Direttore responsabile Mariella Crocellà Redazione Antonio Alfano Gianni Amunni Alessandro Bussotti Francesco Carnevale Bruno Cravedi Laura D'Addio Gian Paolo Donzelli Claudio Galanti Marco Geddes Loredano Giorni Carlo Hanau Gavino Maciocco Mariella Orsi Paolo Sarti Collaboratori Marco Biocca, Centro Documentazione Regione Emilia-Romagna Eva Buiatti, Osservatorio Epidemiologico, Agenzia Regionale di Sanità della Toscana Giuseppe Costa, Epidemiologia - Grugliasco, Torino Nerina Dirindin, Dipartimento di Scienze Economiche Finanziarie – Università di Torino Luca Lattuada, Agenzia Regionale della Sanità - Friuli Pierluigi Morosini, Istituto Superiore di Sanità - Roma Luigi Tonelli, Direzione Sanitaria - Siena Comitato Scientifico Giovanni Berlinguer, Professore Emerito Facoltà di Scienze - Roma Claudio Calvaruso, Direttore Generale Studi Documentazione Sanitaria e Comunicazione ai cittadini. Ministero della Sanità - Roma Giorgio Cosmacini, Centro Italiano di Storia Sanitaria e Ospitaliera - Reggio Emilia Silvio Garattini, Istituto Negri - Milano Donato Greco, Direttore Laboratorio Epidemiologia e Biostatistica - Istituto Superiore di Sanità Elio Guzzanti, Docente di Organizzazione Sanitaria Facoltà di Medicina e Chirurgia "A. Gemelli" - Roma Tommaso Lo Savio, Ospedale Psichiatrico S.Maria della Pietà - Roma Rodolfo Saracci, Agenzia Sanitaria Regionale Toscana Segretaria di redazione Patrizia Sorghi Salvini Simonetta Piazzesi Direzione, Redazione Via Fiume, 8 - 50133 Firenze Tel. 055/282703 - Fax 055/282703 Pacini Editore S.p.A. Via Gherardesca, 56121 Ospedaletto (PI) Tel. 050/313011 - Fax 050/3130300 [email protected]. www.pacinionline.it 128 Rivista bimestrale di politica-socio-sanitaria fondata da L. Gambassini Giunta Regionale Toscana ANNO XXII - Settembre-Ottobre 2001 Sommario 210 217 A. De Santi N. Crotti, M. Musso Gli incidenti stradali Cibo e bellezza ideale Spazio Toscana Nutrizione artificiale domiciliare 220 Dipartimento del diritto alla salute e delle politiche di solidarietà Monografia 225 228 232 241 246 250 252 256 257 263 265 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Il ruolo dei pazienti nei vari sistemi sanitari Indagini di soddisfazione rivolte agli utenti C. Hanau R. Bottai, V. Micheletti, A. Alfano M. Serapioni La partecipazione nei servizi sanitari C. Hanau, S. Cavallin Esperienze di Comitati consultivi misti J. Gost, P. Aster, Le tecnologie dell’informazione B. Bermejo, C. Silvestre, M.T. Chivite J. Carretier, L. Leichtnam, L’informazione valutata dai pazienti M. Véron, V. Delavigne, H. Hoerau, T. Philip, B. Fevers Il consenso informato negli esperimenti J. Gost, C. Silvestre, P. Ezpeleta, P. Astier, clinici P. diaz de Rada, M.T. Artàzcoz P. Farruggia, S. Cavallin, Un “progetto accoglienza” A. Longanesi, M. Berdondini T. Alberti, C. Hanau, Pronto soccorso e Medicina d’urgenza E. Pipitone G. Negrini, S. Cavallin, Il percorso chirurgico P. Farruggia C. Hanau, E. Pipitone, Il giudizio degli utenti nelle RSA A. Ravaglia Questo numero è stato chiuso in redazione il 30 ottobre 2001 270 Recensioni Abbonamenti 2001 Italia L. 80.000 (€ 41,32) Estero L. 90.000 (€ 46,48) I versamenti devono essere effettuati sul c/c postale 10370567 intestato a Pacini Editore S.p.A., specificando nella causale «abbonamento a Salute e Territorio». Fotocomposizione e Stampa Industrie Grafiche Pacini - Pisa 210 Prevenzione Anna De Santi Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica, Istituto Superiore di Sanità G li elevati indici di incidenti stradali che nel nostro Paese si registrano sulle strade costituiscono un problema rilevante di salute pubblica. L’alta percentuale di morti e feriti negli individui di età compresa fra i 14 e i 29 anni di età richiede uno studio attento dei comportamenti a rischio nella guida soprattutto nella popolazione giovanile. A tale proposito sono stati analizzati i fattori che influenzano i comportamenti a rischio alla luce delle principali teorie comportamentali con una riflessione sulle possibili strategie di prevenzione dei comportamenti a rischio di incidente stradale. Fattori che influenzano i comportamenti a rischio Conoscenze e grado di informazione Non c’è dubbio che l’informazione è una componente essenziale dell’educazione, ma essenziale non vuol dire né unica, né sufficiente. La salute costituisce certamente un valore, ma assume una posizione preminente soltanto quando il soggetto sia convinto che essa sia in serio ed immediato pericolo. All’infuori di tale evenienza, la salute è un valore come tanti altri e in una ideale scala di valori la sua posizione può variare nei diversi individui e N. 128 - 2001 Gli incidenti stradali nei diversi momenti della vita di ciascuno di essi. Parlando di atteggiamenti, si deve considerare che essi dipendono da una serie di fattori che variano continuamente. Uno di questi è costituito dalla scala dei valori, che cambia in misura più o meno grande, in funzione degli stimoli istintuali e dell’esperienza vissuta dal soggetto, di cui l’informazione è parte integrante. Ma, l’informazione nel nostro Paese, non risulta efficace in quanto non viene fornita in modo mirato, puntuale, costante e continua nel tempo (Bisi e Brunello, 1997). Risulta, infatti, evidente la constatazione che non è possibile modificare il comportamento dell’utente della strada con interventi di breve durata: in quanto si possono avere risultati costanti nel tempo solo se l’individuo ha sviluppato comportamenti adeguati alla sicurezza stradale e ne ha fatto “schemi comportamentali” nei periodi di strutturazione della personalità come nella seconda infanzia, e nella preadolescenza. Percezione del rischio e della propria vulnerabilità Il fatto di non considerare se stessi come soggetti potenzialmente a rischio di incidente stradale costituisce uno degli aspetti più fre- I fattori sociali e psicologici che influenzano i comportamenti a rischio. Le strategie da adottare per l’educazione stradale quenti alla base della sottovalutazione del pericolo e del mantenimento di comportamenti di guida insicuri. Oltre alla percezione del pericolo, anche la valutazione della gravità delle conseguenze che un incidente stradale comporta condiziona la probabilità che un individuo adotti comportamenti di guida più o meno corretti. Così, ad esempio, in un adolescente, che non si percepisce a rischio di incidente, le argomentazioni sulla necessità dell’uso del casco, per evitare la possibilità di fratture o di lesioni gravi o mortali durante gli incidenti stradali, trovano scarsa eco. Un altro aspetto da considerare riguardante la percezione del rischio riguarda il locus of control cioè il grado di controllo che un soggetto ritiene di esercitare sul proprio destino. Un locus of control interno corrisponde ad una capacità di costruire la propria esistenza essendone diresponsabile rettamente mentre un locus of control esterno attribuisce alla fortuna o al caso gli accaddimenti relativi alla propria esistenza (Galeazzi, 1993). La possibilità di incorrere in incidenti stradali rappresenta per molti soggetti che posseggono un locus of control esterno un rischio imprevedibile, non calcolabile, che si verifica secondo probabilita’ non sottoponibili a controllo da parte di un individuo (atteggiamento fatalistico che, per esempio, non fa usare casco o cinture). Anche la televisione non offre certo una reale percezione del rischio. Se pensiamo che un giovane ha una media di esposizione al mezzo televisivo di quattro ore al giorno e che ogni ora di televisione contiene mediamente due morti provocate in modo violento,si può constatare che a diciotto anni egli ha assistito a quarantamila morti, senza contare quelle del cinema o della carta stampata (Andreoli, 1997). Sui giovani fa molta piu’ presa una delle tante scene tratte da fiction televisive dove sfrecciano automobili “aggressive e scattanti guidate da personaggi immortali“ (Brunello, 1999) . Pertanto saltare sulle motociclette e Prevenzione N. 128 - 2001 correre contromano stabilendo un primato o fare surf d’auto aggrappati ad un tetto della macchina mentre gli amici partono a tutta velocità o correre con l’auto andando a sbattere contro un muro per vedere se l’air bag funziona, sono tutte prove di coraggio di una cultura dove la morte viene sfidata, derisa proprio perché non conosciuta e non percepita come concreta. Solo se la persona ha avuto esperienze personali di conoscenti o parenti che sono morti o rimasti feriti durante un incidente stradale, riesce a percepire il pericolo di un comportamento a rischio nella guida o nel non uso dei dispositivi di sicurezza, altrimenti avverte come distanti da se’, nello spazio e nel tempo, le conseguenze di un incidente stradale. Attitudine al rischio Un’alta attitudine al rischio definisce il comportamento che spinge la persona a ricercare sensazioni forti, a vivere una vita avventurosa e a correre rischi e pericoli che possono costituire una minaccia per la sua incolumità fisica e psicologica in una continua sfida con i propri limiti. Nella popolazione generale il grado di attitudine al rischio è massimo nel periodo adolescenziale e tende a ridursi con l’avanzare dell’età (Yao F.K., 1990). Alla luce di risultati ottenuti con l’analisi nel tempo della mortalità per incidenti stradali, si nota come, mentre negli adulti dal 1969 ad oggi si osserva una vistosa diminuzione della mortalità per incidente stradale (-40%), nei giovani di 15-24 anni la mortalità è rimasta sostanzialmente invariata. Secondo un modello comportamentale del fattore umano negli incidenti autostradali (Salvatore, 1994) risultante da due indagini su campione di automobilisti in autostrada, ne deriva che l’apprendimento di uno stile di guida non è sempre adattivo; gli esseri umani apprendono e utilizzano alcune forme di comportamento che non sempre risultano appropriate ai cambiamenti di scenario come il contesto di guida, le condizioni di traffico, metereologiche, individuali ecc. Sempre secondo questo modello, gli individui possono non sapere come reagire adeguatamente alle novità perché imparano progressivamente ad ignorare la percezione delle segnalazioni critiche provenienti dall’ambiente. In pratica, si afferma che si possono ignorare le segnalazioni dell’ambiente in quanto assenti nella percezione del contesto di guida e, conseguentemente non possono influenzare né modificare il comportamento del guidatore. Il rischio consiste nella progressiva legittimazione e conferma del modello di ignoranza adottato e validato dall’esperienza che diventa una buona premessa per “sospendere” l’applicazione delle regole di base della circolazione stradale, quelle cioè collegate al buon senso, al codice stradale e alla guida sicura. In definitiva, l’automobilista tende a consolidare e mantenere i propri errori di guida, non considerando il rischio associato semplicemente perché impara ad ignorarlo. Con il trascorrere del tempo lo stile di guida incontra rinforzi positivi, consolidandosi intorno all’evidenza di conseguenze positive – come l’assenza di incidenti stradali – connesso allo stile di guida adottato. Pertanto comportamenti di guida pericolosi si consolidano, secondo questo modello, grazie alla percezione di una impossibilità che a tale condotta segua una evenienza negativa come l’incidente stradale. Con il passare del tempo poi si riduce, fino ad annullarsi la consapevolezza degli errori di valutazione del rischio di guida che si possono presentare. Gli automobilisti tendono così a sostituire in modo sistematico alla casualità o alla fortuna la percezione di capacità o abilità specifiche associate impropriamente con le conseguenze positive di un viaggio. Questo modello tende ad ignorare una parte delle evidenze relative alle situazioni di rischio effettive come l’assunzione di un falso senso di sicurezza nell’abilità alla guida o la guida sotto effetto di stress o stanchezza o il parlare, fumare, ascoltare la radio, cercare qualcosa nell’auto ecc. o ancora non rispettare la distanza di sicurezza o assumere modi di guida aggressivi o intolleranti verso i limiti di velocita’ o verso le condizioni meteorologiche avverse. Uso di alcol, sostanze e farmaci In questi ultimi anni molte sono state le segnalazioni 211 nella letteratura internazionale di come gli aspetti comportamentali, in particolare l’uso di alcol e di sostanze, siano tra le principali cause degli incidenti stradali gravi e mortali, in particolare nei giovani. L’uso di alcol e di sostanze, molto diffuso soprattutto tra i giovani, è da considerarsi un comportamento favorente gli incidenti stradali in quanto queste sostanze hanno un effetto disinibente che riduce la capacità di riflessi e di attenzione, inducendo colpi di sonno; alterando l’umore, si possono infatti determinare euforia e depressione, cioè stati d’animo che non consentono decisioni rapide, opportune e serene. È stato infatti constatato che tali rischi, che dipendono da diversi cofattori, sono tanto più elevati quanto minore è l’età, e quanto più è limitata e concentrata nel tempo l’abitudine a bere. Sarebbe fondamentale informare capillarmente sul rischio connesso all’uso di queste sostanze, specialmente – ma non solo – i giovani, attraverso azioni puntuali anche nei vari luoghi di aggregazione dove i comportamenti si consolidano. Per quanto riguarda i farmaci, andrebbero sensibilizzati i medici affinché informino, all’atto della prescrizione, i soggetti sui rischi alla guida che possono derivare dall’assunzione di particolari farmaci. Influenze sociali Sui comportamenti influiscono due fattori principali: quelli sociali e quelli normativi. Tra i primi troviamo l’in- 212 fluenza sociale esercitata dagli amici, dalla famiglia e dal gruppo dei pari (o gruppo di coetanei), e ancora, dalla cultura legata all’uso dell’alcol e delle sostanze nonché dai fattori di tipo socioeconomico e dalle ideologie politiche e religiose. I fattori normativi riflettono invece i valori etici della persona che nei giovani non sono ancora interiorizzati in modo stabile. (WHO, 1993). Le influenze sociali si modificano al variare dell’età del soggetto, delle sua personalità e della sua capacità di autodeterminazione nonché del tipo di risposta che è in grado di elaborare verso stimoli esterni. Snyder e Kendzierki (1982) sostengono che tra i fattori della personalità che intervengono nella determinazione degli atteggiamenti e comportamenti troviamo l’autocontrollo (o autoconsapevolezza) che prevede che le persone con una maggiore autoconsapevolezza rivolgono la propria attenzione primariamente al sé, ovvero ai propri sentimenti, emozioni, Osservabile Prevenzione norme ecc mentre persone dotate di scarso autocontrollo sono influenzate dal partner o dal gruppo di riferimento (come quello dei pari ad esempio) e il loro comportamento, in questo caso, non riflette stati interni come emozioni e atteggiamenti e varia da situazione a situazione. Per quanto riguarda l’influenza del gruppo dei pari nell’adolescenza, va detto che gli atteggiamenti individuali sono fortemente condizionati da quelli del gruppo al quale appartiene (o vuole appartenere) l’individuo. Infatti, va sempre tenuto presente il ruolo determinante del gruppo nella formazione degli atteggiamenti (e quindi dei comportamenti). L’adesione a pratiche di guida pericolosa adottate dal gruppo rinforza gli atteggiamenti del singolo. Sarebbe, pertanto, necessaria una maggiore attenzione verso lo studio delle influenze determinate dalle persone significative, rappresentate soprattutto dai coetanei che favoriscono la messa a punto di comportamenti di guida cor- Inferito N. 128 - 2001 retti o pericolosi da adottare. Anche l’uso dei dispositivi di sicurezza viene influenzato dal gruppo che spesso esprime un giudizio negativo su questa scelta in quanto manifestazione di pavidità e insicurezza. Teorie comportamentali Prima di parlare di atteggiamenti o di comportamenti a rischio cerchiamo di dare una definizione dei termini. Quando parliamo di atteggiamento ci riferiamo ad una combinazione di tre reazioni vale a dire: 1. Affettiva, cioè quella legata alle emozioni come l’amore, l’odio, la simpatia e l’antipatia. 2. Cognitiva, riguardante credenze, opinioni e idee sull’oggetto di atteggiamento. 3. Comportamentale, che concerne le intenzioni comportamentali o le tendenze di azione. A volte le persone pensano o agiscono in modo incoerente con i propri sentimenti considerando la componente affettiva degli atteggiamenti co- me l’unico indicatore rilevante della loro natura valutativa e confondendo il termine emozione con quello di valutazione. Queste dimensioni dell’atteggiamento vengono chiamate unidimensionali poichè si focalizzano solo su una componente dell’atteggiamento 1. Per misurare gli atteggiamenti si può domandare alle persone di esprimerli attraverso misure dirette che esplorano le opinioni o le credenze delle persone usando indicatori come scale di misurazione (Likert 1932, Thurstone 1931). Tali procedure presentano però alcuni limiti in quanto le persone spesso non sono in grado di comunicare i propri atteggiamenti. Con le procedure indirette invece si possono misurare gli atteggiamenti delle persone, a loro insaputa, attraverso tecniche di osservazione che sono immuni dalle distorsioni descritte precedentemente. La teoria del comportamento pianificato Nella teoria del comportamento pianificato il compor- Osservabile Risposte cognitive Fig. 1 - Schema di atteggiamento di Eagly e Stimoli che denotano l’atteggiamento Atteggiamento Risposte affettive Chaiken, 1993. Risposte comportamentali 1 Per credenza si intendono le opinioni della persona sull’oggetto mentre per atteggiamento si considerano le emozioni connesse con l’oggetto di atteggiamento. Le intenzioni comportamentali indicano invece una prontezza nell’agire in modo particolare nei confronti dell’oggetto. Atteggiamento verso il comportamento 213 Prevenzione N. 128 - 2001 Barriere Fig. 2 - Schema teoria del comportamento pianificato - Norma soggettiva Intenzione Comportamento Mazzara 2000 (modificato da Ajzen, 1991). Percezione di controllo sul comportamento tamento è il risultato di una intenzione comportamentale (detta norma soggettiva), di credenze normative e motivazioni. Ajzen e collaboratori (1986) affermano che la determinante del comportamento consiste in una intenzione che a sua volta è dettata dalla valutazione positiva o negativa del comportamento da assumere da parte del soggetto. L’atteggiamento di una persona verso il comportamento dipende dalla credenza che questo comportamento provocherà una determinata conseguenza e dal valore attribuito a questa conseguenza. Pertanto esso è il risultato della somma di due prodotti, vale a dire del valore e delle aspettative associate a ciascuna conseguenza comportamentale. La norma soggettiva consiste, infatti, nel giudizio dell’individuo circa l’eventualità che le persone significative come il partner o gli amici si aspettino da lui quel particolare comportamento. La versione ampliata della teoria del comportamento pianificato include anche un altro fattore chiamato “percezione di controllo sul comportamento”. Abilità Il modello di Ajzen e collaboratori prevede che le persone decidano di compiere un’azione (usare il casco) se saranno convinte che: 1. L’uso del casco comporterà delle conseguenze positive. 2. I loro partner, amici e familiari si aspettano che lo usi. 3. Saranno in grado di superare tutti i condizionamenti che potrebbero impedire loro di usarlo (percezione di controllo sul comportamento). Mazzara (2000) sostiene che occorre considerare le determinanti di un comportamento attraverso l’analisi della dimensione interattiva e sociale dell’individuo che comprende: • le rappresentazioni sociali, • l’appartenenza e l’identita’ sociale, • la memoria collettiva, • le relazioni personali • le dinamiche di gruppo legate allo stile di vita della persona. Secondo un modello riguardante la persuasione e il ruolo delle informazioni nella formazione e nel cambiamento dell’atteggiamento (MC Guire, 1985) uno degli aspetti interessanti da sottolineare riguarda il legame tra la comprensione e l’intelligenza. Mc Guire sostiene che la comprensione di un messaggio dovrebbe migliorare all’aumentare del livello di intelligenza delle persone, ma le persone più intelligenti, egli sostiene, sono anche le più critiche e pertanto sono meno disposte ad accettare un messaggio. Secondo la sua teoria gli individui molto intelligenti non accettano facilmente le informazioni proposte e quelli molto stupidi non percepiscono correttamente i messaggi e pertanto gli individui influenzabili con più facilità risultano essere quelli di intelligenza moderata. Secondo Kotler (1992) l’adozione di un comportamento corretto avviene attraverso un modello detto della gerarchia degli effetti che inizia con un percorso di apprendimento, la c.d. fase informativa che prevede che gli individui vengano a conoscenza del contenuto del messaggio e lo memorizzino, per arrivare alla successiva fase della persuasione che consiste nell’indurre gli individui a formarsi un atteggiamento favorevole nei confronti dell’adozione del nuovo comportamento. Il cambiamento di atteggiamento prodotto da incentivi o sanzioni La recente legge sull’uso del casco ha prodotto un immediato uso di tale dispositivo. Uno dei meccanismi adottati per scoraggiare comportamenti a rischio consiste nell’introdurre degli incentivi o delle sanzioni. Molti dati dimostrano che la domanda di alcolici e di sigarette, come quella relativa a molti beni di consumo, è sensibile alle variazioni dei prezzi e del reddito. Infatti a parità di condizioni, l’aumento del prezzo dell’alcol ne riduce il consumo, mentre l’aumento del reddito dei consumatori si accompagna ad un aumento del consumo di alcolici (Stroebe e Stroebe, 1995). Questo significa che l’aumento dei prezzi potrebbe impedire che un certo numero di soggetti adotti un comportamento nuovo, considerato piacevole da coloro che già lo attuano. Se consideriamo, ad esempio, i comportamenti legati al fumo, possiamo dire che dal momento che è molto difficile riununciare a fumare quando l’abitudine si è già stabilizzata, le strategie più efficaci risultano essere quelle che impediscono ai giovani 214 di cominciare a fumare. Gli adolescenti possono spendere in media una quantità di denaro inferiore a quella degli adulti ed è pertanto probabile che l’aumento del prezzo delle sigarette possa dissuaderli dall’idea di fumare, soprattutto se non hanno ancora iniziato o se si trovano in una fase di sperimentazione. Studi di Lewitt e Coate del 1982 dimostrano che un aumento del 10% del prezzo delle sigarette diminuirebbe del 14% la richiesta di sigarette fra gli adolescenti, rispetto ad una diminuzione del 4% fra gli adulti. Le strategie di prevenzione degli atteggiamenti e dei comportamenti a rischio di incidenti stradali Tra le diverse strategie sulla prevenzione dei comportamenti a rischio possiamo individuare cinque fasi (OMS, 1990): - determinare se il comportamento di un individuo o di un gruppo di individui comporti un rischio per la sua salute o per quella degli altri; - aiutare i soggetti interessati a comprendere e a riconoscere i rischi associati al loro comportamento; - definire con essi in che modo il loro stile di vita e l’immagine che hanno di se stessi siano legati a tale comportamento; - aiutarli a definire le proprie possibilità’ di cambiare il comportamento; - collaborare con loro al fine di produrre e mantenere il nuovo comportamento. Prevenzione Affinché un giovane interrompa o modifichi un comportamento a rischio di incidente stradale si possono prevedere interventi specifici che consistono nel: 1. Valutare la resistenza alla modifica dei comportamenti a rischio. 2. Formulare strategie per la modifica dei comportamenti a rischio. 3. Motivare ad adottare e mantenere comportamenti sicuri. 4. Supportare offrendo fiducia e rinforzando i comportamenti sicuri adottati. Valutare la resistenza alla modifica dei comportamenti a rischio Per poter produrre un cambiamento comportamentale occorre valutare la percezione del rischio che consiste nell’interpretazione cognitiva, affettiva e comportamentale che il soggetto elabora nei confronti di eventi in grado di provocare incidenti. Indica quanto un individuo è in grado di percepire come vicino a sé un reale rischio di incidente stradale. In questo caso entra in merito l’attitudine al rischio e il grado di controllo che la persona esercita nei confronti del proprio destino (locus of control), le esperienze del soggetto e i lutti correlati a incidenti stradali. Le resistenze al cambiamento comportamentale dei giovani derivano dal fatto che i giovani tendono a vivere con maggiore aderenza il presente e difficilmente riescono a proiettarsi nel futuro. Occorrerebbe, pertanto, agire prendendo come esempio N. 128 - 2001 campagne rivolte alla prevenzione di altri fenomeni, come il fenomeno del tabagismo, dove la persona può sapere sicuramente che il fumo favorisce l’insorgenza di una serie di patologie anche gravi, ma questo non è sufficiente a far sì che essa smetta di fumare. Il fumatore, infatti, pur non ignorando le conseguenze del fumo, le sente troppo distanti perché possano rivestire per lui una reale importanza a livello emotivo. Le campagne di prevenzione, a questo proposito, si sono dimostrate più efficaci nel dissuadere i giovani dall’uso del fumo sottolineando l’associazione tra tale abitudine e l’alitosi (con le relative conseguenze negative su un piano relazionale e soprattutto sull’immagine personale) in quanto tale effetto risultava immediatamente avvertito come un rischio concreto che generava motivazione alla modifica del comportamento. (Serpelloni, 1999) Analogamente le campagne per la prevenzione degli incidenti stradali potrebbero puntare l’attenzione su danni derivanti da lesioni provocate durante l’incidente: anche in caso di incidente non grave, infatti, alcune lesioni possono risultare deturpanti e desocializzanti. Deturpanti in quanto le cicatrici e le deformità imbruttiscono la persona e desocializzanti perché una parte del corpo, generalmente il viso, deformata o segnata da sequele di fratture e di interventi chirurgici susciterà sempre in chi vi si accosta una sensazione non gradevole. Secondo Kotler (1992) un esempio di messaggio di una campagna a favore della cintura di sicurezza potrebbe essere “La cintura di sicurezza è scomoda, ma evita il rischio di essere sfigurati in caso di incidente”. Alcuni studi hanno dimostrato, inoltre, che i messaggi più efficaci sono quelli che fanno presa sul lato emotivo piuttosto che su un’argomentazione razionale e che i messaggi di paura sono più efficaci verso gli individui che non si considerano destinatari del messaggio (esempio genitori di ragazzi che guidano). Occorre, inoltre, essere in grado di valutare i principali fattori di resistenza al cambiamento, rilevando tutte le componenti che possono opporsi alla creazione di motivazioni per l’adozione di norme preventive. Spesso, alcuni comportamenti a rischio derivano da disturbi della personalità o da consolidate influenze sociali esterne e il loro mantenimento può risultare funzionale al soddisfacimento dei bisogni soggettivi dell’individuo. Formulare strategie per la modifica dei comportamenti a rischio 1. Fare prevenzione significa innanzittutto fornire una corretta informazione sui rischi degli incidenti stradali, sull’assunzione di sostanze, di alcol e farmaci e sull’uso dei dispositivi di sicurezza ecc. 2. Dal livello informativo generale si passa, quindi, ad un livello informativo specifico in cui si analizzano le conoscenze, gli atteggiamenti e i comportamenti nonché le resistenze rispetto alle sostanze o agli effetti dell’alcol sulla Prevenzione N. 128 - 2001 guida, o ancora, rispetto al mancato uso dei dispositivi di sicurezza. 3. La decisione di cambiare un comportamento o di mantenere un comportamento corretto dipende dalla convinzione di essere in grado di esercitare un controllo sul cambiamento (sicurezza nelle proprie capacita’ di modificare positivamente i propri comportamenti e di essere in grado di gestire gli sforzi e le risorse necessarie per esercitare un controllo sulla situazione “self-efficacy”). 4. L’intervento efficace è l’intervento che produce nel soggetto una attivazione emozionale e una ristrutturazione cognitiva che determina un comportamento nuovo più sicuro. L’intervento deve essere in grado di creare dissonanza nel sistema di convinzioni e valori che mantengono il comportamento a rischio (Festinger, 1957). Per intervento dissonante si intende quello in cui una persona è combattuta tra due stati cognitivi non coerenti tra loro come, ad esempio, il piacere di non indossare il casco lasciando così i capelli pettinati e non schiacciati e la paura di cadere riportando fratture craniche e infermità. Secondo questa teoria l’intervento efficace è quello che prima aumenta la dissonanza ma che subito dopo fornisce i mezzi per ridurla in quanto più la tensione risulta sgradevole più la persona è motivata a mettervi fine attraverso attività cognitive o comportamentali che portino ad un livello minore di dissonanza. Tali attività consistono nell’acquisizione di capacità personali che pongano in atto il cambiamento e siano in grado di resistere alle pressioni che vi si oppongono. Motivare Per rendere possibile un cambiamento comportamentale occorre sopratutto motivare al fine di indurre e mantenere comportamenti preventivi stabili. In questo caso è necessaria specifica competenza e preparazione da parte del counsellor in quanto l’intervento deve considerare le motivazioni individuali profonde che sostengono o impediscono il processo di cambiamento (Mucchielli, 1990). Supportare Supportare significa offrire fiducia potenziando le risorse interne dell’individuo, rinforzando e mantenendo i comportamenti sicuri. Un comportamento modificato e acquisito può essere conservato se da esso deriva una sensazione piacevole, come quella che deriva dal rinforzo positivo di persone significative (accettazione sociale) (Bellani, 1997). Secondo uno schema proposto da Clemente e Prochanska (1985) gli stadi di cambiamento che portano all’assunzione di comportamenti stabili dei propri stili di vita sono cinque: • Il primo stadio prevede una precontemplazione durante la quale il soggetto mette in atto un comportamento a rischio per la sua salute e non considera in alcun modo, la possibilità di cambiarlo (Esempio guida pericolosa o non uso del casco). • Il secondo prevede invece la contemplazione in cui viene considerata la possibilità di modificare il proprio comportamento di cui percepisce la pericolosità, ma non mette in pratica alcun tentativo di cambiamento. • Il terzo stadio prevede la sperimentazione e il cambiamento a breve termine in cui l’individuo inizia a delineare le strategie per modificare il proprio comportamento. Dalle intenzioni passa, quindi, al cambiamento che però non è ancora definitivo; affinché lo diventi bisogna che esso riceva stimoli dall’esterno che premino i successi ottenuti e lo facciano superare eventuali ostacoli. La persona durante questa fase è ancora in una situazione instabile e deve sperimentare le difficoltà legate al cambiamento. • La quarta fase prevede una ricaduta in quanto dalla fase sperimentale è sempre possibile prevedere delle ricadute verso comportamenti precedenti rischiosi. La possibilità di ricadute è maggiore tanto più è radicato nel soggetto lo stile di vita che comprende il comportamento a rischio. • Il cambiamento definitivo avviene invece in una quinta fase e permane quando si è consolidato nel tempo il nuovo stile di vita. Questo modello sottolinea l’importanza di un intervento educativo di prevenzione nel momento in cui si crede che la persona sia persuasa dalla necessità di modificare le proprie abitudini. Solo se adeguatamente aiutato a superare le difficoltà, gli insuccessi e le possibili ricadute, sarà possibile che il cambia- 215 mento risulti definitivo e possa essere mantenuto costante nel tempo. Conclusioni L’efficacia di un intervento preventivo si misura dall’ottenimento degli effetti che produce come la diminuzione dell’incidenza degli incidenti stradali, l’aumento delle conoscenze e il cambiamento dei comportamenti dei destinatari degli interventi. Affinché un intervento preventivo nel settore della sicurezza stradale sia efficace deve, comunque, avere alcune caratteristiche di base come: • essere tempestivo e costante, • accompagnare tutte le fasi di sviluppo dell’individuo, • essere specifico e indirizzato verso rischi effettivi. Dal momento che fare prevenzione degli incidenti stradali significa, soprattutto, agire sui comportamenti, vale a dire aiutare la persona a trovare le basi motivazionali per non sviluppare comportamenti a rischio o per modificare quelli che possono rappresentare un problema per la sua e altrui salute, occorre studiare i fattori di rischio presenti nella popolazione giovanile al fine di formulare possibili e valide strategie preventive. Tutti coloro che svolgono programmi educativi dovrebbero collaborare ad un programma globale di educazione stradale, in modo da introdurre un lavoro coordinato a livello locale e nazionale. Il personale sociosanitario, gli insegnati,gli studenti, i genitori, la polizia e gli 216 Prevenzione istruttori di scuola guida dovrebbero essere preparati attraverso programmi specifici su tutti gli aspetti legati al- la prevenzione dei comportamenti a rischio di incidente stradale. L’integrazione fra istituzioni Bibliografia Arcuri, Castelli, La trasmissione dei pensieri - Psicologia sociale delle comunicazioni di massa, Zanichelli 1996. Atti del Convegno, Gli incidenti stradali. Dall’epidemiologia alle strategie di intervento, Giunta, Trento, 1998. Bailey K., Metodi della ricerca sociale, Il mulino, 1985. Bisi S., Brunello G., Lecina C., Ragazzi senza tutela,MN edizioni, Barcelona, 1996. Brunello, Andavamo ai cento all’ora, Quaderni della sicurezza e della legalità, Fondazione Cesar 1998. Farr e Moscovisi, Le rappresentazioni sociali, Il Mulino, 1989 Fondazione Cesar, Progetto sicurcodice 1999, Ania, Unipol, Pilot ISTAT, Statistica degli incidenti stradali, 1997, Annuari. Hewstone M. et al., Introduzione alla psicologia sociale, Il Mulino, 1998 Jodelet D., Le rappresentazioni sociali, Il Mulino, 1995 Kotler P., Roberto E.L., Marketing sociale, strategie per modificare i comportamenti collettivi, Edizioni di Comunità, 1991 Ministero dei Lavori Pubblici - Direzione Generale della Viabilità e Mobilità Urbana ed Extraurbana - Guida di educazione stradale per gli insegnanti. N. 128 - 2001 scolastiche, Enti per la ricerca e Ministeri potrà essere efficace, se si istituirà un rapporto di collaborazione inter- disciplinare, di comune linguaggio, di discussione fra operatori diversi per preparazione e competenza. Monarca S. et al. La prevenzione delle farmacodipendenze, Parte I - Le conoscenze di base; Parte II - I programmi didattici, Regione Umbria, Assessorato ai Servizi Sociali e Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria - Università degli Studi di Perugia. 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Nel nostro paese, sono in aumento le bambine che tra i nove e i dodici anni tendono a fissarsi sull’aspetto fisico o si preoccupano della propria dieta. Questi dati 1 sono allarmanti perché si ha l’impressione che il mondo femminile non sia più in grado di valorizzare le esperienze legate al cibo: in passato, la soddisfazione dei bisogni alimentari era, per la madre, l’occasione per insegnare e dare “piacere” al figlio; oggi, qualcosa, nello sviluppo individuale o nel rapporto con i modelli proposti, sta espropriando la donna, l’adolescente e la bambina dal godimento e dai piaceri derivanti dall’alimentazione che al contrario diventano fonte di preoccupazione. Il fenomeno è per ora meno diffuso tra gli uomini probabilmente per il fatto che l’ideale di bellezza continua ad essere la robustezza e la forza. Per le donne invece l’ideale di bellezza non fa che alimentare questa confusione. Si consideri che negli ultimi 10 anni, gli interventi di chirurgia estetica si sono triplicati (Crotti, 1992); ciò testimonia sia la crescente importanza attribuita al proprio corpo in quanto involucro sia 1 la volontà di ottenere il cambiamento in modo rapido e senza apportare alcun cambiamento sostanziale al proprio stile di vita. Esteticamente la donna ideale degli anni 2000 è quella che fa le sfilate, sempre in forma, gentile, disponibile, attiva: nel suo recente passato invece le veniva “semplicemente” richiesto di essere madre, moglie e casalinga. Il nostro interesse è quello di dare una possibile spiegazione del modo in cui l’attenzione per il proprio corpo e il diverso modo di essere donna, stanno influenzando le nostre abitudini alimentari. Identità e pubblicità Bisogni primari come mangiare, bere, dormire, fare sesso, muoversi sono fisiologicamente possibili grazie all’attivazione di un innato repertorio comportamentale ma nel rapporto con il piacere che seda un bisogno, ciò che viene a mancare negli eccessi patologici è il riconoscimento che l’obbiettivo è già stato raggiunto. Un erotomane, infatti, non è più felice di uno che non lo fa mai così come un bulimico (cioè uno che mangia) non è più felice di un anoressico (cioè uno che non mangia). Riconoscere, riconoscersi ed essere riconosciuto è di vitale importanza: Dati pubblicati dall’Istituto Superiore della Nutrizione. La “collisione” tra il modello femminile imposto dalla pubblicità ed il bisogno di nutrirsi. Le patologie conseguenti l’acquisizione di identità nel giovane e parallelamente la capacità dell’adulto di ripensarsi, è possibile quando l’individuo è in grado di operare un’analisi e una sintesi tra la percezione che ha di sé (e che deriva da autonome capacità di giudizio) e la percezione realizzata attraverso l’ascolto di ciò che gli altri gli dicono di essere. Il corpo coccolato, curato, coltivato e ascoltato nei suoi ritmi biologici più profondi, sintonizza il soggetto nella relazione con il mondo. Il corpo è un biglietto da visita, il mezzo con cui entrare in relazione con gli altri. Ma oggi è necessario che sia “oggettivamente” bello, profumato, attraente, sessualmente “normale”. Il criterio di normalità sembra essere rappresentato dal mondo della moda: sono le modelle l’ideale estetico a cui riferirsi. Per questo motivo la donna del duemila “riconosce” che i “suoi” problemi sono rappresentati dalla cellulite, dall’avere la pelle troppo grassa o troppo secca, dal possedere un’abbronzatura omogenea, dall’avere una vita snella, fianchi arrotondati, seno sodo e “armoniosamente” abbondante e infine un corpo agile e scattante. Ma non tutte hanno il tempo (ma anche l’avessero, cosa cambierebbe realmente?) e le disponibilità economiche per potersi permettere la settimana di relax in un centro termale, la visita settimanale dall’estetista, la costanza di sottoporsi a tremendi esercizi ginnici in una delle tante palestre della salute, la capacità di resistere alle tentazioni della buona cucina. Esistono allora altri rimedi: le diete ferree a cui madri e figlie incuranti dell’età si sottopongono oppure l’utilizzo di prodotti in grado di attivare e depurare l’intestino, l’utilizzo di prodotti “naturali”. Sono in aumento infatti il numero di aziende agricole che producono alimenti senza apporti chimici e cresce ovviamente anche il numero dei consumatori incuranti del prezzo elevato (ma “la salute non ha prezzo”) delle merci così prodotte. Esistono poi i salutisti ad ogni costo: quelli cioè che 218 coltivano il limone, il basilico, il prezzemolo sul balcone della propria casa di città, convinti dell’assoluta genuinità del proprio prodotto (perché “sano é bello”). Essere “normali” ed in “salute” è molto costoso ma è anche l’unico modo per ottenere la felicità: è questo infatti il messaggio che viene veicolato dal mondo della pubblicità. Il pubblicitario coglie ciò che generalmente viene vissuto come problema (ad esempio indipendenza, voglia di libertà o di trasgressione, femminilità) offrendo come possibile e fruibile soluzione un mondo vacuo, assolutamente lontano dalla realtà del cittadino ma anche bello, estremamente bello e attraente. Ad esempio, la pubblicità di una nota marca di profumo risalente a qualche anno fa, ci mostrava un personaggio femminile che era in grado di coniugare una sintesi irreale tra le esigenze reali di ogni casalinga (l’approvvigionamento di viveri) e la presenza di voluttuose e solitarie sensazioni rappresentate dallo sguardo languido della modella perché “come vivere nella vita senza un po’ di arrogance?” La donna deve coniugare esigenze talmente diverse che l’unico modo per essere contemporaneamente femminile, mascolina, sicura, arrogante, dolce e aggressiva è vendere un’immagine di sé che più assomigli a ciò che si desidera essere, perché essere e apparire sono diventati possibili solo tramite il comune denominatore offerto dal proprio corpo. Prevenzione Il caso di Cinzia Cinzia ha 17 anni, è alta cm 163 non ha problemi ma, poiché vomita dalle cinque alle sedici volte al giorno, passa buona parte della sua vita tra il frigorifero e il bagno. Fa la cubista a Torino e grazie a questo tipo di lavoro ottiene sia gratificazioni economiche che narcisistiche. Pesa 43 Kg da circa quattro anni ed è bravissima a non cambiare peso. In questi ultimi due anni, però, la sua vita è diventata un problema: non riesce più a trattenere nemmeno gli antibiotici che le sono stati prescritti per curare l’elicobacter pilori, patologia identificata da un gastroenterologo che conosciute le abitudini alimentari della ragazza ha pensato di segnalare il caso ad una collega psicologa. Da un punto di vista psicologico, pazienti e familiari affermano che non ha mai avuto problemi: lei non li riconosce, la famiglia non li vuole vedere, gli amici vedono una persona allegra e felice: perché le sta accadendo tutto questo? Perché il medico la invia dallo psicologo? Tutto ciò cosa significa? Cosa vuol dire? Lei afferma che i suoi genitori sono così cari e comprensivi, che il fratello è così simpatico, che gli amici sono così disponibili; ma poi afferma che con i familiari non si parlano mai, non c’è un vero dialogo. Nessuno parla perché nessuno vuole vedere: la madre che lavora a ore, si occupa di un bambino con handicap; parla un po’ più spesso con Cinzia ma crede e preferisce raccon- N. 128 - 2001 tarsi che sua figlia non riesce ad alzarsi per andare a scuola per un problema fisico: il problema della sua bambina si chiama anemia. Nessuno crede che il vomito sia realmente un problema grave: questo accade non tanto perché non ne parlano, ma soprattutto perché riescono a ignorare che Cinzia si alza silenziosamente tutte le notti per cucinarsi quella pastasciutta che non mangerà mai. Serve solo per gratificarsi e riempirsi in modo da potersi spossare poi. Non percepiscono e quindi non riconoscono. E tutto rimane lì come sospeso nel tempo: una figlia perfetta che non può essere ammalata, una ragazza che non permette al proprio corpo di evolversi, degli amici che l’ammirano per quella sua capacità di essere sempre in linea, attraente, allegra disponibile eppure è sempre più violenta, più aggressiva, più antipatica con i fratellini, dice bugie e mente sistematicamente ai compagni di scuola. Due vite: una di giorno e una di notte, una in casa e una fuori e con un corpo che media realtà così differenti ma che deve essere perfetto. Conclusioni La presenza di modelli ambigui di identificazione comporta il non riuscire più a riconoscersi, a prendere decisioni autonome, a capire cosa si vuole fare e perché, a sentirsi sbagliati e fisicamente‚ diversi. Qualsiasi sia la strada intrapresa, é sempre più frequente il sentimento di insoddisfazione per una realtà che dovrebbe essere diversa. La donna in carriera sente il peso di un impegno su più fronti, prova tensioni, sensi di colpa, e insoddisfazioni perché ha paura di non riuscire ad assolvere in modo soddisfacente tutti i compiti. La casalinga, al contrario, vive la sua condizione come una non scelta, insoddisfatta da un ruolo sociale al quale ormai manca un pieno riconoscimento. Non potendo attivare una personale ricerca in cui prospettarsi diversa, la donna rimane vincolata o allo stereotipo della donna manager, di successo o a quello di madre e figlia per bene essendo irrealizzabile la sintesi che viene proposto dai massmedia. È necessario allora investire le proprie attenzioni su qualcosa di concreto e di manipolabile: anoressia, bulimia, sono manifestazioni patologiche (in senso psichiatrico) di uno squilibrato rapporto col proprio corpo e con il cibo, ma anche obesità e magrezza. È preferibile apparire piuttosto che essere, infatti sia l’anoressica che la bulimica vivono entrambe l’insoddisfazione per un corpo che non é quello che vorrebbero. Sono ossessionate dal proprio corpo perché si rifanno ad un ideale estetico che, fornito dall’esterno, è biologicamente irraggiungibile. È un delirio collettivo al quale partecipano anche i familiari che spesso non sono in grado di fare un progetto realistico per i figli. È un vivere senza passato e senza futuro, inglobati in un presente senza fine e alla ricerca di un corpo che mai si avrà. N. 128 - 2001 Bibliografia Prevenzione 219 riartria e Medicina Legale delle Alienazioni Mentali, 2, 1991, 283-301. Rapporto P.O.V.A.D., Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, Sezione Provinciale di Firenze, 1997. Dally R., Sargent W., Treatment and outcome of anorexia, BMJ, 2, 1966, 793-795. 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La malnutrizione si definisce come “uno stato di alterazione funzionale, strutturale e di sviluppo dell’organismo conseguente alla discrepanza tra fabbisogni, introiti ed utilizzazione dei nutrienti, tali da comportare un eccesso di morbilità e di mortalità o una alterazione della qualità della vita”. Lo stato di malnutrizione incide negativamente nel decorso della malattia e può aumentare i tempi di degenza e i costi, oppure vanificare i tratta- L 1 Spazio Toscana N. 128 - 2001 Nutrizione artificiale domiciliare Linee organizzative e percorso assistenziale menti sostenuti (terapie, interventi chirurgici, assistenza medica ed infermieristica) in caso sopravvengano complicanze cliniche. I principi scientifici e le linee guida per le indicazioni e le applicazioni della nutrizione artificiale sono quelli formulati dalla Società italiana di nutrizione parenterale ed enterale (SINPE). La nutrizione artificiale può essere: enterale, totale o di supporto, quando sia parzialmente o totalmente utilizzabile l’apparato digerente; parenterale, totale o di supporto, in pazienti che non possono, non devono o non vogliono utilizzare l’apparato digerente. 1. La nutrizione artificiale domiciliare (NAD) L’erogazione della nutrizione artificiale a livello territoriale: domicilio, RSA, Ospedale di Comunità, agevola il mantenimento del soggetto nel suo ambiente di vita, con conseguenti vantaggi umani e sociali, e consente la riduzione del ricorso al ricovero ospedaliero o della sua prosecuzione impropria. Nell’ottica di incentivare l’erogazione della prestazione a livello territoriale, è necessario che le strutture e le professionalità coinvolte abbiano un rapporto coordinato al fine di fornire una risposta efficace ai bisogni del paziente. Le prestazioni relative alla nutrizione artificiale sono individuate nel nomenclatore tariffario delle prestazioni specialistiche ambulatoriali (delibera di G.R. n. 229/97 e successive modifiche ed integrazioni). L’Azienda usl competente sul territorio garantisce la prestazione, con oneri a carico dell’Azienda usl di residenza, anche avvalendosi, qualora lo ritenga necessario, di figure professionali dell’Azienda ospedaliera o di altra Azienda usl. Le modalità organizzative, di erogazione della prestazione, individuate dalla Azienda usl, devono risultare, a regime, dai rispettivi atti di programmazione: PAL/PAO e nei programmi annuali di attività. 2. Attori • Azienda usl attraverso: distretto team nutrizionale • team nutrizionale pediatrico regionale 2.1. Azienda usl 2.1.1. Distretto attraverso: 1 Struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare U.O. Assistenza infermieristica territoriale Medici di Medicina generale/Pediatri di libera scelta 2.1.1.1. Responsabile Struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare • assicura la presa in carico del bisogno di nutrizione artificiale del paziente organizzando l’adeguato servizio assistenziale; • assicura il coordinamento delle figure professionali multidisciplinari che attuano il programma nel territorio; • garantisce, nel caso in cui l’accesso alla NAD sia successivo ad un ricovero, la continuità assistenziale tra Ospedale e territorio. Si intende la struttura organizzativa già individuata dall’Azienda usl per gli interventi di natura socio-sanitaria a livello territoriale. N. 128 - 2001 2.1.1.2. U.O. assistenza infermieristica territoriale La caposala del servizio infermieristico distrettuale: • verifica al domicilio del paziente l’adeguatezza dell’ambiente di lavoro e delle risorse strumentali impiegate; • attiva l’intervento degli infermieri della U.O. preparati dal team nutrizionale. Gli infermieri del servizio territoriale sono responsabili della gestione della nutrizione per quanto riguarda: • la modalità di somministrazione delle miscele; • la medicazione delle vie di accesso. Obiettivi generali e specifici, ambiti di competenza e linee guida, manuale delle procedure per i programmi di NAD degli infermieri professionali, sono quelli di cui alla delibera Regione Toscana n. 1534 del 30/12/1997. In casi particolari possono essere previste forme di pronta disponibilità per eventuali urgenze. 2.1.1.3. Medico di medicina generale/Pediatra di libera scelta • È responsabile del trattamento nutrizionale erogato a livello territoriale e si avvale della collaborazione delle professionalità coinvolte nella attività; • concorda con il medico esperto in NAD le indicazioni terapeutiche, il monitoraggio del trattamento e i controlli clinici necessari; • attiva il percorso assistenziale valutando la fattibilità del trattamento al domicilio o presso altre strutture (RSA, ospedale di comunità); • partecipa alla formulazione, Spazio Toscana attuazione e rivalutazione del piano assistenziale. 2.1.2. Team nutrizionale Costituisce il riferimento per ogni richiesta di prestazione di NAD, sia parenterale che enterale. Il team nutrizionale è costituito dalle seguenti figure professionali esperte in NAD: • medico; • farmacista; • infermiere; • dietista; altre professionalità possono essere cooptate nel gruppo per esigenze particolari. Il team nutrizionale è nominato dal Direttore generale dell’Azienda sanitaria a livello aziendale con atto formale nel quale dovranno essere indicati: nominativo, qualifica dei singoli componenti con l’indicazione della necessaria e specifica esperienza maturata e la sede fisica di riferimento per le attività del team nutrizionale. Il numero dei componenti sarà stabilito in relazione alla attività da svolgere. Qualora l’Azienda non disponga delle figure professionali richieste si potranno attivare convenzioni con altre Aziende sanitarie locali o Aziende ospedaliere. Il Direttore generale provvederà inoltre a individuare un referente che rappresenterà l’Azienda nell’ambito del gruppo regionale. Il team nutrizionale, coordinato dal medico esperto in NAD: • convoca periodiche riunioni con gli operatori coinvolti, allo scopo di rivedere e migliorare le prestazioni e di valutare l’attività svolta; • predispone l’idonea modulistica relativa al consenso informato del paziente e/o dei familiari alle procedure di NAD, all’addestramento ed agli impegni a cui il paziente è tenuto. Inoltre realizza opuscoli informativi e didattici da mettere a disposizione degli utenti e del personale sanitario; • cura il corretto inserimento delle prestazioni NAD nella Carta dei servizi aziendali; • archivia i dati relativi all’attività di NAD; • promuove e pubblicizza il percorso assistenziale; • decide le modalità di distribuzione delle miscele per la Nutrizione parenterale totale e dei prodotti per l’enterale, nonché le modalità di gestione dei presidi necessari per la loro erogazione; • fornisce le opportune indicazioni in sede di acquisizione dei prodotti necessari per la NAD al fine di garantire la continuità assistenziale (in particolare tra presidio ospedaliero / Azienda ospedaliera e territorio); • nel caso in cui l’attività sia rivolta a bambini in età pediatrica: - comunica al team nutrizionale pediatrico regionale i dati relativi alla attività; - attiva, nei casi opportuni, il team nutrizionale pediatrico regionale nelle modalità definite al punto 5.1.2. 2.1.2.1. Medico, infermiere, dietista esperti in NAD Partecipano secondo i propri ambiti di competenza all’espletamento dei seguenti compiti: • valutazione dello stato nutrizionale; 221 • prescrizione personalizzata del trattamento; • coordinamento con il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta nella definizione del monitoraggio e nei controlli clinici necessari; • consulenza su richiesta dei servizi territoriali o del medico di MG, anche a domicilio; • promozione della formazione e dell’aggiornamento degli operatori sanitari coinvolti a livello ospedaliero, del personale infermieristico del territorio, delle dietiste e dei medici di Medicina generale; • promozione e cura l’addestramento del paziente, del familiare o di altra persona idonea, che assume un ruolo vicariante in caso di paziente non autosufficiente, alla corretta gestione della NAD, anche avvalendosi di opuscoli e manuali illustrativi; • registrazione del consenso informato; • compilazione di una scheda sanitaria da allegare alla cartella domiciliare del paziente. 2.1.2.3. Farmacista esperto in NAD È responsabile della selezione, dell’approvvigionamento, della corretta conservazione, dei nutrienti, dei presidi e delle attrezzature necessarie per la preparazione e per la somministrazione delle miscele nutrizionali. Collabora con il medico alla definizione delle formule delle miscele nutrizionali personalizzate sulla base delle proprie conoscenze farmaceutiche e farmacologiche e allestisce le stesse secondo specifici protocolli operativi. Il farmacista territoriale è 222 responsabile della distribuzione dei prodotti, dei presidi e delle attrezzature necessarie alla esecuzione della prestazione. Qualora si renda necessario, per venire incontro alle esigenze dei pazienti, l’Azienda usl può organizzare la consegna dei prodotti, presidi e attrezzature direttamente a domicilio del paziente. In casi particolari l’Azienda usl può provvedere a quanto sopra mediante l’attivazione di una convenzione con ditte accreditate. 3. Gruppo regionale per il monitoraggio dell’attività di NAD Il gruppo regionale è costituito da un referente di ciascuna Azienda sanitaria ed ha la finalità di monitorizzare l’attività di nutrizione artificiale sul territorio regionale. Il gruppo si riunisce periodicamente (almeno tre volte l’anno) presso il Dipartimento del diritto alla salute e delle politiche di solidarietà. 3.1. Azioni • monitoraggio dell’attività di NAD sul territorio regionale; • omogeneizzazione della attività a livello regionale; • attività di indirizzo e di supporto alle Aziende sanitarie ed agli operatori in materia di organizzazione e gestione. 4. Il percorso assistenziale La nutrizione artificiale viene assicurata quando è necessaria: • per correggere uno stato di 2 Spazio Toscana malnutrizione o per prevenirne l’insorgenza; • nei pazienti impossibilitati a provvedere, anche transitoriamente, ad una alimentazione naturale; • nei malati in cui è utile a scopo terapeutico una prolungata sospensione dell’alimentazione per bocca; • nei neoplastici sottoposti a cicli di chemio e/o radioterapia. I principi scientifici e le linee guida per le indicazioni e le applicazioni della nutrizione artificiale sono di norma quelli formulati dalla società italiana di nutrizione parenterale ed enterale (SINPE). Il percorso assistenziale viene attivato con le modalità di seguito individuate: 4.1. Paziente ospedalizzato 2 lo specialista ospedaliero del reparto di ricovero contatta: a) il team nutrizionale per valutare l’effettiva necessità del trattamento (in caso di paziente degente in Azienda ospedaliera deve essere assicurato il coordinamento con il team nutrizionale dell’Azienda usl di residenza); b) il medico di Medicina generale dell’interessato / pediatra di libera scelta, per valutare la possibilità di cura al domicilio (RSA, Ospedale di Comunità). In caso affermativo quest’ultimo contatta, presso il distretto, il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare. Il team nutrizionale, il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta, il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza terri- toriale domiciliare concertano il piano assistenziale per il paziente. Il team nutrizionale • decide il tipo di trattamento e la composizione della miscela nutritiva personalizzata da allestirsi da parte della U.O. farmaceutica ospedaliera, la quale potrà utilizzare anche miscele preconfezionate; • promuove e cura il necessario training formativo, anche avvalendosi di appositi opuscoli, da consegnare al paziente, redatti con terminologia semplice e comprensibile, indicanti le nozioni fondamentali circa la prestazione, le sue modalità applicative, i riferimenti in caso di necessità, l’elenco del materiale da utilizzare, le operazioni da eseguire a domicilio; • assicura una consulenza specialistica anche telefonica per ogni eventuale urgenza o necessità. Il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta • valuta la possibilità di erogare la nutrizione a livello domiciliare (RSA, Ospedale di Comunità) anche in relazione alle condizioni socioeconomiche, psicoemotive e di autonomia del paziente; • conseguentemente definisce, con il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare, il livello di assistenza domiciliare adeguato e si assicura che il paziente e/o i familiari siano stati sufficientemente formati ed informati per una gestione autonoma della terapia al domicilio; dell’Azienda usl, dell’Azienda ospedaliera o di struttura privata accreditata. N. 128 - 2001 • si rapporta con il medico esperto in NAD ogni volta che la situazione clinica del paziente lo richieda e per ogni eventuale necessità. Nel caso di bambini si rapporta anche con il team nutrizionale pediatrico regionale. Il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare Attraverso le figure professionali idonee e avvalendosi del team nutrizionale garantisce la continuità assistenziale e terapeutica tra Ospedale e territorio; a questo fine organizza l’assistenza domiciliare prima che il paziente sia dimesso dall’Ospedale. Assicura al paziente tutto il materiale necessario alla esecuzione della prestazione. U.O. assistenza infermieristica territoriale La caposala del servizio infermieristico distrettuale verifica l’adeguatezza dell’ambiente di lavoro a domicilio e attiva l’intervento degli infermieri del servizio territoriale che sono responsabili della gestione della nutrizione per quanto riguarda la modalità di somministrazione delle miscele e la medicazione delle vie di accesso. 4.2. Paziente non ospedalizzato Il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta a) contatta il team nutrizionale per valutare l’effettiva necessità nutrizionale; b) valuta la possibilità di attivare la nutrizione artificiale a livello domiciliare ( RSA, Ospedale di Comunità) anche in relazione alle condizioni N. 128 - 2001 socioeconomiche, psicoemotive, di autonomia e alla realtà abitativa del paziente; c) eventualmente contatta, presso il distretto, il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare. Si rapporta con il team nutrizionale ogni volta che la situazione clinica del paziente lo richieda e per ogni eventuale necessità. Nel caso di bambini si rapporta anche con il team nutrizionale pediatrico regionale. Il team nutrizionale, il medico di medicina generale/pediatra di libera scelta, il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare concertano il piano assistenziale per il paziente. Il team nutrizionale • decide il tipo di trattamento e la composizione della miscela nutritiva personalizzata da parte della U.O. farmaceutica ospedaliera, la quale potrà utilizzare anche miscele preconfezionate; • promuove e cura il necessario training formativo, anche avvalendosi di appositi opuscoli, da consegnare al paziente, redatti con terminologia semplice e comprensibile, indicanti le nozioni fondamentali circa la prestazione, le sue modalità applicative, i riferimenti in caso di necessità, l’elenco del materiale da utilizzare, le operazioni da eseguire a domicilio; • assicura una consulenza specialistica anche telefonica per ogni eventuale urgenza o necessità. Il responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare Attraverso le figure profes- Spazio Toscana sionali idonee e avvalendosi del team nutrizionale organizza l’assistenza al domicilio dell’utente, assicurando tutto il materiale necessario all’esecuzione della prestazione. U.O. assistenza infermieristica territoriale La caposala del servizio infermieristico distrettuale verifica l’adeguatezza dell’ambiente di lavoro a domicilio e attiva l’intervento degli infermieri del servizio territoriale che sono responsabili della gestione della nutrizione per quanto riguarda la modalità di somministrazione delle miscele e la medicazione delle vie di accesso. 4.3. Compiti del paziente Al paziente viene assicurata l’assistenza opportuna e necessaria nelle modalità definite dal responsabile della struttura dedicata per l’assistenza territoriale domiciliare congiuntamente con il medico di Medicina generale/pediatra di libera scelta. Il farmacista territoriale è responsabile della distribuzione dei prodotti, dei presidi e delle attrezzature necessarie alla esecuzione della prestazione. Qualora si renda necessario, l’Azienda usl può organizzare la consegna dei prodotti, presidi e attrezzature direttamente a domicilio del paziente. In casi particolari l’Azienda usl può provvedere a quanto sopra mediante l’attivazione di una convenzione con ditte accreditate. Il paziente è tenuto, nel suo interesse, a condurre il trattamento secondo le metodiche apprese durante il corso, accettando le prescrizioni e le eventuali variazioni ritenute necessarie dai medici. 5. Il paziente in età pediatrica Per il paziente in età pediatrica, il percorso assistenziale si distingue da quello previsto per il paziente in età adulta esclusivamente per la possibilità di attivare, da parte del team nutrizionale aziendale, considerata la particolarità e la specificità che l’intervento può assumere, il team nutrizionale pediatrico regionale. 5.1. Team nutrizionale pediatrico regionale Il team nutrizionale pediatrico, attualmente istituito all’interno dell’Azienda ospedaliera Meyer, costituisce il Centro di riferimento regionale per la nutrizione artificiale pediatrica (delibera di giunta regionale n. 1036/1999), raccoglie i dati relativi alla attività svolta su tutto il territorio regionale a fini statistici ed epidemiologici. Azioni: qualora venga attivato: • assicura, l’assistenza nutrizionale domiciliare, nei pazienti in età pediatrica, sul territorio regionale; • si rapporta con il team nutrizionale aziendale e con il pediatra di libera scelta dell’assistito; • assicura l’addestramento dei familiari alla NAD; • individua le miscele per la nutrizione parenterale totale ed i prodotti per l’enterale; • organizza corsi di aggiornamento e perfezionamento per le varie professionalità coinvolte nella nutrizione artificiale pediatrica. 223 5.1.2. modalità di intervento del team nutrizionale pediatrico regionale • Il pediatra di libera scelta dell’assistito contatta il team nutrizionale aziendale; • il team nutrizionale aziendale può attivare, in relazione alle necessità cliniche del caso, il team nutrizionale pediatrico regionale al fine di: a) affidamento e presa in carico del bambino per tutta l’attività relativa alla NAD (attività medica, prescrizioni nutrizionali, l’eventuale erogazione dei prodotti nutrizionali e delle attrezzature di supporto) con esclusione della normale assistenza infermieristica domiciliare che rimane a carico del distretto di competenza; b) consulenza occasionale o continuativa, di cui si può avvalere anche il pediatra, inclusa l’eventuale erogazione dei prodotti e delle attrezzature necessarie. Nella fattispecie di cui al precedente punto a) il team nutrizionale pediatrico regionale provvede ad assicurare l’eventuale erogazione dei prodotti nutrizionali e la fornitura delle attrezzature idonee alla loro somministrazione, la consulenza dietetica, la consulenza infermieristica specifica, le medicazioni e la cura periodica del catetere o delle sonde nutrizionali, il monitoraggio dello stato nutrizionale e l’adattamento della terapia nutrizionale alle condizioni cliniche. L’attività del team nutrizionale pediatrico regionale viene svolta con intervento diretto o attraverso il team nutrizionale aziendale, in accordo con il pediatra di libera scelta. L’esigenza e la possibilità di valutare le prestazioni offerte dal servizio pubblico LA QUALITÀ PERCEPITA E L’INFORMAZIONE AI CITTADINI Le iniziative per aprire un dialogo tra gli operatori sanitari e gli utenti Esperienze e progetti utili per il superamento dei problemi segnalati dai cittadini e dalle associazioni che li rappresentano. Monografia a cura di Antonio Alfano e Carlo Hanau Parte degli articoli della monografia, sono stati tratti dagli atti del Congresso dell’ALASS, svoltosi a Lyon dal 12 al 14 settembre 2001. Il prossimo CALASS si terrà il 26-28 settembre 2002. N. 128 - 2001 Carlo Hanau Dipartimento di Scienze statistiche, Università di Bologna I sistemi privati liberisti puri assegnano al paziente il ruolo di consumatore, di attore della domanda che acquista beni e servizi sanitari sul mercato, pagandone il prezzo. Ammesso e non concesso che ci possa mai essere un libero mercato sanitario, la sua capacità di regolare razionalmente il sistema sanitario dipende dalla consapevolezza e ragionevolezza dei consumatori. Questi devono ottenere il massimo dell’informazione possibile per esprimere le loro scelte personali, al fine di massimizzare i risultati in termini di utilità per la salute ottenuta, a fronte delle spese sostenute. L’informazione è altresì necessaria per soddisfare l’esigenza giuridica fondamentale dell’espressione del consenso informato, prevista in ogni tipo di sistema sanitario, pubblico o privato, condizione necessaria perché possa avvenire il trattamento sanitario senza ledere il diritto personale ed indisponibile del proprio corpo. I sistemi che più si avvicinano al modello liberista, come quello degli USA e della Confederazione Elvetica, giustamente tendono ad accentuare il problema dell’informazione del paziente. 225 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Il ruolo dei pazienti nei vari sistemi sanitari Il ruolo di pagatore diretto assunto dal paziente (che paga di tasca propria facendo un sacrificio immediato e rinunciando a un ventaglio di scelte possibili alternative) ne valorizza l’importanza, anche se lascia irrisolto il problema dell’equità nella distribuzione delle cure, sia quelle preventive, per le quali molti individui dimostrano scarsa sensibilità e consapevolezza, sia quelle importanti e costose, in quanto la maggior parte dei pazienti non dispone della capacità di spesa necessaria ad acquistarle, proprio perché la malattia riduce in genere la ricchezza e la disponibilità di spesa degli individui. A questo problema i sistemi sanitari meno solidaristi cercano di dare una risposta di tipo assicurativo integrata da livelli minimi di assistenza offerti ai poveri (ad esempio le Contee americane si accollano queste spese). Ovviamente i poveri non possono scegliere le cure altro che fra quelle offerte dalla Contea ove risiedono, di basso costo e di qualità scadente: per loro l’informazione è negata, in quanto sarebbe soltanto motivo di frustrazione, e la loro partecipazione attiva alla decisione Il giudizio sui risultati delle cure base del miglioramento della salute pubblica e della sanità collettiva sui livelli minimi di assistenza è molto ridotta, sia perché spesso non si recano neppure a votare, sia perché in ogni caso rappresenterebbero tutti insieme una quota molto ridotta dell’insieme dei cittadini aventi diritto al voto. Ai poveri resta la scelta di cambiare la residenza e di scegliere quella Contea e quello Stato che concede maggiori benefici, aggravando la situazione finanziaria delle collettività democratiche più solidali. Negli USA il paziente può giocare un ruolo individuale attivo di controllo sulle cure ricevute anche attraverso il ricorso giudiziario per il risarcimento dei danni dovuti alla cattiva pratica degli operatori: non a caso il valore di queste azioni legali è talmente elevato che gli operatori debbono pagare premi assicurativi elevatissimi alle assicurazioni, che assorbono quasi un terzo dei loro onorari, spingendo la spesa sanitaria complessiva a valori ben più elevati rispetto agli altri Pae- si, che pure hanno sistemi sanitari paragonabili. Nei nostri Paesi, più vicini al modello solidale, il sistema privato puro si realizza in casi limitati, ad esempio per la medicina estetica, dove il paziente è il miglior metro di valutazione dei risultati, oppure negli altri casi lasciati scoperti dal terzo pagante, come ad esempio gran parte delle cure dentali, ove pure l’aspetto estetico è importante. I sistemi assicurativi, quasi sempre obbligatori nei nostri Paesi, introducono una componente di solidarietà nei confronti del paziente, sollevandolo dal ruolo di diretto pagante delle cure. Il ruolo del paziente singolo, molto rilevante nel caso del liberismo puro, viene ridotto dal ruolo assunto dalla collettività degli assicurati, alla quale spetta una serie di decisioni preliminari, sia sul finanziamento che sulle modalità di assistenza che l’assicurazione intende coprire. Si tratta, tuttavia, di una colletti- 226 vità di assicurati (per la maggior parte sani) e non di una collettività di pazienti, per cui gli interessi degli assicurati si differenziano da quelli del gruppo più ristretto dei pazienti. Gli assicurati possono assumere un ruolo importante, come nel caso della H.M.O. (Organizzazioni per il mantenimento della sanità istituite in USA trent’anni addietro), oppure subire passivamente le scelte che vengono prese dai dirigenti delle mutue, sia perché praticamente si lasciano condizionare dalle proposte già confezionate presentate in assemblea (spesso scarsamente partecipata), sia perché l’ordinamento giuridico può imporre che dirigenti mutualistici siano nominati dal potere politico, come ad esempio è avvenuto in Italia nel periodo che va dal ventennio fino alla riforma sanitaria del 23 dicembre 1978. I sistemi sanitari di tipo solidale (NHS in Gran Bretagna, SSN in Italia) spostano a livello civico-politico, a livello della collettività dei cittadini (per la maggior parte sani) le decisioni prima di competenza della collettività degli assicurati. I cittadini delegano ai loro rappresentanti politici (a vari livelli territoriali, nazionali, regionali e locali, fino al Comune e al distretto) la decisione sulle principali variabili del sistema: quantità e modalità del finanziamento pubblico e modalità di erogazione dell’assistenza, sulla base del grado di solidarietà che la società concorda di garantire alle persone malate e bisognose di servizi sanitari. Il Governo nazionale La qualità percepita e l’informazione ai cittadini determina ed attua i livelli essenziali, quelli che costituiscono diritto di cittadinanza comune a tutti; su queste basi il decentramento politico-amministrativo ed il federalismo fiscale possono migliorare ed aumentare gli interventi sanitari essenziali, garantendo le relative entrate fiscali. Il federalismo e la competenza politica sanitaria delegata all’ente locale minore, che può essere il Comune, un consorzio di Comuni oppure un’autorità specifica sulla sanità, come l’Azienda sanitaria locale o il distretto sanitario o sociosanitario, avvicinano al cittadino la problematica, e gli consentono, almeno teoricamente, di verificare come i soldi pubblici vengono spesi nel settore sanitario, per soddisfare le vere esigenze dei pazienti, che normalmente eccedono la disponibilità delle cure offerte, in quanto la medicina moderna offre cure sempre più efficaci e costose. In tutti i casi in cui esiste un terzo pagante vi può essere un conflitto di interesse fra chi rappresenta il pagante ed i pazienti. Il ruolo dei pazienti, sia singoli che associati, tende ad aumentare quantità e qualità delle cure prestate, e quindi le relative spese, mentre il rappresentante del terzo pagante tende a fare rispettare i tetti del bilancio preventivo, per garantire il pareggio del bilancio. La formule del NHS o SSN, dove le spese sanitarie non sono a carico di un ente assicurativo mutualistico, ma dello Stato o delle sue ripartizioni politico-amministrative territoriali, non riduce la preoccupa- zione di superare i tetti del bilancio, in quanto la crisi fiscale dello Stato e degli enti pubblici accompagna la nostra storia da circa trenta anni. Questa preoccupazione si traduce in un contenimento o in una riduzione delle spese sanitarie pubbliche. In questo contesto i pazienti applicano diverse strategie per ottenere il soddisfacimento dei loro bisogni: dal ricorso del singolo alla magistratura contro il rifiuto o il rinvio delle cure, per ottenere prestazioni ritenute essenziali, alla costituzione di associazioni di malati e di familiari di malati in tutti quei casi in cui la lunghezza della malattia (sempre più spesso cronica) consente di organizzare un’associazione più o meno strutturata, che conduce azione di lobby in favore delle richieste specifiche delle cure il cui diritto sia contestato. Da molti anni operano altre associazioni di volontari od organizzazioni senza fini di lucro che si sono dedicate alla difesa dei diritti dei pazienti in genere, coprendo anche le necessità dei pazienti acuti, che per la brevità della loro malattia non possono formare un’associazione di autodifesa. Si tratta di un’estensione a questo settore delle analoghe associazioni ed organizzazioni nate per la difesa dei diritti dei consumatori: nella sanità la posizione dei consumatori è particolarmente asimmetrica, e cioè debole, rispetto a quella degli operatori sanitari, che risultano ancor più forti se inseriti nella Pubblica Amministrazione. N. 128 - 2001 Il primo compito di queste associazioni consiste nell’aumentare il potere contrattuale del paziente, attraverso l’informazione. I due diritti che devono essere rinforzati sono il diritto di voce e il diritto di exit. La legislazione nazionale a cui fare riferimento è l’art. 14 del decreto delegato n. 502/1992 con le successive modifiche, fra le quali, di grande importanza, quelle stabilite dal decreto delegato n. 229/1999, che concedono alle associazioni il diritto di intervenire anche nel momento essenziale dell’accreditamento delle strutture e della programmazione dei servizi, oltre che nelle aree dell’umanizzazione, della personalizzazione e del comfort. L’istituzione formale di Comitati o Commissioni (presso le AS ed i distretti), che per loro natura non possono essere altro che consultivi e misti (partecipati cioè da rappresentanti delle associazioni interessate e da funzionari dell’Azienda) consente di dare voce agli utenti, anche assumendo e valorizzando tutte le segnalazioni di disservizi che vengono trasmesse. A livello individuale l’informazione può portare alla consapevolezza che l’ignoranza dei pazienti trova spesso un parallelo nell’incertezza del medico: di conseguenza si può ridurre l’effetto placebo della cura, ma si pongono le basi per instaurare un rapporto corretto e maturo fra paziente e medicina, in particolare quella basata sull’evidenza. Il consenso informato resta un’esigenza prioritaria indiscutibile, anche se in particolari situazioni altri eserci- N. 128 - 2001 ta il diritto di scelta: in particolare nessuno può essere obbligato ad essere personalmente informato. Il punto di vista del paziente sui risultati ottenibili ed ottenuti resta comunque il metro di valutazione del prodotto finale delle cure. Anche quando gli esperti hanno valutato il livello di efficacia di una cura mediante i migliori metodi epidemiologici di vali- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini dazione, in termini di anni di vita guadagnati al netto degli effetti negativi collaterali, anche quando gli esperti hanno ponderato gli anni di vita secondo la qualità di vita percepita (come media) da una collettività o da un giurì appositamente costituito, non si deve dimenticare che la valutazione finale delle utilità ricavate dagli anni di vita in più e dai miglioramenti attesi deve essere compiuta dal singolo paziente direttamente interessato, che possiede un proprio personale modo di valutare il rischio e il beneficio, talvolta molto lontano dalla percezione media della collettività di cui è parte. Informazione e partecipazione, collettiva, associata ed individuale, del cittadino e dell’utente costituiscono le basi per un miglioramento 227 della salute prima ancora che della sanità: dalla prevenzione primaria a quella terziaria, dalla cura degli episodi acuti a quella delle malattie croniche, i comportamenti individuali e collettivi assumono un’importanza crescente per vincere la sfida del terzo millennio, che consiste nell’aumentare la qualità degli anni di vita che sempre più copiosi ci vengono concessi. 228 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Roberta Bottai* Vera Micheletti* Antonio Alfano* Carlo Cellerini* * Area Politiche per la qualità dei servizi sanitari, Dipartimento Diritto alla salute e politiche di solidarietà, Regione Toscana T ra gli obiettivi strategici collegati al rinnovamento degli scenari del sistema sanitario figura la necessità di sviluppare una cultura di programmazione e di organizzazione flessibile ed aperta, nell’ottica di un costante miglioramento della qualità. In questo contesto è sempre più sentita la necessità di promuovere e realizzare iniziative comunicative nell’ambito dei servizi socio-sanitari. Tali interventi devono puntare particolarmente a: • favorire l’integrazione operativa tra le strutture che prevedono interventi da parte di operatori con attività e professionalità spesso differenti fra loro; • rivolgere particolare attenzione ai bisogni ed alla soddisfazione del cittadino; • tendere alla valorizzazione e motivazione del personale dipendente e convenzionato nei diversi servizi; • favorire strategie di informazione rivolte, sia al singolo cittadino che alla comunità, con particolare attenzione ai mass media. Una efficace attività di comunicazione in ambito istituzionale, oltre che all’utilizzo di N. 128 - 2001 Indagini di soddisfazione rivolte agli utenti precise ed articolate strategie, deve tendere a sviluppare anche metodologie di ascolto in grado di recepire i bisogni e le attese del cittadino in un’ottica di qualità. Scenario di riferimento In questo contesto, dal punto di vista programmatico, la Regione Toscana rivolge particolare attenzione agli aspetti della comunicazione e dell’attenzione ai bisogni del cittadino. Il Piano sanitario regionale 1999/2001 identifica, nell’ambito delle politiche di sistema per la qualità, la comunicazione quale strumento teso a “qualificare il rapporto fra cittadino e servizio sanitario e favorire l’autonomia decisionale degli utenti. L’attività di comunicazione dovrà configurarsi in particolare come strumento per il coinvolgimento del personale operante all’interno del servizio sanitario regionale, per acquisire una maggiore consapevolezza ed adesione all’obiettivo di qualificazione del servizio”. Tra le strategie di comunicazione assumono grande significato le modalità di ascolto, tra cui l’analisi dei reclami e Strumenti di rilevazione, metodologie e risultati di una sperimentazione svolta dalla Regione Toscana le indagini di soddisfazione. Quest’ultime in particolare sono un importante strumento per verificare i risultati conseguiti in relazione alle attese, per capire le potenzialità di avvicinamento tra domanda e offerta. I cittadini, in quanto destinatari dei servizi sanitari, possono esprimere la loro percezione di qualità, possono contribuire a far emergere i punti critici e di eccellenza del sistema, i problemi specifici del territorio. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) “un programma qualità di un sistema sanitario ha lo scopo di garantire che ciascun paziente riceva gli interventi diagnostici, terapeutici ed educativi più indicati ed al costo minore possibile per lo stesso risultato, … con soddisfazione rispetto agli interventi ricevuti, ai contatti umani con il personale, agli esiti”. Anche secondo il “Royal Col- lege of Physicians” di Londra “la soddisfazione del paziente rappresenta un risultato dell’assistenza sanitaria e come tale deve essere opportunamente valutata attraverso criteri obiettivi di misurazione”. Questi concetti vengono recepiti anche dalla direttiva del Consiglio d’Europa del 1997 in particolare nel paragrafo “Qualità nell’assistenza sanitaria: il punto di vista dei pazienti” viene evidenziato come questo sia una guida estremamente valida per valutare se sia stato fornito o meno il servizio sanitario adeguato. Nella stessa direttiva viene anche ricordato che le indagini di soddisfazione dei pazienti sono misurazioni importanti per stabilire che cosa i pazienti pensano del servizio. Per fornire un quadro informativo completo sui risultati delle strategie e delle azioni intraprese, la Regione Toscana punta ad affiancare ai dati N. 128 - 2001 gestionali-economici, che derivano da fonti informative interne al sistema, le risultanze dei questionari di soddisfazione effettuate sui cittadini/utenti, con una metodologia corretta e attenta ad eventuali distorsioni. Si vuole integrare l’approccio generalmente “quantitativo” al fenomeno con una lettura di tipo “qualitativo”, in grado di offrire una comprensione più approfondita dei dati, al fine di ottenere una valutazione multidimensionale della qualità dei servizi sociosanitari. La legge regionale della Toscana 22/2000, riguardante il riordino delle norme per l’organizzazione del servizio sanitario regionale, all’art. 19, ribadisce come il compito della Regione sia quello di definire i criteri e le modalità di partecipazione dei cittadini alle iniziative di verifica della funzionalità e della qualità dei servizi delle Aziende sanitarie. L’obiettivo è sempre quello di costruire un nuovo e più saldo rapporto di fiducia tra cittadini e SSR. Nel sistema sanitario toscano le indagini di soddisfazione hanno una loro ricaduta organizzativa anche in rapporto al processo di accreditamento. A tale proposito è previsto, in merito ai requisiti organizzativi, che nell’azienda sanitaria vengano effettuate periodicamente indagini di soddisfazione dell’utente, nell’ottica di garantire momenti di confronto diretto con i cittadini/utenti. È stato ritenuto opportuno rafforzare il processo culturale e formativo che si sta svi- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini luppando nelle Aziende sanitarie sui temi della comunicazione e della partecipazione dei cittadini “Benchmarking” interaziendale sulla qualità percepita Nella strategia complessiva del percorso qualità la Toscana ha considerato l’opportunità di individuare strumenti di rilevazione e metodologie, il più possibile standardizzati e replicabili nelle diverse realtà aziendali, nell’ottica del benchmarking, che consentano di ottenere una misura valida, attendibile e confrontabile della soddisfazione degli utenti. Si vuol puntare sul benchmarking che, al di là delle difficoltà terminologiche, corrisponde ad una delle azioni più comuni, non solo nell’ambito manageriale ma anche nella vita di tutti i giorni, quale “il confronto con le esperienze altrui per cercare di migliorare le proprie attività”, nel caso specifico teso al miglioramento degli aspetti della qualità percepita. Per queste ragioni sono state avviate dei percorsi sperimentali a carattere regionale, su indagini di soddisfazione rivolte sia agli utenti di presidio di ricovero che a utenti di ambulatori di recupero e riabilitazione funzionale. Obiettivo delle sperimentazioni è quello di verificare la validità del questionario di rilevazione e delle modalità operative, al fine di costruire specifiche linee guida per le indagini di soddisfazione legate alle tipologie di strutture individuate. La metodologia di lavoro utilizzata per la progettazione e la pianificazione delle sperimentazioni ha previsto la costituzione di gruppi di lavoro specifici per ciascuna indagine, a cui hanno partecipato esperti regionali dell’Area “Politiche per la qualità dei servizi sanitari del Dipartimento del Diritto alla salute e delle Politiche di Solidarietà” e dell’Ufficio Programmazione Controlli - Area extra-dipartimentale Statistica assieme a rappresentanti delle Aziende sanitarie. In particolare alla sperimentazione dell’indagine rivolta agli utenti di presidio di ricovero, approvata con Delibera di Giunta regionale n. 1402/2000, hanno partecipato l’Azienda USL 2 di Lucca, l’Azienda USL 8 di Arezzo, l’Azienda Ospedaliera Pisana, l’Azienda Ospedaliera Senese, l’Azienda Ospedaliera Meyer di Firenze. Alla sperimentazione dell’indagine di soddisfazione rivolta agli utenti dei servizi ambulatoriali di recupero e riabilitazione funzionale, approvata con Delibera di Giunta regionale n. 789/2001, hanno partecipato l’Azienda USL di 4 di Prato, l’Azienda USL 5 di Pisa, l’Azienda USL 6 di Livorno e l’Azienda USL 9 di Grosseto, Sperimentazione regionale su indagine di soddisfazione rivolta agli utenti di presidio di ricovero La tipologia di struttura presa in esame in questa sperimentazione è il presidio di ricovero che costituisce uno dei momenti fondamentali del percorso assistenziale. 229 Questionario Lo strumento di rilevazione concordato dal gruppo di lavoro e oggetto di sperimentazione è suddiviso in varie sezioni: le prime quattro mirano a valutare il grado di soddisfazione dell’utente rispetto ad alcuni aspetti del ricovero (accoglienza, assistenza e rapporti con il personale medico e infermieristico del reparto, comfort e dimissioni), due sezioni successive forniscono alcune informazioni generali di tipo anagrafico e sulle modalità del ricovero. Nel caso di questionario rivolto ad un paziente in età pediatrica (016 anni), lo stesso viene compilato da un genitore o altro parente del bambino/a ricoverato. Un’ultima sezione infine, predisposta solo per la fase di sperimentazione, mira a cogliere eventuali punti critici del questionario e della modalità di somministrazione. Metodologia La metodologia di indagine deriva dalla scelta di utilizzare un questionario autocompilato la cui consegna, compilazione e raccolta avviene nella struttura ospedaliera. Tale scelta ha dovuto tener conto dei numerosi vincoli operativi e di spesa delle Aziende. Poiché con la sperimentazione si intendono testare la modalità e lo strumento di rilevazione proposti, a prescindere dai risultati ottenuti, per abbreviare i tempi, questa viene realizzata solo in alcune unità operative e per un periodo di due settimane consecutive. 230 Poiché in fase di sperimentazione l’indagine viene effettuata solo in alcune unità operative, ma il suo funzionamento in termini di modalità e strumento di rilevazione e/o le eventuali osservazioni che da essa deriveranno saranno poi estese a tutte le unità operative, è fondamentale che le unità operative incluse nella sperimentazione siano scelte con metodo casuale. La scelta ragionata delle unità operative potrebbe garantire dei risultati apparentemente migliori. In questo modo potrebbero essere selezionate quelle unità operative nelle quali, ad esempio, il personale interno è più disponibile o più motivato. Dalle unità operative da selezionare, vengono escluse, per le particolare patologie, i nidi, le terapie intensive, le psichiatrie. Distribuzione del questionario Il personale individuato dall’Azienda consegna al degente, al momento in cui allo stesso vengono comunicate le dimissioni, la lettera di presentazione dell’iniziativa, il questionario ed una busta, garantendo una corretta e comune presentazione del questionario tale da incentivare gli utenti a compilarlo. Il personale incaricato si rende inoltre disponibile a fornire informazioni affinché il paziente comprenda l’importanza dell’iniziativa e sia così maggiormente motivato a esprimere, attraverso il questionario, il suo giudizio. Si prevede nella fase di consegna del questionario anche un possibile coinvolgimento La qualità percepita e l’informazione ai cittadini N. 128 - 2001 delle associazioni di volontariato e tutela, La lettera di presentazione dell’iniziativa, redatta dall’Azienda sanitaria, esplicita gli obiettivi dell’indagine, le modalità di compilazione e di raccolta del questionario e fornisce garanzie di anonimato. trattamenti (disponibilità degli operatori, rispetto della riservatezza, comfort dell’ambiente, ecc.) La terza sezione raccoglie alcune informazioni generali (anagrafiche, sull’insorgenza dell’evento che ha determinato l’intervento riabilitativo, ecc.). Una quarta sezione infine, predisposta solo per la fase di sperimentazione, mira a cogliere eventuali punti critici del questionario e della modalità di somministrazione. Compilazione e riconsegna del questionario Il questionario viene compilato dai pazienti prima di essere dimessi, prevedendo in questa fase anche l’eventuale collaborazione di familiari. Al momento delle dimissioni i pazienti inseriscono il questionario compilato in una apposita urna. Si è ritenuto opportuno misurare il grado di soddisfazione degli utenti ospedalieri alla conclusione del ricovero ospedaliero, anziché nel corso dello stesso, poiché questo consente di avere un giudizio su tutte le fasi del ricovero e riduce l’effetto del condizionamento ambientale. Caduta di risposta Per calcolare la caduta di risposta ed essere eventualmente in grado di adottare soluzioni idonee a ridurla, occorre conoscere, per ogni unità operativa, il numero di rispondenti (equivalente al numero di questionari compilati), il numero di soggetti dimessi dalle U.O. coinvolte nella sperimentazione nel periodo di indagine e per ciascuno dei due gruppi di soggetti le seguenti informazioni: distribuzione per classi d’età, per sesso, per giorni di degenza, per tipologia di ricovero (programmato o d’urgenza), per residenza. Documentazione dei processi Per certificare la qualità dell’indagine si è ritenuto necessario richiedere a tutte le Aziende coinvolte nella sperimentazione un piano di indagine con la descrizione nel dettaglio dei compiti, delle responsabilità e dei tempi di tutte le fasi . Si richiedono inoltre: - le eventuali difficoltà incontrate durante la distribuzione dei questionari; - i motivi di eventuali rifiuti a collaborare espressi da soggetti a cui viene consegnato il questionario. Sperimentazione regionale di indagine di soddisfazione rivolta agli utenti di presidio ambulatoriale di recupero e riabilitazione funzionale Un ulteriore fase di sperimentazione è riservata alla rilevazione della qualità percepita da parte degli utenti delle strutture ambulatoriali di recupero e riabilitazione funzionale. Questi presidi rientrano tra l’altro nel programma regionale di accreditamento. L’indagine è rivolta agli utenti che hanno terminato un ciclo di trattamento ex art. 26 L. 833/78. Questionario Il questionario è suddiviso in quattro sezioni: le prime due mirano a valutare il grado di soddisfazione dell’utente rispetto: - alle informazioni e all’accoglienza ricevuta al momento dell’accesso al servizio riabilitativo, - alla fase più specifica dei Metodologia La metodologia di indagine è stata decisa a conclusione dell’attività di un gruppo di lavoro tecnico misto RegioneAziende e deriva dalla scelta di contattare gli utenti alla fine del loro ciclo di trattamento e dalla scelta, tenuto conto che si tratta di utenti con criticità estremamente diversificate dal punto di vista psicomotorio, di offrirgli anche la possibilità di compilare il questionario a casa. Tale scelta, dal punto di vista metodologico, allo stato attuale è sembrata quella più attuabile. Con la sperimentazione si intendono testare unicamente la modalità e lo strumento di rilevazione proposti. Non essendo importante a tal fine la rappresentatività dei risultati ottenuti questa viene realizzata solo per tre mesi consecutivi. Per ciascuna Azienda i dati vengano raccolti a livello di singola sede di erogazione (struttura riabilitativa erogatrice). Distribuzione Il questionario deve essere consegnato agli utenti possi- N. 128 - 2001 bilmente da personale non coinvolto direttamente nell’attività riabilitativa in occasione del penultimo trattamento. Tale personale dovrà essere inoltre disponibile a fornire informazioni affinché il paziente comprenda l’importanza dell’iniziativa e sia così maggiormente motivato a esprimere, attraverso il questionario, il suo giudizio. Compilazione e riconsegna del questionario Il paziente potrà compilare il questionario presso la propria abitazione e inserirlo in occasione dell’ultima prestazione in un apposita urna predisposta nel centro di riabilitazione. In occasione dell’ultimo trattamento il personale adibito alla distribuzione dei questionari dovrà chiedere al paziente se ha compilato e consegnato il questionario. Qualora non l’abbia fatto ed esprima la volontà di farlo gli sarà fornita nuovamente copia del questionario unitamente a una busta preaffrancata e indirizzata a una struttura centralizzata di raccolta diversa dai centri in cui sono distribuiti i questionari. Con la collaborazione del personale adibito alla distribuzione dei questionari dovrà essere garantita la distribuzione del questionario a tutti coloro che finiscono il ciclo di trattamenti e una corretta e comune presentazione del 231 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini questionario stesso tale da incentivare gli utenti a compilarlo. Tale personale dovrà essere inoltre disponibile a fornire informazioni affinché il paziente comprenda l’importanza dell’iniziativa e sia così maggiormente motivato a esprimere, attraverso il questionario, il suo giudizio. A tal fine si ritiene utile apporre, all’interno delle unità funzionali di riabilitazione, cartelli ben visibili che pubblicizzino l’iniziativa. Al questionario viene allegata una busta in cui inserirlo e una lettera che motiva il soggetto alla risposta o lo rassicura sulla riservatezza. Caduta di risposta Al fine di “tenere sotto controllo” la caduta di risposta ed essere eventualmente in grado di adottare soluzioni volte a ridurla, occorre conoscere, per ogni unità operativa, il numero di rispondenti (equivalente al numero di questionari compilati), il numero di soggetti che nel periodo di indagine hanno concluso il ciclo di trattamento e per ciascuno dei due gruppi di soggetti le seguenti informazioni: distribuzione per classi d’età, per sesso e per durata del trattamento. Documentazione processi A livello aziendale viene redatto un piano di indagine che descrive nel dettaglio compiti, responsabilità e tempi di tutte le fasi della sperimentazione e che evidenzia le difficoltà incontrate nello svolgimento della sperimentazione. Conclusioni Il primo obiettivo della sperimentazione è la validazione di strumenti di rilevazione della qualità percepita, con la condivisione delle Aziende sanitarie della Toscana, per arrivare alla identificazione di indicatori sulla qualità percepita legati a strumenti comuni, da affiancare agli indicatori di attività e gestionali già in uso. Le diverse esperienze legate alle sperimentazioni porteranno alla produzione di linee guida con indirizzi orga- nizzativi e operativi utili per garantire una efficace attività in questo campo. Le indagini di soddisfazione oltre che una forma di partecipazione dei cittadini nei processi di valutazione dei servizi sanitari rappresentano anche un valido strumento ai diversi livelli dell’organizzazione sanitaria. Permette al governo regionale di verificare gli esiti delle proprie strategie e indirizzi, al management aziendale di misurare i risultati in merito alle azioni di miglioramento delle prestazioni e dei servizi offerti. Consente inoltre ai singoli operatori di verificare i risultati del proprio lavoro, tenendo presente anche il punto di vista dei cittadini. Bibliografia Alfano A. “La comunicazione della salute nei servizi sanitari e sociali” Pensiero scientifico editore. Roma 2001. Consiglio Regionale della Toscana. Piano Sanitario Regionale 1999/2001 (DCR 41/99). Consiglio Regionale della Toscana. Legge Regionale 22/2000 “Riordino delle norme per l’organizzazione del Servizio Sanitario Regionale”. Fitzpatrick R. Scope and measurement of patient satisfaction. In Fitzpatrick R. Hopkins A. Measurement of patients’ satisfaction with their care. London Royal College of Physicians. 1993. ISTAT. Manuale di tecniche di indagine. volume II. 1989 n. 1. La qualità a misura d’Europa. Edizioni Il Sole 24 ore. Milano 1999. Loiudice M. Il paziente utente-cliente in sanità e la sua soddisfazione. L’Arco di Giano 1995; 7: 157-170. Vuori HV. Quality Assurance of Health Services. Public Health in Europe. WHO: Copenhagen 1982. 232 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Mauro Serapioni* * Coordinatore del Corso di Specializzazione in Gestione di sistemi sanitari locali - Scuola di salute pubblica del CEARÁ Fortaleza - Brasile L e esperienze realizzate negli ultimi anni, nell’ambito di progetti di miglioramento della qualità nelle Aziende sanitarie, hanno evidenziato l’esistenza di diversi modi di intendere la partecipazione degli utenti nei servizi sanitari. Essi possono essere coinvolti attraverso la somministrazione di un questionario per conoscere il loro indice di gradimento nei confronti dei servizi offerti; ma, in questo caso si tratta di un esercizio molto povero, se l’obiettivo è quello di sviluppare uno spazio di “cittadinanza attiva” (Crouch, 1999). Un passo avanti verso un miglioramento del dialogo sistema sanitario-cittadini è rappresentato dalla Carta dei servizi, che stabilisce le prestazioni minime garantite a tutti gli utenti. Tuttavia, come insegna l’esperienza inglese e, più recentemente, anche quella italiana, l’introduzione della Patient’s charter ha visto il ridimensionamento del ruolo dei Comitati degli utenti – sempre meno consultati durante l’elaborazione delle Carte – e la crescente diffusione di metodi “individualistici” di rilevazione della soddisfazione dei pazienti. In altre realtà, al sistema della Carta dei servizi è stata in- N. 128 - 2001 La partecipazione nei servizi sanitari tegrata una struttura di rappresentanza dei cittadini – come nel caso dei Comitati consultivi misti operanti nella Regione Emilia-Romagna – con l’obiettivo non solo di valutare ex-post la qualità delle prestazioni erogate dall’azienda, ma anche di partecipare all’analisi dei disservizi e alla definizione di proposte di miglioramento. I Comitati consultivi misti (CCM), difatti, rappresentano l’istanza organizzativo-istituzionale prevista dalla Regione per dar voce alle associazioni e ai gruppi organizzati della società civile, al fine di garantire la rispondenza dei servizi sanitari alle esigenze dei cittadini. I CCM hanno lo scopo di verificare la qualità delle prestazioni nell’ottica dell’utente. Sono composti dai rappresentanti delle organizzazioni di volontariato e di tutela dei diritti dei pazienti e dei pensionati, iscritte al Registro regionale del volontariato, oltre ad una componente minoritaria designata dall’Azienda, che comprende la dirigenza dell’Ufficio delle relazioni pubbliche, altri dirigenti dei servizi sanitari e amministrativi e i medici di base. Per questo motivo sono stati definiti misti: la collaborazione fra i rappresentanti delle varie associazioni, L’esperienza dei Comitati consultivi misti. Risultati di una ricerca che insieme lavorano sui temi della salute, e i rappresentanti dell’Azienda costituisce un’importante premessa del CCM. L’altra caratteristica dei Comitati – come ha sottolineato in diverse occasioni Hanau, uno tra i più attivi animatori dei CCM di Bologna [Hanau, 1996, 1998 e 1999] – è quella di essere consultivi. I Comitati esprimono i propri pareri, effettuano visite e controlli nelle strutture sanitarie e suggeriscono proposte all’Azienda, che comunque mantiene ogni responsabilità e autonomia decisionale. A partire da queste considerazioni circa i diversi livelli di coinvolgimento dei cittadini nel processo di pianificazione e valutazione dei servizi sanitari, questo saggio si propone di analizzare l’esperienza dei Comitati consultivi misti. Ma prima di entrare nel merito di tale esperienza, ci sembra opportuno effettuare una breve revisione critica delle esperienze di partecipazione sanitaria realizzate a livello internazionale, per focalizzare l’esiguità di risultati acquisiti sul campo a fronte della considerevole attenzione ad essa riservata dai discorsi politicosanitari. Retorica e realtà della partecipazione Dopo alcune esperienze pionieristiche realizzate in America Latina negli anni ’60 – che tentarono di coinvolgere le comunità locali nei programmi sanitari finanziati dall’Agenzia statunitense, l’Alleanza per il progresso [Ugalde, 1985] – l’idea della partecipazione si è diffusa progressivamente in tutti i paesi del Terzo Mondo a partire dall’inizio degli anni ‘70. In questo periodo era convinzione diffusa che il coinvolgimento delle Comunità locali rappresentasse la chiave di volta per aumentare la disponibilità di servizi a basso costo e per risolvere i problemi sanitari urgenti dei settori più svantaggiati della popolazione [Roux, 1993]. Successivamente, alla Conferenza di Alma Ata del 1978, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e l’UNICEF, riconobbero ufficialmente la partecipazione comunitaria come una delle direttrici essenziali per garantire la Salute per tutti N. 128 - 2001 entro l’anno 2000 [Oms, 1978]. Nel frattempo diversi processi e movimenti sociali, sorti nelle società occidentali alla fine degli anni ‘60, arrivavano a maturazione, provocando significativi effetti sulla salute e sull’organizzazione sanitaria. Comincia a diffondersi la consapevolezza circa i limiti del paradigma biomedico di fronte alla “complessità delle attività di mantenimento della salute, di prevenzione e di cura della malattia” [Bosio, 1996:12]. Nel corso degli anni ‘80 si diffonde il movimento per la qualità totale preoccupato di dar voce al cliente. Con Donabedian [1989], l’approccio alla qualità entra nei servizi sanitari e si cominciano a realizzare ricerche sulla soddisfazione dei clienti (customer satisfaction). Nello stesso periodo, e durante gli anni ‘90, assume sempre più importanza la promozione della salute, come strategia per lo sviluppo di una nuova politica di sanità pubblica, in grado di produrre mutamenti negli stili di vita e nella prevenzione dei rischi ambientali [Brown, 1991]. Questi cambiamenti socioculturali hanno riportato in primo piano l’importanza del coinvolgimento dei cittadini e la preoccupazione crescente per il riequilibrio della relazione tra offerta e domanda nei servizi sanitari. Nonostante le buone intenzioni e alcuni lodevoli sforzi intrapresi, la partecipazione ancora stenta ad entrare nella prassi operativa dei servizi sanitari. Già nella decade degli anni ‘80, Ugalde [1985], La qualità percepita e l’informazione ai cittadini dopo un’ampia analisi delle esperienze realizzate in America Latina, aveva avvertito degli esigui risultati raggiunti dai programmi di partecipazione sanitaria, nonostante gli sforzi delle agenzie internazionali. La stessa Organizzazione panamericana della sanità, nel 1990 ammetteva l’esistenza di un’incoerenza tra le “politiche governative che generalmente sostengono la partecipazione comunitaria [...] e i livelli operativi che hanno mostrato resistenze alla creazione di meccanismi efficaci di partecipazione” [Oms Regione panamericana, 1990:46]. Secondo Zakus e Lisack [1998:1], gli sforzi finora realizzati non hanno avuto successo perché le strategie applicate a partire dalla Dichiarazione di Alma Ata si basavano su “approcci molto semplici”. Su questa stessa linea, Rifkin [1996:79-80] attribuisce tali insuccessi “all’approccio verticale” sinora adottato, che ha considerato la partecipazione comunitaria come una ricetta, capace di “risolvere i problemi radicati sia nel sistema sanitario e sia nel potere politico”. Anche il recente dibattito lanciato dal British Medical Jounal [Coultar, 1999] sul tema Patients as Partner, ha più volte richiamato i rischi di idealizzare eccessivamente la partnership dei pazienti e di assumerla come una “formula magica”. Negli ultimi anni, molti studiosi hanno riconosciuto l’esistenza di una contraddizione tra i discorsi (e a volte la retorica) ricorrenti dentro il sistema sanitario e la pratica dell’organizzazione dei servi- zi ancora prevalentemente autoreferenziale [Menendéz, 1998]. Nella stessa direzione vanno le critiche di diversi studiosi britannici verso i nuovi metodi di coinvolgimento dei cittadini sviluppati nel loro paese nel corso degli anni 90 (Pollock, 1992; Pollit, 1993, Wall, 1996; Summers e McKeown, 1996; Beardwood et al., 1999). Per questi autori, le nuove esperienze sono state adottate semplicemente per legittimare le riforme economiche e ‘manageriali’ introdotte nel sistema sanitario. Diversi studi hanno dimostrato che l’influenza delle popolazioni locali sulle decisioni dei manager e sulla definizione delle priorità è stata decisamente inferiore a quanto preconizzato dalla retorica politica [Milewa et al., 1998]. Le forme di interazione tra servizi e utenti – molte delle quali prese a prestito dalle tecniche di ricerche di mercato – riducono la partecipazione pubblica a una consultazione individuale, e non possono assolutamente sostituire un “processo democratico, altrimenti la partecipazione diventa un concetto privo di senso” [Pollock, 1992:536]. Che cosa intendiamo per partecipazione? La difficoltà di costruire spazi sociali per promuovere il coinvolgimento dei cittadini in ambito sanitario è stata generalmente analizzata chiamando in causa molteplici fattori relazionati sia al contesto sociopolitico (livello di democratizzazione, dinamicità della società civile, ecc.), sia alle caratteristiche dei sistemi sani- 233 tari (più o meno decentrati e/o aperti alle istanze dell’ambiente sociale) e sia a variabili strutturali (livello di reddito e d’istruzione) che riducono le potenzialità di cittadini e utenti ad assumere impegni e responsabilità. Tuttavia un altro fattore, non sufficientemente esplorato, ma che a nostro avviso potrebbe essere responsabile almeno di una parte dei tanti insuccessi registrati è la mancanza di una definizione chiara e condivisa del concetto di partecipazione. Difatti, a volte la partecipazione è stata intesa come “lavoro o servizio volontario” [Oms Regione panamericana 1990: 9] e, altre volte, semplicemente come “l’utilizzo dei servizi sanitari da parte della comunità” [Roux, 1993:52]. Raramente, la partecipazione è stata definita e resa operativa come partecipazione alle decisioni sulle politiche, priorità e servizi sanitari. Dello stesso tenore sono le argomentazioni dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità [Oms, 1997], quando, analizzando i differenti modelli di partecipazione sviluppati nei programmi sanitari, constata l’esistenza di differenti gradi di potere a disposizione degli utenti. Da un livello minimo di coinvolgimento della comunità che la Oms definisce – adottando la classificazione di Arnstein [1969] – “manipolazione e terapia” si passa, nel continuum della scala, attraverso “l’informazione, la consultazione e la conciliazione”, fino ad arrivare alla “partnership, dove le decisioni sono prese dai cittadini 234 piuttosto che dai governi o dai dirigenti dei servizi” [Oms Regione Europea, 1997:59]. Fino alla metà degli anni ‘90, tuttavia, non c’era stato un comune termine di riferimento sul significato di partecipazione. Oggi, sembra che non ci siano più dubbi: tutti concordano, a partire dalla stessa Oms, che l’elemento essenziale che caratterizza un processo partecipato è la possibilità degli utenti di prendere decisioni circa aspetti importanti della propria salute e dell’organizzazione dei servizi. Naturalmente si tratta di un “processo graduale” [Brown, 1991:447], e come tale richiede dei costi in termini di energie e, soprattutto, di tempo. L’eccessiva preoccupazione dei rappresentanti degli utenti per ottenere risultati immediati, come esito dell’azione partecipata è un dato abbastanza ricorrente. Al riguardo, Botes e Van Rensburg [2000:50] parlano di una tensione tra gli imperativi del risultato e il valore del dibattito e degli accordi. Un eccessivo orientamento verso i risultati può portare a non valorizzare l’importante fase di consolidamento dello spazio istituzionale di partecipazione. D’altra parte un’esagerata enfasi data al processo, può portare i rappresentanti dei cittadini a pensare che la loro funzione sia irrilevante e che stanno solo perdendo tempo. Pertanto, per garantire un’effettiva partecipazione nell’ambito dei servizi sanitari è necessario mettere in atto due strategie essenziali. Innanzitutto bisogna predisporre un forum o uno spazio sociale adeguato – con forme La qualità percepita e l’informazione ai cittadini N. 128 - 2001 organizzative e metodologie di lavoro appropriate – che crei le condizioni – come scrive la Oms [Oms Regione Europea, 1997:60] – “per ascoltare la voce dei cittadini”. In secondo luogo, bisogna garantire che la voce e le preferenze espresse dai rappresentanti dei cittadini possano effettivamente influenzare il processo decisionale delle autorità sanitarie. Il primo passo rappresenta, a nostro avviso, un pre-requisito fondamentale della partecipazione. Ma è il secondo momento che definisce la qualità del coinvolgimento dei rappresentanti della società civile e che permette di approssimarsi alla partnership o, come si preferisce chiamarla oggi, all’empowerment dei cittadini, ovvero ad un gradino alto della scala elaborata da Arnstein [1969]. esperienze di partecipazione sviluppate a livello internazionale negli ultimi anni, risiede nel fatto di essere misto, rappresentando quindi un forum di discussione e di analisi in cui sono coinvolti i principali attori che agiscono nel sistema sanitario. Da questo punto di vista, i CCM si differenziano in modo significativo dai Community Health Councils (CHCs) – lo strumento di partecipazione istituito nel 1974 in Gran Bretagna – che sono composti da soli rappresentanti degli utenti. I membri del CHCs, difatti, si riuniscono tra di loro, discutono ed, eventualmente, inviano opinioni, proposte o critiche alle autorità sanitarie, che possono essere prese in considerazione o, come spesso hanno lamentato i CHCs [Hogg 1996], rimanere inascoltate. I CHCs, avendo una funzione di controllo, possono liberamente ispezionare tutti i presidi sanitari, ma hanno poche occasioni per confrontarsi con le autorità sanitarie, a meno che non siano in gioco chiusure o fusioni di ospedali e di altri presidi. In altri termini, trattasi di uno strumento essenzialmente rivendicativo, con scarse possibilità di interazione e dialogo, se non a distanza, con gli operatori e i dirigenti dei servizi sanitari. Il modello organizzativo dei CCM, al contrario, privilegia un processo dialettico e l’apertura di canali di comunicazione tra rappresentanti degli utenti e operatori sanitari al fine di contribuire alla elaborazione di decisioni e obiettivi collettivi e favorire, quindi, la costruzione di un Obiettivi e metodologia della ricerca Una delle questioni che ha motivato la nostra ricerca è stata quella di verificare se i Comitati consultivi misti (CCM) rappresentano realmente uno spazio di partecipazione democratica, dove i rappresentanti degli utenti possono riportare le esperienze sanitarie dei cittadini, elaborare proposte e negoziare con i rappresentanti dell’Azienda le varie opzioni per migliorare i servizi. Si voleva, in altri termini, valutare la loro potenzialità di sviluppare una prospettiva relazionale significativa tra sistema sanitario e associazioni di mondo vitale (Ardigò, 1997). La ricerca ha interessato tutti i CCM operanti nella Città di Bologna. Lo studio è stato condotto anche in altre tre città della Regione EmiliaRomagna: Ferrara, Imola e Modena. Sono stati intervistati 12 coordinatori dei CCM, 11 rappresentanti delle Aziende che partecipano ai lavori dei CCM, 6 dirigenti aziendali, 2 dirigenti regionali e 6 rappresentanti delle organizzazioni di volontariato e di tutela dei diritti dei pazienti. È stata anche condotta un’osservazione diretta – consistente nella partecipazione alle riunioni mensili programmate dei Comitati – che si è svolta nel periodo aprile-luglio 2000 in due comitati di Distretto, in un Comitato d’azienda ospedaliera e nel Comitato dell’AUSL di Bologna. Sono state realizzate 37 interviste della durata media variabile tra i 25 minuti e i 50 minuti. Le interviste sono state deregistrate integralmente e, successivamente, si è compiuta un’analisi del contenuto che ha permesso di organizzare il materiale ricavato nelle seguenti 4 aree tematiche, relazionate ad aspetti e contenuti rilevanti dell’oggetto studiato: a) modello organizzativo dei CCM; b) livello di partecipazione dei rappresentanti delle associazioni; c) influenza delle proposte dei CCM sui processi gestionali delle Aziende; d) rappresentatività dei CCM. Risultati della ricerca Il modello organizzativo dei CCM La caratteristica innovativa del CCM, rispetto alle diverse N. 128 - 2001 progetto di cittadinanza politica attiva attraverso la ricerca discorsiva del consenso [Habermas 1992]. Dall’analisi dell’esperienza dei primi cinque anni di vita dei CCM, è emersa una valutazione complessivamente soddisfacente della configurazione organizzativa dei Comitati. Quasi tutti gli informanti hanno sottolineato la valenza positiva di questo organo collegiale. La collaborazione tra i membri delle diverse componenti del Comitato rappresenta, a detta di molti intervistati, il punto di forza di quest’esperienza e la premessa per svolgere un lavoro costruttivo a favore della cittadinanza. L’aspetto misto, enfatizza un dirigente aziendale, significa “strutturare per principio l’approccio collaborativo, dal momento che non sono possibili altre alternative”. Questo non significa che tra operatori dell’Azienda e volontariato non ci siano anche difficoltà, incomprensioni, differenze di linguaggio e, talvolta, anche conflitti. Ma la continuità e l’istituzionalizzazione della relazione favorisce – secondo l’opinione di alcuni dipendenti aziendali – la comprensione reciproca, la crescita di tutti gli attori coinvolti nel processo e la creazione di rapporti di fiducia che, in ultima analisi, facilitano la rilevazione, l’analisi e la risoluzione dei problemi. D’altra parte, come osserva un rappresentante degli utenti, l’obiettivo del Comitato è quello di verificare la qualità dei servizi dal lato degli utenti, quindi “anche i rappresentanti aziendali devono porsi La qualità percepita e l’informazione ai cittadini dal punto di vista dei cittadini”. Questo impegno comune rafforza il confronto e il dialogo tra le diverse componenti dei Comitati. Altro aspetto considerato molto positivo è l’integrazione tra diverse culture, esperienze lavorative e profili professionali, tutti potenziali portatori di punti di vista e contributi validi per la risoluzione dei problemi sanitari. C’è il tecnico che analizza il percorso e le difficoltà inerenti alle varie proposte attuabili e c’è il volontario, con la sua visione meno tecnica ma che comunque riesce ad identificare problemi che – come riconosce una funzionaria aziendale – “non sempre il servizio è in grado di rilevare”. Tale integrazione è però possibile, da una parte, se l’Azienda rinuncia, come riferisce un dirigente, “al suo tradizionale atteggiamento autoreferenziale” e, dall’altra, se i rappresentanti degli utenti evitano – come segnala un loro portavoce – quel comportamento tipico “di chi presuppone che le proprie istanze debbano essere accolte sempre e comunque”. Generalmente i Comitati si riuniscono una volta al mese; l’ordine del giorno viene fissato dal coordinatore al termine dell’incontro precedente, dove si decidono le tematiche che i rappresentanti delle associazioni sentono di dover approfondire e si identificano gli esperti che dovranno intervenire come relatori. Il dibattito, soprattutto quando c’è una buona partecipazione dei rappresentanti delle associazioni, è ben articolato e permette di analizzare attentamente i pro- blemi posti all’ordine del giorno e di prospettare le possibili soluzioni. Talvolta la discussione può dar luogo a conflitti e alla polarizzazione di posizioni, non solo tra dipendenti dell’Azienda e volontari, ma anche tra i diversi rappresentanti delle associazioni. Questo è anche il risultato, come ricorda Hanau [1996], del fatto che i CCM, per la prima volta, hanno offerto un comune tavolo di lavoro a tutte le associazioni del territorio. Pertanto, se il management aziendale vuole realmente incorporare la voce dei rappresentanti degli utenti, deve anche saper “gestire” e “proteggere” – come affermano Summers e McKeown [1996:146] – tali differenze di opinioni. Partecipazione delle associazioni nei Comitati consultivi misti Il livello di partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni di volontariato e di tutela dei diritti dei pazienti è emerso come un aspetto problematico dei CCM. La maggioranza dei nostri interlocutori, sia i portavoce degli utenti e sia la componente aziendale, ha evidenziato una tendenziale diminuzione della partecipazione, dopo la prima fase che aveva visto un’ampia adesione delle associazioni locali. La flessione delle presenze dei rappresentanti del volontariato era già stata avvertita da Hanau e Gattei [1998] che avevano sottolineato come tale fenomeno non mette in discussione la rappresentatività legale dei Comitati, dal momento che sono organi consultivi. “Il numero dei vo- 235 tanti – continuano gli Autori [1998:186] – non ha grande rilevanza: quel che conta è l’autorevolezza del parere espresso”. Diversi sono i motivi addotti per spiegare il calo di partecipazione. 1. Innanzitutto il “tempo” e “l’impegno” che richiedono le attività da svolgere nell’ambito dei CCM. Se i CCM vogliono limitarsi a soddisfare gli obblighi formali previsti dalla normativa regionale è importante, secondo alcuni informanti, dedicare almeno “3-4 giorni al mese” per le riunioni, per le visite ai reparti, per operare nei gruppi di lavoro e per effettuare indagini. Stiamo naturalmente parlando di volontari, che già dedicano una parte significativa del loro tempo alla propria associazione. Secondo i dati della ricerca sul Volontariato in Emilia-Romagna [Bassi e Stanzani, 1997], le organizzazioni impegnate nella sanità impiegano i loro volontari per un periodo medio di circa 5 ore settimanali. Si tratta di un impegno costante e significativo che deve convivere con gli impegni di natura familiare e lavorativa dei volontari; vari interlocutori, soprattutto della componente associazioni, convergono nell’identificare, come possibile fattore di demotivazione dei rappresentanti delle associazioni, la scarsa influenza esercitata dai Comitati sulle scelte delle direzioni distrettuali, ospedaliere e aziendali: “Molti si sono sentiti demotivati perché le proposte venivano sempre rinviate e disattese”. 236 “A volte si ha l’impressione che il lavoro fatto non trova riscontro, non trova un’immediata risoluzione da parte degli organi istituzionali”. Ma c’è anche chi ribalta tale relazione di causa-effetto, sostenendo che un Comitato forte e maggiormente rappresentativo della comunità locale, e che riesce ad utilizzare al meglio tale strumento di partecipazione, avrebbe senz’altro più influenza sulle autorità sanitarie. Dai resoconti sopra riportati si può altresì osservare l’emergere di alcuni tratti presenti nella cultura del volontariato, che esprimono una visione basata nella rapida soluzione dei problemi e nell’azione volta ad ottenere risultati immediati. È l’emergere – come sottolineato dal Ministero della Sanità [2000] – di un divario tra le aspettative e le tensioni valoriali e la concretezza dell’esperienza quotidiana. I comitati, invece, essendo un luogo di dibattito, negoziazione, verifica e approfondimento dei problemi segnalati dagli utenti, hanno necessariamente tempi lunghi. Inoltre, devono interagire con l’organizzazione sanitaria la cui macchina non è ancora sufficientemente snella e dotata di risorse adeguate per risolvere i molteplici nodi problematici del sistema. 2. È inoltre da registrare l’opinione di alcuni informanti che attribuiscono una certa responsabilità alle autorità sanitarie per non aver sufficientemente informato l’opinione pubblica circa l’importanza dei Comitati e della loro funzione sociale e di non La qualità percepita e l’informazione ai cittadini aver pertanto creato le condizioni per un loro effettivo funzionamento. Si fa presente, in particolare, che i Comitati dovrebbero avere un’immagine diversa, un maggior riconoscimento sociale ed un peso adeguato al ruolo che svolge in ambito cittadino e territoriale: “Vorrei che il Comitato fosse un punto di riferimento, non solo per le associazioni, ma specialmente per la Conferenza dei sindaci, che è responsabile della sanità locale”. 3. Altro aspetto emerso dalla ricerca che, secondo un numero significativo di informanti, può essere relazionato alla crisi di partecipazione dei Comitati è la non adeguata preparazione di base dei volontari chiamati a svolgere un ruolo complesso e abbastanza impegnativo. Gli intervistati al riguardo hanno elencato una serie di competenze e abilità che un membro del Comitato dovrebbe possedere per riuscire a valutare la qualità dei servizi ed essere realmente in grado di tutelare il cittadino. Tra le varie ipotesi prospettate per incrementare il coinvolgimento dei rappresentanti della società civile, è stata spesso menzionata, soprattutto dalla componente aziendale, la proposta di ridefinizione degli ambiti territoriali dei Distretti delle Aziende USL, che porterebbe ad una loro riduzione e, automaticamente, ad un accorpamento dei CCM. Tra i vantaggi addotti a supporto di tale opzione, si menzionano le “migliori economie di scala” e “l’ottimizzazione dei fattori produttivi” [Comune di Bologna, 2000:7-9]. Quindi, ancora una volta, è il criterio dell’efficienza che viene posto alla base del processo di riorganizzazione del sistema sanitario. Tale riassetto territoriale previsto per Bologna, ma anche per le altre provincie della Regione, potrà certamente ottimizzare l’efficienza gestionale – come hanno pure segnalato diversi dirigenti intervistati – ma c’è da domandarsi se tale configurazione sia anche la soluzione ideale per favorire e organizzare la partecipazione degli utenti e dei loro portavoce. Trattasi di un processo di controtendenza rispetto all’ampio dibattito sui distretti sociosanitari di base seguito alla Dichiarazione di Alma Ata [Oms 1978] e alla Riforma sanitaria italiana del ‘78 che aveva configurato un popolazione distrettuale ideale di 40-50.000 abitanti, proprio per bilanciare il criterio dell’efficienza con quello della partecipazione delle comunità locali. La voce dei Comitati influisce sui processi decisionali delle Aziende sanitarie? Verificare il livello di influenza esercitato dai CCM sulle scelte delle direzioni aziendali, distrettuali o ospedaliere era uno degli obiettivi centrali della nostra ricerca. La partecipazione implica necessariamente la capacità di influire, direttamente o indirettamente, nell’insieme di un processo pubblico decisorio [Ardigò, 1979:18]. Diverse ricerche hanno mostrato che la voce degli utenti ha effetti molto limitati sulle risoluzioni adottate dalle autorità sanitarie, che generalmente sono determinate da altri fatto- N. 128 - 2001 ri [Summers e McKeown, 1996; Milewa et al., 1998; Rhodes and Nocon, 1998]. Ad un primo approccio, un numero significativo di portavoce degli utenti ha manifestato una tendenza a problematizzare la relazione con la controparte, mettendo in rilievo la limitata incisività dei loro interventi. Poi scandagliando ulteriormente e chiedendo di illustrare esempi specifici di ciò che hanno effettivamente ottenuto, è emersa una situazione meno negativa. La maggioranza di essi ha elencato una serie di proposte accolte e fatte proprie dalle direzioni aziendali. Tra gli obiettivi raggiunti sono stati riportati i seguenti: miglioramenti relativi al comfort, alla umanizzazione e all’informazione; la riorganizzazione della logistica e della segnaletica; la riduzione dei tempi per il rilascio delle cartelle cliniche; il controllo dell’igiene nei presidi ospedalieri; le modifiche degli orari del CUP; l’assegnazione di nuovi operatori, ecc. Tuttavia, l’acquisizione di tali risultati ha richiesto un notevole investimento di energie da parte dei rappresentanti del volontariato. Un dato comune emerso da tutte le interviste è quello relativo ai tempi – “esageratamente lunghi” – che l’Azienda impiega per mettere in atto le raccomandazioni presentate. Su questo punto convergono anche alcune opinioni di operatori e dirigenti, che hanno riconosciuto l’esistenza di “tempi elefantiaci” e “di una certa pigrizia” da parte delle Aziende. Naturalmente, come osservano alcuni rappresen- N. 128 - 2001 tanti delle associazioni, ciò crea “scetticismo e sfiducia” e, forse, a nostro avviso, potrebbe aiutare a decifrare quell’atteggiamento un po’ pessimista circa l’impatto della propria azione, sopra menzionato. I nostri informanti si sono poi soffermati a lungo sui punti critici del sistema sanitario – “ampiamente dibattuti” e “continuamente riproposti” all’ordine del giorno dei CCM – che non hanno ancora avuto un esito conforme alle aspettative dei membri delle associazioni. Si tratta del problema degli appalti di alcuni servizi, della riorganizzazione delle strutture residenziali psichiatriche, del ticket al Pronto Soccorso, delle modalità organizzative del progetto assistenza domiciliare integrata, della riduzione delle liste di attesa per determinati interventi chirurgici, della richiesta di badanti dentro l’ospedale, ecc. Come spiegare la difficoltà dei CCM ad incidere su tali questioni? 1. A livello distrettuale, secondo l’opinione di alcuni intervistati, molte volte si discutono temi e ordinamenti che travalicano la competenza del Distretto e che non possono essere modificati da un singolo comitato. L’assistenza domiciliare agli anziani, per esempio, o le direttrici che regolano le convenzioni degli appalti, sono questioni strettamente relazionate alle politiche strategiche aziendali che lasciano poca autonomia al management di Distretto. In altre parole, non sempre gli obiettivi perseguiti dai CCM sono rea- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini lizzabili nell’ambito del Distretto. Ciò significa che i CCM distrettuali non hanno la capacità di lavorare sulle problematiche sanitarie locali? Oppure, è in discussione il livello di autonomia decisionale e finanziaria assegnato ai singoli Distretti sociosanitari? 2. Non vanno poi sottovalutate le restrizioni finanziarie che limitano o rallentano l’attuazione di alcune proposte di riforma strutturale avanzate dai CCM. Le soluzioni prospettate per la riorganizzazione delle residenze sanitarie, per il miglioramento del piano di assistenza domiciliare integrata dell’Azienda e per rendere più confortevoli le strutture sanitarie, si scontrano inevitabilmente con vincoli finanziari e procedimenti burocratici e amministrativi. 3. Al di là dei vincoli di budget e al di là della questione relativa al livello di autonomia del distretto sociosanitario, è opportuno chiedersi se le autorità sanitarie aziendali sono realmente sensibili e aperte ai CCM. Questa è la preoccupazione più volte affiorata durante la ricerca. L’ente pubblico è sempre stato tendenzialmente autoreferenziale nel rapporto pubblico-privato [Mayntz, 1982] e questo atteggiamento è anche riscontrabile – secondo i nostri informanti – nel tipo di relazioni che le autorità sanitarie intrattengono con i CCM. Una relazione, per certi versi, ancora permeata da alcune caratteristiche tipiche dell’organizzazione burocratica tradizionale. Dai resoconti dei nostri interlocutori, sia dirigenti che rappresentanti degli utenti, si può pertanto dedurre che, nonostante le riforme manageriali avviate dal 502/’92, il modello organizzativo aziendale non è ancora adatto a confrontarsi con un ambiente complesso e in movimento e non è sufficientemente orientato al soddisfacimento dei bisogni dei clienti [Mayntz, 1982]. È emblematica, al riguardo, l’enorme difficoltà incontrata dai CCM per introdurre alcune correzioni – come il caso delle pulizie nei reparti e la riduzione del prezzo dell’acqua minerale – che certamente non mettevano in discussione l’organizzazione complessiva delle strutture sanitarie. Sempre sul tema dell’autoreferenzialità del sistema sanitario, abbiamo analizzato l’immagine sui CCM e sulla loro azione elaborata dagli operatori dei servizi, immagine che può incidere notevolmente sul rapporto e dare origine anche a situazioni conflittuali. Sinora non sono stati registrati episodi di aperta conflittualità, pur esistendo, secondo l’opinione dei nostri informanti, rischi potenziali per l’insorgenza di tali controversie. In alcune Unità, per esempio il CCM è stato percepito come “l’occhio dell’ispettore“ oppure come “la controparte del professionista”. Tutti comunque concordano nel sostenere che ogni provvedimento dell’Azienda che nasca da sollecitazioni dei CCM e che va ad incidere sull’organizzazione del servizio e sui modi consolidati di lavorare, può creare malumori, resistenze e conflitti, soprattutto laddove 237 l’Azienda non ha realizzato una capillare attività di informazione sul ruolo e l’importanza del CCM. Rappresentatività dei Comitati consultivi misti Un aspetto critico emerso dall’analisi di altre esperienze di partecipazione in sanità a livello internazionale, è quello riguardante la rappresentatività degli organi collegiali preposti alla tutela dei diritti dei cittadini e degli utenti nell’ambito dei servizi sanitari [Beardshaw, 1991; Zakus e Ljsack, 1998; Crouch, 1999]. I Community Health Councils britannici, per esempio, sono stati spesso oggetto di critiche per il fatto di non riuscire a rappresentare alcuni gruppi sociali e determinati bisogni sociosanitari della popolazione [Beardshaw, 1991]. Ugualmente sono oggi criticate le nuove strategie di consultazione adottate delle autorità sanitarie inglesi, perché non basate su meccanismi elettorali formali di rappresentanza, bensì su metodi provenienti dalla logica contrattuale del mercato che si prefiggono di coinvolgere i cittadini come semplici consumatori sanitari, rinforzando un’idea di partecipazione puramente passiva [Milewa et al 1998:508]. Nel contesto italiano, Altieri [1997:14] ha espresso la stessa preoccupazione circa la rappresentatività degli organismi di tutela degli utenti previsti dal D.lgs. n. 502/92, che, secondo l’Autore, ha dato luogo ad un mutamento sostanziale nella concezione di partecipazione, non più intesa come “de- 238 mocrazia partecipata tramite canali istituzionali”, ma come “una sorta di co-determinazione tramite rappresentanze non elette o non delegate” [ibidem]. Ci è sembrato pertanto importante includere questo tema tra gli obiettivi del nostro studio per verificare se i CCM riescono a rappresentare i bisogni e le istanze di tutti i cittadini, o se sono semplicemente portavoce delle associazioni che costituiscono i Comitati stessi. Si è registrato un ampio consenso fra tutti gli intervistati sul fatto che i CCM affrontano questioni che interessano gli utenti in generale, anche se a partire dalle specificità delle diverse associazioni che hanno la capacità di segnalare l’esistenza del problema o del disservizio. Secondo alcuni intervistati, esiste anche un rischio di autoreferenzialità delle singole associazioni, soprattutto di quelle portatrici di patologie gravi, anche se l’esperienza degli ultimi anni ha mostrato che i CCM sono riusciti a costruire uno spazio autonomo e al di sopra delle singole associazioni, e ad operare come un forum rappresentativo dei diritti di tutti i cittadini. Senza dubbio, la presenza nei CCM di associazioni cosiddette “generaliste”, ossia quelle che si occupano di tutte le problematiche sanitarie segnalate dai pazienti (Tribunale della salute, Associazione europea dei diritti del malato, Tribunale dei diritti del malato, Centro per i diritti del malato, ecc.), ha contribuito alla creazione di un luogo di rappresentanza di tutti gli uten- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini ti dei servizi sanitari. Difatti, le liste di attesa, del pagamento di ticket nel Pronto Soccorso, l’affollamento e l’igiene dei reparti, la consegna dei referti a domicilio, o anche le residenze psichiatriche e l’assistenza domiciliare integrata, certamente non rappresentano tematiche iperspecialistiche e di interesse delle singole associazioni, ma sono punti problematici del sistema sanitario che hanno delle ripercussioni dirette su tutti i cittadini. Tuttavia, il riconoscimento dell’ampiezza e della profondità dell’azione dei CCM non implica l’attribuzione di una legittimità di rappresentanza e tanto meno significa che i CCM rappresentino tutti gli utilizzatori dei servizi. Al riguardo due precisazioni sono opportune. In primo luogo, non si può parlare di rappresentatività nel senso proprio del termine, dal momento che non esistono meccanismi formali di delega attraverso cui gruppi o categorie di utenti investono le loro rappresentanze. A tal proposito, Mangia [1996:7273] ha avvertito del rischio della mancanza di meccanismi di accreditamento o di filtri organizzativi, che possono favorire “un’eccessiva proliferazione di organismi poco o nulla rappresentativi”, che finirebbero per svuotare la stessa partecipazione. In secondo luogo, è difficile asserire che i CCM rappresentino tutti gli utenti dei servizi sanitari dal momento che – come più volte sottolineato – non è sufficientemente significativa la proporzione di persone e associazioni che partecipano at- tivamente ai lavori dei comitati. È davvero difficile parlare di rappresentatività di fronte ad un fenomeno sociale basato completamente sul lavoro volontario e sulla disponibilità delle persone. Su questo punto, i nostri informanti non hanno avuto alcun dubbio nel riconoscere che i CCM, pur affrontando problematiche sanitarie riguardanti l’utenza in generale, non hanno né la forza, né la pretesa di voler rappresentare tutti i cittadini. Nel caso dei CCM si tratta, in pratica, di una rappresentanza qualitativa, basata sul significativo ruolo sociale da essi svolto e sull’autorevolezza della loro azione volontaria [Hanau e Gattei, 1998]. Difatti, i nostri intervistati non hanno nascosto le difficoltà incontrate per entrare in contatto con un’utenza più ampia di quella che attualmente si relaziona con i Comitati. Un rapporto più stretto tra utenti e i propri portavoce, potrebbe sicuramente rafforzare la rappresentatività dei CCM. Alcune considerazioni conclusive Dopo un lungo periodo di assenza dal dibattito politicosanitario, il tema della partecipazione dei cittadini viene ripreso dalla normativa sanitaria nazionale (Dlg. n. 502 del 1992) che introduce un sistema di garanzie e controlli della qualità da verificare anche dal lato degli utenti e dei loro portavoce e non solo dal lato dei controlli tecnici effettuati dagli operatori sanitari. Oltre alla partecipazione “individuale”, N. 128 - 2001 che può consistere nella presentazione di osservazioni, proposte, critiche, reclami e denunce, l’articolo 14 del Dlg. n. 502 prevede e incoraggia anche forme di partecipazione “collettiva”, tali come la conferenza dei servizi, la presenza nelle strutture sanitarie di organismi di volontariato e di tutela dei diritti sia per svolgere attività di assistenza ai pazienti e sia in qualità di organismi di consultazione. Pertanto, il legislatore non ha voluto solamente riconoscere e rafforzare il diritto di libera scelta del consumatore (consumer choice), che tradizionalmente rappresenta uno dei principi ispiratori dei sistemi sanitari di ispirazione liberista e ad orientamento di mercato [Beardshaw, 1991; Beardwood et al., 1999]. L’istituzione dei CCM da parte della Regione Emilia-Romagna, ha reso possibile l’elaborazione e la sperimentazione di un metodo di partecipazione collettiva, che ha permesso di superare il riduttivo approccio ‘individualistico’ tipico della consumer satisfaction, ampiamente utilizzato in Gran Bretagna e negli USA e, da alcuni anni, anche in Italia. Queste tecniche, sebbene molto utili per ottenere informazioni e rilevare le opinioni degli utenti, non sono idonee a coinvolgere realmente i potenziali beneficiari dei servizi. Le popolazioni locali, come segnalano Rhodes e Nocon [1998:78], intrattengono una doppia relazione con il Servizio sanitario nazionale: come pazienti, nel momento in cui utilizzano il servizio, e come N. 128 - 2001 cittadini, visto il loro interesse (anche in qualità di contribuenti) di mantenere la salute della comunità. Risulta pertanto appropriata la strategia seguita dai CCM di cercare il coinvolgimento sia degli utenti e sia dei cittadini. Al riguardo, i CCM hanno sviluppato strumenti di partecipazione che offrono ai rappresentanti degli utenti l’opportunità di poter contribuire al dibattito sui servizi sanitari e sui loro punti critici. Rappresenta anche un importante spazio informativo e, per certi versi, anche formativo. Alle sessioni di lavoro del CCM partecipano dirigenti ed esperti, invitati per presentare i piani e le riforme aziendali, approfondire le questioni di ordine strutturale e organizzativo, oltre che per rispondere alle preoccupazioni e opinioni critiche dei portavoce dei cittadini. Questo processo interattivo favorisce la comprensione degli aspetti più complessi del sistema delle cure e la crescita personale di tutti gli attori coinvolti. Benché le attività di informazione e formazione – come giustamente aveva sottolineato Ardigò [1979:18] – rappresenti- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini no solamente forme di collaborazione, che possono anche non tradursi in reale partecipazione, è bene ricordare, tuttavia, come hanno evidenziato diverse ricerche sul tema, che l’accesso alle informazioni è la premessa per rafforzare le capacità di proposta e di azione (ovvero l’empowerment) dei cittadini. Altro aspetto interessante dell’esperienza dei CCM è il fatto di essere riusciti a produrre alcuni effetti positivi sul management, influendo su determinate decisioni messe in atto dalle autorità sanitarie, anche se le aspettative dei rappresentanti degli utenti sono superiori ai risultati sinora ottenuti. Probabilmente si rendono necessarie altre strategie d’indagine per verificare, con maggior profondità, la loro reale capacità di condizionare le scelte dei decisori. Rispetto alla questione del ‘deficit di rappresentatività’ sollevato da alcuni informanti della nostra ricerca, va ribadito che seppure i membri dei CCM non siano formalmente eletti né delegati dai cittadini o dagli utenti dei servizi sanitari, essi rappresentano le diverse asso- Bibliografia Altieri L. (1997), Valutazione della qualità/qualità della valutazione. Problemi metodologici della ricerca valutativa in sanità, in Altieri L. e Luison L. (a cura di) Qualità della vita e strumenti sociologici. Angeli, Milano. Ardigò A. (1979), La partecipazione nel servizio sanitario nazionale, in “La ricerca sociale”, n. 20. Ardigò A. (1997), Società e salute. Lineamenti di sociologia sanitaria, Angeli, Milano. Arnstein S. (1969). 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Ciò è particolarmente avvertito nella città di Bologna dove si sono costituiti ben 10 Comitati e, in molti dei quali, non è stato possibile avviare un sistema di rotazione dei rappresentanti delle associazioni. Un interrogativo a cui la nostra indagine non è ancora riuscita a rispondere e che meriterebbe ulteriori approfondimenti è quello di capire come 239 mai il volontariato sanitario – nonostante il suo consolidato radicamento nella realtà emiliano-romagnola [Bassi e Stanzani, 1997; Frisanco e Ranci, 1999], e nonostante la vocazione, riconosciutagli, a svolgere anche funzioni di advocacy (tutela e promozione dei diritti sociali) – non è ancora in grado di garantire un’adeguata partecipazione dei propri membri nell’ambito dei CCM. Non bisogna comunque mai dimenticare che stiamo parlando di volontariato: i portavoce delle associazioni che operano nei CCM sono dei volontari a tutti gli effetti, con le ovvie conseguenze che ciò comporta, anche in termini di disponibilità e di motivazione, come la nostra ricerca ha evidenziato. Ad ogni modo, nonostante i punti critici evidenziati dalla nostra indagine, riteniamo che l’originale esperienza avviata dai CCM possa esprimere interessanti potenzialità per sviluppare forme di dialogo e d’interazione tra rappresentanti dell’offerta e della domanda, configurando una fase più avanzata di partecipazione diretta dei cittadini e dei loro portavoce. Bassi A. e Stanzani S. (1997), Il Volontariato in Emilia-Romagna, Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma. Beardshaw V. (1991), User representation in the NHS and the future of Community Health Councils, Draft Discussion Paper 1990/1991, King’s Fund Institute, London. Beardwood B, Walters V., Eyles J. e French S. 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N. 128 - 2001 Carlo Hanau*, Sonia Cavallin** * Dipartimento di scienze statistiche, Università di Bologna ** I URP Azienda sanitaria locale città di Bologna Comitati consultivi misti sono organi ufficiali ed onorifici delle Aziende sanitarie 1 2, che hanno lo scopo di valutare la qualità percepita 3 dai cittadini sulle prestazioni erogate dal servizio sanitario, favorirne l’umanizzazione e la personalizzazione, il comfort in ospedale 4 , controllare le liste di attesa, favorire l’informazione ai cittadini sui problemi della salute e dei servizi sanitari, analizzare tutti i segnali di disservizio, costituiti dai reclami, fare proposte alle direzioni, sperimentare l’applicazione degli indicatori di qualità dalla parte dell’utente, così come previsto dall’art. 14 del decreto delegato n. 502/1992 e collaborare alla scrittura, all’evoluzione ed al rispetto delle carte dei servizi 5. I Comitati parteciperanno all’accreditamento di tutti i servizi sanitari, come previsto dal decreto delegato n. 229/1999. I Comitati nascono come prima esperienza sperimentale nel 1992 presso gli Istituti Ortopedici Rizzoli e quindi vengono istituzionalizzati dall’art. 15 e 16 della legge n. 19/1994 dell’Emilia-Romagna; da questa norma viene riconosciuta una formale par- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Esperienze di Comitati consultivi misti tecipazione dei cittadini, in forma consultiva, alle decisioni, alle valutazioni e alle verifiche dell’Azienda pubblica sanitaria. I Comitati sono formati da rappresentanti di associazioni di volontariato, di associazioni di tutela dei diritti del malato e di pensionati oltre che da una rappresentanza minoritaria dell’Azienda sanitaria, ove sono compresi i dirigenti dell’Ufficio Relazioni col pubblico e quelli dei servizi invitati di volta in volta a seconda degli argomenti all’ordine del giorno. In alcuni Comitati sono presenti anche gli Assessori comunali alla sanità. Dopo l’esperienza anticipatrice degli Istituti Ortopedici Rizzoli, l’Azienda sanitaria della città di Bologna istituisce con apposito atto deliberativo e successivo regolamento i Comitati (deliberazione n. 2336 del 13.6.1995), seguita dall’Azienda ospedaliera S. Orsola Malpighi, e da tutte le altre aziende sanitarie. Con delibere n. 320 e n. 678 del 1.3.2000, a completare l’attuazione della delibera di Giunta regionale n. 1011 del 7.3.1995, la Regione Emilia Romagna ha costituito un analogo Comitato, formato dai coordinatori dei Comitati delle Aziende principali (sanitarie, ospedaliere e IRCCS) e presieduto dall’Assessore Regionale della Sanità. Al Comitato sono sottoposte preventivamente le proposte di legge e di direttive dell’Assessorato alla sanità per instaurare il patto sanitario, voluto dal Piano sanitario nazionale e da quello regionale. Da ultimo, con delibera della Giunta del 18.4.2001, il regolamento del Comitato consultivo regionale per la qualità dei servizi sanitari dal lato del cittadino è stato modificato, conferendone la presidenza a uno dei componenti. In cinque anni di attività i CCM dell’Azienda USL città di Bologna si sono occupati di numerose tematiche raggiungendo importanti traguardi: • Miglioramento nella erogazione del servizio di Guardia Medica cittadina • Miglioramento del servizio psichiatrico di urgenza • Attivazione del servizio di Assistenza domiciliare integrata • Miglioramento qualitativo e aumento quantitativo di Comunità protette e Residenze sanitarie assistenziali 241 • Informazioni al pubblico mirate e tempestive sulle conseguenze di importanti ristrutturazioni edilizie degli ospedali e del riassetto aziendale • Riduzione dei prezzi delle confezioni di acqua minerale vendute all’interno degli ospedali ed ottenimento di mezzo litro di acqua minerale per ogni pasto • Dalla fine del 2000 è iniziata una serie di visite dirette, con o senza preavviso, alle RSA ed alle Comunità psichiatriche, solitamente condotte in appalto da cooperative o associazioni. Il Comitato consultivo misto dell’Azienda Ospedaliera S. Orsola Malpighi ha effettuato visite nei reparti per verificare il comfort alberghiero, l’umanizzazione, la personalizzazione e per rilevare i disservizi, senza attendere che fossero gli utenti a segnalarli. Le visite hanno lo scopo di verificare gli indicatori di qualità delle cure elaborati a livello nazionale dalla Commissione ministeriale, istituita nel 1992 per gli indicatori di qualità della cura dalla parte dei malati. Il Comitato ha collaborato all’estensione delle tre edizioni della Carta dei servizi e ne ha verificato l’applicazione. Ha collaborato con l’Ufficio relazioni pubbliche al progetto Customer Satisfaction aziendale, che ha effettuato moltissime indagini sulla soddisfazione degli utenti. Queste rappresentano, insieme ai reclami e alle osservazioni sul campo, il sistema di valutazione del buon funzionamento aziendale, i cui 242 risultati sono dettagliati nel resoconto definitivo, che si può articolare in quattro temi principali: • Diritto all’informazione • Prestazioni alberghiere • Personalizzazione/Umanizzazione • Accessibilità ai servizi. I risultati, inviati a tutte le Direzioni interessate, consentono, per ogni tema affrontato, di effettuare un confronto tra i singoli Servizi/Unità Operative e la situazione media aziendale, individuando le aree critiche per intraprendere le azioni di miglioramento. Le indagini di soddisfazione vengono ora ripetute regolarmente, estese a tutto l’ospedale e standardizzate tramite una procedura aziendale, costituendo un monito- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini N. 128 - 2001 raggio sistematico del livello di percezione della qualità dei servizi erogati. Particolare attenzione è stata rivolta alla valutazione della pulizia delle superfici, anche mediante indicatori oggettivi meccanici e visivi. Si sono fatte proposte per assicurare la continuità delle cure nel caso di rientri in ospedale per ricoveri ripetuti e per visite ambulatoriali. Si è constato da ultimo, che le segnalazioni di disservizio che provengono spontaneamente dagli utenti, classificate dall’URP ed esaminate dai CCM, quelle rilevate nel corso delle visite dei componenti i CCM, e le risposte ai brevi questionari distribuiti e analizzati da incaricati esterni dell’Agenzia sanitaria regionale, con- to, si descrivono in allegato i più rilevanti argomenti trattati dal CCM dell’Azienda Unità sanitaria locale della città di Bologna nel 2000, che hanno consentito di promuovere interventi importanti nel miglioramento del servizio offerto. vergono su alcune problematiche e su alcune Unità Operative, che evidentemente meritano una maggiore attenzione al fine di elevare il livello di qualità reale e di qualità percepita. Ad integrazione ed esemplificazione di quanto riportaBibliografia 1 2 3 4 5 C. Hanau, L. Gattei, I comitati consultivi misti nell’azienda sanitaria città di Bologna. L’Arco di Giano, n. 16, 1998, pp. 183-190. C. Hanau, Diritto di replica: una valutazione tendenziosa. L’Arco di Giano, n. 18, 1998, pp. 279-283. C. Hanau, La qualità percepita dagli utenti. Salute e Territorio, n. 122, sett-ott. 2000, pp. 268-272. L. Bolognesi, L. Bonucci, Storia della confortevolezza in ospedale. Quaderni Qualità n. 6 I1 Comfort in ospedale, Agenzia sanitaria regionale, CLUEB, Bologna, 1999, pp. 47-62. C. Hanau, Le carte dei diritti del malato. La Salute in Italia, a cura di M. Geddes e G. Berlinguer, Ediesse, Roma, 1997, pp. 87-105. Comitato consultivo misto aziendale città di Bologna, argomenti trattati nell’anno 2000 Argomenti Relatore Data Note Conduzione Villa Olimpia Responsabile sanitario della Struttura 24/01/2000 Illustrazione generale organizzazione dipartimento salute mentale a Bologna con particolare riguardo alle Comunità protette ed in particolare quella dell’Angelo Custode. Gestione Centro menopausa Responsabile sanitario della funzione 24/01/2000 Illustrazione dell’attività del centro e delle richieste per migliorarlo Aggiornamento protocollo operativo ADI Responsabile sanitario della funzione 28/02/2000 Illustrazione e distribuzione progetto Decisione di incontrare il Direttore generale Ausl e gli assessori comunali (Professori Pannuti e Salvioli) in merito alla parte sociale dell’ADI di competenza comunale e relative competenze di spesa. Trasferimento centro prelievi laboratorio urgenze Direzione medica dell’ospedale 03/04/2000 Illustrazione del programma spostamenti/ ristrutturazioni / nuove costruzioni all’ospedale Maggiore Relazione sull’attività del Comitato consultivo misto regionale Delegato CCM in Comitato regionale 03/04/2000 Presa d’atto N. 128 - 2001 Argomenti La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Relatore Data Note Analisi e criteri di rilevazione liste di attesa del presidio ospedaliero Bellaria Maggiore Direzione medica dell’ospedale 22/05/2000 Illustrazione procedure con indicazione dei criteri e rilevazione tempi attesa per ricoveri. Distribuzione linee guida regionali Bonus / Malus per esami prenotati e non eseguiti Coordinatore CCM 22/05/2000 Illustrazione proposta regionale: parere negativo del CCM su eventuale applicazione ADI e definizione della competenza del settore sociale e di quello sanitario Coordinatore CCM 22/05/2000 Incontro tra rappresentanti del CCM e gli Assessori comunali e la Direzione generale Ausl: il Comune, non essendo in grado di fornire risposte, istituirà un gruppo di lavoro. Contestualmente parte un progetto ADI sperimentale in Ausl. Si resta in attesa dei risultati definitivi. Comunità dell’Angelo Custode (dipartimento salute mentale) Responsabili sanitari della struttura 28/06/2000 Illustrazione capitolato con competenze Ausl (sanitarie) e ditta appaltatrice (riabilitative). Il CCM attraverso alcuni rappresentanti ha effettuato un sopralluogo presso la Comunità, che ha avuto esiti positivi. Nomina rappresentanti del CCM per il percorso chirurgico Coordinatore CCM 28/06/2000 Sono nominati il Prof. Hanau e il Prof. Santacaterina Responsabile Ufficio di relazione con il pubblico 13/09/2000 Presa d’atto senza rilievi. Riferimenti in merito Gruppo che ha al sopralluogo effettuato effettuato a luglio presso la visita presso la Comunità dell’Angelo struttura Custode e pubblicizzazione del capitolato speciale per la gestione della medesima struttura 13/09/2000 Il 18.7.2000 alcuni rappresentanti del CCM hanno effettuato un sopralluogo presso la Comunità dell’Angelo Custode che ha dato risultati positivi. Monitoraggio istanze 1° semestre 2000 Presidio Ospedaliero Bellaria Maggiore Raccolta questionario gruppo HPH Comfort Responsabile 13/09/2000 Il gruppo regionale HPH comfort coordinato dalla URP d.ssa Cavallin ha predisposto un questionario, distribuito ai componenti CCM per la compilazione. Aggiornamento Assistenza domiciliare integrata Dirigente medico componente del CCM 23.10.2000 Il CCM suggerisce di predisporre un’informativa da distribuire all’utenza Carta impegni psichiatria e regolamento struttura Angelo Custode Responsabile medico della struttura 20.11.2000 Il CCM auspica che tutte le Comunità dell’Ausl fossero dotate di analogo regolamento. Alcuni componenti sono favorevoli ai pasti comunitari (familiari - pazienti) e vorrebbero ampliare l’orario di accesso alle Comunità, particolarmente in estate. Accanimento in trattamenti sanitari Coordinatore CCM 20.11.2000 Approvazione documento del Presidente del Comitato di bioetica dell’Ospedale Maggiore. Intervento del primario del laboratorio analisi dell’Ospedale Maggiore Responsabile medico della funzione 18.12.2000 Illustra un progetto di attivazione sperimentale per l’Ospedale Maggiore per la spedizione per via postale dei referti di laboratorio. 243 244 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Argomenti Relatore Data in merito ai tempi per la refertazione e consegna degli esami di laboratorio Illustrazione da parte dell’associazione AVIUSS delle competenze del numero telefonico 051204307 attivato con il patrocinio del Comune di Bologna per fornire informazioni sull’assistenza socio sanitaria alle persone anziane. N. 128 - 2001 Note Il CCM chiede di effettuare un’indagine tra i distretti dell’Ausl città di Bologna per conoscere i tempi indicati per il ritiro dei referti e gli orari di apertura al pubblico degli uffici preposti alla consegna. Due rappresentanti AVIUSS 18.12.2000 Proposta all’AVIUSS di chiedere al Comune l’attivazione di un numero verde in sostituzione dell’attuale a pagamento. Tra le varie ed eventuali ci sono stati accenni a: Argomento Data Note Previsione di un possibile cambiamento / accorpomento dell’organizzazione dei CCM dell’Ausl in conseguenza del cambiamento dell’assetto organizzativo aziendale 24/01/2000 Il CCM si esprime positivamente e resta in attesa del riassetto aziendale. Illustrazione del Gruppo Regionale HPH Comfort coordinato dalla responsabile URP, contestuale proposta con esplicita richiesta di partecipazione di un rappresentante del CCM 24/01/2000 Un componente del CCM si rende disponibile Informativa conversione siringhe insulina per diabetici dal 1.3.2000 24/01:2000 Presa d’atto Distribuzione di materiale informativo sul CCM predisposto segretaria al convegno del 3.3.2000 che il Comune organizza alla cappella Farnese dal titolo “il ruolo delle associazioni familiari nelle politiche sociali” 28/02/2000 Parere favorevole del CCM dalla alla pubblicizzazione Informazione sul seminario organizzato dal settore legale e patrimonio in tema “Semplificazione o trasparenza e riservatezza nelle Aziende sanitarie pubbliche e private nel rapporto con il cittadino” tenuto il 4.4.2000 28/02/2000 Presa d’atto Distribuzione monitoraggio istanze Ausl città di Bologna 2° semestre 1999 28/02/2000 Presa d’atto, senza rilievi Distribuzione elenco consultori ostetrico ginecologici dell’Ausl 28/02/2000 Presa d’atto Distribuzione protocollo per la gestione delle cartelle cliniche nel presidio ospedaliero Bellaria Maggiore 28/02/2000 Presa d’atto, senza rilievi Informativa sui controlli effettuati nel presidio Bellaria Maggiore sulla prescrizione di farmaci sottoposti a note CUF 28/02/2000 Presa d’atto Distribuzione nota che stabilisce che il garante per la privacy ha espresso indicazioni per cui la commissione invalidi civili non deve più trasmettere i dati degli invalidi all’ANMIC 03/04/2000 Il CCM auspica una pubblicizzazione del parere. Incontri con Università Primo Levi, maggio 2000, sul tema “Accoglienza in ospedale” 03/04/2000 Rappresentanti dell’Ausl e del CCM relazioneranno alle conferenze pubbliche N. 128 - 2001 245 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Argomento Decisione di rinnovare i componenti del CCM aziendale rappresentanti delle associazioni per sostituire quelli sistematicamente assenti Data 03/04/2000 22/05/2000 28/06/2000 Note Assunzione di una nuova ed aggiornata composizione Richiesta rispetto dei tempi per i lavori di ristrutturazione all’Ospedale Maggiore 13.9.2000 Alcuni componenti si rendono disponibili per sopralluoghi Fondazione del Monte: stanziamento finanziamenti per assistenza domiciliare anziani 23.10.2000 Richiesta di chiarimenti alla Direzione sanitaria. L’ARAD illustra loro il Progetto anziani Corrispondenza tra un associato del TDS e Dipartimento salute mentale 23.10.2000 Il CCM prende atto Informativa su nuovo numero telefonico e ampliamento orario guardia medica da dicembre 2000 20.11.2000 Presa d’atto Richiesta CCM di non far cambiare reparto a paziente dimesso e rientrante in ospedale entro breve tempo, attraverso Pronto Soccorso, per evitare ripetizione esami già effettuati e per dare continuità alla cura 20.11.2000 Suggerimento trasmesso alla Direzione generale per il seguito 246 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini J. Gost P. Astier B. Bermejo C. Silvestre M.T. Chivite N. 128 - 2001 Le tecnologie dell’informazione Servizio di Medicina Preventiva e Gestione della Qualità. Hospital de Navarra. Servizio sanitario della Navarra I l rapido sviluppo delle tecnologie dell’informazione, di Internet in particolare, sta determinando un cambiamento notevole nei paesi industrializzati. Questo fenomeno si presenta anche nell’ambiente sanitario. Secondo le stime, nella rete sono più di 100.000 le pagine web su questo tema; attraverso di esse programmatori, amministratori, pazienti e cittadini possono accedere a un’ampia serie di servizi. In pratica, fra breve tempo sarà possibile realizzare via Internet qualsiasi cosa fattibile riusciamo a immaginare. Sebbene nel settore delle imprese l’investimento in tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) costituisca, insieme con le persone e i processi, uno degli elementi strategici per raggiungere un’organizzazione di altissimo livello, si può dire lo stesso dei servizi sanitari? La situazione relativa alle tecnologie dell’informazione nell’insieme del sistema sanitario nazionale spagnolo presenta, a parte alcune esperienze isolate, uno sviluppo irregolare e, in genere, poco avanzato. Perciò, come prima riflessione, sorge la necessità di implementare elaborazione, sviluppo e controllo di un Piano strategico dell’informazione del sistema sanitario nazionale. Sulla base di raccomandazioni e strategie di differenti documenti, esso dovrebbe rispondere ai seguenti principi: • Missione: fare in modo che i cittadini ricevano la migliore assistenza possibile da parte dei servizi sanitari esistenti nello Stato spagnolo. • Visione: disporre degli strumenti e delle strategie migliori per garantire la qualità dell’informazione e l’accesso ad essa. L’informazione sarà disponibile nel luogo e nel momento opportuno (I want it now), perché le persone possano prendere le decisioni adeguate e raggiungere i risultati previsti. Obiettivi generali: • i professionisti, pazienti e cittadini, disporranno dell’informazione esatta per poter prendere decisioni relative alla cura della loro salute; • gli amministratori disporranno di informazioni per poter realizzare una gestione effettiva ed efficiente delle risorse; • i programmatori disporranno dell’informazione sufficiente relativa ai problemi e alle necessità sanitarie per I principi e le strategie per lo sviluppo di una rete informativa nel sistema sanitario. L’esempio di Navarra stabilire programmi e azioni adeguate. Questi obiettivi corrispondono ai differenti fini per i quali abbiamo registrato i vari dati sanitari: prestazione di cure (preventivi inclusi), gestione del servizio sanitario, analisi delle necessità e programmazione, assegnazione delle risorse, valutazione e controllo, ricerca, epidemiologia, ecc. Ambito di applicazione • Il sistema sanitario nazionale ha bisogno di un tipo d’informazione che analizzi e integri quella dei diversi servizi sanitari, soprattutto se si considera che, alla fine dell’attuale legislatura (2003), è previsto il trasferimento della gestione dell’INSALUD, l’istituto spagnolo di assistenza sanitaria, a quelle Regioni autonome che ancora non hanno assunto detta competenza e che, nel Paese, avremo diciassette servizi sanitari. Sebbene sia logico sviluppare un sistema d’informazione del sistema sanitario nazionale, la sua realizzazione non è tuttavia ipotizzabile a breve scadenza. Per questa ragione è imprescindibile ottenere il consenso di tutte le parti implicate. In questo senso il Consiglio interterritoriale potrebbe essere la cornice adeguata per la sua soluzione. • Considerato l’irregolare sviluppo, sia nei vari servizi che nei centri sanitari si presentano diversi temi di discussione: che livello di priorità ha lo sviluppo di sistemi integrali d’informazione? Esistono e sono sufficienti i fondi da destinarsi a questo effetto? È compatibile lo sviluppo opportunistico di sistemi d’informazione locali con le necessità d’informazione corporative? Essi perseguono gli stessi obiettivi? • Architettura di sistemi: da un punto di vista esclusivamente tecnico ci sono ugualmente temi di dibattito? Sono compatibili i diversi sistemi d’informazione esistenti? Rispondono agli stessi standard? La loro integrazione è fattibile? Obiettivi strategici • Garantire agli operatori sanitari l’accesso ai dati clinici N. 128 - 2001 dei loro pazienti, allo scopo di facilitarne l’assistenza. • Garantire agli operatori sanitari l’accesso a quelle fonti che permettano loro di disporre dei dati più sicuri e di valutare l’efficacia e l’efficienza del loro lavoro, confrontandolo con i migliori. • Facilitare ai pazienti la realizzazione on-line delle pratiche relative alla loro assistenza sanitaria (comprese le richieste di consiglio al personale sanitario). • Facilitare ai pazienti l’accesso, la verifica e la convalida di loro dati clinici e valori rilevanti che abbiano ripercussioni sulla prestazione di cure. • Rendere possibile ai pazienti l’accesso a fonti d’informazione che permettano loro di collaborare attivamente alla cura della loro salute. • Garantire la qualità dei dati introdotti nel sistema. • Disporre di quadri di comando integrati che permettano di essere informati sulla realizzazione degli obiettivi e sui risultati. • Garantire l’esistenza d’informazione disponibile per la programmazione di nuovi servizi e attività. • Garantire lo scambio di informazioni importanti tra i diversi livelli. • Rendere possibile la vigilanza telematica o l’ospedalizzazione virtuale in determinati processi. Perché le tecnologie d’informazione e comunicazione diventino un elemento strategico, dovrebbero basarsi sui seguenti presupposti: • Incentrarle sul paziente (l’informazione assistenziale è La qualità percepita e l’informazione ai cittadini alla base della gestione del centro sanitario). • Gestione delle conoscenze. • Accessibili a programmatori, amministratori, personale sanitario, pazienti e cittadini. • Rispondere a criteri di sicurezza, privatezza e riservatezza. • Permettere di ottenere sistemi integrati di gestione (quadri di comando). • Essere accessibili al momento e nel luogo necessari, secondo il diritto di accesso posseduto. Tra i principali strumenti tecnologici bisogna menzionare: • Storia clinica informatizzata. • Tesserino sanitario individuale. • Registri di attività clinica (radiologia: RICS, PACS, analisi cliniche, anatomia patologica, ecc.). • Altri sottosistemi integrati di gestione (economico-finanziario, personale ...). • Intranet (architettura di servizi d’informazione che applica la tecnologia di Internet a un contesto corporativo). • Internet e strumenti di accesso (PC, Mac, PDA, ecc.). Prima di esaminare le opportunità e i problemi relativi ad alcuni degli aspetti citati, conviene considerare due questioni fondamentali nel processo di gestione dei servizi sanitari: il paziente in quanto centro del processo e la gestione delle conoscenze. Il paziente come centro del processo I dati provenienti dall’attività di assistenza devono costituire la base della gestione clini- ca e della programmazione ospedaliera. I dati relativi ai pazienti si integrano con quelli di altri sottosistemi (personale, economico-finanziario, ecc.), permettendo cosí di disporre d’informazione valida e sicura in tempo reale, “quadro di comando”, per prendere decisioni di tipo operativo, tattico o strategico. Gestione delle conoscenze L’accesso all’informazione non può essere un obiettivo di per sé stesso. L’obiettivo principale dell’informazione è di aiutare a prendere decisioni in una situazione d’incertezza. L’istituzione sanitaria ha l’obbligo di prestare assistenza, contando sulla migliore informazione certa disponibile. Questo implica la necessità di potenziare le capacità del personale con una gestione adeguata delle conoscenze, facilitando agli operatori del settore l’accesso alle lezioni apprese dal centro (chi sa dove si trova un certo tipo d’informazione) e a fonti d’informazione qualificata. Si tratta di un processo globale di trasformazione che deve ugualmente essere organizzato (gestione della trasformazione). Gli amministratori e il personale sanitario non sono gli unici interessati a sapere quali procedimenti siano efficaci, quanto costino e quali siano i loro risultati; anche i pazienti, indipendentemente dall’esistenza o meno di un mercato sanitario (sebbene in quest’ultimo caso sia molto piú evidente), chiedono sempre piú spesso di conoscere i risultati dei servizi e il loro costo, ragione per cui sembra inarre- 247 stabile la tendenza a rendere accessibili al pubblico detti risultati e a stabilire, nonostante tutti i vincoli, benchmarking tra servizi simili. Strumenti principali Storia clinica informatizzata L’esperienza ci dice che i dati raccolti su carta presentano grandi difficoltà al momento di essere convertiti in informazione. Tuttavia, l’introduzione della storia clinica informatizzata è stata più lenta del previsto. Tra le cause addotte a giustificare tale ritardo si distinguono la scarsa accettazione degli strumenti informatici da parte dei medici, il loro scarso grado di sviluppo (per lo meno relativamente alle prime versioni), l’assenza di valore aggiunto, la coesistenza dello strumento cartaceo, ecc. Poiché la storia clinica informatizzata implica un profondo cambiamento culturale, la sua introduzione deve realizzarsi valutando attentamente tutti i fattori condizionanti. Tra i vantaggi della storia clinica informatizzata bisogna citare i seguenti: • Accesso remoto in tempo reale. • Leggibilità. • Incorporazione e integrazione con altre fonti di dati, sia clinici che di altro tipo. • Facilità di ricerca. • Permanente attualizzazione. • Facilità di utilizzazione per la ricerca clinica, epidemiologica e per la ricerca sui servizi sanitari. • Facilità di valutare la qualità dei dati. • Sicurezza nell’immagazzinamento dei dati (datawarehouse). 248 • Possibilità di stabilire relazioni con i valori rilevanti del soggetto. • Collegamenti automatici a lezioni apprese nel centro (protocolli, ecc.). • Collegamenti automatici con la ricerca di chiarimenti relativi a problemi specifici. • Collegamenti per facilitare al paziente informazione complementare sulle cure specifiche del suo caso. Esistono tuttavia problemi importanti nello sviluppo della soria clinica informatizzata, soprattutto se si pianificano strategie corporative che possono ridurne il potenziale. Tali problemi sono in relazione con: • Necessità di un vocabolario clinico omogeneo. • Definizione unificata dei dati in modo da poter realizzare il raggruppamento e l’impiego di essi. • Adeguata codificazione dei dati complessi. • Condividere l’informazione tra diverse istituzioni. • Garantire la riservatezza dei dati. • Garantire l’attiva partecipazione dei pazienti. Tesserino d’identificazione sanitaria Il tesserino d’identificazione sanitaria (TIS) è uno degli strumenti con maggior potenziale. In una recente iniziativa dell’Unione Europea si stabilisce che “Entro il 2003 tutti i cittadini europei dovranno avere la possibilità di accedere in modo sicuro e confidenziale, mediante il loro tesserino elettronico sanitario – EUROCARD – alla rete dove si trova la loro storia La qualità percepita e l’informazione ai cittadini N. 128 - 2001 medica”. In linea con questa iniziativa, il tesserino sanitario, oltre a costituire un elemento d’identificazione, dovrà essere dotato di possibilità simili a quelle di altre tessere di imprese di servizio attualmente in uso. Un aspetto importante, a nostro giudizio, è che ormai diventa inevitabile l’esistenza di un numero d’identificazione personale unico per tutto il sistema sanitario nazionale (così come è in uso nel servizio sanitario della Navarra) ed è quanto meno preoccupante che finora non si siano fatti progressi significativi nella sua introduzione. A detto numero dovrebbero essere collegati i registri elettronici dei processi clinici che il paziente abbia avuto durante la sua vita. Il tesserino d’identificazione sanitaria dovrebbe essere realizzato il più presto possibile, in modo sistematico e mediante la logistica adeguata, a tutti i neonati, in modo che la loro storia clinica venga registrata dall’inizio sotto un unico numero d’identificazione. gatorio il consenso del paziente per raccogliere dati nella sua storia clinica? Ci sono situazioni che richiedano un espresso consenso per l’impiego di tali dati? Il paziente ha diritto alla modificazione o cancellazione di dati clinici o la storia clinica ne è esente? • Accessibilità. Come si conciliano il criterio di limitazione dell’accesso e la storia clinica informatizzata disponibile in un luogo di lavoro pluridisciplinare? Stabilire diversi livelli di accesso costituisce una garanzia sufficiente? Chi concede detta qualificazione? • Migrazione di dati verso basi di dati amministrative. Esiste la sicurezza che si importano solo dati che non permettano l’identificazione del paziente? Si interrompono i collegamenti che permettono l’identificazione individuale? Si importano solo i dati strettamente necessari? La creazione di basi di dati dai registri clinici dei pazienti ha come conseguenza la collisione di due principi: il diritto del cittadino alla segretezza dei suoi dati e il possibile beneficio che ha per la società l’analisi dei dati aggregati. Nonostante la Legge organica di protezione dei dati di carattere personale (LORPD) permetta, secondo alcuni autori, di realizzare la valutazione e la ricerca, la mancanza di sviluppo a livello normativo può condizionarne l’applicazione pratica. Internet Internet sta diventando uno strumento decisivo, poiché rende possibile l’accesso a fonti d’informazione sanitaria in un volume e con un’ampiezza di accesso finora sconosciuti. Internet permette di prendere decisioni basate su fatti evidenti, fornendo una possibilità di accesso economica, rapida ed efficiente (specialmente con l’introduzione dei PDA, assistenti digitali portatili). Esso, inoltre, può potenziare la comunicazione tra personale sanitario e paziente, facilitando l’integrazione delle preferenze e dei valori del paziente con i dati di evidenza scientifica, nel quadro della storia personale di ogni paziente e del suo ambiente sociale. Internet, tuttavia, ha determinato anche la comparsa di nuovi problemi, in particolare legati alla gestione dell’informazione e alla segretezza e riservatezza dei dati. Aspetti etico-legali relativi ai sistemi d’informazione sanitaria La proliferazione di differenti basi di dati contenenti dati personali pongono importanti problemi di carattere etico-legale e creano un importante paradosso tra il rapido progresso tecnologico e la lentezza nella modifica delle norme regolatrici. La segretezza e riservatezza dei dati sono i problemi che determinano maggiori conflitti. In ogni caso è importante sottolineare che il contesto socioculturale spagnolo è molto diverso da quello anglosassone. Il principio dell’autonomia del paziente non è tanto radicato o viene graduato dalla cerchia familiare che tende a proteggere il congiunto dalle cattive notizie. Il dovere di proteggere la riservatezza dei dati si estende a tutti coloro che hanno accesso agli stessi, e non solo per principi etici, ma per espressa disposizione legale. Ebbene, nella pratica quotidiana, si può entrare in ambiti i cui limiti non sono chiari, ovvero: • Raccolta, modificazione e cancellazione di dati. È obbli- Sicurezza del supporto informatico Oltre alla segretezza e alla riservatezza dei dati, la sicu- N. 128 - 2001 Problemi Identificare l’u tente Autenticazione La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Descrizione Come riconosce il sistema che l’utente è autorizzato all’accesso? Garantire il non ripudio (che non possa negare di aver inviato un determinato dato) Livello di accesso Accertamento della corretta utilizzazione da parte del personale autorizzato Accertamento della fonte di dati Garantire la segretezza, evitando la cattura di dati da parte di terzi non autorizzati Proteggere entrata Intranet rezza degli stessi costituisce un elemento fondamentale. Il loro trattamento non differisce da quello riservato a qualsiasi transazione via Internet e le soluzioni, d’altra parte, sono in continua evoluzione. Conviene ripetere comunque che i principali problemi e A che parte della storia clinica ha accesso? Come ridurre al minimo il rischio di una cattiva utilizzazione? Come sappiamo di essere entrati nel programma e che questo non è stato manipolato? Soluzioni La chiave e la password possono non essere sufficienti. L’accesso mediante tesserino elettronico introduce un’ulteriore difficoltà La certificazione e la firma digitale aumentano la sicurezza garantendo il non ripudio. Stabilire livelli di accesso (privilegi), tanto per la lettura che per l’introduzione e/o impiego dei dati Traiettoria d’accesso e controllo aleatorio o specifico Autenticazione della fonte: feed-back sistema-utente Occultamento di dati Come evitare gli hacker? minacce alla sicurezza dipendono dalle persone. L’accesso ai registri informatici può essere violato sia da utenti privi della necessaria autorizzazione (hackers), sia da utenti autorizzati che fanno un uso proprio del loro privilegio. L’operatore sa- Istallazione di Firewall nitario deve avere la certezza che i dati da lui introdotti non saranno manipolati, o semplicemente verificati, da persone estranee, poiché, in questo caso, le sue reticenze nei confronti dell’uso della storia clinica informatizzata aumenteranno. 249 Come avviene in qualsiasi processo di programmazione, dovremo definire dapprima gli obiettivi che ci prefiggiamo, per poi stabilire le priorità relative su cosa proteggere, da che cosa e come. Conclusioni Sembra evidente che le tecnologie dell’informazione costituiscono una strategia fondamentale per l’espansione delle politiche della salute nei paesi sviluppati. In questo senso le tecnologie dell’informazione possono contribuire alla realizzazione dei diritti fondamentali del paziente: “per mezzo di dati clinici corretti disponibili in tempo e forma dovuti, l’operatore sanitario adotterà – insieme con il paziente – le decisioni pertinenti che, mediante un adeguato processo, rendono possibile il raggiungimento dei risultati migliori”. D’altra parte le tecnologie fanno sí che gli amministratori prendano decisioni meglio informati, che i programmatori dispongano di fonti d’informazione affidabili e aggiornate per la riorganizzazione e l’adattamento dei sistemi sanitari alle necessità della popolazione. 250 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Julien Carretier Line Leichtnam Maryse Véron Valérie Delavigne Hélène Hoerau Thierry Philip Béatrice Fervers I l progetto Sor savoir patient è stato avviato nel 1998 dalla Federazione nazionale dei centri di lotta contro il cancro con la partecipazione di 20 centri. Questo progetto è finanziato dalla Lega nazionale contro il Cancro e dalla CNAMTS (Cassa nazionale di assicurazione malattie e dei lavoratori salariati). Nel 1998, in collaborazione con l’Associazione dipartimentale di Educazione alla salute (ADES) del Rodano, la FNCLCC ha riunito un gruppo di pazienti allo scopo di capire meglio le loro aspettative e i loro bisogni in tema di informazioni sulla malattia. È emerso che: • le persone colpite dal cancro desiderano disporre di informazioni relative alla loro malattia, ma hanno anche bisogno di ascolto, dialogo, attenzione e spesso di sostegno e aiuto; • sono essenziali la forma e il contenuto di queste informazioni, ma anche il momento in cui vengono fornite; • l’informazione è inscindibile da una comunicazione personalizzata, basata sull’ascolto e sul rispetto. È in questo contesto che la FNCLCC e i 20 centri di Lotta N. 128 - 2001 L’informazione valutata dai pazienti contro il Cancro, in partnership con la Lega e la CNAMTS, hanno attuato il progetto Sor savoir patient (SSP). L’elaborazione dei documenti Sor savoir patient poggia su tre grandi principi: 1. Un’informazione basata sul concetto della evidence-based medicine. 2. Un approccio multidisciplinare che implica la partecipazione dei pratici delle discipline interessate. 3. La partecipazione attiva dei pazienti, di ex-pazienti e dei familiari lungo tutto il processo di elaborazione degli strumenti di informazione Sor savoir. Gli obiettivi generali del progetto sono di quattro ordini: 1. Migliorare la qualità dell’assistenza alle persone colpite dal cancro. 2. Permettere ai pazienti di capire la propria malattia e l’assistenza loro prestata, nonché di riconoscere e gestire meglio le conseguenze e gli effetti secondari della malattia stessa. 3. Permettere ai pazienti di partecipare meglio all’assistenza che viene loro prestata e alla decisione terapeutica. 4. Favorire il dialogo medicopaziente. Per raggiungere questi obiet- Una guida elaborata insieme ai diretti interessati per la corretta comprensione del linguaggio utilizzato tivi generali, il progetto si articola in obiettivi operativi di tre ordini: • sviluppare e mettere a disposizione dei pazienti e dei loro familiari informazioni convalidate, comprensibili, accessibili e sistematicamente aggiornate; • proporre ai medici informazioni sintetiche per comunicare meglio con il paziente in termini comprensibili; • proporre strumenti per attuare progetti di educazione del paziente a livello locale e regionale. Il progetto è utile per il paziente ma anche per il medico, compreso il medico di base. Il processo di elaborazione del progetto è in tre tappe: 1. I documenti standard, opzioni e raccomandazioni (SOR) per la prassi clinica in cancerologia, destinati agli specialisti, sono prima tradotti in linguaggio semplice da un’équipe multidisciplinare formata da incaricati della sanità, da un antropologo, da un linguista e da esperti delle discipline interessate. Questa “traduzione” permette di costituire una base di conoscenze Sor savoir. 2. Un lavoro condotto insieme ai pazienti permette di elaborare documenti SSP e di redigere i sommari. Gli esperti e i pazienti partecipano al processo di convalida durante tutta l’elaborazione dei documenti SSP. 3. I documenti vengono diffusi sotto forma di guide e messi on line sul sito internet della FNCLCC(http://www. fnclcc.fr/indexcancer.htm), disponibili in files html e pdf, scaricabili dal medico o dal paziente in funzione delle proprie esigenze. La modalità di diffusione sul web permette una gerarchizzazione delle informazioni e un regolare aggiornamento del Sor savoir. Per individuare i bisogni specifici e permettere una partecipazione attiva dei pazienti alla redazione dei documenti il progetto Sor savoir patient utilizza metodi diversi, che N. 128 - 2001 combinano i metodi dell’educazione del paziente e dell’antropologia. L’uso di questionari, lo svolgimento di incontri individuali semi-direttivi e l’attuazione di focus groups permettono: • l’analisi globale del documento; • l’individuazione dei complementi di informazione; • la verifica della comprensione del documento; • la valutazione dell’impatto globale del documento. Più specificamente, i questionari permettono di interrogare un numero maggiore di persone e quindi di valutare la soddisfazione di un gran numero di pazienti. Sono inoltre importanti per raccogliere le esigenze di informazione. I focus groups permettono un lavoro attivo con gruppi di pazienti. I pazienti, ex-pazienti e loro familiari hanno un ruolo molto importante nella parte redazionale, soprattutto per la stesura dei sommari. Consentono infine di adattare un documento ai bisogni del gruppo. Gli incontri semi-direttivi permettono di: • individuare punti molto specifici utili a migliorare il documento; • evidenziare eventuali problemi di comprensione grazie al metodo della lettura accompagnata. L’esempio della guida Sor savoir “Capire il cancro al seno non metastatico” Più di 60 pazienti di Lilla, Bordeaux e Lione, in corso di trattamento e anche a distanza dal trattamento han- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini no partecipato attivamente a questo lavoro con l’aiuto di questionari (n = 45), di incontri individuali semi-direttivi (n = 10) e di focus groups (n = 21), secondo il processo metodologico sopra descritto. La metodologia degli SSP si basa sulla partecipazione attiva dei professionisti della salute e delle pazienti all’elaborazione di una guida lungo tutto il processo di elaborazione. 46 esperti hanno partecipato alla convalida dello strumento Sor savoir-seno. Esiste un’evoluzione molto chiara dell’atteggiamento degli esperti in rapporto alla prima rilettura organizzata nel 99. Il loro apprezzamento è unanimamente positivo tanto sul documento che sul progetto stesso, cosa che non era avvenuta nel 99. Oggi nessuno di loro è contrario al principio. Le osservazioni formali sono paragonabili a quelle delle pazienti. È stato tenuto conto delle correzioni tecniche puntuali riguardanti alcune definizioni. Alcuni esperti giudicano il linguaggio troppo complesso per le pazienti. La partecipazione attiva delle pazienti ha inoltre permesso: • un’identificazione dettagliata delle difficoltà di comprensione e delle informazioni mancanti; • un’individuazione delle incoerenze tra il vissuto e il contenuto dell’informazione; • un arricchimento del documento riformulando paragrafi giudicati troppo complessi dai pazienti, la redazione di sommari (informazioni chia- ve formulate dalle pazienti) su forma e contenuto; • la convalida delle informazioni sia sulla forma del documento che sulla scelta delle illustrazioni. La valutazione, tanto sul piano dello svolgimento che sulle condizioni e i metodi di lavoro, si è rivelata molto positiva per i partecipanti. L’85% delle pazienti ha trovato il documento chiaro, leggibile e comprensibile, rispondente alle loro esigenze, dando un voto tra 8 e 10/10. È una valutazione divergente da quella degli esperti, che – vi ricordo – giudicano il linguaggio troppo complesso per le pazienti. La partecipazione attiva delle pazienti e di ex-pazienti nel corso del focus group e di incontri semi-direttivi ha permesso inoltre: • un’individuazione dettagliata delle difficoltà di comprensione; • un’individuazione delle eventuali incoerenze tra il vissuto e il contenuto dell’informazione; • un arricchimento del documento per quanto riguarda forma e contenuto; • una riformulazione di passaggi giudicati troppo complessi per le pazienti; • la redazione di sommari per le pazienti; e infine la convalida del testo definitivo e delle illustrazioni. L’analisi dei tre metodi ha permesso di realizzare una raccolta dei bisogni espressi, di individuare le informazioni mancanti, soprattutto sulle prove terapeutiche e sugli aspetti psicologici della malattia. Una volta che le informazioni 251 sono state rilette dagli esperti e dalle pazienti, il Sor savoir “Capire il cancro al seno non metastatico” viene pubblicato su carta e in formato elettronico. Le informazioni sono liberamente accessibili sul sito internet della FNCLCC nella rubrica “Capire il cancro”. I documenti sono scaricabili in formato pdf, sia in versione integrale che per capitoli. Più di 17.000 guide Sor savoir “Capire il cancro al seno non metastatico” sono state diffuse presso 20 Centri di lotta contro il cancro e soprattutto della Lega, accompagnati da un questionario di soddisfazione. Attualmente la guida è in corso di riedizione e viene potenziata la sua strategia di diffusione. I tre metodi di valutazione (questionari, focus groups e incontri individuali semidirettivi) sono strumenti complementari in seno al processo di elaborazione della guida di informazioni Sor savoir patient destinata alle pazienti e ai loro familiari. Di questi strumenti di valutazione deve essere tenuto conto a partire dall’inizio della costituzione della guida di informazione. La valutazione dell’andamento costituisce parte integrante del progetto SSP. L’analisi delle risposte delle pazienti e dei loro familiari al questionario di soddisfazione della guida (elettronica e su carta) è attualmente in corso. Questa valutazione si iscrive in un processo di miglioramento continuo della qualità delle informazioni elaborate; di questi risultati si terrà conto nel quadro del futuro aggiornamento della guida. 252 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini J. Gost C. Silvestre P. Ezpeleta P. Astier P. Diaz de Rada M.T. Artàzcoz Comitato Etico di Ricerca Clinica della Navarra I l Real Decreto 561/1993 del 16 aprile stabilisce i requisiti per la realizzazione, in Spagna, di esperimenti clinici (EC) con farmaci o prodotti in fase di sperimentazione. Detta norma fondamentale prescrive nell’articolo 10 che tutti gli EC, prima di essere realizzati, dovranno essere sottoposti alla previa autorizzazione del Comitato etico di ricerca clinica (Comité Etico de Investigación Clínica, CEIC) e che gli stessi saranno eseguiti nel rispetto dei diritti fondamentali della persona e dei postulati etici che coinvolgono la ricerca biomedica con esseri umani, in base ai principi contenuti nella dichiarazione di Helsinki e successive attualizzazioni. L’articolo 42 regola le funzioni dei Comitati Etici riguardanti: • valutazione dell’idoneità del protocollo in relazione agli obiettivi dello studio; • valutazione dell’idoneità dell’équipe di ricerca per l’esperimento proposto; • valutazione dell’informazione scritta sulle caratteristiche dell’esperimento, della forma in cui sarà presentata tale informazione e del tipo di consenso che si otterrà; N. 128 - 2001 Il consenso informato negli esperimenti clinici • accertamento dei compensi che si offriranno ai partecipanti (esistenza di un’assicurazione che copra eventuali responsabilità); • conoscenza e valutazione dei compensi che si offriranno ai ricercatori; Centro Hospital de Navarra H. Virgen del Camino Clínica Universitaria Altri Centri Totale Fase 1 2 3 4 Totale Mascheramento No Sì Totale Aleatorietà No Sì Totale Gruppo controllo No Sì Totale Placebo No Sì Totale La necessità di migliorare la comunicazione tra i ricercatori e i partecipanti alla sperimentazione. L’esperienza della Spagna N. dei casi % % accumulata 56 23 66 15 160 35.0 14.4 41.3 9.3 100 35.0 49.4 90.7 100 27 15 90 28 160 16.9 9.4 56.3 17.5 100 16.9 26.3 82.5 100 88 72 160 55 45 100 55 100 32 128 160 20 80 100 20 100 30 130 160 18.8 81.2 100 18.8 100 127 33 160 79.4 20.6 100 79.4 100 Tab. 1 - Descrizione degli EC selezionati mediante campionamento aleatorio: N. 128 - 2001 253 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Caratteristiche del consenso informato presentato al CEIC (Comitato etico di ricerca clinica) N. casi Descrizione di obiettivi METODOLOGIA Placebo Sì No Totale Aleatorietà Sì No Totale Mascheramento Sì No Totale Autorizzazione Comitato etico Sì No Totale Trattamento dell’EC Sì No Totale Rischi Sì No Totale Possibili benefici Sì No Totale 160 32 1 33 % % accumulata 100 97 3 100 N. casi % % accumulata 160 100 100 160 100 100 158 2 160 98.8 1.2 100 98.8 100 100 60 160 62.5 37.5 100 62.5 100 148 12 160 92.5 7.5 100 92.5 100 132 28 160 82.5 17.5 100 82.5 100 139 21 160 86.9 13.1 100 86.9 100 148 12 160 92.5 7.5 100 92.5 100 120 40 160 75 25 100 75 100 100 97 3 99 29 128 77.3 22.7 100 77.3 100 57 15 72 79.2 20.8 100 79.2 100 49 111 160 30.6 69.4 100 30.6 100 159 1 160 99.4 0.6 100 99.4 100 155 5 160 96.9 3.1 100 96.9 100 134 26 160 83.8 16.3 100 83.8 100 DIRITTI PAZIENTE Partecipazione volontaria Sì Ritiro Volontario Sì Non condiziona trattamento Sì No Totale Possibilità interruzione Sì No Totale Confidenzialità Sì No Totale Revisione autorizzata Sì No Totale Esistenza assicurazione Sì No Totale Nome ricercatore Sì No Totale Contatto ricercatore Sì No Totale Tab. 2 - Descrizione dei punti chiave che deve affrontare il Consenso Informato presentato al Comitato Etico per la valutazione • controllo dell’esperimento clinico dall’inizio fino al ricevimento della relazione finale. Per quanto riguarda il consenso informato (CI) bisogna sottolineare i seguenti aspetti, regolati nell’articolo 12 del già citato RD 561/93: • È imprescindibile che il sog- getto dia liberamente il consenso a partecipare • Tutte le persone coinvolte nell’EC eviteranno di esercitare qualsiasi influenza sul soggetto • Il soggetto esprimerà il proprio consenso preferibilmente in forma scritta • Il consenso potrà essere revocato in qualsiasi momento senza che questo implichi pregiudizio alcuno per il soggetto Nella regione autonoma della Navarra esiste un unico Comitato etico di ricerca clinica per l’insieme degli impianti sanitari situati nella stessa e la costituzione e le funzioni di esso sono regolate per legge (Decreto Foral 308/93, modificato posteriormente dal DF 252/96). Dagli antecedenti menzionati si deduce che la principale funzione dei Comitati etici è 254 di garantire la protezione delle persone che partecipano alla sperimentazione clinica. Per verificare che vengano salvaguardati i diritti degli eventuali partecipanti, il Comitato etico si basa sull’esame di due tipi di documentazione differenti: il protocollo dell’EC (compresa l’adeguatezza e la qualificazione del- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini N. 128 - 2001 l’équipe di ricercatori) e il protocollo destinato ai soggetti e contenente l’informazione relativa allo svolgimento dell’EC (documento di consenso informato). Tuttavia l’esperienza mostra una situazione caratterizzata dalla mancanza di capacità operativa, tanto da parte del Comitato etico che dell’Auto- Per quanto riguarda il protocollo dell’EC (sua pertinenza, schema e metodologia) sembra esserci un consenso sul fatto che la qualità degli EC, con il passare degli anni, sta migliorando gradualmente e generalmente, soprattutto quando un’elevata percentuale degli stessi corrisponde a esperimenti multicentrici e, talvolta, multinazionali con un ampio sostegno epidemiologico e statistico. Tuttavia, abbiamo poche certezze sul suo sviluppo posteriore, essendo numerosa la bibliografia esistente su errori e frodi negli EC. In relazione alla pratica del consenso informato esistono difficoltà oggettive, già descritte da quasi quindici anni, legate allo sviluppo della relazione medico-paziente e derivanti in parte dal conflitto di interessi tra medico e paziente e in parte dalla relazione che si stabilisce tra entrambi gli attori e che può condizionare, persino in maniera inconscia, la partecipazione del paziente all’EC. D’altra parte risulta molto difficile valutare il processo dell’informazione, cioè stabilire se ci sia stato veramente uno scambio di informazione tale da ridurre al minimo i problemi di comprensione da parte del paziente o se, al contrario, ci si sia limitati a rità sanitaria, nell’esercitare le competenze in materia di controllo e ispezione degli EC affidate loro in base a quanto previsto negli articoli 46 e 47 del RD 561/93. Se dunque è così, che prove ci sono che, durante l’esecuzione dell’EC, si compiano i requisiti stabiliti in base al citato RD 561/93? Valutazione archivi dei ricercatori Archiviano dati N. casi Sì 85 No 37 Totale 122 Esiste documento d‘identità Sì 85 No 37 Totale 122 Coincide con quello presentato al CEIC Sì 81 No 4 Totale 85 Firma paziente Sì 85 No 37 Totale 122 Firma ricercatore Sì 69 53 No Totale 122 Esiste CRD Sì 96 No 26 122 Totale Existe monitoraggio Sì 77 No 45 122 Totale % % accumulata 69.7 30.3 100 69.7 100 69.7 30.3 100 69.7 100 95.3 4.7 100 95.3 100 Tab. 3 - Descrizione della revisione effettuata sui ricercatori Il primo dato che emerge è che dei 160 EC revisionati, 38 69.7 30.3 100 69.7 100 56.6 43.4 100 56.6 100 78.7 21.3 100 78.7 100 63.1 36.9 100 63.1 100 (23.8%) non erano stati portati a termine per una ragione o per l’altra. Indice Flesh: Rango: 0-17; Media:2.11; Dev. stimata: 3.48; Moda: 53; Percentile 75:54 Complessità delle frasi: Rango: 19-70; Media: 46.49; Dev. stimata: 1.13; Moda: 78; Percentile 75:79 LEGIN: Rango: 30-90; Media: 55.4; Dev. stimata: 13.65; Moda: 47; Percentile 75:64 Indice Flesh>10:3.8% Complessità delle frasi<40:30.6% LEGIN>70:16.3% Tab. 4 - Descrizione di leggibilità formale N. 128 - 2001 fornire un formulario, come se si trattasse di una pratica di routine. In questo caso, dato che i documenti per il consenso informato non sono previamente convalidati, la loro comprensibilità può risultare seriamente compromessa. Obiettivi Principali 1. Valutare il grado di completezza del consenso informato negli esperimenti clinici autorizzati dal Comitato etico di ricerca clinica della Navarra eseguiti in questa regione autonoma nel periodo 1995-99. 2. Conoscere come i partecipanti valutano l’informazione ricevuta in relazione alla necessità, utilità e comprensibilità dell’informazione fornita dal ricercatore sullo svolgimento dell’esperimento clinico. 3. Individuare aree di miglioramento e proporre soluzioni. Secondari 4. Valutare se il documento di La qualità percepita e l’informazione ai cittadini consenso informato presentato ai partecipanti coincide con quello presentato per l’approvazione al Comitato etico. 5. Conoscere il grado di leggibilità formale dei documenti di consenso informato forniti negli EC. 6. Valutare il grado di realizzazione dei procedimenti normalizzati di lavoro da parte dei ricercatori vo massimo atteso di 7% e un livello di attendibilità del 95%. La lista di numeri aleatori è stata creata mediante un programma ad hoc. • Schema dello studio: comunicazione ai ricercatori dell’inizio dello studio; ottenimento del campione; comunicazione ai ricercatori selezionati; raccolta dati; analisi e conclusioni. Metodologia e piano di lavoro Dato che il progetto comprende una serie di obiettivi differenti, qui di seguito si esporrà solo la metodologia relativa alla presente comunicazione. • Popolazione campione: l’unità di campionamento è l’esperimento clinico. Il CEIC nel periodo considerato ha autorizzato 289 EC. Il volume del campione è stato calcolato ipotizzando che almeno il 12% degli EC presenteranno un qualche tipo di difetto formale nella compilazione del CI, con un valore negati- Conclusioni Il documento di consenso informato inviato alla revisione dal promotore risponde, in termini generali, ai principi accolti sia nella dichiarazione di Helsinki che nella legislazione spagnola, anche se esistono paragrafi con chiare indicazioni di miglioramento (per esempio, menzionare l’approvazione da parte del Comitato etico, la descrizione dei benefici per il paziente, la necessità che le autorità sanitarie sottopongano lo studio a revisione, l’esistenza di un’assicurazione che copra i possibili danni, come e/o dove 255 contattare il ricercatore, precisazioni queste assenti in >15% degli EC). Risalta il grande numero di esperimenti clinici approvati dal Comitato etico e in seguito non avviati. Anche la percentuale di ricercatori che non conservano i loro dati è molto elevata. Tutti i dati riferiti alla custodia e all’archiviazione della documentazione corrispondente al Comitato etico rivela, da parte dei ricercatori, lacune e, di conseguenza, settori in cui apportare importanti miglioramenti. La leggibilità formale dei formulari di consenso informato forniti ai partecipanti agli EC è insufficiente. La complessità del vocabolario è molto elevata. Se l’informazione ha luogo sulla base di documentazione scritta, le difficoltà del soggetto partecipante di capire l’informazione e dare il proprio consenso sono nella pratica maggiori di quanto non si voglia. 256 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Patrizia Farruggia* Sonia Cavallin** Andrea Longanesi*** Mariarosa Berdondini**** * Direttore Presidio ospedaliero Bellaria Maggiore ** Responsabile settore accoglienza e informazione7 presidio Bellaria Maggiore *** Dirigente sanitario Presidio Bellaria Maggiore **** Referente URP Ospedale Bellaria I l primo biglietto da visita per l’utente che si rivolge alla nostra struttura è spesso quello che maggiormente incide sul giudizio finale condizionando tutto l’iter seguito sia in caso di ricovero che in caso di prestazione occasionale. Per questo motivo abbiamo pensato ad un “documento” che rispondesse a caratteristiche di informazione, orientamento, chiarezza, praticità d’uso e facile consultazione e aggiornamento. Per maggior completezza e per rendere partecipe il cittadino degli sforzi e dei cambiamenti indotti, abbiamo altresì voluto che ogni Unità Operativa esplicitasse all’interno del proprio documento, anche gli impegni assunti nei confronti degli aspetti più concreti e tangibili in ordine all’efficienza organizzativa (orari di visita, orari ricevimento medici), agli aspetti relazionali (raccolta dati anamnestici in locale separato, informativa consenso informato, infermiere addetto all’accoglienza), al comfort alberghiero (possibilità scelta menu, stoccaggio termico del pasto per il paziente fuori reparto, sale di soggiorno, noleggio TV), ai servizi di supporto all’interno o adiacenti N. 128 - 2001 Un “progetto accoglienza” alla struttura (edicola, punti di ristoro, servizio di barbierato) e non ultimi, tutti gli indicatori relativi agli standard qualitativi delle prestazioni offerte (tempi d’attesa per visite, esami diagnostici, modalità d’accesso e prenotazione, catalogo dei prodotti offerti). In alcune Unità Operative è stato altresì possibile elencare i punti d’eccellenza per i quali l’Unità stessa si è distinta o assurta a notorietà in ambito sia regionale che extra. Nel corso dell’anno 2000 tutte le Unità Operative oltre al settore accoglienza e informazione hanno elaborato e quindi pubblicato le “Carte degli impegni” operando in stretta collaborazione con il Settore stesso che, tramite l’Ufficio Relazioni con il pubblico, ha avuto funzioni di indirizzo, coordinamento, counseling e, in alcuni casi, di fattiva prestazione d’opera editoriale. Proprio per consentire un facile impatto nella pubblicazione, ogni Carta è stata elaborata e prodotta a computer utilizzando programmi in uso in tutte le UU.OO. (Word + Clipart Publisher) e, ad elaborazione conclusa, riprodotta tramite fotocopiatura tramite il Centro stampa. La presentazione della “Carta degli impegni”, un documento sulle prestazioni offerte per la verifica degli impegni dichiarati Per una facile e veloce consultazione delle stesse, oltre che per una presentazione aggiornata ed esaustiva, tutte le Carte degli Impegni sono altresì consultabili via Intranet collegandosi con il sito Internet dell’Azienda (www. ausl. bologna.it). Il nome dato al documento prodotto, è frutto di un percorso logico che dà volutamente risalto agli Impegni veri e dichiarati che gli operatori e i professionisti delle UU.OO. quotidianamente scelgono di rispettare nei confronti sia dei cittadini in ospedale che dei propri colleghi. La Carta degli Impegni viene messa a disposizione degli utenti sia all’interno dei servizi diagnostici (per impossibilità materiale di stamparne in congruo numero è messa in esposizione in appositi spazi) sia all’interno dei reparti di degenza dove, al momento dell’accoglienza in reparto, il personale infermieristico pre- posto o la Caposala stessa, lo illustrano all’utente consegnandogliene una copia. Ogni anno il referente della Carta degli impegni propone al Direttore dell’U.O. le eventuali modifiche e/o aggiornamenti che consentono di mantenere corrette e puntuali le informazioni contenute dando così modo anche al Settore accoglienza e informazione di mantenere costantemente aggiornato il percorso informativo sia in entrata che in uscita. Nel corso dell’anno 2000 in collaborazione con il settore Qualità dell’Ufficio sviluppo organizzativo è stata condotta una indagine, tramite questionari, all’interno del presidio Bellaria-Maggiore sulla “Qualità percepita all’interno della degenza” che ha analizzato diversi fattori di qualità nell’ambito della accoglienza e organizzazione della giornata, Qualità alberghiera, (segue a pag. 268) N. 128 - 2001 Teresa Alberti* Carlo Hanau** Emanuela Pipitone*** * Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza dell’Ospedale Maggiore-Bellaria dell’Azienda USL della città di Bologna ** Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Bologna *** Osservatorio Epidemiologico del Comune di Bologna Settore Salute e Qualità della Vita N egli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento degli accessi ai Pronto Soccorso e insieme ad un aumento della consapevolezza dei pazienti dei diritti rispetto al funzionamento del servizio sanitario pubblico. Contemporaneamente il decreto delegato n. 502/92 imponeva alle aziende sanitarie di valutare la soddisfazione degli utenti, che sappiamo influenza l’aderenza degli stessi al trattamento e il risultato delle cure. Dunque la soddisfazione degli utenti del servizio sanitario nazionale può essere assunta come una misura di risultato e indicatore di efficacia del servizio stesso. La qualità percepita viene di solito misurata con indagini periodiche presso gli utenti, che si avvalgono di questionari autocompilati o con interviste telefoniche o con le segnalazioni di disservizi e reclami. Gli indicatori che comunemente vengono usati includono la professionalità degli operatori, la qualità delle cure, come elemento 257 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Pronto soccorso e Medicina d’urgenza percepito complessivamente dopo la conclusione del contatto assistenziale, aspetti strutturali come la comodità di accesso, l’ambiente fisico, la disponibilità del personale, il tempo di attesa, la continuità delle cure e l’esito. L’importanza relativa dei vari indicatori di gradimento è critica per promuovere piani di miglioramento. Il presente studio si è svolto in un campo dell’assistenza sanitaria particolarmente difficile per il riconoscimento dell’opinione degli utenti (pazienti e loro familiari) sulla qualità percepita: il Pronto Soccorso e la Medicina d’urgenza. A questi servizi si accede in situazioni di emergenza o di urgenza che costituiscono un ostacolo obiettivo all’espressione ed alla raccolta delle opinioni. Per questo si è rivolta particolare cura alla modalità di raccolta delle informazioni, che è stata eseguita attraverso questionari anonimi distribuiti da volontari delle associazioni partecipanti al Comitato consultivo misto dell’Azienda La presentazione della “Carta degli impegni”, un documento sulle prestazioni offerte per la verifica degli impegni dichiarati USL città di Bologna, i quali erano disponibili a fornire aiuto nella compilazione del questionario stesso. Obiettivi L’obiettivo dello studio è verificare la qualità percepita dagli utenti di un servizio di Pronto Soccorso e Medicina d’urgenza di Bologna, progetto che prese corpo per scelta e accordo tra il primario dirigente di quel servizio, il Comitato consultivo misto che opera nell’Ospedale Maggiore di Bologna, con la collaborazione dell’Osservatorio Epidemiologico del Comune di Bologna, per l’elaborazione statistica dei dati e la relativa analisi, nonché della Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Bologna. Il servizio di Pronto Soccorso/Medicina d’urgenza è par- te fondante del Dipartimento di Emergenza e valuta e assiste tutti i pazienti acuti che afferiscono ad una zona di Pronto Soccorso, cosiddetto “Triage infermieristico”, sia a piedi autonomamente, sia in ambulanza, sia inviati dal medico curante. Le condizioni di gravità di questi pazienti vanno dalla massima “Emergenza” che comporta gravissime condizioni cliniche che mettono in pericolo la vita, a condizioni gravi che possono prefigurare imminente pericolo per la vita, a urgenze compatibili con certi tempi di attesa per il trattamento e infine non urgenze con le richieste più varie. L’area della Medicina d’urgenza comporta 48 letti attigui a quella del Pronto Soccorso, letti in cui si stabilizzano le condizioni ancora critiche dopo la prima valutazione e 258 trattamento in Pronto Soccorso, si perfeziona l’orientamento diagnostico, prima della dimissione del paziente o del suo trasferimento ad altro reparto. Tra gli obiettivi del progetto erano previsti, alla sua conclusione, comunicazioni alla stampa e diffusione al pubblico dei risultati da parte del personale del servizio, dell’Azienda e del Comitato misto. Va aggiunto anche che da anni nel servizio che ha sviluppato il Progetto esiste una sensibilizzazione e una formazione a queste tematiche, il che ha fatto accettare di buon grado al personale di misurarsi in maniera chiara e trasparente. Materiali e metodi Nel 1998 è stato costituito un gruppo di progetto composto da tre medici del servizio, due capo sala, otto infermieri, e un ausiliario col compito di stendere le linee generali del progetto e identificare i criteri privilegiati per sondare la soddisfazione degli utenti, criteri che hanno trovato espressione in specifiche domande sulla: professionalità degli operatori sanitari, medici e infermieri, la qualità delle cure, la capacità di identificare le principali patologie da trattare, i tempi di attesa, la chiarezza e l’efficacia della comunicazione, la gentilezza del personale. Sono stati costruiti due diversi questionari da compilare direttamente dai pazienti, uno per il Pronto Soccorso e uno per la Medicina d’urgenza, con 17 domande ciascuno, quasi tutte chiuse. Essen- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini do questionari anonimi non contengono né le caratteristiche anagrafiche dei pazienti, né quelle cliniche (distinzione per maggiore o minore gravità, tipo di diagnosi). I questionari contengono invece l’indicazione di esito: dimesso o ricoverato da Pronto Soccorso e dimesso o trasferito ad altro reparto dalla Medicina d’urgenza. Il gruppo di lavoro ha studiato anche le modalità di somministrazione dei questionari, dopo aver contattato il Comitato Consultivo Misto dell’Ospedale Maggiore, che ha collaborato volontariamente alla distribuzione dei questionari, e al gruppo di lavoro, insieme ad alcuni infermieri liberi professionisti dell’APIB (Associazione Professionale Infermieri Bologna). Già in fase di costruzione dei questionari le domande che ci sono parse più significative erano quelle riguardanti i tempi d’attesa, la qualità dell’assistenza ricevuta sia dai medici che dagli infermieri, le informazioni ottenute ed il giudizio finale complessivo. I questionari sono stati testati in un periodo di prova di tre giorni (compreso un week-end) per il Pronto Soccorso e di una settimana per la Medicina d’urgenza, dalle ore 8 alle ore 20. L’attività del personale coinvolto nella somministrazione non si limitava alla semplice distribuzione del materiale da compilare, ma forniva informazioni sull’iniziativa, e se necessario, assistenza alla compilazione. L’assistenza veniva fatta direttamente dal paziente o dal familiare, se il paziente non poteva farlo autonomamente. I questionari sono stati distribuiti e compilati in quattro diverse settimane distribuite nell’arco dell’anno. Nel complesso sono stati restituiti compilati 1536 questionari dei 2045 (75%) consegnati al Pronto Soccorso e 529 dei 696 (76%) consegnati alla Medicina d’urgenza. L’analisi descrittiva è stata integrata da un’analisi di tipo bivariato mediante test chiquadrato e regressione semplice non parametrica e da un’analisi di tipo multivariato mediante regressione logistica. Risultati Pronto Soccorso Nel Pronto Soccorso il questionario è stato consegnato dagli incaricati dopo l’accoglienza e la registrazione all’ufficio amministrativo e comunque nel momento che pareva più adatto per l’accettazione del questionario stesso, con richiesta di consegna al termine del percorso assistenziale-diagnostico in un contenitore predisposto. La percentuale dei non rispondenti per ciascuna delle domande è andata da un massimo di 337, pari al 22% dei questionari compilati, ad un minimo di 81, pari al 5,2%. L’accoglienza al Pronto Soccorso è stata giudicata secondo le proprie aspettative nell’81% dei casi, si tratta di una percentuale molto elevata, ma va comunque sottolineato che, viceversa, il 19% dei pazienti (pari a 271 pazienti) dà un giudizio negativo, dichiarandosi non soddisfatto; il numero dei non rispondenti in questo caso è stato minimo, pari a 81 pazienti. N. 128 - 2001 Il 16,2% dei pazienti che hanno risposto è stato ricoverato in reparto, ma è molto alto il numero di non rispondenti (28%) forse per il fatto che chi viene ricoverato ha patologie più gravi e non è riuscito sempre a compilare il questionario prima del ricovero. Infatti considerando la domanda relativa all’autopercezione dei pazienti di essere stati costantemente tenuti sotto controllo dal loro ingresso in Pronto Soccorso, risulta più alta la percentuale di chi dichiara di essersi sentito molto sotto controllo tra coloro che sono stati successivamente ricoverati rispetto a chi non lo è stato, probabilmente perché i pazienti più gravi sono seguiti maggiormente dal personale medico ed in tempi più brevi. L’aspetto dell’autopercezione del pazienti risulta essere rilevante per il giudizio complessivo: è alto il numero di chi non si è sentito per nulla controllato (20,5%) o poco controllato (21,9%); solo il 12,3% si è sentito molto controllato. Va, comunque, evidenziato l’alto numero di non rispondenti a questa domanda (28,1%) Per meglio comprendere da cosa dipende l’autopercezione dei pazienti di sentirsi sotto controllo risulta importante il modo in cui i pazienti hanno risposto alla domanda: se per loro la cura iniziava nel momento in cui incontrava l’infermiere o il medico. È risultato che meno della metà dei pazienti (49%) percepisce l’effettuazione del Triage infermieristico come inizio dell’affidamento alle cure sanitarie. Il fatto che N. 128 - 2001 questo sia un punto critico trova conferma dal fatto che solo il 40,1% dei pazienti rispondenti afferma di avere ottenuto adeguate informazioni riguardo i criteri con cui vengono assegnate le priorità relative alla lista di attesa e che solo il 47,2% risponde di essere soddisfatto delle informazioni fornite dagli infermieri a proposito di come si sarebbe svolta l’assistenza in Pronto Soccorso. Le risposte a queste ultime due domande sono concordanti, infatti nell’84,5% dei casi chi ha risposto positivamente ad una delle due domande lo ha fatto anche all’altra. Sono particolarmente interessanti le domande che indagano sulle informazioni ricevute da infermieri e medici, dove, però, si riscontra un notevole numero di non rispondenti e una forte insoddisfazione. Infatti il 63,4% non ha ricevuto informazioni comprensibili sul proprio stato di salute, e nel caso in cui l’informazione è stata data dal medico la percentuale di soddisfatti è leggermente superiore: 65,7%, ma è ancora piuttosto bassa se si pensa che la pratica medica dell’informazione al paziente dovrebbe essere molto antica. Altro aspetto fondamentale indagato dal questionario riguarda i tempi di attesa. Il 26,1% (327 pazienti) ha atteso meno di 30 minuti, il 28% dei casi (349 pazienti) ha atteso tra 30 minuti e 1 ora, il 32% (405 pazienti) tra 1 e 3 ore, ed il 13,9% (174 pazienti) più di tre ore. Il giudizio sulla soddisfazione globale della permanenza in Pronto Soccorso è influenzato parti- La qualità percepita e l’informazione ai cittadini colarmente dei tempi di attesa; infatti tra i pazienti che si dichiarano globalmente soddisfatti (pari soltanto al 66% dei rispondenti) vi è l’84% del totale di pazienti che ha atteso poco, cioè meno di 1 ora. Inoltre quasi tutti (l’80,5%) coloro che si sono dichiarati globalmente soddisfatti dell’assistenza ricevuta hanno dichiarato di avere ricevuto le attenzioni dovute durante l’attesa, altro fattore, pertanto, che ha influenzato il giudizio complessivo. Tornando ai tempi di attesa risulta, inoltre, che più a lungo il paziente ha atteso più alta è la percentuale di coloro che non si sono sentiti presi in carico: tra tutti quelli che hanno risposto di non essere soddisfatto il 74,7% ha aspettato più di 1 ora; in particolare, coloro che hanno aspettato più di 3 ore, dichiarano di non essere stati soddisfatti nel 78,1% dei casi. Per quel che concerne il giudizio dato sull’assistenza degli infermieri e dei medici, domande particolarmente significative per giudicare la qualità dei servizi offerti, risultano percentuali nettamente più alte di giudizi positivi; va segnalato, comunque, un numero di non rispondenti abbastanza alto (19% per il giudizio sull’assistenza infermieristica e 24% per quella medica) forse perché non se la sentivano di rispondere quelli che avrebbero dovuto stigmatizzare negativamente i comportamenti, anche se i questionari erano anonimi. Risulta una discreta concordanza tra il giudizio sulla professionalità di entrambi i tecnici (R = 0,65), anche se è leggermente superiore il giudizio positivo dato alla professionalità medica rispetto all’infermieristica (79,1% vs. 69,9%), anche in casi in cui il controllo della situazione è avvertito come piuttosto scarso (soltanto l’85,3% di chi ha definito molto accurata l’assistenza medica dichiara che la propria situazione era stata tenuta sufficientemente o molto sotto controllo, contro il 93% per gli infermieri). Questa differenza nei giudizi può essere dovuta al fatto che spesso i pazienti nei confronti del medico hanno maggiore fiducia e minor controllo sulla loro tecnica. Questo ci fa riflettere ancora una volta sull’importanza che gli assistiti percepiscano il controllo del Triage in Pronto Soccorso e sul fatto che questo controllo è ancora scarso: laddove il controllo lo si percepisce è alto e concordante il giudizio positivo sulla professionalità infermieristica. Considerando il rapporto tra queste domande con il giudizio globale, risulta che tra i pazienti globalmente non soddisfatti vi è l’81,5% che ha giudicato l’assistenza degli infermieri negligente o poco accurata, mentre per i medici la percentuale si abbassa a 74,9%; il 91,5% di chi si è sentito sotto controllo durante l’attesa ha dichiarato di essere globalmente soddisfatto del trattamento in Pronto Soccorso. I questionari sono stati compilati autonomamente dal 62,8% dei pazienti, dal 16,3% con l’aiuto di un familiare e solo dal 14,7% esclusivamente da un familiare. Confron- 259 tando questa caratteristica con la sensazione dell’intervistato che la sua situazione fosse sempre aggiornata o sotto controllo durante le varie fasi della cura, risulta che se il paziente ha risposto autonomamente o con l’aiuto dei familiari la distribuzione del grado di soddisfazione è abbastanza simile. Se invece il paziente risponde con l’aiuto del personale o di un volontario del Comitato Consultivo Misto, si assiste ad una estremizzazione delle risposte, che si concentrano sul “per nulla” (39,7% del totale dei rispondenti con l’aiuto del personale) e sul “molto soddisfatti” (26,5%). In generale vengono espressi giudizi più negativi quando l’aiuto alla compilazione viene da parte del volontario ed il giudizio “molto soddisfatto” viene dato più frequentemente nel caso in cui sia il personale ad aiutare nella compilazione. Inoltre, se il familiare risponde al posto del paziente più del 50% delle risposte si concentra sulla risposta “sufficiente”, mentre se il paziente risponde autonomamente o solo con l’aiuto del familiare questa percentuale si abbassa al 45% e 49%, rispettivamente. A questo proposito si fa rilevare che i pazienti che hanno compilato autonomamente il questionario e quelli che l’hanno fatto con solo l’aiuto di un familiare hanno dato giudizi molto simili riguardo questo aspetto che, più degli altri, indaga sull’autopercezione. Invece i familiari quando rispondono al posto del paziente sono meno esigenti. Mentre dal confronto 260 con i giudizi dati all’assistenza complessiva ricevuta in Pronto Soccorso risulta che nel caso in cui il questionario sia stato compilato da un familiare o con l’aiuto del personale o del volontario il giudizio globale è risultato più frequentemente positivo: 73,6% e 72,3% rispettivamente vs. il 63,4% dei giudizi positivi quando il questionario è stato compilato autonomamente ed il 64,6% quando il questionario è stato compilato con l’aiuto di un familiare, di nuovo si rileva più concordanza tra i giudizi nel caso in cui il paziente ha compilato autonomamente il questionario e nel caso in cui sia stato aiutato da un familiare. La qualità percepita e l’informazione ai cittadini N. 128 - 2001 Quindi, utilizzando la regressione logistica, si sono esaminati assieme tutti i fattori che potevano aver contribuito all’emissione di un giudizio complessivo sulla permanenza nel Pronto Soccorso; è risultato che i fattori che più hanno inciso sul giudizio negativo sono stati, nell’ordine di importanza: l’accoglienza in Pronto Soccorso (se non avvenuta secondo le aspettative), la non soddisfazione (completa o parziale) sulle informazioni date all’accompagnatore, l’aver atteso più di 3 ore, l’essersi non sentiti presi in carico, il non avere considerato che la propria situazione fosse molto sotto controllo durante tutte le fasi della cura, il giudizio nega- sposte dipendano anche dalla gravità clinica. La percentuale di non rispondenti oscilla dall’8,5% (45 soggetti) al 42,3% (224 soggetti). Più elevata di quella precedente. L’accoglienza in reparto è avvenuta secondo le aspettative dei pazienti nell’89% dei casi, superiore rispetto a quanto dichiarato nel caso del Pronto Soccorso; viceversa vi è l’11% di pazienti insoddisfatti. In questo secondo questionario i tempi d’attesa indagati sono quelli compresi tra l’arrivo in ospedale e il ricovero in reparto; il 39% dei pazienti ha impiegato più di 2 ore e il 61% meno di 2 ore. Chi ha accompagnato i pazienti in reparto (per lo più gli ausilia- Variabile intercetta accoglienza in Pronto Soccorso soddisfazione completa sulle informazioni date all’accompagnatore soddisfazione parziale sulle informazioni date all’accompagnatore aver atteso tra 2 e 3 ore aver atteso tra 3 e 4 ore aver atteso più di 4 ore essersi sentiti presi in carico avere considerato che la propria situazione non fosse sotto controllo durante tutte le fasi della cura avere considerato che la propria situazione fosse molto sotto controllo durante tutte le fasi della cura giudizio di assistenza negligente del personale infermieristico giudizio di assistenza poco accurata del personale infermieristico giudizio dell’assistenza abbastanza accurata del personale medico giudizio dell’assistenza molto accurata del personale medico compilazione del questionario fatta dal personale tivo sull’assistenza del personale infermieristico e medico e la compilazione del questionario non fatta dal personale (Tab. 1). Medicina d’urgenza Per quel che riguarda la Medicina d’urgenza il questionario è stato consegnato a tutti i ricoverati il primo giorno della settimana di rilevamento e nei giorni successivi veniva consegnato ai nuovi entrati in reparto, con richiesta ai pazienti in dimissione e in trasferimento di restituire il questionario nell’apposito contenitore. Essendo anonimi, i questionari non sono riferibili ad alcuna cartella clinica e ciò impedisce di capire se le ri- Parametro p Odds Ratio 3,30 -1,85 -1,61 0,2877 0,0001 0,0001 – 0,16 0,20 -0,94 0,0039 0,39 0,77 1,21 2,18 -0,90 0,83 0,0097 0,0002 0,0001 0,0006 0,0066 2,15 3,35 8,84 0,41 2,30 Tab. 1. Modello di regressione logistica con variabile d’uscita = giudizio complessivo sull’assistenza in Pronto -1,43 0,0444 0,24 1,71 0,0038 5,51 1,96 0,0001 7,08 -1,02 0,0013 0,36 -1,86 0,0001 0,16 -1,40 0,0192 0,25 Soccorso N. 128 - 2001 ri) è stato giudicato come disponibile nella grande maggioranza dei casi (94%). Per quanto riguarda l’informazione ricevuta (in questo caso si è rilevato un numero basso di non rispondenti), uno degli aspetti fondamentali indagati dal questionario, il 59,3% dei pazienti ha dichiarato che ha ricevuto dal personale infermieristico le necessarie informazioni al momento dell’accoglienza in reparto; la criticità di questa funzione è rivelata da questo basso valore registrato. Le informazioni ricevute sono, comunque, risultate sufficienti al 72% degli intervistati che hanno risposto. Riguardo alle modalità (scritte, verbali o entrambe) con cui si sono ricevute le informazioni, risulta che l’informazione è stata quasi esclusivamente verbale (78,4% dei casi), scritta solo nel 15%, ma su questa domanda si rileva un’altissima percentuale di non rispondenti (61%). L’indagine sull’informazione si esprime, quindi, negativamente e mostra che il paziente non è stato toccato né dall’informazione verbale, né da quella scritta, al punto da non saper rispondere neanche alla domanda in merito. Indagando più a fondo sulle risposte date ai quesiti relativi all’informazione ricevuta, scaturisce che le informazioni sono risultate più chiare quando sono state date assieme sia in forma verbale che scritta (95%) rispetto al 72% che risulta, invece, quando le informazioni sono state solo verbali ed al 79% quando le informazioni sono state solo scritte. La qualità percepita e l’informazione ai cittadini La criticità dell’informazione nell’assistenza sanitaria in genere e, soprattutto, nei servizi d’urgenza ove è particolarmente difficile essere esaustivi sugli aspetti relativi all’assistenza ed al ricovero, è confermata dalle risposte date ad un ulteriore quesito molto semplice: “Al suo arrivo le hanno spiegato come richiedere l’intervento immediato del personale?”, solo il 61,8%, infatti, ha risposto positivamente Tra chi esprime abbastanza o molta soddisfazione sulle informazioni ricevute dal personale, la percentuale di giudizi positivi è risultata, anche in questo caso, leggermente superiore per i medici. Le domande sulla disponibilità complessiva di infermieri e medici riportano percentuali ugualmente alte (89,5%) per entrambe le categorie. Tuttavia dal confronto risulta che il 51% di quelli che hanno giudicato poco disponibili gli infermieri, giudicano, invece, disponibili i medici, mentre solo il 6% dichiara che accade il contrario. Risulta una correlazione positiva abbastanza alta (R = 0,55) anche se in misura minore a quella registratasi in Pronto Soccorso, tra il modo di giudicare i medici e gli infermieri, e si riafferma una prevalenza dei giudizi positivi per i medici. Infatti l’84,6% dei pazienti si dichiara complessivamente abbastanza o molto soddisfatto dell’assistenza ricevuta dagli infermieri, vs. l’88,2% dei pazienti soddisfatti dell’assistenza medica ricevuta. Il giudizio globale, che fornisce la sintesi dei giudizi su tutti gli aspetti fin qui indagati, è stato positivo nell’88,3% dei casi, una percentuale molto superiore a quella espressa per il Pronto Soccorso (65,9%); la percentuale dei non rispondenti è abbastanza alta (21,6%), ma è circa la stessa registrata per l’analoga domanda del questionario somministrato in Pronto Soccorso. Probabilmente nel giudizio sull’assistenza in Pronto Soccorso entrano in gioco fattori di altro tipo, come i tempi di attesa ed il Triage, che più facilmente si prestano ad interpretazioni di tipo soggettivo, che però possono influenzare negativamente il giudizio complessivo. Come già fatto per il Pronto Soccorso, il giudizio complessivo è stato confrontato con altre domande per poter meglio interpretare le risposte. In particolare i tempi di attesa incidono particolarmente sul giudizio, cioè si registra un incremento del giudizio negativo quando l’attesa è superiore: per cui nel 22% dei casi in cui l’attesa ha superato le 4 ore il giudizio globale è risultato negativo, verso il 5,6% dei casi di coloro che hanno atteso meno di 30 minuti. Il questionario è stato compilato autonomamente dal 50,6% dei pazienti; nel 15,4% dei casi è stato compilato con l’aiuto di un familiare e nel 10,3% direttamente da un familiare; nel 23,7% dei casi è stato compilato con l’aiuto del personale. Rispetto al questionario somministrato al Pronto Soccorso una percentuale minore di pazienti lo ha compilato autonoma- 261 mente, questo potrebbe dipendere dalla maggiore gravità clinica rispetto a quelli del Pronto Soccorso. Il numero dei non rispondenti a questa domanda è pari al 15,5%, inferiore rispetto al caso del Pronto Soccorso. Il giudizio negativo è più frequente quando il questionario è compilato direttamente dall’interessato (14,8%), rispetto a quando il questionario è compilato con l’aiuto di altri. In questo caso, al contrario di quanto avveniva per il questionario distribuito in Pronto Soccorso, la risposta data autonomamente dai pazienti si differenzia anche con quella data con solo l’aiuto dei familiari (solo il 6,7% dei giudizi negativi), oltre che con quelle date con l’aiuto del personale (9,9%) o direttamente dai familiari (10,2%). Anche in questo caso è stata realizzata l’analisi multivariata (regressione logistica) per indagare quali fossero le domande che avevano maggiormente inciso sul giudizio complessivo negativo ed è risultato che tali fattori sono: l’avere atteso da 2 a 3 ore, la scarsa disponibilità del personale che ha accompagnato il paziente in reparto, le informazioni insufficienti e la poca disponibilità del infermieristico personale (Tab. 2). Conclusioni Va sfatata la credenza secondo la quale basterebbe accelerare i tempi di attesa, aumentando il personale nei Dipartimenti di Emergenza, per migliorare la soddisfazione dei pazienti; poiché il fat- 262 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Variabile Parametro Intercetta avere atteso da 2 a 3 ore disponibilità del personale che ha accompagnato il paziente in reparto informazioni ricevute disponibilità del personale infermieristico tore da migliorare non è soltanto il tempo di attesa, indicatore pur importante nel caso dei servizi di emergenza, ma soprattutto come si è curati durante il tempo di attesa, che poi incide sulla percezione della lunghezza del tempo di attesa stesso: come il personale presta attenzione, la sua disponibilità, soprattutto quella degli infermieri, che per primi li accolgono, la loro capacità di informare i pazienti che già dall’arrivo in Pronto Soccorso è iniziato il loro percorso di cura, con un rapido esame iniziale dei disturbi e la registrazione di alcuni segni clinici che poi il medico considererà e l’assegnazione dei pazienti da pochi indizi ad una categoria di gravità. Così come è di rilevante importanza il tipo di informazione che il personale dà su ciò che avviene in tutto il percorso di cura durante il tempo impiegato nel Pronto Soccorso. Con ciò si conferma come l’informazione sia un cardine importante dell’intervento sanitario, soprattutto in servizi di urgenza, la cui modalità di accesso non favorisce certo l’espressione e la raccolta delle opinioni. Già durante l’attuazione dello studio si è istituito nel nostro servizio un p Odds Ratio -16,32 1,69 3,02 0,0001 0,0489 0,0001 – 5,39 20,56 1,76 3,89 0,0015 0,0001 5,78 49,10 ambulatorio per le situazioni non urgenti, i cosiddetti codici bianchi attribuiti dall’infermiere di Triage, ad un primo contatto col paziente, ambulatorio con di fronte uno spazio per l’attesa e del tutto lontano dallo spazio dedicato ai pazienti urgenti, che devono essere trattati o immediatamente o in tempi brevi. Questo permette da un lato di migliorare il trattamento delle vere urgenze, quelle che sono già o che possono a breve diventare un pericolo per la vita e dall’altro tranquillizzare chi può attendere per essere visitato dal medico. Abbiamo anche compreso che oltre ad addestrare il personale di Triage ad applicare i criteri con cui vengono assegnate le priorità, è indispensabile addestrare lo stesso personale a dare una informazione adeguata cui criteri stessi che vengono applicati. Ci piace rimarcare che i discreti risultati sono frutto certamente di una lunga formazione ed addestramento del personale alle tematiche di qualità e di Bioetica. Rilevanti maggiormente ai fini della soddisfazione complessiva ci sembrano, dalle percentuali riscontrate di giudizi meno positivi, in ordine di importanza: • la soddisfazione del tempo di attesa; • l’assistenza infermieristica; • elementi organizzativi; • l’assistenza medica; • la soddisfazione dell’informazione da parte degli infermieri. Se uno dei limiti di questo studio può sembrare il fatto che i questionari non permettono risposte aperte, i membri del Comitato Misto vi hanno ovviato registrando le osservazioni verbali di alcuni pazienti. Alcuni sottolineavano il loro scetticismo sull’utilità del questionario per innescare un processo di cambiamento e il fatto che il questionario non è esaustivo sugli aspetti relazionali medico paziente ed infermiere paziente. Altri hanno lamentato anche la scarsità del tempo concesso in Medicina d’Urgenza alla presenza dei parenti che sarebbero di aiuto al personale infermieristico stesso presso i malati, nonché alcuni aspetti ambientali e strutturali (poche le prolunghe dei campanelli, vitto poco appetibile, scarsità di coperte). Alcuni hanno fatto rilevare la scarsa calorosità degli infermieri (“sorridono poco”) e la mancanza di questionari in lingua straniera, mentre gli utenti stranieri del Pronto N. 128 - 2001 Tab. 2. Modello di regressione logistica con variabile d’uscita = giudizio complessivo sull’assistenza in Medicina d’urgenza Soccorso sono ormai numerosi. In entrambi i settori (Pronto Soccorso e Medicina d’urgenza) molti questionari sono stati riconsegnati prima della dimissione dal reparto o prima della fine della permanenza in Pronto Soccorso, parecchi hanno portato a casa il questionario per compilarlo ma non lo hanno restituito. Ci si ripromette in futuro di usare lo strumento come indagine sul gradimento da effettuarsi durante alcune settimane scelte a caso nel corso dell’anno; ma sin da ora alcuni spunti hanno stimolato a riflettere e cambiare alcuni comportamenti. Il Servizio ha già proceduto a stilare una serie di informazioni scritte da consegnare in Pronto Soccorso in molte lingue e sta rivedendo la procedura di accesso dei parenti al reparto, in modo da favorire una maggior presenza accanto ai loro congiunti, senza eccessivamente turbare l’andamento della organizzazione del reparto stesso. Si resta convinti che una buona qualità della informazione sia parte vitale per aumentare il coinvolgimento del paziente, anche in decisioni particolarmente delicate come la scelta del trattamento e l’adesione allo stesso. N. 128 - 2001 Gabriella Negrini* Sonia Cavallin** Patrizia Farruggia*** 263 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Il percorso chirurgico * Dirigente medico Direzione Sanitaria Presidio Ospedaliero Bellaria Maggiore ** Responsabile URP Presidio Ospedaliero Bellaria Maggiore *** Direttore Presidio ospedaliero Bellaria Maggiore L ’AUSL della città di Bologna, nell’anno 2000, ha aderito al progetto nazionale “Il percorso chirurgico e i diritti dei cittadini”, promosso dal Tribunale per i diritti del malato e coinvolgente una quindicina di ospedali italiani, nell’ambito di iniziative tese all’umanizzazione del rapporto medicopaziente. Nella relazione tra cittadinoutente e professionista sanitario si è manifestata, negli ultimi anni, un’evoluzione significativa: da un modello “paternalistico” ci si è avviati sulla strada del riconoscimento della libera, consapevole determinazione dell’assistito su tutto quanto attiene alla sua salute. Per quanto appaia poco realistico prefigurare un reale superamento dell’asimmetria informativa tra gli attori della relazione – non foss’altro per l’oggettiva condizione di “debolezza” del paziente, in ansia per la propria salute – tuttavia la supremazia derivante al medico dal sapere tecnico si è andata affievolendo sotto l’incalzare del principio etico dell’autonomia del paziente, per la spinta all’attuazione del principio giuridico del consenso informato. Per potersi estrinsecare, tale autonomia necessita peraltro di un’informazione al paziente precisa, chiara, sufficientemente articolata e facilmente comprensibile. Nel processo di comunicazione è meritevole di considerazione un ulteriore elemento, riguardante il coordinamento tra la pluralità di professionisti che, a vario titolo, intervengono nella gestione del malato. Su questo scenario di fondo si colloca la peculiare interazione tra paziente e chirurgo. Finalità del progetto Gli obiettivi concretamente perseguiti sono così sintetizzabili: • miglioramento degli aspetti informativi del paziente candidato ad intervento chirurgico programmato affinché possa esercitare il suo diritto di scelta fra diverse tipologie di interventi chirurgici; • raccordo operativo tra medici di Medicina generale e medici ospedalieri teso a migliorare la continuità nella cura; • snellimento dell’iter che dalla prospettazione di necessità di terapia chirurgica giunge alla esecuzione della stessa ed alla successiva fase di controllo. Un protocollo per il riconoscimento della autonomia decisionale del paziente Metodologia Sulla base di una traccia elaborata dal team di progetto a livello nazionale, in sede locale è stato costituito apposito Gruppo di lavoro e di ricerca - composto da: 1 MMG, 1. Medico ospedaliero (è stata prescelta l’U.O. di Chirurgia vascolare, quale partecipante alla prima sperimentazione). 2. Rappresentanti del Comitato consultivo misto dell’Azienda città di Bologna, scelti fra i rappresentanti delle associazioni dei cittadini-utenti, il responsabile dell’URP del presidio ospedaliero, con il coordinamento della Direzione medica del presidio - a cui è stato attribuito il compito di stilare un dettagliato protocollo operativo. La scelta dell’U.O. di Chirurgia vascolare ha determinato alcune prime specificità rispetto alla traccia elaborata a livello nazionale Dalla dialettica tra componente professionale e rappresentanza dei cittadini è scaturita un’approfondita analisi delle diverse tappe del percorso chirurgico e delle problematiche ivi correlate. Elaborato il documento esplicitante gli impegni e le modalità di attuazione delle varie fasi del percorso, con particolare attenzione anche agli aspetti inerenti alla privacy, si è provveduto altresì a predisporre un questionario valutativo che misurasse i risultati dell’attuazione del percorso chirurgico, da somministrare agli utenti. Il progetto che è in piena attuazione nell’U.O. di Chirurgia vascolare – con conclusione dal momento sperimentale a fine anno 2001 –, è stato successivamente esteso alle altre UU.OO. afferenti al dipartimento chirurgico dell’Ospedale Maggiore. Contenuti Alcuni tratti del protocollo comportamentale, riguardanti il rapporto con l’assistito, sono sinteticamente riferiti nel seguito. Medico di riferimento Si è ritenuto importante identificare un medico di riferimento per l’intero corso del ricovero; tale individuazione richiede peraltro la so- 264 luzione di problemi organizzativi –si pensi alla rotazione dei medici nelle diverse attività: sala operatoria, ambulatorio, reparto. Per conciliare le esigenze del paziente con i vincoli di cui sopra, si è scelto di designare, quale referente, il medico che provvede alla redazione del verbale di ingresso in ospedale ed al primo inquadramento anamnestico-obiettivo, mantenendo la facoltà dell’assistito di scegliere, all’interno della équipe di cura, un medico di propria fiducia. Il paziente potrà interagire con il medico referente nel rispetto dei tempi stabiliti per i colloqui, allorquando gli impegni di lavoro non consentano al sanitario di visitare quotidianamente il paziente. Informazione sui trattamenti sanitari Fermo il rispetto delle linee guida adottate nel 1999 in materia nel presidio ospedaliero, si è riaffermato essere l’informazione una componente inscindibile di ogni attività assistenziale, iscritta all’interno di una relazione continua tra il paziente e l’operatore sanitario. Occorre peraltro evitare una frammentazione dell’attività, attraverso disorganiche informative e reiterate richieste formali di consenso a trattamenti anche minimali, in assenza di una sostanziale informazione sugli aspetti pregnanti. Non appare utile, oltre che possibile, chiedere di continuo al paziente se acconsente ad ogni pur minimo atto La qualità percepita e l’informazione ai cittadini assistenziale; non sembra essere questa l’essenza del rispetto della volontà del malato. Solo se si instaura un dialogo non occasionale né stentato, può immaginarsi realizzata quell’informazione che funge da necessario presupposto ad ogni manifestazione di assenso o dissenso. La prima tappa informativa è rappresentata dal contatto con il medico curante – per solito MMG –, con una iniziale illustrazione, anche se a carattere generale, dei possibili scenari. Elemento particolarmente delicato è quello dell’indirizzamento, da parte del MMG, a questo o quel centro, anche se per la sola visita specialistica. Se in molti casi non si ravvisa la opportunità di un indirizzo specifico, lasciando che l’utente scelga tra le possibilità che gli vengono offerte, ad esempio dal CUP metropolitano, talvolta, quando si tratti di patologia meritevole di trattamento impegnativo, il medico viene richiesto di indicare il centro che egli reputa più qualificato. Per quanto ci si stia avviando sulla strada dell’accreditamento e della teorica fungibilità delle diverse strutture sanitarie certificate, non si può ignorare che diversità sussistono pur sempre ed il medico, sulla scorta dell’esperienza maturata, può avere ottime ragioni per prediligere un centro in luogo di un altro. Tale opzione non appare censurabile, quando non sia dettata da motivazioni extra- scientifiche e sia volta a perseguire il miglior risultato possibile per l’assistito. La seconda tappa dell’iter chirurgico vede il paziente nell’ambulatorio dello specialista. In questa occasione, se lo specialista suggerisce un trattamento chirurgico, occorre fornisca ampia informazione sulle possibili alternative, sulla lista d’attesa, sui rischi e sui benefici, sulle strutture c/o le quali ci si può rivolgere, fornendo così al paziente la possibilità di riflettere su quanto gli è stato spiegato, di consultarsi, di decidere quindi ponderatamente. Particolare attenzione va riservata al caso in cui il medico reputi non indicato un dato trattamento – in ragione della bassa probabilità di successo –, nel quale il malato ripone le proprie speranze. Il rispetto del principio di autonomia impone al medico di non mettere in discussione il complesso dei valori che conduce una persona ad assumere una determinata decisione, ancorché in dissonanza con il suo convincimento. Come un assistito può liberamente decidere di non acconsentire ad un trattamento, così gli è data facoltà di accettare un trattamento anche se il medico gliene ha presentato i rischi, superiori a quelli attendibili da una condotta astensiva. Quanto alla forma, si ravvisa l’inopportunità del ricorso alla sola modalità scritta: questa può corredare quella verbale ma senza sostituirla. N. 128 - 2001 La produzione di analitiche informative scritte può indubbiamente apportare un utile contributo a condizione, peraltro, che esse siano redatte in termini agevolmente comprensibili da parte di una persona non “addetta al mestiere”. Frequentemente tali informative perseguono un prevalente scopo “difensivo” e sono stilate con terminologia tecnica oppure contengono informazioni che non risultano di chiara interpretazione per l’utente. Questione spinosa è quella della verifica della comprensione, da parte dell’assistito, dei messaggi trasmessi dal medico: se già sul piano teorico appare non agevole l’individuazione di un modello generale di test – si potrebbe far succintamente ripetere al paziente. ma non si ha garanzia che poi non metabolizzi altro –, non ci si può nascondere le difficoltà operative dell’attuazione di una sistematica verifica. Un’ulteriore tappa coincide con la degenza: l’informazione iniziale deve abbracciare il complesso del processo assistenziale, così da evitare incomprensioni “in corso d’opera”. Al termine del ricovero, al di là della lettera di dimissione – strumento a contenuto tecnico, indirizzato al medico curante – è quasi sempre necessario fornire all’assistito le informazioni di immediato interesse, sulla condotta da tenere, l’attenzione da porre ad eventuali sintomi, le precauzioni da osservare. N. 128 - 2001 Carlo Hanau* Emanuela Pipitone** Andrea Ravaglia * Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Bologna 265 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Il giudizio degli utenti nelle RSA ** Osservatorio Epidemiologico del Comune di Bologna Settore Salute e Qualità della Vita L a nostra società invecchia sempre più e di conseguenza aumenta la necessità delle residenze sociosanitarie (destinate soprattutto ad accogliere gli anziani malati non autosufficienti); rispondere adeguatamente a queste esigenze diviene, quindi, una priorità sociale alla quale devono essere destinate grandi attenzioni, per ottenere una decorosa qualità di vita per questo segmento della popolazione. Uno strumento idoneo a garantire in concreto il miglioramento della qualità e la rispondenza alle esigenze degli utenti è la carta dei servizi, che viene attualmente utilizzata in molte regioni italiane, sia in ospedale pubblico e privato che negli altri servizi residenziali e non residenziali. Le carte dei servizi devono tuttavia sempre tenere conto della voce degli utenti, che risulta spesso troppo flebile e di difficile rilevazione. La presente ricerca si è svolta nel periodo marzogiugno 2000 e ha avuto per obiettivi: • la valutazione del grado di soddisfazione degli utenti delle residenze al fine di ottenere il loro parere sulle residenze, rispetto alle variabili che caratterizzano la qualità; • l’individuazione dei punti critici, sui quali frequentemente i degenti si mostrano non soddisfatti. L’indagine è stata condotta mediante la distribuzione di un questionario appositamente predisposto per gli utenti e per i loro familiari, da parte di Andrea Ravaglia, persona esterna al gruppo degli operatori, che aveva prestato servizio civile all’interno di residenze oggetto dell’indagine. La scelta dell’intervistatore è particolarmente importante per poter fare esprimere la voce dell’utente debole, la sua vera per- Le risposte ad un questionario sull’accoglienza ricevuta, la professionalità e la gentilezza degli infermieri ed ausiliari, la pulizia degli spazi condivisi cezione della qualità, altrimenti condizionata dal timore dell’utente e dei suoi familiari nei confronti della istituzione. Agli ospiti in grado di partecipare all’indagine il questionario è stato somministrato, mediante colloquio diretto, in completa autonomia rispetto al personale dell’ente erogatore del servizio. I familiari hanno espresso il loro giudizio mediante autocompilazione del questionario e restituzione in forma anonima. frequenze assolute RSA Casa protetta Casa di riposo Totale casi validi Domanda non risposta Totale 18 177 15 210 1 211 I questionari raccolti si dividono, a seconda del tipo di istituzione, secondo la seguente tabella n. 1. Il requisito richiesto per il reclutamento è stato il permanere nella struttura da almeno 20 giorni, per consentire all’intervistato di rendersi conto della situazione. Le modalità dell’indagine hanno, quindi, determinato una selezione degli intervistati che, per quanto riguarda gli anziani, si è dovuta limitare a quelli che frequenze percentuali 8,6 84,3 7,1 100 Tab. 1 - Questionari per tipo di struttura 1 La presente ricerca è stata condotta con il contributo del MURST, Cofin 98, diretto dalla Prof. Alessandra Giovagnoli, presso il Dipartimento di scienze statistiche dell’Università di Bologna. 266 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini frequenze assolute da 20 a 30 giorni da 1 mese fino a 2 mesi da 2 mesi fino a 6 mesi da 6 mesi fino a 1 anno da 1 anno fino a 2 anni da più di 2 anni Totale casi validi Domanda non risposta Totale erano in grado di rispondere e per quanto attiene i familiari ha rappresentato l’universo raggiungibile di coloro che avevano frequentato la struttura in quel mese, ai quali sono stati distribuiti brevi manu i questionari, e che successivamente sono stati disponibili all’autocompilazione ed alla restituzione, avvenuta nella misura del 62% rispetto ai questionari distribuiti. La rilevazione si è conclusa dopo 4 settimane. Il tempo medio per completare la somministrazione di un questionario ad un anziano è stato di circa 30 minuti. L’indagine è stata condotta presso 5 strutture assistenziali convenzionate. Complessivamente, sui 210 casi ottenuti con risposta valida, sono stati intervistati 77 anziani e 133 familiari. Materiale e metodi: un quadro generale dei rispondenti L’indagine descrive un insieme di residenti in istituzione costituito per il 75% da donne e così suddiviso per fasce di età: il 9% ha un’età fino ai 70 anni, il 22% ha un’età compresa tra i 71 e gli 80 anni, e il rimanente 69% è costituito da ultraottantenni. 10 11 19 17 35 116 208 3 211 frequenze % 4,81 5,29 9,13 8,17 16,83 55,77 100 La permanenza dei residenti nelle istituzioni è relativamente molto lunga, come si desume dalla tabella n. 2 Per quanto riguarda le condizioni fisiche dell’ospite il 20% è autonomo, il 24% è parzialmente autonomo, il 50% è in carrozzella e infine il 6% è allettato, come si rileva dalla tabella n. 3. Risultati I risultati ottenuti sono complessivamente estremamente positivi: familiari e utenti sono ampiamente soddisfatti delle prestazioni che vengono fornite nelle strutture, con giudizio di grado “buono” oppure “ottimo”. Proprio perché la soddisfazione è molto frequente, devono essere evidenziate e sottolineate le situazioni nelle quali la piena insoddisfazione (“insufficiente”) o Tab. 2 - Permanenza in struttura la soddisfazione di grado appena “sufficiente” si manifesta, che si definiranno complessivamente come utenti poco soddisfatti: • in media la quantità del cibo distribuito è ritenuta soltanto sufficiente dal 35% e insufficiente dal 1%. In particolare pesa il giudizio dei familiari: fra di essi il 49% si esprime con il giudizio “sufficiente”. Questa notevole differenza potrebbe risiedere nel fatto che il familiare tende a voler “rimpinzare” anche oltre la sua volontà l’anziano, nella convinzione di fargli bene. Tra gli ospiti si nota che sono i maschi a essere meno soddisfatti (il 51% di essi si esprime con un: sufficiente e il 2%: insufficiente) e la spiegazione può risiede nella maggior voracità dell’uomo rispetto alla donna. • la qualità dei pasti è valu- frequenze frequenze 41 48 103 12 204 7 211 20,10 23,53 50,49 5,88 100 assolute Autonomo Parzialmente autonomo Carrozzella Allettato Totale casi validi Domanda non risposta Totale N. 128 - 2001 tata dal 27% degli ospiti sufficiente e dal 9% insufficiente, per un totale di “poco o nulla soddisfatti” pari al 36%, a differenza dei familiari, per i quali soltanto il 15% è poco o nulla soddisfatto. Con l’aumento del tempo di permanenza in struttura l’utente sembra maturare una maggiore capacità di critica. Questa ipotesi sembra confermata dalla varietà dei giudizi dati e dall’incremento dei soggetti che ritengono non soddisfacente il servizio (nella categoria di soggetti che risiede in struttura da oltre 2 anni i “non soddisfatti sono” il 30%). • la varietà dei menù è considerata dal 24% dei questionari come sufficiente. • la spaziosità della camera è valutata dal 32% sufficiente e dal 8% insufficiente, per un totale di poco soddisfatti pari al 40%. Tale percentuale è più elevata fra gli ospiti: pari al 44% di “sufficiente” e il 13% di “insufficiente” (per un totale pari al 57%); mentre è inferiore tra i familiari (rispettivamente il 24% e il 5%). Il livello di insoddisfazione è molto correlato con le caratteristiche oggettive delle residenze, da noi rilevate parallelamente tramite misure tecniche. % Tab. 3 - Stato fisico dell’ospite N. 128 - 2001 267 La qualità percepita e l’informazione ai cittadini Grafico 1 - Cluster Analisys. dei servizi resi. Essendo noto che la possibilità di scelta influisce sulla soddisfazione, si può mettere in relazione la percezione della qualità con la possibilità di scelta della struttura ospitante: infatti il 72% del campione dichiara che ha potuto scegliere in piena libertà e le motivazioni più importanti che hanno guidato tale scelta sono state l’assistenza medica, infermieristica e riabilitativa (per il 18%), l’ambiente confortevole (per il 17%) e la vicinanza all’abitazione dei familiari (per il 16%). Contemporaneamente proseguono le indagini sulla qualità percepita dagli utenti dei servizi sociosanitari da parte della Regione Emilia Romagna, anche in analogia a quanto suggerito dal Production of welfare approach 13applicato ai servizi per gli anziani. Riferimenti legislativi • la temperatura dell’ambiente interno durante la stagione estiva è valutata dal 19% sufficiente e dal 6% insufficiente, per un totale di poco o nulla soddisfatti pari al 25% • la categoria degli ospiti in carrozzella manifesta giudizi di maggiore insoddisfazione relativamente all’orario d’inizio del riposo notturno (il 5% valuta insufficiente e il 17% sufficiente, cui si aggiunge in parallelo una minore percentuale di ottimo). Le ragioni sono legate alla condizione particolare di tali persone. Infatti molto spesso sono individui ancora mentalmente molto lucidi che per esigenze operative della casa (orari di lavoro de- gli assistenti di base) sono costretti a coricarsi in orari non di loro gradimento. • l’attività di animazione, che è di estrema importanza per una qualità di vita accettabile, è valutata dagli ospiti per il 6% insufficiente per il 25% sufficiente, vale a dire che oltre il 30% si ritiene poco o nulla soddisfatto. Diversa è la valutazione data dai familiari che invece la ritengono sufficiente per il 10% e insufficiente per il 2%. Forse il ridotto numero di animatori disponibili costituisce la ragione principale. In conclusione, in un quadro generalmente molto ottimista riguardo la qualità percepita, l’aspetto maggiormente criticato è quello relativo al comfort alberghiero relativamente ad aspetti legati a condizioni strutturali (ampiezza camere da letto) e legati a questioni di esternalizzazione di servizi (pasti in catering, la cui qualità è solitamente inferiore rispetto al pranzo fornito dalle cucine interne). Con riferimento al tema della umanizzazione e personalizzazione, l’attività di animazione è l’aspetto più critico. Dato il numero delle variabili indagate, si è resa utile un’elaborazione dei dati mediante tecniche di analisi multivariata11 (tuttora in corso), con lo scopo di identificare categorie omogenee di residenti e familiari quanto a valutazione della qualità • Legge n° 833/1978 “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale” • D. Lgs. n° 502/1992 “Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della Legge 23 ottobre 1992, n° 421” e successive modificazioni • D. Lgs. n° 517/1993 “Modificazioni del D.lgs. 30 dicembre 1992 n° 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992 n° 421” • Progetto Obiettivo Nazionale: “Tutela della salute degli anziani” approvato il 31/1/92 come stralcio del Piano Sanitario Nazionale (1992-1996). 268 • Direttiva PDCM 27/1/1994 “Principi sull’erogazione dei servizi pubblici” • DPCM 19/5/1995 “Schema generale di riferimento della carta dei servizi pubblici sanitari” e Linee guida n. 2/95 • Decreto Ministero della Sanità 24/7/95 “Contenuti e La qualità percepita e l’informazione ai cittadini N. 128 - 2001 modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e di qualità nel SSN” • Decreto Ministero della Sanità 15/10/96 “Approvazione degli indicatori per la valutazione delle discussioni qualitative del servizio riguardanti la personalizzazione e l’umanizzazione dell’as- quisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte di strutture pubbliche e private” • D. Lgs. n° 229/99 “Norme per la razionalizzazione del SSN a norma dell’art. 1 della legge 30 novembre 1998 n° 419” Bibliografia 1 AA.VV., 2001, Il diritto alla qualità: Le strutture per anziani non autosufficienti, Regione Umbria. 2 Hanau C., 2000, La qualità percepita dagli utenti. Salute e Territorio, n.122, sett-ott. 2000: 268-272. 3 Donabedian A., 1990, La qualità dell’assistenza sanitaria. Principi e metodologie di valutazione, Roma, La Nuova Italia Scientifica. 4 Hanau C., 1997, L’attuazione delle carte dei servizi sanitari. L’Assistenza Sociale, n.1-2: 117-124. 5 AA.VV., 1999, Il comfort in ospedale, Quaderni Qualità 6, Agenzia Sanitaria Regionale, CLUEB, Bologna. 6 Cazzola C., 1996, La percezione degli utenti sulla qualità del servizio sanitario nella provincia di Rimini, Facoltà di scienze statistiche Università di Bologna. 7 sistenza, il diritto all’informazione, alle prestazioni alberghiere nonché l’andamento delle attività di prevenzione delle malattie” • DPR 14/1/97 “Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento delle regioni e alle provincie autonome di Trento e di Bolzano, in materia di re- 8 Belbusti G. 1999, Livelli uniformi di assistenza e progettoobiettivo anziani diritto alla salute e valutazione della qualità nelle R.S.A. 9 Morosini P., 2000, Griglie di valutazione in sanità: miglioramento continuo di qualità, valutazione di efficacia degli interventi e gestione aziendale. Centro Scientifico Editore. 10 Ursini M., Ponti N., 1999, Valutazione della qualità delle strutture residenziali e semiresidenziali a rilievo sanitario. Ufficio per l’informazione sui servizi sanitari regionali Assessorato alla Sanità, Regione Umbria. 11 Fabbris L., 1997, Statistica multivariata, Milano, Mc Graw-Hill. 12 Assessorato ai servizi sociali del Comune di Modena, 1999, Il gradimento dell’utenza diretta e indiretta nelle strutture protette comunali, Quaderno n.7. 13 Davies B, 1997, Equity and efficiency in community care, Policy and - Politics, 25: 337-359. A.I.O.P., 1998, La qualità del servizio nelle Case di Cura. Associazione Italiana Ospedalità Privata. (segue da pag. 256): Un “progetto accoglienza” informazione, comunicazione e relazione. Proprio questo studio, concluso nel maggio 2001 e presentato al Direttore generale, ci ha permesso di constatare che le informazioni contenute all’interno delle “Carte degli impegni” sono state positivamente valutate dai nostri utenti che nel 93% dei casi le hanno ritenute sufficienti ed esaustive. Al momento attuale sono in corso di verifica e 2° aggior- namento le Carte degli Impegni per l’anno 2001. Abbiamo fortemente creduto in questo progetto e il risultato atteso ci conforta nelle scelte intraprese. Riteniamo che il nostro lavoro sia facilmente e- sportabile e utilizzabile in quanto pienamente rispondente a criteri di completezza, chiarezza, facilità d’uso e di aggiornamento, economicità nella produzione e soddisfacimento da parte dei fruitori stessi. 270 Recensioni N. 128 - 2001 Recensioni M.G. Breda, D. Micucci, F. Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali, Utet, 2000, pp. 258 Gli Autori criticano fortemente la legge n. 328/2000, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, per una serie di motivi qui di seguito richiamati. Il patrimonio delle IPAB estinte viene trasferito ai Comuni e ad altre istituzioni, eliminando il vincolo di destinazione a favore dei poveri. Gli unici diritti soggettivi perfetti garantiti agli assistiti sono quelli concernenti le prestazioni economiche (come le pensioni e le indennità permanenti). Favorisce l’aumento della sfera di competenza del settore assistenziale sulla vasta area dei servizi socio-sanitari, sottraendo competenze al settore sanitario, ove i diritti soggettivi dei pazienti sono meglio tutelati. Abrogando le disposizioni di cui ai regi decreti n. 6535/1889 e n. 773/1931 si abolisce l’obbligo per i Comuni di provvedere servizi e strutture residenziali per i minori e gli adulti disabili rimasti privi di famiglia. Non obbliga ad unificare la competenza ad assistere i minori nati nel matrimonio (Comuni) e quelli fuori del matrimonio (Province). Le funzioni dei servizi sociali vengono estese a tutte le attività previste dall’art. 128 del decreto legislativo 31/03/1998 n. 112, per erogare servizi gratuiti o a pagamento, secondo l’autonomia e la discrezionalità del Comune, potendo coprire sia le esigenze degli indigenti che quelle della generalità della popolazione non indigente. L’unificazione di esigenze tanto differenti, quanto a valore etico-sociale in relazione all’equità e alla solidarietà, rischia di ridurre l’attenzione ai più deboli. Ad esempio, l’assistenza domiciliare, che secondo la legge 328 potrebbe essere garantita a pagamento anche ai benestanti, se erogata attraverso il servizio pubblico costerebbe molto di più di quanto oggi costa sul mercato: la differenza dovrebbe essere coperta da un finanziamento pubblico che andrebbe a ridurre le disponibilità per gli indigenti. Gli Autori, sulla base dell’esperienza da loro condotta per la difesa dei diritti degli orfani e dei malati, in particolare quelli non autosufficienti in fase cronico-degenerativa, temono che l’usuale carenza di fondi nelle casse dei Comuni induca questi ultimi a disapplicare anche i minimi di prestazioni che i “livelli essenziali” di beni e servizi (di cui all’art. 22 della legge n. 328/2000) dovrebbero garantire a tutti i cittadini italiani che versino in situazione di disagio e povertà. Una critica generale rivolta dagli Autori alla legge 328 riguarda la non abbligatorietà e la non sanzionabilità degli eventuali Enti che disattendono le indicazioni della legge 328 e della lunga serie di atti che ne dovranno discendere, come ad esempio il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali emanato da parte del Consiglio dei Ministri. Diverse critiche particolari riguardano occasioni perse dal legislatore che, in occasione dell’approvazione della legge 328, era stato sollecitato dalle associazioni ad intervenire. Per aumentare la disponibilità di fondi per gli indigenti, gli Autori chiedono che gli asili nido, l’assistenza ai malati, gli inserimenti lavorativi ed altri interventi vengano in futuro sostenuti finanziariamente dai Ministeri della Pubblica Istruzione, della Sanità e del Lavo- ro e previdenza sociale. Rilevo come l’unificazione dei Ministeri del lavoro, della Sanità e degli Affari Sociali dovrebbe facilitare un riordino ed una sinergia della spesa pubblica. Gli Autori effettuano una panoramica su situazioni ed esempi locali di funzionamento dell’assistenza, positivi e negativi, ed avanzano proposte di interventi di iniziative popolari tendenti ad introdurre a livello locale alcune misure migliorative rispetto alla legge nazionale, consistenti in bozze di delibere quadro. Gli ultimi capitoli trattano di proposte per un sistema di welfare dal lato delle uscite (pensioni, indennità, redditi minimi garantiti) e delle entrate, che dovrebbe modificare l’ISE. Non mancano i suggerimenti per un manuale di controinformazione su alcuni luoghi, nonostante siano falsi. Il volume contiene una ricca appendice sulla storia dell’assistenza dal 1960, una proposta di legge regionale di iniziativa popolare, il testo della legge 328/2000 ed il resoconto parlamentare del dibattito in occasione della sua approvazione. Pierluigi Morosini, Griglie di valutazione in sanità. Miglioramento continuo di qualità, Valutazione di efficacia degli interventi e gestione aziendale. Centro Scientifico Editore, Torino, 2000 Questo libro è un’opera originale anche nel panorama internazionale. È una raccolta di strumenti utili per la formazione e la pratica della gestione di qualità in sanità e non solo in sanità, sotto forma di griglie di valutazione. Le griglie, parecchie delle quali totalmente nuove, si distinguono per la grande chiarezza e per essere autosufficienti, nel senso che la maggior parte delle domande corrispondenti ai vari criteri sono accompagnate da spiegazioni dei concetti e da precisazioni degli elementi importanti per la valutazione. CARLO HANAU Recensioni N. 128 - 2001 271 Va notato che alcune di queste griglie sono, assieme con i relativi capitoli introduttivi, così complete, che si possono leggere come piccoli e sintetici manuali. Vengono trattati: - tutti i temi principali dell’epidemiologia clinica e di quella sua applicazione che prende il nome di EvidenceBased Medicine, e cioè studi controllati randomizzati e altri studi sull’efficacia di un intervento, rassegne sistema- tiche e metanalisi, linee guida, esami e strumenti diagnostici, screening; - temi di valutazione e miglioramento di qualità, e precisamente sistema qualità (compresa un’appendice sui requisiti minimi di accreditamento), progetti di MCQ (di processo e di esito), gestione dei rischi, indicatori, priorità di un problema, URP; - temi più di tipo gestionale e manageriale, come valutazione di un problema di presta- zione, di una riunione e anche delle qualità di un manager/leader. Vi è anche un questionario “divulgativo” per gli utenti e i loro rappresentanti, che li aiuta a capire quali sono i principi scientifici per la valutazione dell’efficacia di una terapia e quali sono le domande da fare a chi ne propone una nuova. Il libro appare molto utile per l’autoformazione e la crescita professionale personale e in- dispensabile come strumento di lavoro nell’ambito di corsi di formazione attiva sui temi trattati. Può indubbiamente essere applicato anche al di fuori della sanità e dimostrarsi utile per chi si occupi o si voglia occupare di qualità e di gestione delle risorse umane anche in altri campi. Pierluigi Morosini, Franco Perraro, Enciclopedia della gestione di qualità in sanità. Con elementi di economia sanitaria, medicina basata sulle evidenze, epidemiologia, statistica, comunicazione. II edizione. Centro Scientifico Editore, Torino, 2001 giudizio clinico, l’empowerment dei pazienti, l’aggiustamento per rischio, i criteri di validità di una misura, la progettazione mediante PERT e Gantt, l’analisi del processo, il controllo di gestione, il reporting, il sistema premiante, gli elementi fondamentali di una buona presentazione con lucidi, la standardizzazione, la dimensione del campione, la variabilità casuale, i test di significatività statistici e gli intervalli di confidenza. Il libro contiene anche ampi stralci del Piano sanitario nazionale 1998-2000 e dei requisiti minimi di accreditamento del DPR 14 gennaio 1997. Riporta i siti Internet più utili per accedere alle banche dati di linee guida, ai centri della Medicina basata sulle evidenze e alle principali agenzie di accreditamento sanitario del mondo. È arricchito da appendici che riportano: la legge australia- na che protegge la confidenzialità delle informazioni rilevate durante i progetti di valutazione e miglioramento di qualità, un piccolo dizionario per la traduzione dei termini tecnici dall’inglese in italiano e il capitolo riguardante il miglioramento continuo di qualità di un manuale italiano di accreditamento sanitario professionale tra pari. È molto utile per coloro che vogliono occuparsi professionalmente di qualità, per clinici e amministrativi, interessati al management e alla promozione della qualità professionale. Pur nella densità dei concetti, è scritto in un linguaggio chiaro, per contribuire all’unificazione della terminologia. Questa seconda edizione è notevolmente arricchita rispetto alla prima. In particolare contiene numerosi riferimenti alla terza legge di riforma sanitaria, il Decreto Legislativo 229 del 1999 ed a voci di gestione aziendale ed economia sanitaria, come spesa sanitaria, finanziamento delle Aziende e dei sistemi sanitari e punto di break even. Ma soprattutto sono trattati con maggiore dettaglio argomenti fondamentali come appropriatezza, audit, benchmarking, contabilità e budget, distorsione, gestione dei rischi, funzioni principali di assistenza, metanalisi, progetti di MCQ (in cui si discutono vantaggi e svantaggi dei progetti incentrati sugli esiti e sui processi), profili di assistenza, screening (con un elenco degli screening approvati dalla US Preventive Task Force), principi di valutazione di efficacia degli interventi sanitari (alla voce sette C), razionamento. Contiene infine un’altra appendice sui riferimenti legislativi del miglioramento continuo di qualità in sanità. Si tratta di un libro enciclopedico, perché comprende la trattazione concisa ma approfondita dei concetti e delle nozioni fondamentali di miglioramento continuo di qualità, di gestione aziendale, di economia sanitaria, di statistica, di Epidemiologia clinica ed in particolare di quel suo ramo che prende il nome di Medicina basata sulle evidenze. Riusciti i tentativi di sintetizzare in una pagina problemi così complessi e disparati come il ciclo della qualità e il ciclo PDCA, l’audit, gli indicatori, il razionamento in sanità, l’etica del MCQ, le distorsioni del CARLO HANAU CARLO HANAU 272 “Dal Terzo Settore al co-settore?” Presentazione dell’opera di C. Cipolla (a cura di), Il co-settore in Italia, Angeli, Milano, 2000 Con il termine “co-settore” si intende superare l’accettazione di una prospettiva pluralista a stampo partecipativo che, dal punto di vista con- Recensioni cettuale, implica il passaggio da una forma di conoscenza categoriale (da qui la logica di confine) a un tipo di conoscenza co-relazionale, dove il “co” emerge come spazio multidimensionale non riducibile alle singole componenti in interazione (lo Stato, il mercato, il terzo settore, i mondi vitali). N. 128 - 2001 Pertanto il termine co-settore non deve essere visto come una nuova definizione di terzo settore e neppure come un ulteriore quinto settore da aggiungersi ai quattro esistenti; esso rappresenta il tentativo di un adeguamento allo sviluppo della società odierna e, risultando come il crocevia di molte dimensioni, è qualificato a pro- durre servizi co-relazionali, è definito da altruismo e solidarietà esterna, è incentrato su principi re-distributivi di equità e legittimato per fiducia, adesione, efficienza intersoggettiva e peculiarità operativa. FRANCESCA ROSSETTI