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128
Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. Gambassini
Giunta Regionale Toscana
ANNO XXII - Settembre-Ottobre 2001
Sommario
210
217
A. De Santi
N. Crotti, M. Musso
Gli incidenti stradali
Cibo e bellezza ideale
Spazio Toscana
Nutrizione artificiale domiciliare
220 Dipartimento del diritto
alla salute e delle politiche
di solidarietà
Monografia
225
228
232
241
246
250
252
256
257
263
265
La qualità percepita e l’informazione ai
cittadini
Il ruolo dei pazienti nei vari sistemi sanitari
Indagini di soddisfazione rivolte agli utenti
C. Hanau
R. Bottai, V. Micheletti,
A. Alfano
M. Serapioni
La partecipazione nei servizi sanitari
C. Hanau, S. Cavallin
Esperienze di Comitati consultivi misti
J. Gost, P. Aster,
Le tecnologie dell’informazione
B. Bermejo, C. Silvestre,
M.T. Chivite
J. Carretier, L. Leichtnam, L’informazione valutata dai pazienti
M. Véron, V. Delavigne,
H. Hoerau, T. Philip, B. Fevers
Il consenso informato negli esperimenti
J. Gost, C. Silvestre,
P. Ezpeleta, P. Astier,
clinici
P. diaz de Rada,
M.T. Artàzcoz
P. Farruggia, S. Cavallin,
Un “progetto accoglienza”
A. Longanesi, M. Berdondini
T. Alberti, C. Hanau,
Pronto soccorso e Medicina d’urgenza
E. Pipitone
G. Negrini, S. Cavallin,
Il percorso chirurgico
P. Farruggia
C. Hanau, E. Pipitone,
Il giudizio degli utenti nelle RSA
A. Ravaglia
Questo numero è stato chiuso in redazione
il 30 ottobre 2001
270
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210
Prevenzione
Anna De Santi
Laboratorio di Epidemiologia e
Biostatistica, Istituto Superiore
di Sanità
G
li elevati indici di incidenti stradali che nel
nostro Paese si registrano sulle strade costituiscono
un problema rilevante di salute pubblica. L’alta percentuale di morti e feriti negli
individui di età compresa fra
i 14 e i 29 anni di età richiede uno studio attento dei
comportamenti a rischio nella guida soprattutto nella popolazione giovanile.
A tale proposito sono stati
analizzati i fattori che influenzano i comportamenti a
rischio alla luce delle principali teorie comportamentali
con una riflessione sulle possibili strategie di prevenzione
dei comportamenti a rischio
di incidente stradale.
Fattori che influenzano i
comportamenti a rischio
Conoscenze e grado di informazione
Non c’è dubbio che l’informazione è una componente essenziale dell’educazione, ma
essenziale non vuol dire né
unica, né sufficiente. La salute costituisce certamente un
valore, ma assume una posizione preminente soltanto
quando il soggetto sia convinto che essa sia in serio ed
immediato pericolo. All’infuori di tale evenienza, la salute è un valore come tanti
altri e in una ideale scala di
valori la sua posizione può
variare nei diversi individui e
N. 128 - 2001
Gli incidenti stradali
nei diversi momenti della vita di ciascuno di essi.
Parlando di atteggiamenti, si
deve considerare che essi dipendono da una serie di fattori che variano continuamente. Uno di questi è costituito dalla scala dei valori,
che cambia in misura più o
meno grande, in funzione degli stimoli istintuali e dell’esperienza vissuta dal soggetto, di cui l’informazione è
parte integrante. Ma, l’informazione nel nostro Paese,
non risulta efficace in quanto
non viene fornita in modo
mirato, puntuale, costante e
continua nel tempo (Bisi e
Brunello, 1997). Risulta, infatti, evidente la constatazione che non è possibile modificare il comportamento dell’utente della strada con interventi di breve durata: in
quanto si possono avere risultati costanti nel tempo solo se l’individuo ha sviluppato comportamenti adeguati
alla sicurezza stradale e ne ha
fatto “schemi comportamentali” nei periodi di strutturazione della personalità come
nella seconda infanzia, e nella preadolescenza.
Percezione del rischio e della
propria vulnerabilità
Il fatto di non considerare se
stessi come soggetti potenzialmente a rischio di incidente stradale costituisce
uno degli aspetti più fre-
I fattori sociali e psicologici che influenzano i
comportamenti a rischio. Le strategie da adottare per l’educazione stradale
quenti alla base della sottovalutazione del pericolo e del
mantenimento di comportamenti di guida insicuri. Oltre
alla percezione del pericolo,
anche la valutazione della
gravità delle conseguenze
che un incidente stradale
comporta condiziona la probabilità che un individuo
adotti comportamenti di guida più o meno corretti.
Così, ad esempio, in un adolescente, che non si percepisce a rischio di incidente, le
argomentazioni sulla necessità dell’uso del casco, per
evitare la possibilità di fratture o di lesioni gravi o mortali durante gli incidenti stradali, trovano scarsa eco.
Un altro aspetto da considerare riguardante la percezione del rischio riguarda il locus of control cioè il grado di
controllo che un soggetto ritiene di esercitare sul proprio
destino. Un locus of control
interno corrisponde ad una
capacità di costruire la propria esistenza essendone diresponsabile
rettamente
mentre un locus of control
esterno attribuisce alla fortuna o al caso gli accaddimenti
relativi alla propria esistenza
(Galeazzi, 1993). La possibilità di incorrere in incidenti
stradali rappresenta per molti
soggetti che posseggono un
locus of control esterno un
rischio imprevedibile, non
calcolabile, che si verifica secondo probabilita’ non sottoponibili a controllo da parte
di un individuo (atteggiamento fatalistico che, per
esempio, non fa usare casco o
cinture).
Anche la televisione non offre certo una reale percezione
del rischio. Se pensiamo che
un giovane ha una media di
esposizione al mezzo televisivo di quattro ore al giorno e
che ogni ora di televisione
contiene mediamente due
morti provocate in modo violento,si può constatare che a
diciotto anni egli ha assistito
a quarantamila morti, senza
contare quelle del cinema o
della carta stampata (Andreoli, 1997).
Sui giovani fa molta piu’ presa una delle tante scene tratte da fiction televisive dove
sfrecciano automobili “aggressive e scattanti guidate
da personaggi immortali“
(Brunello, 1999) . Pertanto
saltare sulle motociclette e
Prevenzione
N. 128 - 2001
correre contromano stabilendo un primato o fare surf
d’auto aggrappati ad un tetto
della macchina mentre gli
amici partono a tutta velocità
o correre con l’auto andando
a sbattere contro un muro per
vedere se l’air bag funziona,
sono tutte prove di coraggio
di una cultura dove la morte
viene sfidata, derisa proprio
perché non conosciuta e non
percepita come concreta.
Solo se la persona ha avuto
esperienze personali di conoscenti o parenti che sono
morti o rimasti feriti durante
un incidente stradale, riesce
a percepire il pericolo di un
comportamento a rischio nella guida o nel non uso dei dispositivi di sicurezza, altrimenti avverte come distanti
da se’, nello spazio e nel tempo, le conseguenze di un incidente stradale.
Attitudine al rischio
Un’alta attitudine al rischio
definisce il comportamento
che spinge la persona a ricercare sensazioni forti, a vivere
una vita avventurosa e a correre rischi e pericoli che possono costituire una minaccia
per la sua incolumità fisica e
psicologica in una continua
sfida con i propri limiti. Nella popolazione generale il
grado di attitudine al rischio
è massimo nel periodo adolescenziale e tende a ridursi
con l’avanzare dell’età (Yao
F.K., 1990).
Alla luce di risultati ottenuti
con l’analisi nel tempo della
mortalità per incidenti stradali, si nota come, mentre
negli adulti dal 1969 ad oggi
si osserva una vistosa diminuzione della mortalità per
incidente stradale (-40%), nei
giovani di 15-24 anni la mortalità è rimasta sostanzialmente invariata.
Secondo un modello comportamentale del fattore umano
negli incidenti autostradali
(Salvatore, 1994) risultante
da due indagini su campione
di automobilisti in autostrada, ne deriva che l’apprendimento di uno stile di guida
non è sempre adattivo; gli esseri umani apprendono e utilizzano alcune forme di comportamento che non sempre
risultano appropriate ai cambiamenti di scenario come il
contesto di guida, le condizioni di traffico, metereologiche, individuali ecc.
Sempre secondo questo modello, gli individui possono
non sapere come reagire adeguatamente alle novità perché imparano progressivamente ad ignorare la percezione delle segnalazioni critiche provenienti dall’ambiente. In pratica, si afferma
che si possono ignorare le segnalazioni dell’ambiente in
quanto assenti nella percezione del contesto di guida e,
conseguentemente non possono influenzare né modificare il comportamento del
guidatore. Il rischio consiste
nella progressiva legittimazione e conferma del modello
di ignoranza adottato e validato dall’esperienza che diventa una buona premessa
per “sospendere” l’applicazione delle regole di base
della circolazione stradale,
quelle cioè collegate al buon
senso, al codice stradale e alla guida sicura.
In definitiva, l’automobilista
tende a consolidare e mantenere i propri errori di guida,
non considerando il rischio
associato semplicemente perché impara ad ignorarlo. Con
il trascorrere del tempo lo stile di guida incontra rinforzi
positivi, consolidandosi intorno all’evidenza di conseguenze positive – come l’assenza di incidenti stradali –
connesso allo stile di guida
adottato. Pertanto comportamenti di guida pericolosi si
consolidano, secondo questo
modello, grazie alla percezione di una impossibilità che a
tale condotta segua una evenienza negativa come l’incidente stradale. Con il passare
del tempo poi si riduce, fino
ad annullarsi la consapevolezza degli errori di valutazione del rischio di guida che
si possono presentare. Gli automobilisti tendono così a sostituire in modo sistematico
alla casualità o alla fortuna la
percezione di capacità o abilità specifiche associate impropriamente con le conseguenze positive di un viaggio.
Questo modello tende ad
ignorare una parte delle evidenze relative alle situazioni
di rischio effettive come l’assunzione di un falso senso di
sicurezza nell’abilità alla guida o la guida sotto effetto di
stress o stanchezza o il parlare, fumare, ascoltare la radio,
cercare qualcosa nell’auto
ecc. o ancora non rispettare
la distanza di sicurezza o assumere modi di guida aggressivi o intolleranti verso i limiti di velocita’ o verso le condizioni meteorologiche avverse.
Uso di alcol, sostanze e farmaci
In questi ultimi anni molte
sono state le segnalazioni
211
nella letteratura internazionale di come gli aspetti comportamentali, in particolare
l’uso di alcol e di sostanze,
siano tra le principali cause
degli incidenti stradali gravi
e mortali, in particolare nei
giovani.
L’uso di alcol e di sostanze,
molto diffuso soprattutto tra
i giovani, è da considerarsi
un comportamento favorente
gli incidenti stradali in quanto queste sostanze hanno un
effetto disinibente che riduce
la capacità di riflessi e di attenzione, inducendo colpi di
sonno; alterando l’umore, si
possono infatti determinare
euforia e depressione, cioè
stati d’animo che non consentono decisioni rapide, opportune e serene.
È stato infatti constatato che
tali rischi, che dipendono da
diversi cofattori, sono tanto
più elevati quanto minore è
l’età, e quanto più è limitata
e concentrata nel tempo l’abitudine a bere.
Sarebbe fondamentale informare capillarmente sul rischio connesso all’uso di queste sostanze, specialmente –
ma non solo – i giovani, attraverso azioni puntuali anche nei vari luoghi di aggregazione dove i comportamenti si consolidano. Per quanto
riguarda i farmaci, andrebbero sensibilizzati i medici affinché informino, all’atto della prescrizione, i soggetti sui
rischi alla guida che possono
derivare dall’assunzione di
particolari farmaci.
Influenze sociali
Sui comportamenti influiscono due fattori principali:
quelli sociali e quelli normativi. Tra i primi troviamo l’in-
212
fluenza sociale esercitata dagli amici, dalla famiglia e dal
gruppo dei pari (o gruppo di
coetanei), e ancora, dalla cultura legata all’uso dell’alcol e
delle sostanze nonché dai
fattori di tipo socioeconomico e dalle ideologie politiche
e religiose. I fattori normativi riflettono invece i valori
etici della persona che nei
giovani non sono ancora interiorizzati in modo stabile.
(WHO, 1993).
Le influenze sociali si modificano al variare dell’età del
soggetto, delle sua personalità e della sua capacità di
autodeterminazione nonché
del tipo di risposta che è in
grado di elaborare verso stimoli esterni.
Snyder e Kendzierki (1982)
sostengono che tra i fattori
della personalità che intervengono nella determinazione degli atteggiamenti e
comportamenti troviamo l’autocontrollo (o autoconsapevolezza) che prevede che le
persone con una maggiore
autoconsapevolezza rivolgono la propria attenzione primariamente al sé, ovvero ai
propri sentimenti, emozioni,
Osservabile
Prevenzione
norme ecc mentre persone
dotate di scarso autocontrollo sono influenzate dal partner o dal gruppo di riferimento (come quello dei pari
ad esempio) e il loro comportamento, in questo caso, non
riflette stati interni come
emozioni e atteggiamenti e
varia da situazione a situazione.
Per quanto riguarda l’influenza del gruppo dei pari nell’adolescenza, va detto che gli
atteggiamenti individuali sono fortemente condizionati
da quelli del gruppo al quale
appartiene (o vuole appartenere) l’individuo. Infatti, va
sempre tenuto presente il
ruolo determinante del gruppo nella formazione degli atteggiamenti (e quindi dei
comportamenti). L’adesione a
pratiche di guida pericolosa
adottate dal gruppo rinforza
gli atteggiamenti del singolo.
Sarebbe, pertanto, necessaria
una maggiore attenzione verso lo studio delle influenze
determinate dalle persone significative, rappresentate soprattutto dai coetanei che favoriscono la messa a punto di
comportamenti di guida cor-
Inferito
N. 128 - 2001
retti o pericolosi da adottare.
Anche l’uso dei dispositivi di
sicurezza viene influenzato
dal gruppo che spesso esprime un giudizio negativo su
questa scelta in quanto manifestazione di pavidità e insicurezza.
Teorie comportamentali
Prima di parlare di atteggiamenti o di comportamenti a
rischio cerchiamo di dare una
definizione dei termini.
Quando parliamo di atteggiamento ci riferiamo ad una
combinazione di tre reazioni
vale a dire:
1. Affettiva, cioè quella legata alle emozioni come l’amore, l’odio, la simpatia e l’antipatia.
2. Cognitiva, riguardante credenze, opinioni e idee sull’oggetto di atteggiamento.
3. Comportamentale, che
concerne le intenzioni comportamentali o le tendenze
di azione.
A volte le persone pensano o
agiscono in modo incoerente
con i propri sentimenti considerando la componente affettiva degli atteggiamenti co-
me l’unico indicatore rilevante della loro natura valutativa e confondendo il termine
emozione con quello di valutazione. Queste dimensioni
dell’atteggiamento vengono
chiamate
unidimensionali
poichè si focalizzano solo su
una componente dell’atteggiamento 1.
Per misurare gli atteggiamenti si può domandare alle persone di esprimerli attraverso
misure dirette che esplorano
le opinioni o le credenze delle persone usando indicatori
come scale di misurazione
(Likert 1932, Thurstone
1931). Tali procedure presentano però alcuni limiti in
quanto le persone spesso non
sono in grado di comunicare i
propri atteggiamenti. Con le
procedure indirette invece si
possono misurare gli atteggiamenti delle persone, a loro
insaputa, attraverso tecniche
di osservazione che sono immuni dalle distorsioni descritte precedentemente.
La teoria del comportamento
pianificato
Nella teoria del comportamento pianificato il compor-
Osservabile
Risposte cognitive
Fig. 1 - Schema di
atteggiamento di Eagly e
Stimoli che denotano
l’atteggiamento
Atteggiamento
Risposte affettive
Chaiken, 1993.
Risposte comportamentali
1
Per credenza si intendono le opinioni della persona sull’oggetto mentre per atteggiamento si considerano le emozioni connesse con l’oggetto di atteggiamento. Le intenzioni comportamentali indicano invece una prontezza nell’agire in modo particolare nei confronti dell’oggetto.
Atteggiamento verso
il comportamento
213
Prevenzione
N. 128 - 2001
Barriere
Fig. 2 - Schema teoria del
comportamento pianificato -
Norma soggettiva
Intenzione
Comportamento
Mazzara 2000 (modificato da
Ajzen, 1991).
Percezione di controllo
sul comportamento
tamento è il risultato di una
intenzione comportamentale
(detta norma soggettiva), di
credenze normative e motivazioni.
Ajzen e collaboratori (1986)
affermano che la determinante del comportamento consiste in una intenzione che a
sua volta è dettata dalla valutazione positiva o negativa
del comportamento da assumere da parte del soggetto.
L’atteggiamento di una persona verso il comportamento
dipende dalla credenza che
questo comportamento provocherà una determinata
conseguenza e dal valore attribuito a questa conseguenza. Pertanto esso è il risultato della somma di due prodotti, vale a dire del valore e
delle aspettative associate a
ciascuna conseguenza comportamentale.
La norma soggettiva consiste,
infatti, nel giudizio dell’individuo circa l’eventualità che
le persone significative come
il partner o gli amici si aspettino da lui quel particolare
comportamento.
La versione ampliata della
teoria del comportamento
pianificato include anche un
altro fattore chiamato “percezione di controllo sul comportamento”.
Abilità
Il modello di Ajzen e collaboratori prevede che le persone
decidano di compiere un’azione (usare il casco) se saranno convinte che:
1. L’uso del casco comporterà
delle conseguenze positive.
2. I loro partner, amici e familiari si aspettano che lo usi.
3. Saranno in grado di superare tutti i condizionamenti
che potrebbero impedire loro
di usarlo (percezione di controllo sul comportamento).
Mazzara (2000) sostiene che
occorre considerare le determinanti di un comportamento attraverso l’analisi
della dimensione interattiva
e sociale dell’individuo che
comprende:
• le rappresentazioni sociali,
• l’appartenenza e l’identita’
sociale,
• la memoria collettiva,
• le relazioni personali
• le dinamiche di gruppo
legate allo stile di vita della
persona.
Secondo un modello riguardante la persuasione e il ruolo delle informazioni nella
formazione e nel cambiamento dell’atteggiamento (MC
Guire, 1985) uno degli aspetti interessanti da sottolineare
riguarda il legame tra la comprensione e l’intelligenza. Mc
Guire sostiene che la comprensione di un messaggio
dovrebbe migliorare all’aumentare del livello di intelligenza delle persone, ma le
persone più intelligenti, egli
sostiene, sono anche le più
critiche e pertanto sono meno disposte ad accettare un
messaggio.
Secondo la sua teoria gli individui molto intelligenti
non accettano facilmente le
informazioni proposte e
quelli molto stupidi non percepiscono correttamente i
messaggi e pertanto gli individui influenzabili con più
facilità risultano essere
quelli di intelligenza moderata.
Secondo Kotler (1992) l’adozione di un comportamento
corretto avviene attraverso
un modello detto della gerarchia degli effetti che inizia
con un percorso di apprendimento, la c.d. fase informativa che prevede che gli individui vengano a conoscenza
del contenuto del messaggio
e lo memorizzino, per arrivare alla successiva fase della
persuasione che consiste nell’indurre gli individui a formarsi un atteggiamento favorevole nei confronti dell’adozione del nuovo comportamento.
Il cambiamento di atteggiamento prodotto da incentivi o
sanzioni
La recente legge sull’uso del
casco ha prodotto un immediato uso di tale dispositivo.
Uno dei meccanismi adottati
per scoraggiare comportamenti a rischio consiste nell’introdurre degli incentivi o
delle sanzioni. Molti dati dimostrano che la domanda di
alcolici e di sigarette, come
quella relativa a molti beni di
consumo, è sensibile alle variazioni dei prezzi e del reddito. Infatti a parità di condizioni, l’aumento del prezzo
dell’alcol ne riduce il consumo, mentre l’aumento del
reddito dei consumatori si accompagna ad un aumento del
consumo di alcolici (Stroebe
e Stroebe, 1995).
Questo significa che l’aumento dei prezzi potrebbe impedire che un certo numero di
soggetti adotti un comportamento nuovo, considerato
piacevole da coloro che già lo
attuano. Se consideriamo, ad
esempio, i comportamenti legati al fumo, possiamo dire
che dal momento che è molto
difficile riununciare a fumare
quando l’abitudine si è già
stabilizzata, le strategie più
efficaci risultano essere quelle che impediscono ai giovani
214
di cominciare a fumare. Gli
adolescenti possono spendere
in media una quantità di denaro inferiore a quella degli
adulti ed è pertanto probabile che l’aumento del prezzo
delle sigarette possa dissuaderli dall’idea di fumare, soprattutto se non hanno ancora iniziato o se si trovano in
una fase di sperimentazione.
Studi di Lewitt e Coate del
1982 dimostrano che un aumento del 10% del prezzo
delle sigarette diminuirebbe
del 14% la richiesta di sigarette fra gli adolescenti, rispetto ad una diminuzione
del 4% fra gli adulti.
Le strategie di
prevenzione degli
atteggiamenti e dei
comportamenti a rischio
di incidenti stradali
Tra le diverse strategie sulla
prevenzione dei comportamenti a rischio possiamo individuare cinque fasi (OMS,
1990):
- determinare se il comportamento di un individuo o di un
gruppo di individui comporti
un rischio per la sua salute o
per quella degli altri;
- aiutare i soggetti interessati
a comprendere e a riconoscere
i rischi associati al loro comportamento;
- definire con essi in che modo il loro stile di vita e l’immagine che hanno di se stessi
siano legati a tale comportamento;
- aiutarli a definire le proprie
possibilità’ di cambiare il
comportamento;
- collaborare con loro al fine
di produrre e mantenere il
nuovo comportamento.
Prevenzione
Affinché un giovane interrompa o modifichi un comportamento a rischio di incidente stradale si possono prevedere interventi specifici
che consistono nel:
1. Valutare la resistenza alla
modifica dei comportamenti a
rischio.
2. Formulare strategie per la
modifica dei comportamenti a
rischio.
3. Motivare ad adottare e
mantenere comportamenti sicuri.
4. Supportare offrendo fiducia
e rinforzando i comportamenti sicuri adottati.
Valutare la resistenza alla modifica dei comportamenti a rischio
Per poter produrre un cambiamento comportamentale
occorre valutare la percezione del rischio che consiste
nell’interpretazione cognitiva, affettiva e comportamentale che il soggetto elabora
nei confronti di eventi in
grado di provocare incidenti.
Indica quanto un individuo è
in grado di percepire come
vicino a sé un reale rischio di
incidente stradale. In questo
caso entra in merito l’attitudine al rischio e il grado di
controllo che la persona
esercita nei confronti del
proprio destino (locus of
control), le esperienze del
soggetto e i lutti correlati a
incidenti stradali. Le resistenze al cambiamento comportamentale dei giovani derivano dal fatto che i giovani
tendono a vivere con maggiore aderenza il presente e
difficilmente riescono a
proiettarsi nel futuro.
Occorrerebbe, pertanto, agire
prendendo come esempio
N. 128 - 2001
campagne rivolte alla prevenzione di altri fenomeni, come
il fenomeno del tabagismo,
dove la persona può sapere
sicuramente che il fumo favorisce l’insorgenza di una serie
di patologie anche gravi, ma
questo non è sufficiente a far
sì che essa smetta di fumare.
Il fumatore, infatti, pur non
ignorando le conseguenze del
fumo, le sente troppo distanti perché possano rivestire
per lui una reale importanza
a livello emotivo. Le campagne di prevenzione, a questo
proposito, si sono dimostrate
più efficaci nel dissuadere i
giovani dall’uso del fumo sottolineando l’associazione tra
tale abitudine e l’alitosi (con
le relative conseguenze negative su un piano relazionale e
soprattutto sull’immagine
personale) in quanto tale effetto risultava immediatamente avvertito come un rischio concreto che generava
motivazione alla modifica del
comportamento. (Serpelloni,
1999) Analogamente le campagne per la prevenzione degli incidenti stradali potrebbero puntare l’attenzione su
danni derivanti da lesioni
provocate durante l’incidente: anche in caso di incidente
non grave, infatti, alcune lesioni possono risultare deturpanti e desocializzanti. Deturpanti in quanto le cicatrici
e le deformità imbruttiscono
la persona e desocializzanti
perché una parte del corpo,
generalmente il viso, deformata o segnata da sequele di
fratture e di interventi chirurgici susciterà sempre in
chi vi si accosta una sensazione non gradevole.
Secondo Kotler (1992) un
esempio di messaggio di una
campagna a favore della cintura di sicurezza potrebbe essere “La cintura di sicurezza è
scomoda, ma evita il rischio
di essere sfigurati in caso di
incidente”. Alcuni studi hanno dimostrato, inoltre, che i
messaggi più efficaci sono
quelli che fanno presa sul lato emotivo piuttosto che su
un’argomentazione razionale
e che i messaggi di paura sono più efficaci verso gli individui che non si considerano
destinatari del messaggio
(esempio genitori di ragazzi
che guidano).
Occorre, inoltre, essere in
grado di valutare i principali
fattori di resistenza al cambiamento, rilevando tutte le
componenti che possono opporsi alla creazione di motivazioni per l’adozione di norme preventive. Spesso, alcuni
comportamenti a rischio derivano da disturbi della personalità o da consolidate influenze sociali esterne e il loro mantenimento può risultare funzionale al soddisfacimento dei bisogni soggettivi
dell’individuo.
Formulare strategie per la modifica dei comportamenti a rischio
1. Fare prevenzione significa
innanzittutto fornire una corretta informazione sui rischi
degli incidenti stradali, sull’assunzione di sostanze, di
alcol e farmaci e sull’uso dei
dispositivi di sicurezza ecc.
2. Dal livello informativo generale si passa, quindi, ad un
livello informativo specifico in
cui si analizzano le conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti nonché le resistenze rispetto alle sostanze
o agli effetti dell’alcol sulla
Prevenzione
N. 128 - 2001
guida, o ancora, rispetto al
mancato uso dei dispositivi di
sicurezza.
3. La decisione di cambiare
un comportamento o di mantenere un comportamento
corretto dipende dalla convinzione di essere in grado di
esercitare un controllo sul
cambiamento (sicurezza nelle
proprie capacita’ di modificare positivamente i propri
comportamenti e di essere in
grado di gestire gli sforzi e le
risorse necessarie per esercitare un controllo sulla situazione “self-efficacy”).
4. L’intervento efficace è
l’intervento che produce nel
soggetto una attivazione
emozionale e una ristrutturazione cognitiva che determina un comportamento
nuovo più sicuro. L’intervento deve essere in grado di
creare dissonanza nel sistema di convinzioni e valori
che mantengono il comportamento a rischio (Festinger,
1957). Per intervento dissonante si intende quello in
cui una persona è combattuta tra due stati cognitivi non
coerenti tra loro come, ad
esempio, il piacere di non
indossare il casco lasciando
così i capelli pettinati e non
schiacciati e la paura di cadere riportando fratture craniche e infermità.
Secondo questa teoria l’intervento efficace è quello che
prima aumenta la dissonanza
ma che subito dopo fornisce i
mezzi per ridurla in quanto
più la tensione risulta sgradevole più la persona è motivata a mettervi fine attraverso attività cognitive o comportamentali che portino ad
un livello minore di dissonanza.
Tali attività consistono nell’acquisizione di capacità personali che pongano in atto il
cambiamento e siano in grado
di resistere alle pressioni che
vi si oppongono.
Motivare
Per rendere possibile un cambiamento comportamentale
occorre sopratutto motivare al
fine di indurre e mantenere
comportamenti preventivi stabili. In questo caso è necessaria specifica competenza e
preparazione da parte del
counsellor in quanto l’intervento deve considerare le motivazioni individuali profonde
che sostengono o impediscono
il processo di cambiamento
(Mucchielli, 1990).
Supportare
Supportare significa offrire
fiducia potenziando le risorse
interne dell’individuo, rinforzando e mantenendo i comportamenti sicuri.
Un comportamento modificato e acquisito può essere conservato se da esso deriva una
sensazione piacevole, come
quella che deriva dal rinforzo
positivo di persone significative (accettazione sociale)
(Bellani, 1997).
Secondo uno schema proposto
da Clemente e Prochanska
(1985) gli stadi di cambiamento che portano all’assunzione
di comportamenti stabili dei
propri stili di vita sono cinque:
• Il primo stadio prevede una
precontemplazione durante la
quale il soggetto mette in atto un comportamento a rischio per la sua salute e non
considera in alcun modo, la
possibilità di cambiarlo
(Esempio guida pericolosa o
non uso del casco).
• Il secondo prevede invece
la contemplazione in cui viene considerata la possibilità
di modificare il proprio comportamento di cui percepisce
la pericolosità, ma non mette
in pratica alcun tentativo di
cambiamento.
• Il terzo stadio prevede la
sperimentazione e il cambiamento a breve termine in cui
l’individuo inizia a delineare
le strategie per modificare il
proprio comportamento. Dalle intenzioni passa, quindi, al
cambiamento che però non è
ancora definitivo; affinché lo
diventi bisogna che esso riceva stimoli dall’esterno che
premino i successi ottenuti e
lo facciano superare eventuali ostacoli. La persona durante questa fase è ancora in
una situazione instabile e deve sperimentare le difficoltà
legate al cambiamento.
• La quarta fase prevede una
ricaduta in quanto dalla fase
sperimentale è sempre possibile prevedere delle ricadute
verso comportamenti precedenti rischiosi. La possibilità
di ricadute è maggiore tanto
più è radicato nel soggetto lo
stile di vita che comprende il
comportamento a rischio.
• Il cambiamento definitivo
avviene invece in una quinta
fase e permane quando si è
consolidato nel tempo il nuovo stile di vita.
Questo modello sottolinea
l’importanza di un intervento
educativo di prevenzione nel
momento in cui si crede che
la persona sia persuasa dalla
necessità di modificare le
proprie abitudini. Solo se
adeguatamente aiutato a superare le difficoltà, gli insuccessi e le possibili ricadute,
sarà possibile che il cambia-
215
mento risulti definitivo e
possa essere mantenuto costante nel tempo.
Conclusioni
L’efficacia di un intervento
preventivo si misura dall’ottenimento degli effetti che
produce come la diminuzione
dell’incidenza degli incidenti
stradali, l’aumento delle conoscenze e il cambiamento
dei comportamenti dei destinatari degli interventi.
Affinché un intervento preventivo nel settore della sicurezza stradale sia efficace deve, comunque, avere alcune
caratteristiche di base come:
• essere tempestivo e costante,
• accompagnare tutte le fasi di sviluppo dell’individuo,
• essere specifico e indirizzato verso rischi effettivi.
Dal momento che fare prevenzione degli incidenti stradali
significa, soprattutto, agire
sui comportamenti, vale a dire aiutare la persona a trovare
le basi motivazionali per non
sviluppare comportamenti a
rischio o per modificare quelli
che possono rappresentare un
problema per la sua e altrui
salute, occorre studiare i fattori di rischio presenti nella
popolazione giovanile al fine
di formulare possibili e valide
strategie preventive.
Tutti coloro che svolgono
programmi educativi dovrebbero collaborare ad un programma globale di educazione stradale, in modo da introdurre un lavoro coordinato a livello locale e nazionale. Il personale sociosanitario, gli insegnati,gli studenti, i genitori, la polizia e gli
216
Prevenzione
istruttori di scuola guida dovrebbero essere preparati attraverso programmi specifici
su tutti gli aspetti legati al-
la prevenzione dei comportamenti a rischio di incidente
stradale.
L’integrazione fra istituzioni
Bibliografia
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N. 128 - 2001
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Insegnate ai vostri figli a guidare.
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Ringraziamenti
Si ringrazia il prof Bruno Mazzara del Dipartimento di Sociologia dell’Università La Sapienza di Roma per il prezioso contributo nella realizzazione dell’articolo.
*
**
Nadia Crotti
Marco Musso
217
Prevenzione
N. 128 - 2001
Cibo e bellezza ideale
*
psicologa e psicoterapeuta;
psicologo e psicoterapeuta,
Servizio di Psicologia, Istituto
Scientifico Tumori, Genova
**
Il 50% della popolazione femminile fra i 18 e i 45 anni soffre di disturbi legati all’alimentazione: il 26% è sovrappeso, il 24% è sottopeso.
Nel nostro paese, sono in aumento le bambine che tra i
nove e i dodici anni tendono
a fissarsi sull’aspetto fisico o
si preoccupano della propria
dieta. Questi dati 1 sono allarmanti perché si ha l’impressione che il mondo femminile
non sia più in grado di valorizzare le esperienze legate al
cibo: in passato, la soddisfazione dei bisogni alimentari
era, per la madre, l’occasione
per insegnare e dare “piacere” al figlio; oggi, qualcosa,
nello sviluppo individuale o
nel rapporto con i modelli
proposti, sta espropriando la
donna, l’adolescente e la
bambina dal godimento e dai
piaceri derivanti dall’alimentazione che al contrario diventano fonte di preoccupazione. Il fenomeno è per ora
meno diffuso tra gli uomini
probabilmente per il fatto che
l’ideale di bellezza continua
ad essere la robustezza e la
forza. Per le donne invece l’ideale di bellezza non fa che
alimentare questa confusione. Si consideri che negli ultimi 10 anni, gli interventi di
chirurgia estetica si sono triplicati (Crotti, 1992); ciò testimonia sia la crescente importanza attribuita al proprio
corpo in quanto involucro sia
1
la volontà di ottenere il cambiamento in modo rapido e
senza apportare alcun cambiamento sostanziale al proprio stile di vita. Esteticamente la donna ideale degli
anni 2000 è quella che fa le
sfilate, sempre in forma, gentile, disponibile, attiva: nel
suo recente passato invece le
veniva “semplicemente” richiesto di essere madre, moglie e casalinga.
Il nostro interesse è quello di
dare una possibile spiegazione del modo in cui l’attenzione per il proprio corpo e il diverso modo di essere donna,
stanno influenzando le nostre abitudini alimentari.
Identità e pubblicità
Bisogni primari come mangiare, bere, dormire, fare sesso, muoversi sono fisiologicamente possibili grazie all’attivazione di un innato repertorio comportamentale ma nel
rapporto con il piacere che
seda un bisogno, ciò che viene a mancare negli eccessi
patologici è il riconoscimento che l’obbiettivo è già stato
raggiunto.
Un erotomane, infatti, non è
più felice di uno che non lo
fa mai così come un bulimico
(cioè uno che mangia) non è
più felice di un anoressico
(cioè uno che non mangia).
Riconoscere, riconoscersi ed
essere riconosciuto è di vitale importanza:
Dati pubblicati dall’Istituto Superiore della Nutrizione.
La “collisione” tra il modello femminile imposto dalla pubblicità ed il bisogno di nutrirsi. Le
patologie conseguenti
l’acquisizione di identità nel
giovane e parallelamente la
capacità dell’adulto di ripensarsi, è possibile quando l’individuo è in grado di operare
un’analisi e una sintesi tra la
percezione che ha di sé (e
che deriva da autonome capacità di giudizio) e la percezione realizzata attraverso
l’ascolto di ciò che gli altri
gli dicono di essere. Il corpo
coccolato, curato, coltivato e
ascoltato nei suoi ritmi biologici più profondi, sintonizza il soggetto nella relazione
con il mondo. Il corpo è un
biglietto da visita, il mezzo
con cui entrare in relazione
con gli altri. Ma oggi è necessario che sia “oggettivamente” bello, profumato,
attraente,
sessualmente
“normale”.
Il criterio di normalità sembra essere rappresentato dal
mondo della moda: sono le
modelle l’ideale estetico a
cui riferirsi. Per questo motivo la donna del duemila “riconosce” che i “suoi” problemi sono rappresentati dalla
cellulite, dall’avere la pelle
troppo grassa o troppo secca, dal possedere un’abbronzatura omogenea, dall’avere
una vita snella, fianchi arrotondati, seno sodo e “armoniosamente” abbondante e
infine un corpo agile e scattante.
Ma non tutte hanno il tempo
(ma anche l’avessero, cosa
cambierebbe realmente?) e le
disponibilità economiche per
potersi permettere la settimana di relax in un centro
termale, la visita settimanale
dall’estetista, la costanza di
sottoporsi a tremendi esercizi
ginnici in una delle tante palestre della salute, la capacità
di resistere alle tentazioni
della buona cucina.
Esistono allora altri rimedi: le
diete ferree a cui madri e figlie incuranti dell’età si sottopongono oppure l’utilizzo
di prodotti in grado di attivare e depurare l’intestino, l’utilizzo di prodotti “naturali”.
Sono in aumento infatti il
numero di aziende agricole
che producono alimenti senza
apporti chimici e cresce ovviamente anche il numero dei
consumatori incuranti del
prezzo elevato (ma “la salute
non ha prezzo”) delle merci
così prodotte.
Esistono poi i salutisti ad
ogni costo: quelli cioè che
218
coltivano il limone, il basilico, il prezzemolo sul balcone
della propria casa di città,
convinti dell’assoluta genuinità del proprio prodotto
(perché “sano é bello”).
Essere “normali” ed in “salute” è molto costoso ma è anche l’unico modo per ottenere la felicità: è questo infatti
il messaggio che viene veicolato dal mondo della pubblicità. Il pubblicitario coglie
ciò che generalmente viene
vissuto come problema (ad
esempio indipendenza, voglia
di libertà o di trasgressione,
femminilità) offrendo come
possibile e fruibile soluzione
un mondo vacuo, assolutamente lontano dalla realtà
del cittadino ma anche bello,
estremamente bello e attraente.
Ad esempio, la pubblicità di
una nota marca di profumo
risalente a qualche anno fa,
ci mostrava un personaggio
femminile che era in grado
di coniugare una sintesi irreale tra le esigenze reali di
ogni casalinga (l’approvvigionamento di viveri) e la
presenza di voluttuose e solitarie sensazioni rappresentate dallo sguardo languido
della modella perché “come
vivere nella vita senza un po’
di arrogance?” La donna deve coniugare esigenze talmente diverse che l’unico
modo per essere contemporaneamente femminile, mascolina, sicura, arrogante,
dolce e aggressiva è vendere
un’immagine di sé che più
assomigli a ciò che si desidera essere, perché essere e apparire sono diventati possibili solo tramite il comune
denominatore offerto dal
proprio corpo.
Prevenzione
Il caso di Cinzia
Cinzia ha 17 anni, è alta cm
163 non ha problemi ma, poiché vomita dalle cinque alle
sedici volte al giorno, passa
buona parte della sua vita tra
il frigorifero e il bagno.
Fa la cubista a Torino e grazie
a questo tipo di lavoro ottiene sia gratificazioni economiche che narcisistiche. Pesa 43
Kg da circa quattro anni ed è
bravissima a non cambiare
peso.
In questi ultimi due anni,
però, la sua vita è diventata
un problema: non riesce più a
trattenere nemmeno gli antibiotici che le sono stati prescritti per curare l’elicobacter
pilori, patologia identificata
da un gastroenterologo che
conosciute le abitudini alimentari della ragazza ha pensato di segnalare il caso ad
una collega psicologa.
Da un punto di vista psicologico, pazienti e familiari affermano che non ha mai avuto problemi: lei non li riconosce, la famiglia non li vuole
vedere, gli amici vedono una
persona allegra e felice: perché le sta accadendo tutto
questo? Perché il medico la
invia dallo psicologo? Tutto
ciò cosa significa? Cosa vuol
dire?
Lei afferma che i suoi genitori sono così cari e comprensivi, che il fratello è così simpatico, che gli amici sono così disponibili; ma poi afferma che con i familiari non si
parlano mai, non c’è un vero
dialogo.
Nessuno parla perché nessuno vuole vedere: la madre che
lavora a ore, si occupa di un
bambino con handicap; parla
un po’ più spesso con Cinzia
ma crede e preferisce raccon-
N. 128 - 2001
tarsi che sua figlia non riesce
ad alzarsi per andare a scuola
per un problema fisico: il problema della sua bambina si
chiama anemia. Nessuno crede che il vomito sia realmente un problema grave: questo
accade non tanto perché non
ne parlano, ma soprattutto
perché riescono a ignorare
che Cinzia si alza silenziosamente tutte le notti per cucinarsi quella pastasciutta che
non mangerà mai. Serve solo
per gratificarsi e riempirsi
in modo da potersi spossare
poi. Non percepiscono e
quindi non riconoscono. E
tutto rimane lì come sospeso
nel tempo: una figlia perfetta che non può essere ammalata, una ragazza che non
permette al proprio corpo di
evolversi, degli amici che
l’ammirano per quella sua capacità di essere sempre in linea, attraente, allegra disponibile eppure è sempre più
violenta, più aggressiva, più
antipatica con i fratellini, dice bugie e mente sistematicamente ai compagni di scuola.
Due vite: una di giorno e una
di notte, una in casa e una
fuori e con un corpo che media realtà così differenti ma
che deve essere perfetto.
Conclusioni
La presenza di modelli ambigui di identificazione comporta il non riuscire più a riconoscersi, a prendere decisioni autonome, a capire cosa si vuole fare e perché, a
sentirsi sbagliati e fisicamente‚ diversi. Qualsiasi sia la
strada intrapresa, é sempre
più frequente il sentimento
di insoddisfazione per una
realtà che dovrebbe essere
diversa.
La donna in carriera sente il
peso di un impegno su più
fronti, prova tensioni, sensi
di colpa, e insoddisfazioni
perché ha paura di non riuscire ad assolvere in modo
soddisfacente tutti i compiti.
La casalinga, al contrario, vive la sua condizione come
una non scelta, insoddisfatta
da un ruolo sociale al quale
ormai manca un pieno riconoscimento. Non potendo attivare una personale ricerca
in cui prospettarsi diversa, la
donna rimane vincolata o allo stereotipo della donna manager, di successo o a quello
di madre e figlia per bene essendo irrealizzabile la sintesi
che viene proposto dai massmedia.
È necessario allora investire
le proprie attenzioni su
qualcosa di concreto e di manipolabile: anoressia, bulimia, sono manifestazioni patologiche (in senso psichiatrico) di uno squilibrato rapporto col proprio corpo e con
il cibo, ma anche obesità e
magrezza. È preferibile apparire piuttosto che essere, infatti sia l’anoressica che la
bulimica vivono entrambe
l’insoddisfazione per un corpo che non é quello che vorrebbero. Sono ossessionate
dal proprio corpo perché si
rifanno ad un ideale estetico
che, fornito dall’esterno, è
biologicamente irraggiungibile. È un delirio collettivo al
quale partecipano anche i familiari che spesso non sono
in grado di fare un progetto
realistico per i figli. È un vivere senza passato e senza
futuro, inglobati in un presente senza fine e alla ricerca di un corpo che mai si
avrà.
N. 128 - 2001
Bibliografia
Prevenzione
219
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220
Dipartimento del diritto
alla salute e delle
politiche di solidarietà
Area servizi sanitari
territoriali e percorsi
assistenziali Commissione
regionale per l’assistenza
ai nefropatici cronici
1. Introduzione
a nutrizione artificiale
rappresenta una tecnica, a volte indispensabile, nel trattamento dei pazienti impossibilitati a provvedere, anche transitoriamente, ad una alimentazione
naturale, nei pazienti in cui
è utile a scopo terapeutico
una prolungata sospensione
dell’alimentazione per bocca,
nei neoplastici sottoposti a
cicli di chemio e/o radioterapia. Nella maggior parte dei
casi il supporto nutrizionale
è necessario per correggere
uno stato di malnutrizione o
per prevenirne l’insorgenza.
La malnutrizione si definisce
come “uno stato di alterazione funzionale, strutturale e
di sviluppo dell’organismo
conseguente alla discrepanza
tra fabbisogni, introiti ed
utilizzazione dei nutrienti,
tali da comportare un eccesso di morbilità e di mortalità
o una alterazione della qualità della vita”. Lo stato di
malnutrizione incide negativamente nel decorso della
malattia e può aumentare i
tempi di degenza e i costi,
oppure vanificare i tratta-
L
1
Spazio Toscana
N. 128 - 2001
Nutrizione artificiale
domiciliare
Linee organizzative e percorso
assistenziale
menti sostenuti (terapie, interventi chirurgici, assistenza medica ed infermieristica)
in caso sopravvengano complicanze cliniche.
I principi scientifici e le linee
guida per le indicazioni e le
applicazioni della nutrizione
artificiale sono quelli formulati dalla Società italiana di
nutrizione parenterale ed enterale (SINPE).
La nutrizione artificiale può
essere:
enterale, totale o di supporto,
quando sia parzialmente o totalmente utilizzabile l’apparato digerente;
parenterale, totale o di supporto, in pazienti che non
possono, non devono o non
vogliono utilizzare l’apparato
digerente.
1. La nutrizione artificiale domiciliare (NAD)
L’erogazione della nutrizione
artificiale a livello territoriale: domicilio, RSA, Ospedale
di Comunità, agevola il mantenimento del soggetto nel
suo ambiente di vita, con
conseguenti vantaggi umani
e sociali, e consente la riduzione del ricorso al ricovero
ospedaliero o della sua prosecuzione impropria.
Nell’ottica di incentivare l’erogazione della prestazione a
livello territoriale, è necessario che le strutture e le professionalità coinvolte abbiano un rapporto coordinato al
fine di fornire una risposta
efficace ai bisogni del paziente.
Le prestazioni relative alla
nutrizione artificiale sono individuate nel nomenclatore
tariffario delle prestazioni
specialistiche ambulatoriali
(delibera di G.R. n. 229/97 e
successive modifiche ed integrazioni). L’Azienda usl competente sul territorio garantisce la prestazione, con oneri
a carico dell’Azienda usl di residenza, anche avvalendosi,
qualora lo ritenga necessario,
di figure professionali dell’Azienda ospedaliera o di altra
Azienda usl.
Le modalità organizzative, di
erogazione della prestazione,
individuate dalla Azienda
usl, devono risultare, a regime, dai rispettivi atti di programmazione: PAL/PAO e nei
programmi annuali di attività.
2. Attori
• Azienda usl attraverso:
distretto
team nutrizionale
• team nutrizionale pediatrico regionale
2.1. Azienda usl
2.1.1. Distretto
attraverso:
1
Struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare
U.O. Assistenza infermieristica territoriale
Medici di Medicina generale/Pediatri di libera scelta
2.1.1.1. Responsabile Struttura dedicata per l’assistenza
territoriale domiciliare
• assicura la presa in carico
del bisogno di nutrizione artificiale del paziente organizzando l’adeguato servizio assistenziale;
• assicura il coordinamento
delle figure professionali
multidisciplinari che attuano il programma nel territorio;
• garantisce, nel caso in cui
l’accesso alla NAD sia successivo ad un ricovero, la continuità assistenziale tra Ospedale e territorio.
Si intende la struttura organizzativa già individuata dall’Azienda usl per gli interventi di natura socio-sanitaria a livello territoriale.
N. 128 - 2001
2.1.1.2. U.O. assistenza infermieristica territoriale
La caposala del servizio infermieristico distrettuale:
• verifica al domicilio del paziente l’adeguatezza dell’ambiente di lavoro e delle risorse strumentali impiegate;
• attiva l’intervento degli infermieri della U.O. preparati
dal team nutrizionale.
Gli infermieri del servizio territoriale sono responsabili
della gestione della nutrizione per quanto riguarda:
• la modalità di somministrazione delle miscele;
• la medicazione delle vie di
accesso.
Obiettivi generali e specifici,
ambiti di competenza e linee
guida, manuale delle procedure per i programmi di NAD
degli infermieri professionali,
sono quelli di cui alla delibera Regione Toscana n. 1534
del 30/12/1997.
In casi particolari possono
essere previste forme di pronta disponibilità per eventuali
urgenze.
2.1.1.3. Medico di medicina
generale/Pediatra di libera
scelta
• È responsabile del trattamento nutrizionale erogato a
livello territoriale e si avvale
della collaborazione delle
professionalità coinvolte nella attività;
• concorda con il medico
esperto in NAD le indicazioni
terapeutiche, il monitoraggio
del trattamento e i controlli
clinici necessari;
• attiva il percorso assistenziale valutando la fattibilità
del trattamento al domicilio o
presso altre strutture (RSA,
ospedale di comunità);
• partecipa alla formulazione,
Spazio Toscana
attuazione e rivalutazione
del piano assistenziale.
2.1.2. Team nutrizionale
Costituisce il riferimento per
ogni richiesta di prestazione
di NAD, sia parenterale che
enterale. Il team nutrizionale
è costituito dalle seguenti figure professionali esperte in
NAD:
• medico;
• farmacista;
• infermiere;
• dietista;
altre professionalità possono
essere cooptate nel gruppo
per esigenze particolari.
Il team nutrizionale è nominato dal Direttore generale
dell’Azienda sanitaria a livello aziendale con atto formale
nel quale dovranno essere indicati: nominativo, qualifica
dei singoli componenti con
l’indicazione della necessaria
e specifica esperienza maturata e la sede fisica di riferimento per le attività del
team nutrizionale. Il numero
dei componenti sarà stabilito
in relazione alla attività da
svolgere.
Qualora l’Azienda non disponga delle figure professionali richieste si potranno attivare convenzioni con altre
Aziende sanitarie locali o
Aziende ospedaliere.
Il Direttore generale provvederà inoltre a individuare un
referente che rappresenterà
l’Azienda nell’ambito del
gruppo regionale.
Il team nutrizionale, coordinato dal medico esperto in
NAD:
• convoca periodiche riunioni
con gli operatori coinvolti,
allo scopo di rivedere e migliorare le prestazioni e di
valutare l’attività svolta;
• predispone l’idonea modulistica relativa al consenso
informato del paziente e/o
dei familiari alle procedure di
NAD, all’addestramento ed
agli impegni a cui il paziente
è tenuto. Inoltre realizza
opuscoli informativi e didattici da mettere a disposizione
degli utenti e del personale
sanitario;
• cura il corretto inserimento
delle prestazioni NAD nella
Carta dei servizi aziendali;
• archivia i dati relativi all’attività di NAD;
• promuove e pubblicizza il
percorso assistenziale;
• decide le modalità di distribuzione delle miscele per la
Nutrizione parenterale totale
e dei prodotti per l’enterale,
nonché le modalità di gestione dei presidi necessari per la
loro erogazione;
• fornisce le opportune indicazioni in sede di acquisizione dei prodotti necessari per
la NAD al fine di garantire la
continuità assistenziale (in
particolare tra presidio ospedaliero / Azienda ospedaliera
e territorio);
• nel caso in cui l’attività sia
rivolta a bambini in età pediatrica:
- comunica al team nutrizionale pediatrico regionale i
dati relativi alla attività;
- attiva, nei casi opportuni, il
team nutrizionale pediatrico
regionale nelle modalità definite al punto 5.1.2.
2.1.2.1. Medico, infermiere,
dietista esperti in NAD
Partecipano secondo i propri
ambiti di competenza all’espletamento dei seguenti
compiti:
• valutazione dello stato nutrizionale;
221
• prescrizione personalizzata
del trattamento;
• coordinamento con il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta nella definizione del monitoraggio e
nei controlli clinici necessari;
• consulenza su richiesta dei
servizi territoriali o del medico di MG, anche a domicilio;
• promozione della formazione e dell’aggiornamento
degli operatori sanitari coinvolti a livello ospedaliero,
del personale infermieristico
del territorio, delle dietiste e
dei medici di Medicina generale;
• promozione e cura l’addestramento del paziente, del
familiare o di altra persona
idonea, che assume un ruolo
vicariante in caso di paziente
non autosufficiente, alla corretta gestione della NAD, anche avvalendosi di opuscoli e
manuali illustrativi;
• registrazione del consenso
informato;
• compilazione di una scheda
sanitaria da allegare alla cartella domiciliare del paziente.
2.1.2.3. Farmacista esperto in
NAD
È responsabile della selezione, dell’approvvigionamento,
della corretta conservazione,
dei nutrienti, dei presidi e
delle attrezzature necessarie
per la preparazione e per la
somministrazione delle miscele nutrizionali. Collabora
con il medico alla definizione
delle formule delle miscele
nutrizionali personalizzate
sulla base delle proprie conoscenze farmaceutiche e farmacologiche e allestisce le
stesse secondo specifici protocolli operativi.
Il farmacista territoriale è
222
responsabile della distribuzione dei prodotti, dei presidi e delle attrezzature necessarie alla esecuzione della
prestazione.
Qualora si renda necessario,
per venire incontro alle esigenze dei pazienti, l’Azienda
usl può organizzare la consegna dei prodotti, presidi e attrezzature direttamente a domicilio del paziente.
In casi particolari l’Azienda
usl può provvedere a quanto
sopra mediante l’attivazione
di una convenzione con ditte
accreditate.
3. Gruppo regionale per il
monitoraggio dell’attività
di NAD
Il gruppo regionale è costituito da un referente di ciascuna Azienda sanitaria ed
ha la finalità di monitorizzare l’attività di nutrizione artificiale sul territorio regionale. Il gruppo si riunisce periodicamente (almeno tre volte
l’anno) presso il Dipartimento
del diritto alla salute e delle
politiche di solidarietà.
3.1. Azioni
• monitoraggio dell’attività di
NAD sul territorio regionale;
• omogeneizzazione della attività a livello regionale;
• attività di indirizzo e di
supporto alle Aziende sanitarie ed agli operatori in materia di organizzazione e gestione.
4. Il percorso
assistenziale
La nutrizione artificiale viene
assicurata quando è necessaria:
• per correggere uno stato di
2
Spazio Toscana
malnutrizione o per prevenirne l’insorgenza;
• nei pazienti impossibilitati
a provvedere, anche transitoriamente, ad una alimentazione naturale;
• nei malati in cui è utile a
scopo terapeutico una prolungata sospensione dell’alimentazione per bocca;
• nei neoplastici sottoposti a
cicli di chemio e/o radioterapia.
I principi scientifici e le linee
guida per le indicazioni e le
applicazioni della nutrizione
artificiale sono di norma
quelli formulati dalla società
italiana di nutrizione parenterale ed enterale (SINPE).
Il percorso assistenziale viene
attivato con le modalità di
seguito individuate:
4.1. Paziente ospedalizzato 2
lo specialista ospedaliero del
reparto di ricovero contatta:
a) il team nutrizionale per valutare l’effettiva necessità del
trattamento (in caso di paziente degente in Azienda
ospedaliera deve essere assicurato il coordinamento con
il team nutrizionale dell’Azienda usl di residenza);
b) il medico di Medicina generale dell’interessato / pediatra di libera scelta, per valutare la possibilità di cura al
domicilio (RSA, Ospedale di
Comunità).
In caso affermativo quest’ultimo contatta, presso il distretto, il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza
territoriale domiciliare.
Il team nutrizionale, il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta, il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza terri-
toriale domiciliare concertano il piano assistenziale per il
paziente.
Il team nutrizionale
• decide il tipo di trattamento e la composizione della
miscela nutritiva personalizzata da allestirsi da parte
della U.O. farmaceutica ospedaliera, la quale potrà utilizzare anche miscele preconfezionate;
• promuove e cura il necessario training formativo, anche
avvalendosi di appositi opuscoli, da consegnare al paziente, redatti con terminologia semplice e comprensibile,
indicanti le nozioni fondamentali circa la prestazione,
le sue modalità applicative, i
riferimenti in caso di necessità, l’elenco del materiale da
utilizzare, le operazioni da
eseguire a domicilio;
• assicura una consulenza
specialistica anche telefonica
per ogni eventuale urgenza o
necessità.
Il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta
• valuta la possibilità di erogare la nutrizione a livello
domiciliare (RSA, Ospedale di
Comunità) anche in relazione
alle condizioni socioeconomiche, psicoemotive e di autonomia del paziente;
• conseguentemente definisce, con il responsabile della
struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare, il livello di assistenza domiciliare adeguato e si assicura che il paziente e/o i familiari siano stati sufficientemente formati ed informati
per una gestione autonoma
della terapia al domicilio;
dell’Azienda usl, dell’Azienda ospedaliera o di struttura privata accreditata.
N. 128 - 2001
• si rapporta con il medico
esperto in NAD ogni volta che
la situazione clinica del paziente lo richieda e per ogni
eventuale necessità. Nel caso
di bambini si rapporta anche
con il team nutrizionale pediatrico regionale.
Il responsabile della struttura
dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare
Attraverso le figure professionali idonee e avvalendosi del
team nutrizionale garantisce
la continuità assistenziale e
terapeutica tra Ospedale e
territorio; a questo fine organizza l’assistenza domiciliare
prima che il paziente sia dimesso dall’Ospedale. Assicura
al paziente tutto il materiale
necessario alla esecuzione
della prestazione.
U.O. assistenza infermieristica
territoriale
La caposala del servizio infermieristico distrettuale verifica l’adeguatezza dell’ambiente di lavoro a domicilio e attiva l’intervento degli infermieri del servizio territoriale
che sono responsabili della
gestione della nutrizione per
quanto riguarda la modalità
di somministrazione delle miscele e la medicazione delle
vie di accesso.
4.2. Paziente non ospedalizzato
Il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta
a) contatta il team nutrizionale per valutare l’effettiva
necessità nutrizionale;
b) valuta la possibilità di attivare la nutrizione artificiale
a livello domiciliare ( RSA,
Ospedale di Comunità) anche
in relazione alle condizioni
N. 128 - 2001
socioeconomiche, psicoemotive, di autonomia e alla
realtà abitativa del paziente;
c) eventualmente contatta,
presso il distretto, il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale
domiciliare.
Si rapporta con il team nutrizionale ogni volta che la situazione clinica del paziente
lo richieda e per ogni eventuale necessità. Nel caso di
bambini si rapporta anche
con il team nutrizionale pediatrico regionale.
Il team nutrizionale, il medico
di medicina generale/pediatra
di libera scelta, il responsabile
della struttura dedicata per
l’assistenza territoriale domiciliare concertano il piano assistenziale per il paziente.
Il team nutrizionale
• decide il tipo di trattamento e la composizione della
miscela nutritiva personalizzata da parte della U.O. farmaceutica ospedaliera, la
quale potrà utilizzare anche
miscele preconfezionate;
• promuove e cura il necessario training formativo, anche
avvalendosi di appositi opuscoli, da consegnare al paziente, redatti con terminologia semplice e comprensibile,
indicanti le nozioni fondamentali circa la prestazione,
le sue modalità applicative, i
riferimenti in caso di necessità, l’elenco del materiale da
utilizzare, le operazioni da
eseguire a domicilio;
• assicura una consulenza
specialistica anche telefonica
per ogni eventuale urgenza o
necessità.
Il responsabile della struttura
dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare
Attraverso le figure profes-
Spazio Toscana
sionali idonee e avvalendosi
del team nutrizionale organizza l’assistenza al domicilio dell’utente, assicurando
tutto il materiale necessario
all’esecuzione della prestazione.
U.O. assistenza infermieristica
territoriale
La caposala del servizio infermieristico distrettuale verifica l’adeguatezza dell’ambiente di lavoro a domicilio e attiva l’intervento degli infermieri del servizio territoriale
che sono responsabili della
gestione della nutrizione per
quanto riguarda la modalità
di somministrazione delle miscele e la medicazione delle
vie di accesso.
4.3. Compiti del paziente
Al paziente viene assicurata
l’assistenza opportuna e necessaria nelle modalità definite dal responsabile della
struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare
congiuntamente con il medico di Medicina generale/pediatra di libera scelta.
Il farmacista territoriale è
responsabile della distribuzione dei prodotti, dei presidi e delle attrezzature necessarie alla esecuzione della
prestazione. Qualora si renda
necessario, l’Azienda usl può
organizzare la consegna dei
prodotti, presidi e attrezzature direttamente a domicilio del paziente. In casi particolari l’Azienda usl può
provvedere a quanto sopra
mediante l’attivazione di
una convenzione con ditte
accreditate.
Il paziente è tenuto, nel suo
interesse, a condurre il trattamento secondo le metodiche apprese durante il corso,
accettando le prescrizioni e le
eventuali variazioni ritenute
necessarie dai medici.
5. Il paziente in età
pediatrica
Per il paziente in età pediatrica, il percorso assistenziale
si distingue da quello previsto per il paziente in età
adulta esclusivamente per la
possibilità di attivare, da parte del team nutrizionale
aziendale, considerata la particolarità e la specificità che
l’intervento può assumere, il
team nutrizionale pediatrico
regionale.
5.1. Team nutrizionale pediatrico regionale
Il team nutrizionale pediatrico, attualmente istituito all’interno dell’Azienda ospedaliera Meyer, costituisce il Centro di riferimento regionale
per la nutrizione artificiale
pediatrica (delibera di giunta
regionale n. 1036/1999), raccoglie i dati relativi alla attività svolta su tutto il territorio regionale a fini statistici
ed epidemiologici.
Azioni:
qualora venga attivato:
• assicura, l’assistenza nutrizionale domiciliare, nei pazienti in età pediatrica, sul
territorio regionale;
• si rapporta con il team nutrizionale aziendale e con il
pediatra di libera scelta dell’assistito;
• assicura l’addestramento
dei familiari alla NAD;
• individua le miscele per la
nutrizione parenterale totale
ed i prodotti per l’enterale;
• organizza corsi di aggiornamento e perfezionamento per
le varie professionalità coinvolte nella nutrizione artificiale pediatrica.
223
5.1.2. modalità di intervento
del team nutrizionale pediatrico regionale
• Il pediatra di libera scelta
dell’assistito contatta il team
nutrizionale aziendale;
• il team nutrizionale aziendale può attivare, in relazione alle necessità cliniche del
caso, il team nutrizionale pediatrico regionale al fine di:
a) affidamento e presa in carico del bambino per tutta
l’attività relativa alla NAD
(attività medica, prescrizioni
nutrizionali, l’eventuale erogazione dei prodotti nutrizionali e delle attrezzature di
supporto) con esclusione della normale assistenza infermieristica domiciliare che rimane a carico del distretto di
competenza;
b) consulenza occasionale o
continuativa, di cui si può
avvalere anche il pediatra,
inclusa l’eventuale erogazione dei prodotti e delle attrezzature necessarie.
Nella fattispecie di cui al precedente punto a) il team nutrizionale pediatrico regionale provvede ad assicurare l’eventuale erogazione dei prodotti nutrizionali e la fornitura delle attrezzature idonee
alla loro somministrazione, la
consulenza dietetica, la consulenza infermieristica specifica, le medicazioni e la cura
periodica del catetere o delle
sonde nutrizionali, il monitoraggio dello stato nutrizionale e l’adattamento della terapia nutrizionale alle condizioni cliniche. L’attività del
team nutrizionale pediatrico
regionale viene svolta con intervento diretto o attraverso
il team nutrizionale aziendale, in accordo con il pediatra
di libera scelta.
L’esigenza e la possibilità di valutare
le prestazioni offerte dal servizio pubblico
LA QUALITÀ PERCEPITA E
L’INFORMAZIONE AI CITTADINI
Le iniziative per aprire un dialogo
tra gli operatori sanitari e gli utenti
Esperienze e progetti utili per il superamento
dei problemi segnalati dai cittadini
e dalle associazioni che li rappresentano.
Monografia a cura di Antonio Alfano e Carlo Hanau
Parte degli articoli della monografia, sono stati tratti dagli atti del Congresso dell’ALASS,
svoltosi a Lyon dal 12 al 14 settembre 2001.
Il prossimo CALASS si terrà il 26-28 settembre 2002.
N. 128 - 2001
Carlo Hanau
Dipartimento di Scienze
statistiche, Università di
Bologna
I
sistemi privati liberisti
puri assegnano al paziente il ruolo di consumatore, di attore della domanda
che acquista beni e servizi sanitari sul mercato, pagandone il prezzo. Ammesso e non
concesso che ci possa mai essere un libero mercato sanitario, la sua capacità di regolare razionalmente il sistema
sanitario dipende dalla consapevolezza e ragionevolezza
dei consumatori. Questi devono ottenere il massimo dell’informazione possibile per
esprimere le loro scelte personali, al fine di massimizzare i risultati in termini di utilità per la salute ottenuta, a
fronte delle spese sostenute.
L’informazione è altresì necessaria per soddisfare l’esigenza giuridica fondamentale
dell’espressione del consenso
informato, prevista in ogni
tipo di sistema sanitario,
pubblico o privato, condizione necessaria perché possa
avvenire il trattamento sanitario senza ledere il diritto
personale ed indisponibile
del proprio corpo. I sistemi
che più si avvicinano al modello liberista, come quello
degli USA e della Confederazione Elvetica, giustamente
tendono ad accentuare il problema dell’informazione del
paziente.
225
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Il ruolo dei pazienti
nei vari sistemi
sanitari
Il ruolo di pagatore diretto
assunto dal paziente (che
paga di tasca propria facendo un sacrificio immediato e
rinunciando a un ventaglio
di scelte possibili alternative) ne valorizza l’importanza, anche se lascia irrisolto il
problema dell’equità nella
distribuzione delle cure, sia
quelle preventive, per le
quali molti individui dimostrano scarsa sensibilità e
consapevolezza, sia quelle
importanti e costose, in
quanto la maggior parte dei
pazienti non dispone della
capacità di spesa necessaria
ad acquistarle, proprio perché la malattia riduce in genere la ricchezza e la disponibilità di spesa degli individui. A questo problema i sistemi sanitari meno solidaristi cercano di dare una risposta di tipo assicurativo
integrata da livelli minimi di
assistenza offerti ai poveri
(ad esempio le Contee americane si accollano queste spese). Ovviamente i poveri non
possono scegliere le cure altro che fra quelle offerte dalla Contea ove risiedono, di
basso costo e di qualità scadente: per loro l’informazione è negata, in quanto sarebbe soltanto motivo di frustrazione, e la loro partecipazione attiva alla decisione
Il giudizio sui risultati delle cure base del
miglioramento della salute pubblica e della
sanità
collettiva sui livelli minimi
di assistenza è molto ridotta,
sia perché spesso non si recano neppure a votare, sia
perché in ogni caso rappresenterebbero tutti insieme
una quota molto ridotta dell’insieme dei cittadini aventi
diritto al voto. Ai poveri resta la scelta di cambiare la
residenza e di scegliere quella Contea e quello Stato che
concede maggiori benefici,
aggravando la situazione finanziaria delle collettività
democratiche più solidali.
Negli USA il paziente può
giocare un ruolo individuale
attivo di controllo sulle cure
ricevute anche attraverso il
ricorso giudiziario per il risarcimento dei danni dovuti
alla cattiva pratica degli operatori: non a caso il valore di
queste azioni legali è talmente elevato che gli operatori
debbono pagare premi assicurativi elevatissimi alle assicurazioni, che assorbono quasi
un terzo dei loro onorari,
spingendo la spesa sanitaria
complessiva a valori ben più
elevati rispetto agli altri Pae-
si, che pure hanno sistemi sanitari paragonabili.
Nei nostri Paesi, più vicini al
modello solidale, il sistema
privato puro si realizza in
casi limitati, ad esempio per
la medicina estetica, dove il
paziente è il miglior metro di
valutazione dei risultati, oppure negli altri casi lasciati
scoperti dal terzo pagante,
come ad esempio gran parte
delle cure dentali, ove pure
l’aspetto estetico è importante.
I sistemi assicurativi, quasi
sempre obbligatori nei nostri
Paesi, introducono una componente di solidarietà nei
confronti del paziente, sollevandolo dal ruolo di diretto
pagante delle cure. Il ruolo
del paziente singolo, molto
rilevante nel caso del liberismo puro, viene ridotto dal
ruolo assunto dalla collettività degli assicurati, alla quale spetta una serie di decisioni preliminari, sia sul finanziamento che sulle modalità
di assistenza che l’assicurazione intende coprire. Si tratta, tuttavia, di una colletti-
226
vità di assicurati (per la maggior parte sani) e non di una
collettività di pazienti, per
cui gli interessi degli assicurati si differenziano da quelli
del gruppo più ristretto dei
pazienti. Gli assicurati possono assumere un ruolo importante, come nel caso della
H.M.O. (Organizzazioni per il
mantenimento della sanità
istituite in USA trent’anni
addietro), oppure subire passivamente le scelte che vengono prese dai dirigenti delle
mutue, sia perché praticamente si lasciano condizionare dalle proposte già confezionate presentate in assemblea (spesso scarsamente partecipata), sia perché l’ordinamento giuridico può imporre
che dirigenti mutualistici siano nominati dal potere politico, come ad esempio è avvenuto in Italia nel periodo
che va dal ventennio fino alla riforma sanitaria del 23 dicembre 1978.
I sistemi sanitari di tipo solidale (NHS in Gran Bretagna,
SSN in Italia) spostano a livello civico-politico, a livello
della collettività dei cittadini
(per la maggior parte sani) le
decisioni prima di competenza della collettività degli assicurati. I cittadini delegano
ai loro rappresentanti politici
(a vari livelli territoriali, nazionali, regionali e locali, fino al Comune e al distretto)
la decisione sulle principali
variabili del sistema: quantità e modalità del finanziamento pubblico e modalità di
erogazione dell’assistenza,
sulla base del grado di solidarietà che la società concorda
di garantire alle persone malate e bisognose di servizi sanitari. Il Governo nazionale
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
determina ed attua i livelli
essenziali, quelli che costituiscono diritto di cittadinanza comune a tutti; su
queste basi il decentramento
politico-amministrativo ed il
federalismo fiscale possono
migliorare ed aumentare gli
interventi sanitari essenziali,
garantendo le relative entrate
fiscali. Il federalismo e la
competenza politica sanitaria
delegata all’ente locale minore, che può essere il Comune,
un consorzio di Comuni oppure un’autorità specifica
sulla sanità, come l’Azienda
sanitaria locale o il distretto
sanitario o sociosanitario, avvicinano al cittadino la problematica, e gli consentono,
almeno teoricamente, di verificare come i soldi pubblici
vengono spesi nel settore sanitario, per soddisfare le vere
esigenze dei pazienti, che
normalmente eccedono la disponibilità delle cure offerte,
in quanto la medicina moderna offre cure sempre più efficaci e costose.
In tutti i casi in cui esiste un
terzo pagante vi può essere
un conflitto di interesse fra
chi rappresenta il pagante ed
i pazienti. Il ruolo dei pazienti, sia singoli che associati,
tende ad aumentare quantità
e qualità delle cure prestate,
e quindi le relative spese,
mentre il rappresentante del
terzo pagante tende a fare rispettare i tetti del bilancio
preventivo, per garantire il
pareggio del bilancio. La formule del NHS o SSN, dove le
spese sanitarie non sono a
carico di un ente assicurativo
mutualistico, ma dello Stato
o delle sue ripartizioni politico-amministrative territoriali, non riduce la preoccupa-
zione di superare i tetti del
bilancio, in quanto la crisi fiscale dello Stato e degli enti
pubblici accompagna la nostra storia da circa trenta anni. Questa preoccupazione si
traduce in un contenimento o
in una riduzione delle spese
sanitarie pubbliche.
In questo contesto i pazienti
applicano diverse strategie
per ottenere il soddisfacimento dei loro bisogni: dal ricorso del singolo alla magistratura contro il rifiuto o il
rinvio delle cure, per ottenere prestazioni ritenute essenziali, alla costituzione di associazioni di malati e di familiari di malati in tutti quei
casi in cui la lunghezza della
malattia (sempre più spesso
cronica) consente di organizzare un’associazione più o
meno strutturata, che conduce azione di lobby in favore
delle richieste specifiche delle cure il cui diritto sia contestato.
Da molti anni operano altre
associazioni di volontari od
organizzazioni senza fini di
lucro che si sono dedicate alla difesa dei diritti dei pazienti in genere, coprendo
anche le necessità dei pazienti acuti, che per la brevità
della loro malattia non possono formare un’associazione
di autodifesa. Si tratta di
un’estensione a questo settore delle analoghe associazioni
ed organizzazioni nate per la
difesa dei diritti dei consumatori: nella sanità la posizione dei consumatori è particolarmente asimmetrica, e
cioè debole, rispetto a quella
degli operatori sanitari, che
risultano ancor più forti se
inseriti nella Pubblica Amministrazione.
N. 128 - 2001
Il primo compito di queste associazioni consiste nell’aumentare il potere contrattuale
del paziente, attraverso
l’informazione. I due diritti
che devono essere rinforzati
sono il diritto di voce e il diritto di exit. La legislazione
nazionale a cui fare riferimento è l’art. 14 del decreto delegato n. 502/1992 con le successive modifiche, fra le quali,
di grande importanza, quelle
stabilite dal decreto delegato
n. 229/1999, che concedono
alle associazioni il diritto di
intervenire anche nel momento essenziale dell’accreditamento delle strutture e della
programmazione dei servizi,
oltre che nelle aree dell’umanizzazione, della personalizzazione e del comfort. L’istituzione formale di Comitati o
Commissioni (presso le AS ed i
distretti), che per loro natura
non possono essere altro che
consultivi e misti (partecipati
cioè da rappresentanti delle
associazioni interessate e da
funzionari dell’Azienda) consente di dare voce agli utenti,
anche assumendo e valorizzando tutte le segnalazioni di
disservizi che vengono trasmesse.
A livello individuale l’informazione può portare alla
consapevolezza che l’ignoranza dei pazienti trova spesso
un parallelo nell’incertezza
del medico: di conseguenza si
può ridurre l’effetto placebo
della cura, ma si pongono le
basi per instaurare un rapporto corretto e maturo fra
paziente e medicina, in particolare quella basata sull’evidenza. Il consenso informato
resta un’esigenza prioritaria
indiscutibile, anche se in particolari situazioni altri eserci-
N. 128 - 2001
ta il diritto di scelta: in particolare nessuno può essere
obbligato ad essere personalmente informato.
Il punto di vista del paziente
sui risultati ottenibili ed ottenuti resta comunque il metro di valutazione del prodotto finale delle cure. Anche
quando gli esperti hanno valutato il livello di efficacia di
una cura mediante i migliori
metodi epidemiologici di vali-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
dazione, in termini di anni di
vita guadagnati al netto degli
effetti negativi collaterali,
anche quando gli esperti hanno ponderato gli anni di vita
secondo la qualità di vita percepita (come media) da una
collettività o da un giurì appositamente costituito, non si
deve dimenticare che la valutazione finale delle utilità ricavate dagli anni di vita in
più e dai miglioramenti attesi
deve essere compiuta dal singolo paziente direttamente
interessato, che possiede un
proprio personale modo di valutare il rischio e il beneficio,
talvolta molto lontano dalla
percezione media della collettività di cui è parte.
Informazione e partecipazione, collettiva, associata ed
individuale, del cittadino e
dell’utente costituiscono le
basi per un miglioramento
227
della salute prima ancora che
della sanità: dalla prevenzione primaria a quella terziaria,
dalla cura degli episodi acuti
a quella delle malattie croniche, i comportamenti individuali e collettivi assumono
un’importanza crescente per
vincere la sfida del terzo millennio, che consiste nell’aumentare la qualità degli anni
di vita che sempre più copiosi ci vengono concessi.
228
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Roberta Bottai*
Vera Micheletti*
Antonio Alfano*
Carlo Cellerini*
*
Area Politiche per la qualità
dei servizi sanitari,
Dipartimento Diritto alla salute
e politiche di solidarietà,
Regione Toscana
T
ra gli obiettivi strategici
collegati al rinnovamento degli scenari del sistema sanitario figura la necessità di sviluppare una cultura di programmazione e di
organizzazione flessibile ed
aperta, nell’ottica di un costante miglioramento della
qualità.
In questo contesto è sempre
più sentita la necessità di
promuovere e realizzare iniziative comunicative nell’ambito dei servizi socio-sanitari.
Tali interventi devono puntare particolarmente a:
• favorire l’integrazione operativa tra le strutture che
prevedono interventi da parte di operatori con attività e
professionalità spesso differenti fra loro;
• rivolgere particolare attenzione ai bisogni ed alla soddisfazione del cittadino;
• tendere alla valorizzazione
e motivazione del personale
dipendente e convenzionato
nei diversi servizi;
• favorire strategie di informazione rivolte, sia al singolo cittadino che alla comunità, con particolare attenzione ai mass media.
Una efficace attività di comunicazione in ambito istituzionale, oltre che all’utilizzo di
N. 128 - 2001
Indagini di
soddisfazione rivolte
agli utenti
precise ed articolate strategie, deve tendere a sviluppare anche metodologie di
ascolto in grado di recepire i
bisogni e le attese del cittadino in un’ottica di qualità.
Scenario di riferimento
In questo contesto, dal punto di vista programmatico, la
Regione Toscana rivolge particolare attenzione agli
aspetti della comunicazione
e dell’attenzione ai bisogni
del cittadino. Il Piano sanitario regionale 1999/2001
identifica, nell’ambito delle
politiche di sistema per la
qualità, la comunicazione
quale strumento teso a “qualificare il rapporto fra cittadino e servizio sanitario e favorire l’autonomia decisionale degli utenti. L’attività di
comunicazione dovrà configurarsi in particolare come
strumento per il coinvolgimento del personale operante
all’interno del servizio sanitario regionale, per acquisire
una maggiore consapevolezza ed adesione all’obiettivo
di
qualificazione
del
servizio”.
Tra le strategie di comunicazione assumono grande significato le modalità di ascolto,
tra cui l’analisi dei reclami e
Strumenti di rilevazione, metodologie e risultati di una sperimentazione svolta dalla
Regione Toscana
le indagini di soddisfazione.
Quest’ultime in particolare
sono un importante strumento per verificare i risultati
conseguiti in relazione alle
attese, per capire le potenzialità di avvicinamento tra
domanda e offerta. I cittadini, in quanto destinatari dei
servizi sanitari, possono
esprimere la loro percezione
di qualità, possono contribuire a far emergere i punti critici e di eccellenza del sistema, i problemi specifici del
territorio.
Secondo
l’Organizzazione
mondiale della sanità (OMS)
“un programma qualità di un
sistema sanitario ha lo scopo
di garantire che ciascun paziente riceva gli interventi
diagnostici, terapeutici ed
educativi più indicati ed al costo minore possibile per lo
stesso risultato, … con soddisfazione rispetto agli interventi ricevuti, ai contatti
umani con il personale, agli
esiti”.
Anche secondo il “Royal Col-
lege of Physicians” di Londra
“la soddisfazione del paziente
rappresenta un risultato dell’assistenza sanitaria e come
tale deve essere opportunamente valutata attraverso criteri obiettivi di misurazione”.
Questi concetti vengono recepiti anche dalla direttiva del
Consiglio d’Europa del 1997
in particolare nel paragrafo
“Qualità nell’assistenza sanitaria: il punto di vista dei pazienti” viene evidenziato come questo sia una guida
estremamente valida per valutare se sia stato fornito o
meno il servizio sanitario
adeguato.
Nella stessa direttiva viene
anche ricordato che le indagini di soddisfazione dei pazienti sono misurazioni importanti per stabilire che cosa i pazienti pensano del servizio.
Per fornire un quadro informativo completo sui risultati
delle strategie e delle azioni
intraprese, la Regione Toscana
punta ad affiancare ai dati
N. 128 - 2001
gestionali-economici, che derivano da fonti informative
interne al sistema, le risultanze dei questionari di soddisfazione effettuate sui cittadini/utenti, con una metodologia corretta e attenta ad
eventuali distorsioni. Si vuole integrare l’approccio generalmente “quantitativo” al fenomeno con una lettura di
tipo “qualitativo”, in grado
di offrire una comprensione
più approfondita dei dati, al
fine di ottenere una valutazione multidimensionale della qualità dei servizi sociosanitari.
La legge regionale della Toscana 22/2000, riguardante
il riordino delle norme per
l’organizzazione del servizio
sanitario regionale, all’art.
19, ribadisce come il compito della Regione sia quello di
definire i criteri e le modalità di partecipazione dei cittadini alle iniziative di verifica della funzionalità e della qualità dei servizi delle
Aziende sanitarie. L’obiettivo è sempre quello di costruire un nuovo e più saldo
rapporto di fiducia tra cittadini e SSR.
Nel sistema sanitario toscano
le indagini di soddisfazione
hanno una loro ricaduta organizzativa anche in rapporto al processo di accreditamento. A tale proposito è
previsto, in merito ai requisiti organizzativi, che nell’azienda sanitaria vengano effettuate periodicamente indagini di soddisfazione dell’utente, nell’ottica di garantire momenti di confronto diretto con i cittadini/utenti.
È stato ritenuto opportuno
rafforzare il processo culturale e formativo che si sta svi-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
luppando nelle Aziende sanitarie sui temi della comunicazione e della partecipazione dei cittadini
“Benchmarking”
interaziendale sulla
qualità percepita
Nella strategia complessiva
del percorso qualità la Toscana ha considerato l’opportunità di individuare strumenti
di rilevazione e metodologie,
il più possibile standardizzati
e replicabili nelle diverse
realtà aziendali, nell’ottica
del benchmarking, che consentano di ottenere una misura valida, attendibile e
confrontabile della soddisfazione degli utenti.
Si vuol puntare sul benchmarking che, al di là delle
difficoltà
terminologiche,
corrisponde ad una delle
azioni più comuni, non solo
nell’ambito manageriale ma
anche nella vita di tutti i
giorni, quale “il confronto
con le esperienze altrui per
cercare di migliorare le proprie attività”, nel caso specifico teso al miglioramento
degli aspetti della qualità
percepita.
Per queste ragioni sono state
avviate dei percorsi sperimentali a carattere regionale,
su indagini di soddisfazione
rivolte sia agli utenti di presidio di ricovero che a utenti
di ambulatori di recupero e
riabilitazione funzionale.
Obiettivo delle sperimentazioni è quello di verificare la
validità del questionario di
rilevazione e delle modalità
operative, al fine di costruire
specifiche linee guida per le
indagini di soddisfazione legate alle tipologie di strutture individuate.
La metodologia di lavoro utilizzata per la progettazione e
la pianificazione delle sperimentazioni ha previsto la costituzione di gruppi di lavoro
specifici per ciascuna indagine, a cui hanno partecipato
esperti regionali dell’Area
“Politiche per la qualità dei
servizi sanitari del Dipartimento del Diritto alla salute e
delle Politiche di Solidarietà”
e dell’Ufficio Programmazione Controlli - Area extra-dipartimentale Statistica assieme a rappresentanti delle
Aziende sanitarie.
In particolare alla sperimentazione dell’indagine rivolta
agli utenti di presidio di ricovero, approvata con Delibera
di Giunta regionale n.
1402/2000, hanno partecipato l’Azienda USL 2 di Lucca,
l’Azienda USL 8 di Arezzo,
l’Azienda Ospedaliera Pisana,
l’Azienda Ospedaliera Senese,
l’Azienda Ospedaliera Meyer
di Firenze. Alla sperimentazione dell’indagine di soddisfazione rivolta agli utenti
dei servizi ambulatoriali di
recupero e riabilitazione funzionale, approvata con Delibera di Giunta regionale n.
789/2001, hanno partecipato
l’Azienda USL di 4 di Prato,
l’Azienda USL 5 di Pisa, l’Azienda USL 6 di Livorno e l’Azienda USL 9 di Grosseto,
Sperimentazione
regionale su indagine di
soddisfazione rivolta agli
utenti di presidio di
ricovero
La tipologia di struttura presa in esame in questa sperimentazione è il presidio di ricovero che costituisce uno
dei momenti fondamentali
del percorso assistenziale.
229
Questionario
Lo strumento di rilevazione
concordato dal gruppo di lavoro e oggetto di sperimentazione è suddiviso in varie
sezioni: le prime quattro mirano a valutare il grado di
soddisfazione dell’utente rispetto ad alcuni aspetti del
ricovero (accoglienza, assistenza e rapporti con il personale medico e infermieristico del reparto, comfort e
dimissioni), due sezioni successive forniscono alcune
informazioni generali di tipo
anagrafico e sulle modalità
del ricovero. Nel caso di questionario rivolto ad un paziente in età pediatrica (016 anni), lo stesso viene
compilato da un genitore o
altro parente del bambino/a
ricoverato. Un’ultima sezione infine, predisposta solo
per la fase di sperimentazione, mira a cogliere eventuali
punti critici del questionario
e della modalità di somministrazione.
Metodologia
La metodologia di indagine
deriva dalla scelta di utilizzare un questionario autocompilato la cui consegna, compilazione e raccolta avviene
nella struttura ospedaliera.
Tale scelta ha dovuto tener
conto dei numerosi vincoli
operativi e di spesa delle
Aziende.
Poiché con la sperimentazione si intendono testare la
modalità e lo strumento di rilevazione proposti, a prescindere dai risultati ottenuti,
per abbreviare i tempi, questa viene realizzata solo in
alcune unità operative e per
un periodo di due settimane
consecutive.
230
Poiché in fase di sperimentazione l’indagine viene effettuata solo in alcune unità
operative, ma il suo funzionamento in termini di modalità e strumento di rilevazione e/o le eventuali osservazioni che da essa deriveranno saranno poi estese a tutte le unità operative, è fondamentale che le unità operative incluse nella sperimentazione siano scelte con
metodo casuale. La scelta ragionata delle unità operative
potrebbe garantire dei risultati apparentemente migliori. In questo modo potrebbero essere selezionate quelle
unità operative nelle quali,
ad esempio, il personale interno è più disponibile o più
motivato.
Dalle unità operative da selezionare, vengono escluse, per
le particolare patologie, i nidi, le terapie intensive, le
psichiatrie.
Distribuzione del questionario
Il personale individuato dall’Azienda consegna al degente, al momento in cui allo
stesso vengono comunicate le
dimissioni, la lettera di presentazione dell’iniziativa, il
questionario ed una busta,
garantendo una corretta e comune presentazione del questionario tale da incentivare
gli utenti a compilarlo. Il personale incaricato si rende
inoltre disponibile a fornire
informazioni affinché il paziente comprenda l’importanza dell’iniziativa e sia così
maggiormente motivato a
esprimere, attraverso il questionario, il suo giudizio. Si
prevede nella fase di consegna del questionario anche
un possibile coinvolgimento
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
N. 128 - 2001
delle associazioni di volontariato e tutela,
La lettera di presentazione
dell’iniziativa, redatta dall’Azienda sanitaria, esplicita
gli obiettivi dell’indagine, le
modalità di compilazione e
di raccolta del questionario e
fornisce garanzie di anonimato.
trattamenti (disponibilità degli operatori, rispetto della
riservatezza, comfort dell’ambiente, ecc.)
La terza sezione raccoglie alcune informazioni generali
(anagrafiche, sull’insorgenza
dell’evento che ha determinato l’intervento riabilitativo,
ecc.).
Una quarta sezione infine,
predisposta solo per la fase di
sperimentazione, mira a cogliere eventuali punti critici
del questionario e della modalità di somministrazione.
Compilazione e riconsegna del
questionario
Il questionario viene compilato dai pazienti prima di essere
dimessi, prevedendo in questa
fase anche l’eventuale collaborazione di familiari. Al momento delle dimissioni i pazienti inseriscono il questionario compilato in una apposita urna. Si è ritenuto opportuno misurare il grado di soddisfazione degli utenti ospedalieri alla conclusione del ricovero ospedaliero, anziché
nel corso dello stesso, poiché
questo consente di avere un
giudizio su tutte le fasi del ricovero e riduce l’effetto del
condizionamento ambientale.
Caduta di risposta
Per calcolare la caduta di risposta ed essere eventualmente in grado di adottare
soluzioni idonee a ridurla,
occorre conoscere, per ogni
unità operativa, il numero di
rispondenti (equivalente al
numero di questionari compilati), il numero di soggetti
dimessi dalle U.O. coinvolte
nella sperimentazione nel periodo di indagine e per ciascuno dei due gruppi di soggetti le seguenti informazioni: distribuzione per classi
d’età, per sesso, per giorni di
degenza, per tipologia di ricovero (programmato o d’urgenza), per residenza.
Documentazione dei processi
Per certificare la qualità dell’indagine si è ritenuto necessario richiedere a tutte le
Aziende coinvolte nella sperimentazione un piano di indagine con la descrizione nel
dettaglio dei compiti, delle
responsabilità e dei tempi di
tutte le fasi . Si richiedono
inoltre:
- le eventuali difficoltà incontrate durante la distribuzione dei questionari;
- i motivi di eventuali rifiuti
a collaborare espressi da soggetti a cui viene consegnato
il questionario.
Sperimentazione
regionale di indagine di
soddisfazione rivolta agli
utenti di presidio
ambulatoriale di recupero
e riabilitazione
funzionale
Un ulteriore fase di sperimentazione è riservata alla
rilevazione della qualità percepita da parte degli utenti
delle strutture ambulatoriali
di recupero e riabilitazione
funzionale. Questi presidi
rientrano tra l’altro nel programma regionale di accreditamento.
L’indagine è rivolta agli utenti che hanno terminato un ciclo di trattamento ex art. 26
L. 833/78.
Questionario
Il questionario è suddiviso in
quattro sezioni: le prime due
mirano a valutare il grado di
soddisfazione dell’utente rispetto:
- alle informazioni e all’accoglienza ricevuta al momento
dell’accesso al servizio riabilitativo,
- alla fase più specifica dei
Metodologia
La metodologia di indagine è
stata decisa a conclusione dell’attività di un gruppo di lavoro tecnico misto RegioneAziende e deriva dalla scelta
di contattare gli utenti alla fine del loro ciclo di trattamento e dalla scelta, tenuto conto
che si tratta di utenti con criticità estremamente diversificate dal punto di vista psicomotorio, di offrirgli anche la
possibilità di compilare il questionario a casa. Tale scelta,
dal punto di vista metodologico, allo stato attuale è sembrata quella più attuabile.
Con la sperimentazione si intendono testare unicamente la
modalità e lo strumento di rilevazione proposti. Non essendo importante a tal fine la rappresentatività dei risultati ottenuti questa viene realizzata
solo per tre mesi consecutivi.
Per ciascuna Azienda i dati
vengano raccolti a livello di
singola sede di erogazione
(struttura riabilitativa erogatrice).
Distribuzione
Il questionario deve essere
consegnato agli utenti possi-
N. 128 - 2001
bilmente da personale non
coinvolto direttamente nell’attività riabilitativa in occasione del penultimo trattamento. Tale personale dovrà
essere inoltre disponibile a
fornire informazioni affinché
il paziente comprenda l’importanza dell’iniziativa e sia
così maggiormente motivato
a esprimere, attraverso il
questionario, il suo giudizio.
Compilazione e riconsegna del
questionario
Il paziente potrà compilare il
questionario presso la propria abitazione e inserirlo in
occasione dell’ultima prestazione in un apposita urna
predisposta nel centro di riabilitazione.
In occasione dell’ultimo trattamento il personale adibito
alla distribuzione dei questionari dovrà chiedere al paziente se ha compilato e consegnato il questionario. Qualora non l’abbia fatto ed
esprima la volontà di farlo gli
sarà fornita nuovamente copia del questionario unitamente a una busta preaffrancata e indirizzata a una struttura centralizzata di raccolta
diversa dai centri in cui sono
distribuiti i questionari.
Con la collaborazione del personale adibito alla distribuzione dei questionari dovrà
essere garantita la distribuzione del questionario a tutti
coloro che finiscono il ciclo di
trattamenti e una corretta e
comune presentazione del
231
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
questionario stesso tale da
incentivare gli utenti a compilarlo. Tale personale dovrà
essere inoltre disponibile a
fornire informazioni affinché
il paziente comprenda l’importanza dell’iniziativa e sia
così maggiormente motivato
a esprimere, attraverso il
questionario, il suo giudizio.
A tal fine si ritiene utile apporre, all’interno delle unità
funzionali di riabilitazione,
cartelli ben visibili che pubblicizzino l’iniziativa.
Al questionario viene allegata una busta in cui inserirlo e
una lettera che motiva il soggetto alla risposta o lo rassicura sulla riservatezza.
Caduta di risposta
Al fine di “tenere sotto controllo” la caduta di risposta
ed essere eventualmente in
grado di adottare soluzioni
volte a ridurla, occorre conoscere, per ogni unità operativa, il numero di rispondenti
(equivalente al numero di
questionari compilati), il numero di soggetti che nel periodo di indagine hanno concluso il ciclo di trattamento e
per ciascuno dei due gruppi
di soggetti le seguenti informazioni: distribuzione per
classi d’età, per sesso e per
durata del trattamento.
Documentazione processi
A livello aziendale viene redatto un piano di indagine
che descrive nel dettaglio
compiti, responsabilità e
tempi di tutte le fasi della
sperimentazione e che evidenzia le difficoltà incontrate
nello svolgimento della sperimentazione.
Conclusioni
Il primo obiettivo della sperimentazione è la validazione
di strumenti di rilevazione
della qualità percepita, con la
condivisione delle Aziende
sanitarie della Toscana, per
arrivare alla identificazione
di indicatori sulla qualità
percepita legati a strumenti
comuni, da affiancare agli indicatori di attività e gestionali già in uso.
Le diverse esperienze legate
alle sperimentazioni porteranno alla produzione di linee guida con indirizzi orga-
nizzativi e operativi utili per
garantire una efficace attività in questo campo.
Le indagini di soddisfazione
oltre che una forma di partecipazione dei cittadini nei
processi di valutazione dei
servizi sanitari rappresentano
anche un valido strumento ai
diversi livelli dell’organizzazione sanitaria.
Permette al governo regionale di verificare gli esiti delle
proprie strategie e indirizzi,
al management aziendale di
misurare i risultati in merito
alle azioni di miglioramento
delle prestazioni e dei servizi
offerti. Consente inoltre ai
singoli operatori di verificare
i risultati del proprio lavoro,
tenendo presente anche il
punto di vista dei cittadini.
Bibliografia
Alfano A. “La comunicazione della salute nei servizi sanitari e sociali” Pensiero scientifico editore. Roma 2001.
Consiglio Regionale della Toscana. Piano Sanitario Regionale
1999/2001 (DCR 41/99).
Consiglio Regionale della Toscana. Legge Regionale 22/2000
“Riordino delle norme per l’organizzazione del Servizio Sanitario
Regionale”.
Fitzpatrick R. Scope and measurement of patient satisfaction. In
Fitzpatrick R. Hopkins A. Measurement of patients’ satisfaction
with their care. London Royal College of Physicians. 1993.
ISTAT. Manuale di tecniche di indagine. volume II. 1989 n. 1.
La qualità a misura d’Europa. Edizioni Il Sole 24 ore. Milano
1999.
Loiudice M. Il paziente utente-cliente in sanità e la sua soddisfazione. L’Arco di Giano 1995; 7: 157-170.
Vuori HV. Quality Assurance of Health Services. Public Health in
Europe. WHO: Copenhagen 1982.
232
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Mauro Serapioni*
*
Coordinatore del Corso di
Specializzazione in Gestione di
sistemi sanitari locali - Scuola
di salute pubblica del CEARÁ
Fortaleza - Brasile
L
e esperienze realizzate
negli ultimi anni, nell’ambito di progetti di
miglioramento della qualità
nelle Aziende sanitarie, hanno evidenziato l’esistenza di
diversi modi di intendere la
partecipazione degli utenti
nei servizi sanitari. Essi possono essere coinvolti attraverso la somministrazione di
un questionario per conoscere il loro indice di gradimento nei confronti dei servizi
offerti; ma, in questo caso si
tratta di un esercizio molto
povero, se l’obiettivo è quello
di sviluppare uno spazio di
“cittadinanza attiva” (Crouch, 1999). Un passo avanti
verso un miglioramento del
dialogo sistema sanitario-cittadini è rappresentato dalla
Carta dei servizi, che stabilisce le prestazioni minime garantite a tutti gli utenti. Tuttavia, come insegna l’esperienza inglese e, più recentemente, anche quella italiana,
l’introduzione della Patient’s
charter ha visto il ridimensionamento del ruolo dei Comitati degli utenti – sempre
meno consultati durante l’elaborazione delle Carte – e la
crescente diffusione di metodi “individualistici” di rilevazione della soddisfazione dei
pazienti.
In altre realtà, al sistema della Carta dei servizi è stata in-
N. 128 - 2001
La partecipazione nei
servizi sanitari
tegrata una struttura di rappresentanza dei cittadini –
come nel caso dei Comitati
consultivi misti operanti nella Regione Emilia-Romagna –
con l’obiettivo non solo di
valutare ex-post la qualità
delle prestazioni erogate dall’azienda, ma anche di partecipare all’analisi dei disservizi e alla definizione di proposte di miglioramento. I Comitati consultivi misti (CCM),
difatti, rappresentano l’istanza organizzativo-istituzionale prevista dalla Regione per
dar voce alle associazioni e ai
gruppi organizzati della società civile, al fine di garantire la rispondenza dei servizi
sanitari alle esigenze dei cittadini. I CCM hanno lo scopo
di verificare la qualità delle
prestazioni nell’ottica dell’utente. Sono composti dai rappresentanti delle organizzazioni di volontariato e di tutela dei diritti dei pazienti e
dei pensionati, iscritte al Registro regionale del volontariato, oltre ad una componente minoritaria designata
dall’Azienda, che comprende
la dirigenza dell’Ufficio delle
relazioni pubbliche, altri dirigenti dei servizi sanitari e
amministrativi e i medici di
base. Per questo motivo sono
stati definiti misti: la collaborazione fra i rappresentanti delle varie associazioni,
L’esperienza dei Comitati consultivi misti. Risultati di una ricerca
che insieme lavorano sui temi
della salute, e i rappresentanti dell’Azienda costituisce
un’importante premessa del
CCM. L’altra caratteristica dei
Comitati – come ha sottolineato in diverse occasioni
Hanau, uno tra i più attivi
animatori dei CCM di Bologna
[Hanau, 1996, 1998 e 1999] –
è quella di essere consultivi. I
Comitati esprimono i propri
pareri, effettuano visite e
controlli nelle strutture sanitarie e suggeriscono proposte
all’Azienda, che comunque
mantiene ogni responsabilità
e autonomia decisionale.
A partire da queste considerazioni circa i diversi livelli di
coinvolgimento dei cittadini
nel processo di pianificazione
e valutazione dei servizi sanitari, questo saggio si propone
di analizzare l’esperienza dei
Comitati consultivi misti. Ma
prima di entrare nel merito di
tale esperienza, ci sembra opportuno effettuare una breve
revisione critica delle esperienze di partecipazione sanitaria realizzate a livello internazionale, per focalizzare
l’esiguità di risultati acquisiti
sul campo a fronte della considerevole attenzione ad essa
riservata dai discorsi politicosanitari.
Retorica e realtà della
partecipazione
Dopo alcune esperienze pionieristiche realizzate in America Latina negli anni ’60 –
che tentarono di coinvolgere
le comunità locali nei programmi sanitari finanziati
dall’Agenzia statunitense,
l’Alleanza per il progresso
[Ugalde, 1985] – l’idea della
partecipazione si è diffusa
progressivamente in tutti i
paesi del Terzo Mondo a partire dall’inizio degli anni ‘70.
In questo periodo era convinzione diffusa che il coinvolgimento delle Comunità locali
rappresentasse la chiave di
volta per aumentare la disponibilità di servizi a basso costo e per risolvere i problemi
sanitari urgenti dei settori
più svantaggiati della popolazione [Roux, 1993]. Successivamente, alla Conferenza di
Alma Ata del 1978, l’Organizzazione Mondiale della Sanità
(Oms) e l’UNICEF, riconobbero
ufficialmente la partecipazione comunitaria come una
delle direttrici essenziali per
garantire la Salute per tutti
N. 128 - 2001
entro l’anno 2000 [Oms,
1978].
Nel frattempo diversi processi e movimenti sociali, sorti
nelle società occidentali alla
fine degli anni ‘60, arrivavano a maturazione, provocando significativi effetti sulla
salute e sull’organizzazione
sanitaria. Comincia a diffondersi la consapevolezza circa i
limiti del paradigma biomedico di fronte alla “complessità
delle attività di mantenimento della salute, di prevenzione e di cura della malattia”
[Bosio, 1996:12]. Nel corso
degli anni ‘80 si diffonde il
movimento per la qualità totale preoccupato di dar voce
al cliente. Con Donabedian
[1989], l’approccio alla qualità entra nei servizi sanitari
e si cominciano a realizzare
ricerche sulla soddisfazione
dei clienti (customer satisfaction). Nello stesso periodo, e
durante gli anni ‘90, assume
sempre più importanza la
promozione della salute, come strategia per lo sviluppo
di una nuova politica di sanità pubblica, in grado di
produrre mutamenti negli stili di vita e nella prevenzione
dei rischi ambientali [Brown,
1991].
Questi cambiamenti socioculturali hanno riportato in primo piano l’importanza del
coinvolgimento dei cittadini
e la preoccupazione crescente
per il riequilibrio della relazione tra offerta e domanda
nei servizi sanitari.
Nonostante le buone intenzioni e alcuni lodevoli sforzi
intrapresi, la partecipazione
ancora stenta ad entrare nella prassi operativa dei servizi
sanitari. Già nella decade degli anni ‘80, Ugalde [1985],
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
dopo un’ampia analisi delle
esperienze realizzate in America Latina, aveva avvertito
degli esigui risultati raggiunti dai programmi di partecipazione sanitaria, nonostante gli sforzi delle agenzie internazionali. La stessa Organizzazione panamericana della sanità, nel 1990 ammetteva l’esistenza di un’incoerenza tra le “politiche governative che generalmente sostengono la partecipazione comunitaria [...] e i livelli operativi che hanno mostrato resistenze alla creazione di meccanismi efficaci di partecipazione” [Oms Regione panamericana, 1990:46]. Secondo
Zakus e Lisack [1998:1], gli
sforzi finora realizzati non
hanno avuto successo perché
le strategie applicate a partire dalla Dichiarazione di Alma Ata si basavano su “approcci molto semplici”. Su
questa stessa linea, Rifkin
[1996:79-80] attribuisce tali
insuccessi “all’approccio verticale” sinora adottato, che
ha considerato la partecipazione comunitaria come una
ricetta, capace di “risolvere i
problemi radicati sia nel sistema sanitario e sia nel potere politico”. Anche il recente dibattito lanciato dal British Medical Jounal [Coultar,
1999] sul tema Patients as
Partner, ha più volte richiamato i rischi di idealizzare
eccessivamente la partnership
dei pazienti e di assumerla
come una “formula magica”.
Negli ultimi anni, molti studiosi hanno riconosciuto l’esistenza di una contraddizione tra i discorsi (e a volte la
retorica) ricorrenti dentro il
sistema sanitario e la pratica
dell’organizzazione dei servi-
zi ancora prevalentemente
autoreferenziale [Menendéz,
1998]. Nella stessa direzione
vanno le critiche di diversi
studiosi britannici verso i
nuovi metodi di coinvolgimento dei cittadini sviluppati nel loro paese nel corso degli anni 90 (Pollock, 1992;
Pollit, 1993, Wall, 1996; Summers e McKeown, 1996;
Beardwood et al., 1999). Per
questi autori, le nuove esperienze sono state adottate
semplicemente per legittimare le riforme economiche e
‘manageriali’ introdotte nel
sistema sanitario. Diversi studi hanno dimostrato che l’influenza delle popolazioni locali sulle decisioni dei manager e sulla definizione delle
priorità è stata decisamente
inferiore a quanto preconizzato dalla retorica politica
[Milewa et al., 1998]. Le forme di interazione tra servizi e
utenti – molte delle quali
prese a prestito dalle tecniche di ricerche di mercato –
riducono la partecipazione
pubblica a una consultazione
individuale, e non possono
assolutamente sostituire un
“processo democratico, altrimenti la partecipazione diventa un concetto privo di
senso” [Pollock, 1992:536].
Che cosa intendiamo per
partecipazione?
La difficoltà di costruire spazi
sociali per promuovere il coinvolgimento dei cittadini in ambito sanitario è stata generalmente analizzata chiamando
in causa molteplici fattori relazionati sia al contesto sociopolitico (livello di democratizzazione, dinamicità della società civile, ecc.), sia alle caratteristiche dei sistemi sani-
233
tari (più o meno decentrati
e/o aperti alle istanze dell’ambiente sociale) e sia a variabili strutturali (livello di
reddito e d’istruzione) che riducono le potenzialità di cittadini e utenti ad assumere
impegni e responsabilità.
Tuttavia un altro fattore, non
sufficientemente esplorato,
ma che a nostro avviso potrebbe essere responsabile almeno di una parte dei tanti
insuccessi registrati è la mancanza di una definizione
chiara e condivisa del concetto di partecipazione. Difatti,
a volte la partecipazione è
stata intesa come “lavoro o
servizio volontario” [Oms Regione panamericana 1990: 9]
e, altre volte, semplicemente
come “l’utilizzo dei servizi
sanitari da parte della comunità” [Roux, 1993:52]. Raramente, la partecipazione è
stata definita e resa operativa come partecipazione alle
decisioni sulle politiche, priorità e servizi sanitari. Dello
stesso tenore sono le argomentazioni dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [Oms,
1997], quando, analizzando i
differenti modelli di partecipazione sviluppati nei programmi sanitari, constata l’esistenza di differenti gradi di
potere a disposizione degli
utenti. Da un livello minimo
di coinvolgimento della comunità che la Oms definisce –
adottando la classificazione
di Arnstein [1969] – “manipolazione e terapia” si passa,
nel continuum della scala, attraverso “l’informazione, la
consultazione e la conciliazione”, fino ad arrivare alla
“partnership, dove le decisioni sono prese dai cittadini
234
piuttosto che dai governi o
dai dirigenti dei servizi” [Oms
Regione Europea, 1997:59].
Fino alla metà degli anni ‘90,
tuttavia, non c’era stato un
comune termine di riferimento sul significato di partecipazione. Oggi, sembra che non
ci siano più dubbi: tutti concordano, a partire dalla stessa
Oms, che l’elemento essenziale che caratterizza un processo partecipato è la possibilità
degli utenti di prendere decisioni circa aspetti importanti
della propria salute e dell’organizzazione dei servizi.
Naturalmente si tratta di un
“processo graduale” [Brown,
1991:447], e come tale richiede dei costi in termini di energie e, soprattutto, di tempo. L’eccessiva preoccupazione
dei rappresentanti degli utenti per ottenere risultati immediati, come esito dell’azione
partecipata è un dato abbastanza ricorrente. Al riguardo,
Botes e Van Rensburg
[2000:50] parlano di una tensione tra gli imperativi del risultato e il valore del dibattito
e degli accordi. Un eccessivo orientamento verso i risultati
può portare a non valorizzare
l’importante fase di consolidamento dello spazio istituzionale di partecipazione.
D’altra parte un’esagerata enfasi data al processo, può portare i rappresentanti dei cittadini a pensare che la loro funzione sia irrilevante e che stanno solo perdendo tempo.
Pertanto, per garantire un’effettiva partecipazione nell’ambito dei servizi sanitari è
necessario mettere in atto
due strategie essenziali. Innanzitutto bisogna predisporre un forum o uno spazio
sociale adeguato – con forme
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
N. 128 - 2001
organizzative e metodologie
di lavoro appropriate – che
crei le condizioni – come scrive la Oms [Oms Regione Europea, 1997:60] – “per ascoltare la voce dei cittadini”. In
secondo luogo, bisogna garantire che la voce e le preferenze espresse dai rappresentanti dei cittadini possano effettivamente influenzare il
processo decisionale delle autorità sanitarie. Il primo passo rappresenta, a nostro avviso, un pre-requisito fondamentale della partecipazione.
Ma è il secondo momento che
definisce la qualità del coinvolgimento dei rappresentanti della società civile e che
permette di approssimarsi alla partnership o, come si preferisce chiamarla oggi, all’empowerment dei cittadini,
ovvero ad un gradino alto
della scala elaborata da Arnstein [1969].
esperienze di partecipazione
sviluppate a livello internazionale negli ultimi anni, risiede nel fatto di essere misto, rappresentando quindi
un forum di discussione e di
analisi in cui sono coinvolti i
principali attori che agiscono
nel sistema sanitario. Da questo punto di vista, i CCM si
differenziano in modo significativo dai Community
Health Councils (CHCs) – lo
strumento di partecipazione
istituito nel 1974 in Gran
Bretagna – che sono composti da soli rappresentanti degli utenti. I membri del CHCs,
difatti, si riuniscono tra di loro, discutono ed, eventualmente, inviano opinioni, proposte o critiche alle autorità
sanitarie, che possono essere
prese in considerazione o, come spesso hanno lamentato i
CHCs [Hogg 1996], rimanere
inascoltate. I CHCs, avendo
una funzione di controllo,
possono liberamente ispezionare tutti i presidi sanitari,
ma hanno poche occasioni
per confrontarsi con le autorità sanitarie, a meno che
non siano in gioco chiusure o
fusioni di ospedali e di altri
presidi. In altri termini, trattasi di uno strumento essenzialmente rivendicativo, con
scarse possibilità di interazione e dialogo, se non a distanza, con gli operatori e i
dirigenti dei servizi sanitari.
Il modello organizzativo dei
CCM, al contrario, privilegia
un processo dialettico e l’apertura di canali di comunicazione tra rappresentanti
degli utenti e operatori sanitari al fine di contribuire alla
elaborazione di decisioni e
obiettivi collettivi e favorire,
quindi, la costruzione di un
Obiettivi e metodologia
della ricerca
Una delle questioni che ha
motivato la nostra ricerca è
stata quella di verificare se i
Comitati consultivi misti
(CCM) rappresentano realmente uno spazio di partecipazione democratica, dove i
rappresentanti degli utenti
possono riportare le esperienze sanitarie dei cittadini,
elaborare proposte e negoziare con i rappresentanti dell’Azienda le varie opzioni per
migliorare i servizi. Si voleva,
in altri termini, valutare la
loro potenzialità di sviluppare una prospettiva relazionale significativa tra sistema
sanitario e associazioni di
mondo vitale (Ardigò, 1997).
La ricerca ha interessato tutti i CCM operanti nella Città
di Bologna. Lo studio è stato
condotto anche in altre tre
città della Regione EmiliaRomagna: Ferrara, Imola e
Modena. Sono stati intervistati 12 coordinatori dei
CCM, 11 rappresentanti delle
Aziende che partecipano ai
lavori dei CCM, 6 dirigenti
aziendali, 2 dirigenti regionali e 6 rappresentanti delle
organizzazioni di volontariato e di tutela dei diritti dei
pazienti. È stata anche condotta un’osservazione diretta – consistente nella partecipazione alle riunioni mensili programmate dei Comitati – che si è svolta nel periodo aprile-luglio 2000 in due
comitati di Distretto, in un
Comitato d’azienda ospedaliera e nel Comitato dell’AUSL di Bologna. Sono state
realizzate 37 interviste della
durata media variabile tra i
25 minuti e i 50 minuti. Le
interviste sono state deregistrate integralmente e, successivamente, si è compiuta
un’analisi del contenuto che
ha permesso di organizzare il
materiale ricavato nelle seguenti 4 aree tematiche, relazionate ad aspetti e contenuti rilevanti dell’oggetto
studiato: a) modello organizzativo dei CCM; b) livello di
partecipazione dei rappresentanti delle associazioni;
c) influenza delle proposte
dei CCM sui processi gestionali delle Aziende; d) rappresentatività dei CCM.
Risultati della ricerca
Il modello organizzativo dei
CCM
La caratteristica innovativa
del CCM, rispetto alle diverse
N. 128 - 2001
progetto di cittadinanza politica attiva attraverso la ricerca discorsiva del consenso
[Habermas 1992].
Dall’analisi dell’esperienza
dei primi cinque anni di vita
dei CCM, è emersa una valutazione complessivamente
soddisfacente della configurazione organizzativa dei Comitati. Quasi tutti gli informanti hanno sottolineato la
valenza positiva di questo organo collegiale. La collaborazione tra i membri delle diverse componenti del Comitato rappresenta, a detta di
molti intervistati, il punto di
forza di quest’esperienza e la
premessa per svolgere un lavoro costruttivo a favore della cittadinanza. L’aspetto misto, enfatizza un dirigente
aziendale, significa “strutturare per principio l’approccio
collaborativo, dal momento
che non sono possibili altre
alternative”. Questo non significa che tra operatori dell’Azienda e volontariato non
ci siano anche difficoltà, incomprensioni, differenze di
linguaggio e, talvolta, anche
conflitti. Ma la continuità e
l’istituzionalizzazione della
relazione favorisce – secondo
l’opinione di alcuni dipendenti aziendali – la comprensione reciproca, la crescita di
tutti gli attori coinvolti nel
processo e la creazione di
rapporti di fiducia che, in ultima analisi, facilitano la rilevazione, l’analisi e la risoluzione dei problemi. D’altra
parte, come osserva un rappresentante degli utenti, l’obiettivo del Comitato è quello di verificare la qualità dei
servizi dal lato degli utenti,
quindi “anche i rappresentanti aziendali devono porsi
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
dal punto di vista dei cittadini”. Questo impegno comune
rafforza il confronto e il dialogo tra le diverse componenti dei Comitati.
Altro aspetto considerato
molto positivo è l’integrazione tra diverse culture, esperienze lavorative e profili
professionali, tutti potenziali
portatori di punti di vista e
contributi validi per la risoluzione dei problemi sanitari.
C’è il tecnico che analizza il
percorso e le difficoltà inerenti alle varie proposte attuabili e c’è il volontario, con
la sua visione meno tecnica
ma che comunque riesce ad
identificare problemi che –
come riconosce una funzionaria aziendale – “non sempre il servizio è in grado di rilevare”. Tale integrazione è
però possibile, da una parte,
se l’Azienda rinuncia, come
riferisce un dirigente, “al suo
tradizionale atteggiamento
autoreferenziale” e, dall’altra, se i rappresentanti degli
utenti evitano – come segnala un loro portavoce – quel
comportamento tipico “di chi
presuppone che le proprie
istanze debbano essere accolte sempre e comunque”.
Generalmente i Comitati si riuniscono una volta al mese; l’ordine del giorno viene fissato
dal coordinatore al termine
dell’incontro precedente, dove si decidono le tematiche
che i rappresentanti delle associazioni sentono di dover approfondire e si identificano gli
esperti che dovranno intervenire come relatori. Il dibattito,
soprattutto quando c’è una
buona partecipazione dei rappresentanti delle associazioni,
è ben articolato e permette di
analizzare attentamente i pro-
blemi posti all’ordine del giorno e di prospettare le possibili soluzioni. Talvolta la discussione può dar luogo a conflitti e alla polarizzazione di posizioni, non solo tra dipendenti dell’Azienda e volontari,
ma anche tra i diversi rappresentanti delle associazioni.
Questo è anche il risultato, come ricorda Hanau [1996], del
fatto che i CCM, per la prima volta, hanno offerto un comune tavolo di lavoro a tutte le associazioni del territorio. Pertanto,
se il management aziendale
vuole realmente incorporare la
voce dei rappresentanti degli
utenti, deve anche saper “gestire” e “proteggere” – come
affermano Summers e McKeown
[1996:146] – tali differenze di
opinioni.
Partecipazione delle associazioni nei Comitati consultivi
misti
Il livello di partecipazione dei
rappresentanti delle organizzazioni di volontariato e di
tutela dei diritti dei pazienti
è emerso come un aspetto
problematico dei CCM. La
maggioranza dei nostri interlocutori, sia i portavoce degli
utenti e sia la componente
aziendale, ha evidenziato una
tendenziale diminuzione della partecipazione, dopo la
prima fase che aveva visto
un’ampia adesione delle associazioni locali.
La flessione delle presenze
dei rappresentanti del volontariato era già stata avvertita
da Hanau e Gattei [1998] che
avevano sottolineato come
tale fenomeno non mette in
discussione la rappresentatività legale dei Comitati, dal
momento che sono organi
consultivi. “Il numero dei vo-
235
tanti – continuano gli Autori
[1998:186] – non ha grande
rilevanza: quel che conta è
l’autorevolezza del parere
espresso”.
Diversi sono i motivi addotti
per spiegare il calo di partecipazione.
1. Innanzitutto il “tempo” e
“l’impegno” che richiedono
le attività da svolgere nell’ambito dei CCM. Se i CCM
vogliono limitarsi a soddisfare gli obblighi formali previsti dalla normativa regionale
è importante, secondo alcuni
informanti, dedicare almeno
“3-4 giorni al mese” per le
riunioni, per le visite ai reparti, per operare nei gruppi
di lavoro e per effettuare indagini. Stiamo naturalmente
parlando di volontari, che già
dedicano una parte significativa del loro tempo alla propria associazione. Secondo i
dati della ricerca sul Volontariato in Emilia-Romagna
[Bassi e Stanzani, 1997], le
organizzazioni impegnate
nella sanità impiegano i loro
volontari per un periodo medio di circa 5 ore settimanali. Si tratta di un impegno
costante e significativo che
deve convivere con gli impegni di natura familiare e lavorativa dei volontari; vari
interlocutori, soprattutto
della componente associazioni, convergono nell’identificare, come possibile fattore
di demotivazione dei rappresentanti delle associazioni,
la scarsa influenza esercitata
dai Comitati sulle scelte delle direzioni distrettuali,
ospedaliere e aziendali:
“Molti si sono sentiti demotivati perché le proposte venivano sempre rinviate e disattese”.
236
“A volte si ha l’impressione
che il lavoro fatto non trova
riscontro, non trova un’immediata risoluzione da parte degli organi istituzionali”.
Ma c’è anche chi ribalta tale
relazione di causa-effetto,
sostenendo che un Comitato
forte e maggiormente rappresentativo della comunità locale, e che riesce ad utilizzare al meglio tale strumento di
partecipazione,
avrebbe
senz’altro più influenza sulle
autorità sanitarie.
Dai resoconti sopra riportati
si può altresì osservare l’emergere di alcuni tratti presenti nella cultura del volontariato, che esprimono una
visione basata nella rapida
soluzione dei problemi e nell’azione volta ad ottenere risultati immediati. È l’emergere – come sottolineato dal Ministero della Sanità [2000] –
di un divario tra le aspettative e le tensioni valoriali e la
concretezza dell’esperienza
quotidiana. I comitati, invece, essendo un luogo di dibattito, negoziazione, verifica e approfondimento dei
problemi segnalati dagli
utenti, hanno necessariamente tempi lunghi. Inoltre,
devono interagire con l’organizzazione sanitaria la cui
macchina non è ancora sufficientemente snella e dotata
di risorse adeguate per risolvere i molteplici nodi problematici del sistema.
2. È inoltre da registrare l’opinione di alcuni informanti
che attribuiscono una certa
responsabilità alle autorità
sanitarie per non aver sufficientemente informato l’opinione pubblica circa l’importanza dei Comitati e della loro funzione sociale e di non
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
aver pertanto creato le condizioni per un loro effettivo
funzionamento. Si fa presente, in particolare, che i Comitati dovrebbero avere un’immagine diversa, un maggior
riconoscimento sociale ed un
peso adeguato al ruolo che
svolge in ambito cittadino e
territoriale: “Vorrei che il Comitato fosse un punto di riferimento, non solo per le associazioni, ma specialmente per
la Conferenza dei sindaci, che
è responsabile della sanità locale”.
3. Altro aspetto emerso dalla
ricerca che, secondo un numero significativo di informanti, può essere relazionato
alla crisi di partecipazione
dei Comitati è la non adeguata preparazione di base dei
volontari chiamati a svolgere
un ruolo complesso e abbastanza impegnativo. Gli intervistati al riguardo hanno
elencato una serie di competenze e abilità che un membro del Comitato dovrebbe
possedere per riuscire a valutare la qualità dei servizi ed
essere realmente in grado di
tutelare il cittadino.
Tra le varie ipotesi prospettate
per incrementare il coinvolgimento dei rappresentanti della società civile, è stata spesso
menzionata, soprattutto dalla
componente aziendale, la proposta di ridefinizione degli ambiti territoriali dei Distretti
delle Aziende USL, che porterebbe ad una loro riduzione e,
automaticamente, ad un accorpamento dei CCM. Tra i vantaggi addotti a supporto di tale opzione, si menzionano le
“migliori economie di scala” e
“l’ottimizzazione dei fattori
produttivi” [Comune di
Bologna, 2000:7-9]. Quindi,
ancora una volta, è il criterio
dell’efficienza che viene posto
alla base del processo di riorganizzazione del sistema sanitario. Tale riassetto territoriale previsto per Bologna, ma
anche per le altre provincie
della Regione, potrà certamente ottimizzare l’efficienza
gestionale – come hanno pure
segnalato diversi dirigenti intervistati – ma c’è da domandarsi se tale configurazione sia
anche la soluzione ideale per
favorire e organizzare la partecipazione degli utenti e dei
loro portavoce. Trattasi di un
processo di controtendenza rispetto all’ampio dibattito sui
distretti sociosanitari di base
seguito alla Dichiarazione di
Alma Ata [Oms 1978] e alla
Riforma sanitaria italiana del
‘78 che aveva configurato un
popolazione distrettuale ideale di 40-50.000 abitanti, proprio per bilanciare il criterio
dell’efficienza con quello della
partecipazione delle comunità
locali.
La voce dei Comitati influisce
sui processi decisionali delle
Aziende sanitarie?
Verificare il livello di influenza esercitato dai CCM sulle
scelte delle direzioni aziendali, distrettuali o ospedaliere era uno degli obiettivi centrali della nostra ricerca. La
partecipazione implica necessariamente la capacità di influire, direttamente o indirettamente, nell’insieme di un
processo pubblico decisorio
[Ardigò, 1979:18]. Diverse ricerche hanno mostrato che la
voce degli utenti ha effetti
molto limitati sulle risoluzioni adottate dalle autorità sanitarie, che generalmente sono determinate da altri fatto-
N. 128 - 2001
ri [Summers e McKeown,
1996; Milewa et al., 1998;
Rhodes and Nocon, 1998].
Ad un primo approccio, un
numero significativo di portavoce degli utenti ha manifestato una tendenza a problematizzare la relazione con
la controparte, mettendo in
rilievo la limitata incisività
dei loro interventi. Poi scandagliando ulteriormente e
chiedendo di illustrare esempi specifici di ciò che hanno
effettivamente ottenuto, è
emersa una situazione meno
negativa. La maggioranza di
essi ha elencato una serie di
proposte accolte e fatte proprie dalle direzioni aziendali.
Tra gli obiettivi raggiunti sono stati riportati i seguenti:
miglioramenti relativi al
comfort, alla umanizzazione
e all’informazione; la riorganizzazione della logistica e
della segnaletica; la riduzione dei tempi per il rilascio
delle cartelle cliniche; il controllo dell’igiene nei presidi
ospedalieri; le modifiche degli orari del CUP; l’assegnazione di nuovi operatori, ecc.
Tuttavia, l’acquisizione di tali risultati ha richiesto un notevole investimento di energie da parte dei rappresentanti del volontariato. Un dato comune emerso da tutte le
interviste è quello relativo ai
tempi – “esageratamente lunghi” – che l’Azienda impiega
per mettere in atto le raccomandazioni presentate. Su
questo punto convergono anche alcune opinioni di operatori e dirigenti, che hanno riconosciuto l’esistenza di
“tempi elefantiaci” e “di una
certa pigrizia” da parte delle
Aziende. Naturalmente, come
osservano alcuni rappresen-
N. 128 - 2001
tanti delle associazioni, ciò
crea “scetticismo e sfiducia”
e, forse, a nostro avviso, potrebbe aiutare a decifrare
quell’atteggiamento un po’
pessimista circa l’impatto
della propria azione, sopra
menzionato.
I nostri informanti si sono
poi soffermati a lungo sui
punti critici del sistema sanitario – “ampiamente dibattuti” e “continuamente riproposti” all’ordine del giorno dei
CCM – che non hanno ancora
avuto un esito conforme alle
aspettative dei membri delle
associazioni. Si tratta del
problema degli appalti di alcuni servizi, della riorganizzazione delle strutture residenziali psichiatriche, del
ticket al Pronto Soccorso,
delle modalità organizzative
del progetto assistenza domiciliare integrata, della riduzione delle liste di attesa per
determinati interventi chirurgici, della richiesta di badanti dentro l’ospedale, ecc.
Come spiegare la difficoltà
dei CCM ad incidere su tali
questioni?
1. A livello distrettuale, secondo l’opinione di alcuni intervistati, molte volte si discutono temi e ordinamenti
che travalicano la competenza del Distretto e che non
possono essere modificati da
un singolo comitato. L’assistenza domiciliare agli anziani, per esempio, o le direttrici che regolano le convenzioni degli appalti, sono questioni strettamente relazionate alle politiche strategiche aziendali che lasciano
poca autonomia al management di Distretto. In altre parole, non sempre gli obiettivi
perseguiti dai CCM sono rea-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
lizzabili nell’ambito del Distretto. Ciò significa che i
CCM distrettuali non hanno
la capacità di lavorare sulle
problematiche sanitarie locali? Oppure, è in discussione il
livello di autonomia decisionale e finanziaria assegnato
ai singoli Distretti sociosanitari?
2. Non vanno poi sottovalutate le restrizioni finanziarie
che limitano o rallentano l’attuazione di alcune proposte
di riforma strutturale avanzate dai CCM. Le soluzioni prospettate per la riorganizzazione delle residenze sanitarie, per il miglioramento del
piano di assistenza domiciliare integrata dell’Azienda e
per rendere più confortevoli
le strutture sanitarie, si scontrano inevitabilmente con
vincoli finanziari e procedimenti burocratici e amministrativi.
3. Al di là dei vincoli di budget e al di là della questione
relativa al livello di autonomia del distretto sociosanitario, è opportuno chiedersi se
le autorità sanitarie aziendali
sono realmente sensibili e
aperte ai CCM. Questa è la
preoccupazione più volte affiorata durante la ricerca.
L’ente pubblico è sempre stato tendenzialmente autoreferenziale nel rapporto pubblico-privato [Mayntz, 1982] e
questo atteggiamento è anche riscontrabile – secondo i
nostri informanti – nel tipo
di relazioni che le autorità
sanitarie intrattengono con i
CCM. Una relazione, per certi
versi, ancora permeata da alcune caratteristiche tipiche
dell’organizzazione burocratica tradizionale. Dai resoconti
dei nostri interlocutori, sia
dirigenti che rappresentanti
degli utenti, si può pertanto
dedurre che, nonostante le
riforme manageriali avviate
dal 502/’92, il modello organizzativo aziendale non è ancora adatto a confrontarsi
con un ambiente complesso e
in movimento e non è sufficientemente orientato al soddisfacimento dei bisogni dei
clienti [Mayntz, 1982]. È emblematica, al riguardo, l’enorme difficoltà incontrata dai
CCM per introdurre alcune
correzioni – come il caso delle pulizie nei reparti e la riduzione del prezzo dell’acqua
minerale – che certamente
non mettevano in discussione
l’organizzazione complessiva
delle strutture sanitarie.
Sempre sul tema dell’autoreferenzialità del sistema sanitario, abbiamo analizzato
l’immagine sui CCM e sulla
loro azione elaborata dagli
operatori dei servizi, immagine che può incidere notevolmente sul rapporto e dare
origine anche a situazioni
conflittuali. Sinora non sono
stati registrati episodi di
aperta conflittualità, pur esistendo, secondo l’opinione
dei nostri informanti, rischi
potenziali per l’insorgenza di
tali controversie. In alcune
Unità, per esempio il CCM è
stato percepito come “l’occhio dell’ispettore“ oppure
come “la controparte del professionista”. Tutti comunque
concordano nel sostenere che
ogni provvedimento dell’Azienda che nasca da sollecitazioni dei CCM e che va ad
incidere sull’organizzazione
del servizio e sui modi consolidati di lavorare, può creare
malumori, resistenze e conflitti, soprattutto laddove
237
l’Azienda non ha realizzato
una capillare attività di
informazione sul ruolo e l’importanza del CCM.
Rappresentatività dei Comitati consultivi misti
Un aspetto critico emerso
dall’analisi di altre esperienze di partecipazione in sanità
a livello internazionale, è
quello riguardante la rappresentatività degli organi collegiali preposti alla tutela dei
diritti dei cittadini e degli utenti nell’ambito dei servizi
sanitari [Beardshaw, 1991;
Zakus e Ljsack, 1998; Crouch,
1999]. I Community Health
Councils britannici, per esempio, sono stati spesso oggetto
di critiche per il fatto di non
riuscire a rappresentare alcuni gruppi sociali e determinati bisogni sociosanitari della
popolazione
[Beardshaw,
1991]. Ugualmente sono oggi
criticate le nuove strategie di
consultazione adottate delle
autorità sanitarie inglesi,
perché non basate su meccanismi elettorali formali di
rappresentanza, bensì su metodi provenienti dalla logica
contrattuale del mercato che
si prefiggono di coinvolgere i
cittadini come semplici consumatori sanitari, rinforzando un’idea di partecipazione
puramente passiva [Milewa et
al 1998:508].
Nel contesto italiano, Altieri
[1997:14] ha espresso la
stessa preoccupazione circa
la rappresentatività degli organismi di tutela degli utenti previsti dal D.lgs. n.
502/92, che, secondo l’Autore, ha dato luogo ad un mutamento sostanziale nella
concezione di partecipazione, non più intesa come “de-
238
mocrazia partecipata tramite
canali istituzionali”, ma come “una sorta di co-determinazione tramite rappresentanze non elette o non delegate” [ibidem]. Ci è sembrato pertanto importante includere questo tema tra gli
obiettivi del nostro studio
per verificare se i CCM riescono a rappresentare i bisogni
e le istanze di tutti i cittadini, o se sono semplicemente
portavoce delle associazioni
che costituiscono i Comitati
stessi.
Si è registrato un ampio consenso fra tutti gli intervistati
sul fatto che i CCM affrontano
questioni che interessano gli
utenti in generale, anche se a
partire dalle specificità delle
diverse associazioni che hanno la capacità di segnalare
l’esistenza del problema o del
disservizio. Secondo alcuni
intervistati, esiste anche un
rischio di autoreferenzialità
delle singole associazioni, soprattutto di quelle portatrici
di patologie gravi, anche se
l’esperienza degli ultimi anni
ha mostrato che i CCM sono
riusciti a costruire uno spazio
autonomo e al di sopra delle
singole associazioni, e ad
operare come un forum rappresentativo dei diritti di
tutti i cittadini. Senza dubbio, la presenza nei CCM di
associazioni cosiddette “generaliste”, ossia quelle che si
occupano di tutte le problematiche sanitarie segnalate
dai pazienti (Tribunale della
salute, Associazione europea
dei diritti del malato, Tribunale dei diritti del malato,
Centro per i diritti del malato, ecc.), ha contribuito alla
creazione di un luogo di rappresentanza di tutti gli uten-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
ti dei servizi sanitari. Difatti,
le liste di attesa, del pagamento di ticket nel Pronto
Soccorso, l’affollamento e l’igiene dei reparti, la consegna
dei referti a domicilio, o anche le residenze psichiatriche
e l’assistenza domiciliare integrata, certamente non rappresentano tematiche iperspecialistiche e di interesse
delle singole associazioni, ma
sono punti problematici del
sistema sanitario che hanno
delle ripercussioni dirette su
tutti i cittadini. Tuttavia, il
riconoscimento dell’ampiezza
e della profondità dell’azione
dei CCM non implica l’attribuzione di una legittimità di
rappresentanza e tanto meno
significa che i CCM rappresentino tutti gli utilizzatori
dei servizi. Al riguardo due
precisazioni sono opportune.
In primo luogo, non si può
parlare di rappresentatività
nel senso proprio del termine, dal momento che non esistono meccanismi formali di
delega attraverso cui gruppi o
categorie di utenti investono
le loro rappresentanze. A tal
proposito, Mangia [1996:7273] ha avvertito del rischio
della mancanza di meccanismi di accreditamento o di
filtri organizzativi, che possono favorire “un’eccessiva
proliferazione di organismi
poco o nulla rappresentativi”, che finirebbero per svuotare la stessa partecipazione.
In secondo luogo, è difficile
asserire che i CCM rappresentino tutti gli utenti dei servizi sanitari dal momento
che – come più volte sottolineato – non è sufficientemente significativa la proporzione di persone e associazioni che partecipano at-
tivamente ai lavori dei comitati. È davvero difficile parlare di rappresentatività di
fronte ad un fenomeno sociale basato completamente
sul lavoro volontario e sulla
disponibilità delle persone.
Su questo punto, i nostri
informanti non hanno avuto
alcun dubbio nel riconoscere
che i CCM, pur affrontando
problematiche sanitarie riguardanti l’utenza in generale, non hanno né la forza, né
la pretesa di voler rappresentare tutti i cittadini.
Nel caso dei CCM si tratta, in
pratica, di una rappresentanza qualitativa, basata sul significativo ruolo sociale da
essi svolto e sull’autorevolezza della loro azione volontaria [Hanau e Gattei, 1998].
Difatti, i nostri intervistati
non hanno nascosto le difficoltà incontrate per entrare
in contatto con un’utenza
più ampia di quella che attualmente si relaziona con i
Comitati. Un rapporto più
stretto tra utenti e i propri
portavoce, potrebbe sicuramente rafforzare la rappresentatività dei CCM.
Alcune considerazioni
conclusive
Dopo un lungo periodo di assenza dal dibattito politicosanitario, il tema della partecipazione dei cittadini viene
ripreso dalla normativa sanitaria nazionale (Dlg. n. 502
del 1992) che introduce un
sistema di garanzie e controlli della qualità da verificare anche dal lato degli
utenti e dei loro portavoce e
non solo dal lato dei controlli tecnici effettuati dagli
operatori sanitari. Oltre alla
partecipazione “individuale”,
N. 128 - 2001
che può consistere nella presentazione di osservazioni,
proposte, critiche, reclami e
denunce, l’articolo 14 del
Dlg. n. 502 prevede e incoraggia anche forme di partecipazione “collettiva”, tali
come la conferenza dei servizi, la presenza nelle strutture sanitarie di organismi di
volontariato e di tutela dei
diritti sia per svolgere attività di assistenza ai pazienti
e sia in qualità di organismi
di consultazione. Pertanto, il
legislatore non ha voluto solamente riconoscere e rafforzare il diritto di libera scelta
del consumatore (consumer
choice), che tradizionalmente
rappresenta uno dei principi
ispiratori dei sistemi sanitari
di ispirazione liberista e ad
orientamento di mercato
[Beardshaw, 1991; Beardwood
et al., 1999]. L’istituzione dei
CCM da parte della Regione
Emilia-Romagna, ha reso
possibile l’elaborazione e la
sperimentazione di un metodo di partecipazione collettiva, che ha permesso di superare il riduttivo approccio
‘individualistico’ tipico della
consumer satisfaction, ampiamente utilizzato in Gran
Bretagna e negli USA e, da
alcuni anni, anche in Italia.
Queste tecniche, sebbene
molto utili per ottenere
informazioni e rilevare le
opinioni degli utenti, non
sono idonee a coinvolgere
realmente i potenziali beneficiari dei servizi. Le popolazioni locali, come segnalano
Rhodes e Nocon [1998:78],
intrattengono una doppia relazione con il Servizio sanitario nazionale: come pazienti, nel momento in cui
utilizzano il servizio, e come
N. 128 - 2001
cittadini, visto il loro interesse (anche in qualità di
contribuenti) di mantenere
la salute della comunità. Risulta pertanto appropriata la
strategia seguita dai CCM di
cercare il coinvolgimento sia
degli utenti e sia dei cittadini. Al riguardo, i CCM hanno
sviluppato strumenti di partecipazione che offrono ai
rappresentanti degli utenti
l’opportunità di poter contribuire al dibattito sui servizi
sanitari e sui loro punti critici. Rappresenta anche un importante spazio informativo
e, per certi versi, anche formativo. Alle sessioni di lavoro del CCM partecipano dirigenti ed esperti, invitati per
presentare i piani e le riforme aziendali, approfondire le
questioni di ordine strutturale e organizzativo, oltre
che per rispondere alle
preoccupazioni e opinioni
critiche dei portavoce dei cittadini. Questo processo interattivo favorisce la comprensione degli aspetti più complessi del sistema delle cure e
la crescita personale di tutti
gli attori coinvolti. Benché le
attività di informazione e
formazione – come giustamente aveva sottolineato Ardigò [1979:18] – rappresenti-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
no solamente forme di collaborazione, che possono anche non tradursi in reale partecipazione, è bene ricordare,
tuttavia, come hanno evidenziato diverse ricerche sul
tema, che l’accesso alle informazioni è la premessa per
rafforzare le capacità di proposta e di azione (ovvero
l’empowerment) dei cittadini.
Altro aspetto interessante
dell’esperienza dei CCM è il
fatto di essere riusciti a produrre alcuni effetti positivi
sul management, influendo
su determinate decisioni
messe in atto dalle autorità
sanitarie, anche se le aspettative dei rappresentanti degli utenti sono superiori ai risultati sinora ottenuti. Probabilmente si rendono necessarie altre strategie d’indagine per verificare, con maggior profondità, la loro reale
capacità di condizionare le
scelte dei decisori.
Rispetto alla questione del
‘deficit di rappresentatività’
sollevato da alcuni informanti della nostra ricerca, va
ribadito che seppure i membri dei CCM non siano formalmente eletti né delegati
dai cittadini o dagli utenti
dei servizi sanitari, essi rappresentano le diverse asso-
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qualche modo, sono dei referenti o delle antenne di organismi e gruppi organizzati
della società civile.
Forse, l’aspetto più problematico dell’esperienza dei CCM è
quello relativo alla riduzione
dei livelli di partecipazione
dei rappresentanti delle associazioni alle attività programmate. Al riguardo, andrebbero chiamate in causa –
come vari intervistati hanno
evidenziato – anche le associazioni di volontariato e le
organizzazioni di tutela dei
diritti dei pazienti, per non
essere riuscite a garantire un
numero sufficiente di volontari da impegnare attivamente nei Comitati operanti nelle
diverse strutture sanitarie
della Regione. Ciò è particolarmente avvertito nella città
di Bologna dove si sono costituiti ben 10 Comitati e, in
molti dei quali, non è stato
possibile avviare un sistema
di rotazione dei rappresentanti delle associazioni. Un
interrogativo a cui la nostra
indagine non è ancora riuscita a rispondere e che meriterebbe ulteriori approfondimenti è quello di capire come
239
mai il volontariato sanitario –
nonostante il suo consolidato
radicamento nella realtà emiliano-romagnola [Bassi e
Stanzani, 1997; Frisanco e
Ranci, 1999], e nonostante la
vocazione, riconosciutagli, a
svolgere anche funzioni di
advocacy (tutela e promozione dei diritti sociali) – non è
ancora in grado di garantire
un’adeguata partecipazione
dei propri membri nell’ambito
dei CCM.
Non bisogna comunque mai
dimenticare che stiamo parlando di volontariato: i portavoce delle associazioni che
operano nei CCM sono dei volontari a tutti gli effetti, con
le ovvie conseguenze che ciò
comporta, anche in termini
di disponibilità e di motivazione, come la nostra ricerca
ha evidenziato.
Ad ogni modo, nonostante i
punti critici evidenziati dalla
nostra indagine, riteniamo
che l’originale esperienza avviata dai CCM possa esprimere interessanti potenzialità
per sviluppare forme di dialogo e d’interazione tra rappresentanti dell’offerta e della
domanda, configurando una
fase più avanzata di partecipazione diretta dei cittadini e
dei loro portavoce.
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N. 128 - 2001
Carlo Hanau*,
Sonia Cavallin**
*
Dipartimento di scienze
statistiche, Università di
Bologna
**
I
URP Azienda sanitaria locale
città di Bologna
Comitati consultivi misti
sono organi ufficiali ed
onorifici delle Aziende sanitarie 1 2, che hanno lo scopo di valutare la qualità percepita 3 dai cittadini sulle
prestazioni erogate dal servizio sanitario, favorirne l’umanizzazione e la personalizzazione, il comfort in ospedale
4
, controllare le liste di attesa, favorire l’informazione ai
cittadini sui problemi della
salute e dei servizi sanitari,
analizzare tutti i segnali di
disservizio, costituiti dai reclami, fare proposte alle direzioni, sperimentare l’applicazione degli indicatori di qualità dalla parte dell’utente,
così come previsto dall’art. 14
del decreto delegato n.
502/1992 e collaborare alla
scrittura, all’evoluzione ed al
rispetto delle carte dei servizi 5. I Comitati parteciperanno all’accreditamento di tutti
i servizi sanitari, come previsto dal decreto delegato n.
229/1999.
I Comitati nascono come prima esperienza sperimentale
nel 1992 presso gli Istituti
Ortopedici Rizzoli e quindi
vengono istituzionalizzati
dall’art. 15 e 16 della legge n.
19/1994 dell’Emilia-Romagna; da questa norma viene
riconosciuta una formale par-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Esperienze di
Comitati
consultivi misti
tecipazione dei cittadini, in
forma consultiva, alle decisioni, alle valutazioni e alle
verifiche dell’Azienda pubblica sanitaria.
I Comitati sono formati da
rappresentanti di associazioni di volontariato, di associazioni di tutela dei diritti del
malato e di pensionati oltre
che da una rappresentanza
minoritaria dell’Azienda sanitaria, ove sono compresi i dirigenti dell’Ufficio Relazioni
col pubblico e quelli dei servizi invitati di volta in volta
a seconda degli argomenti all’ordine del giorno. In alcuni
Comitati sono presenti anche
gli Assessori comunali alla
sanità.
Dopo l’esperienza anticipatrice degli Istituti Ortopedici
Rizzoli, l’Azienda sanitaria
della città di Bologna istituisce con apposito atto deliberativo e successivo regolamento i Comitati (deliberazione n. 2336 del 13.6.1995),
seguita dall’Azienda ospedaliera S. Orsola Malpighi, e da
tutte le altre aziende sanitarie.
Con delibere n. 320 e n. 678
del 1.3.2000, a completare
l’attuazione della delibera di
Giunta regionale n. 1011 del
7.3.1995, la Regione Emilia
Romagna ha costituito un
analogo Comitato, formato
dai coordinatori dei Comitati
delle Aziende principali (sanitarie, ospedaliere e IRCCS)
e presieduto dall’Assessore
Regionale della Sanità. Al Comitato sono sottoposte preventivamente le proposte di
legge e di direttive dell’Assessorato alla sanità per instaurare il patto sanitario, voluto
dal Piano sanitario nazionale
e da quello regionale. Da ultimo, con delibera della Giunta
del 18.4.2001, il regolamento
del Comitato consultivo regionale per la qualità dei servizi sanitari dal lato del cittadino è stato modificato, conferendone la presidenza a
uno dei componenti.
In cinque anni di attività i
CCM dell’Azienda USL città di
Bologna si sono occupati di
numerose tematiche raggiungendo importanti traguardi:
• Miglioramento nella erogazione del servizio di Guardia
Medica cittadina
• Miglioramento del servizio
psichiatrico di urgenza
• Attivazione del servizio di
Assistenza domiciliare integrata
• Miglioramento qualitativo
e aumento quantitativo di
Comunità protette e Residenze sanitarie assistenziali
241
• Informazioni al pubblico
mirate e tempestive sulle
conseguenze di importanti
ristrutturazioni edilizie degli ospedali e del riassetto
aziendale
• Riduzione dei prezzi delle
confezioni di acqua minerale
vendute all’interno degli
ospedali ed ottenimento di
mezzo litro di acqua minerale per ogni pasto
• Dalla fine del 2000 è iniziata una serie di visite dirette, con o senza preavviso,
alle RSA ed alle Comunità
psichiatriche, solitamente
condotte in appalto da cooperative o associazioni.
Il Comitato consultivo misto
dell’Azienda Ospedaliera S.
Orsola Malpighi ha effettuato visite nei reparti per verificare il comfort alberghiero,
l’umanizzazione, la personalizzazione e per rilevare i
disservizi, senza attendere
che fossero gli utenti a segnalarli. Le visite hanno lo
scopo di verificare gli indicatori di qualità delle cure elaborati a livello nazionale
dalla Commissione ministeriale, istituita nel 1992 per
gli indicatori di qualità della
cura dalla parte dei malati. Il
Comitato ha collaborato all’estensione delle tre edizioni della Carta dei servizi e ne
ha verificato l’applicazione.
Ha collaborato con l’Ufficio
relazioni pubbliche al progetto Customer Satisfaction
aziendale, che ha effettuato
moltissime indagini sulla
soddisfazione degli utenti.
Queste rappresentano, insieme ai reclami e alle osservazioni sul campo, il sistema
di valutazione del buon funzionamento aziendale, i cui
242
risultati sono dettagliati nel
resoconto definitivo, che si
può articolare in quattro temi principali:
• Diritto all’informazione
• Prestazioni alberghiere
• Personalizzazione/Umanizzazione
• Accessibilità ai servizi.
I risultati, inviati a tutte le
Direzioni interessate, consentono, per ogni tema affrontato, di effettuare un
confronto tra i singoli Servizi/Unità Operative e la situazione media aziendale, individuando le aree critiche per
intraprendere le azioni di
miglioramento.
Le indagini di soddisfazione
vengono ora ripetute regolarmente, estese a tutto l’ospedale e standardizzate tramite una procedura aziendale, costituendo un monito-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
N. 128 - 2001
raggio sistematico del livello
di percezione della qualità
dei servizi erogati.
Particolare attenzione è stata rivolta alla valutazione
della pulizia delle superfici,
anche mediante indicatori
oggettivi meccanici e visivi.
Si sono fatte proposte per assicurare la continuità delle
cure nel caso di rientri in
ospedale per ricoveri ripetuti
e per visite ambulatoriali.
Si è constato da ultimo, che
le segnalazioni di disservizio che provengono spontaneamente dagli utenti, classificate dall’URP ed esaminate dai CCM, quelle rilevate
nel corso delle visite dei
componenti i CCM, e le risposte ai brevi questionari
distribuiti e analizzati da
incaricati esterni dell’Agenzia sanitaria regionale, con-
to, si descrivono in allegato i
più rilevanti argomenti trattati dal CCM dell’Azienda
Unità sanitaria locale della
città di Bologna nel 2000,
che hanno consentito di promuovere interventi importanti nel miglioramento del
servizio offerto.
vergono su alcune problematiche e su alcune Unità Operative, che evidentemente
meritano una maggiore attenzione al fine di elevare il
livello di qualità reale e di
qualità percepita.
Ad integrazione ed esemplificazione di quanto riportaBibliografia
1
2
3
4
5
C. Hanau, L. Gattei, I comitati consultivi misti nell’azienda sanitaria città di Bologna. L’Arco di Giano, n. 16, 1998, pp.
183-190.
C. Hanau, Diritto di replica: una valutazione tendenziosa. L’Arco di Giano, n. 18, 1998, pp. 279-283.
C. Hanau, La qualità percepita dagli utenti. Salute e Territorio,
n. 122, sett-ott. 2000, pp. 268-272.
L. Bolognesi, L. Bonucci, Storia della confortevolezza in ospedale. Quaderni Qualità n. 6 I1 Comfort in
ospedale, Agenzia sanitaria regionale, CLUEB, Bologna, 1999,
pp. 47-62.
C. Hanau, Le carte dei diritti del malato. La Salute in Italia, a
cura di M. Geddes e G. Berlinguer, Ediesse, Roma, 1997, pp.
87-105.
Comitato consultivo misto aziendale città di Bologna, argomenti trattati nell’anno 2000
Argomenti
Relatore
Data
Note
Conduzione Villa Olimpia
Responsabile
sanitario della
Struttura
24/01/2000
Illustrazione generale organizzazione dipartimento
salute mentale a Bologna con particolare riguardo
alle Comunità protette ed in particolare quella
dell’Angelo Custode.
Gestione Centro menopausa
Responsabile
sanitario della
funzione
24/01/2000
Illustrazione dell’attività del centro e delle
richieste per migliorarlo
Aggiornamento protocollo
operativo ADI
Responsabile
sanitario della
funzione
28/02/2000
Illustrazione e distribuzione progetto
Decisione di incontrare il Direttore generale Ausl e
gli assessori comunali (Professori Pannuti e
Salvioli) in merito alla parte sociale dell’ADI di
competenza comunale e relative competenze di
spesa.
Trasferimento centro prelievi
laboratorio urgenze
Direzione
medica
dell’ospedale
03/04/2000
Illustrazione del programma spostamenti/
ristrutturazioni / nuove costruzioni all’ospedale
Maggiore
Relazione sull’attività del
Comitato consultivo
misto regionale
Delegato CCM
in Comitato
regionale
03/04/2000
Presa d’atto
N. 128 - 2001
Argomenti
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Relatore
Data
Note
Analisi e criteri di
rilevazione liste di attesa
del presidio ospedaliero
Bellaria Maggiore
Direzione
medica
dell’ospedale
22/05/2000
Illustrazione procedure con indicazione dei criteri e
rilevazione tempi attesa per ricoveri. Distribuzione
linee guida regionali
Bonus / Malus per esami
prenotati e non
eseguiti
Coordinatore
CCM
22/05/2000
Illustrazione proposta regionale: parere negativo
del CCM su eventuale applicazione
ADI e definizione della
competenza del settore
sociale e di quello sanitario
Coordinatore
CCM
22/05/2000
Incontro tra rappresentanti del CCM e gli Assessori
comunali e la Direzione generale Ausl: il Comune,
non essendo in grado di fornire risposte, istituirà
un gruppo di lavoro. Contestualmente parte un
progetto ADI sperimentale in Ausl. Si resta in
attesa dei risultati definitivi.
Comunità dell’Angelo Custode
(dipartimento
salute mentale)
Responsabili
sanitari della
struttura
28/06/2000
Illustrazione capitolato con competenze Ausl
(sanitarie) e ditta appaltatrice (riabilitative).
Il CCM attraverso alcuni rappresentanti ha
effettuato un sopralluogo presso la Comunità, che
ha avuto esiti positivi.
Nomina rappresentanti
del CCM per il percorso
chirurgico
Coordinatore
CCM
28/06/2000
Sono nominati il Prof. Hanau e il Prof.
Santacaterina
Responsabile
Ufficio di
relazione con il
pubblico
13/09/2000
Presa d’atto senza rilievi.
Riferimenti in merito
Gruppo che ha
al sopralluogo effettuato
effettuato
a luglio presso la
visita presso la
Comunità dell’Angelo
struttura
Custode e pubblicizzazione
del capitolato speciale per la
gestione della medesima struttura
13/09/2000
Il 18.7.2000 alcuni rappresentanti del CCM hanno
effettuato un sopralluogo presso la Comunità
dell’Angelo Custode che ha dato risultati positivi.
Monitoraggio istanze
1° semestre 2000
Presidio Ospedaliero
Bellaria Maggiore
Raccolta questionario
gruppo HPH Comfort
Responsabile
13/09/2000
Il gruppo regionale HPH comfort coordinato dalla
URP d.ssa Cavallin ha predisposto un
questionario, distribuito ai componenti
CCM per la compilazione.
Aggiornamento Assistenza
domiciliare integrata
Dirigente
medico
componente
del CCM
23.10.2000
Il CCM suggerisce di predisporre un’informativa da
distribuire all’utenza
Carta impegni psichiatria
e regolamento
struttura Angelo Custode
Responsabile
medico della
struttura
20.11.2000
Il CCM auspica che tutte le Comunità dell’Ausl
fossero dotate di analogo regolamento. Alcuni
componenti sono favorevoli ai pasti comunitari
(familiari - pazienti) e vorrebbero ampliare l’orario
di accesso alle Comunità, particolarmente in estate.
Accanimento in trattamenti
sanitari
Coordinatore
CCM
20.11.2000
Approvazione documento del Presidente del
Comitato di bioetica dell’Ospedale Maggiore.
Intervento del primario
del laboratorio analisi
dell’Ospedale Maggiore
Responsabile
medico della
funzione
18.12.2000
Illustra un progetto di attivazione sperimentale per
l’Ospedale Maggiore per la spedizione per via
postale dei referti di laboratorio.
243
244
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Argomenti
Relatore
Data
in merito ai tempi per
la refertazione e consegna
degli esami di
laboratorio
Illustrazione da parte
dell’associazione
AVIUSS delle competenze
del numero telefonico
051204307 attivato con
il patrocinio del Comune
di Bologna per fornire
informazioni sull’assistenza
socio sanitaria alle persone
anziane.
N. 128 - 2001
Note
Il CCM chiede di effettuare un’indagine tra i
distretti dell’Ausl città di Bologna per conoscere i
tempi indicati per il ritiro dei referti e gli orari di
apertura al pubblico degli uffici preposti alla
consegna.
Due
rappresentanti
AVIUSS
18.12.2000
Proposta all’AVIUSS di chiedere al Comune
l’attivazione di un numero verde in sostituzione
dell’attuale a pagamento.
Tra le varie ed eventuali ci sono stati accenni a:
Argomento
Data
Note
Previsione di un possibile cambiamento / accorpomento
dell’organizzazione dei CCM dell’Ausl in conseguenza
del cambiamento dell’assetto organizzativo aziendale
24/01/2000
Il CCM si esprime
positivamente e resta in
attesa del riassetto
aziendale.
Illustrazione del Gruppo Regionale HPH Comfort
coordinato dalla responsabile URP, contestuale proposta
con esplicita richiesta di partecipazione di un
rappresentante del CCM
24/01/2000
Un componente del CCM si
rende disponibile
Informativa conversione siringhe insulina per diabetici
dal 1.3.2000
24/01:2000
Presa d’atto
Distribuzione di materiale informativo sul CCM predisposto
segretaria al convegno del 3.3.2000 che il Comune
organizza alla cappella Farnese dal titolo “il
ruolo delle associazioni familiari nelle politiche sociali”
28/02/2000
Parere favorevole del CCM dalla
alla pubblicizzazione
Informazione sul seminario organizzato dal settore legale
e patrimonio in tema “Semplificazione o trasparenza e
riservatezza nelle Aziende sanitarie pubbliche e private
nel rapporto con il cittadino” tenuto il 4.4.2000
28/02/2000
Presa d’atto
Distribuzione monitoraggio istanze Ausl città di Bologna
2° semestre 1999
28/02/2000
Presa d’atto, senza rilievi
Distribuzione elenco consultori ostetrico ginecologici dell’Ausl
28/02/2000
Presa d’atto
Distribuzione protocollo per la gestione delle cartelle
cliniche nel presidio ospedaliero Bellaria Maggiore
28/02/2000
Presa d’atto, senza rilievi
Informativa sui controlli effettuati nel presidio Bellaria
Maggiore sulla prescrizione di farmaci sottoposti a note CUF
28/02/2000
Presa d’atto
Distribuzione nota che stabilisce che il garante per la privacy
ha espresso indicazioni per cui la commissione invalidi civili
non deve più trasmettere i dati degli invalidi all’ANMIC
03/04/2000
Il CCM auspica una
pubblicizzazione del parere.
Incontri con Università Primo Levi, maggio 2000,
sul tema “Accoglienza in ospedale”
03/04/2000
Rappresentanti dell’Ausl e
del CCM relazioneranno alle
conferenze pubbliche
N. 128 - 2001
245
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Argomento
Decisione di rinnovare i componenti del CCM aziendale
rappresentanti delle associazioni per sostituire quelli
sistematicamente assenti
Data
03/04/2000
22/05/2000
28/06/2000
Note
Assunzione di una nuova ed
aggiornata composizione
Richiesta rispetto dei tempi per i lavori di ristrutturazione
all’Ospedale Maggiore
13.9.2000
Alcuni componenti si
rendono disponibili per
sopralluoghi
Fondazione del Monte: stanziamento finanziamenti
per assistenza domiciliare anziani
23.10.2000
Richiesta di chiarimenti alla
Direzione sanitaria.
L’ARAD illustra loro il
Progetto anziani
Corrispondenza tra un associato del TDS e
Dipartimento salute mentale
23.10.2000
Il CCM prende atto
Informativa su nuovo numero telefonico e ampliamento
orario guardia medica da dicembre 2000
20.11.2000
Presa d’atto
Richiesta CCM di non far cambiare reparto a paziente dimesso
e rientrante in ospedale entro breve tempo,
attraverso Pronto Soccorso, per evitare ripetizione
esami già effettuati e per dare continuità alla cura
20.11.2000
Suggerimento trasmesso alla
Direzione generale per il
seguito
246
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
J. Gost
P. Astier
B. Bermejo
C. Silvestre
M.T. Chivite
N. 128 - 2001
Le tecnologie
dell’informazione
Servizio di Medicina Preventiva
e Gestione della Qualità.
Hospital de Navarra. Servizio
sanitario della Navarra
I
l rapido sviluppo delle tecnologie dell’informazione,
di Internet in particolare,
sta determinando un cambiamento notevole nei paesi industrializzati.
Questo fenomeno si presenta
anche nell’ambiente sanitario.
Secondo le stime, nella rete
sono più di 100.000 le pagine
web su questo tema; attraverso di esse programmatori, amministratori, pazienti e cittadini possono accedere a
un’ampia serie di servizi. In
pratica, fra breve tempo sarà
possibile realizzare via Internet qualsiasi cosa fattibile riusciamo a immaginare.
Sebbene nel settore delle imprese l’investimento in tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (TIC) costituisca, insieme con le persone e i
processi, uno degli elementi
strategici per raggiungere
un’organizzazione di altissimo
livello, si può dire lo stesso
dei servizi sanitari?
La situazione relativa alle
tecnologie dell’informazione
nell’insieme del sistema sanitario nazionale spagnolo presenta, a parte alcune esperienze isolate, uno sviluppo
irregolare e, in genere, poco
avanzato.
Perciò, come prima riflessione,
sorge la necessità di implementare elaborazione, sviluppo e controllo di un Piano
strategico dell’informazione
del sistema sanitario nazionale.
Sulla base di raccomandazioni
e strategie di differenti documenti, esso dovrebbe rispondere ai seguenti principi:
• Missione:
fare in modo che i cittadini ricevano la migliore assistenza
possibile da parte dei servizi
sanitari esistenti nello Stato
spagnolo.
• Visione:
disporre degli strumenti e
delle strategie migliori per
garantire la qualità dell’informazione e l’accesso ad essa.
L’informazione sarà disponibile nel luogo e nel momento
opportuno (I want it now),
perché le persone possano
prendere le decisioni adeguate e raggiungere i risultati
previsti.
Obiettivi generali:
• i professionisti, pazienti e
cittadini, disporranno dell’informazione esatta per poter prendere decisioni relative
alla cura della loro salute;
• gli amministratori disporranno di informazioni per poter realizzare una gestione effettiva ed efficiente delle risorse;
• i programmatori disporranno dell’informazione sufficiente relativa ai problemi e
alle necessità sanitarie per
I principi e le strategie per lo sviluppo di una
rete informativa nel sistema sanitario. L’esempio di Navarra
stabilire programmi e azioni
adeguate.
Questi obiettivi corrispondono
ai differenti fini per i quali abbiamo registrato i vari dati sanitari: prestazione di cure
(preventivi inclusi), gestione
del servizio sanitario, analisi
delle necessità e programmazione, assegnazione delle risorse, valutazione e controllo,
ricerca, epidemiologia, ecc.
Ambito di applicazione
• Il sistema sanitario nazionale ha bisogno di un tipo
d’informazione che analizzi e
integri quella dei diversi servizi sanitari, soprattutto se si
considera che, alla fine dell’attuale legislatura (2003), è
previsto il trasferimento della
gestione dell’INSALUD, l’istituto spagnolo di assistenza
sanitaria, a quelle Regioni autonome che ancora non hanno
assunto detta competenza e
che, nel Paese, avremo diciassette servizi sanitari. Sebbene
sia logico sviluppare un sistema d’informazione del sistema sanitario nazionale, la sua
realizzazione non è tuttavia
ipotizzabile a breve scadenza.
Per questa ragione è imprescindibile ottenere il consenso
di tutte le parti implicate. In
questo senso il Consiglio interterritoriale potrebbe essere
la cornice adeguata per la sua
soluzione.
• Considerato l’irregolare sviluppo, sia nei vari servizi che
nei centri sanitari si presentano diversi temi di discussione: che livello di priorità
ha lo sviluppo di sistemi integrali d’informazione? Esistono e sono sufficienti i fondi da destinarsi a questo effetto? È compatibile lo sviluppo opportunistico di sistemi d’informazione locali con
le necessità d’informazione
corporative? Essi perseguono
gli stessi obiettivi?
• Architettura di sistemi: da
un punto di vista esclusivamente tecnico ci sono ugualmente temi di dibattito? Sono compatibili i diversi sistemi d’informazione esistenti?
Rispondono agli stessi standard? La loro integrazione è
fattibile?
Obiettivi strategici
• Garantire agli operatori sanitari l’accesso ai dati clinici
N. 128 - 2001
dei loro pazienti, allo scopo di
facilitarne l’assistenza.
• Garantire agli operatori sanitari l’accesso a quelle fonti
che permettano loro di disporre dei dati più sicuri e di valutare l’efficacia e l’efficienza
del loro lavoro, confrontandolo con i migliori.
• Facilitare ai pazienti la realizzazione on-line delle pratiche relative alla loro assistenza sanitaria (comprese le richieste di consiglio al personale sanitario).
• Facilitare ai pazienti l’accesso, la verifica e la convalida di loro dati clinici e valori
rilevanti che abbiano ripercussioni sulla prestazione di
cure.
• Rendere possibile ai pazienti l’accesso a fonti d’informazione che permettano loro di
collaborare attivamente alla
cura della loro salute.
• Garantire la qualità dei dati
introdotti nel sistema.
• Disporre di quadri di comando integrati che permettano
di essere informati sulla realizzazione degli obiettivi e sui
risultati.
• Garantire l’esistenza d’informazione disponibile per la
programmazione di nuovi servizi e attività.
• Garantire lo scambio di
informazioni importanti tra i
diversi livelli.
• Rendere possibile la vigilanza telematica o l’ospedalizzazione virtuale in determinati
processi.
Perché le tecnologie d’informazione e comunicazione diventino un elemento strategico, dovrebbero basarsi sui seguenti presupposti:
• Incentrarle sul paziente
(l’informazione assistenziale è
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
alla base della gestione del
centro sanitario).
• Gestione delle conoscenze.
• Accessibili a programmatori,
amministratori, personale sanitario, pazienti e cittadini.
• Rispondere a criteri di sicurezza, privatezza e riservatezza.
• Permettere di ottenere sistemi integrati di gestione (quadri di comando).
• Essere accessibili al momento e nel luogo necessari, secondo il diritto di accesso posseduto.
Tra i principali strumenti tecnologici bisogna menzionare:
• Storia clinica informatizzata.
• Tesserino sanitario individuale.
• Registri di attività clinica
(radiologia: RICS, PACS, analisi cliniche, anatomia patologica, ecc.).
• Altri sottosistemi integrati
di gestione (economico-finanziario, personale ...).
• Intranet (architettura di
servizi d’informazione che applica la tecnologia di Internet
a un contesto corporativo).
• Internet e strumenti di accesso (PC, Mac, PDA, ecc.).
Prima di esaminare le opportunità e i problemi relativi ad
alcuni degli aspetti citati,
conviene considerare due questioni fondamentali nel processo di gestione dei servizi
sanitari: il paziente in quanto
centro del processo e la gestione delle conoscenze.
Il paziente come centro del
processo
I dati provenienti dall’attività
di assistenza devono costituire la base della gestione clini-
ca e della programmazione
ospedaliera. I dati relativi ai
pazienti si integrano con
quelli di altri sottosistemi
(personale, economico-finanziario, ecc.), permettendo cosí di disporre d’informazione
valida e sicura in tempo reale,
“quadro di comando”, per
prendere decisioni di tipo
operativo, tattico o strategico.
Gestione delle conoscenze
L’accesso all’informazione non
può essere un obiettivo di per
sé stesso. L’obiettivo principale dell’informazione è di aiutare a prendere decisioni in
una situazione d’incertezza.
L’istituzione sanitaria ha l’obbligo di prestare assistenza,
contando sulla migliore informazione certa disponibile.
Questo implica la necessità di
potenziare le capacità del personale con una gestione adeguata delle conoscenze, facilitando agli operatori del settore l’accesso alle lezioni apprese dal centro (chi sa dove si
trova un certo tipo d’informazione) e a fonti d’informazione qualificata. Si tratta di un
processo globale di trasformazione che deve ugualmente
essere organizzato (gestione
della trasformazione).
Gli amministratori e il personale sanitario non sono gli
unici interessati a sapere quali procedimenti siano efficaci,
quanto costino e quali siano i
loro risultati; anche i pazienti, indipendentemente dall’esistenza o meno di un mercato sanitario (sebbene in quest’ultimo caso sia molto piú
evidente), chiedono sempre
piú spesso di conoscere i risultati dei servizi e il loro costo,
ragione per cui sembra inarre-
247
stabile la tendenza a rendere
accessibili al pubblico detti risultati e a stabilire, nonostante tutti i vincoli, benchmarking tra servizi simili.
Strumenti principali
Storia clinica informatizzata
L’esperienza ci dice che i dati
raccolti su carta presentano
grandi difficoltà al momento
di essere convertiti in informazione. Tuttavia, l’introduzione della storia clinica
informatizzata è stata più
lenta del previsto. Tra le cause
addotte a giustificare tale ritardo si distinguono la scarsa
accettazione degli strumenti
informatici da parte dei medici, il loro scarso grado di sviluppo (per lo meno relativamente alle prime versioni),
l’assenza di valore aggiunto,
la coesistenza dello strumento
cartaceo, ecc. Poiché la storia
clinica informatizzata implica
un profondo cambiamento
culturale, la sua introduzione
deve realizzarsi valutando attentamente tutti i fattori condizionanti.
Tra i vantaggi della storia clinica informatizzata bisogna
citare i seguenti:
• Accesso remoto in tempo
reale.
• Leggibilità.
• Incorporazione e integrazione con altre fonti di dati, sia
clinici che di altro tipo.
• Facilità di ricerca.
• Permanente attualizzazione.
• Facilità di utilizzazione per
la ricerca clinica, epidemiologica e per la ricerca sui servizi sanitari.
• Facilità di valutare la qualità
dei dati.
• Sicurezza nell’immagazzinamento dei dati (datawarehouse).
248
• Possibilità di stabilire relazioni con i valori rilevanti del
soggetto.
• Collegamenti automatici a
lezioni apprese nel centro
(protocolli, ecc.).
• Collegamenti automatici con
la ricerca di chiarimenti relativi a problemi specifici.
• Collegamenti per facilitare al
paziente informazione complementare sulle cure specifiche del suo caso.
Esistono tuttavia problemi importanti nello sviluppo della
soria clinica informatizzata,
soprattutto se si pianificano
strategie corporative che possono ridurne il potenziale. Tali problemi sono in relazione
con:
• Necessità di un vocabolario
clinico omogeneo.
• Definizione unificata dei dati in modo da poter realizzare
il raggruppamento e l’impiego
di essi.
• Adeguata codificazione dei
dati complessi.
• Condividere l’informazione
tra diverse istituzioni.
• Garantire la riservatezza dei
dati.
• Garantire l’attiva partecipazione dei pazienti.
Tesserino d’identificazione
sanitaria
Il tesserino d’identificazione
sanitaria (TIS) è uno degli
strumenti con maggior potenziale. In una recente iniziativa dell’Unione Europea si
stabilisce che “Entro il 2003
tutti i cittadini europei dovranno avere la possibilità di
accedere in modo sicuro e
confidenziale, mediante il loro tesserino elettronico sanitario – EUROCARD – alla rete
dove si trova la loro storia
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
N. 128 - 2001
medica”. In linea con questa
iniziativa, il tesserino sanitario, oltre a costituire un elemento d’identificazione, dovrà essere dotato di possibilità simili a quelle di altre
tessere di imprese di servizio
attualmente in uso.
Un aspetto importante, a nostro giudizio, è che ormai diventa inevitabile l’esistenza
di un numero d’identificazione personale unico per tutto
il sistema sanitario nazionale (così come è in uso nel
servizio sanitario della Navarra) ed è quanto meno
preoccupante che finora non
si siano fatti progressi significativi nella sua introduzione. A detto numero dovrebbero essere collegati i registri elettronici dei processi
clinici che il paziente abbia
avuto durante la sua vita. Il
tesserino d’identificazione
sanitaria dovrebbe essere
realizzato il più presto possibile, in modo sistematico e
mediante la logistica adeguata, a tutti i neonati, in
modo che la loro storia clinica venga registrata dall’inizio sotto un unico numero
d’identificazione.
gatorio il consenso del paziente per raccogliere dati
nella sua storia clinica? Ci sono situazioni che richiedano
un espresso consenso per
l’impiego di tali dati? Il paziente ha diritto alla modificazione o cancellazione di
dati clinici o la storia clinica
ne è esente?
• Accessibilità. Come si conciliano il criterio di limitazione
dell’accesso e la storia clinica
informatizzata disponibile in
un luogo di lavoro pluridisciplinare? Stabilire diversi livelli di accesso costituisce una
garanzia sufficiente? Chi concede detta qualificazione?
• Migrazione di dati verso basi
di dati amministrative. Esiste
la sicurezza che si importano
solo dati che non permettano
l’identificazione del paziente?
Si interrompono i collegamenti che permettono l’identificazione individuale? Si importano solo i dati strettamente necessari?
La creazione di basi di dati
dai registri clinici dei pazienti ha come conseguenza la
collisione di due principi: il
diritto del cittadino alla segretezza dei suoi dati e il
possibile beneficio che ha per
la società l’analisi dei dati aggregati.
Nonostante la Legge organica
di protezione dei dati di carattere personale (LORPD)
permetta, secondo alcuni autori, di realizzare la valutazione e la ricerca, la mancanza di
sviluppo a livello normativo
può condizionarne l’applicazione pratica.
Internet
Internet sta diventando uno
strumento decisivo, poiché
rende possibile l’accesso a fonti d’informazione sanitaria in
un volume e con un’ampiezza
di accesso finora sconosciuti.
Internet permette di prendere
decisioni basate su fatti evidenti, fornendo una possibilità di accesso economica, rapida ed efficiente (specialmente con l’introduzione dei
PDA, assistenti digitali portatili). Esso, inoltre, può potenziare la comunicazione tra
personale sanitario e paziente, facilitando l’integrazione
delle preferenze e dei valori
del paziente con i dati di evidenza scientifica, nel quadro
della storia personale di ogni
paziente e del suo ambiente
sociale.
Internet, tuttavia, ha determinato anche la comparsa di
nuovi problemi, in particolare
legati alla gestione dell’informazione e alla segretezza e riservatezza dei dati.
Aspetti etico-legali relativi
ai sistemi d’informazione
sanitaria
La proliferazione di differenti
basi di dati contenenti dati
personali pongono importanti
problemi di carattere etico-legale e creano un importante
paradosso tra il rapido progresso tecnologico e la lentezza nella modifica delle norme
regolatrici.
La segretezza e riservatezza
dei dati sono i problemi che
determinano maggiori conflitti. In ogni caso è importante
sottolineare che il contesto
socioculturale spagnolo è molto diverso da quello anglosassone. Il principio dell’autonomia del paziente non è tanto
radicato o viene graduato dalla cerchia familiare che tende
a proteggere il congiunto dalle cattive notizie.
Il dovere di proteggere la riservatezza dei dati si estende
a tutti coloro che hanno accesso agli stessi, e non solo
per principi etici, ma per
espressa disposizione legale.
Ebbene, nella pratica quotidiana, si può entrare in ambiti i cui limiti non sono chiari,
ovvero:
• Raccolta, modificazione e
cancellazione di dati. È obbli-
Sicurezza del supporto
informatico
Oltre alla segretezza e alla riservatezza dei dati, la sicu-
N. 128 - 2001
Problemi
Identificare l’u tente
Autenticazione
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Descrizione
Come riconosce il sistema
che l’utente è autorizzato
all’accesso?
Garantire il non ripudio
(che non possa negare di aver
inviato un determinato dato)
Livello di accesso
Accertamento della corretta
utilizzazione da parte del
personale autorizzato
Accertamento della fonte
di dati
Garantire la segretezza,
evitando la cattura di dati
da parte di terzi non
autorizzati
Proteggere entrata Intranet
rezza degli stessi costituisce
un elemento fondamentale. Il
loro trattamento non differisce da quello riservato a qualsiasi transazione via Internet
e le soluzioni, d’altra parte,
sono in continua evoluzione.
Conviene ripetere comunque
che i principali problemi e
A che parte della
storia clinica ha accesso?
Come ridurre al minimo
il rischio di una cattiva
utilizzazione?
Come sappiamo di essere
entrati nel programma e
che questo non è stato
manipolato?
Soluzioni
La chiave e la
password possono
non essere
sufficienti. L’accesso
mediante tesserino
elettronico introduce
un’ulteriore difficoltà
La certificazione
e la firma digitale
aumentano la sicurezza
garantendo il
non ripudio.
Stabilire livelli di
accesso (privilegi),
tanto per la lettura
che per
l’introduzione e/o
impiego dei dati
Traiettoria d’accesso e
controllo aleatorio o
specifico
Autenticazione della
fonte: feed-back
sistema-utente
Occultamento di dati
Come evitare gli hacker?
minacce alla sicurezza dipendono dalle persone. L’accesso ai registri informatici
può essere violato sia da
utenti privi della necessaria
autorizzazione (hackers), sia
da utenti autorizzati che
fanno un uso proprio del loro privilegio. L’operatore sa-
Istallazione di Firewall
nitario deve avere la certezza che i dati da lui introdotti non saranno manipolati, o
semplicemente verificati, da
persone estranee, poiché, in
questo caso, le sue reticenze
nei confronti dell’uso della
storia clinica informatizzata
aumenteranno.
249
Come avviene in qualsiasi processo di programmazione, dovremo definire dapprima gli
obiettivi che ci prefiggiamo,
per poi stabilire le priorità relative su cosa proteggere, da
che cosa e come.
Conclusioni
Sembra evidente che le tecnologie dell’informazione costituiscono una strategia fondamentale per l’espansione delle
politiche della salute nei paesi sviluppati.
In questo senso le tecnologie
dell’informazione possono
contribuire alla realizzazione
dei diritti fondamentali del
paziente: “per mezzo di dati
clinici corretti disponibili in
tempo e forma dovuti, l’operatore sanitario adotterà –
insieme con il paziente – le
decisioni pertinenti che, mediante un adeguato processo, rendono possibile il raggiungimento dei risultati migliori”. D’altra parte le tecnologie fanno sí che gli amministratori prendano decisioni meglio informati, che i
programmatori dispongano
di fonti d’informazione affidabili e aggiornate per la
riorganizzazione e l’adattamento dei sistemi sanitari
alle necessità della popolazione.
250
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Julien Carretier
Line Leichtnam
Maryse Véron
Valérie Delavigne
Hélène Hoerau
Thierry Philip
Béatrice Fervers
I
l progetto Sor savoir patient è stato avviato nel
1998 dalla Federazione
nazionale dei centri di lotta
contro il cancro con la partecipazione di 20 centri. Questo progetto è finanziato dalla Lega nazionale contro il
Cancro e dalla CNAMTS (Cassa
nazionale di assicurazione
malattie e dei lavoratori salariati).
Nel 1998, in collaborazione
con l’Associazione dipartimentale di Educazione alla
salute (ADES) del Rodano, la
FNCLCC ha riunito un gruppo
di pazienti allo scopo di capire meglio le loro aspettative e
i loro bisogni in tema di
informazioni sulla malattia.
È emerso che:
• le persone colpite dal cancro desiderano disporre di
informazioni relative alla loro
malattia, ma hanno anche bisogno di ascolto, dialogo, attenzione e spesso di sostegno
e aiuto;
• sono essenziali la forma e il
contenuto di queste informazioni, ma anche il momento
in cui vengono fornite;
• l’informazione è inscindibile da una comunicazione personalizzata, basata sull’ascolto e sul rispetto.
È in questo contesto che la
FNCLCC e i 20 centri di Lotta
N. 128 - 2001
L’informazione
valutata dai pazienti
contro il Cancro, in partnership con la Lega e la CNAMTS,
hanno attuato il progetto Sor
savoir patient (SSP).
L’elaborazione dei documenti
Sor savoir patient poggia su
tre grandi principi:
1. Un’informazione basata sul
concetto della evidence-based
medicine.
2. Un approccio multidisciplinare che implica la partecipazione dei pratici delle discipline interessate.
3. La partecipazione attiva
dei pazienti, di ex-pazienti
e dei familiari lungo tutto il
processo di elaborazione degli strumenti di informazione
Sor savoir.
Gli obiettivi generali del progetto sono di quattro ordini:
1. Migliorare la qualità dell’assistenza alle persone colpite dal cancro.
2. Permettere ai pazienti di
capire la propria malattia e
l’assistenza loro prestata,
nonché di riconoscere e gestire meglio le conseguenze e
gli effetti secondari della malattia stessa.
3. Permettere ai pazienti di
partecipare meglio all’assistenza che viene loro prestata
e alla decisione terapeutica.
4. Favorire il dialogo medicopaziente.
Per raggiungere questi obiet-
Una guida elaborata insieme ai diretti interessati per la corretta comprensione del linguaggio utilizzato
tivi generali, il progetto si articola in obiettivi operativi di
tre ordini:
• sviluppare e mettere a disposizione dei pazienti e dei
loro familiari informazioni
convalidate, comprensibili,
accessibili e sistematicamente aggiornate;
• proporre ai medici informazioni sintetiche per comunicare meglio con il paziente in
termini comprensibili;
• proporre strumenti per attuare progetti di educazione
del paziente a livello locale e
regionale.
Il progetto è utile per il paziente ma anche per il medico, compreso il medico di
base.
Il processo di elaborazione
del progetto è in tre tappe:
1. I documenti standard, opzioni e raccomandazioni
(SOR) per la prassi clinica in
cancerologia, destinati agli
specialisti, sono prima tradotti in linguaggio semplice
da un’équipe multidisciplinare formata da incaricati della
sanità, da un antropologo, da
un linguista e da esperti delle discipline interessate. Questa “traduzione” permette di
costituire una base di conoscenze Sor savoir.
2. Un lavoro condotto insieme ai pazienti permette di
elaborare documenti SSP e di
redigere i sommari.
Gli esperti e i pazienti partecipano al processo di convalida durante tutta l’elaborazione dei documenti SSP.
3. I documenti vengono diffusi sotto forma di guide e
messi on line sul sito internet
della FNCLCC(http://www.
fnclcc.fr/indexcancer.htm),
disponibili in files html e pdf,
scaricabili dal medico o dal
paziente in funzione delle
proprie esigenze. La modalità
di diffusione sul web permette una gerarchizzazione delle
informazioni e un regolare
aggiornamento del Sor savoir.
Per individuare i bisogni specifici e permettere una partecipazione attiva dei pazienti
alla redazione dei documenti
il progetto Sor savoir patient
utilizza metodi diversi, che
N. 128 - 2001
combinano i metodi dell’educazione del paziente e dell’antropologia.
L’uso di questionari, lo svolgimento di incontri individuali
semi-direttivi e l’attuazione di
focus groups permettono:
• l’analisi globale del documento;
• l’individuazione dei complementi di informazione;
• la verifica della comprensione del documento;
• la valutazione dell’impatto
globale del documento.
Più specificamente, i questionari permettono di interrogare un numero maggiore di persone e quindi di valutare la
soddisfazione di un gran numero di pazienti. Sono inoltre
importanti per raccogliere le
esigenze di informazione.
I focus groups permettono un
lavoro attivo con gruppi di
pazienti. I pazienti, ex-pazienti e loro familiari hanno
un ruolo molto importante
nella parte redazionale, soprattutto per la stesura dei
sommari.
Consentono infine di adattare
un documento ai bisogni del
gruppo.
Gli incontri semi-direttivi permettono di:
• individuare punti molto
specifici utili a migliorare il
documento;
• evidenziare eventuali problemi di comprensione grazie
al metodo della lettura accompagnata.
L’esempio della guida Sor
savoir “Capire il cancro al
seno non metastatico”
Più di 60 pazienti di Lilla,
Bordeaux e Lione, in corso di
trattamento e anche a distanza dal trattamento han-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
no partecipato attivamente a
questo lavoro con l’aiuto di
questionari (n = 45), di incontri individuali semi-direttivi (n = 10) e di focus groups (n = 21), secondo il processo metodologico sopra descritto.
La metodologia degli SSP si
basa sulla partecipazione attiva dei professionisti della
salute e delle pazienti all’elaborazione di una guida lungo
tutto il processo di elaborazione.
46 esperti hanno partecipato
alla convalida dello strumento Sor savoir-seno. Esiste un’evoluzione molto chiara dell’atteggiamento degli esperti
in rapporto alla prima rilettura organizzata nel 99. Il loro
apprezzamento è unanimamente positivo tanto sul documento che sul progetto
stesso, cosa che non era avvenuta nel 99.
Oggi nessuno di loro è contrario al principio.
Le osservazioni formali sono
paragonabili a quelle delle
pazienti.
È stato tenuto conto delle correzioni tecniche puntuali riguardanti alcune definizioni.
Alcuni esperti giudicano il
linguaggio troppo complesso
per le pazienti.
La partecipazione attiva delle
pazienti ha inoltre permesso:
• un’identificazione dettagliata delle difficoltà di comprensione e delle informazioni mancanti;
• un’individuazione delle incoerenze tra il vissuto e il
contenuto dell’informazione;
• un arricchimento del documento riformulando paragrafi
giudicati troppo complessi
dai pazienti, la redazione di
sommari (informazioni chia-
ve formulate dalle pazienti)
su forma e contenuto;
• la convalida delle informazioni sia sulla forma del documento che sulla scelta delle illustrazioni.
La valutazione, tanto sul piano dello svolgimento che sulle condizioni e i metodi di lavoro, si è rivelata molto positiva per i partecipanti.
L’85% delle pazienti ha trovato il documento chiaro, leggibile e comprensibile, rispondente alle loro esigenze, dando un voto tra 8 e 10/10. È
una valutazione divergente
da quella degli esperti, che –
vi ricordo – giudicano il linguaggio troppo complesso
per le pazienti.
La partecipazione attiva delle
pazienti e di ex-pazienti nel
corso del focus group e di incontri semi-direttivi ha permesso inoltre:
• un’individuazione dettagliata delle difficoltà di comprensione;
• un’individuazione delle
eventuali incoerenze tra il
vissuto e il contenuto dell’informazione;
• un arricchimento del documento per quanto riguarda
forma e contenuto;
• una riformulazione di passaggi giudicati troppo complessi per le pazienti;
• la redazione di sommari per
le pazienti;
e infine la convalida del testo
definitivo e delle illustrazioni.
L’analisi dei tre metodi ha
permesso di realizzare una
raccolta dei bisogni espressi,
di individuare le informazioni
mancanti, soprattutto sulle
prove terapeutiche e sugli
aspetti psicologici della malattia.
Una volta che le informazioni
251
sono state rilette dagli esperti
e dalle pazienti, il Sor savoir
“Capire il cancro al seno non
metastatico” viene pubblicato
su carta e in formato elettronico. Le informazioni sono liberamente accessibili sul sito
internet della FNCLCC nella
rubrica “Capire il cancro”. I
documenti sono scaricabili in
formato pdf, sia in versione
integrale che per capitoli.
Più di 17.000 guide Sor savoir
“Capire il cancro al seno non
metastatico” sono state diffuse presso 20 Centri di lotta
contro il cancro e soprattutto
della Lega, accompagnati da
un questionario di soddisfazione. Attualmente la guida è
in corso di riedizione e viene
potenziata la sua strategia di
diffusione.
I tre metodi di valutazione
(questionari, focus groups e
incontri individuali semidirettivi) sono strumenti complementari in seno al processo di elaborazione della guida
di informazioni Sor savoir patient destinata alle pazienti e
ai loro familiari. Di questi
strumenti di valutazione deve
essere tenuto conto a partire
dall’inizio della costituzione
della guida di informazione.
La valutazione dell’andamento costituisce parte integrante del progetto SSP.
L’analisi delle risposte delle
pazienti e dei loro familiari
al questionario di soddisfazione della guida (elettronica e su carta) è attualmente
in corso. Questa valutazione
si iscrive in un processo di
miglioramento continuo della qualità delle informazioni
elaborate; di questi risultati
si terrà conto nel quadro del
futuro aggiornamento della
guida.
252
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
J. Gost
C. Silvestre
P. Ezpeleta
P. Astier
P. Diaz de Rada
M.T. Artàzcoz
Comitato Etico di Ricerca Clinica
della Navarra
I
l Real Decreto 561/1993
del 16 aprile stabilisce i
requisiti per la realizzazione, in Spagna, di esperimenti clinici (EC) con farmaci o prodotti in fase di sperimentazione. Detta norma
fondamentale prescrive nell’articolo 10 che tutti gli EC,
prima di essere realizzati, dovranno essere sottoposti alla
previa autorizzazione del Comitato etico di ricerca clinica
(Comité Etico de Investigación
Clínica, CEIC) e che gli stessi
saranno eseguiti nel rispetto
dei diritti fondamentali della
persona e dei postulati etici
che coinvolgono la ricerca
biomedica con esseri umani,
in base ai principi contenuti
nella dichiarazione di Helsinki e successive attualizzazioni. L’articolo 42 regola le
funzioni dei Comitati Etici riguardanti:
• valutazione dell’idoneità
del protocollo in relazione
agli obiettivi dello studio;
• valutazione dell’idoneità
dell’équipe di ricerca per l’esperimento proposto;
• valutazione dell’informazione scritta sulle caratteristiche dell’esperimento, della
forma in cui sarà presentata
tale informazione e del tipo
di consenso che si otterrà;
N. 128 - 2001
Il consenso informato
negli esperimenti
clinici
• accertamento dei compensi
che si offriranno ai partecipanti (esistenza di un’assicurazione che copra eventuali
responsabilità);
• conoscenza e valutazione
dei compensi che si offriranno ai ricercatori;
Centro
Hospital de Navarra
H. Virgen del Camino
Clínica Universitaria
Altri Centri
Totale
Fase
1
2
3
4
Totale
Mascheramento
No
Sì
Totale
Aleatorietà
No
Sì
Totale
Gruppo controllo
No
Sì
Totale
Placebo
No
Sì
Totale
La necessità di migliorare la comunicazione
tra i ricercatori e i partecipanti alla sperimentazione. L’esperienza della Spagna
N. dei casi
%
%
accumulata
56
23
66
15
160
35.0
14.4
41.3
9.3
100
35.0
49.4
90.7
100
27
15
90
28
160
16.9
9.4
56.3
17.5
100
16.9
26.3
82.5
100
88
72
160
55
45
100
55
100
32
128
160
20
80
100
20
100
30
130
160
18.8
81.2
100
18.8
100
127
33
160
79.4
20.6
100
79.4
100
Tab. 1 - Descrizione degli EC
selezionati mediante
campionamento aleatorio:
N. 128 - 2001
253
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Caratteristiche del consenso informato presentato al CEIC (Comitato etico di ricerca clinica)
N. casi
Descrizione di obiettivi
METODOLOGIA
Placebo
Sì
No
Totale
Aleatorietà
Sì
No
Totale
Mascheramento
Sì
No
Totale
Autorizzazione Comitato etico
Sì
No
Totale
Trattamento dell’EC
Sì
No
Totale
Rischi
Sì
No
Totale
Possibili benefici
Sì
No
Totale
160
32
1
33
%
%
accumulata
100
97
3
100
N. casi
%
%
accumulata
160
100
100
160
100
100
158
2
160
98.8
1.2
100
98.8
100
100
60
160
62.5
37.5
100
62.5
100
148
12
160
92.5
7.5
100
92.5
100
132
28
160
82.5
17.5
100
82.5
100
139
21
160
86.9
13.1
100
86.9
100
148
12
160
92.5
7.5
100
92.5
100
120
40
160
75
25
100
75
100
100
97
3
99
29
128
77.3
22.7
100
77.3
100
57
15
72
79.2
20.8
100
79.2
100
49
111
160
30.6
69.4
100
30.6
100
159
1
160
99.4
0.6
100
99.4
100
155
5
160
96.9
3.1
100
96.9
100
134
26
160
83.8
16.3
100
83.8
100
DIRITTI PAZIENTE
Partecipazione volontaria
Sì
Ritiro Volontario
Sì
Non condiziona trattamento
Sì
No
Totale
Possibilità interruzione
Sì
No
Totale
Confidenzialità
Sì
No
Totale
Revisione autorizzata
Sì
No
Totale
Esistenza assicurazione
Sì
No
Totale
Nome ricercatore
Sì
No
Totale
Contatto ricercatore
Sì
No
Totale
Tab. 2 - Descrizione dei punti chiave che deve affrontare il Consenso Informato presentato al Comitato Etico per la valutazione
• controllo dell’esperimento
clinico dall’inizio fino al ricevimento della relazione finale.
Per quanto riguarda il consenso informato (CI) bisogna
sottolineare i seguenti aspetti, regolati nell’articolo 12 del
già citato RD 561/93:
• È imprescindibile che il sog-
getto dia liberamente il consenso a partecipare
• Tutte le persone coinvolte
nell’EC eviteranno di esercitare qualsiasi influenza sul soggetto
• Il soggetto esprimerà il proprio consenso preferibilmente in forma scritta
• Il consenso potrà essere revocato in qualsiasi momento
senza che questo implichi
pregiudizio alcuno per il soggetto
Nella regione autonoma della
Navarra esiste un unico Comitato etico di ricerca clinica
per l’insieme degli impianti
sanitari situati nella stessa e
la costituzione e le funzioni
di esso sono regolate per legge (Decreto Foral 308/93,
modificato posteriormente
dal DF 252/96).
Dagli antecedenti menzionati
si deduce che la principale
funzione dei Comitati etici è
254
di garantire la protezione
delle persone che partecipano
alla sperimentazione clinica.
Per verificare che vengano
salvaguardati i diritti degli
eventuali partecipanti, il Comitato etico si basa sull’esame di due tipi di documentazione differenti: il protocollo
dell’EC (compresa l’adeguatezza e la qualificazione del-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
N. 128 - 2001
l’équipe di ricercatori) e il
protocollo destinato ai soggetti e contenente l’informazione relativa allo svolgimento dell’EC (documento di consenso informato).
Tuttavia l’esperienza mostra
una situazione caratterizzata
dalla mancanza di capacità
operativa, tanto da parte del
Comitato etico che dell’Auto-
Per quanto riguarda il protocollo dell’EC (sua pertinenza,
schema e metodologia) sembra esserci un consenso sul
fatto che la qualità degli EC,
con il passare degli anni, sta
migliorando gradualmente e
generalmente, soprattutto
quando un’elevata percentuale degli stessi corrisponde a
esperimenti multicentrici e,
talvolta, multinazionali con
un ampio sostegno epidemiologico e statistico. Tuttavia,
abbiamo poche certezze sul
suo sviluppo posteriore, essendo numerosa la bibliografia esistente su errori e frodi
negli EC.
In relazione alla pratica del
consenso informato esistono
difficoltà oggettive, già descritte da quasi quindici anni, legate allo sviluppo della
relazione medico-paziente e
derivanti in parte dal conflitto di interessi tra medico
e paziente e in parte dalla
relazione che si stabilisce
tra entrambi gli attori e che
può condizionare, persino in
maniera inconscia, la partecipazione del paziente all’EC.
D’altra parte risulta molto
difficile valutare il processo
dell’informazione, cioè stabilire se ci sia stato veramente
uno scambio di informazione
tale da ridurre al minimo i
problemi di comprensione da
parte del paziente o se, al
contrario, ci si sia limitati a
rità sanitaria, nell’esercitare
le competenze in materia di
controllo e ispezione degli EC
affidate loro in base a quanto
previsto negli articoli 46 e 47
del RD 561/93.
Se dunque è così, che prove
ci sono che, durante l’esecuzione dell’EC, si compiano i
requisiti stabiliti in base al
citato RD 561/93?
Valutazione archivi dei ricercatori
Archiviano dati
N. casi
Sì
85
No
37
Totale
122
Esiste documento d‘identità
Sì
85
No
37
Totale
122
Coincide con quello presentato al CEIC
Sì
81
No
4
Totale
85
Firma paziente
Sì
85
No
37
Totale
122
Firma ricercatore
Sì
69
53
No
Totale
122
Esiste CRD
Sì
96
No
26
122
Totale
Existe monitoraggio
Sì
77
No
45
122
Totale
%
%
accumulata
69.7
30.3
100
69.7
100
69.7
30.3
100
69.7
100
95.3
4.7
100
95.3
100
Tab. 3 - Descrizione della
revisione effettuata sui
ricercatori
Il primo dato che emerge è che
dei 160 EC revisionati, 38
69.7
30.3
100
69.7
100
56.6
43.4
100
56.6
100
78.7
21.3
100
78.7
100
63.1
36.9
100
63.1
100
(23.8%) non erano stati portati
a termine per una ragione o per
l’altra.
Indice Flesh: Rango: 0-17; Media:2.11; Dev. stimata: 3.48; Moda: 53; Percentile 75:54
Complessità delle frasi: Rango: 19-70; Media: 46.49; Dev. stimata: 1.13; Moda: 78; Percentile 75:79
LEGIN: Rango: 30-90; Media: 55.4; Dev. stimata: 13.65; Moda: 47; Percentile 75:64
Indice Flesh>10:3.8%
Complessità delle frasi<40:30.6%
LEGIN>70:16.3%
Tab. 4 - Descrizione di leggibilità formale
N. 128 - 2001
fornire un formulario, come
se si trattasse di una pratica
di routine. In questo caso,
dato che i documenti per il
consenso informato non sono
previamente convalidati, la
loro comprensibilità può risultare seriamente compromessa.
Obiettivi
Principali
1. Valutare il grado di completezza del consenso informato negli esperimenti clinici autorizzati dal Comitato
etico di ricerca clinica della
Navarra eseguiti in questa regione autonoma nel periodo
1995-99.
2. Conoscere come i partecipanti valutano l’informazione ricevuta in relazione alla
necessità, utilità e comprensibilità
dell’informazione
fornita dal ricercatore sullo
svolgimento dell’esperimento clinico.
3. Individuare aree di miglioramento e proporre soluzioni.
Secondari
4. Valutare se il documento di
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
consenso informato presentato ai partecipanti coincide con
quello presentato per l’approvazione al Comitato etico.
5. Conoscere il grado di leggibilità formale dei documenti
di consenso informato forniti
negli EC.
6. Valutare il grado di realizzazione dei procedimenti
normalizzati di lavoro da parte dei ricercatori
vo massimo atteso di 7% e un
livello di attendibilità del
95%. La lista di numeri aleatori è stata creata mediante
un programma ad hoc.
• Schema dello studio: comunicazione ai ricercatori dell’inizio dello studio; ottenimento del campione; comunicazione ai ricercatori selezionati; raccolta dati; analisi e
conclusioni.
Metodologia e piano di
lavoro
Dato che il progetto comprende una serie di obiettivi
differenti, qui di seguito si
esporrà solo la metodologia
relativa alla presente comunicazione.
• Popolazione campione: l’unità di campionamento è l’esperimento clinico. Il CEIC
nel periodo considerato ha
autorizzato 289 EC. Il volume
del campione è stato calcolato ipotizzando che almeno il
12% degli EC presenteranno
un qualche tipo di difetto
formale nella compilazione
del CI, con un valore negati-
Conclusioni
Il documento di consenso
informato inviato alla revisione dal promotore risponde, in
termini generali, ai principi
accolti sia nella dichiarazione
di Helsinki che nella legislazione spagnola, anche se esistono paragrafi con chiare indicazioni di miglioramento
(per esempio, menzionare
l’approvazione da parte del
Comitato etico, la descrizione
dei benefici per il paziente, la
necessità che le autorità sanitarie sottopongano lo studio a
revisione, l’esistenza di un’assicurazione che copra i possibili danni, come e/o dove
255
contattare il ricercatore, precisazioni queste assenti in
>15% degli EC).
Risalta il grande numero di
esperimenti clinici approvati
dal Comitato etico e in seguito non avviati.
Anche la percentuale di ricercatori che non conservano i
loro dati è molto elevata. Tutti i dati riferiti alla custodia e
all’archiviazione della documentazione corrispondente al
Comitato etico rivela, da parte dei ricercatori, lacune e, di
conseguenza, settori in cui
apportare importanti miglioramenti.
La leggibilità formale dei formulari di consenso informato
forniti ai partecipanti agli EC
è insufficiente. La complessità del vocabolario è molto
elevata.
Se l’informazione ha luogo
sulla base di documentazione
scritta, le difficoltà del soggetto partecipante di capire
l’informazione e dare il proprio consenso sono nella pratica maggiori di quanto non
si voglia.
256
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Patrizia Farruggia*
Sonia Cavallin**
Andrea Longanesi***
Mariarosa Berdondini****
*
Direttore Presidio ospedaliero
Bellaria Maggiore
**
Responsabile settore
accoglienza e informazione7
presidio Bellaria Maggiore
***
Dirigente sanitario Presidio
Bellaria Maggiore
****
Referente URP Ospedale
Bellaria
I
l primo biglietto da visita
per l’utente che si rivolge
alla nostra struttura è spesso quello che maggiormente
incide sul giudizio finale condizionando tutto l’iter seguito
sia in caso di ricovero che in
caso di prestazione occasionale. Per questo motivo abbiamo
pensato ad un “documento”
che rispondesse a caratteristiche di informazione, orientamento, chiarezza, praticità d’uso e facile consultazione e aggiornamento. Per maggior
completezza e per rendere partecipe il cittadino degli sforzi
e dei cambiamenti indotti, abbiamo altresì voluto che ogni
Unità Operativa esplicitasse all’interno del proprio documento, anche gli impegni assunti nei confronti degli aspetti più concreti e tangibili
in ordine all’efficienza organizzativa (orari di visita, orari
ricevimento medici), agli aspetti relazionali (raccolta dati anamnestici in locale separato, informativa consenso
informato, infermiere addetto
all’accoglienza), al comfort alberghiero (possibilità scelta
menu, stoccaggio termico del
pasto per il paziente fuori reparto, sale di soggiorno, noleggio TV), ai servizi di supporto all’interno o adiacenti
N. 128 - 2001
Un “progetto
accoglienza”
alla struttura (edicola, punti di
ristoro, servizio di barbierato)
e non ultimi, tutti gli indicatori relativi agli standard qualitativi delle prestazioni offerte (tempi d’attesa per visite, esami diagnostici, modalità d’accesso e prenotazione, catalogo
dei prodotti offerti). In alcune
Unità Operative è stato altresì
possibile elencare i punti d’eccellenza per i quali l’Unità stessa si è distinta o assurta a notorietà in ambito sia regionale
che extra.
Nel corso dell’anno 2000 tutte
le Unità Operative oltre al settore accoglienza e informazione hanno elaborato e quindi
pubblicato le “Carte degli impegni” operando in stretta collaborazione con il Settore stesso che, tramite l’Ufficio
Relazioni con il pubblico, ha avuto funzioni di indirizzo,
coordinamento, counseling e,
in alcuni casi, di fattiva prestazione d’opera editoriale.
Proprio per consentire un facile impatto nella pubblicazione,
ogni Carta è stata elaborata e
prodotta a computer utilizzando programmi in uso in tutte le UU.OO. (Word + Clipart
Publisher) e, ad elaborazione
conclusa, riprodotta tramite
fotocopiatura tramite il Centro
stampa.
La presentazione della “Carta degli impegni”,
un documento sulle prestazioni offerte per la
verifica degli impegni dichiarati
Per una facile e veloce consultazione delle stesse, oltre
che per una presentazione
aggiornata ed esaustiva, tutte le Carte degli Impegni sono altresì consultabili via Intranet collegandosi con il sito
Internet dell’Azienda (www.
ausl. bologna.it).
Il nome dato al documento
prodotto, è frutto di un percorso logico che dà volutamente risalto agli Impegni
veri e dichiarati che gli operatori e i professionisti delle
UU.OO.
quotidianamente
scelgono di rispettare nei
confronti sia dei cittadini in
ospedale che dei propri colleghi.
La Carta degli Impegni viene
messa a disposizione degli
utenti sia all’interno dei servizi diagnostici (per impossibilità materiale di stamparne in
congruo numero è messa in
esposizione in appositi spazi)
sia all’interno dei reparti di
degenza dove, al momento
dell’accoglienza in reparto, il
personale infermieristico pre-
posto o la Caposala stessa, lo
illustrano all’utente consegnandogliene una copia.
Ogni anno il referente della
Carta degli impegni propone
al Direttore dell’U.O. le eventuali modifiche e/o aggiornamenti che consentono di
mantenere corrette e puntuali le informazioni contenute
dando così modo anche al
Settore accoglienza e informazione di mantenere costantemente aggiornato il
percorso informativo sia in
entrata che in uscita.
Nel corso dell’anno 2000 in
collaborazione con il settore
Qualità dell’Ufficio sviluppo
organizzativo è stata condotta una indagine, tramite questionari, all’interno del presidio Bellaria-Maggiore sulla
“Qualità percepita all’interno
della degenza” che ha analizzato diversi fattori di qualità
nell’ambito della accoglienza
e organizzazione della giornata, Qualità alberghiera,
(segue a pag. 268)
N. 128 - 2001
Teresa Alberti*
Carlo Hanau**
Emanuela Pipitone***
*
Pronto Soccorso e Medicina
d’Urgenza dell’Ospedale
Maggiore-Bellaria dell’Azienda
USL della città di Bologna
**
Facoltà di Scienze Statistiche
dell’Università degli Studi di
Bologna
***
Osservatorio Epidemiologico
del Comune di Bologna Settore
Salute e Qualità della Vita
N
egli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento degli accessi ai Pronto Soccorso e insieme ad un aumento della
consapevolezza dei pazienti
dei diritti rispetto al funzionamento del servizio sanitario pubblico. Contemporaneamente il decreto delegato n.
502/92 imponeva alle aziende sanitarie di valutare la
soddisfazione degli utenti,
che sappiamo influenza l’aderenza degli stessi al trattamento e il risultato delle cure. Dunque la soddisfazione
degli utenti del servizio sanitario nazionale può essere
assunta come una misura di
risultato e indicatore di efficacia del servizio stesso. La
qualità percepita viene di solito misurata con indagini
periodiche presso gli utenti,
che si avvalgono di questionari autocompilati o con interviste telefoniche o con le
segnalazioni di disservizi e
reclami. Gli indicatori che comunemente vengono usati
includono la professionalità
degli operatori, la qualità
delle cure, come elemento
257
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Pronto soccorso e
Medicina d’urgenza
percepito complessivamente
dopo la conclusione del contatto assistenziale, aspetti
strutturali come la comodità
di accesso, l’ambiente fisico,
la disponibilità del personale,
il tempo di attesa, la continuità delle cure e l’esito.
L’importanza relativa dei vari
indicatori di gradimento è
critica per promuovere piani
di miglioramento.
Il presente studio si è svolto
in un campo dell’assistenza
sanitaria particolarmente difficile per il riconoscimento
dell’opinione degli utenti
(pazienti e loro familiari) sulla qualità percepita: il Pronto
Soccorso e la Medicina d’urgenza. A questi servizi si accede in situazioni di emergenza o di urgenza che costituiscono un ostacolo obiettivo all’espressione ed alla raccolta delle opinioni. Per questo si è rivolta particolare cura alla modalità di raccolta
delle informazioni, che è stata eseguita attraverso questionari anonimi distribuiti
da volontari delle associazioni partecipanti al Comitato
consultivo misto dell’Azienda
La presentazione della “Carta degli impegni”,
un documento sulle prestazioni offerte per la
verifica degli impegni dichiarati
USL città di Bologna, i quali
erano disponibili a fornire
aiuto nella compilazione del
questionario stesso.
Obiettivi
L’obiettivo dello studio è verificare la qualità percepita
dagli utenti di un servizio di
Pronto Soccorso e Medicina
d’urgenza di Bologna, progetto che prese corpo per scelta
e accordo tra il primario dirigente di quel servizio, il Comitato consultivo misto che
opera nell’Ospedale Maggiore
di Bologna, con la collaborazione dell’Osservatorio Epidemiologico del Comune di Bologna, per l’elaborazione statistica dei dati e la relativa
analisi, nonché della Facoltà
di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Bologna.
Il servizio di Pronto Soccorso/Medicina d’urgenza è par-
te fondante del Dipartimento
di Emergenza e valuta e assiste tutti i pazienti acuti che
afferiscono ad una zona di
Pronto Soccorso, cosiddetto
“Triage infermieristico”, sia a
piedi autonomamente, sia in
ambulanza, sia inviati dal
medico curante. Le condizioni di gravità di questi pazienti vanno dalla massima
“Emergenza” che comporta
gravissime condizioni cliniche che mettono in pericolo
la vita, a condizioni gravi che
possono prefigurare imminente pericolo per la vita, a
urgenze compatibili con certi
tempi di attesa per il trattamento e infine non urgenze
con le richieste più varie.
L’area della Medicina d’urgenza comporta 48 letti attigui a
quella del Pronto Soccorso,
letti in cui si stabilizzano le
condizioni ancora critiche
dopo la prima valutazione e
258
trattamento in Pronto Soccorso, si perfeziona l’orientamento diagnostico, prima
della dimissione del paziente
o del suo trasferimento ad altro reparto.
Tra gli obiettivi del progetto
erano previsti, alla sua conclusione, comunicazioni alla
stampa e diffusione al pubblico dei risultati da parte del
personale del servizio, dell’Azienda e del Comitato misto.
Va aggiunto anche che da anni nel servizio che ha sviluppato il Progetto esiste una
sensibilizzazione e una formazione a queste tematiche,
il che ha fatto accettare di
buon grado al personale di
misurarsi in maniera chiara e
trasparente.
Materiali e metodi
Nel 1998 è stato costituito
un gruppo di progetto composto da tre medici del servizio, due capo sala, otto infermieri, e un ausiliario col
compito di stendere le linee
generali del progetto e identificare i criteri privilegiati
per sondare la soddisfazione
degli utenti, criteri che hanno trovato espressione in
specifiche domande sulla:
professionalità degli operatori sanitari, medici e infermieri, la qualità delle cure,
la capacità di identificare le
principali patologie da trattare, i tempi di attesa, la
chiarezza e l’efficacia della
comunicazione, la gentilezza
del personale.
Sono stati costruiti due diversi questionari da compilare direttamente dai pazienti,
uno per il Pronto Soccorso e
uno per la Medicina d’urgenza, con 17 domande ciascuno, quasi tutte chiuse. Essen-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
do questionari anonimi non
contengono né le caratteristiche anagrafiche dei pazienti,
né quelle cliniche (distinzione per maggiore o minore
gravità, tipo di diagnosi). I
questionari contengono invece l’indicazione di esito: dimesso o ricoverato da Pronto
Soccorso e dimesso o trasferito ad altro reparto dalla Medicina d’urgenza.
Il gruppo di lavoro ha studiato anche le modalità di somministrazione dei questionari, dopo aver contattato il Comitato Consultivo Misto dell’Ospedale Maggiore, che ha
collaborato volontariamente
alla distribuzione dei questionari, e al gruppo di lavoro, insieme ad alcuni infermieri liberi professionisti dell’APIB (Associazione Professionale Infermieri Bologna).
Già in fase di costruzione dei
questionari le domande che
ci sono parse più significative
erano quelle riguardanti i
tempi d’attesa, la qualità dell’assistenza ricevuta sia dai
medici che dagli infermieri,
le informazioni ottenute ed il
giudizio finale complessivo.
I questionari sono stati testati in un periodo di prova di
tre giorni (compreso un
week-end) per il Pronto Soccorso e di una settimana per
la Medicina d’urgenza, dalle
ore 8 alle ore 20. L’attività del
personale coinvolto nella
somministrazione non si limitava alla semplice distribuzione del materiale da compilare,
ma forniva informazioni sull’iniziativa, e se necessario,
assistenza alla compilazione.
L’assistenza veniva fatta direttamente dal paziente o dal
familiare, se il paziente non
poteva farlo autonomamente.
I questionari sono stati distribuiti e compilati in quattro diverse settimane distribuite nell’arco dell’anno.
Nel complesso sono stati restituiti compilati 1536 questionari dei 2045 (75%) consegnati al Pronto Soccorso e
529 dei 696 (76%) consegnati alla Medicina d’urgenza.
L’analisi descrittiva è stata integrata da un’analisi di tipo
bivariato mediante test chiquadrato e regressione semplice non parametrica e da un’analisi di tipo multivariato mediante regressione logistica.
Risultati
Pronto Soccorso
Nel Pronto Soccorso il questionario è stato consegnato
dagli incaricati dopo l’accoglienza e la registrazione all’ufficio amministrativo e comunque nel momento che pareva più adatto per l’accettazione del questionario stesso,
con richiesta di consegna al
termine del percorso assistenziale-diagnostico in un
contenitore predisposto. La
percentuale dei non rispondenti per ciascuna delle domande è andata da un massimo di 337, pari al 22% dei
questionari compilati, ad un
minimo di 81, pari al 5,2%.
L’accoglienza al Pronto Soccorso è stata giudicata secondo le proprie aspettative
nell’81% dei casi, si tratta di
una percentuale molto elevata, ma va comunque sottolineato che, viceversa, il 19%
dei pazienti (pari a 271 pazienti) dà un giudizio negativo, dichiarandosi non soddisfatto; il numero dei non rispondenti in questo caso è
stato minimo, pari a 81 pazienti.
N. 128 - 2001
Il 16,2% dei pazienti che
hanno risposto è stato ricoverato in reparto, ma è molto
alto il numero di non rispondenti (28%) forse per il fatto
che chi viene ricoverato ha
patologie più gravi e non è
riuscito sempre a compilare il
questionario prima del ricovero. Infatti considerando la
domanda relativa all’autopercezione dei pazienti di essere
stati costantemente tenuti
sotto controllo dal loro ingresso in Pronto Soccorso, risulta più alta la percentuale
di chi dichiara di essersi sentito molto sotto controllo tra
coloro che sono stati successivamente ricoverati rispetto
a chi non lo è stato, probabilmente perché i pazienti più
gravi sono seguiti maggiormente dal personale medico
ed in tempi più brevi.
L’aspetto dell’autopercezione
del pazienti risulta essere rilevante per il giudizio complessivo: è alto il numero di
chi non si è sentito per nulla
controllato (20,5%) o poco
controllato (21,9%); solo il
12,3% si è sentito molto controllato. Va, comunque, evidenziato l’alto numero di non
rispondenti a questa domanda (28,1%)
Per meglio comprendere da
cosa dipende l’autopercezione dei pazienti di sentirsi
sotto controllo risulta importante il modo in cui i pazienti hanno risposto alla domanda: se per loro la cura iniziava nel momento in cui incontrava l’infermiere o il medico.
È risultato che meno della
metà dei pazienti (49%) percepisce l’effettuazione del
Triage infermieristico come
inizio dell’affidamento alle
cure sanitarie. Il fatto che
N. 128 - 2001
questo sia un punto critico
trova conferma dal fatto che
solo il 40,1% dei pazienti rispondenti afferma di avere
ottenuto adeguate informazioni riguardo i criteri con
cui vengono assegnate le
priorità relative alla lista di
attesa e che solo il 47,2% risponde di essere soddisfatto
delle informazioni fornite dagli infermieri a proposito di
come si sarebbe svolta l’assistenza in Pronto Soccorso. Le
risposte a queste ultime due
domande sono concordanti,
infatti nell’84,5% dei casi chi
ha risposto positivamente ad
una delle due domande lo ha
fatto anche all’altra.
Sono particolarmente interessanti le domande che indagano sulle informazioni ricevute da infermieri e medici,
dove, però, si riscontra un
notevole numero di non rispondenti e una forte insoddisfazione. Infatti il 63,4%
non ha ricevuto informazioni
comprensibili sul proprio stato di salute, e nel caso in cui
l’informazione è stata data
dal medico la percentuale di
soddisfatti è leggermente superiore: 65,7%, ma è ancora
piuttosto bassa se si pensa
che la pratica medica dell’informazione al paziente
dovrebbe essere molto antica.
Altro aspetto fondamentale
indagato dal questionario riguarda i tempi di attesa. Il
26,1% (327 pazienti) ha atteso meno di 30 minuti, il 28%
dei casi (349 pazienti) ha atteso tra 30 minuti e 1 ora, il
32% (405 pazienti) tra 1 e 3
ore, ed il 13,9% (174 pazienti) più di tre ore. Il giudizio
sulla soddisfazione globale
della permanenza in Pronto
Soccorso è influenzato parti-
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
colarmente dei tempi di attesa; infatti tra i pazienti che si
dichiarano globalmente soddisfatti (pari soltanto al 66%
dei rispondenti) vi è l’84%
del totale di pazienti che ha
atteso poco, cioè meno di 1
ora. Inoltre quasi tutti
(l’80,5%) coloro che si sono
dichiarati globalmente soddisfatti dell’assistenza ricevuta
hanno dichiarato di avere ricevuto le attenzioni dovute
durante l’attesa, altro fattore,
pertanto, che ha influenzato
il giudizio complessivo.
Tornando ai tempi di attesa
risulta, inoltre, che più a lungo il paziente ha atteso più
alta è la percentuale di coloro che non si sono sentiti
presi in carico: tra tutti quelli che hanno risposto di non
essere soddisfatto il 74,7% ha
aspettato più di 1 ora; in particolare, coloro che hanno
aspettato più di 3 ore, dichiarano di non essere stati soddisfatti nel 78,1% dei casi.
Per quel che concerne il giudizio dato sull’assistenza degli infermieri e dei medici,
domande particolarmente significative per giudicare la
qualità dei servizi offerti, risultano percentuali nettamente più alte di giudizi positivi; va segnalato, comunque, un numero di non rispondenti abbastanza alto
(19% per il giudizio sull’assistenza infermieristica e 24%
per quella medica) forse perché non se la sentivano di rispondere quelli che avrebbero
dovuto stigmatizzare negativamente i comportamenti,
anche se i questionari erano
anonimi.
Risulta una discreta concordanza tra il giudizio sulla
professionalità di entrambi i
tecnici (R = 0,65), anche se è
leggermente superiore il giudizio positivo dato alla professionalità medica rispetto
all’infermieristica (79,1% vs.
69,9%), anche in casi in cui il
controllo della situazione è
avvertito come piuttosto
scarso (soltanto l’85,3% di
chi ha definito molto accurata l’assistenza medica dichiara che la propria situazione
era stata tenuta sufficientemente o molto sotto controllo, contro il 93% per gli infermieri). Questa differenza
nei giudizi può essere dovuta
al fatto che spesso i pazienti
nei confronti del medico hanno maggiore fiducia e minor
controllo sulla loro tecnica.
Questo ci fa riflettere ancora
una volta sull’importanza che
gli assistiti percepiscano il
controllo del Triage in Pronto
Soccorso e sul fatto che questo controllo è ancora scarso:
laddove il controllo lo si percepisce è alto e concordante
il giudizio positivo sulla professionalità infermieristica.
Considerando il rapporto tra
queste domande con il giudizio globale, risulta che tra i
pazienti globalmente non
soddisfatti vi è l’81,5% che
ha giudicato l’assistenza degli infermieri negligente o
poco accurata, mentre per i
medici la percentuale si abbassa a 74,9%; il 91,5% di chi
si è sentito sotto controllo
durante l’attesa ha dichiarato
di essere globalmente soddisfatto del trattamento in
Pronto Soccorso.
I questionari sono stati compilati autonomamente dal
62,8% dei pazienti, dal 16,3%
con l’aiuto di un familiare e
solo dal 14,7% esclusivamente da un familiare. Confron-
259
tando questa caratteristica
con la sensazione dell’intervistato che la sua situazione
fosse sempre aggiornata o
sotto controllo durante le varie fasi della cura, risulta che
se il paziente ha risposto autonomamente o con l’aiuto
dei familiari la distribuzione
del grado di soddisfazione è
abbastanza simile. Se invece
il paziente risponde con l’aiuto del personale o di un volontario del Comitato Consultivo Misto, si assiste ad una
estremizzazione delle risposte, che si concentrano sul
“per nulla” (39,7% del totale
dei rispondenti con l’aiuto
del personale) e sul “molto
soddisfatti” (26,5%). In generale vengono espressi giudizi più negativi quando
l’aiuto alla compilazione viene da parte del volontario ed
il giudizio “molto soddisfatto” viene dato più frequentemente nel caso in cui sia il
personale ad aiutare nella
compilazione. Inoltre, se il
familiare risponde al posto
del paziente più del 50% delle risposte si concentra sulla
risposta “sufficiente”, mentre
se il paziente risponde autonomamente o solo con l’aiuto
del familiare questa percentuale si abbassa al 45% e
49%, rispettivamente. A questo proposito si fa rilevare
che i pazienti che hanno
compilato autonomamente il
questionario e quelli che
l’hanno fatto con solo l’aiuto
di un familiare hanno dato
giudizi molto simili riguardo
questo aspetto che, più degli
altri, indaga sull’autopercezione. Invece i familiari
quando rispondono al posto
del paziente sono meno esigenti. Mentre dal confronto
260
con i giudizi dati all’assistenza complessiva ricevuta in
Pronto Soccorso risulta che
nel caso in cui il questionario
sia stato compilato da un familiare o con l’aiuto del personale o del volontario il giudizio globale è risultato più
frequentemente
positivo:
73,6% e 72,3% rispettivamente vs. il 63,4% dei giudizi positivi quando il questionario è stato compilato autonomamente ed il 64,6%
quando il questionario è stato compilato con l’aiuto di un
familiare, di nuovo si rileva
più concordanza tra i giudizi
nel caso in cui il paziente ha
compilato autonomamente il
questionario e nel caso in cui
sia stato aiutato da un familiare.
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
N. 128 - 2001
Quindi, utilizzando la regressione logistica, si sono esaminati assieme tutti i fattori
che potevano aver contribuito all’emissione di un giudizio complessivo sulla permanenza nel Pronto Soccorso; è
risultato che i fattori che più
hanno inciso sul giudizio negativo sono stati, nell’ordine
di importanza: l’accoglienza
in Pronto Soccorso (se non
avvenuta secondo le aspettative), la non soddisfazione
(completa o parziale) sulle
informazioni date all’accompagnatore, l’aver atteso più
di 3 ore, l’essersi non sentiti
presi in carico, il non avere
considerato che la propria situazione fosse molto sotto
controllo durante tutte le fasi della cura, il giudizio nega-
sposte dipendano anche dalla gravità clinica.
La percentuale di non rispondenti oscilla dall’8,5% (45
soggetti) al 42,3% (224 soggetti). Più elevata di quella
precedente.
L’accoglienza in reparto è avvenuta secondo le aspettative
dei pazienti nell’89% dei casi,
superiore rispetto a quanto
dichiarato nel caso del Pronto
Soccorso; viceversa vi è l’11%
di pazienti insoddisfatti.
In questo secondo questionario i tempi d’attesa indagati
sono quelli compresi tra l’arrivo in ospedale e il ricovero
in reparto; il 39% dei pazienti ha impiegato più di 2 ore e
il 61% meno di 2 ore. Chi ha
accompagnato i pazienti in
reparto (per lo più gli ausilia-
Variabile
intercetta
accoglienza in Pronto Soccorso
soddisfazione completa sulle informazioni
date all’accompagnatore
soddisfazione parziale sulle informazioni
date all’accompagnatore
aver atteso tra 2 e 3 ore
aver atteso tra 3 e 4 ore
aver atteso più di 4 ore
essersi sentiti presi in carico
avere considerato che la propria situazione
non fosse sotto controllo durante tutte
le fasi della cura
avere considerato che la propria situazione
fosse molto sotto controllo durante
tutte le fasi della cura
giudizio di assistenza negligente del personale
infermieristico
giudizio di assistenza poco accurata
del personale infermieristico
giudizio dell’assistenza abbastanza accurata
del personale medico
giudizio dell’assistenza molto accurata
del personale medico
compilazione del questionario
fatta dal personale
tivo sull’assistenza del personale infermieristico e medico
e la compilazione del questionario non fatta dal personale (Tab. 1).
Medicina d’urgenza
Per quel che riguarda la Medicina d’urgenza il questionario è stato consegnato a
tutti i ricoverati il primo
giorno della settimana di rilevamento e nei giorni successivi veniva consegnato ai
nuovi entrati in reparto, con
richiesta ai pazienti in dimissione e in trasferimento
di restituire il questionario
nell’apposito contenitore.
Essendo anonimi, i questionari non sono riferibili ad alcuna cartella clinica e ciò
impedisce di capire se le ri-
Parametro
p
Odds Ratio
3,30
-1,85
-1,61
0,2877
0,0001
0,0001
–
0,16
0,20
-0,94
0,0039
0,39
0,77
1,21
2,18
-0,90
0,83
0,0097
0,0002
0,0001
0,0006
0,0066
2,15
3,35
8,84
0,41
2,30
Tab. 1. Modello di regressione
logistica con variabile d’uscita =
giudizio complessivo
sull’assistenza in Pronto
-1,43
0,0444
0,24
1,71
0,0038
5,51
1,96
0,0001
7,08
-1,02
0,0013
0,36
-1,86
0,0001
0,16
-1,40
0,0192
0,25
Soccorso
N. 128 - 2001
ri) è stato giudicato come disponibile nella grande maggioranza dei casi (94%).
Per quanto riguarda l’informazione ricevuta (in questo
caso si è rilevato un numero
basso di non rispondenti),
uno degli aspetti fondamentali indagati dal questionario, il 59,3% dei pazienti ha
dichiarato che ha ricevuto dal
personale infermieristico le
necessarie informazioni al
momento dell’accoglienza in
reparto; la criticità di questa
funzione è rivelata da questo
basso valore registrato. Le
informazioni ricevute sono,
comunque, risultate sufficienti al 72% degli intervistati che hanno risposto. Riguardo alle modalità (scritte,
verbali o entrambe) con cui si
sono ricevute le informazioni, risulta che l’informazione
è stata quasi esclusivamente
verbale (78,4% dei casi),
scritta solo nel 15%, ma su
questa domanda si rileva
un’altissima percentuale di
non rispondenti (61%).
L’indagine sull’informazione
si esprime, quindi, negativamente e mostra che il paziente non è stato toccato né dall’informazione verbale, né da
quella scritta, al punto da
non saper rispondere neanche alla domanda in merito.
Indagando più a fondo sulle
risposte date ai quesiti relativi all’informazione ricevuta,
scaturisce che le informazioni sono risultate più chiare
quando sono state date assieme sia in forma verbale che
scritta (95%) rispetto al 72%
che risulta, invece, quando le
informazioni sono state solo
verbali ed al 79% quando le
informazioni sono state solo
scritte.
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
La criticità dell’informazione
nell’assistenza sanitaria in
genere e, soprattutto, nei
servizi d’urgenza ove è particolarmente difficile essere
esaustivi sugli aspetti relativi
all’assistenza ed al ricovero, è
confermata dalle risposte date ad un ulteriore quesito
molto semplice: “Al suo arrivo le hanno spiegato come richiedere l’intervento immediato del personale?”, solo il
61,8%, infatti, ha risposto
positivamente
Tra chi esprime abbastanza o
molta soddisfazione sulle
informazioni ricevute dal
personale, la percentuale di
giudizi positivi è risultata,
anche in questo caso, leggermente superiore per i medici.
Le domande sulla disponibilità complessiva di infermieri
e medici riportano percentuali ugualmente alte (89,5%)
per entrambe le categorie.
Tuttavia dal confronto risulta
che il 51% di quelli che hanno giudicato poco disponibili
gli infermieri, giudicano, invece, disponibili i medici,
mentre solo il 6% dichiara
che accade il contrario.
Risulta una correlazione positiva abbastanza alta (R =
0,55) anche se in misura minore a quella registratasi in
Pronto Soccorso, tra il modo
di giudicare i medici e gli infermieri, e si riafferma una
prevalenza dei giudizi positivi per i medici. Infatti
l’84,6% dei pazienti si dichiara complessivamente abbastanza o molto soddisfatto
dell’assistenza ricevuta dagli
infermieri, vs. l’88,2% dei pazienti soddisfatti dell’assistenza medica ricevuta.
Il giudizio globale, che fornisce la sintesi dei giudizi su
tutti gli aspetti fin qui indagati, è stato positivo
nell’88,3% dei casi, una percentuale molto superiore a
quella espressa per il Pronto
Soccorso (65,9%); la percentuale dei non rispondenti è
abbastanza alta (21,6%), ma
è circa la stessa registrata per
l’analoga domanda del questionario somministrato in
Pronto Soccorso. Probabilmente nel giudizio sull’assistenza in Pronto Soccorso entrano in gioco fattori di altro
tipo, come i tempi di attesa
ed il Triage, che più facilmente si prestano ad interpretazioni di tipo soggettivo, che
però possono influenzare negativamente il giudizio complessivo.
Come già fatto per il Pronto
Soccorso, il giudizio complessivo è stato confrontato con
altre domande per poter meglio interpretare le risposte.
In particolare i tempi di attesa incidono particolarmente
sul giudizio, cioè si registra
un incremento del giudizio
negativo quando l’attesa è
superiore: per cui nel 22% dei
casi in cui l’attesa ha superato le 4 ore il giudizio globale
è risultato negativo, verso il
5,6% dei casi di coloro che
hanno atteso meno di 30 minuti.
Il questionario è stato compilato autonomamente dal
50,6% dei pazienti; nel 15,4%
dei casi è stato compilato con
l’aiuto di un familiare e nel
10,3% direttamente da un familiare; nel 23,7% dei casi è
stato compilato con l’aiuto
del personale. Rispetto al
questionario somministrato
al Pronto Soccorso una percentuale minore di pazienti
lo ha compilato autonoma-
261
mente, questo potrebbe dipendere dalla maggiore gravità clinica rispetto a quelli
del Pronto Soccorso. Il numero dei non rispondenti a questa domanda è pari al 15,5%,
inferiore rispetto al caso del
Pronto Soccorso.
Il giudizio negativo è più frequente quando il questionario è compilato direttamente
dall’interessato (14,8%), rispetto a quando il questionario è compilato con l’aiuto di
altri. In questo caso, al contrario di quanto avveniva per
il questionario distribuito in
Pronto Soccorso, la risposta
data autonomamente dai pazienti si differenzia anche
con quella data con solo
l’aiuto dei familiari (solo il
6,7% dei giudizi negativi),
oltre che con quelle date con
l’aiuto del personale (9,9%) o
direttamente dai familiari
(10,2%).
Anche in questo caso è stata
realizzata l’analisi multivariata (regressione logistica)
per indagare quali fossero le
domande che avevano maggiormente inciso sul giudizio
complessivo negativo ed è risultato che tali fattori sono:
l’avere atteso da 2 a 3 ore, la
scarsa disponibilità del personale che ha accompagnato
il paziente in reparto, le
informazioni insufficienti e
la poca disponibilità del
infermieristico
personale
(Tab. 2).
Conclusioni
Va sfatata la credenza secondo la quale basterebbe accelerare i tempi di attesa, aumentando il personale nei
Dipartimenti di Emergenza,
per migliorare la soddisfazione dei pazienti; poiché il fat-
262
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Variabile
Parametro
Intercetta
avere atteso da 2 a 3 ore
disponibilità del personale che ha
accompagnato il paziente in reparto
informazioni ricevute
disponibilità del personale infermieristico
tore da migliorare non è soltanto il tempo di attesa, indicatore pur importante nel
caso dei servizi di emergenza, ma soprattutto come si è
curati durante il tempo di
attesa, che poi incide sulla
percezione della lunghezza
del tempo di attesa stesso:
come il personale presta attenzione, la sua disponibilità, soprattutto quella degli
infermieri, che per primi li
accolgono, la loro capacità di
informare i pazienti che già
dall’arrivo in Pronto Soccorso è iniziato il loro percorso
di cura, con un rapido esame
iniziale dei disturbi e la registrazione di alcuni segni clinici che poi il medico considererà e l’assegnazione dei
pazienti da pochi indizi ad
una categoria di gravità. Così come è di rilevante importanza il tipo di informazione
che il personale dà su ciò
che avviene in tutto il percorso di cura durante il tempo impiegato nel Pronto Soccorso. Con ciò si conferma
come l’informazione sia un
cardine importante dell’intervento sanitario, soprattutto in servizi di urgenza,
la cui modalità di accesso
non favorisce certo l’espressione e la raccolta delle opinioni. Già durante l’attuazione dello studio si è istituito nel nostro servizio un
p
Odds Ratio
-16,32
1,69
3,02
0,0001
0,0489
0,0001
–
5,39
20,56
1,76
3,89
0,0015
0,0001
5,78
49,10
ambulatorio per le situazioni
non urgenti, i cosiddetti codici bianchi attribuiti dall’infermiere di Triage, ad un
primo contatto col paziente,
ambulatorio con di fronte
uno spazio per l’attesa e del
tutto lontano dallo spazio
dedicato ai pazienti urgenti,
che devono essere trattati o
immediatamente o in tempi
brevi. Questo permette da un
lato di migliorare il trattamento delle vere urgenze,
quelle che sono già o che
possono a breve diventare
un pericolo per la vita e dall’altro tranquillizzare chi
può attendere per essere visitato dal medico. Abbiamo
anche compreso che oltre ad
addestrare il personale di
Triage ad applicare i criteri
con cui vengono assegnate
le priorità, è indispensabile
addestrare lo stesso personale a dare una informazione
adeguata cui criteri stessi
che vengono applicati.
Ci piace rimarcare che i discreti risultati sono frutto
certamente di una lunga formazione ed addestramento
del personale alle tematiche
di qualità e di Bioetica.
Rilevanti maggiormente ai fini della soddisfazione complessiva ci sembrano, dalle
percentuali riscontrate di
giudizi meno positivi, in ordine di importanza:
• la soddisfazione del tempo
di attesa;
• l’assistenza infermieristica;
• elementi organizzativi;
• l’assistenza medica;
• la soddisfazione dell’informazione da parte degli infermieri.
Se uno dei limiti di questo
studio può sembrare il fatto
che i questionari non permettono risposte aperte, i
membri del Comitato Misto
vi hanno ovviato registrando
le osservazioni verbali di alcuni pazienti. Alcuni sottolineavano il loro scetticismo
sull’utilità del questionario
per innescare un processo di
cambiamento e il fatto che il
questionario non è esaustivo
sugli aspetti relazionali medico paziente ed infermiere
paziente. Altri hanno lamentato anche la scarsità del
tempo concesso in Medicina
d’Urgenza alla presenza dei
parenti che sarebbero di aiuto al personale infermieristico stesso presso i malati,
nonché alcuni aspetti ambientali e strutturali (poche
le prolunghe dei campanelli,
vitto poco appetibile, scarsità di coperte). Alcuni hanno fatto rilevare la scarsa calorosità degli infermieri
(“sorridono poco”) e la mancanza di questionari in lingua straniera, mentre gli utenti stranieri del Pronto
N. 128 - 2001
Tab. 2. Modello di regressione
logistica con variabile d’uscita =
giudizio complessivo
sull’assistenza in Medicina
d’urgenza
Soccorso sono ormai numerosi. In entrambi i settori
(Pronto Soccorso e Medicina
d’urgenza) molti questionari
sono stati riconsegnati prima della dimissione dal reparto o prima della fine della permanenza in Pronto
Soccorso, parecchi hanno
portato a casa il questionario per compilarlo ma non lo
hanno restituito. Ci si ripromette in futuro di usare lo
strumento come indagine sul
gradimento da effettuarsi
durante alcune settimane
scelte a caso nel corso dell’anno; ma sin da ora alcuni
spunti hanno stimolato a riflettere e cambiare alcuni
comportamenti. Il Servizio
ha già proceduto a stilare una serie di informazioni
scritte da consegnare in
Pronto Soccorso in molte lingue e sta rivedendo la procedura di accesso dei parenti al
reparto, in modo da favorire
una maggior presenza accanto ai loro congiunti, senza
eccessivamente turbare l’andamento della organizzazione del reparto stesso. Si resta convinti che una buona
qualità della informazione
sia parte vitale per aumentare il coinvolgimento del paziente, anche in decisioni
particolarmente delicate come la scelta del trattamento
e l’adesione allo stesso.
N. 128 - 2001
Gabriella Negrini*
Sonia Cavallin**
Patrizia Farruggia***
263
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Il percorso chirurgico
*
Dirigente medico Direzione
Sanitaria Presidio Ospedaliero
Bellaria Maggiore
**
Responsabile URP Presidio
Ospedaliero Bellaria Maggiore
***
Direttore Presidio ospedaliero
Bellaria Maggiore
L
’AUSL della città di Bologna, nell’anno 2000, ha
aderito al progetto nazionale “Il percorso chirurgico e i diritti dei cittadini”,
promosso dal Tribunale per i
diritti del malato e coinvolgente una quindicina di
ospedali italiani, nell’ambito
di iniziative tese all’umanizzazione del rapporto medicopaziente.
Nella relazione tra cittadinoutente e professionista sanitario si è manifestata, negli
ultimi anni, un’evoluzione significativa: da un modello
“paternalistico” ci si è avviati sulla strada del riconoscimento della libera, consapevole determinazione dell’assistito su tutto quanto attiene
alla sua salute.
Per quanto appaia poco realistico prefigurare un reale superamento dell’asimmetria
informativa tra gli attori della relazione – non foss’altro
per l’oggettiva condizione di
“debolezza” del paziente, in
ansia per la propria salute –
tuttavia la supremazia derivante al medico dal sapere
tecnico si è andata affievolendo sotto l’incalzare del
principio etico dell’autonomia del paziente, per la spinta all’attuazione del principio
giuridico del consenso informato.
Per potersi estrinsecare, tale
autonomia necessita peraltro
di un’informazione al paziente precisa, chiara, sufficientemente articolata e facilmente comprensibile.
Nel processo di comunicazione è meritevole di considerazione un ulteriore elemento,
riguardante il coordinamento
tra la pluralità di professionisti che, a vario titolo, intervengono nella gestione del
malato.
Su questo scenario di fondo si
colloca la peculiare interazione tra paziente e chirurgo.
Finalità del progetto
Gli obiettivi concretamente
perseguiti sono così sintetizzabili:
• miglioramento degli aspetti
informativi del paziente candidato ad intervento chirurgico programmato affinché
possa esercitare il suo diritto
di scelta fra diverse tipologie
di interventi chirurgici;
• raccordo operativo tra medici di Medicina generale e
medici ospedalieri teso a migliorare la continuità nella cura;
• snellimento dell’iter che
dalla prospettazione di necessità di terapia chirurgica
giunge alla esecuzione della
stessa ed alla successiva fase
di controllo.
Un protocollo per il riconoscimento della autonomia decisionale del paziente
Metodologia
Sulla base di una traccia elaborata dal team di progetto a
livello nazionale, in sede locale è stato costituito apposito Gruppo di lavoro e di ricerca - composto da: 1 MMG, 1.
Medico ospedaliero (è stata
prescelta l’U.O. di Chirurgia
vascolare, quale partecipante
alla prima sperimentazione).
2. Rappresentanti del Comitato consultivo misto dell’Azienda città di Bologna, scelti fra
i rappresentanti delle associazioni dei cittadini-utenti, il
responsabile dell’URP del presidio ospedaliero, con il coordinamento della Direzione
medica del presidio - a cui è
stato attribuito il compito di
stilare un dettagliato protocollo operativo.
La scelta dell’U.O. di Chirurgia
vascolare ha determinato alcune prime specificità rispetto
alla traccia elaborata a livello
nazionale
Dalla dialettica tra componente professionale e rappresentanza dei cittadini è scaturita un’approfondita analisi
delle diverse tappe del percorso chirurgico e delle problematiche ivi correlate.
Elaborato il documento esplicitante gli impegni e le modalità di attuazione delle varie fasi del percorso, con particolare attenzione anche agli
aspetti inerenti alla privacy,
si è provveduto altresì a predisporre un questionario valutativo che misurasse i risultati dell’attuazione del percorso chirurgico, da somministrare agli utenti.
Il progetto che è in piena attuazione nell’U.O. di Chirurgia vascolare – con conclusione dal momento sperimentale
a fine anno 2001 –, è stato
successivamente esteso alle
altre UU.OO. afferenti al dipartimento chirurgico dell’Ospedale Maggiore.
Contenuti
Alcuni tratti del protocollo
comportamentale, riguardanti il rapporto con l’assistito,
sono sinteticamente riferiti
nel seguito.
Medico di riferimento
Si è ritenuto importante
identificare un medico di riferimento per l’intero corso
del ricovero; tale individuazione richiede peraltro la so-
264
luzione di problemi organizzativi –si pensi alla rotazione
dei medici nelle diverse attività: sala operatoria, ambulatorio, reparto.
Per conciliare le esigenze del
paziente con i vincoli di cui
sopra, si è scelto di designare, quale referente, il medico
che provvede alla redazione
del verbale di ingresso in
ospedale ed al primo inquadramento anamnestico-obiettivo, mantenendo la facoltà
dell’assistito di scegliere, all’interno della équipe di cura,
un medico di propria fiducia.
Il paziente potrà interagire
con il medico referente nel rispetto dei tempi stabiliti per
i colloqui, allorquando gli impegni di lavoro non consentano al sanitario di visitare
quotidianamente il paziente.
Informazione sui trattamenti
sanitari
Fermo il rispetto delle linee
guida adottate nel 1999 in
materia nel presidio ospedaliero, si è riaffermato essere
l’informazione una componente inscindibile di ogni attività assistenziale, iscritta
all’interno di una relazione
continua tra il paziente e l’operatore sanitario.
Occorre peraltro evitare una
frammentazione dell’attività,
attraverso disorganiche informative e reiterate richieste
formali di consenso a trattamenti anche minimali, in assenza di una sostanziale
informazione sugli aspetti
pregnanti.
Non appare utile, oltre che
possibile, chiedere di continuo al paziente se acconsente ad ogni pur minimo atto
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
assistenziale; non sembra essere questa l’essenza del rispetto della volontà del malato.
Solo se si instaura un dialogo
non occasionale né stentato,
può immaginarsi realizzata
quell’informazione che funge
da necessario presupposto ad
ogni manifestazione di assenso o dissenso.
La prima tappa informativa è
rappresentata dal contatto
con il medico curante – per
solito MMG –, con una iniziale illustrazione, anche se a
carattere generale, dei possibili scenari.
Elemento particolarmente delicato è quello dell’indirizzamento, da parte del MMG, a
questo o quel centro, anche
se per la sola visita specialistica.
Se in molti casi non si ravvisa la opportunità di un indirizzo specifico, lasciando che
l’utente scelga tra le possibilità che gli vengono offerte,
ad esempio dal CUP metropolitano, talvolta, quando si
tratti di patologia meritevole
di trattamento impegnativo,
il medico viene richiesto di
indicare il centro che egli reputa più qualificato.
Per quanto ci si stia avviando
sulla strada dell’accreditamento e della teorica fungibilità delle diverse strutture sanitarie certificate, non si può
ignorare che diversità sussistono pur sempre ed il medico, sulla scorta dell’esperienza maturata, può avere ottime ragioni per prediligere un
centro in luogo di un altro.
Tale opzione non appare censurabile, quando non sia dettata da motivazioni extra-
scientifiche e sia volta a perseguire il miglior risultato
possibile per l’assistito.
La seconda tappa dell’iter
chirurgico vede il paziente
nell’ambulatorio dello specialista.
In questa occasione, se lo
specialista suggerisce un
trattamento chirurgico, occorre fornisca ampia informazione sulle possibili alternative, sulla lista d’attesa, sui rischi e sui benefici, sulle
strutture c/o le quali ci si
può rivolgere, fornendo così
al paziente la possibilità di
riflettere su quanto gli è stato spiegato, di consultarsi, di
decidere quindi ponderatamente.
Particolare attenzione va riservata al caso in cui il medico reputi non indicato un dato trattamento – in ragione
della bassa probabilità di successo –, nel quale il malato
ripone le proprie speranze.
Il rispetto del principio di autonomia impone al medico di
non mettere in discussione il
complesso dei valori che conduce una persona ad assumere una determinata decisione,
ancorché in dissonanza con il
suo convincimento.
Come un assistito può liberamente decidere di non acconsentire ad un trattamento,
così gli è data facoltà di accettare un trattamento anche
se il medico gliene ha presentato i rischi, superiori a quelli attendibili da una condotta
astensiva.
Quanto alla forma, si ravvisa
l’inopportunità del ricorso alla sola modalità scritta: questa può corredare quella verbale ma senza sostituirla.
N. 128 - 2001
La produzione di analitiche
informative scritte può indubbiamente apportare un
utile contributo a condizione,
peraltro, che esse siano redatte in termini agevolmente
comprensibili da parte di una
persona non “addetta al mestiere”.
Frequentemente tali informative perseguono un prevalente scopo “difensivo” e sono
stilate con terminologia tecnica oppure contengono
informazioni che non risultano di chiara interpretazione
per l’utente.
Questione spinosa è quella
della verifica della comprensione, da parte dell’assistito,
dei messaggi trasmessi dal
medico: se già sul piano teorico appare non agevole l’individuazione di un modello
generale di test – si potrebbe
far succintamente ripetere al
paziente. ma non si ha garanzia che poi non metabolizzi
altro –, non ci si può nascondere le difficoltà operative
dell’attuazione di una sistematica verifica.
Un’ulteriore tappa coincide
con la degenza: l’informazione iniziale deve abbracciare
il complesso del processo assistenziale, così da evitare
incomprensioni “in corso
d’opera”.
Al termine del ricovero, al di
là della lettera di dimissione
– strumento a contenuto tecnico, indirizzato al medico
curante – è quasi sempre necessario fornire all’assistito le
informazioni di immediato
interesse, sulla condotta da
tenere, l’attenzione da porre
ad eventuali sintomi, le precauzioni da osservare.
N. 128 - 2001
Carlo Hanau*
Emanuela Pipitone**
Andrea Ravaglia
*
Facoltà di Scienze Statistiche
dell’Università degli Studi di
Bologna
265
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Il giudizio degli utenti
nelle RSA
**
Osservatorio Epidemiologico
del Comune di Bologna Settore
Salute e Qualità della Vita
L
a nostra società invecchia sempre più e di
conseguenza aumenta la
necessità delle residenze sociosanitarie (destinate soprattutto ad accogliere gli
anziani malati non autosufficienti); rispondere adeguatamente a queste esigenze diviene, quindi, una priorità
sociale alla quale devono essere destinate grandi attenzioni, per ottenere una decorosa qualità di vita per questo segmento della popolazione. Uno strumento idoneo
a garantire in concreto il miglioramento della qualità e la
rispondenza alle esigenze degli utenti è la carta dei servizi, che viene attualmente
utilizzata in molte regioni
italiane, sia in ospedale pubblico e privato che negli altri
servizi residenziali e non residenziali. Le carte dei servizi devono tuttavia sempre tenere conto della voce degli
utenti, che risulta spesso
troppo flebile e di difficile rilevazione. La presente ricerca
si è svolta nel periodo marzogiugno 2000 e ha avuto per
obiettivi:
• la valutazione del grado di
soddisfazione degli utenti
delle residenze al fine di ottenere il loro parere sulle residenze, rispetto alle variabili che caratterizzano la qualità;
• l’individuazione dei punti
critici, sui quali frequentemente i degenti si mostrano
non soddisfatti.
L’indagine è stata condotta
mediante la distribuzione di
un questionario appositamente predisposto per gli
utenti e per i loro familiari,
da parte di Andrea Ravaglia,
persona esterna al gruppo
degli operatori, che aveva
prestato servizio civile all’interno di residenze oggetto
dell’indagine. La scelta dell’intervistatore è particolarmente importante per poter
fare esprimere la voce dell’utente debole, la sua vera per-
Le risposte ad un questionario sull’accoglienza
ricevuta, la professionalità e la gentilezza degli infermieri ed ausiliari, la pulizia degli spazi condivisi
cezione della qualità, altrimenti condizionata dal timore dell’utente e dei suoi familiari nei confronti della istituzione. Agli ospiti in grado
di partecipare all’indagine il
questionario è stato somministrato, mediante colloquio
diretto, in completa autonomia rispetto al personale dell’ente erogatore del servizio.
I familiari hanno espresso il
loro giudizio mediante autocompilazione del questionario e restituzione in forma
anonima.
frequenze
assolute
RSA
Casa protetta
Casa di riposo
Totale casi validi
Domanda non risposta
Totale
18
177
15
210
1
211
I questionari raccolti si dividono, a seconda del tipo di
istituzione, secondo la seguente tabella n. 1.
Il requisito richiesto per il reclutamento è stato il permanere nella struttura da almeno
20 giorni, per consentire all’intervistato di rendersi conto
della situazione. Le modalità
dell’indagine hanno, quindi,
determinato una selezione degli intervistati che, per quanto riguarda gli anziani, si è
dovuta limitare a quelli che
frequenze
percentuali
8,6
84,3
7,1
100
Tab. 1 - Questionari per tipo di
struttura
1
La presente ricerca è stata condotta con il contributo del MURST, Cofin 98, diretto dalla Prof. Alessandra Giovagnoli, presso il Dipartimento
di scienze statistiche dell’Università di Bologna.
266
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
frequenze
assolute
da 20 a 30 giorni
da 1 mese fino a 2 mesi
da 2 mesi fino a 6 mesi
da 6 mesi fino a 1 anno
da 1 anno fino a 2 anni
da più di 2 anni
Totale casi validi
Domanda non risposta
Totale
erano in grado di rispondere e
per quanto attiene i familiari
ha rappresentato l’universo
raggiungibile di coloro che
avevano frequentato la struttura in quel mese, ai quali sono stati distribuiti brevi manu
i questionari, e che successivamente sono stati disponibili
all’autocompilazione ed alla
restituzione, avvenuta nella
misura del 62% rispetto ai
questionari distribuiti. La rilevazione si è conclusa dopo 4
settimane. Il tempo medio per
completare la somministrazione di un questionario ad un
anziano è stato di circa 30 minuti.
L’indagine è stata condotta
presso 5 strutture assistenziali convenzionate. Complessivamente, sui 210 casi
ottenuti con risposta valida,
sono stati intervistati 77 anziani e 133 familiari.
Materiale e metodi: un
quadro generale dei
rispondenti
L’indagine descrive un insieme di residenti in istituzione costituito per il 75% da
donne e così suddiviso per
fasce di età: il 9% ha un’età
fino ai 70 anni, il 22% ha
un’età compresa tra i 71 e
gli 80 anni, e il rimanente
69% è costituito da ultraottantenni.
10
11
19
17
35
116
208
3
211
frequenze
%
4,81
5,29
9,13
8,17
16,83
55,77
100
La permanenza dei residenti
nelle istituzioni è relativamente molto lunga, come si
desume dalla tabella n. 2
Per quanto riguarda le condizioni fisiche dell’ospite il
20% è autonomo, il 24% è
parzialmente autonomo, il
50% è in carrozzella e infine
il 6% è allettato, come si rileva dalla tabella n. 3.
Risultati
I risultati ottenuti sono
complessivamente estremamente positivi: familiari e
utenti sono ampiamente
soddisfatti delle prestazioni
che vengono fornite nelle
strutture, con giudizio di
grado “buono” oppure “ottimo”. Proprio perché la soddisfazione è molto frequente,
devono essere evidenziate e
sottolineate le situazioni
nelle quali la piena insoddisfazione (“insufficiente”) o
Tab. 2 - Permanenza in
struttura
la soddisfazione di grado appena “sufficiente” si manifesta, che si definiranno complessivamente come utenti
poco soddisfatti:
• in media la quantità del cibo distribuito è ritenuta soltanto sufficiente dal 35% e
insufficiente dal 1%. In particolare pesa il giudizio dei
familiari: fra di essi il 49% si
esprime con il giudizio “sufficiente”. Questa notevole
differenza potrebbe risiedere
nel fatto che il familiare tende a voler “rimpinzare” anche oltre la sua volontà l’anziano, nella convinzione di
fargli bene. Tra gli ospiti si
nota che sono i maschi a essere meno soddisfatti (il 51%
di essi si esprime con un:
sufficiente e il 2%: insufficiente) e la spiegazione può
risiede nella maggior voracità dell’uomo rispetto alla
donna.
• la qualità dei pasti è valu-
frequenze
frequenze
41
48
103
12
204
7
211
20,10
23,53
50,49
5,88
100
assolute
Autonomo
Parzialmente autonomo
Carrozzella
Allettato
Totale casi validi
Domanda non risposta
Totale
N. 128 - 2001
tata dal 27% degli ospiti sufficiente e dal 9% insufficiente, per un totale di “poco o
nulla soddisfatti” pari al
36%, a differenza dei familiari, per i quali soltanto il 15%
è poco o nulla soddisfatto.
Con l’aumento del tempo di
permanenza in struttura l’utente sembra maturare una
maggiore capacità di critica.
Questa ipotesi sembra confermata dalla varietà dei giudizi
dati e dall’incremento dei
soggetti che ritengono non
soddisfacente il servizio (nella categoria di soggetti che
risiede in struttura da oltre 2
anni i “non soddisfatti sono”
il 30%).
• la varietà dei menù è considerata dal 24% dei questionari come sufficiente.
• la spaziosità della camera è
valutata dal 32% sufficiente
e dal 8% insufficiente, per un
totale di poco soddisfatti pari al 40%. Tale percentuale è
più elevata fra gli ospiti: pari
al 44% di “sufficiente” e il
13% di “insufficiente” (per
un totale pari al 57%); mentre è inferiore tra i familiari
(rispettivamente il 24% e il
5%). Il livello di insoddisfazione è molto correlato con le
caratteristiche oggettive delle residenze, da noi rilevate
parallelamente tramite misure tecniche.
%
Tab. 3 - Stato fisico dell’ospite
N. 128 - 2001
267
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
Grafico 1 - Cluster Analisys.
dei servizi resi. Essendo noto
che la possibilità di scelta
influisce sulla soddisfazione,
si può mettere in relazione la
percezione della qualità con
la possibilità di scelta della
struttura ospitante: infatti il
72% del campione dichiara
che ha potuto scegliere in
piena libertà e le motivazioni più importanti che hanno
guidato tale scelta sono state l’assistenza medica, infermieristica e riabilitativa (per
il 18%), l’ambiente confortevole (per il 17%) e la vicinanza all’abitazione dei familiari (per il 16%). Contemporaneamente proseguono le
indagini sulla qualità percepita dagli utenti dei servizi
sociosanitari da parte della
Regione Emilia Romagna, anche in analogia a quanto
suggerito dal Production of
welfare approach 13applicato
ai servizi per gli anziani.
Riferimenti legislativi
• la temperatura dell’ambiente interno durante la stagione estiva è valutata dal 19%
sufficiente e dal 6% insufficiente, per un totale di poco
o nulla soddisfatti pari al
25%
• la categoria degli ospiti in
carrozzella manifesta giudizi
di maggiore insoddisfazione
relativamente all’orario d’inizio del riposo notturno (il
5% valuta insufficiente e il
17% sufficiente, cui si aggiunge in parallelo una minore percentuale di ottimo).
Le ragioni sono legate alla
condizione particolare di tali persone. Infatti molto
spesso sono individui ancora
mentalmente molto lucidi
che per esigenze operative
della casa (orari di lavoro de-
gli assistenti di base) sono
costretti a coricarsi in orari
non di loro gradimento.
• l’attività di animazione,
che è di estrema importanza
per una qualità di vita accettabile, è valutata dagli ospiti
per il 6% insufficiente per il
25% sufficiente, vale a dire
che oltre il 30% si ritiene poco o nulla soddisfatto. Diversa è la valutazione data dai
familiari che invece la ritengono sufficiente per il 10% e
insufficiente per il 2%. Forse
il ridotto numero di animatori disponibili costituisce la
ragione principale.
In conclusione, in un quadro
generalmente molto ottimista
riguardo la qualità percepita,
l’aspetto maggiormente criticato è quello relativo al
comfort alberghiero relativamente ad aspetti legati a
condizioni strutturali (ampiezza camere da letto) e legati a questioni di esternalizzazione di servizi (pasti in
catering, la cui qualità è solitamente inferiore rispetto al
pranzo fornito dalle cucine
interne). Con riferimento al
tema della umanizzazione e
personalizzazione, l’attività
di animazione è l’aspetto più
critico.
Dato il numero delle variabili indagate, si è resa utile
un’elaborazione dei dati mediante tecniche di analisi
multivariata11 (tuttora in
corso), con lo scopo di identificare categorie omogenee
di residenti e familiari quanto a valutazione della qualità
• Legge n° 833/1978 “Istituzione del Servizio Sanitario
Nazionale”
• D. Lgs. n° 502/1992 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della Legge 23 ottobre
1992, n° 421” e successive
modificazioni
• D. Lgs. n° 517/1993 “Modificazioni del D.lgs. 30 dicembre 1992 n° 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre
1992 n° 421”
• Progetto Obiettivo Nazionale: “Tutela della salute degli
anziani”
approvato
il
31/1/92 come stralcio del
Piano Sanitario Nazionale
(1992-1996).
268
• Direttiva PDCM 27/1/1994
“Principi sull’erogazione dei
servizi pubblici”
• DPCM 19/5/1995 “Schema
generale di riferimento della
carta dei servizi pubblici sanitari” e Linee guida n.
2/95
• Decreto Ministero della Sanità 24/7/95 “Contenuti e
La qualità percepita e l’informazione ai cittadini
N. 128 - 2001
modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e di qualità nel SSN”
• Decreto Ministero della Sanità 15/10/96 “Approvazione degli indicatori per la valutazione delle discussioni
qualitative del servizio riguardanti la personalizzazione e l’umanizzazione dell’as-
quisiti strutturali, tecnologici
ed organizzativi minimi per
l’esercizio delle attività sanitarie da parte di strutture
pubbliche e private”
• D. Lgs. n° 229/99 “Norme
per la razionalizzazione del
SSN a norma dell’art. 1 della
legge 30 novembre 1998 n°
419”
Bibliografia
1
AA.VV., 2001, Il diritto alla qualità: Le strutture per anziani non
autosufficienti, Regione Umbria.
2
Hanau C., 2000, La qualità percepita dagli utenti. Salute e Territorio, n.122, sett-ott. 2000: 268-272.
3
Donabedian A., 1990, La qualità dell’assistenza sanitaria. Principi e metodologie di valutazione, Roma, La Nuova Italia Scientifica.
4
Hanau C., 1997, L’attuazione delle carte dei servizi sanitari.
L’Assistenza Sociale, n.1-2: 117-124.
5
AA.VV., 1999, Il comfort in ospedale, Quaderni Qualità 6, Agenzia Sanitaria Regionale, CLUEB, Bologna.
6
Cazzola C., 1996, La percezione degli utenti sulla qualità del servizio sanitario nella provincia di Rimini, Facoltà di scienze statistiche Università di Bologna.
7
sistenza, il diritto all’informazione, alle prestazioni alberghiere nonché l’andamento delle attività di prevenzione delle malattie”
• DPR 14/1/97 “Approvazione
dell’atto di indirizzo e coordinamento delle regioni e alle
provincie autonome di Trento
e di Bolzano, in materia di re-
8
Belbusti G. 1999, Livelli uniformi di assistenza e progettoobiettivo anziani diritto alla salute e valutazione della qualità
nelle R.S.A.
9
Morosini P., 2000, Griglie di valutazione in sanità: miglioramento continuo di qualità, valutazione di efficacia degli interventi e gestione aziendale. Centro Scientifico Editore.
10
Ursini M., Ponti N., 1999, Valutazione della qualità delle strutture residenziali e semiresidenziali a rilievo sanitario. Ufficio
per l’informazione sui servizi sanitari regionali Assessorato alla Sanità, Regione Umbria.
11
Fabbris L., 1997, Statistica multivariata, Milano, Mc Graw-Hill.
12
Assessorato ai servizi sociali del Comune di Modena, 1999, Il
gradimento dell’utenza diretta e indiretta nelle strutture protette comunali, Quaderno n.7.
13
Davies B, 1997, Equity and efficiency in community care, Policy and - Politics, 25: 337-359.
A.I.O.P., 1998, La qualità del servizio nelle Case di Cura. Associazione Italiana Ospedalità Privata.
(segue da pag. 256): Un “progetto accoglienza”
informazione, comunicazione
e relazione. Proprio questo
studio, concluso nel maggio
2001 e presentato al Direttore generale, ci ha permesso di
constatare che le informazioni contenute all’interno delle
“Carte degli impegni” sono
state positivamente valutate
dai nostri utenti che nel 93%
dei casi le hanno ritenute
sufficienti ed esaustive.
Al momento attuale sono in
corso di verifica e 2° aggior-
namento le Carte degli Impegni per l’anno 2001.
Abbiamo fortemente creduto in
questo progetto e il risultato atteso ci conforta nelle scelte intraprese. Riteniamo che il nostro lavoro sia facilmente e-
sportabile e utilizzabile in
quanto pienamente rispondente a criteri di completezza, chiarezza, facilità d’uso e di aggiornamento, economicità nella
produzione e soddisfacimento
da parte dei fruitori stessi.
270
Recensioni
N. 128 - 2001
Recensioni
M.G. Breda, D. Micucci, F.
Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali,
Utet, 2000, pp. 258
Gli Autori criticano fortemente
la legge n. 328/2000, legge
quadro per la realizzazione del
sistema integrato di interventi
e servizi sociali, per una serie
di motivi qui di seguito richiamati.
Il patrimonio delle IPAB estinte viene trasferito ai Comuni e
ad altre istituzioni, eliminando il vincolo di destinazione a
favore dei poveri.
Gli unici diritti soggettivi perfetti garantiti agli assistiti sono quelli concernenti le prestazioni economiche (come le
pensioni e le indennità permanenti). Favorisce l’aumento
della sfera di competenza del
settore assistenziale sulla vasta area dei servizi socio-sanitari, sottraendo competenze al
settore sanitario, ove i diritti
soggettivi dei pazienti sono
meglio tutelati.
Abrogando le disposizioni di
cui ai regi decreti n.
6535/1889 e n. 773/1931 si
abolisce l’obbligo per i Comuni
di provvedere servizi e strutture residenziali per i minori e
gli adulti disabili rimasti privi
di famiglia.
Non obbliga ad unificare la
competenza ad assistere i minori nati nel matrimonio (Comuni) e quelli fuori del matrimonio (Province).
Le funzioni dei servizi sociali
vengono estese a tutte le attività previste dall’art. 128 del
decreto legislativo 31/03/1998
n. 112, per erogare servizi gratuiti o a pagamento, secondo
l’autonomia e la discrezionalità
del Comune, potendo coprire
sia le esigenze degli indigenti
che quelle della generalità della popolazione non indigente.
L’unificazione di esigenze tanto differenti, quanto a valore
etico-sociale in relazione all’equità e alla solidarietà, rischia
di ridurre l’attenzione ai più
deboli. Ad esempio, l’assistenza domiciliare, che secondo la
legge 328 potrebbe essere garantita a pagamento anche ai
benestanti, se erogata attraverso il servizio pubblico costerebbe molto di più di quanto oggi costa sul mercato: la
differenza dovrebbe essere coperta da un finanziamento
pubblico che andrebbe a ridurre le disponibilità per gli indigenti.
Gli Autori, sulla base dell’esperienza da loro condotta per la
difesa dei diritti degli orfani e
dei malati, in particolare quelli non autosufficienti in fase
cronico-degenerativa, temono
che l’usuale carenza di fondi
nelle casse dei Comuni induca
questi ultimi a disapplicare
anche i minimi di prestazioni
che i “livelli essenziali” di beni e servizi (di cui all’art. 22
della legge n. 328/2000) dovrebbero garantire a tutti i cittadini italiani che versino in
situazione di disagio e povertà.
Una critica generale rivolta
dagli Autori alla legge 328 riguarda la non abbligatorietà
e la non sanzionabilità degli
eventuali Enti che disattendono le indicazioni della legge 328 e della lunga serie di
atti che ne dovranno discendere, come ad esempio il Piano nazionale degli interventi
e dei servizi sociali emanato
da parte del Consiglio dei Ministri.
Diverse critiche particolari riguardano occasioni perse dal
legislatore che, in occasione
dell’approvazione della legge
328, era stato sollecitato dalle
associazioni ad intervenire.
Per aumentare la disponibilità
di fondi per gli indigenti, gli
Autori chiedono che gli asili
nido, l’assistenza ai malati, gli
inserimenti lavorativi ed altri
interventi vengano in futuro
sostenuti finanziariamente dai
Ministeri della Pubblica Istruzione, della Sanità e del Lavo-
ro e previdenza sociale. Rilevo
come l’unificazione dei Ministeri del lavoro, della Sanità e
degli Affari Sociali dovrebbe
facilitare un riordino ed una
sinergia della spesa pubblica.
Gli Autori effettuano una panoramica su situazioni ed
esempi locali di funzionamento dell’assistenza, positivi e
negativi, ed avanzano proposte di interventi di iniziative
popolari tendenti ad introdurre a livello locale alcune misure migliorative rispetto alla
legge nazionale, consistenti in
bozze di delibere quadro.
Gli ultimi capitoli trattano di
proposte per un sistema di
welfare dal lato delle uscite
(pensioni, indennità, redditi
minimi garantiti) e delle entrate, che dovrebbe modificare
l’ISE.
Non mancano i suggerimenti
per un manuale di controinformazione su alcuni luoghi,
nonostante siano falsi.
Il volume contiene una ricca
appendice sulla storia dell’assistenza dal 1960, una proposta di legge regionale di iniziativa popolare, il testo della
legge 328/2000 ed il resoconto parlamentare del dibattito
in occasione della sua approvazione.
Pierluigi Morosini, Griglie di
valutazione in sanità. Miglioramento continuo di qualità,
Valutazione di efficacia degli
interventi e gestione aziendale. Centro Scientifico Editore,
Torino, 2000
Questo libro è un’opera originale anche nel panorama
internazionale. È una raccolta di strumenti utili per la
formazione e la pratica della
gestione di qualità in sanità
e non solo in sanità, sotto
forma di griglie di valutazione.
Le griglie, parecchie delle
quali totalmente nuove, si
distinguono per la grande
chiarezza e per essere autosufficienti, nel senso che la
maggior parte delle domande
corrispondenti ai vari criteri
sono accompagnate da spiegazioni dei concetti e da
precisazioni degli elementi
importanti per la valutazione.
CARLO HANAU
Recensioni
N. 128 - 2001
271
Va notato che alcune di queste griglie sono, assieme con
i relativi capitoli introduttivi,
così complete, che si possono
leggere come piccoli e sintetici manuali.
Vengono trattati:
- tutti i temi principali dell’epidemiologia clinica e di
quella sua applicazione che
prende il nome di EvidenceBased Medicine, e cioè studi
controllati randomizzati e altri studi sull’efficacia di un
intervento, rassegne sistema-
tiche e metanalisi, linee guida, esami e strumenti diagnostici, screening;
- temi di valutazione e miglioramento di qualità, e precisamente sistema qualità
(compresa un’appendice sui
requisiti minimi di accreditamento), progetti di MCQ (di
processo e di esito), gestione
dei rischi, indicatori, priorità
di un problema, URP;
- temi più di tipo gestionale e
manageriale, come valutazione di un problema di presta-
zione, di una riunione e anche delle qualità di un manager/leader.
Vi è anche un questionario
“divulgativo” per gli utenti e
i loro rappresentanti, che li
aiuta a capire quali sono i
principi scientifici per la valutazione dell’efficacia di una
terapia e quali sono le domande da fare a chi ne propone una nuova.
Il libro appare molto utile per
l’autoformazione e la crescita
professionale personale e in-
dispensabile come strumento
di lavoro nell’ambito di corsi
di formazione attiva sui temi
trattati.
Può indubbiamente essere
applicato anche al di fuori
della sanità e dimostrarsi utile per chi si occupi o si voglia
occupare di qualità e di gestione delle risorse umane
anche in altri campi.
Pierluigi Morosini, Franco
Perraro, Enciclopedia della gestione di qualità in sanità.
Con elementi di economia sanitaria, medicina basata sulle
evidenze, epidemiologia, statistica, comunicazione. II
edizione. Centro Scientifico
Editore, Torino, 2001
giudizio clinico, l’empowerment dei pazienti, l’aggiustamento per rischio, i criteri di validità di una misura,
la progettazione mediante
PERT e Gantt, l’analisi del
processo, il controllo di gestione, il reporting, il sistema premiante, gli elementi
fondamentali di una buona
presentazione con lucidi, la
standardizzazione, la dimensione del campione, la variabilità casuale, i test di significatività statistici e gli intervalli di confidenza.
Il libro contiene anche ampi
stralci del Piano sanitario nazionale 1998-2000 e dei requisiti minimi di accreditamento
del DPR 14 gennaio 1997.
Riporta i siti Internet più utili per accedere alle banche
dati di linee guida, ai centri
della Medicina basata sulle
evidenze e alle principali
agenzie di accreditamento sanitario del mondo.
È arricchito da appendici che
riportano: la legge australia-
na che protegge la confidenzialità delle informazioni rilevate durante i progetti di
valutazione e miglioramento
di qualità, un piccolo dizionario per la traduzione dei
termini tecnici dall’inglese in
italiano e il capitolo riguardante il miglioramento continuo di qualità di un manuale
italiano di accreditamento sanitario professionale tra pari.
È molto utile per coloro che
vogliono occuparsi professionalmente di qualità, per clinici e amministrativi, interessati al management e alla
promozione della qualità professionale.
Pur nella densità dei concetti,
è scritto in un linguaggio
chiaro, per contribuire all’unificazione della terminologia.
Questa seconda edizione è
notevolmente arricchita rispetto alla prima. In particolare contiene numerosi riferimenti alla terza legge di
riforma sanitaria, il Decreto
Legislativo 229 del 1999 ed a
voci di gestione aziendale ed
economia sanitaria, come
spesa sanitaria, finanziamento delle Aziende e dei sistemi
sanitari e punto di break
even. Ma soprattutto sono
trattati con maggiore dettaglio argomenti fondamentali
come appropriatezza, audit,
benchmarking, contabilità e
budget, distorsione, gestione
dei rischi, funzioni principali
di assistenza, metanalisi,
progetti di MCQ (in cui si discutono vantaggi e svantaggi
dei progetti incentrati sugli
esiti e sui processi), profili di
assistenza, screening (con un
elenco degli screening approvati dalla US Preventive Task
Force), principi di valutazione di efficacia degli interventi sanitari (alla voce sette C),
razionamento. Contiene infine un’altra appendice sui riferimenti legislativi del miglioramento continuo di qualità in sanità.
Si tratta di un libro enciclopedico, perché comprende la
trattazione concisa ma approfondita dei concetti e
delle nozioni fondamentali
di miglioramento continuo
di qualità, di gestione aziendale, di economia sanitaria,
di statistica, di Epidemiologia clinica ed in particolare
di quel suo ramo che prende
il nome di Medicina basata
sulle evidenze. Riusciti i tentativi di sintetizzare in una
pagina problemi così complessi e disparati come il ciclo della qualità e il ciclo PDCA, l’audit, gli indicatori, il
razionamento in sanità, l’etica del MCQ, le distorsioni del
CARLO HANAU
CARLO HANAU
272
“Dal Terzo Settore al co-settore?”
Presentazione dell’opera di C.
Cipolla (a cura di), Il co-settore in Italia, Angeli, Milano,
2000
Con il termine “co-settore” si
intende superare l’accettazione di una prospettiva pluralista a stampo partecipativo
che, dal punto di vista con-
Recensioni
cettuale, implica il passaggio
da una forma di conoscenza
categoriale (da qui la logica
di confine) a un tipo di conoscenza co-relazionale, dove il
“co” emerge come spazio
multidimensionale non riducibile alle singole componenti in interazione (lo Stato, il
mercato, il terzo settore, i
mondi vitali).
N. 128 - 2001
Pertanto il termine co-settore
non deve essere visto come una
nuova definizione di terzo settore e neppure come un ulteriore quinto settore da aggiungersi ai quattro esistenti; esso
rappresenta il tentativo di un adeguamento allo sviluppo della
società odierna e, risultando
come il crocevia di molte dimensioni, è qualificato a pro-
durre servizi co-relazionali, è
definito da altruismo e solidarietà esterna, è incentrato su
principi re-distributivi di equità
e legittimato per fiducia, adesione, efficienza intersoggettiva e peculiarità operativa.
FRANCESCA ROSSETTI
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