Supplemento a Ross zétar d’Rumagna - N.64 - Anno 33° - n.1 - Marzo 2000 Registr. Trib. Ravenna n.524 del 15-7-69 - Non contiene pubblicità. Direttore Responsabile: Avv. Emilio Duranti - Redattore: Girolamo Fabbri Spedizione in A.P. (Art.2 - comma 20/c - Legge 662/96) - Filiale di accettazione: Ravenna. I colori della campagna Personaggi di San Pancrazio di Luisa Calderoni a cura di Luciano Minghetti La campagna nel susseguirsi delle stagioni offre una intensità e varietà di colori che è impossibile descrivere nella pienezza della loro dimensione. Le case di campagna hanno quasi tutte un giardino dove crescono specie diverse di fiori e piante, ma anche quello più bello e meglio curato non raggiunge mai la bellezza dello scenario che costruisce la natura. Il ciclo delle stagioni nel suo variare offre alla vista un continuo cambiare di colori. La primavera è annunciata dai fiori che quasi timidamente spuntano nei prati che si colorano, le margherite o prataiole, le violette, fiori gialli e rosa, i “non ti scordar di me” (1) di quell’azzurro molto delicato, un fiore che va ammirato e non raccolto perché si stacca subito dallo stelo. I campi si tingono di rosa e di bianco coi fiori degli alberi da frutto, distese di colore che da lontano assumono la forma di una macchia indistinta. Poi si passa ai colori più intensi: il lilla e il viola dei glicini, degli iris e dei lillà. A maggio fioriscono le rose e i giardini diventano un miscuglio di colori: siepi di rose rampicanti, bianche, rosa, rosse, gialle, ma anche sfumate o bicolore, gialle all’interno e rosate fuori, il rosa delicato delle rose selvatiche, che poi dopo la fioritura riempiono i rami di bacche rosse. Ma il colore dominante è il verde che offre una molteplicità di tonalità incalcolabili: verde dei prati con l’erba alta e quando questa viene tagliata, il verde dei germogli e quello delle foglie che cambia ogni giorno, diverso il colore della vegetazione quando piove o quando c’è il sole. Il verde ha una sua simbologia nella cultura popolare, è il colore della speranza, della tranquillità, della riflessione. Poi l’azzurro o blu del cielo con diverse intensità: che va da una sfumatura tenue ad una più intensa. Ci sono delle persone che, per varie ragioni, anche banali, sono rimaste nella nostra memoria, nei nostri ricordi d’infanzia. Ce ne ricordiamo i volti, i vestiti che portavano, l’ambiente dove vivevano; persino la loro voce e il loro odore, se ci fermiamo un attimo a pensare, riusciamo a risentire come fossero ancora presenti. Durana (Minghetti Costante), Pirì d’Gurdé (Gordini Pietro), Primo de’ Sord (Casadei Primo) sono i miei preferiti. Cercherò di “fotografare” uomini e donne che hanno lasciato un segno anche piccolo nella memoria collettiva. Comincio dal racconto di mio padre perché abita quì vicino a me. Dove sei nato e chi erano i vecchi che conoscevi da ragazzo? Leo: sono del ‘15 e sono nato nella casa di Stanghellini, vicino al borghetto de’ Camaren, ma fin da piccolo ci siamo trasferiti in via Randi, allora via Molinaccio, nella casa d’Livio d’Frazchiné (Bassi Livio), dove adesso abita Otello Randi. Livio faceva di cantina e ricordo che da Marina veniva un certo Giulio de’ Canò con un camioncino a prendere il vino. Anche noi avevamo nel retro della casa un po’ di cantina dove mostavamo l’uva e facevamo il vino per noi perché mio padre Tugnì d’Gnarì (Minghetti Antonio), calzolaio e suo fratello Luigi detto Pisuliti, garzone da contadino, avevano sempre la fiasca del vino accanto. Gli anziani che ricordo sono per lo più quelli che abitavano nel borghetto delle botteghe, dove adesso c’è il sale e tabacchi. Lì abitava anche mia nonna e mio nonno (e’ Gagì dla Sama) con suo fratello: avevano una stanza sola e fuori un capanno per gli attrezzi. Accanto a loro viveva Camata (Tambini Andrea), credo fosse il babbo di Chiaro, e faceva il calzolaio. Poi ci stava un tale che chiamavano Gianì de’ Rufian, poi numerose altre persone che per la (Continua a pagina 3) (Continua a pagina 2) 1 Dri l'irola Personaggi di San Pancrazio (Continua da pagina 1) Eugenio), il barbiere del paese. Tutti ci andavano per chiacchierare e per scaldarsi d’inverno al calore di una stufetta antica a carbone fatta con un bidone. Quando arrivava Carulì c’era sempre qualcuno che diceva: “sta arrivando apposta per leggere il maggior parte facevano i braccianti: era tutta gente che aveva 60/70 anni quando io ne avevo 15/16. Dal borghetto a venire verso la piazza, che allora non c’era, abitava Ducio (Fabbri Aldo) un bravo falegname che faceva i buratti per setacciare la farina. Aveva un camioncino, un Samson, un quattro ruote a carreggiata stretta che ho guidato diverse volte per consegnare dei buratti nel Cesenate; era pericolosissimo questo camioncino perché non aveva il differenziale e in curva una ruota doveva dare meno giri dell’altra. Ducio aveva anche anche un motorino, l’Evans. Con Pino (Fabbri Giuseppe), suo figlio, prendevamo questo motorino e andavamo a mettere un quarto di benzina dalla pompa del distributore: una Lampo di proprietà d’ Zvanì d’Barben (Minardi Giovanni) che aveva la bottega dei generi alimentari dopo il mulino vecchio, nella casa di Mercati. Si pompava e si riempiva un bicchiere da 5 litri, poi si tirava una leva e la benzina veniva giù. Prima della ratta vecchia abitava Pireta (Ghirardini Pietro). Si diceva che quando misero su la luce e le lampadine lungo la strada lui illuminasse l’interno della casa con quelle. Di fronte a Ducio abitava Tugnazì (Fabbri Antonio). Faceva il meccanico, ma costruiva anche dei telai da bicicletta. Acquistava i tubi e li univa fra loro tramite dei giunti, dette “pipe”. Infilava i tubi nei giunti, fondeva l’ottone e lo faceva colare nelle fessure per saldare il telaio. Faceva anche servizio pubblico con una Davinson, un motore col carrozzino. Portava fino a tre persone: due nel carrozzino e uno sulla sella dietro al conducente. Dopo vendette il motore e prese un’auto, una Ford. Accanto a Ducio abitava Giulio, suo fratello. Lì aveva continuato a fare il falegname anche suo figlio Minghì d’Lupini (Fabbri Guido). Me la ricordo bene la bottega: in famiglia eravamo in quattro e avevamo una camera e un cucinino sotto e una stanza da letto sopra. La stanza sotto era senza camino e senza finestra, e il cannone della nostra stufa passava il muro e si immetteva nel camino di Minghì d’Lupini. Quando la porta della bottega restava aperta si riempiva tutta la nostra casa di fumo! Tra la bottega della stoffa e la casa della Dina d’Primo una volta c’era la butega d’Carulì (Casadio Guglielmo): era una bella camera dove sua moglie, la Gilsa (Nori Gilsa), vendeva la stoffa, grembiuli, e lui aveva la ferramenta, aveva un mucchio di scugiotti in cui metteva chiodi e brocche che si usavano allora per fare i cospi. Carulì lo chiamavano l’egoista e gli facevano scherzi anche pesanti. Una volta ruzzolarono una macina da mulino davanti a casa sua e gliela rovesciarono davanti alla porta, tremò tutta la casa compresa la nostra che allora abitavamo lì di fronte. Un’altra volta gli disegnarono sul muro di casa una corda da impiccato con una scritta: così finisce l’avaro. Carulì andava a leggere il giornale da Quacet (Randi giornale, dai, prendilo tu così non glielo facciamo leggere”. Anche se non lo leggevano lo tenevano nelle mani e così Carulì spesso se ne andava senza averlo letto. E’ sgnor Mingheto (Zanzi Domenico) era un ricco signore che abitava al Palazzo dei Naldi e tutte le mattine veniva a San Pancrazio a piedi o a cavallo fermandosi nella bottega del barbiere. Ogni mattina passava un pescivendolo, credo venisse da Marina, lo chiamavano Cjavarena. Una volta e’ sgnor Mingheto disse a Quacet: “domani quando viene Ciavarina mi prendi mezzo chilo di triglie”. La mattina seguente passa il pescivendolo con la cassetta del pesce sul portapacchi dietro la sella della bicicletta con tre, quattro qualità di pesce. Quacet compra un mezzo chilo di rosal, poi lo porta a casa. Nel pomeriggio passa il signor Mingheto e ui dis: “Hai preso le triglie?”. “Oh, sgnor Mingheto, in n’aveva miga”. “Coma in n’aveva! Te che pesce hai preso?”. “Me a jo tolt di rosal...”. “Fammeli vedere...non sai ignorante che le triglie sono i rosal!”. E gli portò via il cartoccio del pesce. Sempre nella bottega del barbiere veniva e’ sgnor Boriani, e’ fator d’Dragoni, era un bolognese, c’è stato parecchi anni. Era diventato amico suo e anche di sua moglie, la Minta (Sandoli Aminta), e grazie a questa amicizia Boriani gli portava ogni tanto del vino e della legna. Però in cambio amava fargli degli scherzi. Un giorno venne in paese un contadino col somaro, allora Boriani disse al contadino: “vuoi vedere che mettiamo l’asino nella bottega d’Quacet”. Dai e che te dai alla fine riuscirono a mettere la testa del somaro dentro la bottega! Gli Orselli, i febar d’Sapangrezi. La signora Anita Randi Rossini ci ha fatto notare che nel secondo numero di questo bollettino uscito nel settembre del 1997 abbiamo riportato in modo errato la data di nascita di sua zia Angela Orselli. Ci scusiamo per l’errore e confermiamo che Angela Orselli, coniugata con Sabbadini Emilio è nata il 15 maggio del 1911, ma è stata battezzata il 24 giugno del 1915. Dri l’irola, supplemento curato da: Associazione culturale “La Grama” Via della Resistenza, 12 48020 San Pancrazio (RA) Tel. 0544534303 - Fax 0544534775 E-mail: [email protected] I dati personali presenti nell’archivio della redazione saranno utilizzati solo per l’invio di questa pubblicazione e di altre informazioni relative alle manifestazioni dell’associazione. 2 Dri l'irola Le ricette della cucina povera di Luisa Calderoni Patate, carote, coste esterne del sedano, cipolla, salvia, pomodoro, sale, ½ bicchiere di vino bianco. Preparazione: In un tegame di terracotta fare rosolare la carne fino a quando nella parte esterna ha preso un colore dorato. Togliere il tegame dal fuoco e versare tutto il grasso prodotto dalla carne, rimetterlo sul fuoco aggiungendo olio d’oliva, cipolla tritata, salvia, il vino bianco, farlo evaporare poi aggiungere il pomodoro, salare e fare cuocere lentamente per circa un’ora. Pulire le patate, tagliarle a gnocchetti, pulire il sedano e la carota e farne pezzi di circa 4 cm. poi metterli assieme alla carne e fare bolire fino a quando le verdure sono cotte. Mangiare caldo. Il piatto povero veniva preparato utilizando i ritagli di carne e quello che c’era in casa: le interiora degli animali da cortile: stomaco e cuore, qualche ossa di costa, un pezzetto di salsiccia e quando c’era la punta di petto di pecora. Quando la famiglia contadina si è potuta permettere di comprare la carne lo ha arricchito. Alla carne poi si aggiungevano le verdure. Adesso le possibilità economiche ci permettono di fare uno stufato con una buona scelta di carni. Ingredienti per 6 persone: 500 gr. di carni di diverso tipo: muscolo di pecora, manzo, stomaco e cuore di pollo, ossa di costa, salsiccia (le quantità dei diversi tipi di carne possono essere scelte in base ai gusti di chi le deve mangiare). Mi sono chiesta se il detto popolare “um’à stufé”, mi ha stancato non abbia qualche nesso con questo piatto: potrebbe voler dire che sazia oppure le persone si stancavano di mangiarne perché faceva riuscita ed anche perché veniva preparato spesso. I colori della campagna (Continua da pagina 1) Ricordo le siepi “de tamarés” coi fiori di colore rosa antico, oggi quasi scomparse. In estate si possono ammirare le distese di grano colorate di giallo interrotto ogni tanto dal rosso vivo dei papaveri e dall’azzurro dei fiordaliso; i campi dei girasoli. Il giallo è il colore del sole che neppure si può guardare se non al tramonto, quando offre alla vista splendide sfumature nel cielo e una palla di fuoco. Nei prati fioriscono i fiori della camomilla che nella forma e colori ricordano le margherite. Si può osservare l’arancio dei fiori di melograno che si mettono in mostra fra il verde delle foglie e quello dei fiori delle piante rampicanti. Affascinanti i colori dell’autunno: il verde delle foglie assume progressivamente tonalità di giallo e marrone e quando queste cadono formano sulla terra un tappeto multicolore e fra le foglie e i tralci della vite spuntano i grappoli biondeggianti o violetti dell’uva. Il mese di novembre si caratterizza per il grigio delle giornate di nebbia, per il colore degli alberi che si spogliano e delle terre arate che diventano macchie di marrone. Nei giardini fioriscono i crisantemi un tempo rigorosamente bianchi adesso di diversi colori e forme, “il fiore della vita perché nasce quando la natura muore”. La neve quando copre la terra offre alla vista un immenso manto bianco, simbolo del candore. Infatti la neve è desiderata dagli agricoltori perché purifica il suolo e l’aria e promette raccolti copiosi; un proverbio popolare dice: “sotto la neve pane”. Quando poi dopo le nevicate spunta in cielo il sole la campagna imbiancata diventa lucente e brilla come diamanti. Si presume che la canapa proveniente dall’Oriente sia stata coltivata anche in Europa fin dall’antichità. Sulla canapa coltivata nell’area di Ravenna non si conoscono momenti di grande produzione. Gli unici che incentivarono, con scarso successo, la produzione di questa fibra furono i Veneziani durante il periodo del loro dominio a Ravenna. A questo proposito Luigi Silvestroni, mentre leggeva una ristampa anastatica (edita da Bruni Ghigi Editore, Rimini 1974) su “RAVENNA ANTICA - CON COMMENTI DI GASPARO MARTINETTI CARDONI RAVEGNANO, alla “Lettera Settima”, pag.8, si è imbattuto in alcune righe che ha ritenuto interessanti inviare alla redazione: “...il popolo Ravegnano concitato dai congiurati tumultuosamente alle armi, si ribellò da lui (Ostasio Quinto Da Polenta) e trasse in piazza gridando: viva la repubblica, viva san Marco. E fu addì 24 febbraio del 1441... ...i Veneti coniarono il quattrino e l’obolo di Ravenna, che da una parte aveva la mezza figura di Santo Apollinare, e dall’altra il leone di san Marco. Attesero anche al miglioramento e all’incremento della Ravegnana agricoltura e in ogni guisa dettero opera, che qua fosse coltivata la canapa; la quale poi al prezzo della Bolognese, era comprata per l’uso del veneziano arsenale...” ——————— (1) Il termine scientifico di questa pianta è veronica, conosciuta da tutti come pacot. 3 Dri l'irola I Garavini a San Pancrazio - I Ghitì a cura di Maria Luisa Pironi e Ione Silvestroni Agli albori del XX secolo, nel piccolo mondo di San Pancrazio, la famiglia Garavini, i Ghitì, svolse un ruolo di primaria importanza a favore dell’economia locale. Erano giunti a San Pancrazio intorno al 1890 provenienti da San Pietro in Trento. Famiglia intraprendente e di larghe vedute, appena conosciuta la realtà del paese, avviarono un grosso e variegato esercizio commerciale: la butega d’Ghitì, in grado di dare risposta ai bisogni delle famiglie di un vasto territorio. Eressero la loro abitazione int e’ cruseri e ancora oggi è il maggiore edificio del centro. L’intera facciata rivolta alla strada era adibita a negozio con sali e tabacchi, drogheria, salumeria, chincaglierie, ferramenta, tessuti, granaglie e sfarinati. Fu per quei tempi una grande meraviglia, un vero supermercato. Si diceva con orgoglio a San Pancrazio: “la Tutto questo lavoro in casa Garavini era organizzato e distribuito in modo perfetto: l’azdor Tobia (Tubìo) era la mente commerciale, la moglie Rosa (Rusena) curava il vasto pollaio, la cucina e la lavanderia insieme all’Armilinda de Sord e la Gianina, lavandaie fisse. Il figlio Egisto, che aveva studiato a Ravenna, teneva l’amministrazione e aveva in mano questo complesso metodo di scambi, registrando ogni prelievo e valutando ogni merce ricevuta in cambio, sia che fosse un maiale grasso o poche uova o qualche chilo di fiori di camomilla o un sacchetto di ghiande. L’equità e l’onestà di Gisto d’Ghitì era tale che i birocciai di San Pancrazio, allora in numero di 10, che acquistavano fieno e avena per gli animali, farina e generi vari per le loro famiglie, una volta all’anno, dopo che la Provincia aveva liquidato loro i compensi per la butega d’Ghitì l’è al tre volt quela ghiaia, delegavano il capoccia, ad Cantimori ad Ros”. Mingò d’Bazilò (Domenico Foschini) Ma la novità maggiore introdotta a fare i conti senza avere in mano la dalla famiglia di Garavini nella loro minima annotazione di spesa, certi attività fu la gestione del credito a che la spesa di ogni singolo, le favore di tutti i sanpancraziani. eventuali prestazioni in cariaggi Erano anni di grandi ristrettezze (trasporti)nonché la lettiera delle quelli di inizio secolo, nonostante a loro stalle che spargevano nei Garavini Egisto San Pancrazio fosse molto poderi sarebbero stati valutati tutti sviluppata l’attività artigianale con la grande in modo onesto e preciso. officina Orselli famosa fino al forlivese, otto La sorella Emma e la cognata Anna (Nucia), botteghe di falegnameria, dieci sarti e undici moglie di Egisto, gestivano il negozio con alcuni calzolai che prestavano la loro opera a domicilio aiutanti. Il fratello Silvio si occupava delle granaglie in un raggio di trenta chilometri. Ma tutta questa e delle farine bianche e gialle e durante la stagione mole di lavoro veniva compensata del ritiro della camomilla, malva, sambuco e fior di esclusivamente “a cordatura” con granaglie, tiglio ne curava l’essicazione nella vasta aia carne di maiale, vino, uova, legna, pollame. selciata di mattoni, la cort d’pré. Nel retrobottega vi erano le giare per l’olio, e’ I Ghitì, che a quei tempi erano già proprietari fugon per tostare il caffè, e’ pestapevar, un terrieri, cominciarono a concedere ai braccianti mortaio alto e stretto per pestare il pepe in grani. più bisognosi qualche tornatura di terreno a Vi era inoltre il banco per la lavorazione della terziario, dando così modo a questi di sdebitarsi carne suina ove dai primi di ottobre a metà marzo per ciò che acquistavano in bottega e rimediare Chilé de Sord (Achille Casadei) e suo figlio Primo anche grano e fagioli per la propria famiglia. lavoravano continuamente la carne prodotta Dagli artigiani accettavano in cambio i prodotti nell’azienda Garavini nonché quella che ricevevano che derivavano dai contratti di cordatura e dalle in cambio da artigiani, contadini e anche famiglie contadine qualsiasi prodotto: cereali, braccianti. uova, pollame, quarti o metà di maiali, latte, Una salumeria del centro di Ravenna veniva qui formaggi e ricotta. Ritiravano anche fiori di una volta a settimana a fare provviste dei prodotti camomilla, di sambuco, fiori di tiglio, foglie di di questa lavorazione, tanto richiesti dalla sua malva, seta, canapa grezza e pettinata, lana e clientela. Quando poi i Garavini cessarono persino ghiande. 4 Dri l'irola tranquillizato dicendo di aver chiuso ogni partita. I figli di Egisto -Ettore e Dante-, hanno fatto onore alla tradizione familiare distinguendosi in settori diversi tanto da esserne dei veri protagonisti. Ettore, classe 1900, è stato un pioniere del motociclismo romagnolo; con la sua Harley Davidson partecipò a molte corse piazzandosi sempre ai posti d’onore. Fu un membro del RACI di Ravenna, fu organizzatore e presidente del circuito del Savio e festeggiò con l’ingegner Ferrari il 50° anniversario del circuito. Fu Podestà del Comune di Russi. Fu inoltre un appassionato cacciatore e ornitologo, cronista e scrittore di apprezzati articoli sulla beccaccia della quale era un profondo conoscitore, tanto che i suoi testi sono stati ripresi dalle più conosciute riviste italiane e francesi di caccia. Nel 1957 diede alle stampe un libro che ancora oggi fa testo: “Beccacce e beccacciai”, in mille esemplari in lingua italiana, francese e spagnola, che si esaurirono in poco tempo. Nel 1978 uscì una seconda edizione. Dante, classe 1905, fin da giovanissimo si distinse negli studi ed in tutte le attività giovanili. Organizzò e capitanò una squadra sportiva di calcio tale da competere con le squadre del Russi e del Bagnacavallo. Sebbene impegnato nello studio universitario organizzò e diresse una filodrammatica paesana che per anni collezionò grandi successi. Con la recita di “Al Tatar” al Rasi di Ravenna vinse il 1° premio. Organizzò gite e campeggi all’Acqua Cheta, alla Burraia e al Falterona. Laureatosi brillantemente nel 1930 in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino con una tesi sul progetto di un motore funzionante a gas di carbone di legna, entrò poi per un anno alla Bianchi Auto di Milano. Stanco della vita a Milano decise di rientrare a San Pancrazio dove in precedenti incontri aveva deciso unitamente ad un compaesano artigiano di iniziare un’attività di costruzione di macchine agricole. Venne iniziata subito la produzione di seminatrici con un distributore speciale (brevetto Garavini) che fu considerato più preciso di quelli esteri. Fu iniziata anche la costruzione di altre macchine tra cui i motocoltivatori e gli erpici a disco. Le officine furono ampliate tanto che le maestranze arrivarono nel 1976 ad una novantina. Vaso da olio o “coppo”, prodotto dai fratelli Costantino e Pietro Vanni da Impruneta (FI) e usato dalla famiglia Garavini quando avevano il negozio di generi alimentari. l’attività, i macellai Chilé e Primo andarono a lavorare a Ravenna alle dirette dipendenze della salumeria; Primo vi rimase fino agli anni quaranta. A venti passi dall’abitazione, all’ombra di grandi alberi, era ubicata la cantina, lunga, fresca, con tante botti di rovere, ben attrezzata tanto che già allora una pompa travasava il vino da una botte piena posta in cantina alle botti vuote sul carro o su un biroccio. Egisto poi, oltre che oculato e saggio amministratore, era un appassionato viticultore, sempre alla ricerca di nuovi vitigni. Cagnina, canena de rasp ross, barbera, barzamen da tai, tarbian da la fiama sono alcuni dei vitigni da lui coltivati con successo. Il prodotto della cantina Garavini era tutto assorbito da osti e fiaschetterie ravennati: Muritò, che gestiva tre osterie, Sarti che gestiva una fiaschetteria in centro e altri. Dopo la cantina va ricordata la stalla, e poi la vasta aia selciata di mattoni dove si trebbiava il grano dei terziari, si battevano i fagioli e si frullava il granoturco. E’ d’obbligo citare un episodio che le protagoniste hanno raccontato fino a che sono rimaste in vita. Ci fu un anno di raccolti molto critici e di miseria. Le donne dei terziari dopo aver battuto i fagioli attendevano la spartizione vicino ai mucchietti talmente piccoli che non arrivavano allo staio (1). Arrivò Tobia con una quartarola (2) e da ogni mucchietto prelevò una misura dicendo: “Donne, tutto il resto è vostro!”. “Patrò Tubia”, esclamarono le donne, “questa l’è una grezia da basev la man”, e la Fiameta e la Chicaza cercarono di prendergli le mani per ringraziarlo. Al che Tobia rispose: “Hei! sa m’aviv tolt pre vescuv, a viò lasé parché ca scurziva piò tant, caviv da lè cun cal smarei e tulì sò i vostar fasul”. E’ solo un piccolo aneddoto che ci aiuta a comprendere l’umanità e la generosità straordinaria che li distinguevano. Dopo che la figlia Emma andò sposa, i Garavini cessarono quell’attività, ma ciò che è meritevole di essere ricordato è che “chiusero i libri” dove annotavano i crediti dei loro clienti più poveri. La cosa destò grande sorpresa; chi si sentiva ancora debitore e si rivolgeva loro chiedendo di voler regolare i conti in sospeso, veniva (1) staio colmo: litri 60,05; staio raso: litri 57,05; (2) quartarola: pari a un quarto di staio. La quartarola si divideva in 25 scodelle; 5 Dri l'irola Metereologia popolare romagnola 2 dicembre Säta Bibiäna, quaränta dé e una smäna. a cura di Tino Babini Com’è il tempo nel giorno di Santa Bibiana così sarà per quaranta giorni e una settimana. La nòt d’Säta Luzeja, l’è la not piò longa cla si seja. La notte di Santa Lucia (13 dicembre), è la notte più lunga che ci sia. 27 dicembre Sän Zvän, un pè de scän. Cominciavano ad allungarsi i giorni. Par la Pasquéta, un’uréta Par Sät Antòni Abèt un’ora e un quèrt. Per l’Epifania i giorni si allungano di un’ora, per S. Antonio Abate un’ora e un quarto. Sät Antòni grän fardura Sa Lurènz grän calura On e l’ètar pôch i dura. Per S. Antonio gran freddo, per S. Lorenzo gran caldo; sia l’uno che l’altro poco durano. Sa Basciän e fa tarmê la coda a e cän. Per S. Bastiano (20 gennaio) il freddo fa tremare la coda al cane. Par la Madòna d’la Zariola Dell’inverno siamo fora, mo su iè e sulatèl u-gnè incora un misarèl; Per la Candelora, dall’inverno siamo fuori, ma se cìè il sole ce n’è ancora per un mese; (così aggiungeva Livio Bassi detto Livio d’Frazchinê: “o piovar o anvê” un mes un po’ manchê”). “o piovere o nevicare”, un mese non può mancare. Mérz Marzòt l’è long e dé quant d’la nòt. Di Marzo l’oscurità e la luce sono uguali. Eria ròsa, vèt o bofa. Quando l’aria è rossa, o che fa vento o che fa bufera L’èrch balèn de cät d’la matèna l’impinés la sculèna, l’èrch balèn de cät d’la sera e s-cièra la vela. L’arcobaleno al mattino fa piovere, alla sera fa bel tempo. La curèna la mêsa e sla smêsa La bura tri dè la dura E sciròc de cät d’la matèna l’impinés la sculèna, E sciròc de cät d’la sera e s-cièra la vela. Il vento di corina accomoda o scomoda il tempo. La bora dura tre giorni. Il vento di scirocco al mattino fa piovere, alla sera rischiara il tempo. (Lo scirocco è un vento proveniente dalla Siria e dal Marocco) Quänd e neva sora la foia Avè un inveran che fa voia. Quando nevica sopra la foglia avremo un buon inverno. Fabrarôl da la curta vôlta E fasè brusê e pêl a la porta. Febbraio dai pochi giorni dal gran freddo fece bruciare il palo della porta. Frase a doppio significato Din’tun mêrz un sé mai cavê gnit d’bôu. Da Marzo non si ricava niente di buono. Da roba putrefatta non si ricava niente di buono. Marzo ventoso - Aprile piovoso Maggio dei temporali e Giugno dei giorni buoni. Mèrz di vèt - Abril di tèp, Maz di tôu e Zogn da i dè bôu. Per S. Caterina (25 novembre), o che nevica o che c’è la brina, o che piove o che nasce una bambina. Par Säta Catarèna (25 novembre), o che neva o che brèna, o che fa la paciarèna, o che nès una babèna. 6 Dri l'irola I maceri di San Pancrazio Ricordi eterni Nella sua infaticabile ricerca di documenti storici Pier Franco Ravaglia ne ha rintracciato uno datato 15 luglio 1888: si tratta di un pubblico avviso sulle modalità ed i prezzi praticati per l’affitto degli spazi al macero di San Pancrazio. Una copia di questo documento si trova presso il locale Museo della vita contadina in Romagna. Riportiamo di seguito il testo integrale. di Carlo Turchetti Via Naldi, la canala, il ponticello, la casa vecchia un poco malandata, l’ëlbi e le vacche per l’abbeverata; e risuonava un fischio, sempre quello un ritornello dolce, quasi una ballata. AVVISO I Signori Proprietari ed Affittuari che desiderano effettuare la macerazione della canapa nei maceratoi di proprietà del sottoscritto Fabbri Antonio fu Francesco presso il ponte sul fiume Montone, Parrocchia S. Pancrazio di Russi, restano avvisati che d’ora innanzi si effettuerà al prezzo e alle condizioni seguenti: In un elmetto di soldato inglese beveva il gallo salutando il cielo ad ogni sorso, e il nonno, un uomo alto e snello faceva un’ombra lunga nel cortile. Il carro verde all’ombra d’un gran pero, Voci nel campo, il verso d’un maiale e l’Ida di ritorno dal fienile con l’ova appena colte nel grembiale. 1. Per ogni metro lineare di un cantiere uguale a metri cubi 2,50 circa per la prima macerazione pagheranno come al solito L.2,20 e per la seconda L.1,80. ...Ricordi d’una gente foste e cara; ...non ci son più la casa, il pero, il carro, neppure gli Altri… c’è solo asfalto e zona artigianale. 2. Non potranno essere sorpassati con l’altezza della canapa appostata i segnali tracciati nella parte superiore delle palafitte, e ciò a scanso di inconvenienti. Ma io son qui coi miei ricordi e resto; e insieme a me anch’Essi ancor vivranno. 3. Potranno obbligare i posti tanto per una sola, che per due macerazioni. 4. Non si affittano meno di tre metri lineari, dovendo la canapa essere legata in grossi fasci di tale lunghezza, e qualunque misura inferiore ai metri tre pagherà sempre per tre metri, per le maggiori lunghezze verrà fatto il dovuto raguaglio. In memoria di Silva Minardi. La signora Minardi Anna ha inviato un contributo alla nostra associazione in ricordo di Silva che sempre dimostrò grande amore per la vita e grande affetto per il paese che La vide nascere. 5. I suddetti Proprietari che avranno obbligato il posto resteranno vincolati a portare la loro canapa entro due giorni da quello in cui avrà principio il ricevimento della medesima, spirato tale termine, il posto obbligato resterà per loro conto, e non avranno alcun diritto di far ritardare l’introduzione dell’acqua nei detti maceratoi la quale viene sempre introdotta a diverse riprese. “Le più belle melodie d’amore eseguite con l’ocarina” da Michele Carnevali 6. Il pagamento del premio suddetto per le piccole partite di soli tre metri circa verrà fatto prima di asportare la canapa macerata, e per le altre partite non più tardi della fine del Settembre susseguente. Dopo eccitanti serate musicali dal vivo a Russi e suonate memorabili alle nostre manifestazioni culturali, finalmente sarà possibile ascoltare una parte del suo repertorio musicale da un CD che è stato pubblicato col patrocinio del Comune di Russi: un CD che si distingue dagli altri perché eseguito interamente con uno strumento tipico della nostra musica popolare: l’ocarina. 7. Appostata la canapa nel maceratoio verrà pure dal custode rilasciata apposita bolletta che dovrà conservarsi e presentarsi dal colono o Proprietario che vorrà asportare dal maceratoio la propria canapa macerata. Ravenna 15 Luglio 1888 Per notizie ulteriori sul macero di San Pancrazio vedere l’opuscolo “Una vita fra la canapa”, presso il Museo della vita contadina in Romagna. 7 Dri l'irola Museo della vita contadina in Romagna Museo della vita contadina in Romagna Grazie alla sensibilità dell’Amministrazione Comunale di Russi, con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Ravenna, sono stati accellerati i lavori per la messa a norma definitiva delle sale del Museo presso la Scuola Elementare di San Pancrazio. I lavori prevedono il rafforzamento delle misure antiintrusione, antincendio e di protezione degli oggetti dalla luce solare diretta. Si spera che per la prossima sagra paesana sia completato anche l’allestimento del Museo che prevede, nella prima e seconda sala, una parte fissa dedicata a canapa e tessitura e, nella terza sala, un allestimento tematico temporaneo da concordare possibilmente con la Scuola e col Laboratorio Didattico della Provincia. Entro settembre, presso la sala dell’excinematografo di San Pancrazio, sarà completata l’esposizione dei numerosi oggetti donati dalle famiglie del paese e dintorni. Questa sala, adibita in parte a deposito in parte ad esposizione, sarà visitabile ogni seconda domenica del mese ad esclusione del mese di agosto. Le insegnanti che vorranno accompagnare i ragazzi a visitare anche questa sala dovranno telefonare all’Associazione La Grama almeno un giorno prima. c/o Scula Elementare di San Pancrazio Via XVII Novembre, 48020 San Pancrazio RA Tel 0544 534303 - Fax 0544 534775 Internet: www.racine.ra.it/russi/vitacontadina E-mail: [email protected] Orario del Museo: giovedì, dalle 14,30 alle 18,00 domenica, dalle 9,30 alle 12,30 Ingresso lire 2.000, ridotti lire 1.000 Visite guidate su prenotazione Il Museo raccoglie testimonianze preziose delle attività economiche di sussistenza delle famiglie contadine e rurali del paese, accanto ad una numerosa serie di strumenti usati per i lavori dei campi e per i lavori domestici. Domenica 4 giugno 2000 Gita a Parma Partenza ore 8 - Arrivo ore 20 Per informazioni e prenotazioni telefonare a Claudio Donzelli tel.0544534565 MEDAGLIE Domenica 2 Luglio 2000 Chiesuola di Russi (RA) Le vorremmo dare ai soci della Grama che si sono duramente impegnati nei mesi di marzo e aprile per poter terminare il lavoro di schedatura e catalogazione degli oggetti del museo di San Pancrazio. Casa colonica Fabbri La pié cun e’ furmaj Materiali realizzati da “La Grama” ore 10 Tavola rotonda: “Alimentazione e folclore in Romagna” ore 16 Dimostrazione della mietitura del grano a mano, legatura dei covoni, battitura con la “zercia”, “spuladura” ore 17 “Il pane più originale”, passatempo per i giovani ore 18 Musiche popolari e contadine “Quaderni” di testimonianze orali: -Il Grano e il pane: ieri e oggi; -Una vita fra la canapa; -Tessitura che passione! -Una vita fra i bigatti; -Una fèta d’furmaj; “L’evoluzione di S.Pancrazio” Documentari su: Mostra fotografica: “Il grano e il pane” Proiezione del documentario: “Il grano e il pane: ieri e oggi” -Testimonianze dal Museo della civiltà contadina; -Il grano e il pane: ieri e oggi; -Una vita fra la canapa; -Latte e formaggio: produzione casalinga e artigianale; -Una vita fra i bigatti; -Il maiale, l’amico dell’uomo; Il programma sarà precisato successivamente Numero di conto corrente postale de “La Grama” 11939485 Per le pubblicazioni de “La Grama” chiedere informazioni al 0544534303 La quota 2000 per associarsi 8