Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.64 - Anno 33° - n.1 - Marzo 2000
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Spedizione in A.P. (Art.2 - comma 20/c - Legge 662/96) - Filiale di accettazione: Ravenna.
I colori della campagna
Personaggi di San Pancrazio
di Luisa Calderoni
a cura di Luciano Minghetti
La campagna nel susseguirsi delle stagioni offre
una intensità e varietà di colori che è impossibile
descrivere nella pienezza della loro dimensione.
Le case di campagna hanno quasi tutte un
giardino dove crescono specie diverse di fiori e
piante, ma anche quello più bello e meglio curato
non raggiunge mai la bellezza dello scenario che
costruisce la natura.
Il ciclo delle stagioni nel suo variare offre alla vista
un continuo cambiare di colori. La primavera è
annunciata dai fiori che quasi timidamente
spuntano nei prati che si colorano, le margherite o
prataiole, le violette, fiori gialli e rosa, i “non ti scordar di me” (1) di quell’azzurro molto delicato, un
fiore che va ammirato e non raccolto perché si
stacca subito dallo stelo. I campi si tingono di rosa
e di bianco coi fiori degli alberi da frutto, distese di
colore che da lontano assumono la forma di una
macchia indistinta.
Poi si passa ai colori più intensi: il lilla e il viola dei
glicini, degli iris e dei lillà.
A maggio fioriscono le rose e i giardini diventano
un miscuglio di colori: siepi di rose rampicanti,
bianche, rosa, rosse, gialle, ma anche sfumate o
bicolore, gialle all’interno e rosate fuori, il rosa
delicato delle rose selvatiche, che poi dopo la
fioritura riempiono i rami di bacche rosse. Ma il
colore dominante è il verde che offre una
molteplicità di tonalità incalcolabili: verde dei prati
con l’erba alta e quando questa viene tagliata, il
verde dei germogli e quello delle foglie che cambia
ogni giorno, diverso il colore della vegetazione
quando piove o quando c’è il sole. Il verde ha una
sua simbologia nella cultura popolare, è il colore
della speranza, della tranquillità, della riflessione.
Poi l’azzurro o blu del cielo con diverse intensità:
che va da una sfumatura tenue ad una più intensa.
Ci sono delle persone che, per varie ragioni, anche
banali, sono rimaste nella nostra memoria, nei
nostri ricordi d’infanzia. Ce ne ricordiamo i volti, i
vestiti che portavano, l’ambiente dove vivevano;
persino la loro voce e il loro odore, se ci fermiamo
un attimo a pensare, riusciamo a risentire come
fossero ancora presenti. Durana (Minghetti Costante), Pirì d’Gurdé (Gordini Pietro), Primo de’ Sord
(Casadei Primo) sono i miei preferiti.
Cercherò di “fotografare” uomini e donne che hanno
lasciato un segno anche piccolo nella memoria
collettiva. Comincio dal racconto di mio padre
perché abita quì vicino a me.
Dove sei nato e chi erano i vecchi che conoscevi da
ragazzo?
Leo: sono del ‘15 e sono nato nella casa di
Stanghellini, vicino al borghetto de’ Camaren, ma
fin da piccolo ci siamo trasferiti in via Randi, allora
via Molinaccio, nella casa d’Livio d’Frazchiné (Bassi
Livio), dove adesso abita Otello Randi. Livio faceva di
cantina e ricordo che da Marina veniva un certo
Giulio de’ Canò con un camioncino a prendere il
vino. Anche noi avevamo nel retro della casa un po’
di cantina dove mostavamo l’uva e facevamo il vino
per noi perché mio padre Tugnì d’Gnarì (Minghetti
Antonio), calzolaio e suo fratello Luigi detto Pisuliti,
garzone da contadino, avevano sempre la fiasca del
vino accanto.
Gli anziani che ricordo sono per lo più quelli che
abitavano nel borghetto delle botteghe, dove adesso
c’è il sale e tabacchi. Lì abitava anche mia nonna e
mio nonno (e’ Gagì dla Sama) con suo fratello:
avevano una stanza sola e fuori un capanno per gli
attrezzi. Accanto a loro viveva Camata (Tambini Andrea), credo fosse il babbo di Chiaro, e faceva il
calzolaio. Poi ci stava un tale che chiamavano Gianì
de’ Rufian, poi numerose altre persone che per la
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1
Dri l'irola
Personaggi di San Pancrazio (Continua da pagina 1)
Eugenio), il barbiere del paese. Tutti ci andavano per
chiacchierare e per scaldarsi d’inverno al calore di
una stufetta antica a carbone fatta con un bidone.
Quando arrivava Carulì c’era sempre qualcuno che
diceva: “sta arrivando apposta per leggere il
maggior parte facevano i braccianti: era tutta gente
che aveva 60/70 anni quando io ne avevo 15/16.
Dal borghetto a venire verso la piazza, che allora
non c’era, abitava Ducio (Fabbri Aldo) un bravo
falegname che faceva i buratti per setacciare la
farina. Aveva un camioncino, un Samson, un quattro
ruote a carreggiata stretta che ho guidato diverse
volte per consegnare dei buratti nel Cesenate; era
pericolosissimo questo camioncino perché non
aveva il differenziale e in curva una ruota doveva
dare meno giri dell’altra.
Ducio aveva anche anche un motorino, l’Evans. Con
Pino (Fabbri Giuseppe), suo figlio, prendevamo
questo motorino e andavamo a mettere un quarto
di benzina dalla pompa del distributore: una Lampo
di proprietà d’ Zvanì d’Barben (Minardi Giovanni)
che aveva la bottega dei generi alimentari dopo il
mulino vecchio, nella casa di Mercati. Si pompava e
si riempiva un bicchiere da 5 litri, poi si tirava una
leva e la benzina veniva giù.
Prima della ratta vecchia abitava Pireta (Ghirardini
Pietro). Si diceva che quando misero su la luce e le
lampadine lungo la strada lui illuminasse l’interno
della casa con quelle.
Di fronte a Ducio abitava Tugnazì (Fabbri Antonio).
Faceva il meccanico, ma costruiva anche dei telai
da bicicletta. Acquistava i tubi e li univa fra loro
tramite dei giunti, dette “pipe”. Infilava i tubi nei
giunti, fondeva l’ottone e lo faceva colare nelle
fessure per saldare il telaio. Faceva anche servizio
pubblico con una Davinson, un motore col
carrozzino. Portava fino a tre persone: due nel
carrozzino e uno sulla sella dietro al conducente.
Dopo vendette il motore e prese un’auto, una Ford.
Accanto a Ducio abitava Giulio, suo fratello. Lì aveva
continuato a fare il falegname anche suo figlio
Minghì d’Lupini (Fabbri Guido). Me la ricordo bene
la bottega: in famiglia eravamo in quattro e
avevamo una camera e un cucinino sotto e una
stanza da letto sopra. La stanza sotto era senza
camino e senza finestra, e il cannone della nostra
stufa passava il muro e si immetteva nel camino di
Minghì d’Lupini. Quando la porta della bottega
restava aperta si riempiva tutta la nostra casa di
fumo!
Tra la bottega della stoffa e la casa della Dina
d’Primo una volta c’era la butega d’Carulì
(Casadio Guglielmo): era una bella camera dove
sua moglie, la Gilsa (Nori Gilsa), vendeva la stoffa,
grembiuli, e lui aveva la ferramenta, aveva un
mucchio di scugiotti in cui metteva chiodi e brocche
che si usavano allora per fare i cospi. Carulì lo
chiamavano l’egoista e gli facevano scherzi anche
pesanti. Una volta ruzzolarono una macina da
mulino davanti a casa sua e gliela rovesciarono
davanti alla porta, tremò tutta la casa compresa la
nostra che allora abitavamo lì di fronte. Un’altra
volta gli disegnarono sul muro di casa una corda da
impiccato con una scritta: così finisce l’avaro.
Carulì andava a leggere il giornale da Quacet (Randi
giornale, dai, prendilo tu così non glielo facciamo
leggere”. Anche se non lo leggevano lo tenevano
nelle mani e così Carulì spesso se ne andava senza
averlo letto.
E’ sgnor Mingheto (Zanzi Domenico) era un ricco
signore che abitava al Palazzo dei Naldi e tutte le
mattine veniva a San Pancrazio a piedi o a cavallo
fermandosi nella bottega del barbiere. Ogni mattina
passava un pescivendolo, credo venisse da Marina,
lo chiamavano Cjavarena. Una volta e’ sgnor
Mingheto disse a Quacet: “domani quando viene
Ciavarina mi prendi mezzo chilo di triglie”. La
mattina seguente passa il pescivendolo con la
cassetta del pesce sul portapacchi dietro la sella
della bicicletta con tre, quattro qualità di pesce.
Quacet compra un mezzo chilo di rosal, poi lo porta
a casa. Nel pomeriggio passa il signor Mingheto e
ui dis: “Hai preso le triglie?”. “Oh, sgnor Mingheto, in
n’aveva miga”. “Coma in n’aveva! Te che pesce hai
preso?”. “Me a jo tolt di rosal...”. “Fammeli
vedere...non sai ignorante che le triglie sono i
rosal!”. E gli portò via il cartoccio del pesce.
Sempre nella bottega del barbiere veniva e’ sgnor
Boriani, e’ fator d’Dragoni, era un bolognese, c’è
stato parecchi anni. Era diventato amico suo e
anche di sua moglie, la Minta (Sandoli Aminta), e
grazie a questa amicizia Boriani gli portava ogni
tanto del vino e della legna. Però in cambio amava
fargli degli scherzi. Un giorno venne in paese un
contadino col somaro, allora Boriani disse al
contadino: “vuoi vedere che mettiamo l’asino nella
bottega d’Quacet”. Dai e che te dai alla fine
riuscirono a mettere la testa del somaro dentro la
bottega!
Gli Orselli, i febar d’Sapangrezi.
La signora Anita Randi Rossini ci ha fatto notare
che nel secondo numero di questo bollettino uscito
nel settembre del 1997 abbiamo riportato in
modo errato la data di nascita di sua zia Angela
Orselli.
Ci scusiamo per l’errore e confermiamo che
Angela Orselli, coniugata con Sabbadini Emilio è
nata il 15 maggio del 1911, ma è stata battezzata
il 24 giugno del 1915.
Dri l’irola, supplemento curato da:
Associazione culturale “La Grama”
Via della Resistenza, 12 48020 San Pancrazio
(RA)
Tel. 0544534303 - Fax 0544534775
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saranno utilizzati solo per l’invio di questa pubblicazione e
di altre informazioni
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dell’associazione.
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Dri l'irola
Le ricette della cucina povera di Luisa Calderoni
Patate, carote, coste esterne del sedano, cipolla,
salvia, pomodoro, sale, ½ bicchiere di vino bianco.
Preparazione:
In un tegame di terracotta fare rosolare la carne
fino a quando nella parte esterna ha preso un
colore dorato. Togliere il tegame dal fuoco e
versare tutto il grasso prodotto dalla carne,
rimetterlo sul fuoco aggiungendo olio d’oliva,
cipolla tritata, salvia, il vino bianco, farlo evaporare
poi aggiungere il pomodoro, salare e fare cuocere
lentamente per circa un’ora.
Pulire le patate, tagliarle a gnocchetti, pulire il
sedano e la carota e farne pezzi di circa 4 cm. poi
metterli assieme alla carne e fare bolire fino a
quando le verdure sono cotte. Mangiare caldo.
Il piatto povero veniva preparato utilizando i ritagli
di carne e quello che c’era in casa: le interiora
degli animali da cortile: stomaco e cuore, qualche
ossa di costa, un pezzetto di salsiccia e quando
c’era la punta di petto di pecora. Quando la
famiglia contadina si è potuta permettere di
comprare la carne lo ha arricchito. Alla carne poi
si aggiungevano le verdure.
Adesso le possibilità economiche ci permettono di
fare uno stufato con una buona scelta di carni.
Ingredienti per 6 persone:
500 gr. di carni di diverso tipo: muscolo di pecora,
manzo, stomaco e cuore di pollo, ossa di costa,
salsiccia (le quantità dei diversi tipi di carne
possono essere scelte in base ai gusti di chi le
deve mangiare).
Mi sono chiesta se il detto popolare “um’à stufé”,
mi ha stancato non abbia qualche nesso con
questo piatto: potrebbe voler dire che sazia oppure
le persone si stancavano di mangiarne perché
faceva riuscita ed anche perché veniva preparato
spesso.
I colori della campagna (Continua da pagina 1)
Ricordo le siepi “de tamarés” coi fiori di colore rosa
antico, oggi quasi scomparse.
In estate si possono ammirare le distese di grano
colorate di giallo interrotto ogni tanto dal rosso
vivo dei papaveri e dall’azzurro dei fiordaliso; i
campi dei girasoli.
Il giallo è il colore del sole che neppure si può
guardare se non al tramonto, quando offre alla
vista splendide sfumature nel cielo e una palla di
fuoco. Nei prati fioriscono i fiori della camomilla
che nella forma e colori ricordano le margherite.
Si può osservare l’arancio dei fiori di melograno
che si mettono in mostra fra il verde delle foglie e
quello dei fiori delle piante rampicanti.
Affascinanti i colori dell’autunno: il verde delle
foglie assume progressivamente tonalità di giallo e
marrone e quando queste cadono formano sulla
terra un tappeto multicolore e fra le foglie e i tralci
della vite spuntano i grappoli biondeggianti o violetti
dell’uva.
Il mese di novembre si caratterizza per il grigio
delle giornate di nebbia, per il colore degli alberi
che si spogliano e delle terre arate che diventano
macchie di marrone. Nei giardini fioriscono i
crisantemi un tempo rigorosamente bianchi
adesso di diversi colori e forme, “il fiore della vita
perché nasce quando la natura muore”.
La neve quando copre la terra offre alla vista un
immenso manto bianco, simbolo del candore. Infatti la neve è desiderata dagli agricoltori perché
purifica il suolo e l’aria e promette raccolti copiosi;
un proverbio popolare dice: “sotto la neve pane”.
Quando poi dopo le nevicate spunta in cielo il sole
la campagna imbiancata diventa lucente e brilla
come diamanti.
Si presume che la canapa proveniente dall’Oriente
sia stata coltivata anche in Europa fin dall’antichità.
Sulla canapa coltivata nell’area di Ravenna non si
conoscono momenti di grande produzione. Gli unici
che incentivarono, con scarso successo,
la
produzione di questa fibra furono i Veneziani
durante il periodo del loro dominio a Ravenna.
A questo proposito Luigi Silvestroni, mentre leggeva
una ristampa anastatica (edita da Bruni Ghigi
Editore, Rimini 1974) su “RAVENNA ANTICA - CON
COMMENTI DI GASPARO MARTINETTI CARDONI
RAVEGNANO, alla “Lettera Settima”, pag.8, si è
imbattuto in alcune righe che ha ritenuto
interessanti inviare alla redazione:
“...il popolo Ravegnano concitato dai congiurati
tumultuosamente alle armi, si ribellò da lui
(Ostasio Quinto Da Polenta) e trasse in piazza
gridando: viva la repubblica, viva san Marco. E
fu addì 24 febbraio del 1441...
...i Veneti coniarono il quattrino e l’obolo di
Ravenna, che da una parte aveva la mezza
figura di Santo Apollinare, e dall’altra il leone di
san Marco. Attesero anche al miglioramento e
all’incremento della Ravegnana agricoltura e
in ogni guisa dettero opera, che qua fosse
coltivata la canapa; la quale poi al prezzo della
Bolognese, era comprata per l’uso del
veneziano arsenale...”
———————
(1) Il termine scientifico di questa pianta è veronica, conosciuta da tutti come pacot.
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Dri l'irola
I Garavini a San Pancrazio - I Ghitì
a cura di Maria Luisa Pironi e Ione Silvestroni
Agli albori del XX secolo, nel piccolo mondo di
San Pancrazio, la famiglia Garavini, i Ghitì, svolse
un ruolo di primaria importanza a favore
dell’economia locale. Erano giunti a San
Pancrazio intorno al 1890 provenienti da San
Pietro in Trento. Famiglia intraprendente e di
larghe vedute, appena conosciuta la realtà del
paese, avviarono un grosso e variegato esercizio
commerciale: la butega d’Ghitì, in grado di dare
risposta ai bisogni delle famiglie di un vasto
territorio.
Eressero la loro abitazione int e’
cruseri e ancora oggi è il maggiore
edificio del centro. L’intera
facciata rivolta alla strada era
adibita a negozio con sali e
tabacchi, drogheria, salumeria,
chincaglierie, ferramenta, tessuti,
granaglie e sfarinati. Fu per quei
tempi una grande meraviglia, un
vero supermercato. Si diceva con
orgoglio a San Pancrazio: “la
Tutto questo lavoro in casa Garavini era
organizzato e distribuito in modo perfetto: l’azdor
Tobia (Tubìo) era la mente commerciale, la moglie
Rosa (Rusena) curava il vasto pollaio, la cucina e la
lavanderia insieme all’Armilinda de Sord e la
Gianina, lavandaie fisse.
Il figlio Egisto, che aveva studiato a Ravenna,
teneva l’amministrazione e aveva in mano questo
complesso metodo di scambi, registrando ogni
prelievo e valutando ogni merce ricevuta in
cambio, sia che fosse un maiale
grasso o poche uova o qualche chilo
di fiori di camomilla o un sacchetto
di ghiande.
L’equità e l’onestà di Gisto d’Ghitì
era tale che i birocciai di San
Pancrazio, allora in numero di 10,
che acquistavano fieno e avena per
gli animali, farina e generi vari per le
loro famiglie, una volta all’anno,
dopo che la Provincia aveva
liquidato loro i compensi per la
butega d’Ghitì l’è al tre volt quela
ghiaia, delegavano il capoccia,
ad Cantimori ad Ros”.
Mingò d’Bazilò (Domenico Foschini)
Ma la novità maggiore introdotta
a fare i conti senza avere in mano la
dalla famiglia di Garavini nella loro
minima annotazione di spesa, certi
attività fu la gestione del credito a
che la spesa di ogni singolo, le
favore di tutti i sanpancraziani.
eventuali prestazioni in cariaggi
Erano anni di grandi ristrettezze
(trasporti)nonché la lettiera delle
quelli di inizio secolo, nonostante a
loro stalle che spargevano nei
Garavini Egisto
San Pancrazio fosse molto
poderi sarebbero stati valutati tutti
sviluppata l’attività artigianale con la grande
in modo onesto e preciso.
officina Orselli famosa fino al forlivese, otto
La sorella Emma e la cognata Anna (Nucia),
botteghe di falegnameria, dieci sarti e undici
moglie di Egisto, gestivano il negozio con alcuni
calzolai che prestavano la loro opera a domicilio
aiutanti. Il fratello Silvio si occupava delle granaglie
in un raggio di trenta chilometri. Ma tutta questa
e delle farine bianche e gialle e durante la stagione
mole di lavoro veniva compensata
del ritiro della camomilla, malva, sambuco e fior di
esclusivamente “a cordatura” con granaglie,
tiglio ne curava l’essicazione nella vasta aia
carne di maiale, vino, uova, legna, pollame.
selciata di mattoni, la cort d’pré.
Nel retrobottega vi erano le giare per l’olio, e’
I Ghitì, che a quei tempi erano già proprietari
fugon per tostare il caffè, e’ pestapevar, un
terrieri, cominciarono a concedere ai braccianti
mortaio alto e stretto per pestare il pepe in grani.
più bisognosi qualche tornatura di terreno a
Vi era inoltre il banco per la lavorazione della
terziario, dando così modo a questi di sdebitarsi
carne suina ove dai primi di ottobre a metà marzo
per ciò che acquistavano in bottega e rimediare
Chilé de Sord (Achille Casadei) e suo figlio Primo
anche grano e fagioli per la propria famiglia.
lavoravano continuamente la carne prodotta
Dagli artigiani accettavano in cambio i prodotti
nell’azienda Garavini nonché quella che ricevevano
che derivavano dai contratti di cordatura e dalle
in cambio da artigiani, contadini e anche
famiglie contadine qualsiasi prodotto: cereali,
braccianti.
uova, pollame, quarti o metà di maiali, latte,
Una salumeria del centro di Ravenna veniva qui
formaggi e ricotta. Ritiravano anche fiori di
una volta a settimana a fare provviste dei prodotti
camomilla, di sambuco, fiori di tiglio, foglie di
di questa lavorazione, tanto richiesti dalla sua
malva, seta, canapa grezza e pettinata, lana e
clientela. Quando poi i Garavini cessarono
persino ghiande.
4
Dri l'irola
tranquillizato dicendo di aver chiuso ogni partita.
I figli di Egisto -Ettore e Dante-, hanno fatto onore
alla tradizione familiare distinguendosi in settori
diversi tanto da esserne dei veri protagonisti.
Ettore, classe 1900, è stato un pioniere del
motociclismo romagnolo; con la sua Harley
Davidson partecipò a molte corse piazzandosi
sempre ai posti d’onore. Fu un membro del RACI di
Ravenna, fu organizzatore e presidente del circuito
del Savio e festeggiò con l’ingegner Ferrari il 50°
anniversario del circuito. Fu Podestà del Comune di
Russi.
Fu inoltre un appassionato cacciatore e ornitologo,
cronista e scrittore di apprezzati articoli sulla
beccaccia della quale era un profondo conoscitore,
tanto che i suoi testi sono stati ripresi dalle più
conosciute riviste italiane e francesi di caccia. Nel
1957 diede alle stampe un libro che ancora oggi fa
testo: “Beccacce e beccacciai”, in mille esemplari in
lingua italiana, francese e spagnola, che si
esaurirono in poco tempo. Nel 1978 uscì una
seconda edizione.
Dante, classe 1905, fin da giovanissimo si distinse
negli studi ed in tutte le attività giovanili. Organizzò e
capitanò una squadra sportiva di calcio tale da
competere con le squadre del Russi e del
Bagnacavallo.
Sebbene impegnato nello studio universitario
organizzò e diresse una filodrammatica paesana
che per anni collezionò grandi successi. Con la
recita di “Al Tatar” al Rasi di Ravenna vinse il 1°
premio.
Organizzò gite e campeggi all’Acqua Cheta, alla
Burraia e al Falterona.
Laureatosi brillantemente nel 1930 in ingegneria
meccanica al Politecnico di Torino con una tesi sul
progetto di un motore funzionante a gas di carbone
di legna, entrò poi per un anno alla Bianchi Auto di
Milano.
Stanco della vita a Milano decise di rientrare a San
Pancrazio dove in precedenti incontri aveva deciso
unitamente ad un compaesano artigiano di iniziare
un’attività di costruzione di macchine agricole.
Venne iniziata subito la produzione di seminatrici
con un distributore speciale (brevetto Garavini) che
fu considerato più preciso di quelli esteri. Fu iniziata
anche la costruzione di altre macchine tra cui i motocoltivatori e gli erpici a disco. Le officine furono
ampliate tanto che le maestranze arrivarono nel 1976 ad una novantina.
Vaso da olio o
“coppo”, prodotto
dai
fratelli
Costantino
e
Pietro Vanni da
Impruneta (FI) e
usato
dalla
famiglia Garavini
quando avevano il
negozio di generi
alimentari.
l’attività, i macellai Chilé e Primo andarono a
lavorare a Ravenna alle dirette dipendenze della
salumeria; Primo vi rimase fino agli anni quaranta.
A venti passi dall’abitazione, all’ombra di grandi
alberi, era ubicata la cantina, lunga, fresca, con
tante botti di rovere, ben attrezzata tanto che già
allora una pompa travasava il vino da una botte
piena posta in cantina alle botti vuote sul carro o
su un biroccio.
Egisto poi, oltre che oculato e saggio
amministratore, era un appassionato viticultore,
sempre alla ricerca di nuovi vitigni.
Cagnina, canena de rasp ross, barbera,
barzamen da tai, tarbian da la fiama sono alcuni
dei vitigni da lui coltivati con successo. Il prodotto
della cantina Garavini era tutto assorbito da osti e
fiaschetterie ravennati: Muritò, che gestiva tre
osterie, Sarti che gestiva una fiaschetteria in
centro e altri.
Dopo la cantina va ricordata la stalla, e poi la
vasta aia selciata di mattoni dove si trebbiava il
grano dei terziari, si battevano i fagioli e si frullava
il granoturco.
E’ d’obbligo citare un episodio che le
protagoniste hanno raccontato fino a che sono
rimaste in vita. Ci fu un anno di raccolti molto
critici e di miseria. Le donne dei terziari dopo aver
battuto i fagioli attendevano la spartizione vicino
ai mucchietti talmente piccoli che non arrivavano
allo staio (1). Arrivò Tobia con una quartarola (2)
e da ogni mucchietto prelevò una misura dicendo:
“Donne, tutto il resto è vostro!”. “Patrò Tubia”,
esclamarono le donne, “questa l’è una grezia da
basev la man”, e la Fiameta e la Chicaza
cercarono di prendergli le mani per ringraziarlo.
Al che Tobia rispose: “Hei! sa m’aviv tolt pre
vescuv, a viò lasé parché ca scurziva piò tant,
caviv da lè cun cal smarei e tulì sò i vostar fasul”.
E’ solo un piccolo aneddoto che ci aiuta a
comprendere l’umanità e la generosità
straordinaria che li distinguevano.
Dopo che la figlia Emma andò sposa, i Garavini
cessarono quell’attività, ma ciò che è meritevole
di essere ricordato è che “chiusero i libri” dove
annotavano i crediti dei loro clienti più poveri. La
cosa destò grande sorpresa; chi si sentiva
ancora debitore e si rivolgeva loro chiedendo di
voler regolare i conti in sospeso, veniva
(1) staio colmo: litri 60,05; staio raso: litri 57,05;
(2) quartarola: pari a un quarto di staio. La quartarola si
divideva in 25 scodelle;
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Dri l'irola
Metereologia popolare romagnola
2 dicembre
Säta Bibiäna, quaränta dé e una smäna.
a cura di Tino Babini
Com’è il tempo nel giorno di Santa Bibiana
così sarà per quaranta giorni e una settimana.
La nòt d’Säta Luzeja,
l’è la not piò longa cla si seja.
La notte di Santa Lucia (13 dicembre),
è la notte più lunga che ci sia.
27 dicembre
Sän Zvän, un pè de scän.
Cominciavano ad allungarsi i giorni.
Par la Pasquéta, un’uréta
Par Sät Antòni Abèt un’ora e un quèrt.
Per l’Epifania i giorni si allungano di un’ora,
per S. Antonio Abate un’ora e un quarto.
Sät Antòni grän fardura
Sa Lurènz grän calura
On e l’ètar pôch i dura.
Per S. Antonio gran freddo,
per S. Lorenzo gran caldo;
sia l’uno che l’altro poco durano.
Sa Basciän e fa tarmê la coda a e cän.
Per S. Bastiano (20 gennaio)
il freddo fa tremare la coda al cane.
Par la Madòna d’la Zariola
Dell’inverno siamo fora,
mo su iè e sulatèl
u-gnè incora un misarèl;
Per la Candelora,
dall’inverno siamo fuori,
ma se cìè il sole
ce n’è ancora per un mese;
(così aggiungeva Livio Bassi detto Livio d’Frazchinê:
“o piovar o anvê” un mes un po’ manchê”).
“o piovere o nevicare”, un mese non può mancare.
Mérz Marzòt l’è long e dé quant d’la nòt.
Di Marzo l’oscurità e la luce sono uguali.
Eria ròsa, vèt o bofa.
Quando l’aria è rossa, o che fa vento o che fa
bufera
L’èrch balèn de cät d’la matèna l’impinés la
sculèna,
l’èrch balèn de cät d’la sera e s-cièra la vela.
L’arcobaleno al mattino fa piovere,
alla sera fa bel tempo.
La curèna la mêsa e sla smêsa
La bura tri dè la dura
E sciròc de cät d’la matèna l’impinés la sculèna,
E sciròc de cät d’la sera e s-cièra la vela.
Il vento di corina accomoda o scomoda il tempo.
La bora dura tre giorni.
Il vento di scirocco al mattino fa piovere,
alla sera rischiara il tempo.
(Lo scirocco è un vento proveniente dalla Siria e dal
Marocco)
Quänd e neva sora la foia
Avè un inveran che fa voia.
Quando nevica sopra la foglia
avremo un buon inverno.
Fabrarôl da la curta vôlta
E fasè brusê e pêl a la porta.
Febbraio dai pochi giorni
dal gran freddo fece bruciare il palo della porta.
Frase a doppio significato
Din’tun mêrz un sé mai cavê gnit d’bôu.
Da Marzo non si ricava niente di buono.
Da roba putrefatta non si ricava niente di buono.
Marzo ventoso - Aprile piovoso
Maggio dei temporali e Giugno dei giorni buoni.
Mèrz di vèt - Abril di tèp,
Maz di tôu e Zogn da i dè bôu.
Per S. Caterina (25 novembre),
o che nevica o che c’è la brina,
o che piove
o che nasce una bambina.
Par Säta Catarèna (25 novembre),
o che neva o che brèna,
o che fa la paciarèna,
o che nès una babèna.
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Dri l'irola
I maceri di San Pancrazio
Ricordi eterni
Nella sua infaticabile ricerca di documenti storici
Pier Franco Ravaglia ne ha rintracciato uno datato
15 luglio 1888: si tratta di un pubblico avviso sulle
modalità ed i prezzi praticati per l’affitto degli spazi
al macero di San Pancrazio.
Una copia di questo documento si trova presso il
locale Museo della vita contadina in Romagna.
Riportiamo di seguito il testo integrale.
di Carlo Turchetti
Via Naldi, la canala, il ponticello,
la casa vecchia un poco malandata,
l’ëlbi e le vacche per l’abbeverata;
e risuonava un fischio, sempre quello
un ritornello dolce, quasi una ballata.
AVVISO
I Signori Proprietari ed Affittuari che
desiderano effettuare la macerazione della
canapa nei maceratoi di proprietà del
sottoscritto Fabbri Antonio fu Francesco
presso il ponte sul fiume Montone, Parrocchia
S. Pancrazio di Russi, restano avvisati che
d’ora innanzi si effettuerà al prezzo e alle
condizioni seguenti:
In un elmetto di soldato inglese
beveva il gallo salutando il cielo ad ogni sorso,
e il nonno, un uomo alto e snello
faceva un’ombra lunga nel cortile.
Il carro verde all’ombra d’un gran pero,
Voci nel campo, il verso d’un maiale
e l’Ida di ritorno dal fienile
con l’ova appena colte nel grembiale.
1. Per ogni metro lineare di un cantiere uguale a metri
cubi 2,50 circa per la prima macerazione pagheranno
come al solito L.2,20 e per la seconda L.1,80.
...Ricordi d’una gente foste e cara;
...non ci son più la casa, il pero, il carro,
neppure gli Altri… c’è solo asfalto e zona artigianale.
2. Non potranno essere sorpassati con l’altezza della
canapa appostata i segnali tracciati nella parte
superiore delle palafitte, e ciò a scanso di inconvenienti.
Ma io son qui coi miei ricordi e resto;
e insieme a me anch’Essi ancor vivranno.
3. Potranno obbligare i posti tanto per una sola, che
per due macerazioni.
4. Non si affittano meno di tre metri lineari, dovendo la
canapa essere legata in grossi fasci di tale lunghezza, e
qualunque misura inferiore ai metri tre pagherà
sempre per tre metri, per le maggiori lunghezze verrà
fatto il dovuto raguaglio.
In memoria di Silva Minardi.
La signora Minardi Anna ha inviato un
contributo alla nostra associazione in ricordo
di Silva che sempre dimostrò grande amore
per la vita e grande affetto per il paese che
La vide nascere.
5. I suddetti Proprietari che avranno obbligato il posto
resteranno vincolati a portare la loro canapa entro due
giorni da quello in cui avrà principio il ricevimento della
medesima, spirato tale termine, il posto obbligato
resterà per loro conto, e non avranno alcun diritto di
far ritardare l’introduzione dell’acqua nei detti
maceratoi la quale viene sempre introdotta a diverse
riprese.
“Le più belle melodie d’amore
eseguite con l’ocarina”
da Michele Carnevali
6. Il pagamento del premio suddetto per le piccole
partite di soli tre metri circa verrà fatto prima di
asportare la canapa macerata, e per le altre partite
non più tardi della fine del Settembre susseguente.
Dopo eccitanti serate musicali dal vivo a Russi e suonate memorabili alle nostre manifestazioni culturali, finalmente sarà possibile
ascoltare una parte del suo repertorio musicale da un CD che è stato pubblicato col patrocinio del Comune di Russi: un CD che si
distingue dagli altri perché eseguito interamente con uno strumento tipico della nostra
musica popolare: l’ocarina.
7. Appostata la canapa nel maceratoio verrà pure dal
custode rilasciata apposita bolletta che dovrà
conservarsi e presentarsi dal colono o Proprietario che
vorrà asportare dal maceratoio la propria canapa
macerata.
Ravenna 15 Luglio 1888
Per notizie ulteriori sul macero di San Pancrazio vedere
l’opuscolo “Una vita fra la canapa”, presso il Museo della
vita contadina in Romagna.
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Dri l'irola
Museo della vita contadina in Romagna
Museo della vita contadina in Romagna
Grazie alla sensibilità dell’Amministrazione
Comunale di Russi, con la collaborazione
dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di
Ravenna, sono stati accellerati i lavori per la messa
a norma definitiva delle sale del Museo presso la
Scuola Elementare di San Pancrazio. I lavori
prevedono il rafforzamento delle misure
antiintrusione, antincendio e di protezione degli
oggetti dalla luce solare diretta.
Si spera che per la prossima sagra paesana sia
completato anche l’allestimento del Museo che
prevede, nella prima e seconda sala, una parte
fissa dedicata a canapa e tessitura e, nella terza
sala, un allestimento tematico temporaneo da
concordare possibilmente con la Scuola e col
Laboratorio Didattico della Provincia.
Entro settembre, presso la sala dell’excinematografo di San Pancrazio, sarà completata
l’esposizione dei numerosi oggetti donati dalle
famiglie del paese e dintorni. Questa sala, adibita in
parte a deposito in parte ad esposizione, sarà visitabile ogni seconda domenica del mese ad
esclusione del mese di agosto. Le insegnanti che
vorranno accompagnare i ragazzi a visitare anche
questa sala dovranno telefonare all’Associazione
La Grama almeno un giorno prima.
c/o Scula Elementare di San Pancrazio
Via XVII Novembre, 48020 San Pancrazio RA
Tel 0544 534303 - Fax 0544 534775
Internet: www.racine.ra.it/russi/vitacontadina
E-mail: [email protected]
Orario del Museo:
giovedì, dalle 14,30 alle 18,00
domenica, dalle 9,30 alle 12,30
Ingresso lire 2.000, ridotti lire 1.000
Visite guidate su prenotazione
Il Museo raccoglie testimonianze preziose delle
attività economiche di sussistenza delle famiglie
contadine e rurali del paese, accanto ad una
numerosa serie di strumenti usati per i lavori dei
campi e per i lavori domestici.
Domenica 4 giugno 2000
Gita a Parma
Partenza ore 8 - Arrivo ore 20
Per informazioni e prenotazioni telefonare
a Claudio Donzelli tel.0544534565
MEDAGLIE
Domenica 2 Luglio 2000
Chiesuola di Russi (RA)
Le vorremmo dare ai soci della Grama che si sono
duramente impegnati nei mesi di marzo e aprile
per poter terminare il lavoro di schedatura e catalogazione degli oggetti del museo di San Pancrazio.
Casa colonica Fabbri
La pié cun e’ furmaj
Materiali realizzati da “La Grama”
ore 10 Tavola rotonda: “Alimentazione e
folclore in Romagna”
ore 16 Dimostrazione della mietitura del
grano a mano, legatura dei covoni,
battitura con la “zercia”,
“spuladura”
ore 17 “Il pane più originale”, passatempo
per i giovani
ore 18 Musiche popolari e contadine
“Quaderni” di testimonianze orali:
-Il Grano e il pane: ieri e oggi;
-Una vita fra la canapa;
-Tessitura che passione!
-Una vita fra i bigatti;
-Una fèta d’furmaj;
“L’evoluzione di S.Pancrazio”
Documentari su:
Mostra fotografica: “Il grano e il pane”
Proiezione del documentario:
“Il grano e il pane: ieri e oggi”
-Testimonianze dal Museo della
civiltà contadina;
-Il grano e il pane: ieri e oggi;
-Una vita fra la canapa;
-Latte e formaggio: produzione
casalinga e artigianale;
-Una vita fra i bigatti;
-Il maiale, l’amico dell’uomo;
Il programma sarà precisato successivamente
Numero di conto corrente postale de “La Grama”
11939485
Per le pubblicazioni de “La Grama” chiedere
informazioni al 0544534303
La quota 2000 per associarsi
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Bollettino N.07-marzo `00.pub (Sola lettura)