011
78 - TAVELLA DOTT. PROF. LUCIANA
Ricercatore in Entomologia Agraria nell’Università di Torino
12.11.2010
79 - VACCANEO DOTT. GUSTAVO
Agronomo
13.12.1991
80 - VANZETTI GEOM. CARLO
Agricoltore
14.12.2011
81 - VANZETTI DOTT. PROF. DOMENICO
Direttore dell’Istituto Professionale Agroambientale
“C. Ubertini” di Carmagnola (Torino)
10.12.1993
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XIX
Data di nomina
82 - VARETTO DOTT. LUCA
Agronomo; vice-direttore dell’Associazione Provinciale Allevatori di Torino
14.12.2001
83 - VIVIANO DOTT. VITO
Direttore della Programmazione e Valorizzazione
dell’Agricoltura della Regione Piemonte
19.12.2003
84 - VOLA DOTT. GIORGIO
già Direttore del Servizio Assistenza Tecnico-Economica e Sociale
dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Autonoma
Valle d’Aosta
26.06.1981
85 - ZANINI DOTT. PROF. ERMANNO
Ordinario di Pedologia nell’Università di Torino
27.11.2009
86 - ZICARELLI DOTT. PROF. LUIGI
Ordinario di Allevamento del Bufalo nell’Università di Napoli
26.06.1998
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XX
ACCADEMICI IN SOPRANNUMERO
Data di nomina
a corrispondente
1 - ALLIEVI DOTT. PROF. LUIGI
16.12.2002
2 - BALDI DOTT. GIORGIO
25.06.1976
3 - BIANCHI DOTT. PROF. ANGELO
13.06.1986
4 - BONA DOTT. LORENZO
19.01.1973
5 - BRONDELLI DI BRONDELLO CONTE GUIDO
19.12.1986
6 - CALCAGNO DOTT. LUCIANO
16.06.1989
7 - CECCONI DOTT. PROF. SERGIO
16.01.1969
8 - CRISTOFORI DOTT. PROF. FRANCESCO
26.06.1997
9 - DE DONATO DOTT. PROF. MARIANO
16.06.1978
10 - DELL’ANGELO DOTT. PROF. GIAN GIACOMO
13.12.1985
11 - FIORUZZI NOB. DOTT. AGOSTINO
18.01.1974
12 - GIANOTTI BARONE ROMANO
19.12.1986
13 - GIORDANO DOTT. PROF. ERVEDO
19.06.1987
14 - LACIRIGNOLA DOTT. PROF. COSIMO
26.06.1997
15 - MASPOLI DOTT. PROF. GIUSEPPE
15.06.1984
16 - MONTACCHINI DOTT. PROF. FRANCO
15 .06.1984
17 - MORANDO DOTT. PROF. ALBINO
22.06.1990
18 - NOTTOLA COMM. BRUNO
19.12.1986
19 - ORSI DOTT. PROF. SERGIO
16.06.1978
20 - PARETO RAG. GIACOMO
13.12.1985
21 - SARASSO PROF. AVV. CARLO
19.12.1986
22 - TANO DOTT. PROF. FRANCESCO
28.06.1996
23 - TINARELLI DOTT. ANTONIO
16.06.1989
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ASSEMBLEA SOLENNE
PER L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO
DELL’ACCADEMIA DI AGRICOLTURA DI TORINO
RELAZIONE DEL PRESIDENTE
PIETRO PICCAROLO*
Torino, Palazzo Lascaris - Sala Viglione
26 febbraio 2011
1 - PREMESSA
Con un grato saluto a tutti gli illustri ospiti, ai tanti accademici qui convenuti e a quanti impossibilitati a intervenire hanno aderito alla cerimonia, desidero anche a nome del Consiglio Direttivo dare il benvenuto a tutti voi
Signore e Signori, che con la Vostra presenza onorate l’inaugurazione ufficiale
del nostro 226° Anno Accademico.
Un vivo ringraziamento al Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, Valerio Cattaneo, che cortesemente ci ha concesso di tenere l’inaugurazione in questa storica ed autorevole sede, di cui per 40 anni la famiglia
Cavour ha avuto la proprietà e nella quale, 26 anni or sono, l’Accademia celebrò i suoi 200 anni di vita. Un sentito ringraziamento al Consigliere Franco
Maria Botta che, su delega del Presidente, rappresenta il Consiglio Regionale
e alla dott.ssa Rita Marchiori per il supporto dato nell’organizzazione dell’evento.
Un ringraziamento particolare va al dott. Orazio Sappa, Presidente dell’Accademia sino al novembre scorso, e al Consiglio Direttivo che lo ha affiancato, per il lavoro svolto con grande passione e competenza. Ad essi si
deve l’attività inerente il 2010.
In apertura dei lavori ho il purtroppo rituale e triste compito di ricordare
i soci che nel corso del 2010 ci hanno lasciati: i soci emeriti Attilio Bosticco e
Mario Lucifero e i soci corrispondenti Carlo Luda, Orlando Montemurro,
Giovanni Nicolotti e Paolo Talamucci. Ad essi va il nostro più vivo cordoglio.
Sempre nel 2010 vi è stata la nomina di nuovi soci corrispondenti, Piero
Carlo Caciagli, Rosanna Caramiello, Carla Lazzaroni, Gennaro Mancini, Anna
Maria Saracco, Luciana Tavella), cui dopo la prolusione verrà consegnato il
*E-mail: [email protected]
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XXII
PIETRO PICCAROLO
diploma, come pure ai nuovi soci ordinari: Alberto Alma, Aldo Ferrero, Amedeo Reyneri, Ivano Scapin e Ivo Zoccarato. Un sentito benvenuto a questi
soci che certamente non mancheranno di dare il loro contributo all’attività
dell’Accademia.
La relazione annuale del Presidente deve anzitutto fornire una sintesi delle
attività svolte nel corso dell’anno precedente, inquadrandole in un’analisi più
generale delle tematiche agricole più attuali, con la speranza di fornire indicazioni utili soprattutto alle Istituzioni e a quanti compete la responsabilità
delle scelte e degli indirizzi politici.
Mi soffermerò pertanto sulle linee di lavoro dell’Accademia relative alle
attività di:
- comunicazione e divulgazione,
- ricerca e sperimentazione,
- conservazione del patrimonio storico,
per poi fare alcune considerazioni sul ruolo dell’agricoltura nel mercato
globalizzato.
2 - CONFERENZE E ATTIVITÀ
DI COMUNICAZIONE E DIVULGAZIONE
2.1 - Attività Assembleari
L’elenco delle Assemblee (tab. 1) comprende l’inaugurazione dell’Anno
Accademico 2010, con la prolusione del dott. Ferruccio Dardanello, Presidente di Unioncamere Piemonte, le Assemblee tenute in collaborazione con
altre Accademie e quelle extra-moenia, che sono state tenute l’una presso
l’azienda di Vezzolano e l’altra durante una visita nella Baraggia vercellese.
Tab. 1 - Assemblee di inaugurazione Anno Accademico, extra-moenia e in collaborazione con altre
Accademie
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L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO
XXIII
Altre dodici Assemblee sono state tenute presso la sede dell’Accademia
(tab. 2).
Tab. 2 - Assemblee nella Sede dell’Accademia.
Le relazioni saranno pubblicate negli Annali dell’Accademia; proprio per
questo mi limiterò ad alcune considerazioni volte a sottolineare tematiche di
sicuro interesse per il mondo agricolo e non solo, tematiche di attualità sempre
più affrontate a livello nazionale e nei vari summit mondiali.
In particolare voglio soffermarmi sul filone delle letture dedicate a “Territorio, ambiente ed energia”.
Nella lettura su “Interazione fra uomo e ambiente: il punto di vista del pedologo”, il Relatore ha evidenziato anzitutto i problemi legati al suolo e alla
gestione delle acque per poi prendere in esame i complessi rapporti che dominano l’uso del suolo e dell’acqua, una risorsa che diviene sempre meno disponibile e che innesca attriti e anche guerre armate tra Paesi. Questi problemi
a loro volta sono fonte di conflitti, migrazioni e distruzione ambientale.
Nella relazione su “Agricoltura, paesaggio e governo del territorio”, l’Autore ha esaminato le concause che interferiscono sul degrado del suolo e sull’uso del territorio, quali l’espansione insediativa a carattere discontinuo e lo
sfruttamento della fertilità residua. A queste si aggiunge la debolezza degli
volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 24
XXIV
PIETRO PICCAROLO
strumenti di pianificazione, che spesso è la causa della perdita della vocazione
agricola delle aree periurbane.
Per contenere il fenomeno occorre avere una programmazione territoriale
sostenuta da strumenti legislativi applicati rigidamente, nel contemperare la
preservazione dell’ambiente con la produzione di alimenti nel quadro della
crescita dei fabbisogni alimentari da parte di una popolazione in continuo aumento.
Nell’ottica di incrementare la produttività e di ridurre gli sprechi di fertilizzanti e antiparassitari, nonché di tutelare l’ambiente, il supporto dato dalla
sensoristica e dalla visione satellitare è in continua crescita. Il tema è stato affrontato nella relazione “L’agricoltura di precisione nella gestione dell’azienda
agricola”, in cui sono state illustrate le componenti basilari su cui essa si fonda,
soffermandosi in particolare sui sistemi GPS, sulla guida assistita e automatica
delle macchine agricole, sui diversi tipi di sensori di campo e sull’acquisizione
e gestione automatica dei dati.
Il tema delle energie rinnovabili in agricoltura è stato sviluppato nella lettura “Energie rinnovabili e agroecosistema”. Rispetto a Germania e nord Europa, l’Italia è in ritardo anche se, specie per solare e biomassa si è registrato
negli ultimi anni un forte incremento, sia pure con tecnologie spesso di importazione. Le agroenergie possono essere un’opportunità per il settore primario, per cui vanno considerate con grande interesse. L’importante però è
evitare che questa opportunità, anziché avvantaggiare le imprese agricole, sia
fonte di speculazione.
Nella celebrazione dei duecento anni dalla nascita di Cavour, l’Accademia
non poteva non ricordare il Cavour accademico. Allo statista è stata dedicata
una assemblea con una relazione su “Cavour: Accademico e Ministro dell’Agricoltura”. Mi limiterò a ricordare che Cavour divenne socio ordinario dell’Accademia nel 1849, dopo pochi mesi dal suo ingresso in Parlamento e prima di
assumere l’incarico di Ministro dell’Agricoltura. L’interesse di Cavour in agricoltura è stato intenso e fattivo. Introdusse per primo il guano in Piemonte, si
adoperò per la diffusione dei concimi chimici, sperimentò e promosse il drenaggio, introdusse nuove macchine agricole prodotte in Gran Bretagna ed avviò
molte iniziative, alcune delle quali vennero portate a termine dopo la sua morte.
Proprio per celebrare la figura di Cavour imprenditore e riformatore agrario, il Consiglio Regionale del Piemonte, in collaborazione con il Comitato di
Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, in occasione del
bicentenario della nascita e della ricorrenza del 150° anno dell’unità d’Italia,
ha assegnato cinque borse di studio tese a valorizzare l’impegno dello statista
in campo agrario.
In questa occasione voglio però soprattutto sottolineare il fatto che il rapporto di Cavour con l’Accademia fu continuo e si esplicò affidando alla stessa
numerosi incarichi di analisi, di studio e di ricerca sulle principali tematiche
del momento. Ruolo, questo, che ancora oggi la nostra Accademia vorrebbe
svolgere, grazie alle diversificate competenze dei suoi soci.
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L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO
XXV
2.2 - Attività di ricerca e sperimentale
Voglio ricordare che, grazie alla strumentazione del CNR, viene sviluppata
un’intensa attività di certificazione di macchine agricole con particolare attenzione ai requisiti di sicurezza e di stabilità. Si tratta di valutazioni importanti, in quanto non va dimenticato che gli infortuni mortali che si verificano
in agricoltura sono ancora troppo elevati e il ribaltamento del trattore ha purtroppo un’incidenza molto forte.
Nell’azienda di Vezzolano e nel Centro Sperimentale vitivinicolo Regionale
Tenuta Cannona a Carpeneto (AL), da anni si conducono ricerche sulla viticoltura collinare valutando l’effetto di diverse tecniche colturali e delle condizioni climatiche sui risultati produttivi e sulle fasi fenologiche della vite. La
notevole massa di dati accumulati ha consentito di mettere a punto un modello in grado di prevedere, già a metà anno, la data delle diverse fasi fenologiche e delle principali caratteristiche produttive del vigneto: produzione
d’uva e di sarmenti e tenore zuccherino dell’uva.
Nell’areale vercellese infine è in atto la sperimentazione sulla risicoltura
di precisione. In particolare essa è mirata a regolare la concimazione azotata
in fase di formazione della pannocchia in funzione del vigore vegetativo automaticamente rilevato attraverso sensori che operano nell’infrarosso, al fine
di limitare gli sprechi, evitare l’insorgere di malattie (brusone), incrementare
la produzione e tutelare la qualità del prodotto.
Sul miglioramento genetico del riso molto può essere ancora fatto, però
non va dimenticato che oggi le nostre cultivar non sono utilizzate al massimo
della loro potenzialità produttiva e che molto si può ottenere con una gestione
razionale di tutti i fattori della produzione, a partire dalla fertilizzazione.
2.3 - Attività di biblioteca, di archivio e di valorizzazione
del patrimonio museale
Va anzitutto sottolineato che queste attività consentono la gestione di un
prezioso patrimonio storico di grande rilievo, a livello nazionale e internazionale. Oltre a ricordare che la biblioteca è aperta al pubblico e alle consultazioni, si vuole evidenziare la continua attività di schedatura delle nuove
accessioni e degli estratti storici di cui l’Accademia dispone.
Il ricco archivio, grazie al suo inserimento on-line con il Sistema Guarini,
ha avuto un forte incremento delle consultazioni e anche il percorso museale
ha registrato una crescita delle visite.
È proseguita la catalogazione della collezione Garnier Valletti finalizzata
all’inserimento in formato digitale per consentirne la consultazione on-line.
L’Accademia inoltre ha fornito supporto a ricerche per tesi di laurea, di
dottorato e per saggi di carattere storico. Proprio in questa settimana, l’Accademia è stata frequentata dal Prof. Laurent Brassart dell’Università Charles
de Gaulle di Lille, per una sua ricerca sulle Sociétés Centrales d’Agriculture
nel periodo napoleonico, durante il quale anche la nostra Accademia cambiò
nome, da Reale Accademia di Agricoltura a Société Centrale d’Agriculture. Il
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XXVI
PIETRO PICCAROLO
Prof. Brassart, che è qui presente, si è complimentato, sia per il grande valore
del nostro archivio storico decisamente superiore a quello delle altre accademie visitate, sia per la precisa catalogazione e conservazione dello stesso.
3 - AGRICOLTURA E CRISI GLOBALE
Riprendendo temi trattati nelle citate letture, desidero fare alcune considerazioni generali sulla crisi globale che investe tutti i settori produttivi evidenziandone le ricadute sull’agricoltura, a partire dalla situazione a livello
mondiale per scendere poi a quella nazionale e regionale.
3.1 - La situazione a livello mondiale
La crisi globale che stiamo attraversando è soprattutto una crisi del mondo
occidentale in quanto i paesi emergenti, quali Cina, India e Brasile, non hanno
subìto che parzialmente i fenomeni recessivi. Sono cioè i Paesi nei quali l’agricoltura ha un peso rilevante sul piano economico e sociale a godere, nonostante la crisi, di incrementi di reddito significativi. Del resto sono molti gli
indicatori che segnalano l’importanza di non trascurare la produzione di materie prime; l’esigenza cioè di non trascurare il settore primario, come purtroppo è avvenuto in alcuni paesi occidentali.
Recentemente la FAO ha lanciato l’allarme sull’innalzamento dei prezzi
dei prodotti alimentari, prezzi che hanno raggiunto il massimo storico. Questa
fiammata dei prezzi è iniziata la scorsa estate con quelli del grano ed è proseguita con le altre derrate alimentari.
Le ragioni sono diverse. Fra queste certamente:
- l’andamento negativo dei raccolti nel corso del 2010 a causa di avversità
climatiche. In particolare la forte siccità che ha interessato la Russia, gli altri
Paesi dell’Asia centrale e l’Argentina. Per contro vi sono state inondazioni in
Australia e forti piogge primaverili negli Stati Uniti e nell’Europa centrale;
- l’aumento della domanda di prodotti alimentari dovuto al miglioramento
delle condizioni di vita e delle abitudini alimentari nei paesi emergenti, nonché
alla crescita della popolazione mondiale che, nel 2050, supererà i 9 miliardi
di abitanti;
- l’aumento dei prezzi delle materie prime essenziali per la produzione
agricola, in particolare dei fertilizzanti e del petrolio che, per molti Paesi tra
cui l’Italia, rappresenta la principale fonte di approvvigionamento energetico.
Va detto però che sulla forte volatilità dei prezzi delle derrate alimentari
un ruolo non trascurabile è svolto dalla speculazione. Oggi essa agisce con
sofisticati meccanismi del campo finanziario rappresentati dai futures. In passato i futures erano strumenti di copertura dal rischio utilizzati sostanzialmente
dai produttori e dai consumatori. Oggi invece vengono ad essere interessati
soggetti finanziari che comprano contratti solo per speculare, cioè per rivenderli a prezzi più alti. Basta quindi un’anomalia climatica per dare il via alla
speculazione e all’impennata dei prezzi, a cui si cerca di opporsi ricorrendo
alle scorte, ma con risultati spesso deludenti.
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L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO
XXVII
Altro fatto negativo è la riduzione della superficie a produzione agricola,
per depauperamento della fertilità del suolo e per uso improprio dello stesso.
Questo fenomeno è molto preoccupante perché contrasta col fatto che per potere assolvere ai fabbisogni alimentari degli oltre 9 miliardi di abitanti previsti
per il 2050, la produzione agricola mondiale dovrà crescere del 70 %. Questa
crescita, secondo la FAO, richiederà investimenti di 83 miliardi di dollari l’anno.
La scarsa disponibilità di superficie agricola spinge ad un vero e proprio
accaparramento della stessa da parte dei Paesi che dispongono di forti capacità finanziarie. Questo fenomeno ha ormai assunto grandi proporzioni e viene
definito come il “neocolonialismo”; fenomeno che si stima possa arrivare a
coprire circa un quinto della produzione mondiale delle derrate alimentari.
Per rendersene conto basta pensare alle terre che la Cina sta acquisendo
a vario titolo in Africa e in almeno una decina di altri Paesi. Ed ancora, il Kuwait ha rivolto i suoi interessi verso la Cambogia e lo Yemen.
Strettamente legati al tema della produzione agricola sono i problemi connessi alla risorsa idrica. L’acqua è la dimostrazione visibile dei cambiamenti
climatici. L’alterazione del regime, dell’intensità e della frequenza delle precipitazioni provoca alluvioni in alcune regioni e aridità in altre, con effetti comunque dannosi per la popolazione e per il territorio.
Quando si pensava che i corsi d’acqua rappresentassero una fonte illimitata, si sono deviati i fiumi e sfruttate senza criterio le falde acquifere. Anche
se durante le piogge torrenziali l’acqua che arriva dal cielo è troppa, quella
effettivamente disponibile per usi civili, alimentari, industriali e agricoli, è
sempre meno.
Oggi, nei Paesi dove vive metà della popolazione mondiale, il livello freatico è calato paurosamente. Nell’Africa subsahariana il 40 % delle case si trova
a più di mezz’ora di cammino dalle fonti d’acqua e oltre due miliardi di persone vivono lungo il corso di fiumi sottoposti a un vero e proprio stress idrico.
Dal 1950 ad oggi, la disponibilità annuale pro capite di acqua nel mondo
si è più che dimezzata, passando da quasi 17.000 a 6.000 metri cubi, mentre
nello stesso periodo la popolazione mondiale è raddoppiata. È proprio nell’industria e nell’agricoltura che si registrano i più alti consumi. Produrre generi alimentari per l’uomo richiede da 2.000 a 5.000 litri di acqua al giorno.
Molto si può fare per risparmiare l’acqua, recuperando quella già usata e utilizzando metodi efficaci di irrigazione. È stato valutato che se si riuscisse a
raddoppiare la produzione agricola per unità di volume d’acqua impiegato,
con le terre oggi coltivate si potrebbe soddisfare il fabbisogno alimentare dei
citati nove miliardi di popolazione mondiale del 2050.
Altro tema su cui la produzione agricola è costretta a misurarsi a livello
planetario è quello energetico. I raccolti mondiali oggi alimentano circa 4 persone per ettaro coltivato, mentre nel 1900 ne alimentavano 1,5. Tale risultato
è stato possibile grazie a un aumento di circa 150 volte dell’energia impiegata
in agricoltura. Anche l’agricoltura dei Paesi avanzati è diventata petrolio-dipendente. Questo non è privo di rischi, soprattutto per i Paesi costretti ad
importare prodotti petroliferi da aree geopoliticamente instabili.
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XXVIII
PIETRO PICCAROLO
La produzione dei biocombustibili presenta interessanti prospettive, specie per il settore primario che può così diventare fornitore di energia. Va però
detto che il suo contributo alla soluzione del problema energetico sarà probabilmente modesto, e che non è scontato che i vantaggi che ne possono derivare siano privilegio degli imprenditori agricoli. In ogni caso, è importante
puntare sullo sviluppo della green economy, con un più forte impegno da parte
sia del mondo scientifico e sia di quello imprenditoriale.
I problemi sono numerosi e di non facile soluzione. È tuttavia indubbio
che occorre investire di più in agricoltura, cioè investire di più in ricerca, innovazione, tecnologia e infrastrutture. Invece secondo i dati della Banca mondiale gli investimenti sono andati riducendosi: mentre nel 1979 era destinato
allo sviluppo agricolo il 18 % delle risorse, questa quota nel 2004 si è ridotta
al 3,5 %. In termini assoluti tra il 1984 e il 2004 la riduzione è stata del 50 %.
A livello europeo si lavora per la nuova PAC, cioè si opera per definire la
politica agricola dell’Unione Europea a 27 Paesi che coprirà il periodo 20142020. Purtroppo, le previsioni non sono incoraggianti e si teme che i finanziamenti per l’agricoltura diminuiranno. Questa non è una bella prospettiva
per il nostro Paese.
3.2 - La situazione a livello nazionale e piemontese
Negli ultimi 60 anni il valore della produzione agricola, a prezzi costanti,
è aumentato di quasi due volte e mezzo, mentre l’occupazione è scesa dai circa
8 milioni a meno di un milione. Ciò a seguito di profonde trasformazioni che
hanno consentito all’agricoltura italiana di occupare i primi posti tra le agricolture europee.
Anche se è vero che il valore aggiunto agricolo è intorno al 2 % del PIL
nazionale, non va dimenticato che, se si considera l’intero settore agroalimentare, compresa la distribuzione, la ristorazione e gli investimenti a monte e a
valle dell’agricoltura, l’incidenza sale sino a valori dell’ordine del 15 % del
PIL nazionale.
L’agricoltura italiana, se si considera il valore aggiunto, è seconda in Europa solo alla Francia, ma denuncia diverse criticità:
- la bassa taglia aziendale, con soltanto il 2 % circa delle aziende con più
di 50 ha di SAU;
- il basso ricambio generazionale, con un’alta presenza di imprenditori che
superano i 65 anni;
- il ridotto investimento annuo medio per singola azienda e quindi un ritardo nell’innovazione tecnologica;
- la bassa incidenza della spesa comunitaria sul valore della produzione
agricola nazionale, che è pari solo al 14 %, contro una media comunitaria del
17,5 %. A ciò si aggiunga il fatto che non sempre l’Italia riesce a spendere i
contributi che riceve.
Altro aspetto preoccupante per l’agricoltura nazionale - come è stato evidenziato nelle relazioni tenute in Accademia – è la continua diminuzione della
superficie agricola.
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L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO
XXIX
Dai dati recentemente presentati dal Presidente di Confagricoltura di Torino, emerge che in Piemonte tra il 1990 e il 2008 si sono persi, per costruzione
di nuove opere, circa 24.000 ha di suolo fertile. Nella sola provincia di Torino
in 18 anni si è avuta una perdita di circa il 20 % del terreno coltivato; si sono
persi cioè oltre 3,5 ha al giorno.
È evidente che qualche cosa va rivista nei progetti di programmazione territoriale ed ambientale perché questa tendenza deve essere necessariamente
invertita. In altri termini la cementificazione non può essere la risposta alla
riduzione delle risorse finanziarie, perché a farne la spesa è il territorio agricolo.
Altra tendenza negativa, divenuta negli ultimi anni ormai strutturale, è la
riduzione del reddito agricolo, reddito che è circa del 20 % inferiore a quello
del 2000. Secondo l’Eurostat, solo nel 2010 i redditi degli agricoltori italiani
sono scesi del 3,3 %, mentre nel resto dell’Europa mediamente sono cresciuti
del 12,3 %. In Olanda e Francia la crescita è stata dell’ordine del 30 %.
Questa situazione impone politiche di crescita specifiche per la nostra agricoltura in modo da fare recuperare competitività all’intero sistema agricolo
nella logica dello sviluppo sostenibile.
4 - OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Nella mia esposizione ho voluto affrontare alcuni dei problemi che affliggono sia i Paesi sviluppati come il nostro, sia quelli in via di sviluppo, anzitutto
per dimostrare l’importanza dell’agricoltura.
Sono proprio la crisi economico-finanziaria e quella alimentare mondiale
che testimoniano l’importanza del settore primario da cui, da sempre, dipende
il soddisfacimento dei fabbisogni alimentari dell’uomo. L’agricoltura, anche
nel nostro Paese e nella nostra Regione, deve essere considerata come settore
strategico per la ripresa dello sviluppo. Per questo è importante che l’agricoltura trovi efficienza e competitività, in modo che i redditi delle imprese agricole siano adeguati a quelli degli altri settori.
Una nuova agricoltura deve fare leva su ricerca e innovazione senza mancare ai necessari riferimenti alla sostenibilità, alla responsabilità sociale, alla
tutela del territorio e dell’ecosistema. Sono questi gli obbiettivi che devono
guidare, sia le scelte di indirizzo politico, sia il comportamento delle imprese,
al fine di creare un grande equilibrio fra crescita, logiche di mercato, ecologia
e sicurezza alimentare.
La realizzazione di questa nuova agricoltura non è facile e richiede anzitutto investimenti, ma anche volontà, intelligenza e grande competenza.
L’Accademia, con i tanti e diversificati “saperi” dei suoi soci, è pronta a
fare la sua parte e si augura, come già avvenne con Camillo Benso conte di
Cavour, di essere chiamata dal potere di governo a collaborare. Si augura però
anche di essere messa in condizione di assolvere a questo e agli altri compiti
istituzionali.
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PROLUSIONE E MEMORIE
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PARTIRE DALLA TERRA.
CAVOUR, EINAUDI, CALVINO
PROLUSIONE TENUTA
DAL DOTTOR
ERNESTO FERRERO*
in occasione dell’Assemblea solenne per l’inaugurazione del CCXXV Anno Accademico
tenutasi a Palazzo Lascaris il 26 febbraio 2011
1 - PREMESSA
Ogni riforma della scuola si è sempre dimenticata di introdurre un’innovazione piccola ma fondamentale: l’istituzione di un orto di classe, in cui sin
dalle elementari i bambini possano fare esperimenti di coltivazione. Imparerebbero molto con poca fatica e grande divertimento, e si vaccinerebbero contro i pericoli di una vita prevalentemente virtuale, che preoccupa giustamente
pedagogisti, psicologi, neuroscienziati e genitori responsabili.
Oggi più che mai occorre ripartire dalla terra come momento fondamentale di conoscenza, crescita e autoformazione. Parlerò dunque di tre italiani
che sono diventati grandi proprio attraverso esperienze agricole dirette, altrettante palestre in cui si sono formati come statisti, scienziati, scrittori.
2 - CAVOUR
Molto ha imparato Cavour dalla sua esperienza di imprenditore agricolo,
avviata nel 1835 e durata una dozzina d’anni, sino alla discesa in politica. Ne
è teatro la vasta tenuta di Leri, nel Vercellese, già appartenuta al principe Camillo Borghese ed acquisita nel 1822 dal padre Michele, con l’intento di farne
una tenuta agricola modello.
Quando Michele deve onorare le cariche pubbliche cui è chiamato a Torino, di Leri si deve occupare Camillo, che peraltro non sa bene cos’altro fare
di se stesso. All’inizio non è semplice passare dai salotti torinesi a un reclusorio
in cui non si parlava che di riso, fieno e letame.
L’apprendistato è faticoso. Poi la nuova attività finisce per appassionarlo,
le riconosce perfino uno charme insospettabile. Nel 1841 dichiarerà che è “la
più gradevole e conveniente occupazione del secolo”. Capisce presto che deve
*E-mail: [email protected]
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4
ERNESTO FERRERO
praticare una full immersion nei problemi della tenuta; seguire ogni dettaglio
di persona, con attenzione maniacale.
La svolta avviene nel 1843, quando chiama prima come consulente, poi
come socio, un agricoltore di grandi capacità: Giacinto Corio. Nelle lettere
scambiate con lui troviamo un Cavour che specula sulla compravendita del
grano, vende riso, controlla le lame dei tagliapaglia, progetta brillatoi, modifica aratri, importa vacche e maiali dall’Inghilterra, tenta incroci fra pecore
merinos e pecore biellesi, discute con gli agenti e impartisce ordini, controlla
gli attrezzi acquistati e i pezzi di ricambio.
Dopo molti anni dirà di poter ascrivere a proprio merito l’introduzione
del guano in Piemonte e le azioni di proselitismo per il drenaggio, oltre all’aver
avviato i lavori del canale che porta il suo nome.
Ovvio che nella sua azione di governo Cavour abbia ben presenti le questioni agricole. Nel 1853 vara una legge che crea l’Associazione d’irrigazione
dell’Agro Ovest Sesia per la gestione di un nuovo sistema irriguo cui tutti i
proprietari sono chiamati a collaborare; organizza un nuovo catasto, poi egregiamente realizzato, e si preoccupa del credito fondiario. Proprio nell’ultimo
discorso alla Camera traccia le strategie del futuro sviluppo economico del
Paese, una specie di piano di sviluppo, e sottolinea l’importanza dell’istruzione
professionale e tecnica.
3 - LUIGI EINAUDI
Un altro padre della patria che ha formato se stesso sui campi (e nei vigneti) è Luigi Einaudi. Gli Einaudi venivano, come Giolitti, dalla Val Maira,
e s’erano stabiliti a Carrù, dove Luigi nacque nel 1874, prima di trasferirsi a
Dogliani. Alle sue spalle intravediamo un piccolo mondo antico di proprietari
piccoli e medi, di professionisti e artigiani che si fanno premura di tramandare
le proprietà ricevute e le curano con amore, per consegnarle migliorate a chi
verrà dopo.
Appena salito sulla cattedra di Scienza delle Finanze, il giovane Luigi acquista la tenuta di San Giacomo per trenta volte il suo stipendio annuo di professore, e per anni, per decenni, la conduce con i suoi contadini spalla a spalla.
Le parole chiave del suo lessico sono proprietà-famiglia-lavoro. L’attaccamento alla terra, la devozione alla patria e lo spirito di sacrificio: soltanto da
qui possono germogliare quelli che egli definisce “gli Stati saldi”.
Il lavoro non è mera ripetizione di pratiche arcaiche, ma qualcosa che si
nutre di scienza, di tecnica, di tensione innovativa, di curiosità sperimentale
e sperimentatrice, ma sempre dentro una cornice di regole rigorose. Bisogna
sapere che non tutte le annate sono uguali, che la redditività è un problema
di lungo periodo, di investimenti da curare con pazienza. Il reddito va reinvestito per “rinnovare i piantamenti, e fare tutti i vari lavori di conservazione e
miglioramento dei terreni e delle case rustìche”. Sono questi i cardini di una
riflessione espressa in una lingua mirabile, di classica semplicità, sempre tesa
a preservare i territori che separano la libertà dall’abdicazione e dal servilismo
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PARTIRE DALLA TERRA. CAVOUR, EINAUDI, CALVINO
5
verso i potenti. Senza enfatizzare le mitologie della “sovranità popolare”, cui
troppo spesso si appellano “tutti i governi tirannici e totalitari”, come se nelle
masse ci fosse un equilibrio e una saggezza che non si ritrovano nei singoli.
4 - MARIO CALVINO
Mario Calvino, padre di Italo, nasce a Sanremo un anno dopo Luigi Einaudi, da una famiglia di mazziniani e di massoni, cultori del Risorgimento.
È un personaggio complesso cui va stretta ogni singola definizione:
• agronomo specializzato in culture tropicali,
• scienziato,
• docente,
• educatore,
• divulgatore,
• sociologo,
• missionario,
• pubblicista,
mansioni svolte in tempi e luoghi diversi: la Liguria dei primi anni del ‘900,
poi in Messico e a Cuba, dove è chiamato per chiara fama a dirigere importanti
istituzioni statali intorno agli anni ‘20 ( è per questo che Italo nasce vicino all’Avana), poi di nuovo in Italia, animatore della Stazione Agricola Sperimentale Grazio Raimondo di San Remo.
Persona schietta, appassionatissima del suo lavoro, è considerato scorbutico, magari scomodo perché parlava chiaro, non si piegava a compromessi.
Anche per lui l’agricoltura era anzitutto autocostruzione: il bravo agricoltore deve in primo luogo coltivare se stesso. È un uomo aperto all’innovazione,
al progresso sociale, alla solidarietà. Vive a un’ora da Sanremo, in una zona
piuttosto selvaggia. Grande camminatore, per fare apostolato all’alba prende
il treno, poi s’inerpica fino ai paesi più sperduti della sua Liguria con le tasche
della giacca alla cacciatora piena di estratti di riviste, forbici da potatore, coltelli da innesto, rafia e spago. Per guadagnarsi la confidenza dei contadini maneggia una biscia che ha trovato per via.
Promuove la costruzione delle vasche di cemento per l’accumulo dell’acqua, si batte per il credito agrario e la viabilità tra poderi, insiste sulla cooperazione e l’associazionismo.
Insegna le tecniche di potatura e d’impollinazione artificiale per ottenere
nuove varietà di fiori: fu lui il padre spirituale degli ibridatori sanremesi che
cresceranno decenni dopo.
Al figlio Italo, Mario e sua moglie Èva Mameli, prima donna ad avere una
cattedra di Botanica, hanno trasmesso l’attitudine scientifica, classificatoria e
combinatoria, il rifiuto d’ogni retorica, la forte etica civile.
A questo padre ruvido, esigente con se stesso e generoso con gli altri, Italo
ha dedicato uno dei suoi racconti più belli: “La strada di San Giovanni”.
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IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA
MEMORIA DEL
DOTT. MARCELLO CALLARI*
presentata all’Adunanza del 28 gennaio 2011
RIASSUNTO:
La Banca d’Italia fu istituita nel 1893 (dal 1861 l’Italia aveva una moneta unica, ma fino al
1874 molti istituti operanti nei vecchi Stati ebbero facoltà di emissione) e nel tempo acquisì
funzioni, compiti e fisionomia nuovi. Una fra le tappe fondamentali fu nel 1936, con la legge
di riforma bancaria che definì la Banca d’Italia Istituto di diritto pubblico e le affidò la funzione di emissione. Nel 1947 poi il meccanismo della riserva obbligatoria venne riformato
con il progressivo inserimento nella comunità finanziaria internazionale; nel 1978 si ebbe
l’adesione dell’Italia al Sistema Monetario Europeo e nel 1993, a seguito della firma del Trattato di Maastricht, il Testo unico bancario assegnò alla Banca la responsabilità del sistema
dei pagamenti e l’anno seguente fu firmato il Testo unico della finanza. La partecipazione
del Governatore della Banca d’Italia al Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea è
prevista nell’ambito dell’Eurosistema. Fra le recenti evoluzioni vi sono la tempestiva adozione
di un Codice Etico non soltanto per i membri del Direttorio, ma anche per il personale della
banca ed una particolare attenzione alle problematiche ambientali con azioni concrete in
vista di diminuire l’impatto ambientale dell’attività della Banca d’Italia.
SUMMARY: The role of the Bank of Italy
The Bank of Italy was established in 1893 (from 1861 Italy has a single currency, but until
1874 many States were allowed to money emission) and over time acquired functions, tasks
and new structure. One of the milestones was in 1936, the nomination of the Bank of Italy
as regulatory institution with the function of money emission. In 1947 the national compulsory reserve mechanism was modified with the progressive integration into the international
community. In 1978 Italy joined the European Monetary System and in 1993, following the
signing of the Treaty of Maastricht, the Unitary monetary Code assigned to the Bank the responsibility of the payment system and the following year was signed the finance code. The
participation of the Governor of the Bank of Italy to the Council of the European Central
Bank is included in the European agreement. Recently the Bank of Italy has adopted an Ethic
Code applied not only to the members of Board Directors, but also for bank staff. The bank
pays also particular attentions to environmental issues with actions aimed at reducing the
environmental impact of the Bank of Italy.
1 - PREMESSA
Le origini della banca si perdono nella notte dei tempi. Non così quelle
*Direttore della Sede di Torino della Banca d’Italia. E-mail: [email protected]
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8
DOTT. MARCELLO CALLARI
delle banche centrali. La loro storia si condensa tutta negli ultimi tre secoli
dell’età moderno-contemporanea. Per tutte è possibile fissare con precisione
la data di nascita: 1668 per la Banca centrale di Svezia, 1694 per la Banca centrale d’Inghilterra, 1800 per la Banca centrale di Francia, 1814 e 1817 rispettivamente per la Banca di Olanda e per quella austriaca, 1850 per la Banca
del Belgio, 1875 per la Reichsbank, 1882 per quella del Giappone, 1893 per
la Banca d’Italia, 1913 per il Federal Reserve System degli Stati Uniti. Questa
litania di date apparentemente precise rischia però di essere fuorviante, perché
la Banca centrale non nacque come istituzione compiuta e definita come la si
conosce noi oggi. La Banca centrale è un organismo che si sviluppò nel corso
del tempo acquisendo progressivamente funzioni, compiti e fisionomia nuovi
e sempre più complessi, instaurando relazioni via via più intricate e delicate
col resto del sistema bancario e finanziario, con il potere politico, con il sistema economico in genere. Così Carlo Maria Cipolla (nella prefazione ai
primi volumi della Collana storica della Banca d’Italia) invita a riflettere sull’identità e le funzioni di una banca centrale in divenire.
La Banca d’Italia fu istituita nel 1893 nell’ambito di un riordino complessivo degli istituti di emissione. Nel 1926 la posizione sostanzialmente pubblica
dell’Istituto ebbe un importante riconoscimento: la Banca d’Italia divenne
l’unico istituto autorizzato all’emissione di banconote e le furono affidati poteri di vigilanza sulle altre banche, successivamente ampliati e potenziati dalla
legge bancaria del 1936. Quest’ultima riconobbe inoltre formalmente la Banca
come istituto di diritto pubblico e avrebbe costituito la norma fondamentale
del sistema bancario italiano fino al 1993, quando è stato promulgato il vigente
Testo Unico in materia bancaria e creditizia. Nel 1947 la manovra di stabilizzazione della lira costituì uno snodo cruciale nella storia dell’Istituto: l’inflazione postbellica fu troncata e vennero poste le condizioni monetarie per il
«miracolo economico» degli anni Cinquanta. Nella Costituzione del 1948 fu
introdotto il principio della tutela del risparmio. Dopo gli shock che negli
anni Settanta hanno scosso il sistema monetario internazionale e la lira, il processo di disinflazione è stato favorito in Italia da una più decisa tutela giuridica
dell’autonomia della banca centrale. La riconquistata stabilità della lira e l’avvio del riequilibrio della finanza pubblica hanno consentito all’Italia, nel rispetto dei criteri indicati dal Trattato di Maastricht (1992), di far parte del
primo gruppo di Paesi che nel 1999 hanno adottato l’euro come propria moneta; le banconote e le monete in euro hanno cominciato a circolare nel 2002.
2 - LE ORIGINI
All’indomani dell’unificazione politica del 1861, l’Italia era economicamente arretrata rispetto ai maggiori Paesi europei: il prodotto pro capite era
meno della metà di quello inglese, poco più della metà di quello francese. Il
sistema bancario era composto da piccole ditte individuali, da pochi istituti
pubblici e da alcune banche di emissione; scarsa era la circolazione di carta
moneta.
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IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA
9
Le banche di emissione si erano affermate negli Stati preunitari nella prima
metà dell’Ottocento. L’Italia unita ebbe una moneta unica ma una circolazione
cartacea spezzettata, perché quasi tutti gli istituti operanti nei vecchi Stati
mantennero la facoltà di emettere biglietti nel nuovo regno. Al Nord la Banca
Nazionale nel Regno d’Italia (che veniva dalla fusione fra la Banca di Genova
e la Banca di Torino); al Centro la Banca Nazionale Toscana, affiancata nel
1863 dalla Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia;
al Sud il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Quando, dopo l’annessione di
Roma nel 1870, la Banca degli Stati pontifici divenne Banca Romana, gli istituti di emissione diventarono sei.
Tutte le banche menzionate emettevano biglietti in lire convertibili in oro
e operavano in concorrenza fra loro. Due di esse erano pubbliche, Banco di
Napoli e Banco di Sicilia, le altre private, ma vigilate dallo Stato. Il corso forzoso (cioè la non convertibilità), imposto nel 1866, fece in modo che la circolazione di moneta cartacea superasse quella metallica.
Nel 1874 fu varata la prima legge organica dello Stato italiano sull’emissione cartacea: indicando espressamente i sei istituti autorizzati, essa introdusse un oligopolio legalizzato e regolato. Non si realizzò dunque una banca
unica, soprattutto per la forza degli interessi regionali che non volevano privarsi di una banca di emissione locale.
Data la scarsa diffusione dei depositi bancari, la fonte principale di risorse
per effettuare il credito bancario era costituita proprio dall’emissione di biglietti: in pratica, accettando i biglietti di banca, il pubblico faceva credito agli
istituti di emissione, e questi potevano far credito ai propri clienti. Soltanto
negli anni Settanta cominciarono ad affermarsi banche non di emissione (cioè
simili alle banche che tutti conosciamo), come il Credito Mobiliare e la Banca
Generale, a respiro nazionale e con contatti internazionali.
In questo quadro, gli istituti di emissione svolsero un ruolo importante:
principalmente attraverso lo sconto di cambiali essi diedero un contributo essenziale al finanziamento della produzione e dell’investimento; combatterono
l’usura; favorirono la monetizzazione dell’economia italiana.
L’abolizione del corso forzoso, decretata nel 1881 e attuata nel 1883, segnò
l’inizio di una breve illusione: l’euforia provocò un surriscaldamento dell’economia al quale non si reagì con le politiche giuste. Intorno al 1887 il corso
forzoso era restaurato di fatto. Il boom edilizio innescato da Roma capitale,
sostenuto in parte da capitali esteri, coinvolse anche gli istituti di emissione.
L’espansione eccessiva portò a una bolla speculativa, e poi alla crisi. La crisi
bancaria dei primi anni Novanta, accoppiata a una crisi di cambio, assunse
anche una dimensione politica e giudiziaria clamorosa nel dicembre del 1892,
quando fu rivelata la grave situazione delle banche di emissione e soprattutto
i gravi illeciti della Banca Romana, fino a quel momento coperti dal Governo.
In una situazione di estrema difficoltà, fra battaglie aspre, il Paese trovò
la forza di reagire. La legge del 1893 dettò nuove regole per l’emissione e
portò alla costituzione della Banca d’Italia, che risultò dalla fusione fra tre
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DOTT. MARCELLO CALLARI
degli istituti esistenti, la Banca Nazionale e le due banche toscane; essa fu guidata dal Direttore Generale Giacomo Grillo. La Banca Romana venne liquidata, mentre gli istituti meridionali continuarono la loro attività.
Il primo importante ciclo di vita della Banca può essere racchiuso tra
l’anno della sua nascita, il 1893, e l’affermazione esplicita della sua natura
pubblica, nel 1936.
La legge bancaria del 10 agosto 1893, n. 449 istitutiva della Banca d’Italia,
fu fondamentale perché: ridefinì il sistema della circolazione cartacea, che
venne basato sulla copertura metallica dei biglietti (più precisamente: del 40
per cento di essi) e su un limite di emissione assoluto; pose le premesse per il
risanamento degli istituti di emissione; avviò il processo di transizione verso
una banca di emissione unica; introdusse norme che ponevano la tutela dell’interesse pubblico al di sopra delle esigenze di profitto degli azionisti (esempio: approvazione governativa sia per la nomina del capo della Banca – allora
era il Direttore Generale – sia per le variazioni del saggio di sconto).
In quegli anni Giuseppe Marchiori, Direttore Generale dal 1894 al 1900,
iniziò concretamente a emarginare gli interessi degli azionisti privati e ad affermare l’adesione dell’Istituto a obiettivi pubblici. D’altra parte, la Banca rimaneva una società per azioni privata, che esercitava la facoltà di emissione
monetaria in regime di concessione.
Parte notevole nell’evoluzione della Banca ebbe poi la nomina, nel 1900,
di Bonaldo Stringher a Direttore Generale della Banca. In età giolittiana la
Banca seppe conciliare, dato anche il quadro economico favorevole, la stabilità
finanziaria e del cambio con il sostegno all’attività produttiva. Nel 1902 fu
raggiunta la vecchia parità della lira con l’oro; da allora l’Italia si comportò
come se aderisse al gold standard, ma, ammaestrata dalle crisi precedenti, non
dichiarò ufficialmente la convertibilità della moneta. Nel 1906 la conversione
della Rendita Italiana fu curata con successo dalla Banca; si affermò così definitivamente la sua funzione di banchiere e quindi di consulente del Governo,
ruolo che andava ad aggiungersi a quello precedente di tesoriere.
In parallelo con la ripresa economica e il processo di industrializzazione,
il sistema creditizio era cambiato: nello spazio creatosi con la crisi del 189394 – che vide il fallimento delle due più importanti banche mobiliari – si sviluppò un sistema nuovo in cui il grosso dell’intermediazione creditizia
cominciò a passare dai tre istituti di emissione superstiti (Banca d’Italia, Banco
di Napoli e Banco di Sicilia) alle grandi banche miste di recente fondazione
(Banco di Roma, Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano).
Nel 1907 la Banca d’Italia intervenne efficacemente per arginare una grave
crisi finanziaria, stabilendo la propria funzione di prestatore di ultima istanza
e consolidando sul campo la propria reputazione. Per agevolare questo compito, il sistema della circolazione fu reso più elastico con una legge varata alla
fine dell’anno. Cominciò ad avvertirsi l’opportunità di una funzione di controllo sulle aziende bancarie.
Alla vigilia della prima guerra mondiale la Banca d’Italia rivestiva una po-
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IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA
11
sizione centrale nel panorama finanziario nazionale: per l’importanza del suo
credito nell’economia del Paese, per l’opera svolta a favore della stabilità finanziaria, per il rafforzamento delle riserve metalliche, per il concorso fornito
al Tesoro nella gestione del debito pubblico.
3 - IL PRIMO DOPOGUERRA E IL CONSOLIDARSI DEL RUOLO
PUBBLICO DELLA BANCA
Nel corso della prima guerra mondiale la Banca sovvenne largamente il
Tesoro: con il credito diretto, con l’assistenza al collocamento dei prestiti di
guerra all’interno, con la gestione delle operazioni finanziarie con l’estero.
L’aggancio della lira all’oro fu abbandonato e si instaurò il monopolio statale
dei cambi.
Nel dopoguerra le difficoltà della riconversione misero in crisi molti settori
dell’industria e le istituzioni creditizie che li avevano finanziati largamente,
fino a determinare gravi dissesti bancari. La Banca d’Italia, d’accordo con il
Governo, effettuò imponenti operazioni di salvataggio. Sul piano valutario si
superò il monopolio dei cambi ma, nelle nuove circostanze, il ritorno alla normalità monetaria fu impossibile: gli strumenti di controllo della circolazione
vigenti risultarono totalmente privi di efficacia. In tutti i Paesi e nelle sedi internazionali si dibatté su come ritornare a un sistema a base metallica. L’Italia
tenne un atteggiamento conservatore, orientato al gold standard classico.
In uno scenario tendenzialmente inflazionistico nel 1926 si arrivò alla decisione del governo fascista di rivalutare la lira, deflazionando l’economia.
Come parte di questo piano di stabilizzazione monetaria e di ritorno all’oro
(realizzato dalla Banca d’Italia, nonostante i dubbi di Stringher sui forti rischi
deflativi), nell’arco di un triennio furono introdotte importanti riforme. Alla
Banca d’Italia fu attribuito il monopolio delle emissioni e affidata la gestione
delle Stanze di compensazione, snodi centrali di un moderno sistema dei pagamenti. Fu anche varata una legge per la tutela del risparmio: per le banche
furono stabiliti obblighi speciali, fra cui un capitale minimo, e attribuiti alla
Banca d’Italia nuovi poteri di controllo, primo nucleo della funzione di vigilanza creditizia. L’opera di riforma fu completata nel 1927-28 con la fissazione
della nuova parità aurea della lira e il ripristino della convertibilità in oro o in
divise estere convertibili (gold exchange standard), l’obbligo di mantenere una
riserva in oro o in divise convertibili non inferiore al 40 per cento della circolazione, la ridefinizione dei rapporti con il Tesoro.
Per effetto di questi provvedimenti, l’Istituto, abbandonando il vecchio
ruolo di “banca di circolazione”, venne ad assumere funzioni di vera e propria
banca centrale e di organo di controllo del sistema creditizio; si accentuò il
suo carattere sostanziale di ente pubblico. Nel 1928 fu approvato il nuovo
Statuto, che istituiva la figura del Governatore, posto al vertice del Direttorio
(composto da Governatore, Direttore Generale, Vicedirettore Generale); la
responsabilità per la manovra del tasso di sconto passò dal Consiglio superiore
al Governatore, sempre previa approvazione del Governo.
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DOTT. MARCELLO CALLARI
4 - LA GRANDE DEPRESSIONE E LA LEGGE BANCARIA DEL 1936
Morto Stringher nel 1930, la direzione della Banca passò a Vincenzo Azzolini, proveniente dal Tesoro.
Nel pieno della Grande Depressione, la svalutazione della sterlina (settembre 1931) e di gran parte delle altre monete equivalse di fatto a un’ulteriore
rivalutazione della lira. Si accentuò il carattere deflativo della politica italiana
e pesanti furono le conseguenze sull’attività economica e sul sistema finanziario. Lo Stato e la Banca centrale salvarono dal tracollo le maggiori banche
miste, gonfie di partecipazioni azionarie sempre più svalutate. La Banca d’Italia si trovò con un attivo fortemente immobilizzato e quindi nell’impossibilità
di manovrare ulteriormente. Vennero così creati prima l’Istituto Mobiliare
Italiano (IMI) con il compito di assicurare i finanziamenti di medio-lungo periodo e poi l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), che acquisì le partecipazioni azionarie delle banche in difficoltà e i pacchetti di controllo delle
banche stesse.
A metà degli anni Trenta le tensioni che avrebbero portato al nuovo conflitto mondiale si manifestarono sul piano monetario e valutario nella cessazione di fatto della convertibilità della lira in oro e nella sospensione
dell’obbligo della riserva aurea (che non verrà più ripristinato).
In questo contesto di preparazione alla guerra (nel 1935 iniziò l’aggressione all’Etiopia) venne elaborata, in ambito IRI, la legge di riforma bancaria
del 1936. Una prima parte (tuttora in vigore) della legge definì la Banca d’Italia “istituto di diritto pubblico” e le affidò definitivamente la funzione di emissione (non più, quindi, in concessione); gli azionisti privati vennero espropriati
delle loro quote, che furono riservate a enti finanziari di rilevanza pubblica;
alla Banca fu proibito lo sconto diretto agli operatori non bancari, sottolineando così la sua funzione di banca delle banche. Una seconda parte della legge
(abrogata quasi interamente nel 1993) fu dedicata alla vigilanza creditizia e
finanziaria: essa ridisegnò l’intero assetto del sistema creditizio nel segno della
separazione fra banca e industria e della separazione fra credito a breve e a
lungo termine; definì l’attività bancaria funzione di interesse pubblico; concentrò l’azione di vigilanza nell’Ispettorato per la difesa del risparmio e l’esercizio del credito (organo statale di nuova creazione), presieduto dal
Governatore e operante anche con mezzi e personale della Banca d’Italia, ma
diretto da un Comitato di Ministri presieduto dal capo del Governo.
Consapevole degli sviluppi della scienza economica e delle sfide poste da
un mondo in continua e traumatica evoluzione, il Governatore Azzolini iniziò
la creazione di un moderno Servizio Studi, attraverso l’assunzione di economisti professionisti.
Alla fine del 1936 la svalutazione della lira, lungamente attesa, favorì la ripresa economica e il riequilibrio dei conti con l’estero. Contemporaneamente,
per effetto di un semplice decreto ministeriale, fu rimosso ogni limite alla possibilità dello Stato di finanziarsi per mezzo di debiti verso la Banca centrale:
l’autonomia di quest’ultima toccò il punto più basso.
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IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA
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5 - LA SECONDA GUERRA MONDIALE E LA STABILITÀ MONETARIA POSTBELLICA
La seconda guerra mondiale, con la divisione del Paese, i combattimenti
in gran parte della penisola, l’occupazione straniera, inferse un duro colpo all’economia nazionale. La lira si ridusse a un trentesimo del suo valore prebellico (al termine della prima guerra mondiale il valore della lira si era ridotto a
un quinto di quello prebellico).
La Banca d’Italia, come le altre istituzioni del Paese, visse momenti drammatici. L’amministrazione fu spezzata in due; regimi commissariali vennero
instaurati al Nord, nella Repubblica Sociale, e al Sud, nel Regno d’Italia. Con
la nomina di Luigi Einaudi a Governatore (gennaio 1945) si posero le premesse per il ritorno alla normalità, che ebbe inizio alla fine della guerra.
La riconversione postbellica, pur difficile, non comportò problemi di stabilità delle banche, come era invece avvenuto alla fine del precedente conflitto,
perché le banche, a causa della precedente riforma, non avevano rilevanti immobilizzi. Assai preoccupante era invece la situazione della lira: alla fine del
1946 l’inflazione riprese a galoppare.
I punti essenziali del risanamento monetario, realizzato fra il 1945 e il 1948
con disegno coerente, furono quattro. Il primo fu l’arresto dell’inflazione.
Nell’estate del 1947 il meccanismo della riserva obbligatoria venne riformato
e finalizzato alle esigenze del controllo monetario. Il potere di variare il coefficiente di riserva venne assegnato a un organismo di nuova creazione, il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR), presieduto dal
Ministro del Tesoro. La riforma, indicando chiaramente la volontà dell’autorità monetaria di porre fine all’inflazione, agì sulle aspettative e troncò l’ascesa
dei prezzi. Il secondo punto fu il ristabilimento di un limite al finanziamento
monetario dello Stato: nel maggio 1948 l’indebitamento del Tesoro in conto
corrente verso la Banca centrale fu limitato al 15 per cento delle spese previste
nel bilancio dello Stato. Il terzo punto fu l’inserimento nella comunità finanziaria internazionale: nell’ottobre del 1946 l’Italia venne ammessa agli istituti
nati con gli accordi di Bretton Woods. Iniziò la liberalizzazione del commercio
dei cambi e, dopo la svalutazione del novembre 1947, scomparve il doppio
mercato dei cambi. Venne creato l’Ufficio Italiano dei Cambi per la gestione
delle transazioni valutarie. L’Italia avrebbe fatto parte in seguito dell’Unione
Europea dei Pagamenti, creata nel 1950. Il quarto punto fu il riordino della
vigilanza. Dopo la soppressione dell’Ispettorato creato nel 1936, la funzione
di vigilanza venne assegnata istituzionalmente alla Banca d’Italia; la responsabilità politica sulla materia venne riservata al CICR, alle cui sedute partecipava – in qualità di capo dell’organo tecnico – il Governatore.
Il principio della tutela del risparmio veniva fissato nella nuova Costituzione del 1948, con l’art. 47. Il consolidamento della lira, al quale contribuì
grandemente il Direttore Generale della Banca Donato Menichella, costituì
la piattaforma sulla quale si sarebbe fondata la crescita non inflazionistica del
periodo successivo.
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DOTT. MARCELLO CALLARI
Dall’immediato dopoguerra fino ai primi anni Cinquanta, l’azione della
Banca fu essenziale per attrarre e gestire gli aiuti internazionali (Interim Aid,
Piano Marshall, Banca Mondiale) che consentirono di uscire dall’emergenza
e di avviare la ricostruzione.
6 - GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE E DELLO SVILUPPO
Gli anni Cinquanta furono per l’Italia un periodo di sviluppo economico
sostenuto, in un contesto di stabilità monetaria. La scelta dell’apertura internazionale, che introdusse salutari stimoli concorrenziali nel nostro sistema
economico, fu consolidata con l’adesione alla Comunità Economica Europea
(1957) e con l’introduzione (1958) della convertibilità della lira in altre valute
per i non residenti (convertibilità esterna).
La Banca, guidata da Donato Menichella (succeduto nel 1948 a Einaudi,
nominato presidente della Repubblica), puntò a garantire le condizioni di
lungo periodo dell’accumulazione: si interessò direttamente ai problemi dello
sviluppo e del Mezzogiorno senza mai abbandonare il controllo della moneta.
Gli strumenti della politica monetaria consistevano nella manovra dei saggi
di sconto e di anticipazione – che però rimasero fermi per otto anni fra il 1950
e il 1958 – e nel controllo del credito, esercitato anche attraverso la moral suasion. Il riassorbimento periodico della liquidità in eccesso fu ottenuto per
mezzo di emissioni di titoli pubblici.
L’azione di vigilanza fu volta in primo luogo ad evitare il ripetersi di episodi
di immobilizzo degli attivi bancari. Si cercò di fare in modo che la struttura
del sistema bancario fosse aderente a quella del sistema industriale: di qui il
favore per le piccole banche, ritenute più vicine alle imprese minori (localismo).
Nel 1960 Guido Carli fu nominato Governatore della Banca d’Italia. Negli
anni successivi si realizzò una graduale trasformazione del quadro strutturale
dell’economia del Paese, il sistema creditizio assunse sempre più il compito
di riallocare le risorse tra consumi e investimenti e tra settore pubblico e privato. Dalla metà degli anni Sessanta l’azione monetaria fu orientata alla stabilizzazione del corso dei titoli mobiliari, per favorirne il collocamento e quindi
incentivare gli investimenti.
Nel campo della ricerca economica, gli strumenti di analisi del Servizio
Studi furono perfezionati, in particolare con la costruzione del modello econometrico e con la realizzazione dei “conti finanziari”.
Per quanto riguarda il sistema creditizio, per la prima volta dagli anni
Trenta furono assecondate concentrazioni bancarie, con l’intento di accrescere
l’efficienza tecnica degli intermediari, ma si escluse nettamente il ritorno al
modello della banca mista. Fu istituita la Centrale dei rischi.
7 - GLI ANNI DELLA TURBOLENZA
Il decennio Sessanta si chiuse in mezzo a gravi difficoltà economiche. La
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IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA
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fine degli accordi di cambio concordati a Bretton Woods (agosto 1971), il passaggio alla fluttuazione dei cambi, il brusco aumento del prezzo del petrolio
aprirono un lungo periodo in cui convissero due mali ritenuti fino a quel momento antitetici: stagnazione e inflazione.
In Italia l’inflazione fu notevolmente più alta che nella media dei Paesi industriali. Tra il 1973 e il 1984 non scese mai al di sotto del 10 per cento. Essa
ebbe importanti cause interne che si aggiunsero all’aumento dei prezzi internazionali: le forti tensioni sul mercato del lavoro, l’incremento della spesa
pubblica non accompagnato da incremento delle entrate, la scarsa concorrenza. Molto giocò il venir meno dell’effetto disciplina rappresentato dal sistema di cambi fissi.
La politica di stabilizzazione dei corsi dei titoli, divenuta troppo onerosa,
fu abbandonata. Al fine di conciliare il sostegno degli investimenti con il controllo della domanda interna, e di contenere l’aumento dei tassi di interesse,
nel 1973 furono introdotti strumenti amministrativi di controllo del credito
(massimale sugli impieghi, vincolo di portafoglio) e controlli valutari. L’indirizzo tendenzialmente restrittivo della condotta monetaria fu rivolto in Italia,
come in altri Paesi industriali, verso obiettivi intermedi di tipo quantitativo
(credito totale interno) esplicitamente dichiarati.
Nel 1975 Carli lasciò la guida della Banca; gli successe Paolo Baffi, Direttore Generale dal 1960. In occasione della crisi valutaria del 1976 la Banca
rese più incisivo il massimale sugli impieghi e vennero inaspriti i controlli valutari allo scopo di accrescere l’efficacia della manovra restrittiva. Più volte la
stessa Banca sottolineò i costi e i limiti connessi con l’adozione di un tale strumentario. Fu quindi avviato un processo volto a rafforzare la capacità della
politica monetaria di operare attraverso il mercato, in particolare attraverso
l’acquisto e la vendita di titoli (operazioni di mercato aperto). A questo fine
nel 1975 furono intrapresi i primi passi per la creazione di un vero mercato
monetario, con i mutamenti nelle procedure di emissione dei Buoni ordinari
del Tesoro e la riforma degli obblighi di riserva.
Nel dicembre 1978 l’Italia aderì al Sistema Monetario Europeo (SME).
Essa ottenne che la banda di oscillazione entro cui poteva fluttuare la lira fosse
più ampia (6 per cento sopra o sotto la parità centrale) di quella consentita
agli altri paesi (2,25 per cento) perché il differenziale di inflazione rispetto a
questi ultimi, pur restringendosi, era ancora ampio.
L’azione di vigilanza fu volta a incoraggiare il rafforzamento patrimoniale,
a migliorare gli assetti statutari e organizzativi delle istituzioni creditizie, a
dare spazio alla concorrenza. Nella seconda parte del decennio furono estesi
i controlli ispettivi e perfezionate le tecniche di analisi. Per far fronte alla crescente esigenza di coordinamento fra autorità nazionali in materia di supervisione bancaria, si giunse al “concordato di Basilea” del 1983.
Nel 1979 un evento drammatico colpì i vertici della Banca d’Italia. Un’iniziativa giudiziaria – basata su argomentazioni che successivamente si dimostrarono del tutto infondate – portò all’incriminazione del Governatore Baffi
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DOTT. MARCELLO CALLARI
e all’arresto del Vicedirettore Generale Sarcinelli. La vicenda mise a dura
prova l’Istituto. La generale dimostrazione di solidarietà da parte dell’opinione pubblica qualificata, italiana e internazionale, l’indipendenza e il prestigio dell’istituzione e delle persone consentirono di superare la grave
emergenza.
A Paolo Baffi, che preferì dimettersi, successe, nell’ottobre di quell’anno,
Carlo Azeglio Ciampi, che dopo una lunga carriera in Banca era stato nominato Direttore Generale nel 1978.
8 - LA LOTTA ALL’INFLAZIONE E MAASTRICHT
Il secondo shock petrolifero del 1979-80 alimentò nuovamente la corsa
dei prezzi. Ma tre fattori contribuirono a promuovere un processo di diminuzione dell’inflazione e di ristrutturazione del sistema produttivo: l’entrata
in funzione, nel 1979, dello SME, al quale si accompagnò una politica poco
accomodante, che portò al rafforzamento del cambio reale; l’acquisizione da
parte della Banca centrale, a partire dal 1981, della piena autonomia nelle decisioni di acquisto dei Buoni ordinari del Tesoro non optati dagli operatori
nel corso delle aste periodiche (il cosiddetto “divorzio”); la moderazione salariale conseguente al forte aumento della disoccupazione e al depotenziamento della scala mobile. I tassi di interesse reali tornarono a valori positivi.
Proseguì lo sforzo, avviato dalla seconda metà degli anni Settanta, volto a
rafforzare l’efficacia del controllo monetario mediante strumenti di mercato:
attraverso un sistema efficiente di aste per l’emissione dei Bot e un funzionale
mercato interbancario dei depositi si formò finalmente un vero mercato monetario. Nel 1987 il tasso di inflazione raggiunse un minimo: 4,7 per cento.
Nel 1990 la lira aderì alla “banda stretta” di oscillazione. L’inflazione ebbe
tuttavia una ripresa (fino al 6,5 per cento nel 1990), dovuta anche ad irrisolti
problemi strutturali del paese; divenne preoccupante il disavanzo delle partite
correnti; diminuirono gli investimenti. Il riaggiustamento del sistema Italia rimaneva dunque parziale, fragile.
Nel febbraio del 1986, con l’approvazione dell’Atto unico europeo, si stabilirono le tappe del processo volto all’abolizione, da completare entro il 1992,
delle barriere che ancora dividevano i mercati dei Paesi membri della Comunità. Sei anni dopo, nel febbraio 1992, si giunse alla firma del Trattato di Maastricht, che sta alla base della moneta unica europea e del Sistema europeo
delle banche centrali. Nel 1990 il completamento della liberalizzazione valutaria chiuse un ciclo di legislazione vincolistica iniziato nel 1934. Fu favorita
l’integrazione internazionale del sistema economico e finanziario italiano.
Dagli anni Ottanta la supervisione della Banca d’Italia si è estesa agli intermediari non bancari, limitatamente agli aspetti attinenti alla stabilità del sistema finanziario.
È iniziato il passaggio da una vigilanza “strutturale” – cioè volta a orientare, per mezzo di autorizzazioni, la struttura del sistema – a una vigilanza
“prudenziale”, prevalentemente fondata su regole generali di comportamento.
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IL RUOLO DELLA BANCA D’ITALIA
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Nel 1990 sono state approvate tre leggi fondamentali concernenti: la banca
pubblica e i gruppi (la cosiddetta legge “Amato-Carli”), le attività in valori
mobiliari, la tutela della concorrenza. La prima legge ha equiparato le condizioni competitive degli operatori, individuando nella società per azioni il modello generale per lo svolgimento dell’attività bancaria, e ha posto le basi per
il trasferimento al settore privato della proprietà bancaria; ha inoltre disciplinato i gruppi creditizi. La seconda legge ha disciplinato intermediari e mercati
nel comparto dei valori mobiliari. Il terzo provvedimento ha introdotto principi e strumenti per la tutela della concorrenza.
Negli stessi anni la Banca d’Italia si è posta l’obiettivo di migliorare l’efficienza e l’affidabilità dei servizi di pagamento: si è attuata la completa informatizzazione del sistema di compensazione nazionale e della movimentazione
dei conti che le banche detengono presso l’Istituto; è stato varato il Mercato
telematico dei depositi interbancari (MID).
9 - IN EUROPA
Con il Trattato di Maastricht erano stati stabiliti severi parametri di convergenza ai quali avrebbero dovuto adeguarsi i Paesi per entrare nell’unione
monetaria. Si erano anche fissati i tempi dell’unione monetaria: una prima
fase di avvicinamento economico e istituzionale; una seconda di armonizzazione di norme e procedure nei diversi Paesi, in vista dell’attuazione della politica monetaria comune, che prevedeva la creazione nel 1994 dell’Istituto
Monetario Europeo, precursore della Banca Centrale Europea; una terza, dal
1999, prevedeva l’avvio della moneta unica, l’euro.
Nell’estate del 1992 i diversi orientamenti delle politiche economiche degli
Stati Uniti e della Germania, ed anche incertezze nella ratifica del Trattato di
Maastricht, scatenarono una crisi valutaria che colpì molte monete. Tra queste
la lira, che perse circa il 20 per cento.
In Banca d’Italia Antonio Fazio, già Vicedirettore Generale, successe nel
1993 a Carlo Azeglio Ciampi (chiamato prima al governo e poi alla presidenza
della Repubblica) nella carica di Governatore.
La situazione di crisi innescò in Italia una vigorosa reazione. In primo
luogo fu avviato il risanamento della finanza pubblica, per mezzo di consistenti tagli alle spese e soprattutto incrementi delle entrate. Nell’estate del
1994 fu attuata una stretta che inaugurò un periodo di grande rigore monetario. Nel 1995, anno in cui si produsse una nuova crisi valutaria, il saggio di
sconto raggiunse il 9 per cento. La fermezza dell’azione della Banca in quegli
anni contribuì a ridurre le attese di inflazione. Frenata la dinamica dei prezzi,
nel 1996 iniziò un allentamento delle condizioni monetarie. La ritrovata fiducia, interna e internazionale, consentì la riduzione dei tassi a lungo termine e
determinò un drastico taglio dell’onere per interessi sul debito pubblico; in
tal modo, la politica monetaria fornì un importante contributo al risanamento
finanziario del Paese. Come risultato degli sforzi compiuti, l’Italia entrò a far
parte del gruppo di Paesi che parteciparono fin dall’inizio alla moneta unica.
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DOTT. MARCELLO CALLARI
Nel corso degli anni Novanta si è realizzato un processo di convergenza
anche negli assetti istituzionali. In linea con le prescrizioni del Trattato di Maastricht, è stata rafforzata l’indipendenza delle banche centrali. Nel nostro
Paese questo è avvenuto in varie tappe: all’inizio del 1992 è stato attribuito
alla Banca d’Italia il potere di fissare in autonomia i tassi ufficiali; nell’autunno
del 1993 è stata approvata la legge che impedisce allo Stato di finanziarsi in
conto corrente presso la Banca; dal 1994 la Banca non partecipa più alle aste
per il collocamento dei titoli pubblici.
Il decreto di recepimento della seconda direttiva comunitaria di coordinamento bancario, del 1992, ha formulato le linee fondamentali dell’ordinamento finanziario italiano. Eliminati gli obblighi di specializzazione che
caratterizzavano il sistema creditizio plasmato nel 1936, la banca universale è
divenuta una possibilità nel nostro ordinamento. L’insieme dei provvedimenti
intervenuti nel corso degli anni – inclusi quelli volti a favorire e ad accompagnare lo spostamento dei risparmiatori verso i titoli privati, la previdenza integrativa, il risparmio gestito – hanno notevolmente innovato il contesto
normativo che disciplina l’attività bancaria e quella finanziaria. Ad essi venne
data organica sistemazione nel Testo unico bancario del 1993, che ha anche
assegnato alla Banca la responsabilità del buon funzionamento del sistema dei
pagamenti, e nel Testo unico della finanza del 1998.
La legge 28 dicembre 2005, n. 262, sulla tutela del risparmio e la disciplina
dei mercati finanziari, ha avviato una riforma dell’assetto istituzionale e organizzativo della Banca d’Italia. Nello stesso mese del 2005 Antonio Fazio si è
dimesso dalla carica di Governatore.
Il 31 maggio 2006 Mario Draghi, nuovo Governatore nominato il 29 dicembre 2005, ha presentato le sue prime Considerazioni finali all’Assemblea
dei Partecipanti. In esse ha ricordato la complessità del campo d’azione di
ogni Banca centrale moderna. Tale campo d’azione è, da alcuni anni, divenuto
più vasto per le Banche centrali che partecipano all’Eurosistema. Esso spazia
dal disegno della politica monetaria comune a quello dei sistemi di pagamento:
decisioni e assetti istituzionali devono adattarsi alle esigenze di una progredita,
ma diversificata, area economica. La Banca d’Italia è inoltre inserita attivamente in un contesto internazionale più ampio, sia per i principi guida della
vigilanza sia per analisi e iniziative legate alla stabilità finanziaria.
10 - FUNZIONI E GOVERNANCE
L’assetto funzionale e di governance della Banca d’Italia si basa su un complesso di fonti articolate e di diverso livello: sulla normativa comunitaria che
regola l’attività del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), sulle principali
disposizioni bancarie e finanziarie attinenti ai poteri di vigilanza e sulle altre
norme che disciplinano i rapporti con il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) e con le altre Autorità, sul proprio Statuto.
Nell’ambito dell’Eurosistema, di cui è parte integrante, la Banca d’Italia
concorre alle decisioni di politica monetaria attraverso la partecipazione del
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Governatore al Consiglio direttivo della Banca Centrale Europea e quella di
propri esperti ai Comitati e Gruppi di lavoro dell’Eurosistema ai fini della relativa istruttoria tecnica.
10.1 - Funzioni
Le principali funzioni della Banca d’Italia sono dirette ad assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria, requisiti indispensabili per un duraturo sviluppo dell’economia.
La Banca concorre alle decisioni della politica monetaria unica nell’area
dell’euro ed espleta gli altri compiti che le sono attribuiti come banca centrale
componente dell’Eurosistema. Cura la parte attuativa di tali decisioni sul territorio nazionale attraverso le operazioni con le istituzioni creditizie, le operazioni di mercato aperto e su iniziativa delle controparti, e la gestione della
riserva obbligatoria. Può effettuare operazioni in cambi conformemente alle
norme fissate dall’Eurosistema. Gestisce le riserve valutarie proprie; gestisce,
inoltre, una quota-parte di quelle della BCE per conto di quest’ultima.
È responsabile della produzione delle banconote in euro, in base alla quota
definita nell’ambito dell’Eurosistema, della gestione della circolazione e dell’azione di contrasto alla contraffazione.
L’Istituto promuove il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti
attraverso la gestione diretta dei principali circuiti ed esercitando poteri di indirizzo, regolamentazione e controllo propri della funzione di sorveglianza.
Tale attività, unitamente all’azione di supervisione sui mercati, mira più in generale a contribuire alla stabilità del sistema finanziario e a favorire l’efficacia
della politica monetaria.
La Banca espleta servizi per conto dello Stato quale gestore dei compiti
di tesoreria, per gli incassi e pagamenti del settore pubblico, nel comparto del
debito pubblico, nell’attività di contrasto dell’usura.
Al fine di rendere più efficace l’espletamento dei compiti di politica monetaria e delle altre funzioni istituzionali, la Banca d’Italia svolge un’intensa
attività di analisi e ricerca in campo economico-finanziario e giuridico e, come
Autorità di Vigilanza, persegue la sana e prudente gestione degli intermediari,
la stabilità complessiva e l’efficienza del sistema finanziario, nonché l’osservanza delle disposizioni che disciplinano la materia da parte dei soggetti vigilati.
Interviene nel campo della regolamentazione bancaria e finanziaria anche
attraverso la partecipazione ai comitati internazionali. Si raccorda con le altre
Autorità di controllo con cui collabora in base a diverse forme di coordinamento.
L’attività della Banca d’Italia comprende numerosi impegni internazionali
che interessano le funzioni di central banking e, in particolare, i profili di stabilità finanziaria. Partecipa alla cooperazione nelle sedi europee, presso i diversi gruppi e gli organismi multilaterali. Svolge iniziative di assistenza tecnica
in favore di Autorità di controllo di paesi emergenti e in transizione.
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10.2 - Politica monetaria
La stabilità dei prezzi, in base ai dettami del Trattato CE (art. 105), è
l’obiettivo preminente assegnato all’Eurosistema, costituito dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali degli Stati membri che hanno adottato
l’euro. Tale obiettivo viene perseguito tramite la politica monetaria unica.
10.3 - Cambi e riserve ufficiali
Tra i compiti e le funzioni affidati alla Banca d’Italia nel quadro istituzionale europeo sono compresi gli interventi sul mercato dei cambi e la gestione
delle riserve valutarie.
10.4 - Operazioni per conto del MEF
La Banca d’Italia svolge alcune attività per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze tra cui il collocamento e il servizio finanziario dei titoli
pubblici sul mercato nazionale e il servizio degli incassi e pagamenti relativi
ai titoli emessi sui mercati internazionali.
10.5 - Supervisione sui mercati
La Banca d’Italia svolge compiti di supervisione sui mercati finanziari, con
l’obiettivo di assicurare la stabilità dei sistemi, la trasparenza e la qualità dei
servizi, salvaguardandone l’affidabilità e l’efficienza.
10.6 - Tesoreria
La Banca d’Italia è il tesoriere dello Stato. Gestisce le operazioni di incasso
e pagamento disposte dalle Amministrazioni statali, sia a livello di tesoreria provinciale che centrale. Svolge il servizio di cassa per conto di amministrazioni
pubbliche. La Banca d’Italia svolge il servizio di Tesoreria provinciale e centrale
dello Stato: esegue le disposizioni di pagamento emesse dalle amministrazioni
dello Stato; riscuote le somme dovute a qualsiasi titolo allo Stato, sia direttamente sia indirettamente attraverso le banche, le Poste e i concessionari della
riscossione; riceve e custodisce depositi in buoni postali e contante. Nell’attività
di tesoreria rientrano anche i regolamenti dei pagamenti del debito pubblico e
la rendicontazione nei confronti delle amministrazioni e della Corte dei Conti.
10.7 - Emissione di biglietti
La Banca d’Italia emette le banconote in euro, in base ai principi e alle regole fissati nell’Eurosistema, ed ha il controllo di tutta la circolazione monetaria presente nel Paese.
10.8 - Ricerca economica e relazioni internazionali
Alla base dell’efficace svolgimento delle proprie funzioni la Banca d’Italia
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pone un’intensa attività di analisi e ricerca in campo economico e finanziario
e in campo giuridico. Esercita compiti di consulenza nei confronti del Parlamento e del Governo in materia di politica economica e finanziaria e prende
parte al dibattito scientifico generale. Nell’ambito dei rapporti con l’estero
partecipa all’attività dei principali organismi monetari e finanziari internazionali.
10.9 - Vigilanza
Come Autorità di Vigilanza, la Banca d’Italia svolge le funzioni dirette al
mantenimento della stabilità finanziaria in base ai poteri e alle responsabilità
di controllo sui singoli intermediari e sul sistema finanziario complessivo che
le derivano dall’ordinamento nazionale.
11 - FILIALI
La Banca d’Italia opera sul territorio con Filiali insediate nei capoluoghi
regionali e in alcuni capoluoghi di provincia. Alle Filiali sono affidate attività
principalmente in materia di:
• servizio di tesoreria dello Stato, nell’ambito del quale curano le attività
di incasso e pagamento per conto delle amministrazioni dello Stato;
• vigilanza su gruppi e intermediari bancari e finanziari attivi in ambito
prevalentemente locale, di minore dimensione o complessità operativa;
• circolazione monetaria, con l’immissione nel circuito delle banconote in
euro e il presidio dell’integrità e della qualità dei biglietti in circolazione;
• analisi economica e rilevazione statistica a livello locale.
Le Filiali svolgono, inoltre, attività nel campo del sistema dei pagamenti,
offrono servizi informativi in materia di Centrale di Allarme Interbancaria
(CAI) e Centrale dei Rischi (CR), possono ricevere gli esposti in materia di
servizi bancari e finanziari e i ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario.
La sede storica di Torino svolge l’intera gamma dei compiti assegnati alla
rete.
12 - CODICE ETICO
La Banca d’Italia ha adottato un Codice etico per i membri del Direttorio,
in linea con i codici di condotta osservati nell’Eurosistema.
L’Istituto rende conto del proprio operato al Governo e al Parlamento.
Segue criteri di trasparenza su dati e notizie relativi all’attività svolta anche
attraverso la divulgazione di pubblicazioni, documenti, interventi dei membri
del Direttorio.
La contabilità della Banca è sottoposta a verifica di revisori esterni, come
stabilito dallo Statuto del SEBC.
Il 26 ottobre 2010, è stato approvato dal Consiglio Superiore anche il Codice etico per il personale della Banca. In esso si enunciano i principi generali
cui i dipendenti si attengono nello svolgimento delle proprie funzioni, in re-
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DOTT. MARCELLO CALLARI
lazione alla natura pubblica dell’Istituto e alla rilevanza degli interessi ad esso
affidati. In particolare detta principi in materia di indipendenza e imparzialità,
limiti all’accettazione di doni, conflitto di interesse, riservatezza, continuazione
dei doveri dopo la cessazione del rapporto di impiego. Le disposizioni del
Codice etico sono uno strumento di orientamento dei comportamenti individuali, ferma restando la disciplina regolamentare in materia di obblighi e divieti.
13 - POLITICA AMBIENTALE
In uno scenario nazionale ed internazionale caratterizzato da una crescente
attenzione verso le problematiche ambientali, il Governatore nel 2008 ha approvato il documento di Politica ambientale, che illustra la strategia che la
Banca intende perseguire per ridurre i propri impatti ambientali.
In linea con tale documento, nel 2007 è stato costituito un gruppo di lavoro per individuare gli aspetti ambientali su cui agire prioritariamente: il
gruppo elabora periodicamente un programma di azioni concrete e ne segue
anche la fase realizzativa.
Fra le iniziative realizzate nel corso del 2010 si possono ricordare:
- incremento, nell’acquisizione dell’energia elettrica, della quota di energia
proveniente da fonti rinnovabili;
- elaborazione di un progetto per ridurre i consumi energetici dei sistemi
di raffreddamento dei data center;
- riduzione del consumo di carta;
- consolidamento, presso tutte le Unità della Banca, della raccolta differenziata dei rifiuti da ufficio (carta, toner, pile esauste, plastica, vetro e metalli)
e di quelli delle mense aziendali;
- estensione alle altre filiali della Banca dell’iniziativa relativa al recupero
energetico (termovalorizzazione) delle banconote logore ridotte in frammenti,
in quanto giudicate non idonee alla circolazione;
- fornitura a tutte le Unità della Banca di carta riciclata e munita di marchi
ecologici;
- sensibilizzazione del personale e comunicazione in campo ambientale.
Particolare rilievo assume infine il conseguimento, sin dal 2004, della certificazione ambientale UNI EN ISO 14001:2004 relativamente al processo di
originazione e stampa delle banconote.
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IL PROGETTO ASTRIS
RESOCONTO DELL’ ACCADEMICO ORDINARIO
GIUSEPPE SARASSO*
presentato all’Adunanza extra mœnia tenutasi
presso la Camera di Commercio di Vercelli il 1° febbraio 2011
RIASSUNTO
La notevole variabilità delle matrici pedologiche costituisce un ostacolo alla razionalizzazione
della fertilizzazione azotata nelle risaie italiane. Il progetto ASTRIS è nato all’interno dell’Accademia ed è in corso di realizzazione in collaborazione con partners pubblici e privati,
allo scopo di fornire risposte operative al problema. Obiettivo dichiarato è il miglioramento
dei risultati già ottenuti mediante l’applicazione di tecnologie di Precision Farming basate
sulla mappatura della produttività dei raccolti degli anni precedenti. L’utilizzo di sensori
adatti a misurare il vigore vegetativo potrà fornire ulteriori indicazioni utili alla somministrazione di dosi ottimali di fertilizzante azotato, con benefici ecologici, economici e produttivi.
SUMMARY: The “ASTRIS” project
The high variability of the soil matrix is an obstacle to the rationalization of nitrogen fertilization in Italian paddy fields. The ASTRIS project is born in the Academy, and is being implemented in collaboration with public and private partners, in order to provide operational
responses to the problem. The stated objective is the improvement of the results already
obtained through the application of the Precision Farming technology, based on the mapping of crop yield in previous years. The use of sensor suitable for measuring the vigor may
provide additional useful information for application of optimal rates of nitrogen fertilizer,
with environmental, economical and productive benefits.
RÉSUMÉ: Le projet “ASTRIS”
La variabilité des matrices pédologiques s’oppose à une fertilisation azotée rationnelle des
rizières d’Italie. Le projet “ASTRIS” est né au sein de l’Académie pour fournir une réponse
au problème, et il est réalisé avec des collaborateurs publiques et privés. Le but déclaré
est l’amélioration des résultats obtenus par les applications de l’Agriculture de Précision,
basées sur les mappes de la production des années précédentes. Des capteurs électroniques
qui mesurent la vigueur végétative peuvent donner des indications ultérieures pour fournir
les doses correctes d’engrais azoté, avec des avantages écologiques, économiques et productifs.
*E-mail: [email protected]
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GIUSEPPE SARASSO
1 - INTRODUZIONE
La fertilizzazione azotata rappresenta uno tra i maggiori limiti tecnici per
la risicoltura italiana. Sia le modalità di spargimento che la determinazione
dei dosaggi sono suscettibili di importanti miglioramenti. La variabilità della
fertilità del suolo, che causa differenze di vigore e di produzione all’interno
degli appezzamenti, è cosa nota da tempo. La comparsa sul mercato dei sistemi di mappatura georeferenziata ha permesso di misurare l’entità della variabilità e di localizzarla con precisione. Ha permesso anche di iniziare ad
adeguare spazialmente la fertilizzazione, riferendosi alle mappe storiche degli
anni precedenti, con risultati incoraggianti.
Dall’esperienza si è rilevato però che la differenziazione della fertilizzazione all’impianto potrebbe essere affinata all’atto della seconda somministrazione in copertura, eseguita al momento della differenziazione della
pannocchia. In questa fase si potrebbe tener conto delle reali condizioni della
coltura, influenzate sia dalla fertilità di base del terreno sia dall’andamento
climatico dell’anno in corso, migliorando ulteriormente l’uniformità produttiva. La disponibilità commerciale di alcuni modelli di sensori applicabili alla
trattrice, già utilizzati con successo su altre colture (barbabietola, frumento,
vite), consente di determinare strumentalmente le condizioni di vigore delle
piante di riso in modo immediato e non distruttivo.
Questi strumenti sono dotati di emettitori di luce a banda visibile (verde,
giallo, rosso) ed invisibile (banda vicina all’infrarosso NIR con lunghezza
d’onda 780 nm), e misurano la percentuale di riflessione delle diverse bande
da parte della coltura. I vegetali riflettono la radiazione visibile in misura inversamente proporzionale all’attività fotosintetica e quella vicina all’infrarosso
in modo direttamente proporzionale; dal rapporto tra le misure di radiazione
riflessa per le diverse bande (NIR/visibile) si possono calcolare indici vegetazionali, legati all’attività fotosintetica. Tra questi, il Normalized Difference Vegetation Index (NDVI) è uno dei più utilizzati.
2 - IL PROGETTO
Allo scopo di verificare l’applicabilità di quest’ipotesi, si è costituito un
gruppo di ricerca comprendente alcuni Accademici (A. Finassi, G. Masoero,
G. Sarasso), il Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e gestione del Territorio dell’Università di Torino (A. Ferrero, F. Vidotto), il Centro Ricerche
dell’Ente Nazionale Risi (M. Romani), una ditta (ARVATEC di Rescaldina,
MI) specializzata nella fornitura e nell’utilizzo di strumentazioni elettroniche
e satellitari per l’agricoltura, ed un’azienda risicola (Az. agr. Palestro di Olcenengo, VC), che ha messo a disposizione parte dell’attrezzatura necessaria alla
sperimentazione: sistema di mappatura delle rese montato sulla mietitrebbiatrice, tracciafile satellitare, spandiconcime a controllo elettronico con sistema
di pesatura, oltre all’esperienza di un decennio di prove. È così nato il progetto
ASTRIS ( Adattamento e Sviluppo di Tecnologie informatiche di supporto
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IL PROGETTO ASTRIS
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ad applicazione di RISicoltura di precisione), prontamente adottato dall’Accademia di Agricoltura di Torino e sostenuto dai Presidenti succedutisi nel
periodo (Orazio Sappa e Pietro Piccarolo). Per l’attuazione del progetto triennale l’Accademia ha ottenuto un contributo finanziario dall’Unioncamere Piemonte.
Volendo introdurre nella risicoltura italiana la fertilizzazione a dosi variabili e determinare l’entità delle medesime secondo parametri oggettivi, si è ritenuto utile riferirsi al collaudato e vincente modello australiano, teso ad
ottenere una vegetazione di densità uniforme e idonea a somministrare la corretta dose di azoto al momento della differenziazione della pannocchia. Questa dose viene determinata calcolando nei vari punti degli appezzamenti il
valore di Nitrogen Uptake (NU), parametro correlato al peso verde per metro
quadro ed al contenuto in azoto della biomassa fogliare.
Lo scopo finale del progetto ASTRIS è collegare un sensore NDVI, posto
davanti alla trattrice, con il suo sistema di guida satellitare. Questo, in funzione
dei dati trasmessi dallo strumento e delle prescrizioni preimpostate, invia in
tempo reale alla centralina di controllo dello spandiconcime, dotato di celle
di carico e di sistema elettronico per la regolazione automatica continua, la
dose di fertilizzante da somministrare. Il navigatore memorizzerà una mappa
georeferenziata delle letture strumentali e delle dosi somministrate, consultabili nelle annate successive e confrontabili con le mappe di produzione.
L’esperienza indicherà l’intervallo di valori NDVI entro i quali si riesce a
rimediare in sede di fertilizzazione di copertura ad eventuali difetti od eccessi
di azoto. Negli anni successivi, questa indicazione potrà guidare alla differenziazione della fertilizzazione all’impianto. Il metodo risulterà per i risicoltori
molto più semplice da utilizzare rispetto a quello australiano, che prevede raccolta manuale, pesatura ed analisi di molti campioni.
3 - ATTIVITÀ 2010
Sulla base di questi presupposti, nel corso del 2010 si è deciso di valutare
la corrispondenza dei dati rilevati dal sensore di vigore con il dato di NU, che
gli Australiani considerano il parametro più rappresentativo delle esigenze
nutrizionali del riso. Sono quindi state confrontate in centinaia di punti le letture strumentali NDVI con la biomassa verde. Allo scopo di sveltire l’operazione è stato costruito un apposito agevolatore portato da una trattrice dotata
di satellitare, in modo da ottenere un rapido (circa 90 secondi per ogni prelievo e pesatura) raffronto tra la lettura strumentale e la massa della vegetazione al m2, e di georeferenziare i campioni in modo da confrontare i dati di
vigore con le mappe di produzione.
Per un numero rappresentativo di campioni è stata eseguita l’analisi del
contenuto fogliare di azoto. A seguito di un’accurata messa a punto delle modalità di rilevamento si è ottenuta un’apprezzabile attendibilità dell’indice
NDVI nel misurare la massa della vegetazione fogliare, sia nelle prove di pieno
campo sia in quelle parcellari condotte dal Centro Ricerche dell’Ente Nazio-
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GIUSEPPE SARASSO
nale Risi. Ancora da migliorare è la corrispondenza rispetto al contenuto di
azoto, che è stata ottenuta solamente in alcune delle prove.
Fig. 1 - Variabilità della produzione a seguito di fertilizzazione uniforme (in alto) e a seguito di fertilizzazione pilotata in automatico in funzione dei valori NDVI.
Sulla superficie di circa tre ettari, infine, è stata verificata l’ipotesi operativa
completa, variando la fertilizzazione direttamente in base alla lettura del sensore NDVI. La prescrizione di dosaggio dell’azoto è stata modulata in continuo da 83 kg ha-1 per le aree a basso vigore fino a 48 kg ha-1 per le aree di alto
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IL PROGETTO ASTRIS
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vigore. Oltre ad ottenere la piena operatività del sistema tramite un corretto
flusso di dati tra i diversi strumenti coinvolti, si è riscontrato un migliore livellamento dei risultati produttivi, rispetto al resto dell’appezzamento, che è
stato fertilizzato sulla base delle mappe storiche di resa.
Il fertilizzante risparmiato sulle zone più vigorose ha ridotto il rischio d’infezioni fungine ed è stato trasferito nelle aree meno fertili, incrementandone
la produzione. Il proseguimento della sperimentazione consentirà di affinare
le strategie di prescrizione delle dosi d’azoto, con evidenti vantaggi economici
ed ambientali: evitare gli sprechi di fertilizzante, migliorare la sanità delle
piante ed infine aumentare la produzione.
4 - ADUNANZA 1° FEBBRAIO 2011 ED EVOLUZIONE SUCCESSIVA
La sperimentazione 2010 ha quindi avuto risultati così promettenti da essere ritenuti meritevoli di essere presentati al folto pubblico durante la riunione extra mœnia dell’Accademia di Agricoltura di Torino, del 1° febbraio
2011 a Vercelli. Nell’occasione, dopo l’introduzione tenuta da C. Caresana
(ENR) sui problemi fitosanitari incontrati dalla risicoltura durante il 2010,
sono stati divulgati gli obiettivi ed i primi risultati del progetto tramite le relazioni di S. Landonio (soc. Arvatec), M. Romani (ENR), G. Sarasso (Accademia) con le conclusioni di A. Ferrero (Agroselviter).
L’argomento ha destato tanto interesse tra i risicoltori che la sezione vercellese dell’A.N.G.A., nell’ambito dell’organizzazione della 34a Fiera in
Campo, ha conferito al progetto ASTRIS il premio INNOVA, destinato all’innovazione tecnica più importante dell’anno per la risicoltura italiana.
I risultati ottenuti e l’interesse suscitato hanno indotto l’Accademia di
Agricoltura a redigere un piano di sperimentazione anche per il biennio 20112012, con l’obiettivo di conseguire tutte le conoscenze necessarie a rendere
efficace il sistema e di sviluppare modalità di utilizzo accessibili ai risicoltori,
i quali hanno peraltro già acquisito una diffusa dimestichezza con i tracciafile
satellitari.
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GIUSEPPE SARASSO
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L’ORTO DI NONNO MARIO
MEMORIA DI
GIOVANNI PENNATI, giornalista*
presentata all’Adunanza del 29 aprile 2011
RIASSUNTO:
L’iniziativa, dapprima concepita per le scuole, col tempo fu ampliata ricorrendo a tecniche
moderne di presentazione (compresi brevi filmati) ed una serie di rubriche, per far conoscere
il mondo e la cultura contadina e fornire un modello di azienda orticola familiare capace di
produrre un reddito mediante la vendita diretta, considerando anche gli aspetti amministrativi.
SUMMARY: The garden of grandfather Mario
That work, initially designed for schools, was expanded, over time, using modern presentation techniques (including short films) and a series of sections, to know the people and the
rural culture and provide a model for horticultural family farm capable of genenerate an income through direct sales of products. Moreovr are reported also the related administrative
regulations.
1 - INIZI E FINALITÀ
A seguito dell’opera svolta, come libero professionista, nella preparazione
di filmati volti a valorizzare l’attività e la cultura di specifici territori, come
pure nella preparazione di seminari e laboratori in scuole della provincia cuneese, si fece strada l’idea di creare un sito Internet dedicato all’orticoltura
tradizionale, impostata con specifico riferimento alle aziende familiari, pari o
inferiori ai 2 ettari di superficie e site in zone peri-urbane.
Originariamente l’iniziativa fu concepita come rivolta alle scuole, al fine
di fornire un supporto didattico (ipertesto, filmati e foto) alle scolaresche che
si recano in visita alle cosiddette fattorie didattiche, dando loro un’idea generale sull’intero ciclo produttivo e colturale di una decina fra le specie più comuni di ortaggi.
Successivamente l’idea venne ampliata, aggiungendo una sezione contenente, accanto alla dettagliata descrizione dei tradizionali metodi di coltivazione dei singoli ortaggi, una serie di rubriche (Calendario, Casa Contadina,
*E-mail: [email protected]
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GIOVANNI PENNATI
Chat, Consigli dell’esperto, Mercatino) atte ad agevolare l’accesso degli utenti
alle pratiche orticole e al contatto col consumatore. La novità consiste nell’uso
di brevi filmati che ampliano, con la parola e con l’esempio pratico, le informazioni contenute nei testi.
Le finalità sono:
- recuperare e far conoscere la vita, il mondo e la cultura contadina;
- predisporre un supporto informativo e tecnico per quanti intendono avvicinarsi alle pratiche agricole dando vita ad un orto familiare;
- promuovere e favorire lo scambio di informazioni e materiali fra gli interessati;
- fornire un modello di azienda orticola familiare, capace di fornire un reddito, indicando quanto necessario (compresi i criteri di gestione e i provvedimenti amministrativi) a realizzarla, tenendo conto del contesto
socio-economico.
2 - ARTICOLAZIONE DEL SITO
Nella rubrica CASA CONTADINA, accanto alla gestione degli spazi e
degli utensili, vengono illustrate ricette e metodi di conservazione dei prodotti
orticoli, fornendo un quadro completo, anche sotto il profilo economico, della
vita e della conduzione dell’azienda contadina tradizionale.
A titolo di esempio ecco una ricetta per la conserva di pomodoro a caldo:
- mettete a cuocere dei pomodori lavati, asciugati e tagliati in 4 pezzi sino
a che abbiano ridotto il loro volume di 1/3; passateli al setaccio; salateli (1/10
del peso) e terminate la cottura sino a consistenza solida. Dalla conserva - una
volta raffreddata - si ricavano dei piccoli pani che, unti d’olio, si conservano
in vasi o carta pergamena.
La rubrica CALENDARIO ripropone un modello tradizionale di calendario contadino. Questa sezione, anch’essa multimediale, arricchita cioè da
interventi e filmati chiarificatori, fornisce ogni giorno, sul modello dei vecchi
lunari, una serie di informazioni sulla luna, sui lavori e sulle semine, nella riscoperta delle conoscenze che permettevano agli ortolani le previsione e la
programmazione dell’annata agricola. Il calendario fornisce inoltre, giorno
per giorno, notizie sulla vita dei santi festeggiati, sul significato dei loro nomi,
sui proverbi e sul corretto modo di correlarli tra loro (fig. 1).
Le notizie pratiche e folcloristiche, che rappresentano un recupero di nozioni tradizionali, a volte frutto di esperienze secolari confermate dagli sviluppi della ricerca, a volte soltanto note di colore, sono precedute o seguite
da brevi considerazioni generali sull’evoluzione del mondo agricolo per inquadrarne le tradizioni nel loro contesto storico, senza peraltro condannare
acriticamente le possibilità offerte dalla moderna genetica e dalla biologia molecolare, e senza attizzare polemiche strumentali legate a scarsa informazione,
se non a disinformazione.
L’ORTO DI NONNO MARIO intende infatti proporre un modello aziendale attuabile, reale e in grado di produrre reddito a patto che si attuino interventi atti a garantire una reale possibilità di vendita diretta, accompagnata
da una semplificazione delle prassi fiscali ad essa collegate.
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L’ORTO DI NONNO MARIO
Fig. 1 - Esempio di una parte della rubrica “Calendario”.
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SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA:
ESPERIENZA E DEVOZIONE DI UN CONTADINO VENETO
TRA XVIII E XIX SECOLO
MEMORIA DI
LUCIANO MORBIATO*
presentata all’Adunanza del 29 aprile 2011
RIASSUNTO:
La vita e il lavoro dei contadini, fin dall’antichità, sono stati argomento d’interesse per gli
scrittori, così come la descrizione delle tecniche agricole ha riempito trattati e manuali, mentre la voce dei contadini ha raramente trovato, fino a tempi recenti, la via della scrittura, della
testimonianza scritta. Anche per questi motivi acquista una notevole importanza culturale
un manoscritto redatto da un anonimo agricoltore veneto, del distretto di Oderzo, nel primo
decennio dell’Ottocento; esso è conservato nella Biblioteca dell’Orto Botanico dell’Università
di Padova ed è rimasto a lungo inedito, fino alla sua pubblicazione nella collana della “Cultura popolare veneta” della Regione del Veneto (1998). Si tratta di un interessante documento
sullo sviluppo e la divulgazione delle tecniche tradizionali e innovative (per l’epoca) nell’agricoltura veneta (in particolare nella viticoltura) e, allo stesso tempo, di un monumento di lingua italiana popolare, con notevolissimi apporti dialettali. Sono quindi analizzati i rapporti
impliciti dell’opera con la doppia catena testuale costituita dai trattati di agricoltura e dai
libri di devozione, unico tramite culturale e modello stilistico dell’autore.
Summary: Scartafaccio d’agricoltura: experience and devotion of a farmer in the Veneto between
18th and 19th century
From ancient times the life and work of farmers were matter of interest for men of letters,
as in the same way the description of agricultural techniques was treated in some books,
while for farmers it was difficult to have their voice converted in written evidence. For this
reason every time that this silence is broken, the occasion is important to know a little more
about an unexplored world. This unpublished manuscript, preserved at the library of the
Orto Botanico in Padua’s University, has been compiled by an anonymous farmer of the district of Oderzo in the first decade of the 19th Century. The manuscript is an interesting document of the development and popularization of traditional and innovating agricultural
techniques in the Venetian region; at the same time, it represents a monument of popular
Italian language, with many interesting terms borrowed from the dialect. The manuscript is
analysed in relation to both the treatises on agriculture and the prayers books, which were
the only cultural reference and stylistic model of the author.
RÉSUMÉ: Scartafaccio d’agricoltura: l’expérience et la dévotion chez un paysan du Veneto entre
XVIII et XIX siècle.
*E-mail: [email protected]
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LUCIANO MORBIATO
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La vie et le travail des paysans, depuis l’antiquité, ont été le sujet d’œuvres littéraires, de
même que la description des techniques agricoles, alors que, jusqu’à nos jours, la voix des
paysans n’a trouvé que très rarement le chemin de l’écriture, du témoignage écrit. C’est donc
pour des raisons autant humaines que culturelles que ce manuscrit, composé au commencement du XIX siècle par un agriculteur anonyme de la Vénétie, du district d’Oderzo (la romaine Opitergium), acquit un intérêt particulier. Le manuscrit est conservé par la
Bibliothèque du Jardin Botanique de l’Université de Padoue et il est resté longuement inédit
jusqu’à sa publication dans la collection de la “Cultura popolare veneta”, éditée par la Région
du Veneto. Il s’agit d’un intéressant document sur le développement et la divulgation des
techniques traditionnelles et nouvelles pour l’époque (en particulier dans le secteur viticole),
et en même temps, il s’agit d’un monument de la langue italienne populaire, enrichie des saveurs du dialecte. Dans la relation on analyse les rapports implicites mais notables avec la
double chaîne textuelle des traités d’agriculture et des livres dévotionnels, qui étaient le seul
intermédiaire culturel et modèle de style pour l’auteur.
Ma sempre l’onda delle mele depone
il suo meglio nei tuoi cortili,
quadrifogliati foraggi ti gravano i fienili
e le tue uve e i pampani e i tralci non c’è luce
che in vita li vinca né vento né umore di terra…
Andrea Zanzotto, Le profezie di Nino (da La Beltà, 1968)
1 - PREMESSA
I contadini non parlano (e non scrivono): se parlano (e scrivono) non sono
contadini, sono altri che parlano per loro. Questo assioma per lungo, lunghissimo tempo, è dimostrato dal silenzio dei contadini e dalle opere di letterati
che hanno descritto la vita del contadino e il lavoro nei campi, dai poemi didascalici di Virgilio ai romans champêtres di George Sand e ai racconti di Ippolito Nievo (Novelliere campagnuolo), mentre gli autori di trattati di
agricoltura dall’antichità al medioevo, fino agli enciclopedisti sette-ottocenteschi e ai benemeriti parroci agronomi, si occupavano di istruire ed educare
gli ignoranti lavoratori della terra.
Dopo le egloghe sulla pastorizia delle Bucoliche, nei quattro libri delle
Georgiche Virgilio si occupa della coltivazione degli alberi e della vite, dell’allevamento e infine delle api: per il poeta latino, che ancora non ha affrontato la vita dell’eroe Enea e la fondazione dell’urbs, la fertilità della terra e il
ciclo dei lavori agricoli non sono un argomento di canto meno nobile e impegnativo, tanto da richiedere nei versi del proemio l’invocazione di numerose
divinità, come già aveva fatto in precedenza Varrone nel De re rustica. Sottolineo, di passaggio, la fortuna ininterrotta che il genere della poesia didascalica
agricola continuò ad avere tra il mondo antico e medievale e quello moderno,
fino ai poemi dei fiorentini Giovanni Rucellai (Le api, 1538) e Luigi Alamanni
(La coltivazione, 1546) e del veronese Giambattista Spolverini (La coltivazione del riso, 1758).
Pochi anni dopo Virgilio, nel percorrere le strade della Palestina un profeta
ebreo ricorrerà nella sua predicazione a una costante simbologia ricavata dalla
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SCARTAFACCIO D’AGRICOLTURA: ESPERIENZA E DEVOZIONE
DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO
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pastorizia («Io sono il buon pastore») e dalla coltivazione: le sue parabole sono
piene di seminatori, vignaioli, mietitori; la buona novella che annuncia è paragonata alla semente che dà frutto o a un grano di senape che diventa un albero, mentre l’opera del nemico è bruciata dai contadini come malerba
seccata e gli alberi che non danno frutto vengono tagliati alla radice. Incontreremo questa stessa abbondanza di figure, similitudini e metafore, nel testo
che è al centro del mio intervento, nella forma di una serie ricorrente di sacre
citazioni di cui l’autore si vale per rendere convincente quanto scrive.
Quello che Publio Virgilio Marone e Gesù Cristo considerano un lavoro
che nobilita ed eleva chi lo compie, nei secoli successivi e per tutto il medio
evo è abbassato fino ad essere una condanna che grava sulle spalle di individui
meno che umani, dispersi o sepolti nelle campagne (rustici o villani) e incerti
nella fede, quando non idolatri (pagani). Il contadino diventa l’oggetto di censure e anatemi della chiesa, di vessazioni dei signori e di satire dei chierici e
dei giullari. Nel XIII secolo la satira del villano era un piccolo genere letterario, già praticato in latino e successivamente in volgare, come testimonia la
Nativitas rusticorum di Matazone da Caligano: così si qualifica, con uno pseudonimo giullaresco padano, il suo autore, che nei primi versi confessa di essere
per l’origine un villano e perciò di conoscere le bestie che descrive, ma di essersi liberato da quello stato di inferiorità a contatto con i signori. Il ghigno
di Matazone arriva a contrapporre la nascita del villano, di cui parla il titolo,
a quella del cavaliere, in modo che entrambe risultino enfatizzate: nell’abiezione della stalla quella del contadino, nell’armonia del giardino quella del
cavaliere. Conseguenza inevitabile di questa nascita è allora quanto la seconda
parte della composizione elenca: un calendario dei lavori dei campi nel ciclo
stagionale, anzi dei dodici mesi, sul modello delle miniature presenti nei codici
dei Tacuina sanitatis o delle sculture nei portali delle cattedrali romaniche, ma
in Matazone, villano redento, la nota prolungata è simile a una sadica volontà
di castigo, prevaricazione, umiliazione nei confronti dei dannati della terra.
Nel più tardo Alfabeto dei villani, la condizione dei contadini è descritta
con vigore, senza compiacimenti e sorrisi: qualcuno l’ha interpretato come un
manifesto prerivoluzionario del primo Cinquecento, anche se formalmente il
dialetto pavano (cioè padovano) rustico è calato nella griglia stilistica della
terzina dantesca; viene perciò da chiedersi: l’autore, che parla dei contadini
in prima persona plurale, appartiene alla stessa classe derelitta (alla «schiuma
de sto mondo») o a quella degli sfruttatori e dei loro alleati (sbiri, preve, soldè),
di cui ammette indirettamente le colpe? Tutto il male di cui sono caricati i
contadini deriverebbe dalla colpa, della quale erano da secoli accusati, di avere
messo in croce il figlio di Dio («Cristo fo da villan crucificò / e stagom sempre
in pioza, in vento e in neve / perché havom fatto così gran peccò»). È un paesaggio di campi coltivati e saccheggiati, quello descritto dall’anonimo, dove
gli uomini convivono in tuguri con i propri animali («Vache co i buò, le biestie
sta con nu. / El mondo n’ha con biestie acompagnò / e pruopio a muò de biestie
seom tegnù») e le donne si sgravano di figli illegittimi dietro le siepi («Phigiuoli
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LUCIANO MORBIATO
che ge nasse dentro al sieve, / ge faom le spese e sì i tegnom in cà / e no saom si
gi è nuostri o pur di preve»), dove le liti per interessi finiscono a coltellate:
«Odio se portom tutti in la coragia, / che se mostrom amisi al parlamento, / può
se magnessomo el cuor in fritagia» (Milani, 1997).
2 - DAGLI AUTORI LATINI AL RINASCIMENTO
Come ho anticipato, molte tessere del mosaico che ci permette di ricostruire la vita degli abitanti nelle campagne si devono agli scritti dei preti che
quella vita hanno in parte condivisa e, giorno per giorno, registrata in modi
diversi, ufficiali e non, nell’archivio della parrocchia, a partire dalle disposizioni post-tridentine, e in giornali, cronache, diari conservati o dispersi e riaffiorati, nonché nelle istruzioni impartite sotto forma di manuali e catechismi
sulla coltivazione.
Si tratta di iniziative che si diffondono in periodo illuminista, ma erano
state anticipate da alcune opere stampate a Venezia, capitale dell’editoria nel
XVI secolo. Basterà accennare ad un’antologia di trattatisti latini (Varrone,
Columella, Palladio) curata da Fra’ Giocondo e pubblicata da Aldo Manuzio
nel 1514, e soprattutto a due “manuali” apparsi quasi insieme a Venezia: si
tratta del Ricordo d’agricoltura (Rampazzetto, 1567) di Camillo Tarello, e
delle Vinti giornate dell’agricoltura et de’ piaceri della villa (Percaccino, 1569)
di Agostino Gallo, entrambi bresciani. Il Ricordo, pur rifacendosi alle antiche
autorità, conteneva anche una proposta scientifica di rotazione dell’arativo di
un podere, con semina di cereali su un quarto dell’estensione, mentre un
quarto doveva essere lasciato in riposo e gli altri due tenuti a trifoglio. Consapevole dell’ignoranza dei lavoratori dei campi, il suo autore faceva affidamento, già allora, sulla mediazione degli ecclesiastici: “E dovendosi mettere in
opera questo mio Ricordo per mano di persone idiote, parmi di ricordare che
sarà sopra modo ben fatto ch’esso si faccia leggere e dichiarare dai preti d’ogni
villa, castello e terra pubblicamente ogni mese una volta, per beneficio et intelligenza degli agricoltori… (Tarello, 1975).
Poco più di un secolo dopo comparve una dettagliata opera di divulgazione, che oltre ad avere una certa fortuna editoriale, costituì un modello per
numerose altre; alludo ai Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di
villa di Giacomo Agostinetti (Venezia, Hertz, 1679; successive edizioni fino
al 1749). Il sottotitolo esplicitava l’intenzione del “tecnico agrario” (come si
direbbe oggi) di Cimadolmo di Oderzo (1597-?), autore dei ricordi (nel senso
di ‘Avvertimenti, Ammaestramenti’), “Ne’ quali si tratta quello e quanto deve
sapere un buon fattor di villa, che consiste principalmente in tener buona scrittura, intendersi d’agricoltura, diligenza nel riscuoter l’entrate, pratica nel conservarle, occulatezza nell’esitarle, avantaggio nello spender il denaro del patrone
(Agostinetti, 1998).
Tra i 110 sistematici ammaestramenti si ritrovano le Provisioni per principiar boarie, la Maniera nel far li vini neri, le istruzioni per Numerar tutte le
botti, tinazzi et ogn’altro arnaso, et perché, la Maniera nel formar un bruolo che
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rieschi copioso di fruttari, fino ai Riguardi che deve aver il fattor a’ ricordi de’
contadini, da intendere in questo caso come legittimi sospetti sui suggerimenti
interessati che provengono dai contadini, «perché costoro non pensano mai
che di trovar panni a’ loro dorso», mentre il fattore deve fare gli interessi del
padrone, senza rischiare, «perché molte volte si butta la scardola per pigliar il
luzzo che non si ritrova in quel fiume».
A questo proposito, si può aggiungere che assieme alle conoscenze tecniche, il fattore deve disporre di capacità d’analisi psicologica per non farsi ingannare dai sottoposti, pronti a frodare il padrone, come succede nell’esempio
che leggo: “E stava il contadino allegro per haver fatta la burla a i tinazzi, che
li era riuscita benissimo, ma non sapeva della contramina; quando il fattore li
disse con un lungo giro di parole: «Sastu quello son venuto a far qui?». Rispose:
«Signor no, se non la me l’ dise». «Son venuto per saper una verità da te, se
ben che dubito, perché voi altri contadini – disse – non è il vostro mestier il
dir la verità! Ma però senti: questa mattina nell’alba è venuto uno a batter alla
mia porta con dir che mi voleva parlar di cosa che molto importa. Io son subito levato e son andato alla porta e li ho addimandato quello voleva. M’ha
detto: “Signor, vi do aviso come questa notte il tal vostro lavorador ha cavato
del vino delli tinazzi e li ha messo tanta acqua, che io l’ho visto co’ miei occhi”.
Però son venuto a saper s’è la verità. E confessemela giusta, che quando me
la confessi non passerà più avanti, né lo lascierò saper al Patrone!». Questo,
sapendo che niun l’haveva veduto e credendo che fosse una invention del fattor
per cavarghe celegati de bocca, cominciò a negare e scongiurarsi che non era vero
e che queste sono genti che gli vogliono male, ma che non si troverà mai questo
e che era un huomo da ben… (Agostinetti 1998).
In questo caso l’esposizione oggettiva del fattore cede alla narrazione dialogata, ma la gustosa scenetta non deve farci dimenticare che cosa ci sta sotto,
vale a dire il pregiudizio sul villano ladro e bugiardo di cui non ci si può fidare.
Un lungo interessante paragrafo, il Riccordo LXXVI, Del giardino (pp.
185-190), meriterebbe un’esposizione e un commento adeguati, non solo per
la ricca documentazione pratica sull’argomento, la bibliografia specifica che
fornisce e la localizzazione di alcuni esempi (dal palazzo Contarini di Oderzo
all’orto de’semplici di Padoa), ma anche per il gusto estetico per il giardino
formale che sottintende anche nel fattore Agostinetti, sempre temperato dalla
ricerca dell’utile del padrone: descrive infatti il labirinto e la peschiera, senza
dimenticare l’acqua di rose che si può cavare da un «quadro fatto di rosari in
buovolo tondo». Ma è piuttosto il Riccordo LXXI, Dell’orto che voglio citare
perché rivela l’attenzione del fattore per l’integrazione economica fornita da
una coltivazione minore, praticata o riscoperta anche dai non contadini, fino
ad oggi: “Di quanto utile e commodo sia l’orto in villa… poiché da questo pretioso luoco proviene ogni commodo et ogni maggior utile e beneficio d’ogni famiglia. L’orto si conviene ad ogni grado di persone, dal supremo all’infimo, né
qui, Fattore, ti voglio attediare con il racconto di quanti prèncipi e monarchi del
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LUCIANO MORBIATO
mondo si siano compiacciuti di questo necessario e dilitioso recinto, com’ancora
di tanti prelati, religiosi e religiose e poi oltre tanti altri. Ogni habitante in villa
non ha il più pronto capitale di questo; a’ contadini poi questo li serve per beccaria e pescaria, et anco ogn’altro habitante in villa ben spesso fa far l’orto da
zane e da mezetin [breve nota esplicativa: “lo usa cioè per ogni necessità”; il
detto è registrato nel Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, 1856: “Far da
zane e da buratin: che vale Far tutto da sé in servigio altrui”]. E perché, stimo
che haverai un buon ortolano pratico e versato in questa sua necessaria foncione,
non voglio tediarti qui come fanno molti auttori, che ingombrano la terza parte
del suo volume nel discorrere della coltura della lattuga, aglio, ruccola e persemolo, ma solamente in raccordarti l’introduttione e coltivatione di tutti gli erbaggi et arbusti, co’ quali devi invigilare che il tuo ortolano habbi avvertenza di
tempo in tempo a far dovitioso il tuo orto… Che però desidero che l’ortolano,
oltre tutte le cose ordinate dell’orto, introduchi cinque sorti di frutti confacenti:
la prima sarà una qualificata persegara… seconda una fragolara, la qual la introdurà in vaneze nell’istessi fili della persegara… terza sarà una nobilissima
sparesara, fatta anch’essa in belissime vanezze… quarta una melonara e quinta
dell’uva grespina [“ribes”] (Agostinetti 1998).
3 - DAL SECOLO DEI LUMI ALL’OTTOCENTO
Nel corso del XVIII secolo, l’ultimo della Repubblica Serenissima, la crisi
politica ed economica, che culminerà con l’ingloriosa soppressione di Campoformido, convive con una notevole vitalità culturale, letteraria (basti pensare al teatro di Carlo Goldoni) e artistica (come testimonia la pittura dei
Tiepolo e dei Guardi).
La popolazione rurale veneta, nonostante l’apparente idillio dipinto da
Giandomenico Tiepolo nella vicentina villa Valmarana ai Nani, era tuttavia
in maggioranza miserabile, apatica e isolata, abbandonata a se stessa, se si
esclude il ruolo positivo svolto dal clero di campagna e dal suo più tipico esponente, il curato, «l’unico che sia veramente partecipe della vita del contadino»
(Berengo, 1956). La vitalità culturale ha un riflesso anche nella ricerca agraria
e nella relativa editoria, come documenta il Dizionario ragionato di libri
d’agricoltura, veterinaria, e di altri rami d’economia campestre, ad uso degli
amatori di cose agrarie e della gioventù di Filippo Re, pubblicato a Venezia
in quattro volumi (1808-1809), nel quale si trovano numerosi titoli di volumi
ed opuscoli scritti da ecclesiastici, in particolare dai parroci di campagna o
per i parroci, data la scarsa alfabetizzazione dei loro rustici parrocchiani. Ne
segnalo alcuni titoli, allargando al territorio italiano la verifica della diffusione
del fenomeno (e mi scuso per non aver aggiornato il mio campionario al Piemonte):
• Saggi di Agricoltura d’un Parroco Samminiatese, Firenze, 1755;
• Scottoni Gianfrancesco, Semi d’agricoltura italiana, Bassano, 1766;
• Scottoni Gianfrancesco, Dialoghi tra il Bue e l’Asino ed altri loro amici
sopra Materie interessanti e dilettevoli, Venezia 1769 («L’autore con questa
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nuova foggia di far dettare leggi d’agricoltura pratica dalla voce degli animali, à
voluto allettare. In mezzo a certe idee particolari e che tengono un poco allo spirito di sistema, bisogna convenire che questa operetta è vantaggiosa a leggersi
per le verità cui contiene. Esse ànno per argomento lo stato presente dell’agricoltura e dell’economia campestre»: il commento di Re, professore a Bologna,
sull’opera dell’abate, un irrequieto francescano, lascia trasparire qui e altrove
una certa diffidenza per l’estremismo dell’esposizione);
• Gagliardo Giambattista, Dell’Utilità della Cattedra di Agricoltura ne’
Seminari della Provincia Salentina, Orazione recitata nell’aprirsi della nuova
Cattedra d’Agricoltura nel Seminario di Taranto li 4 Novembre 1789;
• Agricoltura pratica, ossia Istruzione sulla coltivazione della terra, di cui
possonsi servire i Parrochi e Sacerdoti rurali per ammaestrare i loro popoli,
Parma, 1790;
• Comoli Giacomo (Canonico), Memoria sopra la necessità che i Ministri
del Santuario si occupino coll’istruire il basso Popolo nell’Agricoltura, Venezia, 1791;
• Crico Lorenzo (Abate), Egloghe rustiche, Treviso 1795 («Non so quanto
siano piaciuti i versi e le idee poetiche espresse in quest’Egloghe che trattano: 1
dei gelsi, 2 del baco da seta, 3 della canapa, 4 del sorgo turco, 5 del frumento, e
6 della vite»);
• Amico dei Contadini (anonimo), Dialoghi di un Piovano, Bassano, 1805.
In epoca post-napoleonica e già austriaca, l’abate Lorenzo Crico torna su
questi argomenti, abbandonando il modello virgiliano dell’egloga e ricorrendo
ad una serie di situazioni sceneggiate in forma dialogica che affrontano vari
aspetti della vita in campagna, con intento divulgativo e insieme moralizzante.
Mi riferisco ai fascicoli del Contadino istruito dal suo Parroco. Dialoghi (Venezia, Tipografia di Alvisopoli, 1817), nei quali il Piovano di Fossalunga alterna alle istruzioni tecniche (… Lavori vernali in campagna, Terre, Letami,
Gelsi, Viti, Prati, Ortaglie…) delle quasi-prediche (… Contentamento del proprio stato, Stalle e filatrici, Osterie villerecce, o bettole, Nozze rusticali…). La
messa in scena ha come sfondo le strade del paese, percorse dal parroco che
si ferma a chiacchierare con i parrocchiani al lavoro nei campi ai bordi, oppure
qualche fattoria immersa tra gli alberi e visitata apparentemente per caso: ogni
spunto è buono per introdurre le diverse lezioni di razionalità o moralità, che
animano un «campiello villereccio» (Demattè, 1990), nel quale emergono le
rimostranze delle donne che tentano di opporsi alla censura sul loro filò, ritenuto dal piovano antigienico e fonte di maldicenze, la descrizione di una
abbuffata in un pranzo di nozze, subito condannata dall’equilibrato pastore,
la remissività del giovane Carletto, lettore entusiasta dei Reali di Francia, cui
il piovano propone lo scambio con la lettura dei “fatti veri” contenuti nella
Bibbia.
Per quanto partecipe e sollecita, la voce di Crico è esterna alla cultura del
mondo contadino; la sua strategia mira anzi ad estirparla, in quanto arretrata,
per sostituirla con una più razionale e avanzata.
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LUCIANO MORBIATO
L’obiettivo della divulgazione accomuna numerose iniziative editoriali che
si succedono nel corso dell’Ottocento, come ha confermato una ricerca di
Piero Brunello (1996) sui preti agronomi attivi nel Veneto e in Friuli nel periodo austriaco. Per restare in territorio padovano, posso aggiungere la testimonianza dell’erudito Andrea Gloria sul parroco di Sant’Elena, don
Giambattista Tovena, che «ebbe il premio dalla Società d’Incoraggiamento per
eccitamenti ch’ei fece a quei villici per migliorare l’agricoltura» (Gloria, 1862).
L’impegno dei parroci non si fermò, ovviamente, dopo il referendum e
l’annessione del Veneto allo Stato unitario nel 1866, ma proseguì con positivistica determinazione: basti pensare a un Catechismo agricolo ad uso dei contadini (fig. 1) realizzato dal parroco di Salboro, don Giovanni Rizzo, e
stampato nella tipografia del Seminario di Padova nel 1869 (la stessa che il
secolo precedente aveva pubblicato l’edizione italiana dell’Encyclopédie!). Il
titolo non c’entra con l’istruzione nella dottrina cristiana, ma ne riprende la
struttura a domande e risposte su argomenti tecnico-pratici che spaziano dalla
natura dei terreni agli arnesi agricoli, dai rudimenti di botanica alle sementi,
dagli innesti alle varie coltivazioni, fino all’allevamento del baco da seta e all’ingrasso e alle malattie degli animali da cortile e da stalla. La semplicità dell’esposizione e il succedersi dei quesiti significano che il catechista si rivolge
direttamente, senza mediatori, ai suoi catecumeni; ne è una conferma l’avvertenza di mettere accanto al termine italiano, tra parentesi e in corsivo, quello
padovano (ess. aja, corte; vinacce, graspe; fuligine, calùzene; baco da seta, ca-
Fig. 1 - Frontespizio del volume del parroco di Salboro (Padova).
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valieri…). Un’appendice affronta i “pregiudizii dei contadini” dalle credenze
nei quarti di luna all’associazione tra benedizione e magia bianca, dall’uso di
“segnare” i malati all’esistenza delle strighe, del salvanello e della lumenia:
«Sono tutte invenzioni dei cattivi e dei birboni per ingannare gli ignoranti ed i
minchioni» risponde il parroco, concludendo che «l’ignoranza dei contadini,
sotto qualche aspetto, è compatibile, mentre quella dei signori è, sotto tutti gli
aspetti, vergognosa e colpevole» (Rizzo, 2003).
Tutta la IX Parte del Catechismo è dedicata all’orto e divisa in brevi capitoli, l’ultimo intitolato Delle talpe (topinare) e degli uccelli, «specialmente le
passere (seleghe), le rondinelle (sisille), i pipistrelli (barbastregi)», che nutrendosi di insetti sono di grande utilità all’orticoltore: «lasciamoli dunque vivere
– conclude don Rizzo – anzi mettiamoci tutti d’accordo per impedire che vengano distrutti, specialmente colle reti e coi lacci, modo quest’ultimo anche barbaro e crudele. Speriamo che il Governo a vantaggio dell’agricoltura stabilirà
delle leggi severe, almeno per alcuni anni, onde conservare gli uccelli, i quali,
torno a dire, sono i nostri veri amici» (Rizzo, 1869).
4 - LO SCARTAFACCIO
Il Catechismo presupponeva che i suoi destinatari fossero in grado di leggerlo, ma bisogna arrivare alla (relativamente) recente diffusione dell’alfabetizzazione per imbattersi nelle prime scritture composte direttamente da chi
conosce e lavora la terra, anche se in una lingua incerta, ingenua, bastarda: si
tratta di opere spesso anonime, di manoscritti difficilmente conservati, mai
pubblicati e per questo fortunosamente arrivati fino a un’epoca come la nostra
che li apprezza, per motivi tanto storici (di storia delle pratiche agricole) che
scientifici (un’illustrazione della lingua dei semicolti) o, perché no?, sentimentali.
Anche per questo si può ritenere eccezionale la scoperta di un trattato
sulle tecniche di coltivazione scritto da un contadino del territorio trevigiano
circa 200 anni fa: si tratta di un manoscritto che ho riscoperto quasi per caso,
che per anni ho studiato, fin quasi a diventare idealmente intimo del suo autore, e che infine ho pubblicato una dozzina di anni fa: Scartafaccio d’agricoltura. Manoscritto di un contadino di Oderzo (1805-1810) (1998).
Gli stessi difetti notati dal suo primo scopritore, il glottologo Emilio Teza,
alla fine dell’Ottocento – una lingua scritta con forti caratteri orali, dialettali,
uno stile incoerente tra l’oggettività e la soggettività, il trattato scientifico e il
libro devozionale – sono diventati per noi motivo d’interesse. Nel parlare delle
sue esperienze agricole l’anonimo autore introduce anche i campi che coltiva
e i fiumi, di cui ha paura, e la gente che frequenta, senza mai interrompere il
confronto con l’unica scrittura che conosca, quella sacra, e il colloquio quasi
ossessivo con la divinità.
Il manoscritto, ancora conservato nella Biblioteca dell’Orto Botanico di
Padova, è adespoto (senza nome d’autore) e anepigrafo (senza titolo; quello
di Appunti di Agricoltura… è stato aggiunto da mano più recente nel 1895,
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Fig. 2 - Copertina del volume dedicato allo Scartafaccio.
mentre scartafaccio è proprio la definizione che ne dà il suo autore): si tratta
di un volume in quarto, rilegato in cartone con due cordoncini in pelle ai quali
sono cuciti i fascicoli di fogli di carta vergellata, non filigranata; le pagine sono:
7 non numerate (le prime), 312 numerate in cifre cardinali, 18 in ordinali
(quelle della Tavola, cioè dell’indice finale), interamente manoscritte, con grafia unica, contenenti una ventina di disegni (occupano di solito 1/3 di pagina,
ma alcuni la metà o una pagina intera), oltre a numerose figurine ai margini
(la “manina” che richiama) o all’interno del testo.
Nelle prime pagine non numerate si legge una premessa sulla genesi dell’opera e una specie di captatio benevolentiae dell’autore, che si giustifica per
le imperfezioni formali; la parte iniziale consiste in un lungo collegamento di
tipo dottrinale tra l’agricoltura e l’opera della creazione divina, secondo il racconto biblico. Il trattato vero e proprio inizia con un capitolo dedicato alle
tecniche d’innesto; seguono le tecniche d’impianto in viticoltura e la parte dedicata alla Recoltura del frumento. Dopo una precisazione su corte e letamaio
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e alcuni paragrafi sulla potatura degli alberi (fig. 3), oltre la metà del manuale
è occupata dalle tecniche, dalle esperienze e dalle raccomandazioni in materia
di viticoltura. Il finale contiene alcune digressioni (numerose anche nelle altre
parti) e integrazioni, per arrivare alla conclusione nel nome di Dio, che già figurava in apertura, suggellando ciclicamente tutto il testo, inteso a lode del
creatore e aiuto del prossimo.
Fig. 3 - Riproduzione di una pagina del manoscritto (cap. 37). Trascrizione: figura: «una nogera /
pomaro salvatico / morer alla vecchia»; testo: «Quelo sarà albero salvatico da incalmare preparato
il suo bisognio: n° 1 il segeto, 2 il martelo, 3 la cortelaza, 4 le sede o oncalmele, 5 il cunegheto, 6
il temparino, 7 la cestela da tenere il bisognio, 8 li vencheti da ligare. Avertenza a cernir li tronchi
driti cenza gropi; dove si deve sfendere si li sega o ragarli nel milgior sitto cenza gropi dove si
sfende per meter le sede, come quel tronco dela cestela sono incalmato e liggato, e l’altro a presso
preparato sfeso o sia sbregato da mettere due...». Si tratta di un campione significativo della lingua
del manoscritto, oscillante tra dialetto veneto e italiano, ma godibile anche senza traduzione.
L’autore degli ammonimenti, uomo senza studi, confuso e ripetitivo, era e
rimane anonimo: il suo scopritore (Teza, 1895) volle battezzarlo, «per brevità,
e con parola corta», Maso, né io sono riuscito a sostituire questo pseudonimo
con quello reale che doveva comparire nei libri dei battesimi e dei funerali
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della parrocchiale di Oderzo (distrutti durante i bombardamenti della guerra
1915-18). A partire da quanto egli racconta nel manoscritto, si può delinearne
un ritratto nell’ambiente cui apparteneva: nato tra il 1742 e il 1744, è un piccolo proprietario coltivatore di un podere acquistato dal nonno, è frequentatore assiduo di preti, stimato come parrocchiano e cittadino, patriarca di una
comunità rurale, la podesteria di Oderzo, che aveva meno di 4.000 abitanti
nel 1795, e nella quale il 40 % del terreno coltivabile era di proprietà nobiliare
e il 50 % non nobiliare. I poderi sono attraversati da piccoli corsi d’acqua, il
Monticano e il Piavon, che spiegano la natura dei suoli (giaroso, carantino, sabionisso…), più lontani sono Livenza e Piave: tutti responsabili di inondazioni
descritte nelle cronache del tempo; chiudono il paesaggio le colline di Conegliano.
I pochi personaggi individuati dal nome e dalla qualifica forniscono alcuni
elementi della scena campestre immobile attorno a Maso (che afferma di non
essersi mai mosso da Oderzo); sono: - un fattore dei nobili Ottoboni (avrà
letto i Cento e dieci ricordi di Agostinetti?), con il quale discute di innovazioni
ed esperimenti agricoli, - la sig.ra Giacomina Fabris da Mansuè, una piccola
proprietaria, forse vedova, che segue i suoi consigli sul risparmio della semente; - Leon Batiston, un altro seminatore, - l’oste Scarelo, della vicina podesteria di Motta; - un ebreo, forse di Portobuffolè, interrogato come un
sapiente, che risponde per enigmi da interpretare. Su tutti spicca un ecclesiastico, padre Enrico Albini, un quaresimalista padovano che invita il nostro
Maso a cimentarsi con la scrittura, assicurandogli che la emendarà, ma che
evidentemente non mantenne la promessa.
Fin dall’inizio l’autore del manoscritto dichiara la sua incompetenza a trattare l’argomento («per aver qualche prencipio di idea bisognarebbe aver praticato libri stati stituiti da sapienti, ed altri libri di virtù e aver al meno un
principio di studio»), ma una volta avviato nell’esposizione e fatte salve le deviazioni o innalzamenti alla materia sacra, scompare la titubanza dell’homo
sine litteris e si manifesta l’orgoglio dell’homo faber. Il nostro contadino
espone più o meno sistematicamente le tecniche agricole con un’enfasi portata
sulla personale sperimentazione e affidata alla ripetizione di parole-guida:
aviso, avertenza; atenzione; cognizione; diligenza; dimostrare; sperienza; esempio; inparare; inventare; stituire; opinione; oservanza; penetrare; prova, approvare; regola; scandagi; vigilanza; zarvelar, zarvelamento (sintesi, quest’ultima,
della fatica intellettuale, nel senso di “ricerca applicata” più che di pensiero
astratto).
Il tempo atmosferico e le sue stranezze, come le gelate precoci o le eclissi,
convivono con il tempo sacro, della salvezza e dell’eternità, mentre la vera assente in queste pagine è la storia, quantunque l’inizio del secolo avesse conosciuto l’irruzione e gli sconvolgimenti di eserciti tra Veneto e Friuli, come
testimoniano le cronache di Paolo Basso, un artigiano di Asolo, e il giornale
dell’arciprete de Gobbis, che registra, oltre i passaggi di selvaggina e pennuti,
dapprima le voci venute di Francia, poi la fine della Repubblica, le avanzate
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e le ritirate degli eserciti francese e austriaco, il passaggio di razziatori, l’occupazione dei borghi, i massacri sui campi di battaglia (nella battaglia di Cimadolmo ci furono migliaia di morti dalle due parti). Tutto questo può
distruggere i raccolti ma non li influenza: che cosa sono le parole degli uomini
se non un rumore di fondo che si propaga fino a coprire la verità, come la
mala pianta che impedisce alla semente di crescere?
“O recoltori, badate la campagna: quala è l’erba più grande e quala vide fa
più ombra? Quella di cattiva sorte e senza fruti; simili è li affocati parlamenti
del mondo, quali sono a dano de l’anima e offesa a Dio” (cap. 92) (Scartafaccio,
1998).
Tra l’inizio e la fine dello scritto, il confronto ininterrotto è con il testo
sacro, che rimane l’unico modello, pur se inarrivabile, come risulta da due
prelievi all’inizio e alla fine:
“Iddio creò il cielo, la terra la acqua l’aria il giorno, la notte e tutto quello
che contiene in questo mondo in sei giorni, ed il setimo giorno lo consagrò al
suo culto” (cap. 1).
“Vedo il sangue di Abel ha indurito la terra e l’uomo con fatica a coltivarla
e lavorarla, e con la grassa ridurla leggiera e feconda da frutti. Il peccato ha ridotto pesante e dura l’anima nostra e Gesù Cristo è venuto al mondo per intenerire le anime indurite dai peccati” (cap. 196) (Scartafaccio, 1998).
Per Maso la recoltura della terra è paragonabile a quella dell’anima, che è
recoltura viva di contro all’altra morta, ma giunto alla fine egli ribadisce la sua
intenzione, «in virtù e utile alla agricoltura tanto viva che morta» (cap. 195), e
per questo non gli pare blasfemo mettere sullo stesso piano metaforico
l’azione della grassa, del letame, sul terreno da coltivare e quella della grazia,
della redenzione operata da Cristo.
Le presenze dal Nuovo Testamento (la Maddalena e Lazzaro e i Farisei,
né poteva mancare un riferimento al figaro improverato e uno al tributo a Cesare) sono minoritarie rispetto a quelle del Vecchio, forse per il maggior impatto delle storie e dei personaggi di questo, dalla creazione ad Adamo,
capostipite dell’umanità («Dio creò l’uomo di una crea o sia terra rossa e suo
nome Adamo … significa rosso»: la stessa etimologia era in un Dizionario sacro
pubblicato a Venezia nel 1773) e responsabile della prima colpa, per la quale
le creature continuano a vendicarsi. A questo proposito, Maso delinea, in due
brevi capitoli, poco distanti e con minime varianti, un’immagine della natura
come un campo di battaglia nel quale gli altri esseri viventi, in un tragico contrappasso, straziano l’uomo per la colpa di Adamo:
“Tutti gli animali di ogni sorte, grandi e piccoli, bene che sia dannosi al genere umano, sarà sempre proibito al uomo a maledirli; non si può maledire
niente, perché dette bestie ne risentono ancora la maledizione che iddio diede
al serpente tra tutti gli animali, bestie della terra; dunque ogni sorte di bestie,
benché nocente erano, ha resentito con gran tremore in se stesse, con timore le
fugivano, come fece Adamo, a nascondersi. Parliamo di certe bestie, bissi, insetti,
che ha fugito parte sotto terra, parte nei alberi, parte per aria e nele acque, e
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tutti odiano l’uomo a cagione del peccato; non solo quelli che portano danno
nelle campagne e nei seminati, vengano penetrato che tutte le bestie temono e
odia l’uomo, e tutti li inseti, ancora, sempre in mille ed altre mille sorti di dani
al genere umano: come una guerra contro il peccato” (cap. 82).
“Per dar fine al male che soffrir doviamo da questa terra, ma non da essa che
è madre ubidiente, ma dalli insetti e bestie, oh quante sopra li seminati e nella tenera buttada della vide nella uva e la disolazione nei alberi da dette ruse e nei
fiori, più bestie immonde e velenose e bestie fiere e feroce. E il tutto odia l’uomo
a motivo di quel male, a motivo di quel pomo, e questo è il peccato, e per questo
peccato siamo odiati dalle sudette bestie, che quando vede l’uomo, le velenose, se
potesse invelenarlo, lo farìa; così le altre tutte, con ansietà, se potesse distruggere
il genere umano, lo farìa. Vedete a che condizione si trova l’uomo, a una continua
guerra nella anima a motivo del peccato” (cap. 93) (Scartafaccio, 1998).
Questi terribili ed edificanti frammenti, di grande efficacia e suggestione,
sono stati scritti da un contadino che credeva nell’unità e interdipendenza
della natura, fino al punto di descrivere il paesaggio apocalittico di una caccia
selvaggia. Se gli animali dannosi all’agricoltura non possono essere maledetti,
perché ci ricordano che il male è entrato nel mondo a causa del peccato, né
le piante inutili distrutte, «perché deve essere di tutte le cose da lui create» (cap.
128), una grande catena lega tutti gli esseri, dagli insetti agli uccelli che se ne
cibano e notriscono con le loro carni gli uomini. Il messaggio del teologo e filosofo naturale può essere tradotto, al di là del suo faticoso e primitivo linguaggio, nella sintesi che intellettualmente conosciamo, ma che ancora non
riusciamo a rendere efficiente: l’uomo non è il padrone della natura ma il suo
guardiano.
Compare tra i giusti dell’Antico Testamento il «buon Giop», cioè il virtuoso
Giobbe, e tra i profeti Mosè in diversi episodi; dapprima in un concitatissimo
botta-e-risposta col suo Signore:
“Dice Iddio a Moisè: chi ha fatto la bocca all’uomo e chi ha fabbricato il muto
e il sordo, quello che vede e il cieco? altri che io! Dice iddio a Moisè: vattene,
che io ti darò per compagno Aaron, tuo fratello, uomo eloquente” (cap. 195).
Degli incontri del legislatore con la divinità è richiamata la caratteristica
del loro svolgersi all’alba, la bonora, per trasferirla alla materia agricola come
un sigillo divino:
“Fra tutti gli scandagi e oservazioni, il miglior utile ho ritrovato la semina
bonoriva, simile quando iddio dicea ha Moisè che andasse bonora al fiume per
ritrovar il re faraone: questa bonora la vedo buona in maggiore importanza. La
vedo come la pontualità di Noè, la ubidienza delli niniviti, la prontezza degli
apostoli, il penetrar della samaritana, la umiltà di Madalena: così altri tanti santi
che sono compiaciuti e desiderosi del regno dei cieli” (cap. 86).
Sono le stesse raccomandazioni che il piemontese Jacopo A. Albertazzi
scriveva nel suo Padre di famiglia in casa e in campagna (Vercelli 1790), ammonendo che «a’ genitori sonnacchiosi vengono dietro i figli torpidi e buoni a
niente». Non sarà d’altronde una mera coincidenza se, come osservava Italo
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DI UN CONTADINO VENETO TRA XVIII E XIX SECOLO
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Calvino (1996), anche «il mondo delle fiabe è un mondo mattiniero», dove eroi
contadini, per conquistare una reginotta o una principessa, affrontano l’equivalente di imprese cavalleresche consistenti nell’aratura di un terreno tra l’alba
e il tramonto: la funzione sociale del racconto popolare può nascondersi nell’alleanza tra meraviglioso e quotidiano, dove cogliere il tempo giusto è una
delle condizioni per piegare la sorte in proprio favore.
La trattazione della vite, dell’uva e del vino, dall’impianto alla potatura,
dalla vendemmia alla vinificazione, occupa oltre la metà dello Scartafaccio,
quasi una monografia dedicata alle esperienze dell’estensore, con una ricca
terminologia, in parte ancora rintracciabile, in parte scomparsa, a partire dai
nomi di alcuni vitigni. Anche i tempi della vendemmia vengono codificati, ritardandoli per arrivare a una perfetta maturazione dell’uva, mentre alla pigiatura e ai tini e bottazzi sono dedicate tavole a piena pagina.
Il paesaggio di Maso, quello che egli percepisce ma, soprattutto, che ha
contribuito a formare, conserva molti aspetti già ricordati da Virgilio nelle
Georgiche, a partire dalla convenienza di ulmis adiungere vites (“legare agli
olmi le viti”), una caratteristica della piantata padana notata e descritta dai
viaggiatori tra XVI e XIX secolo, dal francese Montaigne al tedesco Goethe,
all’americano Howells. Non contento di scrivere del sostegno vivo e della tecnica dell’innesto a spacco o ad occhio (Virgilio, Georgiche, II), il contadino
di Oderzo raffigura con precisione, anche se con ingenuità, questa unione nei
suoi schizzi e li commenta con similitudini prese dalla vita quotidiana, ma sul
modello delle parabole evangeliche:
“Quando le radici dell’incalmo anderano nel tereno magro, patirà come fano
li vitteli che viene levato il suo solito latte; intanto se le difende con un paletto
e rame, a ciò che la sua butada abia a pigliarsi con le sue dette mani che si brancano. Non ha veduta ma ha sentimento, o cio una sua natura umana, cio simile
a un uomo orbo: non pigliarà mai il pane quando che ghe lo sporgi, se non gli
tocchi la mano; così la detta vide si branca alle rame, quando che tocca, si intorcola, e quelli che non può toccare li vedarete dritti simili, vorrà dire bene inramate … La dona va al marito per due ragione, la vide è simile: si conoce essere
debole a teso li loro fruti; dunque bene sustentata per il peso e fornita di rami a
ciò sia sostentato li suoi cai per l’ano dietro… altri dice torcoli, perché vedono
che si intorcola alle rame; altri dice suoi brazeti, altri dicono sue mani, perché si
tiene forte, capazzi a tenere il pesante uomo” (cap. 56).
Nel brano citato, lo sguardo di questo contadino è quasi microscopico,
attento ai particolari minuti, mentre altrove la visione, con la conseguente descrizione, è insieme micro- e telescopica, perché l’interesse ai fenomeni fisiconaturali è piegato a una superiore visione allegorica e moralizzante:
“Negli insetti, fra tutti entra ancora questo monegon: questo viene alla luce
da quel bisso che vive e si conserva nelle acque, tanto correnti che stagne, vivono
nelle medeme acque. Questo insetto vive di mussolini invisibili che svolano e
non portano alcun danno, ma serve di nutrimento alli uccelli di nido, che li loro
padri e madri li pigliano e glili portano a suoi figli di nido, perché li uccelli, che
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sono pesanti, non possono raccogliere quelli invisibili mussolini, sarebbe più fatica e poca vivanda; così questi monegoni vivono con quelli mussolini ed essi
vengono pigliati e serve di notrimento alli uccelli, e li uccelli notriscono li uomini. Gran sapienza divina, tutto al amato suo uomo, e l’uomo sarà forse tardo
a riconoscere il suo creator e redentor divino?” (cap. 200) (Scartafaccio, 1998).
Qui il «filosofo da sacrestia» (Teza, 1895) scopre la catena biologica, dal
moscerino (mussolino) all’uomo, dove ognuno occupa una precisa posizione
alla quale corrisponde una funzione nel ciclo della vita. Pur non descrivendo
sistematicamente la terra, come cominciano a fare gli scienziati (naturalisti e
viaggiatori) tra Sette- e Ottocento, Maso racconta il suo rapporto con quella
che coltiva da decenni con lo spirito di un ecologo, ben prima che il termine
venga coniato, anche se la sua è un’ecologia religiosa, rispondente al disegno
di un creatore e finalizzata alla salvezza dell’uomo, senza alcun interesse per
gli altri esseri viventi, che non sono dei comprimari ma delle comparse scritturate e inconsapevoli.
5 - DOPO LO SCARTAFACCIO
La lezione di Maso, almeno quella scritta, fu inefficace, perché il manoscritto scomparve, né sappiamo quanto sia migliorata la pratica dell’agricoltura padovana grazie alla lettura del Catechismo del parroco di Salboro da
parte dei suoi parrocchiani e di altri contadini, anche perché le novità hanno
sempre faticato ad attecchire in un ambiente tradizionale: ne abbiamo una
conferma indiretta nell’autobiografia in dialetto, scritta da un altro prete padovano, il parroco di Villaguattera, contemporaneo di don Rizzo, che trattava
ancora i parrocchiani da bestie e da ladri, come se la “satira del villano” non
si fosse mai interrotta.
Lo Scartafaccio di Maso rappresenta una testimonianza di tipo archeologico di implicita partecipazione e coinvolgimento diretto, mentre Andrea Zanzotto ne ha allestita recentemente un’altra, con la rabdomanzia propria dei
poeti, nei confronti dell’amico Nino Mura (Colloqui con Nino, 2005). Quarant’anni dopo i versi della Beltà (come quelli che figurano in exergo), il poeta
della selva del Montello e dei Palù del Piave è tornato sul contadino e duca di
Rolle, dedicandogli un vero e proprio monumento, costituito anche dai frammenti di una filosofia naturale che non sono lontani da quella di Maso, nonostante i 200 anni che li separano (ma lo spazio lineare tra Oderzo e Pieve di
Soligo è minimo). Ne leggo alcuni per verifica della loro vicinanza, anche nello
stile dell’esposizione :
“Come era che i coltivava la terra una volta? La terra veniva arata discretamente con vacchette da latte sul peso di 15/16 quintali o se c’era un paio di buoi
ecc… Allora non si costumava de meterghe alla terra i veleni, i tossici, i disinfettanti, tutte queste cose, perché non si sapeva; allora c’era un raccolto molto
ridotto del frumento, ma anche del granoturco, perché se faseva, nel 1910, in
media 6/7 quintali per campo. Non era altro che la me fameia che i féa anca
10/12 quintài, parché noialtri se podéa butarghe grassa, sali potassici” (p. 67).
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Fig. 4 - Copertina del volume dedicato da Andrea Zanzotto all’amico Nino, contadino e filosofo,
nella tradizione dell’autore dello Scartafaccio.
“Quello che è stato può benissimo ritornare, sia in bene sia in male. Però
noialtri abbiamo avuto un’evoluzione dei tempi, un’evoluzione di ordine, anche
di lavoro, anche di risparmi, anche di sprechi, perché adesso il denaro non val
più niente. Quello che è stato, torna, se non è dentro il 2000, tornerà dopo il
2000. Perché tutte le cose l’à il suo ciclo; noialtri avemo il nostro ciclo, tutte le
cose, sa, nello sfascio di tutto il mondo intero sono sempre a rotazione. Tutte
quante le cose à un principio e una fine, però quello che è stà, torna. Perché a
volte si dice: «guarda che tempeston, porta via tutto, guarda che alluvion, porta
via tutto, guarda che terremoto sussultorio ecc. ecc.» Ma poi vien l’assestamento, si ritorna al medesimo, quanto prima, adagio, adagio. C’è il pro e il contro, non c’è mai una sola cosa.”
“Dunque, la vite quando che à una mezza maturazione o anca più avanti
può venire la grandine, può venire ‘l vento che la sbatte e la perde la lagrima, se
dice, però se prende il freddo, solo anche ‘na mattina, e un grado, un grado e
mezzo, quell’ua se deve vendemiarla subito; se al la assa su anca diese, quindese,
venti giorni, al so vino no l’è pì bòn de béverlo perché si è gelato. Quando che
la vite, l’uva, i ran de ‘uva e le foglie che i respira come noialtri, se atrofizzano,
cosa ne succede? Che la vite non dà più forza alle foglie e all’uva de végner più
matura perché alle forze vien come ‘na mezza paralise; se al lo lassa là deventa
tuto aceto e no l’è pì bòn gnanca de beverlo.
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LUCIANO MORBIATO
Vien la nostra vita milioni e milioni de anni, dunque miliardi de anni fa…
Noialtri semo venuti dal nulla e tutte le cose prima de noaltri, di generazione in
generazione; e in realtà la tera co tuta la so difesa e il mare co la so bellezza xé per
volontà di Dio, l’à creà lù, mi no posso spiegarve il motivo, il motivo è questo: che
quando che nasse uno lu gà dito: volatri dové laorar, patir ecc. Dové tenerve ale
opere buone, amarve, rispettarve, far al possibile de poderve jutar un co l’altro ecc.
e no far del mal a nessun e fare elemosina, se avete di più date a chi ne à meno. El
Signor l’à insegnà, che quando un vien vecio come mi, se no l’à imparà proprio
gnente, che al impara almeno a salvarse l’anima, vero?” (Zanzotto, 2005).
È la stessa «recoltura viva» praticata istintivamente tra le spine del suo podere da Maso, nella veste di Socrate rustico, e teorizzata, anzi predicata, tra i
fogli scritti e disegnati del suo stentato quaderno.
BIBLIOGRAFIA
AGOSTINETTI G - 1998 - Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa (1679), a cura di
U. Bernardi e E. Dematté. Neri Pozza Editore, Vicenza, I., pp. 451.
BERENGO M. - 1956 - La società veneta alla fine del ‘700. Sansoni, Firenze, I, pp. 311.
BRUNELLO P. - 1996 - Acquasanta e verderame. Parroci agronomi in Veneto e in Friuli nel periodo
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Colloqui con Nino - 2005 - a cura di A. Zanzotto. Grafiche Bernardi, Pieve di Soligo, TV, I, pp. 147.
CRICO L. - 1817-1818 - Il contadino istruito dal suo parroco. Dialoghi: Economia domestica; Economia rustica. Tipografia di Alvisopoli, Venezia, I, 2 voll., pp. 202, 186.
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343, 198.
MILANI M. - 1997 - Antiche rime venete. Esedra editrice, Padova, I, pp. 650.
RE F. - 1808-1809 - Dizionario ragionato di libri d’agricoltura, veterinaria, e di altri rami d’economia
campestre, ad uso degli amatori di cose agrarie e della gioventù, Stamperia Vivarelli, Venezia, I, 4
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RIZZO G. - 1869 - Catechismo agricolo ad uso dei contadini. Tipografia del Seminario, Padova, I,
pp. 184.
Scartafaccio d’agricoltura. Manoscritto di un contadino di Spinè di Oderzo (1805-1810)- 1998 - a
cura di L. Morbiato. Neri Pozza Editore, Vicenza, I, pp. 199.
TARELLO C. - 1975 - Ricordo d’agricoltura (1567), a cura di M. Berengo. Einaudi, Torino, I, pp. 144.
TEZA E. - 1895 - Appunti di agricoltura scritti da un contadino. Atti e Memorie della Regia Accademia di Padova, 11, 45-52.
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LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA:
DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI
MEMORIA DELL’ACCADEMICO CORRISPONDENTE
FEDERICO SPANNA*
presentata all’Adunanza extra mœnia del 20 maggio 2011
presso la sede di Asti dell’Università di Torino
RIASSUNTO:
La scienza agrometeorologica ha sviluppato, nel corso degli anni, una serie di conoscenze e
di strumenti che oggi possono essere impiegati per allestire servizi operativi destinati agli
operatori agricoli, al fine di applicare le migliori tecniche di coltivazione nel rispetto dell’ambiente e della salute dei consumatori. I recenti orientamenti normativi riferiti alla difesa fitosanitaria ed alle tecniche agronomiche sottolineano l’importanza della predisposizione e
dell’impiego dei supporti agrometeorologici. Per perseguire questi obiettivi l’agrometeorologia utilizza strumenti modellistici diagnostici o previsionali, con lo scopo di pervenire alla
simulazione dei processi riferiti sia a “sistemi” semplici sia a “sistemi” complessi, costituenti
nel loro insieme l’agroecosistema. Molti supporti modellistici sono già stati tradotti in strumenti operativi ed in servizi destinati a diverse tipologie di utenti operanti in agricoltura a
vario titolo ed a scale territoriali diverse.
SUMMARY: The Agrometeorological science: from research to operational services
Agrometeorological science has developed a wide range of supports and tools that can be
used to set up operational services for the farmers in order to apply the best techniques of
cultivation. Recent European and Italian regulations, related, in particular, to plant protection
and to agronomy, underline the importance of the development and use of agrometeorological supports. To achieve these objectives, the agricultural meteorology uses diagnostic
or predictive modelling tools, in order to simulate the processes related to simple “systems”
or complex “systems” that constitute the agroecosystem. Many models have already been
employed to set up operational tools and services for different categories of users involved
in agriculture.
1 - INTRODUZIONE
“La moderna agrometeorologia si presenta come una serie di strumenti
di analisi e previsione che facendo ricorso all’uso combinato di conoscenze
di tipo meteorologico, climatologico, biologico, fisiologico, agronomico, informatico e modellistico, rappresentano utili supporti per una miglior gestione
delle attività agricole”. Questa è una delle definizioni attualmente più accre-
*E-mail: [email protected]
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FEDERICO SPANNA
ditate per sintetizzare gli ambiti di applicazione e gli scopi che la scienza agrometeorologica si pone, al fine di fornire il proprio contributo nel contesto
agricolo attuale.
Tale ruolo ha assunto importanza via via crescente nel corso degli anni sviluppando - attraverso il progredire delle ricerche - conoscenze e supporti operativi che hanno mostrato potenzialità sempre maggiori in linea con gli
indirizzi attuali delle tecniche di produzione agricola.
In particolare la recente Direttiva Europea 2009/128/CE (del 21 ottobre
2009) sull’uso sostenibile dei pesticidi, all’articolo 14 - Allegato III, ha dettato
i principi per l’applicazione delle tecniche di difesa integrata delle colture.
Tra le tante misure trattate sono anche comprese azioni destinate a:
- assicurare il monitoraggio e la diffusione dei dati climatici;
- costituire sistemi e reti per il monitoraggio delle patologie e delle infestazioni;
- provvedere all’elaborazione dei dati climatici, delle infestazioni e delle
patologie ed alla diffusione delle informazioni;
- predisporre servizi di previsione e allerta (anche con supporti modellistici);
- assicurare servizi di coordinamento di assistenza tecnica alle aziende per
la difesa integrata delle colture e per l’agricoltura biologica;
- predisporre il sistema di controllo dell’applicazione dei princìpi di difesa
integrata;
- prevedere l’informatizzazione del registro dei trattamenti.
La Direttiva, inoltre, impone la qualificazione del sistema agricolo nazionale attraverso l’introduzione di soluzioni sostenibili validate scientificamente.
In questo contesto essa fa quindi riferimento alla necessità di sviluppare
azioni di ricerca relative ai sistemi di monitoraggio dei parassiti, agli studi di
distribuzione spaziale, alla messa a punto di modelli previsionali ed alla realizzazione e/o ottimizzazione di sistemi di previsione e avvertimento.
Analogamente a quanto già espresso riguardo alla razionalizzazione delle
pratiche di difesa fitosanitaria, a livello nazionale è in corso un’altra iniziativa,
gestita a livello ministeriale dal Gruppo Tecniche Agronomiche, volta alla definizione delle Linee Guida per le pratiche agronomiche della produzione integrata.
In tale contesto, tra le priorità, emergono la razionalizzazione dell’impiego
delle risorse idriche e l’impiego di tutti gli strumenti per la corretta applicazione delle tecniche agronomiche; tra tali strumenti rientra anche la messa a
punto e l’impiego di Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS) e della modellistica agroecosistemica che le attività di ricerca e sperimentazione stanno
via via realizzando.
È evidente quindi che la predisposizione e l’organizzazione di servizi che
facciano anche uso di modelli di simulazione risultano sempre più importanti
per l’assistenza tecnica e per l’applicazione di metodologie di coltivazione
eco-sostenibili.
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LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA:
DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI
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2 - IL RUOLO DELL’AGROMETEOROLOGIA
È facile comprendere come questa scienza si presenti come disciplina trasversale a molte altre d’interesse agrario ma non solo. L’agrometeorologo, per
sua natura, deve lavorare a strettissimo contatto con altri esperti di materie
affini e complementari. Sono già stati citati i campi della difesa fitosanitaria e
delle tecniche agronomiche, ma esistono numerosissime ricerche ed applicazioni in campo fisico e biofisico, climatologico, fenologico, ecofisiologico,
come pure zootecnico ed energetico. Per il primo aspetto si pensi, ad esempio,
all’importanza di disporre di previsioni meteorologiche testuali o numeriche
o di poter quantificare i processi di scambio tra suolo, pianta ed atmosfera,
di grande utilità nella difesa da avversità abiotiche (gelate, siccità, ondate di
calore), nella stima della crescita e della produttività dei vegetali, in relazione
con la qualità del prodotto, e nell’interazione tra fattori climatici e complesso
biotico.
Analogamente, grande importanza riveste la misura o la stima di grandezze
meteorologiche destinate a costituire banche dati e serie storiche utilizzabili
dal punto di vista climatologico, da legare alle caratteristiche del territorio sia
in termini di tempo che di spazio. Sono assai note ad oggi le applicazioni di
questi dati per lo studio delle oscillazioni climatiche, per la simulazione delle
tendenze nel medio periodo e per lo studio di tecniche destinate a mitigarne
gli effetti o per adattare l’agricoltura ad esse. Sono solo alcuni esempi applicativi che certo non esauriscono l’ampia gamma di applicazioni alle quali
l’agrometeorologia può e deve fornire il proprio contributo.
La ricerca produce contributi di metodo, nuove conoscenze relative a strumenti o processi che devono poi essere tradotti in servizi operativi o contributi
concreti.
3 - LA MODELLISTICA AGROMETEOROLOGICA
Donatelli (1995) afferma che uno degli strumenti a disposizione dell’agrometeorologia per il perseguimento degli obiettivi citati è costituito dall’Analisi
dei Sistemi. Leffelaar (Leffelaar et al.,1989) definisce un sistema come una
parte della realtà che contiene elementi interrelati. Thornley (Thornley et al.,
1990) afferma che i sistemi biologici sono sistemi gerarchici caratterizzati da
numerosi livelli di organizzazione.
L’approccio definito “Analisi dei sistemi” consiste nello studio di un sistema ad un tempo determinato oppure nello studio del comportamento del
sistema stesso nel tempo in risposta a perturbazioni che tendano ad alterare
l’equilibrio a cui tende. Svolgere l’analisi di un sistema vuol dire ricorrere a
tecniche di modellizzazione matematiche. Un modello matematico è un insieme di relazioni che tentano di descrivere formalmente e simulare il comportamento di un sistema.
La simulazione è stata definita da Banks (Banks et al., 1984) come l’imitazione di un processo o sistema reale nel tempo. Il processo di simulazione
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FEDERICO SPANNA
rappresenta l’uso del modello e la successiva elaborazione dei risultati per determinarne la bontà della stima. I dati prodotti dal modello matematico possono venire comparati con dati sperimentali rilevati nel sistema reale per
verificare la bontà della previsione del modello.
I modelli possono essere classificati in molti modi. Una delle distinzioni
più utilizzate li suddivide in empirici e meccanicistici. I primi costituiscono
delle descrizioni dirette dei dati osservati e sono in genere definiti stimando i
parametri di una regressione semplice o multipla. Questo modelli dimostrano
l’esistenza di relazioni tra le variabili selezionate ma senza spiegarne la natura.
Essi non permettono alcuna previsione e non aggiungono nulla alla conoscenza del funzionamento del sistema.
I modelli meccanicistici invece tentano di trovare le relazioni tra gli elementi del sistema fornendo spiegazioni dei singoli passaggi che portano al fenomeno studiato. Questi modelli per la loro natura quindi si presentano
potenzialmente molto più robusti e trasferibili nel tempo e nello spazio rispetto ai primi.
Un secondo criterio di classificazione definisce i modelli di tipo diagnostico o previsionale a seconda che la simulazione si fermi al tempo in cui il
modello viene applicato, o che preveda invece l’andamento di un processo
nel futuro.
Analogamente si parla di modelli di tipo statico o dinamico: nel primo
caso tra le variabili in gioco non viene considerato il tempo che invece è componente fondamentale dei secondi.
Molto importante è inoltre la distinzione tra modelli deterministici e stocastici; nel primo caso la simulazione restituisce un risultato previsionale numerico senza però fornire l’indicazione della sua distribuzione probabilistica.
I modelli stocastici invece riportano risultati che tengono conto della distribuzione di probabilità del fenomeno ed inoltre possiedono procedure di calcolo in grado di aggiungere una componente casuale nel caratterizzare una o
più variabili.
I modelli principalmente utilizzati in agricoltura sono generalmente di tipo
dinamico e deterministico. È inoltre evidente la tendenza al progressivo passaggio dall’approccio empirico a quello meccanicistico.
I campi di applicazione della modellistica agrometeorologica sono svariati
come pure gli strumenti che da essi derivano e consentono sempre di più di
tradurre in servizi per l’utenza i risultati della ricerca.
Tra le più importanti applicazioni dei modelli agrometeorologici si ricordano quelle nei campi della meteorologia, climatologia, della difesa da avversità biotiche od abiotiche, della gestione agronomica delle coltivazioni, della
fenologia e dell’ecofisiologia vegetale in relazione alla qualità e quantità del
prodotto, della micrometeorologia. Ulteriori applicazioni interessano anche
la fisiologia animale, la produzione di energie, lo sviluppo di specie spontanee
e forestali. Di seguito si fornisce un sintetico approfondimento dei singoli ambiti.
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3.1 - Modelli meteorologici previsionali
Sono alla base delle cosiddette previsioni del tempo. Il loro impiego e la
loro utilità per l’agricoltura è indubbia. La possibilità di prevedere il tempo
che farà nei giorni a seguire dà modo di programmare gli interventi colturali.
Uno dei supporti che si stanno affacciando in questi anni, da quando cioè i
modelli meteorologici che operano a scala locale hanno acquisito maggiore
risoluzione territoriale, è la possibilità di dedurre previsioni di tipo numerico
relative alle principali variabili meteorologiche. Un’informazione numerica
affidabile consente l’inserimento di tali numeri in molte categorie di modelli
trattate successivamente. In particolare si fa riferimento a quelli legati alla difesa da avversità biotiche ed abiotiche, a quelli agronomici ed ecofisiologici.
Si tratta quindi di rendere previsionali i modelli oggi diagnostici.
3.2 - Modelli climatici o legati alle variabili meteorologiche
In questo caso sono stati proposti numerosi algoritmi per la stima di grandezze meteorologiche non misurate o non facilmente misurabili, partendo da
altre grandezze misurate. È il caso ad esempio della stima della radiazione solare (fig. 1) o della bagnatura fogliare o dell’evapotraspirazione o della temperatura del terreno o dei campi di vento. Questi sono solo alcuni esempi ma
la bibliografia ne propone molti, estremamente utili per i servizi agrometeorologici sia come dati intermedi per poter eseguire ulteriori applicazioni modellistiche sia come dati diretti difficilmente rilevabili altrimenti se non con
costi strumentali molto elevati.
In questo contesto inoltre possono rientrare anche i modelli legati alle evoluzioni climatiche in atto, preziosi in fase di analisi delle attuali oscillazioni
climatiche e di formulazione di scenari futuri.
Fig. 1 - Esempio di relazione osservato vs stimato del Modello “CAMPBELL-DONATELLI” per la stima
della radiazione solare.
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3.3 - Modelli per la difesa da avversità abiotiche e biotiche
Sono tra quelli più sviluppati ed applicati. Molti enti e strutture operanti
a livello territoriale hanno già tradotto i risultati delle sperimentazioni in servizi destinati agli operatori agricoli proponendo i risultati di tali modelli a livello operativo sotto diverse forme.
Nel caso delle avversità abiotiche i modelli di previsione delle gelate, o
della siccità, o delle ondate di calore, sono tra quelli maggiormente diffusi ed
applicati, mentre a livello di avversità biotiche sono numerosi gli esempi dei
modelli riferiti ai più importanti agenti patogeni (fig. 2) e ai principali insetti
di interesse agrario.
Fig. 2 - Servizio web Regione Piemonte per consultazione modelli fitopatologici.
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In alcuni casi è già stata attribuita a questi modelli una valenza previsionale.
Rientrano in questa categoria i modelli che hanno come obiettivo intermedio la simulazione dello sviluppo fungino, ma come obiettivo finale la valutazione della sanità del prodotto da contaminanti di origine biotica: è il
caso dei modelli di stima della produzione di micotossine.
Questi modelli possono inoltre essere utilizzati insieme ai modelli fenologici o di produttività. In quest’ultimo caso vengono impiegati per la modellizzazione delle interazioni pianta-patogeno e per la quantificazione delle
resistenza biotica alla produttività.
3.4 - Modelli ecofisiologici
È una categoria di modelli legata al rapporto tra variabili climatiche e fisiologia della pianta.
Il loro sviluppo è legato ai meccanismi di crescita e produttività delle coltivazioni. Costituiscono il cuore dei modelli colturali ed inoltre considerano
gli aspetti di relazione tra andamento meteorologico e caratteristiche qualitative del prodotto finale.
3.5 - Modelli di gestione agronomica delle coltivazioni
Si tratta di modelli estremamente interessanti ma ancora relativamente
poco diffusi a livello applicativo a scala territoriale ridotta. Sulla base costituita
dai modelli di crescita e produttività, si assemblano i modelli di azione dei
fattori di produzione ed agronomici e di reazione della pianta al variare di
essi, tra i quali assume un’importanza primaria la risorsa idrica. In molti casi
si aggiungono anche importanti modelli di quantificazione di resistenza alla
produzione determinata da fattori limitanti od avversi.
Costituiscono quindi il cuore dei modelli agroecosistemici nei quali è possibile inserire modelli legati al ciclo di elementi come carbonio e azoto, aventi
tra le variabili guida anche e soprattutto quelle meteorologiche. Si stanno inoltre implementando, in questa categoria, i modelli che legano l’andamento meteorologico e l’agrotecnica alla qualità del prodotto finale.
3.6 - Modelli micrometeorologici
Questo strumento ha come scopo simulare i processi di scambio tra suolopianta-atmosfera a scala microclimatica. Si tratta spesso di modelli biofisici
che, attraverso la simulazione dei processi di scambio energetico o di quantità
di moto, consentono di produrre output molto interessanti per la quantificazione di fenomeni difficilmente registrabili attraverso misurazioni dirette.
Alcuni di essi definiti SVAT (Soil Vegetation Atmosphere Transfer) (fig. 3)
consentono di estendere le informazione derivate a scala micrometeorologica
a scale territoriali superiori, per cui l’impiego di questa categoria di modelli
può fornire output utili a scala di singola pianta ma anche stime di flussi energetici su scale molto ampie.
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FEDERICO SPANNA
Fig. 3 - Schema generale dei Modelli SVAT.
4 - CONCLUSIONI
Questa breve disamina vuole fornire un quadro attuale, del tutto indicativo
e non certo esaustivo, dei principali strumenti che la ricerca agrometeorologica sta mettendo a disposizione di potenziali utilizzatori operanti in ambito
agro-ambientale.
Indubbiamente l’applicazione degli attuali indirizzi normativi e lo sviluppo
di nuove linee programmatiche potranno dare un impulso notevole alla traduzione in operatività di tali strumenti ed alla contestuale ed essenziale crescita in termini culturali relativa ai modelli ed al loro impiego.
L’ottica agroecosistemica ed agroambientale, che comunque si sta affermando, impone di sviluppare maggiormente l’integrazione tra le diverse esperienze realizzate e le diverse professionalità coinvolte favorendo al massimo
la sinergia tra la ricerca e il sistema dei servizi, dell’assistenza tecnica e dell’utilizzatore finale.
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LA SCIENZA AGROMETEOROLOGICA:
DALLA RICERCA AI SERVIZI OPERATIVI
59
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FEDERICO SPANNA
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CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA,
FENOLOGICA E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA
DI CARPENETO
MEMORIA DI
ANNA LISA E DELL’ACCADEMICO EMERITO LUIGI LISA*
presentata all’Adunanza extra moenia di Asti il 20 maggio 2011
RIASSUNTO:
È stata condotta un’analisi delle caratteristiche climatiche dal 1999 al 2010 nella zona di Carpeneto (AL), facendo riferimento alle fasi fenologiche dei vitigni in sperimentazione, a confronto con le medie poliennali. Sono state determinate le correlazioni in base alle rette di
regressione per poter prevedere le fasi fenologiche e i dati produttivi, confrontando i risultati
che si desiderano ottenere (es. data di germogliamento) con i parametri climatici dei periodi
precedenti che li possono condizionare. Il clima piovoso e freddo dell’inverno e della primavera ha determinato un ritardo di 2-4 giorni, rispetto alla media, nel germogliamento,
che si è mantenuto nelle altre fasi fenologiche e accentuato in maturazione per alcuni vitigni,
a causa delle piogge durante l’invaiatura. La produzione d’uva e di sarmenti nel 2010 è stata
leggermente superiore alla media in quasi tutti i vitigni. Nel complesso le previsioni sono
state abbastanza efficaci e vicine ai valori effettivi, tranne alcune eccezioni.
SUMMARY: Climatic, phenological and productive characteristics of Carpeneto (AL) viticulture.
An analysis of climatic characteristics in Carpeneto (AL) from 1999 to 2010 has been carried
out, with reference to phenological phases of grapevine cultivars in testing, in comparison
with polyannual average.
The correlations based on the regression lines have been determined to foresee the phenological phases and the production data, comparing the results we are looking for with climatic
indicators of previous periods that could influence. Rainy and cold climate in winter and
spring have brought a 2-4 days’ delay in sprouting compared with average, delay that continued to other phenological phases and emphasized in ripening for a few grapevines, due
to rain in fruit-setting. Grape and cane production in 2010 has been lightly higher than average for almost all grapevine cultivars. The forecasts as a whole have been effective enough
and near to real values.
RéSUMé: Caractéristiques climatiques, phénologiques et productives du vignoble de Carpeneto (AL)
en Italie de Nord-Ouest.
L’analyse menée à Carpeneto a permis de mettre en rapport les données climatiques, suivies
de 1999 à 2010, avec les dates de la phénologie en 2010 comparées aux moyennes de la période entière. On a calculé ces corrélations sur la base des régressions afin de prévoir la suc-
*E-mail: [email protected]
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ANNA LISA - LUIGI LISA
cession des phases principales et les données de la récolte, en mettant en relation la date des
phénomènes (ex. bourgeonnement) avec les paramètres climatiques de la période précédente
susceptibles de les influencer. Le climat froid et pluvieux de l’hiver et du printemps a retardé
le bourgeonnement de 2-4 jours par rapport à la moyenne et ce retard s’est maintenu ensuite
et en maturation s’est accentué pour certains cépages, à cause de la pluie pendant la véraison.
Le rendement et la vigueur en 2010 ont été légèrement supérieurs à la moyenne pour presque
tous les cépages. Dans l’ensemble les prévisions ont été assez efficaces et proches du réel,
sauf quelques exceptions.
1 - PREMESSA E METODI
Dal 1999 sono stati svolti rilievi sistematici sull’andamento climatico e sui
risultati produttivi in viticoltura, presso il Centro Vitivinicolo Regionale Tenuta Cannona a Carpeneto (AL). I dati climatici provenienti dalla stazione
meteorologica automatica aziendale sono stati elaborati e forniti dalla Rete
Agrometeorologica del Piemonte - Regione Piemonte - Assessorato Agricoltura - Settore Fitosanitario Sezione di Agrometeorologia.
Le caratteristiche climatiche del 2010 sono state analizzate con riferimento
alle fasi fenologiche dei vitigni in sperimentazione, in confronto alle medie
poliennali per la zona di Carpeneto.
La grande massa di dati accumulati ha consentito di sviluppare un modello
- derivato da uno studio, svolto in collaborazione con il dott. Spanna del Servizio Agrometeorologico della Regione Piemonte per la zona di Vezzolano
(Lisa, Spanna, 2003) - in grado di prevedere già a metà anno le date delle diverse fasi fenologiche e le principali caratteristiche produttive in viticoltura.
Per rappresentare le condizioni climatiche dell’annata viticola e poterla
confrontare con quella di altre zone, di solito viene considerato il periodo
aprile-settembre e, per la maturazione, il mese di settembre, oltre all’indice
Branas del rischio peronosporico (calcolato sommando il prodotto fra temperatura media mensile e pioggia mensile da aprile ad agosto).
I fattori climatici esaminati sono:
• pioggia totale e utile (pioggia totale detratti i deflussi medi superficiali
in base a controlli pluriennali nella zona);
• indice eliotermico (adattamento dell’indice Huglin delle temperature attive per la vite);
• evapotraspirazione colturale, derivata da quella potenziale di PenmanMontheith, integrata da un coefficiente che tiene conto dell’umidità relativa
media giornaliera;
• disponibilità idrica giornaliera (calcolata per i singoli periodi, detraendo
dalla pioggia utile l’evapotraspirazione colturale) o deficit idrico;
• indice idrotermico di Branas, o del rischio peronosporico;
• indice Fregoni;
• indice Introini.
Per definire meglio come il clima condizioni la viticoltura occorre considerare i parametri precitati per tutti i periodi corrispondenti alle successive
fasi fenologiche dell’intero ciclo colturale: pregermogliamento, germoglia-
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CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA
E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO
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mento, fioritura-allegagione (14 giorni), crescita, invaiatura, maturazione (gli
ultimi 30 giorni prima della vendemmia).
Questo studio è stato applicato a 7 vitigni coltivati in zona: tre a maturazione precoce (‘Chardonnay’, ‘Pinot nero’ e ‘Moscato bianco’), due intermedi
(‘Dolcetto’ e ‘Barbera’) e due tardivi (‘Nebbiolo’ e ‘Albarossa’), raggruppando
le fasi citate in tre periodi vegetativi: pregermogliamento-germogliamento,
fioritura-crescita e invaiatura-maturazione.
2 - RISULTATI
2.1 - Confronto per i principali parametri climatici
In base ai valori medi giornalieri dei parametri normalmente disponibili
(pioggia totale effettiva, temperature media e massima), il mese di settembre
2010 risulta caratterizzato da pioggia sensibilmente inferiore alla media poliennale, con temperatura media anch’essa inferiore (fig. 1, in alto).
Quanto ai parametri climatici utili per la viticoltura (pioggia utile, indice
eliotermico derivato dall’indice Huglin, evapotraspirazione colturale, disponibilità idrica o deficit idrico) emerge che: la pioggia utile ha lo stesso andamento della pioggia totale, l’indice eliotermico nel 2010 è solo leggermente
inferiore alla media, come pure l’evapotraspirazione colturale, mentre la disponibilità idrica è sensibilmente inferiore (fig. 1, in centro).
Fig. 1 - Condizioni climatiche durante il mese di settembre e il periodo invaiatura-maturazione del
vitigno ‘Barbera’ a Carpeneto nel 2010 a confronto con la media 1999-2010.
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ANNA LISA - LUIGI LISA
Le caratteristiche climatiche del periodo invaiatura – maturazione del vitigno ‘Barbera’ (scelto come esempio) sono sensibilmente diverse da quelle
prima descritte, proprio perché si riferiscono ai 54 giorni intercorrenti tra il
13 agosto e il 5 ottobre. In quel periodo la pioggia e la disponibilità idrica nel
2010 sono sensibilmente superiori alla media poliennale, mentre l’indice eliotermico è inferiore alla media in misura molto più evidente, come pure l’evapotraspirazione colturale.
2.2 - Confronto tra le condizioni climatiche stagionali di un vitigno a maturazione precoce (‘Pinot nero’) e uno tardivo (‘Nebbiolo’)
2.2.1 - Pioggia utile e disponibilità idrica
Fig. 2 - Pioggia utile e disponibilità idrica per ‘Pinot nero’ e ‘Nebbiolo’ nell’anno 2010 a confronto
con la media poliennale.
Nel 2010 la pioggia utile per il ‘Nebbiolo’ è stata più abbondante durante
la fioritura-crescita e inferiore nell’invaiatura-maturazione rispetto al vitigno
a maturazione precoce (fig. 2 in alto); il totale annuo è stato ancora superiore,
anche se il valore medio giornaliero è stato inferiore (1,45 mm per il ‘Nebbiolo’ contro 1,53 mm per il ‘Pinot nero’), poiché la durata del ciclo è stata
superiore (221 giorni per il ‘Nebbiolo’ contro 189 giorni per il ‘Pinot nero’).
Come media poliennale la pioggia del ‘Nebbiolo’ è stata nettamente superiore
a quella del 2010, mentre per il ‘Pinot’ è stata simile.
La disponibilità idrica durante la fioritura-crescita nel 2010, è stata inferiore nel ‘Pinot nero’ rispetto al ‘Nebbiolo’. Va notato che nella media poliennale per il ‘Pinot nero’ è presente una carenza idrica
nell’invaiatura-maturazione, non nel 2010. Per il ‘Nebbiolo’ la disponibilità
idrica del 2010 è stata superiore a quella media, specialmente nella fase di fioritura-crescita.
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CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA
E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO
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2.2.2 - Indice eliotermico ed evapotraspirazione colturale
L’indice eliotermico e l’evapotraspirazione colturale del ‘Pinot nero’ sono
superiori a quelli del ‘Nebbiolo’, sia nel 2010 che come media poliennale, ma
in entrambi i vitigni nel 2010 sono inferiori alla media. Come nel caso precedente i valori complessivi stagionali hanno un andamento diverso per la maggior durata del ciclo nel ‘Nebbiolo’.
Nel complesso è evidente la differenza climatica stagionale, dalla fioritura
in poi, tra i vitigni a maturazione precoce e tardiva.
Fig. 3 - Indice eliotermico ed evapotraspirazione colturale (ETc) nell’anno 2010 e nella media poliennale.
2.3 - Date d’inizio delle varie fasi, durata dei periodi fenologici e clima in
maturazione per il ‘Moscato bianco’.
Tab. 1 - Date d’inizio delle varie fasi e condizioni climatiche durante la maturazione dell’uva per il
‘Moscato bianco’.
Tab. 2 - Date e durata dei periodi fenologici per il ‘Moscato bianco’.
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ANNA LISA - LUIGI LISA
Rispetto alla media poliennale, nel 2010 tutte le fasi fenologiche sono state
raggiunte con un lieve ritardo (tab. 1); il ciclo colturale è stato un po’ più
lungo: pregermogliamento, crescita e invaiatura sono durati qualche giorno
in più (tab. 2). Nel periodo di maturazione le temperature e l’escursione termica sono state inferiori alla media, come pure gli indici qualitativi.
2.4 - Previsioni fenologiche e quanti-qualitative
Per giungere alle previsioni si sono determinate le correlazioni in base alle
rette di regressione, confrontando i risultati che si desiderano ottenere (es.
data di germogliamento) con i parametri climatici (pioggia, indice eliotermico,
ETc, deficit idrico) dei periodi precedenti che li possono condizionare. Sono
stati utilizzati i dati dal 1999 al 2010, o di periodi inferiori nelle sperimentazioni avviate successivamente (‘Pinot nero’, ‘Chardonnay’ e ‘Albarossa’). A
titolo di esempio (tab. 3) sono riportate le correlazioni utilizzate per la previsione della data di germogliamento del ‘Pinot nero’ nel 2010 con le caratteristiche delle regressioni analizzate. Si sono utilizzate quelle con valori
significativi, almeno per uno dei due fattori, o vicini a essi.
Per verificare la significatività delle regressioni sono stati utilizzati il coefficiente di correlazione “r” di Pearson e il coefficiente di correlazione “rho”
dei ranghi di Spearman (per integrare quello di Pearson). È stato considerato
anche il coefficiente di variabilità (cv) dei risultati previsti.
Tab. 3 - Previsione della data di germogliamento per il vitigno ‘Pinot nero’.
La significatività delle regressioni utilizzate è stata abbastanza variabile.
Le punte estreme delle previsioni sono andate dal 13 al 20 aprile, con significatività elevate.
2.4.1 - Due esempi di retta di regressione per la previsione della data di germogliamento nel ‘Pinot nero’
Sono state calcolate due rette di regressione con significatività variabili:
per r da * (5 %) a ** (1 %) e per rho da ** (1%) a *** (5 /‰). Di fianco al
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CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA
E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO
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grafico (tab. 4) è riportata per ogni anno la previsione, in base alla formula
presente nel grafico.
Si nota che:
• se il rho è negativo äall’aumentare del periodo “crescita-invaiatura anno
precedente” corrisponde un anticipo del germogliamento (il n° di riga del
giorno del germogliamento è più basso);
• se il rho è positivo äall’aumentare dell’ETc durante il germogliamento
corrisponde un posticipo di germogliamento (il n° di riga del giorno del germogliamento è più alto).
Tab. 4 - Carpeneto: previsione della data di germogliamento per il ‘Pinot nero’.
2.4.2 - Date fenologiche medie poliennali, previste ed effettive per germogliamento e fioritura
Nel 2010 le diverse fasi fenologiche si sono verificate in ritardo di alcuni
giorni, rispetto ai valori medi poliennali, per tutti i vitigni (fig. 4).
Il germogliamento è avvenuto con un ritardo di 2-4 giorni rispetto alle
date medie poliennali. Le previsioni sono state anticipate di 1-3 giorni (4 nel
‘Barbera’) rispetto alla data effettiva; le differenze fra date previste e medie
sono variate da -1 a +3 giorni. Il germogliamento è più precoce nel ‘Nebbiolo’
e più tardivo nell’‘Albarossa’.
La fioritura è avvenuta in ritardo di 1-2 giorni rispetto ai valori medi. Le
previsioni sono state vicine alla media con un anticipo di 1-2 giorni rispetto
alle date effettive (3 nel ‘Moscato’).
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ANNA LISA - LUIGI LISA
Fig. 4 - Date di germogliamento e fioritura: medie poliennali, previste ed effettive nel 2010 per tutti
i vitigni in esame.
2.4.3 - Date fenologiche medie poliennali, previste ed effettive per invaiatura e
maturazione
Fig. 5 - Date di invaiatura (in alto) e maturazione dell’uva (in basso): medie poliennali, previsioni
eseguite in due periodi e date effettive nel 2010 per tutti i vitigni in esame.
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CARATTERIZZAZIONE TERMOPLUVIOMETRICA, FENOLOGICA
E PRODUTTIVA PER LA VITICOLTURA DI CARPENETO
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Per queste fasi sono state eseguite due previsioni: la prima in base ai dati
climatici fino alla fioritura, la seconda in base a quelli successivi.
Nell’invaiatura il ritardo del 2010 sui valori medi è 2-5 giorni (7 nello
‘Chardonnay’ e 0 nell’‘Albarossa’). Le prime previsioni sono anticipate rispetto alle date effettive da 1 a 4 giorni nei vitigni precoci e ritardate di 1-2
giorni in quelli tardivi. Rispetto alle medie le date inizialmente previste sono
state ritardate di 1-5 giorni, tranne un anticipo di 2 giorni nel ‘Dolcetto’. Le
seconde previsioni si sono avvicinate maggiormente alle date effettive per ‘Moscato’, ‘Dolcetto’, ‘Barbera’ e ‘Albarossa’, meno per gli altri vitigni.
La maturazione è avvenuta con un ritardo sui valori medi di 2-5 giorni nei
vitigni precoci, ritardo salito a 5-8 giorni nei tardivi, ma con un massimo di 9
giorni nel ‘Dolcetto’ e un minimo (solo un giorno) nell’‘Albarossa’. Le prime
previsioni sono state leggermente anticipate rispetto alle date effettive (tranne
che per il ‘Pinot nero’), ma ritardate in misura accentuata rispetto ai valori
medi. Le seconde previsioni sono state simili, tranne che per il ‘Dolcetto’ anticipato di 10 giorni, rispetto ai 3 giorni delle prime previsioni.
Va rilevato che nel vitigno ‘Albarossa’ le previsioni sono state particolarmente vicine ai valori effettivi; anche rispetto alle medie le previsioni sono
state prossime, tranne che per il germogliamento. Nel complesso le previsioni
sono state abbastanza efficaci e vicine ai valori effettivi, tranne alcune eccezioni.
2.4.4 - Previsione produzione di sarmenti in tutti i vitigni in esame
Sono state calcolate due previsioni: la prima in base ai dati climatici registrati fino alla fioritura e la seconda in base ai dati successivi fino alla maturazione.
Tab. 5 - Produzione di sarmenti: medie poliennali, medie 2010 e previsioni 2010.
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La produzione di sarmenti nel 2010 è stata leggermente inferiore alla
media nel ‘Moscato bianco’ e nel ‘Dolcetto’, superiore negli altri vitigni; non
sono disponibili i dati relativi al ‘Nebbiolo’. Le prime previsioni sono state
modestamente affidabili, leggermente migliori le seconde.
3 - CONCLUSIONI
Il clima piovoso e freddo dell’inverno e della primavera ha determinato
un ritardo rispetto alla media di 2-4 giorni nel germogliamento, ritardo che si
è protratto anche alle altre fasi fenologiche e accentuato in maturazione per
alcuni vitigni (sino a 9 giorni), a causa delle piogge durante l’invaiatura.
La produzione d’uva nel 2010 è stata leggermente superiore alla media
poliennale, tranne che per ‘Chardonnay’ e ‘Barbera’.
La massa del grappolo è stata inferiore rispetto alla media poliennale, specialmente nel ‘Dolcetto’, e quasi coincidente nell’‘Albarossa’, che appare dotato di notevole costanza di comportamento.
La produzione di sarmenti nel 2010 è stata leggermente inferiore alla
media nel ‘Moscato bianco’, e nel ‘Dolcetto’, superiore alla media negli altri
vitigni in prova.
BIBLIOGRAFIA
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CAVOUR CAMILLO BENSO AGRICOLTORE A LERI.
IL CONTE E IL RISO
MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO
ANTONIO FINASSI*
presentata ad Asti all’Adunanza extra moenia del 20 maggio 2011
RIASSUNTO:
L’azienda di Leri fece parte di una proprietà dell’abbazia di Lucedio dall’inizio del 12° secolo
al 1784, quando passò alla Commenda dei SS Maurizio e Lazzaro che la condusse fino al
1792. Nel 1818 la tenuta di Leri fu acquistata dal marchese Michele Cavour, in vista di farne
un’azienda modello. Camillo Benso, il suo inquieto figlio minore, nel 1835 subentrò nella
conduzione dell’azienda paterna. L’attività agricola divenne uno degli scopi primari della sua
multiforme operosità e non venne mai sacrificata all’azione politica. Leri divenne non solo il
ritiro, ove si ritemprava dalle disillusioni politiche, ma il terreno che gli permetteva di sviluppare la sua intraprendenza anche in agricoltura. L’incontro e la comunanza operativa con
Giacinto Corio gli consentirono di sperimentare numerose innovazioni attinenti alla concimazione chimica, alla meccanizzazione, all’alimentazione del bestiame e gli ispirarono la costituzione dell’Associazione per l’irrigazione. La sua eccezionale capacità imprenditoriale
trova un interessante riscontro nelle numerose lettere scambiate con Corio, da cui si evince
la sua profonda conoscenza degli addetti e collaboratori e la sua capacità di valutare le potenzialità di ciascuno per la gestione aziendale. La schiettezza del linguaggio diretto, con inaspettati inserimenti ironici, rende evidente la sua attenta partecipazione alla vita di Leri negli
aspetti sia agronomici sia umani.
SUMMARY: Camillo Benso, Count of Cavour farmer and rice grower in Leri.
After recalling the historical events that led to the acquisition of the farm of Leri by the
Marquis Michele Cavour, some of the more important aspects of Count Camillo Cavour’s
activities, his restless younger son, are reported in the running of the family business. Agricultural industry was one of the primary purposes of his many activities and was never sacrificed to political action. Leri became his retreat where he would not only recover from
political disillusionment but it would allow him to develop his resourcefulness even in agriculture. Meeting and working with Giacinto Corio allowed him to experience numerous innovations associated with chemical fertilisers, the threshing mechanisation, livestock feed
and was inspired by the constitution of the Association for irrigation. His exceptional entrepreneurial ability finds an interesting response in the numerous letters exchanged with Corio
which show a deep understanding of the assessment of workers and employees and the ability
to manage the staff’s potential. His bluntness in speaking, with unexpected ironic inputs,
livens up his careful participation in the life in Leri in both agronomic aspects as well as the
human ones.
E-mail: [email protected]
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ANTONIO FINASSI
RÉSUMÉ : Le comte Camillo Benso de Cavour agriculteur à Leri et la culture du riz
La ferme de Leri du 12ième siècle à 1784 appartint à l’abbaye de Lucedio , à qui la Commenda
des SS Maurice et Lazare succéda jusqu’en 1792. Après la révolution française et Napoléon, en
1818 le Marquis Michele Cavour en acheta 1200 hectares en vue d’en faire une ferme modèle.
Son fils cadet Camillo Benso en 1835 se mit avec plaisir à la tête de cette exploitation. L’agriculture
devint ainsi l’une des activités les plus importantes de ce génie de la politique, qui réussit à concilier ces différents intérêts. Leri devint non seulement le lieu où reprendre ses forces, mais le terrain qui lui permettait de donner cours à son esprit d’initiative en agriculture aussi. La rencontre
et la communauté d’échanges avec Giacinto Corio, son grand fermier, lui permirent d’expérimenter des solutions innovantes concernant la fertilisation chimique, la mécanisation, l’alimentation du bétail, et lui donnèrent l’idée de constituer une Association pour l’irrigation. Sa capacité
exceptionnelle d’entrepreneur ressort confirmée des lettres qu’il a échangé avec Corio, ainsi que
sa connaissance approfondie de ses employés et collaborateurs, et sa capacité d’évaluer le potentiel de chacun au profit de la gestion de l’entreprise. La franchise de son langage direct, avec
des tournures de phrases inattendues, pleines d’ironie, rend justice à sa participation attentive à
la vie de Leri dans tous ses aspects soit agronomiques, soit humains.
1 - PERCHÉ LERI?
Dove si trova Leri? e com’è divenuta parte dei beni della famiglia Cavour?
Leri era una grangia di Lucedio, di quell’abbazia posta al centro della bassa
pianura vercellese, non lontano dal Po ove i monaci cistercensi di La Ferté
erano stati chiamati dal marchese Ranieri del Monferrato e vi si erano impiantati all’inizio del XII secolo (1123) con il compito di bonificare la pianura boscosa, acquitrinosa e inospitale.
Oggi è difficile localizzare Lucedio con i suoi resti abbaziali, mentre è più
facile individuare Leri grazie ai due paraboloidi in cemento che costituiscono
le torri di raffreddamento della centrale termoelettrica Galileo Ferraris.
Nel 1784 il Pontefice Pio VI secolarizzò l’Abbazia e l’affidò alla Commenda dei SS Maurizio e Lazzaro che, a sua volta, trasferì la commenda (1792)
a Vittorio Emanuele Duca d’Aosta. L’invasione napoleonica cancellò i vari
benefici e incamerò i beni allo Stato. Nel 1807 Napoleone cedette le sette
grange di Lucedio, della superficie complessiva di 2700 ettari, a suo cognato
il principe Camillo Borghese, quale quarta parte del prezzo d’estimo dei 322
pezzi della galleria d’arte da lui venduta al Governo francese.
Nel dicembre del 1818 il principe Borghese vendeva tutto il tenimento,
per 3 milioni di lire nuove effettive di Piemonte, ai sigg. Marchesi Michele
Benso di Cavour, Carlo Gozzani di San Giorgio e al signor Luigi Festa. Nel
1822 il tenimento veniva diviso in quattro lotti: il 4° lotto comprendente Leri,
Montarucco, parte di Ramezzana e parte della foresta, fu attribuito al Marchese Michele Benso di Cavour che aveva in animo di trasformarlo in
un’azienda modello. Su questa proprietà familiare di oltre 1200 ettari operò
Camillo dal 1835 sino alla morte, facendone un punto di riferimento della sua
intensa esistenza.
Cavour arriva a Leri catapultato dai salotti della Torino aristocratica, distogliendolo dalle beghe derivanti dai fermenti politici e sociali originati dall’illuminismo e dalla Rivoluzione francese, cui aveva attivamente partecipato.
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Aveva inoltre indirettamente vissuto l’evolversi della Restaurazione seguita
allo spegnersi dei bagliori imperiali napoleonici, essendo suo padre il marchese Michele capo della polizia.
2 - CAVOUR IMPRENDITORE A LERI
A Leri Cavour trova un’azienda che non dava reddito, gestita con criteri
tradizionali: la conduzione era affidata ad un agente che riferiva a Torino ad
una proprietà assenteista che operava un controllo a distanza ed era assai restia
a calarsi nella realtà operativa.
Egli affronta questa realtà con spirito imprenditoriale: è un imprenditore
agricolo a pieno titolo, un imprenditore però proiettato nel futuro, che intrattiene contatti con i vicini confinanti, con i quali si confronta, e dei quali non
trascura le osservazioni sui risultati dei suoi esperimenti e delle innovazioni
introdotte.
Perché amava stare a Leri? probabilmente perché era distante da Torino
quel tanto che gli consentiva di raggiungerla agevolmente ma tale da permettergli di “staccare” dalla convulsa vita urbana e politica. Inoltre, sul piano più
propriamente agronomico a Leri prevaleva la coltura cerealicola irrigua, un
tipo di coltivazione a ciclo annuo, che consentiva di ottenere risposte rapide
ai suoi esperimenti; non solo, l’irrigazione sottraeva le colture all’alea della
siccità. Non sarebbe stato possibile ottenere risposte altrettanto rapide se
avesse operato sulle viti di Grinzane o sui terreni collinari privi d’irrigazione.
Queste sono le considerazioni “operative” apparenti, con facile riscontro
ad un osservatore esterno. In realtà la scelta di Leri aveva una profonda ragione psicologica che lo ha tormentato per un lungo periodo della sua esistenza: la sua condizione di “cadetto”, che in una società chiusa, formale e
retriva, lo relegava in seconda fila sino a quando il successo politico lo porterà
a riprendersi quel posto, in prima fila, che la nascita gli aveva negato. Se a Torino era il “cadetto” a Leri era il “dominus” a pieno titolo e questa condizione
egli la rafforza pienamente assumendo la conduzione diretta della tenuta, con
piena responsabilità imprenditoriale ed economica, conquistando quella libertà d’azione che consegue mediante il successo finanziario.
È però un agricoltore che ha i piedi ben piantati per terra e s’interessa dell’intera filiera della produzione, preoccupandosi dell’andamento del mercato
ed utilizzando le informazioni che gli giungevano attraverso i suoi contatti internazionali per speculare sui prezzi dei prodotti agricoli.
A Leri conduceva una vita spartana, pur senza rinunciare alla buona tavola, di mattino alzandosi prima dell’alba (al suono del tamburo che risvegliava i bovari) e iniziando il riposo serale poco dopo le 10.
3 - DA ORECCHIANTE AD ESPERTO
Cavour ha molte idee innovative ma poca esperienza operativa. Si lancia
in iniziative inconsuete: allevamento di pecore merinos, coltura della barba-
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bietola (Santena), impiego del guano e dei concimi chimici sotto lo sguardo attento e malizioso del proprietario confinante, Marcone (della tenuta Colombaro), pronto a commentare salacemente gli insuccessi del vicino. Fino a
quando, nel 1843, incontra il suo uomo, Giacinto Corio di Livorno, imprenditore esperto, grande affittuario dei beni della casata Salino, uomo che alla capacità imprenditoriale univa una profonda onestà, schiettezza nei rapporti
personali, efficienza.
Cavour lo coinvolge nella conduzione, prima come consulente poi come
socio (1848), attivando un contratto innovativo il cui fine era di associare il lavoro al capitale e di promuovere le migliorie mediante la partecipazione agli
utili. Un rapporto schietto, testimoniato dalle numerosissime lettere scambiate
(non esisteva il telefono) che rispecchiano perfettamente il carattere dei due
protagonisti ed il vincolo di reciproco rispetto che li legava.
Nei suoi viaggi all’estero Cavour aveva osservato con interesse le innovazioni apportate nell’agricoltura d’oltralpe e di quella inglese in particolare ma,
senza dubbio, in campo agricolo aveva molto da imparare e di questo era conscio. Nel suo spirito, era netta la demarcazione fra ciò che sapeva e quello che
ignorava.
Le nozioni che acquisiva erano complete, da uomo del mestiere, non incerte, vaghe e oscure; aveva l’ardore che fa intraprendere e la ragione che fa
distinguere. Così egli apprezzava la chimica senza crederla onnipotente; si era
reso conto che l’agricoltura era un’arte che esigeva una costante presenza e
che non poteva essere delegata. Troppi sono i fattori incontrollabili ed imprevedibili che influenzano il risultato economico agricolo. L’intenso scambio di
lettere con Corio testimonia quanto importante fosse la presenza in azienda
di un referente operativo.
Per inquadrare, con una qualche efficacia, lo svolgersi della sua attività
d’imprenditore agricolo è opportuno fare riferimento allo stato dell’arte dell’agricoltura piemontese dell’epoca.
La produzione agricola nella prima metà dell’'800 dipendeva largamente
dalla disponibilità di letame che rimaneva il concime fondamentale. Ma la disponibilità del letame era strettamente collegata con la quantità di bestiame
presente nel fondo; quindi era necessario disporre di un’adeguata quantità di
fieno che si otteneva da un’estesa praticoltura oppure ricorrendo all’acquisto
esterno, condizione avversata da Cavour che, in una lettera a Corio
(3/3/1846), gli ordinava di acquistare 1000 – 1500 rubbi di fieno “per quelle
maledette vacche di Leri”. Un’espressione che ben esplicita il suo stato
d’animo nel dover soggiacere obtorto collo ad una costrizione. “La mancanza
di fieno è la cosa più grave; provo per esperienza che il voler mantenere 40
vacche a fieno è cosa quasi assurda”. Da qui la ricerca di surrogati del fieno e
dell’aumento della produzione di fieno mediante concimazione del prato.
Per ovviare alla scarsità di foraggio Cavour introduce l’uso del trinciapaglia
per comporre miscele con il fieno arricchendolo con panello di noci per l’ingrasso dei buoi. La carenza di foraggio non era una situazione precipua di
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Leri; sovente, al termine dell’inverno, si era costretti a far pascolare i buoi
sulle rive dei canali e sui rari incolti.
A Leri egli si rende conto che l’agricoltura basata sul letame e l’avvicendamento imponeva delle restrizioni troppo pesanti e non consentiva di incrementare significativamente le produzioni. Cavour pensa di ricorrere al guano
ed ai concimi chimici. L’impiego del concime comporta investimenti finanziari
che devono essere retribuiti dalla produzione; quindi un investimento di capitali che comporta un’impostazione rivoluzionaria rispetto all’atteggiamento
retrogrado e senza uscita dell’agricoltura tradizionale, e quindi poco comprensibile nell’ambito agricolo del tempo.
4 - ORGANIZZAZIONE AZIENDALE
A Leri il personale era formato da: 1 agente, 1 sotto agente, 1 guardia, 4
campari, e diversi prataioli, cui si aggiungevano 39 famiglie di salariati con 3
o 4 persone.
Ciascun salariato fisso aveva l’abitazione gratis, un pezzo di orto, un piccolo pollaio, 90 lire annue in contanti, 6 sacchi da 140 L di granaglie (meliga,
risino, segale), 600 fascine di legna ed 1/3 del prodotto di più di un ettaro di
terra coltivato a meliga. Il valore totale di questo salario era di 400 lire.
La giornata di lavoro della donna del salariato era pagata 40 centesimi,
mentre la paga degli avventizi era di 75 cent. in inverno, di 1 lira da marzo e
di 2 lire in tempo di raccolta. Il valore corrispondente, rapportato al risone,
corrispondeva rispettivamente a 3,5 - 7 - 9 kg. Le donne della famiglia dei salariati erano obbligate a lavorare in azienda.
Il bestiame di Leri era composto di: 13 fra cavalli e muli; 60 vacche svizzere
da latte, con una produzione media giornaliera di 6 L; 40 buoi piemontesi da
lavoro; 18 buoi all’ingrasso; 20 manzi, destinati alla rimonta dei buoi da lavoro,
20 manze, destinate alla rimonta delle vacche da latte; totale 170 capi.
Nel 1850 la dotazione di attrezzi consisteva in tre piste con sei pestelli,
una trebbiatrice da riso e cereali, 40 aratri, 12 erpici, 10 carri a due ruote, 20
carri a quattro ruote per i buoi, 6 barrocci e 20 ruspe, due cavalli da carrozza.
A Leri l’ordinamento produttivo consisteva in una rotazione quinquennale: granoturco – semina autunnale del frumento con bulatura di trifoglio in
primavera, raccolta della stoppia trifogliata, quindi pascolo dei bovini fino all’inizio geli; in primavera rottura del prato e semina del riso che proseguiva
per tre anni. Poco era lo spazio per la produzione del fieno che era prodotto
dai prati stabili, fuori rotazione, e dalle marcite. Solo l’introduzione del trapianto (1920) consentirà di produrre fieno maggengo in abbondanza senza
ridurre la superficie a risaia.
Tab. 1 - Produzioni medie (t ha-1): da Pugliese (1926) pag. 30.
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5 - INNOVAZIONI INTRODOTTE
5.1 - La fertilizzazione
Cavour si era reso conto che l’agricoltura basata sul letame non aveva futuro in quanto considerava il letame il concime più costoso perché direttamente collegato con il carico di bestiame e… il fieno! Siccome per aumentare
la produzione occorreva concimare, Cavour ricorre al guano del Perù il cui
impiego aveva dato buoni risultati, da lui riscontrati durante i viaggi in Inghilterra. L’impiego del guano suscita l’interesse degli agricoltori locali e la
pratica si diffuse procurando a Cavour un doppio guadagno ottenuto dall’aumento della produzione e dal commercio del prodotto da lui importato.
A Leri esegue ripetute prove di confronto tra vari fertilizzanti organici e
chimici: il guano, i primi concimi chimici prodotti dalla società Schiapparelli
di Torino (di cui era azionista), l’impiego del sangue dei mattatoi mescolato
nei terricciati da spandere sui prati e le marcite, e perfino l’utilizzo dei cenci
di lana. “Li farò tagliare a pezzi minuti, per quanto mi sarà possibile, quindi
li farò spargere nella meliga prima di darle la prima rincalzatura nella proporzione di 40 rubbi (320 kg) per giornata”. Il risultato atteso è poco soddisfacente per la meliga ma spera sia positivo per il frumento che la seguirà.
Cavour dà precise istruzioni su come impostare le prove di confronto, indicando le misure delle aree e la quantità da distribuire. “Il signor Schiapparelli ha mandato 52 rubbi di concime artificiale che egli dice di qualità uguale
al guano. Converrà sperimentarlo sopra di un prato; con questi 52 rubbi si
letameranno (concimeranno) due giornate e due altre con 52 rubbi di guano.
Bisogna misurare 40 trabucchi in lungo e 20 in largo oppure 10 in largo e
80 in lungo. “Trattandosi di stabilire una fabbrica di concime in Torino questo
sperimento vuole essere fatto con scrupolosa esattezza.”
Da acuto osservatore rileva “che i migliori risultati il guano li fornisce
sulle colture da asciutto: grano, meliga, prato, mentre risultavano minori sul
riso.” In effetti, Cavour era nel giusto perché il guano, a causa della sua forte
mineralizzazione, conteneva gran parte dell’azoto sotto forma nitrica e pertanto dilavabile specie con la sommersione della risaia.
“I terreni troppo letamati producono un riso meno bello, meno buono
dei terreni magri”. Non solo ma le varietà di riso allora disponibili:‘Aresca
nera’, ‘Bertone’, ‘Nostrano’, ‘Ostiglia’ erano suscettibili al brusone (Pyricularia
oryzae) che imperversava nelle risaie vercellesi fin dal 1830 e su cui Cavour
aveva chiesto lumi anche a De Candolle durante una sua visita a Parigi ove
aveva assistito ad alcune lezioni alla Sorbona.
Essendo però necessario concimare per aumentare le produzioni, suggerisce a Corio d’estendere le colture asciutte e di ridurre le superfici a riso dai
3/5 tradizionali ai 2/5.
Malgrado queste considerazioni la coltura del riso resta preminente a Leri
e Cavour si preoccupa di migliorare le sistemazioni mediante gli spianamenti,
l’eliminazione delle ripe inutili, la rettifica dei canali, la corretta costruzione
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delle “cordonate” mediante l’uso di livelli a cannocchiale, programmando una
sostanziale revisione degli appezzamenti, riducendone le tare e facilitando la
gestione dell’irrigazione. I lavori di spianamento erano eseguiti nella stagione
morta invernale durante la quale era possibile impiegare mano d’opera a basso
costo e si utilizzava la forza lavoro dei “sudditi”(salariati fissi aziendali).
5.2 - Il drenaggio
Questa tecnica, che consentiva il ricupero di terreni paludosi che non erano
coltivati e dove i buoi s’impantanavano, era diffusa in Inghilterra e Cavour volle
tenacemente introdurla a Leri per migliorare i rendimenti delle terre più umide
e inadatte alle colture avvicendate alla risaia. Il drenaggio aveva il compito di
accelerare lo sgrondo delle risaie, anticipando le semine del grano in autunno,
di eliminare i ristagni durante l’inverno e quelli conseguenti alle irrigazioni del
prato e della meliga, in pratica di “risanare” i terreni umidi.
In effetti, l’esperienza inglese non poteva essere trasferita a Leri senza sostanziali adattamenti perché nella vicenda s’inseriva la risaia in sommersione
per la quale il drenaggio era una pratica indesiderabile poiché aumentava il
consumo d’acqua. Cavour adatta il sistema, ha dispute prolungate con gli specialisti del settore per renderlo compatibile con la risaia (drenaggio discontinuo). Invita a Leri uno specialista nella costruzione dei tubi in cotto che fa
produrre nella sua fornace di Montarucco. I risultati ottenuti sono tali da far
programmare la “tombinatura” su 500 giornate, ma la sua morte precoce ne
impedisce la realizzazione. Non solo, ma negli appezzamenti drenati la gestione non è semplice e, alla sua scomparsa, i dreni furono abbandonati, si interrarono e, oltre un secolo dopo, durante gli spianamenti ne furono riportati
alla luce solo i cocci. Una delle cause che provocarono il rapido intasamento
di terra dei dreni è, probabilmente, la ridotta dimensione dei due tipi di tubo
utilizzati, aventi diametri di 75 e 100 mm.
5.3 - La trebbiatura meccanica
Un grande successo ebbe invece l’introduzione della trebbiatura meccanica, perché la trebbiatura tradizionale, denominata “tresca”, era un’operazione lunga, complessa e costosa. I covoni venivano addossati, in piedi, ad un
palo procedendo con file concentriche fino ad ottenere un circolo di 10 metri
di diametro. Si faceva il calpestamento con un gruppo di 8-10 cavalli accostati
che procedevano di buon passo, in circolo intorno al palo centrale, guidati da
un cavallante che li incitava continuamente, per 3 ore di fila. Seguiva un’ora
di riposo durante il quale i covoni venivano rigirati e quindi calpestati per
altre tre ore.
L’operazione veniva ripetuta 2 o 3 volte, in genere di notte, quindi l’operazione durava circa 24 ore. Al termine la paglia veniva affidata alle donne
che la ripassavano con il correggiato ricevendone 1/3 o la metà del prodotto
residuo.
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Dopo la trebbiatura si separava la paglia corta, stendendo il risone sull’aia,
in terra battuta, in strato di 50-100 mm e si faceva seccare, rimescolandolo
con il rastrello e ammucchiandolo la sera. L’essiccazione richiedeva 3 o 4
giorni di sole; al termine il risone veniva ancora ripulito mediante la “brezzatura”, operazione così definita perché si svolgeva all’alba sfruttando le brezze
del mattino lanciando il prodotto in aria, contro vento, con una speciale pala
di legno (ventola).
L’incremento della produzione derivante dalle migliorate pratiche agronomiche rendeva sempre più impegnativa la trebbiatura. Schiere di operai
stagionali riempivano le aie per trebbiare ed essiccare il riso. Essi provenivano
dalle aree circostanti (Canavese e Biellese) creando anche problemi di carattere morale. Al pievano di Camino, Carlo Giuseppe Ravizza, che lamentava
“oltrechè consapevole per il ministerio mio dei gravi disordini che succedono
in quei luoghi ove si raccolgono le persone per la raccolta dei risi, dove trovandosi promiscuamente giovani e zitelle, uomini e donne sulle cassine nell’oscurità della notte insieme ricoverati, non senza gravissimo pregiudicio delle
più pregevoli loro sanità” … Rispondeva Filippo Nicolai direttore della commenda di Lucedio… “Rimanendo bensì nel taglio e ritiramento dei risi a praticarsi la cautela che debbono avere i padroni e quale si pratica nelle grange
della commenda di destinare fenili alle donne separati da quelli degli uomini
per dormire assicurati col trasporto e ritiramento delle scale che vi possano
dare l’accesso, con l’esercizio di una caritatevole vigilanza”.
Cavour importa una trebbiatrice scozzese da grano e la utilizza nelle sua
azienda di Santena con buoni risultati; ma occorre adattarla alla trebbiatura
del riso. L’adozione della trebbiatura meccanica era favorita dal fatto che,
nelle aziende risicole, era disponibile l’energia idraulica, utilizzata per azionare
le “piste” per la sbiancatura del riso, e le ruote idrauliche potevano quindi
azionare i trebbiatoi.
Egli incarica del compito l’ing. Rocco Isidoro Colli di Cilavegna (in Lomellina), gli fa presentare un modello del trebbiatoio modificato all’esposizione di Torino del 1844 e lo fa premiare con medaglia d’oro (Cavour era
presidente della Commissione).
Contemporaneamente inizia a costruire il trebbiatoio a Leri ove viene inaugurato nell’agosto dello stesso anno. Disegni e fabbisogno di materiali sono
indicati da Colli, ma della costruzione si occupa direttamente Cavour, acquistando il materiale presso i fornitori e facendo eseguire le parti meccaniche
da diverse officine (fonderia Colla a Torino, fucine Lasagna in Valle d’Aosta),
mentre il montaggio avviene a Leri sotto il suo occhiuto e vigile sguardo.
La realizzazione del primo trebbiatoio subì molti ritardi dovuti a disguidi
nell’invio dei disegni, scarti di fusione e persino un’inondazione della valle
d’Aosta. Ma la collaborazione di Cavour non si limita solo in questo; già durante la costruzione, in giugno, aveva suggerito di applicare al trebbiatoio un
dispositivo di cacciapaglia, ideato da un certo signor Brilli, e il 26 agosto scrive
al Colli “la macchina fa un ottimo lavoro; il cacciapaglia in particolare fa me-
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raviglie”. La capacità di lavoro del trebbiatoio era di 40 hl h-1 di risone, corrispondenti alla produzione media di un ettaro.
Nel febbraio 1845 insiste perché nel secondo trebbiatoio destinato alla tenuta di Montarucco sia aggiunto un ventilatore dato “che questo” egli dice
“aumenterebbe del doppio l’utilità di questa preziosa macchina”.
Nel 1846 l’esperienza dei trebbiatoi è ormai fatta con completo successo.
Cavour scrive a Corio: “mentre ho da oltre 15 giorni ritirato in magazzino
tutto il raccolto di Leri e Montarucco che supera gli 11.000 sacchi di risone,
ho tuttora sulle aie del Torrone due povere tresche di cui spero poco”.
La validità del trebbiatoio di Colli è tale da restare immutata per oltre
mezzo secolo: lo testimoniano i disegni della trebbia Geminardi presentata a
Vercelli nel 1912.
5.4 - La brillatura
Per la brillatura del risone l’azienda disponeva di tre brillatoi da sei pestelli,
ciascuno in grado di produrre circa 15 hl di riso mercantile in 24 ore di lavoro.
Tenuto conto che la resa in riso mercantile era del 45 % essi potevano brillare
90-100 hl di risone il giorno. L’aumento della produzione pose quindi anche
il problema della brillatura; per questo egli costruì un brillatoio di grande capacità a Torino, basato su tecniche non tradizionali.
L’azionamento delle piste avveniva mediante ruote idrauliche montate sui
canali di irrigazione; pertanto, essendo la brillatura del riso un processo molto
lungo, che occupava gran parte dell’anno, essa interferiva con le operazioni
colturali creando situazioni spiacevoli. Si trattava di scegliere tra irrigare le
marcite o azionare le piste, oppure interrompere la brillatura in occasione del
periodo del “seminerio dei risi”.
L’uso multiplo delle acque non è quindi una novità recente come non è
recente la creazione di attriti, liti e incomprensioni intorno alla disponibilità
ed alla loro gestione. Cavour aveva vissuto personalmente il problema ed era
stato parte attiva di queste liti che lui aveva affrontato con il solito spirito combattivo creando non pochi dissapori. Occorreva por mano al riordino della
gestione delle acque demaniali e private creando un apposito organismo: un
consorzio delle acque.
5.5 - L’Associazione di irrigazione
Questa istituzione fondamentale e di grande lungimiranza strategica ha rivoluzionato la gestione delle acque non solo del Vercellese ed è stata anche il
motore del progresso agricolo dell’intera plaga risicola. Fondata nel 1853,
ebbe un rapido successo; l’impostazione data da Cavour resta ancora valida
e i suoi principi ispiratori continuano ad indirizzare l‘attuale Associazione di
Irrigazione Ovest Sesia. Stabilire un contatto diretto con il Demanio pubblico,
da cui acquistare l’acqua, e gestirla in base alle quantità consumate e non in
relazione alla superficie, indusse gli agricoltori a migliorare le strutture irrigue
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ed a gestire consapevolmente l’acqua irrigua riducendo i consumi specifici e
ritraendone cospicui vantaggi economici.
6 - LA VITA D’AZIENDA
Nell’intenso epistolario intrattenuto con Corio emerge chiaramente la profonda e totale partecipazione di Cavour alla vita dell’azienda. Le indicazioni
sulla gestione del personale sono integrate da valutazioni non solo sulla loro
capacità professionale ma anche dei “ménages” familiari. Alla presenza di
mogli bizzose, di rapporti familiari tormentati, fanno seguito precisi suggerimenti sugli interventi da compiere.
Nell’affidare a Corio la gestione di Leri gli fornisce alcune linee-guida di
comportamento generale e tratteggia con efficacia il carattere e le doti professionali dei responsabili della gestione del personale.
Con molto tatto suggeriva a Corio “È certamente inutile che io ricordi alla
S.V. che ho sempre avuto per massima di non mai contraddire apertamente
gli agenti e di non mai sgridarli in presenza dei sudditi. In una azienda quale
è questa una subordinazione è il primo requisito di una buona amministrazione”.
Passando alle singole persone i ritratti sono di un’icastica semplicità ed efficacia: “L’agente di Montarucco vede sempre le cose color rosa mentre quello
di Torrone le vede troppo in nero, l’uno e l’altro parlano alquanto soverchiamente. Credo però che siano abbastanza rispettati dai loro subordinati.
Il punto più essenziale è stabilire buoni rapporti fra Gallo (Enrico) e gli
altri due agenti e di far cessare la gelosia che il primo nutre verso Ottavio.
Lupo dovrà essere stimolato e Gallo, il giovine, trattenuto, l’uno e l’altro ben
diretti possono riuscire utili in seconda fila.
I bergamini di Montarucco sono semplicioni ma affezionati alle loro vacche come alle loro famiglie.
Posso considerarmi come fortunato dall’avere al mio servizio due operai
distinti, zelanti e fedeli come il fabbro Savoia e il falegname Cena.”
Il caso del prataiolo Berto è indicativo del procedere di Cavour nei confronti del personale; pur riconoscendo che “questo povero diavolo, tormentato dalla moglie,” è atto a dirigere l’irrigazione di una risaia, rileva che ha
poca autorità sugli uomini a lui affidati, per cui invita Corio a trovargli una
mansione adatta ed, in ogni caso, non è sua intenzione “mandarlo sulla
strada”. In alternativa suggerisce di raccomandarlo al Lombardi ed al Ferragatta. Vi sarebbe certamente posto a Castelmerlino ma “provo un certo rimorso a mandarlo in Purgatorio”. Da ciò si evince che occorreva far ingoiare,
con garbo, il rospo all’interessato e disfarsene elegantemente, senza giungere
al licenziamento.
Per il manzolaio della Malpensata, che custodiva male le bestie, e che aveva
già licenziato, concede una prova di appello “per compassione della numerosa
e povera sua famiglia”.
Ai vecchi fuori servizio ed alle vedove manteneva metà dello stipendio così
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come si accollava le spese di farmacia; il medico e il “flebotomo” avevano sede
gratuita in Leri onde assicurare un minimo di assistenza medica essendo interesse dell’azienda avere personale efficiente.
Come si può dedurre da queste brevi note, Cavour era un padrone esigente che non aveva alcuna remora ad ingerirsi nella vita privata del suoi “sudditi” e non esitava a sottoporli a “gridate”. Questo suo comportamento era
noto ed il fratello di Corio aveva espresso parecchie perplessità ad andare a
lavorare a Leri perché correva fama che il Conte fosse piuttosto “cane”.
Per quanto riguarda invece le pratiche religiose, a Leri esisteva una chiesa
ed un Parroco con 483 fedeli di cui 207 vivevano nell’adiacente Castelmerlino.
Allora la durata della vita media, in Piemonte, era di 28 anni. Una realtà
poco allettante se si considera che il Vercellese risicolo e malarico era stato
considerato terra di proscrizione per le centinaia di ribelli monregalesi responsabili della rivolta legata alla “seconda guerra del sale”.
Cavour si preoccupa anche della sicurezza, invitando Corio a raccomandare ai carabinieri di Livorno di “fare alcune gite al Torrone, infestato a malandrini. Ne ho trovati ieri tre che giocavano a carte nella stalla della Vissa...”
Così come avverte che quelli di Castel Apertole rubano i fagioli nel campo.
7 - OGGI
Oggi il silenzio domina la scena a Leri: non più suoni, né voci di umani o
di animali, rincorrersi di bambini, solo spazi vuoti, muri cadenti, edifici abbandonati testimoni della vita intensa di una comunità di 280 anime (così allora erano registrate nell’archivio parrocchiale), di decine di buoi da lavoro e
vacche da latte. Ora solo il ronzio della centrale da 600 MW e l’imponente
mole delle due torri di raffreddamento dominano la scena ed incombono sui
resti di quella che fu una fiorente azienda agricola, teatro di una parte importante della storia italiana.
In sintesi rimane sempre valido quello che ha scritto di Cavour il prof.
Oreste Mattirolo nel saggio”Camillo Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino” edito nel 1931: “La floridezza dell’agricoltura Egli la concepì come base dello sviluppo industriale, come scopo della prosperità del
Paese, perché sapeva che le libertà politiche e l’indipendenza sono parole vane
finché perdura la servitù economica”.
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ANTONIO FINASSI
BIBLIOGRAFIA
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3, fasc. 1, Leo S. Olschki editore, Firenze, I.
MATTIROLO O. - 1931 - Il conte Camillo di Cavour e la Reale Accademia di Agricoltura di Torino.
Tipografia E. Schioppo, Torino, I.
PIACCO R. - 1991 - Dalla secolare pista da riso alla moderna industria risiera. Annali della Accademia di Agricoltura di Torino , 134, 23-43.
PISCHEDDA C. - 1997 - Camillo Cavour, la famiglia e il patrimonio, Biblioteca della Società Storica
Vercellese, Vercelli, I.
PUGLIESE S. - 1926 - Produzione salari e redditi in una regione risicola italiana. Annali di Economia, 3. Università Bocconi Editrice, Milano, I.
VISCONTI E. - 1913 - Cavour agricoltore, lettere inedite di Camillo Cavour a Giacinto Corio. Barbera editore, Firenze, I.
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CAVOUR VITICOLTORE ED ENOLOGO A GRINZANE
MEMORIA DELL’ACCADEMICO
CORRISPONDENTE
VINCENZO GERBI*
presentata all’Adunanza extra mœnia del 20 maggio 2011,
presso la sede di Asti dell’Università di Torino
RIASSUNTO:
Camillo Benso, conte di Cavour, sarà per sempre ricordato come lo statista più importante
del processo di unificazione dell’Italia nel XIX secolo. Morto a soli cinquantun’anni, proprio
nell’anno dell’unità (1861), non smise mai di occuparsi di agricoltura segnando profondamente il destino dell’agricoltura piemontese. Nel lungo periodo trascorso nelle Langhe come
sindaco di Grinzane collaborò certamente con il generale Staglieno, esperto enologo dell’agenzia albertina di Pollenzo, nel modificare la vinificazione delle uve ‘Nebbiolo’ per la
produzione di un vino fine, secco e longevo che porterà i nomi di Barolo e Barbaresco a
essere conosciuti in tutto il mondo.
SUMMARY: Cavour vine-grower and wine-maker at Grinzane
Camillo Benso, count of Cavour, will be forever remembered as the most important statesman of the unification of Italy, in the XIX century. Died at only fifty-one years, 1861, he
never ceased his interest in agriculture, marking deeply the fate of agriculture in Piedmont.
In the long period as mayor of Grinzane, in the Langhe hills, certainly collaborated with general Staglieno, oenologist of the royal agency of Pollenzo, in modifying the wine making of
the grapes ‘Nebbiolo’, to produce a fine wine, dry and durable that will carry the names Barolo and Barbaresco to be known around the world.
1 - UNO STATISTA IMPEGNATO NELL’AGRICOLTURA
Nel rileggere la biografia del Conte Camillo Benso di Cavour si rimane
colpiti dalla frenetica successione degli avvenimenti che hanno caratterizzato
la sua intensa vita e da come i suoi interessi siano stati sempre numerosi, tutti
trattati con grande impegno e capacità. Anche negli anni di maggior impegno
politico il Conte non smise mai di interessarsi di agricoltura nelle sue terre, in
particolare nella tenuta di Leri, sua autentica passione, e nelle vigne di Grinzane, da dove esercitò una grande influenza per lo sviluppo di tutto il territorio.
A soli 16 anni è già ufficiale del genio in servizio a Genova, ma nel 1831
la sua esuberanza ed il sospetto che avesse idee liberali consigliano ai suoi superiori e alla famiglia il trasferimento al forte di Bard, luogo strategico dal
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VINCENZO GERBI
punto di vista militare, ma certo non gradito al nostro Conte, che fin da allora
non mostrava predilezione per la vita militare. Rimarrà al forte meno di un
anno, ma a noi appassionati di vino e della sua storia non può sfuggire una
particolare coincidenza. Nel 1831 era governatore del forte di Bard il generale
Paolo Francesco Staglieno, lo stesso che, dopo il ritiro dalla vita militare, il re
Carlo Alberto nominerà responsabile della produzione enologica della tenuta
di Pollenzo. Sotto la guida del generale la cantina di Pollenzo diventa un vero
e proprio laboratorio dimostrativo in cui applicare i princìpi raccolti, fin dal
1835, nel suo libro “Istruzione intorno al miglior modo di fare e conservare i
vini del Piemonte”, andato subito esaurito e ristampato nel 1837.
A Grinzane il Conte di Cavour sarà sindaco dal 1832 al 1848, anno in cui
viene eletto deputato. Nel 1850 lo troviamo già ministro dell’agricoltura, nel
1851 ministro delle finanze, dal 1852 al 1861 impegnato come primo ministro
in tre governi da lui presieduti. Il Cavour statista, instancabile stratega e mediatore, determinante protagonista della formazione del regno d’Italia, ha percorso la sua luminosa parabola politica in soli quattordici anni, dal 1847 (anno
della sua comparsa sulla scena politica del Regno) al 1861, anno dell’unità
d’Italia che quest’anno celebriamo, ma anche della sua prematura morte a soli
cinquantuno anni.
Sul Cavour politico e statista voglio esprimere la mia profonda ammirazione, ma altri hanno titolo a svolgere considerazioni scientifiche. Mi occuperò
invece del Cavour imprenditore agricolo, vitivinicoltore che a Grinzane gestiva una grande tenuta.
Sull’arrivo di Camillo a Grinzane vale la pena richiamare le parole con cui
l’intendente di Alba nel 1832 perorava a Torino la nomina del ventiduenne
Cavour a primo cittadino del piccolo Comune di 350 anime: «Sebbene residente in Torino, facendo il ragguardevole personaggio lunghe permanenze in
Grinzane, se ne fa dall’ufficio la proposizione siccome quella che riuscirà certamente di molto vantaggio ed al regio servizio ed al luogo di Grinzane». Una soluzione caldeggiata dal padre di Camillo, Michele, pronto ad affidare
l’amministrazione della tenuta di famiglia al giovane figlio dimissionario dall’esercito, a quel tempo “distratto” dalle idee benthamiste, dalle letture liberali, dalle amare riflessioni sulle decisioni di Carlo Alberto.
Nel nuovo incarico istituzionale il giovane Cavour avrebbe dovuto provvedere, oltre al bene della piccola comunità, a ben condurre le 475 giornate
piemontesi di terreno affittate, dal 1818, dallo zio duca Aynard ClermontTonnerre e le 67 giornate acquistate nel 1829 dalla liquidazione del fallito cavaliere Giuseppe Antonio Veglio di Castelletto. Una significativa proprietà
dunque, estesa con nove cascine su oltre metà dell’intero territorio comunale.
2 – CAVOUR E L’ALBESE
Un’importante fonte di informazioni sulle consuetudini aziendali è rappresentata dal carteggio tra il fattore dei tenimenti, Giovanni Bosco, e il segretario del Conte, Carlo Rinaldi, che riguarda però solo il periodo dal 1845
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CAVOUR VITICOLTORE ED ENOLOGO A GRINZANE
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al 1852. Grazie a queste lettere, pubblicate anni or sono dall’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba, possiamo renderci conto del fermento
innovatore che animava il lavoro della tenuta sotto la guida sapiente del Conte.
La sua passione per i viaggi, l’ammirazione per i vini francesi, considerati
fini e adatti all’esportazione, hanno fortemente influenzato le sue decisioni,
non ultima quella di provare vitigni francesi, ‘Pinot nero’ in particolare, ad
imitazione dei prestigiosi vini di Borgogna, rivelatosi poi di difficile adattamento alle condizioni delle Langhe.
Negli anni del citato scambio epistolare si possono trovare tracce di tutte
le operazioni che caratterizzano l’attività dell’azienda: dal piantamento delle
viti alla potatura, alla vendemmia, fino alla vendita dei vini. Anche a Grinzane,
oltre che a Leri, proverà l’uso del “guano nelle provane”, visto che dal 1845
si occupava di importare, in collaborazione con banchieri genovesi, il prezioso
concime da oltre oceano.
Dal punto di vista agronomico un fatto sicuramente rilevante è la comparsa nel 1851 a Grinzane, con rapida diffusione l’anno dopo, del terribile
oidio, malattia crittogamica conosciuta popolarmente come il ”marino” o
”mal bianco”. Il parassita suscitò paura e sgomento nelle campagne e vennero
provati molti rimedi empirici, come quello di bagnare i grappoli al calar del
sole con acqua e aceto.
Proprio in questi difficili momenti Cavour, già ministro dell’agricoltura,
rivelò le proprie qualità di lungimiranza sollecitando l’interessamento dell’Accademia di Agricoltura affinché si occupasse della difesa dei vigneti invasi
dalla crittogama, istituendo un’apposita commissione.
Anche in campo enologico l’interesse di Cavour fu rilevante, ma, prediligendo le attività di carattere economico organizzativo rispetto a quelle operative, la sua azione fu principalmente di ispirazione, orientamento e
razionalizzazione della vinificazione. Quest’ultimo aspetto è confermato da
un episodio che si può considerare emblematico. Nell’ottobre 1843 la neonata
(1842) Associazione Agraria tenne a Pollenzo la sua “Primaria radunanza generale”. In quell’occasione il congresso fu organizzato in dodici comitati per
ascoltare e valutare contributi tecnici e scientifici in vari campi dell’agricoltura.
Il settimo comitato fu dedicato alla viticoltura ed all’enologia. Al tavolo
della presidenza sedeva proprio il generale Staglieno, affiancato da altri commissari. In quell’occasione il Conte di Cavour presentò una memoria sul come
organizzare una tinaia modello, che gli valse il riconoscimento di una medaglia
di argento dorato. Possiamo pensare che la razionalizzazione della produzione
fosse proprio il suo principale interesse. Il vitigno ‘Nebbiolo’, certamente già
coltivato nelle Langhe, forniva un vino verosimilmente dolce, perché il suo
grado zuccherino elevato non agevolava il completamento spontaneo della
fermentazione alcolica. Era quindi instabile e assai poco adatto a farne commercio verso casa Savoia o, come sperava Cavour, verso le corti e i mercati
europei.
In molti libri di divulgazione si trova citato come determinante il ruolo
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VINCENZO GERBI
dell’enologo Louis Oudart, chiamato da Cavour per razionalizzare la vinificazione e produrre un vino Nebbiolo secco e senza alterazioni, condizioni che
gli avrebbero consentito di diventare il vino che oggi conosciamo bene con i
nomi di Barolo e Barbaresco. Altri sostengono che l’arrivo dell’enologo francese sia merito di Giulia Colbert Falletti di Barolo, quella della leggendaria
spedizione delle 325 carrà, una per ogni giorno dell’anno, esclusa la quaresima,
alla corte di Carlo Alberto, per convincerlo della bontà dei vini che si potevano ottenere in quelle terre di Langa. Confrontando però la cronologia degli
avvenimenti si deve osservare che il merito della svolta tecnologica nella vinificazione del ‘Nebbiolo’ a Grinzane va probabilmente attribuita al generale
Staglieno. Infatti questi lavorò per Cavour sicuramente dal 1835 al 1840. Nello
stesso periodo è certamente a Pollenzo se nel 1837 ordina in Francia la “macchinetta di Gervais”, una sorta di gorgogliatore atto a regolare la fermentazione alcolica nelle botti, e cura la seconda edizione della sua “Istruzione” sul
come fare il vino.
Il “metodo Staglieno” lascia certamente il segno, dato che nelle corrispondenze del Bosco si parla ancora nel 1845 di vini prodotti “alla Staglieno” nel
castello di Grinzane. In effetti la vinificazione proposta dal generale si basa
su principi che ancora oggi si ritengono attuali: perfetta scelta delle uve per
maturità e sanità, macerazione in recipienti a ciò destinati per tempi variabili,
pigiatura perfetta nei tini, esclusione dai tini di quasi tutti i graspi, somma pulizia dei vasi, degli utensili e degli operai che ci lavorano, follatura ripetuta
delle uve nel tino, tino chiuso ermeticamente e fuoriuscita del gas carbonico
attraverso la macchinetta Gervais, svinatura a vino limpido, depurazione delle
botti vuote con polveri solforanti. Seguendo questi rigorosi consigli il vino si
conserva bene. Il generale ne è tanto convinto che spedisce delle bottiglie in
America con l’intesa che vengano rispedite al mittente, affrontando ben due
volte il lungo viaggio per nave. I vini ritornarono a sua detta “non solamente
incolumi, ma ben anco migliorati assai”.
L’Oudart inizia a lavorare con un incarico a Grinzane nel 1843. Un determinante chiarimento sul suo ruolo nell’Albese ci viene da un recente interessante libretto scritto da Anna Riccardi Candiani (2011), dal quale si evince
che Oudart è presente in Piemonte fin dal 1826, ma con un ruolo inizialmente
più commerciale che tecnico. Grazie all’esperienza accumulata e al censo derivatogli dai successi commerciali, si è affermato anche in campo accademico,
impegnandosi nella divulgazione delle sue conoscenze. Fu una figura molto
conosciuta e rimase sul mercato più a lungo del valente generale Staglieno,
morto nel 1850, che possiamo invece considerare una figura di enologo molto
valente sul piano tecnico, non impegnato sul piano commerciale.
Il Cavour era un uomo di ampie vedute e capì presto che per far crescere
il ruolo e il prestigio del vino secco delle uve ‘Nebbiolo’ sarebbe stato necessario dare uno sbocco commerciale a questo prodotto. In questo Louis Oudart deve essere stato di grande aiuto per il Conte, facendo uscire il vino dai
confini nazionali tramite la società di commercio “Oudart & Bruché” da lui
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CAVOUR VITICOLTORE ED ENOLOGO A GRINZANE
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fondata insieme a suo cognato, con sede a Genova. Camillo Cavour “vestì” le
sue bottiglie con etichette curate, che portavano orgogliosamente la scritta
“Barolo” e avrebbero accompagnato il vino sui mercati d’Europa.
Anche dopo la morte di Cavour l’Oudart continuò a comprare le uve delle
tenute di Grinzane e forse a vinificarle con le sue tecniche direttamente in
cantina, ritirando poi i vini, similmente a quanto faceva in quegli stessi anni
nella tenuta dei Castelborgo di Neive, cercando di massimizzare il profitto
delle sue consulenze pagando l’uva il meno possibile. Nel 1852 la corrispondenza del fattore Giovanni Bosco si conclude, ma facciamo in tempo a sapere
che in quell’anno non vendettero più le uve a Oudart, ma a un certo sig. Bottero di Torino.
BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
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francese. Slow Food Editore, Bra, CN, I, pagg. 128.
MAINARDI G. (ed) - 2004 - Il vino piemontese nell’Ottocento, Edizioni dell’Orso, Alessandria,
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MAINARDI G. - 2004 - Il podere reale di Pollenzo, centro di sperimentazione enologica nel Piemonte dell’Ottocento. L’attività di Paolo Francesco Staglieno, enologo di Carlo Alberto. In: Una
città romana per una “real villeggiatura” romantica, a cura di CARITÀ G., L’artistica Editrice, Savigliano, CN, I, 127-136.
SILENGO G. - 1979 - Le lettere del fattore di Cavour da Grinzane 1847-1852. Toso, Torino, TO,
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STAGLIENO P.F. - 1837 - Istruzione intorno al miglior modo di fare e conservare i vini in Piemonte.
Ed. Pomba, Torino, TO, I, pagg. 216.
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GROM: STORIA DI UN’AMICIZIA,
QUALCHE GELATO, MOLTI FIORI.
DALL’AGRICOLTURA AL GELATO
GUIDO MARTINETTI*
memoria presentata all’Adunanza del 6 luglio 2011
RIASSUNTO:
Un’iniziativa di successo, la produzione di gelati e sorbetti con criteri artigianali, è nata coniugando le competenze di due giovani soci in settori diversi ma complementari. L’oculata
scelta di ingredienti di alta qualità comprende l’impiego di frutti scelti con criteri diversi da
quelli seguiti per il consumo sulla mensa, con ricorso a prodotti freschi: di qui la caratteristica
di stagionalità dei gelati, venduti direttamente nei propri negozi in Italia e all’estero (USA,
Francia, Giappone).
SUMMARY: GROM: The history of a friendship, some ice-cream, many flowers. From agriculture
to ice-cream
The successful initiative of producing ice cream and sorbets following homemade criteria,
began by combining the expertise of two young partners from different sectors who complement each other. The careful selection of high quality ingredients includes the use of fruits
chosen with different criteria from those sought after for table consumption, resorting to
fresh products: hence the characteristic of seasonal ice cream sold directly in its own stores
in Italy and abroad (USA, France, Japan).
RÉSUMÉ: GROM: L’histoire d’une amitié, de quelques glaces et de beaucoup de fleurs: de l’agriculture aux glaces
La production de glaces et sorbets selon des méthodes artisanales est une initiative qui a eu
du succès ; elle est née conjuguant les compétences de deux jeunes associés dans des secteurs
différents, mais complémentaires. Le choix judicieux des composants de haute qualité comprend l’utilisation de fruits choisis avec des critères différents de ceux que l’on utilise en
vue de la consommation directe. Le recours à des produits frais, non conservés, entraîne la
caractéristique de produits saisonniers pour ces glaces vendues directement dans les boutiques de l’entreprise en Italie comme à l’étranger: États Unis, France, Japon.
1 - GLI INIZI
La GROM è nata a seguito dell’accordo fra due giovani con formazione
in due settori complementari quali l’Economia e Commercio, in cui si è laureato Federico GROM, e l’agricoltura, oggetto di studi universitari prima a Torino e poi a Milano da parte del sottoscritto, Guido MARTINETTI, che nel 2011
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GUIDO MARTINETTI
ha conseguito il primo Master in “Gestione della viticoltura di qualità” con il
professore Attilio Scienza, con una tesi sulla macerazione delle bucce di ‘Nebbiolo’ da Barolo dal titolo “Studio comparato di vinificazione in vasca di acciaio
e in tino di legno”.
In effetti i miei interessi inizialmente erano rivolti esclusivamente al settore
viticolo-enologico e da questa formazione di base deriva il mio tentativo di
applicare alla produzione di gelati e sorbetti la certezza – tipica di chi si occupa di vite e vino – che per la qualità sono determinanti le scelte in fatto di
vitigni e di ambienti di coltura.
Nel 2002 mi trovavo a Barbaresco ad occuparmi di ‘Nebbiolo’ quando mi
capitò di leggere un articolo di Carlin Petrini in cui si lamentava l’affermarsi
di criteri industriali nella produzione dei gelati, con abbondante ricorso ad
additivi. Parlando del tema con Federico Grom, ci trovammo concordi nel
considerare che la produzione di gelati con criteri artigianali poteva essere
una sfida interessante.
Così a settembre 2002 decidemmo di imbarcarci nell’avventura di associarci per aprire una gelateria in piazza Paleocapa a Torino, investendo una
somma di 35.000 euro ciascuno, capitale della nuova s.r.l., e contraendo un
prestito di ulteriori 60.000 euro mediante stipulazione di un mutuo.
La nostra strategia prevedeva come obbiettivo quello di ricorrere esclusivamente a frutta di stagione e si basava sull’integrazione delle reciproche competenze: per l’uno l’agricoltura, l’acquisto delle materie prime (compresa la
ricerca di cultivar interessanti anche all’estero: per esempio Venezuela e Giappone) e la comunicazione, per l’altro la gestione della parte amministrativa,
finanziaria e contabile.
2 - LA RAPIDA ESPANSIONE E GLI ACCORGIMENTI MESSI IN
OPERA PER QUESTA AFFERMAZIONE
Per raggiungere gli obbiettivi che ci eravamo posti, è stato necessario escogitare man mano soluzioni in grado di permetterci di superare le difficoltà
che insorgevano e cogliere gli spunti da osservazioni quasi casuali.
Ad appena un mese e mezzo dall’apertura del primo locale, avvenuta nel
maggio 2003, si manifestò un primo grosso problema: il gelataio che curava
la produzione si infortunò in un incidente stradale e noi due soci ci trovammo
a dover sacrificare il sonno per non interrompere sul nascere questa appassionante avventura, andando in negozio a produrre il gelato durante la notte,
svolgendo durante la normale giornata lavorativa i nostri rispettivi mestieri
(all’epoca l’enologo e il manager).
Volendo impostare l’impresa sull’esclusiva vendita diretta nei propri negozi
che nel tempo si distribuirono in vari Paesi, risultò evidente che era determinante risolvere il problema della scelta di personale bravo e, nel contempo, evitare che sfruttasse le competenze acquisite per mettersi in proprio.
Si decise così di scindere le fasi di lavorazione in due: la prima, cioè la miscelazione degli ingredienti, eseguita esclusivamente nella sede piemontese di
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GROM: STORIA DI UN’AMICIZIA, QUALCHE GELATO, MOLTI FIORI.
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Mappano di Caselle, mentre la seconda fase - cioè la mantecazione delle miscele - è curata direttamente nelle varie gelaterie presenti ormai da New York
(sede aperta nel 2007) a Parigi (2008) al Giappone (2009), giungendo ad impiegare circa 600 dipendenti.
Fra gli ingredienti, oltre alla frutta, è essenziale la qualità di uova e latte,
o meglio della panna (gusto fiordilatte), visto che per il gelato è necessario un
8-10 % di grasso e nelle fasi di lavorazione si deve ottenere una sua ottima
omogeneità, mentre il colore del latte può a sua volta rivestire interesse per
esempio per il “Fior di latte” che il mercato italiano chiede sia bianco mentre
il latte delle bovine di razza Jersey tende a conferire piuttosto una tonalità
avorio.
3 - ASPETTI FRUTTICOLI ED AGRONOMICI
A supporto dell’attività gelataia vi è l’azienda agricola Mura Mura: creata
a Costigliole d’Asti nel 2007, è passata dagli 8 ettari iniziali agli attuali 15 in
modo da poter produrre in proprio gran parte della frutta utilizzata nel laboratorio di produzione.
La scelta varietale è infatti basata su criteri diversi da quelli della frutticoltura intesa ad una produzione da immettere sul mercato per il consumo
fresco, perché a questo scopo sono considerate preminenti caratteristiche
quali la dimensione del frutto (grande, anche se non eccessiva), l’aspetto (colore della buccia, ecc.), la consistenza, la serbevolezza, mentre per la produzione di gelati e sorbetti sono prioritarie le caratteristiche aromatiche: intensità
e piacevolezza. Inoltre il contenuto zuccherino della polpa è meno interessante
dell’acidità, visto che lo zucchero viene comunque aggiunto nel corso della
lavorazione. Così i frutti piuttosto bruttini di un pesco coltivato ad Odalengo
piccolo su un terreno povero diedero migliori risultati rispetto ad una ‘Maria
Bianca di Volpedo’; analogamente la piccola ma profumata ‘Tonda di Costigliole’ del Saluzzese batte l’albicocca ‘Aurora’ di ben maggiori dimensioni.
L’azienda Mura Mura si trova in località Madonnina, in una valle ben ventilata; comprende una parte in dolce declivio, precedentemente vitata, ed una
di piano, più adatta alla produzione di fragole e meloni in rotazione.
Al momento protagonisti della produzione di Mura Mura sono 6 diverse
tipologie di frutta: Fragole (cultivar ‘Ciflorette’, ‘Annabelle’ e ‘Siria’), Meloni
(cv ‘Giorgio’, ‘Capitol’ e ‘Honey Moon’), Pere (‘Decana del Comizio’ e ‘Martin Sec’), Albicocche (‘Tonda di Costigliole’), Fico bianco ‘Dottato’ e Pesche
a pasta gialla (‘Maria Marta’ e ‘Kaweah’).
Prima dell’impianto dei fruttiferi nell’ex vigneto si è ricorsi a pratiche agronomiche tradizionali quali il riposo, il sovescio ed abbondanti letamazioni,
sufficienti a non evidenziare eventuali problemi di fitotossicità da rame. Queste misure del resto sono applicate anche nel piano dove, a fine raccolta delle
fragole, il suolo è lavorato, badando a non compattarlo; segue un sovescio autunnale e un abbondante apporto di letame ben maturo (80-100 t ha -1) prima
di procedere all’impianto dei meloni.
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GUIDO MARTINETTI
I contatti con altre realtà produttive si sono rivelati interessanti anche per
approfondire la conoscenza delle cultivar ed osservare quali pratiche agronomiche vi sono seguite in vista della qualità del prodotto: per esempio ad Hokkaido nel nord del Giappone le coltivazioni di melone sono curate con
interventi in verde analoghi a quelli che in Italia si considerano tradizionali
per il vigneto, quali la gestione della chioma con sfogliature, cimature ed esposizione della parete fogliare. Ovviamente cure particolarmente attente si ripercuotono sui costi, ma, in considerazione che proprio il costo del lavoro
incide fortemente, si tratta di ottenere i migliori ricavi a parità di impiego della
manodopera.
4 - CONSIDERAZIONE FINALE
Una delle caratteristiche delle gelaterie GROM è la stagionalità, per cui
persino il gelato con aroma moscato, che viene ottenuto ricorrendo al Moscato passito di Loazzolo, è prodotto e messo in vendita soltanto per poco
più di un mese.
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I RISCHI IGIENICO-SANITARI
NELLA FILIERA DEL GELATO
LUCA COCOLIN*
memoria presentata all’Adunanza del 6 luglio 2011
RIASSUNTO
Il gelato è un alimento con caratteristiche chimico-fisiche del tutto peculiari, che influenzano
notevolmente il suo stato igienico-sanitario. Un importante parametro che ne garantisce la
salubrità è la sua conservazione a temperature comprese tra i -15 e -18 °C, condizioni nelle
quali lo sviluppo microbico è bloccato. L’aspetto igienico-sanitario di un gelato è quindi la
risultante di un processo di trasformazione che deve essere eseguito attenendosi alle più
rigide norme di igiene, ma dipende pesantemente dalla qualità igienico-sanitaria delle materie
prime impiegate nella sua produzione. I rischi igienico-sanitari più rilevanti nella filiera di
produzione del gelato sono rappresentati da Salmonella spp., Escherichia coli patogeni, Listeria monocytogenes, Campylobacter spp. ed infine da virus. Essi rappresentano un problema
igienico-sanitario per il consumatore se vengono a contatto con il prodotto in seguito ad una
contaminazione post-produzione, in quanto i normali processi di trasformazione e produzione del gelato li eliminano. Particolarmente pericolosa è la presenza di agenti patogeni con
basse dosi infettanti, quali alcuni sierotipi di Salmonella ed i virus.
SUMMARY: The safety risks in the ice cream production chain
Ice cream is a food with chemical and physical characteristics quite peculiar and influencing
significantly its hygiene status. An important parameter which ensures its wholesomeness is
its conservation at temperatures between -15 and -18 °C, conditions in which microbial
growth is blocked. The ice cream hygienic aspect is therefore the result of a process of transformation to be performed using the most stringent hygiene standards, but that depends
heavily on the safety of the raw materials used in its production. The most important hygiene
risks in ice cream production chain are represented by Salmonella spp., Escherichia coli, Listeria monocytogenes, Campylobacter spp. and finally virus. They represent a hygiene problem
for the consumer if they become in contact with the product in the post-production, as the
normal processes of transformation and production of ice cream eliminate them. Particularly
dangerous is the presence of pathogens with low doses, such as some infectious Salmonella
serotypes and viruses.
RÉSUMÉ: Les risques sanitaires dans la chaîne d’approvisionnement des crèmes glacées
La crème glacée est un aliment avec des caractéristiques physiques et chimiques très particulières, qui influencent significativement son état d’hygiène. Un paramètre important qui
*Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali, Sezione di Microbiologia Agraria e Tecnologie Alimentari, Facoltà di Agraria, Università di Torino, Via Leonardo da
Vinci 44, 10095 Grugliasco, Torino, I.
E- mail: [email protected]
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LUCA COCOLIN
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assure sa salubrité est sa conservation à des températures entre -15 et -18° C, conditions dans
lesquelles la croissance microbienne est bloquée. L’aspect de l’hygiène est donc le résultat
d’un processus de transformation qui doit être effectué en utilisant les normes d’hygiène les
plus strictes, mais qui dépend fortement de la qualité sanitaire des matières premières utilisées
dans sa production. Les risques hygiéniques les plus importants dans la chaîne de production
des crèmes glacées sont représentés par Salmonella spp., Escherichia coli, Listeria monocytogenes, Campylobacter spp. et enfin par les virus. Ils représentent un problème d’hygiène pour
le consommateur s’ils viennent en contact avec le produit après sa production, parce que
les processus normaux de transformation et de production de la crème glacée les éliminent.
Particulièrement dangereuse est la présence d’agents pathogènes en faibles doses, tels que
certains virus et sérotypes infectieux de Salmonella.
1. INTRODUZIONE
Il gelato è un prodotto alimentare della tradizione italiana, che vanta una
notevole importanza a livello nazionale ed internazionale. I mastri gelatai italiani sono conosciuti in tutto il mondo e i segreti da essi custoditi sono molto
ambiti.
L’origine del gelato risale al XVII secolo, quando Francesco Procopio dei
Coltelli, un cuoco siciliano, riuscì a preparare la miscela che tutti noi conosciamo oggi. Egli introdusse alcune tecniche di refrigerazione presso le cucine
dei re di Francia prima, e in seguito presso il Café Procope di Parigi, dove veniva servita una grande varietà di gelati.
Il gelato è caratterizzato da una struttura fisica del tutto peculiare ed affascinante. Può essere definita come un’emulsione di grasso in acqua, nella cui
stabilizzazione svolge un ruolo fondamentale l’aria che durante il processo di
produzione viene inglobata nella massa, dando al gelato spumosità e morbidezza.
A seconda degli ingredienti impiegati, i gelati si dividono in: gelati alla
crema di latte se il latte o i suoi derivati sono presenti per almeno il 7 % in
grassi, l’ 8% in residuo secco magro, il 13 % in zucchero o infine il 32 % in
sostanza secca totale; gelati al latte contenenti il 32 % di sostanza secca totale;
gelati di frutta se composti da almeno il 15 % di frutta (10 % per gli agrumi),
il 18 % di zuccheri, il 28-31 % di residuo secco totale. Gli ingredienti principali del gelato sono: latte, panna, zucchero, uova, grassi vegetali, frutta,
frutta secca, cacao o cioccolato, caffè, ecc.
2. LA SICUREZZA IGIENICO-SANITARIA DEGLI ALIMENTI
Uno dei prerequisiti fondamentali che gli alimenti devono possedere al
fine di permettere una loro commercializzazione è la salubrità, intesa come
assenza di rischi igienico-sanitari per il consumatore. Questo concetto è stato
ben sottolineato e ampiamente utilizzato nella stesura della vigente normativa
europea in materia di sicurezza alimentare, scaturita da una serie di scandali,
come la diossina o la BSE, che hanno imposto una presa di posizione da parte
del legislatore europeo, il quale si è reso conto della inadeguatezza di leggi a
tutela della salute pubblica. Il pacchetto igiene, entrato in vigore il 1 gennaio
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I RISCHI IGIENICO-SANITARI NELLA FILIERA DEL GELATO
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2006, dispone che gli alimenti immessi sul mercato e a disposizione del consumatore debbano essere sicuri. A tale scopo esistono normative specifiche,
quali il Regolamento CEE 2074/2005 emendato dal Regolamento CEE
1441/2007 (Anonimo 2005; 2007), nei quali vengono riportati, per la prima
volta nella storia della legislazione alimentare, dei criteri microbiologici, intesi
come limiti che devono essere rispettati per unità di massa o volume. C’è da
sottolineare come la normativa vigente consideri un numero molto limitato
di microrganismi patogeni e la loro presenza in determinate matrici alimentari;
tuttavia essa rappresenta un’assoluta novità, che può far bene sperare nell’emanazione di altre leggi che riguardino altri patogeni ed altri alimenti (Cocolin et al., 2011).
È indubbio che l’operatore del settore alimentare si deve confrontare giornalmente con la presenza di microrganismi patogeni ed è per questo che si è
dovuto implementare un sistema di qualità tale da garantire la sicurezza delle
derrate alimentari.
Oggigiorno, la sicurezza microbiologica degli alimenti è garantita sia dall’implementazione di buone prassi igieniche e dall’analisi dei rischi e dei punti
critici di controllo (HACCP), come strategie di prevenzione, e testando la
conformità degli alimenti con definiti criteri microbiologici come misura di
controllo. Gli operatori del settore alimentare utilizzano l’analisi microbiologica per valutare le prestazioni dei loro sistemi di gestione della qualità (Jacxsens et al., 2009), mentre le autorità di controllo competenti utilizzano i test
microbiologici allo scopo di monitorare la situazione attuale e analizzare le
tendenze al fine di individuare dei rischi emergenti.
Nonostante gli sforzi effettuati a livello europeo in materia di sicurezza
alimentare, nell’ultimo rapporto dell’European Food Safety Authority e dell’European Council for Desease Prevention and Control (Anonimo, 2011) si
evidenzia come il numero di malattie a trasmissione alimentare non permetta
di definire tali malattie sotto controllo, anche se nel corso degli anni si è riscontrato un notevole cambiamento negli agenti patogeni responsabili. Negli
ultimi anni, infatti, Salmonella, che per gli ultimi 20 anni ha rappresentato il
principale microrganismo responsabile di patologie alimentari, è stato superato da Campylobacter, considerato come un patogeno emergente in paesi industrializzati.
3. ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ASPETTO IGIENICO-SANITARIO DELLA FILIERA DI PRODUZIONE DEL GELATO
Al fine di identificare i rischi associati ad un determinato alimento, è necessario prendere in considerazione due fondamentali aspetti:
- di quali materie prime è costituito;
- caratteristiche del processo di trasformazione.
La composizione chimica di un alimento è senz’altro una delle caratteristiche intrinseche che maggiormente influenzano la possibilità da parte di microrganismi patogeni di svilupparsi o meno. Essa influenza direttamente
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LUCA COCOLIN
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l’acidità, la pressione osmotica e l’attività dell’acqua di un determinato alimento ed è per questo che deve essere attentamente studiata per definire i rischi igienico-sanitari ad esso connessi. Ulteriormente, durante i processi di
trasformazione, spesso vengono applicate tecnologie che sfruttano le alte o
basse temperature, in grado di disattivare le cellule microbiche (alte temperature) o rallentarne la crescita, fino anche a bloccarla (basse temperature).
Nel caso del gelato, le materie prime utilizzate sono di origine animale o
vegetale a seconda della tipologia di prodotto. Esse devono essere di buona
qualità e se non rispettano gli standard qualitativi richiesti non possono essere
impiegate. Materie prime di origine animale sono solitamente sottoposte a
trattamenti termici che ne permettono la bonifica da microrganismi patogeni
(per esempio la pastorizzazione), mentre per quanto riguarda i prodotti di
origine vegetale sono indispensabili interventi di pulizia e sanificazione prima
dell’utilizzo. Una considerazione fondamentale che deve essere sottolineata
riguarda poi l’igienicità della produzione. Non è accettabile che il gelato sia
prodotto in condizioni non igieniche e per questo motivo devono essere rispettate tutte quelle norme che solitamente vengono definite come buone
prassi igieniche. Infine, il gelato viene normalmente conservato ad una temperatura compresa tra i -15 e -18 °C, condizioni in cui l’attività microbica è
bloccata.
Nel sopracitato Reg. CEE 2073/2005 sono contemplati dei criteri di sicurezza alimentare e di igiene di processo per quanto concerne il gelato. Nello
specifico, viene imposta un’assenza di Salmonella spp. in 25 g di prodotto,
mentre alla fine del processo di lavorazione il gelato non deve possedere una
carica di enterobatteri superiori a 10 unità formanti colonie (ufc) per grammo
o ml di prodotto (Anonimo 2005).
4. I RISCHI IGIENICO-SANITARI DEL GELATO
Ribadendo che se la qualità delle materie prime è ottimale e se si osservano
i requisiti di igienicità di processo, i rischi igienico-sanitari del gelato sono
estremamente limitati, i principali pericoli associabili agli ingredienti utilizzati
nella produzione del gelato sono i seguenti:
- Salmonella, Campylobacter, Escherichia coli patogeni, Listeria monocytogenes, per il latte e la panna;
- Salmonella per le uova, cioccolato e cacao;
- virus per la frutta fresca;
- micotossine per la frutta secca.
Un importante rischio igienico-sanitario dei gelati può essere rappresentato da agenti biologici con bassa dose infettante (Salmonella, Escherichia coli
patogeni e virus) (Jay et al., 2009).
5. CONCLUSIONI
Il gelato deve considerarsi un alimento sicuro dal punto di vista igienico-
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I RISCHI IGIENICO-SANITARI NELLA FILIERA DEL GELATO
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sanitario se vengono rispettate tutte le norme igieniche durante le fasi di produzione e conservazione. Le materie prime svolgono un ruolo fondamentale
nel contribuire alla qualità microbiologica del gelato e pertanto devono avere
una bassa carica microbica. Inoltre i processi di pastorizzazione e di successiva
conservazione a -15 °C non permettono lo sviluppo microbico. Un importante
rischio che deve essere sempre tenuto presente sono le contaminazioni postproduzione che potrebbero compromettere la sicurezza igienico-sanitaria del
gelato.
BIBLIOGRAFIA
ANONIMO - 2005 - Regolamento europeo No 2073/2005 del 15 Novembre 2005 sui criteri microbiologici degli alimenti.
ANONIMO - 2007 - Regolamento europeo No 1441/2007 del 5 Dicembre 2007 che modifica il Regolamento No 2073/2005 sui criteri microbiologici degli alimenti.
ANONIMO - 2011 - The European Union summary report on trends and sources of zoonoses,
zoonotic agents and food-borne outbreaks in 2009. EFSA Journal, 9, 2090- 2478.
COCOLIN L., RAJKOVIC A., RANTSIOU K., UYTTENDAELE M. - 2011 - The challenge of merging
food safety diagnostic needs with quantitative PCR platforms. Trends in Food Science & Technology, 22, S30-S38.
JACXSENS L., KUSSAGA J., LUNING P. A., VAN DER SPIEGEL M., DEVLIEGHERE F., UYTTENDAELE
M. - 2009 - A microbial assessment scheme to measure microbial performance of food safety
management systems. International Journal of Food Microbiology, 134, 113-125.
JAY, J., LOESSNER, M., GOLDEN, D.A. - 2009 - Microbiologia degli alimenti. Springer, New York,
USA, pp. 848.
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ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE:
GENOMICA E METAGENOMICA PER LO STUDIO
E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE
MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO
PAOLA BONFANTE*
presentata nell’Adunanza del 20 luglio 2011
RIASSUNTO:
Un corpo umano contiene dieci volte più cellule batteriche che umane e le centinaia di specie
diverse di batteri che tappezzano la nostra pelle e le nostre cavità non sono viaggiatori clandestini, ma regolano molte delle nostre funzioni. Costituiscono il Microbioma umano, una
delle sorgenti straordinarie di diversità individuale. Lo scopo della nota è di fare il punto sul
meno conosciuto Microbioma vegetale, analizzando, grazie alle nuove tecnologie di genomica
e metagenomica, gli invisibili microbi che controllano anche le funzioni dei vegetali. Particolare attenzione viene data ai funghi simbionti che sono tra i più importanti componenti
del Microbioma vegetale, anche in funzione delle prospettive che si aprono per un’agricoltura
che voglia rispettare l’ambiente in un contesto di sostenibilità.
SUMMARY: At the root of Agrobiotechnologies: Genomics and Metagenomics applied to Plant Microbiome
There are 10 times more bacterial cells in our body than human cells. The hundred of bacterial taxa which colonize all our orifices play crucial roles influencing many functions, helping us harness energy and nutrients from food and keeping our immune systems healthy.
They build up the so called Human Microbiota, which represent a novel source of specificity
at individual level. The aim of this short review is to explore the potential of the still not
well characterized Plant Microbiome. Thanks to the next generation sequencing techniques,
metagenomics and functional genomics approaches it will be possible to infer first principles
underlying the organization of plant-microbe communities. Special attention is given to
mycorrhizal fungi, which represent one of the most widespread components of the plant microbioma. Lastly, the perspectives offered by the use of such biofertiliser microbes will be
discussed in the frame of a more sustainable agriculture.
RÉSUMÉ: Aux racines des biotechnologies agricoles : génomique et méta-génomique pour l’étude et
l’emploi du Microbiome végétal.
Un corps humain a dix fois plus de cellules bactériennes que humaines et les centaines d’espèces différentes de bactéries qui recouvrent notre peau et nos cavités ne sont pas des voyageurs clandestins, puisqu’ils règlent beaucoup de nos fonctions. Ils constituent le Microbiome
Humain, l’une des sources extraordinaires de diversité individuelle. Le but de ce rapport est
*E-mail: [email protected] - Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi
dell’Università di Torino, Viale Mattioli 25, 10125 Torino, I.
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PAOLA BONFANTE
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une mise-au-point sur le Microbiome végétal qui est moins biens connu, en analysant - grâce
aux nouvelles techniques de la génomique et de la méta-génomique - les microbes invisibles
qui règlent aussi les fonctions végétales. Une attention particulière est réservée aux champignons symbiontes qui sont parmi les composants les plus importants du Microbiome végétal, en fonction des perspectives qui s’ouvrent ainsi pour une agriculture respectueuse de
l’environnement dans un contexte de durabilité.
1 - INTRODUZIONE
Un corpo umano contiene dieci volte più cellule batteriche che umane.
La scoperta pubblicata su Science nel 2005 da un gruppo americano di ricerca
della Standford University (Eckburg et al., 2005) dimostrò per la prima volta
che nell’intestino umano coesistono rappresentanti dei tre grandi regni del
vivente (Eucarya, Bacteria e Archaea). Quel primo lavoro, insieme con l’esplosione tecnologica e bioinformatica che ha caratterizzato la biologia molecolare
di questi ultimi anni, ha portato alla pubblicazione di molti contributi che
dimostrano che le centinaia di specie diverse di batteri che tappezzano la nostra pelle e le nostre cavità non sono viaggiatori clandestini, ma regolano
molte delle nostre funzioni (dall’accumulo di adipe sino all’immunità). Il
gruppo di Karen Nelson ad esempio ha dimostrato che le popolazioni batteriche che vivono nel nostro intestino sono essenziali nella degradazione di carboidrati che noi non siamo in grado di utilizzare (Gill et al., 2006).
L’aspetto sorprendente è anche quello energetico: i batteri con il loro metabolismo rimettono in gioco una considerevole quantità di energia che sarebbe altrimenti persa demolendo fonti per noi non accessibili. Il termine
“Microbioma umano” è quindi diventata parte dell’attuale terminologia
scientifica per definire l’insieme del patrimonio genetico e funzionale dato dai
microrganismi che vivono in un determinato ambiente. Esso rappresenta una
sorgente straordinaria di diversità individuale. Si viene infatti a creare uno
stretto legame tra nutrizione, capacità del microbioma di degradare i materiali
introdotti e lo stato di salute dell’individuo (Kau et al., 2011).
Un approccio basato sull’identificazione dei microbi attraverso metodi di
Metagenomica (Glossario) può offrire strumenti potenti per porre in modo
rigoroso alcune domande sulle relazioni tra genotipo umano, dieta e stato
nutrizionale, tra il complesso del microbioma e l’ospite umano, tra i loro metabolismi, e infine tra coevoluzione del microbioma e il sistema immunitario.
In questa direzione si sta quindi muovendo il National Institute of Health che
sta lanciando un imponente progetto, intitolato Human Microbiome Project,
che avrà lo scopo di analizzare i diversi microbiomi che caratterizzano l’uomo
(https://commonfund.nih.gov/hmp/).
Lo scopo di questa breve nota è di fare il punto sul meno conosciuto Microbioma vegetale.
2 - IL MICROBIOMA NEI VEGETALI
Lo scenario recentemente identificato nell’uomo e in alcuni animali ad-
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ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA
PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE
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domesticati apre molte domande, di cui la prima è: che cosa accade nelle
piante? Come possiamo verificare la presenza del microbioma nel regno dei
vegetali? Come possiamo caratterizzare gli invisibili microbi che controllano
anche le funzioni dei vegetali? Le nuove tecnologie di genomica e metagenomica (Glossario) che permettono di caratterizzare i cosiddetti microbiomi
umani possono essere applicate alle piante? Che prospettive si aprono per
un’agricoltura che voglia rispettare l’ambiente in un contesto di sostenibilità?
Lo studio delle interazioni tra piante e microrganismi è da sempre un settore cruciale in termini sia teorici sia applicativi, ma molto spesso esso viene
identificato con la Patologia Vegetale (Matta, 1996): lo studio dei meccanismi
molecolari che sono alla base delle reazioni di difesa, di resistenza o di suscettibilità delle piante ai loro patogeni è uno tra i settori più affascinanti della
biologia attuale (http://www.ismpminet.org/). Basti pensare che le piante sono
attaccate da organismi che appartengono a tutti i regni del vivente, dai procarioti ai funghi, agli animali, dimostrando che i meccanismi di patogenesi
hanno avuto una lunga storia evolutiva: questo aspetto - cruciale nel caso delle
piante coltivate - ha riflessi economici e sociali essenziali per la storia dell’umanità.
Anche se meno conosciute, le interazioni tra microrganismi benefici e
piante sono altrettanto importanti: da una parte alcuni microbi essenziali per
la nutrizione minerale (ad esempio i rizobi fissatori di azoto) sono conosciuti,
studiati e utilizzati da anni (Sprent, 2009). Dall’altra parte c’è un grande interesse per microbi, sia funghi sia batteri, che promuovono la crescita secernendo metaboliti o ormoni, fornendo micronutrienti per una migliorata
nutrizione minerale e aumentando la resistenza a stress biotici e abiotici (Iaccarino, 2006). Tali processi si svolgono per lo più nel suolo e hanno come
soggetto principale le radici e i microrganismi che vivono in una nicchia assai
ristretta e conosciuta come rizosfera (Glossario). Batteri e funghi rizosferici
influenzano la crescita della pianta rilasciando molecole bioattive e migliorando l’assunzione di nutrienti indispensabili alla pianta come azoto, fosforo
e zolfo. Conoscere il funzionamento del network di interazioni che si stabiliscono nella rizosfera richiede molte conoscenze, da quelle dei genomi degli
organismi coinvolti (piante, funghi simbionti, batteri), a quelle più ecologiche-sistematiche che descrivono il comportamento di queste associazioni tripartite e la loro variabilità al cambiare delle condizioni ambientali (fig. 1).
L’interesse di tale argomento è confermato dal fatto che l’Unione Europea
propone per il Settimo Programma Quadro dei temi che rispondono esattamente a queste domande: come è possibile usare dei microorganismi come
plant growth promoting bioeffector? Possono essi rappresentare un’utile strategia alternativa per la produzione intensiva delle piante coltivate? Gli aspetti
teorici sono da una parte sottolineati da pubblicazioni su riviste interdisciplinari quali Science: Rodrigo Mendes e i suoi colleghi (2011) dimostrano che i
ben conosciuti suoli soppressivi sono caratterizzati da un particolare microbioma rizosferico, in quanto i batteri dominanti mostrano specifiche capacità
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PAOLA BONFANTE
Fig. 1 - Il microbioma vegetale si concentra soprattutto sulle foglie (fillosfera) e attorno/dentro le
radici (rizosfera). Nel testo vengono illustrate alcune caratteristiche del microbioma che si localizza
nella rizosfera, dando particolare attenzione ai funghi micorrizici che nel disegno sono mostrati come
una rete grigia di micelio attorno alle radici.
di protezione delle piante contro eventuali patogeni radicali. Dall’altra parte,
la comunità scientifica è sempre più sensibile all’interesse di queste problematiche, come riflesso da un convegno (meeting) che sarà organizzato nel
2012 dal gruppo editoriale di New Phytologist e proprio intitolato “Functions
and ecology of the plant microbiome”.
3 - I FUNGHI MICORRIZICI SONO I PLANT GROWTH PROMOTING MICROBES PIÙ CONOSCIUTI
Tra le varie categorie di funghi, quelli micorrizici rappresentano un gruppo
particolarmente importante da un punto di vista ecologico perchè colonizzano
la quasi totalità degli ecosistemi terrestri. I funghi micorrizici sono microorganismi del suolo che entrano in simbiosi con le radici delle piante (Smith,
Read, 2008) stabilendo una simbiosi detta “micorriza”. Le associazioni piantafungo sono ampiamente distribuite nel regno vegetale: non solo sono presenti
nelle radici del 70-80 % delle piante da seme, ma anche nei gametofiti di molte
briofite e pteridofite, nonché negli sporofiti di queste ultime (Bonfante,
Genre, 2008; Smith, Read, 2008; Brundrett, 2009). La funzione ormai riconosciuta per queste simbiosi è che la pianta migliori la sua nutrizione minerale,
registrando un effetto positivo sulla sua crescita, e cedendo in cambio zuccheri
al fungo. Grazie alla simbiosi micorrizica, la pianta risulta essere più resistente
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a stress biotici o abiotici, aumenta la tolleranza alla mancanza di acqua o alla
presenza di inquinanti e porta a una riduzione della sensibilità ai comuni
agenti patogeni (Smith, Read 2008). Tuttavia, il termine micorriza è una sorta
di ombrello che copre molte e svariate tipologie di interazioni, tra le quali le
micorrize arbuscolari (AM) e le ectomicorrize sono sicuramente le più significative per le loro conseguenze sull’agricoltura e sulla forestazione.
Le associazioni micorriziche si trovano nella quasi totalità delle piante annuali e perenni. Circa i due terzi di queste sono piante erbacee appartenenti
a specie coltivate (per esempio, mais e pomodoro, oltre a tutte le leguminose)
e formano simbiosi con i funghi micorrizici arbuscolari (AMF) appartenenti
al phylum dei Glomeromycota (http://www.lrz.de/~schues-sler/amphylo/). In
particolare, le simbiosi AM aumentano la disponibilità di elementi minerali
(es. fosforo e azoto) per la pianta, controllano la qualità delle comunità vegetali
aumentandone la biodiversità e produttività e vengono perciò considerate dei
biofertilizzatori naturali. Sappiamo infatti che le piante micorrizate hanno
una duplice via per procurarsi il prezioso fosforo (fig. 2): da una parte lo assumono direttamente tramite i loro trasportatori presenti nelle cellule epidermiche radicali, dall’altra l’assunzione è indiretta in quanto mediata dai funghi
simbionti che sono caratterizzati da trasportatori del fosfato ad alta efficienza
localizzati nel micelio extraradicale (Smith et al., 2011; Gomez Ariza et al.,
2009). Una recente scoperta (Kiers et al., 2011) dimostra che tra le piante e i
loro funghi simbionti si stabilisce un livello di cooperazione così raffinato che
la pianta seleziona - tra quelli presenti nella rizosfera -i funghi AM più efficienti e cooperativi nel cederle il prezioso elemento.
In un momento in cui le fonti naturali di fosfato stanno diminuendo in
modo sensibile (Gilbert, 2009), mentre l’uso dei fertilizzanti continua ad aumentare per mantenere alto il livello di produttività, i funghi AM assumono
un crescente interesse nell’ottica di promuovere una agricoltura sostenibile,
basata fondamentalmente sulla limitazione dei fertilizzanti, sul rispetto degli
equilibri microbiologici e sulla conservazione della struttura del suolo.
4 - IL CONTRIBUTO DELLA GENOMICA E DELLA GENOMICA
FUNZIONALE
La genomica è un ramo del sapere che sta offrendo soluzioni a problemi
che sorgono nei settori più disparati, dalla salute umana all’ambiente, dall’agricoltura alle sorgenti biologiche di energia. I milioni di geni e proteine
che si vanno man mano scoprendo grazie al sequenziamento di comunità microbiche che vivono negli oceani o nel nostro corpo, di animali estinti o di
importanti piante (riso, pioppo, vite) hanno rapidamente cambiato alcuni settori della biologia, passando attraverso la medicina, la microbiologia, la genetica e la biologia vegetale. Come conseguenza, alcuni temi di ricerca possono
ora essere affrontati secondo ottiche del tutto innovative. Ma decifrare un genoma, presupposto essenziale per lo sfruttamento delle informazioni in esso
contenute, non è facile.
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Fig. 2 - Lo schema illustra come l’assunzione del P segua una duplice strada nelle piante portatrici
di funghi micorrizici arbuscolari (AM). Da una parte la pianta esprime i suoi trasportatori di P (qui
illustrati usando la terminologia per Solanum lycopersicum): LePT1 e LePT2 che sono espressi
nelle cellule epidermiche. Nelle radici micorrizate il fungo attiva il suo trasportatore (GmosPT)
che gli permette di assumere il P dal suolo e di convogliarlo sotto forma di granuli di polifosfato
dentro la corteccia della radice dove il P è rilasciato alla pianta. Qui vengono attivati dei trasportatori vegetali la cui espressione è particolarmente innalzata nelle cellule che ospitano gli arbuscoli
(LePT3, LePT4, LePT5). In altre piante, come Medicago truncatula, l’espressione del suo trasportatore MtPT4 è esclusiva delle cellule arbuscolate (ridisegnato dalla tesi di dottorato di Jorge Gomez
Arisa, Ciclo XXII, 2010).
In un progetto di sequenziamento genomico, successivamente alla fase di
sequenziamento ed annotazione (annotazione automatica rilasciata e annotazione manuale, che sono fasi essenzialmente bioinformatiche), l’attenzione si
focalizza ad esperimenti mirati alla caratterizzazione e alla ricerca della funzione biologica delle sequenze di DNA trovate nel genoma, andando così a
trovare una conferma sperimentale delle analisi bioinformatiche (fase di postgenomica).
A differenza dei funghi ectomicorrizici Laccaria bicolor e Tuber melanosporum, il cui genoma è stato sequenziato recentemente (Martin et al., 2010),
la strada per sequenziare un fungo micorrizico si è dimostrata molto più in
salita di quanto si immaginasse (Martin et al., 2008). Il progetto di sequenziamento di Glomus intraradices iniziato nel 2005 non si è ancora concluso, anche
se alcuni dati sulle sequenze espresse danno un quadro preciso del suo metabolismo (Tisserant et al., 2012). Inoltre il completamento del genoma di un
endobatterio, Candidatus Glomeribacter gigasporarum, che vive dentro il fungo
AM, Gigaspora margarita, ci ha permesso per la prima volta di capire come
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ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA
PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE
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batteri con un genoma limitato siano strettamente dipendenti dal fungo, a sua
volta simbionte obbligato dalla pianta (Ghignone et al., 2012). In questo
modo siamo in grado di rivelare come le interazioni nutrizionali tra tre regni
diversi (piante, funghi, batteri) creino dei complessi network di segnalazione
e funzionamento.
Capire i meccanismi alla base dell’interazione tra funghi AM e piante
ospiti significa anche decifrare il funzionamento delle cellule sito degli scambi
tra pianta e fungo. Le moderne piattaforme tecnologiche permettono di studiare l’espressione globale dei geni di un individuo (ad esempio di una pianta
in determinate condizioni). Attraverso l’uso di microarray (Glossario) abbiamo dimostrato come una pianta di Lotus, una leguminosa modello, risponde alla presenza dei funghi AM regolando nella radice l’espressione di
più di 500 geni (Guether et al., 2009a) e che molti di questi codificano per
proteine coinvolte nel trasporto di P, N, ammonio e amminoacidi (Guether
et al., 2009a,b, Guether et al., 2011). Inoltre la possibilità di usare una tecnica
assai sofisticata (Laser microdissector) che permette di studiare popolazioni
omogenee di cellule dimostra come le cellule in cui il fungo forma arbuscoli
(le strutture ramificate tipiche dei funghi AM) sono probabilmente quelle che
esprimono il maggior numero di geni di trasporto, confermando l’ipotesi che
le cellule arbuscolate siano la sede più importante degli scambi tra i due partner (fig. 3).
Fig. 3 - Lo schema illustra come il fungo AM (in blu) colonizzi la radice della pianta ospite formando
delle strutture ramificate (gli arbuscoli) nelle cellule più profonde della corteccia. Le analisi di trascrittomica condotte usando cellule arbuscolate (riquadro in alto) e confrontandole con simili cellule
parenchimatiche non colonizzate (riquadro sotto) dimostrano che molti geni della pianta che codificano per trasportatori di ammonio, di fosfato, di aminoacidi, e di zolfo sono localizzati sulla membrana periarbuscolare che avvolge il fungo. Grazie a questi trasportatori, la cui funzionalità è stata
dimostrata, la pianta prende gli elementi minerali dal fungo e li usa per il suo metabolismo.
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PAOLA BONFANTE
5 - FUNGHI AM: DAL LORO RICONOSCIMENTO IN NATURA
ALL’APPLICAZIONE IN CAMPO
Se da una parte conoscere le basi cellulari, molecolari e fisiologiche delle
interazioni piante/funghi AM è essenziale per capire come sviluppare strategie
di applicazione di questi benefici biofertilizzanti, dall’altra è anche importante
studiare la distribuzione, la composizione e la dinamica delle comunità
fungine AM nel suolo. Sappiamo infatti che normalmente le piante in condizioni naturali sono micorrizate, ma che le normali procedure agronomiche,
come i trattamenti con pesticidi, diserbanti, fertilizzanti, tendono a far
diminuire la biodiversità dei funghi simbionti, anche se normalmente essi persistono sia nel suolo sia nelle radici.
È ben noto che l’ effetto benefico dei funghi AM è tanto maggiore quanto
più elevata è la loro biodiversità in quanto la presenza di più generi o famiglie
garantisce un tasso più alto di tratti funzionali (Gamper et al., 2010), mentre
il concetto che la pianta possa selezionare il fungo più cooperativo nei suoi
confronti (Kiers et al., 2011) è un concetto del tutto nuovo. Su queste basi
diventa pertanto importante conoscere il capitale genetico offerto dai funghi
AM prima di intraprendere azioni di rinforzo con l’uso di inoculi microbici.
Lumini e coll. (2010) hanno utilizzato i valori dell’indice di Shannon-Wiener
per una stima della biodiversità dei funghi AM presenti in un sito mediterraneo caratterizzato da un gradiente di uso del suolo (vigneto lavorato, vigneto
inerbito, erbaio, pascolo, formazione forestale a Quercus suber - sughereta):
la biodiversità maggiore si trova nel pascolo, che ha un carattere più naturale,
mentre quella più bassa si registra nell’erbaio, che è sottoposto annualmente
a pratiche agronomiche. Un altro dato significativo che emerge è il tasso di
funghi AM trovato nel vigneto inerbito, superiore rispetto a quello del vigneto
lavorato. Questo risultato suggerisce come attività agronomiche poco perturbanti, inclusa la rotazione colturale e il mantenimento della copertura vegetale,
predispongano il suolo a preservare ed incrementare il suo “capitale genetico”
di funghi AM.
Il valore dell’indice di Shannon-Wiener ottenuto nella formazione forestale
a Quercus suber è risultato essere il più basso in assoluto. Questo non stupisce
se si considerano le caratteristiche ecologiche della sughereta che è colonizzata
prevalentemente da altri simbionti fungini, quelli ectomicorrizici. Infatti è
noto che la presenza di specie arboree e arbustive determina la sostituzione
delle comunità fungine endosimbiotiche (AMF) con gruppi micorrizici aventi
altre peculiarità.
Progetti internazionali recentemente finanziati dall’Unione Europea, tra i
quali il progetto ECOFINDERS, http://ecofinders.dmu.dk/, in cui il nostro
dipartimento è coinvolto, hanno proprio come scopo principale quello di accrescere la comprensione del ruolo della biodiversità del suolo (intesa come
microbioma) nel funzionamento di ecosistemi agrari e naturali grazie alla metagenomica. Ci si aspetta quindi di avere presto nuove informazioni sui microbiomi associati alle piante e in particolare sui funghi AM. In un contesto
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ALLE RADICI DELLE BIOTECNOLOGIE AGRARIE: GENOMICA E METAGENOMICA
PER LO STUDIO E L’USO DEL MICROBIOMA VEGETALE
107
esclusivamente italiano, un progetto, Risinnova, http://risinnova.entecra.it,
finanziato dal Consorzio Ager e coordinato dalla dottoressa E. Lupotto del
CRA (Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura), avrà tra
i suoi scopi proprio quello di descrivere la complessità del microbioma del
riso, una delle piante più importanti per il benessere dell’umanità. Il programma di lavoro prevede ricadute di forte interesse applicativo con l’identificazione di batteri e funghi che sotto precise condizioni ambientali e di
coltivazione hanno un’azione benefica sulla crescita e produttività del riso.
La selezione dei microbi con migliori caratteristiche potrà portare a creare
nuovi inoculi da usare con funzioni di biocontrollo e/o nell’ottica di un risparmio delle risorse idriche.
Ma come passare da queste conoscenze teoriche all’applicazione? Già nel
1981 Hayman e i suoi colleghi suggerivano diverse metodologie per inoculare
piante di leguminose in campi in cui i funghi AM endogeni erano presenti.
Da allora sono state proposte molte nuove tecnologie; le ditte che producono
inoculi microbici (che contengono non solo funghi AM ma anche batteri) si
sono moltiplicate. Alcune di esse, basate in Europa, si sono unite in una federazione per omogeneizzare i servizi (http://www.symbiom.cz/?p=
femfip&site=en) e per offrire inoculi certificati di alta qualità, offrendo così
sul mercato molte affascinanti opportunità.
Sarà veramente cruciale capire come l’uso di questi inoculi di nuova generazione potrà permettere da una parte di usare al meglio le proprietà di biofertilizzatori dei funghi AM e dall’altra di realizzare un risparmio di
fertilizzanti, portando a una reale ricaduta economica nonostante il costo
della produzione dell’inoculo. Tali tecnologie non sollevano alcuna problematica da parte degli ambientalisti in quanto si basano su ceppi naturali, ma
dall’altra parte aprono il campo a molti nuovi problemi, non ultimi quelli dell’immissione nel suolo di ceppi esogeni e della comprensione di eventuali antagonismi tra i funghi endogeni e quelli presenti negli inoculi, la capacità di
questi ultimi di permanere nel terreno e la loro reale cooperatività nei confronti della pianta ospite.
Ma la sfida è importante e deve essere raccolta: coniugare Agricoltura con
Ricerca non è solo un esercizio teorico: apre nuovi scenari d’innovazione nel
rispetto dell’ambiente.
Ringraziamenti
Paola Bonfante ringrazia il Dr Jorge Gomez Ariza per aver fornito la base
delle figure 2 e 3 e la Dottoressa Maria Teresa Della Beffa per l’aiuto nella
compilazione della bibliografia. I fondi per la ricerca illustrata in questa nota
derivano dal progetto BIOBIT –CIPE http://www.biobits.di.unipmn.it e dal
Progetto Risinnova.
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108
PAOLA BONFANTE
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volume 2013_Layout 1 07/02/13 12.26 Pagina 140
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PAOLA BONFANTE
Glossario
Genomica è ramo della biologia molecolare – nato negli anni 80- che si
occupa dello studio del genoma degli organismi viventi: in particolare di struttura, contenuto, funzione ed evoluzione del genoma. È una scienza che si basa
sulla bioinformatica per l’elaborazione e la visualizzazione dei dati che essa
produce. La genomica sequenzia il genoma degli organismi fornendo mappe
genetiche e fisiche del DNA. La sequenza del DNA viene poi annotata, ovvero
vengono identificati e segnalati tutti i geni e le altre porzioni di sequenza significative, insieme a tutte le informazioni conosciute su tali geni. In questo
modo è possibile ritrovare in maniera organizzata ed efficace le informazioni
in appositi database, normalmente accessibili gratuitamente via Internet. Grazie al sequenziamento di diversi genomi è nata la genomica comparativa, che
si occupa del confronto tra i genomi di diversi organismi, nella loro organizzazione e sequenza.
Genomica funzionale ha lo scopo di identificare la funzionalità di un gene
specifico, rivelandone l’espressione differenziale rispetto ad una determinata
condizione fisiologica o patologica. Questa disciplina richiede diverse tecnologie: tra queste i microarray, l’uso di mutanti, la genetica inversa, la proteomica e la bioinformatica.
Metagenoma Rappresenta il complesso dei genomi di tutti gli abitanti microbici (coltivabili e non coltivabili) di un certo ambiente. La descrizione delle
sequenze ottenute da una determinate matrice (ad esempio, suolo, acqua, aria)
estraendo il DNA di tutte le comunità presenti in quell’ambiente evita il problema del prelevamento e coltivazione in laboratorio. Per quanto riguarda il
suolo, la metagenomica viene utilizzata per studiarne la fertilità, i cicli biogeochimici, oppure trovare nuove vie per il biorisanamento, o scoprire geni
per la produzione di nuovi enzimi e antibiotici.
Microarray - conosciuti anche come gene chip, chip a DNA, biochip o matrici ad alta densità - sono costituiti da un insieme di microscopiche sonde di
DNA attaccate ad una superficie solida come vetro, plastica, o chip di silicio
formanti un array (raggruppamento). Tali array sono usati per esaminare il
profilo d’espressione globale monitorando in una sola volta gli RNA prodotti
da migliaia di geni (spesso è tutto il patrimonio genetico di un organismo che
viene spottato nel microarray). I microarray sfruttano la tecnica di ibridazione
inversa, che consiste nel fissare tutti i segmenti di DNA (detti probe) su un
supporto e nel marcare invece l’acido nucleico che si vuole identificare (detto
target).
Rizosfera: dal greco rhìza=radice; sphàira=sfera, è la porzione di suolo
che circonda le radici delle piante. Grazie alla presenza di nutrienti rilasciati
dalle radici, la rizosfera è popolata da numerose componenti biotiche quali
ad esempio: microorganismi simbiontici, batteri benefici e patogeni, funghi
e nematodi.
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BIOTECNOLOGIE AGRARIE
BASATE SUI CONSORZI MICROBICI
PRIME OSSERVAZIONI AGRONOMICHE E QUALITATIVE
MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO
GIORGIO MASOERO* e di GIUSTO GIOVANNETTI
presentata all’Adunanza del 20 luglio 2011
RIASSUNTO
L’impiego di funghi endomicorrizanti e del consorzio microbico brevettato Micosat F (MF)
è stato verificato su alcune delle principali colture agrarie, nella duplice prospettiva di risultato quantitativo e di qualità finale espressa negli organi epigei. L’aumento produttivo è
stato mediamente pari a : +19 % nel mais trinciato, +12 % nelle spighe con brattee; +6,4
% nella granella; +13 % nel frumento; +11 % nel pomodoro ( + 6 % nella massa del frutto);
+11 % nel cetriolo; la differenza nello sviluppo delle piante di ulivo +8÷+20 %; nulla nel
melone. L’esame rapido ai raggi UV-Vis-NIR da 350 a 2500 nm delle foglie, delle parti florali
e dei frutti, associato all’analisi rapida con un Naso Elettronico (NE) per un totale di oltre
1400 analisi, ha dimostrato che le colture sottoposte al trattamento microbico si differenziano
dai testimoni, entro ciascun campo, con coefficienti R2 da 0,40 a 0,70, ma con oscillazioni
fra le diverse specie e prove. Il mais da foraggio e da granella, le coltivazioni di erbe aromatiche, la camelia, il melo (fiori e foglie), il melone, il cocomero, la loiessa, l’avena e il trifoglio
reagiscono fortemente al trattamento microbico. Il pomodoro è specie mediamente rispondente, mentre in una prima prova la medica e la veccia sono apparse poco rispondenti al
NE. In alcuni studi l’anticipazione fornita dalle analisi rapide con NIR e NE è stata pienamente confermata da analisi chimiche approfondite. Nel caso del moderno frumento ‘Blasco’
trattato con MF, un risultato sorprendente, bene anticipato dal NE, è emerso da una prova
di panificazione valutata mediante analisi sensoriale che ha giudicato il pane prodotto con
la farina di ‘Blasco’ trattato, buono come il pane sfornato con l’antica cultivar ‘Sieve’, assimilabile ad ‘Inallettabile’ e ‘Gentil Rosso’, ma affatto superiore al ‘Blasco’ testimone e al
pane comune.
SUMMARY: Agronomical and qualitative preliminary results of microbial consortiums
The use of arbuscolar endomycorrhizal fungi (AM) and of the patented microbial consortium Micosat F (MF) was observed on some major crops on a double perspective, to measure the quantitative response and in terms of final quality, expressed in the epigeal parts.
The quantitative response on average was : +19 % in cut up; +12 % in spikes with bracts
and +6,4 % in grains of the maize; +13 % in wheat grain; +11 % in total yield of tomato,
due to +6 % of the fruit mass; +11 % in cucumber; +8 to +20 % in the development of the
olive trees; null in melon a normal mycotrophic species. The rapid scan by UV-Vis-NIR rays
from 350 to 2500 nm of the leaves, flower and fruit parts, associated to a rapid examination
by an Electronic Nose (EN), for a total of more than 1400 analyses revealed that the cultures
*E-mail: [email protected]
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GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI
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submitted to the microbial treatments appeared different from the control samples, with
R2 values from 0.40 to 0.70 but with oscillations between the different species and run-test.
The maize for forage and grains, the aromatic plants, the camellia, the apple (flowers and
leaves), the melon, the water melon, the ryegrass Lolium, the oat and the clover are strongly
responsive to microbial treatment. The tomato was medium respondent while the alfalfa and
the vetch were lowly respondent, in a first EN test. In some cases the results of the rapid
methods were fairly corroborated by fine chemical analyses. In a special case the modern
wheat ‘Blasco’ treated by MF gave a surprising result, well predicted by the EN, in a breadmaking test: the trained panel appreciated the bread from the treated ‘Blasco’ flour as being
very similar and good as the bread obtained from the ‘Sieve’, an ancient wheat, which appeared quite similar to the ‘Inallettabile’ and ‘Gentil Rosso’ ancient wheats, most appreciated
compared to the ‘Blasco’ control and to the ordinary bread.
RÉSUMÉ: Premiers résultats agronomiques et qualitatifs de l’emploi de consortiums microbiens
L’emploi de mycètes endomycorhizants (AM) et du consortium microbien breveté Micosat
F (MF) a été suivi sur quelques unes des cultures principales dans une double perspective :
mesurer la réponse en termes de quantité et de qualité finales exprimées dans les parties aériennes. La réponse quantitative en moyenne a été: +19 % pour le maïs haché, +12 % pour
les épis avec bractées et +6,4 %, pour les graines du maïs; +13 % pour le blé; +11 % comme
production totale de tomates, en raison du +6 % pour la masse du fruit; 11 % chez le
concombre; de +8 à +20 % comme développement des oliviers; nul chez le melon, espèce
normalement mycotrophique. L’examen rapide aux rayons UV-Vis-NIR de 350 à 2500 nm
des feuilles, des parties florales et des fruits, en association avec un Nez Electronique (NE),
sur un total de plus que 1400 analyses rapides, a démontré que les cultures soumises au traitement microbien paraissent se différencier des échantillons témoins par un coefficient R2
de 0,40 à 0,70 avec des oscillations entre les différentes espèces et essais. Le maïs, les espèces
aromatiques, le camélia, le pommier (fleurs et feuilles), le melon, la pastèque, le ray-grass
(Lolium), l’avoine et le trèfle répondent fortement aux traitements. La tomate parait une espèce moyennement répondante tandis que la luzerne et la vesce répondent très peu, du moins
au premier test par NE. Dans certaines études, l’anticipation fournie par l’analyse rapide par
NIR et par NE a été entièrement confirmée par les études chimiques complètes. Dans le cas
du blé moderne ‘Blasco’ traité par le MF un résultat surprenant, bien anticipé par le NE, a
émergé de l’analyse sensorielle qui a considéré le pain fait avec de la farine de ‘Blasco’ traité
aussi bon que le pain cuit au four de l’ancienne ‘Sieve’, équivalent aussi à ‘Inallettabile’ et
‘Gentil Rosso’, et très apprecié par rapport au ‘Blasco’ témoin et au pain ordinaire.
1 - PREMESSA
Alla fine dell’Ottocento (1897) la Bayer, che allora si chiamava Fabenfabriken Vorm, Friederic Bayer & Co di Eberfeld, iscrisse al Registro Tedesco
dei fertilizzanti, col nome commerciale ALINIT, un prodotto nuovo, a base
di Bacillus subtilis, che permetteva di aumentare la produzione del grano fino
al 40 % (Kilian et al., 2000). La prima rivoluzione colturale fu determinata
dall’uso dei concimi azotati ottenuti con la tecnologia di sintesi dell’ammoniaca, brevettata nel 1909 da Haber e Bosch; secondo Standage (2009) la
concimazione azotata ha salvato la vita di almeno 4 miliardi di persone. La
seconda rivoluzione colturale fu basata sul miglioramento genetico dei cereali,
iniziato in Italia negli anni ’20, che fu denominata “verde” da William Gaud
(1968); essa ha consentito di incrementare le produzioni mondiali con ritmo
superiore a quello demografico e valse il Premio Nobel per la Pace 1970 a
Norman Borlaung, genetista americano, primo ibridatore di frumento nel
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BIOTECNOLOGIE AGRARIE BASATE SUI CONSORZI MICROBICI
113
Messico, che divenne divulgatore della nuova metodica in tutto il mondo
(Hesser, 2006).
Trascorso un secolo dall’esordio di ALINIT, negli USA il Bacillus subtilis
venne usato come conciante del seme con registrazione per sette colture ed
applicato a più di 2 milioni di ha. In Germania, FZB24® Bacillus subtilis è
stato utilizzato commercialmente dal 1999, principalmente per la concia della
patata; sperimentazioni agronomiche hanno rilevato incrementi produttivi
del 6,5 e 8,7 % a seguito di trattamento radicale e fogliare (Kilian et al., 2000).
Questo è stato l’avvio di una nuova rivoluzione colturale basata sulle biotecnologie microbiche applicate alla rizosfera e in prospettiva applicabili alla fillosfera: è appena l’esordio della Blue revolution, che valorizzerà
inimmaginabili risorse dell’agricoltura mondiale.
Ad oggi sono già disponibili osservazioni agronomiche e qualitative realizzate in Italia su alcune colture erbacee, a seguito di applicazioni di Micorrize
e di Consorzi microbici più elaborati.
2 - IL MICOSAT F (MF)
L’agricoltura biologica considera l’intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, promuove la biodiversità dell’ambiente in cui opera ed esclude l’utilizzo di prodotti di sintesi
(salvo quelli specificatamente ammessi dal regolamento) e di organismi geneticamente modificati. L’attuale evoluzione della PAC verso un c.d. greening,
per quanto ancora disarticolato e fortemente burocratico esso sia, intende
chiaramente valorizzare questa filosofia che mira ad un diverso modo di coltivare le piante e allevare gli animali. In quest’ottica opera, da un trentennio
ormai, la CCS Aosta S.r.l., piccola azienda situata in Comune di Quart, alle
porte di Aosta. La CCS Aosta è un’impresa agricola e biotecnologica privata
iscritta all’Anagrafe Nazionale Delle Ricerche (art. 63 e 64 del D.P.R. 11 Luglio 1980, 383) con il numero: N° 53949 UFF. L’azienda produce microrganismi per l’agricoltura e per le bonifiche ambientali da inquinamenti diffusi,
attraverso l’impiego di micorrize e batteri della rizosfera. La gamma di prodotti così realizzata prende il nome di “Micosat F” (MF). Per poter iscrivere
tale prodotto alla categoria “fertilizzanti”, CCS Aosta ha fatto aprire la finestra
“inoculo di funghi micorrizici” all’interno della categoria fertilizzanti. Inoltre
gli inoculi micorrizici vengono classificati come fertilizzanti utilizzabili in agricoltura biologica.
Nel 2008 la CCS Aosta S.r.l ha ricevuto la Menzione Speciale per la Migliore Cooperazione Internazionale, Premio Impresa Ambiente promosso dal
Ministero Ambiente e Tutela del Territorio, dal Ministero delle Attività Produttive e dall’Union Camere e Camera di Commercio di Roma per il progetto
“Mycor” di cooperazione internazionale che prevedeva l’utilizzo dei consorzi
microbiologici sulle tre più importanti colture della Regione di Lougà (Senegal).
Nel 2010 la CCS Aosta ha ricevuto il premio “Innovazione dell’Anno”
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GIORGIO MASOERO - GIUSTO GIOVANNETTI
nella Categoria “Nutrizione delle Piante” per la linea di prodotti Micosat F®.
Tale premio è stato conseguito a seguito di una ricerca di mercato su una preselezione di prodotti innovativi, condotta da “Agri2000” su 1.200 imprese
agricole tra settembre e ottobre 2010, con successiva selezione dei vincitori
finali da parte di un Comitato Tecnico.
Il prodotto brevettato come MF è una combinazione di microrganismi
micorrizanti del genere Glomus, di batteri c.d. helper appartenenti ai generi
Pseudomonas e Bacillus, di Attinomiceti del genere Streptomyces e di funghi
saprofiti del genere Trichoderma. La somministrazione del prodotto avviene
per via radicale, nelle piante erbacee per concia del seme o mediante microgranulatore, nelle arboree per inzaffardatura in vivaio oppure anche, nelle
piante adulte, per contaminazione di radici trattate meccanicamente.
3 - MATERIALI E METODI
Nel corso di una pluriennale collaborazione fra la CCS Aosta e il Consiglio
per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura (CRA) di Zootecnia, sedi
di Torino e di Caramagna Piemonte (Az. Il Merlino), si sono acquisite conoscenze sul mais, relative sia alla pratica agronomica sia alle caratteristiche
qualitative, sinteticamente rilevate con due metodi rapidi: il NIRS a fibre ottiche e portatile (LabSpec.PRO, ASD) e il Naso Elettronico (NE, PEN2, Airsense). In alcuni casi la determinazione rapida di biovariabilità fra gruppo
testimone (T) e gruppo trattato con MF è stata sottoposta a verifica mediante
analisi chimiche convenzionali. Nel presente lavoro il termine “micorrizato”
verrà usato impropriamente, in quanto non è stato dimostrato da test radicali
a sensitività e specificità note, che una simbiosi con i Glomus disseminati sia
effettivamente avvenuta.
È soprattutto grazie a questi risultati che la collaborazione fra CCS Aosta
e il CRA è proseguita nel Progetto nazionale “AMICO” teso alla valutazione
agronomica e zootecnica delle colture principalmente destinate all’alimentazione di animali da carne e da latte. In questa revisione delle conoscenze agronomiche, grazie ai contributi scientifici di vari Enti di Ricerca ed Università,
è possibile aprire una finestra sul panorama del miglioramento quantitativo,
con proiezioni sulle modificazioni qualitative ed aromatiche, delle derrate ottenute da alcune coltivazioni agricole trattate con i microrganismi.
4 - RISULTATI QUANTITATIVI
4.1 - Mais pianta intera e spiga con brattee
I rilievi sono stati effettuati in campo, in quattro repliche di cinque metri
ognuna, determinando la massa della parte epigea delle piante recise al colletto e delle spighe verdi rivestite di brattee. In due anni sono stati eseguiti 18
confronti MF verso T (tab. 1). La produzione (pianta intera) è stata mediamente pari a 24,0 ± 5,3 kg per T verso 28,5 ± 7,4 kg per MF (+19 %, P<0,03).
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Tab. 1 - Risultati quantitativi sul mais: massa della pianta intera e delle spighe vestite di brattee
(T = testimone; MF = Micosat F) .
La produzione in spighe con brattee è stata mediamente pari a 9,5 ± 1,5
kg per T ed a 10,7 ± 2,2 kg per MF, con aumento relativo del 12 % (P<0,05).
Riguardo alla sostanza secca, in una prova condotta nel 2008 al Merlino con
due trincee gemelle, l’insilato del mais T risultò maggiormente umido rispetto
al trattato (68,6 vs 60,5 %).
4.2 - Mais granella (14 % di umidità)
L’incremento apportato dalla concimazione microbica sulla granella raccolta in 24 parcelloni di 1600 m2 (tab. 2) è stato in media del 6,4 %
(P<0,0005), con deviazione standard elevata (±3,0 %), dunque con un coefficiente di variabilità (CV) del 47 % (Marocco, 2011).
Il CV delle pesate di granella oscilla intorno al 12 % ed è dunque nettamente inferiore al 30 % delle piante intere e al 20 % delle spighe verdi. Una
prova di ridotta concimazione (Marocco, 2010) ha confrontato sette tesi. (tab.
3). L’efficienza di utilizzo dell’azoto (EA), espressa in kg di mais (kgMais)
per kg di azoto (kgN) impiegato, evidenzia che la tesi MF ha incrementato
dell’8,5 % la produzione (tab. 3), con una EA di 77 di poco inferiore a quella
di 85 ottenuta dall’impiego di azoto-ritardato.
Tab. 2 - Produzione (t • ha-1) di granella di mais nel testimone (T) e nel trattato con concimazione
microbica (M) in prove realizzate dal Podere Pignatelli nel 2009-2010. Probabilità secondo il test
di Friedman.
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Tab. 3 - Produzione di granella di mais (Prod: t ha-1 al 14 % umidità) e di efficienza azotata (EA =
kgMais • kgN -1) nella prova di concimazione con e senza uso del MF.
4.3 - Frumento
Su di un prato stabile dissodato del parco di Racconigi, Migliorini et al.
(2011) hanno impostato una prova di coltivazione biologica a blocchi randomizzati (tre ripetizioni) nella quale alcune antiche cultivar di frumento sono
state poste a confronto con la moderna cultivar ‘Blasco’, quest’ultima con e
senza trattamento con MF. I risultati medi delle nove parcelle di ‘Blasco’ (tab.
4) evidenziano che nella tesi trattata (MF) il numero di piante per parcella è
inferiore dell’11 % (P<0,03) e le piante hanno raggiunto un’altezza minore
del 2 % (P<0,1); riscontri positivi sono emersi per l’indice di accestimento,
incrementato del 17 % (P<0,003), per la massa finale, aumentata del 15 %
(P<0,003) di cui un +13 % per la granella (P<0,02).
Tab. 4 - Risultati della prova di coltivazione di frumento ‘Blasco’ con e senza uso di MF, dati parcellari (0,25 m2), N = 9 cfr, probabilità secondo il test di Friedman.
4.4 - Pomodoro
Uno studio decennale di rotazione orticola biologica con uso di Micosat
F (Campanelli et al., 2009) ha evidenziato un incremento della sostanza organica nel terreno passata da 1,11 % a 1,50 % con un incremento di carbonio
organico di 2,27 g per kg di terreno. Nella rotazione convenzionale si è invece
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verificata una leggera diminuzione della sostanza organica passata da 1,21 %
a 1,16 %. I dati raccolti hanno messo in luce un incremento nella produzione
intorno al 10 % con MF. In uno studio più articolato sulla cultivar ibrida (F1)
‘Faino’ (Syngenta) si è riscontrato che il trattamento con MF o con le sole Arbuscular Mycorrizhae (AM) del genere Glomus non ha interagito con i livelli
irrigui V0, V50 e V100, mentre le due tesi micorrizate artificialmente non si
sono differenziate tra loro e sono risultate significativamente più produttive
verso T (tab. 5), con incrementi medi di 7,8 t ha-1, per la massa totale del raccolto (+11 %) e di 5,9 g per bacca (+6 %).
Tab. 5 - Risultati di prove di coltivazione di pomodoro con e senza uso di MF o uso di sole AM
(Arbuscular Mycorrizhae).
È interessante rilevare la dinamica del differenziale di crescita: in vivaio le
piante trattate hanno espresso una fortissima precocità, testimoniata dal raddoppio della biomassa al trapianto rispetto al testimone; la differenza si è poi
ridotta intorno al 13 % a metà ciclo. Sulle bacche peraltro non sono state rilevate differenze per le caratteristiche commerciali: solidi solubili (°Brix), sostanza secca e consistenza.
4.5 - Cetriolo
Colla et al. (2009) hanno sperimentato l’effetto di un inoculo commerciale
contenente spore di Glomus intraradices su cetriolo (cultivar ‘Ekron’) coltivato su sabbia, in ambiente alcalinizzato (pH 7,8) o normale (pH 6,0). I risultati produttivi hanno evidenziato un incremento dell’11 % nelle piante
trattate a causa dell’incremento nella massa media dei frutti. Nessuna differenza, statisticamente significativa, è stata riscontrata nel contenuto di sostanza
secca, pH ed acidità titolabile dei frutti.
4.6 - Ulivo
L’influenza positiva delle micorrize è stata dimostrata sperimentalmente
sia su talee di olivo in radicazione (Di Marco et al., 2002), che durante la loro
crescita in vivaio (Citernesi et al., 1998). Briccoli Bati e Godino (2002) hanno
condotto esperimenti su giovani piante impiegando substrato sterilizzato in
autoclave. L’inseminazione di 25 spore di micorrize del genere Gigaspora sp.
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ha promosso un forte lussureggiamento dei germogli e del sistema radicale.
In seguito gli AA hanno ripetuto l’esperimento includendo una tesi di terreno
non sterilizzato; al rilievo realizzato dopo 23 mesi il peso secco delle radici
delle piantine inoculate con Glomus viscosus su terreno sterile è risultato in
media del 30 % superiore rispetto al terreno naturale, e di dieci volte rispetto
al terreno sterilizzato e non inoculato.
In un’ulteriore prova su cinque cultivar (Tataranni et al., 2009) il testimone
è stato posto a confronto con il gruppo trattato con Micosat F e con due
gruppi inoculati con soli AM (Glomus intraradices e Glomus spp.). Al termine
di 18 mesi tutte le tesi inoculate hanno mostrato accrescimenti dall’8 al 20
% maggiori rispetto al testimone; il Glomus intraradices ha fornito i migliori
risultati.
4.7 - Melone
Secondo Campanelli e coll. (2009) le prove di inoculo del terreno con
MF, su melone, non hanno dato risultati produttivi significativi in quanto tale
pianta è normalmente micotrofica.
5 - RISULTATI QUALITATIVI
L’elaborazione chemometrica dello spettro elettromagnetico fra 350 e
2500 nm o dei tracciati NE consente di calcolare un coefficiente discriminante
R2 (calcolato in validazione incrociata con metodo MPLS, software WinISI)
fra i testimoni (T) e i trattati (MF).
Tale coefficiente va da zero a uno e può assumere due significati statistici
distinti, a seconda che si intenda stabilire la significatività di differenze fra le
medie dei due gruppi, oppure s’intenda stimare con precisione i singoli campioni. Un valore di R2 intorno a 0,5 indica una differenza consistente fra le
medie dei due gruppi a confronto, con una limitata sovrapposizione dei singoli
campioni; va osservato che questo indice, essendo quadratico, non indica polarità della differenza (un gruppo non è migliore dell’altro) esso rappresenta
solo la differenza globale; spetterà alle analisi tradizionali dare un senso concreto alle differenze; dunque il metodo rapido fornisce soltanto indicazioni
preliminari.
Quando si confrontino più di due gruppi si procede alla costruzione della
matrice delle distanze fra i gruppi, la cui diagonale è zero (ogni gruppo ha distanza zero da sé stesso) e da questa matrice può essere calcolato un dendrogramma (cluster) che esprime le relazioni reciproche fra le medie dei gruppi,
in uno spazio bidimensionale.
5.1 - Frumento
Con riferimento alla prova precedentemente citata (tab. 4), i valori dei rilievi fogliari con NIR in campo risultano essere strettamente correlati alla
massa totale della parcella (R2 0,80; fig. 1).
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Fig. 1 - Stima della massa della pianta alla mietitura a partire da NIR fogliare in campo.
In due prove il metodo rapido NIR è stato applicato a tre diverse parti
della pianta (tab. 6). L’effetto MF verso T è nettamente manifesto nel fusto,
con differenze rispettivamente pari a 0,70 e 0,63. Nelle radici la differenza è
apparsa ugualmente elevata (0,81 e 0,46). L’analisi NIR delle spighe vestite
ha indicato differenze meno consistenti.
Tab. 6 - Risultati del confronto fra MF e T (R2) in base allo spettro NIR di varie parti della pianta
di frumento alla mietitura: (n = numero di letture eseguite).
La prova di panificazione con antiche cultivar di frumento poste a confronto con ‘Blasco’ testimone e con una farina media di riferimento ha evidenziato (fig. 2) che la farina di ‘Blasco’, cultivar recente e più produttiva,
quando viene trattata con MF ha un comportamento analogo alle cultivar antiche, malgrado la maggiore produzione.
I dati ottenuti con l’impiego del NE (a sinistra) evidenziano una netta separazione in tre gruppi: uno, molto distanziato, per il ‘Blasco’ testimone e
la farina di riferimento (come atteso); uno per ‘Gentil Rosso’ e ‘Inallettabile’;
un terzo gruppo per ‘Blasco’ micorrizato e ‘Sieve’. Le distanze sono assai elevate e consentono una caratterizzazione dei singoli campioni. Secondo l’analisi
sensoriale (fig. 2 a destra) esistono tre gruppi principali: si conferma così la
somiglianza fra il ‘Blasco’ non micorrizato e la farina di riferimento. Il ‘Gentil
Rosso’ si avvicina all’‘Inallettabile’. Il ‘Blasco Micorrizato’ si approssima al
‘Sieve’ ed entrambi sono nettamente separati dalle altre 4 tesi. In questo caso,
grazie alla valutazione sensoriale, è possibile dichiarare non soltanto la diversità fra i gruppi ma anche la superiorità qualitativa del ‘Blasco’ MF verso T.
5.2 - Mais
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Fig. 2 - Dendrogramma medio dei 6 gruppi di pane in base all’esame del NE e all’analisi sensoriale.
In seguito alle prove di campo già riferite (tab. 1) si sono indagati 850 campioni ricavati da varie parti della pianta. Il NIR della brattea ha dimostrato
la maggiore differenza R2 (0,63) seguita dal NIR della spiga verde (0,50) e
della farina (0,32) (tab. 7). Il NE ha differenziato MF e T con valore R2 pari a
0,53. Tutti questi valori sono indicatori di sostanziali differenze fra le piante
trattate e testimoni, per composti sia primari sia secondari (Bartolini, 2008).
Tab. 7 - Risultati del confronto fra MF e T (R2) in vari tessuti di mais.
5.3 - Pomodoro
In collaborazione con tre produttori e con il CRA-ORA di Monsanpolo
(Campanelli et al., 2009) sono stati esaminati, tramite NIR e NE, 209 campioni
di bacche, foglie e radici derivanti da piante di pomodoro trattate con MF e
T ottenuti da quattro prove (tab. 8). Il metodo NIR mostra variabilità nella
discriminazione con reazioni al trattamento mediamente inferiori sulle bacche
(da 0,02 a 0,44) che sulle radici (0,18 e 0,31) e sulle foglie (0,18-0,48). I composti secondari sembrano invece esprimersi meglio con il NE (0,35 nella Prova
1 ed ancora 0,32-0,35 in altre 2 Prove) ma soprattutto nelle foglie (0,67).
Anche l’effetto di tre livelli irrigui applicati al pomodoro è stato evidenziato
dal NIR sulle bacche (0,57) e sulle radici (0,48).
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Tab. 8 - Risultati del confronto fra MF e T (R2) in vari organi di pomodoro.
In una prova precedente (Migliori et al., 2008) il CRA aveva studiato gli
effetti sulla qualità alimentare e nutraceutica di pomodorino tipo ‘Cherry’
della concimazione piena (100: N=140 kg ha-1; P2O5=100 kg ha-1; K2O=200
kg ha-1) o dimezzata (50: 50 %) o nulla (0) e del trattamento microbico (MF)
con relativi gruppi T. La composizione aromatica, con 43 composti identificati, è stata fortemente influenzata dal fattore MF. Infatti senza concimazione
(fig. 3) la tesi 0-T è risultata totalmente differente dalle altre 5, mentre il
gruppo 0-MF non è distante dalle altre tesi concimate al 50 o al 100 %.
Fig. 3 - Dendrogramma medio di 43 composti chimici analizzati in 6 tesi in colture di pomodoro,
con livelli diversi di concimazione (100; 50; 0 %) micorrizati (MF) o Testimoni (T).
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Fig. 4 - Dendrogramma medio di 43 composti chimici analizzati in 4 tesi in colture di pomodoro,
con livelli diversi di concimazione ( 100 %; 50 %) micorrizati (MF) o Testimoni (T).
Escluso il gruppo zero il fattore MF si è evidenziato in modo sensibile
maggiormente nel livello 50 % che nel 100 % (fig. 4). È ovvio che questa elaborazione globale non indica la polarità delle differenze; peraltro il contenuto
zuccherino (glucosio e fruttosio), di Licopene (trans e cis ) e il pH non hanno
manifestato variazioni, dunque la differenza proviene da 38 caratteristiche secondarie.
Giovannetti et al. (2011) hanno affrontato alcuni aspetti salutistici della
micorrizazione con G. intraradices in pomodori ‘Money maker’ coltivati in
vaso; sono emersi significativi incrementi dell’attività antiossidante (Licopene
+19 %), estrogenico/anti-estrogenica e in assenza di genotossicità nelle piante
Micorrizate. Variazioni positive e significative sono state rilevate nel contenuto
di alcuni minerali (Ca, K, Zn) e soprattutto del P che aumenta del 60 %,
mentre la biomassa era accresciuta del 19 %.
5.4 - Basilico
Una prova condotta con l’Università del Piemonte Orientale (Copetta et al.,
2006) ha confrontato i metodi rapidi NIR e NE con la Gascromatografia di
Massa per i 18 composti organici volatili (VOC, Volatile Organic Compounds)
presenti nel Basilico dolce (Ocimum basilicum L., ‘Genovese’), micorrizato con
tre specie di Glomus. I valori medi delle tre matrici di distanza sono risultati
0,59; 0,40 e 0,38 rispettivamente per NIR, NE e analisi chimica. L’elaborazione
mediante Cluster Hierarchical Analysis fa coincidere le immagini di NE e GasMassa con i gruppi T e G.m molto separati da Gi.ma e Gi.r (fig. 5). Il risultato
dell’analisi NIR appare ben discriminante, eliminando i falsi negativi e separando così i testimoni dai trattati. Ogni specie ha una propria impronta olfattiva
che corrisponde a strutture e composizioni fogliari differenti.
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Fig. 5 - Dendrogramma medio di 4 gruppi: Testimone (T), Glomus mosseae (G.m), Gigaspora
margarita (Gi.ma), Gigaspora rosea (Gi.r) in base allo spettro NIR delle foglie, all’aromagramma
del NE e alla determinazione con GCMS di 18 composti aromatici.
5.5 - Salvia e rosmarino
In un impianto di Rosmarino e Salvia nella Tenuta Cannona sono state
esaminate le foglie sia in campo, con il NIR portatile, sia in vaso di vetro, il
quale è servito anche per l’analisi con il NE (tab. 9).
Tab. 9 - Risultati del confronto MF e T in foglie di Rosmarino e Salvia.
Il rosmarino trattato ha manifestato forti differenze in base allo spettro
NIR (0,60-0,70), meno al NE (0,39). La salvia micorrizata invece si differenzia
meglio al NE (0,79) che al NIR (0,56-0,59).
5.6 - Camelia
Si sono esaminate con NIR e NE 10 foglie di camelie derivanti da piante
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allevate su terreno diversamente trattato: 1- Testimone, 2-Consorzio Microbico-CNR (Orto Botanico), 3-MF. In base alle distanze NIR (tab. 10) il
gruppo 3 si è separato maggiormente dagli altri due, i quali sono comunque
risultati differenti tra loro essendo pari ad 1 la sensitività (nessun falso negativo) e a 0,8 la specificità (fig. 6), per la presenza di testimoni, falsi positivi,
che sono ritenuti infetti, ma potrebbero anche essere campioni micorrizatisi
naturalmente.
Al NE il gruppo MF si è distinto per una maggiore intensità dei segnali rilevati sia in aria (atmosfera ossidante) sia in elio (atmosfera neutra).
Tab. 10 - Differenze all’analisi NIR delle Camelie.
Fig. 6 - Discriminazione dei campioni dei tre gruppi di Camelie: 1 (T), 2(CNR), 3 (MF) con il NIR
(°campione falso positivo; ®campione non classificato correttamente).
5.7 - Melo
In una piantagione di melo era stata osservata una forte differenza nei voli
delle api fra piante MF (numerosi) e T (scarsi). I petali dei fiori esaminati al
NE sono apparsi molto differenti (R2 = 0,65) ma anche le foglie esaminate
con NIR sono risultate differenti in pari misura (0,68).
5.8 - Foraggere
Il trattamento con Micosat F (MF) per 5 specie foraggere ha modificato il
profilo aromatico in 3 colture (Loietto, Avena, Trifoglio) e non l’ha modificato
in Medica e Veccia.
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5.9 - Melone e Cocomero
Campioni di frutta, foglie e radici di 14 meloni e di 8 cocomeri, sono stati
esaminati (tab. 11). Il NIR ha sempre indicato elevate differenze fra MF e T
tranne nella polpa, dove invece il trattamento è stato riconosciuto soltanto
con il NE.
Tab. 11 - Risultati del differenziamento MF verso T su Meloni e Cocomeri.
6. CONCLUSIONI
Considerando in primo luogo gli aspetti quantitativi, secondo GurianSherman, Senior Scientist della Union of Concerned Scientists (UCS), l’incremento nella produzione, ottenuto finora con il miglioramento genetico per
via transgenica, è in realtà modesto. Questo risultato è imputabile al fatto che
le rese potenziali, ottenibili in condizioni ottimali (intrinsic yield) non trovano
riscontro con i risultati di pieno campo (operational yield), in particolare nessuna cultivar transgenica Bt disponibile negli USA si è rivelata in grado di aumentare l’intrinsic yield più del 3-4 %.
In confronto, il miglioramento quantitativo ottenuto dall’uso dei composti
microbici micorrizanti appare superiore, in quanto il Micosat F ha determinato modificazioni importanti e di indubbio valore economico sulle colture;
in particolare per il trinciato di mais, ove ha prodotto in media un aumento
+19 % rispetto ai testimoni, il mais da granella (+9 %), il pomodoro (+10
%), il cetriolo (+11 %). Per altre colture (frumento, olivo, melone), i risultati
non sono probanti.
L’aroma delle piante, caratteristica fondamentale per il richiamo degli insetti, misurato dal NE è risultato largamente modificato dal trattamento microbico, con maggiore presenza di api sui fiori di melo e con minore attacco
della mosca sulle olive. Nel basilico tali differenze aromatiche riscontrate al
NE e al NIR sono state poi correlate a differenze dei composti chimici volatili
specifici delle foglie. I dati ottenuti dalle analisi con il NE e la valutazione sensoriale effettuata da un gruppo di esperti hanno evidenziato che: la cultivar
‘Blasco’ di recente costituzione, sottoposta al trattamento con Micosat F ha
fornito pane con caratteristiche fisico-sensoriali del tutto paragonabili a quelle
del pane ottenuto con tre antiche cultivar e significativamente migliore di
quello ottenuto dal testimone (‘Blasco’) non trattato e da una comune farina
da pane. Un significativo esempio di incremento qualitativo ottenuto con l’intervento della concimazione microbica con funghi micorrizanti.
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Questi risultati sono ancora limitati e lacunosi per un riscontro economico
a breve e media durata: stando ai prezzi del mais di febbraio 2011 (210 € t-1),
il costo del trattamento (120 € ha-1) si ripaga con un aumento nella produzione di 0,6 t ha-1. L’argomento non può che presentare interessi molteplici
da valutare in ulteriori studi applicativi, e anche di base, inseriti in un contesto
agro-zootecnico moderno, di massa e dinamico, che si proietti lungo le non
lineari direttrici del greening.
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QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA
INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ
IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO
MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO
LUCIANA QUAGLIOTTI* e di GIACOMINA CALIGARIS**
presentata a Vezzolano all’Adunanza del 18 settembre 2011
RIASSUNTO:
Schierano, piccolo villaggio agricolo astigiano (Italia nord-occidentale) caratterizzato da un
bellissimo paesaggio di boschi e vigneti, è citato già in diplomi imperiali del 1186. La passione
civica per salvare dal degrado il minuscolo paese con i suoi manufatti, le sue connotazioni
naturali, i suoi beni culturali, ha indotto gli abitanti a mettersi insieme per far funzionare le
cose. Su un arco temporale di circa 110 anni, da fine Ottocento ai giorni nostri, vi sono vari
esempi di questa azione comune: la costruzione di infrastrutture quali la pesa pubblica nel
1899, un tratto di rete fognaria tra il 1981 e il 1983, il restauro e la conseguente restituzione
all’uso pubblico di beni culturali: la chiesetta di San Sebastiano, tra il 2003 e il 2009, e l’archivio parrocchiale nel periodo 1997-2007.
SUMMARY: Initiatives of good wish in a village of the “Alto Astigiano”
Schierano, small farming village of Asti province(North-Western Italy) characterized by a
beautiful landscape of woods and vineyards, is already mentioned in Imperial diplomas of
1186. The civic passion to rescue from decadence this village with its artefacts, its natural
connotations, its cultural heritage, has led the people to get together to run things work.
Over a period of about 110 years, from the late nineteenth century to the present day, there
are several examples of this joint action: the construction of infrastructure such as public
weighbridge in 1899, a section of the sewer system between 1981 and 1983, the restoration
and the consequent restitution of cultural heritage to public use the Church of San Sebastiano, between 2003 and 2009, and the parish archives during the period 1997-2007.
RÉSUMÉ: Quatre histoires de passion civique, initiatives de bonne volonté dans un village de la
région d’Asti.
Schierano est un village agricole situé près d’Asti, au nord-ouest de l’Italie, dont on parlait
déjà dans des diplômes impériaux de 1186. Il jouit d’un paysage magnifique, riche en bois
et en vignobles de coteau. La passion civique a poussé ses habitants à se coaliser pour sauvegarder et valoriser les constructions, les caractéristiques naturelles et les richesses culturelles
*E-mail: [email protected] - [email protected] - Museo dell’Agricoltura del
Piemonte, Facoltà di Agraria dell’Università di Torino.
**E-mail: [email protected] - già Professore Associato di Storia Economica nell’Università di
Torino.
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de leur village. Parmi les exemples - choisis sur une période de 110 ans - de cette action
concertée par ses citoyens: la construction du poids public en 1899, d’une partie des égouts
entre 1981 et 1983, la remise en état de la petite église de Saint Sébastien entre 2003 et 2009
et la mise à disposition du public des archives paroissiales entre 1997 et 2007.
1 - PREMESSA
Con buona volontà: è questo lo spirito con cui, guardando al passato anche
molto lontano di un paese come Schierano d’Asti, riconosciamo che, semplicemente, è stato costruito molto di ciò di cui oggi disponiamo o di cui abbiamo goduto.
Ci ha colpite osservarlo e pensiamo sia utile rilevarlo, in un tempo qual è
l’attuale in cui comodità e servizi sono riconosciuti come diritti che la società
e per essa l’ente pubblico deve garantire a tutti indistintamente. Non sempre
è stato così e oggi la drammatica crisi economica che stiamo vivendo ci induce
a rivedere in senso più sobrio e responsabile gli stili di vita finora diffusi. E,
in particolare, a considerare di nuovo le cose di tutti come cose nostre, delle
quali, in qualche modo, dobbiamo prenderci cura senza pretendere di potercene soltanto servire.
Nelle piccole comunità, dove i rapporti si stabiliscono tra persone che si
conoscono e riconoscono da sempre, l’intento di mettersi insieme per far funzionare le cose, cui l’ente pubblico non riesce più a provvedere, non dovrebbe
essere difficile da ritrovare.
Sebbene il passato dei nostri paesi sia stato meno che idilliaco, anche per
la generale povertà di mezzi e di cultura, ora siamo spesso più soli, specie se
vecchi o malati; ma comunque tutti più ricchi, più capaci di informarci, di comunicare, di muoverci e di sapere.
È dunque possibile che questo ci porti alla consapevolezza della nostra responsabilità nel conservare e migliorare quanto di bello abbiamo a disposizione, in fatto di paesaggio, natura, beni culturali, ospitalità e ci induca a un
maggiore impegno, a piccoli gesti quotidiani per il benessere della comunità,
che è poi anche il nostro benessere. Si tratta in fondo di recuperare quei valori,
tra cui la buona volontà, che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto e che
erano tesoro forte del mondo contadino piemontese.
Le quattro storie che qui illustriamo e che rappresentano solo alcuni casi
particolarmente indicativi, si svolgono su un arco temporale di circa 110 anni,
da fine Ottocento ai giorni nostri e riguardano temi diversi: la costruzione di
alcune infrastrutture e, precisamente, della pesa pubblica nel 1899 e di un
tratto di rete fognaria tra il 1981 e il 1983; il restauro e la conseguente restituzione all’uso pubblico di beni culturali e, segnatamente, della chiesetta di
San Sebastiano, tra il 2003 e il 2009 e dell’archivio parrocchiale, nel periodo
1997-2007.
Come Incipit presentiamo alcuni significativi frammenti delle vicende della
comunità di Schierano che, sebbene nella sua lunghissima vita non sia mai
giunta a superare le poche centinaia di abitanti, tuttavia è portatrice di una
storia molto antica, epica, non marginale, ma misconosciuta.
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2 - SCHIERANO: FRAMMENTI DI STORIA
2.1 - Le notizie più antiche
Di Schierano si parla addirittura in diplomi imperiali del 11861 e la storia
di questo, che fu un paese feudale fino all’avvento di Napoleone, costituisce
un tutt’uno con la storia del Contado dei Radicati o meglio dei Conti di Cocconato e Radicate.
La saga familiare dei conti di Radicate prese avvio il 5 marzo 1186 con il
diploma d’investitura concesso dall’imperatore Federico di Svevia a Ottobono conte di Radicate e suoi consorti, de’ castelli e luoghi di Cocconato e
suoi cantoni (Cocconito), Robella, Brosolo, Tonengo, Aramengo, Moriondo,
Monteu, Torre Reale, San Sebastiano, Casalborgone, Trebea, San Siro, Castelvajro, Premiglio, Schierano, Marmorito, Passerano, Maynito, Macrobio,
Montaldo, Ceriaglio, Casalotto, Pietrapendola, Capriglio, Bagnasco, La Piovà,
Monte Cornigliano, Cerretto, Castelvecchio, Piovanato di Meyrate, Ponengo.
Queste terre in origine appartenevano ai Marchesi del Monferrato di stirpe
aleramica che ne avevano ricevuta l’investitura nel 1164 dall’imperatore Federico Barbarossa. A quel tempo Passerano, Primeglio e Schierano, località
di collina nell’area attraversata dall’alto corso del torrente Triversa, possedevano ciascuna un proprio castello infeudato ai signori di Passerano, vassalli
dei Marchesi di Monferrato.
Vent’anni dopo, questa signoria era stata scalzata dai conti di Radicate,
già signori di Cocconato che avevano preso il nome da una terra detta Radicata, situata sulla destra del fiume Po.
I Radicati signoreggiarono su un ampio territorio esercitando un potere
sempre più libero da altrui ingerenze, comprese quelle dei marchesi del Monferrato, anche sotto le varie dinastie che si susseguirono: degli Aleramici (metà
X secolo -1305) dei Paleologi, in linea diretta con gli imperatori d’Oriente
(1306-1533), dei Gonzaga di Mantova (1536-1708). Con l’investitura di Ottobono fu delegato ai conti di Cocconato l’esercizio della funzione giurisdizionale, e fu concesso loro il diretto dominio dei beni e redditi dei luoghi
dipendenti dagli oltre venticinque castelli enumerati.
La famiglia Radicati nel corso dei secoli ottenne ripetute conferme imperiali degli antichi diritti feudali. Il 3 novembre 12492 l’investitura concessa
dall’imperatore Federico II ad Allamano conte di Marmorito aggiunse nuovi
importanti privilegi a quelli fino ad allora goduti dai Radicati: creare notai,
esenzione dalla giurisdizione dei Vicari Imperiali, diritto di far battere moneta
da una zecca, “aurum et argentum cudendi et in formam pecuniae redigendi”.
1
Archivio di Stato di Torino (in seguito AST), Sezione I, Paesi, provincia di Asti, Asti-Cocconato,
mazzo12, fascicolo1, “ Diploma dell’Imperatore Federico d’investitura a favore di Ottobono
conte di Radicate”.
2
AST, Sez. I, Paesi, maz. 12, fasc.2, “ Copia dell’Investitura concessa dall’Imperatore Federico
II ad Allamano e suoi fratelli ed agli altri conti loro consorti”.
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Seguirono altre due conferme imperiali nel corso del XIV secolo e ben
quattro nei primi decenni del XVI; l’ultima investitura venne da Carlo V nel
1530 e confermò tutti i privilegi già concessi dai predecessori per i castelli e
feudi, beninteso, sempre citando il castello di Schierano.
La stirpe dei Radicati fu numerosa e non si perse nel corso dei secoli ma
diramò in più linee: il consortile dei Radicati si divise nei tre colonnellati di
Brozolo, di Robella, poi estinto, e di Casalborgone (Galli,1798; Spreti,1932;
Mola di Nomaglio,1993). Quest’ultimo si divise nelle linee di Passerano e di
Primeglio; quella di Passerano nella linea di Passerano e di Marmorito. Il consortile era retto da propri statuti. È rimasta traccia di quelli del 1260, 1278,
1342, 1352. Questi statuti costituivano una specie di confederazione tra feudoconsorti alla quale gli interessati erano liberi di aderire o no. Dopo il 1459,
anno della prima transazione con i Savoia, l’adesione divenne obbligatoria
compiuti i diciotto anni di età, pena la perdita del feudo. La confederazione
era retta da un podestà o capitano o rettore che amministrava la giustizia emettendo sentenze inappellabili.
Lo stemma della famiglia porta accanto all’aquila imperiale coronata, l’albero di castagno sradicato. I Radicati di Primeglio si fregiano del titolo di
conti di Cocconato col predicato di Primeglio e Schierano; i Radicati di Marmorito si fregiano del titolo di conti di Passerano, Cocconato, Capriglio, Primeglio e Schierano.
Nel contesto del Marchesato di Monferrato, il Comitato di Cocconato,
che nel tempo subì delle variazioni territoriali (si aggiunsero, Berzano, Montaldo, Piazzo, Villanova di Mondovì, Ticinetto, Pocapaglia e altre)3 (Spreti,
1932), formò una specie di stato cuscinetto nelle contese feudali che opposero
il Marchesato ai potenti vicini : il Comune di Asti , il Marchesato di Saluzzo,
i Visconti di Milano e, non ultimi, i Duchi di Savoia.
Con la casa di Savoia nel 1445 iniziò la “questione di Cocconato” in seguito al primo episodio di oblazione del feudo da parte degli eredi di Giovanni
di Cocconato dei conti di Radicati “per le porzioni a caduno spettanti dei castelli di Cocconato, Ticinetto, Marmorito, Primeglio, Schierano, Cerretto, La
Piovà, Bagnasco, Capriglio, Mainito”4. La pratica del feudo oblato era uno
strumento incruento di controllo del territorio perché cambiava i rapporti di
forza in maniera pacifica, senza sconvolgerne l’assetto: un signore locale cedeva terre, castelli e potere ai nuovi signori per poi riottenere tutti i propri
beni sotto forma di concessione feudale. La vecchia dinastia signorile conservava in pieno le sue capacità di agire autonomamente. Nello stesso tempo riconosceva la presenza di un potere superiore che poteva così coordinare e
condizionare la rete di dominazioni locali.
3
AST, Sez. I, Ivi, fasc. 3.2, “ Sentenza arbitramentale profferta da Bonifacio di Cocconato…”;
Ivi, maz. 13, fasc. 28, “Copia del Diploma dell’Imperatore Carlo V di confirmazione de’ privilegi
anticamente concessi…”.
4
AST, Sez. I, Paesi, Maz. 12, fasc. 11, “ Procura di Franceschino e Guidetto…”.
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Le ragioni di superiorità dei Duchi di Savoia sui conti di Cocconato poggiavano sul Vicariato Imperiale che era stato concesso da Carlo IV imperatore
a Amedeo di Savoia. Il titolo di Vicario Imperiale era stato ampliato con l’inserimento della clausola derogatoria nel 1503 da Massimiliano I al duca Filiberto II, suo genero il quale “pretese la stessa superiorità sopra i conti di
Cocconato che solevano avere li serenissimi Imperatori et Sacro Romano Impero
et che essi conti dovessero detto contado riconoscere da SA con il giuramento di
fedeltà”5.
I Radicati non erano affatto disposti a rinunciare alla loro autonomia e rivendicavano il loro diritto a mantenere il rapporto diretto che avevano intrattenuto nei secoli con il Sacro Romano Impero: “quei conti aborrivano
l’imperio che sopra loro pigliava il Duca di Savoia il quale procurava con vari
espedienti di ridurli in suo dominio”.
Allo stesso tempo i potenti confinanti, i Marchesi di Monferrato, il Vescovo di Vercelli, il Duca di Milano, ritenevano anch’essi di poter rivendicare
qualche diritto di sudditanza nei confronti dei Radicati.
“ La questione di Cocconato” che insorse in questo modo, ossia la “causa
della fedeltà dei Conti di Radicate ai duchi di Savoia”, assunse la natura di una
secolare questione legale6.
I nodi legali affrontati riguardavano la validità del diritto dei conti di Cocconato a alienare porzioni di feudo e diritti feudali, a ottenere investiture di
feudi dai duchi di Savoia ad opporsi al diritto del duca di Mantova e signore
di Monferrato di imporre la tratta doganale e la gabella generale sulle strade
che collegavano il territorio controllato dai Radicati con il Piemonte sabaudo
e con la Contea di Asti, soggetta ai Savoia dal 1531.
La Camera Ducale di Mantova, posta di fronte all’accerchiamento dei Savoia in questi territori (fig. 1), si mosse in difesa della propria posizione rivendicando il diritto di esigere la gabella generale (dazio all’importazione) e
la tratta foranea (dazio all’esportazione) sulle strade che mettevano in collegamento questo territorio con l’Astigiano e il Piemonte Sabaudo7.
Mantenne sempre le ragioni del Monferrato svolgendo la funzione di informatore, certo Francesco Scotia, titolare di una porzione del feudo di Pino
e Mondonio prossimi al luogo della contesa. Finalmente, nel 1584 le parti in
conflitto giunsero a una transazione che stabilì l’esenzione per i signori di Passerano: “con loro uomini e abitanti delle terre di Passerano, Schierano, Capriglio, Bagnasco e Marmorito per ogni sorta di robbe e bestie che condurranno per
5
AST, sez. I, Paesi, Maz. 14, Fasc. 10, “ Risposta dell’avvocato generale Bagnasco nella causa
della fedeltà de’ conti di Cocconato…”.
6
AST, sez. I, Paesi, Maz. 13, fasc. 1, “Transatione tra il duca Carlo Emanuele I, Percivale Pallavicino…”.
7
AST, sez. I, Paesi, Maz. 13, fasc.37 “Instromenti di transatione tra gli agenti per la Camera
ducale di Monferrato , li dacieri del dacito generale di quel Ducato…”; AST, Sez. 1^, Monferrato
Confini, vol. P, VI 1588.
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uso proprio et utile da detti territori. Gli uomini però dovranno prendere la bolletta che le si farà gratis, se però alcuni volessero far mercantia per introdurre o
estraere e transitare fuori di detti luoghi siano obbligati al pagamento”8.
La zecca godeva dell’esenzione totale. Tra gli immuni, tuttavia, non rientravano tutti i luoghi del comitato dei Radicati, per questa ragione, i loro uomini e robbe che transitavano da quelli parti erano assoggettati al pagamento
della gabella. Non solo, ma nella transazione si stabiliva che i Signori di Passerano dovessero addirittura chiudere al transito ogni strada alternativa: “i signori di Passerano non permettino ne abbiano a tollerare che alcuno passi ne
debba passare per altre strade nel territorio loro che resta infra le due strade comuni per dove si possi andare e venire in Asteggiana ne in Piemonte con qualsivoglia cosa obbligata al dacio, anzi debino abolire le strade che vi sono in
modo et di tal forma che non si possa ne andare ne venire da passeggeri che per
le due strade comuni specificate”9.
Ritenendo di essere stati danneggiati dalla transazione, i signori consorti
dei Conti di Cocconato ricorsero al tribunale sabaudo. Il duca di Savoia non
perse l’occasione per affermare la propria autorità: “sotto pretesto di essere Vicario Imperiale commise al suo Senato in Torino la cognitione di questa causa
fra li detti Conti e signori. Ne, le molte doglianze da essi conti di questa cognitione [i conti Radicati contestavano la competenza del tribunale sabaudo] alla
quale non si estendeva il suddetto vicariato imperiale poterono impedire che
non fosse finito il processo e data sentenza, con che si dichiarava che essi conti
non avevano potuto fare la suddetta transatione in pregiuditio di detti uomini.
Dopo che, passava voce che si dovessero anche spiantare i termini”10 .
Per non offrire pretesti ad un’ulteriore ingerenza del Duca di Savoia, i
consiglieri del duca di Mantova, signore del Monferrato suggerirono di mantenere ferma una linea prudenziale di comportamento: “dovessimo procurare
destramente di conservare il possesso di questo stato senza venire a detentione
di persone o robbe se non in caso si contravvenisse alli ordini di detto dacio”.
[un “poveruomo” di Passerano lamentò che andando a caricare il fieno nel
suo campo gli era stato confiscato il carro con i buoi dagli ufficiali del dazio
senza giusta causa, fatto che poteva essere causa d’ingerenza del Duca di Savoia]11.
La questione di Cocconato alla fine si risolse con un amichevole componimento tra le parti ormai stremate dal più che secolare contenzioso: l’8 febbraio 1586 fu siglato l’accordo tra i Conti di Cocconato e il Ducato di Savoia
davanti a un notaio. Con tale atto i Radicati si piegavano ai Savoia, giuravano
loro fedeltà e ottenevano in cambio il riconoscimento di tutti i diritti feudali
così com’erano stati concessi loro di tempo in tempo dagli imperatori del
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Sacro Romano Impero, compreso il diritto di battere moneta nella zecca di
Passerano. In verità, quest’ultima fu chiusa già dodici anni dopo dai Savoia,
con l’accusa di battere moneta contraffatta.
Fig. 1 - Pianta del 1584 con le vie di comunicazione verso l’Astigiano e il Piemonte sabaudo sottoposte ai dazi del Ducato di Mantova.
La questione di Cocconato alla fine si risolse con un amichevole componimento tra le parti ormai stremate dal più che secolare contenzioso: l’8 febbraio 1586 fu siglato l’accordo tra i Conti di Cocconato e il Ducato di Savoia
davanti a un notaio. Con tale atto i Radicati si piegavano ai Savoia, giuravano
loro fedeltà e ottenevano in cambio il riconoscimento di tutti i diritti feudali
così com’erano stati concessi loro di tempo in tempo dagli imperatori del
Sacro Romano Impero, compreso il diritto di battere moneta nella zecca di
Passerano. In verità, quest’ultima fu chiusa già dodici anni dopo dai Savoia,
con l’accusa di battere moneta contraffatta.
Le trattative furono condotte e l’impegno fu ratificato dal capitano Pallavicino del consortile dei conti Radicati. Questi accordi portarono alla nascita
della Contea-provincia di Asti, poi inglobata nell’organizzazione amministrativa dello stato sabaudo, nella quale entrarono Passerano, Marmorito, Primeglio e Schierano.
Nel XVII secolo l’intero territorio si trovò coinvolto nelle guerre di successione per il marchesato di Monferrato, 1614-15, e del Ducato di Mantova,
1627-30. Ci furono nella zona scontri tra gli eserciti imperiale e spagnolo fiancheggiati dai Savoia e l’esercito francese. I contendenti devastarono vari castelli tra cui quello di Passerano, forse anche quello di Schierano. La pace di
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Cherasco del 1631 pose fine al conflitto, confermando ai Gonzaga-Nevers il
possesso di Mantova e del Monferrato mentre i Duchi di Savoia ampliarono
il proprio controllo sulle terre della campagna piemontese.
2.2 - Dal XIX secolo
Durante il periodo napoleonico, in seguito all’annessione del Piemonte
alla Francia, il Comune di Schierano entrò a far parte dapprima del Dipartimento del Tanaro e poi, quando questo fu soppresso, del Dipartimento di
Marengo. Caduto il regime napoleonico nel 1814, i territori del Piemonte tornarono sotto i Savoia.
Intorno a quegli anni, nel 1818, troviamo la comunità di Schierano impegnata in una vertenza con quella di Primeglio avente per oggetto la casa comunale e la nomina del sindaco. Dalla corrispondenza intercorsa tra
l’Intendenza generale di Torino e quella di Asti emerge che “da gran pezza esisteva antipatia tra le popolazioni delle due piccole borgate di Primeglio e Schierano formanti nullameno che un sol corpo di comunità”12. L’accorpamento dei
due piccoli comuni durante l’occupazione francese aveva creato animosità
perché il maire risiedeva a Primeglio.
“L’ordine delle cose venne sovvertito” quando avvenne la distruzione della
casa comunale di Primeglio e la ricostruzione “ d’altra in quella di Schierano
con essersi però prevalso del materiale della prima”13.
Primeglio però non intendeva rinunciare alla sede comunale e, per riportare le cose nel primitivo ordine, il comune deliberò di acquistare dal conte
Vittorio Amedeo Radicati un fabbricato sito in Primeglio per il prezzo di Lp.
600 recuperando Lp. 300 dalla vendita a privati, Francesco e Paolo Ferrero,
della casa comunale di Schierano.
A fronte di tale delibera “si resero al solito opponenti li Giovanni Quagliotti
e Giacomo Roggero a nome delli particolari di Schierano”. Nel frattempo la
comunità di Primeglio mise nel causato e segnatamente nel bilancio di previsione del 1819 un’ulteriore somma di Lp. 200 per le “riparazioni richieste attorno detta casa del conte di Radicati” la di cui pubblicazione diede luogo ad
altra opposizione “delli predetti Roggero e Quagliotti”.
Vediamo quali furono le motivazioni degli opponenti al ripristino della
sede del comune nel paese di Primeglio: “espongono Giovanni Quagliotti e
Giacomo Roggero nativi di Schierano ed abitanti e a nome anche di tutta la popolazione di Schierano come procuratori per atto autentico rogato Chiesa, che
questa comunità di Primeglio- Schierano è composta di due separati e distinti
luoghi e la maggior popolazione e maggiori registranti abitanti nel comune sono
a Schierano. Che dopo stabilita l’amministrazione comunale, il Matteo Re di
Primeglio, attuale sindaco, ha sempre coperto la sudetta carica, possidente del
12
AST, Sez. I, Paesi, Primeglio, Maz. 24 (1818-1846), fasc.1, “Vertenza fra la comunità di Primeglio e Schierano per la costruzione della casa comunale e la nomina del sindaco”.
13
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piccolo registro di soli soldi 1:9:5:3:8, uomo settuagenario, imperioso e che al
menomo inconveniente e fallo commesso dagli abitanti di Schierano subito ricorre ai carabinieri, che a vece di sedare gli affari li inviperisce. Di più, insomma
la fa da prepotente cosa contraria all’Istruzione [dell’Intendenza] pei sindaci
del 23 aprile 1816 a preferenza dei sottonotati [Roggero e] di molto maggior
reddito, registro e possidenti, letterati, morali, ben veduti e più capaci a coprire
tal carica”14.
A dimostrazione della loro idoneità a ricoprire le cariche pubbliche rimandavano alla nota dei maggiori registranti prescritta dall’Azienda generale delle
Finanze nella quale compaiono due Giovanni Quagliotti, due Ferrero, un Giacomo Roggero decisamente più abbienti rispetto al sindaco in carica nativo
di Primeglio. I ricorrenti, tuttavia, pur avendo le qualità necessarie per essere
nominati sindaco, secondo quanto prescritto dall’Intendente Generale nelle
Istruzioni emanate a tal proposito, non erano prescelti a causa dell’esistenza
di un pregiudizio nei loro confronti da parte dell’Intendente Generale della
Provincia di Torino “… titolato feudatario di Primeglio [che], impegnato a proteggere e conservare l’animosità tra i due paesi da lungo tempo suscitata, porta
sempre sulla tabella dei candidati per essere nominati sindaci i particolari di Primeglio, quantunque di poco registro a preferenza de’ maggiori registranti…”15.
Nel 1819 l’Intendente Generale di Torino, tuttavia, insisteva sull’opportunità di procedere alla vendita della casa comunale di Schierano e all’acquisto
di quella di Primeglio. Non sono stati da noi rintracciati altri documenti sulla
conclusione della vertenza, ma ci pare interessante rilevare che in Schierano
si era formato un nucleo di borghesia rurale che aveva saputo approfittare
dell’apertura di nuovi mercati e del venir meno di antichi pedaggi con l’annessione del Piemonte alla Francia. Anche in questa campagna feudale sembrerebbe stesse avanzando timidamente un ceto medio che chiedeva maggior
rappresentanza nei centri di potere locale di cui l’antica feudalità, con la Restaurazione, intendeva, invece, riprendere il controllo. In effetti, tale Vincenzo
Quagliotti, nativo di Schierano, divenne sindaco dal 1849 sotto Carlo Alberto
e dal 1852 sotto Vittorio Emanuele II.
Successivi frammenti di storia ci mostrano il comune di Primeglio-Schierano in età Carlo Albertina (1833-35) impegnato nell’edificazione del muro
di cinta del cimitero.16 Da un lato, il vice sindaco, “mosso dall’interesse pubblico e animato da spirito di economia”, ma soprattutto per non tartassare “gli
stanchi e poveri contribuenti” cercava di far accettare all’Intendente provinciale di Asti, che doveva autorizzare la spesa, il progetto di costruzione in economia redatto dal misuratore locale. Dall’altro l’Intendente provinciale
spediva “sul luogo del luogo” ingegneri del Genio civile che facevano costo-
14
Ivi.
Ivi.
16
AST, Sez. I, Paesi, Primeglio, Maz. 24 (1818-1846), fasc. 2, “Cimitero di Primeglio e Schierano”.
15
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sissime vacazioni, naturalmente a spese del contribuente, per proporre piani
che “tenevano più all’abbellimento che al necessario e durata del lavoro” facendo lievitare i costi. Difatti, mentre la soluzione in economia veniva a costare
solo Lp. 300 “siccome i particolari gratuitamente s’incaricano di fare tutte le
condotte sul luogo e per le provviste dei materiali e mattoni ne ricavano abbondantemente dalla demolizione della rovinata chiesa del Monastero”, quella proposta dall’ ing. del Genio Civile saliva a Lp. 1000 “per la sola manodopera,
provvista della calce , e di alcuni oggetti; lasciata a carico della comunità quella
dei materiali e loro trasporto, non meno che le occorrenti escavazioni”. L’Intendente favoriva questa seconda soluzione per la maggior regolarità del piano
e soprattutto per “una maggior solidità nella costruzione del muro di cinta dovendo egli ben anco servire a sostegno del terrapieno su cui giace l’anzidetto
camposanto”, ma il vicesindaco obiettava che detta cinta “dovevasi formare
contro terra sospesa e dura che resistette da se sola centinaia d’anni sopra una
montuosità”, bastava quindi il muro da costruire in economia.
Nel 1846, il comune di Primeglio-Schierano divenne protagonista di una
complessa pratica burocratica per ottenere dall’Intendente provinciale l’autorizzazione ad alienare, mediante permuta o a trattativa privata a certo Antonio Bertelo, dieci tavole (380 m2) di terreno gerbido da utilizzare nella
costruzione del canale di un mulino necessario ai bisogni della comunità17.
Entrambe le condizioni di vendita apparivano vantaggiose e il Comune demandò la scelta della strada da seguire all’Intendente provinciale.
La pratica fu istruita presso l’Ufficio d’Intendenza di Casale che il 10 agosto concesse l’autorizzazione a “vendere senza forma d’incanti” sia perché era
il modo più spedito e conveniente, sia perché le 100 Lp. offerte dall’acquirente
eccedevano di molto il valore del terreno.
Il 22 ottobre, tuttavia “a compimento della pratica” l’Intendenza di Casale
chiese al comune di Primeglio-Schierano di “produrre una perizia giurata sul
valore dell’immobile a vendere o a permutare accompagnata da un’attestazione
giudiziale che l’utilità e convenienza di entrambi li proposti contratti comprovi”
per rispondere a una precisa richiesta della Segreteria Affari Interni alla quale
era stata inviata per l’approvazione sovrana. Il 20 novembre l’Intendente inviava al Consiglio di Stato tutta la documentazione scusandosi di “ aver creduto
di poter prescindere dal richiederla attesa la tenuità del valore dello stabile alienando e l’evidente utilità del contratto”.
Il 1° dicembre la pratica passava al Consiglio di Stato che, nell’adunanza
del 5 dicembre dava finalmente parere favorevole: “veduto colle annesse carte
l’intera relazione, sentito il Consigliere relatore [il Consiglio di Stato] opina
concorde possa S.M. degnarsi di autorizzare la proposta cessione a termini del
progetto di R. Biglietto”.
17
AST, Sez. I, Paesi, Primeglio, maz. 24 (1818-1846), fasc. 3, “Cessione di terreno a favore di
Antonio Bertelo”.
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Il 9 dicembre il R. B. andava alla firma del Re e il 14 veniva spedito all’Intendente di Casale e da qui al comune di Primeglio-Schierano.
La burocrazia sabauda aveva impiegato cinque mesi per autorizzare la vendita a licitazione privata di dieci tavole di terreno gerbido sebbene il prezzo
offerto fosse chiaramente multiplo del suo valore e chiara fosse l’utilità pubblica del suo utilizzo!
I frammenti di storia che abbiamo raccolto su Schierano aprono una finestra su un angolo di Piemonte poco conosciuto, sebbene dotato di forti caratteri tipici che ne definiscono l’identità: il bellissimo paesaggio di boschi e
vigneti, la densità storica e culturale.
La passione civica per salvare dal degrado il piccolo paese di Schierano
con i suoi manufatti e le sue connotazioni naturali, per valorizzarne le bellezze
paesaggistiche, i sentieri, le risorse agricole, le memorie, può trovare sostegno
non solo nel buon volontariato, ma anche in una concreta progettazione per
il rilancio turistico ed economico del territorio.
3 - LA “PESA PUBBLICA”
La pesatura pubblica è entrata nella storia del commercio per fornire un
servizio ai privati attraverso l’installazione di una bilancia capace di pesare i
mezzi pesanti e di determinare il peso netto delle merci. Con l’allestimento di
stadere a ponte in bilico note come bilici, bascùlle o bàscule, la pesa pubblica
assicurava ai privati un servizio di pesatura autentica e garantita dalla fede
pubblica nella sua esattezza.
Si trattava di una bilancia meccanica piana a un piatto e a bracci disuguali
per carichi voluminosi e pesanti. In Italia, fin dalla seconda metà dell’Ottocento divenne leader nel settore della costruzione di strumenti di pesatura la
“Officine Crotti spa” sorta a Campogalliano (Modena) nel 1860. La ditta acquistò fama in tutto il regno per la precisione dei suoi meccanismi di riduzione
a leva e per sessant’anni fu una delle poche aziende italiane in grado di fabbricare sistemi di pesatura meccanica di notevoli dimensioni.
Oggi Campogalliano è conosciuta come città della bilancia e ospita un
Museo della bilancia nel quale è conservata una stadera a ponte degli anni
quaranta del ‘900 restaurata e perfettamente funzionante con i levismi colorati
e visibili durante il loro movimento.
A Torino, sul finire dell’Ottocento operava la Società Anonima Italiana
delle Bilance Automatiche costituita con atti del 13 maggio e del 3 agosto
1887 per l’esercizio pubblico delle bilance automatiche di privativa Everitt
Percival in Italia e per la loro costruzione18. Il capitale sociale di L. 144.000
era stato interamente sottoscritto dagli avvocati Angelo Guastalla domiciliato
a Modena, Carlo Rodella di Torino, Giuseppe Sardi di Castellazzo Bormida,
Carlo Ravasenga di Torino, dagli ingegneri Domenico Ferrari di Torino, De-
18
AST, Sez. Riunite (in seguito SR), Atti di società, 1887, vol. 4, fasc. 46.
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metrio Diamilla Muller di Torino e dalla figlia di quest’ultimo, Giovannina
Muller Petti di Roma. Del capitale sottoscritto, L. 126.000 rappresentavano
il controvalore dei diritti della privativa industriale conferiti nella società dai
suddetti azionisti che li avevano acquistati da Everitt Percival in data 22 gennaio 1887. Il brevetto ebbe efficacia per quindici anni; pertanto la privativa
giunse a scadenza sul finire del secolo. In quegli anni sul mercato di Torino
operava la ditta “Costruzioni Meccaniche Luigi Caprile” che costruiva torchi
e pesi di ponte a bilico non solo in città, ma in vari comuni delle province piemontesi. Oltre a Schierano, di cui diremo in seguito, abbiamo notizia che la
ditta Caprile nel 1907-8 impiantò il peso pubblico del comune di Rosta in
Valle Susa.
In passato, anche il più piccolo comune rurale aspirava a possedere un
servizio di peso pubblico dal quale spesso prendeva il soprannome, una
piazza, “Piazza del peso”, o i locali che si affacciavano su di essa: “Panetteria
del peso”, “Bar del peso” e così via.
Con la legge del 29 marzo 1903 sulla municipalizzazione dei pubblici servizi, il servizio di peso pubblico fu elencato tassativamente tra le privative comunali (Allegato 1).
Prima dell’introduzione - il 1° gennaio 1973 - dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), esisteva il dazio sulle merci che transitavano attraverso i confini
comunali. Gli uffici preposti alla riscossione erano localizzati presso gli ingressi cittadini (porti, stazioni, vie principali) ed erano dotati di una bilancia
capace di pesare i mezzi pesanti e determinare il peso netto delle merci trasportate con conseguente applicazione della tassa. Abolito il dazio comunale,
le stadere a ponte in bilico esistenti continuarono ad essere utilizzate dalle
persone che effettuavano trasporto di merce sfusa come ricevuta del peso reale
trasportato. Oggi nelle grandi città esistono bilici di uso pubblico presso i
porti commerciali, i mercati generali, le cave di sabbia e così via.
A Schierano la costruzione di un peso di grandi dimensioni per uso pubblico (figg. 2 e 3) avvenne nel 1899, su iniziativa di privati possidenti che, a
tale scopo, costituirono una società anonima. Il capitale complessivo, presumibilmente di L.1887,50, fu suddiviso in azioni nominative da 25 lire. (figg 4,
5 e 6) Nel documento originale (fig. 7) il capitale complessivo ammonta a L.
1887,50, cifra che corrisponde alla somma delle quote sottoscritte se non si
tiene conto della rettifica (-25) apportata alla quota di Giuseppe Massaglia.
La quota di maggioranza era detenuta dai proprietari di Schierano che
portavano il cognome Quagliotti con il 31,78 % del capitale; seguivano a distanza via via crescente i Massaglia con il 17,88 %, i Ferrero con il 15,89 %,
i Visca con il 13,24 %, i Bertello con il 9,2 %.
Diversi sottoscrittori conferirono beni: così come il terreno di Massaglia
Giuseppe e fratelli di tavole 2 e piedi 3 valutato in Lire 112,5. Oppure prestazioni d’opera. Omegna Giovanni e Massaglia Giacomo che, per le condotte
fatte dalle fornaci, una delle quali si trovava a Trofarello, percepirono rispettivamente L. 49,70 e L. 3; il fabbro Massaglia Giacomo di Isidoro, quest’ul-
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Fig. 2 - L’edificio in Via della Vittoria, attualmente.
Fig. 3 - Il braccio del peso, con il romano azionato a mano per la lettura.
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timo sottoscrittore di un’azione da L. 25, ricevette un primo acconto di L.
4,40 e altri due pagamenti rispettivamente di 30 e 45,60 lire; Massaglia Isidoro
di Teresa eseguì delle condotte d’acqua, da 8 e da 16 brente, pagate rispettivamente L. 0,80 e L. 1,60; Massaglia Giuseppe fornì un palo a L. 0,20.
La giornata di Ferrero Luigi e Visca Giovanni per lavori di manovalanza
fu pagata L. 1,50; a Ferrero Giacomo furono corrisposte L. 6,95 per prestazioni non precisate; Antonio Bertello per lavori di falegnameria percepì L.
4,25 e per la fornitura di legname L. 11, per gli infissi L. 8,20, infine L. 63 per
la fornitura di Mg 210 di calce; Ferrero Celestino procurò le travature, sovroni
e listelli per l’importo di L. 14 ma eseguì anche un viaggio di rena (sabbia)
per L. 2.
In totale L. 247,7 della spesa necessaria alla realizzazione del peso pubblico
fu affrontata in economia, poiché tornò ad alcuni sottoscrittori di quote azionarie come compenso per il contributo materiale fornito al compimento dell’opera.
Le spese esterne riguardarono i lavori edilizi per i quali il muratore Coffano Luigi presentò un conto di L. 170,65, un “muratore di Pino” di L. 16, il
muratore Saracco di L. 12. Il “tolaio” (lattoniere) Travvini presentò una notula
di L. 21,30 e il fabbro Musso di Castelnuovo di L. 8,65, il falegname Bartolomeo di L. 10, l’imbianchino Ferrario di L. 3,20 per “pintura”.
Veniva poi la fornitura del materiale edilizio per la quale fu pagata una
fattura di L. 152,30 alla fornace della Castagna, di L. 25,20 alla fornace della
“villa”, di L. 18,50 alla fornace di Trofarello, di L. 36 a Cerruti Giuseppe per
m3 9 di rena, di L. 1,60 per viti e vervelle.
Fu necessario dotarsi di un cavallo in Asti; tale spesa, comprensiva del
mantenimento, fu imputata in L.6,15. Le uscite di cancelleria ammontarono
a L. 18,25 per 1000 bollette, a L. 1,10 per quaranta polizze; in francobolli e
cartoline se ne andarono L. 1,05.
Il prezzo di una cartolina era di 10 centesimi.
Portate a termine le opere infrastrutturali collocate sulla via Maestra (attuale via della Vittoria) di Schierano, fu possibile piazzare il ponte a bilico che
venne fornito dalla ditta Luigi Caprile, al considerevole prezzo di L. 990 . Per
mettere in funzione il peso pubblico occorse la visita del verificatore dei pesi
e misure la cui parcella e bollo ammontarono a L. 30. La visita avvenne alla
presenza di Luigi Ferrero fu Giuseppe in rappresentanza degli azionisti.
Il servizio di peso pubblico fu aperto al pubblico in data 15 settembre
1898. A quel tempo in Schierano erano soggetti alla verifica dei pesi e misure
il calcinaio Bertello Antonio fu Antonio abitante nella via Maestra, ormai divenuta via del peso pubblico; il falegname Bertello Antonio di Quinto; l’oste,
rivenditore di commestibili e generi di privativa Bertello Quinto Cipriano fu
Antonio; Carossa Ambrogio fu Ferdinando; l’oste Daghera Carlo fu Vittorio;
il mugnaio Daghera eredi Gabriele fu Angelo; il sarto e gestore del caffè ristorante situato sulla via Maestra Gaiato Luigi fu Dionigi; il rivenditore di generi di privativa Massaglia Giacomo di Isidoro (figg. 8 e 9).
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Fig. 4 - La ricevuta dell’azionista Visca Giuseppe Calzolaio, Schierano, 8 novembre 1998.
Fig. 5 - Nota delle spese per il ponte a bilico.
Fig. 6 - Passivo totale nel 1899.
143
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Fig. 7 - Elenco dei sottoscrittori, proprietari di Schierano per erigere nel paese un peso a Bassa Cula.
Fig. 8 - Verifica Pesi e Misure del 1899-900 per il Comune di Primeglio Schierano, Mandamento di
Castelnuovo d’Asti, Provincia di Alessandria, Circoscrizione di Asti, 496 abitanti.
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Le verifiche di pesi e misure ripetute a cadenza annuale comportarono per
la società dei proprietari di Schierano, costituitasi per erigere nel paese un
peso a “bassa cula”, un onere fisso di L. 30.
Il peso pubblico restò in funzione per settant’anni, fino al 1968. È rimasta
memoria scritta della contabilità dell’ultimo triennio. Risulta, da essa, che la
società dei proprietari del peso pubblico di Schierano, per gestire il servizio,
aveva stabilito, in data 22 gennaio 1965, un accordo con la pesatrice, in base
al quale spettava alla medesima la metà dell’incasso delle bollette, conteggiato
in L. 100 cadauna.
Le spese da affrontare per la normale gestione erano numerose: dalle bollette della luce all’imposta fabbricati (nel 1965 L. 7582), dalle marche da bollo
(L.8 ciascuna) per le bollette, alla verifica del peso (3.734 L. nel 1967), ecc.
Le somme introitate con il servizio di pesatura consentirono ogni anno al
responsabile della gestione di depositare qualche residuo attivo sul libretto
postale, conservando in cassa una certa liquidità per far fronte alle spese.
Fig. 9 - Alcuni degli utenti di pesi e misure oggetto di verifica periodica a Schierano Primeglio: calcinaio, falegname, fabbro, oste, mugnaio.
3 - UN TRATTO DI FOGNATURA PUBBLICA
La costruzione della fognatura nel versante Sud Sud Ovest del paese (fig.
10) avvenne tra il 1981 e il 1983 con il concorso di ventuno proprietari d’immobili di Schierano che diedero il loro assenso al passaggio delle tubature
nelle loro proprietà e sottoscrissero il regolamento tra di essi concordato per
l’esecuzione dei lavori.
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Fig. 10 - Il versante sud sud-ovest di Schierano all’epoca dei lavori.
Fig. 11 - Un’escavatrice al lavoro per lo scavo necessario alla posa a dimora della tubazione. Inverno
1982-83.
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L’iniziativa popolare prese avvio l’8 febbraio 1981 con la sottoscrizione da
parte di diciassette proprietari di una petizione al Comune affinché fosse presa
in considerazione la necessità “inderogabile” di risolvere “in modo razionale
e igienico” il problema della raccolta e smaltimento delle acque reflue poiché
i proprietari di case non avevano modo di allacciarsi a una rete fognaria pubblica.
A giugno le adesioni erano salite fino a ventinove proprietari con ventiquattro firmatari. L’8 giugno, ventotto proprietari dei terreni in Schierano interessati alla fognatura in costruzione sottoscrissero una dichiarazione di
consenso alla posa in opera a un metro di profondità nelle particelle di loro
proprietà di tubazioni del diametro di 0,30-0,40 m, come da progetto presentato dall’ing. Tovo in data 10 maggio 1981.
Il primo novembre 1982 fu discusso e approvato il seguente regolamento
attuativo della costruzione di una rete fognaria sul versante ovest di Schierano:
1. “Il lavoro si fa a economia seguendo le direttive del progetto approvato
(29/10/81 e 8/3/82) dal Comune, e utilizzando la somma (28 milioni di lire
circa) di cui il Comune stesso ha deliberato la destinazione per la fognatura ovest
di Schierano
2. Per l’esecuzione dei lavori, chi può farlo, contribuisce con la propria mano
d’opera: uno dei presenti terrà esatto conteggio delle giornate di lavoro (bracciantile, da muratore, col trattore) eseguite da ciascuno
3. Chi non può contribuire direttamente con il lavoro, pagherà agli altri la
propria quota, le ore di lavoro verranno valutate a tariffa sindacale
4. Uno dei partecipanti all’iniziativa sarà responsabile della tenuta e dell’aggiornamento continuo dell’elenco delle spese. Tale elenco sarà disponibile per
la visione a tutti gli interessati
5. Le acque piovane non devono assolutamente essere convogliate nella fognatura. Pertanto ciascuno deve prevedere, nel proprio allacciamento, l’esclusivo
inserimento delle acque bianche e nere del proprio impianto
6. I singoli allacciamenti alla fognatura generale devono essere autorizzati
dal Comune e sono a spese dei singoli proprietari. Il diritto di allacciamento, all’inizio, sarà concesso gratuitamente a coloro che hanno contribuito alle spese
di costruzione dell’impianto generale. Per i successivi allacciamenti, il costo dell’acquisizione del dirittto per l’allacciamento stesso verrà conteggiato sulla base
delle spese affrontate per la costruzione dell’opera”.
All’inizio del mese di novembre 1982 presero il via i lavori (fig. 11); che,
dopo l’interruzione di dicembre, furono portati a termine nel gennaio successivo. Il prezzo orario del lavoro svolto fu stabilito in L. 5.000 per operaio, L.
10.000 per la motosega e L. 5.000 per il trattore. La spesa complessiva ammontò a L. 3.370.000 e fu sostenuta con il contributo versato da venticinque
famiglie.
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4 - RESTAURO DELLA CHIESA DI SAN SEBASTIANO
Le origini della piccola chiesa dedicata a San Sebastiano si perdono nella
notte dei tempi. Stando agli antichi verbali delle visite pastorali19che definivano sacellum o oratorio questo luogo di culto, sia la data della prima costruzione sia quella di consacrazione sarebbero ignote. Nella relazione del 20
agosto 160620, fatta redigere dal vescovo Ferrero, compare il primo e più antico riferimento all’esistenza in Schierano di una cappella di San Sebastiano e
di una cappella di San Rocco. L’edificio primitivo, costruito in luogo campestre grazie alle elemosine della comunità, era dotato di una sola navata, senza
cappelle laterali e recava affreschi alle pareti21. Le figure dipinte sui muri, in
particolare quella del santo cui era dedicata la piccola chiesa campestre, apparivano in cattivo stato di conservazione durante una visita successiva avvenuta nel 166722.
Nel territorio di Schierano questa cappella affiancava altre due chiese che
esistevano da epoca remota. A tal proposito il Magrini (s.d.), senza precisi riferimenti archivistici, cita documenti di visita risalenti al 1358-61 che attesterebbero l’esistenza già a quella data di una chiesa dedicata a Sancti Martini.
Visitata il 12 ottobre 157023 si presentava molto povera, priva di titolo e
di redditi. Tre anni dopo, nel 157324 compariva per la prima volta come officiata la chiesa di San Grato, sebbene il parroco del tempo, don Bartolomeo
Palestro da Stroppiana, dichiarasse di non possedere le bolle di nomina andate
perse durante la guerra (Magrini, s.d.). A suo giudizio, la vetustà degli affreschi
ancora esistenti a quel tempo rendeva lecito datare quest’altra chiesa a epoca
più antica, presumibilmente alla metà del XV secolo quando nel territorio circostante era diffuso il culto di San Grato.
Informazioni più ampie e dettagliate sulla condizione delle chiese esistenti
a Schierano si possono trovare nella relazione della visita pastorale del 23 dicembre 177025. La parrocchia di San Grato di Schierano, retta dal 1739 dal
curato Simone Boglietti d’Aramengo, dipendeva dalla diocesi di Vercelli. Il
parroco, interrogato sull’argomento, citava un manoscritto posto alla fine del
libro dei battesimi dal quale risultava che, antecedentemente all’anno 1653,
San Grato, titolare della parrocchia di Schierano, fu senza titolo e venne “governata economicamente”. Da tale data, in seguito a Bolle pontificie, poté essere governata legittimamente col titolo di curato e fu dichiarata di libera
19
Archivio Arcivescovile di Torino (in seguito AAT), Relazione sullo stato delle chiese, segnatura
8/2/10, carta 181.
20
Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Vercelli (in seguito ASAV), Visita pastorale di Giovanni
Stefano Ferrero, 20 agosto 1606, Faldone 1606-1609, carta 145.
21
ASAV, Visita pastorale di Giacomo Goria, 2 novembre 1619, F. 1619-1632, c.182
22
ASAV, Visita pastorale di Michelangelo Broglia, 17 maggio 1667, F. 1664-1668, c. 419.
23
ASAV, Visita pastorale di Guido Ferrero, 12 ottobre 1570, F. 1561-1571, fasc. F3.
24
ASAV, Visita pastorale di Giovanni Francesco Bonomi, 8 ottobre 1573, F. 1573-1575, fasc. B7.
25
AAT, Relazione sullo stato delle chiese del Vescovo Rorengo, 23 dicembre 1770, segnatura 8/2/10,
carta 181.
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collazione ovvero di libero conferimento di beneficio e di ufficio vacante.
Accanto alla chiesa parrocchiale continuavano ad esistere le due chiese
appartenenti alla comunità che erano state dedicate rispettivamente a San
Martino e a San Sebastiano sebbene non vi fosse prova certa della loro consacrazione. A quel tempo erano prive degli arredi sacri che erano trasportati
dalla parrocchia in occasione delle celebrazioni. La manutenzione di queste
chiese e delle suppellettili spettava alla comunità.
In complesso a Schierano esistevano quattro altari. I due presenti nella
chiesa parrocchiale erano dedicati a San Grato e alla Beata Vergine del Rosario. Nel 1739, all’epoca di quella visita, entrambi furono descritti “di struttura
antica”. Nell’altare di San Grato si conservava stabilmente il santissimo Sacramento. L’altare dedicato alla Madonna era sovrastato da un quadro rappresentante la Vergine e i quindici misteri.
Gli altari delle altre due chiese dedicate a San Martino, nel cimitero, e a
San Sebastiano, erano costruiti in calce e cotto e sovrastati da quadri raffiguranti i rispettivi santi. L’autore o gli autori delle pitture erano ignoti poiché la
parrocchia non possedeva un archivio dal quale attingere informazioni utili
per individuarne l’anno di costruzione. Questo punto non è stato chiarito
nemmeno nelle relazioni di visita più antiche cui fa genericamente riferimento
il Magrini.
Gli altri altari citati nel verbale di visita del 1770 non possedevano “una
fissa dote”, circostanza che avrebbe potuto contribuire a risolvere il problema
della datazione degli edifici. Esistevano tuttavia in Schierano due compagnie
legate al culto dell’altare: la Compagnia del corpo di Cristo o del SS. Sacramento all’altare di San Grato costituita nel 1687 con decreto del canonico
Gromo i cui aderenti intervenivano ogni terza domenica del mese alla Messa
grande con i loro ceri accesi e la più antica Compagnia eretta all’altare del SS.
Rosario, costituita con bolla papale del 3 ottobre 1620, che celebrava la festa
nella prima domenica d’ottobre in onore della vergine Maria, di San Grato e
di S. Caterina da Siena. Quest’ultima era divenuta protettrice della chiesa assieme a S. Grato.
Entrambe le confraternite partecipavano alla processione dei rispettivi patroni procedendo con i ceri accesi. La processione della Compagnia del Rosario, che con grande solennità portava in giro per il paese la statua della
Vergine accompagnata dagli associati, era ripetuta durante l’anno nella prima
domenica di ogni mese e in occasione delle feste di precetto dedicate alla Madonna a discrezione degli amministratori della Compagnia. L’affiliazione avveniva in Sacrestia, su convocazione del parroco, nel giorno della festa
solenne, con l’iscrizione degli adepti nel libro della Compagnia, il pagamento
di una quota d’iscrizione e l’assunzione dell’impegno a osservare uno stile cristiano di vita. Nell’occasione il parroco provvedeva alla registrazione e nominava i priori. Le suddette compagnie non potevano contare su un reddito
fisso, ma solo sul ricavato delle elemosine, utilizzato per provvedere la cera e
le sacre suppellettili.
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Le confraternite tenevano un libro dei conti: iniziato dai priori Domenico
Ramello e Domenico Quagliotti nel 1656, per la Compagnia del Rosario; dal
1772, la Compagnia del SS. Sacramento, priore il notaio T. Quagliotti. Nel
1741 la Compagnia del Rosario contribuì con 150 lire piemontesi all’edificazione della nuova chiesa di San Grato che sarebbe avvenuta nei decenni successivi. Le due Compagnie cessarono di esistere nell’anno 1898. Ne rimase in
vita solo una terza, la Compagnia delle figlie di Maria, tutta al femminile, che
aveva affiancato le due antiche dal 24 ottobre 1896 (Magrini, s.d.; Quagliotti,
Villata, 2003).
Nel Settecento l’unico beneficio esistente in Schierano spettava alla parrocchia e consisteva, secondo l’inventario esistente nella curia vescovile, di
trentacinque giornate di terreno delle quali erano produttive quattro o cinque
vitate, due a prato, due a bosco, una a campo; il restante era tenuto a gerbido.
Il ricavato del coltivo ascendeva per la parte dominicale a quaranta emine (in
volume) di grano (920 L per gli aridi, in peso all’incirca 7 o 8 quintali), una
carra e mezza di vino (739 L) e circa lire 30 di entrate variabili provenienti
dalle offerte destinate all’altare della parrocchia.
Fig. 12 - Tavola in legno nella sacrestia di S. Grato: “Tabella dei legati pii e rispvi oneri della Parrocchia di Schierano, sotto il titolo Grato S.” al punto 14: “Messa una cantata lì 27 marzo per il
Teologo Domenico Quagliotti per legato depositato in Curia.”
All’epoca la parrocchia poteva contare su nuove entrate provenienti da legati ed emolumenti destinati alla celebrazione di Messe (fig.12). I legati consistevano per lo più in terreni. Il più antico, di cui si fa menzione nella visita
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del 166726, apparteneva a Ubertino Quagliotto: i suoi eredi potevano godere
del fondo facendosi carico delle tasse e pagando annualmente al parroco il
corrispettivo per la celebrazione delle due Messe ordinate dal defunto. Nel corso
del tempo se ne aggiunsero diversi altri che furono puntualmente annotati dai
2
parroci che si susseguirono: stara due di campo e prato (circa 912 m ) situate
sui confini di Schierano per la celebrazione di quattro Messe annuali in suffragio
dell’anima di Gaspare Ferrero; una pezza di prato in Regione del Campo per
sei Messe annuali destinate alla salvezza dell’anima di Bernardo Bertello; altra
pezza di prato nella stessa regione per due Messe annuali in suffragio del molto
reverendo padre don Giovanni Battista Fagnano; una pezza di vigna e prato in
Regione di Stua e una pezza di bosco alla Rossa di stara 9 (4104 m2 ovvero giornate 1 e tavole 7) per 6 Messe annuali da celebrarsi all’altare del Rosario dedicate
all’anima di Guglielmo Fassone; “un fondo che il parroco aveva assicurato sopra
una sua propria pezza di vigna” (in altri termini aveva investito in un capitale immobiliare) posta in regione Pittorana confinante con la via pubblica e i beni
parrocchiali, destinato alla celebrazione di ben 12 Messe annuali in suffragio di
Battista Roba di Marmorito. Ciascuna delle dodici Messe venne tassata a titolo
di elemosina da monsignor Broglia a 15 soldi (spesa annuale di Lp. 9), un prezzo
piuttosto elevato rispetto a quelli correnti.
Difatti le due Messe annuali per la famiglia Visca corrisposte da Giovanni
Bertello erano tassate a soldi 12 e denari 6, identico prezzo era stato fissato a
Domenico Della Bianca o suoi eredi per le due Messe cantate annuali da celebrarsi nei giorni di Santa Maria e del Corpus Domini in suffragio dell’anima
di Anna Quagliotti, come da legato presso il notaio Rosignano del 9 aprile
1770. Se poi gli eredi versavano in condizioni d’indigenza, l’elemosina non
era tassata; l’offerta era discrezionale per la celebrazione dell’anniversario di
Antonio Ferrero. L’anniversario della scomparsa del molto reverendo padre
don Paolo Ignazio Cocastello era celebrato con Messa cantata e benedizione
col Santissimo Sacramento senza tassa, ma in seguito a legato testamentario.
All’epoca della visita pastorale del 177027 non vi erano sepolture nelle
chiese di Schierano giacché le spoglie dei defunti erano conservate nel cimitero cintato situato esternamente all’abitato e adiacente alla chiesa di San Martino. Il cimitero era stato recintato per decreto arcivescovile del 166728, allo
scopo di impedire l’accesso sia agli animali sia a quanti intendevano utilizzarne
il terreno per impiantarvi viti o seminativi.
Esisteva nel paese un campanile di struttura antica fatto interamente in
pietra e situato lontano dalla chiesa parrocchiale, che apparteneva alla comunità. Era dotato di campane, ma, mancando il sacrestano, era il parroco stesso
a suonarle per chiamare a raccolta i fedeli.
26
ASAV, Decreti della visita pastorale di M. Broglia, 17 maggio 1667, F. 1664-1674, c. 304 v. e 305
r. e v.
27
AAT, Relazione sullo stato delle chiese del vescovo Rorengo, cit.
28
ASAV, Decreti della visita pastorale di M. Broglia, cit.
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La casa parrocchiale, anch’essa di struttura antica, costruita in pietra e
cotto appariva particolarmente angusta, con volte basse e piccole finestre che
la rendevano oscura. L’edificio, dotato di due camere, cucina e cantina, all’epoca era pericolante. Il parroco, anziano, cieco e malato, era assistito e coadiuvato da una perpetua maritata, di anni trentacinque e dal viceparroco
Giovanni Visca nativo di Schierano.
La popolazione di Schierano, assai poco numerosa, riuscì a ringiovanirsi
e a raddoppiare nell’arco di oltre un secolo e mezzo. Nel 1606 vivevano nel
borgo ventisette famiglie pari a 160 abitanti il 31 % dei quali aveva meno di
dodici anni, età della prima Comunione; nel 1770 le famiglie erano cresciute
a cinquanta e le anime a 300, mentre gli inferiori ai dodici anni raggiungevano
il 46 %.
Tra i residenti di quest’epoca solo Andrea Quagliotti si era avviato alla carriera ecclesiastica; da due anni vestiva l’abito talare ed era studente di retorica
nel collegio di Cocconato. Positivo era il giudizio del parroco sui comportamenti della comunità: “[i parrocchiani sono] di costumi morigerati e timorati
di Dio, frequenti non tanto ai sacramenti quanto ai divini uffizi, non essendovi
in questo luogo abuso o vizio pubblico che ridondar possi in danno del prossimo”29.
Feste solenni erano celebrate in onore di San Grato il 7 di settembre; di
San Martino l’11 di novembre e il 22 febbraio, festa della Dedicazione. Le
processioni, che si aprivano con l’ostensione della statua della Vergine, procedevano secondo un ordine stabilito: la statua, le “figlie” o giovinette che recavano il gonfalone, le donne, la croce sorretta dai “figlioli”, il clero, gli
uomini. I ceri accesi erano portati dalle consorelle della compagnia.
A causa dell’elevatissima mortalità infantile, i bambini erano battezzati in
chiesa già nel primo o nel secondo giorno dalla nascita; se necessario potevano
essere battezzati in casa o durante il parto da alcune donne della parrocchia
delegate a somministrare il Sacramento. Le tasse per le esequie e la sepoltura
erano particolarmente elevate: Lp. 5 per gli adulti e Lp. 2,10 per i fanciulli.
La sacrestia per conservare gli oli e i paramenti sacri necessari alle celebrazioni che si svolgevano nelle tre chiese di Schierano esisteva solo in quella
di San Grato. Situata a sinistra dell’altar maggiore, di struttura bassa e stretta,
con una finestra senza impannate e un armadio piccolo e vecchio per riporvi
le sacre suppellettili, la stanza poteva contenere tre o al massimo quattro persone.
Il curato di San Grato, Simone Boglietti, alle cui dichiarazioni rese durante
la visita pastorale del 1770 oggi siamo debitori di tutte queste notizie, giunse
a morte nel 1772 alla veneranda età di 80 anni e venne sostituito da Don Giacomo Rosignano di Cocconato. Il 23 settembre 1773, al dopopranzo, la parrocchia fu nuovamente visitata in occasione della cerimonia per l’anniversario
29
AAT, Relazione sullo stato delle chiese del vescovo Rorengo, cit.
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della morte del sacerdote. La funzione ebbe luogo nella chiesa di San Martino,
attigua al cimitero, mentre il Sacramento all’epoca era conservato all’Oratorio
di San Sebastiano, luogo definito “molto angusto” nel verbale di visita. La ragione sta nella demolizione della vecchia chiesa di San Grato, demolizione
avviata subito dopo l’insediamento del nuovo parroco. A settembre “la fabbrica della nuova chiesa era alzata fino al cornicione”30.
A tal proposito il Magrini (s.d.) cita, senza precisi riferimenti archivistici,
una relazione che il parroco di Schierano avrebbe inviato al vescovo in data
27 novembre 1773 per aggiornarlo sull’andamento dei lavori in corso. Nella
missiva lo scrivente ripercorre le varie tappe dell’intervento: “li venti scorso
giugno [1773] si è dato principio alla demolizione della vecchia suddetta chiesa
e li 26 luglio or scorso datosi principio con pubblico aggradimento alle fondamenta della nuova chiesa e coll’assiduità e caritatevole assistenza mia e dei miei
parrocchiani si trova al presente coperta affatto e involtata per tutta l’estensione
del Sancta Sanctorum e coro, speranzoso per riparare questo popolo dalle intemperie della presente stagione di celebrare tra breve tempo la messa (omissis)”.
Quanto alla casa parrocchiale era descritta in “poco buono stato”.
All’inizio dell’Ottocento fu la volta del rifacimento dell’oratorio di San Sebastiano, completato nel 1817 come indica la data apposta sul cornicione e la
lettera, inviata il 25 aprile 1821 dal curato di Schierano, Giovanni Bertinotti,
per ottenere l’autorizzazione vescovile alla consacrazione del nuovo edificio.
Scrive il Bertinotti: “Con autorizzazione del reverendissimo abate Dani, Vicario capitolare di Asti, in data 27 maggio 1815 si demolì la cappella esistente
nel recinto di questo luogo di Schierano sotto il titolo di san Sebastiano, angusta
e minacciante rovina, con l’obbligo di farne costruire altra nel medesimo sito:
colle offerte dei particolari di detta parrocchiale venne innalzata e perfezionata
l’altra di maggiore ampiezza e bellezza nel medesimo sito. Ora, trovandosi detta
unica cappella esistente all’interno dell’abitato ultimata con sua volta e desideroso di renderla utile agli abitanti e benefattori, si permette il sottoscritto parroco
a nome dell’intera popolazione di ricorrere a V.S.I. e R. supplicandola a volersi
degnare di delegare di investire di ogni autorità il M. R. prevosto Sismonda di
Castelnuovo vicario foraneo per la benedizione di detta cappella e di accordare
al parroco la facoltà di poter dare la benedizione e fare le altre funzioni occorrenti
in detta chiesa…”31.
Nella tradizione orale è rimasto il ricordo di un drammatico incidente sul
lavoro occorso a certo Bertello nativo del luogo. Il racconto dell’episodio è
stato tramandato nella famiglia stessa di generazione in generazione. Si racconta che tale Bertello, nato intorno al 1780, una domenica mattina d’inizio
Ottocento, stesse lavorando in solitudine a scavare sabbia per la ristrutturazione della chiesa di San Sebastiano. Si trovava in regione Tassele, dove la
30
31
Ivi, [annotazione aggiunta dopo la data della relazione].
AAT, Provvisioni semplici 1819-’21, fogl. 338.
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strada del Carabin gira a destra verso Albugnano, poco oltre il pilone di Pasquino. C’era, proprio in quel punto, una losa di pietra su cui la vacca si rifiutava di passare perché sentiva che sotto era vuoto: infatti, lì c’era sabbia che
si poteva scavare. Bertello, animato dalle migliori intenzioni, iniziò a scavare
per estrarre la sabbia, ma il terreno franò e lo seppellì. Da Pino d’Asti, situato
proprio di fronte, la gente che chiacchierava per strada in attesa di partecipare
alla Messa domenicale poté assistere alla scena poiché al tempo non c’erano
i boschi che ne impediscono oggi la visione; quindi, con urla e strepiti, riuscì
a mettere in allarme gli uomini di Schierano affinché portassero i primi soccorsi. Si racconta che la squadra radunatasi per disseppellirlo, involontariamente, gli procurasse una picconata in testa, traumatizzandolo. Il malcapitato
alla fine riuscì a guarire e, una volta risanato, fece rappresentare l’episodio in
un quadretto che donò, in segno di ringraziamento, alla chiesa ricostruita,
ormai dedicata ai santi Sebastiano e Rocco. All’epoca in cui era parroco don
Magrini gli ex voto vennero staccati dal muro della chiesa e andarono perduti.
Dall’inventario redatto nel giugno 1825 dal curato Giovanni Battista Bertinotti si ricava l’elenco dettagliato delle “suppellettili e i mobili” ovvero l’arredo della chiesetta di San Sebastiano: “quattro panche d’albera nei due laterali
della chiesa, ora àvvene 12; due altre panche d’albera nel coro; tre mantili di
rista per l’altare; una tovaglia di mussolina; sei candelieri di bosco forte verniciati; un setterino per la messa con suo missale romano usitato; un campanello
di metallo; una coppa o cattino di maiolica bianca, due ampollini e fassoletto;
un calice d’ottone indorato con sua patena e animetta; una pianeta completa a
diversi colori; un camice nuovo, cordone ed armitto; un grande quadro rappresentante la Madonna, San Sebastiano e San Rocco; due armadi nella muraglia
del coro per contenere gli arredi; una campana piccola sul campanile propria dei
particolari di peso rubbi 2:3 di metallo”32.
Dopo il 1773, per ritrovare un nuovo verbale di visita pastorale bisogna
attendere ben sessantaquattro anni. Il 13 settembre 183733 giunse a Schierano
all’ora vespertina monsignor Luigi dei marchesi Fransoni, Arcivescovo di Torino dopo aver visitato l’hospicium di Marmorito nella mattinata. Si riunì nel
sacellum di San Sebastiano al canonico Tempo, al teologo Bruno e al popolo.
Dopo canti e benedizioni l’Arcivescovo procedette sotto il baldacchino verso
la parrocchia. Prima di completare la visita si recò in casa Quagliotti per assumere una “refectiumculam”.
Nel verbale di visita del 1837 la sacrestia situata nella chiesa parrocchiale
di San Grato aveva assunto ormai tutt’altro aspetto: un locale quadrato con
un’ampia volta imbiancata e pavimento lastricato. La chiesa, dotata di ampia
volta, nel 1808 aveva subito una nuova ristrutturazione e imbiancatura. Provvista di una propria piccola torre campanaria sul tetto, era stata arricchita con
reliquie di vari santi. Altri legati destinati alla celebrazione di Messe si erano
32
33
AAT, Inventario visita 1825, segnatura 8/3/15, c. 393.
AAT, Visita pastorale 1837, segnatura 7/1/78, c. 205.
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aggiunti a quelli precedenti, nel corso della seconda metà del Settecento, ed
erano stati per lo più stipulati a rogito del notaio Quagliotti: una Messa annua
per Antonio Ferrero, legato del 1784; dodici Messe annue per Giovanni Battista Robba, legato del 1793; tre Messe annue cantate, due per Domenico Roggero e una per il parroco Ignazio Cocastelli, legato del 1789. Messe
anniversarie cantate erano celebrate per i parroci Giacomo Emanuele Rosignano, legato del 1784, e Pietro Cossetta, legato del 1795.
Al tempo di questa visita la comunità aveva raggiunto le 328 anime ed era
composta di sessantuno famiglie. All’incremento del 22 % nel numero di famiglie che negli anni si erano stanziate nel Comune corrispondeva un aumento
inferiore della popolazione pari al 9 %, forse a significare che si trattava di
giovani famiglie non ancora nel pieno del processo riproduttivo.
Nel 1840 nella chiesa dedicata ai santi Sebastiano e Rocco venne tumulata
la salma del chirurgo Luigi Quagliotti che, per buona parte dei sessant’anni
della sua esistenza, aveva esercitato la professione nella comunità di Schierano,
con grande dedizione (fig. 13). I compaesani, in segno di rispetto e riconoscenza, vollero perpetuarne la memoria stabilendone la sepoltura nel luogo
di culto anziché nell’esistente cimitero del paese. Esiste tuttora nel pavimento
della chiesa una lapide in pietra con la scritta: “Il chirurgo Luigi Quagliotti
visse sessant’anni a pro della famiglia, dell’umanità e della chiesa cui sempre
beneficiò. Tutti vollero perpetuarne la memoria ordinandogli riconoscenti questo
luogo di pace. MDCCXL”
Quelle del chirurgo Quagliotti sono le uniche spoglie tumulate in chiesa
a Schierano; non si registrano, infatti, nel corso del tempo, altri casi. Il ceppo
dei Quagliotti ha radici assai antiche e ha annoverato vari esponenti che di
volta in volta si sono distinti nelle arti liberali, nella vita religiosa o nella pubblica amministrazione (Magrini, s.d.).
Nel XV secolo furono attivi i notai Matteo e Gabriele Quagliotti. Nell’ultimo
quarto del Settecento il notaio Tommaso
Quagliotti fu anche podestà di Albugnano. Nel 1814 il teologo Domenico,
che era rettore del Regio Ospizio di Carità di Torino, donò una vigna per realizzare l’asilo. Il fratello Paolo esercitava
l’avvocatura. Nella Zecca di Torino, Vincenzo Quagliotti svolgeva le funzioni di
capo-ufficio mentre il fratello Luigi era
capo-sezione al Ministero delle Finanze.
Un altro ceppo originario di Schierano
che, nel corso del tempo, contò vari pro- Fig. 13 - Ritratto su tavola del chirurgo Luigi
fessionisti fu quello dei Ramello. Furono Quagliotti (1780-1840), sepolto a San Sebastiano. (proprietà della famiglia).
chirurghi, farmacisti, ma anche curati.
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Nella comunità di Schierano in tempi recenti si è affermata una nuova sensibilità per il recupero della memoria storica che definisce l’identità del paese.
In quest’ambito va soprattutto segnalato il restauro della chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco (figg. 14 e 15).
Fig. 14 - Esterno dell’edificio.
Fig. 15 - Il bellissimo piccolo campanile.
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La ristrutturazione del sacellum di San Sebastiano prese avvio nel 1998
partendo dall’intervento più urgente: il rifacimento del tetto34. In precedenza
gli ultimi interventi di consolidamento risalivano a tempi remoti: nel 1904 era
stato risistemato il muricciolo dietro l’abside, dove anticamente esisteva una
strada, nel 1950, in seguito al verificarsi di alcune crepe nell’abside, erano
state inserite chiavi in ferro all’altezza dell’imposta della volta.
Il recupero della costruzione richiedeva dunque un intervento radicale.
Così, nel 2003 iniziarono le pratiche per il restauro, con l’affidamento, da
parte del parroco don Giovanni Villata, all’architetto Palmina Nicola dell’incarico del progetto esecutivo e della direzione lavori (svolti del tutto gratuitamente). Ottenuta l’approvazione dalle tre Soprintendenze archivistiche e
dalla Diocesi,35 il documento fu presentato alla comunità il 3 luglio dell’anno
successivo in San Grato. Nella riunione furono illustrati i progetti di rifacimento dell’intonaco sulle pareti, d’inserimento dell’impianto elettrico e di riscaldamento a gas, di recupero delle decorazioni interne, di risanamento dei
pavimenti (figg 16, 17a, 17b) di rifacimento dei serramenti e altri lavori che
via via si resero necessari.
Fig. 16 - Scavo nella pavimentazione per consentire l’isolamento dall’umidità.
34
Nel 1998 il parroco, don Domenico Grigis ottenne dalla regione Piemonte, Direzione regionale
dei beni Culturali (L.R. 7/03/1899 n. 15) un finanziamento di 5 milioni di lire per la ripassatura
del tetto e la sostituzione dei pluviali.
35
La Soprintendenza per i beni archeologici diede la sua approvazione il 15/03/2004, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Demo-etno-antropologico del Piemonte il
07/05/04 , la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Piemonte il
23/04/04. L’Ufficio Liturgico Diocesano, Sezione Arte e beni culturali della Curia Metropolitana
di Torino diede l’approvazione tramite don Cervellin il 23/02/04.
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Fig. 17 a (sopra) - Posa della struttura ad igloo per l’aerazione sottostante il pavimento.
Fig. 17 b (sotto) - Copertura prima della ricostituzione con le piastrelle originarie di cotto.
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Un dibattito pubblico sui modi di reperimento dei fondi si svolse il 17
agosto dello stesso anno. Definito in modo molto approssimativo un importo
totale, fu avviata la fase di raccolta, presso i privati, le istituzioni, le associazioni, dei contributi in denaro o in prestazioni d’opera, necessari per affrontare, anche se gradualmente, in tappe successive, il restauro in progetto.
Va notato che la prospettiva, che poi puntualmente si realizzò, era quella
non solo di restaurare il bene culturale in quanto tale, ma anche di utilizzarlo
normalmente, nel periodo invernale, per il culto domenicale. È stata così ripristinata l’antica funzionalità della cappella che, dall’inizio dell’Ottocento,
era stata provvista degli “arredi per celebrare la Messa”36.
Le spese complessive ammontarono a € 53.265, di cui 1.600 per l’impianto
elettrico, 40.800 per lavori edili, 1.000 per allacciamenti di energia elettrica e
gas, 86 per falegnameria.
Per far fronte alle spese s’interpellò dapprima la generosità della popolazione, la cui condivisione del progetto era essenziale per giustificare l’impegno
di tutta l’iniziativa. In effetti, le buste con la scritta paolina “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né con forza, perché Dio
ama chi dona con gioia” (2 Cor 9,7) furono riempite con prontezza dalle famiglie: ca. € 6.500 (figg. 18a, 18b) .
Verificata quindi la fattibilità dell’operazione, furono presentate numerose
richieste di finanziamento a banche, istituzioni pubbliche, ecc. e si raccolsero
€16.000. La Conferenza Episcopale Italiana contribuì con € 15.000.
Inoltre localmente si organizzarono, soprattutto per l’entusiasmo di alcune
persone di buona volontà, concerti e lotterie che consentirono di raccogliere
ca. € 3.600.
Un contributo particolare (€ 7.000) sul progetto “Tesori sacri” della Compagnia di San Paolo di Torino consentì il restauro della pala d’altare ottocentesca raffigurante il martirio di San Sebastiano (fig. 19). L’operazione avvenne
attraverso diverse fasi, sempre seguite dalla competente Sovrintendenza: velinatura della pellicola pittorica, distacco dal vecchio telaio, pulitura del retro
e della pellicola pittorica, stuccatura delle lacune, reintegrazione pittorica puntinata e a selezione cromatica, ecc.
Nel dipinto (1,76 x 1,85 m), sul retro mai rifoderato, costituito da tela artigianale a trama rada e grana grossa, in seguito alla pulitura comparve la
scritta, a chiare lettere, in corsivo “Fatto nel mese di ottobre in Schierano a casa
del notaio Quagliotty, 1821 dal Carlo Cornaglia pit. e torinese d’anni 23” (figg.
20, e 21).
Finalmente, dopo sei anni di lavoro, svolto in lotti successivi via via che si
acquisiva qualche disponibilità finanziaria, il 14 giugno 2009 si giunse all’inaugurazione dell’opera: una bella festa sulla piazza San Sebastiano, allietata da
un concerto di musica vivaldiana, alla presenza di molte autorità e di tutta la
popolazione.
36
AAT, Relazione sullo stato della chiesa 1825 Chiaverotti, segnatura 8/2/17, c. 46.
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Fig. 18 a (sopra)- La tomba presente entrando a destra, come comparve a seguito dello scavo nel
pavimento.
Fig. 18 b (sotto) - Non fu aperta e, com’ era, fu ricoperta. Esternamente si vede solo la lapide del
1840 con la scritta ben leggibile.
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Fig. 19 - La pala d’altare del 1821, opera di Carlo Cornaglia, che raffigura il martirio d San Sebastiano.
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Da allora ogni anno, dalla festa dei Santi (1° novembre) a quella di Pasqua,
la celebrazione domenicale si svolge nella chiesa di San Sebastiano, resa accogliente dall’efficace riscaldamento e dall’ottima illuminazione. Nella chiesa
stessa, anche d’estate, la comunità si trova talora a pregare.
Fig. 20 - Particolare della Trinità.
Fig. 21 - Il giovane rivolto verso il pubblico, che non prende parte alla scena del martirio, è quasi
certamente il giovane autore dell’opera.
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4 - LA VALORIZZAZIONE DELL’ARCHIVIO STORICO PARROCCHIALE
In tempi di globalizzazione esasperata e di profonda confusione di valori
può essere importante, anche per una piccola comunità rurale come Schierano, poter indagare sul proprio passato per costatarne, ad esempio, la straordinaria evoluzione avvenuta sul piano economico, sociale e culturale.
L’Archivio di cui si tratta (Quagliotti, 2009) è quello della parrocchia di
Passerano che, dal 1986, in seguito al nuovo assetto assunto dalla giurisdizione
territoriale ecclesiastica, ha incorporato le altre tre parrocchie esistenti nel
Comune e segnatamente “San Grato Vescovo” di Schierano, “San Lorenzo
Martire” di Primeglio e “Immacolata concezione della Beata Vergine” di Marmorito Airali.
Fino agli anni settanta del ¢900, Schierano conservava nella casa parrocchiale un proprio archivio particolare che occupava diversi scaffali. A quel
tempo, almeno una parte della documentazione esistente fu trasferita a Primeglio, dove risiedeva l’allora parroco don Alberto Binello che serviva entrambe le parrocchie, e in tal modo poté essere salvata. Difatti, la parte del
fondo rimasta a Schierano andò completamente perduta in seguito alla vendita
a terzi della casa parrocchiale, avvenuta nel 1993.
Tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, con l’avvento del nuovo
parroco don Domenico Grigis, la documentazione fu trasportata a Passerano
e, dopo anni di abbandono, trovò la propria sistemazione definitiva in tale archivio. Nella stessa sede confluirono anche i documenti di Primeglio e di Marmorito ormai rientranti in un’unica parrocchia. Ne consegue che l’archivio
storico parrocchiale di Passerano, nell’attuale configurazione di circa 10 metri
lineari di faldoni, ha tratto la propria origine dall’accorpamento della documentazione residuale delle quattro parrocchie originali, che, dopo decenni
d’incertezza, incuria, trasferimenti, distruzioni, di cui costituiscono triste testimonianza alcuni documenti deteriorati dal fuoco, ha originato un nucleo
stabile. Su di esso è stato possibile avviare efficaci progetti di riordino, schedatura, inventariazione e salvaguardia.
Allo scopo, dall’Assessorato ai beni e sistemi culturali della Regione Piemonte si ottennero (1997) un primo finanziamento di 1.600.000 Lire per il
riordino e un secondo di 780.000 Lire per l’acquisto di un armadio metallico.
In seguito (2005 e 2006), dalla Provincia di Asti furono erogati 2040 euro
per la successiva inventariazione e 341,75 per un secondo armadio metallico.
Il lavoro, svolto dalla Società Acta Progetti di Torino, fu approvato dalla
Sovrintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta nel 2006.
Nell’attuale configurazione, l’Archivio si compone dei quattro fondi facenti capo alle parrocchie originarie oltre a quello dell’Opera Pia Radicati di
Passerano, che copre il periodo 1835-1893.
L’inventario è organizzato per ogni fondo principale nelle voci: registri dei
battesimi, matrimoni, morti; Parrocchia; Culto; Beneficienza; Patrimonio;
Contabilità; Circolari e disposizioni delle autorità ecclesiastiche; Compagnie.
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Altre voci compaiono solo in alcuni dei vari fondi: per esempio Atti di liti;
Vertenze, nella parrocchia dei santi Pietro e Paolo Apostoli. Alcune appendici
che riguardano prediche e omelie, spartiti musicali e libri liturgici, completano
l’insieme.
L’Archivio é stato inaugurato il 14 ottobre 2007 ed è potuto essere aperto
alla consultazione dopo sette anni di lavoro. La ricerca avviene esclusivamente
su base cartacea e le disposizioni per l’accesso al pubblico sono state concordate con la Curia metropolitana di Torino (Quagliotti, 2009).
5 - CONCLUSIONI
Le quattro storie che abbiamo voluto qui documentare sono casi rappresentativi di opere che hanno potuto essere realizzate sia seguendo l’iniziativa
proposta e sostenuta da alcune, poche persone lungimiranti e appassionate,
sia coinvolgendo tante famiglie, tanti individui che, mettendosi insieme e contribuendo in modo diverso, hanno operato per la comunità.
Volutamente non si sono citati gli animatori di queste iniziative e neppure
gli operatori di quelle più recenti; che tutti però vanno profondamente ringraziati. Non solo per il risultato raggiunto; ma soprattutto per l’esempio che
hanno fornito di ciò che una comunità intelligente riesce a costruire quando
s’impegna in modo concorde, unendo le forze e anche i sacrifici e operando
semplicemente con buona volontà.
OPERE CITATE
GALLI DELLA LOGGIA G., -1798- Cariche del Piemonte e paesi uniti colla serie cronologica
delle persone che le hanno occupate et altre notizie di nuda istoria dal fine del sec. X fino al 1798,
O. Derossi, Torino, 3, passim.
MAGRINI R. - senza data - La parrocchia di Schierano. Note storiche e bibliografiche, pagg.1319; 22-23.
MOLA DI NOMAGLIO G. - 1993 - Elenco nobiliare piemontese. Estratto da interviste nel passato.Catalogo Bolaffi della nobiltà piemontese, Torino, passim.
QUAGLIOTTI L., VILLATA G. - 2003 - I piloni votivi di Schierano. Religione popolare e storia
locale. I Quaderni di Muscandia, 2, pagg. 21-32.
QUAGLIOTTI L. - 2009 - L’Archivio storico della parrocchia di Passerano. Riordino, storia e
consistenza. I Quaderni di Muscandia, 8, pagg. 231-238.
SPRETI V. - 1932 - Enciclopedia storico - nobiliare italiana, Milano, 5, pag. 572 e segg.
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QUATTRO STORIE DI PASSIONE CIVICA
INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO
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Allegato 1
A distanza di alcuni decenni dalla legge del 1903 sulla municipalizzazione dei pubblici servizi,
il Testo unico relativo alla finanza locale, emanato con R. Decreto 14 settembre 1931 pubblicato
nel Supplemento ordinario alla G.U. del 16 settembre n. 214, confermava la prerogativa riconosciuta ai comuni di “esercitare direttamente o dare in appalto l’esercizio con privativa dei diritti
di peso pubblico e della misura pubblica”.
Il diritto riconosciuto all’ente locale trovava un limite nella possibilità per i privati di usare
pesi e misure propri o presi occasionalmente in prestito per vendere merci di loro proprietà. In
ogni caso la prestazione gratuita di pesi e misure tra privati era consentita salvo che, per la sua
frequenza, danneggiasse l’esercizio del diritto di privativa da parte del comune interessato, nel
qual caso i contravventori erano puniti con ammende.
Con R.D. 31 gennaio 1909 (Gazz.Uff. 1 giugno, n. 1289), venne approvato il regolamento
per il servizio metrico che fissava le direttive per la verifica dei pesi e delle misure. Era istituita
una Commissione superiore metrica sotto la direzione del Ministero di Agricoltura Industria e
Commercio. Per quanto atteneva specificamente ai pesi, il R.D. stabiliva:
“La Commissione superiore metrica:
a) esercita la sua ingerenza sull’andamento scientifico e tecnico dell’Ufficio centrale metrico
e del saggio;
b) dà parere sulle questioni tecniche proposte dal Ministero ai sensi e per gli effetti del regolamento per la fabbricazione dei pesi e delle misure e degli strumenti per pesare e per misurare;
c) compila le istruzioni sui metodi e le norme da usarsi nelle varie verificazioni e nei saggi;
d) sorveglia ed ove occorre dirige, sotto il punto di vista scientifico, i lavori per la verificazione
decennale dei campioni prototipi;
e) propone le norme per la istruzione dei tirocinanti verificatori e, per mezzo di uno o più
suoi delegati, dirige e sorveglia l’istruzione medesima;”.
La Commissione era coadiuvata dalla Giunta metrica e dal Laboratorio metrico dell’Ufficio
centrale al quale era annessa un’ officina meccanica con il compito di eseguire i lavori preparatori
per la verificazione decennale e le altre ricerche di cui fosse incaricato dal Ministero e di custodire
i prototipi nazionali ed i campioni metrici; di eseguire la verificazione quinquennale del materiale
metrico appartenente agli uffici di verificazione; d’impartire, con le norme proposte dalla Commissione superiore metrica, l’insegnamento teorico-pratico di metrologia e di servizio metrico ai
tirocinanti verificatori metrici.
Gli ufficiali metrici e del saggio avevano l’obbligo di dare udienza al pubblico nei giorni
feriali per almeno sei ore. I verificatori erano reclutati mediante concorso per esami a numero
chiuso. I vincitori erano formati attraverso un tirocinio non inferiore a sei mesi durante il quale
venivano loro impartiti gli insegnamenti e gli esercizi proposti dalla Commissione superiore metrica e, superato un esame d’idoneità, accedevano alla qualifica di verificatore di sesta classe. I
requisiti per accedere a tale incarico erano rigidamente fissati nel decreto:
a) età non minore di 21, né maggiore di 30 anni;
b) cittadinanza italiana;
c) condotta incensurabile;
d) cognizioni riguardo alla lavorazione e alla bollatura dei metalli.
Siffatti requisiti saranno comprovati mediante la presentazione:
a) del certificato di nascita;
b) del certificato del sindaco;
c) del certificato penale e di buona condotta di data recente;
d) di dichiarazione di abilitazione rilasciata da un R. verificatore metrico”.
I verificatori prima di entrare in carica erano tenuti a prestare giuramento di fedeltà davanti
al ministro o a un suo delegato e, raggiunta la maggiore età, entravano di diritto nel corpo degli
ufficiali di polizia giudiziaria giurando avanti al tribunale civile e penale del circondario di destinazione. Possibili conflitti d’interesse erano prevenuti con il divieto tassativo imposto agli ufficiali
metrici di mantenere rapporti d’interesse con gli esercenti l’arte e il commercio degli strumenti
metrici. La progressione di carriera avveniva percorrendo cinque classi di qualifica che si raggiungevano con l’anzianità di servizio.
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I prototipi dei pesi e delle misure ai quali andavano riferite le verifiche avevano carattere
storico in quanto già appartenenti agli antichi Stati sardi: venivano conservati dal Ministero
d’Agricoltura, Industria e Commercio, il MAIC, nell’Ufficio centrale metrico e dei saggi e custoditi, secondo le norme prescritte dalla Commissione superiore metrica, in una cassaforte chiusa
con tre chiavi diverse, una delle quali tenuta dal Ministero d’agricoltura, industria e commercio,
una dal sovrintendente del R. archivio di Stato in Roma e la terza dal presidente della Commissione predetta.
Il metro e il chilogrammo, portanti i rispettivi numeri 9 e 19, assegnati il giorno 26 settembre
1889 al Regno d’Italia dalla Conferenza internazionale dei pesi e delle misure colla dichiarazione
che differivano dai prototipi internazionali di dodici diecimilionesimi in meno il primo, e di ventotto centomilionesimi in meno il secondo, erano conservati presso la Commissione superiore
metrica e costituivano i prototipi nazionali di 2º ordine. Questi prototipi erano custoditi in altra
cassaforte chiusa con tre chiavi diverse, di cui una tenuta dal presidente della Commissione, l’altra
dal Ministero e la terza dal direttore dell’Ufficio centrale metrico e dei saggi. Alcune copie degli
stessi prototipi, a disposizione presso la Commissione stessa, costituivano i prototipi di 3º ordine.
Ogni dieci anni i prototipi di 2º ordine dovevano essere confrontati con i prototipi di 1º ordine.
Il confronto eseguito sotto la direzione della Commissione superiore metrica era verbalizzato. A
tale ufficio andavano rivolte le domande di comparazione di precisione e di esse era rilasciato
apposito certificato in due originali sottoscritto dal direttore dell’Ufficio centrale. Uno dei due
originali era trasmesso all’interessato insieme agli strumenti comparati; l’altro rimaneva negli archivi dell’Ufficio centrale.
Ogni ufficio di verificazione locale era provvisto di campioni normali del metro, del chilogrammo e del litro. Questi campioni erano custoditi dall’Ufficio metrico in un armadio a ciò destinato. Ogni cinque anni, per mezzo dei prototipi di 3º ordine, i campioni normali e le collezioni
degli strumenti metrici dati in dotazione agli uffici di verificazione erano verificati, nel laboratorio
dell’Ufficio centrale metrico.
Per gli usi ordinari del servizio, tutti gli uffici metrici erano dotati almeno dei seguenti campioni:
“1 ° n. 3 metri d’acciaio;
2 ° una serie di n. 9 misure di capacità per aridi, dal doppio decalitro al mezzo decilitro;
3 ° una serie di n. 11 misure di capacità per liquidi, dal decalitro al mezzo centilitro;
4 ° n. 3 bilance delle rispettive portate di 20 kg., 1 kg. e 20 g., indipendenti l’una dall’altra,
oppure montate nella apposita cassa custodia di grande modello;
5 ° una bilancia di precisione;
6 ° una serie di n. 17 pesi di ottone dal miriagramma al gramma;
7 ° una serie di n. 10 pesi per le monete in corso;
8 ° una serie delle frazioni del gramma;
9 ° una sufficiente collezione di campioni e di strumenti ausiliari”.
Gli strumenti metrici, prima di essere messi in commercio, erano sottoposti a una prima verificazione.
In tale verificazione i fabbricanti dovevano badare a tutte le operazioni manuali che erano
richieste dal verificatore.
La verificazione prima era certificata con l’apposizione sugli strumenti metrici di un bollo a
stemma reale portante il numero corrispondente dell’ufficio, e di un secondo, cosiddetto personale, destinato a identificare l’ufficiale metrico che l’aveva eseguita.
La verificazione prima delle stadere a ponte in bilico, a scelta del fabbricante si poteva eseguire nell’officina o sul posto dove le stadere dovevano funzionare. Nel primo caso però il fabbricante aveva l’obbligo di far ripetere la verifica senza ulteriori oneri economici sul posto dove
erano state messe in opera.
Per la prima verificazione sul posto delle stadere a ponte in bilico, il fabbricante doveva mettere a disposizione del verificatore la quantità di pesi legalizzati corrispondente all’indicazione
dell’ultima divisione dell’asta graduata, sino al limite di una tonnellata.
Per le indicazioni maggiori di una tonnellata che potevano essere tracciate anche sopra una
seconda asta, il carico poteva essere formato con altro materiale adatto, che il fabbricante doveva
pure mettere a disposizione del verificatore fino a raggiungere la portata massima.
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INIZIATIVE DI BUONA VOLONTÀ IN UN PAESE DELL’ALTO ASTIGIANO
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Il verificatore portava con sé il materiale occorrente per accertare l’esattezza dei pesi che il
fabbricante metteva a sua disposizione. Quando, per una causa qualunque, una stadera a ponte
in bilico fosse stata cambiata di posto, il proprietario o esercente doveva avvertire il verificatore
affinché procedesse a una verificazione per accertarne il regolare collocamento secondo la normativa stabilita. La verificazione periodica degli strumenti metrici, prescritta dall’art. 16 del testo
unico delle leggi metriche, era biennale. Ciascun biennio cominciava con il 1º gennaio di ogni
anno di millesimo dispari. Con questa verificazione gli ufficiali metrici accertavano che i suddetti
strumenti non avessero sofferto alterazioni, apponendovi un bollo che portava per impronta le
due ultime cifre di ciascun millesimo del biennio corrispondente. Le tolleranze delle misure e
dei pesi s’intendevano tanto in più quanto in meno, e lo spostamento dell’indice che determinava
la sensibilità degli strumenti per pesare poteva essere la metà di quello richiesto per la verificazione prima.
I Comuni che componevano ciascun distretto metrico erano divisi in due distinti riparti o
sezioni secondo una tabella proposta dal prefetto, dietro le indicazioni del verificatore e approvata
dal Ministero. Nel preparare questa tabella si teneva conto del numero degli utenti che doveva
approssimativamente essere diviso in parti uguali fra le due sezioni. La verificazione era eseguita
ogni due anni in ciascuna sezione. Oltre che nei Comuni capoluogo potevano stabilirsi uffici temporanei di verificazione in frazioni e borgate con il consenso della Giunta provinciale amministrativa. La verificazione periodica era fatta a domicilio, a richiesta degli utenti, limitatamente
alle stadere e alle bilance a piattaforma, e alle stadere semplici di portata superiore ai 50 chilogrammi, se munite di apparecchio che permettesse di verificarle sul posto, e tale verificazione
doveva farsi esclusivamente presso l’esercizio dell’utente.
L’utente di pesi e misure, a richiesta degli ufficiali e degli agenti della polizia giudiziaria, doveva esibire il certificato della verificazione periodica; la mancanza di questo certificato costituiva
una contravvenzione punibile penalmente.
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DIECI COSE CHE MI HA INSEGNATO MIO NONNO
LUIGI EINAUDI
MEMORIA PRESENTATA DA
LUIGI ROBERTO EINAUDI*
all’Adunanza extra moenia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011
PREMESSA
Gli insegnamenti che mi ha lasciato mio nonno, Luigi Einaudi, si possono
riassumere in dieci lezioni. Supplirò ai difetti della memoria citando brani di
lettere che mi scrisse quando era Presidente della Repubblica e io facevo il
liceo e l’università negli Stati Uniti. Lui aveva fra i 78 e gli 81 anni, mentre io
avevo fra i 16 e i 19 anni.
Prima di parlare di lezioni, però, bisogna dire che per Luigi Einaudi la
base di partenza per quasi tutto era la lettura. Poche sono le sue foto nelle
quali non ha qualcosa de leggere in mano. Dall’età di dieci anni io divoravo
le avventure di Emilio Salgari. Così ho anche letto Jules Verne, prima in italiano e, solo dopo, in francese. Ma di letture più serie poche. Il nonno non
era del tutto contrario: «Quella tua era l’età in cui io divoravo libri; pur di
leggere, senza discernimento talvolta, ma avendo cura si trattasse per lo più
di scrittori grossi, quelli che dissero qualcosa. Nacque un gran disordine, ma
qualcosa rimane sempre. Non consiglio il disordine, ma importa fare escursioni extravaganti fuor del campo assegnato, è utile ed eccita la mente in un’età
in cui questa è pronta a ricevere. Regola: non leggere libri di gente mediocre
o di pura attualità».
Nel 1952 avevo compiuto sedici anni e il nonno mi permise di dormire a
San Giacomo fra gli scaffali della biblioteca: un ricordo che mi rende felice
ancora oggi. Quell’estate mi fece leggere Virgilio con lui in latino, spiegando
che la lettura era per imparare un’altra lingua, ma anche per meditare sulla
sostanza. Quel Natale mi mandò il Dizionario moderno del Panzini con la dedica: «A Luigino, perché nello scrivere italiano abbia una guida alle parole
moderne che è bene usare il meno possibile».
Nel 1954 abbiamo letto assieme L’Ancien Régime et la Révolution di Tocqueville in francese. Poi mi fece leggere i commentari dell’inglese Arthur
*E-mail: [email protected]
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LUIGI ROBERTO EINAUDI
Young che aveva viaggiato in Francia negli anni prima della rivoluzione registrando le condizioni economiche e sociali.
Nel 1945, al ritorno dall’esilio svizzero per assumere la carica di governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi aveva 71 anni. Mio padre diceva che il
nonno «era affamato» di rimettersi al lavoro. A quante persone è dato avere
l’opportunità di mettere in pratica le conoscenze e le teorie di tutta una vita?
Ma la situazione era tutt’altro che facile. La guerra aveva peggiorato le condizioni economiche, e creato un vuoto istituzionale.
E nel 1948 ricevette il massimo incarico dello Stato, il primo a essere scelto
dalle Camere come Presidente della nuova Repubblica italiana. Non era una
carica che aveva cercato. Anzi, avendo votato per la monarchia nel referendum
del 1946, si potrebbe dire che era una carica contro la quale aveva votato. E
adesso era lui a rimpiazzare il Re. Il protocollo repubblicano era tutto da inventare. Non c’erano precedenti. Il personale del Quirinale era composto in
molti casi da chi aveva servito il Re. Ricordo persino un autista che aveva fatto
l’autista per Mussolini.
E poi l’Italia era divisa. La retorica si riferiva alle bellezze del trionfo della
democrazia e della Repubblica. Ma la realtà era che c’erano vincitori e vinti.
E, come al solito in Italia, molte correnti. In Inghilterra la monarchia dava un
senso di unità nazionale al di sopra delle liti politiche. In Italia la monarchia
era stata bocciata, ma la Repubblica era da costruire. Il nonno temeva che sarebbero sorti momenti di crisi che avrebbero potuto precipitare senza una figura di riferimento nazionale al di sopra delle parti.
1 - PRIMA LEZIONE: IL BUON ESEMPIO
La prima e forse la più importante lezione imparata in questo ambiente
era che «bisogna dare il buon esempio» . Sottolineo il buon esempio, perché
chi occupa la massima carica dello Stato non può soltanto dare un buon esempio. Anzi, ha la responsabilità di individuare le prassi migliori da trasmettere
ai concittadini e ai propri successori. Dunque deve sempre dare il buon esempio. E darlo in tutto, anche nei dettagli meno importanti. Questo abito mentale diventò una parte essenziale della nostra vita quotidiana. Non presumere
mai.
2 - SECONDA LEZIONE
La seconda lezione - «fare le cose bene anche se non sarai ringraziato» era sempre stata una delle sue regole. Il primo sistema italiano di previdenza
sociale, la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli
operai (Cnas), era un’assicurazione volontaria. Ben prima della guerra del
1914, il nonno pagò il suo contributo come datore di lavoro, aggiungendo
anche il contributo che spettava alla donna di casa, Maria Granda. Non fu
mai ringraziato; anzi il commento lapidario della domestica riferitomi anni
dopo fu infatti: «Se lo fa il professore, vuol dire che qualcosa ci guadagna».
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DIECI COSE CHE MI HA INSEGNATO MIO NONNO LUIGI EINAUDI
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3 - TERZA LEZIONE
La terza lezione è stata capire che «per trovare una soluzione bisogna accettare il fatto che la politica può talvolta interferire con una logica tecnica –
e viceversa» . Una lezione maturata nelle discussioni su Trieste e le frontiere
dell’Italia con la Francia. I conflitti di territorio non si possono risolvere come
fecero le potenze coloniali in Africa, tracciando linee geometriche senza riguardo per gli abitanti e le culture o persino la geografia. I maggiori esiti della
mia vita diplomatica sono tutti dovuti a questa lezione.
4 - QUARTA LEZIONE
Una quarta lezione è stata: «Presta attenzione alla tua base» . In sette anni
come Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi non ha mai lasciato l’Italia,
nemmeno per andare in un vicino paese europeo. Aveva viaggiato molto prima
di assumere la Presidenza della Repubblica e fatto quasi due anni di esilio in
Svizzera. Quando gli chiesi perché non viaggiò mai all’estero da Presidente,
mi disse semplicemente che il suo dovere era di essere in Italia.
5 - QUINTA LEZIONE
Una quinta ed essenziale lezione era «non scordare mai l’uomo comune»
. L’intellettuale e l’uomo politico non hanno diritto di decidere che cosa va
bene per il contadino o l’operaio. «L’unica persona che sa se le scarpe gli vanno
è chi le porta». Questa frase tagliente fece parte di molte nostre discussioni.
Riflette una profondissima convinzione del valore individuale della persona e
del rispetto che le è dovuto al di là della condizione sociale, e senza settarismi
politici. Per Luigi Einaudi l’Italia non poteva essere concepita solo in base a
classi sociali, etichette politiche o titoli formali.
6 - SESTA LEZIONE
La lezione numero seguente: «Anche noi sappiamo contare» . Un giorno
a cena in famiglia al Quirinale Luigi Einaudi era soddisfattissimo. Quel giorno
aveva visto Barbara Ward, scrittrice ed economista inglese diventata più tardi
Lady Jackson. La Ward da poco aveva scritto un articolo che conteneva qualche calcolo sbagliato. Einaudi le aveva spiegato l’errore, la Ward lo aveva accettato. Dopo averci raccontato lo scambio disse, sereno, «anche noi sappiamo
contare».
7 - SETTIMA LEZIONE
La lezione numero sette: «Le cose non sono sempre come appaiono».
Durante gli anni del fascismo era comune vedere un ritratto di Mussolini in
case di contadini. Molte volte era appeso vicino alla porta di casa. Quando
passavano le autorità fasciste tutto sembrava in ordine. Ma il contadino aveva
messo il ritratto vicino alla porta perché così, vedendolo mentre stava var-
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LUIGI ROBERTO EINAUDI
cando la soglia di casa, poteva sputargli contro senza che lo sputo finisse in
casa. Fra le note per il testamento, riferendosi all’azienda agricola, scrisse: «Se
c’è un reddito un anno, non credere che si ripeterà l’anno venturo».
8 - OTTAVA LEZIONE
Una simile ma ottava lezione sarebbe: «Evita le prime impressioni» . Un
giorno gli ho portato un libro appena pubblicato che avevo letto nel corso dei
miei studi a Harvard ma che lui non aveva. Non mi ricordo se glielo avevo offerto come regalo o come prova di un argomento. Credevo di avere capito
che per lui i libri fossero la massima espressione della civiltà e che, circondato
dai libri come era, lo avrebbe apprezzato. Lo rifiutò. Come mai? chiesi sconcertato. «Prima di comperare un libro bisogna sapere se vale o no. Io, se posso,
non compro mai un libro se non 40 anni dopo la sua pubblicazione. Solo allora
si saprà se vale qualcosa o no». Immaginate la mia reazione. Non avevo ancora
20 anni!
9 - NONA LEZIONE
Molto difficile da mettere in pratica la nona lezione: «Non dire mai oggi
qualcosa della quale ti vergognerai domani o fra dieci anni o anche vent’anni
dopo d’averlo detto» . Non so come o dove avesse imparato questa lezione.
Forse da giornalista. Nel 1960 mi scrisse una massima un po’ diversa: «Se si
scrive qualcosa, lasciarlo stare a riposo per 15 giorni o un mese, e poi rileggerlo».
In ogni modo cercare di parlare e scrivere sempre sub specie aeternitatis è
molto difficile. Se nella mia vita diplomatica mi sono ostinato nel cercare di
seguire questa regola essenziale, lo devo al nonno.
10 - DECIMA LEZIONE
La decima lezione è una lezione di limiti. Da Caprarola, il 23 agosto 1953,
il nonno rispose così a una serie di esiti miei dei quali mi ero molto vantato
con lui: «Il desiderare sempre il meglio è una delle ragioni di vivere. [...] Ed
adesso ti dico di una mia fissazione. La gioia per i risultati ottenuti deve essere
sempre accompagnata da una tacita riserva mentale. Quel che so, che ho imparato, è niente in confronto a quel che non so. [...]. Quel che occorre è imparare
il metodo di distinguere il vero dal meno vero; il metodo di ragionare. Ed a questo fine servono in primissimo luogo la matematica, per porre bene i problemi,
ed il latino per esprimersi bene. Con il quale latino - for ever - ti bacia ed abbraccia il tuo nonno».
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AFFINITÀ E DIVERSITÀ TRA LUIGI EINAUDI E CAVOUR
MEMORIA PRESENTATA DA
ROBERTO EINAUDI*
Presidente della Fondazione Luigi Einaudi di Roma
all’Adunanza extra mœnia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011
Ringrazio il Presidente dell’Accademia di Agricoltura di Torino, Pietro Piccarolo per avermi dato l’opportunità di parlare durante questa giornata di studio
dedicata a Luigi Einaudi, nel cinquantenario della sua morte. Già nel 1977,
trentesimo anniversario della nomina di Einaudi a Socio della Accademia, mio
Padre, Mario, aveva tenuto all’Accademia una conferenza intitolata: “Luigi Einaudi Agricoltore: 1897-1961”. Quel discorso, pubblicato negli Annali dell’Accademia di Agricoltura di Torino (1978), fu ripubblicato, insieme ad altra
documentazione su temi agrari, nel volume “Luigi Einaudi, Pagine Doglianesi”
(1988). Ne consiglio caldamente la lettura a chi ne fosse interessato.
Celebriamo quest’anno, oltre al cinquantenario della scomparsa di Einaudi, anche il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e della morte di Camillo
Benso di Cavour. Un secolo esatto divide la scomparsa dei due grandi statisti
liberali che hanno lavorato per costruire l’Italia. Vorrei prendere spunto dalla
ricorrenza di questi due anniversari per esaminare le affinità e le diversità tra
Einaudi e Cavour nei campi economici, sociali e politici, soffermandomi poi
in più dettagli su quello agricolo.
1 - CAVOUR: PER LUIGI EINAUDI UN MAESTRO
Durante tutta la vita, Luigi Einaudi interpretò e utilizzò le vicende cavouriane per meglio spiegare le sue tesi nel campo economico e sociale. Non
scrisse testi specifici sul grande statista, ma lo citò, o lo indicò come modello,
in quasi cento articoli. Già nel 1899 Einaudi portava Cavour come esempio
per sostenere la sua tesi contro le protezioni doganali: “In Italia una politica
sifatta vanta l’adesione del nostro più grande uomo di stato, Camillo Cavour, il
quale osò, e con felice risultato, inaugurare in condizioni ben più difficili delle
presenti un programma di libertà”1.
*E-mail: [email protected]
1
L. Einaudi - 1899 - Per la rinnovazione dei trattati di commercio, 12 agosto 1899; Il programma
economico del partito liberale, 12 ottobre 1899.
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ROBERTO EINAUDI
Nel 1941 Einaudi definì così lo statista piemontese: “In lui si cumulavano
l’intuito fulmineo del politico, la conoscenza dell’economista teorico, la pratica
dell’imprenditore di cose economiche concrete. Chi dubita che la riunione di
tutte queste qualità non abbia contribuito a fare di lui quel grande che fu? maggiore di quanti uomini politici vanti il secolo XIX?”2
Davanti all’Assemblea plenaria della Consulta, Einaudi nel 1946 ripercorse le ragioni del disastro della guerra e del fascismo. Auspicò che invece
dell’autarchia voluta dalla dittatura per consolidare il suo potere, la merce sarebbe ritornata a circolare liberamente, all’interno di una federazione supernazionale di cui l’Italia avrebbe fatto parte. “Forse è un’utopia”, affermò
Einaudi, “ma è un utopia simile a quella che muoveva Camillo di Cavour
quando, iniziando la sua coraggiosa politica di libertà, alto proclamava che la
scienza economica non era la scienza dell’interesse, non era la scienza dell’egoismo, ma era la scienza dell’amor di patria”.3
In un articolo sul “Corriere della Sera”, scritto nel 1961, un mese prima
della morte, Einaudi si scagliò contro i politicanti ignoranti che utilizzavano
“parole … prive di qualunque significato” nell’affrontare argomenti economici.
Giudicava “l’ignoranza la causa principale degli errori … del ceto politico legiferante e governante”. Affermava che un secolo prima ciò non era vero, che:
“persino le dottrine economiche erano divenute popolari. Il più grande uomo di
stato del secolo, il conte di Cavour, ne conosceva le verità fondamentali, le spiegava chiaramente in parlamento e non si lasciava pestare i piedi da chi adoperava
parole insulse o faceva ragionamenti sballati”.4
L’intervento di Einaudi più consistente dedicato interamente a Cavour fu
un discorso improvvisato a Santena il 6 giugno 1961, in occasione del centenario della morte dello statista. Einaudi, allora ottantasettenne, arrivò al Castello di Cavour, sostenuto dalla consorte donna Ida, per presentare, nella sua
veste di Presidente della Commissione Nazionale per la pubblicazione dei
carteggi di Cavour, il volume degli indici dell’ “Epistolario” 5. Si muoveva con
difficoltà, appariva stanco e ascoltava i discorsi che precedevano il suo con
gli occhi chiusi, quasi fosse addormentato, ma quando prese la parola, si capì
subito che aveva sentito ogni parola pronunciata.
Einaudi incominciò col dire che non era stata richiamata abbastanza l’attenzione sulla “preparazione veramente grande che ha preceduto l’entrata di Cavour nell’arengo politico europeo e mondiale”… “E quando noi lo vediamo,
presidente del Consiglio, ministro delle Finanze, ministro dell’Agricoltura, interessarsi poi anche di tutti i dicasteri ai quali non presiedeva e guidare tutti i
suoi collaboratori ad una meta, noi dobbiamo dire che questo risultato non era
2
L. Einaudi - dicembre 1941 - rivista Argomenti,
L. Einaudi - 10 gennaio 1946 - Discorso alla Assemblea plenaria della Consulta. In: Interventi
e Relazioni Parlamentari, Fondazione Luigi Einaudi, Torino, I, 1980.
4
L. Einaudi - 24 settembre 1961 - Corriere della Sera.
5
C. Cavour - 1962 - Epistolario, vol. I (1815-1840). Ed. Zanichelli, Bologna, I.
3
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AFFINITÀ E DIVERSITÀ TRA LUIGI EINAUDI E CAVOUR
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la manifestazione improvvisa del genio, ma era anche il frutto, oltre che del genio
suo, di una lunga, lunga preparazione…”
Da giovane, disse Einaudi, Cavour si era occupato di argomenti economici,
finanziari e sociali, aveva letto i più grandi classici dell’economia politica. “Egli
si era preparato profondamente a quelli che dovevano poi diventare i suoi compiti”.
Einaudi non si trovò d’accordo con alcuni studiosi di Cavour, come il suo
amico, Francesco Ruffini, che: “si sentono quasi in obbligo di scusarlo per i suoi
‘trascorsi giovanili’, ossia certe speculazioni in materia finanziaria che egli
avrebbe compiuto a Parigi e che si chiusero con perdite, così da costringerlo a ricorrere all’aiuto del padre. Confesso di non partecipare affatto a questi scrupoli
e lamentazioni: tale esperienza è stata una delle tante utili, anzi necessarie, che
gli giovarono per gli uffici politici che ebbe a ricoprire in seguito.”
Einaudi quindi confrontò la padronanza di Cavour nelle materie economiche con quelle degli altri politici, i quali lui divideva in due gruppi: quelli
che definiva “sepolcri imbiancati”, che pur conoscendo la materia, non osano
parlarne, e gli altri, la maggioranza, che erano semplicemente ignoranti. Cavour, invece, disse Einaudi, si era impadronito dei mestieri di banchiere, agricoltore, commerciante. “Non a caso Cavour fu il primo fondatore dell’Istituto
di emissione italiano… conosceva anche profondamente la materia: quando al
governo venivano trattati i problemi di emissione, essi non erano affatto ignoti
a lui”.
Einaudi continuò il suo discorso chiedendo: “E l’agricoltura? Tutti conosciamo Leri. Cavour fu un agricoltore espertissimo. Quando era ministro dell’Agricoltura, ad uno degli agricoltori che si erano recati da lui in commissione
per lamentarsi perché il prezzo del riso di 5 lire per ‘emina’ non bastava, secondo
loro, per coprire le spese, egli rispose in piemontese: ‘T’ses’n burich (sei un
asino), Io, a Leri, con 5 lire per emina, ci guadagno’.”
Einaudi continuò; “E non fu solo agricoltore, ma s’improvvisò anche, con
vantaggio suo, commerciante in materia agricola. Avendo saputo le virtù del
guano del Perù, noleggiò una nave e mandò a caricarlo, dopodichè se ne servì
per i suoi poderi e ne cedette anche con vantaggio ad altri agricoltori: ‘Non c’è
niente di male ad avvantaggiarsi facendo avvantaggiare gli altri’”.
Non occorre ricordare, aggiunse Einaudi, che Cavour fu anche giornalista,
fondatore del quotidiano “Il Risorgimento”, direttore della “Rivista dei comizi
agricoli del Piemonte”. Concluse: “Noi, avendo veduto nel ’52 Cavour assurgere d’un tratto alla posizione più alta del governo del suo paese, non dobbiamo
dire che lì c’è stato un miracolo: miracolo sì, dovuto alla sua persona, ma miracolo scaturito da una lunga preparazione di studio, e di contatti umani con italiani e con stranieri, in Italia e in Svizzera… in Francia e in Inghilterra. Meritata
assunzione, dunque, di una preparazione di cui i risultati scritti si vedono nei
quindici volumi dei carteggi, che noi, modestamente, abbiamo ritenuto di rendere utilizzabili con la presentazione di questo volume di indici”.
Non s’improvvisa un discorso come quello di Santena senza una profonda
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preparazione, quella stessa che Einaudi attribuiva a Cavour. Se si ripercorre
il discorso, ci si rende conto che sono molti i parallelismi nella vita dei due
statisti. Tutti e due si erano preparati sui grandi testi economici dei secoli precedenti, su opere scritte in inglese o francese come quelli di Adam Smith o
Bastiat. Einaudi diceva di se stesso di aver la “fissazione” di cercare il germe
delle teorie moderne “in libri scritti tempo addietro”6. Aveva ben presente le
letture di Cavour, avendo acquistato decine di libri appartenuti a Cavour, recuperati nel mondo antiquario.
2 - PARALLELISMI E DIFFERENZE
Einaudi, come Cavour, era stato giornalista e direttore di riviste. Il mestiere
di scrivere per il grande pubblico era stato quello che forse più lo aveva entusiasmato nella vita. Einaudi, come Cavour, era stato banchiere prima di
ascendere al governo. Nell’Italia ancora divisa in due dalla guerra, fu chiamato
come Governatore della Banca d’Italia, l’Istituto di emissione che aveva preso
l’avvio dal Banco di Torino e dal Banco di Genova, ambedue fondate da Cavour, come spiegava Einaudi ai lettori di “The Economist” nel 19347.
Quando Einaudi, finito il suo settennato come Presidente, fu insignito
della laurea honoris causa ad Oxford nel 1955, venne presentato in latino
come: “dedito quasi agli stessi studi cui fu dedito l’altro famoso piemontese Camillo di Cavour” (D’Aroma, 1976).
Abbiamo esaminato l’impressionante somiglianza della vita e del pensiero
di Luigi Einaudi e Camillo Benso di Cavour. Le differenze di ceto e di nascita
tra i due sono evidenti, ma queste non hanno influenzato il loro approccio ai
problemi economici e politici dell’Italia e dell’Europa. Hanno influenzato
forse di più il loro orientamento verso l’agricoltura. Ambedue si sono interessati ininterrottamente di problematiche agricole, ma da un punto di vista
spesso diverso.
Cavour proveniva da una famiglia nobile, potente e ricca. Le insofferenze
del giovane Camillo verso la situazione familiare di secondogenito e verso la
carriera militare che aveva intrapreso, avevano suggerito al padre di affidargli,
a solo 22 anni, la direzione dalla sua tenuta di Grinzane nel 1832 e poi, visti i
risultati apprezzabili ottenuti da Camillo, di quella più grande di Leri nel 1835.
L’interesse di Cavour per l’agricoltura traeva origine, dunque, dalla necessità
del padre di trovare qualcuno che potesse gestire e fare rendere le sue proprietà terriere.
Einaudi invece trae il suo interesse nell’agricoltura da una situazione sociale ed economica opposta. Per sette generazioni gli Einaudi erano vissuti a
San Damiano Macra, piccolo, isolato paese di montagna, luogo di nascita del
6
Einaudi L. - Viaggio tra i miei libri. In Catalogo della biblioteca di Luigi Einaudi, Fondazione
Luigi Einaudi, Torino, 1981.
7
“From our italian correspondent”, a cura di Roberto Marchionatti, Fondazione Luigi Einaudi,
Torino, articolo The Economist, 1934.
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padre, Lorenzo, ultimo di quattordici figli (Einaudi R., 2008). Il padre fu il
primo della famiglia a lasciare la valle nel 1869 per prendere, ventinovenne,
il posto di esattore del mandamento di Carrù, dove due anni dopo sposò Placida Fracchia, maestra elementare a Dogliani. Gli sposi andarono ad abitare
a Carrù in una casa d’affitto, dove il 24 marzo del 1874 nacque Luigi. Quando
il padre morì, quattordici anni dopo, non era ancora riuscito ad acquistare
una casa o terreni. Con quattro giovani figli a carico, e senza lavoro, la madre
ritornò ad abitare dai propri genitori, anche loro rimasti senza terra, perché,
come ricordò Luigi Einaudi: “Quando il nonno, per il succedersi inopinato di
anni funesti, a causa dell’imperversare dell’oidium, all’agricoltura, e per fronteggiare le spese della educazione dei figli, dovette vendere a prezzo non degno
i due fondi aviti, grande fu lo strazio in casa; ed io ricordo di aver visto occhi
gonfi di lacrime, anche a lunga distanza d’anni, non tanto per il danno economico, quanto per la perdita della terra che portava il nome della famiglia e con
esso s’era quasi identificata”8.
La madre, Placida, malgrado le ristrettezze economiche, mandò Luigi alle
migliori scuole possibili, anche se lontane da casa. Il figlio frequentò a Torino
il Reale Liceo Cavour. Le future passioni di Luigi, i libri, lo scrivere, l’economia, l’agricoltura, erano riassunte bene in una frase del suo diario da quindicenne: “Avevo deliberato di lasciare stare la letteratura e… spendere 2 lire al
mese nel ‘Dizionario d’Agricoltura’; ma ieri mattina ho saputo che ne sono già
uscite 18 dispense = 18 lire. Diedi sei lire a Zurbil perché me le prendesse tutte,
obbligandomi a pagarli in tre rate”9. Seguiva un elaborato conteggio economico
di come sarebbe riuscito a ripagare il debito.
A diciassette anni, Luigi Einaudi si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza
di Torino. Non ancora ventenne, presentò una serie di ricerche su temi agricoli, la prima su La distribuzione della proprietà fondiaria a Dogliani, nella
quale dimostrava che la crisi agraria aveva spinto i grandi proprietari a vendere
con il risultato di un notevole aumento della piccola e media proprietà; la successiva sull’Esportazione dei principali prodotti agrari dall’Italia dal 1862 al
1892. A 21 anni, Einaudi si laureò con una tesi sulla crisi agraria in Inghilterra,
poi pubblicata sul Giornale degli economisti.
L’amore per la terra e l’interesse per l’agricoltura spinsero Luigi Einaudi
a soli 23 anni, malgrado le ristrettezze economiche, a comperare nel 1897 la
cascina settecentesca e le terre di San Giacomo a Dogliani con soldi in gran
parte presi a prestito. La madre gli mise a disposizione tutti ì suoi risparmi,
ricevendo in cambio da Luigi gli interessi maturati sulle somme prestate.
L’acquisto di San Giacomo era stato facilitato dalla grave crisi che aveva
colpito l’Italia e l’Europa, spingendo al ribasso il valore dei terreni agricoli.
Dalle ricerche fatte per la sua tesi di laurea sulla crisi agraria in Inghilterra,
8
L. Einaudi - 1922 - Appunti per la storia politica ed amministrativa di Dogliani dell’Avv. Francesco
Fracchia, raccolti ed ordinati da Luigi Einaudi, Torino 1922.
9
Diario di Luigi Einaudi, Archivio famiglia Einaudi, San Giacomo, Dogliani, CN, I.
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Luigi si era convinto che fosse giunto il momento di investire nell’agricoltura.
Le nuove terre acquisite, di 15 ettari circa, erano in grave stato di degrado: i
vigneti decimati dalla fillossera, la cascina in rovina. L’acquisizione di San Giacomo era solo il primo passo per mettere insieme un’unità agricola più grande
e produttiva.
I primi guadagni del giovane professore, e giornalista, furono investiti nella
campagna. Nel 1909 acquistò i terreni e la cascina del Vallero, adiacente a San
Giacomo, nel ’23 quelli degli Abbene e del Tetto Protto e nel ’52, quattro ettari di vigna a Barolo. L’insieme delle proprietà formava un’azienda di circa
96 ettari, di cui 23 di vigna, con 11 nuclei familiari che si occupano dei lavori
agricoli, residenti nelle cascine esistenti, da lui restaurate, o fatte costruire ex
novo sul terreno.
Per prima cosa Luigi Einaudi ripiantò i vigneti decimati dalla fillossera,
trasformando la tenuta in una proprietà modello. Trasformare voleva dire investire. I vigneti furono completamente rinnovati, tramite lo scasso completo
del terreno e la piantagione di barbatelle innestate su piede americano, tecnica
ora consolidata ma allora rivoluzionaria, tanto che i contadini dei dintorni venivano a guardare e commentare le stravaganze del “professore pazzo”, per
poi ricredersi dopo i primi raccolti.
Luigi Einaudi iniziò subito a produrre un buon vino; già nel 1914 ricevette
la medaglia d’argento per il vino Dolcetto nella gara nazionale di vini fini da
bottiglia fatta col concorso del Ministero di Agricoltura. Spronato da questo
successo, l’anno dopo fece costruire una cantina in Dogliani, imbottigliando
il vino in damigiane da cinque e più litri e in bottiglie da trequarti. Al vino
Dolcetto, col tempo aggiunse il Barbera, il Nebiolato e il Grignolino. Con
l’acquisto di quattro ettari di vigna a Barolo, iniziò a produrre anche Barolo.
Confessò Einaudi: “feci un solo acquisto per orgoglio… facendo servire il barolo
a tavola c’era sempre la domanda inevitabile: quella se il barolo era di mia produzione. E mi seccava confessare che non lo era… E perciò comperai i quattro
ettari”10.
Luigi Einaudi constatò che solo con la vendita del prodotto finito era possibile costituire i fondi necessari per trasformare e migliorare la campagna.
Ricordate, scrisse ai figli, che il modo vero di conservare terreni e casa è quello
di non fare alcun affidamento di ricavarne un reddito… Si vive con il frutto del
proprio lavoro personale. Se c’è un reddito, prima ricordare che non è vero che
esiste… bisogna pensare a rinnovare i piantamenti (ogni 25 anni almeno per le
viti) e fare tutti i vari lavori di conservazione e miglioramento dei terreni e delle
case rustiche. Se qualcosa rimane, considerare il fatto che non si potrà ripetere
tutti gli anni, e destinare la somma a qualche spesa straordinaria11.
10
San Giacomo e le terre d’origini. In: R. Einaudi (ed.) L’eredità di Luigi Einaudi, catalogo della
mostra omonima.
11
L. Einaudi - Lettera ai figli. Archivio famiglia Einaudi, San Giacomo, Dogliani, CN, I.
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In questo passaggio troviamo la vera differenza tra Einaudi e Cavour agricoltori. Per Cavour, imprenditore, l’agricoltura era fonte di guadagno. Grinzane rappresentò l’inizio della formazione di Cavour come imprenditore, e vi
sperimentò nuove tecnologie agronomiche come l’innesto di nuovi vitigni. La
gestione della tenuta di Leri, di oltre 1000 ettari, lo portò a affinare le sue conoscenze agricole, lo spinse alla costruzione di moderni sistemi idrici ed all’uso
di concimi nuovi, come ci ha ricordato Luigi Einaudi, per migliorare la resa
economica dei terreni. Cavour riuscì a trasformare Leri in un’azienda agricola
all’avanguardia per i tempi, che rendeva economicamente. La gestione dei
terreni paterni per Cavour aveva lo scopo principale di guadagnare soldi.
Einaudi non biasimava Cavour per avere lucrato sulla terra e sugli investimenti agricoli, anzi lo additava come esempio da seguire. Nel suo discorso di
Santena, Einaudi citava Cavour: “Non c’è niente di male ad avvantaggiarsi facendo avvantaggiare gli altri”. Scriveva Einaudi: “prevedere, anticipare gli eventi
futuri ed operare in relazione a quel che accadrà e non a ciò che sta accadendo”
è un bene che fa progredire il paese12.
L’esperienza sua personale in agricoltura portava Luigi Einaudi a reinvestire tutti i guadagni nella terra. Nel suo scritto ‘La terra e l’imposta’ scrisse:
“Oltre il prodotto economico, la terra produce anche… il piacere fisico del possesso, che consiste nel camminare sopra il fondo, nel contemplarlo, nel toccare
le piante e vederle crescere, la gioia del lavoro..., di riempire il granaio di frumento dorato e sonante, la cantina di vino, dal bel colore, largitore di letizia”13.
In epoca successiva, Einaudi approfondì questo concetto, allargandolo a qualsiasi impresa: “Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli
impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno”.14
Nonostante le crescenti responsabilità politiche, Camillo Benso di Cavour
si tenne sempre informato sull’andamento delle attività produttive delle terre
di Leri, dove si ritirava nei rari momenti di riposo. In modo analogo, Luigi
Einaudi non mancò mai di trovarsi a San Giacomo per la vendemmia, anche
nei momenti di maggiore impegno politico.
Cavour morì a Torino nel 1861 probabilmente di malaria, contratta nelle
risaie di Leri; Einaudi morì a Roma esattamente cento anni dopo, a seguito di
un’influenza presa nella tenuta di San Giacomo. Cavour fu seppellito a Santena, presso Torino, nel castello di famiglia. Luigi Einaudi fu riportato a San
Giacomo in Dogliani per essere sepolto nella terra degli avi.
L’amore per le terre d’origine era stato parte integrante e fondamentale
del pensiero e della azione dell’Einaudi studioso e statista. Aveva scritto:
12
L. Einaudi - Speculare e prevedere. In: Le Prediche della domenica. Giulio Einaudi editore, Torino I, 1987.
13
L. Einaudi - 1924 - La terra e l’imposta, Milano, I.
14
L. Einaudi - 1960 - Dedica all’impresa dei Fratelli Guerrino. Dogliani,15 settembre 1960.
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“L’uomo, la famiglia non si concepivano sradicati dalla terra, dalla casa, dal comune; e sono questi sentimenti che partoriscono anche l’attaccamento e la devozione alla patria e lo spirito di sacrificio, in cui soltanto germogliano gli Stati
saldi (Einaudi, 1922).
3 - I LASCITI NEL CAMPO DELL’AGRICOLTURA
I lasciti di Cavour e di Einaudi nel campo politico, sociale ed economico
sono immensi. Quali sono quelli nel campo dell’agricoltura?
Oggi il Castello di Grinzane è un’importante meta turistica e ospita la sede
dell’Enoteca Regionale. Leri invece è stata abbandonata; gli edifici sono stati
depredati, i terreni suddivisi e resi irriconoscibili dalla costruzione di una Centrale termoelettrica. Si è pensato alla creazione a Leri di un museo nazionale
dell’agricoltura, ma il progetto non fu mai realizzato. In occasione del 150°
dell’unità d’Italia, molte sono state le iniziative per sensibilizzare le istituzioni
ed il pubblico sulla necessità di restaurare Leri. Ora si è avviato un programma
di recupero.
Il Canale Cavour, progettato nel 1852 su incarico di Cavour, quale Presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna, fu realizzato solo dopo
la sua morte. Lungo 85 km, collega il Po al Ticino e ancora oggi funge da trasporto su acqua e da sostegno all’agricoltura e alle risaie delle pianure del Vercellese e del Novarese.
Nel castello Cavour a Santena, dove è seppellito Camillo Benso di Cavour
e dove è ospitata la Fondazione e l’Associazione che portano il suo nome, con
l’occorrenza del 150° dell’unità d’Italia, si sta ampliando il museo dedicato a
Cavour e, nell’ambito del progetto “Piemonte per l’Italia”, si introdurrà una
sezione dedicata a Einaudi. In modo analogo, nel Museo di Luigi Einaudi,
aperto pochi mesi fa nella sede del Comune di Dogliani, saranno ospitate postazioni multimediali e interattive sui due grandi statisti piemontesi, a cui verrà
aggiunto Giovanni Giolitti, e possibilmente altri statisti piemontesi che fecero
grande l’Italia.
La cascina di San Giacomo, acquistata dal giovane Luigi Einaudi nel lontano 1897, ancora ospita i suoi nipoti, pronipoti e pro-pronipoti. I Poderi
Luigi Einaudi continuano a produrre vini pregiati ottenuti dalla trasformazione delle uve provenienti dall’azienda del Presidente, alla quale si sono aggiunti altri terreni, pieni di significati. Quando Einaudi era Presidente della
Repubblica, i terreni del Cannubi a Barolo erano stati messi in vendita. Tramite un amico, Luigi aveva fatto un’offerta per l’acquisto che era stata accettata dal venditore. Quando il proprietario venne a sapere che il compratore
era il Presidente, alzò il prezzo. A quel punto Luigi Einaudi rinunciò a comperare. Cinquant’anni dopo il mancato acquisto, quegli stessi terreni erano di
nuovo in vendita e l’ing. Roberto, figlio di Luigi, riuscì a comperarli per i Poderi Luigi Einaudi.
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4 - UN’ULTIMA RIFLESSIONE
Questa è l’ultima riflessione, che avrei aggiunto durante il convegno, se
fossi arrivato in tempo per parlare in prima persona. Ciò non avvenne, ma
con i miracoli della tecnologia riuscii a fare pervenire il mio intervento scritto
a Cuneo, in modo che potesse essere letto, mentre il mio treno vagava per le
campagne lombarde e piemontesi. Le frane, le alluvioni e gli smottamenti nelle
Cinque Terre dopo il nubifragio eccezionale che colpì la Liguria avevano interrotto la ferrovia lungo la costa. Abituato oramai a prendere la linea interna
per arrivare a Torino da Roma, non mi ero preoccupato quando ero partito
due giorni dopo il disastro con il vagone letto per raggiungere il Piemonte,
né si erano preoccupate le Ferrovie dello Stato di avvertirmi che forse ci sarebbero stati ritardi. Svegliatomi poco prima dell’ora prevista per l’arrivo a
Torino, vidi il cartello di Modena passare lentamente davanti agli occhi.
Avevo portato con me in treno alcune cartoline con citazioni di Einaudi,
fatte in occasione della grande mostra “L’eredità di Luigi Einaudi”, per distribuirle al pubblico durante il convegno. Tutte attualissime, appunto perché
spesso erano “prediche inutili”, inascoltate dai più. Una recitava: “La lotta
contro la distruzione del suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il
massimo compito di oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani.”
Vale la pena rileggersela ad alta voce più e più volte. Sembra che si riferisca
al disastro appena successo lungo le coste liguri. È una frase premonitrice,
scritta non oggi, ma nel 1951. Nello stesso articolo, Einaudi (1951) diceva:
“Già ora corre sulle labbra di tutti, al sud e al nord, la sentenza: ‘a memoria
d’uomo non è mai accaduto nulla di simile al disastro odierno’. Perciò si confida
che nulla di simile accada in avvenire… Ma la storia narra, al sud e al nord, di
inondazioni disastrose uguali a quella odierna”. È un grido d’allarme lanciato
da Luigi Einaudi che dobbiamo fare nostro. “La lotta contro la distruzione del
suolo italiano sarà dura e lunga, forse secolare. Ma è il massimo compito di oggi
se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani.”
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182
ROBERTO EINAUDI
BIBLIOGRAFIA
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Civica di Dogliani.
D’AROMA A. - 1976 - Luigi Einaudi memorie di famiglia e di lavoro. Quaderni di Ricerca, 16,
Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari Luigi Einaudi.
EINAUDI L. - 1922 - Appunti per la storia politica ed amministrativa di Dogliani dell’Avv. Francesco
Fracchia, raccolti ed ordinati da Luigi Einaudi. Torino, I.
EINAUDI L. - 1946 - In: Interventi e Relazioni Parlamentari. Fondazione Luigi Einaudi, Torino, I,
1980.
EINAUDI L. - 1951 - Della servitù della gleba in Italia. In: R. Einaudi (ed.) - 2008 - L’eredità di
Luigi Einaudi, Ed. Skira, Milano, I.
EINAUDI M. - 1978 - Luigi Einaudi Agricoltore: 1897-1961. Ann. Acc. Agric. Torino, 119, 131149.
EINAUDI M. - 1988 - Luigi Einaudi, Pagine Doglianesi, 1893-1943. Comune di Dogliani e Biblioteca Civica, Dogliani, CN, I.
EINAUDI R. - 2008 - San Giacomo e le terre d’origine. In: L’eredità di Luigi Einaudi, Ed. Skira,
Milano, I.
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CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI,
ILLUSTRI VITICULTORI
MEMORIA DELL’ACCADEMICO ORDINARIO
GIUSI MAINARDI*
presentata all’Adunanza extra mœnia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011
RIASSUNTO:
Questa ricerca originale segue in parallelo gli interessi in Viticoltura ed Enologia manifestati
da due insigni personalità che si cimentarono personalmente nella conduzione di aziende viticole in Piemonte, nelle Langhe: Camillo Benso di Cavour a Grinzane, Luigi Einaudi a Dogliani. Pur nelle ovvie diversità collegate alle differenti condizioni storiche e sociali in cui
vissero, i loro percorsi hanno molti punti in comune: entrambi furono insigni economisti,
uomini politici d’eccezione, appassionati di agricoltura, soci dell’Accademia di Agricoltura
di Torino, convinti sostenitori delle grandi potenzialità dei vini piemontesi.
SUMMARY: Camillo Benso of Cavour and Luigi Einaudi, distinguished viticulturists
This original study follows in parallel the interest in Viticulture and Enology manifested by
two eminent personalities who applied themselves in the management of their vineyards in
Piedmont, on the Langhe hills: Camillo Benso di Cavour, in Grinzane, Luigi Einaudi, in
Dogliani. Even in many obvious diversities connected with their different socio-historical
conditions, their paths show many points in common, both of them have been great economists, exceptional politicians, very fond of agriculture, members of the Academy of Agriculture of Turin, convinced of Piedmontese wines great potential.
RÈSUMÈ : Camillo Benso de Cavour et Luigi Einaudi, deux viticulteurs réputés
Cet original rapport montre en parallèle l’intérêt pour la Viticulture et l’Œnologie manifesté
par deux personnalités éminentes qui s’engagèrent à la conduite de leur vignoble au Piémont,
dans les Langhe: Camillo Benso de Cavour, à Grinzane, Luigi Einaudi, à Dogliani. Malgré
les diversités liées aux différentes conditions socio-hystoriques, leurs chemins ont de nombreux points en commun: les deux furent des grands économistes, des politiciens d’exceptionnelle envergure, passionnés d’agriculture, membres de l’Académie d’Agriculture de
Turin, tenants convaincus du gros potentiel des vins piémontais.
1 - PREMESSA
Riflettendo sul tema di questo intervento ho pensato che fosse indicato
definire il Presidente del Consiglio dei Ministri, Conte Camillo Benso di Cavour, e il Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, come “viticultori”, pro*E-mail: [email protected]
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GIUSI MAINARDI
prio con la vocale “u”, rispetto ad un più usuale e pur esatto “viticoltori”.
Tale scelta è nata dalla considerazione che la loro visione della Vitis vinifera, la loro azione nei suoi confronti, non si è fermata agli aspetti colturali,
ma inserisce questi aspetti in una più ampia cultura sociale, economica, agronomica.
È veramente interessante vedere come entrambi, pur in condizioni ed epoche diverse, abbiano considerato la viticultura come un campo fecondo al quale
applicare in pratica le conoscenze teoriche di economia che si erano formati.
Entrambi infatti ne sentirono l’importanza fin da quando erano molto giovani
ed entrambi si cimentarono personalmente nella conduzione di aziende viticole
in Piemonte, nelle Langhe: Cavour iniziò a Grinzane, nel 1832, quando aveva
22 anni, Einaudi a Dogliani, nel 1897, quando ne aveva 23.
I loro percorsi, pur nelle evidenti diversità di contesto sociale e storico in
cui vissero, hanno molti punti in comune: appassionati di agricoltura, grandi
economisti, uomini politici d’eccezione, soci dell’Accademia di Agricoltura
di Torino, erano convinti sostenitori delle potenzialità dei vini piemontesi.
2 - CAVOUR E L’IMPEGNO NELLA TENUTA DI GRINZANE
Camillo Benso di Cavour (1810-1861) fu un appassionato di politica internazionale, lettore assiduo delle opere dei maggiori economisti classici, studioso dei problemi sociali; nutriva un entusiasmo progressista per le
innovazioni e mostrava uno spirito eminentemente pratico.
Fra il 1826 e il 1829 i suoi congedi lo avevano visto spesso a Ginevra, dai
parenti materni. Era un ambiente che egli amava moltissimo perché vi si respirava il clima di uno dei più animati centri della cultura europea. I suoi
viaggi lo portarono anche in Francia, in Belgio, in Inghilterra, dove si mostrò
un osservatore attento della realtà sociale, culturale ed economica.
Nel suo Epistolario si legge che nel dicembre 1830 si propose al padre
come amministratore delle proprietà terriere della famiglia.
Il tirocinio agrario del Conte di Cavour cominciò quindi nelle Langhe, a
Grinzane per estendersi in seguito alle proprietà familiari di Leri, nel Vercellese, specializzate nella coltivazione del riso. Il compito del giovane Cavour
era quello di rendere remunerativa l’attività delle tenute. A interessarlo particolarmente era l’economia legata all’agricoltura, il modo di far rendere le
coltivazioni, la commercializzazione del prodotto.
Con la sua intensa attività trasformò la fisionomia delle proprietà che gli
erano state affidate. Quando iniziò la gestione di Camillo di Cavour, la tenuta
di Grinzane si componeva di 200 ettari, vale a dire più della metà del territorio
comunale. Comprendeva il castello, cinque cascine a mezzadria e un mulino
dato in affitto.
La tenuta di Grinzane aveva una caratterizzazione principalmente vitivinicola. Erano molti i terreni a vigneto e buone le posizioni delle vigne. Grandi
erano le potenzialità per produrre degli ottimi vini, ma non si prestava nessuna
cura per ottenere vini di qualità.
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CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI
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Al suo arrivo, Camillo di Cavour trovò una situazione disastrata. Nel suo
diario si legge come dopo aver richiamato il fattore ai suoi doveri, ed essendo
quello recidivo nella sua trascuratezza, non avesse esitato affatto a licenziarlo
in tronco. Al suo posto assunse invece Giovanni Bosco che considerava un
uomo intelligente, attivo, ordinato. Effettivamente Bosco si mostrò una persona molto puntigliosa.
L’importanza di contare su un agente fidato e capace si incontrerà anche
nella scelta che intraprenderà Einaudi per i suoi poderi.
Dell’agente di Cavour, Giovanni Bosco, sono rimaste centinaia di lettere
nelle quali si trovano riferimenti puntuali sulla vita e sulla conduzione della
tenuta e delle vigne.
All’inizio del suo intervento a Grinzane, Camillo di Cavour trovò in pessimo stato anche la tinaia, punto fondamentale per la fermentazione del
mosto e la vinificazione. Questa situazione in effetti si incontrava abbastanza
spesso nelle cantine di quell’epoca ed è la ragione per cui il vino piemontese
non riusciva a puntare in alto e a decollare veramente. Ad esempio nel 1835
il Piemonte esportava più di 129.000 ettolitri di vino comune, ma di vino di
qualità superiore ne esportava solo 19 ettolitri e appena 7.900 bottiglie. Inoltre
il Piemonte non esportava molto distante i suoi vini. La quantità più considerevole veniva inviata nel territorio asburgico della Lombardia.
Camillo di Cavour aveva una visione molto diversa di che cosa avrebbero
dovuto essere non solo i vini di Grinzane, ma anche i vini di tutto il Piemonte.
Chiamò allora come enologo il generale Paolo Francesco Staglieno, singolare artefice della nuova enologia piemontese ottocentesca.
Il Generale Staglieno fu uno sperimentatore, un innovatore che si distinse
per una visione molto chiara sulla produzione e sulla commercializzazione del
vino di qualità. In una situazione di generale confusione viticola, insisteva sul
fatto che è fondamentale studiare le proprietà dei diversi vitigni e la loro maggiore o minore attitudine a dare vini di pregio.
Bisogna ricordare che fino a quel momento i vini del Piemonte si distinguevano per un carattere abboccato o dolce. Al contrario, il vino “ottimo”
secondo Staglieno era un vino completamente secco, limpido, trasparente, generoso, alcolico, gradevole al palato. Questi sono assolutamente i basilari presupposti per la nascita dei grandi vini rossi piemontesi da invecchiamento.
I vini della tenuta di Grinzane si spedivano per il consumo della famiglia
Cavour a Torino, a Santena, a Leri, in abbinamento con i risotti fumanti. Ma
i vini di Grinzane avevano anche una buona clientela rappresentata da alberghi, case dell’aristocrazia, vari privati.
Il successo che Camillo Benso di Cavour ottenne nella produzione dei suoi
vini fece della tenuta di Grinzane un importante modello, che permise di mostrare come fosse possibile applicarsi concretamente e con orgoglio allo sviluppo dell’agricoltura e in particolare della viticoltura, ottenendo dei buoni
risultati economici e di immagine.
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GIUSI MAINARDI
3 - CAVOUR, L’ASSOCIAZIONE AGRARIA SUBALPINA E LA REALE
ACCADEMIA D’AGRICOLTURA
La percezione sempre più consapevole dell’importanza dell’agricoltura
nell’economia e nella vita politica e sociale del Piemonte portò alla fondazione
dell’Associazione Agraria Subalpina. La sua attività a Torino si aprì ufficialmente il 31 maggio 1842. Gli obiettivi principali erano l’incremento dell’agricoltura, il miglioramento delle tecniche agrarie, la tutela degli interessi agrari,
lo sviluppo di tutti i settori in rapporto con l’agricoltura.
Camillo di Cavour ebbe una parte rilevante nella stesura degli statuti dell’Associazione e fin dall’inizio fece parte del Comitato direttivo. Dal 31 marzo
1849 divenne poi uno dei più celebri soci della Reale Accademia d’Agricoltura
di Torino, sorta nel 1785 come Società agraria e tre anni dopo riconosciuta
come Reale Società Agraria.
Si era alla fine degli anni ‘40 del 1800. Furono quelli gli anni in cui Cavour
entrò in politica attivamente e con incarichi sempre più importanti. Aveva evidentemente meno tempo per interessarsi direttamente delle tenute familiari,
ma nella sua nuova posizione continuò ad adoperarsi per promuovere e facilitare lo sviluppo dell’agricoltura e dell’enologia.
Nell’ottobre 1850 fu nominato Ministro dell’Agricoltura, Commercio e
Marina; nell’aprile 1851 diventò anche Ministro delle Finanze; nel novembre
1852 fu Presidente del Consiglio dei Ministri, con i due portafogli delle Finanze e dell’Agricoltura e Commercio.
Nella sua politica sostenne il libero scambio sul piano internazionale. Questo avrebbe stimolato il commercio e facilitato le esportazioni dei prodotti tipici piemontesi come riso, seta e vino.
In tale ambito divenne artefice di una strategia di promozione dell’agricoltura, del commercio, dell’industria e delle vie e dei mezzi di trasporto.
Incoraggiò e favorì la produzione nazionale aprendole i mercati internazionali, firmando in un solo anno accordi commerciali con dieci importanti
Paesi esteri.
La sua politica riscosse dei buoni risultati. Negli anni 1857-60 aumentarono la quantità e il valore dell’esportazione del vino piemontese.
Nel periodo della sua attività come Ministro dell’Agricoltura, scoppiò una
grave crisi viticola: nel 1851 il vigneto piemontese subì il violento attacco dell’oidio.
Cavour, come Ministro e soprattutto come uomo di diretta e provata esperienza viticola, si mostrò subito coinvolto e interessato. Era consapevole che
il vigneto piemontese e l’economia ad esso collegata si trovavano in estremo
pericolo. All’inizio dell’agosto 1851 si rivolse all’organismo che riteneva in
grado di dare un aiuto razionale e concreto in quel difficile momento. Così
incaricò ufficialmente la Reale Accademia d’Agricoltura di Torino di studiare
la malattia, ricercarne la natura e le cause ed il modo di combatterne gli effetti.
La Commissione dell’Accademia fornì la sua risposta con rimarchevole
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CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI
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rapidità, segnalando - fin dal settembre 1851 - la solforazione dei vigneti come
metodo efficacissimo di prevenzione e le sperimentazioni seguite dalla Commissione negli anni seguenti lo confermarono e ne favorirono l’adozione da
parte dei viticoltori.
4 - EINAUDI: PROFESSORE, PRESIDENTE, VITICULTORE
Si è visto come nel 1832, a 22 anni, Cavour avesse iniziato a gestire le proprietà terriere della sua famiglia.
In condizioni diverse, ma con la stessa passione e praticamente alla stessa
età, si dedicò ai problemi legati ai temi agrari un altro illustre economista:
Luigi Einaudi (1874-1961), laureato in Giurisprudenza, docente al Politecnico
di Torino e all’Università Bocconi di Milano, Vice Presidente del Consiglio
dei Ministri, Ministro delle Finanze, del Tesoro e del Bilancio nel IV Governo
De Gasperi, Governatore della Banca d’Italia tra il 1945 e il 1948, Presidente
della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955.
Nel 1897, a 23 anni, Luigi Einaudi si impegnò, indebitandosi, nell’acquisto
del podere di San Giacomo, a Dogliani, trovando (proprio come Cavour) delle
condizioni difficili, delle quali era perfettamente consapevole. Nel 1894 aveva
già messo a punto la sua “Monografia economico-agraria del comune di Dogliani”, che riprende un articolo sulla “Distribuzione della proprietà fondiaria
in Dogliani”, che aveva pubblicato nel 1893, a 19 anni, sulla “Gazzetta di Dogliani”.
In quel testo analizzava i cambiamenti fondiari intercorsi a Dogliani in 100
anni, dal 1793 al 1893, riscontrando come i proprietari fossero passati da 638
a 1299 e come i grandi proprietari (con più di 38 ettari) fossero ormai in minoranza rispetto ai proprietari medio-piccoli (da 1,5 a 2,5 ettari).
Spiegava che alla base di questo cambiamento stava una nuova concezione
dei prodotti agrari, precedentemente destinati al consumo locale e familiare
e non destinati - se non in minima parte - alla vendita.
In particolare notava che, dalla metà del 1800, proprio la vite era diventata
protagonista di una nuova economia, rappresentando una coltura sempre più
specializzata. In questo studio troviamo la bella descrizione di Dogliani, presentato come un paese incastonato in una zona viticola molto vocata, ed anche
le concrete osservazioni, non solo economiche, ma anche colturali ed enologiche, sul vitigno predominante in Dogliani: il ‘Dolcetto’.
Einaudi illustrava anche le ragioni del buon successo di questo vitigno in
quelle terre marnose e argillose, spiegando pure le differenze fra i vini ottenuti
dal ‘Dolcetto’ coltivato in terreni marnosi, di maturazione più pronta, e quelli
ottenuti in terreni argillosi, di maturazione più lenta e di più lunga conservazione.
Poco tempo dopo, le sue riflessioni sulla realtà di Dogliani si allargarono
a tutta la realtà piemontese in un bellissimo articolo di ben 34 pagine pubblicato in francese, intitolato “Les formes et les transformations de l’économie
agraire du Piémont”, uscito nel 1897 sulle pagine della rivista parigina “Le
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Devenir Social - Revue internationale d’économie, d’histoire et de philosophie”.
In questo lavoro presentava una riflessione sulle caratteristiche del Piemonte diviso nelle fasce montana, di pianura e collinare, ognuna con diverse
risorse e impostazioni agrarie.
La vigna secondo Einaudi è il più grande e il più fecondo prodotto delle
colline piemontesi, ma richiede una cura assidua, costante, amorevole da parte
del contadino che la coltiva.
Parlando dei cambiamenti intercorsi nella trasformazione della proprietà
agraria, citava proprio il conte di Cavour come esempio di rappresentante di
una famiglia aristocratica che aveva incitato a non affrettarsi a vendere le proprie terre. Era invece quello che facevano, sorde alle calde esortazioni del
conte di Cavour, molte famiglie nobiliari dell’epoca, troppo disinteressate alla
vita dei campi e più interessate ai pettegolezzi e alla vita della corte.
Proprio dal frazionamento dei grandi possedimenti, notava Einaudi, era
nata la piccola proprietà e contemporaneamente nuove realtà si erano concretizzate. Era avvenuta una gigantesca trasformazione nelle condizioni di
mercato e dell’economia agraria con la costruzione di nuove strade carrozzabili e l’ampliamento delle ferrovie che avevano trasformato e allargato il mercato strettamente locale.
Neanche a dirlo, queste trasformazioni avevano visto come convinto sostenitore proprio Cavour. Si erano aperte così nuove vie al commercio del
vino e parallelamente la coltivazione della vite era diventata intensiva e preponderante.
Ma ahimè, ecco arrivare dei momenti molto difficili. I prezzi dei vini piemontesi crollarono per la presenza dei vini meridionali, che, avendo perso il
mercato francese, cercavano un nuovo sbocco, proponendosi a prezzi molto
bassi. Questa fu una prima ragione che determinò il crollo del prezzo delle
uve, ma a questa si aggiunse pure l’invasione delle malattie che attaccavano
le vigne. Era sempre più difficile e oneroso difendersi. Molti furono costretti
a vendere i loro fondi, specialmente perché non in grado di vinificare le proprie uve e costretti a venderle ai prezzi bassi imposti dalle case vinicole.
La piccola proprietà nonostante tutto aveva resistito e la comparsa di nuovi
segni incoraggianti faceva dire a Einaudi che dagli uragani che minacciavano
di morte il piccolo proprietario si vedevano già apparire le prime aurore di
un nuovo equilibrio economico, che sarebbe stato loro favorevole.
Pochi mesi dopo l’uscita di questo articolo, Einaudi si impegnava nell’acquisto della Tenuta di San Giacomo, in due vendite all’incanto il 19 agosto e
il 1 dicembre del 1897. La proprietà contava circa 40 giornate piemontesi.
5 - EINAUDI, PROPRIETARIO DI “SAN GIACOMO”
San Giacomo era un’antica proprietà dei conti Marenco di Castellamonte.
L’ultima erede l’aveva lasciata al sacerdote Don Veglio. Questi decise subito
di metterla in vendita, considerate le condizioni in cui si trovava: l’imponente
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CAMILLO BENSO DI CAVOUR E LUIGI EINAUDI, ILLUSTRI VITICULTORI
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fabbricato settecentesco aveva un gran bisogno di restauro, le vigne erano diradate e devastate dalla fillossera.
Era un momento difficile per la viticoltura delle Langhe, i prezzi delle uve
erano bassi e la fillossera imperversava, eppure Einaudi decise di indebitarsi
comprando delle terre vitate. Perché?
Proprio fra le righe del suo articolo sul “Devenir social” si intravedono le
considerazioni che lo spinsero a questa azione. Due sono le ragioni principali:
una era il frutto di un’analisi economica che lo portava a considerare che,
dopo gli uragani, stavano per apparire delle aurore e vari segnali indicavano
che il periodo dei prezzi bassi in agricoltura stava terminando e che era quindi
il momento di comprare, anche indebitandosi.
L’altra ragione era frutto di un modo di sentire la terra tramandato in Piemonte di generazione in generazione. È un sentimento che venne trasmesso
a Luigi Einaudi dalla famiglia, dai nonni e dallo zio materno che sua madre
gli aveva sempre indicato come esempio, in mancanza del padre, prematuramente scomparso. Nell’articolo sul “Devenir social” era apparsa la considerazione amara che alcuni proprietari avevano dovuto alienare i propri beni.
Questa era una situazione che Einaudi aveva vissuto personalmente.
Quando suo nonno, in seguito ad anni difficili, aveva dovuto vendere le
proprietà terriere il fatto era stato vissuto in famiglia come una terribile disgrazia.
Chi conosce l’ambiente contadino piemontese sa quanto la terra sia stata
e sia importante. La terra è fonte di sostentamento, ma è anche molto di più.
È una “sponda”, è un sostegno morale, è una radice, è una identità, è una gratificazione, è orgoglio.
Luigi Einaudi aveva respirato quest’aria. Non aveva bisogno della terra
per vivere, il suo lavoro era un altro, ma ne sentiva comunque l’attrazione.
Ricomprare dei terreni, come già aveva fatto lo zio materno, dando gioia
a tutti i familiari, significava piantare nuove radici, recuperare una tradizione
e rendere completa la propria identità. Naturalmente era convinto anche del
successo economico dell’impresa, se questa fosse stata gestita con oculatezza,
perché credeva nelle potenzialità dei vini del Piemonte.
Dopo le terre di San Giacomo, nei primi anni ‘20 ci furono gli acquisti
degli Abbene e del Tetto Protto, poi negli anni ‘50 gli acquisti di 13 giornate
fuori Dogliani, nel comune di Barolo. Dalle prime 40 giornate, Einaudi passò
a ben 254 nel 1961.
I suoi primi interventi, guardati con curiosità e diffidenza dai compaesani,
iniziarono dal reimpianto dei vigneti con barbatelle innestate su piede americano e con l’eliminazione delle colture che si praticavano tra i filari. Il suo
grande lavoro si estese alle strade che dovevano servire i vigneti e le cascine,
allo studio diretto per la realizzazione di fabbricati rustici, all’avvio della cantina, perché Einaudi riteneva che un’azienda di certe dimensioni avesse più
convenienza a non vendere le uve, ma a produrre e vendere il proprio vino.
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GIUSI MAINARDI
6 - EINAUDI E L’ECONOMIA AGRARIA APPLICATA
Come avviene per la conoscenza della vita quotidiana della tenuta di Cavour a Grinzane, anche nel caso dei Poderi Einaudi sono molto vive e interessati le lettere scritte dall’incaricato della direzione dei poderi: Giovanni
Bersia. Einaudi, come già aveva fatto Cavour, scelse bene la persona alla quale
affidare questo compito.
Giovanni Bersia, dal 1910 fino alla sua morte nel 1939, fu l’infaticabile
collaboratore di Luigi Einaudi. Nell’intestazione delle sue lettere si legge la
qualifica di “enotecnico”. Bersia si era infatti diplomato alla Scuola enologica
di Alba nel 1893. Ma non si era fermato a quel titolo e in una lettera del 1915
era molto orgoglioso di comunicare al Professore che tra non molto sarebbe
diventato anche perito agronomo legalmente riconosciuto.
Proprio attraverso le sue lettere si seguono le attività nelle vigne, in cantina,
sui mercati. Si legge di memorabili grandinate nel 1912 e del sollievo di vedere
illese le cascine Vallero e Nido, oppure delle grandi nevicate del febbraio 1915
che limitarono gli impianti delle nuove viti, i lavori alla vigna della Meira, la
grave diffusione delle malattie crittogamiche del giugno 1915. Si seguono le necessità di acquisto di botti e il loro prezzo, le disposizioni sui travasi del vino, le
richieste di autorizzazione all’acquisto di damigiane. Vi troviamo anche informazioni sull’andamento delle vendite dei vini, l’invio dei vini per il consumo
della famiglia a Torino e nelle località di villeggiatura e, con uno spirito molto
concreto, troviamo l’invito di Bersia al Professore affinché recuperi e rispedisca
il fustame vuoto e le bottiglie vuote che costano ben 4 lire l’una!
Vediamo anche le tipologie e i prezzi dei vini: l’immancabile Dolcetto, portabandiera di Dogliani, ma anche Barbera, Grignolino e Dolcetto nebiolato,
Nebiolato bianco e rosso e anche Barolo, vino passito e Tockaj (sic!).
Si legge dei prezzi bassi dei vini nel 1925 (tranne che per Grignolino e Barolo)
e si trovano i listini praticati ai clienti e i prezzi di favore applicati ai familiari; si
segue la richiesta di approvazione per le etichette, si vedono i lavori di miglioramento degli stabili, la costruzione di strade, l’analisi delle spese sostenute.
Einaudi è costantemente e direttamente informato di quello che avviene
nelle sue terre, ovunque si trovi, a Torino, a Roma o in vacanza. Il suo giudizio
è sempre indispensabile. Continua a riflettere sulle esperienze in atto nei suoi
poderi e, negli anni ‘40, nel “Memoriale per stabilire le regole generali per
l’amministrazione di un’azienda agricola a vigneto nelle Langhe (Dogliani
1942-1943)”, presenta le sue riflessioni sulla mezzadria e sul suo ruolo di stimolo alla collaborazione con il proprietario, fa calcoli sulla quota di deperimento dei vigneti, sulle necessità di reimpianti e di continui investimenti nel
mantenimento e nel miglioramento dei poderi.
Furono riflessioni che si rivelarono di grande precisione e lucidità, tanto
che il Prof. Mario Einaudi, figlio primogenito di Luigi Einaudi, nel 1977, in
un intervento all’Accademia di Agricoltura di Torino, disse che in tutti i 64
anni di attività agraria, suo padre fu sempre in grado di ricavare dalla terra
tutto il capitale necessario alla vita e al rinnovamento dell’azienda.
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SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE
PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE: LA COLLABORAZIONE DI
LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA
MEMORIA DEL PROF.
GIOVANNI PAVANELLI*
presentata all’Adunanza extra mœnia tenuta a Cuneo il 28 ottobre 2011
RIASSUNTO:
Il lavoro analizza l’attività svolta da Luigi Einaudi in qualità di giornalista e opinion maker
in età liberale, con particolare riferimento alla sua collaborazione a La Stampa e al Corriere
della Sera. La prima parte si sofferma sullo stile giornalistico e le capacità argomentative e
persuasive di Einaudi, sul suo seguito presso l’opinione pubblica, sulla sua strenua riaffermazione e difesa dei valori dell’iniziativa individuale, del mercato e della concorrenza. Una
sezione successiva ricostruisce i principali nodi tematici affrontati durante la collaborazione
alla Stampa tra il 1896 e il 1902: le lotte del lavoro, i rapporti con il socialismo, l’emigrazione,
la finanza pubblica. Vengono di seguito richiamati gli scritti einaudiani sul Corriere in età
giolittiana, il sodalizio con Luigi Albertini, direttore del giornale milanese, l’azione tenace di
propaganda svolta dall’economista torinese durante il primo conflitto mondiale con l’obiettivo di convincere le famiglie italiane a ridurre i consumi e a sottoscrivere titoli di Stato, il
suo impegno nel promuovere la ricostruzione del paese nel primo dopoguerra fino alla forzata interruzione nel novembre 1925 quando il regime fascista assunse il controllo del Corriere.
Summary: Economic discourse and public opinion in the liberal age: Luigi Einaudi’s work as columnist at “La Stampa” and “Corriere della Sera”
This essay analyses Luigi Einaudi’s work as columnist and opinion maker at La Stampa and
Corriere della Sera during the “liberal age”. A first section investigates Einaudi’s journalistic
style, focussing on his ability to persuade, his following among the public, his strenuous defence of the principles of market economy and free competition. It then analyses the main
themes tackled by Einaudi during his work at La Stampa between 1896 and 1902: the labour
relations, the role of socialism, emigration, public administration and finance. Further sections analyse the main issues raised by Einaudi in his articles in Corriere before World War
I, his cooperation with Luigi Albertini, the chief editor of the journal, the work of propaganda
he enacted during the war in order to convince the Italian households to subscribe Treasury
bills, the “reconstruction programme” devised by Einaudi after the war, his decision to leave
the Corriere in November 1925, when the control of this newspaper was seized by the fascist
regime.
*Dipartimento di Scienze Economico-Sociali e Matematico-Statistiche, Università di Torino.
E-mail: [email protected]
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GIOVANNI PAVANELLI
1 - LUIGI EINAUDI GIORNALISTA E OPINION MAKER
Nei primi mesi del 1896, poco più che ventenne e ancora fresco di laurea,
Einaudi iniziava la sua lunga attività professionale in campo giornalistico assumendo l’incarico di redattore presso la Stampa-Gazzetta Piemontese (Firpo,
1970; Faucci, 1986, pp. 48-55; Bianchi, Giordano, 2010). Un impegno gravoso
ma stimolante, che comportava, come avrebbe rievocato molti anni più tardi
(Einaudi, 1945) lo studioso torinese:
“articolar dispacci, fabbricar titoli e sottotitoli, sforbiciare ed aggiustar notizie […] disporre all’ultimo momento, all’una, alle
due, alle tre di notte le ultime notizie sulla plancia del bancone
di tipografia, misurar collo spago i pezzi tipografici per vedere
quanta roba entrava e quanta doveva essere scorciata o scartata.
Bel lavoro, interessante, che nessuno al mondo mai ha insegnato
ed insegnerà mai, mestiere che, alla pari di ogni altro lavoro di
intuizione, si impara facendolo”.
Il lavoro puramente redazionale venne affiancato ben presto da quello di
collaboratore, un compito nel quale dimostrò spiccate attitudini e che si tradusse in un numero crescente di articoli: circa 400 tra il 1896 e il 1903. Dopo
i primi interventi, prevalentemente di circostanza, il giovane Einaudi affrontò
direttamente alcuni tra i principali nodi problematici dell’economia e della
società italiana del suo tempo: le lotte del lavoro, il ruolo del socialismo, la finanza pubblica, l’emigrazione.
Alla fine del 1902, tuttavia, i rapporti con il quotidiano torinese si interrompevano e nel gennaio dell’anno successivo Einaudi iniziava a scrivere assiduamente sul Corriere della Sera di Luigi Albertini. Si trattò di un passaggio
sul quale pesarono indubbiamente dissensi sulla linea editoriale: La Stampa,
all’epoca diretta da Luigi Roux, autorevole editore torinese e, dal 1898, senatore del Regno, guardava con favore a Giolitti, laddove Einaudi non nascose
mai la sua netta opposizione nei confronti dello statista di Dronero.
Ben più attraente appariva la prospettiva di collaborare con Albertini, con
il quale Einaudi era in contatto già a partire dai primi anni novanta in virtù
della comune frequentazione del “Laboratorio di economia politica” di Torino
e che nella veste di direttore e gerente stava rinnovando con tenacia e capacità
il quotidiano di via Solferino, trasformandolo nel più importante giornale della
penisola. A unire i due vi era del resto, oltre all’apprendistato scientifico
presso il “Laboratorio”, una condivisione dei principi di fondo del liberalismo
e una comune concezione della stampa quotidiana quale vettore insostituibile
di trasmissione delle idee (Faucci, 1986, pp. 55-59; Romani, 2012).
La collaborazione al Corriere della Sera, protrattasi per quasi un quarto
di secolo dal gennaio 1903 fino al novembre 1925, quando l’economista torinese cessò di scrivere su quel giornale a seguito dell’estromissione dalla direzione di quest’ultimo dei fratelli Albertini e del passaggio dello stesso sotto il
controllo del regime (Moroni, 2008), assume un carattere di unicità nel campo
dell’informazione economica in Italia. In questo arco di tempo, infatti, in virtù
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SCIENZA ECONOMICA E FORMAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA IN ETÀ LIBERALE:
LA COLLABORAZIONE DI LUIGI EINAUDI A LA STAMPA E AL CORRIERE DELLA SERA
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di spiccate capacità comunicative e di una non comune efficacia di scrittura,
Einaudi acquisì un seguito presso l’opinione pubblica italiana quale probabilmente nessun altro economista italiano ha avuto prima e dopo di lui. Egli
utilizzò questo ruolo preminente di opinion maker per una convinta riaffermazione dei valori dell’iniziativa individuale, del mercato e della concorrenza
e per la difesa del rigore in campo fiscale e monetario.
Un tratto costante della mole di scritti pubblicati da Einaudi sul quotidiano milanese e, in larga misura, su La Stampa, è in effetti il continuo riferimento al pubblico dei lettori, nella convinzione che le scelte fondamentali del
Paese dovessero essere sottoposte al vaglio di un dibattito che coinvolgesse la
società civile (Pavanelli, 2012). La pubblica opinione doveva tuttavia essere
guidata. Da questo punto di vista l’abilità argomentativa di Einaudi appare
difficilmente eguagliabile: dovendo affrontare tematiche complesse quali un
progetto di riforma, i provvedimenti a favore di determinati settori produttivi,
l’andamento della circolazione monetaria e dei tassi di cambio, il metodo seguito dall’economista torinese è, di regola, quello di fornire al lettore in primo
luogo, con chiarezza e rigore, gli elementi conoscitivi più rilevanti, i punti di
vista e le ragioni delle forze in campo. Una volta definito il quadro nei suoi
aspetti principali, Einaudi enuncia la propria valutazione critica, l’esortazione
a sostenere una particolare linea d’azione o ad opporsi ad essa (de Cecco,
2004).
Traspare qui la lezione del grande giornalismo anglosassone e in particolare dell’ Economist, il prestigioso settimanale britannico al quale, è opportuno ricordarlo, Einaudi collaborò a lungo in qualità di corrispondente
(Marchionatti, 2000; Berta, 2012), e, insieme a questa, l’attitudine, acquisita
negli anni di formazione scientifica presso il “Laboratorio di economia politica”, all’analisi attenta e spassionata dei dati di fatto. A ciò si aggiunge il fatto
che, come è stato osservato, Einaudi giornalista fu caratterizzato da un proprio
stile letterario inconfondibile: uno stile che contribuì a renderlo lo scrittore
di riferimento di una vasta platea di lettori (Faucci, 1986, pagg. 111-12).
Con il passare degli anni gli interventi di Einaudi, pur senza perdere nulla
in termini di rigore informativo, andarono assumendo sempre di più la natura
della perorazione e della “predica”; una predica destinata a rimanere per lo
più inascoltata, almeno nell’immediato, ma tuttavia necessaria e doverosa per
l’intellettuale memore dei suoi obblighi verso la società.1
In questo quadro assume certamente un ruolo centrale il sodalizio intellettuale e professionale con Luigi Albertini. Si è detto della comunanza di visione tra i due. Albertini, tuttavia, fu sempre molto fermo nel far valere il suo
ruolo di responsabile ultimo della coerenza e della continuità di indirizzo del
giornale da lui diretto. Nelle sue lettere a Einaudi, accanto a un’incessante
1
“Prediche”, come è noto, fu il titolo apposto da Einaudi (1920a) a una raccolta di articoli, da
lui scritti durante la prima guerra mondiale e il primo dopoguerra per La Riforma Sociale e per
il Corriere.
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azione di stimolo e di sollecitazione sui temi da affrontare, egli intervenne più
volte con determinazione per smorzare quelli che a suo giudizio si configuravano come spunti polemici eccessivi o comunque inopportuni alla luce di una
particolare congiuntura politica o parlamentare. In qualche caso non esitò a
rinviare al suo collaboratore il testo di un articolo, invitandolo a procedere
ad una sostanziale revisione o a pubblicarlo senz’altro su un’altra rivista.
Con riferimento alle scelte di politica doganale, in particolare, Albertini
non condivise l’impostazione liberoscambista di Einaudi e fu riluttante a far
assumere al Corriere posizioni che avrebbero potuto essere giudicate astratte
o contrarie agli interessi dei ceti produttivi. È opportuno ricordare inoltre
che, fino alla prima guerra mondiale, Einaudi fu affiancato, nel suo ruolo di
commentatore delle questioni economiche del giorno, da Luigi Luzzatti, esponente politico ed accademico di primo piano, nonché tra i principali sostenitori della svolta protezionistica attuata in Italia negli anni ’70-’80
dell’Ottocento. Ciò poneva vincoli di non poco conto in relazione all’esigenza,
che come si è accennato era fortemente sentita da Albertini, di garantire continuità alla linea editoriale del giornale, soprattutto con riferimento ai grandi
temi, evitando bruschi cambiamenti di rotta che avrebbero suscitato sconcerto
tra i lettori. Fino al primo dopoguerra, dunque, Einaudi condusse le sue battaglie liberoscambiste su altri organi di stampa, quali La Riforma Sociale e
L’Unità di Salvemini.
Nel corso del suo lungo sodalizio con Albertini, Einaudi firmò solo una
parte degli innumerevoli articoli redatti per il Corriere; in genere quelli di carattere programmatico o che affrontavano temi di fondo della politica economica del tempo. In ogni caso, come si è accennato, il suo seguito presso il
pubblico fu molto ampio. Sono significative a tale proposito le testimonianze
dei contemporanei: nel 1917 Umberto Ricci attribuiva a Einaudi il merito di
insegnare sul Corriere della Sera l’economia politica a «migliaia di lettori» al
punto che egli «[iniziava] ad essere ascoltato come un oracolo» (Ricci, 1917,
p. 392). A sua volta Libero Lenti, studente alla “Bocconi” nel primo dopoguerra, nella vecchia sede di Largo Treves, affermava di serbare una memoria
«vivissima» degli articoli einaudiani sul Corriere; articoli che spesso l’economista torinese terminava in aula dopo la lezione e portava di persona al giornale «ch’era a due passi» (Lenti, 1983, p. 45).
Una testimonianza indiretta dell’eco suscitata dagli interventi di Einaudi
è costituita dal gran numero di lettere inviategli nel corso degli anni da rappresentanti di associazioni, da esponenti della società civile o da semplici lettori e delle quali talvolta egli dette conto sul Corriere.
Cosciente dell’importanza del ruolo da lui svolto come commentatore di
scelte di policy sul più importante quotidiano della Penisola, Einaudi non esitava a rivolgersi da pari a pari ai politici e governanti del tempo, proponendosi
in qualche caso come interlocutore diretto: «a noi duole assai», scriveva ad
esempio nel maggio del ’14, «che il ministro non abbia a sufficienza tenuto
conto delle considerazioni che furono qui esposte sul tema dei rapporti fra pro-
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tezionismo e trusts» (Einaudi, 1914b). E pochi mesi prima salutava con soddisfazione la decisione adottata dal ministro del Tesoro, Francesco Tedesco,
di pubblicare integralmente i conti della tesoreria «in seguito ai pressanti inviti
rivoltigli anche su queste colonne» (Einaudi, 1914a).
Per quanto la visione e il quadro di riferimento analitico siano certamente
molto diversi e per certi versi opposti, appare in effetti legittimo collocare idealmente Einaudi accanto al maggiore “persuasore” del Novecento, John Maynard Keynes. Lo stesso Einaudi del resto, prima di polemizzare a distanza con
l’economista di Cambridge per la sua difesa dell’ozio in Economic Possibilities
of our Grandchildren o per la possibilità di effettuare investimenti senza disporre di un risparmio preesistente (in The Means to Prosperity), aveva elogiato senza riserve, sulle colonne del quotidiano milanese, The Economic
Consequences of the Peace, il duro atto di accusa nei confronti del trattato di
Versailles pubblicato da Keynes nel 1919, presentandolo come un importante
contributo volto a formare una «opinione pubblica mondiale» favorevole alla
revisione delle clausole del trattato (Einaudi, 1920b).2
2 - LA COLLABORAZIONE A LA STAMPA
Il settennio 1896-1902, tanto durò la collaborazione di Einaudi a La
Stampa, si configura come un periodo indubbiamente cruciale per il paese:
sono anni contrassegnati da scontri sociali e istituzionali culminati con la crisi
di fine secolo e seguiti dall’affermazione del giolittismo. A livello economico
il Paese riuscì a lasciarsi alle spalle l’eredità della grave crisi bancaria culminata
nel 1892-93 con lo scandalo della Banca Romana e ad imboccare un processo
di crescita dapprima incerto, poi sempre più vigoroso, destinato a perdurare
fino alla prima guerra mondiale. È questo anche un periodo fondamentale
per la formazione intellettuale di Einaudi che, accantonata una simpatia iniziale per il movimento socialista, venne rapidamente maturando una convinta
adesione ai princìpi del liberalismo e, a livello professionale, poté coronare le
proprie aspirazioni accademiche conseguendo nel 1902 la cattedra di scienza
delle finanze presso l’Università di Torino (Faucci, 1986, pp. 37-42).
Come si è accennato, uno dei temi cruciali degli articoli einaudiani su La
Stampa in questi anni è costituito dalle “lotte del lavoro”, dalle rivendicazioni
dei lavoratori nel settore manifatturiero e in quello agricolo. È il caso del noto
reportage, pubblicato tra settembre e ottobre 1897, sugli scioperi nelle industrie tessili del Biellese. Inviato dal giornale in Val Sessera, epicentro delle agitazioni, il giovane Einaudi non si limita ad una cronaca degli avvenimenti ma
richiama le caratteristiche strutturali del settore, l’andamento della congiuntura, le condizioni di vita dei lavoratori, soffermandosi in particolare sulle loro
aspettative e aspirazioni. Gli operai del Biellese, osservava, erano per lo più
2
Non meno positivo fu il giudizio di Einaudi nei confronti di A Revision of the Treaty, pubblicato
da Keynes nel 1922 (Einaudi, 1922a, p. 1).
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proprietari delle abitazioni nelle quali vivevano e possedevano qualche, sia
pur minuscolo, appezzamento di terreno; inoltre i salari da essi percepiti erano
tra i più elevati in Italia. Eppure il malessere era diffuso e il socialismo aveva
messo piede in Val Sessera e nelle vallate contigue più che in altri luoghi: la
ragione principale, rilevava Einaudi, era il bisogno, universalmente sentito dai
lavoratori, di migliorare le proprie condizioni di vita in un contesto nel quale
l’attività di fabbrica appariva eccessivamente logorante. Non a caso, le rivendicazioni alla base dello sciopero non erano di carattere economico ma erano
legate all’esigenza di contenere in non oltre dieci ore il tempo di permanenza
negli opifici (Einaudi, 1959a, pp. 40-62)3.
Tre anni più tardi, nel dicembre 1900, fu sempre Einaudi ad assumere l’incarico di dar conto ai lettori dello sciopero generale proclamato nel porto di
Genova a seguito di un decreto prefettizio di scioglimento della locale Camera
del lavoro, controllata dai socialisti. Ancora una volta Einaudi non si accontenta di una semplice descrizione dei fatti o di emettere un giudizio a priori
ma si preoccupa di analizzare il contesto nel quale era maturato lo scontro,
delle ragioni e delle passioni dei protagonisti. Il lavoro nel porto, osservava
l’economista torinese, era sì ben pagato, ma anche discontinuo; era dunque
comprensibile che gli operai del settore esprimessero la domanda di organismi
di mutua assistenza e di tutela dei propri interessi. Ora, a torto o a ragione, la
Camera del lavoro era percepita come una importante istituzione di questa
natura e il suo scioglimento un tentativo da parte delle autorità di privare i lavoratori di ogni forma di organizzazione rappresentativa. Lo sciopero era dunque da considerare una rivendicazione di «dignità civile» e una manifestazione
di solidarietà. Certo, i danni provocati all’economia, non solo locale ma nazionale, data l’importanza del porto, erano molto gravi. Tuttavia, le responsabilità maggiori erano delle autorità politiche, che avevano optato per una
prova di forza in un contesto già surriscaldato dalla propaganda socialista (Einaudi, 1959a, pp. 290-309).
La riflessione einaudiana sugli scioperi si accompagna dunque strettamente a quella sulla natura e il ruolo dei primi sindacati, definiti con un termine di sapore arcaico, “leghe”. La maggior parte di questi organismi,
osservava l’economista torinese, era nata in modo spontaneo, quale forma di
organizzazione dal basso dei singoli lavoratori che, mossi dal legittimo desiderio di migliorare la propria posizione, si rendevano conto dal fatto che, nel
contesto in cui si svolgeva l’attività produttiva, era opportuno avanzare le proprie rivendicazioni in modo «ordinato e collettivo» piuttosto che a livello individuale. Non stupisce dunque che Einaudi fosse contrario ad ogni
intervento legislativo diretto a regolamentare e controllare dall’alto le leghe
stesse. Il suo modello, una volta di più, era la Gran Bretagna dove, scriveva,
3
Il tema fu poi ripreso da Einaudi (1897) in un saggio più ampio pubblicato su La Riforma Sociale.
Sul reportage einaudiano degli scioperi nel Biellese cfr. Faucci, 1986, pp. 50-52; Bianchi, Giordano, 2010, pp. 49-50.
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vi era «la massima libertà per tutti, operai e imprenditori, di associarsi per difendere i propri interessi» e nel contempo era possibile ritirarsi dalla lega
quando, a livello individuale, non si riteneva più conveniente restare (Einaudi,
1901d).
Nel caso di contese su salari e condizioni di lavoro, dunque, il compito di
trovare una posizione di equilibrio doveva essere lasciato agli individui e alle
loro organizzazioni. Il governo non doveva interferire o schierarsi con una
delle parti in causa ma limitarsi a garantire l’ordine, la libertà del lavoro e il
mantenimento dei servizi essenziali (Einaudi, 1900b; Einaudi, 1901a).
Un altro tema frequente negli interventi einaudiani sulla Stampa è indubbiamente il confronto con il socialismo. Come si è accennato, negli anni giovanili, anche per l’influenza esercitata dalla lettura delle opere di Achille Loria,
docente di economia all’Università di Torino, Einaudi simpatizzò per un breve
periodo con il movimento guidato da Filippo Turati. Nel 1894, ancora studente, inviava alla Critica Sociale, il periodico fondato pochi anni prima dall’esponente politico milanese, una lunga lettera, pubblicata nel fascicolo di
marzo, nella quale sollecitava il partito socialista a farsi promotore di provvedimenti in difesa della piccola proprietà fondiaria, vessata da condizioni jugulatorie per l’accesso al credito (Einaudi, 1894)4.
L’approdo convinto, di lì a poco, al liberalismo fece sì che il rapporto con
il socialismo si configurasse, anche su La Stampa, come un “contrasto fecondo
di idee”, una competizione leale diretta a persuadere e a conquistare l’opinione
pubblica e in particolare i ceti popolari (Einaudi, 1901b)5. Il punto centrale,
scriveva in un impegnativo articolo comparso sul quotidiano torinese il 12 ottobre 1899, era quello di convincere i lavoratori che per accrescere il proprio
benessere “non vi [era] altro mezzo se non accrescere la quantità di ricchezza
prodotta” (Einaudi, 1899).
Indubbiamente, un conto era avere a che fare con i tribuni esagitati dell’estrema sinistra dello schieramento socialista e un altro con gli esponenti
dell’ala moderata. Da questo punto di vista Einaudi non nascose nei suoi interventi su La Stampa la propria stima intellettuale per Turati, descritto come
«una delle menti più equilibrate» all’interno di tale movimento (Einaudi,
1901b).
Un altro tema cruciale, destinato ad essere proseguito sul Corriere, fu
quello dell’emigrazione. In alcuni efficaci interventi Einaudi denunciò la condizione di sfruttamento cui erano sottoposti gli emigrati italiani, spesso vittime
di soprusi da parte delle autorità locali e dei loro stessi connazionali. Particolarmente dolorosa appariva la sorte di tanti fanciulli, soprattutto del Mezzogiorno, sottratti alle proprie famiglie e costretti a lavorare, in condizioni
disumane, nelle vetrerie belghe e francesi: un “infame traffico” contro cui Ei-
4
Sui rapporti di Einaudi con il movimento socialista cfr. Faucci, 1982; Forte, 1982, pp. 190-250;
Bianchi, Giordano, 2010, pp. 45-9.
5
Sul liberalismo di Einaudi cfr., tra gli altri, i recenti contributi di Giordano, 2006; Forte, 2009.
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naudi si scagliò in alcuni articoli, nella speranza che la sua denuncia trovasse
eco nel Parlamento e nel governo (Einaudi, 1959a, pp. 350-367).
Per migliaia di individui, tuttavia, l’emigrazione costituiva una straordinaria opportunità di riscatto e di promozione sociale: richiamando una tematica
affrontata con grande maestria in Un principe mercante (1900) nelle sue pagine su La Stampa Einaudi documenta anche i tanti casi di emigrati che erano
riusciti a conseguire posizioni di agiatezza o addirittura di preminenza nei rispettivi settori; l’auspicio dell’economista torinese era che si fosse alla vigilia
della nascita di una «grande Italia transatlantica» creata dal lavoro dei nostri
connazionali (Einaudi, 1959a, p. XII).
Con riferimento ai temi più strettamente economici, si segnalano diversi
articoli contro i dazi sul grano e, in generale, la politica doganale protezionista:
un tema che, come si è accennato, sarebbe stato relegato in secondo piano sul
Corriere (Einaudi, 1898; 1900a) . Diversi anche gli interventi con riferimento
alla finanza pubblica e alla tassazione. Tra questi mette conto segnalare un articolo nel quale Einaudi stigmatizzava l’indifferenza con la quale era stato accolto un importante progetto di riforma tributaria elaborato da Leone
Wollenborg: la convinzione diffusa, scriveva, era che un sistema di imposte
farraginoso ma consolidato fosse comunque preferibile ad un sistema nuovo.
Einaudi non condivide affatto questo punto di vista: un progetto di riforma,
sia pure graduale, era necessario, se non si voleva lasciare il campo alle posizioni più estreme (Einaudi, 1901c).
3 - GLI ARTICOLI IN ETÀ GIOLITTIANA
Negli oltre vent’anni durante i quali si andò sviluppando la sua collaborazione al Corriere, Einaudi redasse oltre 1700 articoli, molti dei quali firmati,
nei quali affrontò le principali tematiche di politica economica e sociale del
suo tempo (Pavanelli, 2012)6.
Un nucleo significativo di questa mole di contributi documenta in modo
efficace il processo di crescita imboccato dall’economia italiana ai primi del
Novecento, dopo la grave crisi dei primi anni novanta. Una crescita i cui meriti
Einaudi attribuì in primo luogo all’impegno di migliaia di piccoli e medi imprenditori e di operai che, lavorando in modo assiduo, senza invocare dazi
protettivi o sovvenzioni da parte del governo, erano riusciti a far fronte alla
crescente domanda di consumi all’interno e a competere sui mercati esteri.
Un’influenza positiva era stata inoltre esercitata dal risanamento del settore
bancario e dal riordinamento dei conti pubblici, conseguiti grazie a una politica di raccoglimento e all’adozione di pratiche amministrative e gestionali
virtuose. Nessun merito specifico venne invece riconosciuto a Giolitti, il protagonista della vita politica italiana fino alla prima guerra mondiale, che Einaudi, come si è accennato, avversò per la sua tendenza al compromesso ad
6
Per un elenco per quanto possibile esaustivo degli scritti einaudiani sul Corriere cfr. Moroni,
2012.
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ogni costo e per la propensione ad un continuo ampliamento dell’area di intervento pubblico.
Una riprova significativa della crescente operosità dell’Italia era data, osservava Einaudi, dal sostanziale incremento dell’interscambio commerciale,
verificatosi a partire dai primi anni del nuovo secolo. L’Italia, rilevava l’economista torinese in un articolo pubblicato nel maggio del 1905, importava
dall’estero quantità crescenti di prodotti greggi e semilavorati che venivano
poi rielaborati dalle sue industrie (Einaudi, 1905a). «Non siamo più», sottolineava, «un paese puramente agricolo che esporta derrate agrarie ed importa manufatti, siamo anche un paese che vive di industrie sue e compra dall’estero
materie prime per trasformarle». Per il momento, in effetti, le esportazioni non
aumentavano con altrettanto vigore: si determinavano dunque deficit rilevanti
e crescenti della bilancia commerciale che tuttavia non suscitano particolari
preoccupazioni nell’economista torinese, convinto che si trattasse di squilibri
momentanei, destinati ad essere appianati nel corso del tempo.
La crescita vigorosa dell’economia reale fu accompagnata, in questi anni,
dal persistere di un vivace confronto tra le parti sociali e dal rafforzamento
delle organizzazioni sindacali e delle associazioni imprenditoriali. Come già
nei suoi interventi su La Stampa, anche in questo caso Einaudi dette una valutazione tutt’altro che negativa di questi sviluppi. Entro certi limiti, le rivendicazioni operaie dirette a conseguire un miglioramento del tenore di vita
erano da considerarsi un fattore che incentivava la razionalizzazione dell’apparato industriale (Einaudi, 1959a, p. XXII). L’importante era che lavoratori e
datori di lavoro, attraverso le proprie associazioni di categoria, non tentassero
di conseguire posizioni di privilegio o di instaurare un regime monopolistico.
Accanto alle lotte sindacali uno dei temi centrali della riflessione einaudiana sul Corriere fu certamente quello della finanza pubblica. Grazie all’opera di risanamento compiuta negli anni precedenti e al buon andamento
dell’economia, il bilancio dello Stato, ai primi del Novecento, appariva sostanzialmente in equilibrio e nel 1906 il governo poté attuare con successo la
conversione della rendita, conseguendo un notevole risparmio sugli interessi
pagati.
Permanevano tuttavia numerosi nodi irrisolti, ad iniziare dalla necessità
di riformare il sistema tributario, inefficiente e fortemente sperequato. Per
quanto importante fosse un’azione in questo senso, peraltro, secondo Einaudi
la via maestra per alleviare gli oneri che gravavano sui contribuenti italiani e
per non compromettere le prospettive di crescita dell’economia avrebbe dovuto essere quella di un rigoroso controllo della spesa pubblica. La tendenza
del governo, lamentava l’economista torinese, era invece quella di andare nella
direzione opposta: in particolare, si assisteva a un continuo rigonfiamento
degli organici del pubblico impiego per motivi clientelari e su pressione dell’apparato burocratico (Einaudi, 1960, pp. 316-27).
E fu proprio l’esigenza, fortemente sentita, di difendere la stabilità dei
conti pubblici e gli interessi dei contribuenti contro le continue pretese di in-
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numerevoli gruppi di pressione coalizzati a danno dell’erario a dettare all’economista torinese alcuni dei suoi interventi più efficaci. Basterà qui ricordare
i numerosi articoli nei quali sottopose ad attenta analisi critica il sistema delle
convenzioni marittime stipulate dal governo con le società di navigazione. Accordi essenziali per garantire i servizi postali e commerciali tra i vari porti della
penisola che tuttavia, se mal congegnati, rischiavano di comportare aggravi
eccessivi per il bilancio dello Stato (Einaudi, 1959b, pp. 346-76 e 532-4; 1960,
pp. 346-53 e 427-45; Faucci, 1986, pp. 63-5).
Se le convenzioni con le società di navigazione erano, entro certi limiti,
giustificabili, altrettanto non poteva dirsi dei premi ai cantieri navali caldeggiati, oltre che dai diretti interessati, da alcuni esponenti del governo con
l’obiettivo di favorire tale settore, considerato strategico. I premi, scriveva in
un articolo dell’ottobre 1909, «sono un sovrappiù che armatori e costruttori intascano ben volentieri, come l’intascherebbe un qualunque industriale a cui lo
Stato volesse benevolmente regalare qualche centinaio di mille lire o qualche
milione all’anno; ma non sono la causa per cui possono fiorire l’industria dei
cantieri e la navigazione» (Einaudi, 1909).
Un altro tema rilevante negli articoli di Einaudi in questi anni, anche se in
larga misura non ricompreso nelle Cronache, è costituito dall’analisi delle crisi,
con particolare riferimento a quella del 1907 (Bonelli, 1971). Agli inizi del
Novecento il mercato borsistico italiano era stato caratterizzato da forti rialzi
delle quotazioni dei titoli; una tendenza che nel settore automobilistico aveva
assunto ben presto ritmi frenetici. In una corrispondenza da Torino del 9 giugno 1905, Einaudi stigmatizzava tale fenomeno come una «febbre» speculativa
analoga a tante altre verificatesi nel passato. Di per sé, il fatto che i risparmiatori si avvicinavano alle Borse era positivo: l’impiego dei capitali, tuttavia, doveva avvenire con moderazione, distinguendo tra settori già consolidati e
«industrie nuove», nelle quali «la concorrenza non [aveva] ancora potuto ricondurre i profitti al livello normale». Tra queste vi era certamente quella dell’auto
che era stata indubbiamente oggetto di manovre speculative (Einaudi, 1905b).
Il movimento rialzista proseguì negli anni successivi fino all’ottobre del
1906, quando si verificò un brusco ribasso delle quotazioni innescato da manovre speculative sul titolo delle acciaierie Terni (Corbino, 1938, p. 394; Bonelli, 1971, p. 21). Su sollecitazione di Albertini, Einaudi dedicò al tema un
ampio articolo che venne pubblicato con notevole rilievo sul Corriere ai primi
di novembre (Einaudi, 1906a). In esso Einaudi ripercorreva le vicende del
mercato azionario italiano dall’ondata rialzista dal 1903 fino alla stasi dei corsi
determinatasi nel 1906; una situazione che aveva indotto gli operatori finanziari, in particolare coloro che si erano esposti in operazioni di riporto, ad
esprimere critiche violente nei confronti dei ribassisti, accusati di congiurare
contro il credito nazionale. I fattori alla base della crisi, scriveva Einaudi, erano
tuttavia ben altri: un ruolo cruciale era stato svolto dall’aumento del costo del
denaro in Europa e negli Stati Uniti, che non poteva non tradursi in una riduzione delle quotazioni dei titoli; nel giro di pochi anni, inoltre, era stato im-
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messo sul mercato un numero molto elevato di azioni: le banche, inizialmente
disponibili a prendere a riporto senza difficoltà questi titoli, erano divenute
più caute, costringendo a «vendite affrettate» gli operatori maggiormente
esposti. L’articolo, molto apprezzato dai lettori, fu seguito pochi giorni più
tardi da un ulteriore contributo, commissionato da Albertini, che traeva
spunto dagli sviluppi della speculazione sul titolo della Terni (Einaudi, 1906b).
Nei mesi di ottobre e novembre del 1907 si assistette a un aggravamento
della crisi a livello internazionale. Ad essere colpiti in questo caso furono, in
primo luogo, gli Stati Uniti: in un articolo pubblicato il 18 novembre Einaudi
(1907b) ricostruiva in modo dettagliato i fattori alla base dei crolli borsistici
verificatisi a New York e in altre piazze finanziarie statunitensi oltreoceano
dopo un periodo piuttosto prolungato di euforia e rialzi delle quotazioni7. Alcuni anni più tardi, nel 1912, i mercati borsistici furono nuovamente investiti
da un ribasso delle quotazioni, che traeva origine dalla crisi politica nei Balcani. In un interessante articolo firmato8 l’economista torinese si soffermò
sulla congiuntura negativa che si era venuta a determinare in conseguenza
delle vicende politiche nell’Est europeo, raffrontandola con quella precedente
(Einaudi, 1912).
Anche se forse in numero inferiore a quanto sarebbe lecito attendersi, in
considerazione della profonda passione dell’economista torinese per la terra
e per le attività ad essa connesse, si segnalano in questi anni diversi interventi
einaudiani sulle problematiche dell’agricoltura italiana, a iniziare dalla viticoltura. In un articolo pubblicato nel luglio del 1903, il nostro autore si soffermava sulla situazione di profondo disagio del settore vitivinicolo in
Piemonte, colpito da condizioni meteorologiche avverse e da un forte ribasso
dei prezzi delle uve (Einaudi, 1903). Pochi anni più tardi, nel gennaio del
1908, analizzava le preoccupazioni del settore per un prospettato eccesso di
produzione a fronte di una domanda interna stagnante. Molti operatori, scriveva, avevano individuato l’àncora di salvezza nella distillazione del vino di
seconda qualità e, dato che la tassa sulla fabbricazione di spiriti era piuttosto
elevata, avevano avanzato pressanti richieste al governo per drastiche riduzioni
della stessa. Pur comprendendo tali preoccupazioni, Einaudi non esitò a criticare la soluzione proposta: il governo non poteva accettare di arrecare «ferite
gravissime» al suo sistema fiscale né poteva e doveva farsi «quasi garante» del
prezzo del vino. La soluzione non poteva che venire in prima istanza dagli
stessi viticultori: occorreva cercare di conquistare nuovi mercati nell’Europa
centrale, vincendo la concorrenza francese e spagnola e nel contempo compiere ogni sforzo per migliorare la qualità della produzione: l’imperativo era
«produrre soltanto del vino buono», limitando la quantità inviata periodicamente sul mercato (Einaudi, 1908a). Il concetto venne ribadito in un ulteriore
7
Sempre sul tema della crisi del 1907 cfr. Einaudi, 1907a; 1908c.
Einaudi L. - “La crisi delle borse europee. Caratteristiche e confronti”, Corriere della Sera, p. 1.
Rist. in Luigi Einaudi e il Corriere della Sera, vol. I, 381-6.
8
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articolo sul tema pubblicato il 25 agosto dello stesso anno: “L’importante è
che i viticultori si persuadano che essi devono trovare in sé stessi la fonte della
salvezza, selezionando e perfezionando la produzione ed organizzandosi, in buon
accordo con industriali e commercianti, per la vendita. Se a questo fine non gioverà, l’odierna crisi sarà passata invano” (Einaudi, 1908b).
Un altro nodo cruciale per l’agricoltura italiana era costituito dalla produzione cerealicola. L’occasione per l’intervento venne fornita in questo caso
dalla pubblicazione di un bollettino di statistiche agrarie italiane, curato da
Ghino Valenti. Si trattava, rilevava Einaudi, di un contributo importante che
aveva il pregio di confutare l’idea, radicata presso larga parte dell’opinione
pubblica e a livello parlamentare, che in Italia la superficie riservata alla produzione di cereali fosse troppo bassa e che questa potesse essere aumentata
riducendo le «terre incolte». I dati statistici rivelavano invece che in Italia
l’estensione di terreno destinata a grano era «di gran lunga superiore a quella
che ragionevolmente [avrebbe dovuto] essere». Si coltivava grano anche sulle
pendici delle montagne, con rendimenti molto bassi, che riducevano anche
la media generale. La responsabilità, una volta di più, era da attribuirsi all’
«elevata protezione doganale». In Gran Bretagna, dove vigeva il libero scambio, si coltivavano solo le terre più adatte e la resa per ettaro era molto superiore (Einaudi, 1910).
4 - LA PRIMA GUERRA MONDIALE, IL DOPOGUERRA, IL FASCISMO
Come è possibile dedurre dai suoi scritti sul Corriere, in particolare nel
1912-13, in occasione della crisi balcanica, Einaudi era pienamente cosciente
dei danni irreversibili che una guerra su larga scala avrebbe provocato alla
delicata e complessa rete di scambi e relazioni internazionali in virtù della
quale, in larga misura, era stata possibile la crescita economica dei decenni
precedenti; al punto da auspicare che una valutazione razionale dei rispettivi
interessi fosse sufficiente a scongiurare un conflitto generalizzato tra le potenze europee.9
Nel 1915, tuttavia, egli condivise la linea, promossa con forza da Albertini
e dal Corriere, nonché da diversi esponenti dello schieramento liberale, favorevole a un intervento a fianco delle potenze dell’Intesa. Ciò in primo luogo
per ragioni patriottiche: per Einaudi, come per molti intellettuali della sua generazione, la guerra contro l’Austria avrebbe permesso di portare a compi9
“Gli uomini di borsa”, scriveva nel gennaio 1913, “hanno per loro la convinzione, diventata oramai profondissima nel mondo bancario d’Inghilterra, di Francia e di Germania, che la guerra tra le
grandi Potenze europee è oggi quasi impossibile a causa delle difficoltà finanziarie enormi a cui andrebbe incontro la condotta di una guerra europea. Se il semplice timore del teatro della guerra all’Austria ha potuto essere causa di danni gravissimi economici, cosa accadrebbe se la guerra scoppiasse
sul serio? I ribassi nelle rendite austriache, ungheresi, tedesche e francesi furono l’ammonimento
che i mercati finanziari dettero ai governanti: ammonimento di prudenza, che non fu dato invano”
(Einaudi, 1913).
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mento il processo di riunificazione nazionale. Essa d’altra parte avrebbe determinato un rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia quale
potenza di primo piano e avrebbe consentito di salvaguardare quei valori liberal-democratici che apparivano minacciati dal militarismo e dalle tendenze
autoritarie dominanti negli Imperi centrali (Vivarelli, 1981, pp. 284-91). Era
dunque necessario combatterla senza esitazioni, anche se i costi umani ed economici si rivelarono ben presto elevatissimi.
Negli articoli scritti da Einaudi durante il conflitto la predica, l’esortazione
austera e patriottica prevalgono su ogni altra considerazione: l’obiettivo prioritario, scriveva, era quello di ridurre al minimo i consumi privati; se possibile
attraverso un’opera di moral suasion, se necessario mediante drastici provvedimenti legislativi (Einaudi, 1916). Anche gli investimenti in infrastrutture
per usi civili dovevano essere sospesi. Le risorse così disponibili avrebbero
dovuto essere raccolte mediante la tassazione nonché attraverso la sottoscrizione di cartelle del debito pubblico, per essere quindi impiegate nello sforzo
bellico. Solo in questo modo sarebbe stato possibile evitare il ricorso a continui aumenti della circolazione, destinati a sfociare in processi inflazionistici
incontrollabili.
Date queste premesse, non sorprende che in questo periodo Einaudi abbia
dedicato un numero rilevante di articoli ai prestiti nazionali (in totale cinque)
promossi dal Tesoro nel quadriennio 1914-18 con l’obiettivo di reperire le risorse necessarie alla conduzione della guerra10.
Con riferimento al primo prestito di un miliardo di lire deliberato nel dicembre 1914 quando ancora l’Italia non aveva abbandonato la sua posizione
di neutralità, ad esempio, Einaudi faceva appello con la consueta eloquenza
al patriottismo ma anche all’interesse dei risparmiatori segnalando il buon
rendimento del nuovo titolo; una previsione, va detto, destinata ad essere
smentita in occasione dei prestiti successivi, emessi a condizioni notevolmente
più favorevoli (Einaudi, 1915a). In occasione del secondo prestito, promosso
nel giugno 1915, invece, dopo aver enfatizzato il clima di fervore che si era
creato nel Paese, stigmatizzava lo scarso impegno in proposito di molti imprenditori, che pure erano i principali beneficiari delle forniture militari (Einaudi, 1915b). Considerando i dati complessivi, commentava l’economista
torinese, alla chiusura delle sottoscrizioni, i risparmiatori italiani avevano versato complessivamente circa due miliardi, a fronte di quindici della Germania
e ventiquattro dell’Inghilterra. In condizioni normali il risultato sarebbe stato
da reputarsi tutto sommato accettabile, tenuto conto delle notevoli disparità
tra il reddito complessivo dell’Italia e quello delle potenze sopra menzionate.
In tempo di guerra, tuttavia, due miliardi non potevano allontanare definitivamente il pericolo dell’inflazione. Il ceto politico ma anche gli intellettuali e,
in primo luogo, gli economisti, dovevano rafforzare il proprio impegno per
10
Sui prestiti nazionali varati in occasione del primo conflitto mondiale cfr. Fausto, 1993, pp. 37; Fratianni, Spinelli, 1997, pp. 114-7.
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convincere i risparmiatori a sottoscrivere, utilizzando le ampie scorte di liquidità in circolazione (Einaudi, 1915c).
L’azione di stimolo e di propaganda di Einaudi proseguì e anzi si intensificò nel 1917 e 1918: l’imperativo era far sì che il Paese superasse la difficile
prova e ogni argomento retorico, si può dire, fu utilizzato per assicurare il
successo dei prestiti presso il pubblico.
Nel novembre del 1918, con la cessazione delle ostilità, l’Italia si trovò a
dover affrontare problemi di portata senza precedenti: un debito pubblico
elevatissimo e difficilmente sostenibile, aggravato da un pesante indebitamento nei confronti degli alleati; forti tensioni inflazionistiche causate dai continui aumenti della circolazione fiduciaria durante la guerra e nel primo
dopoguerra; l’esigenza di procedere ad un lungo e difficile processo di riconversione dell’apparato industriale, in larga misura mobilitato per fini bellici;
il reimpiego nelle attività produttive di migliaia di ex combattenti. In questo
contesto, indubbiamente drammatico e complesso, Einaudi reagì con la consueta energia, moltiplicando i propri interventi sul Corriere e delineando un
vero e proprio programma di ricostruzione economica e sociale del Paese che
poneva al primo punto il risanamento della finanza pubblica e il ritorno alla
stabilità monetaria.
Era innegabile, rilevava Einaudi, che nella difficile situazione del primo
dopoguerra il risanamento dei conti dello Stato non sarebbe stato possibile
senza un aumento sensibile del gettito fiscale, un obiettivo raggiungibile solo
ponendo mano al più presto a una riforma generale dello sperequato e inefficiente sistema di tassazione in vigore. A tale scopo l’economista torinese sostenne a più riprese (Einaudi, 1919c; 1919f) il progetto elaborato da Filippo
Meda, ministro delle finanze nel gabinetto Orlando; un progetto indubbiamente innovativo, diretto a semplificare e razionalizzare il sistema delle imposte dirette e che non poté essere attuato soprattutto per la scarsa
determinazione dimostrata dai governi del tempo (Fausto, 1993, pp. 58-61).
Parallelamente a un aumento del gettito, occorreva procedere con decisione a una drastica contrazione delle spese: un imperativo che Einaudi non
si stancò di ribadire, con accenti accorati, in tutti questi anni. «Se non si dà
un gran colpo al timone dello Stato per virare di bordo », osservava ad esempio
in un articolo pubblicato nel maggio 1919, «andiamo verso l’abisso. [...]. Bisogna che il ministro del tesoro si senta appoggiato dall’opinione pubblica nella
sua diuturna, energica, spietata resistenza ad ogni spesa non assolutamente improrogabile e necessaria » (Einaudi, 1919e). Tra queste vi erano in primo luogo
quelle militari: nella seconda metà del ’19 Einaudi denunciò a più riprese l’insostenibilità di tale voce di bilancio e l’esigenza di ridurne rapidamente l’ammontare11 sollecitando anche precisazioni dal governo. L’articolo provocò una
11
«Molte amministrazioni pubbliche vivono nel mondo della luna e seguitano a spendere, come se
i denari non costassero nulla. Questo è un andazzo che non può durare. Bisogna porvi termine ad
ogni costo. Il Governo deve ridursi sul piede di pace il più rapidamente possibile » (Einaudi, 1919h).
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dettagliata lettera di risposta del ministro della guerra del tempo, Ivanoe Bonomi, che venne pubblicata il 22 ottobre sempre sul Corriere con un commento dello stesso Einaudi (1920c; 1920d).
Non meno importante era l’abolizione del prezzo politico del pane, considerato un provvedimento demagogico che gravava pesantemente sul bilancio dello Stato. Il risanamento dei conti pubblici, a sua volta, costituiva il
presupposto necessario per la stabilizzazione del livello dei prezzi, da conseguirsi attraverso uno stretto controllo delle emissioni da parte della banca centrale. Come noto, Einaudi attribuiva il grave processo inflazionistico in atto
all’eccesso di emissioni verificatosi durante il periodo bellico e negli anni successivi per far fronte ai crescenti fabbisogni del Tesoro e per effettuare salvataggi di istituti pericolanti (Einaudi, 1919g).
La stabilità dei prezzi e l’equilibrio tra le entrate e le spese nel bilancio
dello Stato, pur vitali, non erano comunque di per sé sufficienti a garantire la
ripresa. Un punto ribadito più volte da Einaudi all’indomani del conflitto fu
quello relativo all’esigenza di smantellare il farraginoso apparato di controllo
messo in atto durante gli anni del conflitto. Occorreva «licenziare i padreterni», gli alti burocrati convinti «di avere la sapienza infusa nel vasto cervello»
e lasciare che i diretti interessati fossero messi in condizione di produrre e di
commerciare senza dover chiedere continuamente autorizzazioni e permessi
(Einaudi, 1919a; 1919b). Tra le misure prioritarie in questa direzione vi era
l’abolizione del controllo dei cambi, introdotto alla fine del 1917 da Nitti, una
misura che secondo Einaudi (1919d) poneva vincoli spesso insormontabili
all’acquisto di materie prime e di manufatti essenziali all’attività produttiva.
Una volta liberalizzato il mercato, d’altra parte, gli imprenditori avrebbero
dovuto mettersi all’opera senza avanzare ulteriori richieste di aiuto al governo.
Non sorprende dunque che Einaudi criticasse a più riprese in modo netto le
richieste di forte inasprimento dei dazi doganali avanzate a partire dal 1919
dalle associazioni degli industriali e dall’Assonime, sulla spinta dei settori che
avevano prosperato durante la guerra all’ombra delle commesse statali.
Con indubbia abilità l’economista torinese cercò di rompere l’apparente
unità del fronte industriale in tema di politica doganale, ricordando che il protezionismo avvantaggiava solo una minoranza, sia pure agguerrita, del ceto
imprenditoriale (Einaudi, 1921b). La maggioranza degli industriali non solo
non aveva nulla da guadagnare da un inasprimento delle barriere tariffarie
ma veniva anzi danneggiata da tale misura. Invece di protestare e fare sentire
la propria voce, tuttavia, la maggioranza rimaneva inerte, lasciando il campo
a un gruppo relativamente ristretto che aveva buon gioco a presentarsi come
l’unico rappresentante legittimo dei ceti produttivi (Einaudi, 1921a).
Lo scontro sociale in atto in quegli anni nel Paese, culminato nell’agosto
1920 con l’occupazione degli stabilimenti metalmeccanici da parte delle maestranze in Piemonte, Lombardia e Liguria e la prospettiva, che in alcuni momenti apparve imminente, di un rovesciamento dell’ordine costituzionale,
determinarono un irrigidimento delle posizioni di Einaudi nei confronti del
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partito socialista, apparentemente dominato dalle componenti massimaliste
e rivoluzionarie. Di contro egli tacque di fatto sulle violenze squadristiche che
insanguinarono l’Italia in questi anni, arrivando ad esprimere, nel 1921-22,
valutazioni positive sul primo fascismo (Einaudi, 1922b).
Dopo la “marcia su Roma” e la formazione del primo governo Mussolini,
Einaudi giudicò positivamente, sia pure con qualche riserva, l’operato del ministro delle finanze Alberto De’ Stefani, al quale riconobbe il merito di aver
perseguito una politica di bilancio rigorosa. Con il passare dei mesi, tuttavia,
i metodi autoritari adottati dal governo Mussolini e la progressiva marginalizzazione del Parlamento lo portarono ad esprimere valutazioni sempre più
critiche e preoccupate. Il malessere divenne opposizione aperta all’indomani
del delitto Matteotti. In un noto articolo pubblicato il 6 agosto del ’24 l’economista torinese denunciava lo stato d’illegalità imperante, le continue violenze e minacce, la soppressione della libertà di stampa invitando apertamente
il ceto imprenditoriale italiano, o almeno quella parte che non aveva bisogno
per prosperare di favori governativi e lavori pubblici, a separare le proprie
sorti da quelle del governo (Einaudi, 1924b).
L’appello, forse tardivo, alle forze produttive del Paese fu inutile: nel gennaio del ’25 il confronto terminò con la sconfitta delle opposizioni e l’approvazioni di leggi speciali che abolivano la libertà di stampa. Il 28 novembre
dello stesso anno, con il commiato di Luigi e Alberto Albertini dal loro giornale avrebbe avuto termine anche la collaborazione di Einaudi al Corriere.
Veniva così forzatamente interrotto un progetto di informazione economica
e civile e di formazione dell’opinione pubblica per più versi unico nella storia
nel nostro Paese. Esso sarebbe stato tuttavia ripreso dallo stesso Einaudi diciotto anni più tardi, all’indomani della caduta del fascismo e in un contesto
politico e istituzionale profondamente rinnovato.
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LE “TRESCHE” DI CAVOUR
MEMORIA
di MARIELLA GALLO FERRARIS*
e dell’Accademico Ordinario
GIUSEPPE SARASSO**
presentata al Convegno organizzato da Vercelli Viva,
col patrocinio dell’Accademia di Agricoltura di Torino, nel Salone Dugentesco di Vercelli,
il 30 novembre 2011
RIASSUNTO:
Il carattere del Conte di Cavour, con la sua competenza e passione per l’agricoltura, l’ansia
di guadagno, ed il desiderio di progresso emerge dalla lettura di alcuni brani della sua corrispondenza personale relativa all’attività agricola.
SUMMARY: The threshing-floors of Cavour
The temper of the Count of Cavour emerges from some passages of his private correspondence, evidencing his knowledge and passion for agriculture, his anxiety for profit and his
longing for progress.
RÈSUMÈ: Les « trèches » de Cavour
De la lecture de quelques fragments de la correspondance particulière du Comte de Cavour
on déduit sa compétence et sa passion pour l’agriculture, son anxiété pour le profit, et son
désir de progrès.
1 - INTRODUZIONE
Le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia hanno portato alla ribalta l’attività politica del Conte di Cavour. Poco si è parlato dell’attività agricola, per
cui questo tentativo di rendere omaggio all’agricoltore poteva essere considerato agevole, ma tale e tanta fu l’attività innovativa da lui intrapresa, che è
stato arduo eseguire una selezione.
La lettura di alcuni brani della sua corrispondenza privata consente però
di tratteggiare il personaggio di Camillo agricoltore. I brani sono indirizzati
principalmente a Giacinto Corio, socio nella gestione delle tenute vercellesi,
*Presidente dell’Associazione culturale Vercelli Viva. E-mail: [email protected]
**E-mail: [email protected]
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MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO
ed a Rocco Colli, ingegnere novarese, che lo coadiuvò nell’introdurre molte
innovazioni nella meccanica agraria. A differenza degli scritti pubblici, questi
non sono filtrati da opportunità politiche, e quindi sono maggiormente rivelatori della sua personalità e del suo modo di pensare.
Il titolo, volutamente intrigante, non riguarda gli intrecci amorosi del
Conte, che pure furono molti, ma discende da un vocabolo piemontese che
definisce l’antico modo di trebbiare tramite il calpestamento animale, da lui
sostituito con la trebbiatrice meccanica, adattata al riso con l’aiuto dell’ing.
Colli.
2 - CAVOUR E LA SUA FAMIGLIA
Oltre che dell’Accademia di Agricoltura, Camillo Benso conte di Cavour
fu anche socio dell’Accademia dei Georgofili, della Académie des Sciences
morales di Parigi e dell’Istituto Lombardo di Scienze e lettere. Fu quindi
uomo di scienza, oltre che fine politico. Uomo eclettico, con una solida formazione matematica e tecnica acquisita alla scuola militare per ufficiali del
Genio, non conobbe le mezze misure in tutte le attività che intraprese. Pur
essendo in politica un moderato fautore del “giusto mezzo”, affrontò ogni
aspetto della sua vita con il massimo impegno ed entusiasmo, senza risparmiarsi gli eccessi. Le passioni per il cibo, per il rischio, per le donne e per le
novità lo accompagnarono comunque per tutta la vita.
La famiglia Cavour era una delle più ricche ed influenti del Piemonte. Il
padre di Camillo, Marchese Michele, con l’aiuto della madre, Filippina de
Sales, e della moglie, Adele di Sellon, proveniente da una famiglia di facoltosi
banchieri ginevrini, era riuscito a superare con profitto i tempi della Rivoluzione ed a reinserirsi nella corte sabauda dopo la Restaurazione, grazie all’amicizia con Carlo Alberto. I buoni rapporti di Paolina Buonaparte, moglie
del principe Camillo Borghese, con Filippina de Sales, che ne era stata nominata dama di compagnia, per Michele furono determinanti nell’acquisto di
un lotto dell’Abbazia di Lucedio nel Vercellese, consistente nelle due grange
di Leri e Montarucco, per un totale di 1951 giornate piemontesi, pari a circa
750 ha. I beni di Lucedio erano stati sequestrati al patrimonio ecclesiastico
da Napoleone che poi li vendette al cognato Camillo Borghese in cambio di
una fastosa collezione di opere d’arte. Al momento della Restaurazione furono contesi tra il Principe stesso e Carlo Alberto che ne rivendicava la proprietà. Il tribunale di Parigi li assegnò al Borghese, il quale però, ritenendo
sconveniente detenere beni in un regno divenuto a quel punto ostile, decise
di venderli. Il Marchese Michele di Cavour, essendo riuscito a conservare
l’amicizia di entrambi i contendenti, s’inserì nell’affare con buon profitto. Il
terreno nel 1822 fu pagato 440 Lire per giornata a Leri, e 340 Lire a Montarucco, mentre 34 anni dopo, in periodo di relativa stabilità monetaria, fu valutato ad 898 Lire/giornata. Essendo cadetto, Camillo non ereditò alcuno dei
beni di famiglia, di cui fu però in parte affittuario, in società con Giacinto
Corio, ed in parte amministratore per conto del fratello maggiore. Unica sua
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proprietà, il tenimento del Torrone (799 giornate), acquistato personalmente
su consiglio del padre e grazie a prestiti contratti presso parenti ed amici
banchieri.
Tab. 1 - Patrimonio della famiglia Cavour nel 1856 ((Camillo possedeva personalmente solo la tenuta Torrone, il resto era del fratello maggiore)
PROPRIETÀ IMMOBILIARE
Leri
Montarucco
Torrone
Scorte 3 tenimenti
Grinzane
Scorte Grinzane
Trofarello case e beni
Isolabella affittato a Lire 7000
Gallè affittato a Lire 7.000
Santena castello, case e cascine
Cavour molini e cascina Motta
Cellarengo bosco
Torino palazzo e mobili
Chieri palazzo
Eredità Lascaris
Totale (Lire)
g.te
995
956
833
Lire/g.ta
898
898
898
560
500
450
445
PROPRIETÀ MOBILIARI
Obbligazioni varie
Azioni Ferrovia di Novara
Azioni Ferrovia di Casale
Azioni contro Danni Incendi
Azioni Battelli Lago Maggiore
Azioni Collegno e Lingotto
Crediti
Totale
Valore (Lire)
893.510
858.488
748.034
200.000
280.000
20.000
140.000
150.000
120.000
300.000
190.000
200.000
400.000
30.000
2.400.904
6.930.936
Lire
27.300
78.000
1.800
4.000
4.000
200.000
60.000
375.100
La composizione del bilancio di casa Cavour nel 1856 (tab. 2) riflette
l’economia piemontese dell’epoca, nella quale l’agricoltura era predominante
e per i Cavour gli investimenti agricoli più importanti e redditizi erano quelli
delle risaie.
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MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO
Tab. 2 - Bilancio di casa Cavour nel 1856
BILANCIO
ENTRATE
Tenute vercellesi
Altri terreni
Rendite finanziarie
Affitti del Palazzo
Totale
USCITE
Cucina e ufficio
Cavalli
Spese generali: riscaldamento, carrozze, stipendi,
medicinali, candele, ecc.
Vitalizi, Censi, Legati
Assegnamenti ai Signori di Cavour
Totale
Lire
103.000
43.000
5.238
16.000
167.238
32.000
4.600
37.816
43.431
30.000
147.847
Per abitare in casa del fratello, Camillo corrispondeva 3.000 Lire annue
d’affitto, oltre a 18.000 Lire annue per coprire le spese dei banchetti istituzionali che offriva da Ministro: il suo appannaggio per la carica era di 19.000
Lire.
Per un paragone col valore della moneta in allora, nel 1816 gli stipendi
dei soggetti operanti in Leri erano:
Paghe a Leri
Lire annue
Kg di riso bianco
Agente di Leri
600
1.764
Prataiolo
120
353
Manzolaio
66
194
Parroco di Leri
1.070
3.147
Cappellano di Montarucco
500
1.470
Suo padre, il marchese Michele, con una buona dose di ironia ed anche
un po’ di orgoglio, così descrive il figlio fanciullo in una lettera alla moglie:
“Tuo figlio, più convenientemente nostro figlio, è un originale ben singolare;
costruisce tanti progetti quanto San Cero case... Il detto Camillo ha pranzato
onorevolmente con una grossa scodella di zuppa, due belle e buone costolette,
del bollito, un beccaccino che gli avevo portato dalla risaia con un piccolo contorno, riso di Leri, patate, fagiolini, uva in abbondanza e caffè. Non c’è stato
verso di fargli prendere altro. Dopo mi ha recitato alcuni canti di Dante, canzoni
di Petrarca, la grammatica di Corticelli, Alfieri, Filicaja, Jacopo Ortis - e tutto
questo passeggiando a grandi passi in vestaglia con le mani affondate nelle tasche”.
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LE “TRESCHE” DI CAVOUR
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Carlo Alberto era molto amico di suo padre Michele, ma non ha mai sopportato Camillo, e l’antipatia era reciproca. Neanche Vittorio Emanuele lo
amava, ma dovette sopportarlo. Camillo da parte sua gli fece scenate terribili,
come quella per l’armistizio di Villafranca, firmato a sua insaputa. Nella notte
irruppe nella camera da letto dove Vittorio Emanuele dormiva, urlando: “al
re sun mi!”. Se quando era adirato trattava così il re, possiamo immaginare
con quale garbo poteva liquidare i dipendenti infedeli!
3 - L’APPROCCIO ALL’AGRICOLTURA
Le idee progressiste, le frequentazioni sospette nel salotto della Giustiniani a Genova e l’ insofferenza alla disciplina lo portarono nel 1832, a 22
anni, ad abbandonare la carriera militare. Il padre, per allontanarlo dai pericoli che i dissidenti politici correvano a quel tempo, lo indusse ad intraprendere la carriera di agricoltore dapprima a Grinzane, e poi nel 1835 a Leri.
In questo periodo fece lunghi viaggi in Francia, dove la zia materna, vedova Clermont-Tonnerre, conduceva a Parigi una vita brillante, che le comportava la spesa di 80.000 Lire annue. Per far fronte al fabbisogno di liquidi
lo aveva incaricato di alienare le sue vaste proprietà forestali situate in Francia.
Le relazioni di questa zia gli permisero di frequentare molti importanti salotti
parigini, dove conobbe i più illustri scienziati del tempo (Liebig, Dombasle,
ecc.)
Negli stessi salotti raccolse indiscrezioni sull’imminenza di una guerra. Si
lanciò in una speculazione al ribasso comprando azioni allo scoperto. Le indiscrezioni si rivelarono infondate, la borsa crebbe, per cui dovette subire
una forte perdita di denaro che non possedeva. Gli fu prestato dal padre insieme ad una dura reprimenda. Nello stesso periodo visitò l’Inghilterra, dove
si entusiasmò per le ferrovie, le industrie nascenti ed i progressi in agricoltura.
Quando iniziò ad occuparsi di Grinzane, si infuriò per lo stato di sporcizia
in cui trovò le cantine e per la trascuratezza nella gestione delle tenute. Sostituì
il responsabile, cercò la collaborazione dell’enologo Staglieno e di Oudart,
anche lui esperto enologo e titolare di una azienda di commercio di vini in
Genova. Con il loro aiuto, perfezionò le tecniche di vinificazione del Barolo,
collaborando successivamente con Giulia Colbert Falletti di Barolo. Questa,
per far conoscere il suo vino a Carlo Alberto, affinché lo assaggiasse con suo
agio insieme alla sua corte, gliene regalò 273 carra (antica misura piemontese
pari a 492,84 litri), una per ogni giorno dell’anno, meno i venerdì e la quaresima. Carlo Alberto aveva appena acquistato i beni di Pollenzo, e per produrre anche lui un vino così buono pretese di avere Staglieno al suo servizio,
sottraendolo al Cavour.
L’esperienza di Grinzane fu utile a Cavour per affrontare un grande problema che gli si presentò successivamente, nel 1851, quando divenne ministro
dell’agricoltura. Famosa una circolare agli intendenti provinciali, nella quale
li informava di aver incaricato l’Accademia di Agricoltura di studiare una
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MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO
nuova malattia della vite, l’Oidio, appena importata dall’America. Con piglio
autoritario esigeva tempestive segnalazioni sul diffondersi della malattia. Il
problema fu risolto dagli Accademici in tre anni con l’impiego dello zolfo,
antesignano degli attuali fitofarmaci.
Torino, 9 agosto 1851 Circolare del Ministero di Marina, Agricoltura e Commercio OGGETTO: Malattia dell’uva
Ai signori Intendenti Generali ed Intendenti
Sarà noto a questo Ufficio, come in alcune Provincie dello Stato siasi manifestata nelle uve un’insolita malattia prodotta da un crittogamo parassita, che
si attacca agli acini, ne arresta la crescenza e li impedisce di pervenire a maturità.
Appena il Ministero ebbe cognizione dell’invasione di questo malefico
morbo, chiamò sul medesimo l’attenzione della Reale Accademia di Agricoltura
e la pregò di farne oggetto di studio, di ricercarne la natura e le cause ed il modo
di combatterne gli effetti....
... Intanto come importa al Governo di poter valutare tutta la gravità del
male e di circondarsi di tutte le nozioni che possono porlo in grado di suggerire
agli agricoltori i mezzi più convenienti per andarne al riparo, il sottoscritto invita
i signori Intendenti a volerlo informare colla maggiore sollecitudine, se e con
quale intensità la malattia siasi dichiarata nella loro rispettiva Provincia, quale
ne sia la natura, e a quali cause si pensi doverla ascrivere, se essa faccia progressi,
se e quali mezzi siensi adoperati per farla cessare, se i mezzi adoperati abbiano
avuto qualche felice risultamento.
Il sottoscritto fa assegno sulle premure dei signori Intendenti onde ottenere
senza ritardo le informazioni che si domandano con la presente circolare, di cui
vorranno tosto accusargli ricevuta.
Il padre, nominato nel 1835 Vicario della capitale, gli affidò anche la gestione delle risaie di Leri e Montarucco, alle quali si aggiunse il Torrone, di
sua proprietà personale. In totale 3042 giornate (1161 ha).
Il padre scrisse ad un amico che provava piacere a leggere i rendiconti
economici di Camillo, per l’ordine, la precisione, ed i dettagli.
Grazie a questo tratto del suo carattere, disponiamo dei risultati economici
della sua attività agricola nelle risaie.
La gestione delle aziende da parte del padre Michele, con la collaborazione
di Francesco Rossi (ideatore del grande canale), dal punto di vista economico
non fu molto brillante. Nel 1833 le perdite, senza corrispondere affitti, ammontarono a 36.000 Lire, e deludenti furono anche le altre annate dal 1830
al 1834.
Con la gestione di Camillo, iniziata alla fine del 1835, a parte due annate
sfavorevoli, i bilanci furono buoni, considerando che fino al 1848 corrispondeva a padre e fratello 44.000 Lire di affitto, diventati da1 1849 103.000 lire.
Quando dopo il ’48 le mutate condizioni gli permisero di dedicarsi alla
politica, la passione per l’agricoltura si era talmente radicata in lui da non abbandonarlo più, nonostante la sua frenetica attività politica che lo vedeva occuparsi contemporaneamente di più ministeri. Da primo Ministro, si alzava
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LE “TRESCHE” DI CAVOUR
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Fig. 1 - La passione di Cavour per i numeri ed i calcoli gli valse questa esilarante vignetta pubblicata
su di un giornale satirico del tempo.
alle quattro del mattino. Dopo un’abbondante colazione, sbrigava la corrispondenza privata ed i suoi affari agricoli. Talvolta verso le sei teneva incontri
riservati con informatori o personaggi “scomodi”, leggeva i giornali, ed alle
otto si trasferiva al Ministero per occuparsi degli affari pubblici. Terminati gli
impegni, dopo cena non disdegnava le partite a carte con gli amici del circolo
del Whist. Il gioco d’azzardo, come tutte le speculazioni, lo attraevano forte-
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MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO
mente. Non appena aveva qualche giorno libero, prendeva il treno fino a Livorno Piemonte (divenuto in seguito Livorno Ferraris) e da lì, in calesse, si
recava a Leri.
Ma facciamo un passo indietro, quando la sua insofferenza per il regime
assolutista di Carlo Alberto lo costrinse a rifugiarsi nei campi. Dalle sue parole,
sentiamo come divenne agricoltore:
1832, ad Augusto de la Rive
“Da principio l’agricoltura ha poca attrattiva. L’uomo abituato ai salotti prova
ripugnanza per dei lavori che cominciano con l’analisi dei concimi e che finiscono in mezzo alla stalla; troverà in principio i lavori campestri faticosi, monotoni ed anche puerili.
Però, se riesce a superare questo primo disgusto, e se riesce a decidersi ad
eseguire le più semplici operazioni agrarie, a far seminare un campo di patate,
ad allevare una giovenca, si opererà inconsciamente una trasformazione nei suoi
gusti e nelle sue idee. Scoprirà nell’esercizio dell’agricoltura un interessamento
crescente, e ciò che gli ripugnava non tarderà ad avere per lui un’attrattiva che
non si sarebbe mai immaginato”.
4 - GESTIONE DELLE AZIENDE RISICOLE CAVOUR-CORIO
Dai bilanci che ci sono stati tramandati, risalenti al periodo del contratto
di affitto stipulato (1849-1861) col fratello, cui corrispondeva 103.000 Lire
annue di affitto (tab.3) si deduce che nel corso di quasi vent’anni soltanto in
tre le uscite hanno superato, seppur di poco, le entrate.
Nel 1835 scriveva all’amico Giovanni Edoardo Naville di Châteauvieux:
“Dovete sapere che sono diventato agricoltore sul serio, questa è ora la mia
professione; al mio ritorno dall’Inghilterra ho trovato mio padre impegnato negli
affari pubblici e quindi nella impossibilità di occuparsi dei propri, mi ha proposto
di incaricarmene e ho accettato molto volentieri, perché quando si è cominciato a
far da sé a far valere la propria terra, a non curarne l’amministrazione scema il patrimonio. Le occupazioni che ho intraprese prima per riflessione, ora le proseguo
per inclinazione; a poco a poco mi sono affezionato ai lavori agrari e sarebbe per
me un grande dispiacere se dovessi abbandonarli. Ma su ciò sono tranquillo. Anche
se conservassi lo stesso gusto alla politica che avevo qualche anno fa, mi sarebbe
impossibile di immischiarmi negli affari pubblici sotto un governo dal quale mi
allontanano le mie opinioni e le mie circostanze personali”.
Nel 1836, ad Augusto de la Rive:
“Sono quasi assolutamente assorto dalle mie occupazioni agrarie. Ho intrapreso delle vaste speculazioni che esigono delle grandi cure e una sorveglianza
di tutti i momenti...
In agricoltura non esistono affari buoni eccetto quelli che sono diretti da
noi stessi. Quando ci si decide a farlo, ci si trova involti in una quantità di particolari, che ci prendono un tempo infinito. Non mi rammarico della carriera
che ho intrapresa, non è senza dubbio brillante, ma nella mia condizione nessun
altra mi converrebbe maggiormente.
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Tab. 3 - Risultanze di cassa nelle annate agrarie da 1849-50 al 1866-67.
Sono immerso nelle grandi speculazioni. Ho comprato una estesa proprietà
nelle risaie (Torrone e Cagna, ndr). Credo di aver fatto un buonissimo affare;
mi manca solo il denaro per pagarla, fatta astrazione da questo, deve darmi un
profitto eccellente. Non so fare le cose a mezzo; una volta lanciato negli affari
mi ci sono dedicato interamente. Vi sono, del resto, costretto dalla mia condizione. Sono un cadetto, e ciò vuol dir molto, in un paese costituito aristocraticamente. Bisogna che mi faccia uno stato, col sudore della mia fronte. È facile
a coloro che hanno milioni in quantità l’occuparsi di scienza e teoria. Noi poveri
diavoli di cadetti dobbiamo sudare sangue e acqua prima di aver acquistato un
po’ d’indipendenza”.
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MARIELLA GALLO FERRARIS - GIUSEPPE SARASSO
Assorbì tanto profondamente lo spirito dell’agricoltore, da scrivere:
1855, a Corio
La pioggia mi molesta come se cadesse sulle mie spalle.
Cavour fu un entusiasta del progresso e delle invenzioni. Nei suoi viaggi
ebbe modo di conoscerne le applicazioni, i vantaggi ed anche i lati negativi.
Studiò a fondo e da vicino i problemi della rivoluzione industriale, delle classi
operaie e del pauperismo. Conobbe anche scienziati quali Liebig, il Dombasle, Johnston, pionieri della chimica agraria e dell’agronomia.
1855, a Liebig:
“io vi lascio per andare a Leri a fare nei campi, quello che voi fate nel laboratorio di agricoltura. Io vorrei che un giorno mi fosse possibile associare la mia
vecchia pratica alla vostra giovane scienza..”.
La rendita di stalla, rispetto alla superficie a prato, era bassa, e la cosa lo
disturbava. Le sue vacche producevano in media 6 litri di latte al giorno.
L’unico fertilizzante allora impiegato era il letame, e per aumentarne la
produzione serviva più bestiame. Ma incrementare il bestiame significava
espandere il prato a detrimento delle colture da reddito. E Camillo doveva
guadagnare per pagare i debiti dovuti all’acquisto del Torrone... Solo il petrolio a basso prezzo, che ha consentito di sintetizzare i fertilizzanti chimici,
ha risolto il problema nel XX secolo. Problema che si sta riaffacciando, a
meno che non si trovi altra forma economica di energia. Ai tempi, lui tentava
di barcamenarsi tra i due corni del dilemma.
Molta della sua corrispondenza riguarda questo assillo:
Inverno 1845, a Corio:
“La mancanza del fieno è la cosa più grave. Provo per esperienza che il volere
mantenere quaranta vacche a fieno è cosa quasi assurda.”
Febbraio 1846, a Corio:
“Se Ella vuole assolutamente comprare fieno per le vacche della Cagna, ne
compri ove vuole purché non sia in Piemonte, ove si burlerebbero di me se sapessero che dopo aver speso 40.000 Lire in ingrassi compro ancora del fieno.”
Torino, 3 marzo 1846, a Corio:
“Ill.mo Signore, ...Visto lo stato delle cose, ella mi farebbe cosa grata comprando per mio conto dalli 1000 alli 1500 rubbi di fieno per quelle maledette
vacche di Leri...”
1846, a Corio:
“Il voler aumentare il prodotto del letame nel comprare fieno è pessima speculazione, mentre invece per rendere più proficuo l’impinguamento del bestiame bisognerebbe valersi di pannelli, sia perché accelerano l’operazione, sia perché danno al
letame un valore tale che in Inghilterra si paga 3 o 4 volte più del letame ordinario...”
Nell’inverno 1847-48, scarse piogge e gelo ridussero la dotazione d’acqua.
Il Conte si trovò a dover decidere se usare la scarsa acqua per azionare le piste
(attrezzature allora usate per la pilatura del risone), oppure usarla per la marcita in modo da anticipare ed incrementare il raccolto di foraggio.
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La successiva lettera a Corio rivela i suoi stati d’animo e la sua impostazione imprenditoriale.
Gennaio 1847, a Corio:
“Venendo alle cose di campagna, le dirò che l’agricoltore è il mestiere della
pazienza, epperciò debbo adattarmi alle contrarietà del gelo. Veda ella qual sia
più conveniente: o il fermare le piste, o levare l’acqua alla marcita. Già quest’ulteriore alternativa mi pare molto dolorosa, giacché dal non avere tagliato 1’ultimo raccolto, io spero da questo pronto ed abbondante soccorso per le povere
vacche.
Io desidererei molto ch’ella si compiacesse di visitare tutti i magazzeni di risone con Tosco, e quindi coll’aiuto dei pistaroli calcolare pure approssimativamente il tempo che si richiede per brillare tutto il risone con le nostre cinque
piste. Se da questo calcolo risulta che alla fine di febbraio vi rimarrà molto riso
da brillare, in allora converrà sacrificare la marcita; se ve ne rimanesse che una
quantità discreta, dalle 10 alle 12 mila emine di risone, si potrebbe mantenere
l’acqua alle marcite, e vedere di affittare pel mese di gennaio o febbraio le piste
della Favorita, che sono senza lavoro la maggior parte dell’inverno”.
Bisognava quindi procurarsi del fertilizzante alternativo a prezzi convenienti, senza allevare troppo bestiame. In quel periodo era stato scoperto il
potere fertilizzante dei depositi di guano, che in Inghilterra era già impiegato.
Il Liebig aveva formulato le sue teorie sul rapporto tra elementi inorganici ed
organici nella nutrizione vegetale e la legge dei fattori limitanti.
Cavour, che aveva conosciuto l’utilizzo del guano nei suoi viaggi in Inghilterra, iniziò ad importarne e commerciarne. Della prima nave acquistata,
tra la partenza e lo sbarco era già riuscito a rivenderne i 2/3, con il dovuto
profitto. Si dedicò alla sperimentazione di questo fertilizzante, provandone
altri, quali cenci di lana ed i primi concimi chimici. Per questi ultimi, costituì
con Schiapparelli e Rossi una società chimica, ancora operante ai nostri giorni
come ditta farmaceutica.
Dai brani che seguono, si desume che era aggiornato sulle pubblicazioni
scientifiche, e la sua profonda conoscenza dell’agronomia e del metodo sperimentale. Non dimenticava però mai di commerciare e speculare.
1846, a Corio
“Manderò Enrico la settimana ventura a caricare cenci di lana. Ecco come io
intendo impiegarli. Li farò tagliare a pezzi minuti per quanto mi sarà possibile;
quindi li farò spargere nella meliga prima di darle la prima rincalzatura, nella
proporzione di 40 rub. per giornata. A dir il vero, io non ho piena fiducia nel risultato di questa esperienza, che non è stata tentata ancora da nessun agricoltore.
Io credo che l’effetto dei cenci sarà poco sensibile nella meliga, ma si farà sentire
sul grano e sugli altri raccolti successivi”.
1847 a Corio:
“Ha fatto bene a compiere il seminerio della pratarola piccola col guano. Se
non vi era letame, forza era il ricorrere al nostro famoso ausiliare...
... Dopo il mio ritorno a Torino, ho attentamente studiato quanto venne
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scritto sulla concimatura dopo il seminerio – detto dai francesi engrais en couverture e top dressing dagli inglesi – ed ho trovato che sono unanimi nel consigliare di non eseguire tale operazione se non nella primavera, cioè nel mese di
marzo, e ciò per ragioni chimiche e fisiologiche assai convincenti, cui comunicherò alla S. V. quando avrò il bene di seco favellare. Credo dunque bene
il sospendere lo spandimento del guano sulla pratarola sino a marzo; salvo però
ch’ella desideri fare un esperimento in piccolo sopra una o due giornate di terreno”.
1847, a Corio:
Dica al signor Buffa che posso farle spedire da Genova a suo piacimento
dalli 8.000 alli 9.000 kg di guano del Perù; il quale costa 24 Lire ogni 100 kil.
in Genova”.
1853, a Corio:
“Scapino conduce a casa da 100 a 150 rubbi di un nuovo concime che ho
fatto preparare sotto la mia direzione dal sig. Schiapparelli. Io desidero di sperimentarlo sui prati. Il suo costo è di circa 10 soldi al rubbo, e così di 1/6 quello
del guano. Volendolo esperimentare a confronto di questo, bisognerà spandere
120 rubbi sopra una giornata a ciò appositamente destinata, in un prato di qualità media: quello delle terre bianche di Montarucco, a ragion d’esempio.
La prego quindi a far separare in quel prato un quadretto che abbia 20 trabucchi di lato, che costituirà una giornata esattamente, e quindi spandere i 120
rubbi del detto concime; il rimanente prato essendo concimato a guano a ragione
di 20 rubbi per giornata.
Quest’esperimento è di somma importanza, poiché la fabbricazione del detto
concime è facile, e se ne può ottenere quella quantità che i nostri bisogni richieggono, mentre del guano è dubbioso che se ne possa sempre avere. Lo raccomando
alle speciali cure del sig. Vincenzo. La vendita del suo riso procede lentamente.
Se ne è spedita una porzione a Ginevra ed altra a Genova. Sento pure che il mercato di Vercelli è in ribasso”.
5 - RISO, FERTILITÀ E BRUSONE
Novembre 1854, a Corio:
“Vi esistono i libri vecchi, ch’io ordino a Tosco di raccogliere; da questi potrà
rilevare che a Montarucco e Leri si è fatto più volte dalle 18 alle 20 emine di
riso di buonissima qualità. Quest’anno ne faremo 24 di qualità mediocre. Da
ciò ella scorge che le molte nostre fatiche e spese trovano nel riso un magro compenso, mentre è larghissimo per ciò che riflette il grano, la meliga, l’avena ed il
bestiame. Ciò proviene, a mio credere, da ciò che i terreni troppo letamati producono un riso men bello, men buono dei terreni magri”.
Dicembre 1854, a Corio:
“Ella mi ha male capito, se ha creduto ch’io intendessi ad una modificazione
del sistema di vicenda da noi in vigore. Il mio desiderio sarebbe solo di migliorare progressivamente. In tesi assoluta, lungi dal voler diminuire la durata della
coltivazione a riso, sarei per aumentarla. Giacché tengo per fermo che nelle terre
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migliori i risi del 3° e fin anche del 4° anno sono più produttivi del riso del 1° e
2°. Per ora vorrei solo che nelle valli le più granifere si praticasse su d’una certa
scala il ristobbio. Forse io sono troppo proclive alle novità, ed il desiderio di far
progredire la nostra agricoltura mi spinge soperchiamente. Ma, che vuole, tale è
la mia natura, ch’io rimasi più soddisfatto l’anno in cui il reddito del Casone
raggiunse Lire 20,000 che nol sono in oggi che realizziamo un beneficio di oltre
100,000 Lire”.
Non trascurò mai di migliorare le sue aziende, dimostrando una continua
ricerca di modi per progredire.
Nel corso della sua vita si entusiasmò per il drenaggio dei terreni con tubi
in cotto, per costruire i quali si affidò ad un macchinario importato dall’Inghilterra con il relativo addetto al funzionamento, tanto da scrivere nel 1846:
“Ho la consolazione di pensare di avere introdotto l’uso del guano nel Vercellese. Se potessi ancora farvi penetrare il drainaggio, in allora crederei avere
bene impiegato la mia vita”.
Il drenaggio, oltre a migliorare la produzione dei foraggi, doveva permettere la coltivazione della barbabietola, per la quale aveva anche elaborato un
progetto di zuccherificio, che non fu poi attuato per calcoli economici, ma i
miglioramenti dell’azienda non furono mai trascurati.
Febbraio 1847, a Corio:
“2° Essendo scarsi di letame al Torrone, ho dato l’ordine a Carlino di aggiungere 80 rubbi di guano al letame destinato al prato nuovo della Vissa. Raccomando questo prato in modo speciale al sig. Corio, onde non abbiamo lui ed
io ad essere sgridati dall’amico Marcone, che non ce ne perdona una sola. Comprerò a Torino un (livella a) cannocchiale e lo manderò a Leri, onde le cose possano farsi in regola”.
1855, a Corio:
“Faccia pure fare spianamenti quanti vuole quest’inverno: qualunque sia la
spesa non griderò di certo”.
I miglioramenti idraulici apportati alla sua azienda non lo appagarono: la
gestione irrigua dello Stato Piemontese non lo soddisfaceva.
Un giorno ad un pranzo di agricoltori a Leri, dopo molto parlare sui litigi
e gli incagli causati dai concessionari demaniali d’acque, Cavour lanciò l’idea
che maturava da tempo nella sua mente:
“E se facessimo noi una società per renderci concessionari delle acque?”
L’idea potrebbe essere stata rafforzata da un proprio litigio con gli affittuari dei Regi canali, signori Marchetti e Ferragatta. Nel Marzo del 1838 vi
fu una spedizione di un centinaio di dipendenti di Leri, che armati di forche
e badili affrontarono una sessantina di dipendenti del marchese di Salino,
schierati a difesa dei muratori degli affittuari dei regi canali. Questi intendevano costruire un muro per impedire il deflusso delle acque dirette al Torrone. Un tempestivo intervento dei carabinieri di Livorno Piemonte (divenuto
poi Livorno Ferraris) impedì la zuffa.
Cavour a Michele, marzo 1838:
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“Il signor Ferragatta proclama ovunque che vuole vendicarsi di me. Quell’uomo mi farà rimpiangere i bei tempi nei quali un gentiluomo insultato da
uno zotico poteva rifilargli dei colpi di frustino senza temere la giustizia..”.
La lite fu poi composta con un accordo stipulato sulla ripa di un fosso,
come si legge nel suo diario:
Giovedì 9 aprile 1840
Saint-Georges et moi nous allons à la Mascarpina, où nous trouvons
le fermier de la Barbera, et arretons les bases suivantes de convention:
1°. Mr Salino réunira toutes les eaux dont il peut disposer dans le
fossé du moulin de la Mascarpina.
2°. Ces eaux seront divisées également entre Leri et Castelmerlino.
3°. Mr Salino laissera tomber au profit du Torron toutes les eaux de
la Consolata, qui courent à gauche de la roggia de Bianzè.
4°. Mr Salino ne donnera pas passage sur ses terres aux eaux de Mr
Ferrero, excepté pour qu’elles aillent au Torron.
5°. Saint-George et Cavour payeront 1000 francs par an à Salino.
6°. L’exécution des travaux d’art sera confiée au chevalier Brunati.
J’ai donné ordre à Buffa de congédier pour le Saint-Martin, Dorma,
valet de charrue au Torron” .
L’Associazione d’irrigazione dell’agro all’ovest della Sesia fu costituita poi
nel 1853, con uno statuto fortemente innovativo, immaginato da Cavour e
scritto materialmente dall’ing. Noè. L’intelaiatura principale dello statuto è
invariata ad oggi, imitata dall’Est Sesia, e fu alla base di tutta la legislazione
italiana sull’irrigazione.
Nel corso dell’assemblea dei delegati dell’Ovest Sesia del 6 novembre 1854
così intervenne contro una proposta di aumento della contribuzione:
“noi abbiamo avuto di mira nell’istituire 1’Associazione, di beneficare gli
agricoltori tutti ed in specie quelli di fondi non estesi. Ora, se noi si facesse pagare l’acqua 9 o 10 mila Lire la ruota, sarebbero straordinariamente gravati”.
La diatriba con Francesco Rossi, al di là delle antiche antipatie, si riaccese
in merito alla progettazione del grande canale che fu costruito - e gli fu intitolato - dopo la sua morte. Il tracciato, secondo il progetto Rossi, doveva dividere in due il tenimento di Leri. Cavour lo impedì. Ebbe però l’accortezza
di affidare il progetto esecutivo a Carlo Noè, famoso per essere stato l’ideatore
ed esecutore di quell’allagamento del Vercellese nel 1859 che fu determinante
per le sorti della guerra. Ne risultò un’ammirevole realizzazione, idonea a servire 20.000 ettari in più rispetto al progetto Rossi.
Di quel periodo si ricordano le carestie europee, dovute all’incremento
della popolazione non sostenuto da una disponibilità di cibo sufficiente, e ad
anomalie climatiche. La grande carestia irlandese (1853-55) causò un milione
di morti per fame e la partenza di milioni di emigranti in America. Lo stesso
Cavour nel 1853 subì un assalto alla sua dimora da parte di popolani inferociti
dall’aumento del prezzo del grano e sobillati dai suoi avversari politici. La
preoccupazione di procurare al popolo pane a sufficienza non gli impedì di
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speculare sul commercio del grano, di cui Genova era allora sede importante.
Nei suoi diari non mancano annotazioni settimanali sui prezzi delle granaglie
sulle piazze di Genova e Londra. Lo spostamento dell’arsenale a La Spezia fu
eseguito proprio nell’intento di allargare il porto di Genova, per incrementarne l’attività commerciale.
1854 a Corio:
“Confido nella carità dei miei concittadini per combattere i mali della fame.
I cereali non sono esuberanti, ma non mancano, purché si faccia una severa
economia. Non possono ribassare il prezzo, ma non credo nemmeno a straordinario aumento. Faccio venire farine dall’America per i soldati”.
Il mondo era già allora globalizzato, ed il grano rivestiva importanza strategica.
Nel ventennio precedente la guerra di secessione americana, la meccanizzazione della raccolta del grano permise agli Stati del Nord ampie possibilità
di esportazione, grazie alle quali si guadagnarono l’appoggio degli affamati
Stati europei, e la valuta necessaria a sostenere lo sforzo bellico.
Mc Cormick iniziò la costruzione di mietitrici nel 1831 in Virginia, Stato
confederato, ma nel 1847 si trasferì a Chicago dove la produzione annua raggiunse i 5.000 esemplari nel 1861, data di inizio della guerra di secessione;
contemporaneamente le esportazioni di grano dal porto di Chicago passarono
in trent’anni da 20.000 a 3.750.000 t annue.
Cavour non ebbe modo di visitare l’America, anche perché soffriva tremendamente il mal di mare. Avesse potuto farlo, certamente avrebbe cercato
di introdurre in Italia anche la mietitrice. Forse avrebbe sperimentato anche
la mietitrebbiatrice, il cui primo brevetto americano fu depositato nel 1835
da Moore, il quale costruì 5 prototipi sperimentali che operarono in Michigan
tra il 1845 ed il 1850. I primi successi commerciali delle mietitrebbiatrici in
California risalgono al 1858.
Il conte offrì invece il suo contributo alla meccanizzazione agricola mediante l’introduzione della trebbiatrice meccanica, per la quale si avvalse dell’ing. Rocco Colli di Novara, al quale scrisse:
1844, a Colli:
“Se una più lunga conoscenza mi desse il diritto di porgergli un amichevole
Consiglio, io vorrei dirgli che, fornita come ella è di tante cognizioni scientifiche,
e di un ingegno meccanico particolare, ella dovrebbe tanto per la reputazione
ch’ella potrebbe acquistare quanto pure nel suo particolare interesse coltivare
1’applicazione della meccanica industriale, ramo tanto negletto fra di noi. L’impulso è dato nel nostro paese, l’industria nascente deve prendere ogni giorno
maggiori sviluppi. Coloro i quali saranno in grado di secondare e dirigere questo
movimento, debbono di necessità acquistare fama e fortuna. Le imprese delle
strade ferrate che stanno per intraprendersi aprono una larga carriera alle persone che posseggono la scienza ed il genio meccanico”.
Non lo incoraggiò soltanto a parole, ma gli mise a disposizione a Leri una
delle piste da riso e sopperì a tutte le spese necessarie per le prove. Il Colli,
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modificando il trebbiatoio scozzese, ottenne una macchina che gli valse una
medaglia d’oro all’esposizione di Torino del ‘44. Costruì subito il trebbiatoio
per Leri, aggiungendo, per suggerimento di Cavour, un cacciapaglia.
Cavour soddisfattissimo della trebbiatrice di Leri, nel ’46 ne fece costruire un’altra per Montarucco, e poi una terza, nel ‘47, per il Torrone, perfezionandole successivamente con l’aggiunta di un ventilatore per la pulitura
del riso.
A differenza di quelle inglesi, generalmente mosse dal vapore, le nostre
macchine erano mosse dalla forza idraulica, ed anche in questo il Cavour era
competente.
1845, a Colli:
“Il signor Brielli essendo venuto a trovarmi mi parlò di un sistema di cacciapaglia da lui ideato, dal quale si ripromette un lavoro compito. Se la S. V. Ill.ma
avesse conoscenza di questo e credesse applicarlo alla macchina di Leri con
qualche modificazione, la prego di farlo, senza essere trattenuto dai lavori già
eseguiti pel caccia-paglia, giacchè questi potranno essere utilizzati per la macchina
che probabilmente farò eseguire l’anno venturo a Montarucco...
La prima volta ch’ella avrà da spedire a Leri pietre, perni od altra cosa, mandi
pure il suo modello di sbucciatoio, ché ho fatto conservare del risone onde potere
esperimentare assieme questa nuova sua invenzione”.
Novembre 1846, a Corio:
“Ho la consolazione di aver ritirato senza alcun danno tutto il risone di Leri
e Montarucco, e quasi tutta la meliga. Ho due tresche sulle aie nuove della Cagna
dalle quali aspetto poca rendita. Gran belle cose sono i trebbiatoi, e però ho già
scritto al sig. Colli onde ne faccia eseguire uno alla Cagna l’anno venturo”.
Dicembre 1846, a Colli:
“Le farò osservare che è cosa facile l’aumentare il salto della ruota idraulica,
dando sfogo all’acqua del cavo motore non già nella roggia di Castelmerlino, ma
bensì nel fosso che forma il prolungamento del fosso che cinge le aie a tramontana, il quale va a finire nella roggia Gardina, più bassa di oltre due metri di
quella di Castelmerlino. Da ciò la S. V. Illma vede esser facile il disporre di un
salto di tre metri, mediante il quale le riuscirà facile lo stabilire una ruota a reazione, od almeno di ottenere una forza bastevole per far girare l’aspa con massima velocità.
Se l’aspa si riduce a due metri o a 2,50, mi pare assai più conveniente il farla
di ferro”.
Con il Colli progettò anche altre macchine, quali sfogliatrici per il mais e
trinciatrici per foraggio. Nella corrispondenza con l’ingegnere discute del funzionamento dei macchinari fin nei minimi dettagli.
6 - I RAPPORTI CON I DIPENDENTI
Assolutamente insofferente della disciplina, la imponeva con durezza ai
suoi dipendenti, o sudditi stipendiati come si chiamavano allora. Il tutto condito con una discreta attenzione umanitaria. Nella corrispondenza viene so-
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vente citato il sig. Marcone, proprietario della vicina Colombara, col quale si
confrontava sulle innovazioni, e col quale faceva a gara per ottenere i migliori
risultati, e dal quale subiva ironie per gli esperimenti non riusciti.
Febbraio 1847, a Corio:
“Veda pure quel che si può fare per Berto. Questo povero diavolo, tormentato dalla moglie, ha poca autorità sopra gli uomini di cui gli si affida la direzione. L’anno scorso, all’epoca del taglio, era di una perfetta inutilità, e se non
fosse stato della vigilanza dei capi squadra, il mio riso sarebbe stato tagliato alla
carlona. Se però Ella non trova per questi posto conveniente, non è già la mia
intenzione di mandarlo su d’ una strada. Nel caso in cui Berto se ne andasse,
farei pratarolo il capo dei manovali di Montarucco, giovane molto intelligente”.
Torino, novembre 1847, a Corio:
“Ill.mo Signore - Spedisco a Montarucco le due mule che il maire aveva in
montagna, e due sacchi meliga per seminare questa primavera. Mando pure una
pezza di panno ordinario, ch’io la prego a volere distribuire ai più bisognosi fra
i tre tenimenti, accordando la preferenza ai figli delle vedove per le quali io desidero che si abbia un particolare riguardo; giacché questo fu uno degli ultimi ricordi dell’ottima mia madre.
L’agente Carlino mi disse non potere ottenere che la moglie del pratarolo
Vernè vada in giornata. Non posso tollerare un tale abuso. Tutte le donne locali,
pratarole od altre, debbono quando richieste lavorare. Una parola d’avviso da
parte del sig. Corio farebbe ottimo effetto; riservandomi di intervenire nel caso
estremo”.
1846, a Corio:
“Enrico non avendo potuto vendere i due buoi di riforma che ha condotti
alla fiera di San Germano, gli ho scritto di farne macellare uno per le feste, e di
smaltirne la carne ai sudditi a buon mercato”.
1847, a Corio:
“Avendomi fatto parlare da Dionigi, gli ho significato le mie intenzioni per
lettera. La prego quindi a sapermi dire se la moglie di *** continuerà ad andare
a casa sua d’ora in avanti. Nel qual caso dovrei, mio malgrado, adottare energici
provvedimenti”.
1847, a Corio:
“Nella ventura vorrei andare a Leri e quindi a Biella con lei e il signor Marcone, per aggiustare le montagnine pel raccolto. Intanto sarebbe necessario provvedere venti uomini pel lavoro delle aie. Il capo dell’anno scorso era un buon
uomo, ma la squadra era da poco. Piacciale parlarne con Enrico. Mi lusingo che
la conversazione ch’ella sta per avere con questi, porterà gli effetti che ne desidero. In ogni modo produrrà una crisi salutare; giacché costringerà questo selvatico od a piegarsi alle nostre viste od a cercare altro padrone.
Lo assicuro solo che sono disposto a perdonare a Enrico ove questi sia disposto a corrispondere alle sue ed alle mie aspettative”.
Cavour era di lingua madre francese, ed il suo italiano non era perfetto.
Conosceva però molto bene il dialetto delle Grange, e talora ne italianizzava
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alcuni vocaboli. In questo caso, “aggiustare” deriva dal dialetto “giüstè”, per
assumere. Più avanti, scrive “sagnare” al posto di salassare.
1847, a Colli:
“Ho da molti anni in mente di far costrurre a Leri un molino all’americana,
per liberarmi dal fastidio dei mugnai che rubano spietatamente i poveri miei
sudditi”.
Torino, 17 giugno 1848, a Corio:
“Ill.mo Signore -Va bene ch’ella faccia seminare fagiuoli quarantini nel Valsentino, purché gli faccia fare la guardia quando maturi, per impedire che gli
abitanti del Castello dell’Apertole li rubino.
La prego di raccomandare ai carabinieri di Livorno di fare alcune gite al Torrone infestato dai malandrini. Ne ho trovati ieri tre che giocavano alle carte nella
stalla della Vissa. Prima di parlare al marchese di Tafino, comandante generale
dei carabinieri, desidero provare l’effetto di un invito amichevole”.
1854, a Corio:
“Vedrò di spingere la pratica della strada di Cigliano ad Ivrea. Le osservo
però che i lavori della ferrovia da Santhià a Biella essendo attivati, i braccianti
di quelle località non difetteranno di occupazioni”.
7 - I PROBLEMI SANITARI
La situazione sanitaria dei tempi non era tra le migliori: malaria, febbri
tifoidee erano endemiche, mentre erano frequenti le epidemie di colera. La
medicina era pressoché impotente nel fornire rimedi.
1853:
“Sento pienamente la necessità di avere un uomo incaricato unicamente di
sorvegliare il bestiame. La difficoltà è di trovare a chi affidare un impiego tanto
geloso. Uno dei figli del Maire tornato ora dal reggimento, potrà forse riempire
questo posto. Ma esso è ancora molto giovine, e non potrà rimanere l’estate nelle
nostre pianure”. (per via della malaria)
1853, a Corio:
“Tosco fu sagnato due volte, pare oggi in convalescenza”. (Tosco era il segretario contabile)
Nel 1854, il re Vittorio Emanuele aveva programmato una battuta di
caccia al beccaccino nella tenuta di Leri, che però non ebbe luogo a causa
del colera.
Torino, 7 settembre 1854, a Corio:
“Preg.mo Signore - Il Re sarà di ritorno da una gita in montagna, lunedì
prossimo. Ove si disponga a venire a Leri, non sarebbe se non nel finire della
ventura settimana. Dalla nota delle camere ch’ella mi ha trasmesso, rilevo che
facile sarebbe il ricoverare S. M. Per ciò che riflette la sala da pranzo, si potrebbe
destinare il magazzeno ridotto. Ma questa gita riesce molto problematica a motivo del colera. Le scriverò in proposito lunedì venturo, ed andrò poi io stesso
martedì o mercoledì, sia per preparare ogni cosa, sia per combattere la malattia,
ove invadesse le nostre risaie”.
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Torino, 8 settembre 1854 a Corio:
“Preg.mo Signore - Non si dia fastidio per l’addobbamento del magazzeno;
se il Re viene, penserò a tutto. Ma l’importante sta nel sapere se vi siano beccaccini o no, e se il cholera ci invaderà o no.
Ho dato l’ordine di spedire a Genova 25 q. m. di guano a l’indirizzo di Cabella; questo lo spedirà ad Alessandria, ove lo manderemo a caricare”.
9 settembre 1854, a Corio:
“Egregio Signore - Il Re mi ha detto questa mane che se vi sono dei beccaccini, verrà ad ucciderli giovedì venturo. Mi sono deciso a partire lunedì col mio
fratello, essendo conveniente che a ricevere S. M. vi siano entrambi i padroni
del sito. Il Re condurrà poca gente, ed in modo o nell’altro ci aggiusteremo”.
Torino, ottobre 1854, a Corio:
“Se il cholera ci risparmia a Leri, ci ha crudelmente colpiti qui. In meno di
24 ore il povero nostro cuoco e la sua moglie, antica donna di casa, furono condotti nella tomba, ad onta delle più sollecite cure dei medici e di tutti i nostri famigli. L’afflizione e lo sgomento furono assai forti. Il povero Tosco fu invaso da
tanta paura, ch’io riputai prudente il mandarlo a Centallo dal suo fratello”.
Torino, 28 novembre 1854, a Corio:
“Preg.mo sig.re - La prego a farmi sapere se Tosco sia morto o per lo meno
colpito dal cholera. Sono ormai due settimane ch’egli ha lasciato Torino, ed egli
non mi ha più dato segno di vita quantunque gli abbia scritto una volta”.
Il conte di Cavour esercitò la professione agricola in tempi difficili, ma di
grandi evoluzioni, alle quali diede un contributo memorabile. Fu vittima egli
stesso delle scarse conoscenze mediche di allora, e di cure basate sui salassi.
Se il fato gli avesse concesso una vita più lunga, avrebbe certamente contribuito ulteriormente al progresso agricolo, oltre che alla costruzione dell’Italia.
BIBLIOGRAFIA
AZ.IMMOBILIARE VC - 1883 - Atto di divisione del tenimento di Lucedio. Tipografia Facchinetti,
Vercelli, I.
BALBONI M., GADDO I. - 2011 - Il risorgimento vercellese e l’impronta di Cavour. Interlinea srl,
Novara, I.
DE LA RIVE W. - 2003 - Il conte di Cavour. Soc. Tipografica Ianni, Santona, TO, I.
PISCHEDDA C. - 1997 - Camillo Cavour la famiglia e il patrimonio. L’Artistica Savigliano, Savigliano, CN, I.
PUGLIESE S. - 1908 - Due secoli di vita agricola. Fratelli Bocca, Torino, I.
ROMEO R. - 1969-1984 - Cavour e il suo tempo. Laterza, Bari, I.
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I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI
PRIMA DELL’UNITÀ
MEMORIA DELL’ACCADEMICO EMERITO
SANDRO POTECCHI*
presentata il 2 dicembre 2011, presso l’Accademia delle Scienze di Torino,
in occasione dell’Assemblea comune tra l’Accademia di Agricoltura
e l’Accademia di Medicina di Torino
RIASSUNTO:
Nove sono stati i Congressi degli Scienziati Italiani che, sull’esempio di altri Paesi europei,
furono organizzati in Italia dal 1839 al 1847, in altrettante città della penisola. Essi coinvolsero
quasi seimila persone – di cui novecento straniere – tra accademici, docenti universitari, professionisti, esponenti di istituzioni pubbliche e di apparati tecnici, amministrativi e militari
degli otto Stati italiani. Nelle due settimane di incontri, i partecipanti - che raggiunsero la
punta massima di 1613 a Napoli - discussero vari argomenti relativi alle Scienze Naturali,
medicina e agricoltura incluse. Tali Riunioni offrono un panorama ampio e preciso dello sviluppo della scienza nell’Italia dell’'800, storicizzando l’evoluzione scientifica dell’epoca, frutto
anche degli scambi e dei dibattiti che esse resero possibili. In detti Congressi, le esigenze
proprie della ricerca scientifica si uniscono con quelle dello sviluppo economico e si intrecciano con i sentimenti, ancorché confusi, di unità nazionale, declinati da schiere crescenti di
“dotti” legati da un fervente amore per la Patria italiana. A Venezia, nel 1847, in occasione
del nono Congresso, i riferimenti alla “nostra Italia” furono talmente espliciti da determinare
la chiusura anticipata dei lavori per l’intervento della polizia austriaca. Nel 1861, attuata la
prima fase dell’Unità d’Italia, si tentò invano di riprendere i Congressi itineranti, rivitalizzandoli con l’aggiunta delle tematiche umanistiche. Quello di Siena, del 1862, fu un chiaro
insuccesso, alquanto prevedibile, essendosi dissolti con l’Unità quegl’impedimenti ad incontrarsi, che ne avevano costituito stimolo potente a farlo.
SUMMARY: The Congresses for Italian Scientists before the Unity
Nine Congresses for Italian Scientists, based on the example of other European countries,
were organised in Italy between 1839 and 1847, in the same number of cities on the peninsula. They involved nearly six thousand people – nine hundred of whom were foreigners –
including academics, university professors, specialists and representatives of public institutions and technical, administrative and military organisations of the eight Italian states. During the course of two weeks of meetings, the participants – who reached a peak of 1613 in
Naples – discussed various topics related to the Natural Sciences, in the strictest sense of
the phrase, including medicine and agriculture.These meetings offer a comprehensive and
precise panorama of the development of science in Italy in the 19th century, chronicling the
scientific evolution of the age, the result also of the exchanges and debates which they made
possible. In said Congresses, the specific demands of scientific research were combined with
*E-mail: [email protected]
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SANDRO POTECCHI
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those of economic development and intertwined with the still rather confused feelings of national unity, as decalred by the growing ranks of “scholars” bound by a fervent love for the
Italian motherland. In 1847 in Venice, on the occasion of the ninth Congress, the references
to “nostra Italia” were so explicit they led to the early closing of proceedings due to the forceful intervention of the Austrian police. In 1861, with the first stage of the Unity of Italy underway, a vain attempt was made to resurrect the aforementioned travelling Congresses,
revitalising them with the addition of humanistic themes. The one in Siena, in 1862, was a
clear failure. This was somewhat predictable, given that the Unity had removed the obstacles
that prevented such meetings and which – at the same time – provided a powerful and uncontollable stimulus to hold them.
RÉSUMÉ: Les Congrès des Savants Italiens avant l’Unité.
Les neuf Congrès des Savants Italiens qui, suivant l’exemple d’autres Pays Européens, ont
été organisés de 1839 à 1847 dans neuf villes italiennes, virent l’implication de presque six
mille personnes, dont neuf cents étrangers: académiciens, professeurs universitaires, professionnels, représentants d’institutions publiques et d’organismes techniques, administratifs
et militaires des huit Etats italiens. Au cours de deux semaines de rencontres, les participants,
dont le nombre atteint son apogée (1613) à Naples, discuterent plusieurs thèmes relatifs aux
Sciences Naturelles, y comprises la médecine et l’agriculture. Ces Congrès offrent un panorama vaste et précis du développement de la science en Italie au XIXe siècle, en historicisant
l’évolution scientifique de l’époque, qui est aussi le fruit des échanges et des débats qui ont
été possibles grâce à ces réunions. Dans lesdits Congrès, les exigences spécifiques de la recherche scientifique se joignent à celles du développement économique et se mêlent aux sentiments d’unité nationale qui, quoique confus, sont incarnés par un nombre croissant de
“savants” liés par un amour fervent pour la Patrie italienne. En 1847, à Venise, lors du neuvième Congrès, les références à “nostra Italia” sont tellement explicites qu’elles provoquent
la clôture anticipée des travaux à cause de l’intervention de la police autrichienne. En 1861,
la première phase de l’Unité Italienne terminée, on essaie en vain de faire revivre ces Congrès
itinérants, en les révitalisant avec l’introduction de thèmes humanistes. Le Congrès de Sienne
de 1862 est un échec évident, d’ailleurs assez prévisible, car l’Unité avait éliminé les obstacles
qui incitaient, de façon puissante, les savants à se rencontrer.
1 - INTRODUZIONE
Si ritiene, più che opportuno, doveroso ravvivare le ultime luci delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, con quelle palpitanti delle Riunioni
degli Scienziati Italiani (1839-1847), che ne costituirono prodromo indiscusso
e stupefacente. L’insieme di detti Congressi risultarono l’evento culturale più
significativo del secolo, non soltanto per l’ampio ventaglio delle discipline
trattate, ma per gli aneliti di libertà ed i fremiti di progresso, di cui – come si
avrà modo di fare rilevare - furono costantemente permeati.
***
Percorrendo questa traiettoria, ci si imbatte inevitabilmente nelle Accademie, a cui si deve lo sviluppo scientifico e tecnologico esploso al principio
del XIX secolo. Il loro carattere elitario, però, le distaccava dal progresso della
società contemporanea dovuto, non più ad un manipolo di scienziati, ma ad
altri soggetti quali: professionisti, tecnici ed esperti provenienti da amministrazioni civili e militari. A queste Accademie stanziali se ne aggiunsero di
altro genere come la Società Italiana delle Scienze, detta dei XL, fondata nel
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1782 dal matematico Lorgna, costituita da 40 membri, stabilmente residenti
in differenti città d’Italia, che facevano confluire i loro lavori a Modena, ove
era la segreteria.
Lo sviluppo tecnologico seguito alla prima rivoluzione industriale ed il
rinnovato interesse per la scienza, manifestato negli ultimi anni dell’impero
napoleonico, era proseguito anche durante la Restaurazione. Allo scopo di
dibattere e confrontare i risultati scientifici gli studiosi avevano dato vita a società scientifiche, quali: la Chemische Gesellschaft (Germania), la Physical Society (Gran Bretagna) e la Société Chimique (Francia).
La Confederazione Elvetica si dotò di un’associazione per il progresso
delle scienze, nettamente distinta dalle Accademie tradizionali e finalizzata
ad aggregare specialisti di differenti discipline. La formula peripatetica per
l’effettuazione dei suoi congressi venne inaugurata nel 1815, con la nascita
della Société helvétique des Sciences Naturelles (SHSN), che tenne il primo
Convegno a Berna nel 1816.
L’iniziativa fu imitata dal naturalista tedesco Lorenz Oken, che convocò a
Lipsia, nel 1822, la prima riunione della Gesellschaft deutscher Naturforscher
und Ärtze (GDNÄ). Seguì la Gran Bretagna dove la British Association for
the Advancement of Science (BAAS) organizzò a York, nel 1831, la prima adunanza avente come promotore il fisico David Brewster. Infine, nel 1833, venne
istituita l’Association française pour l’Avancement des Sciences.
Negli anni Quaranta le riunioni tedesche furono magnificate in Europa
come le più riuscite cerimonie di consacrazione della scienza “alta” - che si
identificava con le Università – ed il modello tedesco contribuì a definire il
profilo dello “scienziato” come professionista della ricerca e quello tedesco
fu indubbiamente il tipo ideale delle associazioni nazionali per il progresso
delle scienze. In Inghilterra fu coniato il termine “scientist” per distinguerlo
dall’ideale di “philosopher” non specializzato, dominante nella Royal Society.
“I Congressi nazionali itineranti degli Scienziati, che si andavano celebrando
con cadenza annuale nei suddetti Paesi europei, erano oggetto di grande attenzione. Ne parlavano gli Annali delle Accademie, le riviste enciclopediche ed i
giornali di opinione. Celebrate alla fine dell’estate, le riunioni richiamavano a
raccolta centinaia di persone. I rendiconti davano materia ai dibattiti interni alle
comunità disciplinari, entusiasmavano i seguaci della religione del progresso,
pungolavano gli amatori, stimolavano nell’opinione pubblica reazioni differenti
verso il protagonismo dei professionisti delle scienze fisiche, mediche e naturali”.
(Casalena, 2007).
Nella Penisola si iniziò a parlare di tali congressi allorquando il primo fascicolo dell’Antologia (gennaio 1821) riportò il resoconto della sesta adunanza
ginevrina della SHSN. I legami del fondatore del periodico, Giovanni Pietro
Vieusseux, con Ginevra da dove proveniva la sua famiglia, furono decisivi in
questa scelta e quelle riunioni divennero oggetto di costante interesse per il
gruppo di patrizi e di intellettuali toscani raccolti nel Gabinetto scientificoletterario da lui istituito.
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L’Associazione svizzera esaltava tutte le dimensioni e tutti gli attori del lavoro scientifico. Era suscettibile, pertanto, di accogliere le nuove istanze del
mondo accademico toscano, del patriziato fiorentino, nonché della borghesia
livornese – in buona parte ebraica o protestante – ai quali essa avrebbe potuto
meglio assicurare lo svincolarsi definitivamente da élites e Stato. L’Antologia
parlò ancora delle riunioni svizzere nel 1823 e nel 1825.
Nel 1828, l’ingegnere e matematico inglese Charles Babbage, viaggiando
in Italia, ebbe occasione di incontrare diversi uomini di scienza e di esporre
al granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena il piano di un’accademia europea.
Negli ultimi anni di vita, l’Antologia diede risalto a quanto avveniva nella
Confederazione germanica (Deutscher Bund), auspicando un’analoga istituzione anche nella Penisola. L’Italia divisa in 8 Stati – come la Germania in 39
– avvertiva la necessità d’una più intima riunione delle sue parti e se – al momento – non le era dato di aspirare all’unità politica, cercava almeno l’unione
morale.
A dare compiutezza alla temperie che ha interessato per lunghi anni, come
si è visto, i prodromi dei Convegni degli Scienziati in Italia, sarà Carlo Luciano
Bonaparte, principe di Musignano (1823) e poi di Canino (1840), figlio di Luciano fratello di Napoleone e marito della cugina Zenaide figlia di Giuseppe.
Questi, nell’autunno del 1838, di ritorno dal congresso degli scienziati tedeschi a Friburgo, riuscì a convincere Leopoldo II sull’opportunità di indire dei
congressi scientifici itineranti anche in Italia. Il Bonaparte aveva 35 anni e
fama di eccellente botanico e zoologo. I viaggi lo avevano posto in relazione
con i grandi nomi italiani ed europei; estraneo ai moti liberali godeva buoni
rapporti con Gregorio XVI e non solo.
Nelle proposte avanzate a suo tempo dal Babbage e nell’attivismo del Bonaparte non si può non avvertire una remota ispirazione baconiana, enciclopedistica, paneuropea e forse un’eco massonica.
I promotori dell’impresa furono, oltre al Bonaparte (fig. 1), il marchese
Vincenzo Antinori, direttore del museo di Fisica e Scienze naturali di Firenze,
il prof. Giovanni Battista Amici, fisico e astronomo, il prof. Gaetano Giorgini,
provveditore generale dell’Università di Pisa, il prof. Paolo Savi, naturalista
all’Università di Pisa, ed il prof. Maurizio Bufalini, clinico e medico nell’Arcispedale di Firenze. Con l’apporto defilato del Viesseux, i promotori provvidero ad inviare gli inviti in due tempi - 28 marzo (I circ.) e 18 agosto (II
circ.) – per il primo congresso, che si sarebbe svolto a Pisa nell’ottobre 1839
(Marini Bettolo, Capasso, 1991).
Con somma sorpresa e trepidazione della diplomazia reazionaria europea,
alla metà di marzo del 1839 si spargeva la notizia che nel prossimo ottobre,
per concessione del Granduca di Toscana, si sarebbe riunito a Pisa un congresso di scienziati, prima assise scientifica italiana.
Ne dava notizia l’Allgemeine Zeitung del 17 marzo, in una corrispondenza
da Roma del 2 marzo, prima ancora – quindi – che il primo invito ufficiale
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Fig. 1 - Carlo Luciano Bonaparte, principe di Musignano e Canino. Parigi 1803-1857 (dis. F. Boggi,
1841). Fonte: Marini Bettolo, Capasso, 1991.
fosse diramato. L’indiscrezione, che mise a rumore i circoli diplomatici, fu
ispirata con spregiudicata tempistica dal Bonaparte allo scopo di superare
eventuali ripensamenti del Granduca sull’ortodossia della progettata riunione,
alla quale davano serie garanzie i migliori scienziati dello studio pisano, anche
se non tutti in odore di santità politica. Ritenendo impossibile convincere il
governo di Toscana a ritornare sui suoi passi, la diplomazia predispose un sottile lavorìo affinché i governi stranieri non permettessero od ostacolassero in
tutti i modi l’adesione e la partecipazione al convegno.
Il conte di S. Marzano, rappresentante sabaudo a Firenze, nonché fedele
interprete del pensiero notoriamente reazionario di Solaro della Margherita,
primo ministro del re di Sardegna, facendo proprio il suggerimento del ministro austriaco conte Reviczky, si affrettò a denunciare al proprio governo il
convegno come un’oscura macchinazione dei liberali. Nella sua denuncia
bollò uomini miti quali l’Amici, il Giorgini, il Buffalini e Paolo Savi come pericolosi liberali intimamente legati al Granduca, colpevoli di essere forti promotori della libertà italiana e strumento del principe di Musignano, che
dell’idealità scientifica faceva strumento di speculazione politica e, nel contempo, quale epigono di un’odiata epopea, era motivo di sospetto, diffidenza
ed ostilità.
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Il nuovo ministro sabaudo, il Carrega, meno intransigente del S. Marzano
ma sempre allineato alla politica austriaca, ispirata dalle attente istruzioni del
Metternich, inviava a Torino il 1° settembre 1839 il seguente dispaccio:
“Le Docteur Buffalini, professeur de médicine à l’hôpital de Florence
(dont ses principes liberaux sont généralement connus), est un des six signataires
de l’appel adressé aux naturalistes italiens pour les engager à se rendre à la réunion de Pise, annexe à ma dépêche du 15 mai, en entretenant ses auditeurs des
maladies du coeur humain, fit tomber le discours sur celles causées par l’amour
de la patrie et ….il deploya dans son allocution le liberalisme le plus effronté.
Sa dissertation produisit un vif enthousiasme sur l’esprit de ses jeunes écoliers...”
(Cessi, 1923).
Gli Asburgo d’altra parte, nel 1832, avevano ospitato a Vienna il Congresso della GDNÄ ed autorizzato, nel 1837, quello di Praga. Quindi l’Austria
poteva permettersi di patrocinarne uno analogo nella Penisola. Placatasi grazie
all’intermediazione granducale l’ostilità di Vienna, rimase l’opposizione del
re delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, e quella ancor più becera del
duca di Modena, Francesco IV d’Austria-Este (ritorsioni su eventuali partecipanti). Resisteva il clima di diffidenza da parte del Vaticano, avendo il Granduca rifiutato di reintegrare i beni ecclesiastici alienati nel periodo
napoleonico.
2 - I PRIMI NOVE CONGRESSI
2.1 - I Congresso - Pisa, 1-15 ottobre 1839
Li uomini poi che ‘ntorno erano sparti
s’accolsero a quel luogo, ch’era forte (Inf. XX, 98,99)
A Pisa, città illustre per storia e cultura (sufficit riandare a Fibonacci e Galilei) e splendida per monumenti, ad accogliere i convenuti provvide una
Giunta di Professori, che li muniva di un lasciapassare, costituito da un biglietto rosso se ammessi a pieno titolo quali “membri del congresso” oppure
celeste se “amatori”.
Presidente generale fu il prof. Ranieri Gerbi, decano dell’Università di
Pisa, e Segretario generale il prof. Filippo Corridi.
I congressisti furono 421 (figg. 2, 3, 4), le Deputazioni 17, di cui 2 straniere.
Tra i convenuti spiccavano: lo storico della scienza Vincenzo Antinori,
l’abate Pietro Configliacchi e, tra gli stranieri, il naturalista svizzero Lorenz
Oken.
Il primo giorno fu dedicato ad un solenne ufficio religioso nella primaziale
della città, anche se l’iniziativa era stata avversata da alcuni scienziati (Gerbi e
Paolo Savi, in particolare) e dalla Curia locale allineata con le autorità centrali.
Il 2 ottobre gli scienziati risolsero la vexata quaestio della classificazione
delle scienze naturali, adottando sostanzialmente le sezioni stabilite dai tede-
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schi per i loro congressi. I lavori - e così pure quelli delle altre 5 successive
riunioni - si articolarono in 6 sezioni (AA.VV., 1840). Il settimo congresso
(Napoli 1845) vide poi l’introduzione di anatomia e archeologia con l’incremento delle sezioni a 9, come qui indicato: Agronomia e Tecnologia; Medicina; Chirurgia e Anatomia; Fisica e Matematica; Chimica; Mineralogia e
Geologia; Geografia e Archeologia; Botanica e Fisiologia vegetale; Zoologia,
Anatomia comparata e Fisiologia (AA.VV., 1846).
Ai convenuti venne distribuita la guida storico-artistica della città, nonché
la medaglia di bronzo, coniata per l’occasione, avente nel dritto il busto di
Galileo. Prassi che verranno seguite anche nelle riunioni successive. Infatti,
in ogni sede si andò a gara per accogliere i congressisti nel modo più cordiale
e festoso. Si provvide all’apertura – anche serale – di palazzi aristocratici e di
biblioteche, all’organizzazione di armoniosi concerti musicali, balli, regate
storiche (a Pisa e Venezia) ed escursioni, nonché al ricorso ad eleganti ornamenti floreali e ad omaggi poetici.
La città che, nel cortile del Palazzo dell’Università detto la Sapienza, aveva
eretto per sovrana munificienza e volontarie oblazioni una statua di Galileo –
opera di Paolo Emilio Demi - provvide ad inaugurarla con il prof. Giovanni
Rosini. Questi, con un discorso assai diplomatico, sottolineò il distinguo tra
Chiesa – che mai aveva condannato il sistema copernicano – ed il tribunale
dell’Inquisizione, i cui decreti non sono dogmi, e ricordò, anche, che a cagione
d’invidia il grande pisano fu costretto a trasferirsi a Padova dove rimase 18
anni, precisando che gli amici lo videro partire con dolore, gli ammiratori con
rammarico, i colleghi con gioia, il governo con indifferenza.
Infine, sempre alla Sapienza, a cura del Prof. Gaetano Giorgini, venne
posta una lapide a perenne ricordo dell’avvenimento.
Il terzo giorno vide la prima Adunanza generale, alla presenza di varie Autorità governative, ecclesiastiche e municipali, con l’allocuzione del Presidente
che, evocate le glorie del Granducato ed i meriti dei suoi scienziati, passò ad
illustrare quanto Galileo, Torricelli, Viviani, Redi, Bagalotti e molti altri avessero diffuso luce in Europa. Aggiunse che anche l’agricoltura non ebbe sorte
dissimile, non avendo deviato dall’insegnamento del Crescenzo e potuto contare su insigni cultori quali il Dandolo, il Re, il Targioni, l’Acerbi ed il Lambruschini (AA.VV., 1840).
Il Bonaparte, prospettò: “che la riunione avesse luogo da qui a 2 anni a Firenze e l’anno prossimo a Torino”. Proposta subito sanzionata dal Presidente.
Il principe di Musignano, ignorando quanto da lui sottoscritto, agì da padrone, sicuro di poter guidare il consesso a proprio piacimento. Ciò destò una
diffusa reazione negativa tra gli scienziati che, in buona fede, lavoravano per
i loro ideali scientifici, facendo tacere i sentimenti più intimi e palpitanti, e
fece emergere l’innato sentire italiano insofferente delle illegittime introduzioni ed avverso allo spadroneggiamento dei napoleonidi che, con l’intrigo,
cercavano di legare la sorte dei futuri congressi alla loro persona. Invero ci
riuscirono, ma accrebbero soltanto l’antipatia verso di loro.
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Non meno significativo fu il lavoro svolto dal Bonaparte, qui a Pisa e successivamente anche nelle altre sedi, fuori dalle aule dei congressi: visite a sovrani e ai membri dei governi ospiti, contatti e scambi di idee con gli
intervenuti alle riunioni, in una piena libertà di argomenti e discussioni che,
nel controllo esercitato dalle autorità nelle sedute ufficiali, non permetteva.
Di indubbie doti intellettuali, la sua impetuosa irruenza e la sua esuberante
verbosità, peraltro così in contrasto con la schematica rigidezza della sua formazione scientifica e con la lucida razionalità delle sue idee, finirono per alienargli molte simpatie nel campo scientifico e pure in quello politico.
Alla sera del 4 ottobre giunse a Pisa il Granduca per seguire più da vicino
il congresso. Il giorno successivo onorò della sua presenza le Tornate delle Sezioni di Zoologia e di Medicina e si degnò di chiamare alla regale mensa gli
“Ufficiali” ossia il Presidente ed il Segretario generali, nonché i Presidenti ed
i Segretari di Sezione.
Da ogni parte pervennero lettere, libri e manoscritti; cosa che diede nuovo
impulso ai lavori che, in più di una occasione, andarono oltre le due ore previste. Le donazioni andarono via via crescendo nei congressi successivi.
Si provvide alla stampa di un “Manifesto della I riunione degli Scienziati
italiani” dove campeggia il Granduca Leopoldo, in alta uniforme ed a cavallo,
contornato da figure allegoriche di circostanza e dall’elenco degli intervenuti.
Il 15 ottobre, alla presenza del Granduca, si tenne l’ultima Assemblea generale, in cui il prof. Filippo Corridi, facendo un rapido consuntivo dei lavori,
così esordì: “Quanto io narrerò… stimo che sarà insieme argomento dilettevole
per gli Italiani tutti a’ quali ogni cosa che torni a onore della Patria, che ci è comune, deve e per sentimento e per debito riuscire carissima”(AA.VV., 1840).
Alla chiusura dei lavori del Congresso si procedette all’accurata redazione
degli Atti – e così pure per le riunioni successive - che furono puntualmente
recapitati a tutti i convenuti nell’estate successiva.
2.2 - II Congresso - Torino, 15-30 settembre 1840
La proposta avanzata a Pisa dal Bonaparte, in palese violazione del regolamento, suscitò vivaci proteste, ma il pronto invio a Torino di un corriere per
chiedere al re di Sardegna il permesso portò alla ratifica della decisione.
Re Carlo Alberto, intimamente obtorto collo, ma allettato dall’opportunità
di accreditarsi l’immagine di mecenate scientifico, acconsentì che la riunione
si tenesse a Torino – e così pure l’ottava del 1846 a Genova – ma ordinò alla
polizia di schedare tutti i partecipanti e pose la condizione che le discussioni
fossero prive di qualsiasi accenno politico, cosa del tutto intollerabile nel suo
Stato (Mark Smith, 1999).
Ciò non deve stupire più di tanto. Infatti in quegli anni a Torino si respirava un’aria pesantemente reazionaria. È sufficiente rifarsi all’iter burocratico
del progetto di statuto della Società Medico-Chirurgica, sottoposto tra l’altro
al Gabinetto di polizia del Ministero della Guerra e Marina per valutarne la
“pericolosità sociale”; nel gennaio del 1842 viene approvato alle condizioni
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che: le riunioni private dei Soci si sarebbero dovute svolgere alla presenza di
un funzionario del Magistrato della Riforma degli Studi, che le riunioni pubbliche erano consentite una sola volta all’anno e che ad esse potevano partecipare al massimo 50 persone (Masenti, Bargoni, 1996).
Presidente generale fu il conte Alessandro di Saluzzo, ministro del Regno
e presidente della R. Accademia delle Scienze, coadiuvato dal prof. Giuseppe
Gené, zoologo e direttore del Museo di Scienze Naturali di Torino, in qualità
di Segretario generale.
I convenuti furono 573 (figg. 2, 3, 4), le Deputazioni 19, di cui 4 straniere.
Tra i congressisti: il matematico ed astronomo Giovanni Plana, il botanico
Giuseppe Giacinto Moris, il geologo Lorenzo Pareto, il fisico chimico Amedeo Avogadro di Quaregna, l’agricoltore Emilio Bertone di Sambuy ed il chirurgo Alessandro Riberi. Tra gli stranieri, il matematico ed ingegnere Charles
Babbage, il cui progetto di macchina di calcolo suscitò gli entusiasmi del fisico
Fabrizio Ottaviano Mossotti e del giovane Luigi Menabrea.
Integrando l’elenco dei congressisti, riportato negli Atti, relativamente ai
148 accademici italiani presenti, si è pervenuti a stabilire che la R. Accademia
delle Scienze di Torino era rappresentata da ben 66 soci, l’I. e R. Accademia
dei Georgofili di Firenze da 44, la R. Società Agraria di Torino da 40 (di cui
9 anche georgofili) e da 43 la Società Medico-Chirurgica di Torino, il cui statuto verrà approvato nel 1842 e che, nel 1846, diverrà R. Società Medico-Chirurgica di Torino (Minuz, Tagliarini, 1983).
Il primo giorno i membri del congresso si riunirono nel Tempio di San Filippo – al tempo ancora sprovvisto di pronao – per invocare da Dio i suoi
lumi e le sue benedizioni. Analogamente, l’apertura di tutte le altre 7 Riunioni,
che ha fatto dischiudere le porte di alcune delle chiese italiane più celebri:
Santa Croce (Firenze), Basilica del Santo (Padova), San Frediano (Lucca),
Duomo (Milano), Duomo (Napoli), San Lorenzo (Genova) e Basilica di San
Marco (Venezia).
Il 16 settembre, nell’Aula magna della R. Università, il Presidente tenne
un dotto discorso sul contributo dato dagli Italiani al progresso della scienza,
invero incrinato da un passaggio in cui, ribaltando la realtà geostorica, affermava che la mente dell’augusto monarca era “costantemente rivolta a quanto
può conferire alla gloria d’Italia, di quell’Italia sopra tanta parte della quale la
generosa sua schiatta da tanti secoli gloriosamente impera”. Era proprio un’Italietta, la sua!
Alla seduta di chiusura il Saluzzo si presenterà con le insegne del collare
del Supremo Ordine della S.S. Annunziata, conferitogli dal re Carlo Alberto.
Ai congressisti fu consegnata la guida di Torino e la medaglia commemorativa, con Minerva sul dritto.
Il Gené informò che “nei 15 dì che la Riunione durò, tutto era vita e letizia
nelle vie di Torino, tutto fu ordine e dignità nei palazzi” della R. Università e
della R. Accademia delle Scienze (che ospitò le Sezioni di geologia e zoologia).
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Il Sovrano non partecipò ad alcuna seduta, ma accolse alla sua regale
mensa gli Ufficiali della riunione e molti illustri personaggi, ai quali diede in
dono la Descrizione della R. Armeria, fatta stampare in elegantissimo volume.
Per gli scienziati si organizzarono gite a Superga, Stupinigi, Moncalieri e
alla Crocetta, per visitare l’Orto sperimentale della R. Società Agraria
(AA.VV., 1841a).
2.3 - III Congresso - Firenze, 15-30 settembre 1841
In concomitanza con il Congresso, si inaugurò la prima Esposizione nazionale agraria, industriale e artistica. Furono Presidente generale il marchese
Cosimo Ridolfi e Segretario generale l’ing. Ferdinando Tartini. Fra i responsabili delle Sezioni: il pedagogista ab. Raffaello Lambruschini ed il geologo
Lodovico Pasini, ed alcuni notabili granducali, quali Gino Capponi, Bettino
Ricasoli, Giuseppe Montanelli, Vincenzo Salvagnoli e Carlo Matteucci.
I partecipanti furono 888 (fig. 2, 3, 4), le Deputazioni 39, di cui 12 straniere.
Il Ridolfi nell’Adunanza generale di apertura, a Palazzo Vecchio nel Salone
dei Cinquecento, ricordò agli scienziati che le loro riunioni avevano preso auspicio ed abbrivo in Pisa “a la vista di quella lampada e di quella torre che furono della nuova Fisica le prime e insigni macchine sperimentali” .
E proseguendo con il suo dire alato soggiunse: “Onore e prosperità a Voi che
fate così gran parte del decoro e della gloria d’Italia; di questa Terra la quale, come
non v’è sciagura che non provasse, non v’è parimenti fama che conquistar non sapesse; di questo Popolo che più volte infelice fu sempre grande, e sarà sempre serbato a eccelsi destini nel progresso della civiltà e del sapere”(AA.VV., 1841b).
Il granduca Leopoldo II per l’occasione fece erigere, nel Museo di Fisica
e Storia Naturale di Firenze, una Tribuna interamente dedicata a Galileo (soggetto ripreso anche nella medaglia commemorativa), destinata a contenere
strumenti e carte del:
“Divo intelletto, al cui veder profondo
Poca la terra e non fu troppo il cielo”,
come scrisse con felice immaginazione Massimima Fantastici Rosellini.
Ai Congressisti furono distribuite una nuova guida di Firenze con pianta
della città e le litografie di Dante e Galileo. Da menzionare, anche, il sontuoso
banchetto offerto dal Granduca, nella villa di Poggio Imperiale, a tutti i Congressisti (circa 750) trasferiti da Boboli con “dugento carrozze”, di cui una quarantina con livree di corte.
Come era prevedibile, i lavori scientifici dei Congressi e le varie attività di
contorno destarono la legittima curiosità di quelli che erano costretti a seguirli
indirettamente. Il che aveva prodotto qualche riga di cronaca sui giornali locali, nonché la pubblicazione di libretti ufficiosi con notizie e commenti vari,
per iniziativa di alcuni solerti editori.
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A Firenze gli organizzatori, forse sollecitati da questo stato di cose, provvidero alla tempestiva pubblicazione dei Diari, a cura degli Ufficiali. Ogni
sera – tranne la domenica - furono fatti uscire, per tutta la durata del congresso, questi fogli contenenti l’elenco dei nuovi arrivati ed il transunto dei
lavori delle Sezioni. Distribuiti ogni mattina ai membri del Congresso, andarono a formarne in succinto la storia, oltre ad affiancarsi agli Atti ufficiali tradizionali (AA.VV., 1841c).
Tra i diversi temi trattati non si può ignorare il gravissimo problema dell’istruzione. A tale proposito si riporta quanto auspicato dal conte Luigi Serristori di Firenze. Ossia: “che quanto prima possa essere in tutta Italia sistemata
e generalizzata l’istruzione dei due sessi, ad imitazione di quanto operò da già
venticinque anni la sapienza governativa del Regno Lombardo-Veneto”.
Nella seduta conclusiva del 29 settembre, il presidente Ridolfi riservò toni
foscoliani alle urne dei Grandi venerati in Santa Croce, esclamando: “Sì, fra
le tombe dell’Alighieri, del Buonarroti, del Macchiavelli, Voi cercaste più che
altro quella del Vostro Maestro, e quei marmi dissero agli occhi Vostri ciò che la
mia voce non saprebbe ridire. Né il tenterò; ma come Voi commosso da così care
memorie al sorgere di così belle speranze, - o Italia – griderò invece esultante, o Italia, madre feconda d’ingegni sì misurati, nò che la fama tua non verrà meno
giammai. Pullulerà perenne da questa classica Terra un’illustre progenie, che all’età più remote tramanderà per opere eccelse un nome ognor più venerato”
(AA.VV., 1841b).
2.4 - IV Congresso - Padova, 15-29 settembre 1842
Il quarto Congresso si tenne a Padova, con il consenso di Sua Maestà Imperiale Reale ed Apostolica l’Imperatore d’Austria Francesco I d’AsburgoLorena.
Alla frontiera fu bloccato più di un aspirante congressista. Il fatto fu così
commentato con irridente sarcasmo dal Giusti “ma chi se ne meraviglia…con
quarantamila caiserlicchi sul Ticino, aver paura di due o trecento dotti in cravatta
bianca andati là a litigare sul volvulus batatas o sopra un ranocchio!”.
Presidente generale fu il conte Andrea Cittadella Vigodarzere, segretario
dell’Accademia di Padova, coaudiuvato dal botanico dalmata Roberto De Visiani, in qualità di Segretario generale.
Si presentarono in 514 (figg. 2, 3, 4); le Deputazioni furono 36, di cui 6
straniere.
Tra i convenuti: il medico Giacomo Andrea Giacomini, il fisico Francesco
Orioli, il chimico-fisico Bartolomeo Bizio, il geografo Jakob Gräberg.
Tra i varî argomenti dibattuti, va indubbiamente evidenziato quello affrontato nella Sezione di Agronomia e Tecnologia, ossia l’effettuazione a livello
nazionale di “Statistiche sopra i fanciulli impiegati nelle Manifatture”, avvalendosi di una tavola sinottica predisposta dal torinese conte Carlo Ilarione Petitti
di Loreto. Nel successivo congresso di Milano (1844) verrà riferito che fanciulli di 10, 8 e persino 5 anni erano chiusi per 13 e talora 15 ore in mefitiche
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officine, legati ad un lavoro incessante, unito a promiscuità incontrollata,
sonno faticoso ed interrotto, membra doloranti ed infiacchite, vecchiezza precoce; il tutto pagato con l’abbrutimento e la corruzione. Tema di forte impatto
socio-economico e medico, che si riallaccia alle tematiche della medicina del
lavoro le quali, nell’opera di De morbis artificum diatriba (1700) di Bernardino
Ramazzini (1633-1714), ebbero in assoluto la loro prima enunciazione.
Nel discorso conclusivo, il Presidente ebbe a dire che: “…sia lode perenne
a quelli che promossero in Italia un’istituzione, la quale ravvicina i divisi fratelli.
Guardano qui quella immancabile mercede bastante, anche nel segreto di se
stesso, all’uomo che sa di aver giovata la Patria. Specialmente fortunati … gli
intelletti cultori di moltissime parti dell’umano sapere che, con una concordia
di cui niun secolo anteriore ha mai dato l’esempio, si avviano in tutte regioni
d’Europa verso una grande unità” (AA.VV., 1843).
2.5 - V Congresso - Lucca, 15-30 settembre 1843
Il quinto Congresso si tenne a Lucca, piccolo ducato retto dal duca Carlo
Lodovico di Borbone, che acconsentì nonostante il parere contrario dei suoi
ministri. E questo dopo che la scelta, nelle sedute fiorentine, era caduta – in
prima battuta – su Modena e poi su Parma e questo per i rifiuti diversamente
motivati dal duca Francesco IV d’Austria-Este, quello che aveva mandato alla
forca Ciro Menotti, e dalla duchessa Maria Luisa d’Asburgo-Lorena, nota
anche come “vedova non inconsolabile”.
Presidente generale fu il marchese Antonio Mazzarosa, letterato ed erudito
locale, e Segretario generale l’anatomista Luigi Pacini.
Presenziarono 496 scienziati (figg. 2, 3, 4); le Deputazioni furono 50, di
cui 10 straniere.
Tra i congressisti: il giurista Giovanni Carminiani, l’abate Ferrante Aporti,
lo storico Giuseppe La Farina e Karl Gustav Jacobi, accompagnato da altri
matematici tedeschi. L’incontro ebbe grande influenza sugli ambienti italiani,
specie romani e napoletani, dove fu più lungo il loro soggiorno.
È doverono segnalare che il medico torinese Michele Griffa, dopo un intervento sul sistema carcerario con cui aveva denunciato il maltrattamento dei
prigionieri, evocò - tra gli applausi - gli orrendi patimenti dello Spielberg, citando coraggiosamente Silvio Pellico e Federico Confalonieri, venne bruscamente invitato a lasciare il Ducato. Cosa significativa, l’incidente – se lo si
vuole così chiamare – non fu registrato negli Atti. Il 19 settembre fu costituita
una Commissione mista fra le Sezioni di Medicina e di Agronomia per raccogliere elementi utili per discutere sulla gravissima questione della nocuità o
meno delle risaie.
Infine dagli Atti (AA.VV., 1844, pag. 147) apprendiamo che il Conte Gherardo Freschi di Udine, presidente della Sezione Agraria e Tecnologia, a nome
del sacerdote Enrico Tazzoli di Mandova, legge un’interessantissima Memoria,
più volte applaudita, sull’importanza di istituire scuole agrarie nei seminari
ecclesiastici, onde somministrare col tempo un numero considerevole di par-
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roci di campagna, i quali arrechino al loro gregge, con l’insegnamento morale
e religioso, i lumi della sapienza agricola. L’avvocato Maestri fa plauso al Tazzoli del generoso e felice pensiero e fa voti onde i vescovi, cui è commessa la
disciplina scolastica dei seminari, ascoltino le insinuazioni del Tazzoli
(AA.VV., 1844).
2.6 - VI Congresso - Milano, 12-27 settmbre 1844
Il sesto Congresso venne preceduto, il giorno 11 settembre, dall’inaugurazione, nel cortile dell’I.R. Palazzo di Brera, della statua eretta al grande matematico Bonaventura Cavalieri, con l’elogio di Gabrio Piola.
Il mattino seguente, Milano vedeva nel suo maggior tempio tanta umana
dottrina inchinarsi alla divina Sapienza e partecipare al sacro rito presieduto
dal cardinale arcivescovo. La benedizione da lui impartita “era a tutti novella
testimonianza che la religione di Cristo non rifugge dalla dottrina degli uomini,
perché questa, rinfiancata dalla Fede, è lucidissima via per la quale al sommo
Iddio si sale”. Non stupisca quanto affermato dal Segretario generale nella
suddetta relazione finale del 27 settembre, perché – occorre forse ricordare –
Cauchy, Ruffini, Piola erano convinti assertori del primato della Religione e
della Fede sulla scienza e fautori di una concezione della matematica che aveva
tra i suoi obiettivi polemici il materialismo e il determinismo laplaciano.
Presidente generale fu eletto il conte Vitaliano Borromeo e Segretario generale l’entomologo nob. Carlo Bassi.
I Convenuti furono 1159 (figg. 2, 3, 4), le Deputazioni 69, di cui 16 straniere.
Tra gli Ufficiali delle Sezioni: il marchese Emilio Bertone di Sambuy, il
conte Gherardo Freschi, il conte Faustino Sanseverino e Leopoldo Pilla. Tra
i congressisti: il medico pavese Carlo Cairoli, padre dei famosi fratelli, il conte
Gabrio Casati, il matematico conte Carlo Montanari, l’astronomo Francesco
Carlini e Alessandro Manzoni (nella veste insolita di agricoltore e studioso di
economia, che esercitava brillantemente nella sua tenuta di Brusuglio, alle
porte di Milano). Tra gli stranieri: il naturalista Eduard Rüppel, Spencer Joshna Compton, geologo e presidente della Royal Society, il medico Pietro Ippolito Boutigny d’Evreux e le baronesse Ernestina e Luigia Kotz di Praga.
Lo storico Cesare Cantù predispose la guida della città, mentre il fratello
Ignazio preparò un ponderoso volume (500 pagine) con le biografie degli italiani ascritti ai cinque primi Congressi (Cantù, 1844).
Il Presidente, nel discorso di apertura tenuto alla presenza dell’Arciduca
vicerè, parlò – et pour cause – del cardinale Federico Borromeo che riunì nella
magnifica sede dell’Ambrosiana i libri ed i preziosi manoscritti da lui raccolti,
aggiungendovi pure una stamperia, forse la prima in Italia. Successivamente,
con evidente e giustificata preoccupazione, invitò i convenuti a “non trascendere nelle discussioni in questioni estranee all’indole strettamente scientifica
delle adunanze; a non farsi allettare dal pensiero di entrare nello spinoso campo
delle metafisiche disquisizioni e a non dar retta a chi vorrebbe spingere alla trat-
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tazione di argomenti sulle scienze politico-morali, pur non disconoscendone l’importanza”(AA.VV., 1845).
L’Arciduca vicerè presenziò anche alle altre Assemblee generali e accolse
alla regia mensa tutti gli Ufficiali ed i congressisti più noti.
Il Segretario della Sezione Zoologia, Oronzio Costa, annunziò – tra gli applausi – che l’Accademia degli Aspiranti Naturalisti di Napoli, tenendo al miglior esito del Congresso programmato per il 1845 proprio nella loro città, si
era proposta di pubblicare raccolti in volumi, ordinati per materia, scevri da
inutili e formali diciture ed arricchiti di note e commenti, gli Atti di tutti i precedenti Congressi. Questo allo scopo di mettere tutti coloro, ai quali sarebbe
riuscito difficile procacciarseli, di conoscere quanto trattato, le questioni in
itinere, i lavori proposti e cose simili (AA.VV., 1844 e 1845).
2.7 - VII Congresso - Napoli, 20 settembre - 5 ottobre 1845
Presidente generale fu eletto Niccola Santangelo, ministro degli Interni
del Regno e Segretario generale Giacomo Filioli, dell’Accademia Pontaniana.
Dei 1613 intervenuti, circa la metà erano regnicoli presenti per la prima
volta e provenienti da tutte le province, al di qua e al di là del Faro (fig. 2,3,
4). Taluni non mancarono di far rilevare come le ammissioni fossero state fatte
“con generosa benevolenza”. Negli Atti, le 100 Deputazioni vennero accuratamente suddivise tra quelle “non del Regno” (66 di cui 14 straniere) e “del
Regno” (34 distinte tra quelle delle Società economiche 20 e delle Accademie
nazionali 14) (AA.VV., 1846).
Tra gli Ufficiali delle 9 Sezioni alcuni erano già noti, come il chimico Raffaele Piria, il fisico-matematico Macedonio Melloni (fondatore dell’Osservatorio vesuviano), ed altri no, come il botanico Michele Tenore ed il
giovanissimo chimico Stanislao Cannizzaro. Francesco de Sanctis, da buon
testimone, in qualità di “amatore”, osservò che “il settimo Congresso, tenuto
a Napoli, fu precursore della rivoluzione”, e infatti, tra gli intervenuti figuravano: il Brofferio, il Montanelli, il Salvagnoli, il Pasini, il Matteucci ed il Tazzoli, che avrebbero occupato posti di rilievo nei moti per l’unità d’Italia. Non
mancarono personalità straniere quali: Wolfgang Maximilian Goethe, giurista
e nipote del grande Johann, ed il celeberrimo Theodor Mommsen, filologo,
storico ed epigrafista.
La cerimonia di apertura venne tenuta nella grande Sala del Museo Mineralogico, con la partecipazione del re Ferdinando II, che vi prese la parola in
risposta al Presidente Santangelo.
La cordialità e lo sfarzo dell’accoglienza finirono per enfatizzare – oltre
misura – gli aspetti mondani connessi al Congresso, suscitando anche ironiche
critiche sulla stampa locale e non solo. Tutto questo, però, non riuscì a mascherare lo stato reale della città, le condizioni fatiscenti e malsane di carceri
ed ospedali. Una Commissione medica effettuò vari sopralluoghi, riscontrando trattamenti allucinanti sui pazienti ed una elevata mortalità. Nessuna
menzione sugli Atti.
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La pronta visibilità del Congresso di Napoli venne offuscata dalla mancanza di comunicazioni con il nord. A Milano, il conte Alessandro Porro, redattore del Bollettino di statistica, dovette ricorrere alle pagine dell’Allgemeine
Zeitung.
Il Segretario generale, in chiusura, così si espresse “un solo voto mi resta:
è che duri a lungo e senza interrompimento la magnanima e l’utile istituzione
che qui vi ha radunati. La sua durata darà alla nostra Italia il più sicuro progresso
di gloria e di pace; pace alla cui ombra soltanto le scienze, le arti e tutte le discipline possano degnamente fruttificare, ché indegnate esse si arretrano appena,
stridendo sui loro cardini, si disserrano le porte del temuto tempio di
Giano”(AA.VV., 1846).
Per eternare la memoria del Congresso fu battuta - more solito – una medaglia, avente nel dritto la figura dell’Italia, e nel rovescio l’immagine di Giambattista Vico. Gli Atti furono pubblicati puntualmente nel 1846 presso la
stamperia del Fibreno, e per la prima volta in due volumi, per complessive
1600 pagine.
2.8 - VIII Congresso - Genova, 14-29 settembre 1846
Presidente generale fu il marchese Antonio Brignole Sale e Segretario generale il marchese Francesco Pallavicino.
I congressisti furono 1062 (fig. 2,3, 4), le Deputazioni 129, di cui 39 straniere.
Ai lavori parteciparono personalità come: Massimo d’Azeglio, Giovanni
Berchet, Angelo Brofferio, Cesare Correnti, i botanici Antonio Bertoloni e
Giuseppe De Notaris e l’entomologo Massimiliano Spinola.
L’Adunanza generale di apertura dei lavori fu tenuta nel Salone del Palazzo
Ducale alla presenza del Cardinale, del Governatore e di una folla di scienziati
e di altre personalità.
Il Presidente, nell’occasione, asserì che Genova era degnissima di essere
sede dell’ottavo Congresso “perché madre di valorosi che or con la sapienza, or
coll’armi, or colle lettere, or colle arti illustrarono la Patria” ed accennò alla effettiva utilità dei Congressi e alla valida protezione che loro accordarono i
Principi italiani ed in ispecie il re Carlo Alberto: “che regge con sì profondo
senno i popoli della parte superiore ed occidentale d’Italia e che tanti saggi ha
dato dell’ardente amore suo per le scienze”(AA.VV., 1847a).
Indubbiamente, il pensare ad un nuovo assetto della Penisola, derivato
dal riconoscimento di una nazione italiana, aveva ancora basi incredibilmente
fragili, soprattutto se si considera che “le proposte di rinnovamento nazionale
della Penisola avevano incontrato una determinatissima resistenza degli establishment di tutti gli Stati preunitari compreso, almeno sino al 1846, anche il
Regno di Sardegna”. Bisognerà attendere sino al 1851-52 la scelta risolutamente italiana della dinastia Sabauda (Banti, 2001).
È indubbiamente rilevante quanto ebbe ad affermare l’abate Raffaele Lambruschini, Presidente della Sezione Agronomia, ovvero che: “i frutti dei Con-
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gressi italiani non sono tutti contenuti nelle disputazioni scientifiche e nel volume degli Atti; i migliori frutti sono invisibili, sono nascosti nei cuori; scintille
di amor fraterno, di carità di desiderio del bene che si propagano e fanno sì che
i mali e le gioie di una parte d’Italia siano quelli dell’Italia tutta” (AA.VV.,
1847a).
Il principe Bonaparte, alquanto sdegnato, fece presente che nel Diario (18
settembre) non erano state riferite le splendide parole del Presidente allorquando aveva affermato che “mercè l’azione benefica dei Congressi si fa delle
anime italiane un’anima sola”. Quindi fece l’annuncio della protezione accordata all’istituzione dei Congressi da Papa Pio IX, da poco eletto. Il che suscitò
vivi applausi in tutta l’Assemblea. Si fecero voti affinché, nel 1848, Bologna
divenisse sede del decimo Congresso. Il permesso non venne accordato e si
dovette ripiegare su Siena.
Furono donate ai Congressisti la guida di Genova e la medaglia commemorativa avente nel dritto il busto di Cristoforo Colombo.
Al teatro Carlo Felice si diede un concerto di beneficienza per soccorrere
le vittime del terremoto – tremendo segreto della natura – e dell’alluvione in
Toscana, che destarono simpatie generose in altre parti d’Italia.
Fatto eccezionale fu il rito religioso officiato, sempre in San Lorenzo, alla
chiusura del Congresso.
2.9 - IX Congresso - Venezia, 13-26 settembre 1847
A Venezia il clima fu assai diverso da quello di sicuro ottimismo registrato
a Milano ed a Genova. La situazione politica era ormai incandescente.
Il governo della città concesse a tutti il visto d’ingresso, ma tradì la propria
insicurezza dislocando in ogni dove un nugolo di spie, funzionari e militari,
che fornivano rapporti quotidiani su quanto ascoltavano nelle sedute del Congresso, così come ai tavolini dei caffè. Congresso, questo, anomalo. Per la
prima volta alla Società Italiana delle Scienze, detta dei XL, non fu spedito
l’invito formale. Ciò nonostante furono designati a rappresentarla l’astronomo
Giovanni Santini ed il chimico-fisico Bartolomeo Bizio. Della Riunione, caratterizzata da un’atmosfera percorsa da fremiti rivoluzionari ed unitari del
Risorgimento, è data così notizia sugli Annali: “… forse l’ultimo per sovversive
cagioni, estranee allo scopo scientifico, ma fatalmente soffiate nella istituzione
dei Congressi”(AA.VV., 1991).
Presidente generale fu il conte Andrea Giovannelli, socio onorario dell’Ateneo veneto, coadiuvato dal geologo Lodovico Pasini, quale Segretario
generale.
Gli iscritti furono 1478, con una massiccia presenza austriaca 128 (fig. 2,3,
4); le Delegazioni 63, di cui 15 straniere.
Tra i congressisti: i poeti Aleardo Aleardi e Giovanni Prati, Enrico Tazzoli
(per la quinta volta). Fra i partecipanti stranieri: il botanico Robert Brown, il
geografo Karl Ritter, il poeta Heinrich Stieglitz, che all’arsenale combattè contro l’Austria, a fianco degli insorti veneziani, nonché il barone Karl Alexander
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Jügel, diplomatico, botanico ed esploratore, che avrebbe favorito la fuga in
Inghilterra del Metternich, e il colonnello Giovanni Marinovic, comandante
dell’Arsenale che sarebbe stato linciato l’anno successivo dalla folla inferocita.
Nella Sala del Gran Consiglio, in palazzo Ducale, onorato dalla presenza
di S.A. l’Arciduca vicerè, dai suoi familiari e dalle autorità, fu aperta l’Adunanza generale da parte del Presidente, con il tradizionale discorso di prammatica.
La Sezione Agronomia il 21 settembre si trasferì a Padova per assistere
alla festa dei fiori, preparata con sobrietà per sfatare le “spesso biasimate allegrezze de’ Congressi” (Diario n. 8 del 22 settembre), ed il giorno appresso assegnò al prof. Amilcare Mazzarella di Milano il premio istituito da Matteo
Bonafous di Torino (consistente in una medaglia d’oro da mille franchi) per
la migliore traduzione delle Georgiche di Virgilio, corredata da note agronomiche (AA.VV., 1847b).
Gli scienziati convenuti a Venezia si attivarono per far erigere una statua
a Galileo Galilei per ricordare le scoperte da lui fatte in quelle contrade ed il
lustro dato alla Università Patavina e ricevettero una guida, in 4 volumi, e
l’immancabile medaglia commemorativa, avente nel dritto il busto di Marco
Polo.
I fermenti di indipendenza ed unità non venivano più nascosti dagli studiosi accorsi da ogni parte d’Italia. Il Congresso vide la sospensione dei lavori
della Sezione Zoologia, a causa delle intemperanze di Carlo L. Bonaparte, che
arringava la folla su temi scottanti, in divisa da guardia civica romana con
tanto di elmetto e fascia tricolore. Fu espulso da Venezia dalla polizia austriaca
ed a Roma sottoposto a processo.
L’avvocato Daniele Manin partecipò a numerose sedute trattando temi
giuridici, letterari, sociali ed economici con toni esplicitamente antiasburgici.
Cesare Cantù nel discorso di chiusura della Sezione Geografia ed Archeologia
maledisse coloro che “mettono il coltello tra i cuori dei fratelli, che non cercano
se non avvicinarsi e battere all’unisono”.
La nuova politica culturale di Pio IX aveva suggerito ai congressisti di Genova di designare la dotta Bologna – Stato della Chiesa - come sede della successiva riunione. Ma il rapido evolversi delle vicende politiche nazionali, nella
primavera del 1847, sconsigliò di dar seguito alla proposta. La designazione
sostitutiva di Siena fu accettata quasi unanimamente e venne eletto a Presidente generale il conte Giovanni Pieri Pecci, già gonfaloniere della città.
Domenica 26 settembre si tenne l’ultima generale Adunanza del Congresso
“che Venezia lieta ed altera, registrerà tra le memorie gloriose della nuova sua
storia”, con grande concorso di popolo (3000 persone secondo la polizia). Ciò
costrinse a traslocare nella Sala del Gran Consiglio. All’ingresso del Vicerè si
“serbò silenzio di morte”.
Era appena chiusa l’adunanza, e il Diario n. 13 del 27 settembre stava sotto
il torchio, quando si ebbe la comunicazione ufficiale di un dispaccio, in data
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21 settembre, di S. E. il Cardinale Segretario di Stato di Sua Santità, col quale
“venne partecipato che l’ottimo e sapientissimo Sommo Pontefice aveva concesso
benignamente che la Riunione degli Scienziati Italiani si tenesse nell’anno 1849
in Roma”. La presidenza generale fu contenta di promulgare sì bella notizia,
prima che la maggior parte degli scienziati lasciasse Venezia (AA.VV., 1847b).
Per ricostruire i dibattiti delle tornate delle Riunioni, si dovette ricorrere
alle scarse cronache pubblicate sui Diari, perché il sequestro, effettuato dalla
polizia austriaca, di tutta la documentazione impedì la pubblicazione degli
Atti.
Dell’epilogo della riunione di Venezia, della sua importanza scientifica,
ma soprattutto del suo significato politico, Lorenzo Pareto, genovese, presidente della Sezione Geologia, così ebbe a scrivere nel 1853: “degli otto primi
di questi Congressi furono pubblicati gli Atti; del solo ultimo radunatosi nel
1847… non fu possibile per le vicende che afflissero Venezia dare alle stampe il
verbale… io estimo che tutto quanto fa parte degli Atti dei Congressi possa essere
documento prezioso per la storia d’Italia, sì scientifica che sociale, negli anni che
precedettero il glorioso ma sfortunato insorgere del 1848” (AA.VV., 1991).
Fig. 2 - Partecipanti ai Congressi degli Scienziati Italiani (1839-1847): 8.204. Scienziati coinvolti:
quasi 6.000, di cui 900 stranieri (Cantù, 1844; Potecchi, Sudiro, 2011).
3 - VERSO L’UNITÀ
Non è mestieri, per la necessaria concisione imposta a questo lavoro, indugiare sui moti, le battaglie, le guerre ed i discutibili plebisciti che animarono
tutta l’Italia, sino alla proclamazione del regno, il 17 marzo 1861.
Vanno ricordati, comunque, i seguenti accadimenti che ebbero come protagonisti alcuni noti congressisti.
- L’insurrezione di Venezia (22 marzo 1848 – 24 agosto 1849), con la partecipazione di Daniele Manin e Lodovico Pasini.
- La gloriosa e sfortunata giornata di Curtatone e Montanara (29 maggio
1848). Il Battaglione dei volontari pisani, al comando del Mossotti - affiancato
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In totale PARTECIPANTI: 8.204
Fig. 3 - Partecipazione, suddivisa per Stati, ai Congressi degli Scienziati Italiani (1839-1847). Fonte:
Potecchi, Sudiro 2011.
Dall’estero
in totale PARTECIPANTI: 1.012
Fig. 4 - Partecipazione dall’estero, suddivisa per Stati, ai Congressi degli Scienziati Italiani (18391847). Fonte: Potecchi, Sudiro 2011.
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da Leopoldo Pilla (che vi trovò eroica morte ed il cui corpo andò disperso),
da Giuseppe Montanelli (che fu gravemente ferito), da Carlo Matteucci e da
Raffaele Piria – lasciò sul campo un’ottantina di giovani, a molti dei quali la
morte strozzò in gola il grido prorompente di “Viva l’Italia”.
- Il Golgota di Belfiore (Mantova) che vide Enrico Tazzoli (7 dicembre
1852) e Carlo Montanari (3 marzo 1853) salire il patibolo con stoica serenità.
Anche dopo la Restaurazione del 1849, alle assisi scientifiche – stante la
loro italianità – si impedì di proseguire, perché ritenute troppo pericolose per
i governi dei vari Stati della Penisola. Si dovrà attendere la proclamazione del
regno d’Italia per vedere riuniti nuovamente, a Firenze, gli scienziati italiani.
4 - CONGRESSO STRAORDINARIO - Firenze, 30 settembre - 8 ottobre
1861
L’Italia era unita, pur senza Roma ed il Veneto, e dal 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II di Savoia-Carignano ne era il primo re.
Il marchese Cosimo Ridolfi (fig. 5), presidente dell’Accademia dei Georgofili pienamente convinto che “l’Italia quando era un aggregato di otto Stati
aveva conseguito, grazie ai Congressi scientifici, la propria unità nell’ordine intellettuale”, prese l’iniziativa di convocare a Firenze un Congresso straordinario allo scopo di riprendere, rinnovandole, le riunioni degli Scienziati. Nella
lettera di convocazione auspicava che “un sacro debito di gratitudine imponesse
(all’Italia) di rendere ai Congressi scientifici quel contraccambio di valido aiuto
che già questi gli porsero”.
Fig. 5 - Marchese Cosimo Ridolfi. Firenze 1794-1865 (Dis. F. Boggi, 1841). Fonte: Marini Bettolo,
Capasso, 1991.
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La Riunione vide 255 partecipanti che, in primis, si proposero la revisione
del Regolamento generale, che venne approvato nelle sedute del 5, 7 ed 8 ottobre. Come emerge dalla relazione del prof. Carlo Matteucci si mirava, tra
l’altro, a: “dare al Paese l’esempio di un istituto che sa conservarsi e crescere indipendentemente dall’ingerenza e dal soccorso governativo”.
Tra le modifiche organizzative: periodicità biennale delle riunioni; promozione di dimostrazioni sperimentali e di lezioni pubbliche; tassa di iscrizione
(20 lire per congressista); edizione in veste economica di Atti e Diari (Marini
Bettolo, Capasso, 1991).
Delle due Sezioni considerate, una venne dedicata alle Scienze morali e
sociali, finalmente ammesse, dopo la revoca del veto imposto nel 1839 da Leopoldo II, anche quale segno dei tempi in cui fiorivano le discussioni sull’applicazione del metodo positivo alle discipline storiche e filosofiche.
L’Italia, poi, briga al sud e
“… ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
(Inf. XII, 46,47)
il “cosiddetto” brigantaggio.
5 - X CONGRESSO - Siena, 14-28 settembre 1862
Siena, dopo quattordici anni, ebbe il suo agognato Congresso.
Il senatore Francesco Puccinotti di Urbino ne fu il Presidente generale e
il conte senatore Augusto De Gori primo Assessore.
Il 14 settembre si tenne la solenne apertura del Congresso con il discorso
del Presidente nell’aula del Palazzo Pubblico, con il celebre affresco della
Maestà di Simone Martini. Tra gli Ufficiali: il prof. Gilberto Govi, il marchese
senatore Cosimo Ridolfi, il conte Giovanni Pieri Pecci, il senatore Giovan
Battista Giorgini e il prof. Benedetto Trompeo. Tra gli stranieri: Luisa Mesnier
di Parigi.
Tra i 225 partecipanti, moltissimi da Siena e dintorni, pochi i forestieri.
Dal Regno d’Italia (meno Savoia e Nizza) 201; Mantova e Veneto 16 e Lazio
3. Praticamente assenti gli stranieri (5). Delegazioni: 39, di cui 3 straniere (Potecchi, Sudiro, 2011).
Dunque, questo Congresso ebbe un chiaro insuccesso, fatto alquanto prevedibile, essendosi dissolti con l’Unità quegl’impedimenti ad incontrarsi che
– nel contempo – ne avevano costituito stimolo potente ed irrefrenabile a
farlo.
I lavori della decima Riunione, stante il nuovo Regolamento, si tennero su
due Sezioni (Scienze fisiche, matematiche e naturali e Scienze morali e sociali)
ordinate in Classi. La prima su sette: Fisica e Matematica; Chimica e Farmaceutica; Botanica; Zoologia, Anatomia comparata e Fisiologia; Medicina; Chirurgia; Agronomia e Veterinaria. La seconda su cinque: Archeologia e Storia;
Filologia e Linguistica; Economia politica e Statistica; Filosofia e Legislazione;
Pedagogia.
Ligi all’indirizzo dato dalle nuove regole, non ci si perse in svaghi ed in
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trastulli salottieri. Immancabile comunque una nuova guida di Siena e l’inaugurazione di un monumento, nell’aula dell’Accademia dei Fisiocritici, al sac.
Sallustio Bandini, agricoltore e letterato, gloria senese (AA.VV., 1864).
Inutile dire che tutto era cambiato e la delusione serpeggiò evidente.
Si fecero voti affinché lo Stato unitario si impegnasse per cambiare le sorti
della scienza italiana, che soffriva da lungo tempo per la carenza cronica di
strutture ed investimenti, sistematicamente denunciata dagli addetti ai lavori
durante tutti i Congressi.
“… nell’affrontare il problema, però, la nuova Italia non aveva più dalla sua
né gli entusiasmi risorgimentali, né la forza di quell’idea illuministica di una
scienza educatrice e civilizzatrice dell’umanità, che con la Rivoluzione francese
si era intrisa di stimoli politici e sociali e che, mirando alla creazione di una comunità scientifica internazionale, era stata la linfa vitale delle Riunioni naturalistiche”.
Al termine dei lavori del Congresso, Roma venne designata per acclamazione a sede dell’XI Riunione del 1864, con Presidente generale lo scrittore
Terenzio Mamiani della Rovere.
Il prof. Giovanni Campani, Segretario generale della Sezione delle Scienze
fisiche, matematiche e naturali, nel rapporto di chiusura dei lavori ebbe a dire:
“non è mestieri dire le cagioni di sì lungo indugio, rileverò che se il lungo
attendere è stato penoso per la città che ardente anelava fruire quell’onore già
concesso, e per gli scienziati che forte sentivano il bisogno di quel commercio
intellettuale a cui da qualche tempo erano abituati, ne è derivato però largo un
compenso nell’acquisto di quella libertà, che è pur tanto confacente alla piena
estrinsecazione dell’umano pensiero”.
Il Presidente Puccinotti, concludendo i lavori, asserì che: “la Politica
avrebbe sempre mantenuto la sua importanza nei Congressi, potendosi negli attuali trattare palesemente, il che non fu nei passati, avvisando però che fosse
trattata generalmente e scientificamente, ne giammai perdendo di mira di ottemperare a quell’ordinamento che la Nazione ha di già prescelto” (AA.VV.,
1864).
6 - NOTE CONCLUSIVE
Per quanto concerne la pubblicistica ufficiale (Atti e Diari), i rendiconti
editi non lasciano trapelare gran ché dei complessi rapporti che agitarono i
Congressi italiani prima e dopo l’Unità. Dicono poco sull’organizzazione, sui
retroscena, sui momenti di socialità. Gli interventi sono riferiti in modo laconico che nulla restituisce della concitazione dei momenti nevralgici.
Assai più feconda è risultata l’analisi dei materiali inediti conservati presso
il Museo di Fisica e Storia Naturale di Firenze.
È emerso che molti degli snodi determinanti avvennero nel retroscena, nei
foglietti vergati in fretta, tessere invalidate, registri che si aggiornavano in
tempo reale e che sarebbero confluiti, non senza lacune, negli elenchi a
stampa. Le schede di iscrizione ed i registri degli “amatori”, sono utilissimi
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I CONGRESSI DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PRIMA DELL’UNITÀ
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per affinare le statistiche e le modellazioni, ma anche per cogliere i tanti significati attribuiti al termine “scienziati” nell’Italia del primo Ottocento (Casalena, 2007).
La dilatazione delle varie problematiche indusse crescenti difficoltà e squilibri, contribuendo a far precipitare in una crisi irreversibile la formula “itinerante”. Questa coincise con gli eventi del 1848-49 e collocò, in taluni casi,
su fronti opposti i partecipanti ai congressi precedenti. Degli anni pre-quarantottotteschi restò soltanto la nostalgia, che prese corpo negli altri tre Congressi post-unitari, divenuti ormai eventi “nazionali” di natura profondamente
diversa: a Siena nel 1862, ma ancora più a Roma nel 1873 ed a Palermo nel
1875.
Evidente, in queste nuove iniziative, la ricerca – ancora prematura – di un
centro culturale, politico e scientifico coincidente con la capitale del nuovo
regno unitario. Furono le istituzioni stesse che, pur con molte contraddizioni,
all’indomani dell’Unità regolarono la vita scientifica italiana fino alla nascita,
nel 1907, a Parma, della Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS).
Riguardando nel loro insieme i Congressi scientifici, si può affermare che
la scienza ne ha tratto indubbio vantaggio, anche se talvolta la politica vi ebbe
il sopravvento nelle discussioni; gli Atti di ognuno di essi stanno a dimostrare
con quanto acume si promossero preziose indagini in tutti i campi della
scienza e quanta fu l’opera di educazione e d’innalzamento morale e materiale
degli Italiani.
La storiografia ha forse attribuito ai Congressi un peso eccessivo nella formazione della coscienza nazionale, anche se è innegabile che l’insieme dei
contatti avrebbe avuto un seguito negli aneliti di libertà e nelle tensioni che si
sarebbero aperte di lì a poco, ed ancor oggi se ne intravvede un valore più
storico che politico.
***
Da ultimo, con in mano un ipotetico “filo d’Arianna”, per meglio sortire
dalle labirintiche vicende, in cui si intrecciano cronaca dei Congressi e storia
degli Stati italiani pre-unitari, si volga uno sguardo a tutti quelli che le hanno
animate: scienziati, amatori, curiosi ed altri. E sono, in vero, molti.
Orbene, facendo un volo un poco poetico, si vorrebbe vederli qui, tutti
intorno, come fossero piccole luci. E sono tante, tante
Quante il villan ch’al poggio si riposa,
[…]
come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giù per la vallea,
forse colà dov’e’ vendemmia ed ara. (Inf. XXVI, 25, 28-30)
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256
SANDRO POTECCHI
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L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE
NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE PRIME
ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO
MEMORIA DI
PAOLO GAY*
presentata all’Adunanza del 14 dicembre 2011
RIASSUNTO:
L’innovazione, sia di prodotto sia di processo, è un aspetto che ogni azienda deve affrontare
oggigiorno in maniera quotidiana e permanente. Tra gli obiettivi dell’innovazione ricordiamo innanzi tutto lo sviluppo e la messa a punto di nuovi prodotti mirati e studiati per inseguire e aggredire il mercato che è in continua evoluzione. Allo stesso modo l’innovazione contribuisce ad
ottimizzare la produzione, aspetto questo che può essere declinato nella riduzione dei costi e
degli scarti, nell’incremento dell’efficienza energetica, nell’adeguamento a nuovi standard, normative e certificazioni. Queste attività assorbono una parte considerevole delle risorse dell’azienda
e spesso sono condotte in collaborazione con partner esterni, tra i quali Università ed enti di ricerca. L’analisi di un preciso caso di studio, legato al mondo della produzione del cioccolato, è
intesa ad approfondire quali possano essere gli interventi e i legami tra la ricerca nei settori della
scienza e dell’ingegneria e il mondo produttivo.
Summary:The importance of the innovation in the food processing of raw materials: a case study on
chocolate
Innovation, concerning both products and processes, is something that every company faces
today daily. Among the objectives of innovation includes first of all the development of new products targeted and designed to lead the market, which is changing. Similarly innovation helps to
optimize the production processes, aspect that can be declined in reducing costs and waste, in
increasing energy efficiency, in adopting new standards, regulations and certifications. These activities account for a considerable proportion of company resources and are often carried out in
collaboration with external partners, such as universities and research institutions. The aim of
this paper is to explore, through the analysis of a specific case study, related to the production of
chocolate, which are the links between research, in the field of science and engineering, and the
working world.
1 - INTRODUZIONE
L’innovazione è un processo imprescindibile e necessario per affrontare
le nuove sfide che il mercato propone. L’innovazione, riguardante sia il prodotto che i processi di produzione, è un aspetto che oggigiorno ogni azienda
*
Dipartimento di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari, Università di Torino.
E-mail: [email protected]
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PAOLO GAY
deve affrontare in maniera rigorosa, dedicandovi una parte non trascurabile
delle proprie risorse. Tra gli obiettivi dell’innovazione ricordiamo innanzi tutto
lo sviluppo e la messa a punto di nuovi prodotti in grado di adattarsi alle esigenze di un mercato in continua e rapida evoluzione, ma anche la capacità di
produrre meglio, limitando il consumo di energia e l’impatto ambientale generale. Questo non può che portare ad una riduzione degli scarti e dei costi
di produzione, ed alla possibilità di adeguarsi a nuovi standard, normative e
certificazioni.
Lo sviluppo di percorsi d’innovazione richiede competenze che non sempre sono disponibili all’interno dell’azienda. Per questo motivo, grazie anche
ad una serie di interventi da parte delle Regioni e della Comunità Europea,
negli ultimi anni è cresciuto il numero delle collaborazioni che vedono coinvolte aziende, talvolta sinergicamente riunite in gruppi, secondo precisi accordi, ed enti di ricerca.
L’analisi di un preciso caso di studio legato al mondo della produzione del
cioccolato consente di fornire alcuni spunti su quali possano essere gli approcci e le linee di tendenza attuali dei processi d’innovazione e quali i possibili collegamenti tra la ricerca scientifica ed applicata e il mondo produttivo.
2 - L’INNOVAZIONE NELL’INDUSTRIA ALIMENTARE
Le modalità e gli ambiti secondo cui il concetto di innovazione si sviluppa
compiutamente sono ovviamente specifici di ogni settore produttivo. Tuttavia
è possibile riconoscere e definire alcuni contesti generali, all’interno dei quali
è possibile ascrivere la maggior parte delle esperienze che oggigiorno si registrano nell’ambito della ricerca applicata in questo settore. La descrizione
non ha la pretesa di essere esaustiva, ma, al contrario, quella di fornire uno
specifico punto di vista.
2.1 - Innovazione di prodotto
In questo caso la ricerca può investire sia le materie prime, per quel che
concerne la selezione e l’approvvigionamento, sia la progettazione di nuovi
prodotti e ricette. Il primo punto riguarda l’individuazione delle materie
prime e dei semilavorati ottimali ai fini della qualità e delle proprietà del prodotto finale che si vuole ottenere.
Occorre innanzi tutto determinare quali parametri (chimici, fisici, tecnologici, economici, ecc.) occorra valutare e privilegiare nella scelta della materia
prima. In seconda istanza occorre definire delle procedure e dei protocolli
per la valutazione oggettiva e ripetibile, possibilmente rapida, di questi parametri. In taluni casi è possibile rifarsi a procedure già note, specificando, eventualmente, limiti di riferimento, mentre in altri casi, proprio perché il
parametro interessato è di nuova concezione o applicazione, occorre definire,
sviluppare e validare metodi ex-novo.
Analogamente, lo studio di nuovi prodotti ha come obbiettivo l’otteni-
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L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE
PRIME ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO
261
mento di precisi requisiti dal punto di vista, ad esempio, della destinazione
commerciale, della qualità percepita, delle richieste di conservazione, della
durata della shelf-life e delle proprietà nutrizionali, tenendo conto delle esigenze di produzione dell’azienda, quali, ad esempio, i macchinari e le tecnologie disponibili, l’accessibilità ed il prezzo delle materie prime. Talvolta le
nuove ricette sviluppate possono prevedere l’utilizzo di ingredienti e semilavorati che, interagendo selettivamente con una o più funzioni fisiologiche
dell’organismo, portino ad effetti positivi sul mantenimento della salute e/o
la prevenzione delle malattie (functional foods).
In altri casi la ricerca di nuove ricette, magari attraverso la sostituzione o
l’eliminazione di particolari ingredienti, nasce dall’esigenza di raggiungere
gruppi specifici di consumatori affetti da intolleranze alimentari, o appartenenti a gruppi religiosi (ad esempio i prodotti destinati al conseguimento delle
certificazioni kosher, per gli ebrei, e halal, per i musulmani) o, più semplicemente, particolarmente attenti agli aspetti salutistici e nutrizionali del prodotto. L’esportazione verso Paesi stranieri inoltre porta spesso le aziende a
rivedere uno o più aspetti della composizione e del ciclo di produzione per
ottemperare a quanto richiesto nei disciplinari imposti dai Paesi di destinazione.
2.2 - Innovazione di processo
In questo contesto rientrano tutti gli interventi che riguardano l’introduzione
di nuovi processi e fasi di trasformazione così come il loro miglioramento e l’ottimizzazione. Questi possono coinvolgere la struttura ed il dimensionamento
degli impianti, così come la definizione delle loro condizioni e modalità operative. Questo settore, per quel che concerne lo sviluppo di nuovi apparati, è
molto vivace e foriero di brevetti poiché costituisce il campo sul quale si confrontano e competono i costruttori di macchine e impianti.
2.3 - Ottimizzazione energetica e ambiente
Recentemente molte aziende hanno investito in ricerca per limitare l’impatto ambientale dei propri processi produttivi, con evidenti ritorni sia dal
punto di vista economico che dell’immagine e del marketing. La ricerca in
questo ambito riguarda la riduzione sia dei consumi energetici che delle emissioni, ma anche il riutilizzo dei sottoprodotti e degli eventuali scarti di produzione, attraverso la costituzione di nuove filiere “allargate” in grado di
gestire e valorizzare tutta la massa uscente (prodotti, sottoprodotti e scarti)
dal processo di produzione.
Per la riduzione dei consumi energetici si può prevedere l’introduzione di
nuovi generatori (vapore ed acqua calda) e gruppi refrigeranti ad elevata efficienza, l’adozione di nuovi materiali per la coibentazione di celle e tubazioni,
ma anche una più attenta armonizzazione delle utenze e dei generatori di energia termica.
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PAOLO GAY
Se è noto che l’industria alimentare richiede generalmente un’elevata
quantità di energia termica per la conduzione dei processi e per la pulizia e la
sanitizzazione, è altresì vero che grazie al recupero del calore sviluppato dalle
pompe di calore dei gruppi di refrigerazione delle celle, al recupero del surplus di vapore generato in caldaia, all’introduzione di pannelli solari termici
sui tetti dello stabilimento, è possibile attuare delle politiche di razionalizzazione che, attraverso la costituzione di un serbatoio centrale di accumulo e
scambio dell’energia termica, ottimizzino le prestazioni generali degli impianti.
2.4 - Tracciabilità e monitoraggio in produzione
In questo ambito, lo sviluppo e la messa a punto di nuove tecnologie per
l’identificazione automatica dei prodotti, il monitoraggio ed il controllo in
tempo reale dei processi e delle fasi di distribuzione portano ad estendere il
concetto tradizionale di tracciabilità, fornendo nuovi servizi, informazioni e
garanzie sia al produttore che al consumatore (Saltini et al., 2013). Queste ricerche coinvolgono necessariamente più discipline e competenze, che spaziano dalla conoscenza dei cicli di processo alle tecnologie ICT.
Un argomento di ricerca molto attuale in questo ambito riguarda la gestione di un’eventuale emergenza e le tecniche per ridurre l’incidenza sull’economia e sull’immagine dell’azienda di un eventuale richiamo (Dupuy et al.,
2005; Dabbene, Gay, 2011). La gestione di lotti molto grandi di materie prime
e/o prodotti finiti, sebbene non comprometta la validità del sistema di tracciabilità aziendale, può provocare, nel malaugurato caso di richiamo di prodotto, la necessità di ritirarne ingenti quantità (Saltini, Akkerman, 2012).
Definiti questi ambiti d’intervento, occorre discutere come e in quale ruolo
le istituzioni della ricerca (Università, enti di ricerca, ecc.) si interfaccino con
il mondo produttivo. Nella maggior parte dei casi il processo di innovazione
coinvolge necessariamente più attori. Comunemente è richiesta una stretta
interazione con la/le aziende che sviluppano e realizzano gli impianti in stabilimento, poiché una modifica del ciclo di produzione prevede tipicamente
un intervento sulle macchine.
Queste aziende, a loro volta, intrattengono rapporti di collaborazione
stretta e consolidata con enti di ricerca a loro vicini, soprattutto per quel che
attiene alle fasi di sviluppo e di progetto delle macchine e delle tecnologie
adottate. In taluni casi è necessario coinvolgere anche i fornitori delle materie
prime e dei semilavorati, poiché il processo d’innovazione può non riguardare
solo un anello della filiera, ma deve abbracciare più ambiti contemporaneamente.
In questo quadro, gli enti di ricerca, essendo svincolati da aspetti di natura
commerciale, a differenza, ad esempio, dei fornitori di tecnologie ed impianti,
si trovano spesso ad assumere un ruolo di terza parte, su mandato dell’azienda
che vuole, in questa maniera, avvalersi di un monitoraggio esperto e disinteressato dell’evoluzione del progetto d’innovazione in corso. L’ente di ricerca,
inoltre, per proprio vantaggio ha il poter sperimentare in un contesto reale
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L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE
PRIME ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO
263
ciò che normalmente ha studiato e validato in laboratorio o su piccoli impianti
pilota.
3 - L’INNOVAZIONE NEL SETTORE DEL CIOCCOLATO
Il settore della produzione del cioccolato vede applicati, con diverse e leggere sfumature, declinazioni ed eccezioni, tutti gli ambiti di ricerca prima descritti.
Il diagramma di flusso relativo alla produzione della massa di cacao è abbastanza standard e codificato e prevede normalmente (fig. 1) le fasi di pulitura delle fave di cacao, tostatura, frantumazione, pre-macinazione e
raffinazione (Beckett, 2011). A queste possono seguire altre specifiche operazioni, a seconda della destinazione del semilavorato (polvere di cacao, cioccolato ecc.).
Fig. 1- Diagramma di flusso per la produzione della massa di cacao.
Questo caso di studio nasce dall’analisi del progetto e della realizzazione
degli impianti presenti nel nuovo reparto di pulitura, tostatura e debatterizzazione delle fave di cacao dell’azienda Guido Gobino.
L’innovazione dal punto di vista delle macchine e degli impianti riguarda
sostanzialmente il miglioramento delle prestazioni ottenute in ciascuna delle
fasi descritte e/o l’introduzione di nuove operazioni all’interno del diagramma
di flusso.
Nel primo ambito, la fase più studiata, in quanto prima responsabile delle
proprietà sensoriali del prodotto, è la tostatura. Qui l’argomento di ricerca è
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PAOLO GAY
il principio di funzionamento delle macchine preposte e tutti quegli accorgimenti che possono migliorarne le prestazioni. L’obiettivo è di ottenere impianti che, con grande ripetibilità e costanza di risultato - fronteggiando anche
l’elevata variabilità di temperatura e umidità ambiente dettata dalle stagioni
(Krysiak, Motyl-Patelska, 2006) - consentano di migliorare la composizione
aromatica delle fave attraverso un riscaldamento ed un’agitazione del prodotto
ottimali e controllati. L’automazione ed il controllo dei principali parametri
di processo consente di individuare e memorizzare impostazioni operative
personalizzate stabilite sulla base delle caratteristiche specifiche della materia
prima.
Tra gli impianti più avanzati è stato scelto il tostino verticale realizzato e
brevettato dall’azienda Buhler in collaborazione con l’Università di Zurigo,
che struttura il processo in due fasi. Questo sistema prevede infatti due stazioni: il prodotto viene caricato in una prima camera a temperatura ambiente
ove avviene la fase di riscaldamento per 10-15 minuti dai 110 ai 145 °C a seconda della tipologia di prodotto da lavorare. Il riscaldamento avviene in
modo omogeneo ed uniforme grazie ad un particolare braccio rotante posto
all’interno della camera che diffonde uniformemente l’aria calda producendo
una lieve movimentazione del prodotto senza introdurre stress meccanico alle
fave. Trascorso il tempo di tostatura prescelto in base al prodotto da trattare,
il prodotto è spostato nella seconda zona, di raffreddamento, all’interno della
quale è insufflata aria fredda al fine di raffreddare il prodotto sino alla temperatura di 40 °C circa.
Rispetto ai sistemi tradizionali, questo metodo di tostatura presenta diversi
vantaggi tra cui l’omogeneità del trattamento, la migliore stabilità ossidativa
dei composti, la maggior ricchezza della composizione aromatica, il prolungamento della shelf-life e la facilità di controllo del processo. L’automazione
della macchina consente, tra l’altro, di impostare la configurazione della stessa
e del ciclo termico in funzione delle caratteristiche della materia prima. Il controllo attivo di questi parametri, che possono essere memorizzati, garantisce
un’elevata ripetibilità rispetto ad operazioni svolte in giorni o stagioni diverse.
Un altro esempio d’innovazione di processo che prevede, invece, l’inserimento di una nuova operazione nel diagramma di flusso è quello che alcune
aziende stanno attualmente adottando per ottemperare ai disciplinari per
l’esportazione verso Paesi come Stati Uniti e Giappone e che riguarda la debatterizzazione delle fave di cacao. La debatterizzazione mira ad abbattere
drasticamente la carica batterica delle fave di cacao. In taluni casi si è cercato
di forzare, innalzando temperatura e/o prolungando il trattamento, il processo
di tostatura al fine di garantire contemporaneamente anche un soddisfacente
effetto di riduzione microbica, ma il rischio è il compromettere la qualità delle
fave (Stobinska et al., 2006; da Silva do Nascimento et al., 2012). Vi sono diverse soluzioni in fase di studio e di applicazione, che prevedono l’attuazione
di questa fase immediatamente prima o dopo la tostatura.
La debatterizzazione è normalmente condotta utilizzando del vapore ad
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L’IMPORTANZA DELL’INNOVAZIONE NELLA TRASFORMAZIONE DELLE MATERIE
PRIME ALIMENTARI: UN CASO DI STUDIO SUL CIOCCOLATO
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una pressione superiore ai 600 kPa, tipicamente in modalità batch, all’interno
di una camera separata in grado di contenere le fave in uscita/ingresso dal tostino. In alcuni casi sono proposti tostini in grado di svolgere la funzione di
debatterizzazione, sempre mediante vapore, all’interno della stessa camera di
tostatura. Qualunque sia la soluzione adottata occorre garantire la fornitura
di un elevato quantitativo di vapore in pochi secondi al fine di saturare la camera di debatterizzazione. Questa richiesta, da soddisfare in tempi molto
brevi, supera tipicamente la disponibilità di vapore garantita dal generatore
di stabilimento. A questo scopo è stato necessario ricorrere a delle strutture
di accumulo temporaneo, strutturate come serbatoi, in grado di fare fronte a
questi picchi di domanda.
Questi serbatoi, colmi di una miscela satura acqua-vapore, operano rilasciando il vapore che viene a generarsi istantaneamente al momento della richiesta e, più precisamente, in conseguenza del repentino calo della pressione
che viene ad instaurarsi al loro interno (generazione in flash steaming). Trattandosi di una tecnologia di nuova applicazione, si è riscontrata la mancanza
in letteratura di metodi per il progetto ed il dimensionamento dei serbatoi
operanti in queste condizioni. Per fare fronte a questa necessità si è condotta
una ricerca - qui citata come esempio di stretta interazione tra ricerca scientifica e applicazione dell’ingegneria degli impianti - che ha portato, come risultato, alla definizione del modello descrittivo ed al calcolo dell’andamento
della pressione in un sistema bifasico di questa natura, attraverso la soluzione
di un sistema misto di equazioni differenziali ed algebriche (Fabrizio et al.,
2011).
Attraverso la simulazione di ripetuti cicli di carico e scarico dell’accumulatore, questo metodo consente di giungere quindi a un appropriato dimensionamento dell’accumulatore stesso, senza ricorrere ad un suo eccessivo
sovra-dimensionamento che, sebbene in grado di soddisfare le specifiche del
debatterizzatore, richiederebbe tempi prolungati per il raggiungimento della
pressione di esercizio (e quindi per l’utilizzo dell’impianto) e porterebbe ad
una bassa efficienza energetica.
4 - CONCLUSIONI
L’innovazione è un compito al quale tutte le aziende, e in particolare quelle
del settore alimentare, sono chiamate per poter mantenere e rafforzare la propria posizione sul mercato. Gli enti di ricerca hanno assunto e assumeranno
sempre più un ruolo preciso e determinante nell’affiancare le aziende in questa
operazione, trovando applicazione ai propri studi ed alle proprie ricerche,
rafforzando la competitività delle aziende.
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266
PAOLO GAY
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COMMEMORAZIONE
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Prof. Attilio Bosticco
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IN RICORDO DELL’ACCADEMICO E PROFESSORE
EMERITO ATTILIO BOSTICCO
IVO ZOCCARATO*
Commemorazione tenuta in occasione dell’Adunanza del 28 gennaio 2011
È per me un grande onore ricordare ai Soci dell’Accademia di Agricoltura
la figura del prof. Attilio Bosticco.
Il 27 luglio 2010, all’età di 86 anni, si è spento ad Anagni, dove si trovava
per una breve vacanza, il prof. Attilio Bosticco. Primogenito di Mario, agricoltore, e di Giuseppina Fornaca, nasce a San Luigi frazione di San Damiano
d’Asti il 12 novembre 1923. Compiuti gli studi elementari e di avviamento nel
paese natio, consegue la maturità scientifica presso il Liceo Vittorio Veneto,
a Milano, nel 1941. Nel 1946, subito dopo avere conseguito con il massimo
dei voti la laurea in Scienze Agrarie, inizia la propria attività all’Università
degli Studi di Torino in qualità di Assistente volontario presso l’Istituto di
Zootecnica Generale della Facoltà di Medicina Veterinaria. Dopo essersi laureato con il massimo dei voti e dignità di stampa anche in Medicina Veterinaria
(nel 1949), diviene Assistente incaricato (1950) e percorre rapidamente la carriera accademica: a seguito di concorso, l’anno successivo è Assistente di
ruolo, incaricato, presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino, dell’insegnamento di Avicoltura e Coniglicoltura per l’a.a. 1950-51 e di Zootecnica
Speciale per i successivi a.a. 1951-52, 1952-53 e 1953-54. Nel 1953 partecipa
al concorso per la Cattedra di Zootecnica dell’Università di Bari e gli viene
riconosciuta, all’unanimità, la maturità scientifica. Nel 1954 gli viene conferita
la Libera Docenza in Zootecnica Generale e nel 1955 in Igiene Zootecnica.
Nello stesso anno, a seguito di concorso, è ternato alla cattedra di Zootecnica
Generale dell’Università di Camerino e quindi nominato Professore straordinario di Zootecnica Generale presso la Facoltà di Medicina Veterinaria
dell’Università di Parma (1955/56) e ordinario il 1 dicembre 1958. Tra il 1958
ed il 1961 è eletto nel Consiglio di Amministrazione dell’Università di Parma.
Nel 1961 è chiamato dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino
alla cattedra di Zootecnica Generale ed alla direzione, mantenuta ininterrottamente per un trentennio, dell’omonimo Istituto. Nell’autunno del 1969 la
predetta Facoltà lo elegge Preside, mandato che gli viene rinnovato per tre
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E-mail: [email protected]
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IVO ZOCCARATO
volte consecutive. In qualità di Preside si adoperò – attivandosi in più sedi ed
in svariate circostanze – per far sì che alla Facoltà di Agraria di Torino venissero assegnate risorse finanziarie ed operative per un sempre più moderno
funzionamento didattico e di ricerca: basti ricordare il Corso di Laurea in
Scienze Forestali attivato nel 1979, l’impegno profuso per l’ottenimento di
una più ampia sistemazione edilizia per la Facoltà, conclusosi con l’insediamento a Grugliasco e la costruzione del Centro Sperimentale di Carmagnola
all’inizio degli anni ’80. Visse, in qualità di preside, gli anni immediatamente
successivi al sessantotto: la prima occupazione della Facoltà avvenne nel gennaio del ’70 e con essa le prime aperture del corpo docente. Nonostante le
posizioni divergenti con gli studenti, il prof. Bosticco ha sempre ricordato
quei momenti in modo molto positivo; raccontava spesso delle assemblee in
cui si discuteva animatamente, ma sempre con grande serietà, dei problemi
della didattica e della Facoltà.
Dal 1° gennaio 1991 fino al 31 dicembre 1993 è direttore del Dipartimento
di Scienze Zootecniche; dal 1° novembre 1994 a sua domanda viene collocato
in posizione di fuori ruolo e dal 1° novembre 1997 è posto in quiescenza; nel
1998 gli è stato conferito il titolo di Professore Emerito.
Nel 1981 era stato eletto a rappresentare il comparto zootecnico nel Comitato Nazionale di Consulenza per le Scienze Agrarie del CNR, di cui copre
anche l’ufficio di vice-presidente; nel 1988 viene riconfermato nel medesimo
Comitato, del quale assume anche la Presidenza per conservarla fino a conclusione del mandato nel 1994. Sempre nel CNR dal 1999 al 2004 è stato
membro del Comitato di Consulenza Scientifica.
Il Prof. Bosticco, durante la sua permanenza al CNR prima come Vice
Presidente e poi come Presidente del Comitato per le Scienze Agrarie, ha coordinato tra l’altro le ricerche del Progetto Speciale “Nuovi orientamenti dei
consumi e delle produzioni alimentari” e curato la pubblicazione di un complesso di monografie di rilevante interesse scientifico; ha inoltre presieduto
le Commissioni incaricate dello studio di prefattibilità e di fattibilità dei Progetti Finalizzati “Ricerca avanzata per l’innovazione nel sistema agricolo
(RAISA)” e “Alimenti e salute (ALESA)”.
Inoltre è stato membro del Consiglio Superiore del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste e del Consiglio Nazionale per la Scienza e la Tecnologia,
Socio fondatore e vice presidente dell’Associazione Scientifica di Produzione
Animale per due quadrienni; Socio della Società Italiana delle Scienze Veterinarie, della Società Italiana di Genetica Agraria, Socio Emerito dell’Accademia di Agricoltura di Torino e dell’Accademia Economico-agraria dei
Georgofili di Firenze, Socio dell’Accademia delle Scienze di Torino ed Academico extranjero della Real Academia de Ciencias Veterinarias di Madrid;
membro di importanti sodalizi esteri (British Society of Animal Production,
British Society of Analytical Chemistry, Biometric Society, Society of Green
Vegetation Research).
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IN RICORDO DELL’ACCADEMICO E PROFESSORE.
EMERITO ATTILIO BOSTICCO
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È stato Socio fondatore e primo presidente dell’Associazione Italiana Assaggiatori di Carne (AIAC), presidente del Consiglio di Amministrazione del
Consorzio Vezzani, presidente del Comitato tecnico-scientifico per il Lupo
Italiano, membro della Commissione tecnico-scientifica della Razza Bovina
Piemontese.
A metà degli anni ’90 è stato nominato Professore honoris causa dell’Accademia Cinese per le Scienze Agrarie di Pechino ed insignito dal Ministero
dell’Agricoltura Cinese dello speciale Premio (Diploma con medaglia) destinato agli Scienziati stranieri che hanno contribuito al progresso dell’agricoltura cinese, nonché della cittadinanza onoraria della città di Nanyang
(Provincia dell’Henan). Ancora nel 2007 l’Istituto di Scienze Animali della
CAAS di Pechino - in occasione del cinquantennale della fondazione - gli conferiva il premio per la cooperazione internazionale. Infine il riconoscimento
di Sandamianese doc conferitogli dal suo paese natale, riconoscimento quest’ultimo di cui andava particolarmente orgoglioso.
In Italia è stato anche insignito della “medaglia d’oro dei benemeriti della
Scuola, della Cultura e dell’Arte” e della “Commenda al merito della Repubblica Italiana”; infine gli è stato attribuito il Premio Internazionale per la Zootecnia “Uovo d’Oro” ed il “Premio Marcora” a riconoscimento della cospicua
attività di ricercatore e di docente.
Fin qui il ricco cursus honorum del prof. Bosticco, ma di questo egli non
si vantava. Preferiva parlare delle sue ricerche e si sentiva particolarmente
grato alla Provvidenza che gli aveva offerto l’opportunità di dedicarsi, per
oltre 60 anni, alla ricerca e alla didattica nel campo della zootecnica.
Conseguita la laurea in Agraria, aveva cominciato come assistente volontario presso l’Istituto di Zootecnica Generale della Facoltà di Medicina Veterinaria, diretto dal prof. Prospero Masoero, e, nello stesso tempo, fu anche
assistente alla Cattedra di Patologia Vegetale nonché incaricato dell’insegnamento di Scienze e Geografia presso l’Istituto Tecnico Agrario di Alba, fino
all’inizio del 1950. Conservò sempre un ottimo ricordo e profonda stima nei
riguardi dell’Istituto albese. Forse il suo interesse per il mondo della vite e del
vino fu alimentato proprio dal periodo di insegnamento in quella che era
stata un tempo una delle prime Scuole Enologiche, oltre che dalle sue origini
fra i vigneti astigiani. Come Preside della Facoltà di Torino si adoperò infatti
con efficacia perché il Corso di Specializzazione in Viticoltura ed Enologia
fosse nuovamente attivato con delibera del Consiglio di Facoltà da lui presieduto il 12 luglio 1976.
Nel 1951 vinse una borsa di studio del Consiglio Nazionale delle Ricerche
che gli consentì di approfondire i rapporti tra genotipo e fattori ambientali
per quanto riguardava la produzione quanti-qualitativa del latte e nel contempo gli consentì di compiere un viaggio di studio durante il quale ebbe
modo di visitare alcuni tra i più importanti centri di ricerca in Austria ed in
Germania. In quel periodo si dedicò anche ad un’intensa attività pratico-di-
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IVO ZOCCARATO
vulgativa partecipando sia come discente sia come docente ai numerosi corsi
di aggiornamento, sulla tecnica della fecondazione artificiale, sulla sterilità
bovina e sull’alimentazione del bestiame, che l’Associazione Nazionale Veterinari Italiani (ANVI) promuoveva, un po’ ovunque, nel secondo dopoguerra.
Il contatto con il mondo operativo, complici anche le sue origini contadine,
fu un tratto distintivo della sua lunga attività che non lo lasciò mai, anche
quando si trovò ad occupare importanti ruoli istituzionali.
Altrettanto importante per la sua formazione scientifica fu la partecipazione al corso di Metodologia Biometrica tenutosi nel settembre del 1955 a
Varenna. Fu quella l’occasione, mai dimenticata, in cui si stabilirono forti legami, anche di amicizia, con altri “padri” della moderna zootecnica italiana
come i professori Rognoni, Curto, Dassat, sia con eminenti studiosi come sir
Ronald Fisher e Luigi Cavalli Sforza. Da quel corso gli derivò un solido rigore
metodologico che risultò sempre presente in tutti i suoi lavori.
Il professor Bosticco ha svolto un’intensa attività di ricerca toccando molti
ed importanti aspetti della zootecnica; è autore, personalmente o in collaborazione, di oltre 260 pubblicazioni scientifiche che riferiscono i risultati ottenuti dalle indagini in tema di alimentazione, di igiene zootecnica, di genetica
applicata, di produzione e qualità della carne.
Il maggior numero di lavori riguarda problemi scientifici e tecnico-pratici
concernenti l’alimentazione degli animali in produzione zootecnica, l’igiene
dell’allevamento, l’utilizzazione dei sottoprodotti nell’alimentazione del bestiame, nonché l’economia delle produzioni zootecniche. Degni di particolare
considerazione sono i lavori sul ruolo dei minerali e soprattutto degli oligoelementi nella nutrizione degli animali allevati ed in particolare nei riguardi dei
foraggi prodotti in importanti comprensori di allevamenti italiani e l’individuazione della causa predisponente l’insorgenza della cosiddetta “zoppina”
nelle bovine da latte, dovuta alla carenza di zinco. In anni più recenti si è dedicato soprattutto ai problemi relativi alla produzione della carne bovina ed
alla valorizzazione della razza bovina Piemontese in Italia e nel Mondo. Già
nel 1971, su incarico del Ministero degli Affari Esteri, partecipò ad una missione tecnica al termine della quale presentò un proprio piano per lo sviluppo
zootecnico di due importanti province ecuadoregne.
In particolare, negli ultimi 25 anni la sua attenzione si è concentrata sull’introduzione della razza bovina Piemontese in Cina, operazione che si è concretizzata grazie ad un intenso lavoro svolto in collaborazione con
l’Accademia Cinese per le Scienze Agrarie, l’ANABORAPI, il CNR ed il Dipartimento di Scienze Zootecniche. Il lavoro ha riguardato non soltanto l’inserimento della razza nell’ambito degli allevamenti di 13 Province cinesi, ma
soprattutto il motivo di fondo relativo all’introduzione della razza, vale a dire
il miglioramento qualitativo della produzione della carne bovina in Cina. I
risultati ottenuti sono stati ampiamente riconosciuti dalle Autorità Accademiche e Politiche cinesi che hanno voluto conferire al Prof. Bosticco i riconoscimenti a cui si è accennato poc’anzi.
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IN RICORDO DELL’ACCADEMICO E PROFESSORE.
EMERITO ATTILIO BOSTICCO
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I problemi legati alla qualità della carne bovina hanno richiamato molto
l’interesse del Prof. Bosticco tanto da favorire la formazione di un gruppo di
allievi che ancora oggi svolgono attività di laboratorio e di campo non soltanto
in riferimento alla razza Piemontese, ma anche ad altri gruppi etnici, con la
dovuta attenzione ai numerosi fattori che, nei vari comprensori di allevamento, condizionano quanti-qualitativamente la produzione della carne. A
tal riguardo si può ritenere il prof. Bosticco un vero pioniere che, tra i primi
in Italia, seppe cogliere l’importanza dei problemi connessi al consumo e sostenere la necessità delle analisi sensoriali al fine di poter fornire al consumatore il maggior numero possibile di informazioni.
Il contributo del prof. Bosticco tuttavia non si è limitato ai grandi temi
della zootecnica; la sua grande curiosità scientifica, unita ad un senso pratico
non comune, lo portò ad occuparsi anche di aspetti un tempo considerati non
convenzionali, ma oggi di grande attualità. Non si può non ricordare l’impegno profuso all’inizio degli anni ’80 nei riguardi del recupero energetico nelle
piccole aziende zootecniche attraverso la produzione di biogas da reflui zootecnici.
Allo stesso modo corre l’obbligo di ricordare come, dalla sua posizione di
Presidente del comitato Scienze Agrarie del CNR, seppe dare impulso all’acquacoltura a livello nazionale in un’epoca in cui tale branca delle produzioni
animali non era certamente appannaggio degli zootecnici.
A fianco della ricerca non trascurò di occuparsi di aspetti legati allo sviluppo della zootecnica dal punto di vista storico: a testimonianza di ciò ha lasciato interessanti lavori come quello relativo all’analisi dei documenti di
carattere zootecnico presenti negli Annali dell’Accademia di Agricoltura di
Torino, scritto insieme alla prof. Graziella Toscano Pagano, o quello pubblicato nel volume Il vecchio per il nuovo edito dal Lions Club Torino Castello.
La sua forte tempra e le buone condizioni fisiche gli hanno consentito di
continuare la sua attività fino all’ultimo: nel novembre 2009 l’ennesimo (15°)
viaggio in Cina; il 9 marzo 2010 a Carrù in occasione del 50° anniversario
della fondazione dell’ANABORAPI presentò una relazione sulla storia della
razza bovina Piemontese; il 22 aprile 2010 a Grugliasco nell’ambito dell’incontro organizzato dal Museo dell’Agricoltura sulla medicina veterinaria di
campagna presentò una relazione sulla figura del veterinario zootecnico ieri
e oggi, attingendo molto alla sua esperienza professionale.
Amava viaggiare e cercava di cogliere ogni opportunità per farlo, anche
per ottimizzare il tempo a disposizione: ancora all’inizio dell’estate del 2010
partecipò ad un viaggio in Francia con l’Associazione Laureati in Agraria ed
al rientro partì per la tradizionale vacanza a Fiuggi, l’ultima, al termine della
quale, sulla via del ritorno, aveva già programmato un appuntamento a Roma
con il prof. Cannata per prendere gli ultimi accordi per rinnovare, per il biennio 201l-2012, l’accordo di cooperazione tra il CNR, la CAAS ed il Dipartimento al quale non ha mai smesso di dedicare il proprio impegno.
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Sono moltissime le persone che nell’arco di circa 60 anni, a titolo diverso,
colleghi, studenti, operatori del settore zootecnico, hanno conosciuto il professor Bosticco; ognuna di loro ne avrà ricavato un’impressione certamente
diversa. Non si può nascondere come il primo impatto lasciasse sempre un
po’ timorosi; in qualche modo la sua figura incuteva un certo timore. In realtà
sotto questo atteggiamento apparentemente duro si nascondeva una persona
timida, di grande disponibilità e fermamente convinta dell’importanza dell’agricoltura e della zootecnica e del ruolo che anche la formazione universitaria doveva avere in questo comparto.
Il prof. Bosticco era una persona retta che ha vissuto con coerenza ed intensità la sua vita senza mai risparmiarsi per i valori in cui credeva e, nonostante l’età, sempre proteso verso il futuro; era discreto e non amava apparire,
ma per una serie di ragioni da lui indipendenti la sua morte non è passata
inosservata.
Al termine di questa commemorazione, certamente incompleta, quanti lo
hanno conosciuto ne conserveranno un intimo ricordo; personalmente mi
piace ricordarlo con profondo sentimento di stima, ammirazione e riconoscenza ed immaginarlo ricongiunto con i suoi cari: l’amata ed inseparabile
consorte Clelia ed il fratello Sergio.
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INDICE
CONSIGLIO DIRETTIVO ............................................................................ pag.
V
COMITATO DI REDAZIONE ........................................................................
»
VI
ACCADEMICI ONORARI.............................................................................
»
VII
ACCADEMICI EMERITI ..............................................................................
»
VIII
ACCADEMICI ORDINARI............................................................................
»
X
ACCADEMICI CORRISPONDENTI................................................................
»
XIV
ACCADEMICI IN SOPRANNUMERO .............................................................
»
XX
RELAZIONE DEL PRESIDENTE ORAZIO SAPPA ALL’ASSEMBLEA SOLENNE
PER L’INAUGURAZIONE DEL CCXXVI ANNO ACCADEMICO ....................
»
XXI
PROLUSIONE E MEMORIE
ERNESTO FERRERO
Partire dalla terra. Cavour, Einaudi, Calvino......................................... pag.
3
MARCELLO CALLARI
Il ruolo della Banca d’Italia ....................................................................
The role of the Bank of Italy....................................................................
»
»
7
7
GIUSEPPE SARASSO
Il progetto ASTRIS................................................................................
The “ASTRIS” project..............................................................................
Le projet “ASTRIS” ...............................................................................
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23
23
23
GIOVANNI PENNATI
L’orto di nonno Mario ............................................................................
The garden of grandfather Mario.............................................................
»
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29
29
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LUCIANO MORBIATO
Scartafaccio d’agricoltura: esperienza e devozione di un contadino
veneto tra XVIII e XIX secolo ............................................................... pag.
Scartafaccio d’agricoltura: experience and devotion of a farmer
in the Veneto between 18th and 19th century ........................................... »
Scartafaccio d’agricoltura: l’expérience et la dévotion
chez un paysan du Veneto entre XVIII et XIX siècle .............................. »
FEDERICO SPANNA
La scienza agrometeorologica: dalla ricerca ai servizi operativi...........
The agrometeorological science: from research to operational services....
ANNA LISA, LUIGI LISA
Caratterizzazione termopluviometrica, fenologica e produttiva
per la viticoltura di Carpeneto ...............................................................
Climatic, phenological and productive characteristics
of Carpeneto (AL) viticulture ..................................................................
Caractéristiques climatiques, phénologiques et productives
du vignoble de Carpeneto (AL) en Italie de Nord-Ouest ........................
ANTONIO FINASSI
Cavour Camillo Benso agricoltore a Leri. Il conte e il riso ...................
Camillo Benso, Count of Cavour farmer and rice grower in Leri..........
Le comte Camillo Benso de Cavour agriculteur à Leri
et la culture du riz....................................................................................
VINCENZO GERBI
Cavour viticoltore ed enologo a Grinzane .............................................
Cavour vine-grower and wine-maker at Grinzane ..................................
33
33
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51
51
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61
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61
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61
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71
71
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71
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83
83
GUIDO MARTINETTI
GROM: storia di un’amicizia,qualche gelato, molti fiori.
Dall’agricoltura al gelato ........................................................................ »
GROM: the history of a friendship, some ice-cream, many flowers.
From agriculture to ice-cream. ................................................................ »
GROM: l’histoire d’une amitié, de quelques glaces et de beaucoup de fleurs:
de l’agriculture aux glaces ........................................................................ »
LUCA COCOLIN
I rischi igienico-sanitari nella filiera del gelato ......................................
The safety risks in the ice cream production chain ..................................
Les risques sanitaires dans la chaîne d’approvisionnement
des crèmes glacées ....................................................................................
33
89
89
89
»
»
93
93
»
93
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PAOLA BONFANTE
Alle radici delle biotecnologie agrarie: genomica e metagenomica
per lo studio e l’uso del microbioma vegetale........................................ pag.
At the root of Agrobiotechnologies: Genomics and Metagenomics
applied to Plant Microbiome ................................................................... »
Aux racines des biotechnologies agricoles: génomique et méta-génomique
pour l’étude et l’emploi du Microbiome végétal ...................................... »
GIORGIO MASOERO, GIUSTO GIOVANNETTI
Biotecnologie agrarie basate sui consorzi microbici..............................
Agronomical and qualitative preliminary results
of microbial consortiums..........................................................................
Premiers résultats agronomiques et qualitatifs de l’emploi
de consortiums microbiens.......................................................................
99
99
99
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129
129
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129
LUIGI ROBERTO EINAUDI
Dieci cose che mi ha insegnato mio nonno Luigi Einaudi ....................
»
169
ROBERTO EINAUDI
Affinità e diversità tra Luigi Einaudi e Cavour......................................
»
173
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183
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183
183
LUCIANA QUAGLIOTTI, GIACOMINA CALIGARIS
Quattro storie di passione civica: iniziative di buona volontà
in un paese dell’Alto Astigiano...............................................................
Initiatives of good wish in a village of the “Alto Astigiano” ..................
Quatre histoires de passion civique, initiatives de bonne volonté
dans un village de la région d’Asti...........................................................
GIUSI MAINARDI
Camillo Benso di Cavour e Luigi Einaudi, illustri Viticultori ...............
Camillo Benso of Cavour and Luigi Einaudi,
distinguished viticulturists......................................................................
Camillo Benso de Cavour et Luigi Einaudi, deux viticulteurs réputés ....
GIOVANNI PAVANELLI
Scienza economica e formazione dell’opinione pubblica
in età liberale: la collaborazione di Luigi Einaudi a La Stampa
e al Corriere della Sera............................................................................
Economic discourse and public opinion in the liberal age:
Luigi Einaudi’s work as columnist at “La Stampa”
and “Corriere della Sera” .........................................................................
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193
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MARIELLA GALLO FERRARIS, GIUSEPPE SARASSO
Le “tresche” di Cavour...........................................................................
The threshing-floors of Cavour................................................................
Les « trèches » de Cavour .......................................................................
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SANDRO POTECCHI
I congressi degli scienziati italiani prima dell’Unità .............................. pag
The Congresses for Italian Scientists before the Unity ............................ »
Les Congrès des Savants Italiens avant l’Unité ....................................... »
PAOLO GAY
L’importanza dell’innovazione nella trasformazione delle materie prime
alimentari: un caso di studio sul cioccolato ........................................... »
The importance of the innovation in the food processing
of raw materials: a case study on chocolate............................................. »
233
233
233
259
259
COMMEMORAZIONE
IVO ZOCCARATO
In ricordo dell’accademico e professore emerito Attilio Bosticco ........
»
269
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2013
presso le Arti Grafiche San Rocco
Grugliasco (Torino)
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ANNALE 153 testo - accademiadiagricoltura.it